Parigi, la città dell'amore

di DaisyBuch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo giorno di scuola ***
Capitolo 2: *** La preside e Charlotte ***



Capitolo 1
*** Primo giorno di scuola ***


Una bella partita. Proprio così, ho giocato a carte con mia sorella minore per avere la stanza con la vista sulla Torre Eiffel e l’ho vinta, è stata una partita comunque difficile perché anche se ha otto anni è sveglia.
Ci siamo trasferiti dall’Italia a Parigi per motivi di lavoro di mio padre, in realtà sono ancora molto arrabbiata con loro perché ho lasciato la mia casa ed i miei amici.. e poi la Francia non mi piace affatto, ma erano tutti d’accordo tranne me. Mia madre Anna è una casalinga, ovviamente non avrebbe mai lasciato mio padre andare da solo in una città straniera e sia lei che mia sorella amano Parigi, mia sorella Alice solo perché sa che da qualche parte qui vicino c’è Disneyland. Si, si è trasferita a Parigi per Disneyland, ma d’altronde ha otto anni. Mio padre non era entusiasta dell’idea, ma non poteva fare molto, e poi ci sono io.. che a quanto pare conto molto poco perché nessuno si è degnato di ascoltare le mie ragioni. A quanto pare una “quindicenne in gamba come me può fare nuove amicizie subito”, come no. Oh, dimentico un dettaglio minuscolo, quasi inesistente: io non so una parola di Francese. Certo, perché quando nostro padre ci disse che ci saremmo dovute trasferire successe tutto in meno di un mese, ed io non ho seguito nessun corso per impararlo, ero troppo occupata ad odiare. Così, sull’aereo ho imparato le parole di base, come “Bonjour”, “Oui”, “Je suis Giulia”, “Omelette”, che sono le cose importanti. Siamo qui da circa cinque giorni, è un quartiere molto carino e tranquillo, vicino c’è un parco che abbiamo visitato l’altro ieri che è molto pulito e pieno di verde, ma la cosa più bella di tutto ciò è che la Torre Eiffel dista poco in bicicletta.L’unica cosa che mi tormenta è che domani dovrò iniziare il primo giorno di scuola, sarà il primo per tutta la scuola dato che comincia ufficialmente domani perciò spero di non dare troppo nell’occhio. Non la ho mai vista, mi sono fidata di mio padre che ha detto che era la migliore e la più vicina, e che è stato riferito alla preside che ho problemi con il Francese, perciò alcuni corsi che seguirò saranno in inglese per facilitare il tutto. Quella notte non dormii per niente, pensavo continuamente se mi sarei fatta nuovi amici o meno, se sarei stata considerata strana e via dicendo. Guardai la sveglia che segnava l’una e decisi di prendere il cellulare e mandare un messaggio a Francesca, la mia migliore amica.
-Non riesco a dormire, troppa ansia. Tu come stai?-  inviai. Sicuramente lei era sveglia come me, tutti gli studenti il giorno prima di scuola hanno gli occhi sbarrati per la paura oppure piangono a dirotto.
La risposta arrivò dopo un minuto, -Mi manchi G! Come faccio il primo giorno di scuola senza di te?-
A quel messaggio sorrisi pensando al suo volto, ci eravamo ripromesse che lei mi sarebbe venuta a trovare e che io sarei tornata per le vacanze di Natale.
-Mi manchi anche tu. Sarà un inferno.- risposi.
-Dobbiamo farcela. Tu mi scriverai sempre così sarà come se io fossi con te, e anche io commenterò tutto ciò che succede qui, ora vado. Buonanotte.- scrisse con un cuore alla fine.
Con quelle parole mi rilassai di più, così le rinviai la buonanotte e dormii.


-Sveglia!- mia madre, che non vedeva l’ora di vedermi alzata alla sua stessa ore e di urlarmi nelle orecchie, non perse tempo con maniere dolci e gentili. Scostò le tende e un getto di luce mi trafisse gli occhi.
Appena mi fui abituata alla luce guardai la sveglia, che segnava le sette meno un quarto.
-Mamma!- la sgridai infuriata. – Entro alle otto e mezza a scuola, perché mi hai svegliata alle sei?-
Mi rintanai sotto alle coperte, ma queste furono di nuovo scaraventate alla fine del letto.
-Dobbiamo mangiare tutti insieme, perciò vestiti perché la colazione è pronta.-  rispose impettita e scese le scale verso il piano di sotto.  Sapeva benissimo che dopo che mi aveva svegliata non riuscivo più a ripredere sonno, soprattutto dopo un risveglio del genere, così mi feci una doccia e mi vestii nel modo più anonimo possibile: un paio di jeans e una maglietta carina. Scesi al piano di sotto e, da una parte, fui contenta che fosse il primo giorno di scuola perché sull’isola in cucina c’erano cappuccino, uova e pancakes a volontà.
-Buongiorno.- sorrisi a tutti in modo angelico, dirigendomi verso la fonte primaria di vita: il caffè.
-Buongiorno tesoro, pronta per il primo giorno?- mi chiese mio padre, che era già in giacca e cravatta e sorseggiava anche lui il caffè.
-In francese!- ricordò mia madre. –Parliamo in francese.-
-Io non lo so il francese, mamma.- le feci notare.
-Disneyland!- Alice era convinta che fosse una parola francese.
-No tesoro, ci andremo tra un po’, oggi vai a scuola.- le diede un bacio sulla testa e lei continuò a impiastricciarsi le guance con la marmellata.
Verso le sette e mezza mamma accompagnò a piedi Alice nella scuola elementare, mentre io andai con mio padre in macchina perché il liceo era più distante. Mi controllai allo specchietto circa cinque volte, non mi ero truccata per niente, se non si conti il mascara ed il copri-occhiaie, e una volta davanti al cancello della scuola feci un grande respiro e scesi dalla macchina.
-Bonne journée!- mi augurò mio padre tutto sorridente, che in italiano voleva dire “buona giornata”
-Come no.- risposi sarcastica a bassa voce.
-Come?-
-Anche a te!- sorrisi di rimando, mi girai verso il cancello pronta ad attraversarlo e notai un dettaglio orribile. Mi si gelò il sangue nelle vene e diventai tutta rossa per la rabbia.
Era una scuola con la divisa.
Mi guardai dai piedi in su, e purtroppo quella magica divisa non apparve sul mio corpo. Era anche una divisa oscena: a quadretti blu e ocra. Sperai con tutta me stessa che mio padre non se ne fosse già andato, mi girai ed era ancora accostato a guardarmi.
-Papà..- mi rivolsi a lui con calma.
-Perché non entri tesoro?- chiese raggiante.
-Hai dimenticato di dirmi qualcosa, forse?- chiesi con tutti i nervi che mi saltavano dalla rabbia e dalla vergogna.
-Non.. oh, si!- disse battendosi la mano sulla fronte. –Il pranzo.- e mi porse una scatola di carta.
-Papà! Non mi hai detto che dovevo indossare la divisa!- sbroccai ad alta voce, e alcuni ragazzi e ragazze si girarono a guardarmi, come se già non si notasse abbastanza che ero fuoriposto.
-E’ vero! Mi sono scordato di ritirarla, scusami. Puoi andare tu stessa dalla Preside e prenderla.- mi rispose risoluto.
-Vai tu, perfavore.- era ovvio che io non potevo entrare, mi avrebbero presa tutti in giro perché ero vestita in modo normale, senza divisa.
-Sto facendo ritardo a lavoro, è il mio primo giorno. Sono sicuro che nessuno lo noterà.-  disse e poi salutandomi partì.

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Capitolo 2
*** La preside e Charlotte ***


Le mie mani sudavano, ma cominciai a pensare che forse nessuno ci avrebbe caso. Insomma, non poteva essere la prima volta che succedeva una cosa del genere, non potevo credere che nessuno non avesse mai dimenticato la divisa. Almeno speravo. Il cancello della scuola era aperto davanti a me, ai lati e tutto intorno c’erano delle mura che cingevano il perimetro dell’edificio, al centro un ampio giardino dove a destra c’era il parcheggio e a sinistra il campo da pallavolo e la palestra chiusa, tra questi si ergeva minacciosa la scuola che era circondata da un porticato dove si potevano vedere facilmente le aule. C’erano molte ragazze con i libri che erano appoggiate ai muretti, mentre i ragazzi stavano vicino al campo o vicino alle loro vetture nel parcheggio. Non c’era modo di fare il giro da qualche parte, dovevo per forza passare in mezzo a tutto e tutti per raggiungere il portico, pensai di correre ma così sarei sembrata una vera matta, così con la borsa stretta nel petto e lo sguardo basso mi diressi verso le aule. Sentii vagamente dei bisbiglii, almeno essere straniera aveva i suoi vantaggi: non capivo i loro insulti, il che, era un sollievo, inoltre per distrarmi (dato che il giardino era veramente ampio) decisi di guardare da vicino le divise: quelle delle ragazze erano delle gonne che arrivavano sotto al ginocchio e delle semplici camicette, mentre i maschi avevano solamente i pantaloni e la cravatta a quadri blu e ocra, la loro camicia era bianca.
Appena raggiunsi le colonne del porticato tirai un sospiro di sollievo, alzai di nuovo lo sguardo ed entrai in un’’aula a caso, - Excusez-moi, le principal?- chiesi. Ovviamente per fare bella figura mi ero imparata un po’ di frasi, così da non essere totalmente impreparata, ma in quel momento non mi ricordavo nulla.
Una signora con un caschetto e un naso arcigno mi guardò dall’alto verso il basso e senza dire una parola mi condusse dentro una stanza bussando prima.
-Bonjour Madame.- esordì la donna seduta sulla poltrona rossa della presidenza. La professoressa con il caschetto mi lasciò lì e se ne andò via, e mi ritrovai sola con la preside, che con un cenno mi fece segno di sedermi. La targhetta sulla sua scrivania recitava “Ines P.”, era una donna sulla cinquantina, forse anche di più, i suoi occhi erano color del ghiaccio, le sue labbra rosse e i suoi zigomi artificialmente alti. Notai subito come il suo sguardo metteva soggezione a chiunque entrasse nel suo ufficio.
-Bonjour,- esordii per cortesia, ma mi accorsi del vuoto che c’era nella mia testa. Così decisi di parlare in inglese e le dissi che ero la studentessa italiana e che mio padre si era dimenticato di darmi la divisa.
-Oh! Oui, oui, oui.- disse battendo le mani. Si alzò e aprì un armadio dal quale trasse una copia di quella orrenda cosa e me la porse.
-Merci Madame.- dissi e feci per andarmene, quando lei mi bloccò.
-Può parlare anche in italiano con me.- mi sorprese. Anche se il suo accento era pessimo, si sentiva che sapeva parlarlo, la guardai interrogativa, chiedendomi perché non me lo avesse detto prima.
-Il suo livello di inglese è buono, dobbiamo migliorare il francese.- mi guardò e fece una smorfia.
-Non voglio che accada mai più, potrei averla espulsa per questa grave infrazione.- disse severamente con la r moscia. Io ero veramente confusa, sembrava così carina e disponibile.. e poi le avevo spiegato che non era stata colpa mia.
-Non è stata una mia dimenticanza.- le ricordai. Lei, visibilmente scocciata dal fatto che avevo osato risponderle, fece un sorrisetto e mi disse trionfante, -Se non sa dirlo in francese stia zitta.-
Si sedette di nuovo facendo cenno di aspettare ancora, alzò la cornetta e parlò in francese con qualcuno e attaccò, trascorsi alcuni minuti passati a guardarci in totale indifferenza l’una dell’altra, la porta si aprì dietro le mie spalle.
-Oui?- una voce maschile e fresca arrivò da dietro le mie spalle. Mi girai con la testa e vidi un ragazzo alto dai capelli scuri e con la divisa che era immobile dietro di me, aveva gli occhi chiari ed il mento alzato verso l’alto, quasi in segno di sfida, la camicia non nascondeva un fisico magro sotto di essa, e il suo sopracciglio destro era inarcato, sorpreso. Mi lanciò una breve occhiata dove notai le fossette sulle sue guance e tornò a guardare Ines.
I due ebbero un confronto dove il ragazzo protestò alcune volte, ma la preside era irremovibile.
- Mademoiselle Giulia.- quando stavo per addormentarmi del tutto fui interpellata dalla donna davanti a me, alzai gli occhi per farle capire di avere la mia attenzione.
-Questo è Davide. Sarà la sua guida per ambientarsi, le farà conoscere la scuola e le insegnerà come studiamo qui.- mi sorrise falsamente. In quel momento mi sentii rossa per la vergogna, non solo dovevo sopportare il fatto di essere considerata come un’alfabeta, ma la preside aveva dovuto affiliarmi proprio questo tizio che si vedeva lontano un miglio che l’ultima cosa che aveva voglia di fare, giustamente, era stare con me. Aspettò in silenzio la mia reazione, da dietro sentii Davide che aveva sospirato molto maleducatamente.
-Tout clair?- chiese, che era la traduzione di “tutto chiaro?”
-Cristallino.- le risposi fluentemente in italiano con tono di sfida, e quella, fu intesa come una dichiarazione per entrambe. Non gliela avrei data vinta facilmente, mi sarei liberata di quello.. o meglio, lui si sarebbe liberato di me. Mi alzai prendendo l’orario delle lezioni e, augurandole buona giornata, uscii velocemente dalla presidenza. Cercai velocemente il bagno delle ragazze per potermi finalmente cambiare e non essere più quella che si era dimenticata la divisa. Vidi Davide con lo zaino su una spalla che fissava il giardino come se stesse aspettando qualcosa.
Io gli indicai la porta del bagno delle ragazze, lui mi guardò con un leggero guizzo di divertimento negli occhi, sbuffò e andò via. Quel ragazzo non sapeva fare altro che sbuffare.
Entrai e per fortuna non c’era nessuno, ma notai con piacere che lì avevano i bagni con gli specchi, il sapone, la carta igienica e..rullo di tamburi, gli asciugamani, peccato per le mattonelle color bordeaux.
Mentre mi controllavo la divisa, aprì all’improvviso una ragazza che si teneva la mano davanti la bocca come se stesse per vomitare. Stava così male che dapprima nemmeno notò che ero davanti a lei, decisi di aiutarla perché non sembrava riuscire ad arrivare fino al water o ai lavandini, così le presi il braccio e la trascinai delicatamente verso la porta del water.  Le ressi i capelli rossi e boccolosi fino a quando non smise di vomitare, appena si sentì meglio le bagnai un po’ di carta igienica con l’acqua e gliela misi sui polsi e sulla fronte come faceva sempre mia madre. Pochi minuti dopo si sentì meglio e mi ringraziò, estrasse dalla sua cartella lo spazzolino e si lavò per bene i denti.
-Charlotte.- si presentò.
-Giulia.- le sorrisi.
-Pardon.- si scusò, ma io le feci segno di non preoccuparsi e le dissi in inglese che non sapevo parlare molto bene il francese, ma per lei non era un problema perché anche lei seguiva il corso avanzato come me delle materie in inglese.
Si applicò di nuovo il lucidalabbra sulla bocca e mi accompagnò in classe. Davide, come notai subito, non c’era più.

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