Daddy Eddy di Elizabeth_Keats (/viewuser.php?uid=53142)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Pianoforte e marmellata ***
Capitolo 3: *** Non è quel che sembra... ***
Capitolo 4: *** Notturno ***
Capitolo 5: *** Principe Azzurro... forse ***
Capitolo 6: *** Tic tac, tic tac ***
Capitolo 7: *** Ritorno ***
Capitolo 8: *** Sfida ***
Capitolo 9: *** Chiudi la porta ***
Capitolo 10: *** Animale ***
Capitolo 11: *** Primo giorno di scuola ***
Capitolo 12: *** Scusa ***
Capitolo 13: *** Genitore adolescente ***
Capitolo 14: *** Sempre la stessa storia ***
Capitolo 15: *** Prima o poi i figli crescono ***
Capitolo 1 *** Introduzione ***
Daddy
Eddy
Lunedì
pomeriggio. Casa Cullen. All’esterno un fine pioggerellina
contribuiva ad
allargare ancor di più le pozzanghere che invadevano Forks:
normale.
Temperatura atmosferica 15°C: normale. Atmosfera tranquilla e
silenziosa:
normale. Io, Edward Cullen, in casa da solo: …strano. No,
aspettate, non sono
stato abbastanza preciso; non ero proprio in casa solo soletto, ma era
come se
lo fossi. Il solito clima pacato che soleva caratterizzare quella che
chiamavo
“casa dolce casa” era più statico del
solito e quel silenzio di tomba mi
tappava le orecchie come dei batuffoli di cotone. Infine
l’assoluta assenza del
ben che minimo movimento d’aria mi dava ai nervi. Carlisle,
Esme, Alice e
Jasper si erano allontanati qualche
giorno
per una lunga e rigenerante battuta di caccia, dopo il digiuno causato
dai
recenti avvenimenti: probabilmente a quell’ora avevano
già superato il confine
canadese. Anche Rosalie ed Emmett si sentivano stressati e, come
avevano detto,
avevano bisogno di una “pausa”: l’isola
Esme era di certo il luogo ideale per
passare un paio di settimane di tranquillità lontano dalle
preoccupazioni
quotidiane (e poi, detto tra noi, c’era ancora un buon pezzo
di testiera
intatto…). La mia Bella, invece, mi aveva informato proprio
quella mattina,
mettendomi davanti al fatto compiuto, che si sarebbe trattenuta qualche
giorno
a casa di Charlie, per aiutare Sue a traslocare da loro (finalmente il
buon
vecchio capo della polizia si era deciso a chiudere col passato e col
capitolo
Reneè per ricominciare daccapo!). E, naturalmente, ci
sarebbe stato anche Jacob
ad aiutarli… e la cosa m’innervosiva. Ok, ok, dopo
tutto l’aiuto che lui e il
suo branco aveva dato alla mia famiglia, devo ammetterlo, Jacob stava
iniziando
a piacermi; anche se non avevo ancora digerito del tutto la faccenda
dell’imprinting con Renesmee: ma è meglio un lupo
mannaro grande e forte che un
drogato martoriato da piercing per la propria figlia, no?
Vabbè, fatto sta che
dopo tutto quel tempo di contesa con lui per Bella mi ci voleva ancora
un po’
per abituarmi all’idea che non costituisse più un
pericolo di tal sorta. Forse
sarei potuto andare io ad aiutare Bella coi traslochi: mah…
Come
dicevo, non ero del tutto solo. Avevo davanti la prospettiva di passare
tre
intense giornate con uno dei miei due più grandi amori e, al
tempo stesso, la
mia maggiore preoccupazione: mia figlia. Insomma, non ero come Bella,
come Esme
o Rosalie o perfino come Jacob: non avevo idea di cosa fosse
l’istinto paterno.
E la sola idea di dover mettermi a fare il padre premuroso,
bè, mi terrorizzava
a morte. L’avevo detto a Bella, implorandola di non lasciarmi
solo su una
zattera in mezzo all’oceano. Ma lei l’aveva presa
subito a ridere (ovviamente)
e, uscendo di casa, aveva borbottato qualcosa del tipo che ognuno aveva
un suo
“padre interiore”, la sua parte più
affettuosa, e che dovevo solo scoprirla.
Inoltre, secondo lei, stare qualche giorno tete-à-tete con
Nessie mi avrebbe
giovato più di quanto credessi. Ok, amo pazzamente mia
figlia, adoro il suo
visetto dolce, i suoi boccoli bronzei e i suoi occhioni color
cioccolato:
venero ogni cosa di
lei. Non avrei mai
creduto che una cosa del genere potesse mai diventare realtà
e soprattutto che
quella cosa potesse essere mia figlia, ma… Mi sentivo
irrimediabilmente,
sconsideratamente inadeguato e terrorizzato. Insomma, come si fa il
padre? Da
dove dovevo cominciare? Esisteva forse un manuale a riguardo?
Con
un sospiro di sconforto scesi gli ultimi scalini con un passo fluido e
mi
ritrovai nel salotto illuminato debolmente dalla luce che filtrava
grigiastra
tra le nubi. Nessun vampiro si aggirava, a differenza del solito, tra
quelle
pareti immacolate. Ma un rumore ritmico, un debole ticchettio simile a
quello
di un orologio, proveniva dal divano e, mentre mi avvicinavo, un dolce
odore mi
solleticò l’olfatto scendendo a raschiarmi la
gola. Una piccola testa, grande
si e no come il palmo della mia mano, ricoperta da riccioli color
bronzo, si
poteva intravedere al di là dello schienale del divano.
Renesmee sembrava troppo
presa dai suoi giocattoli per accorgersi della mia volatile presenza.
Nella
mano destra reggeva una piccola bambola di pezza dai capelli dorati che
le
aveva regalato Alice e nell’altra un peluche a forma di lupo
(un caso?). Mi
avvicinai ancora di più, fino a poter quasi sfiorare il
bordo del divano: il
mio piccolo angelo. Era così bella quando giocava serena;
assomigliava quasi a
una qualsiasi di quelle bambine umane, anche se lei del tutto umana non
lo era.
E di certo non sarei stato io ad interrompere quel suo spensierato
momento di
gioco. Con un solo movimento fulmineo, che mi costò si e no
un millesimo di
secondo, mi accomodai sul divano dalla parte opposta rispetto a dove
stava
giocando mia figlia. E con svogliatezza e il telecomando tenuto
mollemente in
mano iniziai un’oziosa operazione di zapping. Incappai in un
paio di partite di
baseball, in una di quelle soap-opera lagnose che piacciono tanto a
Rosalie,
gli ultimi aggiornamenti del telegiornale e il meteo (che naturalmente
prevedeva pioggia). Dopo un quarto d’ora conclusi che non
c’era nulla di
interessante e che quella giornata sarebbe stata una delle
più noiose della mia
lunga esistenza.
Poi
ad un certo punto mi colpì una strana sensazione: un
fastidiosissimo prurito
dietro la nuca e l’opprimente sensazione di essere osservato.
Mi voltai con
cautela ed incrociai un paio di profondi occhi color cioccolato. Nessie
aveva
lasciato da parte i suoi giocattoli per concentrare tutta la sua
attenzione su
di me e la sua espressione apparentemente vuota ed enigmatica sembrava
volermi
chieder qualcosa.
«Che
c’è, Nessie?» chiesi con tono
controllato e in un certo senso timoroso.
Cosa
pretendeva che facessi adesso?
Ma
lei si limitò a scuotere il capo, abbassare lo sguardo sulla
bambola per poi
ritornare a fissarmi. Sembrava indecisa, come se stesse valutando le
possibilità di riuscita delle sue intenzioni.
«Ti
va di giocare?» domandò in un sussurro, quasi
arrossendo, e ancora un volta mi
sembrò una qualsiasi bambina umana.
Rimasi
per un attimo senza fiato: mia figlia mi chiedeva di
giocare… con lei? A un
padre sarebbe sembrata la cosa più normale del mondo,
ma… dove si è mai visto
un vampiro giocare con le bambole? Dovevo avere
un’espressione parecchio
strabiliata visto che Renesme prese la sua bambola e me la
sventolò davanti
agli occhi, come se stesse parlando con un ritardato mentale.
«Giocare,
papà!» esclamò.
Papà.
Come un flash improvviso mi ritornarono in mente le parole di Bella:
“vedrai
che sarai più che capace di fare il papà, ne sono
sicura. E vedrai che ti
divertirai anche!”.
«Sì,
tesoro…» dissi con tono vacuo.
Nessie
mi guardò in attesa che prendessi in mano il peluche e
iniziassi a interpretare
qualche buffo personaggio. Doveva essere la cosa più
semplice del mondo, ma mi
ero come bloccato e non sapevo più da che parte prendere, da
dove cominciare.
Poi mi venne un’idea.
«Vieni,
Nessie, papà conosce un gioco molto più
bello».
Come già detto, anche se dall'introduzione (forse un po'
troppo lunga) non sembra, questa storia sarà una raccolta di
one-shot, quindi una specie di album fotografico di Edward e Renesmee.
Infatti, visto che la mia ispirazione va e viene come pare a lei e che,
una volta iniziata una storia, mi stufo subito della trama e la lascio
incompiuta (ebbene sì sono alla ricerca della trama perfetta
che mi coinvolga al 101%), ho deciso di optare per una serie di piccole
scenette anche divertenti, invece che per una storia vera propria.
Recensite, ve ne prego davvero, HO TANTO BISOGNO DI
RECENSIONI per valutare e migliorare il mio stile. E
dopotutto non vi costa niente cliccare qua in basso e scrivere due
righe (anche solo per dire: "ma che schifo!"). Quindi vede un po' di
far muovere quelle dita sulla vostra tastiera!
A presto (spero)!
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Capitolo 2 *** Pianoforte e marmellata ***
2.
Pianoforte
e marmellata
Mi.
Fa. Sol. La, Si… Una dolce melodia di levò
nell’aria, all’inizio lieve come una
farfalla per poi crescere d’intensità
finché le mie orecchie non ne furono
piene e non riuscii a udire altro all’infuori di quel suono
celestiale. Le mie
dita si muovevano veloci e con un movimento naturale sulla tastiera del
mio
pianoforte a coda, seguendo un crescendo di note che avevo
accuratamente incise
nella mente. Conoscevo a memoria quella melodia, tanto che non avevo
bisogno di
guardare i tasti bianchi e neri per essere sicuro di non sbagliarmi.
Quella
dolce ninna nanna, la ninna nanna che avevo composto per Bella tempo
addietro,
riassumeva tutto quello che provavo per lei, era la sintesi del mio
amore, del
mio respiro, del flusso dei miei pensieri, del rumore che faceva il mio
cuore
un tempo… Perciò era praticamente impossibile che
saltassi anche solo una nota,
che sbagliassi anche solo un passaggio complicato. Perché
quella musica era
parte di me, ero io quella ninna nanna… Eseguirla con quella
naturalezza era la
stessa cosa che rispondere alla domanda “come ti
chiami?”: qualcosa di innato,
assolutamente spontaneo e impossibile da sbagliare. Do. La. Mi. Do. E
ancora
daccapo. Le note che si susseguivano concatenate l’una
all’altra come
trasportate dal vento, sussurrando una dolce storia d’amore
al nulla…
BANG!
All’improvviso
un suono duro e straziante in confronto alla mia ninna nanna
echeggiò nella
stanza con la delicatezza di una valanga, simile a una cacofonia di
pentole
sbattute le une sulle altre. Sobbalzai per la sorpresa e la mano destra
mi
sfuggì di lato aggiungendo una nota fuori luogo in
quell’armonia perfetta.
Accidenti: il primo errore in una vita
d’impeccabilità. Un po’ contrariato mi
voltai in direzione della fonte di tutto quel chiasso: Nessie, che
sedeva sullo
sgabello accanto a me, aveva posato con delicatezza la mano sulla
tastiera,
schiacciando due o tre tasti contemporaneamente e interrompendo
così con quel
fracasso la mia esecuzione. Dopo essere riuscita ad attirare la mia
attenzione
mi guardò con un sorrisetto furbo e uno strano luccichio
negli occhi: aveva in
mente qualcosa.
«Adesso
tocca me suonare!» esclamò battendo ancora una
volta il palmo sulla tastiera
del mio povero pianoforte, riproducendo quell’orribile rumore.
«Ma
credevo che ti piacesse…» dissi sulla difensiva.
«Fammi almeno finire, no?».
Visto
che ero più che certo che il mio approccio con le bambole
sarebbe stato un
completo fallimento su tutta la linea, avevo deciso di giocare su un
terreno
sicuro e in cui non potevo fallire. Così avevo trascinato
mia figlia al mio
prezioso pianoforte a coda, a cui nessuno poteva avvicinarsi senza il
mio
permesso. E avevo iniziato a suonare per tenerla occupata, in attesa
che mi
fosse venuto in mente qualcosa di meglio da fare. Ma Renesmee si era
stancata
prima del previsto…
All’inizio
Nessie sembrò pensarci su due volte poi, mettendo su il
broncio, rispose: «No,
suoni sempre quella roba per la mamma, la sento sempre quando dormiamo
qua e
voi due rimanete qui giù da soli…».
Sì…
ehm… come dire… Be’, non sono affari
vostri di quello che facciamo io e Bella
di notte in salotto col pianoforte!
«Mi
sono stufata» continuò lei. «Adesso
suono io qualcosa di meglio!».
E
senza tanta delicatezza si avvicinò a me sullo sgabello,
allungando le manine
sui tasti e allontanando le mie senza troppa cura. Io la lasciai fare
(non
avevo intenzione di vedermi subito alla prova con una fontana al posto
di mia
figlia… avevo ancora parecchio da imparare prima di saper
arginare catastrofi
del genere), anche se l’idea che qualcuno che non fossi io
mettesse le mani sul
MIO pianoforte a coda non mi entusiasmava proprio. Amavo la mia
famiglia, amavo
Bella, amavo immensamente Renesmee… ma il pianoforte era una
cosa a parte!
Come
previsto la melodia, o meglio il baccano, che nacque non appena la mia
piccola
si mise all’opera non aveva niente a che fare con la ninna
nanna di Bella;
assomigliava più a qualcosa a metà tra una marcia
funebre e la trasposizione
musicale del giudizio universale. Mi trattenni dal tapparmi le orecchie
e dallo
scappare di filata in cucina: dopotutto era mia figlia e dovevo
incoraggiarla,
no? In fondo non si è mai visto un buon padre (e io ero un
buon padre) che,
guardando uno dei primi disegni, o meglio schizzi, del proprio pargolo,
abbia
mai detto: “ma che schifo!”, anche se
l’opera assomigliava tremendamente a un
Picasso. Quella mus… quella roba proveniva dalla
genialità della mia bella bambina
alle prime armi col mondo e doveva piacermi (anche perché
cosa si può
pretendere da una bimba?). Perciò cercai di stamparmi in
faccia un bel sorriso
a trentadue denti, uno di quelli raggianti da papà in
carriera, e tra un
frastuono e l’altro mi concessi di mormorare qualche tirato:
“ma che brava!”.
Nessie ovviamente non era così stupida da bersela e
capì immediatamente che
stavo bluffando, ma la cosa non sembrò toccarla: al momento
sembrava
interessarla solo fare casino.
Poi,
ad un certo punto, uno strano suono, ancora più
agghiacciante degli altri,
simile al raschiare di unghie su una lavagna, mi fece accapponare la
pelle e
subito un bruttissimo presentimento affiorò sul mio viso,
trasformando il mio
sorriso tirato in un’espressione d’orrore. No, ti
prego, dimmi che non è vero,
dimmi che quello stridio che ho sentito faceva parte della sinfonia di
Renesmee… Dimmi che… NESSIE NON HA APPENA ROTTO
UNA DELLE CORDE DEL MIO
PREZIOSISSIMO, BELLISSIMO, AMATISSIMO, ECCEZIONALE PIANOFORTE A CODA
CHE HO
PAGATO UN’OCCHIO DELLA TESTA!!!!!!!!!
«Oops»
fu il commento della bambina mentre continuava a schiacciare il tasto
bianco
che, ormai passato a miglior vita, non produceva più il suo
limpido La.
Quindi
con una scrollata di spalle scese con un balzo dallo sgabello,
recuperando in
fretta e furia la bambola e il suo peluche e correndo a nascondersi in
cucina:
era perfettamente consapevole di quanto venerassi quel pianoforte e del
danno
che aveva appena combinato. Quindi era meglio starmi alla
larga… almeno per il
momento. D’altro canto io rimasi lì, seduto
immobile sullo sgabello, senza
respirare e con il cervello che lanciava SOS a destra e manca. La mia
visuale
si ridusse a quell’unico tasto che aveva ormai perso la sua
magnifica voce. Il
mio pianoforte… il mio povero povero pianoforte…
Ero sicuro che se fossi stato
ancora umano, primo mi sarebbero venuti i lucciconi agli occhi, secondo
avrei
smesso di respirare e mi sarebbe servita una respirazione bocca a bocca.
Poi,
in un ultimo lampo di raziocinio e capacità di intendere e
volere, la mia voce
alzata di parecchie ottave e potente e minacciosa come solo quella di
un
vampiro sa essere rimbombò per tutta la casa.
«Renesmee
Carlie Cullen vieni immediatamente qui!».
Le
4. In una comune casa umana per i bambini quella era l’ora
della merenda. E visto
che volevo a tutti i costi fare assomigliare casa mia a una casa umana
e
comune, anche a casa Cullen le 4 doveva essere l’ora della
merenda.
«Dai,
Nessie, ti scongiuro, solo un boccone! Poi ti prometto che giochiamo a
quello
che vuoi tu…» dissi per la millesima volta e la
mia voce assunse un leggero
tono spazientito.
C’era
voluto tutto l’autocontrollo del mondo per resistere alla
tentazione del sangue
di Bella quando era ancora umana, ma per stare dietro a mia figlia ce
ne voleva
ancora di più. Aggiunto a una pressoché infinita
dose di pazienza.
Eravamo
in cucina, Renesmee seduta al tavolo e io in piedi accanto a lei
intento a
spalmare su una fetta di pane dell’abbondante marmellata alle
prugne, che avevo
recuperato da un angolo sconosciuto della credenza. Appena avevo aperto
il vasetto
un intenso odore di prugne mi era arrivato alle narici, facendomi
arricciare il
naso: bleah. Accidenti, ma come fanno gli umani a mangiare una roba del
genere?
Molto meglio il sangue di puma… E, a quanto pare, Nessie la
pensava allo stesso
modo. Ma lei, a differenza di me, era per metà
umana… quindi avrebbe dovuto
avere una vita umana in tutto e per tutto, marmellata compresa.
«Ma
fa schifo!» esclamò lei, allontanando da
sé il piatto dove avevo messo le due
fette di pane con la marmellata. «Zia Rosalie non mi fa
mangiare questa roba!
No, non la voglio, non mi piace…».
Sospirai
e alzai gli occhi al cielo: maledetta Rosalie. Anche lei, come del
resto tutti
gli altri componenti della mia famiglia, aveva cercato di abituare
Renesmee a
una dieta umana, ma, costatando che alla piccola piaceva molto di
più il sangue
(di animale sia ben chiaro… io non do il cattivo esempio a
mia figlia!), l’aveva
viziata con quella roba, tanto per guadagnarsi la sua simpatia. Capivo
che, in
effetti, gli omogeneizzati per neonati avevano un aspetto
tutt’altro che
invitante… ma visto che ora Nessie poteva usufruire di una
dieta molto più
ampia, be’, le avrei imposto la mia decisione (e di Bella).
«No,
carissima, adesso la mangi eccome “questa roba”!
Su, avanti…».
Nessie
non osò aggiungere altro, capendo che, dopo la tragedia del
pianoforte (che
avevo dovuto perdonarle, ma non senza una bella ramanzina, se non
volevo
ritrovarmi tutti gli altri Cullen addosso), era meglio non
contraddirmi. Prese
con mani esitanti la prima fetta di pane e marmellata e la
fiutò con
espressione schifata, che guarda caso assomigliava molto a quella di
Jacob, e
mimò il gesto di sputarci su.
«Nessie…»
sussurrai fulminandola con lo sguardo e assumendo
un’espressione così seria
che, se mi fossi guardato allo specchio, mi sarei fatto paura da solo.
«Sìsì»
borbottò lei. «Niente storie».
All’improvviso
giunse dall’ingresso lo squillo del telefono. Senza neanche
pensarci mi fiondai
fuori dalla cucina, lasciando da sola mia figlia con la sua merenda.
«Pronto?».
«Ciao,
amore! Tutto bene? Come procede l’apprendistato da
papà?».
La
voce di Bella mi giunse dall’altro capo del telefono
armoniosa e squillante
come sempre.
«Ehm…
sì, bene… Cioè potrebbe andare meglio,
ma diciamo che non c’è neanche
male…».
Per
il momento decisi che era meglio sorvolare sul melodramma del
pianoforte.
«Oh,
meraviglioso!» esclamò lei ancora più
gioiosa. «Quindi vuol dire che la mia
piccola brontolona ha fatto la brava…».
«Sì,
certo… un angelo…». Mai sfatare le
leggende che le madri si fanno sui loro
figli, mai.
«Bene,
bene. Sono contenta che ti stia divertendo…»,
perché avevo forse detto che mi
stavo divertendo?, «…e che finalmente tu abbia
fatto qualche progresso. Visto?
Non era poi così difficile come credevi».
«Sì,
certo… Lì come procede?». Traduzione:
quando torni a casa?
«Be’,
c’è ancora parecchio lavoro da fare…
sai, tutti gli scatoloni eccettera… ma
grazie a Jacob e ai ragazzi siamo già a buon
punto…», oh, sì, ringraziamo
sempre Jacob… tanto chissenefrega del povero Edward che si
sta dilaniando i
nervi, eh?, «…comunque non credo che
tornerò a casa a dormire stanotte, così
almeno domattina sarò già qui pronta per
continuare il lavoro. Ok?».
«Ok,
non ti preoccupare. Ci penso io a nostra figlia».
Rassegnazione, tremenda
rassegnazione.
«Ok,
grazie amore. Sai che ti amo, vero? A proposito mi potresti passare
Nessie? Così
la saluto…».
In
meno di un nanosecondo fui sulla porta della cucina.
«Nessie!
C’è la mamma al telefono che ti vuole
sal…».
Mi
bloccai. O. Mio. Dio. Prima di reagire ebbi almeno la premura di
premere il
cordless contro la mia felpa, in modo che Bella non sentisse niente. Il
resto
mi sfuggì.
«PORCA
TROIA! Ma… ma… che hai fatto?!? Ti pare il modo
di trattare il cibo?!?
Accidenti, non posso lasciarti un secondo da sola che
tu…».
Passi
per le bambole a cui non sapevo giocare, passi per il risentimento
verso gli
altri che mi avevano abbandonato, passi anche per la corda del
pianoforte, ma
il muro imbrattato di marmellata di prugne che mia figlia aveva usato a
mo’ di
vernice per scrivere (sì, sapeva già scrivere):
NESSIE+JACOB= ♥… No, andava
oltre ogni limite di sopportazione. Indeciso se mettermi a urlare
oppure
lasciarmi cadere a terra fingendomi morto (che sciocchezza, ero
già morto!),
guardai Nessie con uno sguardo che sottintendeva molte cose. E lei era
ancora lì
seduta al tavolo, con le mani e la bocca sporche di marmellata, che
rideva come
una pazza della mia espressione a cui non si poteva dare una
definizione. Come prima
con il pianoforte. Ma dico, si era forse messa in testa di farmi
morire?
Infondo ero suo padre! Suo padre! Non il primo baby-sitter passato di
lì a cui
si può fare di tutto…
«Ehi,
Edward, tutto bene? Me la vuoi passare si o no?».
Mordendomi
le labbra per non iniziare ad urlare, porsi il telefono alla
bambina… ma lei fu
più veloce: sapeva benissimo su che cosa giocare. Prima che
le sue manine appiccicaticce
riuscissero a toccare il cordless, urlò con tutto il fiato
che aveva nei suoi
piccoli polmoni: «PORCA TROIA!», imitando alla
perfezione il mio tono di poco
prima.
Inorridii
ancora di più: se Bella non aveva udito la mia imprecazione,
questa l’aveva sentita
di certo… e probabilmente aveva anche riconosciuto di chi
era la voce. E tutti
a casa Cullen sapevano quanto lei fosse intransigente sulle parolacce
dette di
fronte alla bambina (e dico io, tanto prima o poi le avrebbe imparate
da sola…).
Come previsto il tono di mia moglie al telefono cambiò
repentinamente, passando
dal dolce e controllato all’irato.
Merda.
«Edward?
Edward! Sbaglio o quella era… co-come hai potuto?!?
Arrgh… aspetta che torni a
casa e ti farò rimangiare tutto quello che avrai detto
davanti a lei in mia
assenza… se solo…».
Quello
che seguì, mentre Renesmee rideva di gusto spanciandosi e io
impallidivo sempre
di più (se mai un vampiro può impallidire), fu
soltanto una serie di suoni
indecifrabili che, però, lasciavano ben intendere
l’umore di Bella. Senza neanche
tentare di porre freno alla sua ira, interruppi la chiamata: avrei
pensato a
quella faccenda una volta che fosse tornata a casa.
«Visto
che ho mangiato la marmellata…» intervenne
Renesmee che intanto aveva smesso di
ridere, «… secondo i patti tocca a me decidere a
cosa giocare adesso».
Guardai
fisso nei profondi occhi color cioccolato di mia figlia per cercare di
carpire
le sue intenzioni… e da quel momento ebbi davvero paura.
Ok,
capitolo lungo questa volta... e dedicato a tutti coloro che pensavano
che Renesmee fosse una docile creaturina innocente XD Vi avverto che so
essere molto cattiva con i miei sventurati personaggi, eh
sì, e prima che gliene vada bene qualcuna dovranno sudare
eccome! Povero Edward... mi fa così pena il mio bel vampiro!
Vabbè, comunque ho l'onore di annunnciarvi che ho cambiato
idea e che, per quanto mi sia possibile (e si ritorna sempre alla
faccenda della ricerca della trama perfetta...), questa non
sarà una raccolta di one-shot come avevo programmato, ma una
ff in piena regola (anche se non prometto una continuità
della storia, cioè potrei fare dei salti di tempo... devo
vedere). Ok, spero di riuscire ad aggiornare presto, anche se questi
giorni sono piuttosto impegnativi per umore, impegni e tanto
altro.
Ringrazio tutti coloro che hanno saputo sfruttare a dovere le loro dita
e la loro tastiera lasciando delle magnifiche recensioni (che mi
scaldano tanto tanto il cuore), con la speranza che questa volta siano
altrettanto generosi. Per questa volta non li cito tutti (ma voi sapete
chi siete) perchè non ne ho propria voglia di star qui a
scrivere ancora. A presto!
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Capitolo 3 *** Non è quel che sembra... ***
1.
3.
Non
è quel che sembra…
Meglio
di quanto credessi. Be’, almeno dal mio punto di
vista… Se fossi stato nei
panni di Alice di sicuro non avrei reagito tanto bene. Ma, dopo tutto
quello
che avevo passato, dovevo pur vendicarmi, no? Sì, anche il
povero Edward Cullen
aveva bisogno di una sua valvola di sfogo e, proprio per sfogare il suo
istinto
animale e di vampiro (che gli diceva di farla pagare al mondo per i
suoi miseri
nervi distrutti), si era ritrovato complice di Nessie.
Chissà se Alice, grazie
al suo dono portentoso, stava vedendo quello che stavano
facendo… Be’, se anche
così fosse stato non mi sarebbe dispiaciuto per niente:
così avrebbero imparato
ad abbandonarmi a casa così su due piedi! Mphf, vampiri
ingrati…
Eravamo
appena entrati nella camera che Alice condivideva con Jasper e, mentre
io mi
guardavo attorno (non che avessi avuto molte occasioni di visitare quel
posto,
anche se faceva parte di casa mia: Alice è famosa per il suo
senso di
territorialità…), Renesmee si fiondava sicura
sull’enorme guardaroba. Be’, non
so se si può definirlo semplicemente
“enorme”; diciamo che a confronto
l’armadio che porta a Narnia ha la capienza di sì
e no uno sgabuzzino delle
scope. Sì, perché quello di Alice era un mondo
intero di vestiti, di certo più
ampio e variegato di quello di Lewis… e il leone che vi
regnava era lei.
Sorrisi sotto i baffi mentre mia figlia apriva a caso le ante bianche
dell’armadio che ricopriva l’intera parete e che
costituiva solo la punta
dell’iceberg di tutto il guardaroba, che probabilmente aveva
le sue radici giù
in cantina. Appena Nessie mi aveva spifferato le sue intenzioni
all’orecchio
avevo accettato senza riserve: l’idea di mettere le mani sui
vestiti di Alice
senza il suo permesso e, magari, mentre lei assisteva telepaticamente
al tutto,
mi sembrava una vendetta abbastanza degna e mi elettrizzava oltre ogni
immaginazione. Per la prima volta ero d’accordo con Nessie:
quel gioco mi
sarebbe di certo piaciuto. Dopotutto, visto che la mia sorellina era in
grado
di prevedere praticamente qualsiasi cosa, era impossibile farle alcun
tipo di
scherzo, ma visto che al momento era lontana lontana… Mi
sfregai le mani per
l’eccitazione e probabilmente uno strano luccichio mi
illuminò gli occhi, dando
al mio volto una sfumatura maligna, mentre mi univo a mia figlia nel
nostro
nuovo gioco.
Non
ebbi molto da fare, visto che Nessie aveva già tirato fuori
dall’”armadio” e
ammucchiato sul letto gran parte dei vestiti a una velocità
decisamente
anormale. Ormai il piccolo letto matrimoniale con il copriletto color
zaffiro
non si riconosceva quasi più sotto la montagna di pezzi
unici di Valentino,
Armani, Gucci, Dolce&Gabbana e tutta la combriccola. Di sicuro
Alice
sarebbe inorridita se avesse visto mia figlia trattare con
così poco riguardo i
suoi gioielli… così li riempiva di pieghe
insomma! Mi venne ancora da
sorridere… E più abiti uscivano da quel mostro
fatto di assi di legno, più mi
sorgeva un dubbio: ma se quelli erano tutti vestiti di Alice, quelli di
Jasper
dov’erano? Sotto il letto mi sembrò un buon posto
in cui guardare, ma al
momento non mi interessava più di tanto. Quando ebbe gettato
senza tante
premure un lungo vestito di satin nero sul letto, la mi piccola
sbuffò esausta;
le sue morbide guanciotte avevano assunto quella delicata sfumatura
color
porpora che mi ricordava tanto la Bella che avevo visto per la prima
volta. Mi
guardò e nei suoi occhi brillava quella stessa eccitazione
che aveva animato i
miei poco prima.
«Sai
che zia Alice si arrabbierà quando lo verrà a
sapere, vero?» dissi.
Accidenti,
sembravamo proprio due bambini che progettano lo scherzo del secolo con
fare
cospiratorio… e la cosa mi piaceva da morire.
Nessie
fece spallucce.
«Insiste
sempre per mettermi tutti quei vestiti che fanno schifo e continua a
dire che
non ho gusto…».
Vero:
in questo mia figlia aveva preso da Bella.
«Quindi
potrò sempre dirle che ho deciso di interessarmi di
moda».
Geniale
la piccola. E diabolica. Ma davvero era mia figlia?
«Fantastico»
commentai. «Ma adesso che si fa? A che scopo abbiamo tirato
fuori tutta questa
roba?».
Gli
occhi castani e profondi del mio cucciolo brillarono ancora una volta
di quella
strana luce eccitata.
«È
qui che inizia il gioco…».
Mezz’ora
dopo…
«Come
mi sta?».
Nessie
fece un giro su se stessa mentre un sorriso a trentadue denti le si
apriva sul
visetto arrossato. Si era infilata uno dei tanti abiti da sera che
aveva
trovato: lungo, di seta leggera color ametista con le maniche a sbuffo
e dei
brillantini sul davanti. Le andava decisamente largo e lungo
(l’orlo che
normalmente sarebbe dovuto arrivare appena sotto al ginocchio per lei
era
diventato lo strascico), ma, be’, era comunque bellissima: la
mia piccola
principessa. Ad adornare i fluenti riccioli color bronzo aveva messo un
piccolo
diadema che aveva trovato non so bene dove. Rimasi quasi senza fiato
quando la
vidi: era di certo la cosa più bella che fosse mai esistita
al mondo… ed era
mia.
«Be-benissimo»
balbettai.
E
in quel momento sentii una strana fitta al petto: era gelosia. Gelosia
nei
confronti Jacob che si era permesso di poggiare i suoi occhiacci da
lupo sul
mio fiore più bello. E sentii crescere forte più
che mai nel mio cuore
l’istinto di proteggere quel piccolo giglio, come avevo
protetto mia moglie, e
di tenerlo solo per me, solo per me. Era forse quello
l’istinto paterno di cui
aveva parlato Bella?
Nessie
mi lanciò un sorrisetto dolce, ben diverso da quello
beffardo di poco prima.
Anche se dimostrava poco meno di un anno mi sembrava già di
avere davanti agli
occhi un’adolescente timida e impacciata, ma bellissima, che
sfoggia il suo
primo vestito per il primo ballo. E presto la sarebbe venuta a prendere
il suo
accompagnatore (Jacob… grrrr). E io non avrei più
potuto dire niente di niente.
«Anche
tu sei carino».
Ehm,
sì. Grazie.
Qualsiasi
aggettivo sarebbe stato adatto per descrivermi in quel momento
(stupido, buffo,
orripilante, ridicolo, ecc.), ma MAI carino. Non ricordo un altro
momento in
tutta la mia lunghissima e stranissima vita di vampiro in cui mi fossi
sentito
più cretino di quanto mi sentissi ora. Ovviamente, secondo
la logica di Nessie,
non sarebbe stato abbastanza divertente se a usufruire delle gioie di
Alice
fosse stata solo lei: dopotutto anche io partecipavo al gioco, no? E
così eccomi
lì nel mio attillato vestito rosa shocking con uno spacco
vertiginoso lungo il
fianco (decisamente troppo
vertiginoso), una scollatura che mi arrivava fino
all’ombelico (ma
completamente inutile visto che lì davanti non ero
adeguatamente accessoriato)
e speculare a quella sulla schiena. Le spalline di quel vestito
assolutamente
osé erano adorne di piccole pietre preziose che mi pesavano
sulle spalle e
avevano lasciato il segno sulla mia pelle dura. Naturalmente, come me
del
resto, anche Renesmee aveva notato che quell’abito era un
po’ troppo “aperto”,
quindi aveva rimediato con un coprispalle
di piume di struzzo, ovviamente in tinta. Senza che
potessi dire bau, mi
aveva infilato ai piedi un paio di sandali tacco dodici e ora ero
lì che, come
un equilibrista inesperto, cercavo di rimanere in piedi su quei
trampoli,
mentre il mio nuovo vestito mi stringeva come un boa in una morsa
mortale. Non
mi ero mai sentito così…
così… così stupido in vita mia: ma pur
di far felice
Nessie questo e altro. Insomma, ero un vampiro affascinante e
misterioso,
bevitore di sangue tra i più pericolosi del
pianeta… non mi si può mettere
addosso un affare del genere! Sarebbe stato come far indossare il
tutù a Lestat
o il bikini a Dracula!
«Ehm,
Nessie? Era proprio necessario tutto questo?» chiesi
esasperato.
Mia
figlia mi guardò con compassione e rispose: «Ma
dai! Stai benissimo! E poi è
tanto per fare qualcosa di diverso, no?».
E
senza degnarmi di un solo sguardo in più si mise a frugare
in un cassetto
finché non trovò quello che stava cercando: una
pesante collana d’argento con
un rubino grande quanto un uovo di quaglia (un regalo di Jasper per
Alice… decisamente
orrendo e pacchiano), che mi mise prontamente al collo. Ecco fatto:
così
sembravo proprio una drag-queen fatta e finita! Feci un instabile passo
in
avanti verso lo specchio: sì, non mi sbagliavo. Potevo
già sentire le voci che
sarebbero circolate per tutta Forks nel caso che qualcuno mi avesse
visto
conciato così: “Ehi, la sai l’ultima?
Hai presente Edward Cullen? Sì, quello
strafigo che sta con Isabella Swan… be’, pare che
sia passato all’altra sponda!
È proprio vero che gli uomini migliori o sono sposati o sono
gay!”.
Mi
passai una mano sul volto: quando sarebbe finita quella giornata? Ma
fui presto
riscosso da mia figlia che batteva le mani tutta esaltata e annunciava:
«Benissimo! Ora passiamo al trucco!».
«Eh?».
Sobbalzai
all’improvviso, come se mi avessero fatto esplodere un
petardo sotto i piedi:
no, il trucco no! Dovevo uscire immediatamente da quel coso e battere
la ritirata:
quello era troppo! Mi precipitai verso la porta con un muto grido di
terrore
intrappolato in gola, ma non giunsi nemmeno a toccare la maniglia che
inciampai
nel vestito e caddi bocconi sul pavimento con un tonfo sonoro, mentre
stelline
rosse e verdi mi danzavano davanti agli occhi. Merda. Che male. Non so
per
quanto tempo rimasi così inerme ed indifeso sul parquet, ma
di certo quel tanto
che permise a Nessie di afferrare cipria e rossetto e dirigersi verso
di me con
in sottofondo il suono del giudizio universale. Quando… Dlin dlon!
Uno
squillo lungo a prolungato giunse dal piano di sotto attirando
l’attenzione di
mia figlia che, prima che io potessi rendermi conto del significato di
quel
suono, si precipitò fuori dalla porta e giù dalle
scale non senza un
frettoloso: «Apro io!».
Apro
io…
mmm… aprire… aprire… cosa? Il mio
cervello si stava lentamente riprendendo dal
trauma della caduta (ero caduto? Ma i vampiri non cadono!
Mah…) e tentava non
senza sforzo di districarsi dall’universo del nonsense con
tutte quelle
stelline, cercando di ritornare allo spazio logico-temporale in cui mi
trovavo.
Aprire… aprire… forse una porta? Sì,
aprire la porta… ma che vuol dire? Perché
Nessie era andata ad aprire la porta? Ah, forse perché
qualcuno aveva appena
suonato. Giusto! Che genio che sei Edward! No, aspetta un attimo. Se qualcuno aveva appena suonato il
campanello, voleva dire che qualcuno
di esterno stava per entrare in casa mia e che questo qualcuno
mi avrebbe sicuramente visto conciato in quel modo e
avrebbe raccontato il tutto ad altri qualcuno:
la mia reputazione era in pericolo. Mi rialzai di botto e per prima
cosa tentai
di districarmi dal coprispalle di piume di struzzo rosa confetto: cosa
semplice
all’apparenza… ma solo all’apparenza,
ripeto. E così nel divincolarmi
disperato, mentre dal piano di sotto provenivano voci che
però per il terrore
non riuscii a riconoscere, persi di nuovo l’equilibrio su
quei tacchi assassini
e questa volta finii contro la porta, che si aprì di botto,
e venni catapultato
brutalmente in corridoio. Atterrai poco prima del primo gradino con un
tonfo dieci
volte più rumoroso del primo. E altre stelline e lucine
multicolore iniziarono
a balenarmi attorno. Di sicuro chi sostava di sotto aveva sentito tutto
quel
trambusto. Cazzo.
«Ma
che diavolo…?».
Quella
era una voce familiare, che fu subito seguita da un altro coro
concitato di
voci altrettanto note. Non udii neanche i loro passi precipitarsi di
corsa su
per le scale tanto ero intontito dalla seconda botta, ma riuscii
soltanto a distinguere
il risolino divertito di Renesmee mentre due ombre scure si chinavano
su di me
e oscuravano la volta di stelline luminose che avevo davanti agli
occhi. Le loro
voci e i loro pensieri, che potevo udire distintamente, riempirono il
vuoto
oscuro in cui ballava il mio cervello.
«Edward?
Ma… ma… Edward!». Che
cavolo ha combinato
questa volta?!?
«Oh,
mio Dio, che hai fatto? Cosa…?». Ahahah…
Rosa! Tutto rosa! Sembra una Barbie… Ehi, baby, dove hai
lasciato Ken?
Con
una smorfia aprii gli occhi, pregando di stare sognando: se fossi stato
ancora
umano di sicuro mi sarei rotto qualcosa. Accidenti, ma che mi era preso
quel
giorno? Non si era mai visto un vampiro così sbadato. La
prima cosa che vidi fu
il visetto divertito di Nessie chino su di me che, tra un risolino e
l’altro,
disse: «Papà?». Risposi con un grugnito
incomprensibile. E appena si scostò
potei vedere in faccia i due nuovi arrivati: oh… no. Emmett
si teneva la pancia
dal gran ridere e si era quasi ficcato un pugno in bocca per porre un
freno
alle sue risa sguaiate: di sicuro di lì a poco avrebbe
iniziato a rotolarsi per
terra. Rosalie, invece, era accanto a Nessie, una mano sulla sua
piccola
spalla, e mi guardava con un’espressione a metà
tra il meravigliato e il
disgustato: la bocca aperta per lo stupore tanto che la mascella poteva
quasi
toccare terra.
«Oh,
mamma Dracula, Edward! Non mi sarei mai immaginato che tu…
Ahahahah… Accidenti,
non mi sembravi proprio il tipo e invece… Ahahah…
Dio, quando lo verrà a sapere
Bella!». Emmett continuava a ridere smodatamente e per un
attimo mi sentii
quasi come se stessi arrossendo. Che vergogna.
Rosalie,
d’altro canto, continuava a rimanere immobile e stupefatta:
un mito era appena
stato sfatato. Mi guardava disgustata, come si guarda una lumaca
bavosa,
guardandosi bene dall’aiutarmi a rimettermi in piedi. Io
intanto cercavo
disperato le parole per porre fine a quell’equivoco, ma con
quel ronzio che
continuava a riempirmi la testa non riuscivo a concentrarmi. Accidenti,
cosa
avrebbero pensato tutti gli altri quando lo sarebbero venuti a sapere?
Vergogna, vergogna, vergogna. Non era come sembrava: NON ero GAY!
«Emmett,
piantala!». Il mio ruggito risuonò minaccioso
nella tromba delle scale.
Mio
fratello riuscì a stento a porre un freno ai suoi ululati,
anche se sembrava
sul punto di asfissiare, mentre udivo un mormorio provenire dai
pensieri di
Rosalie: che schifo! Mio fratello
gay… Ma
come, come ha potuto nascondermi questo? Dopo tutta la faccenda di
Bella e… e…
Oh, mio Dio!
«Non
sono gay, Rosalie! Piantala anche tu!». Ero ormai
sull’orlo delle lacrime.
Ma
Emmett continuava: figo il vestitino!
Devo ammettere, però, che almeno ha gusto: ha anche abbinato
i colori! Ma che
cariiiiiiino! Chissà se…
E
senza neanche pensarci scattai come una molla e mi buttai su Emmett, le
mani
strette in una morsa d’acciaio attorno al suo collo a
reprimere un ringhio di
sorpresa: adesso basta, mi ero proprio stufato. Lui, dopo aver
improvvisamente
smesso di ridere, cercò di divincolarsi con la sua forza da
orso: precipitammo
rotolando giù dalle scale con in sottofondo un sonoro crack!
Il mio vestito
doveva aver ceduto… pazienza.
Accidenti,
non male per
una femminuccia!,
i pensieri di mio fratello
continuavano ad avere una sfumatura irrisoria.
«Femminuccia
a chi?!?» esclamai, ormai preso completamente
dall’ira e mantenendo salda la
stretta sul suo collo. «Adesso ti faccio vedere io, caro Koda
fratello orso!».
Ed
eccomi di nuovo qui con un altro chap! Mah, non so, non credo che mi
sia venuto un granchè questo... però sta a voi
giudicare. Prometto che nel prossimo capitolo darò un po' di
tregua al nostro Edward (magari gli prenoto pure una seduta dallo
psicologo XD), anche se devo ammettere che mi sono divertita un mondo a
tormentarlo così (ahah come sono sadica!). Sì,
comunque dicevo... visto che è Natale, nel prossimo capitolo
sarò mooooooooooolto più buona e
cercherò i sciogliere i vostri cuoricini con una bella
accoppiata papà-figlia più dolce che posso:
dopotutto Nessie non è solo scherzi eh? Ok, passiamo ai
ringraziamenti:
ilesnape:
sì, la cara Nessie è proprio una peste e proprio
per questo l'adoro. Il pianoforte... vabbè, sono cose che
capitano XD (si aggiusterà presto, tranquilla!)
Cassidy14:
no, non morire! Sennò poi mi denunciano per
tentato omicidio con uso improprio di risate!
Lithia del Sud:
sì, il pianoforte è la vera vittima incompresa!
XD comunque anche a me Edward fa un po' pena... però per una
volta tanto mi piaceva vederlo scendere dal suo trono di bellezza e
perfezione, così almeno sembra un po' più umano,
no?
eika: sbaglio o qui
siete tutti più preoccupati per il pianoforte che per Eddy?
Padfoot_07:
visto? ecco il mio regalo di Natale! Comunque se continuerai
a leggere vedrai che il caro Ed farà dei progressi,
garantito!
MimiMiaotwilight4e:
bel nick davvero! Sìsì Nessie DOMINA!
Maka_Envy: carina
xk scrive quella roba sul muro?!?!? Mah, suppongo che tu sia una fan di
Jacob... mah, mah, mah...
Deb: sì,
anche a me piace un sacco vedere (e immaginare) Edward così
UMANO, quando invece nel libro è descritto come un dio
assolutamente perfetto. Dopotutto anche lui deve avere qualche punto
debole e difetto, no?
Ringrazio
anche tutti coloro che hanno messo questa ff tra i preferiti. Recensite
ancora in tanti mi raccomando! A presto!
E
BUON NATALE A TUTTI, VAMPIRI E LICANTROPI XD
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Capitolo 4 *** Notturno ***
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4.
Notturno
«Quindi,
fatemi capire bene: siete tornati indietro dall’isola Esme
perché Rosalie aveva
dimenticato il suo costume rosso?».
Ammutolii
di sorpresa quando Emmett annuì in silenzio, continuando a
massaggiarsi la
mascella contusa.
«Be’,
non proprio dall’isola Esme» precisò,
«stavamo facendo scalo a New York quando
Rosalie mi ha chiesto se potevamo tornare indietro un attimo a prendere
una
cosa che aveva dimenticato a casa».
«Ah».
Ovvio. Quando il padrone comanda il fido Emmett obbedisce. Se fossi
stato al
suo posto mi sarei categoricamente rifiutato di perdere il volo
prenotato per
uno stupido costume o, come minimo, avrei parcheggiato il mio didietro
nella
sala d’attesa dell’aeroporto aspettando che la mia
lei trovasse una soluzione
più logica. Ma si sa, Rosalie sa essere molto convincente,
soprattutto quando
si tratta di persuadere il suo adorato orso da circo.
Io
e Emmett eravamo ora seduti sul divano in salotto, mentre Rosalie
correva da
una parte all’altra della casa recuperando oggetti vari
(evidentemente il
costume dimenticato era solo una scusa per recuperare l’altra
metà dei suoi
vestiti da strafiga). Nessie, invece, era lì accanto a noi
seduta sul tappeto:
si era tolta di dosso l’elegante vestito di Alice e ora era
tornata a giocare
pacata con la sua bambola. Proprio in quel momento le stava infilando
un
grazioso vestito da sposa tutto pizzi e volant: rabbrividii alla sola
vista.
Be’, meglio lei che io, no?
Finalmente
dopo un abbondante quarto d’ora di strilla, insulti e botte
la pace era
ritornata a regnare in casa Cullen. La lotta tra la
“femminuccia”, cioè il
sottoscritto, e l’orso si era rivelata più accesa
del previsto. Mentre Rosalie
e Renesmee ci guardavano basite dal pianerottolo del secondo piano, io
e Emmett
avevamo messo a soqquadro mezzo salotto: lui ne era uscito con la
maglietta
leggermente sdrucita e la mascella dolorante, io con qualche capello in
meno (il
mio avversario mi aveva prontamente afferrato per i capelli mentre
tentavo di
rifugiarmi in cucina). Se fossimo stati semplici esseri umani
probabilmente al
momento saremmo stati neri di lividi e pieni di graffi e morsi di ogni
sorta.
Ma fortunatamente tutto si era risolto con il pronto intervento di
Rosalie e un
paio di schiaffi al mio indirizzo, ovviamente, ed eravamo riusciti a
chiarire
la faccenda da vampiri civili. Avevo
spiegato il perché di quel mio nuovo look alquanto
eccentrico, sottolineando
più volte la mia assoluta estraneità a certe
particolari affinità e specificando
che non c’era nessun Ken nella mia vita. Infine avevo fatto
giurare loro di non
dirlo a nessuno: non che avessi nulla da nascondere, visto che era
soltanto un
malinteso, ma non mi andava che si sapesse in giro che avessi
sperimentato il
brivido, in senso stretto, di camminare su un paio di tacchi. Loro
promisero
che nulla sarebbe trapelato dalle loro labbra, o menti, ma tanto sapevo
già che
Emmett era affidabile quanto un alcolista alla guida di un autobus e
che,
magari anche tra un secolo, la cosa sarebbe ritornata a galla in
qualche
litigio.
«Non
ti preoccupare, ripartiremo non appena Rose avrà finito con
la sua roba» disse
Emmett e sul suo volto apparve un’espressione leggermente
scocciata.
Io,
invece, in risposta lo fissai con uno sguardo affranto, di quelli da
cane
abbandonato o Bambi triste che fanno tanta pena. Lo stavo
silenziosamente
implorando di non abbandonarmi di nuovo, di non lasciarmi ancora una
volta solo
in quella grande casa con la mia più grande paura (anche se
mi aveva quasi
ammazzato di botte e insultato, dopotutto era sempre il mio Emm-Emm).
Ma non
ebbi il coraggio di esprimere ad alta voce le mia paura: probabilmente
sarei
davvero passato per una femminuccia. Accidenti, se mio fratello fosse
stato in
grado di leggere nella mente altrui come facevo io! Ma al momento i
suoi
pensieri erano lontani miglia dalla mia ben misera situazione: una
spiaggia,
tanti delfini e pesci colorati, sole, palme, Rose…
Rose… ehm, Rose… lui… Rose e
lui che… No, alt! Sospirai affranto: non avrebbero potuto
aiutarmi. Però forse…
«Ehm,
Emmett?».
«Sì?».
Si voltò verso di me riemergendo dai suoi filmini mentali
con un’espressione
interrogativa.
«Ehm…
sì, io… vorrei chiederti… insomma, se
magari…».
«Oh,
cazzo!» esclamò lui scattando
all’improvviso mentre guardava l’orologio a muro
impiccato sulla parete di fronte che segnava le sei. E senza perdere un
secondo
di più recuperò con la sua sorprendente
velocità da vampiro il telecomando e si
sintonizzò con un’eccitazione quasi palpabile sul
canale sportivo. La partita
della sua squadra di baseball preferita era appena iniziata. E addio a
richiesta d’aiuto.
Mezz’ora
dopo Rosalie aveva finito di raccogliere in giro per la casa tutto
ciò che
poteva tornarle utile nel rilassante viaggetto con il suo amoruccio
(tanta da
occupare un’altra valigia) e aveva scollato con un tono
imperioso Emmett dalla
tv. Ora erano già alla porta e io tra poco mi sarei
ritrovato di nuovo da solo
di fronte alle mie paure. I saluti furono molto sbrigativi visto che
probabilmente i due non vedevano l’ora di abbandonare una
volta per tutte
l’umidità di Forks per approdare alla calura dei
tropici. Rose si attardò solo
qualche secondo di più per salutare Nessie, stringendola
forte al suo petto e
ricoprendola di baci. Ma poco prima che i due piccioncini
raggiungessero i loro
bagagli sulla BMW rossa fiammante di Rose, Emmett mi si
avvicinò e inizio a
bisbigliarmi qualcosa all’orecchio.
«Edward,
senti, per quella cosa di prima…».
Cosa
cosa? Non riuscivo a credere alle mie orecchie: forse che Emmett avesse
captato
la mia silenziosa richiesta d’aiuto? Gli occhi iniziarono a
brillarmi di
speranza a stento repressa: finalmente qualcuno aveva compreso il mio
disperato
SOS. Grazie, grazie, grazie!
«Allora,
stammi bene a sentire…» continuò il mio
fratello-orso.
«Sììììììììì?».
«Dunque…
domanic’èlafinalenonèchemelapotrestiregistrarevero?
Tipregotipregotiprego!».
«Eh?».
Smisi di respirare.
«Ti
scongiuro! Credo che sarò un po’ occupato con
Rose, ma non posso assolutamente
perdermela! Ho scommesso dieci bigliettoni con Jazz! Ti prego,
Eddy-Teddy! Io
lo farei per te».
Avevo
cantato vittoria troppo presto.
Mi
venne una voglia improvvisa di mettermi a urlare come un matto,
prenderlo di nuovo
alla gola e ripetere la scenetta violenta di prima. E poi…
Eddy-Teddy?!? Da
quando in qua mi chiamava con quel nomignolo assurdo? Ma alla fine,
forse per
mancanza di fegato o perché ero veramente masochista, non
potei fare altro che
mormorare un incerto: «V-va bene».
«Oh,
grazie, grazie mille!». Emmett mi abbracciò con la
sua delicata stretta da
orso. «Vedrai, sarai adeguatamente ricompensato!».
Erano
ormai passate più di un paio d’ore da quando
Emmett e Rosalie si erano lasciati
alle spalle casa Cullen e i miei crucci e il buio era ormai calato
sulla
foresta circostante. Finalmente la fine di una giornata
d’inferno. Sospirai
chiudendomi la porta della mia camera alla spalle: Renesmee non mi
aveva serbato
altri scherzi di cattivo gusto e avevamo passato una serata
relativamente
tranquilla in salotto a giocare con i suoi peluche. Era stato
più facile di
quanto pensassi, tanto che per una buona mezz’ora tutti i
miei sensi erano
stati in massima all’erta in attesa di cogliere qualche
anomalia. Invece no,
Nessie almeno per quella sera aveva fatto la brava bambina, forse
perché ormai
era stanca dalla lunga giornata e non aveva altri trucchetti malefici
da
rifilarmi: ci sarebbe stato tempo il giorno dopo. Alla fine la mia
piccola si
era addormentata e io avevo finalmente tirato un sospiro di sollievo.
Ora
dormiva tranquilla nel lettino nella camera a fianco, che avevamo
sistemato
apposta per lei in vista delle notti che avremmo passate lontano dalla
nostra
fiabesca casetta nella foresta. Finalmente un po’ di pace per
un povero
vampiro, pensai.
Mi
avvicinai al mio impianto stereo ultima generazione, alla sola luce
della luna
iniziai a scartabellare tra i numerosi cd sparsi sul ripiano e ne presi
uno a
caso. Premetti il tasto PLAY, abbassando il volume quasi al minimo (ma
per il
mio udito da vampiro era più che sufficiente) in modo da non
svegliare
Renesmee. E subito nel piccolo ambiente si diffusero le dolci e lente
note di
un notturno di Chopin. Mi lasciai trascinare dalle note, immaginando le
mie
dita sui tasti bianchi e neri del pianoforte, e chiusi gli occhi per
lasciare
andare i miei pensieri alla deriva nell’infinito della mia
mente.
La
musica scorreva dentro di me come acqua, riempiendo ogni fessura,
attutendo
ogni rumore con il suo lento sciabordio e quasi fermando il tempo
sommergendo
ogni cosa con la sua superficie lucida e piatta. Per un
breve secondo i miei pensieri indugiarono sui
fatti di quel giorno, l’inadeguatezza e
l’esasperazione, ma in quel momento mi
sembrarono cose lontane mille miglia, quasi appartenenti a
un’altra vita. Mi
beavo di naufragare finalmente in quel vuoto di melodia. Riaprii gli
occhi e mi
diressi silenziosamente alla vetrata che occupava il lato sud della mia
camera.
L’intera stanza era invasa dalla luce azzurrognola e
argentata della luna, che
gettava strane ombre sui vari oggetti sparsi sul divano e sul
pavimento. Ma lo
spettacolo all’esterno era decisamente migliore. Aprii la
finestra e mi
appoggiai con i gomiti al davanzale, sporgendo fuori la testa per
assaporare la
fragrante aria notturna. Un refolo di vento fresco mi
scompigliò i capelli,
portando con sé l’odore umido della foresta e
della pioggia che aveva appena
smesso di cadere. Il gufare lontano di una civetta provenne attutito
dal
profondo degli alberi insieme allo scrosciare regolare del fiume.
Tutto, dal
prato al vialetto ai muri della casa risplendeva di una vellutata luce
argentata, che sembrava stendere su tutto ciò uno strato di
prezioso platino.
La foresta, poi, sembrava il gioiello più prezioso di un
famoso orafo; con la
mia vista acuta potevo vedere il bagliore lunare frangersi su ogni
foglia,
riflettendosi in mille altre sfumature. Istintivamente guardai verso
l’altro,
mentre la musica continuava il suo andamento sognante da dentro la
stanza, e
rimasi senza fiato.
Fatto
più unico che raro per Forks, le numi avevano lasciato il
cielo completamente
sgombro e la luna piena risaltava nel cielo blu scuro, incoronata da
una
miriade di piccole stelle. All’improvviso mi sentii
terribilmente piccolo e
insignificante di fronte a tanta bellezza e per la prima volta in tutta
quella
giornata stressante il mio pensiero andò a Bella.
Chissà se anche lei stava
guardando quel cielo blu trapunto di polvere d’oro? Quasi
istintivamente, come
se i vari pensieri fossero indissolubilmente concatenati, mi ritrovai a
pensare
alle innumerevoli notti passate nella sua camera a guardarla dormire,
sognare,
mentre il suo respiro regolare era di tanto in tanto interrotto da un
sussurro.
Come se fossi ritornato a quei giorni, potevo quasi sentire il suo
profumo
dolce e invitante, l’odore denso del suo sangue che mi
chiamava, che stuzzicava
la mia parte più brutale. E per un momento rimpiansi quel
tempo, in cui vedevo
Bella come il mio piccolo cucciolo terribilmente fragile e
costantemente
minacciato, che dovevo proteggere a costo della vita dalle insidie del
mondo. Ma
adesso era diverso. Da quando il mio cucciolo, il mio cerbiatto dagli
occhi
dolci era diventato un essere fenomenale e leggendario come me la
necessità di
proteggerla costantemente era cambiata. Non si era dissolta, ma si era
soltanto
spostata: ora la cosa da difendere di trovava nella stanza accanto e
sognava tranquilla.
Feci
un altro lungo respiro e di nuovo l’aria notturna umida e
pulita mi riempì i
polmoni. Il suono del pianoforte continuava la sua esecuzione,
indifferente ai
miei pensieri. E per la prima volta da non so quando, forse da quando
avevo
visto Bella per la prima volta, mi sentii completo: non
c’erano più vuoti o
punti oscuri nella mia anima, nessun strano solco nel mio cuore che
ogni tanto
gli faceva saltare qualche battito, nessuna landa senza significato tra
i miei
pensieri. Mi sentivo tutt’uno, senza pezze e senza scuciture,
intero e saldo
come non lo ero mai stato. In poche parole: realizzato. Avevo Bella,
avevo
Renesmee, avevo una casa e una famiglia che mi sosteneva. Non ero un
mostro,
non rubavo la vita agli altri per sostentare la mia. Non guardavo
impassibile
lo scorrere degli anni, prendendo atto con noncuranza delle persone che
venivano, sostavano e se ne andavano di nuovo. Non mi crucciavo giorno
e notte
su cosa ero o cosa non ero per poi liquidare il tutto con un
“non posso farci
niente”. Ero io: Edward Cullen. Non ero un vampiro qualsiasi,
con il sangue
nelle iridi rosse e nei pensieri violenti. Era qualcuno, una persona,
che amava
sua moglie, sua figlia, la sua famiglia e i suoi amici, a cui piaceva
la dolce
sensazione del vento sulla pelle, il tocco dell’erba appena
spuntata, la
frescura dell’acqua e il canto degli uccelli. Non ero un
cadavere che girava e
che per caso si comportava come un essere umano, fabbricando idee e
compiendo
azioni, ma rimanendo pur sempre qualcosa di morto e distaccato dal
contesto. Prima
mi si poteva mettere dappertutto: nulla cambiava. Ora se mi avessero
allontanato da Bella sarei morto, se mi avessero tolto la mia casa
sarei
rimasto turbato, se mi avessero tolto la mia
identità… E finalmente, pur avendo
provata quella strana sensazione di leggerezza e di stupore
già altre volte,
sapevo cosa significa essere felici. Sentirsi in pace col mondo e parte
di
esso.
Questi
pensieri sereni si andarono immediatamente a legare alla musica, che li
trasportò in ogni fibra del mio essere, facendole vibrare di
felicità. Senza che
me ne accorgessi i miei lineamenti si distesero del tutto e non mi
importava se
quel giorno non avevo saputo tener testa a una bambinetta. Non
importava che
fino ad allora mi fossi rivelato un completo fallimento come padre:
avrei
potuto recuperare, ce n’era tutto il tempo. Trasportato da
non so quali
pensieri lasciai la finestra e mi diressi nella stanza in cui dormiva
Renesmee,
per ammirarla sognare un’altra volta. E probabilmente sarei
rimasto lì tutta la
notte a vegliarla, come avevo fatto innumerevoli volte con Bella,
mentre la
musica nella stanza accanto passava alla traccia successiva del cd e
Für Elise
di Beethoven riempiva quella notte senza nubi…
Ok,
ok, premetto che non me ne intendo di musica classica, non è
proprio il mio genere, quindi scusatemi se le scelte musicali non erano
propriamente adeguante. Ah, naturalmente la citazione di Fur Elise nel
finale è un riferimento del tutto casuale alla sottoscritta
(FORSE). Vabbè... Dunque, come avete visto (e come avevo
promesso) in questo breve chap ho dato un po' di tregua al nostro Eddy.
E credo che la fase sdolcinata andrà avanti ancora per un
po'... quindi sopportatemi. Ok, non ho molto altro da dire, a parte che
spero che questo capitolo vi piaccia e di essere riuscita a calarmi
bene nei pensieri di Edward interpretando correttamente la sua bella
mente (cosa che mi affascina assai!). Ah, dimenticavo, non sono ancora
sicura della trama dei capitoli successivi, perciò se avete
suggerimenti di qualsiasi genere sono ben accetti! Passiamo ai
ringraziamenti:
Deb: tranquilla, sei
perdonata! Ma per questo chap mi aspetto una recensione coi fiocchi!
Kagome19: in effetti
mi è piaciuto giocare con la sua personalità...
e, sì, stravolgerla un po', vederla sotto una luce diversa.
Come ripeterò spesso, anche Edward Cullen, pur bello quanto
volete, non è perfetto...
eika: non ti
preoccupare, Rose ed Emm non sono così bastardi... almeno
per il momento. Comunque credo che Edward dovrà stare
attento in futuro a non far arrabbiare Emmett se non vuole essere
"vilmente" riccattato XD
MartinaCullen:
auguri anche a te! anche se il Natale è ormai passato...
be', Happy New Year!
Cassidy14: be', se
l'è cavata piuttosto bene la femminuccia eh? E in questo
chap io lo trovo così tenero... così
introspettivo... spero ti piaccia!
MimiMiaotwilight4e:
eh, sì.... perchè Edward in rosa vale!
Ah, piccola nota per quelli che recensiscono (che sarete in molti molti
molti veeeeeeero???), non scrivete solo "questa ff mi piace aggiorna",
così almeno vi posso rispondere adeguatamente! Ok, non
picchiatemi!
Ciao!
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Capitolo 5 *** Principe Azzurro... forse ***
5.
Principe
Azzurro… forse
Be’,
come avrete già notato a casa Cullen, al quartier generale
come lo chiamavo io,
non c’era granché da fare e in quel momento,
sinceramente, stare lì a fare il
cane da guardia in attesa del ritorno dei padroni era
l’ultimo dei miei
desideri. Così la mattina dopo, sul tardi, portai Nessie
nella nostra casetta
nella foresta, con la speranza che quella pacata atmosfera da Hasel e
Gretel
riuscisse a risollevarmi il morale almeno un po’. Ma ben
presto, dopo aver
rimesso in ordine la casa e bighellonato qua e là, mentre
mia figlia era
impegnata a combinare qualche altro pasticcio (preferivo non sapere di
che
sorta) in camera sua, scoprii con un certo disappunto che anche
lì di cose da
fare non ce n’erano. Che noia. Se almeno ci fossero stati gli
altri… Sbuffai e
presi seriamente in considerazione l’idea di piantare baracca
e burattini e
scappare a casa di Charlie da Bella. Ma sapevo benissimo quale sarebbe
stata la
reazione di mia moglie: “…e hai lasciato Nessie da
sola?!”. Perciò non mi
rimaneva altro da fare che… annoiarmi, sì. Per un
nanosecondo sperai perfino
che Renesmee mi tendesse una trappola delle sue: che so, disseminare il
pavimento di bucce di banana o imbrattare la mia Volvo di fango.
Così, tanto
per rompere quella dannata routine. Ma al momento la piccola sembrava
troppo
presa dai suoi giochi solitari per badare a me.
Non
so come, ma alla fine mi ritrovai nella camera che dividevo con Bella,
seduto
sul nostro letto immacolato a fissare immobile la libreria davanti a me
con
tutti i libri di mia moglie. Quella giornata non sarebbe finita
più, lo sapevo.
All’improvviso il mio sguardo cadde su un libro fuori posto,
incastrato
frettolosamente tra le file ordinate degli altri. Mi alzai dal letto
per metterlo
a posto e, quando l’ebbi tra le mani, lo riconobbi. Non era
molto spesso e
potevo sentire sotto i polpastrelli la sottile filigrana della
copertina
ricoperta da un pesante tessuto blu scuro decorato da ghirigori dorati.
Era il
libro di fiabe preferito di mia figlia, che Bella le leggeva tutte le
sere
prima che si addormentasse. Più di una volta mi ero
soffermato sulla soglia
della cameretta di Nessie ad ammirare quella scenetta tremendamente
dolce: Bella
seduta di fianco a quel lettino piccino che, alla luce soffusa di una
lampada,
sussurrava a mia figlia avvincenti storie di principesse, eroi, streghe
e
draghi. Senza rendersi conto che noi stessi eravamo una
favola… Sfogliai
lentamente le pagine del libro ricche di illustrazioni colorate e ormai
consunte
dal frequente utilizzo. L’odore intenso della carta e quello
pungente
dell’inchiostro mi invasero come un potente calmante, mentre
con la mia vista
acuta potevo scorgere ogni singola sbavatura nella parole stampate
sommariamente. Poi sentii qualcosa, come un ago appuntito, pungermi
dietro la
nuca, causandomi un prurito fastidioso. Mi voltai e non mi stupii di
vedere
Nessie ferma sulla soglia che studiava attentamente ogni mio singolo
movimento.
«Che
fai?» chiese.
Domanda
superflua: mi sembrava evidente. «Leggo, no?».
Non
mi rispose, ma in compenso mi rivolse una strana espressione che non
seppi
decifrare e che forse stava per un “ah,
già”, per poi saltare con un balzo
felino sul letto matrimoniale e cingersi le ginocchia con le braccia.
Il suo
sguardo furbo sempre attaccato a me e al libro che avevo in mano.
«Mi
annoio» borbottò alla fine.
«Anch’io»
confessai, sedendomi accanto a lei.
«Quando
tornano gli altri?».
«Non
lo so. Be’, zio Emmett e zia Rosalie sono appena partiti. Gli
altri presto…
credo».
«E
la mamma?».
Sospirai
per la milionesima volta: me lo chiedevo pure io. Quella casa senza
Bella era
diversa, più silenziosa, più cupa e triste.
«C’è
molto da fare a casa di nonno Charlie, lo sai, no?».
Nessie
annuì, arresa, e tornò a poggiare il mento sulle
ginocchia. Sapevo benissimo
cosa provava: dopotutto chi glielo faceva fare di rimanere chiusa in
casa con
un incapace che sosteneva di essere suo padre? Mi guardai attorno in
cerca di
qualcosa che potesse divertire la bambina, far passare un po’
di tempo e,
magari, farmi riguadagnare qualche punto. E mi ricordai del libro di
favole che
avevo in grembo.
«Ti
va di ascoltare una favola?» sussurrai timidamente.
Con mia grande sorpresa mia
figlia mi guardò
stupita e un accenno di sorriso le illuminò il viso,
contagiandomi.
«Va
bene» disse raggiante. Perfetto, finalmente ne avevo
azzeccata una!
«…e
così il principe del Nord salvò la bella
principessa dalle trecce d’oro dopo
aver confitto il malvagio re dei topi. I due si sposarono e il castello
dell’Alba si popolò di tanti bei bambini. E
vissero per sempre felici e
contenti».
La
mia voce si spense dolcemente mentre mi soffermavo a osservare
l’illustrazione
alla fine della storia: il principe e la principessa in una grande sala
della
loro reggia che ballavano abbracciati teneramente; la principessa era
davvero
bellissima nel suo vestito rosso intenso.
«Mmmm»
mugugnò Renesmee.
Ormai
doveva aver sentito quella storia almeno un centinaio di volte, pensai.
«Allora?»
domandai. «Sono abbastanza bravo a raccontare
fiabe?». Ti prego di’ di sì,
dammi almeno questa soddisfazione!
«Sì…»
mormorò Nessie, ma il suo tono era incerto.
Un’espressione preoccupata
s’impadronì del mio volto: doveva avevo sbagliato
quella volta?
«No,
no, sei bravo, davvero!» esclamò poi accorgendosi
del mio volto. «Solo che…
be’… la storia è sempre quella. Non ne
avresti qualcuna nuova?».
C’era
da immaginarselo. Mi misi a pensare freneticamente a tutte le fiabe o
cose
simili che avevo sentito nella mia lunga vita, nel disperato tentativo
di
rimettere insieme i pezzi e costruire qualcosa di decente. Ma,
be’, i vampiri
non sono dei grandi appassionati di favole, quindi le uniche storie a
cui la
mia memoria poteva risalire erano quelle che avevo udito durante la mia
breve
esistenza da umano. Però era ormai passato tanto tempo e mi
rimanevano solo dei
ricordi sbiaditi e pezzi ammuffiti sparsi qua e là,
decisamente insufficienti
per costruire una trama. E di certo molto più scadenti delle
fiabe che poteva
proporre il libro di Nessie. Stavo per rispondere che no, non conoscevo
nessuna
storia migliore di quelle, con la delusione dipinta in faccia, quando
mi venne
un colpo di genio. Ma certo! Quale racconto era più
avvincente e ricco di
particolari di quello?
«Sì,
ne ho una che potrebbe piacerti».
Presi
un profondo respiro e, assumendo un tono di voce profondo e intrigante,
iniziai.
«C’era
una volta in un paese lontano lontano una piccola città
felice, dove tutti si
conoscevano e non si curavano delle crudeltà del mondo
esterno. A capo di
questa città c’era un vecchio re buono, a cui
però le ingiustizie della vita
avevano sottratto la moglie, lasciandogli una sola figlia. La
principessa era
la più bella del paese e, probabilmente, del mondo intero. I
sudditi la
lodavano per la sua dolcezza, la sua gentilezza e il suo coraggio ed
era ben
vista da tutti. Però la ragazza non era del tutto felice,
infatti sentiva che
le mancava qualcosa per rendere la sua vita piena e perfetta. Un giorno
nella
piccola città arrivò un gruppo di stranieri:
erano molto strani e non passarono
di certo inosservati. Questi stranieri non erano come gli altri,
difatti
possedevano dei poteri magici sensazionali e per questo la gente del
luogo li
temeva e girava alla larga da loro. Vagavano per il mondo in cerca di
una terra
dove stabilirsi e vivere in pace e tra loro c’era un giovane
principe
bellissimo: appena lo videro subito tutte le ragazze del paese caddero
ai suoi
piedi. Ma lui non desiderava spasimanti o ricchezze, bensì
era in cerca della
propria identità, che aveva perduto quando era stato
esiliato dalla sua patria
per via delle sue anomalie. Con i suoi straordinari poteri aveva
compiuto gesta
eroiche e si era guadagnato l’affetto e la stima dei suoi
compagni, che ormai
erano diventati la sua famiglia. Eppure si sentiva vuoto, proprio come
la
principessa. Gli stranieri andarono dal re per chiedergli di poter
dimorare nel
suo regno e il buon sovrano li accolse benevolmente. In
quell’occasione il
principe senza terra vide per la prima volta la principessa e se ne
innamorò
follemente a prima vista: finalmente aveva trovato quello che andava
cercando
da tanto tempo nei suoi vagabondaggi. Anche la dolce principessa
notò il
principe e rimase colpita dalla sua rara bellezza, ma il mistero che
avvolgeva
la strana compagnia la turbava. Per il periodo in cui visse in quella
città
felice il principe non riuscì a darsi pace: il suo amore era
troppo forte e gli
provocava un dolore immenso. Si recava spesso a palazzo di nascosto per
vedere
la sua bella e nel paese s’iniziava a vociferare; al popolo
non piacevano
granché quei forestieri, ma non osavano contraddire la
decisione del re. Pian piano
la principessa si accorse delle pene
del giovane e il suo cuore si riempì di amore per quel
poveretto. Sapeva
benissimo che suo padre non avrebbe mai acconsentito a darla in sposa a
uno
sconosciuto venuto da chissà dove e senza niente in tasca.
Tuttavia l’amore era
più forte di qualsiasi convenzione e la principessa, ormai
innamorata persa,
sentiva di non provare il timore reverenziale dei suoi concittadini nei
confronti di quei singolari individui e dei loro poteri magici.
Purtroppo un
brutto giorno il re di un regno confinante, senza scrupoli e assetato
di potere
e di ricchezza, decise di invadere il piccolo paese felice.
All’arrivo del
terribile esercito il cielo fu oscurato da dense nubi nere e il sorriso
scomparve dai volti degli abitanti. La principessa era quella che
soffriva di
più per quella triste condizione e, durante
l’assedio, decise di consegnarsi al
nemico per porre fine alla guerra e alla sofferenze del popolo. Il
malvagio re
stava per ucciderla, quando il principe intervenne prontamente in
soccorso
della sua amata. Inscenò un duello all’ultimo
sangue con il perfido tiranno,
ricorrendo a tutti i suoi strabilianti poteri magici. Ma non gli
servirono a
molto, visto che anche il re cattivo sapeva usare la magia.
Però alla fine il
principe, non senza l’aiuto dei suoi fedeli compagni, spinto
dal profondo amore
per la principessa, ebbe la meglio e uccise il nemico. Così
la pace e la felicità
tornarono a regnare nel piccolo paese, il principe e i suoi amici
furono lodati
e acclamati come eroi dalla gente e non furono più temuti.
Anche la principessa
era felice di poter riabbracciare il suo amato e suo padre, vedendo la
gioia
negli occhi della figlia, acconsentì al matrimonio.
Così i due si giurarono
eterno amore davanti a tutti e vivono ancora insieme nel grande palazzo
reale.
Felici. Per sempre».
Conclusi
con una leggera flessione della voce e non potei fare a meno di fissare
rapito
Renesmee. Non l’avevo mai vista così, almeno non
fino a quel momento. Sembrava
basita, stupefatta, come se avesse appena udito la cosa più
bella del mondo.
Era letteralmente rimasta senza fiato, immobile come pietrificata, gli
occhi
spalancati con fare sognante. Non c’era che dire: ero
riuscito a colpirla.
«Ma…
ma… ma è bellissima!»
balbettò ancora senza fiato.
Sorrisi,
estremamente compiaciuto: avevo appena trovato la mia vocazione
naturale.
«Sembra
così vera!».
Be’,
non era stato difficile prendere una pezzo della storia delle
vicissitudini mie
e di Bella e rielaborarle in chiave fiabesca. Così Forks era
diventata il
piccolo paese felice, Charlie il vecchio re buono, Bella la
principessa, la mia
famiglia il gruppo di misteriosi stranieri, James il re cattivo e
io… be’, il
principe. Non che mi andasse molto a genio quel paragone (io il
principe
azzurro? Mpfh), ma era solo per esigenze di copione. Ovviamente Nessie
non
conosceva tutta la storia d’amore dei suoi genitori, anzi
sapeva solo che un
vampiro anomalo si era innamorato di una comune umana e
l’aveva trasformata
subito dopo che lei era nata. Così tutta questa roba suonava
completamente
nuova alle orecchie della mia bambina… e tremendamente
romantica alle mie.
«Grazie»
risposi e, se fossi stato ancora umano, sarei di sicuro arrossito.
«Sul
serio, non è come le altre fiabe che mi racconta sempre la
mamma!». Nessie era
ancora tutta eccitata. «E il principe… oh!
È stupendo, così diverso!
Non è come gli altri, tutti
perfetti, belli e ricchi: ha qualcosa di strano. Insomma,
all’inizio non sapeva
bene chi era e… e c’era oscurità e
solitudine nei suoi pensieri. Aveva paura e
gli altri principi non hanno mai paura… e non sono mai
tristi. Loro sono già
perfetti così come sono, ma invece a lui mancava un pezzo. E
quando ha
incontrato la principessa… anche lei non era come tutte le
altre, belle,
superficiali e sempre sorridenti. Anche lei, come il principe, si
sentiva
incompleta e aveva paura di essere innamorata, perché sapeva
che non sarebbe
stato visto di buon occhio dagli altri questo suo sentimento. Tutti e
due non
erano sicuri di se stessi come gli altri personaggi delle fiabe! E, in
particolare il principe, alla fine capisce qual è il suo
posto nel mondo e…
trova se stesso».
Rimasi
letteralmente senza parole: ma era una bambina quella che avevo davanti
o un
critico letterario plurilaureato? Sempre più spesso Nessie
riusciva a
sorprendermi come nessun altro; aveva una mente quasi adulta
intrappolata in un
corpo ancora infantile. Accidenti, neanche io avevo visto sotto
quell’ottica la
mia mezza favoletta; mi ero solo preoccupato che rispettasse i canoni
letterari
imposti dal genere e che fosse abbastanza fedele alla
realtà, punto.
«Be’,
sei proprio sicura che questo principe ti piaccia? Dopotutto non
è davvero un
principe, infatti, come hai detto tu, aveva paura… e i veri
principi azzurri non
hanno mai paura. E poi non ha un regno, neanche un cavallo bianco!
Nessuno sa
chi sia ed è, be’, piuttosto strambo con quei
poteri magici. I principi azzurri
sono ammirati dalla gente, non temuti! E… e il mio principe
ha una parte oscura
nella sua anima». Non sapevo bene perché ma
sentivo di non meritare quella
lode, anche se indiretta: non ero mai stato un eroe e neanche la mia
brutta
copia fiabesca poteva esserlo.
«Ma
alla fine si mostra com’è veramente: buono e
coraggioso. Ama tantissimo la
principessa… questo non è a suo favore? Quando
vuoi davvero bene a qualcuno…
basta quello. Non importa il passato e con le sue
“stranezze” ha salvato il
paese, no? E poi non importa: è un principe nuovo e mi
piace! Gli altri sono
noiosi… e poco reali». Nessie non demordeva e il
dibattito si prospettava
acceso.
«Hai
ragione» concessi, «ma quella che ti ho raccontato
era una favola e i principi
delle favole sono coraggiosi e perfetti. Nella realtà
è un’altra cosa…».
Non
rispose e mise su un muso lungo, continuando a guardarmi con fare di
sfida. Non
era stata una grande idea demoralizzare così il suo
principe, pensai. Ecco, mi
ero appena guadagnato altri due scherzetti. Cosa preferisci, Edward? Le
rane
nel letto o i vestiti sbrindellati?
«Sì,
nella realtà non esistono i principi azzurri, questo lo
so» borbottò lei alla
fine, senza però abbandonare il suo tono arcigno.
«Per lo meno non i principi
azzurri della altre favole… Ma principi come quello di prima
sì!».
«Ah
sì?». Che avesse scoperto la mia messa inscena?
Improbabile…
«Sì!
Anzi sono perfino meglio del tuo principe… perché
non hanno bisogno di vagare
per il mondo per trovare quello che può completarli; ce
l’hanno già».
Trattenni
a stento un sorriso. Mmm, non ce lo vedevo molto Jacob nei panni di un
principe
azzurro, vestito di tutto punto con la calzamaglia e il cappello con la
piuma.
Ahahahah!
«Tipo?»
chiesi.
«Be’,
io il mio principe l’ho già trovato. Sei tu».
Rimasi
per un attimo senza fiato, sicuro di aver sentito male. Io? Non Jacob?
Cos’era
questa storia?
«E
perché? Perché io e non Jacob, per esempio? Sai
che ti vuole molto bene, vero?
E credo che abbia un debole per le belle
bambine…». Mmm no, messa così suonava
da pedofili… vabbè.
«Ok,
Jacob mi piace e tutto ma… Alla fine sei sempre tu che mi
salvi, papà, anche se
ti faccio arrabbiare tanto. Sei sempre in prima fila quando si tratta
di me,
forse anche prima della mamma. Quella volta con i Volturi…
se ce ne fosse stata
la necessità saresti stato anche più bravo del
principe».
Oddio…
davvero? Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Gli occhi iniziarono
a
prudermi; forse era una reminiscenza delle lacrime che non potevo
concepire che
spingevano per poter essere versate. Deglutii per attutire quello che
avrebbe
potuto benissimo essere un singhiozzo, se accompagnato dal pianto.
Ero… commosso. Commosso,
sì. Sapevo benissimo
che Bella mi amava alla pazzia, quindi non mi sorprendevo
più del dovuto quando
diceva di amarmi. Ma Renesmee… Fino a cinque minuti prima
avevo creduto che mi
ritenesse un incapace, un completo fallimento. Credevo che si
vergognasse,
perfino, ad avere un padre come me. In fondo cosa potevo darle? Non
sapevo
niente, non avevo idea di cosa fosse un padre, a cosa potevo
aggrapparmi? Aveva
un’altra decina di persone che potevano benissimo
sostituirmi: di certo loro
erano più interessanti. Aveva Bella, che sembrava fosse nata
per proteggere
quella piccola creatura, e Jacob, che si sarebbe sdraiato nel fango per
lei. Io
ero solo una figura utile per la nostra finzione di coppietta felice
con
neonata a carico. Qualcosa che compariva nelle fotografie, che la
osservava
ammirato e si domandava come stesse… per poi scappare sempre
alla prima
occasione per non dover render conto dei suoi doveri. Proprio come il
principe
avevo paura di capire chi ero davvero. Non mi sarei mai e poi mai
immaginato
che Nessie mi vedesse sotto quella luce o che anche solo vedesse in me
una
figura paterna in grado di proteggerla da tutto e da tutti.
Senza
che un comando preciso partisse dal mio cervello, mi allungai in avanti
e
l’abbracciai con delicatezza, come facevo con Bella quando
era ancora umana,
affondando il volto nei suoi boccoli bronzei, che mi ricordavano
vagamente il
meraviglioso profumo di mia moglie.
«Grazie»
le sussurrai all’orecchio. Poteva sembrare banale, ma in
quella semplice parola
era rinchiusa tutta la riconoscenza di questo mondo: finalmente avevo
trovato
la mia (seconda) principessa e avevo capito la strada da seguire. Non
avrei saputo
dire chi era il bambino…
«Questo
però non vuol dire che la smetterò con gli
scherzi» rispose lei e la sua voce,
ora così vicina al mio orecchio, assomigliava al tintinnio
di campanelle.
Mi
staccai da Renesmee con un sorriso radioso: poteva farmi tutti i
dispetti che
voleva, li avrei accettati di buon grado. Mi alzai dal letto e andai ad
aprire
la finestra; aveva ricominciato a piovere e ciò significava
che, mentre il mio
cuore era in subbuglio, il mondo esterno continuava il suo normale
corso. Inspirai
profondamente l’aria fredda e umida: ero un principe e
azzurro per di più! Però
mi mancava il cavallo bianco. Be’, pensai con un altro
sorriso, potevo sempre
usare Emmett. Ero talmente felice che mi sarei lanciato fuori dalla
finestra e
avrei iniziato a correre velocissimo tra la foresta, finché
non fosse
sopraggiunta la notte. Ma mi trattenni e la vocina di mia figlia mi
riportò
alla realtà.
«Papà,
posso chiederti una cosa?».
«Sì,
tutto quello che vuoi». Ormai non poteva turbarmi
più nulla.
Notai
che Renesmee sembrava imbarazzata, mentre si stropicciava le manine
candide e,
arrossendo, abbassava lo sguardo.
«Non
c’entra molto, però… è un
po’ che me lo chiedo. Ma come
nascono i bambini?».
E
rieccomi finalmente con un altro capitolo del filone
sentimentale-stucchevole-commovente-diabetico, di cui, mi dispiace,
troverete ancora qualche strascico nel prossimo cap (credo), visto che
avevo scritto anche un'altra scena che all'inizio doveva andare qui ma
che ho dovuto spostare per ragioni di lunghezza. Be', vi
toccherà sopportarmi, perchè in questo periodo mi
sento proprio romantica sìsì. Vabbè,
passiamo subito ai ringraziamenti:
Deb: Sì,
Eddy-Teddy mwahahah mi è venuto fuori di getto.
Vabbè, no Emm-emm ha già la sua Barbie (Rose),
quindi mi dispiace deluderti. Poi... gli scherzetti di Nessie
torneranno appena mi sarà passata la febbre romantica
(presto, tranquilla). Per quanto riguarda la domanda... No, Bella non
ha un amante (per fortuna... sennò non sarebbe ancora viva
XD) e non va da Eddy la notte semplicemente perchè, be',
anche Charlie è un padre e ha piacere avere un po' con
sè sua figlia! E poi magari Bella di notte continua a
mettere a posto, no?
Lady Patfood e Cassidy14: grazie
mille per i complimenti... spero che mi rimarrete fedeli, ne'?
MimiMiaotwilight4e:
no, Emmett non è folle... è solo sottomesso! Come
già detto Rose sa essere molto convincente (e fare mooooolta
paura quando si arrabbia). E poi magari gli ha promesso qualcosa in
cambio... sennò secondo te perchè Emm non
può vedere la partita????
Kagome19: quoto
pienamente! Sì, in Twilight può sembrare il
tipico idolo delle ragazzine (ma lo amo lo stesso!). Negli altri
libri... mi è piaciuto in particolare un casino quando dopo
tutta la faccenda di Volterra Ed ammette di essersi sbagliato a
interpretare certi sentimenti di Bella e a fare certe azioni (vedi:
lasciarla)
Padfoot07: mi hai
tolto le parole di bocca: è stata proprio con l'intenzione
di tappare questo "buco" che mi sono messa a scrivere. Grazie per la
stupenda recensione! Mi fa piacere che ti sia piaciuto molto anche
l'Eddy introspettivo (oltre che quello imbranato XD). Avevo
già in mente di inserire Jacob nei prossimi capitoli e di
far tornare presto Bella (non so se riuscirò a fare entrare
tutto nel prossimo però eh). Grazie ancora!
eika:
giàààààààààà!
Infatti devo confessare che ci sono rimasta un po' male quando
è diventata una vampira: mi mancheranno le sue cadute T_T
ilesnape: grazie
anche a te! Non ti preoccupare, Edward rimarrà sempre un
mito... anche con i tacchi a spillo XD
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Capitolo 6 *** Tic tac, tic tac ***
6.
Tic
tac, tic tac
«Co-come?».
Alt,
errore Edward: nulla poteva più turbarmi tranne quello.
Accidenti, avrei dovuto
aspettarmelo. Anzi, no, non così presto. Ok che Nessie aveva
un’intelligenza e
una complessità di pensiero decisamente fuori dalla norma
per la sua età, però…
era ancora una bambina! Insomma, non potevo certo dirle che io e
Bella… ehm…
sull’isola Esme… e poi… No, no, no, NO!
Dovevo inventarmi qualcosa. In fondo
tutti genitori all’inizio raccontano balle su balle ai propri
figli su quella cosa lì,
no? Ecco, ma il problema
era che, semplicemente, la mia mente “acuta” non
aveva ancora formulato una
tesi abbastanza soddisfacente e allo stesso tempo innocente su
quell’argomento.
In poche parole, ero stato preso alla sprovvista.
Nessie,
nel vedermi esitare, arrossì ancora di più e mi
lanciò una veloce occhiata
supplicante, forse per chiedermi di non farle ripetere la domanda,
visto che
probabilmente le c’era voluto tutto il coraggio di una vita
per formularla. E
poi sapeva benissimo che con il mio udito acuto avevo recepito
più che bene il
senso di quelle parole.
«Be’,
è una cosa piuttosto complicata… e…
e… forse sei ancora un po’ troppo
piccola…
io…». Dannazione, Edward pensa a qualcosa!
Inventati una cavolata qualunque
tanto per tenere a bada la sua curiosità! Intanto gli occhi
di Nessie
continuavano ad andare dal pavimento a me, che mi stavo evidentemente
impantanando nelle mie stesse parole. Forse si stava rimangiando quello
che
aveva appena detto.
«Be’…»
intervenne alla fine venendo in mio aiuto. «Avevo
già chiesto a zio Jasper e
zio Emmett e…».
Un
brivido mi corse lungo la schiena: cosa aveva fatto?!? O mio Dio,
chissà cosa
le avevano raccontato i miei fratelli, in particolare quel pervertito
di
Emmett, che non vedeva l’ora di vedere mia figlia strabuzzare
gli occhi davanti
a una strana e tutt’altro innocente realtà. Se non
fossi stato freddo come il
ghiaccio, di certo avrei iniziato a sudare per l’ansia.
«E
cosa ti hanno detto?» domandai con una nota di timore nella
voce.
Intanto
speravo che per una volta nella vita, o meglio
nell’eternità, quei due avessero
usato quella minima percentuale di buonsenso e serietà che
forse possedevano in
qualche remota parte del loro cervello. Renesmee trovò il
coraggio di tornare a
guardarmi in faccia e rispose: «Zio Jasper ha detto che i
bambini li portano le
cicogne».
Sospirai
di sollievo: oh, grazie Jazz!
«Però
secondo me non è vero. Insomma, come fa la cicogna,
poverina, a portare tanti
bambini in tante parti del mondo? E poi magari questo è vero
per i bambini
umani, ma io sono speciale, sono mezza vampira, no?».
«Giusto.
Quindi?».
«Quindi
ho chiesto a zio Emmett…».
Tipregotipregotipregotipregotiprego,
fai che almeno per una volta quell’orso abbia applicato il
suo unico neurone in
modo corretto.
«…e
la sua storia mi sembrava già un po’
più convincente. Ha detto che una sera tu
e la mamma vi annoiavate e…».
Oddiooddiooddiooddiooddio,
cosa? Non è vero, non ci stavamo annoiando! È
solo che era la nostra prima
notte di luna di miele e Bella… No, no, no, dai non poteva
averle detto proprio
quella cosa lì! A quel
punto fui
sicuro di stare sudando freddo. Aiuto.
«…e
quindi avete deciso di andare a fare shopping. Poi la mamma mi ha visto
nella
vetrina di un negozio e le sono subito piaciuta tanto, così
tu mi hai comprata
per farle un regalo».
Shopping?
Ahahah! Per poco non scoppiai a ridere. Possibile che davvero Nessie si
fosse
bevuta quella fandonia? Con Alice che insisteva sempre per portarla in
giro per
centri commerciali e negozi vari avrebbe già dovuto notare
da sé che non
esistevano rivenditori di bambini e, men che meno, di bambini mezzi
umani e
mezzi vampiri. Be’, mi dissi, però sempre meglio
lo shopping sfrenato che quella cosa
lì. Dovevo ricordarmi di
ringraziare Emmett.
«Però
c’era qualcosa che non mi convinceva. Così ho
deciso di chiedere a nonno Carlisle.
Visto che lui è un medico dovrebbe saperlo, no?».
Ecco,
ero curioso di sapere cosa il mio padre acquisito aveva rifilato a mia
figlia.
Per un attimo mi tranquillizzai, tanto sapevo benissimo che di Carlisle
mi
potevo fidare ciecamente e che non era certo il tipo, con la sua
pacatezza da
medico, da inculcare strane idee nei bambini.
«E
cosa ti ha detto?» chiesi incuriosito.
«Niente».
«Come
niente?».
«Ha
detto che era una faccenda abbastanza complicata e che era meglio che
chiedessi
a te o alla mamma. E dato che la mamma adesso non
c’è…».
Ma
porc…! Secondo errore, Edward: non ti puoi fidare ciecamente
di nessuno,
neanche di colui che ti ha dato una nuova vita, salvandoti da morte
certa, e ti
ha aiutato a sentirti in pace con la tua coscienza. Strano, ancora dopo
quasi
un secolo di convivenza mi ritrovavo a scoprire un nuovo lato della
personalità
di mio “padre”: quello che gli diceva che era
meglio scaricare certe incombenze
sulle spalle di qualcun altro. Vedi: me. E grazie tante.
«Quindi
se me lo puoi spiegare tu per favore…». Gli occhi
di Nessie si fecero se
possibile ancora più ampi e dolci, assomigliando a quelli di
un cerbiattino
spaurito.
Ripeto:
grazie tante. Come prima con la storia, anche adesso non sapevo che
inventarmi,
ma con una piccola differenza; se prima si trattava di una semplice
favola con
lieto fine, qui invece stavo mettendo in gioco, oltre alla mia
dignità (non so
come, ma in qualche modo c’entrava), nonché
l’educazione di mia figlia. Non
avevo mai affrontato l’argomento “come nascono i
bambini” con nessuno, o almeno
con nessuno che ricordassi, ovviamente. Ce lo vedo proprio il piccolo
Edward
umano che, arrossendo come Nessie, poneva la fatidica domanda a sua
madre.
Avrei dovuto parlarne prima con Bella, anche solo per accordarci sulla
versione
da dare, ma non c’era tempo. Rispondere o morire (e visto che
la seconda
opzione mi era negata, fare una bruttissima figura). Poi mi riscossi.
Maledizione, ero un principe azzurro, come aveva appena affermato
Renesmee, che
combatteva i nemici cattivi, dovevo pur saper rispondere a quella
semplice
domanda, no? Presi un profondo respiro per cercare di calmarmi e con un
movimento fluido e repentino abbandonai la finestra aperta per tornare
a
sedermi sul letto accanto a Nessie, che aspettava pazientemente una
risposta.
Intanto inizia a parlare (magari senza pensare all’isola Esme
e a tutti gli
annessi e connessi), mi dissi, e vedrai che qualcosa ne
verrà fuori.
«Vedi,
per far sì che nasca un bambino bisogna innanzitutto che due
persone si
vogliano molto molto bene. Ma non bene come potresti volere a un amico,
ma che
si amino proprio, come il principe e la principessa della storia, e che
vogliano vivere per sempre insieme felici e contenti. E se
c’è pure un bel
castello è anche meglio» cominciai a blaterare
tanto per prendere tempo.
Nessie
annuì attenta. «Un po’ come te e la
mamma».
«Esatto.
Proprio come me e la mamma, sì». Ecco, e adesso?
Chiusi
un attimo gli occhi per concentrarmi, cercando di non badare allo
sguardo quasi
famelico della bambina al mio fianco. Senza un motivo preciso mi
ritornarono in
mente tutte le notti che avevo passato in camera di Bella, quando lei
ancora
non sapeva cosa ero, a guardarla dormire, ad assaporare il suo profumo
paradisiaco e ad ascoltare rapito il battito del suo cuore. Se mi
concentravo a
fondo potevo perfino sentire ancora una volta quel flebile ticchettio
rimbombarmi nelle orecchie con ritmo cadenzato. Tic tac, tic tac.
Così, proprio
come un orologio. Ero sempre rimasto affascinato da quel rumore
così strano
eppure così dolce, a cui bastava così poco per
trasformarsi in un violento
rullo di tamburi e ancora meno per essere messo a tacere. Avevo cercato
di riprodurre
quel suono melodioso nella ninna nanna per mia moglie, ma era niente in
confronto all’originale. E tutto per me, almeno
finché la mia amata era ancora
umana, si era fondato su quel ticchettio; lo cercavo ossessivamente tra
una
miriade di altri suoni stonati per sapere che il mio tesoro stava bene,
che era
ancora qui per me. Che battesse per me e che pompasse amore in ogni
fibra del
suo corpo. Ero geloso di quel battito e altrettanto triste di non poter
rispondergli con un suono adeguato del mio cuore morto e silenzioso. Il
mio
cuore ormai non batteva più da un secolo, ma in qualche modo
trovava conforto in
ogni singolo rintocco di quello di Bella. Ehi, e se forse…
Riaprii gli occhi e,
sempre con quel rumore nelle orecchie, risposi ora più
sicuro.
«Come
dicevo, bisogna volere tanto bene a quest’altra persona,
così tanto da riuscire
a tenere il conto dei battiti del suo cuore per un giorno intero. Non
sembra,
ma in realtà è molto difficile, infatti ci sono
battiti talmente lievi che sono
difficoltosi da cogliere. Ma se ci riesci, se riesci a tenere il conto
senza
mai sbagliare, puoi esprimere un desiderio e questo si
avvererà di certo».
«E
tu cos’hai chiesto?».
«Be’,
mi sembra ovvio. Altrimenti non sarei qui a parlarne con te».
Le scompigliai
dolcemente i capelli ritrovando finalmente il sorriso e la calma. Non
sapevo
come mi fosse venuto in mente, ma quella mi sembrava la risposta
migliore da
dare. E, anche se non potrebbe sembrare, la più vera: amavo
talmente tanto
Bella non solo da riuscire a tenere il conto dei battiti del suo cuore
per un
giorno, ma anche per anni se necessario. Se ero riuscito in
quell’impresa
voleva dire che amavo davvero mia moglie, alla follia e di
più. E quando vuoi
così bene a qualcuno, questa forza è
così grande da far sì che tutto diventi
possibile. Se per me è stato possibile amare Bella fino a
questo punto, be’,
allora anche tutto il resto era possibile, ogni desiderio si poteva
avverare.
E, infatti, Nessie era al mio fianco ora.
«Ed
è per questo che appena sono nata la mamma era ancora umana?
Perché così il suo
cuore batteva e potevi contare i suoi battiti… mentre il
cuore di un vampiro…».
«…
non batte, sì».
Non
batte.
Certo, perché morto. Ha ormai cessato il suo dolce canto da
tanto tempo che nel
petto non ne rimane nemmeno una vaga eco. Quel particolare, il fatto
che quel
piccolo ingranaggio sulla sinistra fosse ormai silenzioso, aveva
costituito un
punto a favore della mia teoria secondo la quale i vampiri sono dei
mostri.
Avevo sempre pensato che un cuore pulsante significasse tutto, che
racchiudesse
non solo la vita ma anche l’identità di una
persona. Il cuore, secondo la
concezione comune, è la sede dei sentimenti, delle emozioni
più forti e
irrazionali e, quando cessava il suo ritmo regolare, finivano i
pensieri e le
passioni. E se il mio cuore era fermo dal 1918 significava che non
potevo
provare rabbia, gioia, tristezza, affetto… amore. E un
essere che non prova amore,
ma continua a vivere, è un mostro. Nessie doveva aver
intuito i miei pensieri,
visto che, con un’espressione mesta, mi strinse dolcemente
una mano e disse:
«Secondo me anche il tuo cuore batte. Dopotutto vuoi bene
alla mamma, no? Sì e
se la ami tanto, ed è così, vuol dire che il tuo
cuore batte. Quando si vuole
tanto bene a qualcuno il cuore batte fortissimo e tutte le emozioni
vengono da
lì, come anche il bene che vuoi alla mamma… e a
me».
Senza
alzare lo sguardo dalla sua piccola mano calda poggiata sulla mia,
pallida e
fredda, la presi con delicatezza e poggiai il suo morbido palmo sul mio
petto,
proprio lì dove doveva essere il cuore. E come anche lei
poté costatare, non
c’era niente che batteva lì sotto le costole, ma
solo silenzio e un cuore morto
che esisteva per puro scherzo. Nessun ticchettio vitale e confortante.
«Eppure
qui non c’è niente. Lo puoi sentire anche
tu». La mia voce fu di nuovo spezzata
da quella specie di singhiozzo di poco prima. Il mio cuore non aveva
senso.
Perché non potevo averne uno caldo e vivo come mia figlia? E
ora l’avevo rubato
anche a mia moglie… Nessie si morse il labbro inferiore,
costatando la
terribile verità, ma continuava a guardarmi con quei due
occhi da cerbiatto che
facevano trasparire un’immensa compassione.
«Secondo
me il tuo non è un battito che si può sentire.
Non è qualcosa di fisico, ma di
più profondo. Non so come spiegarlo, ma rimane il fatto che
vuoi tanto bene a
me, alla mamma e agli altri e quindi ci deve essere un cuore che batte.
Diciamo
che il tuo è un battito più…
spirituale, ecco».
La
fissai attento, bevendo ogni sua parola, e un velo, accompagnato dal
fastidioso
prurito di poco prima, mi annebbiò la vista. Dio, stavo
diventando una
femminuccia: che vampiro rammollito!
«Sul
serio?» sussurrai e qualcosa nel mio tono suonava timoroso.
Forse perché avevo
paura di scoprire che tutte le orribili idee che avevo associato alla
mia
figura leggendaria non erano altro che insensati castelli di carte.
«Certo.
Ti fidi di me?».
Nessie
riportò la sua manina candida sul mio petto dove
l’avevo posata poco prima e
improvvisamente un flusso di immagini colorate mi sbocciò
davanti agli occhi. Tutti
i ricordi di mia figlia che mi stava trasmettendo tramite il suo potere
speciale per avvalorare la sua tesi: io che stringevo Bella tra le mie
braccia
e la baciavo piano, tutte le carezze che davo a Renesmee quando per lei
era
ormai ora di andare a dormire e tutt’un altro ventaglio di
immagini che non
potevano dimostrare altro che la mia capacità di…
amare.
«Sì»
risposi sicuro.
Il
mio petto all’apparenza era ancora silenzioso, ma
all’improvviso, scavando più
a fondo, riuscii a sentire qualcosa, come un piccolo tonfo, al mio
interno
anche se non seppi dir bene dove. E quel qualcosa, dapprima lentamente
e poi
sempre più veloce, iniziò a pulsare proprio come
un cuore vero. E, soprattutto,
vivo. Ero un principe azzurro, no? Sì, e un principe azzurro
che si rispetti
ama la sua principessa e il suo cuore batte follemente per lei.
Il
suo profumo era ottimo, come sempre. Un misto di fresia, lavanda,
gelsomino…
zucchero filato, forse. Un bouquet unico e originale, che
però a chiunque altro
sarebbe sembrato banale, uguale a mille altri odori. Ma per me aveva
una nota
diversa. Avrei potuto riconoscere quel profumo inebriante tra mille, a
mille
chilometri di distanza. E ora che era così vicino a me, che
tutti i miei sensi
erano rivolti verso la sua fonte, totalmente ubriaco di quella
fragranza quasi
da perdere me stesso, ero del tutto incapace di formulare un qualsiasi
pensiero
anche solo lontanamente razionale. Non importava l’ambiente
attorno, non
importavano gli sguardi curiosi della gente… importava solo
quel profumo, che
era affiorato così spesso nei miei pensieri. Che era stato
il centro della mia
esistenza per un certo periodo, la mia dannazione, la mia
esasperazione, il mio
peccato che colpiva senza pietà là dove avevo la
mia costola staccata e il
cuore scoperto. Ma molto più importante era la sorgente di
quella fragranza
tentatrice. Un paio di occhi castani, dalle iridi vellutate e profonde,
mi
fissavano intensamente, esprimendo troppe e troppo complicate emozioni
per
essere elencate o anche solo decifrate. Ondulati capelli dello stesso
colore,
acconciati elegantemente per l’occasione, accarezzavano con
grazia il suo viso
sottile e pallido a ogni movimento. Le sue labbra rosee e invitanti,
morbide
alla sola vista, erano inarcate in un sorriso divertito, che spandeva
nell’ambiente la felicità proveniente direttamente
dal suo cuore. E dal mio. Le
mie braccia fredde la stringevano con un’attenzione accurata,
quasi maniacale,
come se tra le mani avessi un prezioso oggetto di vetro pregiato.
Delicatissimo. Bellissimo. Il nostro volteggiare tranquillo e lento era
sottolineato dal fruscio del suo vestito blu scuro, che andava al ritmo
della
delicata musica di sottofondo, probabilmente un pezzo soul, non so. Se non fosse stato per
quei due
insignificanti elementi e gli sguardi che continuavano a lanciarci gli
altri
ragazzi, avrei potuto benissimo trovarmi in un mondo fatato. Magari
anche in
paradiso: tutto era così meraviglioso…
«Sei
bellissima».
Fu
tutto ciò che riuscì a uscire dalle mie labbra
secche con un tono di voce
arido, annientato da tale splendore. Bella sorrise e un lieve rossore
si
allargò sulle sue guance e, mentre abbassava lo sguardo
imbarazzata, una ciocca
di capelli le scivolò davanti al viso. Allungai una mano per
rimettergliela a
posto dietro all’orecchio e i nostri volti si avvicinarono
ancora di più. La
mia mano si fermò a mezz’aria come paralizzata:
ormai il mio cervello aveva
dato forfait. Ma chissenefrega… E senza che me ne rendessi
conto, sfiorai
dolcemente la sua guancia morbida come una pesca: freddo e caldo si
fusero in
un tepore invitante. Forse quel gesto innocente fece sbiadire
l’imbarazzo di
poco prima, fatto sta che i suoi occhi trovarono il coraggio di tornare
a
fissarsi nei miei. Ora fui io a sorridere. Che sensazione strana.
Eppure mi
sentivo così bene… e così
stupido… ma pur sempre così bene. Tutto il resto
continuava attorno a noi con il suo ritmo consueto, indifferente al
nostro
piccolo paradiso privato. Ora il volto di Bella, pieno di
un’innocenza tale che
poteva avere solo quando era ancora umana al ballo di fine anno, si
avvicinò al
mio orecchio e con voce melodiosa sussurrò: «
Anche tu sei bellissimo. Perfetto».
Mi discostai un poco per guardarla
ancora una volta negli occhi. Nessuna cosa aveva mai emanato
così tanto amore
come quello sguardo acceso e luccicante e me ne compiacqui.
Così bella e dolce…
eppure così fragile e indifesa. Il mondo era troppo
difficile, crudele, per una
creatura così sensibile.
«Tutto
è perfetto
ora» dissi. E nulla mi
sembrò più vero.
La
distanza tra noi due si ridusse a zero e finalmente potei assaporare la
sue
labbra zuccherate. Un’ondata di calore indescrivibile mi
trapassò da parte a
parte, invadendomi dalla punta dei capelli a quella dei piedi. Per un
momento
mi sembrò perfino che il mio cuore morto avesse ricominciato
a battere
velocissimo, forse per recuperare i battiti di un secolo intero. Mi
sentii
svuotato, riempito di nuovo di non so bene cosa e poi squarciato
ancora. Il
tutto con immenso piacere. Le sue labbra non davano segno di volersi
staccare
dalle mie e anche quando l’avrebbero fatto il sogno non si
sarebbe interrotto.
Per una volta il sogno era realtà. Era davvero tutto perfetto.
«Papà?».
Una
vocina cristallina e familiare mi risuonò nelle orecchie,
facendomi voltare e
guardarmi attorno, ma intorno a me vedevo solo una sala da ballo e
Bella che
sorrideva tra le mie braccia.
«Papàààààà?!?».
La
voce continuò, ora con una sfumatura scocciata. Poi qualcosa
di caldo mi sfiorò
al guancia, ma Bella adesso non c’entrava, e mi fece correre
un brivido lungo
al schiena. E con uno strappo prepotente la scena del ballo
sparì davanti ai
miei occhi, per essere prepotentemente sostituita
dall’immagine di una bambina
dai riccioli bronzei, gli occhi color cioccolato che risplendevano di
una
strana luce, le braccia incrociate, di fianco a quello che sembrava un
corpo morto
accasciato su un letto: ehm… io. Quasi come se mi avessero
strattonato e spinto
senza tanti complimenti, ripiombai nella realtà con un balzo
sul letto
matrimoniale su cui ero sdraiato fino a un attimo prima. Renesmee
ritirò la sua
mano calda dalla mia guancia (ricordai la strana sensazione di poco
prima) e mi
fissò scuotendo il capo.
«Credevo
che i vampiri non dormissero» disse.
«Ehi!»
esclamai scattando in piedi. «Io non stavo
dormendo!».
Oppure
sì? Mi fermai per un attimo: mi era appena sorto un dubbio.
In quasi un secolo
di costante vigilanza non mi era ami capitata una cosa del genere.
Eppure i
vampiri non dormono, e quindi non sognano, accidenti! Anche se,
forse…
All’improvviso il mio cervello si mise a rovistare tra
montagne di scartoffie e
alla fine ne tirò fuori una probabile risposta: me ne aveva
parlato Carlisle
tempo fa, credo. Non si trattava proprio di dormire
sognare, era una specie di stato catatonico
in cui i vampiri potevano cadere, una forma di semi-veglia a occhi
aperti che
poteva presentarsi, anche se raramente, quando si è
sottoposti a una forte dose
di stress (e sapevo benissimo quale al momento era la mia principale
fonte di
apprensione). Quindi mettiamola così: il mio cervello era
andato in stand-by e
mi ero immaginato (o meglio, avevo rielaborato, ricordato) tutta la
scena di io
e Bella al ballo studentesco. Per un attimo mi sentii deluso: se solo
quel
sogno fosse stato vero… Anche se si era allontanata da casa
da solo… mmm… un
paio di giorni? neanche… be’, mia moglie mi
mancava già da morire.
«Sì,
e io sono un licantropo!».
L’esclamazione
di Nessie mi punse la mente indispettita, intrufolandosi senza tante
smancerie
tra le mie riflessioni. Ma tanto sapevo già di partenza che
in qualunque
dibattito l’avrebbe avuta vinta lei. Non ricordavo bene cosa
era successo; dopo
quel profondo discorso su “come nascono i bambini”
io e mia figlia eravamo
rimasti a chiacchierare del più e del meno ancora per molto,
finché lei era
scena in cucina a fare non so bene cosa (ah, già,
probabilmente a raccattare
qualcosa da mangiare) e io mi ero sdraiato sul letto. Sì,
doveva essere stato
lì che mi ero “addormentato”. Ah, basta,
mi serviva proprio una vacanza! Mi
scompigliai ancora i di più i capelli, sbattei le palpebre e
la guardai più
attentamente. Nessie sembrava tutta eccitata e si vedeva lontano un
miglio che
si stava trattenendo dal mettersi a saltellare qua e là e a
strillare. Che diavolo
era mai successo? Ebbi subito la riposta.
«Vieni,
dai! La mamma è tornata! E c’è anche
Jacob!».
Ok
capitolo lungo... e orrendo. No, davvero, mi è venuto un po'
così (e mi vorrete perdonare). Non mi convince
granchè. Vabbè se non altro è finita
la fase sentimentale-lagnosa-zuccherosa. Però come potete
notare l'argomento di sta ampliando, ora non si parla più
solo del rapporto Ed/Nessie ma anche delle paure e dell'io interiore
del nostro bel vampiri. Scusate ma non posso resistere alla tentazione
di analizzare la sua mente straordinariamente complessa: l'adoro! Il
prossimo sarà un po' più in stile Nessie, anche
se non so bene con che cosa andare avanti, non ho idee.
Perciò SONO GRADITISSIMI SUGGERIMENTI DI OGNI TIPO PER LA
CONTINUAZIONE DELLA TRAMA (anche idioti, ma non troppo), voglio un po'
vedere cosa vi viene in mente. Poi ringraziamenti:
Deb, ilesnape, eika, fantasia:
grazie 1000000000000000000000000 davvero non mi stancherò
mai di dirlo! :) e scusate per il ritardo, ma sono un essere
tremendamente pigro XD
Padfoot_07: le tue
recensioni mi piacciono davvero tanto: mi fanno sentire importante! Hai
proprio colto nel segno nella distinzione tra Jacob ed Edward: una cosa
è l'amore della propria vita, quello che
diventerà il compagno di Nessie, un'altra è suo
padre (che ovviamente adesso ha la precedenza!). Vabbè poi
il resto l'hai già detto tu XD non è che sei
qualcosa tipo un critico letterario eh?
Maka_Envy: spero di
non averti deluso con questo capitolo! grazie anche a te!
pinkgirl: Be', credo
che Eddy se la sia cavata piuttosto bene no? E sì,
questa ff è fondata soprattutto sulle sue insicurezze,
personificate da Nessie
MimiMiaotwilight4e:
spero di aver soddisfatto anche te con questo cap! Se non altro a
descrivere le scene dolci e stucchevoli sono brava no? grazie
|
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Capitolo 7 *** Ritorno ***
style="">7.
Ritorno
Non
seppi con precisione quale fu il primo pensiero che mi
attraversò la mente, se
era di gioia o di sorpresa, fatto sta che, non so bene come, mi
ritrovai in un
baleno nel nostro piccolo e confortevole salotto con Nessie tra le
braccia. E non
rimasi per niente deluso: proprio lì, infatti, in piedi
davanti alla finestra,
mi aspettava Bella, raggiante e bellissima come sempre. Mi sembrava di
non averla
vista da un secolo da tanto che mi era mancata e riassaporai il suo
dolce
profilo, le sue labbra rossastre, i suoi capelli vellutati che le
scendevano
come un’onda di cioccolato lungo la schiena e quegli occhi
brillanti dalle
iridi color topazio che sembravano risplendere nel buio. Rimasi per un
attimo
senza fiato, ammirandola come avevo fatto la prima volta tanto tempo
prima:
possibile che mi fosse toccata in sorte una tale creatura? Chi ero io
per
vestire i panni dell’amore della sua vita? Ero rimasto
talmente incantato dal
sorriso smagliante di mia moglie da non notare, seduto (o meglio
stravaccato)
molto comodamente su una delle poltrone, un individuo che ben conoscevo.
«Jacob!»
strillò mia figlia liberandosi dalle mie braccia per correre
incontro la suo
caro amico licantropo.
«Ehi,
Nessie! Quanto mi sei mancata! Sbaglio o sei cresciuta
ancora?» esclamò Jacob
prendendo la piccola sulle sue ginocchia con una risata cristallina. Ma
che bel
quadretto. Senza farlo apposta mi ritrovai a pensare che…
sì, insomma, Jacob
sembrava così naturalmente a suo agio con mia figlia in
braccio, sembrava così
bravo a farle da padre. Mentre io… Oh, ecco che ci risiamo
Edward! Ricominciamo
con questa storia? Dopotutto ha detto che sei TU il suo principe
azzurro e non
Jacob, giusto? Sì, ma in ogni caso lui mi sembrava
così adatto, così migliore
di me. Sarebbe dovuto essere lui il padre di Renesmee non io, non io.
Lui la
conosceva davvero, io avevo solo aperto la prima pagina di un lungo
libro. Nell’osservare
quella piccola scenetta spensierata mi si formò un intricato
garbuglio di
emozioni nel petto, che mi premette sui polmoni fino a farmi soffocare.
«Edward?».
Una
voce melodiosa mi giunse all’orecchio e il sentirla
pronunciare in un sussurro
così dolce il mio nome mi fece correre un brivido lungo la
schiena. Mi ero
quasi dimenticato di Bella tanto i miei pensieri si erano focalizzati
su Nessie
e Jacob. Non fu necessario voltarmi per costatare che ora si trovava al
mio
fianco; potevo sentire chiaramente il suo respiro regolare sulla mia
guancia. Istintivamente
socchiusi gli occhi per assaporare ogni singola nota di quella voce
celestiale e
un lieve sorriso si allargò sul mio volto.
«Mi
sei mancato. Tanto».
«Anche
tu. E non immagini neanche lontanamente quanto. È stata una
tortura non averti
qui per tutto questo tempo».
«Ma
si è trattato solanto di un paio di giorni». La
sua risata mi giunse
squillante.
«Un
paio di giorni d’inferno, allora».
Allungai
un braccio per cingere la sua vita sottile e stringerla contro di me:
quanto mi
era mancato quel contatto così confortante. E in men che non
si dica, senza
nemmeno sapere bene come, le mie labbra furono sulle sue e poterono
finalmente assaporare
ancora una volta il loro sapore zuccherato e tremendamente invitante,
che era
latte e miele per me.
«Immagino»
sussurrò ancora, quando si fu allontanata da me.
«Soprattutto quando si tratta
di fare il baby sitter».
Sorrisi
ancora, ma questa volta si trattava di un sorriso ironico.
«No,
è stato interessante stare con Nessie. E anche istruttivo,
sì».
«Be’,
allora spero di avere al più presto l’onore di
ascoltare le mirabolanti avventure
di Messer Edward Cullen…».
Ecco,
un’ulteriore conferma: ero davvero un principe o no?
«Non
mancherò» risposi e, mentre mia (anzi, nostra)
figlia era ancora alle prese col
suo animaletto preferito, le mie labbra incontrarono ancora quelle di
Bella. Per
un attimo pensai allo strano “sogno” di poco prima
e conclusi che quell’accozzaglia
di immagini non era minimamente all’altezza
dell’originale, che nessun sogno
poteva mai eguagliare quello che stavo provando in quel momento.
Quello
era in assoluto l’istante migliore della mia vita, o almeno
della mia vita da
due giorni a questa parte. Ed eccomi lì, in quel salotto
dall’atmosfera così
calda e accogliente, circondato da persone che mi volevano bene e alle
quali
volevo bene (ok, lo ammetto, provo un po’ di affetto anche
per il cucciolo). E,
cosa più importante di tutte, avevo di nuovo Bella al mio
fianco e ciò non
faceva altro che aumentare la mia forza e la mia autostima. Il vago
dubbio di
non essere all’altezza che mi aveva colpito poco prima era
crollato all’istante
non appena avevo rivisto il centro del mio piccolo universo, la
risposta a
tutti i miei perché e per come. Sorrisi ancora, ma sentivo
che per quante volte
avessi costretto i muscoli facciali in quella posa nessun sorriso
sarebbe
andato sprecato. Stavo per dire qualcosa a Bella quando sentii qualcosa
vibrare
nella tasca dei miei jeans: il mio cellulare. Risposi senza esitare e
senza
nemmeno guardare il numero.
«Pronto?».
«Spero
che tu abbia rimesso tutto a posto. E quando dico tutto intendo proprio
tutto!».
Merda.
Conoscevo benissimo quella voce e ancora meglio il tono leggermente
irritato e
minaccioso con cui aveva pronunciato quelle parole. Feci una smorfia,
indeciso
sulla scusa migliore da dare, e Bella mi guardò con un
cipiglio interrogativo. Sicuramente
si stava chiedendo con chi stessi mai parlando.
«Ehm,
veramente io… ti giuro, non era mia
intenzione…».
«No,
no, caro. Non voglio le tue scuse…».
Feci
un breve sospiro di sollievo.
«…appena
torno mi aspetto qualcosa di più. Molto
di più, oh, sì. Come minimo dovrai
rotolarti per terra strappandoti i
capelli e pregandomi in aramaico di perdonarti»
continuò la voce, ora con una
nota divertita.
Peccato,
pensai, il mio repertorio di lingue straniere non includeva
l’aramaico. Andava bene
lo stesso l’arabo?
«Vabbè,
comunque non ti ho chiamato per dirti questo».
«Ah,
no? Cavolo, avrei giurato il contrario!».
Una
breve risatina sciolse per un attimo quel tono freddo. «No,
avrò tutto il tempo
di torturarti, insultarti, minacciarti e umiliarti appena saremo
tornati».
«Tornati?
Come…?».
«Sì,
hai sentito benissimo: ora ci troviamo dalle parti di Vancouver e
Carlisle
pensa che per domani mattina, al massimo nel pomeriggio, saremo di
nuovo a
casa».
«Oh,
non dirmi! Non vedo l’ora!», feci una smorfia a
metà tra il contento e il
preoccupato, «Be’, allora salutami tutti».
«Certo.
Fai altrettanto. A presto,
fratellino!». E chiuse la comunicazione.
Non
sapevo bene il perché, ma quel “a
presto” celava qualcosa di inquietante: un’evidente
minaccia, una prolessi di ciò che mi sarebbe capitato di
lì a poco. Alzai gli
occhi dal cellulare e, come avevo previsto, incontrai gli sguardi
incuriositi
di Bella, Nessie e Jacob, che probabilmente erano stati fissi su di me
per
tutta la durata della telefonata.
«Era
Alice» annunciai mentre ancora la sua voce musicale mi
risuonava nelle
orecchie. «Ha detto che lei, Jasper, Carlisle ed Esme
torneranno entro domani
mattina, tutt’al più nel pomeriggio».
Jacob
scosse la testa, sospirò e mormorò tra i denti
qualcosa che doveva suonare come
un “vampiri” (la sua vena ironica contro gli
individui della nostra specie era
dura a essere estirpata), Nessie saltò giù dalla
poltrona e, emettendo
strilletti di gioia, si mise a saltellare in giro per la stanza e Bella
mi
sorrise ancora un volta.
Tutto
stava tornando alla normalità, a quanto pareva.
Per
chi per caso se lo fosse chiesto, ebbeno no non sono morta e non ho
smesso di scrivere. Lo so è un'era che non aggiorno e di
questo mi vergogno profondamente; ma credetemi avevo i miei buoni
motivi (nelle ultime settimane non ricordo di aver fatto qualcosa di
diverso a parte studiare, studiare e... mmm, sì, studiare).
Quindi mi vorrete perdonare e spero anche che per questo interminabile
ritardo non mi avrete abbandonato, verooooo? Mi vergogno anche per
questo capitolo così corto e così orrendo: ma si
tratta di un capitolo di passaggio! (a dir la verità, non
avevo molte altre idee su cosa scrivere, così... eh,
sì mi sono bloccata un po'). Be', comunque aspettate e state
certe che nel prossimo chap non vi deluderò!
Deb:
no, Edward non ha dormiro. Come ho già detto il suo cervello
è andato momentaneamente in stand-by (diciamo che si
è andato in oca, ecco) e ha "rivisto" la scena del ballo
descritta in Twilight (modificata, ovvio). Grazie per la recensione!
Continua a leggermi!
MimiMiaotwilight4e:
contenta che ti sia piaciuto. Sì, anche Eddy sa essere
originale: dopotutto non è così imbranato eh?
Grazie anche a te!
Maka_Envy:
ecco il prossimo capitolo con un po' ritardo (scusa!). Grazie per i
complimenti e, ti prego, non metterti più a piangere!
Padfoot_07:
sìsì' continua a sproloquire: lo adoro! *_* spero
di aver "fatto centro" anche questa volta (forse). Ma i prossimi chap
saranno di certo più interessanti per la tua critica. Ps:
no, dai, Eddy li porta bene i suoi 110 anni o giù di
lì
Lady
Padfoot: in effetti il mio intento era quello di scoprire il suo lato
più umano, mettere in risalto le sue paure e le sue
debolezze, far vedere che non è il diointerra presentato nel
libro... Be', comunque non mi metto certo al livello della Meyer.
Grazie tante!
See
you soon, guys!
Recensite!
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