Bloody Red

di 69Conigli
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Impatto ***
Capitolo 3: *** Reazioni Impreviste ***
Capitolo 4: *** La risolutezza di Kaede ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Bloody Red Killer
 
 

 
Decisamente non posso svegliarmi a questi orari. Se c’è una cosa che odio oltre ogni inimmaginabile comprensione, è alzarmi dal letto la mattina presto. È più forte di me... il mio cervello si attiva più o meno a mattina inoltrata. Sinceramente, non sono neanche sicura di essere del tutto sveglia e me ne accorgo solo quando, barcollando, vado a schiantarmi contro Faye, che mi cammina di fianco.
 
- Mayu, sta attenta! – insorge, rifilandomi una gomitata sullo sterno. - Sei un derelitto! – la sua voce ad ultrasuoni mi trapana il cervello ancora mezzo addormentato.
- Non sono geneticamente predisposta per questi orari infernali... – sbadiglio come un leone e tento di accendermi una sigaretta, cercando, magari, di non darmi fuoco ai capelli. Lei grugnisce qualche maledizione, trascinandomi per strada per un braccio. Le rivolgo un’occhiata sbieca e ghigno. Quanto siamo simili, lei ed io...
 
Faye Harada, II anno, sa bene di essere bella. Capelli lunghi corvini, frangia para e occhi di un grigio chiarissimo, fanno di lei una ragazza voluttuosa, seducente, dal fascino pericoloso e tagliente. Provocante di natura, sfoggia un fisico creato per sedurre, con quei sorrisi assassini e quei modi di fare maledettamente simili ai miei. È vero, forse è ancora un po’ grezza ed irascibile, ma ha uno spiccato senso dell’umorismo.
 
 
Esasperata dalla mia lentezza, soprattutto mentale, decide di precedermi e mi lascia indietro come un’idiota. Dal canto mio, rimango a fissare come un ebete gli sbuffi di fumo mischiarsi con la condensa del respiro, che si staglia verso un cielo limpido, contaminato da rade nuvole lucenti e nivee.
 
Varco il cancello dello Shohoku, allegra quanto un dannato all’inferno. Strascico indolente per il cortile e mi lascio scivolare addosso le solite occhiate velenose. Sono qui da tre mesi e già godo di ampia popolarità. Reputazione che, tuttavia, non è neanche lontanamente gratificante o da andarne fieri come si potrebbe immaginare. Non che si possa pretendere il contrario, da una conosciuta in tutta la prefettura come Bloody Red Killer.
Per quanto lo detesti, ormai è un appellativo che mi è quasi totalmente identificativo. Mi perseguita da tempi immemori, fin dall’elementari credo, coniato dai miei amabilissimi compagni di classe, inizialmente per estremizzare l’insolito colore dei miei capelli e, in seguito, per enfatizzare le mie inenarrabili gesta, plasmate da un carattere tutt’altro che convenzionale.
 
 
Incedo apatica, ciondolando la testa da una parte all’altra, consapevole di non avere un espressione molto intelligente. Completamente immersa nel vuoto vacuo del mio cervello, quasi ci rimango secca quando un tonfo sordo mi fa perdere dieci anni di vita. Poco distante da me, il sedicente Genio Sakuragi giace a terra malconcio, incastrato tra i rottami di qualcosa che una volta doveva essere una bicicletta, a cui ancora gira una ruota a vuoto. Mi fermo giusto in tempo per vedere l’unico mentalmente disturbato che dorme in bici, rotolare ai miei piedi, sbattendo amenamente la testa contro le mie caviglie.
 
Nonostante sia compiacente vedere questo morto di sonno steso ai miei piedi, incrocio le braccia al petto e aggrotto le sopracciglia, in attesa che l’imbecille si tolga di mezzo. Dal canto suo Kaede Rukawa, rinomato campione e idiota universale, si arrischia ad aprire gli occhi, sbattendo ripetutamente le palpebre. Lo guardo infastidita mentre mi fissa con quell’odiosa faccia da rincoglionito, che, peraltro, lo fa sembrare una specie di derelitto umano.
 
- Che diavolo hai da guardare? - sbotto seccata. Lui inarca un sopracciglio e dopo aver fatto ripartire i neuroni, solleva l’indice ad indicarmi qualcosa.
- Ti vedo gli slip. -
- Mi vedi gli... ma che diavolo! Togliti di lì, imbecille! – inveisco, scattando all’indietro. Risponde con una massa informe di mugugni, tra cui recepisco pure qualche maledizione, prima di sollevarsi da terra e massaggiarsi la testa. – Razza di idiota. – ruggisco infine, mostrandogli il medio.
 
Mentre è sul punto di ribattere, Sakuragi lo raggiunge e si abbatte furente sul comatoso volpastro. Puntuali come le tasse, cominciano a prendersi a sberle e saggiamente mi allontano. L’ultima cosa che ho voglia di fare stamattina è sorbirmi questi due imbecilli che si massacrano per qualsiasi motivo, anche inventato se necessario. Alzo gli occhi al cielo e raggiungo Faye che mi aspetta all’ingresso.
 
- Perché non hai usato quella faccia da schiaffi come zerbino, Mayu? – pigola lei che, sia mai si tiri indietro dal disintegrare il volpastro. Come probabilmente avranno intuito tutti, la mora non è un fan particolarmente accanita della volpe-bradipo. Anzi, gli sta talmente simpatico che, se fosse stato legale, gli avrebbe già infilato un paletto nel cuore e gettato amenamente il cadavere in una fossa di leoni. A digiuno da due settimane.
- Figurati se vado a sporcarmi le scarpe per un imbecille simile... – replico, sbuffando amenamente.
- Dovreste smetterla di trattarlo male, siete ingenerose. - esordisce a quel punto Hikari, arrivata alle nostre spalle.
- Oh, ma buongiorno, principessa! –
- Siete troppo cattive con lui. –
 
Hikari Sakai, I anno, è la persona più dolce ed affettuosa che abbia mai conosciuto. Limpida e solare, è una di quelle ragazze che ti scioglie con un sorriso. Ha dei tratti molto belli: capelli chiari, occhi verdissimi, lineamenti delicati ed un fisico minuto e sinuoso. È una bellezza raffinata ed elegante, ma allo stesso tempo intrigante ed accattivante. Sì, perché Hikari riesce ad ingannare con l’arte del demonio, con quei suoi modi serafici... ma dietro quei sorrisi angelici nasconde fermezza, pragmatismo e sensualità da far impallidire.
 
 
- Sei tu che difendi l’indifendibile, Hikari. – borbotta la mora, scoccandole un’occhiata maliziosa.
- Che ci vuoi fare... – mormora, salutando con un cenno il suo Rukawa. Lui ricambia con un’impercettibile movimento del capo, sparendo poi oltre il grande portone d’ingresso.
- Mph, meriterebbe di essere preso a calci dalla mattina alla sera, quello lì. - ribatto io, guardandolo con disgusto.
 
Solo di recente ho scoperto con sommo sconcerto che Hikari, oltre ad esserne vicina di casa, è anche una stretta amica d’infanzia del ridente Volpino. Non nego che sia stato uno shock scoprire che quell’immane sociopatico è persino in grado di stringere un qualunque tipo di rapporto interpersonale con una qualsiasi forma di vita sulla faccia della terra. Figuriamoci una donna.
 
Si conoscono da quando hanno iniziato a respirare, sono cresciuti insieme ed hanno frequentato le stesse scuole fin dall’asilo. Inoltre, prima che l’imbecille imparasse a disseminare morte per le strade dormendo in bici, tornavano insieme da scuola tutti i giorni. Hikari è l’unica ragazza, oltre alla manager Ayako, a cui quell’idiota concede di avvicinarsi. Naturalmente lei non gli ha mai esternato la profonda ammirazione che prova nei suoi riguardi e lui, idiota com’è, non l’ha mai nemmeno recepita.
 
 
Ovviamente questa posizione privilegiata, non l’ha resa certo popolare, tra le ragazze.
 
 
Camminiamo per i corridoi, parlando delle solite stronzate inutili e d’improvviso Faye mi rifila una gomitata su un braccio, facendomi sobbalzare.
 
- Ma sei scema? -
- Guarda lì... – con un cenno della testa, indica un ragazzo poggiato di schiena al muro, poco distante da noi. Hideaki Kise, II anno, capelli chiari e occhi verdi. Bello, con quel viso dai lineamenti angelici e il fisico snello e slanciato.
- Ah, Hideaki. – mormoro, arricciando il labbro. Lo saluto con un cenno della testa, al quale ricambia con un sorriso amaro.
- Dalla faccia che ha deduco che lo hai scaricato. – sghignazza Faye, dandomi di gomito.
- Tz, non ci stavo mica insieme. -
- Come mai lo hai già silurato? – chiede curiosa.
- Hn, il solito motivo... – biascico apatica. Tuttavia ammetto che a volte ancora ci penso; ha grandi qualità e a letto era scatenato. Inutile dire con quali coloriti epiteti sono stata etichettata da tutti dopo che si è venuto a sapere l’intrallazzo...
- Peccato, è difficile trovarne di così dotati... – sogghigna maliziosa, strappandomi una risata perfida. In questo, io e lei siamo identiche: stronze, immorali, egoiste, spudorate, velenose e sacrileghe.
- Siete tremende. – mormora Hikari, alzando gli occhi al cielo rassegnata.
- Senti da che pulpito! Sbaglio o sei tu quella che a giorni alterni si fa castigare da Daiki-Figone-Terashima?! - spiattella candidamente Faye e quasi mi schianto al suolo a ridere come una dannata quando Hikari, indignata, la fulmina con uno sguardo di morte.
- Smettila Faye! Ho anche io certe necessità, cosa credi?! – prorompe, facendoci piegare in due dalle risate.
 
Ristabilita una parvenza di sanità e un minimo di contengo, ci salutiamo e ci avviamo ognuna verso la rispettiva classe.
 
 
Ed eccolo che ricomincia... un nuovo, pallosissimo, giorno di scuola. 

 
One Week Later
 
In classe fisso incantata l’unico capello rimasto sulla testa del professore di Chimica. Vola a destra, poi a sinistra... ancora a destra, poi a sinistra di nuovo. Potrei passare ore a guardarlo. Mi scuoto, rendendomi conto da sola di quanto siano imbecilli i miei pensieri. Sbadiglio annoiata, ignorando i continui rimproveri sul mio totale disinteresse alla sua lezione.
 
Mi odia, come tutti del resto. Nonostante i miei voti eccellenti abbiano alzato sensibilmente la media della scuola, gli insegnanti continuano a guardarmi quasi fossi il demonio. Non fanno che lamentarsi per il mio totale disinteresse alle regole di convivenza civile, l’assoluta immoralità e deplorevole presunzione, l’estrema riluttanza verso ogni forma di regole e disciplina e, la migliore di tutte, per lo scandaloso ed intenzionale sfoggio del mio aspetto per ottenere ciò che non ho per grazia divina o per un deprecabile piacere personale.
 
Il fatto che abbia per natura un fisico provocante, non mi ha certo aiutato ad attirare simpatie. Tutto questo, poi, è amplificato dal fatto che oltre ad esserne pienamente consapevole, sfrutto le mie doti così bene che a volte me ne stupisco persino io.
 
 
Mi sollevo annoiata dalla mia postazione, incedo sinuosa tra i banchi ed esco dalla classe, ignorando i suoi inutili richiami alla disciplina.
 
 
 
In corridoio, sposto per un attimo gli occhi aldilà della finestra, lasciando che si perdono nel cielo grigio. Flebili raggi di sole filtrano tiepidi dalle nuvole cupe e li lambiscono appena, illuminandoli di luce intensa. Una delle mie peculiarità più caratteristiche, oltre i capelli color sangue ed il seno abbondante, sono sempre stati gli occhi eterocromatici. Uno azzurro ghiaccio, l’altro rosso sangue. Il colore dei miei capelli, così come la particolare pigmentazione dei miei occhi, restano tutt’ora un mistero della genetica. Quando ero piccola i bambini erano terrorizzati dal mio aspetto, tanto da rifilarmi quel simpatico nomignolo che mi porto dietro da una vita.
 
- Ehi, Bloody Red! – l’urlo da gabbiano ferito di Hanamichi mi si conficca nelle tempie, andando a sfracellare i miei delicati timpani.
- Rosso, non urlare che mi sforacchi il cervello. E smettila di chiamarmi così, lo sai che non lo sopporto! - biascico e lui sorride come un ebete. - Perché non sei in classe? -
- Beh, ecco... - sospira, grattandosi la testa. - Non avevo studiato per il test di chimica. – ridacchia infine lo psicotico.
- Ma come, un Genio come te... – blatero, in tono palesemente sarcastico.
- Le menti sublimi come me non hanno bisogno di studiare! Questo perché sono un Genio! – e ricomincia a delirare, piantandomi nel cervello la parola Genio qualcosa come una ventina di volte.
 
Hanamichi, come probabilmente avranno intuito tutti, non spicca certo per intelligenza... difatti il rosso, pur essendo un’inenarrabile imbecille, si è convinto di essere qualcosa come il nuovo Michael Jordan. E dopo essersi autoproclamato Genio del basket, se ne va in giro a millantare inesistenti velleità da cestista, sbandierando la sua Genialità e affermando che Rukawa è una sega. Sì, Kaede Rukawa. Colui che in questa scuola ormai è diventato un Dio.
 
- Tu invece? – chiede tranzollo.
- Mi annoiavo. E poi lo sai che i professori non m i sopportano. -
- Mpf, ma come? Tu sei uno spasso, fidati del Genio dell’Universo! – vaneggia, portandosi le mani dietro la testa. Sollevo un sopracciglio, sorvolando sul fatto che mi trovi spassosa; del resto, lo sanno tutti che gli mancano svariate rotelle.
 
Dal primo giorno in cui ho messo piede in questa scuola, nessuno mi ha mai vista di buon occhio. La fama mi aveva ampiamente preceduta e già prima che mettessi piede allo Shohoku, tutti erano a conoscenza dello scandalo che mi aveva costretto a lasciare il Ryonan alla fine del primo trimestre. Ho dovuto mio malgrado scoprire che avere relazioni sbagliate può distruggere una reputazione, già orrenda, nel giro di mezzo secondo.
 
E quella reputazione, poi, non c’è modo di togliersela di dosso. Te la porti dietro in eterno, come il peggiore dei fantasmi.
 
 
- La schiena? – chiedo disinteressata, intenzionata a volgere altrove il discorso.
- Ah, va molto meglio, del resto sono un Genio! È l’ultimo mese di terapie e poi potrò tornare ad umiliare Rukawa con le mie immense prodezze! Quel demente, quanto lo odio!..... ma non te ne frega niente, vero? – cinguetta rassegnato.
- No. -
- Grazie comunque per avermelo chiesto. -
- Figurati. -
 
Strascichiamo tranquilli per il corridoio, ma quando al rosso viene la sciagurata idea di spingere al suicidio di massa i miei neuroni con un’agghiacciante canzoncina auto-elogiativa, comincia a venirmi la mezza idea di pregare qualche Dio che se lo prenda all’istante. Qualcuno di loro deve aver ascoltato le mie preghiere, perché proprio quando ero sul punto di conficcargli un piede tra le orbite, la salvezza si materializza dalla parte opposta del corridoio. Mi fermo ed Hanamichi mette finalmente fine a quello strazio.
 
- Beh? Che hai? - con un cenno della testa gli indico un punto infondo al corridoio. Attimo di silenzio e il demente ricomincia ad urlare come un pazzo, tanto da farmi quasi rischiare un infarto. - Ahahahah divetta, ti hanno sbattuto fuori, eh mentecatto? – gracchia ridendo, indicando il suo eterno rivale. Rukawa scruta prima Hanamichi, poi me.
- No, coglione, sto andando al cesso. - solita risposta indolente.
- Potessi cascarci dentro, stronzetta! -
- Ti piacerebbe, ritard-a-a-to. – biascica con uno sbadiglio.
- Come hai detto? Ritira subito! – ruggisce, prendendo per il colletto il moro, che meno di così non se ne potrebbe fregare.
- Levati, imbecille. –
- Sei solo invidioso perché sono più bravo di te! – farnetica, facendo seguire a quel delirio la solita risata pazzoide.
- Certo, infatti ci sei tu in nazionale juniores, seghetta. -
 
Nuovo attimo di silenzio e Rukawa si vede quasi staccare la testa a morsi. Alzo gli occhi al cielo esasperata, mentre quei due si massacrano come se non ci fosse un domani.
 
- Ci vado prima io al cesso! Crepa maledetto! - vaneggia, accennando vagamente alla Volpe. Poi corre pomposo verso il bagno e ci si rinchiude dentro, delirando come suo solito.
- Lo ammazzo... - chiude gli occhi Rukawa, invocando probabilmente la pazienza che non ha mai avuto.
- È fuori di testa... – scuoto la testa, incrociando le braccia rassegnata.
- È idiota. – specifica lui sospirando, prima di rivolgermi un’occhiata apatica.
- Hn, stammi lontano tu... – asserisco acida, guardandolo torva.
- Tz... – e ci voltiamo di spalle nello stesso momento, allontanandoci bellamente l’una dall’altro.
 
 
Quando finirà questa giornata?

 
Two Weeks Later
 
Percorro pigramente il viale che conduce al grande giardino della scuola. Osservo distratta il paesaggio autunnale, incedendo tra gli alberi che delimitano il perimetro, gonfi di foglie dorate e rossicce, intervallate da qualche sprazzo di fievole verde ancora evidente. Mi piace l’autunno, si perdono gradatamente i fiori, le foglie, i frutti... il verde di fine estate si spegne poco a poco, perdendosi in brillanti tonalità di giallo, rosso ed ocra.
 
Proseguo senza meta, sotto un incessante pioggia di foglie che cadono come eteree farfalle. Mi appoggio di schiena contro il tronco di un ciliegio spoglio e accendo una sigaretta. Mi soffermo a guardare gli alberi mossi dal vento, nubi scure continuano ad addensarsi, anticipando l’imminente pioggia. Seguo il volo di uno stormo di uccelli che planano leggeri, seguendo invisibili correnti d'aria che li porterà a Sud, verso luoghi più caldi.
 
La mia fantasia smette di correre dietro quei dannati volatili quando uno di loro plana ai miei piedi, fermandosi poco distante da me. Mi ritrovo a fissare un piccione oltremodo obeso, che mi fissa con quei ridicoli occhietti infetti, gongolando nel suo lardo in eccesso.
 
- Che hai da guardare? – lo guardo con disgusto, mentre quell’insano portatore di morte mi fissa tracotante, ciondolando nel suo grasso. - Va via, sciò... - borbotto, agitando una mano infastidita, mentre quello rimane li, probabilmente prossimo ad un infarto. - Ma insomma, te ne vai o no? – essendo famosa per la proverbiale pazienza, gli tiro dietro l’accendino che lui, nonostante l’evidente sovrappeso, schiva agilmente, volandosene via tranzollo. - Ecco bravo, vattene, tanto prima o poi affogherai nel tuo lardo! – cinguetto perfida, muovendomi per recuperare l’oggetto.
 
Quando mi risollevo, un particolare richiama subito la mia attenzione. Poco distante da me, attraverso quell’incessante pioggia di foglie autunnali, intravedo qualcuno addormentato ai piedi di un albero.
 
 
- Ma che fa quell’imbecille? – biascico tra me, pensando a quanto possa essere idiota una persona che si addormenta in cortile con un tempo simile. Poi noto con orrore che è di quel coglione irreversibile che stiamo parlando e la cosa smette immediatamente di stupirmi.
 
Kaede-Bradipo-Rukawa è in catalessi, abbandonato con la schiena contro il tronco di un albero, in stato comatoso e con la testa che ciondola da un lato.
 
Quest’idiota va sempre a rintanarsi in posti assurdi. Da bravo imbecille, rischia di farsi venire un’amena bronchite alle prime due gocce d’acqua... ma tanto sono sicura che prima o poi riuscirà a mandarsi all’altro mondo in qualche ridicolo modo. In alternativa, potrei sempre stampargli un piede in faccia e fracassargli la testa contro il tronco... mh, l’ergastolo sembra una piccola pena da pagare in cambio di tanto gaudio.
 
Mi chino sulle ginocchia e mi protendo appena verso di lui, osservandolo con aria meditabonda.
 
 
Lo conosco di fama fin dai tempi in cui frequentavo il Ryonan. Sendoh mi parlava spesso di lui, definendolo il suo vero ed unico rivale. Già allora, trovavo il suo modo di fare estremamente irritante e non sopportavo l’egocentrica visione che aveva del basket. Rukawa è sempre stato la perfetta contrapposizione di Akira, ovvero l'individualismo più estremo ed arrogante.
 
Kaede Rukawa è il classico genio asociale, tanto bello quanto completamente incapace di relazionarsi col prossimo. Spudorato narcisista, compensa la totale incapacità di relazionarsi col prossimo, con un talento raro e naturale. Terribilmente egocentrico, esibizionista, negligente, impulsivo e menefreghista, l’idiota sa bene di essere un campione e vuole emergere a discapito di tutto, fregandosene bellamente della scuola, delle ragazze e degli amici. È ambizioso, è vero, ma è innamorato solo di se stesso ed è come se tutto ciò che lo circondasse, fuori del campo da basket, fosse solo fugace ed opalescente contorno.
 
Non ho mai giustificato il timore reverenziale che tutti hanno nei suoi confronti, ne la venerazione ridicola da parte delle ragazze. Sì, perché Kaede Rukawa, peraltro, è la principale causa di demenza femminile di questa scuola.
 
 
Socchiudo gli occhi, scrutandolo con insolito interesse. Osservo la sua testa ripiegata su un lato, le labbra socchiuse, qualche foglia sparsa sui vestiti... la frangia lunga sembra voler schermare i suoi occhi dagli sguardi altrui. È bello da togliere il respiro... ed è folle, per un ragazzo, sfiorare così spudoratamente la perfezione. Non c’è nessuna logica nella sua bellezza, non ha nessun ragionevole senso... eppure colpisce come un calcio nello stomaco.
 
 
Mi scuoto e ghigno sadica. Con fare volutamente irritante, picchietto con molesta insistenza il dito sul suo zigomo, non badando minimamente a dove lo stia colpendo.
 
- Devi cavarmi un occhio? – mugugna e apre gli occhi di colpo, facendomi trasalire. Mi guarda stralunato, cercando probabilmente di rimettere in moto quell’unico neurone che ancora non è sgattaiolato fuori, alla ricerca di materia grigia. Si gratta i capelli, biascica un - Che vuoi? – e sbadiglia seccato.
- Sta per piovere... – affermo contrariata, aggiungendo un - idiota - sussurrato neanche tanto sommessamente.
- E allora? –
- E allora cosa? Se vuoi farti venire un colpo fa pure, sai quanto me ne frega... imbecille. –
 
Mi sollevo seccata e gli volto le spalle, in procinto di andarmene.
 
- Hai finito di parlare da sola? - domanda, la sua voce resa fastidiosa da quel tono consueto.
- Come scusa? - chiedo stranita, non capendo nemmeno a cosa si riferisca. Faccio girare quell’unico neurone che ancora non è morto di solitudine, recependo il collegamento solo dopo un lungo momento di riflessione. - Ma tu non ti stavi sbrodolando addosso? – scrolla le spalle e si solleva da terra, recuperando la sua altezza. La sua stazza mi sovrasta e per un istante riesce persino a lasciarmi interdetta. - Tz, psicopatico... -
- Hn, io almeno non litigo con gli uccelli... - ironizza sfrontato e mi squadra dall’alto in basso. Lo guardo torva per un istante e lui arriccia il labbro in una smorfia strana, affondando le mani nelle tasche. Ripiega appena la testa su un lato e socchiude un occhio, in una delle sue più celebri espressioni da rincoglionito cronico.
- Cos’è, ti ricordo qualcuno? - prorompo aspra.
- Che hai fatto agli occhi? - mormora, con inflessione lievemente irritante. Lo guardo perplessa, come se fosse una cosa estremamente stupida da chiedere.
- Eterocromia, ignorante. - sbuffo seccata. Lui non fa una piega e continua a fissarmi, inespressivo.
- Mph. -
- Cos’è, sarebbe una riposta? Ma qual è il tuo problema? -
- Nessuno. Fanno impressione. – biascica, in tono volutamente molesto.
- Cosa? – insorgo, cercando di placare gli istinti omicidi. Comincio a vedere rosso... rosso come il sangue di quest’idiota che tra poco spargerò lungo tutto il Giappone.
- Sono stra-a-a-ani... - mugugna con uno sbadiglio.
- Ma come ti permetti, imbecille? E poi senti da che pulpito! – ruggisco, dandogli le spalle. Lo insulto a denti stretti e incedo verso il cortile, precedendolo.
 
Lo scricchiolare di passi sulle foglie, alle mie spalle, suggerisce che mi stia seguendo. Accanto a me, lui ciondola la testa e strascica pigro. Con la coda dell’occhio, lo sorprendo a guardarmi con un sopracciglio alzato.
 
- Che c’è? Hai altri inutili commenti da fare? - ringhio velenosa.
- No. - blatera, simpatico come può esserlo un calcio sulle gengive.
- Mi fai salire il nazismo, con quella faccia da idiota. -
- Non è un mio problema, se la mia faccia ti stranisce. - insinua subdolo.
- Pensi davvero che ogni tuo atteggiamento sia lecito solo perché sei il pupillo della scuola? - il mio tono stavolta è duro, quasi cattivo.
- Hn... - la sua espressione si indurisce di colpo e il suo sguardo si fa più intenso.
- Credi di poterti permettere tutto solo perché tutti ti venerano, ma la verità è che sei solo un povero imbecille vanaglorioso e arrogante che non riesce a tenere gli occhi aperti neanche per dieci minuti. - sibilo velenosa.
- Come? - il tono gelido e duro si mescola al letale veleno diffuso dal suo sguardo, saldo sul mio.
 
La sua espressione non tradisce il minimo cambiamento, ma sta ostentando una calma che in realtà non sta provando. Non è avvezzo a confrontarsi con persone che non si lasciano intimorire dal suo aspetto; del resto è soltanto un ragazzino esaltato, viziato e capriccioso.
 
- Torna coi piedi per terra, bamboccio... - sogghigno maligna, in tono eccessivamente acido persino per i miei soliti standard. Scrutando oltre la frangia corvina, colgo uno sguardo impercettibilmente aspro. Si ferma. Sento i suoi occhi intensi piantarsi tra le mie scapole mentre avanzo decisa, lasciandolo indietro di proposito.
 
Raggiungo l’entrata ciabattando, stringendo tra i denti il vertical labret posto al centro del mio labbro inferiore.
 
 
Che patetico narcisista, si crede un Dio solo perché qui è intoccabile. Ma la sua è solo apparenza... è privo di ogni contenuto. Non ha sangue freddo, è sufficiente qualcuno che non assecondi i suoi capricci per farlo vacillare. Non sei indistruttibile, stupido coglione... e prima o poi, anche tu crollerai, Kaede Rukawa.
 
 
 
 

 

 

Angolo Autrice:

Bene, ho finalmente avuto il coraggio di pubblicare. Sono molto legata a questa storia, ce l’ho in cantiere da mesi ed ero indecisa se pubblicarla o meno, essendo in alcuni punti quasi autobiografica. È una sorta di esperimento, per cui sono preparata ad eventuali critiche o indifferenza, non essendo affatto sicura che piacerà, ma  dopo molte riflessioni, ho pensato che fosse ora di renderlo pubblico. Scrivere una het su Slam Dunk mi preoccupava, non solo per la maggioranza di FF yaoi – che peraltro leggo e, se ben scritte, gradisco molto – ma anche perché mi frenava dover gestire un personaggio enigmatico come Rukawa evitando di uscire dal suo personaggio, che si rischia di rendere Ooc con fin troppa facilità. Ho cercato di rendermi il più possibile fedele all’originale, facendo ricorso anche ad un po’ di fantasia. Se avrò fallito nell’intento, non mancate di farmelo notare ;)
 
Di solito non amo introdurre nuovi personaggi alla storia originale, ma ho dovuto, non avendo molte possibilità di pescare tra i personaggi femminili del manga originale. Sono consapevole che il personaggio di Mayu potrà non attirare molte simpatie, volevo fosse diversa – un po’ come lo sono io - non è un carattere facile ma si evolverà nel corso della storia. Mi sono presa la libertà di aggiungere altri due personaggi, avevo necessità di figure femminili e purtroppo nel manga non ce sono, se si escludono Ayako ed Haruko che però non riuscivo ad integrare con la storia. Mi auguro non me ne vogliate, ma erano necessarie per la trama XD
 
Mi sto dilungando, per cui vi lascio. Se la storia vi piace ne sarò contenta, se vi farà schifo, sarò contenta lo stesso e se vorrete darmi consigli, fare delle critiche – negative, positive o costruttive che siano – siete i benvenuti e sarò ancora più contenta. Se ne avrete voglia e pensate che ne valga la pena, abbondate con le critiche, mi serviranno per migliorare e rendere migliore ciò che scrivo. Ringrazio in anticipo chi leggerà questa storia e vi mando un saluto =)
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Impatto ***


Capitolo 1
Impatto
 
 
 
 
One Week Later
 
 
Varco la soglia della terrazza ed una folata di vento teso mi travolge, minacciando quasi di sollevarmi la gonna. Mi stringo nelle spalle e raggiungo la ringhiera, imprecando tra me per non essermi portata la giacca. La serie di bestemmie si incrementa notevolmente quando mi viene in mente che l’ho pure lasciata a casa. Insieme a cellulare e portafoglio. Maledizione...
 
Mi sporgo appena in avanti e butto un’occhiata annoiata al cielo scuro, gonfio di nubi nere. Accendo una sigaretta e aspiro a pieni polmoni, osservando il fumo disperdersi nell’aria. E proprio quando i miei neuroni sono in procinto di saltellare allegri verso nuovi ed avventurosi lidi, percepisco un rumore di passi alle mie spalle e con la coda dell’occhio scorgo appena una figura.
 
Poco distante da me, Kaede Rukawa incede barcollante. Stranamente, anziché andare a morire in qualche angolo assurdo senza guardare in faccia nessuno come suo solito, si trascina silenzioso nella mia direzione.
 
La sua presenza, alle mie spalle, mi provoca un brivido che non riesco a decifrare. Lo ignoro e torno a guardare la città antistante, simulando una tranquillità che in realtà non sto provando.
 
- Mayu Okazaki, giusto. – la sua voce roca rompe il silenzio d’improvviso.
- Che intuito... - sospiro, roteando gli occhi. Non c’è una sola persona, in questa fottuta scuola, che non conosca il mio nome. I corridoi sono un alveare brulicante di presunti gossip su di me, anche inventati se necessario. Ma la mia reputazione non è nemmeno paragonabile a quella che ha lui. Io ho la nomina di stronza, troia, drogata, manipolatrice e cagna.
 
Mi raggiunge, posa a terra un... succo d’uva ??? e si sporge appena in avanti, poggiando i gomiti alla ringhiera. Mi guarda in modo strano e mi ritrovo, mio malgrado, a rispondere alle sue velate occhiate, provando una strana sensazione... esaltazione, forse. Mischiata ad un’insolita tensione. Guardarlo equivale inevitabilmente a ritrovarmi la testa infestata da un esercito di pensieri non esattamente leciti, che sfiorano i confini dell'immaginario erotico. E questo di certo non mi aiuta a tranquillizzarmi.
 
Dopo un primo momento di velata tensione, l’idiota desiste e si decide a trascinarsi fino al muro poco distante. Si siede pigramente e sbuffando poggia la schiena contro la parete, incrociando le braccia al petto con aria sonnacchiosa.
 
 
- Hai già finito l’autonomia, volpe? – ridacchio, mentre quello fatica persino a tenere gli occhi aperti.
- Non ho neanche voglia di starti a sentire... – mugugna, cominciando a ciondolare con la testa.
- Cristo, ma stai a pezzi. – gracchio ruvida, guardando la volpe con disgusto. – Che diavolo, fatti una cura di caffeina! - pigolo con la solita delicatezza, ricevendo in risposta un’occhiata gelida che mi fa ribollire il succo d’uva nelle viscere.
 
Lo guardo, scuotendo la testa disgustata e l’idiota comincia a russare beato. Qualcosa però deve aver ridato impulso ai criceti morti nel suo cervello, perché dopo dieci minuti inizia a mugugnare qualcosa di incomprensibile e si arrischia ad aprire un occhio, come vittima di un’improvvisa illuminazione. Comincia a fissarmi con la consueta espressione da spugna di mare e con un cenno della testa mi indica il succo d’uva che ha lasciato ai miei piedi.
 
- Cosa? – grugnisco, con la solita simpatia che mi contraddistingue.
- Passa - ordina, in tono volutamente irritante.
- Scusa? – è sconvolgente la faccia tosta di questo soggetto.
- Passami il succo. - ripete atono, sprecando fin troppo fiato.
- Prenditelo, idiota. – replico saccente, incrociando le braccia al petto e fissandolo di proposito.
 
Il volpastro alza gli occhi al cielo e sospira, sollevandosi da terra con uno sforzo che sembra sovrumano. Ma essendo ancora in fase catatonica, l’idiota quasi si schianta per terra come un demente senile. Soffoco a stento una risata mentre la Diva, seccata, si stabilizza e striscia malfermo verso di me. Scivola al mio fianco e avverto immediatamente la scia dolciastra del suo profumo insinuarsi in ogni particella d’aria che respiro.
 
- Idiota. – borbotta infine e si abbandona coi gomiti sulla ringhiera, sorseggiando il liquido violaceo.
 
Stranamente non rispondo e di nuovo... quella fastidiosa sensazione che mi colpisce alla bocca dello stomaco. Qualcosa dentro di me comincia a fare allegre capriole, come quando sto male di stomaco. Lo guardo di sottecchi, mentre il vento scivola tra i suoi capelli ed i tuoni accendono quegli occhi intensi, carichi di elettricità. Accidenti...
 
Cerco di ridare contegno ai miei pensieri, ma quell’idiota continua a fissarmi e la cosa comincia a darmi sui nervi.
 
- La pianti di fissarmi o vuoi un pugno in faccia? - sbotto, con voce forse troppo acuta.
- Assurdi. –
- Di che diavolo stai parlando, imbecille? -
- I tuoi capelli. Sono assurdi. – asserisce inespressivo, inarcando un sopracciglio. Il suo sguardo scorre languido lungo le ciocche liscissime, pervase da quel rosso che mi accompagna da quando ho iniziato a respirare e che ha sempre attirato ostilità e disapprovazione. Il mio vanto, la mia peculiarità dominate, il colore vivo dei miei giorni. Lo specchio della mia essenza racchiuso in quel rosso che dipinge la mia intera esistenza.
- Cosa? Ma ti sei guardato allo spe... – mi interrompo, consapevole di quanto sia ridicolo fare insinuazioni sull’aspetto ad uno che sfiora così spudoratamente la perfezione. – Mph... non capisci un cazzo. – borbotto infine, indignata. Continua a scrutarmi perplesso, con insolito interesse. Allunga una mano e si sofferma ad osservare placido una ciocca di capelli color fuoco che stringe tra indice e medio.
- Assurdi... – ribadisce, fissandola con indifferenza.
 
Quella vicinanza mi costringe a reprimere un brivido. Cerco di rimanere disinvolta, ma per un attimo la risolutezza vacilla e la mente si annebbia, nell’assoluta eccitazione della prospettiva che si staglia nella mia testa: io distesa sul letto con un succinto negligé di seta nero e lui sopra di me, che si muove felino...
 
Serro i denti, infastidita da quei pensieri. Lui al mio fianco è fastidiosamente tranquillo ed il suo profumo mi scivola sulla pelle come un fottuto brivido.
 
- Sembri la versione acida del do’hao. – biascica, alludendo vagamente ad Hanamichi Idiota Sakuragi. Cos’è, gli è venuta voglia di morire?
- Non ti azzardare a paragonarmi a quello lì! – ruggisco, continuando ad insultarlo sommessamente. Ignora le mie minacce e i suoi occhi si perdono ancora tra le inquietanti nubi nere. Di nuovo, una raffica di vento mi travolge e un brivido mi pietrifica. Ma stavolta non è il freddo. Affatto.
- Tu parli decisamente troppo. – mormora. Quegli occhi... deglutisco aria e reprimo un brivido, cercando di comportarmi con disinvoltura.
 
 
Guarda il cielo con aria assorta e comincio a chiedermi cosa ci sia in lui che non riesco a cogliere. Sospira, perdendosi in quell’espressione insolita che fa brillare i suoi occhi di luce più intensa. Mi chiedo se sia davvero la vera facciata quella che mostra dietro quegli sguardi apparentemente assenti, o se lasci vagare liberamente le sue sensazioni in più direzioni.
 
Ma Kaede Rukawa è un enigma lucido, schermato da sguardi che, ne sono convinta, vedono molto più di quello che vogliono far credere. Ma non permetterà a nessuno di sviscerare quegli occhi colmi di tensioni e contraddizioni. Mai, nemmeno per sbaglio. È troppo geloso di se stesso per permettere a qualcuno di contaminare i suoi rassicuranti e granitici spazi vitali.
 
 
Persa nei miei pensieri, nemmeno mi accorgo che ha iniziato a piovere.
 
- Maledizione... – raggiungo rapida l’entrata e mi volto a cercarlo, non sentendo alcun rumore di passi. Lui è ancora lì, gli occhi fissi verso l’alto. L’acqua percorre lenta i lineamenti del suo viso, scivola tra i capelli, lungo il collo... inumidisce la camicia e rende la stoffa dannatamente trasparente, delineando le linee di un torace perfetto. Sussulto e un brulicare vorticoso di brividi mi si addensano nel petto.
 
- Che fai, rimani lì? – la mia voce sembra raggiungerlo a malapena mentre socchiude appena le palpebre.
- Solo un attimo... – chiude gli occhi, inclinando la testa su un lato con sensualità innaturale, incollando la mia attenzione sull’eleganza di ogni fottuto gesto.
 
Ostenta un corpo creato per sedurre, per scavare nel cervello violentemente, fottendo ogni neurone. Mi odio, quando faccio certi pensieri su quell’idiota... e odio lui, che mi costringe a guardare quel torace scolpito premere contro la stoffa umida della camicia. È un fermo immagine che colpisce dritto al cervello, per qualche incomprensibile ragione.
 
Distolgo lo sguardo con violenza, sollevando una mano a massaggiarmi una tempia. Cerco di dilatare i pensieri e riprendere il controllo delle mie facoltà intellettive. Respira Mayu. Non posso fare certi pensieri su quell’imbecille! Ok, devo concentrarmi. Pensare a qualcosa di brutto...
 
 
- Ti sei rincoglionita? – la sua voce mi scuote con violenza, facendomi trasalire. Lo ritrovo accanto a me che mi guarda dall’alto, dalla sua frangia color ebano l’acqua gocciola ipnotica, riversandosi sul pavimento umido.
- No idiota, stavo pensando! Che palle! – sbotto acida, passandomi le dita tra i capelli. Mi avvio tacitamente verso le scale ed il rumore dei suoi passi, alle mie spalle, mi rende insolitamente inquieta.
 
Sceso l’ultimo gradino, mi volto d’impeto e mi ritrovo a fissare i suoi pettorali, perfettamente visibili oltre la stoffa resa trasparente dall’acqua. Respingo quei pensieri non esattamente leciti e schiarisco la voce, mantenendomi lucida e risoluta.
 
- Smettila di starmi tra i piedi... – sibilo decisa, incastrando gli occhi nei suoi. Inarca un sopracciglio interdetto e mi volto, allontanandomi da lui con passo felpato.
 
 
Percepisco ancora il peso del suo sguardo mentre percorro lenta il corridoio, lasciandomi alle spalle quegl’occhi che sanno sedurre con l’arte del demonio...
 
 
 
Some Days Later
 
 
Avete presente Homer Simpson quando parla col suo cervello? I neuroni sgattaiolano fuori mentre il corpo si muove autonomo, ripetendo meccanicamente i gesti di tutti i giorni? Ecco, io ora mi vedo quasi dall’alto, come se la mente fosse emigrata fuori dal mio corpo. Vado avanti per dieci minuti finché mi rendo conto che è una cosa davvero troppo idiota e comincio a ridere da sola come un’immane deficiente.
 
- Che hai da ridere? - prorompe Faye, distogliendomi. Sbatto le palpebre e aggrotto le sopracciglia, cercando di far ripartire i neuroni.
- Che? – blatero, senza nemmeno cogliere il filo della conversazione.
- Stava partendo di nuovo per la tangente... – mormora Hikari, sorridendo rassegnata.
- Tu sei fuori, Mayu... – rotea gli occhi e getta la cicca aldilà della recinzione, stiracchiandosi con molta poca classe. - Andiamo a vedere gli allenamenti? – quell’affermazione improvvisa, quasi mi provoca un ameno shock.
 
Sollevo un sopracciglio, guardandola dall’alto in basso. Ora: il problema non è tanto l’epicità della richiesta in se, ne la quantità di droga che probabilmente ha tirato su stamattina, ma il sorriso ebete che ha stampato in faccia come una paresi. Qui le opzioni sono due: o ha scoperto di avere un male incurabile al cervello oppure, il cervello, se lo è completamente bevuto!
 
- Sei seria? -
- Perché? -
- Come perché? Non ci sei mai voluta andare! Hai sniffato zucchero stamattina? - sbotto sconvolta.
- Che palle, ma che avete tutte e due oggi? Deve per forza esserci un motivo se per una volta voglio andare a vederli anch’io?! -
- Va per Mitsui. – cinguetta candidamente Hikari al mio fianco, rischiando di farsi cavare gli occhi.
- Oho, ma non mi dire?! – infierisco, ridendole in faccia senza ritegno. Tuttavia, avevo dimenticato la proverbiale facilità all’ira di Faye che, difatti, ci stacca quasi la testa a morsi.
- Hikari ma la vuoi chiudere quella bocca?! E tu smettila di ridere, maledetta! – tuona, diventando dello stesso colore dei miei capelli.
 
 
Non vuole ammetterlo nemmeno a se stessa, ma si vede chiaramente che è persa per Mitsui. Ed è evidente che questa non sia affatto una delle rapide avventure tipiche di Faye. Questa volta no, con lui è diverso. Lo capisco da come lo guarda, da come le sorridono gli occhi ogni volta che parla di lui. Con Mitsui perde ogni difesa... è troppo forte, troppo viscerale la fame che hanno l’una dell’altro.
 
E come darle torto: Hisashi Mitsui è fuoco vivo. Rude, affascinante, sfrontato, con quelle cicatrici da uomo vissuto e quell’aria da teppista redento. Ha un tale fuoco dentro, che lo fa ardere di pura passione... e quei modi burberi e quei sorrisi storti sono stati fatali per Faye.
 
 
- Dai muoviti! – esclama, trascinandomi in palestra con talmente tanta foga, da mandarmi a sbattere contro Akagi e Miyagi, fermi in prossimità dell’entrata. Dopo vari tentativi di omicidio, riusciamo a stabilire una parvenza di tregua e finalmente raggiungiamo gli spalti, tra vari auguri di morte prematura. Le urla delle invasate del fan club di Rukawa risuonano per tutto il perimetro, mentre inneggiano il loro idolo vestite da cheerleader. - Quelle stronze fanno un casino del diavolo! – biascica disgustata. Personalmente non so se essere più schifata o sconvolta.
 
Mi appoggio con i gomiti alla ringhiera, osservando il campo con sguardo vago. Quando sono nel pieno di un intenso momento di vuoto cosmico, un urlo isterico mi fa quasi cadere di sotto, provocandomi qualcosa come una decina di infarti.
 
- Ciao Mayu! – cinguetta Hanamichi, saltellando come un ossesso. Lo incenerisco con lo sguardo mentre il pazzo mi saluta con ampi gesti, in una delle sue classiche pose da sedicente campione.
- Perché non lo hanno ancora internato quello psicotico? – Faye lo guarda sconcertata, chiedendosi probabilmente perché ad un soggetto simile non abbiano ancora messo la comica di forza. Domanda che, peraltro, mi pongo anche io ogni santo giorno.
- Sei venuta ad ammirare il mio immenso talento, vero? Vedrai rossa, farò vedere a tutti di cosa è capace il Genio Sakuragi! – e ricomincia a delirare, sparando vaneggi come fossero caramelle.
- Che pagliaccio, si crede un campione... guarda che razza di gente frequenti. – biascica inorridita, piantandomi una gomitata tra le costole.
 
La ignoro e cerco inutilmente di deviare i deliri di Hanamichi, finché delle urla improvvise richiamano l’attenzione dell’intero universo. Le ragazze cheerleader accolgono l’ingresso in palestra del loro idolo agitandosi come pazze, emettendo urla degne di un branco di scimmie in calore. Che lui naturalmente non nota nemmeno per sbaglio.
 
Distolgo lo sguardo disgustata e trovo il Rosso che spara deliri con le mani al collo dell’odiato rivale. Mitsui e Miyagi si schiantano a terra, piangendo dalle risate, mentre il Gorilla comincia ad avere la mezza idea di pregare qualche Dio che li fulmini all’istante. Ora: tra Volpino, Rosso, Nano e Teppista scegliere chi sia il male minore è un dilemma irrisolvibile da mente umana; così, tanto per essere sicuro, li prende a sberle tutti e quattro, trascinandoli in campo per le orecchie.
 
 
Ristabilita una parvenza di normalità, l’allenamento finalmente comincia.
 
 
Durante la partitella d’allenamento, non posso evitare di rimanere incantata dal modo di giocare di quell’imbecille. Kaede Rukawa incarna l’essenza stessa del talento e del genio. La classe innata, l’eleganza, l’estro... tocca quella palla come fosse un prolungamento del suo braccio. Io, quel talento puro, non sono riuscita a vederlo nemmeno in Sendo, riconosciuto come uno dei migliori giocatori nel circuito liceale nazionale.
 
È la punta di diamante di una squadra plasmata per vincere: Akagi è il collante, Mitsui la precisione, Miyagi la velocità, Sakuragi l’imprevedibilità, Rukawa l’estro. Cinque ingranaggi che si incastrano perfettamente, in un meccanismo nato in modo così naturale da riuscire ad imporre un gioco assolutamente vincente ed imprevedibile. Non hanno un gioco particolarmente pulito, ma è sempre dannatamente efficace ed è eccitante vederli giocare insieme.
 
Tuttavia, è una squadra che può vantare una ragguardevole pletora di disadattati più o meno latenti. Psicologicamente sono uno più devastato dell’altro, hanno caratteri assolutamente incompatibili, eppure sono riusciti a creare un insolito legame. È qualcosa di inevitabilmente profondo, in bilico tra l'odio, l’affetto e quella stima naturale verso dei compagni che, condividendo gioie e sofferenze, alla fine non diventano amici, ma fedeli alleati.
 
Ricordo che non avevo queste sensazioni, quando seguivo il Ryonan. Non c’era quell’alchimia, quel legame naturale che invece ho visto in loro. Il successo dello Shohoku è una sinergia dettata dalle circostanze, una convergenza di obiettivi comuni ed è proprio questa natura accidentale che li rende qualcosa di assolutamente unico. Se giocassi a basket, non credo potrei desiderare una squadra migliore della loro...
 
 
 
Finito l’allenamento, i giocatori si dirigono negli spogliatoi e gli spalti si svuotano lentamente. Faye raggiunge Mitsui, mentre Hikari ed io usciamo in cortile.
 
Avvolte dal verdissimo manto erboso del giardino, poggiate di schiena al tronco di un grande ciliegio spoglio, Hikari estrae due sigarette dal pacchetto e me ne tende una. Ringrazio, mentre sfilo l’accendino dal taschino e le accendo entrambe. Rimaniamo in silenzio per un po’, ad osservare le nuvole bianche evolversi nel cielo azzurro.
 
- Ma cos’è che ti colpisce di Rukawa? – esordisco infine, riempiendo il silenzio.
- Hai intenzione di ridere di me? – chiede sospettosa, alzando gli occhi al cielo.
- No, sono seria. - esita per qualche secondo, poi sospira.
- Mh... in realtà non è mai stato il suo aspetto a colpirmi, se è lì che vuoi arrivare. –
- Ah no? E cosa allora? Non mi pare abbia qualche altra particolare dote quel rit.. ragazzo. - mi correggo, non riuscendo comunque ad evitare un’occhiataccia.
- Non è vero. Certo, è innegabile che sia sempre stato molto bello, però... c’era qualcosa nei suoi modi di fare, nel suo sguardo, che mi ha sempre provocato un’inspiegabile inquietudine. Quegli occhi... - si morde le labbra, come se stesse cercando le parole. - ... quel fuoco che arde, è qualcosa che non ho mai visto in nessun altro. Ogni volta mi colpisce come se lo guardassi per la prima volta. - sussurra, socchiudendo quegli occhi che brillano, ogni volta che parla di lui. Nonostante le apparenze, Hikari non smetterà mai di proteggere con tanta forza il sentimento che prova per Rukawa. È troppo forte, troppo consolidato il legame che la lega a lui.
- Mpf, io non vedo niente di speciale in quello li... – biascico sbuffando.
- Perché tu lo guardi con pregiudizio, Mayu. Non avresti un’opinione così brutta di lui se lo vedessi con gli stessi occhi con cui lo guardo io. - sospira, intrecciando una ciocca di capelli chiari tra le dita.
- Mh, forse hai ragione... – mormoro, spegnendo la sigaretta sull’erba. - E comunque non capisco perché non ti fai avanti, visto il tipo di legame che avete. Lui per primo sa che non sei come quelle dementi. – blatero, col tatto di un sumo, mentre lei raccoglie le gambe al petto.
- Ma io non ho mai voluto una relazione con Kaede, Mayu. -
- Che vuoi dire? - stavolta il mio tono è più interessato. È solo per fare conversazione, mi dico, per quella che si può fare con Hikari su quell’idiota. Eppure noto, con una punta di disapprovazione, di essere stranamente interessata a quello che lei pensa di lui.
- Il sentimento che provo per Kaede va oltre il concetto di attrazione puramente fisica... - si interrompe per spegnere la sigaretta e finalmente riprende. - È un sentimento molto più complesso, molto simile all’amore per certi versi, ma che non implica in alcun modo l’interazione sessuale. L’avermi permesso di essere parte della sua vita è più di quello che potessi desiderare da lui. Ma non potrebbe mai essere il mio fidanzato, da quel punto di vista siamo assolutamente incompatibili. – sorride, lasciandomi interdetta.
 
Ripenso per un attimo alle sue parole ed il parallelismo, nella mia testa, nasce spontaneo. Lei pone i sentimenti su un livello completamente diverso dal mio: più intenso, profondo ed interiore. Io, invece, sono di tutt’altra scuola. Secondo la mia etica, il maschio è solo oggetto di piacere puramente fisico, niente più di questo. Ma infondo sono sempre stata viziosa, fin da quando presi coscienza del mio corpo e di ciò che potevo ottenere con facilità, affilando a dovere le mie armi.
 
La verità è che posso essere velenosa quanto mi pare, ma io ai piaceri della carne non so resistere. In Giappone, avere una mentalità come la mia, equivale inevitabilmente ad immoralità e depravazione. In realtà ho solo una struttura troppo occidentale, troppo aperta per una società estremamente chiusa e bigotta come questa.
 
- Certo che sei strana... – biascico perplessa.
- Mayu... – si volta e mi rivolge uno sguardo vagamente inquietante. - Secondo me voi due sareste perfetti, sai? - se ne esce candidamente, provocandomi un ameno shock.
- Ma sei impazzita? Tienitelo pure, quel frigido! – sbotto imbarazzata e lei se la ride beata.
- Poi non venire a dirmi che non te l’avevo detto.. - allude maliziosa, rimediando un’occhiataccia. - Ora devo andare, ho lezione di piano e sono tremendamente in ritardo. Ci vediamo per cena? -
- Mh stasera lavoro. - mugugno stiracchiandomi.
- Allora verremo a trovarti. – mormora, ampliando il suo sorriso. Mi manda un bacio e scappa via, sparendo oltre il grande cancello dello scuola.
 
 
Sbadiglio apatica, avviandomi in palestra per recuperare la cartella che ho dimenticato sugli spalti. Ciabatto svogliata, ciondolando la testa, persa a seguire la logica dei miei inutili pensieri. Dei rumori provenienti dall’interno distolgono la mia attenzione; si sente il fragore della palla che rimbalza, il suono secco del tabellone che vibra e il tintinnio sgraziato del ferro. Mi avvicino silenziosa, sbirciando oltre la porta.
 
Gli ultimi raggi di sole piovono sul parquet, accendendolo di una luce intensa. È un’immagine bellissima, quella che vedo. La sua figura si staglia altera, circonfusa dal bagliore rossastro del sole morente. Fermo sulla lunetta, palleggia pigramente, guardando fisso avanti a se. Si muove in modo indolente e felino allo stesso tempo, feroce come una tigre pronta a scattare. Tira ed i muscoli risaltano, tesi e tirati, sotto la canotta e i pantaloncini corti...
 
 
- Hey, dormi? – la sua voce mi fa sobbalzare.
- Che? – farfuglio incerta.
- La palla. – con un cenno della testa indica la sfera arancione scivolata ai miei piedi. – Ridammela. –
- Prenditela. – sibilo perentoria, incrociando le braccia. Lui sbuffa e mi raggiunge, chinandosi a recuperare la palla.
- Che ci fai qui. - mugugna seccato.
- La fan. Mi fai un autografo? – lui mi guarda interdetto mentre cinguetto beffarda, sbattendo le ciglia con finta ammirazione.
- Hn, idiota... -
 
 
Raggiunge la linea dei tre punti e mi lancia uno sguardo che è una chiara provocazione. Illuminati dagli ultimi raggi inclinati, i suoi occhi si incendiano e scatta in avanti. Salta, sollevandosi un metro da terra e schiaccia la palla nel canestro con una potenza devastante. Il tabellone trema per un tempo indefinito, mentre lui atterra con una classe da far impallidire.
 
È stupefacente, il talento di questo imbecille... credo non sia umanamente possibile non rimanerne abbagliati. In un istante, mi ritrovo ad annegare in quello sguardo fiero, puntato sul mio con fastidiosa superbia. In quegli occhi alteri brilla una luce che mi provoca un’improvvisa vertigine... mi tornano in mente le parole di Hikari e, non so perché, ho la sgradevole sensazione che le mani abbiano preso a tremare.
 
Scrollo appena la testa e sorrido cattiva. Batto le mani con fare volutamente ironico, ma è talmente pieno di se da non esserne minimamente toccato.
 
- Accidenti, questo posto è troppo piccolo per contenere la tua immensa modestia. Vuoi che venga lì a sbavarti ai piedi? – ghigno, in tono chiaramente sarcastico.
- Che ridere... – biascica seccato, incrociando le braccia al petto.
- Mi dispiace che il mio senso dell’umorismo ti offenda... – mi interrompo e raccolgo da terra il pallone. Incedo decisa e lo affianco, colpendogli lo stomaco con la palla. - ... E con mi dispiace in realtà intendo fottiti. – ghigno sadica e lui risponde con un’indecifrabile smorfia.
 
Col suo sguardo fisso sul mio lo oltrepasso e con passo lascivo raggiungo gli spalti. I suoi occhi mi seguono pressanti, mentre recupero la cartella e sparisco aldilà del grande portone. Sei uno spasso, Kaede Rukawa...
 
 
 

Angolo Autrice:


Bene, il primo capitolo è andato. Non mi convinceva moltissimo, essendo un capitolo di transizione, ma era necessario per iniziare a mostrare il lento sviluppo delle sensazioni di Mayu nei confronti di Kaede, che iniziano a mutare da incontro ad incontro. I primi capitoli saranno incentrati principalmente su loro due, per cui spero abbiate un po’ di pazienza =) Ringrazio Ice_DP per aver commentato, ringrazio i lettori silenziosi e coloro che hanno inserito la mia storia tra le seguite, spero riuscirò a convincervi, prima o poi, a lasciarmi una vostra opinione, mi farebbe davvero un grandissimo piacere. Grazie ancora, vi mando un bacione  =*
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Reazioni Impreviste ***


Capitolo 2
Reazioni Impreviste
 
 
 
 
Rivolgo un rapido sguardo alla mia immagine riflessa nella finestra e sistemo un’ultima volta i capelli, legati in una coda alta. Riprendo a comminare e mi trascino per il corridoio, sbuffando e con la vitalità di un cadavere. Il mio organismo comincia a bramare caffeina e mi impone di strascicare verso il distributore automatico nell’area ristoro. Ma il caffè, per quanto utile, non sarà mai un degno sostituto del letto.
 
Intenta a contare i centesimi a voce nemmeno troppo bassa, mi accorgo solo dopo aver finito, di un inquietante presenza alle mie spalle che torreggia sinistra. Mi volto lentamente e, sollevando la testa, mi ritrovo a fissare la solita espressione idiota di Rukawa.
 
- Ah, sei tu. -
- Hn. –
- Cos’è, sei caduto dal letto? – ridacchio, notando due ombre leggere sotto quegl’occhi cobalto. Gli donano persino le occhiaie al bastardo...
- Quanto rido... – mugugna ironico, sbadigliando indecentemente.
- Prendi qualcosa? – chiedo noncurante, giusto per fare conversazione... per quella che si può fare con la volpe in questo stato, del resto.
- Non ho soldi. -
- E allora cosa ci stai a fare qui, idiota? – scrolla le spalle, guardandomi come un’ebete.
 
Si strofina la testa, sbattendo le palpebre più volte. Cerco di trattenere una risata, ma quella faccia da rincoglionito è davvero troppo divertente e gli scoppio a ridere in faccia senza ritegno.
 
- Smettila sce-e-e-ma... – farfuglia, sbadigliando per la millesima volta. Asciugo una lacrima e sorrido sardonica.
- Hai la vitalità di un novantenne in punto di morte. – inserisco le monete nel distributore e seleziono due caffè. - Tieni. - cinguetto, piazzandogli il liquido fumante sotto al naso. Il volpastro sembra un attimo perplesso, tant’è che guarda prima il bicchiere, come se dovesse essere avvelenato e poi riprende a fissare me, inarcando un sopracciglio.
- Ti sei drogata, stamattina? – domanda, con inflessione lievemente preoccupata.
- Bevi imbecille, per una volta che sono gentile. Hai una faccia che fa spavento, sia mai dovessi riprenderti! – cinguetto sbrigativa, mollandogli il bicchierino bollente in mano.
- Sei sempre così simpatica o oggi sono solo fortunato? - asserisce, in tono chiaramente ironico.
- Sfacciatamente fortunato... – gli rivolgo uno sguardo che è una chiara provocazione.
 
Sbatto le ciglia, con fare volutamente provocante e lui, per un istante, sembra rispondere con la stessa intensità. Un brivido gelido mi attraversa la schiena e mi costringe a distogliere lo sguardo. Gli volto le spalle e lo oltrepasso, lasciandolo volutamente indietro. Mi segue senza dire una parola, mentre percorriamo il corridoio che conduce alle rampa di scale.
 
- Non dovresti tornartene in classe? - domando salendo, precedendolo di qualche gradino.
- Potrei farti la stessa domanda. – mpf, perspicace il volpastro.
- Mi stai seguendo, idiota?! – cinguetto, adocchiandolo di straforo mentre ciondola la testa da una parte all’altra.
- Vai nella mia stessa direzione. – mormora scaltro, lasciando persino intravedere un lievissimo barlume di materia neuronica.
 
 
 
Appoggiata di spalle alla ringhiera, accendo la sigaretta al mentolo e osservo apatica quell’imbecille poggiato di schiena al muro, col caffè ancora in mano. Mi guarda in modo strano ed ho la sgradevole sensazione che stia cercando di studiarmi.
 
- Perché mi fissi? – colto in flagrante. Si ritrae infastidito e butta giù a piombo il liquido ancora bollente, salvo poi risputarlo indecentemente un secondo dopo. Comincio a ridere come una iena, mentre quello sacramenta amenamente, fulminandomi con lo sguardo. Un trillo, poi, mi notifica l’arrivo di un messaggio di Faye.
 
«Il tuo professore di letteratura è venuto a cercarti nella mia classe. Rientra o ti becchi un’ammonizione!»
 
- Merda... - borbotto seccata ed improvvisamente vedo il cellulare sparirmi dalle mani. Che diavolo è successo? Dopo alcuni secondi rimetto in moto il cervello e mi accorgo che l’idiota mi ha fottuto il telefono con una rapidità tale da farmi seriamente dubitare dei miei riflessi! - Ehi, ridammelo! – strido, cercando di riprendermelo, ma lui indietreggia e protende una mano contro il mio viso, impedendomi di avanzare. Mi fermo stizzita, portandomi le mani sui fianchi. - Si può sapere che diavolo ti prende? -
 
Mi irrito non per il gesto in se, ma per la foto sfondo che Faye ha sostituito dieci minuti fa e che programmavo di togliere subito dopo il caffè, se non avessi incontrato quest’idiota universale. Sospiro seccata mentre il volpino alza un sopracciglio e inclina la testa da un lato. Quella fottuta foto me l’ha fatta negli spogliatoi durante Educazione fisica mentre ero in reggiseno ed in posa decisamente poco casta. Quella vipera... appena mi capiterà tra le mani, le farò rimpiangere di avermi conosciuta!
 
- Devi guardarla ancora per molto, idiota deficiente? - trasale e quasi si lascia scivolare il cellulare dalle mani. - Fa attenzione, mentecatto! -
- Non ho mica le mani di pastafrolla. – ribatte indignato, ma se mi avesse rotto l’iPhone quelle mani gliele avrei staccate a fatte ingoiare! - Posso? – chiede indolente, digitando un numero, senza nemmeno degnarsi di aspettare il mio consenso.
- Che cazzo lo chiedi a fare se poi fai comunque come ti pare?! –
 
Tento ancora di avvicinarmi, ma distende nuovamente il braccio verso di me, corruccia la fronte e mi ammonisce con un poco simpatico - Sta zitta -
E certo, ti pare che ora deve pure aver ragione lui? Qui il mondo gira al contrario! Lo fulmino, mentre si porta il cellulare all’orecchio e lo lascia squillare per un istante. Me lo restituisce e glielo strappo dalla mano, imprecando sommessamente.
 
- Tu hai la segatura nel cervello! – sbotto, controllando la cronologia delle chiamate. Mi soffermo sull’ultima e mi sollevo a guardarlo, perplessa. – È tuo? -
- No, del mio parrucchiere. – ironizza seccato, infilandosi le mani in tasca con irritante tranquillità.
- Tutto questo casino per prenderti il mio numero? Non era più semplice chiederlo? – domando contrariata, alzando un sopracciglio.
- Me l’avresti dato? – schiudo la bocca interdetta e dopo un momento di silenzio, mi da le spalle e se ne va.
 
 
Una strana sensazione si fa strada dentro di me, un’inquietudine che non avevo mai provato prima. Che diavolo sta succedendo a quell’idiota?
 
 
Two Days Later
 
 
Sciacquo le mani sotto il getto d’acqua e ravvivo un’ultima volta i lunghi capelli color fuoco. Esco dal bagno e quasi sobbalzo, quando mi trovo a fissare Kaede, appoggiato pigramente allo stipite della porta con le braccia incrociate al petto. Mi trafigge con uno sguardo indefinibile.... ed ho la sgradevole sensazione di avere i brividi.
 
- Chi si vede... cos’è, mi segui? – chiedo ironica, nel tentativo di isolare la tensione dietro una tranquillità che in realtà non sto provando. Quegli occhi oggi mi turbano. – Perché mi guardi con quella fa... – non riesco nemmeno a finire la frase, ammutolita dall’impeto col quale mi spinge di nuovo all’interno del bagno, bloccandomi tra se e la parete. – Che... che stai facendo? – mormoro sconcertata, consapevole che ogni tentativo di liberarmi sarebbe inutile. Sento il suo respiro scivolare fra i capelli, il peso delle sue mani farsi più netto.


Devo appoggiare la schiena al muro per rimanere in piedi, avvelenata dalla sua vicinanza, dal quel profumo micidiale che non avevo mai avuto modo di percepire così nitidamente. I suoi occhi ardono di un fuoco che mi paralizza... ho i brividi, ma non devo cedere. Non posso dargliela vinta, in nessun modo. Torno ad essere più sicura di me. Più erotica.
 
Non sfidarmi Kaede... questo gioco lo conosco meglio di te e so essere molto più stronza di quanto credi. Sorrido lasciva e mi sollevo sulle punte, arrivando a lambirgli l’orecchio con le labbra.
 
- Cosa vuoi fare...? – sussurro, provocando l’immediata risposta del suo corpo. Artiglia i miei capelli con la mano e tira con forza la mia testa all’indietro, incastrando ancora i suoi occhi nei miei. Quell’espressione così accesa, ardente, dura... mi fa ardere di un voglia incontrollata, che cerco di frenare con tutta me stessa. Sorrido diabolica, arricciando il labbro superiore.
 
Insinuo lasciva una mano all’interno della sua camicia. Sussulta, non appena le mie dita sfiorano la sua pelle bollente, delineando le linee di una schiena perfetta. Cerca di non scomporsi, ma vuole solo sembrare più risoluto di quanto sia in realtà. Affondo le unghie nella carne, provocandogli una smorfia felina... mi sollevo ulteriormente, portando le labbra poco distanti dalle sue.
 
 
Cede subito, tentando di colmare quella distanza assassina. Con una risolutezza che non pensavo sarei stata in grado di avere, riesco a ritrarmi un’istante prima del contatto. Avverto confusione e sconcerto nella sua espressione. Sorrido compiaciuta e mi libero dalla sua stretta, allontanandomi da lui. Lo guardo gelida, sistemandomi i capelli.
 
- Sei un idiota. – riesco quasi a vederlo, il momento esatto in cui il suo muro di superbia e presunzione si incrina e si scheggia. La strafottenza che sto simulando gli fa stringere le mani in pugni tanto serrati da rendere visibili le nocche sotto il sottile strato di pelle. – Sei molto bello, ma non hai alcun effetto su di me. - concludo, uscendo dal bagno come se nulla fosse accaduto.
 
Mi allontano velocemente, raggiungendo un luogo isolato. Mi appoggio con la schiena al muro, le mani non hanno ancora smesso di tremare. Sento l’adrenalina vibrarmi nelle vene, mentre quel senso d’eccitazione mi punteggia di brividi colmi d’elettricità.
 
 
Accendo una sigaretta, aspirando avidamente. Mi stabilizzo gradualmente e l’euforia lascia lentamente il posto ad una senso di soddisfazione.
 

Stupido idiota... ti sta bene. Voglio solo vederti crollare da quel fottuto piedistallo sul quale ti sei elevato. E quando cadrai, dannato imbecille, quando le tue certezze crolleranno inesorabili una dopo l’altra, io sarò lì, e riderò... ah, eccome se riderò! Sì, crollerai Kaede, perché dovrai renderti conto a tue spese che non sei il centro dell’universo, ma solo un insignificante ed infinitesimale parte!
 
Comincio a ridere da sola, ma è una risata isterica la mia... quasi nervosa, tesa.
 
 
Eppure...
 
 
Ho il cuore che batte a mille, sembra che stia per esplodermi nel petto...
 
 

Three Weeks Later
 
 
Prima che me ne rendessi conto, erano già arrivate le vacanze invernali. Queste ultime settimane sono trascorse nell’assoluta frenesia degli esami del terzo trimestre, che ho prevalentemente passato a studiare. Esami che, tra l’altro, ho superato con il punteggio più alto della scuola. Ma anche in quel caso, l’opinione collettiva in merito ai risultati, era che io mi fossi scopata i professori. Tanto per dire.
 
 
Le vacanze di Natale, invece, le ho trascorse per conto mio, non essendo mai stata in buoni rapporti con la mia famiglia. Per i miei genitori sono solo una figlia scomoda, che ha creato loro problemi fin da quando ha iniziato a respirare. Spesso mi chiedo per quale motivo persone del genere mettano al mondo dei figli se poi non sono in grado di amarli, di saperli indirizzare, di dar loro l’affetto necessario per crescere, almeno con una parvenza di felicità.
 
Non riesco a ricordare neanche un gesto affettuoso da parte loro, sempre troppo impegnati a litigare, troppo impegnati col lavoro, con gli amici, con i rispettivi amanti... troppo impegnati con tutto, tranne che con me. Le voci che incessanti girano sul mio conto so perfettamente essere arrivate anche a loro, eppure non hanno mai battuto ciglio... per loro ero e continuo ad essere una causa persa, immeritevole delle loro attenzioni e del loro affetto.
 
Ma a me va bene così. A differenza di molti, considero la solitudine una condizione confortevole... quasi essenziale.
 
 
Sbadiglio con molta poca classe, allungando le braccia per stiracchiarmi. Stanotte ho passato Capodanno con Faye e delle vecchie conoscenze del Ryonan, nella baita di un tizio della mia classe. Sono ancora ubriaca da ieri, peraltro. Ricordo che c’era anche Sendo.
 
 
Siamo riusciti a ristabilire una parvenza di rapporto solo di recente, dopo mesi di totale silenzio. Per quanto lui giuri di non avercela più con me, di non portarmi rancore, so che in realtà non mi ha mai perdonata. D’altronde, a parti inverse, non l’avrei fatto nemmeno io.
 
Quando ero al Ryonan, era l’unico amico che avevo ed avevamo un rapporto quasi fraterno. Non avevo amici e non stavo simpatica a nessuno, lui invece vedeva in me una sorellina da salvare. Era il fratello che non avevo mai avuto e nonostante l’abbia continuamente negato, Akira ha sempre voluto proteggermi... dalla diffidenza della gente e soprattutto da me stessa. Lo ricordo ancora adesso, il momento esatto in cui il nostro rapporto si è spezzato.
 
 
Durante gli ultimi mesi al Ryonan ho avuto una relazione clandestina col mio supplente d’inglese, un ragazzo di 26 anni, sposato e con un figlio piccolo.
Akira non mi ha perdonata, perché l’ho sempre tenuto all’oscuro di tutto. Non mi ha perdonata, perché lo ha scoperto quando la notizia era già diventata scandalo. Non mi ha perdonata, perché si è sentito tradito. Non si è perdonato, perché in quell’occasione non è riuscito a... a salvarmi.
 
La storia diventò subito scandalo e fece il giro della prefettura. Lui, Naoki, venne radiato e cacciato, ed io costretta a lasciare la scuola.
 
 
Da quel giorno, non ho più avuto modo di parlare con Akira. Sebbene mi sentissi in colpa e mi mancasse, sapevo bene che qualunque confronto sarebbe stato inutile, qualsiasi parola non sarebbe servita, perché lui aveva cercato in tutti i modi di portarmi su una strada diversa, ma io sono sempre rimasta ancorata alla mia.
 
Diceva che ero come un gatto selvatico, senza regole e senza padroni. Ed è vero. Ho sempre seguito il mio istinto senza nessuna inibizione, libera da ogni pregiudizio e consapevole di ogni mezzo di cui dispongo. Odio relazioni e legami che implichino compromessi, non sopporto l’idea di appartenere a qualcuno e non tollero alcun tipo di imposizione che possa in qualche modo intralciare la mia libertà.
 
Sono tremendamente egoista, saccente, cattiva, capricciosa, arrogante, stronza, cinica, velenosa, irriverente, sacrilega, maligna...
 
E sì, troia.
 
Troia perché non mi sono mai neanche lontanamente rispecchiata nel classico stereotipo femminile, mi sono sempre tenuta a debita distanza da quella raccapricciante mentalità basata sul nulla. Non mi è mai importato niente dei giudizi della gente: le loro accuse, i loro insulti, il loro disgusto mi scivolano bellamente addosso, dandomi ancor più coscienza di me. E se avere un tale livello di consapevolezza significa essere troia, allora sì: sono la più grande troia mai vista.
 
 
 
 
Sbadiglio di nuovo, mentre percorro indolente il lungo viale che attraversa il parco, delineato da alberi spogli e lampioni che baluginano tremolanti. Mi lascio cadere sulla prima panchina in ferro battuto e perdo lo sguardo verso il cielo, coperto da una fitta coltre di nubi bianche opalescenti. C’è odore di neve nell’aria...
 
Fa un freddo cane e l’abito striminzito che ho indossato stamattina di certo non mi scalda come vorrei. È un tubino nero molto particolare, senza spalline e con un succinto scollo a cuore. Le autoreggenti sono troppo leggere e le décolleté tacco 13 mi stanno distruggendo i piedi. Perlomeno il trench nero è abbastanza caldo da non farmi morire di freddo.
 
 
Mi arriva un messaggio di Hikari, in vacanza a New York.
 
«Ciao Mayu, auguri! Mi raccomando divertiti, non bere troppo e fa gli auguri a Kaede, oggi è il suo compleanno. Non vedo l’ora di rivederti, mi manchi da morire...» e non ha idea di quanto manchi lei a me... sorrido e le invio la risposta.
 
 
Il compleanno di Rukawa.
 
 
Chissà come se la starà passando, quell’idiota. Senza averne pienamente coscienza, scorro la rubrica fino a soffermarmi sul suo numero, salvato sotto la voce “Coglione”. Sospiro, fissando con insistenza il display retina, come se mi aspettassi di vederci comparire chissà quale esserino.
 
Distolgo lo sguardo infastidita, ma in quello stesso istante la notifica di un messaggio illumina lo schermo. Spalanco gli occhi, mentre i caratteri di quel kanji baluginano decisi e le mani riprendono nuovamente a tremare.
 
«Raggiungimi.»
 
Sbatto le palpebre più volte, finché non sono abbastanza sicura che quel messaggio non sia uno scherzo dei miei disturbi mentali. Spinta da un’inspiegabile curiosità, decido di rispondere, inconsapevole di aver appena dato il via ad una delle conversazioni più assurde che abbia mai intrapreso...
 
 
« Stupido imbecille, perché mai dovrei raggiungerti?»
« Fallo e basta.»
« Scordatelo, fuori si gela!»
« Muovi il culo.»
« E dove, sentiamo!?»
« A scuola. Spicciati.»
« Non darmi ordini, idiota! » pausa forzata «Dammi mezz’ora.»
 
 
La conversazione più illogica della storia. La rileggo più volte, sconvolta, chiedendomi come sia riuscito a convincermi, non scrivendo fondamentalmente un cazzo di sensato. Ma come diavolo ci riesce? Deglutisco aria, provando un fastidioso formicolio alla bocca dello stomaco. È una richiesta singolare la sua, che provoca in me un’insolita percezione di eccitazione misto ad ansia.
 
So bene che non dovrei andare, eppure......
 
 
 
 
 
Arrivo davanti scuola, imprecando neanche tanto sommessamente. Lo trovo appoggiato al muro di cinta, braccia incrociate e testa bassa. Mi avvicino in silenzio e gli picchietto con vigore un dito sullo zigomo.
 
- Svegliati. - gracchio e l’idiota si sveglia di soprassalto, provocandomi un principio d’infarto. Alza la testa e sbatte le ciglia, come se mi vedesse ora per la prima volta.
- Vuoi smetterla di piantarmi le dita in faccia? – ignoro le sue lagne e sorrido suadente.
- Che faccia... sembri appena uscito da Woodstock. – ridacchio divertita, ma lui sembra sfasato e si limita a guardarmi storto. – Come mai quest’insolita iniziativa? - chiedo seria. Si limita a scrollare le spalle e percepisco subito che oggi c’è qualcosa che stona, in lui. - Se mi hai fatto venire fin qui spero che quantomeno tu abbia un motivo. – sbotto, stringendomi nelle braccia. - Maledizione... sto congelando! -
- E ti stupisci? Guarda come sei vestita... – allude interdetto, squadrandomi da testa a piedi.
- D’improvviso sei diventato loquace, volpastro? -
- Tz... -
 
 
Il suo sguardo è strano, non è il solito di sempre. Non è freddo, né provocante. Oggi ha un’intensità diversa. Magnetica ed inquietante, eppure piena di contraddizioni. Quegli occhi sembrano plagiarmi... il blu pastoso delle iridi, le ciglia nere che li contornano, la luce intensa che li illumina. L’ombra della frangia corvina che li rende più profondi e intorno la pelle diafana, l'espressione truce ed altera.
 
 
Con un cenno della testa mi invita a seguirlo, entriamo da un cancelletto laterale e percorriamo il lungo cortile della scuola. Mi stringo nel trench che non mi scalda abbastanza e impreco senza un particolare motivo.
 
- Razza di rincoglionito, è tutto chiuso! – prorompo acida.
- Lo vedo, non sono idiota. -
- Oh guarda, su questo permettimi di dissentire! -
 
Raggiungiamo l’ingresso della palestra che, peraltro, è blindato da un lucchetto di dimensioni titaniche. Lui guarda prima me, poi la porta... solleva un sopracciglio perplesso e con la solita espressione da spugna di mare si gratta la testa corvina. Mi trattengo dal fracassargli ferocemente la faccia contro il muro e lui, che deve aver tirato su parecchia droga stamattina, continua a guardarsi intorno con un’espressione da pesce palla.
 
- Altre idee brillanti, genio!? - sottolineo e lui risponde con una serie di incomprensibili mugugni. Dopo alcuni istanti di riflessione, si avvicina e comincia a fissarmi i capelli senza un’apparente motivo. - Che c’è? – sbotto infine.
- Dammi una forcina. - e con la delicatezza di un elefante me ne strappa una dalla testa, portandosi dietro anche un’inaccettabile quantità di capelli.
- Ma che modi, sei un buzzurro! - ruggisco, massaggiandomi la testa. Non si degna neanche di ascoltarmi e continua a trafficare con quell’aggeggio infernale.
- Pensi davvero di riuscirci, con quel microcervello che ti ritrovi? -
- Sta zitta. – asserisce, rimediando un’occhiataccia.
 
Contro ogni mia aspettativa, l’imbecille primordiale dalla dubbia materia cerebrale, riesce a forzare il lucchetto e finalmente riusciamo ad entrare. Tuttavia, all’interno, sembra essersi appena conclusa la terza guerra mondiale.
 
- Cos’è successo qui dentro? - chiedo, notando scatoloni accatastati ovunque, banchi, sedie, materassi ed altri assurdi e non identificati oggetti di dubbia provenienza.
- Sistemano per l’ultimo trimestre. – biascica, sbirciando in uno scatolone contenente coperte e materiali per l’infermeria.
- È un fottuto campo minato... non ci metto piede neanche morta. - decido saggiamente di non addentrarmi in quell’inferno mortale, a differenza dell’idiota che ci si fionda di gran carriera e già pregusto una sua morte prematura.
 
Fuori è già buio e i flebili bagliori dei lampioni illuminano i cortili di una luce pallida, diafana.
 
 
Nel frattempo, Kaede si fa largo in quell’infernale labirinto di morte tra ringhi ed abbondanti maledizioni, riuscendo infine ad accendere luci e riscaldamenti. Torna indietro, incazzato nero e devo quasi simulare un broncospasmo quando l’imbecille va a sfondarsi il piede contro lo spigolo di uno scatolone, tirando giù una serie di bestemmie di una creatività mai sentita. Ovviamente comincio a rivoltarmi dalle risate, mentre il poveraccio si abbandona dolorante sulla panca di un bilanciere, fulminandomi con uno sguardo di morte.
 
- La smetti di ridere? – sbotta, infastidito dai miei latrati degni di una iena morente. Comincio a singhiozzare, piangendo dalle risate, mentre lui rotea gli occhi al cielo con la netta intenzione di fulminarmi all’istante. - Le persone che ridono da sole sono pazze. - grugnisce acido. Rido tanto da rischiare la morte, poi finalmente riesco a respirare di nuovo normalmente.
- Mi stai per caso insultando? - annuisce e gli mostro il medio con molta classe. Mugugna qualcosa che interpreto come un - Idiota - e si lascia cadere all’indietro, distendendosi di schiena sulla panca nera. – Che diavolo volpe, non ti reggi in piedi! –
- Ormai è diventato noioso persino risponderti... – borbotta infine.
 
 
Lo osservo assorta, mordendomi il labbro inferiore... quella posizione di resa, scatena in me inequivocabili reazioni. E' come un fuoco che arde, fiamme cremisi che bruciano e lambiscono ogni parte del mio corpo, inquinando ogni pensiero. È un misto di eccitazione, impazienza ed euforia. Quella che mi colpisce all’improvviso, è una voglia di lui che non riesco a controllare...
 
 
Scuoto la testa in modo quasi ridicolo, prendo un respiro e distolgo lo sguardo verso l’esterno. Oh...
 
- Nevica... guarda volpe, sta nevicando! - squittisco, osservando i candidi fiocchi di neve danzare come eterei cristalli. Disturbato dal fragore, si solleva sui gomiti e rivolge una rapida occhiata all’esterno.
- Hn. - asseconda il mio invito per un istante, ritornando a sdraiarsi subito dopo, senza aggiungere una parola.
- Che impeto, dovessi emozionarti troppo... – blatero rassegnata, tornando a guardare fuori.
 
 
 
Socchiudo gli occhi e mi soffermo ad inalare l'odore vivo della neve che cade. Sospiro, sospesa tra ricordi ormai sbiaditi che sembrano lontani anni luce, mentre quella magnifica pioggia di cristalli si posa sui tetti delle case, sugli alberi che delimitano il cortile antistante, sulle panchine, sui lampioni...
 
Non mi accorgo nemmeno che mi ha raggiunta. Sbatto le palpebre più volte e lui, appoggiato allo stipite della porta, sospira per la prima volta.
 
- Non mi piace la neve. - la sua voce è strana e quello sguardo, oggi, sembra più irrequieto del solito.
- A te non piace un cazzo, volpe. – ribatto saccente, rivolgendogli una rapida occhiata. - Ho sentito che oggi è il tuo compleanno. – chiedo infine.
- Hn. -
- Ma si può sapere che diavolo hai? Mi fai venire fin qui e poi te ne stai lì a lamentarti per ogni cosa? Possibile che tu non abbia di meglio da fare? - sbotto, forse in tono eccessivamente aggressivo.
 
Non batte ciglio. Resta immobile, impassibile, come se la mia affermazione gli fosse letteralmente scivolata addosso.
 
- Non mi andava di fare altro. – la sua voce non ha tono e i suoi occhi, fissi avanti a se, sembrano guardare tutto e niente.
- Mi dici una cosa, Rukawa? -
- Kaede. - mormora e non gli chiedo nemmeno perché mi permetta di chiamarlo per nome.
- Per quale motivo mi hai fatto venire? – il mio tono, ora, è meno duro.
- Non avevo voglia di stare a casa. – e per la prima volta, nella sua voce, c’è qualcosa che non riesco a cogliere. Lui, che non ha mai lasciato trapelare alcuna emozione, stavolta lascia percepire una nota stonata, incrinata da una singolare tensione, nella solita sinfonia dura e monotona della sua voce.
 
 
Comincio a provare una strana tensione... agitazione forse, che non mi fa stare tranquilla. Per niente.
 
- Perché hai chiamato me? - ho un brutto presentimento. Nei sui occhi comincia a brillare una luce che non gli ho mai visto prima....
 
Cos’hai in mente, Kaede....?

- Voglio capire che intenzioni hai. -
 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
 
Eccomi qui, in ritardo di una settimana, maledizione! Questo capitolo è il preludio del prossimo, incentrato anch’esso unicamente su Kaede e Mayu - dal quarto prometto che ci sarà finalmente spazio anche per gli altri =) - Dal prossimo il raiting si alza, per ora mi mantengo sull’arancione, vedrò poi se mantenerlo o alzarlo.

Ringrazio come sempre l’adorabile Ice_DP per aver recensito - apprezzo moltissimo i tuoi pareri e sono lusingata, non ho avuto molto tempo in questi giorni e mi dispiace non aver risposto al tuo commento, ma prometto che lo farò appena mi sarò disincastrata dalla mole industriale di impegni di lavoro e famiglia. Ringrazio naturalmente anche i letteri silenziosi e coloro che hanno inserito la storia tra le seguite ed i preferiti. Vi ringrazio davvero molto =)

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Capitolo 4
*** La risolutezza di Kaede ***


Capitolo 3
La risolutezza di Kaede
 
 
 
 
 
Le sue parole sono frammenti senza tono, lettere messe insieme e tenute da un filo apparentemente logico. Ma non c’è alcuna emozione nella sua voce. Avere a che fare con le sue parole non dette e i suoi silenzi assordanti provoca in me un insopportabile percezione di fastidio misto ad ansia.


 
- Smettila di dire stronzate, volpe! Si può sapere che intenzioni hai? – non risponde. Scrolla le spalle con la solita espressione irritante e si poggia meglio con la schiena contro la porta – Parla dannazione, che diavolo vuoi da me? – sbotto nervosa. Nessuna risposta. Ripiega appena la testa su una spalla e mi guarda in un modo che mi fa rabbrividire...
- Per quanto ancora hai intenzione di fare finta di niente? – biascica infine, gelido come il ghiaccio. Lo guardo confusa, non essendo nemmeno sicura di quale sia il filo della conversazione.
- Di che diavolo stai parlando? – prorompo, infastidita dai suoi stupidi giri di parole.
- Tu sei attratta da me, Mayu. – in quello stesso istante, sento il sangue gelarsi nelle vene.
- Scusa? – chiedo incredula. – Assurdo... ma credi davvero di avere il mondo ai piedi, borioso egocentrico? Sei così pieno di te da essere quasi ridicolo... – sibilo, sorridendo tesa.
- Ti sbagli. Ti credevo più astuta ed è per questo che ti ho lasciata fare. –
- Ma che stai dicendo, imbecille? –
- Mayu, a me non frega un cazzo di piacere o meno alla gente, ficcatelo bene in testa. Non ho mai pensato di avere il mondo ai miei piedi e non sono così idiota da pretenderlo. Tutto quello che faccio è per un tornaconto puramente personale, l’approvazione o l’ammirazione degli altri non mi è mai servita e mai mi servirà. Ho raggiunto un tale livello di consapevolezza che queste puttanate di cui mi accusi non mi sfiorano nemmeno lontanamente. – discorso lungo, complesso. Continuo a seguire il filo logico delle sue parole, mentre sgradite fitte mi colpiscono lo stomaco. Devo avere un’ulcera nervosa, non c’è altra spiegazione. – Sentiamo... cosa pensi mi aspettassi chiedendoti di venire? –
- Probabilmente farmi perdere tempo... – mi sta mettendo con le spalle al muro. Per la prima volta, ho la netta sensazione di essere in difficoltà.
- Allora perché sei venuta. –
- Non devo darti nessuna spiegazione. Mi hai chiesto tu di venire e se sono qui, Kaede, è solo per noia. – sibilo, in tono volutamente irritante.
- Stronzate. –
- Ma per te è così difficile accettare di non essere il centro dei miei pensieri? Non ho il minimo interesse per te e se erroneamente ti sei convinto del contrario, stupido imbecille, allora stai solo negando l’evidenza! – lo sguardo che lo colpisce è veleno letale, eppure non ne sembra minimamente toccato.
- L’evidenza... – ripete quasi sussurrando e cominciano a tremarmi le ginocchia. – L’evidenza, Mayu, è che tu mi vuoi. –
- Stai delirando... – comincio a ridere, tornando a sedermi su uno scatolone. Ma la mia è una risata isterica, puramente nervosa.
- Allora dimmelo. – la sua voce è ferma ed incalzante. Avanza deciso, col solito passo felino e quella disinvoltura profondamente irritante.
- Non sono affatto attratta da te, psicopatico! – insorgo, ma un leggerissimo tremito si percepisce dalla mia voce.
 
 
Finalmente mi raggiunge e mi trovo a fissare la cerniera dei suoi jeans, a pochi centimetri dal mio viso. Una vertigine mi colpisce lo stomaco, simile a quella che ti provoca una caduta nel vuoto... e l’inquietudine che mi coglie non dovrebbe avere ragione di esistere. È profonda, infantile, irrazionale.
 
Mi sfila la sigaretta dalle labbra e lentamente si china in avanti, senza mutare espressione, arrivando a guardarmi dritto negli occhi. Qualcosa nel suo sguardo cambia... come se una scintilla più chiara lo attraversasse, rendendolo acceso e pericoloso.
 
- Dimostramelo. – mormora risoluto e mi sembra di andare in apnea. Perché Kaede ha uno sguardo che annebbia e confonde, se ci si ferma a guardarlo troppo a lungo. Si rischia di non dormirci notti intere, con la moviola di quegli occhi che trapassano. Cerco di distogliere lo sguardo, ancorandolo all'immagine molto meno pericolosa della neve dietro di lui. Una scappatoia ingenua, mentre il suo profumo si insinua, suadente, in ogni particella d'aria che respiro.
- Dimostrati cosa? – sibilo irrequieta.
- Che non ho alcun effetto su di te. –
 
 
Sento il cuore battere frenetico, il respiro veloce come a seguito di un’estenuante corsa. Trattengo il respiro, cercando di non tremare e ci ritroviamo di nuovo l’uno nell’altra, scavandoci dentro con smania crescente. Socchiudo gli occhi assorta e sollevo una mano sul suo viso. Con le dita percorro la linea delle labbra, lambendole quasi con reverenza.
 
Il suo sguardo mi logora.
 
 
Incapace di controllarmi, annullo la distanza che mi divide dalle sue labbra... in quel preciso istante, qualcosa in me si spacca e si libera. Tremo e sento i nervi incendiarsi di inquietudine e desiderio.
 
 
Io lo voglio.
 
Lo voglio con tutta me stessa.
 
 
Si ritrae, indietreggiando appena. Il suo sguardo ardente mi trapassa ed un ghigno beffardo modella quelle labbra perfettamente disegnate. Recupera la sua altezza e torna a torreggiare su di me.


Sono pietrificata, il cuore batte così forte che sembra scoppiarmi nel petto. È impossibile.... non può essere. Tutto sembra improvvisamente trovare un senso. Mi ero accorta subito che Kaede mi guardava in modo diverso, che il suo sguardo mi agitava qualcosa dentro, provocandomi strani turbamenti. Quella percezione netta che mi prendeva allo stomaco e mi turbava ogni volta che ero con lui.... i silenzi, tra di noi, hanno sempre avuto un sapore diverso...
 
La sua mano si chiude violenta sul mio avambraccio e mi costringe a sollevarmi. Non riesco ad opporre resistenza, ammutolita dal suo impeto e sconcertata dai miei stessi pensieri. Fissa i miei occhi spalancati per la sorpresa e mi stringe con forza il viso tra le dita.
 
Brevi istanti sospesi, che sembrano durare dieci vite mortali... e in quel momento di irreale silenzio, Kaede mi spinge violentemente contro di se e mi bacia ferocemente, affondando le labbra nelle mie. Pianto le unghie nelle sue braccia, vorrei resistergli ma è vistosamente più forte di me. Cerco di divincolarmi, ma la parte irragionevole di me rimane ancorata a lui con tutta se stessa, rifiutando qualunque resistenza....
 
 
Allaccio le braccia intorno al suo collo e aderisco ulteriormente al suo corpo, annullando ogni distanza.
 
 
Incandescente, osceno, avido, indecente.
 
 
Eppure non ne sono meravigliata. La premessa di questo bacio non è nata qui, non è nata ora. È nata la prima volta che l’ho incontrato in cortile, dove io avevo smesso di essere la stronza e risoluta ragazza dalla pessima reputazione e lui il pupillo della scuola, l’astro nascente del Basket nazionale.
 
 
Ho l’affanno, eppure non ho corso. Oltre la sfocata patina opalescente che annebbia la vista, il suo viso riprende lentamente forma. Si ritrae, recuperando la sua altezza e mi guarda dall’alto in basso, come fa sempre. Quello sguardo superbo e tracotante... il suo solito sguardo.
 
 
Una fastidiosa percezione di impotenza mi opprime, provocando l’inevitabile reazione nervosa del mio corpo. Serro le mani così forte da farmi male, sento il sangue pulsare violento nelle vene mentre quell’innegabile consapevolezza si insinua in ogni centimetro di me, rimbombando assordante nel silenzio delle mie orecchie. Sono crollata, tra le sue mani, come un castello di sabbia.
 
Ed ora infierirai, Kaede, perché hai tutte le ragioni per farlo.
 
- Avevo ragione. – sussurra, sfiorandosi le labbra. Ma contro ogni mia aspettativa il suo tono non è sprezzante, non è cattivo. Non infierisce, come invece avrei fatto io a parti inverse... ma lui è molto più forte e risoluto di me. Mi oltrepassa e senza voltarsi si allontana.
 
 
Ho il respiro corto, le mani tremano e la rabbia che comincia a scorrermi nel sangue è qualcosa di vivo, che cresce repentinamente. Lo raggiungo furente e lo strattono per un braccio, obbligandolo a voltarsi per guardarmi negli occhi.
 
- Perché non infierisci, bastardo, tanto lo so che non aspetti altro! - non mi rendo neanche conto di urlare. Non dice una parola, si limita a trafiggermi con quello sguardo gelido, alimentando ulteriormente la rabbia crescente. - Che diavolo vuoi dimostrare, eh? – urlo furiosa, serrando di nuovo i pugni.
- Che tu mi vuoi, stupida. – interviene granitico. – Esattamente come io voglio te. – deglutisco aria, cercando di non tremare.
 
 
Rimango per un tempo indefinito con le sue parole che stridono nel cervello, come un martellante brusio nelle orecchie. Seguo sconcertata la sua figura schivare gli ostacoli e lasciarsi cadere su uno di quei grandi materassi per il salto in alto.
 
Ma che... che diavolo sta succedendo? Potevo aspettarmelo da chiunque... chiunque. Ma non lui. Non si sarebbe mai esposto così, se non avesse saputo di poterlo fare.
 
 
Il ticchettio dei miei tacchi stride sul parquet, riecheggiando metallico per tutta la palestra... ho cercato di resistere, ma ora le mie gambe sembrano muoversi autonomamente, rifiutando qualsiasi esitazione. So bene a cosa sto andando incontro. È solo questione di tempo e quell’attesa spasmodica, quell’ansia mista ad eccitazione, mi provoca una spaccatura nel petto che sanguina senza sosta e che solo lui può ricucire.
 
Lo fisso con sguardo vacuo, quasi ottuso, ascoltando inerme l’accelerare graduale del mio cuore.
 
 
Sposta il braccio dal viso e si puntella sui gomiti, ricambiando il mio sguardo. Ma stavolta non riesco a cogliere nulla dai suoi occhi chiari. Si leva a sedere sul bordo del materasso, puntando i gomiti sulle ginocchia. Fisso assente la sua testa corvina, ferma a pochi centimetri dal mio ventre.
 
- Kaede. – mormoro e lui solleva la testa. Non dico nulla per un tempo indefinito e mi scuoto solo quando lo sento poggiare la fronte sul il mio ventre. - Voglio solo togliermi lo sfizio... – sussurro, ma si percepisce una chiara nota stonata nella solita sinfonia decisa e risoluta della mia voce, che suona quasi come una velata ammissione.
 
Un leggero sussulto lo scuote, un ghigno appena percettibile. Le sue dita percorrono lente la linea tornita del mio fianco e salgono, fino a raggiungere i bottoni circolari del trench, troppo sottile per allontanarci l’uno dall’altra, troppo spesso nel dividermi da lui. Li apre senza difficoltà, uno... dopo... l’altro.
 
 
Vorrei fermarlo e trovare la forza di allontanarlo. Ci provo, ma i miei neuroni sembrano essersi lanciati in un clamoroso ammutinamento. La sua mano raggiunge la giuntura dei miei seni turgidi, aggrappandosi con forza al bordo del vestito...
 
Sta per succedere... l’intensità e l’attesa che precedono il contatto tessono la realtà di impazienza e trepidazione. Ma Kaede non muoverà un dito finché non avrà da me la confessione che cerca.
 
- Dimmelo. – chiede ancora, in tono deciso, ma non cattivo. Nei suoi occhi brilla un fuoco devastante, fiamme cremisi che ardono impazienti.
- Ti voglio, Kaede. – ed ora non si torna più indietro.
 
Con un rapido scatto si alza, attirandomi a se con impeto e mi bacia con forza. L’inquietudine di pochi attimi fa sparisce in un istante, lasciando il posto ad un crescente stato di eccitazione e frenesia, di perversione e desiderio.
 
 
Si insinua nella mia bocca con estrema naturalezza, come se lo facesse da una vita. Affonda le mani tra i miei capelli e mi aggrappo con forza ai suoi fianchi, stringendo tra le dita il bordo dei suoi jeans. I nostri respiri crescono frenetici, fondendosi fino a diventare uno.
 
Nonostante l’impedimento dei jeans, riesco a sentire chiaramente la sua eccitazione premermi sul ventre, così come posso distintamente avvertire il suo desiderio, ardente ed avvolgente, che spazza via ogni inibizione. Sfioro con la mano la sua erezione e ghigno, arricciando le labbra come un animale ferito. Mi guarda scendere pericolosamente verso il basso ed intuisce all’istante cosa sto per fargli. Lo sento irrigidirsi, mentre sbottono i jeans e abbasso la cerniera, ma si lascia andare non appena insinuo una mano e la mia bocca non trova più ostacoli......
 
Non posso che compiacermi e sorprendermi per le impressionanti dimensioni.
 
La mia lingua scivola lenta, partendo dalla base e percorrendone la notevole lunghezza, fino ad arrivare al glande, che lascio scivolare in bocca, chiudendolo tra le labbra, che si muovono avide. Spendo circa un microsecondo per pensare al disastro epocale che si scatenerebbe qui dentro se qualcuno entrasse in questo esatto momento... ma fondamentalmente non me ne frega un cazzo e mi abbandono alla frenesia più devastante quando lo sento fremere e vibrare, mentre esploro il suo membro eretto con smania crescente e non smetto di fissarlo nemmeno per un istante.
 
Arriccia le labbra in una smorfia, ansimando freneticamente...
 
- Fermati o... mi fai... – ricambio il suo sguardo con un ghigno e lo libero da quella delirante tortura.
- Venire? – finisco per lui, riacquisendo pienamente la mia risolutezza. Mi sollevo languida e avanzo, costringendolo ad indietreggiare.
 
Protendo le mani sul suo petto e, applicando una lieve pressione, lo spingo all’indietro, lasciandolo ricadere sul materasso alle sue spalle. In piedi, di fronte a lui, sbatto le ciglia con finta innocenza. Mi guarda trepidante mentre insinua le mani sotto la gonna e sfila gli slip, lasciandoli scivolare sul parquet lucido. Mi lascia accomodare su di lui, eccitato dalla prospettiva di dare finalmente sfogo alle sue fantasie più intime e perverse.
 
 
Le sue mani scivolano scaltre fino a raggiungere la scollatura, cala la parte superiore del vestito e scopre i miei seni gonfi, stringendoli tra le mani. Le sue dita affondano in essi, finché anche la lingua scende a leccare e mordicchiare i capezzoli, che diventano più turgidi ad ogni suo tocco. Sento la sua erezione pulsare insistentemente; afferro i bordi della sua maglia e la sfilo insieme al maglione con impeto, prima di bloccarmi a fissarlo, ormai a cavalcioni su di lui.
 
Guardo quegli occhi annacquati, i capelli arruffati, le labbra socchiuse e per la prima volta riscontro in lui una vulnerabilità quasi terrena, una percezione di normalità in quel ragazzo sempre composto. Un’immagine finalmente sciolta, che per un attimo sfugge al rigido controllo che ha sempre imposto a se stesso.
 
- Sei più normale di quanto sembri, volpastro... – gli faccio notare con una certa malizia, mischiata però a qualcosa di stranamente indefinito. Il mio tono è talmente poco convincente che nemmeno lui sembra voler ribattere. Almeno per i primi 2 secondi.
- Idiota. – biascica, non sortendo probabilmente l’effetto che immaginava. Anche la sua voce è diversa... più bassa, più erotica. I suoi sospiri hanno un suono così profondo da farmi avere le vertigini. Un ghigno piuttosto ampio disegna le mie labbra e riprendo a baciarlo di nuovo.....
 
 
Le mie labbra scivolano su di lui, lasciando umidi solchi su quella pelle diafana... le dita scorrono lente tra le linee di un corpo che rasenta la perfezione, tracciando sentieri roventi sulla pelle bollente. Divarico ulteriormente le gambe e conduco la sua mano sotto la gonna. Lascia scorrere impaziente un dito tra le mie labbra più intime, stimolando poi il clitoride. Sto odiando con tutta me stessa i vestiti che abbiamo ancora addosso...
 
 
- Non sono per niente tenero, ti avverto. – sussurra, mordendomi il labbro inferiore.
- Non mi sembra di averti chiesto di esserlo, idiota... – soffoco un gemito e assecondo il movimento della sua mano.
- ... dai Mayu... – esorta impaziente, in tono dannatamente sensuale. La voglia di torturarlo è ancora forte, ma anche io ormai sono al limite.
 
Decido di atrofizzare per un attimo gli istinti sadici e lo faccio mio senza tante cerimonie. Afferro la sua erezione, conducendola dentro di me... una vertigine mi toglie il respiro, mentre lui soffoca a stento un gemito. Lo guardo negl’occhi, muovendomi, su di lui, con ingannevole e spudorata innocenza. Sento la sua erezione farsi strada dentro di me, a fondo.... sempre più a fondo. Mi artiglia il viso con la mano e lecco vogliosa le sue dita che torturano le mia labbra.
 
 
Si distende all’indietro e lo cavalco selvatica, simulando un’innocenza che non mi è propriamente identificativa ma che so perfettamente quanto lo faccia impazzire. Mi protendo su di lui e i miei capelli spiovono in avanti, lambendo il suo viso. Sfiorano eterei quella pelle chiara e si mescolano ai suoi, in un intenso e suggestivo contrasto. Nero d’ebano e rosso sangue.
 
Socchiude gli occhi, intrecciando le dita tra i miei capelli e scosta una ciocca rossa dal mio viso, spostandola dietro l’orecchio con una dolcezza che mi sconcerta. Non so perché, ma quel gesto apparentemente privo di significato mi toglie il respiro e mi sembra di annegare, nel devastante calore che emana. Ma dura il tempo di un istante, perché il suo sguardo si accende di nuovo di quella luce perversa.
 
 
- Tocca a me adesso. – mormora ansante, prima di afferrarmi per i fianchi ed invertire i ruoli, bloccandomi fra se ed il materasso.
 
Punta le mani ai lati del mio viso, facendo perno sulle braccia e mi incanto per un attimo sui muscoli tesi e contratti. Mi guarda in un modo che mi fa diventare matta... e dopo alcuni istanti sospesi, mi penetra con un’unica, forte spinta. Vorrei urlare, cosa che ovviamente preferisco non fare, giusto per non dargli soddisfazioni e, soprattutto, per preservare quel briciolo di dignità che mi è rimasta.
 
Si muove con forza dentro di me, aumenta il ritmo e comincia a spingere sempre più forte.... sempre più in profondità, aggrappandosi con una mano al mio fianco, penetrandomi con talmente tanta foga da farmi quasi urlare. Le sue labbra divorano le mie e scivolano avide lungo il collo, sui seni, fino a chiudersi sulla clavicola. Serro gli occhi, tormentata da brividi che si espandono su tutto il corpo, in qualsiasi punto l’idiota tocchi con quelle dannate labbra. Mi inarco piano, ma è un movimento spontaneo, quasi un riflesso incondizionato, perché il mio cervello è scollegato e viaggia lontano, perdendosi in pensieri sconnessi e confusi.
 
 
È uno spazio che non ha più né consistenza e né tempo...
 
Secondi, minuti ed ore infinite... il tempo si ferma e annega in quegli occhi che mi guardano languidi, plasmando un nuovo concetto di spazio.
 
 
Kaede ha degli occhi perfetti. Nel colore, nella forma, nel taglio, nella loro capacità di intensificare lo sguardo. Blu come il mare profondo, intensi e devastanti. Occhi che vorrei avere sempre addosso. Quando passano sulla mia pelle nuda, sul collo, sul seno o sui fianchi, è come se bruciassero. Ma non fanno male... e ci sono volte, come ora, che mi sembra di annegare, in quello specchio profondo.
 
È una sensazione che mi provoca vertigini allo stomaco, ma ne sono tanto intimorita quanto inebriata, perché Kaede è talmente “tutto” da farmi credere che sia valsa la pena essere arrivata fino a questo punto solo per poterlo guardare negli occhi, per sentire sulla pelle il suo profumo. Vorrei che questo momento durasse giorni, mesi, secoli anche, perché non ho mai conosciuto nessuno capace di guardarmi come guarda Kaede, di baciarmi come bacia Kaede, di leccarmi come lecca Kaede... di succhiarmi senza volerlo razionalità e linfa vitale dalle vene, come fa Kaede.
 
 
Aumenta ancora il ritmo e non riesco a sentire nient’altro che i suoi gemiti riempirmi il cervello, mentre il calore devastante che emana mi travolge fin dentro le ossa. La potente frenesia raggiunge il culmine e smetto di respirare, mentre affondo le unghie nella sua schiena, lacerandone la carne. Si protende violentemente in avanti, su di me, affondando il viso nell’incavo della mia spalla, il respiro frammentario e frenetico. Lo sento irrigidirsi di colpo e serrare i denti, stringendomi i capelli fra le mani come fossero un appiglio vitale... ogni barriera crolla inesorabile.
 
Gli sollevo la testa con forza, annegando in quegli occhi spaventosamente accesi. È un amplesso dalla potenza devastante... è una tela nera che mi avvolge, mi stringe, si avviluppa al mio respiro, fondendosi con la mia intera esistenza. I nostri respiri diventano uno e tutto intorno a noi cessa di esistere. Moriamo l’uno dentro l’altra infinite volte, finché Kaede esce da me, liberandosi altrove. Crolla stremato, ansimando frenetico, lievi sussulti ancora lo scuotono.
 
 
 
Devastata da quell’amplesso micidiale, cerco di placare l’euforia... i nostri respiri si confondono e cercano frenetici una parvenza di normalità. Lui sospira spossato e solleva la testa. Le sue pupille, annacquate e sfinite, brillano di una luce tagliente, che sembra venire da luoghi nascosti del suo inconscio. Ma non riesco a sostenerlo, ora, quello sguardo.
 
Lo allontano da me e si lascia cadere al mio fianco, ancora ansante. Gli volto le spalle e mi distendo su un lato, raggomitolandomi come un gatto infreddolito. Non riesco a smettere di tremare, eppure non sento freddo.
 
 
Immersa in un indefinito stato mentale, sento la sua mano bollente posarsi sul mio fianco... un contatto tenue ma denso di calore.
 
- Hai freddo? – domanda atono.
- No. – sussurro gelida. Non aggiunge altro e in quello stesso istante si ritrae e si alza. Con la coda dell’occhio lo guardo riallacciarsi i jeans, passandosi entrambe le mani tra i capelli scomposti. Osservo la sua schiena perfetta, i segni delle mie unghie hanno lasciato evidenti solchi rossastri, in netto contrasto con quella pelle diafana.
 
Finalmente si riveste e distolgo lo sguardo, mentre il rumore dei suoi passi poco a poco si affievolisce, fino a sparire del tutto. Se ne va. Sospiro sollevata e finalmente il mio corpo si rilassa. Ma quel turbamento, annidato nel petto, è ancora tremendamente vivo...
 
 
Distratta dai miei stessi pensieri, quasi sobbalzo quando un piumone biancastro mi avvolge in un calore improvviso. Sollevo la testa e lo intravedo, in piedi davanti a me. La sua immagine si staglia fiera e sensuale, provocandomi ulteriori vertigini. Sfila il giubbotto e si protende in avanti, insinuandosi sotto la coperta. Il suo corpo e quegli occhi assassini, mi sovrastano di nuovo...
 
- Non te ne vai? – chiedo, arricciando le labbra in una smorfia.
- Fa freddo. – mormora, mentre allaccia le braccia intorno al mio collo e mi guarda con una certa malizia.
- Che c’è, vuoi che ti premi per la prestazione? – biascico ironica, provocandogli un lieve sogghigno.
- Dovresti. – mi afferra le mani e le conduce al di sopra della mia testa, intrecciando le dita con le mie e aderendo ulteriormente al mio corpo. – Magari ancora in natura... –
- Tz... vuoi una cassa di pomodori? – chiedo perfida e lui arriccia le labbra in un mezzo sorriso. – Sai anche sorridere, Kaede? – ghigno, in tono non molto lusinghiero a dir la verità.
- Stupida... - e mi zittisce con un bacio che mi toglie il respiro.
 
 
Sprofondiamo di nuovo in quell’abisso e lo facciamo di nuovo, a lungo, per tutta la notte.
 
 
Neanche riesco a ricordare da quanto tempo non facessi sesso così, rendendo onore a tutta la crudezza erotica dell'atto. Non credo di aver mai visto nessuno apparire tanto perverso e al tempo stesso tanto rassicurante. Nessuno che, come Kaede, riuscisse a domare la mia spudorata innocenza. Nessuno c’era mai riuscito prima, nemmeno Daiki, Ren o Hideaki. Nemmeno Naoki.
 
 
Ma Kaede è impenetrabile. Lui è fuoco ardente, nascosto dietro lastre di ghiaccio tagliente. Lui è passione. Lui è gelo. Lui è frenesia e perversione. Lui è protezione e calore. Kaede è un insieme di paradossali controsensi. Non esiste incertezza nei suoi occhi, nulla scalfisce quella sicurezza granitica. E tutto questo mi trascinerà in un baratro da cui non sarà facile risalire...
 
... perché da stanotte Kaede sarà il mio più grande tormento e la mia più folle gioia.
 
 
 
The Morning After.
 
 
Schiudo piano gli occhi, le prime tiepide luci della mattina penetrano flebili attraverso le grandi finestre, scuotendomi appena.
 
Mi guardo intorno assonnata, riconoscendo la palestra. Nel silenzio ovattato, percepisco una tenue sensazione di torpore e solletico... un respiro leggero e regolare. Mi volto e scorgo la testa di Kaede abbandonata sulla mia spalla, i capelli sparsi qua e là. Dorme profondamente, aderendo quasi del tutto al mio corpo. Un contrasto netto fra tenerezza ed erotismo.
 
Mi scosto piano e mi levo a sedere, cercando di non fare rumore. Avrò dormito sì e no due ore. Un sonno placido, che ha richiamato un’inaccettabile quantità di pensieri.
 
Riconnessi i neuroni, mi alzo con indolenza e ricompongo il vestito sul mio corpo, sistemando la gonna. Infilo il giubbotto di Kaede e l’immediata percezione del suo profumo mi provoca una vertigine, ridisegnando nella mente le immagini della notte appena trascorsa.
 
A grandi falcate raggiungo il portone, cerco di evitare gli ostacoli ma sono ancora in fase catatonica e rischio quasi di rompermi l’osso del collo. Recupero le sigarette dalla pochette e ne estraggo una. Schiudo appena il portone, scorgendone aldilà una suggestiva immagine del cortile antistante, ricoperto da una fitta coltre di neve bianchissima.
 
Mi soffermo ad inalare l'aria pungente della mattina, come se facendola penetrare a fondo potesse congelare nel freddo tutti i pensieri, tutte le fantasie. Mi affretto ad accendere la sigaretta; una boccata, due, tre. Le gambe riprendono stabilità e finalmente lo stomaco si distende.
 
 
Albeggia... i primi chiarori appaiono all’orizzonte, filtrando tra rade nuvole nivee. Il cielo risplende dei tenui e brillanti colori dell’alba e le luci biancastre virano in fluenti tonalità dorate, riverberando su quello specchio di neve lucente che ne riflette i colori.
 
 
Kaede mi raggiunge placido e si sostiene allo stipite della porta, avvolto in quella pallida coperta bianca. Un brivido ed una vertigine, come sempre. Elettricità nel sangue ed ipnosi, mentre osservo quei capelli arruffati, quello sguardo intorpidito, quelle labbra lievemente imbronciate e i tiepidi raggi di sole che rendono più intensi quegli occhi cobalto.
 
 
Rimaniamo in silenzio, finché non sfila la sigaretta dalle mie labbra e ne aspira un unico, leggerissimo tiro.
 
- Ti fa male, stupida. – mormora con una smorfia di disgusto, gettando la cicca aldilà del portone.
- Kaede. – esordisco, ma non mi volto a guardarlo. – Questa storia inizia e finisce qui. Io e te non avremo più alcun tipo di rapporto. Sarà come non fosse successo nulla, non ne faremo mai più parola... nemmeno per sbaglio. – mi volto a guardarlo per accertarmi di essere stata abbastanza chiara, ed infine  concludo. – Ci siamo capiti, Kaede? –
- Come ti pare. – risponde inespressivo.
- Hai qualcos’altro da aggiungere? – chiedo pungente.
- No. –
- Benissimo. –
 
 
Il sole finalmente sorge, splendendo su quel fitto manto di candida neve. Eppure lo so, lo sento... quel segnale impercettibile, quel campanello d’allarme che si insinua subdolo nei miei pensieri e mi provoca un istintivo stato d’ansia. No, non finirà qui, non finirà oggi... ed è un celato presagio che mi fa tremare.
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Avrei dovuto postarlo Venerdì scorso, ma ho avuto problemi di connessione e in più il tempo è sempre pochissimo. Non ho molto da dire su questo capitolo – in realtà ho anche poco poco tempo T__T - quindi stavolta mi limito a ringraziare come sempre Ice_DP e megghynfbg per aver recenisito, e ringrazio ancora i lettori silenziosi. Grazie di cuore =* 

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