Amore dato, amore preso, amore mai reso

di httpjohnlock
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Snow ***
Capitolo 2: *** Snow - sequel ***



Capitolo 1
*** Snow ***


Note:
Parole: 4263;
Coppia: Mirco;
Capitoli: 4;
Rating: Verde;
Note: What if?

Snow

 



L'asfalto riposava sotto una coperta di candida neve di un bianco abbacinante.
Sembrava emanasse scintille.
Le saracinesche dei negozi erano abbassate mentre alcuni di loro avevano vetrine dotate di luci interne che mostravano le merci in vendita.
I palmi violacei dei venticinquenne sfregavano convulsamente contro la stoffa del pesante cappotto verde militare. Cercavano disperatamente calore in quella gelida sera di gennaio, con la sola compagnia del cuore altrettanto gelido del ragazzo.
Quel gelo, però, poteva essere trasformato in calore dal soffio caldo del ventenne, che indirizzava al liquido marroncino. Il ragazzino teneva stretta tra le mani una tazza blu contenente del cioccolato fuso.
Appena un sorso bollente gli attraversò la gola secca, fu scosso da un piacevole brivido.
Senza rendersene conto si ritrovò ad osservare il fumo che, generato dal cioccolato caldo, si espandeva nell'atmosfera creando delle buffe forme.
«Sembra un unicorno!» constatò.
«Un ricciolo...» e poggiò la tazza sul basso tavolino di fronte, dandosi mentalmente del bambino.
Sguaiatamente quasi si stese sul divanetto e si passò le dita affusolate tra il ciuffo corvino, ravvivandolo.
Sorrise.

Michael lanciò svogliatamente il mazzo di chiavi sul mobile più vicino; c'era la chiave che apriva la casa di Londra, quella di Los Angeles¹, quella di Parigi e infine la chiave dell'automobile.
Già, casa.
“Casa” per Michael era dove c'è chi ti ama, chi ti protegge, chi ti aspetta impaziente, e il cantautore casa sua non l'aveva mai trovata.
Si lasciò cadere a peso morto sul letto –inutilmente– a due piazze. Melachi, come se avesse percepito il senso di solitudine del padrone, si alzò dalla sua cuccia e saltò sul materasso accanto al ragazzo. Michael sorrise flebilmente nel vedere la sua cagnolina strofinare il muso sulla sua pancia; almeno aveva lei e la certezza che non lo avrebbe mai abbandonato.
Il cantante chiuse gli occhi, estenuato.
Era stufo di indossare quella maschera colorata sempre sorridente che soltanto quando usciva dalle pressioni della casa discografica e dagli schiamazzi dei fan, si sfilava.
Ed era nelle sue abitazioni dove si svolgevano le sue numerose lotte.
Si sentiva frustato.
Era appena tornato dagli studi della Universal Studios, dove gli avevano raccomandato di sbrigarsi con la scrittura delle canzoni altrimenti per settembre il suo secondo “figlio” non sarebbe stato pubblicato. Aveva spiegato gentilmente che in quei giorni non riusciva a scrivere nulla, il ché era vero.
Era passato così tanto tempo dall'ultima volta che Michael aveva scritto un nuovo brano che quasi non ne ricordava il momento.
Pensò quasi di ritirarsi.
Ma poi, lo voleva davvero? Voleva davvero distruggere il sogno che aveva fatto crescere per tanti anni?
No, che non lo voleva.
Aveva bisogno soltanto di un po' di riposo e qualcuno con cui condividere ciò che gli stava accadendo. Sì, aveva quattro fratelli, una madre e una band, ma i primi erano occupati con lo studio e il lavoro, Joannie non poteva avere altre preoccupazioni e i musicisti oltre ad avere le loro vite erano impegnati con gli arrangiamenti dei pezzi.
Michael credette di aver perso il suo spirito libanese: il coraggio di andare avanti nonostante le intemperie, il non abbattersi mai. Quella sua parte si era crogiolata in una scatola sprofondata in una fossa; bisognava che ci fosse qualcuno che scavasse per recuperarla.
Il ragazzo si lasciò cullare da Morfeo senza essersi neanche cambiato d'abito, con un solo pensiero in mente: trasferirsi. Londra iniziava a stargli stretta e magari cambiando paese sarebbe riuscito a schiarirsi le idee.


Qualche mattina dopo, Marco si svegliò di buon umore –come succedeva spesso in quel periodo. Da quando aveva lasciato Ronciglione e la casa natia, si sentiva finalmente bene. I suoi genitori non gli avevano mai fatto mancare niente, ma quella casa non riusciva più ad ospitare un ventenne² pieno di voglia di vivere e maturare. Un po' gli mancava la sua famiglia, ma la sua scelta l'aveva presa e non l'avrebbe cambiata.
Il ragazzo, alzatosi dal comodo lettino, si diresse in bagno e guardatosi allo specchio alzò un sopracciglio storcendo la bocca.
«Fijo mio, fa qualcosa perché, ceh... l'orrore» si raccomandò infilandosi una mano tra i capelli per metà sparati in alto e metà appiattiti dalla pressione del cuscino.
Dopo essersi spazzolato i denti ciabattò nella piccola cucina per prepararsi un caffè.
La sua casa non era chissà ché: un appartamento situato in via Livilla dotato di una cucina, un bagno e una camera da letto, ma per €250 al mese andava più che bene. Aveva anche trovato lavoro come barista a Frascati e come fonico.
Marco dopo aver bevuto una tazzina di caffè guardando i cartoni animati e aver sgranocchiato una manciata di cereali, andò a lavarsi il viso e a cambiarsi.
Si affacciò alla piccola finestra del bagno e notò le automobili coperti da un manto di neve.
Indossò un paio di pantaloni neri della tuta, una maglietta bianca con delle scritte rosse, una felpa grigia lasciata aperta e le sue adorate Converse bianche.
La sua tipica ambientazione per le sue lotte mattutine era sicuramente davanti allo specchio del bagno... e anche quella mattina accadde.
Marco cercò di dare una forma quantomeno decente ai suoi capelli con l'uso delle mani.
Ben presto una fila –che parve infinita– di imprecazioni riempirono la stanza creando una forte competizione tra il ragazzo e i suoi capelli.
«Sembro 'na gallina...» brontolò.
Il suo sguardo cadde su un tubetto di gel nascosto dal dentifricio.
«Ah-ah... mo 've metto a posto io.» annunciò con il sorrisetto di chi ha la vittoria tra le mani.
Aprì il tubetto ma lo trovò –con somma delusione– vuoto.
Rimase così sconvolto che guardò la scatolina verde per un po'.
«Fate schifo.» sbottò lanciando il tubetto e uscendo con veemenza dal bagno.
Si rifugiò in cucina.
«Vi odio.» disse ancora contro la sua capigliatura disordinata, camminando con rabbia intorno al tavolo.
Guardò l'orologio e quando vide che erano le 7:02 cacciò un urletto acuto.
«Porca troia, ecco, adesso Luca me fa 'n mazzo tanto, e sapete di chi è la colpa?» chiese più a sé stesso che alla casa vuota, «Vostra!» rispose, indicando la sua nuca.
Alla fine, coprì quella massa incolta di capelli con un beanie nero lasciato sul divano la sera prima.
Inserì la chiave nella serratura e appena questa scattò e la porta si aprì, si ritrovò una visione assolutamente perfetta e insolita.
Un ragazzo alto almeno 1.90 accompagnato da tre valigie lasciate in disparte accanto alla rampa di scale, stava armeggiando con una chiave cercando di aprire la porta.
Lo sguardo di Marco cadde inevitabilmente sul lato B del giovane che trovò deliziosamente perfetto.
Un pantalone bianco gli fasciava le gambe magre e indossava un giubbetto azzurro.
“Beh, almeno non sono l'unico che c'ha i capelli alla cazzo, oggi.” pensò guardando il cespuglio boccoloso del ragazzo; erano color nocciola e ogni ricciolo sembrava aver vita propria dato che andavano tutti in una direzione diversa.
Ridacchiò.
“O cazzo” fu il suo primo pensiero non appena vide la figura slanciata dello sconosciuto voltarsi.
Al riccioluto pareva aver visto l'ascesa della Madonna.
Sentì il suo corpo talmente leggero che inconsapevolmente spinse una valigia, che, inevitabilmente rotolò giù dagli scalini.
Marco cercando di recuperarla dal manico perse l'equilibrio. Immaginava già la fredda e funesta conoscenza della sua faccia con il pavimento, ma questo non accadde perché un esile ma forte braccio gli avvolse la vita evitandogli quel triste presagio.
La valigia rotolò fino a scontrarsi con la porta di ferro causando un forte fragore.
Il silenzio che ci fu dopo fu una delle situazioni più imbarazzanti a cui Marco ebbe mai preso parte.
Si trovò letteralmente tra le braccia di un ragazzo sconosciuto maledettamente attraente che non sembrava volerlo lasciar andare, e per di più aveva la schiena schiacciata sul suo petto.
La vicinanza fu così forte che percepì l'alito freddo sul suo collo, il ché gli provocò una miriade di brividi d'eccitazione.
Il riccio allentò la presa lasciando libero il ragazzino, il quale abbassò la testa imbarazzato.
«G-Grazie» balbettò, raccogliendo coraggio e alzando il volto.
“Sono in Paradiso o all'Inferno?” si domandò, guardando per la prima volta il volto dell'altro ragazzo. Il suo volto era tondeggiante e liscio e labbra sottili di un rosa chiaro.
Incontrò i suoi occhi e in quel momento la bocca di Marco prosciugò tutta la saliva.
Erano più che perfetti, quegli occhi. Erano grandi e innocenti come quelli di un bambino, ma ciò che colpì Marco fu soprattutto il colore: il nocciola si mescolava con il verde creando un mix paradisiaco. Osservando quelle magiche iridi, però, a Marco venne un senso di angoscia quando notò che erano ricoperte da una patina di tristezza.
«Di niente» rispose Michael. La sua conoscenza della lingua italiana si fermava alle cose basilari.
“Dio, che voce” pensò Marco. La voce di Michael oltre ad essere particolare era bellissima: acuta ma terribilmente dolce. L'accento straniero, poi, faceva impazzire il ventenne.
«Listen, can you help me?» domandò il libanese naturalizzato britannico.
«How can I help you?» chiese di rimando l'italiano, cercando di ricordare l'inglese studiato al liceo.
«I can't open the door» rispose con un sorrisetto palesemente imbarazzato.
«Oh, sure.» accettò il ragazzino allungando la mano destra. Michael stette per un paio di secondi boccheggiando e osservando le iridi color caffè dell'altro, aumentando l'imbarazzo tra i due.
«Ehm, the key...» sussurrò Marco, sorridendo.
«Oh, yes, sorry» ridacchiò nervoso e gli diede la chiave grigia.
La serratura era evidentemente difettosa dato che anche Marco dovette “lottare” per far aprire la porta color mogano.
Michael, dal canto suo restò imbambolato ad osservare quel ragazzo che pur essendo sconosciuto, gli trasmetteva una sicurezza particolare.
Marco si piegò leggermente per riuscire a vedere se nella serratura c'era qualcosa che bloccasse l'entrata della chiave, e Michael si morse voluttuosamente il labbro inferiore.
“Cristo Mika, sembri una dodicenne in piena crisi ormonale” si sgridò mentalmente.
Marco sentiva lo sguardo del riccio su di sé e le mani improvvisamente sudate e tremolanti.
“Concentrati sulla porta, concentrati sulla porta” ripeté come un mantra.
Michael guardava il volto del ragazzino contratto in un'espressione concentrata, tant'è che aveva la punta della lingua stretta tra le labbra.
Gli venne da ridere.
Marco lo udì e si voltò verso di lui con uno sguardo interrogativo ma un sorrisetto sul volto.
«Nothing, nothing, sorry» disse il riccio, scoppiando in una sonora risata.
Marco si sentì quasi morire. La pelle ai lati del naso leggermente a punta dell'altro si arricciarono in un modo che Marco trovò perfetto.
«Why?» domandò il ragazzo, riferendosi alla risata dell'altro.
«I don't know» rispose tra le risate.
Marco non poté evitare di ridere nel vedere quella scena.
“Che buffo” pensò.
Fatto sta che Marco riuscì ad aprire la porta e recuperò la valigia ancora schiantata sulla porta.
«Thanks» ringraziò con un sorriso che Marco ricambiò alzando le spalle.
Marco vide di sbieco l'interno dell'appartamento e notò che era bello impolverato.
«What's your name?» domandò il più grande.
«Marco, and you?»
«Michael, but you call me Mika» rispose.
Adesso l'avrebbe riconosciuto.
“Mika, mi piace.” pensò.
«Okay, Mika» disse sorridendo.
… o forse no.
«Listen, if you want I can...» gesticolò l'altro per far capire ciò che voleva dire, e il venticinquenne annuì, «the bags. I'm late for go to work» concluse.
“Oddio, sto flirtrando con 'sto tizio?”
«Oh, it's my fault. I'm so sorry» si scusò sinceramente dispiaciuto.
«Don't worry.»
“Eh, don't worry, don't worry 'sta minchia Mika, Luca me farà 'na cazziata infinita, me licenzia e me spara pure.” pensò.
Neanche sapeva in quale angolo di sé trovò il coraggio di fargli quell'offerta.
Il volto di Mika quasi si illuminò e Marco lo trovò –se possibile– ancor più bello. Per poco non perse l'equilibrio nel vedere il suo sorriso accompagnato da due incisivi un po' sporgenti e due fossette ai lati della bocca, che gli attribuivano un aspetto infantile.
«Anyway, yes, thank you.» rispose un po' titubante, sorridendo.
Marco ricambiò il sorriso e aiutò Mika a portare le valigie in casa.

Ci impiegarono due abbondanti ore.
La verità è che parlarono e risero tanto e misero poco in ordine. Senza contare il fatto che ogni tanto Michael con la scusa di essere stanco –incluse prese in giro scherzose da parte del suo aiutante– si fermava ad osservare il viso di Marco; quella mascella perfettamente scolpita, il naso un po' a punta, le labbra piene e i capelli disordinati mandavano il suo cervello a farsi fottere.
Per non parlare di quando Marco si spogliò del berretto e alcuni capelli si attaccarono alla fronte alta per il sudore.
Ma non era solo questo che faceva impazzire il povero Michael, oh no. Il frequente balbettare di Marco, il suo accento fortemente romano, la sua risata fragorosa e il suo riuscire a far ridere anche una persona in un periodo non proprio incline alla felicità, facevano si che “attrazione” fosse un eufemismo.
Dio, era perfetto.
Chiacchierarono di musica scoprendo che condividevano molti ascolti, ma Mika non rivelò la sua identità di cantautore, né Marco gli disse di vivere per la musica e di voler vivere di musica.


«Good!» esclamò Michael con le mani sui fianchi, osservando appagato l'ordinata miriade di colori nell'armadio.
«Good work» pronunciò l'italiano con un sorriso e passandosi una mano tra i capelli.
Michael sentì la mandibola cadergli sul pavimento.
Cosa non gli scombussolava dentro, quel ragazzino?
Si raccomandò di non affezionarsi a lui, avrebbe soltanto sofferto.
«Woul you like something to drink?» chiese.
«Yes, thanks.» rispose il ventenne.
“Forse è meglio così” affermò mentalmente il riccio, riferendosi al fatto che Marco non l'aveva riconosciuto o semplicemente non sapeva dell'esistenza di un cantante di nome Mika.

Dopo aver bevuto un succo di frutta, sgranocchiato qualcosa e aver chiacchierato un altro po', Marco decise di congedarsi dopo essersi ricordato di avere un lavoro.
«I have to go, now» disse con un po' di tristezza nella voce.
«Oh,>> sussurrò l'altro, «Sure» continuò alzandosi dalla sedia
Insieme raggiunsero la porta.
Marco si domandò dove fosse finito il sorriso che tanto caratterizzava il libanese. Infatti Mika aveva la testa china e le labbra serrate.
«Sono stato bene con te» disse l'italiano, alzando l'angolo destro delle labbra.
«What?» chiese confuso l'altro, arricciando il naso com'era suo solito fare quando era confuso o divertito.
«Ah, giusto... I... s-spent a good time with you.» disse un po' impacciato. Michael sorrise.
Gli venne voglia di baciarlo.
A Marco piaceva vedere il suo sorriso, specialmente quando era lui a provocarlo.
D'improvviso un forte imbarazzo si librò nell'aria.
Entrambi non volevano lasciarsi; stavano così bene insieme che separarli sembrava la punizione più crudele.
Marco oltrepassò la soglia.
«You were very helpful, Marco. Crazie, crazie, crazie! Mile crazie!» disse in un italiano buffo ma che Marco trovò irresistibile.
«Si dice “Grazie mille” e comunque di niente» rispose ridendo.
«See you soon, Marco» lo salutò. Il suo tono diventò improvvisamente malinconico e pronunciò il suo nome come se quello fosse un addio.
Mika gli disse che aveva affittato l'appartamento per quindici giorni perché aveva “bisogno di schiarirsi le idee”, ma Marco non osò chiedergli altro nonostante morisse dalla curiosità.
Ebbero la strana impressione che non si sarebbero rivisti.
«Bye, Mika» disse di rimando, sorridendo.
Michael con un ultimo sorriso con tanto di fossette chiuse la porta lasciandosi impressa sulle labbra quella pericolosa voglia di baciare le labbra rosee di quel ragazzino.
Che gli succedeva?

“Beh, non credo che mi sia dispiaciuto averti incontrato, caro Mika” pensò il ventenne, e sorridendo si ripose il beanie sul capo.
“A presto.” sussurrò tra le labbra per poi aprire il cancelletto di ferro.

Quel giorno, Marco si subì una bella strigliata dal proprietario del bar per colpa dei suoi frequenti ritardi.
Ma quella volta fu giustificato.
Oh sì.
Quel 18 gennaio conobbe un angelo.


I due ragazzi da quel giorno non si rincontrarono.
Marco andava a lavorare di mattina presto e Michael a quell'ora dormiva; quando Michael di sera usciva, Marco tornava a casa.
Di certo nessuno ebbe il coraggio di dare all'altro un appuntamento o qualcosa di simile, ma c'era un costante bisogno di essere uno di fronte all'altro, di nuovo.
Di affogare uno nelle iridi dell'altro.
Di ridere insieme, forte, mischiando le risa.
La neve, poi, ormai era un ricordo.

Un giorno, però, quando Marco stava uscendo per andare a lavoro, dall'appartamento del cantante si udì flebilmente una voce.
“Sembra la sua voce, ma...” pensò, avvicinando l'orecchio alla porta.
La voce incredibilmente simile a quella di Michael cantava una canzone che intonava più o meno così:
“I could put a little stardust in your eyes, put a little sunshine in your life. Give me a little hope you’ll feel the same and I wanna know will I see you again. Will I see you again.”
Dal falsetto inconfondibile, Marco scoprì che a cantare era il venticinquenne.
Ma quella voce, cazzo, quella voce l'aveva già sentita... ma dove?
Marco si lasciò andare con la schiena contro il muro, facendosi cullare da quella magnifica voce.
E poi, quelle parole... sembravano le avesse scritte lui.
Per Michael.
Quando la voce cessò, Marco mise da parte la sua innata timidezza e decise di chiedere spiegazioni.
Doveva sapere.
Premette il pulsantino nero e un “dlin dlon” risuonò nel corridoio.
Michael si chiese chi poteva essere alle 6:40 del mattino se conosceva soltanto la proprietaria dell'appartamento e... oh, no.
Quando aprì la porta la scena che ebbe davanti non gli parve reale: il ragazzo che aveva popolato prepotentemente i suoi sogni era lì davanti a lui? Per giunta alle 6:40 del mattino?
«E-E» non riuscì a terminare il saluto perché Marco si auto invitò in casa, costringendolo ad arretrare.
«You are Mika! That Mika... Grace Kelly!» eslcamò in un misto di sorpresa e... rabbia?
«I'm caught red-handed» disse un po' scosso dall'intraprendenza del ragazzino.
«Why didn't you tell me?» domandò. Michael chiuse la porta in legno e fece un gesto per invitare Marco ad accomodarsi.
«I... I'm sorry, Marco.» si scusò abbassando il capo.
«No, no, I'm sorry for-for coming there»
«It's okay.» disse con un mezzo sorriso.
Calò il silenzio.
«I like your song.» ammise Marco grattandosi il capo, ponendo fine ai quei secondi di silenzio snervante.
«Oh... really?» chiese Michael, con un sorriso stupito.
“Se solo sapesse che l'ho scritta pensando a lui...” pensò.
«Sure... and... I» si fermò con un po' d'esitazione ma lo sguardo curioso di Mika lo incoraggiò a continuare, «I l-love your song and I often listen your music when... I-I'm make the cocktail, but I didn't r-recognize you because I'v never seen your face... i-in this moment I'm feel e-embarassed...» spiegò con un sorrisino nervoso.
«Why?»
«Beh... you are a very popular singer...»
Michael sorrise quasi intenerito.
«Do not feel embarassed, Marco. I'm a boy like you. Anyway, thanks.» Ogni volta che Michael pronunciava il suo nome una scarica di brividi lo percorrevano. «And you?»
«What?»
«Do you write songs?»
Marco questa volta rispose senza aver paura di essere giudicato.
«Do you sing?»
«Yes.»
«Oh, it's beautiful!» esclamò alzandosi e battendo le mani. Marco lo guardava dal basso, confuso ma divertito.
«Oh, no!» Rispose, capendo la sua muta richiesta.
«Oh, yes! Daje Mengoni» disse sorridendogli. Quel “daje” insegnatogli da Marco stesso, lo fece sorridere.
Mika sembrò un bambino che stava convincendo la mamma a comprargli un giocattolo a cui teneva tanto.
Era irresistibile.
«Please, Marco!»
«Okay, okay!» Michael a quella risposta affermativa iniziò a saltellare allegro facendo ridere Marco.
“Se facendo lo stupido riesco a farti ridere così, non farei altro.”
«I sing “Almeno tu nell'universo”.»
Marco si alzò in piedi mentre Mika si sedette aspettando impaziente sempre con quel delizioso sorriso sulle labbra.

Mentre Marco cantava cercando di non pensare al fatto che di fronte a lui c'era un cantante di fama internazionale, nonché una persona per la quale provava qualcosa.
Cantava, cantava a voce bassa e con gli occhi chiusi.
Michael non avrebbe capito ciò che la canzone recitava ma Marco gliela dedicò ugualmente.
Il riccio aveva gli occhi sbarrati e le labbra socchiuse dallo stupore; mai avrebbe pensato che quel ragazzino così imbranato potesse cantare così!
Rimase folgorato da quella voce leggermente rauca, sensuale ma contemporaneamente dolce.
Marco era come la sua voce: tenero e dolce, ma sexy da morire. In più aveva una tecnica e un'estensione pazzesca.
“Cristo, come canta.”
Al ritornello una lacrima solcò la guancia liscia del cantautore.
Quella canzone gli entrò dritta nel cuore, abbracciandolo e riscaldandolo. Si sentì sciogliersi... era indescrivibile quanta passione Marco ci stava mettendo e quanto era emozionato l'altro ragazzo.
Il ritornello finì e con lui anche la voce di Marco cessò.
Le sue palpebre si alzarono scoprendo le sue iridi color caffè lucide.
Si avvicinò a Michael non appena vide le sue mani sul viso e le spalle alzarsi e abbassarsi freneticamente.
Stava piangendo?
«M-Michael? Are you... fine?» gli chiese.
Dalla gola di Mika fuoriuscì un mugugno gutturale.
«Mika...» Marco era seriamente preoccupato, così gli poggiò una mano sulla spalla destra.
A quel tocco, Michael tolse le proprie mani dal viso e con le braccia circondò il corpo del ragazzo; gli venne quasi istintivo rifugiarsi tra quelle braccia tanto bramate.
Marco fu visibilmente sorpreso da quel gesto che parve disperato, ma ben presto circondò il suo corpo, stringendolo a sé.
«Yes. Yes, I'm fine.» sussurrò Michael, ancora in lacrime. Ed era vero, quella volta era vero.
Stava bene.
Quella casa tanto cercata negli anni l'aveva appena trovata.
Era entrato in quella casa, aveva serrato la porta impedendo l'entrata di chiunque.
Non sarebbe uscito.
Ora c'era dentro.
Michael Holbrook Penniman Junior aveva appena trovato la sua casa.


Per Mika era arrivato il momento di partire.
Ma come poteva partire, lasciare quella casa che finalmente aveva trovato e ritornare al passato?
Non voleva e non poteva.

Giunse in aereoporto insieme a Marco.
Il momento che tanto temevano era arrivato, e nessuno se ne rese conto fino ad allora; infatti, quella settimana passò troppo in fretta tra risate, pianti, serate passate insieme, musica, film e cibo.
Nessuno seppe cosa dire.
Vollero solo trascorrere quella settimana ancora e ancora.
Una lacrima fredda si mescolò ai fiocchi di neve che presero a scendere sulle loro teste.
«Marco...» sussurrò Michael, dispiaciuto Odiava vedere l'espressione sofferente e le lacrime scendere sul volto angelico del ragazzino. Posò una mano su una guancia e la accarezzò delicatamente.
Ma Marco a quel tocco pianse più forte. Gli sarebbe mancato così tanto quel dolce tocco.
«Sing for me again, Marco.» sussurrò improvvisamente, facendo tremare il ragazzino. «Please.»
Marco alzò il capo incrociando lo sguardo del libanese: era affranto: il volto contratto in un'espressione indescrivibile, le sopracciglia aggrottate.
Oh, no.
Marco aveva le labbra infreddolite, i capelli che parevano esser stati vittima di un'esplosione di una bomba e la gola secca bloccata da un nodo che non ne voleva sapere di sciogliersi come la neve sul suolo, ma si promise di cantare.

Fammi respirare ancora,

portami dove si vola,
dove non si cade mai.

Lasciami lo spazio e il tempo
e cerca di capirmi dentro.

Scrisse quella canzone il giorno prima, pensando al ragazzo che aveva di fronte.
La sua voce era rotta per via delle lacrime, ma non importava.
Non in quel momento.

Dimmi ogni momento che ci sei, che ci se, che ci-

Michael scosse la testa facendo confondere il ragazzo.
La voce di Marco non ebbe il tempo di continuare la frase perché le labbra di Mika si poggiarono su quelle del ragazzo.
“Sto sognando?” si domandò mentalmente.
Le labbra di Michael erano fisse tra le sue come se volesse imprimere nella pelle la morbidezza, la forma e il sapore.
Marco sarebbe finito sicuramente sull'asfalto se non fosse stato per Michael che gli avvolse il corpo con le braccia.
Si sentì così leggero in quel momento che credette di esser morto.
Non dava peso alle persone munite di valigie che li superavano con passo svelto.
Si sentiva in una stanza completamente vuota.
C'erano solo loro due, in quel momento.
La bocca di Marco era come anestetizzata, immobile, ma quando le labbra morbide di Michael si mossero, queste si scongelarono.
Mai avrebbe creduto che quelle labbra a cuoricino tanto agognate si sarebbero unite con le sue.
Si sentirono così bene.
Con i petti a pochi centimetri di distanza, le labbra incollate le une sulle altre, gli occhi serrati, le mani grandi di Marco che accarezzavano quasi impercettibilmente le guance del venticinquenne.
Michael, ormai, si era innamorato di quella bocca che sapeva di caffè zuccherato... o forse si era solamente innamorato del proprietario di quella bocca perfetta.
Sarebbero stati tutta la vita a baciarsi, ma purtroppo la voce fastidiosa della hostess comunicò il volo imminente costringendoli a staccarsi.
Marco lasciò il volto di Michael mentre quest'ultimo lo abbracciò forte.
«Is it a goodbye?» domandò il ragazzino.
Il venticinquenne sciolse l'abbraccio accogliendo il volto mascolino del ragazzo tra le mani.
«No, no, no, no, no. We'll see...» alzò la testa e guardo in alto: la neve non si era fermata. Era come il loro rapporto: non sarebbe finito con quel bacio. «When it will snow again.» concluse, sorridendo.
Ogni volta che i loro sguardi si incontrarono, la neve faceva loro compagnia.
Anche Marco sorrise.
«Allora... alla prossima nevicata?»
«What?»
Marco scoppiò a ridere.
Neanche seppe spiegarsi il motivo.
«Until the next snowfall?»
«Ala prosima nevicata.» ripeté Michael, sorridendo.

Dopo un ultimo –purtroppo breve– abbraccio, Michael dovette raggiungere l'aereo.
Salutò il il ragazzino con una mano e sfoderò il più bello dei sorrisi che venne dolcemente ricambiato.
Le porte si chiusero e Marco restò ancora qualche secondo ad attendere.
Attendere cosa, poi?
Forse sperò che Michael ritornasse e lo baciasse ancora e ancora, senza mai fermarsi.
Scosse la testa, ritornando sui suoi passi.
“Alla prossima nevicata, Michael.”
Sorrise.



¹: non so nel 2008 se Mika avesse una casa a L.A.... licenza poetica, lol.
²: so che Marco è andato a vivere da solo a diciassette/diciotto anni... seconda licenza poetica!


Saaalve!
E da un po' che non mi faccio vivo, vè?
Anyway, sono ritornato, questa volta con una collaborazione con una mia amika:
miketta99 c:
(Ti voglio bene, sistah.)
Saranno 4 capitoli autoconclusivi sui Mirco, ma che sono in qualche modo legati da un tema: i fenomeni atmosferici.
Dato che non sapevamo in quale account postare la raccolta abbiamo deciso di postarla sui nostri account ma così:
una mia e una sua sul mio account e viceversa.
Quindi, siete obbligati ad andare a trovarla! *risata malefica*
Ho anche una cosa da precisare sul titolo della raccolta: è una frase de "Il regalo più grande" dove noi due abbiamo diviso una frase in due parti così una l'avrà lei e una io. :)

In questo periodo ho attraversato un periodo odioso: il blocco dello scrittore.
Ero a scuola e puff, ho iniziato a scrivere sul banco (che trasgry) l'introduzione di questa os.
Non vedo l'ora di ricevere tanti pareri diversi, specialmente critiche negative (costruttive)! :)
Boh, spero vi piaccia.
Alla prossima,
xo

 

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Capitolo 2
*** Snow - sequel ***


Note:
Parole: 5399;
Rating: Rosso;

Snow - sequel



«Allora... beh, a-a pres-» Le parole gli si fermarono in gola. Si ritrovò improvvisamente ad esplorare quella bocca di cui conosceva ogni millimetro ma che non si stancava mai di ispezionare.
Il sapore della bocca di Marco era così buono, così forte che Michael sentì la testa scoppiare in quella combinazione paradisiaca composta da respiri, baci, tocchi e... neve, tanta neve. Quella neve che non smetteva mai di accompagnare i due ragazzi.


I due in più di due anni non si incontrarono spesso, anzi, circa una decina di volte.
Durante quell'arco di tempo tantissime cose successero: Mika pubblicò il suo secondo album ma soprattutto, Marco diventò un cantante, o meglio, cantante come professione, perché quella sua meravigliosa voce c'era sempre stata.
Nell'inverno del 2009 uscì vincitore dalla terza edizione di X Factor, così pubblicò il suo primo EP: Dove si vola mentre nel febbraio del 2010 arrivò terzo al festival di Sanremo e in quei giorni uscì il suo secondo EP: Re matto.
Le vite dei rispettivi ragazzi subirono un susseguirsi di cambiamenti radicali che li costrinsero, involontariamente, a separarsi per lunghi periodi che parevano infiniti.
Il giovane Marco fu bruscamente infilato in una vita fatta di orgoglio ma anche di stress, paure, dubbi e preoccupazioni.
All'inizio si lasciò trasportare quasi passivamente dalla sua manager e dalla casa discografica; per lui l'importante era vivere di musica e successe tutto così in fretta che non si rese conto di ciò che gli stava accadendo.
Partì tutto da un ingenuo: “Dai, proviamo e vediamo come va” prima di iscriversi al talent show.
Sballottato tra un'intervista e un'ospitata in qualche programma tv, non ebbe neanche il tempo di mettersi davanti ad uno specchio e cercare di mettere a fuoco la sua nuova vita.
Sveglia.
Intervista in radio.
Pranzo.
Intervista in tv.
Cena.
Telefonata di Michael.
E così si ripeteva lo scorrere delle giornate, anche se, l'ultima cosa, da qualche mese non si ripeteva più.
Era vero, Marco non aveva molto tempo per sé o per chi voleva bene, ma certe notti, quando era solo tra le coperte, l'unica cosa che desiderava era del calore.
Magari generato da un corpo umano.
Magari di un uomo.
Magari di Michael.
Sentiva la sua mancanza lacerargli ogni giorno fin dentro le ossa.
Quel maledetto cellulare sempre sul comodino che quando squillava faceva perdere dieci battiti al ragazzo nel vedere dei messaggi o delle chiamate ricevute, per poi restarne deluso nel vedere che chi lo cercava era sempre la sua famiglia o chi lavorava con lui. Voleva chiamare il ricciolino, ma nella sua mente era inchiodato il pensiero che l'avesse usato solo per fotterselo a dovere per poi quando, stanco, abbandonato.
Gli aveva donato tutto sé stesso, tutto l'amore che aveva bisogno di esternare; era stato il suo primo tutto: il primo vero amore, la prima relazione con un uomo.
Per Marco, Michael era il pezzo mancante di un puzzle; come poteva esser completo senza quel pezzo?


Circa un anno prima, Marco e Michael si incontrarono per la prima volta sotto i riflettori.
Il piccolo Marco era insieme ai concorrenti della terza edizione italiana di X Factor: Sofia, Damiano, Silver, Chiara, Mario, Luana, Mattia, Francesca, Niccolò, Yavanna, Giulio e Davide, i quali aspettavano impazienti il cantautore libanese che presto sarebbe arrivato: Mika.
Fu la prima volta che i due ragazzi si ritrovarono in una situazione del genere: il cantante al centro dell'attenzione di tutti era il compagno di uno di loro e nessuno ne era a conoscenza.
Era una situazione così folle ma divertente.
Appena Luca Tommassini e Mika fecero capolinea nella stanza tutti i ragazzi gli si accerchiarono come soldatini.
Tutti gli aspiranti cantanti fecero domande al ragazzo sulla sua carriera e perfino sulle sue scarpe, mentre Marco rimase tutto il tempo a mordicchiarsi le labbra e le unghie, in piedi accanto a Damiano. Ogni tanto ridacchiava o sorrideva, ma Mika si accorse che quei sorrisi erano solo una copertura per mascherare il nervosismo.
Marco ricordò i tempi della scuola: i suoi compagni avevano sempre la mano alzata per ricevere il permesso di parlare, anticipavano le risposte facendo bella figura con l'insegnante, mentre Marco era chino sul suo banco a scarabocchiare; lui le cose le sapeva, il necessario ma studiava, è che era troppo timido e aveva sempre paura di commettere un qualsiasi errore.
Mika, invece, parve molto rilassato e sereno.
Marco e Michael erano gli opposti, ma forse questo era uno degli aspetti più belli della loro relazione, no?
Tutti i bambini, in un certo momento dicono «Da grande sarò come Batman!» e anche Marco era uno di questi; a ventuno anni, però, pensò di voler “rubare” alcune cose da Mika: ammirava il suo coraggio, la sua forza, il suo talento e la sua umiltà così tanto.
Michael non era un personaggio dei fumetti, ma in fondo, era il suo eroe.

La mano destra del libanese indirizzata verso Marco lo riportò alla realtà. Fu così preso dall'osservare il suo ragazzo e a riflettere che non si accorse di ciò che succedeva intorno a lui.
Marco assunse un'espressione talmente sorpresa che Mika dovette trattenersi per non scoppiare a ridere.
«Marco» pronunciò e gli strinse la mano.
«Nice to meet you.» disse Mika. A stento lo guardò; sapeva che se avesse incrociato i suoi occhi ci sarebbe affogato, e in quel momento non poteva permettersi distrazioni o sguardi troppo evidenti.

«Ragazzi, io ve lo devo portare via a meno che non vogliate dirgli...» iniziò Tommassini, dopo qualche minuto. Marco raccolse tutto il suo coraggio e fece dei gesti per farsi notare. «Marco, che vuoi dirgli?»
«Voglio l'autografo!» esclamò indicando il blocchetto di post-it e una penna che aveva tra le mani.
Mika porse delle domande ai ragazzi e nel mentre, Marco fece dei disegnini sul foglietto giallo per poi porgerlo al cantante.
«Per Marco, da Mika» Scrisse e lo diede a Marco, il quale, incapace di spicciare parola, mimò un «Thank you» con le labbra.


La voce della signorina risuonava meccanica facendo svegliare il ventisettenne.
«Atterraggio a Fiumicino».
Michael sorrise e si alzò dal suo posto.
Quando gli annunciarono che sarebbe dovuto andare a Milano per le prove della prima tappa del tour di The boy who knew too much, quasi si strozzò con la sua stessa saliva.
Dopo sei mesi stava per rivedere l'uomo che amava più della sua stessa vita e per poco non cadde pensando al dolce visino di Marco illuminato dal suo bianco e perfetto sorriso.
Il 21 aprile ci sarebbe stato un concerto del libanese ad Assago, ma il cantautore non poté aspettare oltre, perciò decise di passare per Roma prima di andare a Milano.
Aveva un urgente bisogno di abbracciare il suo ragazzo e ne aveva bisogno ora.


Arrivato all'appartamento in via Livilla, aprì il cancelletto con il doppione di chiavi che gli diede Marco e superò frettolosamente la rampa di scale.
Raggiunta la porta di legno, il suo cuore prese a pompare più aggressivamente del normale.
Poggiò l'indice sul citofono ed esercitò una leggera pressione.
«Marco!» esclamò con un ampio sorriso appena la porta si aprì. Quel sorriso però si dissolse ben presto.
Davanti a lui non apparve il ragazzino ma una ragazza che ipotizzò fosse una sua amica o cugina.
«Buongiorno. Uhm, ci è Marco?» domandò grattandosi la testa.
Marco in quegli anni gli insegnò un po' d'italiano, anche se ogni lezione veniva spesso interrotta da risate, scherzi e baci.
«Marco? E chi è?» A quella risposta il ricciolino inclinò la testa, confuso.
«Marco... Marco Mengoni»
«Quello di Sanremo? Ma tu stai fuori» disse con una risatina fastidiosa per poi chiudere la porta.
Il ragazzo rimase attonito a fissare il marrone della porta.
Quando si svegliò da quella specie di trance, prese il cellulare e compose quel numero che ormai conosceva a memoria.
“Il numero da lei chiamato è inesistente”
Michael aggrottò la fronte e richiamò il numero altre tre volte credendo di sbagliarlo.
«Marco, where are you» sussurrò, sconvolto, per poi raggiungere la casa della proprietaria dell'appartamento.

«Michael! Da quanto tempo» La signora Clara conosceva bene sia Marco che Michael. Li invitava spesso a casa sua perché “Siete due ragazzi in gamba. Mi ricordate i miei nipotini... sapete, uno vive a Madrid e un altro a Venezia”. Ovviamente non sapeva della relazione dei due che ormai raggiunse i due anni.
«Buongiorno, Clara» salutò Mika abbracciando l'anziana.
«Giusto in tempo! Vuoi entrare? Ho fatto la crostata che piace a te» annunciò sorridendo dolcemente.
«You know che me piacerebe, ma ho fretta; sono pasato per chiedere una cosa»
«Certo, dimmi»
«Sono venuto qui per vedere Marco, ma...» A quelle parole la signora si coprì la bocca con le mani e il suo voltò assunse un'espressione tra il dispiaciuto e il sorpreso.
«Marco non te l'ha detto?»
«What? Cosa deveva dirmi?» Michael quasi fu sull'orlo di una crisi. Voleva solo riabbracciare il suo ragazzo e farsi perdonare per tutto il tempo in cui non gli era stato accanto.
«È quasi un mese che Marcolino si è trasferito» Il volto del cantante diventò violaceo.
«W-what?»
«Entra che ne parliamo».

«Mi spiace che non te l'abbia detto... che strano. Eppure eravate come fratelli: sempre insieme e così allegri! Dovevi vedere quando tu non c'eri... Marco era così cupo.» Il riccioluto sorrise appena e si alzò dal divano color panna.
«Clara, grazie per tuto, davero. Siete come nonna e sicuramente la vienò a trovare presto» Gli occhi dell'anziana diventarono lucidi e sorrise come se il ragazzo che aveva di fronte fosse davvero suo nipote. Michael ridacchiò e si abbassò per riuscire a stringere la signora tra le braccia.

Uscì come un razzo da quella casa.
Destinazione?
Milano.


«You can't!».
«I'm Marco Mengoni!»

Il cantautore si accomodò malamente sulla sedia viola e ravvivò i boccoli castani madidi di sudore.
Era stanchissimo ma felice e pieno d'orgoglio per il concerto che andò benissimo: si divertì e fece divertire il suo pubblico. Ci furono tantissime persone: adolescenti, bambini, ragazzi, e persino genitori, ma purtroppo Lui non fu tra questi. Michael sbirciò così tante volte tra la gente sperando di intravedere quel volto ma niente.
Affranto, decise di godersi il concerto anche se facile non fu... “E' in ogni dannata canzone” pensò svariate volte.

«MMika» una voce conosciuta lo chiamò. «There is a person who wants to see you»
«Who is?»
«He says he i-» L'uomo non finì di parlare che venne sorpassato da una figura di cui Michael conosceva ogni millimetro.
«Oh, e spostati, carciofone» esclamò evidentemente irritato.
Appena questo incontrò lo sguardo del riccio si sentì il cuore in gola.
«Go away!» disse l'uomo-armadio, bloccando le braccia del ragazzo dietro la schiena.
«C-Chris, leav-ves him a-and go o-o-out.» balbettò Mika, tremando ma senza mai staccare gli occhi dal ragazzino.
L'omone lasciò il moretto e uscì, accigliato, per poi chiudere la porta.
Così, i due ragazzi si ritrovarono da soli in quel piccolo stanzino, faccia a faccia dopo tanto tempo.
L'uno negli occhi dell'altro.
Marco abbassò lo sguardo stringendosi nelle spalle, ma appena lo rialzò, l'istinto di Michael prese il sopravvento.
«You are a fucking idiot» mugugnò attirando il ragazzino a sé prendendolo per le spalle. Le braccia si chiusero poi intorno al suo corpo magro.
Serrò le palpebre e affondò il volto nell'incavo di quel collo perfetto e subito un profumo di “maschio” gli penetrò nelle narici.
Marco assunse un'espressione sorpresa quando sentì l'uomo sussultare ritmicamente tra le sue braccia. Quest'ultimo gli strinse improvvisamente la felpa azzurra e iniziò a dargli dei leggeri colpetti, mentre la vista gli si annebbiava dalle lacrime che pregarono di esser liberate.
Bruciarono come lame taglienti.
«Why non mi h-hai deto nothing? Ho girato Milano tutta per cercarte» La voce spezzata, il tono deluso.
Non era una bugia: Michael cercò il ragazzo in quasi ogni angolo della grande città.
Marco a quel puntò si allontanò di qualche passo e Michael capì quanto gli fosse mancato: si sentì di nuovo vuoto, un puzzle incompleto.
«I-Io credevo che per te fossi una... da una scopata e b-basta» rispose osservandosi le vans.
«Sei un coglione» Il libanese afferrò un lembo della sua felpa e avvicinò di nuovo il ragazzo a sé imprigionandolo tra le braccia. Nel colpo, i loro petti sbatterono l'uno contro l'altro e Michael riuscì a percepire la velocità con cui il cuore dell'altro batteva.
Quando il piò piccolo alzò la testa poggiò la fronte su quella del riccio.
Si ritrovarono entrambi con il fiatone come se avessero partecipato ad una corsa ad ostacoli... che, in fondo, più o meno era così.
«M-Michael» Il suo respiro sfiorò la pelle del ragazzo. Dal tono traspariva come un timore.
«Ssh, ora che ho ritrovato te non te lascerò più andare» disse accarezzando con una mano la guancia destra del ventiduenne. «Ora sei mio, again.» continuò, e con il pollice gli sfiorò il labbro inferiore, sorridendo flebilmente.
Il moro rabbrividì sotto quel tocco.
«Michael... non c-ce la faccio più...» sussurrò quasi disperato e Michael sollevò le sopracciglia con sguardo interrogativo. «B-Baciami.»
Strabuzzò gli occhi.
«R-repeat it.»
«Baciami, Michael. Toglimi il respiro. Portami dove si vola... no?» Il ventisettenne spinse con una mano la sua schiena verso di sé, ritrovandosi il ragazzo ad una distanza... pericolosa.
Riuscì a percepire le sue ciglia sulle proprie guance.
Smise di pensarci; era la cosa giusta. Lui era quello giusto.
Incastonò le labbra alle sue unendole nel più disperato dei baci. Si avventò con foga e avidità, mordendo e succhiando quella tenera pelle che per mesi aveva bramato.
I due si sentirono improvvisamente leggeri come foglie... come se stessero davvero volando.
Desideravano l'uno le labbra dell'altro come si desidera una cosa di cui si è stati privati per troppo tempo, con lo stesso tormento.
Dal labbro inferiore di Michael uscì un rivoletto di sangue per un morso un po' troppo azzardato di Marco.
Era affamato.
L'italiano lo leccò con la punta della lingua e... Dio, era erotismo puro; erotismo innocente e sconvolgente come lui.
La schiena di Michael andò a scontrarsi contro la parete fredda e Marco ne approfittò per poggiarsi sul suo corpo e strusciarcisi come un gatto.
Agli occhi del libanese, quel ragazzino timido e insicuro diventato così intraprendente, era perfetto; anche se ai suoi occhi, Marco, perfetto, lo era sempre stato.
Una mano di quest'ultimo gli sfiorò il busto sodo, iniziando a giochicchiare con gli ultimi bottoni della camicia, indeciso se osare o no.
«Marco» sussurrò Michael in un momento di lucidità. Staccò le labbra dalle sue con uno schiocco rumoroso tenendole semiaperte per recuperare ossigeno.
Possibile che sentiva già la mancanza di quella «presenza» sulla bocca?
«Marco... no possiamo.» A quella frase l'altro alzò la testa e Michael intravide un senso di confusione.
«No?»
«Cioè, no qui...»
Sorrisero complici.
Marco si alzò sulle punte e sfiorò l'orecchio di Mika con le labbra per sussurrargli qualcosa. Cercò di stuzzicarlo -e diciamocelo, ci riusciva perfettamente- ma la sua personalità timida ed impacciata non spariva mai, e questa cosa faceva impazzire Michael.
Marco non era una sfumatura ma un forte contrasto, un estremo che riusciva a fottergli il cervello.
Ebbe un brivido dalla punta dei capelli riccioluti fino ai piedi.
«Esci prima tu senza fare vedere. Se chiedono a te qualcosa devi dire che sei mio fan. Fuori c'è una street scura, fermati che ti vado tra due minuti.» Marco annuì e fece per voltarsi, ma Michael gli afferrò un polso.
«Viene qui» disse sorridendogli teneramente e lasciandolo.
«Mh?» Marco si avvicinò a lui in attesa di una sua mossa.
Il più grande guardò gli occhi color caffè del ragazzo, in quel momento lucidi.
Ci trovò la vita.
Ci trovò tutto ciò che di bello, puro e innocente c'è al mondo.
Ci trovò casa.
Ci trovò la felicità.
Accolse il suo viso tra le mani e posò le proprie labbra sulle sue in un bacio casto, ingenuo, ma che bastò per far tremare Marco su quelle labbra sottili.
Michael scoppiò a ridere appena si staccò.
«Ehi! Perché ridi?» gli chiese Marco, facendo un finto broncio e dandogli una pacca sul petto.
«Nothing. I'm happy.» esclamò con il volto sorridente.
In quel momento a sorridere non era soltanto la bocca ma anche gli occhi, e Marco lo giurò: non esisteva cosa più bella.
«Cosa c'è?» gli domandò il ventisettenne vedendo il ragazzo sorridere.
«Nothing. I'm happy.» lo copiò facendogli l'occhiolino e poi si voltò. «A dopo.»
Quando si chiuse la porta alle spalle, Michael si lasciò cadere sulla sedia, scuotendo la testa ma con un sorriso che sul suo volto non compariva da tempo.
«Sempre solito idiota.»

Michael aspettò cinque minuti per essere sicuro che le persone venute al concerto se ne fossero completamente andate e si cambiò d'abito, sostituendo un paio di pantaloni verde chiaro ad uno bianco e la maglietta con una felpa di cotone marrone.
Marco, nel frattempo, si infilò nel bagno di un bar per sciacquarsi il viso arrossato per via della temperatura del camerino dov'era poco prima, ma soprattutto per le sensazioni che il suo ragazzo gli aveva riservato.
Si guardò al piccolo specchio posto sopra il lavandino e si aggiustò con le dita il ciuffo spettinato.
Si mordicchiò il labbro inferiore e percepì il sapore di dentifricio della bocca di Michael. Il calore prese ad irradiargli le gote, che quasi pensò gli stesse andando a fuoco la barba che portava corta.
Sorrise.
“Sembro un ragazzino alla sua prima cotta” pensò ridacchiando.
Come lo faceva star bene Michael non ci riusciva niente e nessuno.
Gli bastarono quei baci e quegli sguardi per capire che il ricciolino era innamorato di lui.
Niente più dubbi, niente più domande, solo risposte; lui era la risposta.
Era la risposta al dolore, alla paura, alla solitudine quando fa male.
 
Quando Marco fu pronto uscì dal bagno cercando di non farsi riconoscere per non creare scompiglio e raggiunse il luogo d'incontro che aveva stabilito il libanese: un vicolo non illuminato dalla luce dei lampioni.
Iniziò a camminare freneticamente avanti e indietro attendendo il suo ragazzo che, fortunatamente, non lo fece aspettare tanto.
«Marco? Pss, tu sei qui?» Appena sentì quell'inconfondibile voce raggiunse la figura slanciata.
«Ehi» lo salutò iniziando a mangiucchiarsi l'unghia del pollice. Si sentì improvvisamente imbarazzato.
«Tutto ok?» gli domandò il riccio.
«C-certo. Tu?» Abbozzò un sorriso.
«Yes.» disse, per poi perdersi nelle sue iridi.
Gli occhi di Michael erano color nocciola con delle pagliuzze verdi, ma in quel momento erano estremamente verdi; un verde chiaro, pastello.
Verde nel cioccolato.
Cioccolato nel verde.
Un clacson li distrasse.
«Allora, uhm, andiamo a casa mia?» Michael annuì e sorrise.
Marco si avviò verso la sua moto e indossarono entrambi il casco nero per poi sfrecciare dritto.

Per tutto il tragitto Michael non fece altro che provocarlo e dedicargli attenzioni: gli pizzicava i fianchi, lo faceva ridere, gli soffiava sul collo, gli cingeva la vita perché «Tu brum brum tropo veloce e io ha paura» e il povero Marco ce la mise tutta per non fare una brutta fine.
Arrivati a casa, Marco prese la chiave e cercò di aprire la porta nonostante Michael lo continuasse a stuzzicare.
Dopo aver consumato una buona dose di autocontrollo ed essere entrati in casa, Marco prese per mano il suo ragazzo e chiuse la porta.
Lo sbatté alla parete prendendo possesso delle sue labbra perfettamente a cuoricino e assaporandone il gusto e la consistenza soffice.
Sorrise su quelle labbra.
Le dita affusolate di Marco si attorcigliarono nel cespuglio riccioluto di Michael approfondendo il contatto delle loro bocche; lui amava questo gesto e Marco amava farlo.
Il libanese aprì leggermente la bocca per recuperare ossigeno ma Marco ne approfittò per intrufolarci la lingua; si accarezzarono, si rincorsero, si abbracciarono, fecero l'amore.
La bocca del più grande si spostò sul collo teso dell'altro lasciando baci lascivi e umidi.
Ormai Marco era tutto un fremito e inclinò il capo da un lato per dare spazio a Michael di continuare quell'eccitante tortura.
Dio, come gli era mancato tutto quello.

Ben presto si ritrovarono sul materasso con solo i boxer addosso che oramai coprivano ben poco.
Erano bisognosi ingordamente l'uno dell'altro.
Il libanese sentì il bisogno di essere ancora una volta del ragazzo di cui era innamorato. Il suo corpo era completamente di Marco e non aveva intenzione di essere di nessun altro.
Mordicchiò e succhiò con bramosia la pelle del busto allenato di Marco, mentre con una mano gli accarezzava con una lentezza straziante il petto, i fianchi e qualsiasi parte gli capitasse sotto i polpastrelli.
Sotto il suo tocco ogni forma di quel corpo risultò perfetta e deliziosa.
Era bello, Marco. Era più bello di un dio greco, di qualsiasi modello, più bello di quegli attori le cui foto vengono appiccicate sui diari delle ragazzine, più bello di chiunque altro, e il fatto che quell'uomo fosse solamente suo faceva perdere la testa a Michael.
Il ragazzino si contorse sotto il suo corpo e inevitabilmente fece scontrare le loro intimità già pulsanti portando entrambi all'esasperazione.
Il ventitreenne si morse il labbro inferiore e strinse le palpebre per trattenere un gemito: stava impazzendo.
«Dio, Michael!» quasi urlò non appena il libanese stuzzicò il suo membro con le dita fredde.
«Io deve smettere?» chiese con fare malizioso e incrociando i suoi occhi ma continuando con il suo lento supplizio.
Con un colpo secco gli sfilò i boxer bianchi, scoprendo il membro perfettamente eretto. Sorrise soddisfatto e percorse con un dito le vene che sporgevano per tutta la lunghezza. Ne evidenziò il profilo con la punta della lingua mentre Marco si inarcò verso lui, implorandolo di sbrigarsi.
Il ragazzo riccio inglobò in un caldo abbraccio la sua intimità che sembrò ingrossarsi, ancor di più, nella sua bocca.
Il ragazzino non vedette l'ora che quei gesti diabolici finissero, ma contemporaneamente volle che il suo ragazzo gli donasse quelle sensazioni per ore e ore, fino a far male, fino a non poterne più.
«M-Michael» ansimò e Michael lasciò il suo membro a contatto con l'aria fredda, il quale si poggiò sul ventre.
Il libanese risalì con un sorriso sul volto fino a ricongiungere le proprie labbra su quelle dell'altro con la delicatezza di una piuma.
«I love you» sussurrò sorridendo, appena si fu staccato. Sul volto di Marco comparve un sorriso che sembrò troppo bello per esistere davvero, e Michael si fece mentalmente una promessa: avrebbe sempre cercato di far sorridere e rendere felice Marco; quel ragazzo era troppo prezioso per avere un cuore spento.
«And you? Do you love me?» Marco distese ancor di più le labbra e annuì con un cenno del capo, intrappolando il labbro inferiore di Michael tra i denti.
Il più piccolo invertì le posizioni poggiandosi sul corpo magro ma sodo dell'altro.
I suoi occhi brillarono: quell'uomo era uno spettacolo.
Gli mordicchiò sensualmente il lobo dell'orecchio sinistro e ridacchiò nel sentire il ragazzo rabbrividire.
Amava stuzzicarlo, fargli provare almeno un quarto di ciò che gli faceva provare lui.
«Che succede?» chiese Marco vedendo le mani di Michael tremolare leggermente. Quest'ultimo scosse la testa sorridendo.
Marco ridacchiò sulle sue labbra, intreccio tra la sua la mano destra del ragazzo e la poggiò sul proprio petto.
Iniziò un percorso fatto di baci dalla tempia destra fino alle clavicole per poi scendere sempre più giù sentendo i sospiri di piacere di Michael farsi sempre più frequenti.
Baciò leggermente la parte superiore all'elastico dei boxer grigi mentre gli accarezzava una gamba.
«Marco, please...» lo pregò Michael al limite della sopportazione.
«Cosa c'è?» chiese Marco con una falsa ingenuità e fermandosi.
«You know.» Sul volto di Michael era stampata un'espressione mista al divertito e il malizioso.
«Oh, no. Dimmi, Michael, cosa c'è?»
«Piccolo Marco, non fare me dire questo...»
«Se mi dici ciò che vuoi potrei aiutarti.» disse per poi inumidirsi le labbra con la lingua.
«Oh God. T-touch me, Marco» Finalmente confessò e i suoi zigomi diventarono dei pomelli color ciliegia.
Marco non trattenne un sorriso e gli sfilò i boxer che fasciavano un rigonfiamento ben evidente, facendo attenzione a sfiorare ogni centimetro di pelle.
Sussurrò un «Oh...» sorpreso nel vedere quel membro teso al limite, e sapere che fu stato lui a renderlo così gli fece perdere quell'ultimo briciolo di lucidità.
Un gemito sfuggì dalla gola di Michael appena il ragazzo soffiò sulla punta gonfia e ci poggiò le labbra. Ingoiò la sua erezione come il più gustoso dei gelati cercando di inglobare ogni centimetro.
Le sue labbra accarezzarono seducenti la pelle sensibile e le dita stimolarono la base mentre Michael, dal canto suo, artigliò le lenzuola, muovendo il bacino a ritmo. Si sentì quasi male dal piacere; Marco sapeva fin troppo bene quali parti sfiorare per farlo impazzire.
Appena Marco lasciò la sua intimità, il ricciolino alzò improvvisamente il busto e afferrò il volto del ragazzo tra le mani, baciandolo con tutta la dolcezza del mondo.
«Sei sicuro?» Marco gli faceva sempre quella domanda prima di fare “l'ultimo passo”.
Michael gli accarezzò una guancia con il tocco vellutato di un dito.
«Mai stato sicuro di più». Sorrise e si lasciò cadere con la schiena sul materasso.
Amavano farlo in quella posizione: affogare l'uno negli occhi dell'altro, osservare minuziosamente ogni più piccola espressione.
«Oh, shit» urlò Michael appena sentì quel senso di pienezza invaderlo facendogli irrigidire il corpo e battere, ancor più forte, forte il cuore.
Una lacrima gli rigò il viso e a quel punto Marco si fermò.
«S-se vuoi s-s-smetto» balbettò visibilmente preoccupato.
«No» Gli afferrò un polso, «No, Marco... I need you.» e sorrise flebilmente.
Il tuffo al cuore che provò Marco quando quella frase gli arrivò nelle orecchie fu indescrivibile.
Lo amava.
Ne ebbe l'ennesima conferma.
Marco si mosse in lui inizialmente con delicatezza per farlo abituare a quella presenza ingombrante; l'unica cosa che voleva era farlo soffrire.
Fargli arrivare tutto l'amore che provava: fu quello il suo intento.
La successiva velocità incalzante delle spinte fece svanire il dolore provato prima, sostituendosi ad un piacere sfrenato per troppo tempo rinchiuso. Piacere che si riversò del tempo dopo, contemporaneamente all'altro.
Marco venne dentro di lui con un urlo strozzato, stringendo le palpebre e buttando all'indietro la testa. Il labbro inferiore stretto sotto gli incisivi bianchi, le vene del collo evidenti, l'espressione trasudata di piacere... a Michael quella vista non fu indifferente.
Il ragazzo si sfilò dal libanese, per poi accasciarsi sfinito ma estremamente appagato, sul materasso.
Restarono inermi l'uno accanto all'altro, sorridendosi ogni tanto.
Quella stanza era ormai avvolta da un alone di amore e l'unica cosa che si udiva erano i sospiri dei ragazzi.
«Oh, love» sussurrò Michael, avvicinandosi al compagno, «I love you so much, Marco».


La mattina dopo Michael fu il primo a svegliarsi.
Aprì gli occhi e sussultò lievemente nel vedere quell'angelo accoccolato come un neonato al suo petto.
Inclinò la testa di lato per guardare quel volto che tanto amava: Marco aveva le palpebre serrate, la bocca leggermente aperta che assomigliava vagamente ad un sorriso, la guancia schiacciata sul petto nudo del libanese e i capelli sparati ovunque.
Parve un bambino indifeso e ciò fece sorridere il ventisettenne.
Ebbe l'impulso di svegliarlo, di dirgli che lo amava più di ogni altra cosa al mondo e quanto fu meravigliosa la notte precedente... ma non lo fece; era troppo bello e innocente per essere strappato bruscamente dal mondo dei sogni.
Sentì il bisogno di sgranchirsi le gambe, perciò Michael, prestando molta attenzione, sgattaiolò da sotto il corpo del ragazzo e dalla coperta blu.
Marco assunse una faccia imbronciata accompagnata da un verso assonnato e poi abbracciò un cuscino.
Il ragazzo riccio ridacchiò e gli rimboccò le coperte per assicurarsi che stesse al caldo. Nella stanza la temperatura era molto bassa, così il ragazzo pensò di indossare almeno i pantaloni che... beh, bisognava soltanto trovare.
Sul pavimento? Le loro maglie.
Sotto il letto? Tre (tre?) calzini.
Michael alzò un lembo della coperta e intravide della stoffa bianca. Recuperato il suo pantalone, lo indossò e sbadigliando spostò la tenda che copriva una finestra.
Non aveva con sé un orologio digitale, quindi non aveva idea di che ore fossero, ma una palla rosso fuoco spuntò tra due colline: era l'alba e ipotizzò fossero le sei/sette.
Rimase così incantato a guardare quello spettacolo mattutino che la natura donava che non si accorse dei continui richiami di Marco finché quest'ultimo non gli circondò il busto con le braccia e adottò la sua schiena come cuscino umano.
«Ehi, amore» sussurrò l'italiano, assonnato, soffiando sulla sua pelle.
Michael venne percorso da una scarica elettrica e chiuse gli occhi per un istante.
«Goodm-no, no, buongiorna» esclamò. Ci teneva ad imparare quella lingua.
Marco scoppiò a ridere.
«Non imparerai mai... buongiorno anche a te» rispose divertito stringendo ancor di più il ragazzo a sé.
Ormai i loro corpi aderivano perfettamente e Marco, respirando, indirizzava il fiato freddo sulla spina dorsale di Michael, il quale rabbrividiva ogni santa volta.
«Marco, please, stop it» Gemette dopo che il moretto gli diede un bacio; quella pelle era così attraente che le labbra si mossero autonome. Marco percepì la sua reazione e mentalmente ridacchiò soddisfatto.
«Vuoi che vada via?»
Mika si voltò di scatto facendo quasi perdere l'equilibrio al ragazzino e lo avvolse tra le braccia.
«Mai, ma tu provoca povero Mika» disse sporgendo il labbruccio inferiore a cui Marco non poté resistere dal baciarlo.
Nel bacio, Michael aprì gli occhi per un istante ed ebbe la sensazione che il cuore ben presto sarebbe scoppiato nella gabbia toracica, quando vide le labbra dell'altro stese in un sorriso e piccole rughe d'espressione accanto agli occhi.
Gli prese il volto tra le mani e premette le proprie labbra sulle sue.
Quanto fu bello ill turbine di sensazioni che si sfogarono alla bocca dello stomaco che lo fecero, semplicemente, sentire vivo.
Quando i due ragazzi si staccarono, Michael abbassò il capo e sentì il sangue andargli alla testa.
Come se non l'avesse mai visto come mamma l'ha fatto...
«Marco, coprito» disse, sfregandogli le mani sulle spalle; indossava solo i boxer e si sarebbe ben presto trasformato in un ghiacciolo se avesse indossato qualcosa.
Marco non disse nulla, non andò a vestirsi... semplicemente spalancò le braccia.
«Oh God» sussurrò il libanese, sorridendo.
«Amore, guarda this» pronunciò dopo qualche secondo di silenzio, ricordandosi dell'alba.
Si posizionò dietro di lui e, dopo averlo intrappolato tra le braccia, poggiò il mento sulla spalla destra.
Marco rimase folgorato da quel mix di colori vivaci.
«È bellissimo» esordì con voce trasognata.
«Come te» disse il riccio, strofinando la punta del naso sul suo collo.
«Ami farmi impazzire, vè?»
«Oh yeah» Risero.
Il cielo era davvero splendido: un'enorme chiazza azzurra, macchiata da striature arancione che in alcuni punti sfumavano.

«Amore...» iniziò Marco, per poi zittirsi per qualche secondo come per trovare le giuste parole. «Mi sei mancato.»
«Anche tu... and your kiss...» sussurrò le ultime tre parole per poi stampargli un bacio sulla base del collo. «And your hug, your laugh, your voice, your modo de fare l'a-amore» terminò stringendolo a sé.
Marco sussultò e una vampata di calore lo invase.
Come poteva lasciare andare quel meraviglioso uomo?
Forse, semplicemente, non poteva.
Certe persone non possiamo lasciarle.
Certe persone abbiamo bisogno di averle continuamente accanto.
Certe persone sono la corda che ci sorregge dal cadere nei vortici bui.
«Tu andare away ancora?» Ecco...
«No, ma solo perché il tuo italiano è peggiorato.»
«Ehi! Ricorda mio maestro sei tu» ribatté divertito.
Restarono per un po' così, nel calore di un abbraccio, in silenzio.
C'erano tante cose da dire: “Come va il disco?”, “Quando riparti?”, “Il tour come va?”, ma preferirono usare la bocca solamente per baciarsi di tanto in tanto.
Parlarono a gesti.
Una stretta più forte e dopo un sorriso? “Non mi lasciare”, “Mai”.
Una carezza? “Stai tranquillo”, “Finché tu sei con me, sì”.
Un bacio dato a tradimento e poi ricambiato? “Ti amo”, “Ti amo anch'io”.


«Pronto?»
«Marco! Hi, come tu sta?»
«Bene anche se mi manchi tanto. Tu?»
«Bien ma anche tu manca a me, piccolo»
«Che fai di bello?»
«Sono chiuso in bathroom perché devo darte una notizia ma no voleva dartela davanti a persone»
«Quale? Quale? Parlaaa, voglio sapere»
«Te va de venire a Dublino with me per X Factor?»
«...i-io...»
«Se tu no vuole io può invitare un altro persona perché cioè io voleva te because tu mio ragazzo e-»
«Zitto. Muto. Non dire una parola. Sì. Mi va. Mi va di venire a Dublino con te.»
«Oh picolo Marco... io è folemente innamorato di te.»


Abbelli de nonno!
Inizio col chiedervi scusa perché sono più di tre mesi che non mi faccio vivo ma ho avuto un blocco.
Inizialmente
“snow” non doveva avere un sequel, ma me lo hanno chiesto quindi boh.
Eccolo qui.
Spero vi piaccia c:

- Per chi non ha letto la prima parte, basta cliccare qui:
Amore dato, amore preso, amore mai reso
Alla prossima!

 

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