The Breakthru.

di Himmie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. It's a Kind Of Magic... ***
Capitolo 2: *** 2. ...A Kind of Magic! ***
Capitolo 3: *** 3. I’m Going Slightly Mad. ***
Capitolo 4: *** 4. And you're rushing headlong... ***
Capitolo 5: *** 5. When a red hot *lady meets a white hot *man… ***
Capitolo 6: *** SCUSATE, SCUSATE, E SCUSATE ANCORA. ***



Capitolo 1
*** 1. It's a Kind Of Magic... ***


THE BREAKTHRU.
 
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1. It’s a kind of magic…
 
Realizzai in quel momento che con il mio acquisto azzardato, che mi permetteva comunque di essere lì, avevo dato fondo a grande parte dei miei risparmi.
Tecnicamente, erano quelli accantonati per l’università, ma sono dettagli.
 
Mi chiamo Leni, ho diciannove anni, ed amo i Queen.
 
Per ora sono solo una faccia tra la folla, per la precisione in fila fuori dalla 02 Arena, Berlino, Germania, Europa, Mondo.
Ho un biglietto in mano. Un foglio giallino con una striscia silver su un bordo, che indica che non mi hanno rifilato un falso, in teoria.
Intorno a me vedo buio, luci, gente di ogni tipo, tutti con un unico destino comune: assistere ad un concerto della più grande rock band del mondo.
 
Non riesco neanche a pensare, mi aggrappo al malcapitato e sacro biglietto con una mano e alla transenna alla mia sinistra con l’altra. Sto iniziando a sudare, se devo essere sincera.
L’uomo-armadio di fronte a noi e alla porta di accesso mi riserva un sorrisino ironico, non me lo aspettavo.
In mezza frazione di secondo, si sposta poi di lato, e le persone dietro di me iniziano a spingermi per passare. Ci siamo!
Temo seriamente per la mia vita, ma cerco di contrastare la forza bruta dietro di me ed inizio a camminare a passo spedito, lungo il corridoio grigio ma ben illuminato.
Qualcuno mi sorpassa, qualche esagitato mi taglia invece la strada a destra e manca, facendomi sobbalzare, e dunque inizio a rallentare.
In fondo, mi dico, non ho speso 150€, per dei biglietti di seconda mano, da alcuni truffatori/bagarini che maggiorano il prezzo di almeno due volte, per morire di insufficienza respiratoria appena entrata nell’arena.
Posso completamente rilassarmi.
I posti erano quelli nell’ultimo cerchio in alto, in un settore posizionato leggermente alla sinistra del palco.
Non il settore migliore, di certo. Ma non avevo dovuto mettermi in fila dal primo pomeriggio per il prato, ed il mio posto era numerato e comodo! 
Settore C2.
Alcuni cartelli verdognoli apparvero di fronte a me, e vidi quasi subito chiaramente un C2 scritto in grandi caratteri, ed una freccia che indicava a destra.
Oddio.
Ci siamo per davvero!

Felice, saltellai e girai a destra, mancava così poco!
Ed in quel momento, mi trovai di fronte ad una folla letteralmente immensa, peggio di quella fuori, tutti accalcati proprio per il mio settore. E per giunta, altre persone si stavano aggiungendo dietro di me.
Piangnucolai.
Fermi, piantati lì, o al limite avanzavamo solo di qualche passo, aspettavamo solo di poter raggiungere i nostri posti fuori dalle inaccoglienti mura in cemento interne dell’arena. E magari anche di riprendere a respirare.
Poi, un pazzo, urlante, mi spinse violentemente in avanti, cercando di farsi strada, per chissà dove, poi.
Digrignai i denti per il colpo alla schiena ricevuto, non si era di certo risparmiato.
Avrei potuto schiantarmi contro qualche solido pilastro e fratturarmi dieci ossa, ma non successe.
Mi trovai invece spalmata addosso a qualcosa di morbido. No, era sicuramente qualcuno.
Profumava di deodorante…
Alzai gli occhi, imbarazzata, sentendo il suo torso contrarsi ritmicamente.
Il qualcuno stava ridendo.
Sembrava pure divertito.


***

Salve, popolo Queeniano e non!
Sono nuova in questa sezione, ma si può dire sia nuova in generale nello scrivere e pubblicare qui.
Ecco, di solito, nella mia esistenza, ho scritto pagine e pagine di fanfictions e le ho lasciate ben riposte in qualche cartella del mio computer. Storie anche ben approfondite e direi quasi finite, che però non ho mai pubblicato.
Mi dicevo sempre, "Prima finisco tutta la storia, e poi la pubblico. Solo quando è ultimata. Coerenza, serve coerenza."
Forse non le ho mai terminate, o forse l'ho fatto, you decide, ma ecco, il coraggio per pubblicarle, quello mancava sempre.
Questa volta allora, ho deciso di fare in modo diverso.
Prima scrivo, quanto e quando mi pare, e nel momento in cui ho voglia, pubblico.
(* in realtà, ehm, contavo comunque di pubblicare abbastanza puntualmente, in caso di un seguito da parte di qualche Queenie!)

La sintesi per farla breve, è che voglio sperimentare, ecco. Uscire dai miei schemi. #NOONECARES

Non ho aspettative alte, in realtà, per questa piccola storia. Non ne è neanche ben delineato lo svolgimento nella mia testa, ma tant'è.
Volevo mettermi in gioco. Solo questo. Play the gameeee

Ciò che avete letto poco sopra, è solo una piccola introduzione, ecco. 
Diciami che il filo conduttore, a parte lo sperimentare, è che voglio introdurre piccoli elementi che siano fuori dalle classiche cose scontate.
Esempio. Non vi aspettate la classica storia dove lui/lei si incontrano ed innamorano e BAM MATRIMONIO FIGLI CASA CANE
Desidero che alcune determinate cose siano realistiche, o almeno la maggior parte. Certo, una bella fetta di assurdità romanzata ci sta, altrimenti che siamo qui a fare? Però, ecco, non ci sarà nulla (spero) che rasenterà (troppo) l'assurdo e irreale.
Spoiler: niente Brian May vestito da unicorno. Sorry.
Esempio due: la Lei in questione, infatti, non è una riccona che è in prima fila in parterre con le sue friendz ossessionate xx, ma nemmeno una poveraccia senza famiglia/genitori/amici/casa, entrata per caso al concerto.

E, magari lo avete giusto già intuito, non è esattamente un membro storico dei Queen quello con cui Lei si scontra. Heh.

Ora, vi abbraccio, e spero qualcuno leggerà e lascerà una recensione, o quello che vorrà! Anche un cestino di mele. Hm.

God save the Queen! 


Himmie

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Capitolo 2
*** 2. ...A Kind of Magic! ***


THE BREAKTHRU.

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2. …A Kind of Magic!
 
 
- Direi che abbiamo fatto. – Roger sorrise a labbra strette a Rufus Tiger Taylor, suo adorato e biondo genito, mentre quest’ultimo finiva di aiutarlo a sistemare le fascette alle dita, provvidenziale strumento di cui un batterista non può fare a meno.
Rufus sorrise di rimando, e controllò l’ora sul suo Iphone, per poi riporlo nuovamente nella tasca destra dei jeans.
- Manca mezz’ora all’inizio del concerto – osservò – mi piacerebbe fare un giro nell’arena. Sono curioso.
Roger alzò un sopracciglio, sorpreso. – E come mai, questa novità?
Rufus si strinse nelle spalle. – Voglio solo stare un attimo da solo. Tornerò in tempo per il concerto, ovvio. Solo…mi serve un attimo di pausa. Ecco tutto.
Il padre sospirò, cercando di non farsi sentire.
- E va bene – acconsentì con un gesto deliberatamente indifferente – vedi solo di non fare tardi!
Rufus annuì distrattamente e recuperò la giacca di pelle dalla poltrona, e fece per uscire dal camerino spazioso.
- Vuoi che Saki venga con te? – chiese l’uomo apprensivo.
- No, papà, non è necessario.
L’energumeno appena fuori dalla stanza a queste parole indietreggiò dal passo in avanti che già aveva compiuto per seguire Rufus.
Il biondo ammiccò ad entrambi, e sparì svoltando il corridoio.
 
***
 
L’arena era davvero enorme.
Spiai di soppiatto, da un angolo, vicino ai fonici, le persone accalcate nel parterre, cercando qualche bella ragazza.
Per ora ne avevo avvistate tre.
Tutte le conquiste di papà erano state nelle prime file, nei loro triliardi di concerti passati.
So di essere un bel ragazzo, so che il mio cognome ha il suo fascino, so che posso ottenere chiunque io voglia. Questa era la regola. La era sempre stata, e a me questo gioco piaceva.
 “Che cazzo hai detto che vuoi fare, tu?!”
Però sento ancora la mia stessa voce che mi rimbomba nella testa, quando lo avevo saputo, ovvero non più tardi del primo pomeriggio di quel giorno.
Jackson, il mio migliore amico, aveva deciso di sposarsi.
E so che non era da me, ma non avevo smesso di pensarci un attimo. Il pensiero attanagliava la mia mente, e non si scollava un secondo.
Mi passai una mano tra i capelli, frustrato, mentre avanzavo nell’arena.
Jack, l’unico che mi capisse, Jack e le notti brave, Jack e le ragazze, Jack e le serate, Jack e il matrimonio…Jack e il matrimonio?
Cosa porta una persona sana di mente a sposarsi?
Cosa accade nella mente di un uomo? Cosa?
Cioè, a ventitré anni si ha tutta la vita davanti. Non puoi davvero pensare di impegnarti così.
“Vedi, ho messo la testa a posto, Rufus.” aveva risposto con un’alzata di spalle, tutto gioviale.
Avrei voluto picchiarlo, lo avrei fatto, se his-lovely-bride-to-be Melody non lo avesse chiamato dall’altra stanza, e avesse dovuto chiudere la chiamata di Skype con un sorrisino ebete, e se soprattutto, ovvio, fossimo stati nella stessa stanza, e non in due Stati diversi.
Avevo fissato lo schermo nero per almeno dieci minuti, prima di ricordarmi che la voce che urlava dal corridoio era quella di Adam, e che i bus per raggiungere l’arena per il soundcheck erano pronti.
Il brusìo intorno a me si fece di colpo poi più forte, e tornai coi piedi per terra.
Fanculo, Jack. E fanculo al matrimonio!
Scrollai la testa, come per scacciare via qualsiasi pensiero.
Alzai brevemente lo sguardo, e rimasi assolutamente colpito. L’02 di Berlino era enorme!
Better than sex.
L’edificio era altissimo, contavo almeno tre anelli, e le persone sembravano così piccole lassù. Quanta gente, cazzo.
Mi affascinavano.
Tutti lì con storie diverse, ma tutti lì per i Queen. Tutti condividevano un pezzettino del loro destino.
Salutando George, un operatore, e ammiccando a qualche signora che nel prato mi aveva riconosciuto, presi una via laterale, senza pensarci, ed iniziai solo a salire.
Volevo arrivare in alto.
Perché io sono giovane, e libero! 
E mi godo la vita!
Le scale comunque erano davvero troppe, ed iniziai troppo presto ad avere il fiatone, arrancando sul cemento.
Goddamn! 
Quando vidi che non c’era un’ulteriore rampa a salire, soddisfatto, svoltai nel primo corridoio che trovai, e quasi sobbalzai per la quantità di persone.
Sorrisi inconsapevolmente, sarebbe stato un grande show.
Rufus si gode la vita!
Cercai di farmi spazio: volevo davvero uscire da quell’ambiente angusto, ma nessuno cedeva il proprio posto. Passare sarebbe stato impossibile, e non avevo tempo da perdere.
Mentre cercavo una soluzione, dato che ora non vedevo nemmeno più da dove ero arrivato, tante le persone, qualcosa, o meglio, qualcuno, mi piombò violentemente addosso.
Ressi bene il contraccolpo, e abbassai abbastanza infastidito lo sguardo.
Una massa di capelli rossi ondeggiava vicino al mio petto, due mani chiuse in deboli pugni riparatori vi si appoggiavano.
Una ragazza.
Iniziai a ridere, senza motivo in realtà, ed in quel momento lei alzò lo sguardo verso di me.
-You okay?
-Sure, thanks
-Parli inglese? – incalzai.
La rossa increspò le labbra. – Non staremmo avendo questa conversazione se non parlassi inglese, ti pare? –
Alzai un sopracciglio.
Davvero furba, la signorina. 
O davvero stupido io.
 - Comunque – mi chiese, rilassandosi e quasi accennando un sorriso – di dove sei?
Lessi anche una certa sorpresa nei suoi occhi scrutatori.
- Londra.
Sgranò i suoi occhioni azzurri, e la folla rumoreggiava ignara della piccola conversazione.
 - Fammi capire. – ragionò - tu sei venuto, fin qui, da Londra, per vedere i Queen? – pura ammirazione – devi essere uno di quei fan sfegatati, oh my goodness!
Sorrisi sotto i baffi per il suo accento, poi, una campanella assillante trillò nella mia testa.
Ed ora che cazzo le dico!
Non ero un fan.
Sì, ok, lo ero, date le circostanze, ma non avevo fatto file nè fuori dalle arene, né comprato biglietti.
Io ci lavoravo, in quel concerto.
E secondariamente, ero anche il figlio del batterista dei Queen.
Non potevo certo dirglielo, ovvio.
Mi serviva un escabotage, presto. E da quando conoscevo il francese?
Io ci lavoravo, in quel concerto
 - Io ci lavoro, per i Queen – buttai fuori, con nonchalance, rifugiando le mani nelle tasche.
Le labbra della rossa formarono una “o” dallo stupore, e si aprirono fulminee in un sorriso che definirei quasi, sadico.
- Lavori per Loro? – trillò, e sembrava si riferisse a qualche divinità – oddio, che cosa fai? Li conosci? Conosci, oddio, Brian? Roger? Come sono? Oddio!
Mi portai una mano tra i capelli, incerto. Gli Oddio mi avevano confuso.
Che cazzo potevo inventarmi, adesso?
 - Ecco, in realtà mio padre…lavora per loro. Fa il…fonico. Ed io, sì, voglio diventare un fonico. Ovvio! – improvvisai nervosamente, quando il pensiero di George incontrato poco prima mi balenò in testa.
Sembrava davvero convinta, i suoi occhi tradivano tutta la sua sorpresa mista ad ammirazione, e mi congratulai con me stesso. Non ero mai stato un genio nella recitazione. Good one, Rufus!
 - Brian May è una grande inspirazione per me. – asserì di punto in bianco sognante, spostando lo sguardo in qualche punto indefinito davanti a lei.
Brian May?
Parliamo della stessa persona che è innamorata pazza di un bastone per selfies?
- Lui è semplicemente stupendo. Vorrei essere così, alla sua età – ridacchiò – è più in forma di quanto lo sia io. E poi, il modo in cui suona la chitarra, Pazzesco, ogni volta mi emoziona. Suono anche io, sai? – concluse, riportando il suo sguardo su di me.
Alzai lievemente un sopracciglio. Una musicista, me likes it.
- Musicista? – chiesi, d’istinto.
Sorrise, dolcemente. – No, semplice studentessa universitaria di informatica.
Le sorrisi di rimando.
 - Non è così male, sai? Certo, non ho una vita interessante come la tua, che segui i Queen in giro per il mondo! – la parola Queen era sostanzialmente stata un urletto ad ultrasuoni.
Scrollai le spalle, sorridendole bonariamente. Mi mancava solo la fan ossessionata, poi le avevo tutte. Sforzandomi di darle corda, le chiesi: - Well, come credi che siano allora, questi Queen?
Nel frattempo, la folla si spostò leggermente in avanti, trascinandoci quindi per inerzia in avanti, e lei quasi mi ricadeva addosso. Non che ti sarebbe dispiaciuto, Rufus, sussurrò una vocina la mia testa.
Ma, con agilità, la rossa riuscì a restare in piedi.
- Beh, così come li vedo! Brian sembra la persona più dolce del mondo. E altruista! Ama gli animali, si prende cura di loro, si interessa alla situazione economica inglese, ed inoltre, è super tecnologico, e…-
Scossi leggermente la testa: - C’è qualcosa di Brian che non ti piaccia?
– Onestamente, no. E se avesse la mia età…- sospirò – beh, noi due…– si bloccò, e sorrise – vedi…no, non vuoi saperlo… – ammiccò audace nella mia direzione, e non potei fare a meno di sorridere, mentre lei alzava un sopracciglio eloquente, e ridacchiava soddisfatta.
Aveva appena confermato che una botta e via con Brian May non le sarebbe dispiaciuta affatto, ma forse avrei ignorato quel particolare (inquietante).
- E – tossicchiai, simulando indifferenza – di Roger, Taylor, che ne pensi?
Stava per rispondermi, ma poi - L’uscita, finalmente! – trillò nella direzione della porta che dava all’interno dell’arena, mentre la folla che andava disperdendosi. About time!
Non senza fare fatica riuscimmo a farci strada verso il suo posto, ed impiegammo almeno qualche minuto.
 - Dove sei seduta? – le urlai per sovrastare il boato della folla di diecimila persone riunita al quasi gran completo su spalti e prato.
- Fila 1, posto 9!- gridò di rimando.
In fila indiana, tra parapetto e persone che avanzavano in senso contrario, raggiungemmo quella che sembrava la sua sedia.
Lei si sedette, elettrizzata e sorridendo felice. – Non mi sembra vero!- unì le mani e si guardò intorno commossa. – Siediti, dai, non c’è ancora nessuno qui! – picchiò una mano sul seggiolino arancione in fianco a lei.
Il suo viso si era tremendamente addolcito. La droga concerto dei Queen stava dando il suo effetto, era proprio entrata in circolazione.
Non me lo feci ripetere due volte, e mi accomodai, sospirando di sollievo.
Con un colpo d’occhio scorgevo l’arena intera, ed era davvero magnifica. Era…bello, stare dall’altro lato. E decisi che era questo quello che avrei voluto fare, e per sempre. Nient’altro.
- Faccio una foto, che meraviglia. – la rossa tirò fuori da una tasca dello zaino poggiato a terra poco prima una macchina alquanto tecnologica, per non dire professionale.
Avvicinò l’obiettivo all’occhio destro e chiuse il sinistro, ed un ‘click’ mi comunicò che aveva fatto.
 - Bello, eh? – si improvvisamente girò verso di me che sobbalzai, dato che la stavo fissando come un idiota.
- Amazing! – cercai di riparare, rilassandomi quasi prontamente.
- Vuoi che ti scatti una foto?
Ci pensai su. Why not?
Annuì con la testa e mi alzai, aspettando passassero alcuni fan; una aveva la facciona di papà stampata sopra alla sua t-shirt. Rabbrividì.
Appoggiai il corpo ed i gomiti al parapetto in acciaio, e sorrisi leggermente.
Lei scattò e rimirò soddisfatta il suo lavoro.
 - Vieni qui – le ordinai, spalancando un braccio – ora una foto insieme, per ricordare questo momento!
Inclinò il viso sorpresa, e sembrò soppesare la situazione.
Con un sol passo mi fu in fianco, e le appoggiai il braccio sulla spalla.
 - Fa i selfies questa cosa? – chiesi. Brian mi stava contagiando.
 - Questa cosa – mi rimbeccò – è costata 300€! Ed ovvio, basta girare lo schermo verso di noi!
Le nostre facce apparvero sul piccolo display. – La tengo io – sussurrai afferrandole dalla mano la macchina, e spostandola poi più in alto, dato che ho un braccio più lungo.
 - Non fare il noioso solo perché sei più alto! – si imbronciò.
Ridacchiai: - Allora, è qui che devo schiacciare?
Lei annuì con vigore, e premetti il piccolo pulsante argentato, mentre sorridevamo entrambi.
 - Molto carina. – commentò mentre le restituivo la digitale.
Sorrisi a labbra unite, e tornammo a sederci.
Come prevedibile, ci fu qualche minuto di silenzio misto ad imbarazzo, in cui lei scattò ancora qualche foto all’arena, ed io guardavo per aria, agitando una gamba su e giù, come se tenessi il tempo.
Cosa ti aspettavi, Rufus? mi rimbeccò la voce. Ci conoscevamo da neanche, quanto, venti minuti! Due sconosciuti ad un concerto e l’imbarazzo logicamente normale tra loro, prossimamente nelle migliori sale!
La cosa strana, è che ero abituato a sentirmi sempre al centro dell’attenzione.
Ero abituato a essere riconosciuto e adulato, ma quel momento di anonimato non mi dispiaceva. Anzi, ero felice che non avesse collegato i miei tratti somatici a quelli del suo adorato Roger Taylor.
- Comunque, io sono Helena, per tutti Leni. Piacere. – mi porse una mano, cordiale.
Ringraziai il Dio Della Batteria che avesse spezzato il silenzio, e la strinsi con vigore.
La sua mano era affusolata, e fresca.
- Rufus. – aggiunsi.
- Bel nome! Originale. Senti, Rufus…- si sistemò meglio, guardando verso di me, e , beh, forse squadrandomi, più che altro. – So che sembra una classica frase da abbordaggio, ma ecco, giuro di averti già visto da qualche parte. Ma non so davvero dove…
Così dicendo prese a torturarsi le mani, ed io no potei che sorridere alla frase da abbordaggio.
Ma tornai subito serio. Non volevo mi riconoscesse.
E mi stava fissando troppo intensamente.
- Non saprei, sai….
No, non doveva riconoscermi.
Serviva una distrazione. E sapevo anche quale.
Incrociai le braccia e scivolando un po’ in giù col bacino mi distesi meglio sulla sedia in plastica. - Oh, by the way, non mi hai detto che ne pensi di pap…Roger, prima!
Salvo per un pelo.
I suoi occhi si illuminarono nuovamente di quella luce da fan esagitata, ed iniziò a parlare a raffica.
- Vorrei davvero avere il suo dono per la batteria, oddio. Anzi, vorrei avere lui! Sarà ricchissimo, non credi? Devo dire che era davvero un figo, da giovane. Anche ora si difende bene! Tra lui e Brian, non so davvero chi sceglierei. Gran bei pezzi di ragazzi all’epoca, e bei signori oggi. – sospirò, gli occhi azzurri spruzzati da un filo di malizia.
Quasi mi strozzai a quella confessione, ma sorrisi educatamente.
Papà, figo. Uh.
- Non vedo l’ora di sentirli suonare, comunque. Aspetto questo momento da una vita…
Il suo sguardo si intenerì nuovamente, e si morse un labbro quasi commossa.
Promisi a me stesso che avrei dato il massimo quella sera.
Non avrebbe mai dimenticato quel concerto, questo era certo!
- E tra poco dovrebbero iniziare! Holy shit, I ain’t ready...Freddie!
Risi, per il riferimento velato a Crazy Little Thing Called Love.
Ma, occazzo. 
Il concerto! Il pensiero arrivò come un fulmine a ciel sereno.
- Io, io devo andare – le annunciai ansioso alzandomi in piedi di scatto, avrà pensato avessi visto un fantasma. Ma ero in ritardo, come mio solito!
Fuckfuckfuckfuckfuck!
Le sue labbra si piegarono in una linea, quasi delusa, ma annuì, alzando un poco i bordi delle labbra.
Mi venne in mente che se me ne andavo, così, senza chiederle almeno il numero, non l’avrei mai più rivista. Dovevo fare qualcosa, e sbrigarmi, anche.
Di getto, le afferrai l’avanbraccio, leggermente, con la punta delle dita, e mi chinai un po’ verso di lei, per non farmi sentire dagli altri.
- Senti…vuoi venire nel backstage con me?
Fu davvero la prima frase di senso compiuto che formulai nella mia testa già piena delle urla di rabbia di almeno mezza crew, e lamentele dei fans per il ritardo.
Forse il tono che hai usato, non le è suonato così innocente…mi ricordò la vocina, pedante.
Eravamo davvero troppo vicini, e forse, dico forse, avevo usato quello che Jack aveva sempre definito deliziosamente, il tono da rimorchiaggio.
Non doveva uscirmi così!
Ed, infatti, non ottenni la risposta desiderata.
I suoi occhi diventarono sottili fessure.
- Per chi mi hai preso!? – si spostò energicamente, fuori dalla mia portata – NO. Oddio, ti conosco appena. Anzi, non ti conosco affatto! – era sconvolta. - Non sono una delle tue…groupies, o quello che è! – affermò, la voce che si riempiva ad ogni parola di indifferenza e disgusto.
Spalancai la bocca.
Come on, really? Era una perfetta sconosciuta, non le apparivo come nient’altro che un Don Giovanni?
Era davvero questo quello che trasmettevo?
- No, ascolta, non è come pensi – le risposi frustrato, cercando di risolvere il malinteso. - Look, non ho intenzione di…fare quello che pensi. – deglutì – è che da qui la visuale non è quel gran che. Volevo solo farti vedere da più vicino il concerto. Davvero. – terminai con un sorrisino, e fui brutalmente sincero, perché per quanto assurdo potesse essere, quella era la verità.
So che non stava in piedi.
Stupido me!
I suoi occhi si incastrarono con i miei.
- Perché dovrei crederti? – alzò un sopracciglio.
- Perché è la verità? – replicai col medesimo tono saccente, innervosendomi.
Mi squadrò ancora per qualche secondo.
No. – rispose poi, accavallando le gambe in modo femminile.
Pensai di aver capito male.
Mi stava dicendo davvero di no?
A me?
The fuck!?
Sospirai, infastidito.
Ed io che volevo anche essere carino! E lei, che mi sembrava pure simpatica. Strega.
Con le tedesche, mai più, appuntai nella mia memoria.
- Sai cosa? – persi la pazienza, dopo che lei si ostinò ad ignorarmi - Fai come vuoi, redhead! – sbottai, girandomi per andarmene. Antipatica.
Mi sorrise strafottente, salutandomi con un cenno della mano.
- Buon concerto! – le sibilai, da vero gentleman quale sono, allontanandomi, e poi sorridendole a mia volta, da stronzo.
Alzò un sopracciglio ramato,  e si riavviò i capelli, - Anche a te, du arschloch!– mi rispose per le rime, ma non colsi l’ultima parte in tedesco.
Mi stava facendo saltare i nervi!
Donne, borbottai mentre scendevo le scale più velocemente possibile, scuotendo la testa.
Mi scrocchiai le nocche, sogghignando, pensando alla mia adorata batteria. Avrei potuto sfogarmi come si deve.
Ed ora le faccio vedere io.

***
 
 
Buonpomeriggio, Queenies!
Prima di tutto, un grazie gigante a chi ha commentato lo scorso capitolo, o ha comunque dato un’occhiata, siete bellerrimi, y’all!
Come state, tutto bene? Mi auguro di si!
Ed io, well, eccomi qui, con il nuovo capitolo.
Ormai, di dubbi sul protagonista non ce sono più: Rufus Taiga Taylah è il nostro uomo.
Non mi pare di avere visto nessuna fan fiction in questa sezione sul bel biondino, quindi direi che la sufficienza in Originalità me la posso meritare! :D #nope
Si possono sollevare mille obiezioni su questa scelta, ma come una simpatica lettrice ha ricordato nella sua recensione, il bel Taylor fa praticamente parte dei Queen, in qualche modo!
Ed è un Dio della Batteria, non so se qualcuno di voi era al concerto *sclera*
Tornando al capitolo, ho voluto un Rufus abbastanza pieno di sé (se lo può permettere, comunque), che spesso adotta un linguaggio colorito, ed è discretamente pazzoide, in qualche momento, come si può evincere sia nella realtà dal suo profilo Instagram. (andate a stalkarlo, merita!)
Anche Leni non è un caratterino tutto zuccherino come possa sembrare, spero si sia un po’ colto! (colto cosa? Un frutto? Pesche?).
Una cosa, spero che l’inglese buttato qui e lì non infastidisca nessuno, però ho pensato occorresse, dato che lui e la bella si trovano in terra tedesca, e di certo non comunicano in lingua autoctona. Non penso Rufus parli il crucco…
Lasciando da parte l’inglese, comprendo che col piccolo momento tedesco abbiate tutti (#NONESSUNOINREALTA’) pensato “Ma ke kazz ezzere qvest?”, e vi informo che la frasina di Leni alla fine può essere tradotta con un “Stronzo!”.
Amabile!
COMUNQUE, non temete, perché in tutto questo Bri e Rog (di cui ho amato decantare i pregi, lo confesso fhdsjk, ma non ho voluto e potuto dilungarmi troppo, sigh) avranno dei ruoli importanti!
 
Bene, e direi che ho concluso!
Spero di conoscere qualche nuova adorabile lettrice, e che vogliate commentare, o anche scrivermi così per chiacchierare, se vi va!
 
Buon weekend a tutte, e grazie,
Himmie
 

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Capitolo 3
*** 3. I’m Going Slightly Mad. ***


THE BREAKTHRU.
 
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3. I’m Going Slightly Mad.
 
Leni fissava un punto indefinito di fronte a sè, un cipiglio corrucciato sul viso.
La sua espressione doveva essere così inquietante che un fan, mentre si dirigeva verso l’uscita, si era persino paternamente fermato di fronte alla sua sedia, e le aveva rivolto la parola in tono preoccupato, chiedendole se stesse bene.
E soprattutto, quasi divertito, si era premurato di ricordarle che il concerto era finito, e che era meglio iniziare ad avviarsi se non voleva incontrare troppo traffico.
Il tono gentile dell’uomo sulla quarantina la aveva fatta risvegliare dal suo trance, provocandole quasi un sobbalzo sulla sedia in plastica su cui era accasciata da qualche minuto.
Arricciò le labbra un poco, mormorando un “Si, certo. Grazie” non troppo convinto.
Alzò gli occhi sulla O2 arena che andava svuotandosi, e desiderò darsi un pizzicotto, per verificare che non fosse vittima di qualche surreale scherzo.
L’uomo si rimise pazientemente in fila per uscire, scuotendo la testa dopo aver constatato che la rossa non accennava a muoversi da lì.
Uh, giovani, commentò lui annoiato con quella che doveva essere sua moglie.
Leni però non ci fece realmente caso.
Quasi come un automa spostò lo sguardo verso il prato, ora mezzo vuoto.
E poi, lo sguardo planò verso il palco.
La gigante Q che conteneva il megaschermo, ora nero come la pece, e la parte di stage che avanzava protesa verso il parterre, e verso l’intera arena. Spettacolare, semplicemente.
E Leni sapeva solo due cose.
La prima, era che era stato il concerto più bello della sua intera vita. Ma, al diavolo, era stato il momento più bello della sua intera vita!
Di solito non si lasciava andare a sproloqui del genere, e a dichiarazioni così a cuor leggero.
La sua nazionalità poi era già un marchio: e l’essere razionali e lucidi non era solo un pregiudizio affibbiato per caso al popolo tedesco. Era una garanzia.
E lei, di certo, non era da meno.
Iper-razionale su ogni cosa, mirata nell’analisi, e nell’esprimere i propri sentimenti, o qualsiasi opinione. Calcolatrice, composta. Nulla si dice o fa per caso, nel mondo di Leni.
Ma avrebbe potuto metterci la firma: quella serata, era stata semplicemente epica, e meravigliosa, e l’unica breve descrizione che in realtà riteneva adatta a non sminuire l’accaduto, era il momento più bello della mia fottuta vita.
Non sarebbe riuscita a dimenticare mai l’atmosfera che regnava tra quelle quattro mura, e l’energia.
Adam Lambert, e la sua performance impeccabile su tutti i fronti. Non è Freddie,  si ricordò placida una parte di lei, ma ci sapeva fare, e non poteva e voleva muovere alcuna critica verso il cantante. Il suo lavoro e presenza sul palco erano stati eccellenti.
E poi, Roger Taylor. Roger Taylor, e la sua compostezza che mal nasconde il rocker che è in lui e che non svanirà mai, come se quella batteria fosse una parte del suo corpo, come se stare sul palco e cantare, fossero l’unico momento in cui si sentisse davvero a casa, e libero.
E gli applausi scroscianti alla sua prima timida apparizione sulla passerella, in cui tutti volevano mostrare il loro amore, e lui aveva capito, e ringraziato composto e grato.
E poi Brian. Brian, la persona che Leni ammirava più di tutti su questo insulso pianeta.
Brian, e le sue mille qualità positive.
Brian, che la aveva fatta emozionare durante Love Of My Life, Brian e la sua Red Special.
Freddie nel megaschermo, gli applausi più sinceri del pubblico.
Le luci, intricate e affascinanti.
Il suo vicino di sedia, che ad un certo punto aveva iniziato a piangere dalla felicità.
Mai vista una cosa del genere, in tutta la Germania.
Allora non era una leggenda che i tedeschi provassero emozioni!
Aveva ballato, e cantato, e saltato, e urlato fino a rimanere senza fiato, e battuto le mani a ritmo durante Radio GaGa.
L’adrenalina che aveva avuto in corpo per due ore e mezza era ancora in circolo, e sapeva che non si sarebbe affievolita facilmente, né al ritorno a casa, né mai. Lo sapeva.
Però, in quel momento, era come su una dimensione parallela.
Il concerto se l’era goduto fino all’ultimo secondo, fino a che l’ultima luce del palco era andata spegnendosi a favore di quelle artificiali e statiche dell’arena.
Non avrebbe cambiato nulla di quella serata, non avrebbe rimpianto nulla.
Eppure…
Eppure, la seconda cosa che ben sapeva, era che le era successo qualcosa di decisamente strano, assolutamente inusuale.
Non poteva essere vero.
Sfiorò con le dita la digitale che aveva ancora al collo.
Le foto sarebbero state magnifiche, non vedeva l’ora di stamparle. Sacra macchina!
E proprio quell’oggetto, era stato l’unico testimone di ciò che di assurdo era accaduto.
Lo strinse a sé inconsciamente possessiva.
Risoluta poi, la accese, e abilmente fece materializzare sul piccolo display una foto ben precisa, scorrendo nella galleria.
La stessa foto che aveva fissato incredula nell’unico momento di pausa (o meglio, riflessione incredula per lei) offerto dallo show, ovvero prima del bis finale di We Will Rock You e We Are The Champions.
Due occhi azzurri così simili a suoi la fissavano, sorridenti.
Non aveva voluto crederci.
Aveva scosso la testa scettica quando, in One Vision, la prima canzone, nell’enorme schermo, tra un Adam con un espressione alquanto sexy e Brian che suonava soddisfatto la sua Lady, aveva visto far capolino una chioma bionda impegnata con le pelli della batteria, che concentrata batteva le bacchette a tempo di qui e di là. E, no, non era di certo Roger, per ovvi motivi.
Aveva persino lanciato uno sguardo preoccupato ai suoi vicini di posto, pregando che anche loro lo riconoscessero e si stupissero un po’ per ciò che avevano appena visto, che almeno fossero sconvolti quanto era lei. Le serviva qualcuno che la capisse, le serviva qualcuno.
 Possibile che tutti andassero avanti a divertirsi e fare filmini, imperterriti?
Niente.
Nessuno aveva notato che le era venuto improvvisamente caldo, e che avrebbe volentieri urlato in stile quadro di Munch. Cercò di celare le sue emozioni al meglio, e di rimanere concentrata sul concerto.
E ciò implicava che cantasse a squarciagola, facesse altre mille foto, girasse qualche video. E così fece, esattamente.
Le canzoni scorrevano fluide, scaletta impeccabile.
E sì, in tutto questo marasma, il suo cervello ignorò deliberatamente la figura che accompagnava Roger in una seconda batteria di supporto, al suo fianco. Il suo cervello aveva fermamente deciso che quel ragazzo, molto attraente, fosse semplicemente come un pezzo del palco, dotato comunque di braccia muscolose e un ghigno decisamente sexy. E talento.
Decise insomma, che avrebbe di certo applaudito al giovane durante il suo assolo – da lasciare senza parole – nella drum battle con Roger, e lo stesso cervello, decretò poi che avrebbe esultato come tutti gli altri fans entusiasti, nel momento in cui il padre, fiero, avrebbe presentato con un “Rufus Tyger…Taylor!” il suo figlioccio, nascosto dietro ai mille tamburi e piatti. E avrebbe ignorato la sua dolcezza nel salutare il pubblico con un cenno riconoscente, proiettato sul megaschermo.
Ebbene, Leni eseguì alla lettera quegli ordini, fedele a sé stessa, fino alla fine.
Ma era innegabile, che il cuore perdesse almeno due battiti ogni volta che il giovane appariva o veniva nominato.
Sobbalzò quasi spaventata quando una ragazza, non più giovane di lei, urlò sonoramente il suo nome, adorante, sbracciandosi per farsi notare.
La rossa si limitò a fissare con attenzione esagerata e minuziosa Adam, che saltellava ovunque sul palco, ignorando magistralmente la ragazzina urlante e, soprattutto, ciò che urlava.
Grazie a Dio, siamo talmente lontani dal palco che non può minimamente notarci.
Fu per questo che negò a sé stessa che il giovane batterista stesse effettivamente e furtivamente guardando proprio verso il suo lato, verso la sua tribuna, e pure ripetutamente.
Probabilmente guarda qualcuno in basso, o nel prato, si convinse.
Magari  ha il torcicollo! Dannato maltempo Berlinese!
Era davvero impossibile volesse ammirare proprio e precisamente quel settore così scomodamente in alto, nel buio per giunta, buttato poi quasi casualmente così alla sinistra del palco: non aveva alcun senso.
Non guardava lì, non guardava lei. E non avrebbe neanche potuto trovarla, volendo, dato che era solo un puntino nero nell’oscurità, o un flash di macchina fotografica, al limite.
La razionalità di Leni subì un brutale contraccolpo quando, alla fine di ’39, tutti i musicisti riuniti sul palco salutavano pronti a tornare alle loro postazioni dopo l’allegro motivetto appena suonato.
Roger, trattenendosi per qualche secondo sospetto, ascoltò divertito qualcosa che il suo figliolo gli sussurrò nell’orecchio, purtroppo troppo lontano dal microfono per essere udito. Brian, sullo sgabello, sorridente alla folla, si girò verso i due dopo qualche momento, ed essi lo misero al corrente del qualcosa, ridendo tutti complici.
Brian riportò la sua attenzione sul pubblico acclamante, e si portò una mano sulla fronte, come per ripararsi dalla luce e vedere meglio in lontananza.
Poi, spostò il suo sguardo lungo tutta l’arena, lentamente, e…
Leni avrebbe potuto giurarlo. Leni era pronto a firmare una dichiarazione.
Mr. Brian May stava guardando proprio il suo settore.
Brian May si era fermato nella sua osservazione panoramica, e, occorreva una rettifica, ora stava fissando il suo settore.
Certo, inizialmente aveva pensato fosse impossibile, magari guardava quello in fianco, a destra o sinistra, o quello sotto, ovvio, ma no, quei pensieri erano assurdamente errati, perché tutti coloro seduti intorno a lei iniziarono ad urlare entusiasti e a salutare ed ad alzarsi in piedi. Lo avevano notato pure loro!
Non era una illusione di Leni, chiunque si era accorto che il chitarrista dei Queen studiava insistentemente, gli occhi leggermente socchiusi per i riflettori, proprio quell’angolo di arena.
Il vociare si fece altissimo, e Brian distolse lo sguardo, salutando poi tutti quanti alzando un braccio.
These Are The Days Of Our Lives risuonava nell’edificio, e Leni ancora fissava a bocca spalancata, incurante, ciò che accadeva sul palco.
Roger cantava, e ora le inquadrature di Rufus erano più ripetute e regolari, dato che si trovava alla batteria principale.
Leni colse l’occasione per fargli una buona foto, la mano che le tremava leggermente, cosa alquanto insolita per lei. Era sempre stata una fotografa eccellente!
Il concerto proseguì, e come detto, il cervello di Leni permise alla ragazza di godersi lo show, in modo sorprendentemente normale.
E poi, eccola, la pausa prima delle due canzoni finali.
Quei cinque minuti in cui Leni confrontò febbrilmente la foto scattata con Rufus prima dell’inizio del concerto, lì, vicino alla sbarra in acciaio, e gli scatti abili del suo visto proiettato sullo schermo di poco prima.
E’ lui, oh, cazzo.
 
Leni mise piede fuori dall’edificio, e fu investita dall’aria gelida del febbraio berlinese, e si strinse al meglio nel suo cappotto, rabbrividendo.
Grazie ai suoi mille pensieri, era stata una delle ultime ad uscire dall’arena, al pari dei nostalgici che rimangono fino all’ultimo secondo per le foto di rito.
Con la coda dell’occhio, notò un discreto gruppetto di persone accalcate alla sua sinistra, vicino ad un cancello, che all’entrata non aveva sinceramente notato, che recava la scritta Verboten, e che chiaramente vietava l’accesso a fans.
Inoltre, almeno due omoni grossi il triplo di lei bloccavano e contenevano il gruppetto rumoroso, non senza sforzo evidente.
Leni capì subito cosa c’era in quell’angolo seminascosto, oltre quel cancello.
Molto probabilmente, da lì si scorgeva il retro dell’arena. Fece alcuni passi avanti, meccanicamente.
E ovviamente, potevano esserci anche alcuni soggetti che non staremo qui a ricordare….
Tentazione troppo forte. Troppo.
Sarebbe stata un’occasione d’oro. Un altro passo in avanti.
Avrebbe potuto ottenere una foto con loro, proprio come quelle che aveva visto ed ammirato su ogni social network in passato, sospirando e sognando che un giorno sarebbe toccato anche lei.
Così pochi passi…
Ma, la  rossa si bloccò di colpo.
Scosse la testa, rassegnata, tornando in sé.
Cosa sperava? Di incontrarli, fare davvero una foto insieme e gioire per il resto dell’esistenza? E magari di vincere alla lotteria, e passare il suo esame di programmazione elettronica della settimana successiva indenne?
E magari vuoi anche incontrare lui, hm? Questa è bella! gracchiò una vocina nella sua mente, che ignorò prontamente. No!
 Ora avrebbe girato i tacchi, avrebbe presto la sua efficiente e puntuale U-Bahn notturna (l’ultima corsa!) per tornare al suo caldo e confortevole appartamento, e magari rallegrarsi per lo splendido e epico concerto a cui aveva avuto la fortuna di partecipare, facendosi una cioccolata calda.
Ebbene, diede le spalle alla folla verso il quale era diretta, non senza qualche rimpianto che celò al meglio a sé stessa, per attuare quello che era la prima parte del suo piano ben congegnato, ovvero, girare i tacchi.
Ciò che successe dopo la convinse completamente che il destino si stava divertendo a giocare con lei.
Ormai ne era certa.
Dal momento in cui aveva acquistato i biglietti, ad esempio.
Oltre ad avere speso un patrimonio, aveva davvero temuto fino all’ultimo secondo che le avessero rifilato dei falsi. Paura cieca di essere stata truffata, dato che teneva troppo a quell’evento per permettersi di vederlo andare in fumo nelle sue mani se non l’avessero lasciata entrare una volta presentatasi lì all’arena.
Inoltre, si ricordava perfettamente quando aveva chiesto ad alcuni dei suoi amici se avessero potuto accompagnarla, e nessuno era disponibile per questo o quel motivo. Tutti impegnati.
E, per una delle poche volte nella sua vita, Leni, infastidita, si era impuntata, e aveva deciso cocciutamente che non avrebbe rinunciato a quel concerto, anche a costo di andarci in solitaria ed di acquistare i ticket di un show soldout da mesi da siti internet poco leciti.
Inutile dire, che ce l’aveva fatta. Non senza soddisfazione.
Si rammentò poi che avrebbe dovuto presentarsi al lavoro presto il giorno dopo, per giunta.
Infatti il suo turno era stato cambiato con quello di un collega proprio il giorno in cui aveva comprato i biglietti, trasformando il suo entusiasmo in infastidita noia. Il suo caro collega otteneva il turno del pomeriggio, e lei doveva presentarsi incredibilmente presto al negozio di mattina, invece. Pensava di poter festeggiare fino a notte tarda, ma il piano era stato bruscamente cambiato. Quindi, doveva anche riuscire nell’impresa di lavorare, dopo una serata del genere.
Ne aveva già avuto abbastanza di tutto, per farla breve.
Ma quel tutto non era nulla, perché, seriamente, il destino ora metteva a dura prova la sua sanità mentale.
Per ben la seconda volta in quella giornata, l’educata Helena Vorsteiner andò letteralmente addosso ad uno sconosciuto.
O meglio, osservò con soddisfazione, stavolta era lo sconosciuto che era andato addosso a lei.
Esso era un ragazzo. Ed aveva un profumo anche familiare…
Leni si ritrasse in fretta di qualche passo, spaventata da quel contatto così improvviso, osservando timorosa la figura più alta di lei illuminata dal lampione poco lontano.
Lui era coperto da in cappotto vaporoso, e indossava il cappuccio di una felpa scura che gli copriva il viso. O almeno, quello che rimaneva scoperto del viso, dato che la metà superiore era coperta da un paio di occhiali da sole.
Chi indossa gli occhiali da sole, di notte, e per giunta a Berlino!?
Socchiuse incuriosita gli occhi, studiandolo meglio.
E poi li spalancò di colpo, sotto shock, quando lui parlò.
- Come è piccolo il mondo… - ridacchiò strafottente il ragazzo poco distante da lei, rilassandosi.
 
No, mi rifiuto di crederci.
 
***
 
Salve a tutti! E rieccoci qui.
Capitolo 3, che ho amato molto scrivere se devo essere sincera. Un bel viaggio nei sentimenti  e nella pazzoide mente di Leni, e I’m Going Slightly Mad calzava a pennello!
Non so se si è notato, ma niente più POV come nei primi due capitoli, ora si passa ad una narrazione onnisciente, e olè. Confesso che ho sempre odiato i POV, #lol, ma amo sperimentare, volevo tentarli, ed erano molto adatti per i primissimi capitoli, in my opinion. c:
La domanda che ovviamente voglio farvi dopo questo casino, è se siete stati al concerto di Febbraio! Raccontatemi tutto, su su! Sono curiosa, anche perché io sono andata, e potremmo confrontarci, sdjkhfdks! (?)
 
Ed ora, beh, voglio ringraziare tutti per le recensioni e visite, mi rendete davvero felicissima! <3
 
Colgo l’occasione per augurare una buona Festa Della Donna a tutte voi Queenies (anche se andremmo festeggiate ogni singolo giorno!)
 
Un abbraccio,
vostra Himmie xx

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Capitolo 4
*** 4. And you're rushing headlong... ***


THE BREAKTHRU.
 
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4. And you're rushing headlong...
 
Un solo nome, e tanta sorpresa mal celata.
 
Rufus.
 
Il biondino sorrideva soddisfatto, ignaro del caos provocato nella mente della ragazza.
Era riuscito nel suo intendo, l’aveva trovata.
E per un provvidenziale colpo del destino! Adam gli doveva dieci sterline.
Take that, Lambert!
Doveva ammettere che quella era stata una serata più movimentata del solito.
Una volta lasciata quella spocchiosa di Leni (in quanto era stata catalogata così dalla mente che il giovane Taylor si ritrovava), tornare nel backstage era stata un’impresa senza pari.
Rufus si era infatti letteralmente perso all’interno dell’arena, e si era, in qualche modo, ritrovato nel parterre, ma dalla parte opposta da cui era arrivato.
Al Wembley non sarebbe successo!, si rabbuiò, ricordandosi dell’arena di casa, di Londra, che conosceva come le sue tasche.
Inoltre la sconsolatezza provata dal ragazzo vedendo tutti quanti accalcati gli uni agli altri (chissà da quante ore) per stare il più vicini possibili al palco, era davvero tanta, per il semplice motivo che non aveva idea di come passare tra loro e raggiungere il backstage: sarebbe stato impossibile. Non che non ci avesse provato, sia chiaro.
Ma gli sguardi rabbiosi di un fan mentre Rufus cercava furtivamente di intrufolarsi per avvicinarsi alla sua meta lo avevano fatto desistere.
Ma il momento di salvezza sarebbe arrivato dopo non molto.
Eccolo, trillò la sua mente. Saki, il suo bodyguard, si aggirava sconsolato almeno quanto lui per il prato, cercando di ritrovarlo, molto probabilmente.
Individuare l’uomo e raggiungerlo non fu difficile: era un armadio con le gambe, in sintesi. E per camuffarsi indossava una ridicola felpa rossa, sgargiante. Che travestimento efficace!
Rufus si avviò a grandi passi verso di lui, inspirando profondamente.
Non era né pronto e né dell’umore adatto per una predica.
Saki si illuminò appena lo vide, e ringraziò che qualcuno lassù lo stesse assistendo, o almeno, così parve a Rufus.
- Saki, non incazzarti, ti prego – mise le mani avanti il biondo, esausto – vedi, ti posso spiegare. Io…
- Non c’è tempo! – lo liquidò l’uomo, afferrandolo e muovendosi verso una direzione a Rufus ignota – ci penserà comunque tuo padre. – sogghignò divertito.
Rufus si passò una mano tra i capelli, roteando gli occhi e sospirando rumorosamente.
Perché a me?
Giunti nel backstage, Rufus si trovò di fronte una scena che normalmente avrebbe trovato decisamente esilarante, se solo non si fosse sentito terribilmente colpevole, e se non la stesse facendo sotto per l’aria di sfuriata-magistrale-alla-Roger-Taylor che aleggiava nella stanza.
La stessa di quando da bambino aveva quasi rotto un importante premio sistemato nel salotto.
Per l’enfasi di essere riuscito a suonare per due minuti buoni senza confondere i movimenti, aveva infatti per sbaglio tirato una bacchetta della batteria per aria, dalla felicità. Il suono di vetro che si incrinava non era incluso nei festeggiamenti…
Ecco, sì, gli era solo scappata dalle mani, per sbaglio, e quel Disco D’Oro era così tremendamente vicino alla batteria che era davvero inevitabile.
Questa fu la spiegazione data al padre. Roger gli aveva proibito di suonare la batteria per una settimana, e Rufus aveva quasi iniziato a piangere per la rabbia.
Ecco, ora si sentiva ancora come se avesse otto anni. Colpevole. E senza attenuanti, neanche quelle generiche, tipo la non premeditazione del ritardo, o una ragazza tanto fastidiosa quanto carina che lo aveva trattenuto. Purtroppo per lui, il giudice Taylor sapeva essere molto intransigente.
Adam sghignazzava sotto i baffi, appollaiato su una poltrona alla destra della stanza.
Già sapeva che si preannunciava una scenetta famigliare niente male, e voleva gustarsela al meglio.
Brian, dal canto suo, si era placidamente alzato dalla sua sedia, e si avviava con un sorrisetto divertito fuori dalla stanza, scuotendo la testa.
Aveva già visto troppi momenti del genere.
Roger incrociò le braccia, decisamente infastidito.
- Lo sai che ci siamo tutti preoccupati un sacco, per te? – sentenziò, serissimo, e trattenendo la propria rabbia.
Rufus, assottigliò gli occhi. – Non iniziare, papà. – rispose -  Non è stata colpa mia, e…
- Oh, certo, non è mai colpa tua, Rufus! – si stava alterando – lo sai che poteva succederti qualsiasi cosa? Lo sai, questo? Potevi essere in difficoltà, e nessuno era con te, e…
Rufus tentò di annuire accondiscendente, e dunque convincerlo far cessare quella predica, ma il padre continuò imperterrito.
- Dobbiamo ancora parlare di responsabilità, Rufus, dobbiamo ancora fare quel discorso?
 Il ragazzo si passò una mano sul viso, infastidito. – No, papà, ti prego, non ricominciare con quest...
- Direi che invece ti devo rinfrescare la memoria! – tuonò il batterista più anziano – hai delle responsabilità verso il pubblico, e verso di noi tutti. E soprattutto, verso il pubblico! – prese fiato, ripetendosi con un tono più acuto – ho già sentito troppe persone lamentarsi del fatto che tu sia qui, con noi. Lo sai che tutti pensano che vieni in tour con noi solo perché sei mio figlio , ed…
Rufus storse il viso in una smorfia, mentre il padre andava avanti a parlare.
E’ in tour con i Queen solo per il padre. Non ha un vero talento. Non sa suonare la batteria. Raccomandato.
Sì, la sapeva fin troppo bene quella storia.
- Lo so. – mormorò roco.
Erano gli altri che non sapevano l’impegno e dedizione verso la sua batteria, erano gli altri che non sapevano nulla. Gli altri pensavano fosse lì per il suo cognome, ma non capivano nulla.
Aveva dovuto provare minuto dopo minuto di essere all’altezza di quella che è la più grande rock band del mondo.
Forse era per questo che andava così d’accordo con Adam.
Anche lui doveva perennemente dimostrare il suo talento, e che in nessun modo voleva assolutamente oscurare Freddie. Era spesso accolto da freddezza e sospetto, e doveva smentire i pregiudizi e convincere gli scettici sera dopo sera.
In fondo, anche Rufus si sentiva così.
Ma suonare la batteria era la sua passione, ed era quello che voleva fare, da sempre e per sempre. Degli altri non importava gran che, si convinceva.
-…quindi, devi cercare di essere puntuale, anche su queste cose. Okay? – il padre ora aveva uno sguardo più dolce negli occhi, e concluse una frase di cui Rufus aveva perso il filo.
Il ragazzo annuì, sinceramente demoralizzato per la strigliata, e per i pensieri che gli affollavano la mentre, mentre Adam, con gli occhi forse lucidi, si era silenziosamente alzato e avviato fuori dalla stanza.
Si era sentito colpito dal discorso di Roger, molto probabilmente.
Per Adam era sempre così facile mostrarsi sicuro di sé, e sorridere, e fare il provocatore sul palco, ma non erano sempre rose e fiori, Rufus lo sapeva bene, era l’unico della crew a saperlo.
Però, Adam, nonostante tutto, era tremendamente felice.
Aveva realizzato il suo sogno.
Dall’audizione per un talent in cui aveva cantato Bohemian Rhapsdosy, a fare un tour con i Queen stessi. Non avrebbe potuto desiderare di meglio, ormai erano come una seconda famiglia.
Però, la sua, di famiglia, gli mancava immensamente.
Avrebbe pagato oro per avere qualcuno che come Roger gli facesse la ramanzina per un ritardo poi neanche così grave. Un momento così apparentemente stupido e famigliare, tra padre e figlio, era quello che gli mancava.
Stai perdendo colpi, Adam, si disse il giovane, sistemandosi l’appariscente giacca di pelle con le frange della prima performance, davanti ad uno specchio, e controllando il make-up.
Nella stanza in fianco, intanto, padre e figlio si erano scambiati un paio di pacche sulla spalla, e tutto sembrava tornato normale.
Roger si affacciò nel corridoio, e richiamò a gran voce Brian e Adam e tutti gli altri membri dello staff, per il consueto in bocca al lupo iniziale.
Quando tutti si furono riuniti, Brian tossicchiò, ed alzò un eloquente sopracciglio, malizioso.
- Come mai il nostro Rufus ha fatto tardi, stasera?
Si diffuse una contenuta risata generale, mentre il ragazzo arrossiva imbarazzato.
- Una ragazza. – ammise dopo pochi secondi, scatenando dei versi di assenso e risate.
- Non l’avremmo mai detto! – esclamò Adam, spalancando teatralmente gli occhi azzurri, scatenando nuove risate.
- E’ qui al concerto? – chiese poi il padre curioso, sistemandosi una manica della camicia scura.
Rufus si limitò ad annuire.
- Devi farcela conoscere! – asserì Brian giulivo, e Rufus non capì se fosse serio, oppure no.
Quella pazzoide non farebbe altro che sbavarti dietro, May, ed al solo pensiero a Rufus venne da ridere, ricordando i logorroici discorsi di approvazione per i due membri dei Queen, e la sua iper-agitazione.
Rufus stava poi per rispondere alla domanda di Brian, quando qualcuno dal corridoio annunciò che mancavano solo cinque minuti, e tutti si avvicinarono gli uni agli altri, e portarono le braccia verso il centro del cerchio appena formato.
Brian pronunciò la frase di rito. -  Al mio tre, The Show Must Go On! Uno, due…tre! –
Il piccolo gruppetto urlò in coro un felice The Show Must Go On!, ci fu qualche applauso, ed ognuno si sparpagliò verso il corridoio, e nel backstage. Si va in scena!
Rufus fece qualche passo più veloce del normale, scansando le persone sul suo cammino, per raggiungere Adam, che sui suoi trampoli neri camminava spedito nel corridoio verso la scaletta che conduceva al palco.
- Tutto ok, amico? – chiese incerto, abbassando un po’ la voce, affiancandolo - Ti ho visto un po’ giù, prima.
Adam, sobbalzando un poco per lo spavento e perché sovrappensiero, sorprendentemente, rise cristallino: - In realtà, Rufus, ero depresso per te e il tuo nuovo amore impossibile. – si portò una mano al petto, fingendo disperazione – Romeo e Giulietta!
Rufus rise divertito, ma intuì che qualcosa non andava. Decise di rispettare la riservatezza di Adam, e non indagò oltre, temporaneamente.
- Già – sospirò il biondo, stando al gioco. – Che tragedie!
- Avete intenzione di rivedervi?
Rufus normalmente avrebbe annuito malizioso e si sarebbero scambiati uno sguardo di intesa. Stavolta però, dovette pensarci su.
La risposta che stava per dare era insolita per lui.
Ogni ragazza incontrata in passato, a meno che non fosse stata davvero brutta, aveva sempre avuto un secondo incontro con lui, e poi si era sempre finiti in un certo modo, al termine della serata.
Con quella Leni, invece, era stato tutto diverso sin dall’inizio.
Un incontro assurdamente casuale, davvero imprevedibile per entrambi, e poi, ancora più sconcertante, lei non aveva acconsentito a seguirlo nel backstage.
Insomma, non importava la situazione in realtà, il punto è che lei lo aveva rifiutato. Lei gli aveva detto no.
E su questo, era rimasto davvero sconvolto. Era una strana e forse sgradita novità per Rufus Tiger Taylor. Non era abituato a sentirsi dire di no.
- Non lo so. – ammise sincero, e anche Adam si stupì della risposta inconsueta.
- Sarebbe comunque difficile ritrovarla, in mezzo a tutta la folla…. –parlò Adam, stranamente lascivo ma terribilmente allusivo, sistemandosi gli auricolari con indifferenza.
Rufus corrugò la fronte.
- Anzi, sarebbe praticamente impossibile ritrovarla.
Il biondo si sentì punto nel vivo.
Adam sentì che aveva fatto la mossa giusta.
- E se invece ti dicessi che riuscirò a ritrovarla?
Il moro scoppiò a ridere, gli occhi brillavano di un luccichio strano.
Aveva avuto conferma che forse, a Rufus, quella ragazza…
- Scommettiamo? - le labbra di Rufus si curvarono in un sorrisino di sfida. – Scommettiamo 10 sterline che la ritrovo.
Adam annuì divertito, e si strinsero vigorosamente la mano.
La situazione era alquanto assurda, se osservata dall’esterno.
Un talentuoso cantante americano e il suo amico batterista dei Queen, i cui conti in banca presentavano svariati zeri, scommettono l’esosa cifra di ben dieci sterline, tutti attenti e parsimoniosi, come se per loro fosse una cifra importante e fondamentale.
- Tanto vinco io. – sogghignò il cantante.
- Vedremo! – esclamò Rufus, congendandosi ed avviandosi verso il corridoio alle sue spalle che lo avrebbe portato alla sua batteria.
Adam scosse la testa, e i due si salutarono con un cenno, divertiti.
 
Dopo un concerto pressoché impeccabile, Rufus aveva quindi pensato accuratamente a come ritrovare la ragazza, e vincere la scommessa.
Ora si ritrovava sulla poltroncina in pelle del suo camerino condiviso col padre, e rifletteva.
Roger e Saki lo fissavano sconsolati, aspettando parlasse.
Il biondo aveva annunciato ad almeno mezza crew poco prima che doveva ritrovare una certa persona, con urgenza, ed ovviamente, aveva subito rapito il padre e il bodyguard, per avvisarli del loro piano, prima di subire altri rimproveri.
Libertà un cazzo!, pensò.
- Dunque – annunciò il ragazzo, sfregandosi le mani – ecco cosa faremo!
Il plurale spaventò Roger, che sentì un inconfondibile brivido che scendeva nella schiena.
Portò le mani avanti: - Rufus, sono felice ora tu ci metta al corrente dei tuoi movimenti, ma io non ne voglio sapere nulla di questa storia del cavolo da adolescenti!
Rufus sbuffò sonoramente, infastidito.
- Organizzati con Saki!
L’uomo sbiancò, e rimpianse il momento in cui era stato assunto da quei pazzi dei Taylor. Li amava, ma a volte erano davvero deliranti. Come ora, ad esempio.
Biascicò un – Cosa faremo, dunque? – di circostanza, mentre Roger, ridacchiando sommessamente, si apriva una birra rilassatissimo.
- Il piano è questo. Avvisiamo tutti quelli alle porte dell’arena e forniamo loro una descrizione di Leni per fermarla, e…-
- Impossibile – affermò l’omone convinto – non ci sarebbe tempo di avvisare tutti. E comunque in molti sono già usciti, o lo stanno facendo in questo momento.
Rufus grugnì frustrato. - Damn!
- Ma, insomma, perché ti interessa tanto ritrovarla, Rufus? – chiese interdetto il padre, sorseggiando ancora la sua birra, e pulendosi finalmente la bocca con un polso. – Cosa te ne frega? Era così bella?
Rufus quasi si strozzò con la sua stessa saliva.
Non era bellissima. Questo era certo. Era carina, sì.
Gli occhi erano molto affascinanti, così come il viso. Era sottile e riservato, ma esprimeva simpatia.
La personalità però, era sicuramente un difetto enorme, agli occhi del biondo.
Lo aveva rifiutato! A pensarci ancora si sentiva sorpreso.
Fisicamente, non era magrissima. Aveva qualche normale rotondità, senza essere sovrappeso. Di certo, lo standard da modelle anoressiche a cui Rufus era di solito abituato, era disatteso. Era una ragazza normale.
Perché ti interessa tanto ritrovarla?
Non lo sapeva. Non lo sapeva e basta, voleva solo ritrovarsi faccia a faccia con lei, e la sua antipatia, e le sue lentiggini sul naso sottile!
- Per vincere la scommessa con Adam! – sentenziò ovvio dopo qualche secondo, aprendosi una birra a sua volta, incurante.
Rufus rinunciò ad avere un secondo momento di serietà col figlio, ed un’ammissione di ciò che sospettava sin da quando lo aveva visto tornare nel camerino dopo la sua bravata qualche ora prima.
E se, il nostro playboy Rufus…      
Il ragazzo non  fece in tempo a bere un sorso di liquido amarognolo e il padre a finire la riflessione, che qualcuno bussò timidamente alla porta, e la testa di July, una collaboratrice, fece capolino.
- Mister Taylor? – salutò con un sorriso, abbassando il capo – lei e suo figlio siete attesi fuori. Dovreste incontrare la famiglia Scheiner!
Rufus assunse un’espressione basita, seguita da una smorfia annoiata.
Non ci voleva.
- Un Meet and Greet? Adesso? – chiese infastidito Roger, cercando di non darlo a vedere.
July scrollò le spalle, impotente. – Il signor Harmand Scheiner ha chiesto di vederla, e così…
Il biondino roteò gli occhi. Quel nome non gli era nuovo, forse era qualche imprenditore tedesco.
Troppo spesso, ultimamente, una qualche famiglia ricca sfacciata pretendeva anche di incontrare i Queen stessi dopo il concerto, e di fare foto, e parlare, e parlare e parlare. Soprattutto quello.
Come se fossero degli animaletti da circo.
E purtroppo, anche Rufus era coinvolto in questo, suo malgrado.
- I pacchetti VIP non prevedono alcun Meet&Greet con noi, quand’è che la gente lo capirà? – si lamentò il biondo, alzandosi con evidente sforzo. Tutta la sua inventiva per il piano, tutta la sua adrenalina, volatilizzate.
Persino Saki appariva a sua volta decisamente annoiato, e si scostò per far passare i due Taylor.
E Rufus ebbe la folgorazione: se andava ad incontrare quei tizi col nome impronunciabile, formato da tutte quelle consonanti, non avrebbe mai più ritrovato Leni.
Mai più.
Grugnì infastidito, e incrociò le braccia mentre seguiva July nel corridoio, strascicando i piedi.
Ecco, non era destino.
Doveva rassegnarsi.
Fosse stato facile.
Avrebbe volentieri iniziato a pestare i piedi per terra, come un bambino. Forse lo era, ma non gli interessava.
Persino Roger si accorse dell’improvviso malumore del figlio.
E non era dovuto alla solita famigliola viziata che pretendeva di incontrarli di punto in bianco...
C’era di mezzo un tornado di nome Leni che aveva sconvolte le vite ignare di tutta la crew.
Dopo almeno mezz’ora di supplizio, l’incontro finì, con somma soddisfazione e sollievo di tutti.
Non erano stati nemmeno così lunghi, quei tedeschi, osservò Rufus: di solito alcuni amichevoli incontri si protraevano anche per un’oretta.
Fu allora che Rufus decise solo di iniziare a correre. Doveva solo sbrigarsi, magari era ancora in tempo.
Aveva una possibilità su mille di incontrare ancora Leni, e ci avrebbe tentato.
- Ma dove diavolo vuoi andare?! – lo richiamò la voce di Roger mentre recuperava dall’attaccapanni del camerino il suo cappotto. – I tourbus sono pronti per portarci all’hotel!
Rufus si passò una mano tra i capelli, provato.
Perché stava facendo tutta quella fatica? Perché doveva sorbirsi il malcontento di tutti? Avrebbe potuto farsi un bagno nelle essenze dal nome strano che sua madre gli aveva regalato a Natale, note per essere rilassanti. Invece no, eccolo alle prese con le situazioni più assurde.
Stava per puntualizzare che andava a cercare la ragazza, ma il padre lo zittì sventolando una mano nell’aria, esausto.
- Fai come ti pare, Rufus. E Saki, accompagna questo cretino. – si scambiò uno sguardo d’intesa col bodyguard.
Rufus sorrise a trentadue denti, e si vestì in gran fretta, riparandosi parte del viso col cappuccio della felpa.
Poi dicevano che era disorganizzato!
- Vedi di non farti riconoscere, almeno. Manca solo questa!
Rufus fece un sorrisino sghembo al padre, e si infilò i suoi fidati RayBan. Nessuno lo avrebbe riconosciuto, di certo, con gli occhiali da sole indosso!
Roger scosse la testa, uscendo dal camerino. Era senza speranze.
 
Il biondino, con Saki alle calcagna, anche lui parato nel suo travestimento a dir poco appariscente, decise come prima cosa di uscire fuori dall’arena.
Pensa, Rufus. Pensa!
Doveva affidarsi al suo istinto.
Non avrebbe perso tempo a cercare dentro all’arena.
No, decise solo di uscire fuori. O la va, o la spacca.
Nel parcheggio esterno, l’aria lo investì brutalmente, e lui raggelò.
Che cazzo di freddo!
La distesa di cemento era buia e umida, c’erano solo alcuni lampioni ad illuminare alcuni tratti.
Sentì del vociare provenire poco lontano, e pensò di avere fatto centro.
Alcune decine di persone, anche se non riusciva a vedere bene, erano accalcate su di un cancello chiuso, e Rufus riconobbe anche alcuni uomini della sua sicurezza a fare da scudi umani.
Probabilmente erano tutti lì per vedere i tourbus, e Roger e Brian e Adam. No, ne era certo.
E con un po’ di fortuna, anche una fan accanita come Leni sarebbe stata lì in mezzo!
Mosse qualche passo in avanti, e poi quasi iniziò a correre, doveva sbrigarsi.
…se non fosse che qualcuno fermasse bruscamente la sua eroica avanzata, proprio ora che c’era quasi!
Investì una figura più bassa di lui, che però aveva qualcosa di famigliare.
Lei indietreggiò spaventata, e Rufus stava per scusarsi in tutta fretta e continuare per la sua strada, se non fosse che quegli occhi li conosceva fin troppo bene.
Una frase gli sorse spontanea, nel vedere la sua espressione incredibilmente sorpresa, la stessa che probabilmente aveva lui.
- Com’è piccolo il mondo... – ghignò.
 
***
 
Che parto questo capitolo, ed è terribile poi! Chiedo venia!.
Purtroppo non ho avuto molto tempo, e in realtà, in questo capitolo era prevista anche una delle scene chiave (HEH), che non sono materialmente riuscita ad inserire perché a) più o meno volevo mantenere la stessa lunghezza per tutti i chapters, b) è tardi, e mi ci vuole concentrazione per scriverla al meglio, siccome, ecco… non l’ho ancora scritta. Quindi non potevo inserirla, giusto lol?
Comunque, qui ripercorriamo uno spaccato di vita backstage-iana (?) di Rufus, ovvero, dato che lo scorso capitolo era sulle pippe mentali di Leni, ora occorreva dare un po’ di spazio alle (dis)avventure del biondino!
Ci sono un po’ di elementi buttati nel calderone che comunque in futuro ritorneranno, vi avverto.
Mi è piaciuto parlare anche brevemente di Adam, e ehm, no, non dico nulla! *tace*
 
Per scusarmi, vi propongo qui un simpatico indovinello:
 
Chi ha scelto il secondo nome “Tiger” per il nostro Rufffsss Taylah?
  1. Rufus stesso!
  2. La madre di Rufus…?
  3. [voce di Roger in The Invisible Man] Freddieee Mercuuuryyy!
  4. Ehm, forse, sì, Roger…?
  5. Ma, ovviamente Himmie!
 
Fatemi sapere le vostre supposizioni, bella gente!
Grazie mille per le visite e per essere meravigliosi, vi adoro troppo, sapevatelo <3
 
Buon inizio settimana a tutte,
un abbraccione-onissimo,
Himmie xx

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Capitolo 5
*** 5. When a red hot *lady meets a white hot *man… ***


THE BREAKTHRU.
 
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5. When a red hot *lady meets a white hot *man…
 
Leni si sentì letteralmente mancare.
Era Rufus, Rufus Taylor, ed era davanti a lei.
Ancora.
La bionda figura che aveva fatto andare in malora gli ingranaggi del suo cervello per le due ore precedenti si era rimaterializzata di fronte a lei. Ed ora sorrideva pure soddisfatta.

- Davvero molto piccolo, questo mondo. – commentò lei, rigidamente, copiando le sue parole.Rufus scrollò le spalle, continuando a sorriderle in modo lascivo.
Passò poi qualche istante, e l’unico sottofondo udibile era quello fastidioso del vento notturno tedesco, accompagnato da un leggero vociare dei fans in lontananza.
Come mai Leni non diceva nulla? Il biondo era seriamente interdetto.
Qualcosa non tornava.
- Sono così bello, che non riesci più a parlarmi? – la buttò lui sul ridere.
Le labbra della rossa si curvarono in una sottile linea incerta.
- Io…io, non… -
Neanche la battuta aveva sortito l’effetto sperato.
Ebbene, Rufus stava conoscendo un nuovo lato della ragazza, ovvero quello timido ed introverso.
Ne possedeva davvero uno? Non era sicuro gli piacesse.
Non che comunque lei gli piacesse in generale, sia ben chiaro.
Ma, la aveva lasciata senza parole? Non era possibile.
Con lui si era dimostrata un peperino insopportabile e rumoroso fin dall’inizio, all’opposto del classico stereotipo tedesco, ed ora invece se ne stava sulla difensiva, tutta intenta a torturarsi le mani coperte da guanti in lana scura.
Era davvero la stessa pazza conosciuta poco prima?
Leni dal canto suo, aveva abilmente eretto un fantastico e solido muro di compostezza, paragonabile allo statico cemento di quello che per anni aveva diviso la Germania Est dall’Ovest, situato poco lontano dall’arena stessa, per giunta.
Rufus voleva capirci qualcosa, al bando i convenevoli.

- Mi spieghi che succede? – chiese, spazientito, spostando il peso su una gamba.Tutta quella fatica per trovarla, ed ora lei era fredda quanto un ramo d’albero!
Non le brillavano nemmeno più gli occhi di quel fastidioso e carino luccichio che aveva notato prima del concerto.
Leni aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì nulla, se non una sottile striscia di vapore acqueo che con l’aria invernale assunse la forma di una sorta di fumo di sigaretta, o almeno, ai bambini piace pensarla così.
Cosa poteva dirgli? Come si sentiva?
Un mare in tempesta.
…ed il che, riflettè, può anche sembrare poetico e romantico visto dall’esterno, ma questo non era davvero il caso.
Non c’era assolutamente nulla di romantico.
La tempesta che imperversava nella mente di Helena, era chiamata Vergogna.
Una profonda vergogna, una di quelle che ti fanno venir voglia di nasconderti in un angolo e non farti più vedere.
Punto primo, non aveva riconosciuto chi era. Non aveva riconosciuto Rufus Tiger Taylor, il rampollo più ricco di quanto lei sarebbe mai stata in dieci vite, e figlio di una delle persone che lei più stima al mondo.
Dio, quanto se ne vergognava.
Come aveva potuto non capire fosse lui, e magari darsi anche un contegno?
Cosa doveva pensare di lei? Lo aveva trattato come una persona qualsiasi, e si sentiva in profondo imbarazzo.
Lui non era assolutamente una persona qualsiasi. Non che fosse un Dio mistico, ma non era comunque un ragazzo ordinario con cui gioire, ad esempio, per un concerto rock, ed in generale, non era comunque il tipo di ragazzo con cui di solito Leni aveva a che fare nella sua vita.
Pensò che avrebbe davvero preferito non rivederlo,  che avrebbe volentieri evitato quel momento imbarazzante e quella conversazione praticamente unilaterale, ed era seccante provare tutta questa inutile gamma di emozioni.
Al diavolo, si disse, tanto valeva lasciare uscire tutti i sentimenti e parlargliene, dei mille motivi per cui si sentiva un’idiota. Non lo avrebbe più rivisto, ed aveva bisogno di sfogarsi.
Tanto, poteva andare peggio di così?
Leni sospirò.
- Io non…non ti ho davvero riconosciuto, Rufus, scusami. – confessò sottomessa, dispiaciuta all’inverosimile.
Ed è tutto qui? Rufus alzò un sopracciglio, seriamente confuso.
Questo sarebbe un problema?
- Leni, you see…non è così grave. Anzi, non mi interessa minimamente.
Rifugiò le mani in tasca, ancora interdetto.
Quella scusa non reggeva assolutamente. Forse perché in fondo non gli era dispiaciuto essere trattato come una persona assolutamente normale, non ci vedeva niente di troppo straordinario.
Era stato così terribilmente…normale, e lo aveva apprezzato.
A parte quando lo aveva rifiutato, storse il naso.
Il suo orgoglio era stato troppo colpito nel vivo.
Non era comunque così grave come lo faceva apparire lei.
Donne.
Chiese: - Che altro, poi?
La ragazza piegò leggermente la testa verso destra, fissandolo negli occhi.
Dopo qualche attimo: - Che altro?! – esplose, aprendo le braccia, e guardando furtivamente, per un attimo, il cielo – Rufus…io...che figura di merda! – si coprì il viso con le mani, ed il biondo la fissò quasi divertito.
Eccola, la perifrasi ideale per quella situazione: figura di merda.
- Ti rendi conto di cosa ho fatto? – parlò ancora lei – ad esempio, ho iniziato a decantare le doti di Brian e Roger con te – la voce le si era alzata di un’ottava, sarcastica – mi sono comportata da perfetta fan fuori di testa, e vuoi farmi credere che questo non sia imbarazzatissimo? – gracchiò.
Il biondo sembrò pensarci su. - In effetti, più che imbarazzante…è esilarante.- commentò Rufus, ora perfidamente divertito.
Leni si sentì morire.
Mai nella storia nell’universo una tedesca si era comportata in modo così avventato ed incurante, mai.
Non era da lei.
O almeno, quel lato della sua personalità era sempre rimasto rilegato nel suo inconscio, ed era sempre uscito solo con poche fidate persone. Con Bill, ad esempio. Il suo migliore amico.
La parte estroversa era un remoto cantuccio del suo carattere che praticamente mai mostrava agli sconosciuti. Il ragazzo era questo e niente altro. Eppure gliela strava decisamente facendo conoscere.
Al diavolo, Rufus Taylor la stava confondendo, e non era un bene.
Mentre il biondo cercava di decifrare lo sguardo confuso della rossa, e quasi sentiva gli ingranaggi del suo cervello muoversi per il troppo pensare, fu scosso da un brivido di freddo, e lanciò casualmente un occhiata dietro di sé, ricordandosi di un piccolo dettaglio.
Saki era lì, in piedi, nel suo metro novanta, a poca distanza, nella semi-oscurità.
Rufus riuscì però a scorgere che l’uomo era alquanto nervoso, e a conferma di ciò, lo vide picchiettare con un indice sul suo orologio al polso, segno che il tempo correva, e lui doveva sbrigarsi.
Si era dimenticato che i bus nel retro aspettavano solo lui, impegnato in quel nuovo bizzarro incontro che si stava prolungando un po’ troppo.
Non voleva però ripetere la scena pre-concerto, e sorbirsi altre ramazine. Decise che doveva agire, ed in fretta.
Raccolse tutto il suo coraggio, e si azzardò a chiedere: - Se ora ti proponessi di venire in albergo con me, tu mi diresti ancora di no?
Leni deglutì.  Silenzio.

- Cosa…?
La mente di Leni, se qualche ora prima si era lanciata in un protettivo e istintivo “no!”, ora stava dando un leggero spazio di valutazione a quella richiesta insolita.
Soppesò le alternative.
Contro.
Era Rufus Taylor.
Forse non era affatto una buona idea seguirlo, ovunque volesse andare. Dov’era finito il suo spiccato buon senso? In fondo, era lo stesso biondo che qualche ora prima le aveva proposto in tono fin troppo allusivo di andare con lui nel backstage (e visti i recenti avvenimenti, si pentì pure di non aver accettato…), ed ora invece, le presentava la alternativa dell’albergo.
Magari era uno stupratore seriale? Il suo fiuto sui Don Giovanni non sbagliava mai, e con lui il radar dei Donnaioli trillava fin troppo rumorosamente.
E lei doveva anche lavorare il giorno dopo, ed alzarsi illegalmente presto, dopo una serata del genere.
Non ne valeva la pena, pensò.
Sospirò, infastidita.
Pro.
Ecco…era Rufus Taylor.
Ora lo conosceva. Il suo nome diceva molto di lui. Cioè, pur restando uno sconosciuto, ovvio, sapere che in lui scorreva sangue “Reale” era rassicurante come fatto.
Capì che avrebbe, per una volta nella vita, potuto e dovuto sfruttare una situazione a suo vantaggio, da perfetta arrivista.
La realtà la colpì. Non aveva mai avuto una fortuna simile, nella sua esistenza. Era un momento tanto assurdo quanto meraviglioso. Era più vicina di quanto credesse a qualcuno che conoscesse i Queen. Finalmente poteva forse godersi un momento di gloria, che avrebbe raccontato a posteri e a chiunque; doveva solo tirare fuori un po’ di astuzia, fare la faccia tosta.
Sì, non era da lei. Però, avrebbe tentato.
Pensare e riflettere in quella situazione era solo deleterio.
Doveva cogliere l’attimo.
- Ad una condizione – si illuminò lei, riacquisendo quella luce negli occhi che a Rufus era mancata – che tu….
Il biondo la interruppe, sorridendole soddisfatto ed ammiccante: - Che io ti faccia conoscere papà e Brian, right?
Capì di aver presto Leni in contropiede, ma lei, dopo qualche attimo di smarrimento, lo fissò negli occhi, nuovamente sicura e provocatrice.
- Esatto! – confermò.
– Ma…anche solo per pochi secondi, o per un autografo. – aggiunse subito a voce più bassa, tornando momentaneamente insicura. – cioè, comunque, sempre se non li disturbo troppo, ecco…
Rieccola lì, la sua parte tanto insicura, quanto educata e riservata. Accidenti!
Ora si sentiva in colpa, lo stava praticamente sfruttando!
Rufus trovò tenero quel cambio di comportamento, ed annuì subito, provocandole un aperto sorriso sincero e riconoscente, facendole svanire ogni possibile dubbio.
Era certo non avrebbe disturbato nessuno. Nella grande famiglia Queen, dormire era spesso un’opzione. Poi dicevano che Brian e Roger erano vecchi!
- Dobbiamo solo sbrigarci – disse luì, dandole le spalle e facendole cenno di seguirlo, improvvisamente lapidario.
Leni affrettò il passo, cercando di non perderlo nel buio.
Vide il biondo camminare spedito verso un uomo alto e sicuro, che fino a quel momento non aveva davvero notato.
- Andiamo, Saki. – gli disse Rufus in tono complice, e l’omone sorrise educatamente alla ragazza, mentre lei si apprestava a seguirli entrambi, quasi timidamente, verso l’arena.
Oddio, sta succedendo davvero?
Con uno strano brivido addosso, non dovuto al freddo, Leni seguiva le due figure per un tragitto sconosciuto, lasciandosi alle spalle il vociare di quei fans acclamanti che speravano e pregavano di vedere i loro musicisti preferiti.
 
***
 
La situazione però, non era continuata subito in maniera così rosea.
Rufus era sì soddisfatto, dato che Adam aveva ammesso la sua sconfitta e gli aveva consegnato le sue dieci sterline, e dato che nessuno della crew si era arrabbiato con lui per il secondo ritardo.
Ma, il fatto di aver Leni con sè aveva provocato qualche problema logistico che non aveva potuto prevedere.
Mentre infatti stavano accedendo al cortile sul retro, dove già vedeva schierati tutti gli automezzi pronti per la partenza, Saki aveva bruscamente interrotto la piacevole conversazione che era nata con Leni, affermando che per ragioni di sicurezza, la ragazza non poteva salire sul loro stesso tourbus e viaggiare con loro.
Il biondo si era abbastanza alterato.
Saki si sentiva decisamente dispiaciuto, ed in imbarazzo, dato che aveva dovuto dare la notizia proprio davanti alla ragazza, ma Leni aveva affermato risoluta che non era un problema, e che non voleva far nascere complicazioni a nessuno. Il suo sorriso cordiale esprimeva sincerità, e Saki rimase positivamente colpito dal suo carattere. 
Aveva anche proposto lei stessa, a sorpresa, di lasciar perdere, che era stata una bella serata comunque, ma Rufus si era opposto con un “Col cavolo!”, ed era stato il primo ad attivarsi per cercare una soluzione, facendo imporporare le guance della rossa di gratitudine e contentezza.
Il compromesso fu quello di chiamare un taxi, che non tardò molto ad arrivare.
Leni e Rufus si salutarono brevemente, e Saki, su richiesta di Rufus, la riaccompagnò fuori dall’arena, e attese con lei i pochi minuti prima dell’arrivo della macchina, per non lasciarla sola.
Era indubbiamente entusiasta, e poteva capirla.
Stava vivendo una situazione irreale per chiunque, e sperava solo ne sarebbe rimasta soddisfatta.
E inoltre, l’altruismo di Rufus, che proprio in quel momento si accomodava su una poltroncina del suo bus, aveva toccato massimi storici in quella serata.
Fosse stato solo altruismo…
Saki la sapeva lunga, ma tacette.
Anche se Roger notò senza difficoltà il suo sorrisetto soddisfatto quando salì sul bus a sua volta.
 
E dopo aver attraversato mezza città, ecco che Leni si era ritrovata in un posto che conosceva fin troppo bene.
Era praticamente davanti alla Porta Di Brandeburgo, caratteristico e significativo monumento di Berlino.
Centro più centro della città non esisteva, e Leni fu felice di quella visita a sorpresa di Pariser Platz, la piazza che appunto la conteneva. Il suo appartamento non era lontanissimo, ma non aveva comunque previsto di deviare per il Zentrum della città, quella sera.
Non aveva neanche previsto l’incontro con un biondo batterista, se era per questo.
Leni amava Berlino, amava quella che ormai era la sua città. Si sentiva a casa, e per nessuna ragione avrebbe voluto andarsene.
La Porta brillava tutta illuminata qualche decina di metri lontano da lei, mentre aspettava sull’ampio tappeto rosso davanti all’Hotel dove era stata indirizzata.
L’Hotel più costoso della città, se non dell’intero Stato, ovvio.
L’Adler aveva vista Porta Di Brandeburgo, c’è anche da commentare?
E’ come abitare in fianco al Colosseo, o presso la Tour Eiffel!
La ragazza non era stupita, in fondo aveva a che fare con dei Reali.
L’usciere dell’albergo la fissava già da qualche minuto. Probabilmente si domandava cosa ci facesse una ragazza del genere, coi capelli un po’ disordinati, e uno luccichio particolare negli occhi, in attesa di fronte all’albergo più chic di Berlino.
Si era trattenuto però dal mandarla via, perché, nel momento in cui stava proprio per farlo, qualcuno gli aveva picchiettato due dita sulla spalla.

- Come posso aiutarla, signore? – chiese egli prontamente.
Saki, impassibile, domandò se c’era una ragazza dai capelli rossi che per caso si era fatta vedere nei paraggi.
L’uomo indicò meccanicamente fuori dalle vetrate delle porte l’infreddolita Leni, che paziente aspettava e seguiva le istruzioni che le erano state brevemente impartite da Saki prima: aspettare davanti all’Hotel fino a che non l’avrebbe raggiunta, appunto.
Il bodyguard ringraziò con un cenno, e uscì dalla Hall, per recuperare Leni, che lo accolse con un sorriso infinitamente sollevato.
Temeva davvero che non sarebbero venuti a chiamarla e che fosse tutta una farsa a cui lei aveva immaturamente preso parte. O magari un sogno, destinato a distruggersi a contatto con la realtà concreta.
Ed invece, eccola a seguire Saki all’interno dell’Hotel, e ad attraversare l’enorme sala,  impacciata, cercando di fare meno rumore possibile sulla moquette colorata, e ignorando gli sguardi curiosi di tutti i ricconi vestiti sfarzosamente che si rilassavano al bar, o sulle poltrone in pelle bianca.
Presero uno spazioso ascensore, e per pochi minuti l’unico suono era quella della vibrazione data dal suo movimento.
Leni osservò meglio Saki. L’uomo era alto, (e questa non era una novità), aveva dei corti capelli neri, ed il viso era abbastanza spigoloso. Non sembrava affatto una cattiva persona, comunque.
Anzi, se avesse ancora indossato quella orrida e al contempo divertente felpa rossa di prima che comunicava simpatia, forse avrebbe iniziato anche a chiacchierarci.
Ma fu lui a parlare, con voce profonda.
- Surreale, vero?
Leni si trovò istintivamente ad annuire.
- Molto. Queste cose non succedono nella vita vera.
Saki sorrise a labbra strette, mentre Leni continuava.
- Non so cosa aspettarmi, davvero. Doveva essere una serata normale, ed invece guardami – si passò una mano tra i capelli lunghi – sono nell’Hotel più costoso di Berlino, in un ascensore grande quanto il mio bagno, e tra poco potrei anche incontrare Roger…e, Brian. – la voce le tremava un po’.
Non menzionò affatto Rufus, volontariamente.
L’uomo non rispose, facendo scendere un silenzio quasi pesante, che fece pentire Leni di quella piccola confessione.
Cosa aveva detto di male?
Era una situazione improbabile, gliela aveva detto lui stesso, e lei lo sapeva. Lo aveva solo ripetuto.
- Non vorrei che tu iniziassi a pensare cose strane. – affermò Saki lapidario.
Cose strane?
- Mi stai indubbiamente simpatica, lo sai? E la sarai anche al Signor Taylor e a Brian, ne sono certo. Però, riguardo a Rufus…non metterti in testa cose strane, chiaro?  - si girò finalmente verso di lei a guardarla, coi suoi penetranti occhi neri.
Cose strane…?
- Non capisco davvero che intendi, Saki. – il suo battito cardiaco era già accelerato da quando aveva nominato Rufus.
- Rufus…vedi, non è un cattivo ragazzo. Ma non…. – sospirò, cercando le parole adatte – io ho visto come vi siete guardati. Anche un cieco l’avrebbe visto. E voi, non…
Leni perse dieci battiti.
Come si erano guardati? Si erano guardati?

- Fidati di me se ti dico che è meglio non…L’ascensore si fermò dolcemente, e le porte si aprirono silenziose davanti a loro, rivelando un corridoio illuminato e sfarzoso almeno quanto il resto dell’hotel.
Saki interruppe la frase, lasciando Leni perplessa.
L’uomo la precedette nell’uscire, e le fece strada.
Cosa intendeva?
La ragazza sentì l’urgenza di sapere, e accelerò i passi per stare dietro al suo passo deciso.
Doveva stare lontana da Rufus? Intendeva forse questo?
Sentì le guance andarle a fuoco, per l’imbarazzo.
Non le era ancora passato per la testa nemmeno di avvicinarsi a lui, e quell’uomo già le diceva di starne lontana?
Che cavolo stava succedendo?
Saki si fermò di colpo e picchiettò con le nocche su una porta alla loro destra, recante la scritta “507”.
Si sentirono dei rumori confusi all’interno, e la chiave girare con un colpo secco.

- Siete carini, ma tra voi non funzionerebbe mai.
Saki sussurrò infine queste parole con un sorrisetto enigmatico, e si apprestò ad andarsene proprio mentre la porta veniva aperta.
Leni seguì l’uomo con occhi sbarrati, e quasi lo avrebbe rincorso per chiedere delle spiegazioni.
Non che lei intendesse comunque stare con…Rufus. Al solo pensiero si sentiva avvampare.
Non le era minimamente passato per la testa. E sicuramente neppure a Rufus.
Basta con queste fantasie assurde e romanzesche.
Saki aveva preso un abbaglio, e la questione finiva lì.
Sentì un distinto profumo di fresco e pulito, e si girò nuovamente verso la camera 507.
Rufus era lì in piedi, e fissava lei e Saki che si allontanava ad intermittenza, confuso, con le sopracciglia corrucciate.
- Cosa mi sono perso? – chiese dopo un attimo di silenzio.
Leni scosse la testa, facendo capire che non era successo nulla di che.
Rufus alzò un sopracciglio, e poi riacquisì il suo sguardo allegro.
- Vuoi entrare? – si spostò leggermente – se non sbaglio hai qualcuno da conoscere.
Leni avanzò meccanicamente, ancora però turbata dalla conversazione avuta con Saki.
Però, decise di accantonare lui e le sue parole per un attimo.
Il momento che avrebbe ricordato per sempre era quasi arrivato, e voleva godersene ogni secondo.
Stava per svenire, lo sapeva.
Entrò in quella che doveva essere una suite, e si fermò timidamente all’ingresso.
Non voleva apparire maleducata.
Lo specchio gigante alla sua sinistra rivelava una ragazza ansiosa, in condizioni estetiche non proprio fantastiche, che cercava di contenere i mille sentimenti che provava, senza successo.
Si sistemò i capelli in tutta fretta, mentre Rufus avanzava nella stanza e indicava questa o quella altra cosa, presentandole l’ambiente.

- Papà dovrebbe essere di là!  
Questa frase la fece sobbalzare, e rincorse, cercando di non fare strane figure, Rufus che si era allontanato.
Successe tutto in pochi istanti.
Entrarono in una stanza alla loro sinistra, oltrepassando delle porte a vetro scorrevoli semichiuse.
E Leni lo vide.
Roger era seduto comodamente su una poltrona, e fumava una sigaretta mentre la musica risuonava da quello che sembrava un vecchio lettore di musicassette. Anzi, lo era sicuramente.
Roger si girò verso i due ragazzi, mente Rufus faceva le presentazioni.

- Papà…lei è Leni. Leni, papà. Cioè, Roger.
Come se servissero le sue  presentazioni!
Roger la vide, e le sorrise sghembo, un sorriso che le ricordò quello di Rufus, e pronunciò un – Piacere! – convinto, mentre si apprestava ad alzarsi e a stringerle la mano.
Leni tese il suo braccio rigidamente e strinse la mano grande di Roger, cercando di non stramazzare al suolo per la gioia.
Voleva urlare dalla felicità, o almeno piangere, ma cercò di trattenersi.
Si sentiva scoppiare, date le troppe sensazioni positive.
Rispose con un timido cenno del viso, e lo fissò minuziosamente. Non voleva perdersi un singolo momento. Roger Taylor era in carne ed ossa davanti a lei. Non era un volto sulla copertina di un disco, o una foto su internet.
Roger parve accorgersene, e rise. – Mi stai simpatica, Leni. – affermò, arricciando le labbra.
- Vuoi bere qualcosa? – le chiese, spegnendo la sigaretta in un posacenere in vetro su un tavolino in fianco alla poltrona, che lei non aveva neppure notato.
La ragazza scosse la testa, sorridendo timidamente, senza spostare lo sguardo da lui.
Oddio, un’altra figura da idiota. Perché non parlava, si sentiva una stupida!
L’uomo sembrò intuire ciò che stava succedendo nella mente di Leni, e sospirò divertito.
C’erano diversi tipi di fans. Oramai gli aveva catalogati così, quelli incontrati negli anni.
Il fan che è rumoroso e inizia a parlare a tutto spiano, stordendo chiunque. Vuole fare foto ed avere mille autografi. Cerca di intavolare ogni tipo di discussione, ed è simpatico, ma a lungo andare è solo stressante, e si spera se ne vada presto. Anche perché è anche sfacciato.
Il fan isterico. Sono quelli più devoti in genere, e non fanno altro che piangere e urlare, e calmarli è spesso impossibile. Tremano e chiedono spesso abbracci. Questo li caratterizza. Hanno bisogno di contatto fisico, e a volte, questo non è proprio gradito. Anche se fanno tenerezza.
Il fan pietrificato. Colui che cerca di comportarsi in modo umano, trattando la star senza strane accoglienze calorose e false o pianti, e che si sforza di apparire educato, e rilassato. E’ quel fan che cerca di trattarli come normali esseri umani, che Roger preferisce. Il difetto più grande è che all’inizio sono letteralmente paralizzati, e solitamente hanno uno strano sorrisetto ebete stampato in faccia. Il caso di Leni, insomma. Ma Roger sapeva che si sarebbe sbloccata presto.
Rufus intervenì: - Dove è andata a finire tutta la tua logorroicità?
Leni sbiancò, girando la testa di scatto verso il biondo, che si spanciava dalle risate.
- Dovresti vedere la tua faccia!
La ragazza desiderò sparire, nuovamente, e Roger intervenne, schiaffeggiando amichevolmente l’avambraccio del figlio.
- Lasciala in pace, son! – lo riprese. – Allora, Leni, ti è piaciuto il concerto?
La ragazza si illuminò ancora di più, se possibile. – Moltissimo, Mister Taylor. – rispose con voce cristallina, ma incerta – non ho davvero parole.
Non mentiva affatto.
Roger rise lusingato per il complimento, e per la timidezza che mostrava. – Grazie, allora. E chiamami Roger, mi fai sentire vecchio!
Leni sorrise a sua volta, decisamente più rilassata.
Poi, riconobbe una canzone conosciuta.
Il mangianastri stava ancora suonando, solleticando le sue orecchie.
- Genesis? – chiese in un sussurro incerto.
L’uomo la guardò positivamente sorpreso.
I Genesis non erano una band così sconosciuta, anzi, ma tra la generazione di Leni lo erano di certo.
Annuì. – Mi fa piacere che li conosci. – Roger si avvicinò al lettore, situato dal lato opposto alla poltrona – è un’edizione rara di A Trick In The Tales in cassetta. – fermò la musica, estraendo il piccolo contenitore di plastica.
- Davvero rara. – commentò Leni, avvicinandosi, con un coraggio sconosciuto. - non è così difficile da trovare, comunque. – affermò, sicura.
Roger la guardò confuso.
- Se si conoscono alcuni siti giusti, si possono trovare diverse edizioni cosiddette rare – spiegò – basta avere le fonti.
- E tu che fonti hai? – chiese l’uomo incuriosito, mente Rufus si avvicinava ai due, a sua volta interessato.
- Lavoro in un negozio di musica. – disse Leni, arrossendo – non di raro qualche intenditore viene a chiederci di ritrovare vecchie cassette.  A mio parere, sono meglio dei CD. – aggiunse, ormai a suo agio.
Rufus sorrise sotto i baffi.
Papà aveva trovato pane per i suoi denti.
Roger si sfregò le mani, soddisfatto. – Sto cercando di collezionare diverse edizioni originali. Mi rilassa. Direi che allora un giorno chiederemo a te, per ritrovare quelle più…introvabili!
Leni annuì felice e rise. Non percepì però alcuno scherno nella sua frase, e si sentì mancare.
Stava dicendo sul serio!
Roger le sorrise, e poi annunciò che ora sarebbe andato a dormire, il concerto era stato stancante.
Aveva battuto su quelle pelli con una forza ed energia assurda per ore, Leni non si stupiva!
Egli si congedò, congratulandosi con Leni per l’accoglienza dei berlinesi, affermando che la Germania era sempre fantastica.
Salutò con un cenno Rufus e con un occhiolino la ragazza, che agitò una mano debolmente mente Roger usciva dalla stanza.
Oddio.
Così come era iniziata, era finita. In un baleno.
Il suo cervello doveva ancora processare tutto, la sua euforia era alle stelle.
Rufus la guardava, studiando i suoi comportamenti.
Era riuscita a restare calma e a non mostrare il suo lato da fan pazza, ed era sicuro papà lo avesse apprezzato.
- Vuoi restare lì ferma, o conoscere anche Brian?
Rufus riprese a ridere, quando Leni si portò teatralmente una mano sul cuore.
- Troppi infarti, stasera, Rufus! – si lamentò giocosa, tornando sé stessa.
Il biondo si avviò verso la porta, seguito a poca distanza da lei.
- Non mi lasci neanche il tempo di riprendermi?
Non sapeva neppure come riuscisse a comporre frasi di senso compiuto dopo così pochi secondi dall’avvenimento. Roger Taylor.
- Brian è sempre impegnatissimo – dichiarò Rufus con casualità – se non ci sbrighiamo, è già occupato con qualcosa: dobbiamo beccare il momento giusto.
 Uscirono dalla porta della stanza, che si richiuse automaticamente dietro di loro.
 In fondo al corridoio, sostavano alcune telecamere e operatori, e quella che doveva essere una giornalista.
Saki stava supervisionando la situazione, e distribuendo quelli che dovevano essere dei pass.

- Ecco, siamo arrivati tardi.
Leni era perplessa.
- Ha un’intervista – si battè una mano sulla fronte Rufus. – me l’ero dimenticato.
- Anche a quest’ora? – chiese incredula Leni.
- La sera è l’unico momento in cui puoi incontrare Brian, e in cui non sia occupato in altre attività. – spiegò il biondo.
Leni scrollò le spalle.
In effetti, le dispiaceva non poter incontrare proprio Brian.
Non che non fosse riconoscente per il batterista appena visto, ed in generale per l’intera serata, ma non poter conoscere proprio il Doc ora che era lì, così vicino, le faceva davvero storcere in naso per il dispiacere.

- Non importa. – sorrise mesta. – E’ stato già fantastico così, non potrei chiedere di meglio.Rufus la guardò negli occhi azzurri. – Ci tenevi a conoscere Brian, lo so.
Leni annuì. – Ma lui è impegnato, e va bene così. Davvero. – era sincera.
Rufus si sentiva in colpa, per qualche motivo ignoto.
Ed era al corrente che la serata era finita. Era stata fin troppo breve.
E poi Leni parlò. Il biondo avrebbe preferito di no. Se ne stava andando.
- Grazie per tutto Rufus. E’ stato così assurdo e bellissimo che credo non mi riprenderò più! – i suoi occhi tradivano la sua emozione. – Non…non so davvero come ringraziarti.
Si sistemò meglio lo zaino che indossava ormai da tempo. Le stava dando fastidio.
- Per così poco? – Rufus le sorrise a sua volta. – Non ho fatto niente di che. E…è stato bello conoscerti.
- Anche per me, Taylor.
L’atmosfera si stava facendo strana.
Non sapeva se doveva abbracciarlo, da impacciata poi, per mostrare la sua riconoscenza, o semplicemente andarsene salutandolo normalmente.
Non sapeva più niente, si sentiva come ubriaca, ma senza aver bevuto, e senza mal di testa.
Era solo su un altro pianeta, come se camminasse sulle nubi. Si sentiva bene. Visceralmente bene. Le partiva dal petto, quel calore benefico.
Era come un sogno bellissimo, e non voleva svegliarsi.

- Potrei accompagnarti, sai, per andare a casa.
Leni si stupì della richiesta. – Non serve, davvero.
- Insisto. – disse lui timidamente.
Saki spuntò dal nulla, e si mise in fianco al biondo.
- Credo sarebbe meglio lei andasse. – sussurrò al suo orecchio. – C’è RTL, e non penso sia il caso la vedano.
Leni fece finta di non sentire.
Ma non riuscì a trattenersi. – Well, neanche io vorrei apparire su una delle tv principali della Germania – disse, ridente – se mi dite da dove si esce da qui, vado volentieri. Grazie di tutto anche a te, Saki. – si rivolse all’uomo, che ora le sorrideva incerto.
- Siamo rimasti d’accordo che ti avrei accompagnato. – intervenì pronto Rufus, facendo spalancare gli occhi di entrambi.
- Ma, Rufus…- tentò di protestare il bodyguard.
- Niente “ma”, Saki. – si rivolse poi a Leni. – allora, dove abiti?
E lei, non riuscì ad non rispondergli.

***
 
L’appartamento di Leni era a circa di venti minuti di cammino, attraversando la città passando per Potsdamer Platz, una delle altre piazze principali.
Leni aveva insistito affinchè non chiamassero addirittura un taxi, e ribadì che sarebbe andata anche da sola, ma Rufus la ignorò, camuffandosi come poche ore prima, imitato da Saki, che ovviamente doveva andare con loro. A piedi, i tre si erano avviati per le vie illuminate di Berlino.
L’arrivo davanti alla porta di casa interruppe il simpatico chiacchiericcio che si era creato tra i due, mentre Saki stava pochi metri lontano da loro, indietro.
Leni infilò la chiave nel portone scuro, e Rufus gettò uno sguardo all’alto palazzo che si scagliava verso il cielo.

- Eccoci. – annunciò Leni, celando al meglio la sua leggera tristezza.
Perché si sentiva malinconica? Era stata una serata magnifica, per tutto.
Tra voi non funzionerebbe mai.
Ancora quelle parole.
Saki controllava di sottecchi la situazione, poco lontano, camminando piano avanti ed indietro.
Lei, per rompere il silenzio, ringraziò ancora il biondo per quella che doveva essere la milionesima volta della serata, e Rufus roteò nuovamente gli occhi, dicendole che doveva smetterla di ringraziarla.
Scoppiarono entrambi a ridere, e poi si guardarono entrambi negli occhi.
Errore.
Due occhi così simili….
Ed era innegabile che c’era un feeling tra di loro.
Tra voi non funzionerebbe mai.
Lo sguardo si stava prolungando troppo. Leni iniziò a sentirsi a disagio.
Rufus decise che doveva farlo. Non avrebbe perso quella occasione.
Tra voi non funzionerebbe mai.
In un attimo, senza preavviso, si avvicinò alla ragazza, e si chinò in avanti per colmare il vuoto tra le loro labbra. Poggiò una mano sulla sua guancia fresca, e Leni sussultò.
Il bacio si approfondì dopo pochi istanti, e Rufus si strinse a lei, possessivo.
Leni stava rigidamente in piedi, alquanto pietrificata.
Ma stava rispondendo al bacio.
Gli portò una mano tra i capelli biondi, stringendoli. Morbidi.
Rufus sapeva di fumo. Aveva fumato mentre camminavano fino a casa sua.
Si strinse a lui.
Era un errore.
Leni aprì gli occhi, percossa da un brivido.
Oddio.
Si staccò di colpo, come folgorata, arretrando di alcuni passi, spaventata.
Rufus aprì gli occhi confuso (li aveva chiusi?) e fissò la ragazza, disorientato.
- Che cazzo fai? – gli gridò poi contro lei, con le lacrime che premevano per uscire.
Che cazzo avevano fatto?
Che cazzo aveva fatto lei?
- Io…pensavo che…insomma, mi sembrava che anche tu…- Rufus mormorò alcune frasi sconnesse, sconvolto dall’improvvisa reazione, cercando di spiegarsi.
Perché lo stava rifiutando, adesso?
Leni sembrava isterica. - Cazzo, Rufus…perché hai…Oddio – si coprì il volto con le mani, nascondendo alcune lacrime che veloci stavano scendendo.
- Cosa? Ora è colpa mia? – chiese alterato il ragazzo – ammettilo, Leni ti diverti a rifiutarmi, hm? Ti diverti? Ti diverti, vero? – chiese, in un ringhio, riavvicinandosi a lei.
Le sue labbra.
- Non è questo! – gli gridò contro lei, con tutto il fiato che aveva in corpo.
- E cos’è, allora? – chiese lui, con lo stesso tono, diminuendo nuovamente la distanza tra loro.
Lo stava facendo arrabbiare talmente tanto che rivoleva le sue labbra. Le voleva.
Leni singhiozzò, torturandosi il labbro inferiore.  - Sono nella merda, oddio.
Stava farneticando, pensò Rufus. Era solo un bacio.
Le voleva…
Gli occhi erano lucidi, le lacrime ormai scendevano copiose.


- Esci dalla mia vita, Rufus. – disse lei, con voce roca e provata.

Rufus la afferrò con forza per un braccio. – E tu spiegami che cazzo succede!
Leni lo fissò negli occhi per un tempo interminabile.
Rufus si specchiò nel loro blu.
La sua voce era rotta dai sensi di colpa.
Leni si sfilò mollemente dalla sua presa.
- Sarebbe stato bello sei io fossi stata un’altra delle tue ragazze, vero? Peccato che non posso esserlo. – disse roca, e retorica.
Rufus la fissò, colpito.
Un sussurro, lei distolse lo sguardo. Un nodo in gola. – Ho un ragazzo, Rufus. Un ragazzo che amo. E l’ho appena tradito. Sparisci dalla mia vita.
 
 
 
***
 
 
KABOOOOOMMM!
Ciao a tutti, carissimi.
Come commentare AHAHA, pensavate davvero che si baciassero, e miracolosamente fossero tutti felici, e poi iniziassero la loro vita coniugale? Ehm, no!
Nessuno considera mai il fatto che nelle fanfiction che le protagoniste possano anche avere una vita loro, you know. Un’esistenza al di fuori dell’incontro col belloccio.
E Leni ce l’ha, la vita.
Fidanzata.
Boh, scusate, ma a me questo dettaglio piace un sacco #modestia forse perché fino ad ora erano tutte single e ready to mingle. MA LEI NO.
Non è realistica come cosa, avanti hahah! Se una è carina e bella, perché dovrebbe essere ignorata e single, ffsss, bullshits (?)
 
COMUNQUE, se siete arrivati fin qui, siete troppo fantastici! <3 E’ da tanto che non aggiornavo.
(E nulla, volevo dire che la nostra eroina non ha incontrato Brian, e che ci sono rimasta male pure io, pensate.  Però, non poteva avere tutto, dai.)
Momento “Cose lasciate in sospeso”: la risposta del quiz dell’altro capitolo.
Ebbene, Tiger è stato scelto da nientepopodimeno che: Freddie Mercury!
Già, lo ha dichiarato Rog in un’intervista, ed è una cosa troppo tenera secondo me. Aw.
Se avete azzeccato la risposta, riceverete un uovo di Pasqua con Deaky dentro!
 
Poi, altra cosetta, riuscite a votare qui? > 
http://www.efpfanfic.net/richieste.php?catid=804
Si tratta di far aggiungere Rufus alla lista dei personaggi della sezione Queen! Fsdjksd, nulla di che.
 
Bene, ecco, ora mi dileguo! (?)
Un bacio a tutti i Queenies che hanno letto, vi voglio bene!
 
Alla prossima,
vostra
Himmie

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Capitolo 6
*** SCUSATE, SCUSATE, E SCUSATE ANCORA. ***


SCUSATE, SCUSATE, E SCUSATE ANCORA.
 
Salve, Queenies.
 
Qualcuno ancora si ricorda di questa piccola storia?
Io spero di sì, ma non ci conto, in quanto, sono qui per ammetterlo e metterlo nero su bianco, vi ho praticamente abbandonate.
E me ne dispiace moltissimo!
Le motivazioni per cui non ho aggiorno ormai da tempo comprendono impegni di vario tipo da cui non posso sottrarmi,  e non vi annoierò comunque con la suddetta lista.
Non avevo molto tempo per continuare questa fanfiction quando ne era il momento, e neppure ora ne ho, parliamoci sinceramente.
Però, volevo dirvi che non mi sono dimenticata di Rufus e Leni, e neppure di voi!, anzi, ci penso molto spesso, e mi ripeto sempre che appena ho del tempo posto un capitolo, lo posto.
Voglio davvero ancora concludere questa storia, non la abbandonerò completamente. Solo che non so quanto tempo ci metterò, ecco tutto!
 
Se qualcuno sta ancora leggendo queste righe, volevo dirvi GRAZIE.
In questi capitoli siete state delle lettrici/lettori fantastici, con le vostre recensioni, o anche solo semplicemente cliccando sulla storia e leggendo silenziosi .<3
 
Ecco, voglio solo, di nuovo, ricordarvi che non vi abbandono!
Non vi libererete di The Breakthru!
 
Alla prossima,
vostra Himmie
 
(Questa piccola lettera aperta (?) verrà eliminata quando posterò il prossimo capitolo, dunque se volete scrivermi per ogni cosa conviene usare i messaggi privati o diretti o come si chiamano, e non una recensione.
Se non volete scrivermi...problema risolto, ahah :'D)
 
 

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