Gemelli di Sangue

di arsea
(/viewuser.php?uid=779264)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


L’oscurità li ammantava, densa e vischiosa come fosse solida, tanto che si faceva fatica persino a respirarla. Entrava nei polmoni come una mano gelida, cingendo il cuore in una morsa di pura paura, e quando fuoriusciva ancora, in una sottile nuvoletta bianca, pareva che avesse sottratto ai loro corpi il poco calore che ancora li animava. Intorno il bosco in cui spesso si erano avventurati, per gioco o per scommessa, sembrava essersi trasformato in un labirinto di ossute braccia e maligni occhi, e ovunque riluceva l’ammiccare sinistro del baluginio di un fantasma o di una lama che spariva non appena lo sguardo vi si soffermava per poco più di un istante. Seduti ai piedi di quell’enorme quercia avevano visto il sole scendere lentamente all’orizzonte e poi sparire dietro le fronde, e ad ogni sprazzo di luce che spariva inghiottito dalla notte incombente, la serenità dei loro semplici giochi, fatti per noia nell’attesa, aveva lasciato spazio ad una sempre più crescente inquietudine. All’inizio si era insinuato in loro il dubbio, scacciato però dalla speranza infantile, da quella fiducia incondizionata che solo i bambini conoscono e che la vita cancella, ma nessuno dei due sapeva che per loro si sarebbe spezzata così presto, come vendemmia prematura. Lei aveva paura, si sentiva le gambe paralizzate dalla paura, e aveva freddo, ma non aveva il coraggio nemmeno di sussurrare una preghiera, nel timore che la sua voce, nello spezzare il silenzio, scatenasse la furia di non so quale entità. Lui le cingeva le spalle con un braccio, così che erano l’una stretta all’altro per vincere il gelo sempre più aggressivo, e le sussurrava sui capelli di stare tranquilla, che non c’era niente di cui aver paura, ma anche le sue mani tremavano non solo per il freddo e il cuore sotto l’orecchio di lei batteva come un tamburo delle fiere di paese. Le ore passavano e il buio si addensava, tuttavia la bianca luna sulle loro teste, piena quella notte, riusciva a trapassare con i suoi raggi argentei la cupola verde formata dalle foglie, e seppur creasse ombra in pari misura a quanto facesse con la luce, quest’ultima era comunque abbastanza per rischiarare l’intorno << Proviamo a tornare >> propose lui, niente più che un sussurro, ma Gretel sussultò lo stesso << Ma se tornasse e non ci trovasse più? Se ci perdessimo? >> ribatté con il cuore in gola, talmente terrorizzata che non riusciva nemmeno a piangere << Forse gli è successo qualcosa. Magari è cascato in una trappola per gli orsi, oppure da una roccia. È inutile rimanere qui >> si alzò in piedi dopo averla scostata delicatamente, tendendole poi una mano per aiutarla a fare altrettanto. Li separava poco meno di un anno, ma a dieci Hansel sapeva bene che doveva proteggerla, visto che era il maggiore, perciò non lasciò la mano di lei, per farsi e farle forza, e così si incamminarono nella notte. Nessuno dei due ebbe il coraggio di dire a voce alta il dubbio che si era insinuato dentro di loro, temevano che il solo pronunciarlo lo rendesse reale, perciò continuarono in silenzio, sobbalzando ad ogni verso ignoto, e fingendo di non vedere le spaventose sagome che si tendevano nella loro direzione << Papà... Dove sei, papà? >> sussurrò Gretel, ormai terrorizzata, e stanca di esserlo, come in uno di quegli incubi estenuanti in cui la paura è tanto soverchiante che alla fine non si desidera altro che sfuggirle, qualsiasi sia lo scotto da pagare per farlo. Fu allora che Hansel lo disse: << Non tornerà più >> la sorella sussultò come se l’avesse pizzicata << Non dirlo! >> non alzò la voce, ma usò abbastanza veemenza che liberò la mano che stringeva quella di lui << Ci hanno abbandonati... >> gemette lui invece. Nota: Spero che quello che avete letto vi sia piaciuto, o che almeno vi abbia incuriositi un po' perché questi due sono dei personaggi che mi piacciono molto e vorrei giocare insieme a loro e a voi ancora per un po'. Fatemi sapere quello che ne pensate, le critiche, gli errori. Aiutatemi a migliorare, il vostro pensiero mi è molto prezioso :)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***



La locanda di Green Hill era famosa, per quanto può esserlo la locanda di un paesino dimenticato dal Signore almeno, e questo perché rispettava ampiamente quei requisiti che sono fondamentali ad ogni viaggiatore: buon cibo, coltri pesanti contro il gelo notturno pungente in ogni stagione e prezzi onesti.
Era gestita da tre cugine, con i rispettivi mariti, e per questo riuscivano a curare ben cinque stanze, un lusso che non molti potevano permettersi, e il piccolo porto fluviale della città permetteva che i guadagni riuscissero a far vivere tutti loro dignitosamente.
Solitamente era frequentata da mercanti, viaggiatori e pescatori, dagli uomini che volevano gustarsi una birra e buone risate, e gli osti erano cordiali e benvoluti, alimentando la propria fama.
Tuttavia, non fu per questo che l’avevano scelta per la notte.
Molto più semplicemente, entrando in città da forestieri, stanchi per le troppe notti all’aperto a cui l’ultima caccia li aveva costretti, avevano cercato il primo posto in cui riposare e rifocillarsi, e il vecchio maniscalco a cui avevano chiesto aveva indicato loro “Le Tre Locandiere” per passare la notte.
Nell’entrare nella stanza la sera prima, esausti, non avevano fatto caso né alle lampade ad olio che spandevano una luce soffusa né ai mobili di legno intagliato, limitandosi a crollare sopra ai materassi che profumavano di fieno.
E null’altro era importato loro.
Adesso però che era sveglio e riposato, Hansel apprezzò la piccola camera in cui avevano dormito.
Gli piaceva che fossero al primo piano, lontano dalla strada e dai suoi pericoli, e che la stretta finestra facesse entrare il sole in una pallida lama che lambiva appena i piedi di sua sorella, seduta innanzi a lui sullo sgabello che avevano trovato davanti alla cassapanca che fungeva anche da toeletta.
Crescendo i capelli di Gretel si erano fatti sempre più lunghi e folti, mossi e lucenti in morbide ciocche di un bel castano scuro che alla luce del sole brillava di riflessi rossastri, e nonostante li tenesse sempre acconciati in una comoda treccia che le superava la vita, Hansel sapeva bene quanto accentuassero la sua bellezza.
Come ogni mattina lui le pettinò la chioma con accuratezza, mentre lei sbadigliava non ancora del tutto sveglia, sciogliendo con le dita i piccoli nodi per poi intrecciare le ciocche con l’abilità dettata dall’abitudine.
Gli sorrise una volta che ebbe finito, ringraziandolo velocemente per poi finire di vestirsi.
Hansel si infilò la propria giubba di cuoio sulla camicia e ne strinse i lacci sulle fibbie di metallo prima di indossare il lungo pastrano di pelle nera che gli arrivava ai polpacci.
Indossò gli stivali di cuoio e rimboccò i mezzi guanti sulle dita, gesti automatici che faceva da anni, e come lui si muoveva Gretel, quasi il suo specchio esatto.
Da quando erano soli non si erano lasciati nemmeno per un momento.
Ogni giorno, dall’alba al tramonto, per questo avevano sviluppato le stesse abitudini e persino simili movenze, anche se lei manteneva comunque una certa innata eleganza e orgogliosa sinuosità.
Si caricò sulle spalle i loro bagagli e la precedette alle stalle per preparare i cavalli mentre lei, senza che nemmeno ci fosse bisogno di dividersi i compiti, si sarebbe diretta al mercato per procurarsi qualche ultima provvista.
Fionn, lo stallone di Gretel, aveva un ferro allentato sullo zoccolo perciò lo riparò prima di sellarlo, stringendo saldamente i finimenti intorno al ventre nero del bell’animale, mentre Yering, fratello di Fionn come lo erano i proprietari, aspettava docilmente il suo turno.
Yering era più robusto perciò fu a lui che affidò le armi, accuratamente nascoste, mentre a Fionn diede in custodia le bisacce con il cibo e le coperte.
E stava finendo quando Gretel fece ritorno, il passo così felpato e leggero che pareva quello di un tagliagole, ma lui si era abituato ad udire i sottili suoni del bosco perciò non sussultò nel sentire la sua voce alle spalle << Siamo pronti? >> domandò, passandogli davanti per mettere i nuovi acquisti nella bisaccia << Beh, se per pronti intendi che stiamo per lasciare l’unico villaggio che incontreremo per i prossimi giorni... sì, lo siamo >> Gretel gli diede una pacca sulla spalla, un po’ troppo affettuosa, quindi vi si appoggiò e usandola come perno si issò in sella.
Prese le redini quando il ragazzo gliele porse e si chinò su Fionn per rivolgergli qualche parola sussurrata, il volto piegato in un lieve sorriso come raramente se ne concedeva, mentre Hansel montava su Yering con un movimento fluido, trovandolo come sempre scalpitante e ansioso di mettersi in marcia, anche se non era passata che una notte da quando si erano fermati.
Avevano trovato quei cavalli quali uniche creature rimaste vive in un intero villaggio, quando erano poco più che puledri, adatti a loro tuttavia giacché erano stati solo dei bambini a quel tempo.
Nel loro peregrinare solitario, quei due cavalli erano diventati loro compagni inseparabili.
Mentre uscivano dalla stalla al passo, muovendosi placidamente per le vie affollate della cittadina, Gretel gli lanciò un pezzo di focaccia e del formaggio, ben magro pasto rispetto a quello che avrebbero potuto consumare alla locanda, ma Hansel non si lamentò, limitandosi semplicemente ad accettarli.
Il sole era ormai alto nel cielo e il giorno non sarebbe durato ancora troppo a lungo, mentre loro avevano bisogno di sfruttare ogni minuto di luce per andare avanti: muoversi di notte, specialmente in mezzo alle foreste, non era affatto consigliabile.
Intorno a loro le case di legno ammassate le une sulle altre, spezzate qua e là nel loro monotono susseguirsi dalla bottega di questo o quell’artigiano, cominciarono pian piano a diradarsi, da una parte facendo rimpiangere loro le comodità della civiltà e dall’altra suscitando in entrambi quel senso di libertà che in città si affievoliva, la sensazione di essere circondati solo dal mondo, e che ben presto non ci sarebbe stato alcun orecchio che avrebbe potuto udire le loro grida.
Tranne l’uno quelle dell’altra e viceversa.
Gretel, che trai due possedeva più senso dell’orientamento, teneva la mappa e la bussola perciò fu lei a decidere di seguire il corso del fiume verso est, per il tratto più lungo che avrebbero potuto, ma del resto era una saggia decisione non allontanarsi dall’acqua che scorre e come sempre Hansel non ebbe niente da ridire.
Era raro che Gretel decidesse senza ponderare bene la situazione perciò si fidava molto del suo giudizio.
La vide alzare gli occhi al cielo, corrugando un poco le sopracciglia sottili, quindi le belle labbra piene si storsero in una smorfia di disapprovazione << C’è qualcosa che non va? >> le chiese lui, tirando il morso per avvicinarla e gli occhi nocciola della ragazza si posarono su di lui limpidi e senza incertezze << Non credo che riusciremo a raggiungere la stazione di sosta in tempo per il tramonto >> << Non sarà la prima volta che accade. Se ci sarà la luna continueremo a muoverci, se sarà coperta dalle nubi ci accamperemo fino all’alba >> lei assentì lentamente, ma non sembrava per nulla rincuorata, pensosa semmai << Cosa ti turba? Da qualche tempo sei un po’ strana, sorellina >> le mani di lei si strinsero intorno alle redini, abbastanza da far scricchiolare leggermente il cuoio consunto dei suoi guanti << Come puoi aver già dimenticato? Ci stanno dando la caccia, Hansel. Non è qualcosa da sottovalutare >> << Ci danno la caccia perché noi la diamo a loro. Per come la vedo io non fanno altro che facilitarci il lavoro: più teste tagliate vogliono dire più soldi >> << Anche umani, Hansel. Due notti fa, sono stati due uomini a cercare di ucciderti nel sonno. Probabilmente hanno messo una taglia sulle nostre teste. E la nostra missione non implica uccidere persone come noi >> lui sospirò, ma quello che più lo impensieriva non erano le parole della sorella, ma il fatto che lui non provava affatto rimorso per aver ucciso quei due.
Avevano cercato di ucciderli, perciò si era semplicemente difeso.
Ma non lo disse a Gretel << Io... io ho un cattivo presentimento riguardo a tutto questo >> disse lei d’un tratto, guardando lo scorrere del fiume poco lontano da loro << In che senso? >> Gretel sospirò, un sospiro profondo e frustrato << Ci sono un sacco di cose che non mi quadrano >> << Parli dell’ultima caccia? >> << Parlo un po’ di tutto. Ci hanno contattato dall’altra parte della contea per una strega di cui non abbiamo nemmeno mai sentito parlare >> << Non ci siamo mai spinti così a nord >> << Lo trovo comunque strano. Secondo quella lettera d’aiuto la strega ha sterminato un intero villaggio, giusto? Deve essere una creatura potente. Eppure non abbiamo avuto notizie di nessun altro attacco simile >> Hansel si rabbuiò, pensoso adesso << Pensi che fosse un rituale? >> domandò infine, spronando un poco Yering che si era concentrato su un folto ciuffo d’erba lungo il sentiero << Le ultime due streghe non erano troppo lontane le une dalle altre. E quando le abbiamo catturate hanno preferito uccidersi piuttosto che parlare. Eppure sono molto resistenti: avrebbero sopportato le nostre torture per un po’, anche solo per prendere tempo. Invece si sono uccise. Perché pensi che l’abbiano fatto? >> << Se fossero umane direi che c’è qualcosa che le spaventa più di noi >> << Se fossero umane... >> ripeté assorta nei suoi pensieri, assentendo lentamente con la testa << Sono passati otto anni da quel giorno, Hansel. Otto anni che viaggiamo senza meta in un’eterna caccia, eppure non sappiamo nemmeno cosa siano. Non sappiamo se siano donne oppure no, non sappiamo quale immonda creatura le metta al mondo. E sono sempre più numerose. Si dice che a sud abbiano portato la piaga della peste. A quale diceria possiamo credere, a quale no? Se bramano il potere, perché nessuna di loro ha soggiogato un re o una regina? Cos’è che vogliono? >> << Le sappiamo riconoscere. Non è questo l’importante? A cosa serve conoscere i loro scopi? Dobbiamo semplicemente sterminarle. È questo che ci siamo ripromessi, ricordi? Perché non vogliamo che ad altri succeda come a noi >> Gretel questa volta lo fulminò con lo sguardo << Per te è sempre tutto molto semplice, non è così? Non ti fai mai qualche domanda, Hansel? >> fece irata, spronando poi il cavallo al trotto per distanziarlo, e lui la lasciò fare, assicurandosi semplicemente che non sparisse dalla sua visuale.
L’aveva fatta arrabbiare.
Quando il sole arrossava il cielo e la visuale cominciò a diminuire, il ragazzo smise di rimanere alle spalle della sorella e velocizzò il passo per affiancarla, sempre senza dire una parola, e anche se come al solito Gretel decise per una tregua silenziosa, non protestò per la vicinanza del fratello perché la notte era troppo pericolosa.
Era autunno perciò il giorno andava accorciandosi, ma quello che veramente li inquietava era il crepuscolo, l’allungarsi sinistro delle ombre, quell’attesa dilatata dell’oscurità che rendeva persino i loro respiri più brevi << Tra poco giungeremo ad un guado >> disse lei infine << Lo attraverseremo? >> la vide annuire << Da lì in poi si estende una folta foresta >> << Io direi di accamparci per la notte. È troppo pericoloso >> questa volta Gretel sollevò una mano, indicando così una sagoma di rocce all’orizzonte, situata su una piccola collina << Sembra una rocca abbandonata. Direi che è il luogo ideale >> Hansel diede un’occhiata al cielo poco prima che lei si fermasse.
Il fiume giungeva infatti ad una strettoia, dove la corrente era più forte certo, ma il fondale abbastanza basso da mostrare i ciottoli lisci che lo componevano, perciò non ci fu bisogno nemmeno di scendere da cavallo, e una volta dall’altra parte diedero insieme uno schiocco alle redini e partirono al galoppo verso la rocca, per niente fiduciosi nell’attraversare la piccola pianura che separava la collina dalla foresta, giacché era perfetta per un agguato, tuttavia raggiunsero il posto incolumi e il buonumore di Hansel aumentò nel notare che la rocca era sì abbandonata, tanto che il tetto era crollato, ma le mura di pietra erano quasi tutte integre e li avrebbero riparati contro il vento.
Il fiume non era troppo lontano e quando cominciarono a risalire lo stretto sentiero che tradiva ancora qualche segno dei carri che lo avevano percorso, Gretel suppose che quella fosse una vecchia stazione di guardia giacché si poteva tenere d’occhio tutto l’intorno.
Quella collinetta era in una posizione strategica perfetta.
Tanto perfetta da farle chiedere perché fosse abbandonata.
Il sole scomparve dietro l’orizzonte quando lei aveva appena legato Fionn ad un vecchio legno meno marcio degli altri, dopo averne saggiato la resistenza, ma quando Hansel si avvicinò per fare altrettanto lei afferrò le sue redini per fermarlo << Ci penso io >> gli disse, un momento prima che il bracciale meccanico del giovane cominciasse a vibrare.
Nessuno dei due si sorprese, anzi, Hansel non protestò nemmeno, stanco persino di nascondere la propria spossatezza.
Era inutile con sua sorella.
Prese la siringa mentre si sedeva su una grossa pietra che probabilmente era appartenuta alla parete alle sue spalle, e con un sospiro si trafisse la coscia, senza tradire nemmeno una smorfia di dolore.
Lo aveva deciso molto tempo fa, non appena i sintomi della malattia avevano cominciato a farsi evidenti, stabilendo un tacito accordo tra loro due: lei fingeva di non rendersi conto di quanto soffrisse, permettendo al suo orgoglio di rimanere intatto, e lui di riflesso ignorava la sua preoccupazione.
Non parlavano della malattia, mai, come non parlavano della Strega.
Ne avevano incontrate molte, ne avevano uccise molte, ma solo lei era la Strega.
Gretel smontò le selle delle due cavalcature per permettere loro di riposare, concentrandovi tutta se stessa, sforzandosi di ignorare il proprio battito che le scalpitava in gola.
Lei non aveva bisogno né di meridiane né di strani meccanismi, era il suo stesso cuore a tenere il conto dei respiri tra un’iniezione e l’altra di Hansel.
Era come un prurito leggero, il fastidio della lana non pettinata sulla pelle, poteva abituarsi ad esso, ma ogni nove ore il prurito diveniva dolore, una sola unica stilettata al petto, come una lama di ghiaccio, il richiamo prorompente di un gallo crudele, ed era quella la sua sveglia.
Il dolore che le ricordava che Hansel dipendeva da una fiala di liquido.
Ogni nove ore.
Prese la borraccia e bevve alcuni sorsi avidi, bagnandosi anche il volto con un respiro profondo << Hai fame? >> domandò al fratello, avvicinandosi con la loro sacca da viaggio in una mano e la balestra nell’altra.
Aveva ripreso colorito, ma le sue mani tremavano ancora un po’ << Forse avremmo dovuto cacciare qualche lepre prima di venire qui >> le disse mentre gli porgeva la carne secca e il pane << Cacciare ci avrebbe fatto perdere almeno mezza giornata e probabilmente non avremmo raggiunto questa rocca in tempo. Preferisco di gran lunga lo stomaco vuoto piuttosto che la testa tagliata >> ribatté lei pragmatica come sempre e Hansel ridacchiò, senza poter fare a meno di essere d’accordo.
Probabilmente chiunque lo avrebbe considerato un fratello degenere nel guardare Gretel.
Era bella, bella come la gemma incastonata in un prezioso pugnale, bisognava essere ciechi per non accorgersene, ma era anche altrettanto pericolosa, e questo avevano avuto modo di capirlo spesso gli uomini che l’avevano avvicinata.
Sorrise tra sé e sé al ricordo di quel ragazzo di qualche settimana fa che le si era avvicinato con un mazzo di fiori.
Lo avrebbe fermato se se ne fosse reso conto in tempo, risparmiandogli l’umiliazione per pietà, ma quello era spuntato come dal nulla vicino al tavolo al quale stavano mangiando, blaterando qualcosa che avrebbe dovuto essere romantico, ma Gretel lo aveva guardato come se fosse stato una sorta di insetto, o un’altra bestia molesta, quindi aveva sollevato il boccale del fratello << Va’ a riempirlo >> aveva ordinato sprezzante.
E il ragazzo aveva obbedito!
Bella e spietata, questo sembrava sua sorella, una cacciatrice migliore di molti uomini, eppure lui non poteva fare a meno di pensare che meritasse una vita diversa, una vita migliore, con una casa, una famiglia, un... un uomo al suo fianco << Si può sapere a cosa stai pensando con quel sorriso ebete sulla faccia? >> Hansel ridacchiò di nuovo, senza rispondere, prendendo un altro pezzo di pane.
In realtà lui sapeva bene che era una maschera.
Gretel in realtà sapeva essere molto dolce, altruista, acuta, compensava con i suoi sentimenti al silenzio che era sceso su quelli di lui, alla sua apatia, a quel modo grigio di vedere il mondo.
Non sapeva se sarebbe stato quello che era senza Gretel, non sapeva se avrebbe trovato abbastanza spazio o luce dentro di sé per esserlo, giacché a parte lei l’intera umanità si era trasformata in una grottesca aberrazione ai suoi occhi.
Non salvava le persone lui, non avevano alcun valore, le persone morivano ogni giorno del resto, qualche cadavere ingombrava sempre i cigli delle strade, anche nel villaggio più sperduto, perciò non era certo per risparmiare qualche insignificante anima che rischiava la vita.
C’erano giorni in cui non credeva nemmeno di farlo per vendetta nei confronti dei mostri che abitavano la notte, o per odio, o almeno non solo, ma c’era almeno una sensazione che invece non lo abbandonava mai, e cioè la fervente convinzione che Gretel pensasse che era giusto quello che facevano.
Nient’altro.
Nessun altruismo, nessun paladino della giustizia né eroe.
Voleva solo che la persona a cui più teneva al mondo vedesse in lui qualcuno che la appoggiava, che la seguiva, che la proteggeva, ma non il suo corpo, no, quello era capacissima di difenderlo da sola, era il suo cuore che Hansel custodiva, quella sua capacità di vedere il buono e il bello che invece lui aveva perso ormai per sempre e che non avrebbe più riacquistato << Hai sentito? >> domandò lei, incoccando subito un dardo, ma Hansel si fidava troppo delle sue percezioni per esitare dallo spedire il colpo in canna ed alzarsi in piedi << Cos’era? >> domandò invece, subito all’erta, ma lei gli diede un lieve buffo sul braccio, indicandogli di fare silenzio, e con un altro cenno indicò una zona d’ombra a pochi passi da loro.
Si separarono senza ulteriori accordi, troppo abituati alla caccia per non sapere ciecamente come si sarebbe comportato l’altro, ma avevano fatto solo pochi passi quando un uomo di almeno due metri uscì dall’oscurità.
Era un colosso nerboruto dalle spalle larghe, senza capelli e con un grosso sfregio sul volto.
Fu proprio quello ad attirare l’attenzione di Gretel sui suoi occhi, che in un’altra occasione avrebbe evitato accuratamente visti quanti incantesimi necessitavano di contatto visivo: le orbite sembravano vuote nella penombra, aperte ma buie, come se in realtà non stesse guardando alcunché.
Stava per dirlo ad Hansel quando quest’ultimo sparò il suo primo colpo, e per fortuna dovette aggiungere a se stessa, perché il colosso aveva sollevato un grosso martello d’acciaio e sembrava del tutto intenzionato a lanciarlo contro di lei << Attenta! >> la richiamò il fratello allarmato dalla sua distrazione, ma nonostante il suo proiettile avesse centrato l'uomo in pieno petto non sembrava aver sortito alcun effetto su di lui << Non esce sangue dal foro >> disse lei, sparando un dardo contro l’uomo, poi due dardi, tre, ma esattamente come era stato per Hansel non fermò affatto la sua avanzata e ben presto fu costretta a gettarsi di lato per evitare il suo martello.
Colpì la pietra su cui poco prima erano seduti per fortuna, frantumandola, e a giudicare dal rumore assordante che continuò a fischiarle nelle orecchie le sue ossa avrebbero dovuto risentirne, eppure si rimise dritto senza fare una piega, brandendo l’arma per un nuovo colpo.
Hansel sparò un altro colpo, dritto al volto questa volta, e Gretel vide gli schizzi di sangue e cervella disegnare un arco alle spalle del colosso, brillando per un attimo sotto la luce vivida della luna che penetrava dal tetto sfondato della rocca, ma di nuovo l’attacco servì solo a fermarlo per un momento, come interdetto, prima che la sua arma continuasse la sua avanzata.
Il martello questa volta colpì il pavimento, ad un centimetro dalla testa di Hansel, e lei sentì distintamente la sua imprecazione mentre si portava una mano all’orecchio assordato.
Non serviva a nulla sprecare munizioni su quel mostro, era ormai chiaro, come lo era altrettanto assecondare le grida stridule di panico che le riempivano la testa ad ogni attacco che Hansel schivava, perciò cercò di concentrarsi invece, di capire quale mostro avessero davanti.
Non era un morto vivente, anche se lo aveva pensato, perché quelli non avevano le orbite nere.
Nessuna creatura che avevano incontrato finora aveva le orbite nere.
Forse era semplicemente cieco?
Stava pensando proprio quello quando un’ombra fuggevole attirò il suo sguardo, e subito dopo il nitrito inconfondibile di Fionn la avvertì che qualcuno si era avvicinato al loro bagaglio.
Sparò di riflesso, senza nemmeno esser certa di quel che aveva visto, se aveva visto, ma Yering si impennò con un grido feroce, tradendo che qualcosa c’era, e da come scalciò sembrava anche che lei lo avesse colpito.
Corse verso i cavalli, preoccupata che avessero rubato i loro appunti e i documenti di viaggio, ma l’ombra le si avventò contro subito dopo, più piccola, agile, atterrandola con lo slancio più che con il peso.
Gretel cadde senza batter la testa, troppo allenata per un errore simile, e afferrò invece il lungo coltello da caccia che teneva nello stivale, trapassando la gola della creatura sopra di sé.
Creatura, sì, perché l’essere su di sé non aveva niente di umano, umanoide al massimo, vista la pelle scuoiata in larga parte, quelle fauci affilate e le numerosissime ferite che la ricoprivano, aperte ma allo stesso tempo asciutte, incolori, come piaghe da cui anche vermi e larve stavano alla larga.
Aveva la bocca spaventosamente aperta, spalancata per morderla alla prima occasione, eppure non emetteva nemmeno un suono, anche con il coltello nella gola, sorda a qualsiasi dolore.
Anche le sue orbite erano nere e vuote.
Gretel riuscì a sbalzarla via da sé visto che era molto leggera, la stazza di un bambino al massimo, e anche se la aggredì ancora la trovò preparata, con i piedi ben piantati a terra, perciò il coltello affondò senza incertezza nel suo fianco e quando fece forza la schiacciò senza fatica contro il pavimento.
Non attese che il dolore paralizzasse il mostro, continuando invece il cammino della lama, affondando, tranciando il busto di netto.
Non si fermò, come un esperto macellaio del mercato, passando subito alle braccia, strappando gli arti in brandelli senza incertezza, senza alcuna esitazione, meticolosa invece, veloce, soddisfatta solo quando i pezzi della creatura le parvero sufficienti.
Hansel nel frattempo diede in un grugnito, una delle sue maledizioni soffocate, e lei riuscì a voltarsi appena in tempo per vederlo tagliare la gamba del colosso esattamente come aveva fatto lei.
Lo aveva decapitato, la sua testa giaceva poco lontano, ridotta in poltiglia, ma il resto del corpo continuava a muoversi, scalpitare, non per difendersi, non gli importava, ma tentando invece di afferrare Hansel.
Il giovane dal canto suo continuava il suo lavoro di smembramento, pratico come la sorella anche se stava usando invece un lungo pugnale d’argento che avevano trovato nel covo di una strega, e lei si avvicinò per aiutarlo.
Affondò il coltellaccio nella spalla, pronta a reciderla mentre il fratello lo teneva fermo con tutto il suo peso, ma non doveva essere sufficiente: con un colpo di reni, o con quello che lo sarebbe stato se avesse avuto ancora le gambe attaccate al corpo, sbalzò il ragazzo con tale violenza da farlo ricadere di lato, e una volta liberatosi dell’impedimento che lo immobilizzava Gretel non riuscì in alcun modo a contrastare la forza con cui la afferrò, incredibilmente fulmineo nonostante le ferite e le menomazioni, scaraventandola poi lontano da sé tanto velocemente che non poté fare a meno che sbattere contro la parete come un giocattolo vittima dei dispetti di un bambino, e come tale ricadde inerme << Gretel! >> la chiamò Hansel una volta rimessosi in piedi, ma il gigante gli impedì di raggiungerla, afferrandogli un piedi per trascinarlo verso di sé e infine ghermirlo tra quel che restava del suo braccio e il suo torso morto.
Hansel cercò di liberarsi, divincolandosi come un forsennato, piantando il pugnale nel suo corpo come fosse un puntaspilli, e ci fu un momento, un istante preciso, in cui fu certo che sarebbe morto, in cui ebbe la viscerale sensazione di non poter nulla per sfuggire a quella stretta mortale, ma subito dopo questa si allentò, il mostro smise di stringerlo, spostando invece la sua attenzione alla borsa di cuoio che teneva stretta intorno alla coscia, quella in cui teneva le fiale della medicina, strappandola via e poi schiacciandone il contenuto con un potente pugno, come un martello fa al ferro caldo sull’incudine.
Subito dopo Hansel lo vide afflosciarsi come una marionetta a cui hanno tagliato i fili, ricadendo a peso morto senza più muoversi.
Non si fidò ovviamente, anche se moriva dalla voglia, e dal terrore, di raggiungere Gretel ancora immobile, perciò prima di farlo gli tranciò comunque quel che restava degli arti, allontanandoli da lui, e solo allora si chinò di fianco alla sorella.
Con mano tremante controllò che respirasse ancora, e poi che fosse ferita, scoprendo solo un piccolo taglio sulla tempia grazie al Signore, provocato probabilmente dalla caduta.
Imprecò, per l’ennesima volta quella notte, e andò ai loro bagagli per prendere le stuoie e le coperte di lana che usavano per accamparsi, ma mentre raccoglieva l’involto preciso che aveva fatto la sorella prima di partire, le suole dei suoi stivali scricchiolarono contro alcuni frammenti di vetro.
Il vetro era un materiale prezioso, non era facile da reperire. Che ci facevano frammenti di vetro in una vecchia stazione di guardia?
Si chinò per controllare, incuriosito, ma non appena osservò con più attenzione il pavimento a malapena schiarito dalla luna, un gelido soffio gli ghermì il petto.
Le fiale.
Il fiato gli si fermò in gola nel riconoscere quel che restava della sacca che le aveva contenute, e poi il prezioso liquido disperso per terra, ormai irrecuperabile.
Si alzò subito dopo, per raggiungere la borsa che il gigante aveva schiacciato, ma come temeva non era rimasto nulla di utilizzabile lì dentro.
Ed erano ad almeno un giorno di viaggio dal villaggio più vicino.
Gretel.
Il suo primo pensiero fu per sua sorella. 
Si coprì il volto con una mano, cercando una soluzione, una qualche disperata risposta, ma se una cura ci fosse stata lui per certo non avrebbe aspettato fino a quel momento per metterla in pratica.
Tornò ai bagagli, preparò i loro giacigli e raccolse Gretel tra le braccia per stenderla sul suo, sedendosi infine al suo fianco, vegliandola con la morte nel cuore.
Quel gigante avrebbe potuto ucciderlo, ne era sicuro, ma non l’aveva fatto.
Quello piccolo invece era andato direttamente ai cavalli, loro non l’avevano nemmeno visto, anzi, aveva attaccato solo una volta scoperto, perciò era evidente che la medicina era stata il loro obiettivo sin da subito, a maggior ragione visto che qualsiasi magia li avesse fatti muovere era sparita non appena tutte le fiale erano andate distrutte.
Perché?
Non lo volevano morto, o almeno non solo.
Guardò di nuovo lei, pulendo con delicatezza il taglio sulla tempia, tamponando piano con quelle mani ancora sporche di sangue maligno, e nel farlo capì chiaramente qual era il vero bersaglio di quell’odioso piano: era lei, era Gretel che avevano voluto colpire.
Anche qualche giorno prima, quando avevano cercato di ucciderlo, aveva trovato i due sicari vicino alle borse, ma allora non vi aveva dato peso visto che aveva pensato che fossero dei banditi, mentre adesso anche quell’episodio assumeva un altro significato.
Non volevano ucciderlo, non lo avevano attaccato, anzi, avevano cercato di fuggire, e anche i due mostri di adesso, nonostante l’assenza di dolore non erano riusciti a causar loro niente più che qualche ferita leggera, come se la morte non fosse stata affatto nelle loro intenzioni.
O almeno non quella morte.
Le prese una mano e la strinse disperatamente, senza saper che fare.
Non poteva morire. Non poteva lasciarla sola. 
No, chiunque fosse la causa di tutto quello non voleva ucciderli, voleva solo che Gretel soffrisse, che lo vedesse morire senza poter far nulla per impedirlo.
E lui era altrettanto impotente. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3033538