The Losers

di SmartieMiz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Apollo e Dioniso ***
Capitolo 2: *** Inizio della solita routine ***
Capitolo 3: *** Di incomprensioni e nuove amicizie ***
Capitolo 4: *** I ragazzi del Musain ***
Capitolo 5: *** Un sabato sera differente ***
Capitolo 6: *** Occasioni ***
Capitolo 7: *** Gli esiti ***
Capitolo 8: *** L'audizione ***
Capitolo 9: *** L’idillio di Rue Oudinot ***
Capitolo 10: *** Convegni miracolosi ***



Capitolo 1
*** Apollo e Dioniso ***


Titolo: The Losers
Rating: arancione
Genere: angst/introspettivo/romantico

 

Note: è la mia prima long in questo fandom e ci sto lavorando da molto tempo cercando di fare del mio meglio. Spero di non fare guai xD e spero possa piacervi :)

 

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Victor Hugo; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
 

 

The Losers


                              

 

Per tutti coloro che, almeno una volta,
si sono sentiti fuori posto ~

 


Prologo ~ Apollo e Dioniso



Erano passati pochi giorni dall’inizio della scuola e Grantaire ancora non riusciva a credere che era finalmente in terminale: gli sembrava impossibile esser riuscito ad arrivare all’ultimo anno di liceo.
Quel giorno bighellonava per i corridoi vuoti della scuola: i ricci scuri scompigliati e gli occhiali da sole – anche se il tempo non era favorevole – gli davano un’aria trasandata. Aveva un mal di testa incredibile, dovuto alla sbornia della sera precedente.
«In auditorium i ragazzi si sono riuniti per poter sentire i loro futuri rappresentanti. La questione non è di suo gradimento?», lo ammonì un professore che era lì di passaggio.
«Sono sempre gli stessi inutili discorsi», rispose il ragazzo, scocciato.
«Le chiedo di non mancare», fece quello, per poi dire: «Gli occhiali». Se ne andò.
Grantaire sbuffò, posando gli occhiali da sole e scoprendo un paio di occhi gonfi e rossi.
Si recò in auditorium e riuscì soltanto a sentire l’ultima frase di quello che era il discorso sciocco di una ragazza. Ogni anno si candidavano studenti semplicemente smidollati che facevano proposte oscene e talvolta inopportune.
«… cercherò di istituire anche un comitato per il Ballo di Fine Anno, quindi non esitate a votarmi!».
A quelle parole, un ragazzo con una felpa rossa roteò gli occhi al cielo.
Ci furono degli applausi; la ragazza, tutta sorridente, abbandonò la sua posizione e si sedette sugli spalti, assieme agli altri studenti.
Era giunto il turno del ragazzo.
Un amico lo incoraggiò con una pacca amichevole sulla spalla e con un sorriso. Il ragazzo si piazzò al centro dell’auditorium.
Grantaire non conosceva quel ragazzo, e quando lo vide restò semplicemente accecato come se avesse guardato il sole; questi non riusciva a staccare i suoi occhi da quell’essere perfetto: i riccioli biondi che ricadevano sulla sua fronte, gli occhi chiari e severi, le labbra rosse, la bellezza austera. Decisamente un dio greco, un Apollo ai tempi d’oggi. Grantaire non riuscì ad attribuirgli un nome diverso: Apollo riassumeva e descriveva alla perfezione quel ragazzo.
Apollo, dunque, simulò un finto colpetto di tosse.
«Salve», iniziò il suo discorso: «sono Enjolras e mi candido come rappresentate d’istituto».
Anche Apollo aveva un nome umano.
Enjolras. Più lo pronunciava sottovoce e più non gli sembrava un nome reale. Aveva un suono così dolce e puro da sembrargli addirittura angelico.
«In qualità di rappresentante», continuò Enjolras: «voglio essere davvero un esempio da seguire, il vostro punto di riferimento. Se avete problemi di qualsiasi genere, non esitate a dirmelo. Sarò un mediatore tra voi e il corpo docenti, sarò il portavoce delle vostre incertezze e delle vostre perplessità. Inoltre, ho attuato un piano e mi sono prefissato degli obiettivi per il miglioramento dell’istituto, come ad esempio il problema dei fondi insufficienti. Non è possibile che la retta che paghiamo annualmente non conceda a noi studenti tutti i privilegi di cui dovremmo godere. Non si può nemmeno fare una fotocopia in Sala Professori a causa dell’assenza di materiale cartaceo, vi sembra possibile? Per non parlare dei servizi igienici, e non solo. Questi sono soltanto alcuni dei punti del mio progetto. Inoltre vi posso assicurare la mia assidua presenza alle manifestazioni e ai cortei. Voglio davvero rendere quest’istituto un posto migliore, sento di potercela fare, ma ho bisogno anche della vostra fiducia, del vostro supporto. E non voglio rendere soltanto quest’istituto un posto migliore, ma il paese intero, e un giorno anche il mondo. Non è un’utopia, ragazzi. Per alcuni di voi questo è il primo anno di liceo e per altri sarà l’ultimo. Sapete cosa vi dico? Qualsiasi anno stiate frequentando, siate saggi, audaci. Siate consapevoli delle vostre scelte e siate sicuri di voi stessi. Non perdiamoci mai d’animo, ragazzi. Non facciamoci mai calpestare da niente e nessuno e se cadiamo rialziamoci. Il mondo è infame, è crudele, è spietato, e sapete quali sono le armi migliori per combattere tutto ciò che non è buono? La libertà. L’uguaglianza. La fratellanza. Il sapere. La cultura. L’intraprendenza. L’audacia. La rivoluzione! Noi, giovani, siamo le armi potenti e benefiche di questa guerra senza eguali! Noi possiamo cambiare le sorti di questo paese, di questo mondo! Noi siamo la rivoluzione! Noi siamo il futuro! Noi possiamo combattere le ingiustizie, noi possiamo rendere il mondo un posto migliore. Vive la France, ragazzi! Io lo urlo a tutto e tutti: amiamo la nostra patria fino in fondo! Combattiamo per essa! Lottiamo per essa con tutte le nostre forze, amiamola con tutta la nostra passione, soffriamo per essa, esattamente come un uomo o una donna farebbe per la sua metà. Non vi inciterò a votarmi perché ciò significherebbe andare contro i principi di libertà, di voto e d’espressione, ma sappiate che potete sempre contare su di me. Grazie!».
Grantaire era uno scettico e non credeva a tutte quelle chiacchiere, eppure rimase semplicemente abbagliato da quel discorso. Gli venne naturale applaudire per poi rendersi conto dell’amara realtà: gli applausi furono molto scarsi, quasi inesistenti. La maggior parte degli studenti era rimasta ignava e cinica di fronte a quell’exploit di saggezza: nessuno appoggiava quell’animo così bello e rivoluzionario.
«Scusa, Enjolras, posso farti una domanda?», gli chiese un ragazzo seduto sugli spalti.
«Tutte le domande che vuoi», rispose cortesemente il giovane.
«Quanta droga ti fai prima di venire a scuola?».
Le risate fragorose degli studenti rimbombarono nell’auditorium. Enjolras provò a mantenere la calma.
«Alcuna. Ci tengo alla mia salute», rispose, con assoluta pacatezza.
«Forse a quella fisica, ma a quella mentale stai rovinato», continuò quello, imperterrito: «Solo un pazzoide può credere di poter cambiare il mondo!».
«Solo uno stolto può desiderare di continuare a vivere nella beata ignoranza e nell’ingiustizia», rispose Enjolras, senza peli sulla lingua: «Se le mie opinioni non sono di tuo gradimento, avresti potuto anche contestarle in un modo più gentile, oppure se preferisci puoi lasciare l’auditorium, grazie».
«Di certo non ti voterò», continuò il ragazzo: «E nessuno lo farà, credo. Solo i poveri illusi sfigati come te».
Enjolras strinse i pugni, continuando a mantenere la calma. Grantaire lo notò e immediatamente provò rabbia per le parole pronunciate dal ragazzo. Non conosceva di persona Enjolras, ma ci avrebbe messo la mano sul fuoco che quel ragazzo faceva e diceva le cose con passione.
«Pochi, ma pur sempre buoni», fece Enjolras: «Non mi va di dare spettacolo. Chi è il prossimo?».
Ma nessuno rispose. Ci furono fischi e urla di dissenso.
Grantaire non seppe nemmeno come, ma improvvisamente era al centro dell’auditorium, al fianco di Apollo. Zittì l’intera scuola.
«Mi sembra poco corretto il vostro atteggiamento. Il ragazzo ha detto soltanto quello che pensa e che sogna di realizzare e di fare per il bene di quest’istituto. Chi siete voi per giudicarlo folle e per mancargli di rispetto?».
 
Era la prima volta in tre anni che qualcuno lo sostenesse e difendesse, escludendo i suoi migliori amici.
Enjolras ne rimase sorpreso. Non riuscì a dire niente se non a sussurrare un “grazie, non ce n’era bisogno” al quale lo sconosciuto rispose con un lieve sorriso.
«Aspetta, e tu saresti? Frequenti questa scuola?», chiese una ragazza, quasi divertita.
«Ritirati, alcolizzato», lo schernì qualcun altro.
Come se non fosse accaduto niente, un gruppo di candidati si mise al centro della sala e incominciò ad esporre le sue idee.
Enjolras lasciò l’auditorium, seguito prontamente da quello che doveva essere un suo amico.
 
«Non sono mai stato umiliato fino a questo punto. Hanno toccato il fondo!», asserì Enjolras, visibilmente irritato.
«Enjolras, non innervosirti... non ne vale assolutamente la pena», cercò di rassicurarlo l’amico.
«Questo è il nostro ultimo anno, Combeferre», fece il ragazzo: «Volevo davvero fare qualcosa di positivo per quest’istituto e desideravo soltanto una cosa: essere preso sul serio. Nient’altro».
Combeferre lo guardò, speranzoso. «Dai, ancora poco e finalmente lasceremo alle spalle questo pozzo d’ignoranza».
«Non senza aver prima fatto qualcosa», aggiunse Enjolras.
Improvvisamente nel corridoio comparve il “difensore” di Enjolras.
«Lo conosci?», chiese sottovoce Combeferre al compagno.
«No».
«Forse vuole parlarti. Ti raggiungo più tardi», Combeferre andò via, ed Enjolras lo maledisse mentalmente: non gli piaceva intrattenere conversazioni con gli sconosciuti; era molto riservato.
Lo sconosciuto guardò Apollo, forse indeciso se parlargli o meno. «Stai bene?», gli chiese, infine, con premura.
«Sì», rispose il ragazzo, sincero: «Ti ringrazio ancora. Non dovevi, davvero, avrei potuto cavarmela da solo».
«Di niente. Il tuo discorso mi ha colpito molto e mi è sembrata totalmente ingiusta una reazione del genere», fece l’altro: «Altro che fischi: si sarebbero dovuti inchinare!».
Enjolras non disse niente: si limitò a scambiargli uno sguardo di riconoscenza.
«Un ragazzo comune di nome Grantaire», fece il ragazzo, tendendogli la mano.
«Uno sciocco candidato di nome Enjolras, da come hai potuto capire», rispose l’altro, accettando la stretta.
«Non essere severo con te stesso. Puoi anche definirti sciocco, ma hai già il mio voto, sai?».
Grantaire poté notare che Enjolras aveva leggermente incurvato le labbra in un sorriso impercettibile. «Mi fa piacere, Grantaire, ma ora devo andare. Alla prossima».
«A presto!», rispose Grantaire.
Enjolras era ormai andato via. Senza nemmeno chiedersi il perché, Grantaire era certo che avrebbe fatto di tutto per parlargli di nuovo.



 

Angolo Autrice

Buongiorno a tutti! :)
Ecco la mia prima long in questo fandom. Come ho già accennato nelle note, ci sto lavorando da molti mesi e finalmente ora posto il prologo :D I primi nove capitoli sono già pronti e credo di aggiornare una volta a settimana - salvo imprevisti :3 -.
"Loser" è la traduzione di "perdente", "sfigato", ed è proprio di loro che parlerò in questa storia: de les Amis de l'ABC in versione liceale e loser.
Nel prologo abbiamo un Enjolras considerato folle per le sue idee, e un Grantaire già ubriaco e innamorato del nostro leader, aw ♥
Okay, la smetto xD Spero possa piacervi c:
Ringrazio infinitamente Rossyj per aver letto in anteprima, per avermi dato i suoi preziosi pareri e per tutto ♥ E per il banner, perché anche se l'ho realizzato io (ho assemblato le foto e messo le scritte xD), è lei che ci ha messo un tocco in più u.u (thanks honey <3).
Ringrazio sentitamente Ems per tutto il suo appoggio (love you <3) ♥

Ringrazio tutti coloro che leggeranno! Spero di non fare guai XD
Alla prossima!
SmartieMiz

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Capitolo 2
*** Inizio della solita routine ***


Capitolo II ~ Inizio della solita routine



La scuola era ufficialmente iniziata: un nuovo anno era incominciato e Jean Prouvaire doveva farsene soltanto una ragione. L’unico pensiero che potesse sollevarlo era il fatto che quello fosse il suo ultimo anno di liceo, poi avrebbe cambiato ambiente e frequentato l’università dei suoi sogni.
Gli anni precedenti di liceo l’avevano stremato e aveva iniziato quel nuovo anno con angoscia. Camminava per i corridoi della scuola velocemente, cercando di raggiungere in fretta le aule e di risultare invisibile agli altri.
Purtroppo Jehan era invisibile, ma non per i suoi persecutori.
«Bentornato, frocio», lo salutò un giocatore di football, spintonandolo: «Ultimo anno insieme. Sento già che mi mancherai».
Le parole gli si bloccarono in gola. Jehan aprì bocca, senza dire niente. Col passare degli anni, aveva imparato che non sempre reagire era la strada migliore.
«Bel taglio di capelli, finalmente ti sei tagliato quella treccia frocia, anche se questo non ti fa meno frocio di quanto già sei. A presto! », sorrise il ragazzo in modo sprezzante, per poi andare via.
Jehan sospirò. Raccolse i propri libri da terra e continuò la sua giornata.
 
«Marius!».
Sentendosi nominare, il ragazzo si voltò. «Non hai una bella faccia, Courf», asserì Marius: «Cos’è successo?».
«Ehm, ecco… diciamo che ho avuto una piccola lite con il mio amico Enjolras».
«Cos’è successo?».
«Si è candidato come rappresentante d’istituto».
«Lo so. Ha fatto un bel discorso».
«Sì, il punto è questo: merita di vincere! Ma io non posso votarlo…».
«Perché?».
Il ragazzo si guardò intorno, con fare circospetto, poi disse sottovoce: «Marius, ho una reputazione…».
«Ah», fece l’altro, poi aggiunse: «Beh, non votarlo e gli dici che in realtà l’hai votato. Mica se ne accorge?».
«Beh, potrebbe immaginarlo dato che coloro che lo voterebbero si contano sulle dita di una mano».
Marius rifletté. «Votalo, allora. Mica sei obbligato a dire agli altri tuoi amici che hai votato lui?».
«Devo sperare non se ne accorgano… già a loro non piace il fatto che sia suo amico…».
Proprio in quel momento dei ragazzi si avvicinarono a Courfeyrac e Marius. «Ci si rivede, ragazzi!», uno di loro li salutò con una pacca amichevole sulla spalla: «Quest’anno dovrà essere esplosivo!»
«Il mio obiettivo principale è quello di superare l’anno senza fare salti mortali, Alain», ammise Marius: «Dovrò impegnarmi di più…».
«Suvvia, Marius! Mica il diploma te lo porti nella tomba?», disse sarcasticamente il ragazzo, poi cambiò argomento: «Comunque sembra sia arrivata una ragazza nuova quest’anno, la figlia del nuovo professore di filosofia… è abbastanza carina».
«Come si chiama?», domandò Courfeyrac.
Alain ridacchiò. «Ah Courf, mio caro vecchio amico, vedo che la cosa ti interessa particolarmente! Questa cosa si chiama infedeltà, lo sai?».
Courfeyrac sbuffò. «Io e Mylene ci siamo lasciati un mese fa».
«E già sei pronto all’attacco? Dovresti avere il cuore spezzato!».
«Non ci sopportavamo più, nessuno ne ha sofferto», rispose lui, sbrigativo.
«Mm, d’accordo. Va bene, ci si vede. Alla prossima e ah, mi raccomando, votateci!», Alain ammiccò in loro direzione ignorando l’intera questione, poi se ne andò con gli altri ragazzi.
«Avrebbe pure potuto dircelo!», sbuffò Courfeyrac.
«Pazienza, lo scopriremo noi», lo rassicurò Marius, incuriosito.
 
Jehan preferiva sempre sedersi al primo banco per poter seguire al meglio le lezioni, tuttavia spesso si nascondeva all’ultimo banco per non saltare nell’occhio.
Quel giorno venne notato. «Va’ al primo banco, finocchio. Gli ultimi banchi sono per noi, lo sai», lo incitò un ragazzo.
Senza dire niente e senza nemmeno rivolgere uno sguardo al suo interlocutore, Jehan raccolse i propri libri e si precipitò al primo banco. Chinò il capo, mesto: il banco era vuoto, come sempre.
Un ragazzo dai capelli ricci scuri e dall’aria trascurata entrò. «Grantaire, mancavi soltanto tu. C’è un posto libero qui davanti e togliti questi occhiali, ché non siamo al mare!», lo esortò il professore.
Grantaire sbuffò sonoramente, per poi sedersi vicino a Jehan. Quest’ultimo era leggermente intimorito da quella presenza: qualche volta aveva sentito parlare di quel Grantaire e su di lui giravano cattive voci. Si diceva avesse vent’anni circa, che avesse ripetuto il secondo anno più volte, che fosse sempre ubriaco e che non fosse una brava persona.
Jehan si preparò a ricevere gli ennesimi insulti, rassegnato. Fu colto da una dolce sensazione di serenità quando Grantaire lo scrutò con aria curiosa per poi tendergli una mano e dirgli: «Grantaire, piacere. Tu sei?».
Jehan accettò la stretta, quasi titubante. «J-jean Prouvaire».
«Che seccatura l’ora di letteratura. Credo proprio che mi farò una bella dormita», commentò con uno sbuffo.
«È c-così bella, invece», farfugliò Jehan: «A me piace molto…».
«Fortunato. Io se potessi andrei a lavorare, ma voglio almeno prendermi il diploma», rispose Grantaire.
Jehan annuì. «Sì, giusto, almeno quello… è importante…».
«Mi si spezza il cuore ad interrompere la tua prima conversazione con un essere umano, Prouvaire, ma mi presteresti una penna?», lo interruppe una ragazza seduta dietro di lui, per poi ridacchiare con la sua compagna di banco.
«Mi si spezza il cuore per la risposta che sto per darti: no», Grantaire rispose cinicamente al posto di Jehan, lasciandolo sorpreso.
«Non mi sembra che qualcuno ti abbia interpellato, Bloody Mary».
«Carina questa, chi te l’ha suggerita?».
«Si dà il caso che abbia una testa per pensare».
«Avevo qualche dubbio».
Grantaire mise a tacere la ragazza, stupendo Jehan che aveva assistito passivamente.
«Non mi guardare con quella faccia, non ho fatto niente di eroico», gli sorrise Grantaire. Non era un sorriso derisorio o sarcastico, ma un sorriso gentile, quasi intenerito.
Jehan annuì, pieno di gratitudine.
 
Quell’anno si sarebbe prospettato piuttosto vivace per Eponine Thénardier.
Era stranamente allegra. Aveva in mente numerosi progetti: iscriversi a diversi club, svolgere attività interessanti, andare al ballo di fine anno e….
… Marius Pontmercy.
Quando lo incrociò nei corridoi, il suo cuore esplose di gioia. «Marius!».
«Eponine!». La ragazza gli corse incontro, abbracciandolo stretto. «Mi sei mancato! Hai ricevuto i miei sms? Non mi hai risposto agli ultimi».
Marius sorrise leggermente. «Eponine, in realtà mi hai mandato dieci volte lo stesso messaggio».
«Oh, mi sa che devo cambiare cellulare, ma i miei hanno detto che il mio cellulare primitivo andrà bene fino alla fine del college», sbuffò la Thénardier, poi disse: «Allora, ti sei divertito quest’estate?».
«Uh, tantissimo. Sono andato in Provenza con mio nonno. Restavo a casa, era meglio», rispose Marius, sarcastico.
Eponine ridacchiò. «Io sono stata a casa e Gavroche mi ha costretto a giocare a calcio con lui e Azelma. Tutto sommato è stato divertente».
«A proposito, salutami la piccola peste!».
«Sarà fatto», rispose lei, sorridente, poi disse ancora: «Voglio farti una proposta».
«Dimmi pure», rispose l’altro, incuriosito.
«Quest’anno ho intenzione di partecipare al club di musical della scuola. Vogliamo farlo insieme? Sarà qualcosa di magnifico, ne sono sicura! Ti piacerà, vedrai! Non è una noia come molti pensano, anzi, è interessante!», Eponine parlò a raffica.
Marius aggrottò leggermente le sopracciglia. «Non lo metto in dubbio, ma queste cose non fanno per me».
«Avanti! Fallo per me!», provò a convincerlo Eponine: «Sarà divertente. Sarebbe la prima volta per entrambi».
Marius ci pensò su. Lo sguardo speranzoso di Eponine lo persuase. «E va bene, ti prometto che ci penso», si arrese, poi sorrise: «solo per te».
Eponine lo riabbracciò e Marius, stranito del suo atteggiamento ancor più affettuoso del solito, si limitò a rispondere all’abbraccio.
I suoi occhi, però, erano da tutt’altra parte.
Una ragazza bionda dal viso dolce e con un vestitino bianco era vicina ad un armadietto. Il suo sguardo, tenero e morbido, sembrava spaesato.
Marius si staccò quasi istintivamente da Eponine. La Thénardier notò il suo sguardo assente e si voltò, vedendo la ragazza.
«Eponine, chi è quella ragazza?».
«Se non erro è la figlia del professor Valjean, il nuovo insegnante di filosofia. È la ragazza nuova», rispose Eponine.
«Devo sapere come si chiama», Marius parlò quasi senza pensare: «Stanotte non dormirò se non saprò il suo nome».
Eponine spalancò gli occhi. «Addirittura?».
«’Ponine, fallo per me!», Marius finalmente si voltò verso la ragazza, con occhi luminosi: «Chiedile il numero di cellulare!».
«Non sembrerò una stalker? La vuoi davvero spaventare in questo modo? Certo che fai paura, amico», rispose Eponine, cinica.
«Fallo per me, ti prego», questa volta fu Marius a supplicarla: «È un piccolo favore che ti chiedo…».
«E va bene», rispose lei: «Proverò a far di tutto per ottenere il numero della biondina…».
Marius sorrise, inebetito. «Eponine! Mille grazie! Come farei senza di te?», le diede una pacca sulla spalla e si dileguò.
Eponine sospirò, rattristita. «Vivresti lo stesso».
 
«E quindi tu sei la ragazza nuova!».
La sottoscritta si voltò verso i suoi interlocutori: tre ragazzi le sorridevano in modo inquietante.
Cosette rispose con un lieve sorriso. «Sì, sono io».
«A scuola non si fa altro che parlare di te», fece uno dei tre: «La bionda dagli occhi di ghiaccio…».
Cosette trattenne una smorfia. «Non credevo di essere così famosa», disse, con una leggera risata.
«Le belle ragazze vengono subito notate, è più che normale», disse un altro ragazzo: «Alain Moreau, piacere. Loro sono Pierre e Vincent».
«Piacere di conoscervi», rispose lei cortesemente, stringendo le mani di tutti.
«Che lezione hai adesso?», le domandò Pierre.
«Storia».
«Che magnifica coincidenza! Possiamo accompagnarti, se vuoi», ammiccò Alain.
«Ne sarei lusingata, ma…».
«… e allora vieni con noi!», la interruppe subito Vincent: «Non vorrai perderti per l’istituto!».
Nel frattempo, Marius aveva assistito a tutta la scena. La bionda dagli occhi di ghiaccio, come era stata sopranominata da Pierre, aveva uno sguardo dolcissimo e si muoveva con assoluta grazia. In verità non era una ragazza di chissà quale bellezza, ma era così dolce e leggiadra che tutto il resto passava in secondo piano.
La giornata passò velocemente, e nemmeno per un secondo la ragazza era scomparsa dalla testa di Marius.




 

Angolo Autrice

Buongiorno a tutti! :)
Eccomi con il secondo capitolo! Lo so, avrei dovuto aggiornare dopodomani (domenica), ma ho aggiornato con due giorni di anticipo XD Credo quindi che aggiornerò o ogni venerdì o ogni domenica.
Cosa succede in questo capitolo? Abbiamo finalmente Jehan! *se lo spupazza* E anche un po' di Courfeyrac, Marius ed Eponine *-* ^^
Ed ecco che Marius vede Cosette... e il resto è storia xD Mentre Grantaire e Jehan si parlano per la prima volta... cosa accadrà?

Ringrazio tutti coloro che leggono e Bertile_bousset_enjolras che ha recensito lo scorso capitolo <3  
Ancora una volta ringrazio _Rossyj_ ed _ems per tutto ♥
Ah, dimenticavo: questo è il mio Ask per curiosità, domande e critiche e questa è la mia pagina Facebook dove posto tutti gli aggiornamenti c:
Alla prossima!
SmartieMiz

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Capitolo 3
*** Di incomprensioni e nuove amicizie ***


Capitolo III ~ Di incomprensioni e nuove amicizie



Qualcuno suonò al campanello quel pomeriggio.
«Sarà Courfeyrac. Apri tu, non ho neanche voglia di vederlo», sbottò Enjolras.
Combeferre lo guardò male. «Andiamo, Enjolras, non devi essere così suscettibile!».
«Suscettibile? Questo è il minimo».
Combeferre alzò gli occhi al cielo, poi aprì la porta.
«Courf, ciao!».
«Hey, ‘Ferre! Devo correre in palestra, ma mi avete detto che questa convocazione era urgente, quindi che sia una cosa veloce.‘Ras dov’è?».
Combeferre si guardò intorno con cautela, poi disse sottovoce: «Sta in soggiorno. È arrabbiato con te, quindi attento ad ogni singola parola che dici. È facilmente irritabile».
Courfeyrac si lasciò sfuggire uno sbuffo. «Certo che è peggio di una donna col ciclo!».
«Vi sento benissimo!», rispose la voce di Enjolras proveniente dall’altra stanza.
I ragazzi si recarono in soggiorno: Enjolras era in piedi di fronte ad un tavolo, lo sguardo severo come sempre.
«Perché stavolta ci hai convocati qua invece che al Musain?», chiese Courfeyrac, confuso.
«Perché è inutile discutere al Musain con gli altri se prima non chiariamo le cose tra noi», spiegò Enjolras con assoluta calma.
«Se ti riferisci ancora alla questione dei voti, sei un bambino, ecco», sbottò Courfeyrac.
Enjolras roteò gli occhi. «Ho detto le cose tra noi, non tra me e te».
«D’accordo, a te la parola».
«Ti ringrazio», rispose Enjolras arcigno, poi disse: «Bene, io e Combeferre siamo un po’ infastiditi o meglio, confusi del tuo atteggiamento».
Courfeyrac aggrottò le sopracciglia, voltandosi verso Combeferre che fece spallucce.
«Ancora non abbiamo capito da che parte stai», esordì Enjolras.
«Enjolras, non è schierato da nessuna parte… non siamo mica in politica».
«La scuola è una piramide sociale», Enjolras fermò Combeferre, parlando con convinzione: «È la triste realtà, ma vi è una gerarchia. Ciò è ingiusto perché dovremmo essere tutti uguali, senza discriminazioni di nessun tipo».
«Sì, ma con questo? Dove vuoi arrivare?», chiese Courfeyrac, disorientato.
«Enjolras ed io vogliamo cercare di farti capire che frequenti Alain, Pierre e altri ragazzi noti a scuola e che non è assolutamente un problema, sei libero di frequentare chiunque tu voglia, ma ci stai anche trascurando, in un certo senso. È come se ti vergognassi di noi, non ti fai vedere più in giro con noi già da un bel po’…», gli spiegò Combeferre con delicatezza.
Enjolras annuì: non avrebbe saputo dirlo in modo migliore.
Courfeyrac capì e scosse il capo, leggermente. «Lo so e mi dovete scusare. Io ho…».
Ho una reputazione? Courfeyrac non sapeva come rispondere: trovava persino stupida quella che era la vera risposta.
«… io non riesco ad avere un controllo totale della situazione, ecco. È l’ultimo anno, cercate di comprendermi… non è bello trovarsi da soli. Cioè, non che voi non siate nessuno, ma capitemi…».
Combeferre aveva capito fin troppo bene, ma non sapeva cosa dire. Lasciò che parlasse Enjolras: «Courfeyrac, fa’ quel che ti senti di fare, sei assolutamente libero. Un giorno capirai e ti renderai conto da solo se ne è davvero valsa la pena, se è meglio nascondersi o essere se stessi, con rischi annessi».
La risposta di Enjolras lo lasciò spiazzato. Courfeyrac si limitò ad annuire, quasi mestamente. «Questo è tutto?», chiese.
«Questo è tutto».
«D’accordo. Ora vado in palestra, sono già in ritardo», si congedò Courfeyrac, poi aggiunse: «Beh, rifletterò su quello che mi avete detto…».
«Bene», rispose Combeferre con un piccolo sorriso, cercando di metterlo a suo agio: «Ci si vede domani a scuola, Courf».
I ragazzi si salutarono e Courfeyrac lasciò la casa dell’amico. Si incamminò verso la palestra, con le parole di Enjolras che ancora riecheggiavano nella sua testa.
Un giorno capirai e ti renderai conto da solo se ne è davvero valsa la pena, se è meglio nascondersi o essere se stessi, con rischi annessi.
Stava ignorando i suoi amici di sempre per essere considerato a scuola e per far parte della cerchia dei più popolari. Ma alla fine, chi sarebbe rimasto davvero nella sua vita?
Mentre pensava, le sue gambe erano già arrivate al parco vicino la palestra. Si fermò un istante per chiudere gli occhi e riprendere fiato, cercando di liberare la mente.
Quando aprì gli occhi, la prima cosa che saltò all’occhio fu la fila di alberi rossi e arancioni del parco.
E un ragazzo totalmente solo con la schiena appoggiata al tronco di un albero.
Aveva i capelli rossi come le foglie cadute a terra e leggeva un libro.
Courfeyrac restò colpito da quella scena, senza nemmeno riuscire a spiegarsi il perché. Il volto di quel ragazzo, assorto nella lettura del romanzo, traspariva assoluta semplicità e una dolcezza infinita.
Quel viso aveva un che di familiare: doveva averlo già visto da qualche parte, magari quel ragazzo frequentava anche la sua stessa scuola.
L’interessato alzò gli occhi al cielo e incrociò lo sguardo di Courfeyrac che, imbarazzato, subito chinò il capo e ritornò sui suoi passi. Seguì con lo sguardo lo sconosciuto che rapidamente sparì dalla sua vista. Quel ragazzo che lo stava osservando non lo stava guardando con odio, ostilità o ribrezzo, ma quasi con curiosità.
Il ragazzo dai capelli rossi si chiese inevitabilmente chi fosse e se l’avrebbe mai rivisto.
 
Il giorno dopo Eponine si precipitò verso Marius quando lo intravide tra i corridoi della scuola.
«Marius! Ciao!».
Il ragazzo si voltò, con un piccolo sorriso. «’Ponine, hey! Hai scoperto il nome della ragazza?».
L’allegria di Eponine svanì immediatamente. «Sì», rispose, quasi con freddezza.
«Come si chiama?».
«Cosette».
Un sorriso ebete comparve sul volto estasiato di Marius. «Cosette…», sussurrò più volte: «Si chiama Cosette!».
«Esattamente», asserì Eponine, poi mormorò: «Che nome stupido…».
«Le hai chiesto il numero di cellulare?», domandò Marius, senza scrupoli.
«Sei folle? Ho scoperto il suo nome per caso, non gliel’ho chiesto io. È ancora presto per chiederle l’indirizzo di casa, non credi?».
«Il numero di cellulare, ho detto».
«Capirai».
Marius sospirò. «Ti darò tutto quello che vuoi tu se risali al suo numero di cellulare, giuro. Qualsiasi cosa!».
Eponine sorrise cinicamente. «Non voglio niente. Gli amici fanno questo, no? Si aiutano a vicenda, senza pretendere niente in cambio».
«Giusto, ma sei vuoi qualcosa sono disposto a dartela», spiegò il ragazzo.
Eponine finse di riflettere. «Beh, a parte il club di musical niente, per ora. Ora devo andare, ho un’interessantissima ora di arte. Ci si vede».
«Ci sentiamo, ‘Ponine!».
Eponine sorrise in modo mellifluo, per poi voltarsi e andare via. Il suo sorriso si spense in un istante, lasciando spazio ad un’espressione amara e infelice.
«Bella felpa, Eponine! Da quanti anni ce l’hai, sentiamo?», la derise una cheerleader.
Eponine la ignorò completamente, per poi entrare nell’aula di arte e prendere un posto qualsiasi.
Davanti a lei vi erano due ragazzi: uno con i capelli scuri ricci – l’alcolizzato Grantaire, tutti lo conoscevano – e uno con i capelli rossi dall’aria molto timida.
In quel momento entrarono Apollo e l’amico con gli occhiali. Per poco a Grantaire non venne un infarto.
«Grantaire, ti senti bene?», gli chiese Jehan, visibilmente preoccupato: «Sei rossissimo…».
«Tranquillo, è l’alcool. Assolutamente nella norma», rispose Grantaire con una risata.
Jehan ci credette – insomma, era credibile la cosa! –, ma non aveva capito che l’alcool a cui si riferiva Grantaire era Apollo.
Grantaire provò a nascondersi dietro Jehan, invano: il volto di Enjolras incrociò il suo, e la cosa sorprendente fu vedere le sue labbra incurvarsi leggermente all’insù e la sua mano in un saluto.
Grantaire rispose al saluto con un dolce sorriso. Jehan notò finalmente l’agitazione di Grantaire e la trovò quasi adorabile.
«Hanno occupato tutti i posti…», bisbigliò Combeferre all’amico.
«Ce n’è uno al primo banco in quella fila e uno là, al secondo», rispose Enjolras, incamminandosi verso il primo banco.
«No! Non lì!», lo fermò Combeferre, parlando un po’ troppo ad alta voce, richiamando l’attenzione di metà classe. Arrossì leggermente per la vergogna, poi disse sottovoce: «Non voglio stare vicino alla ragazza…».
«Non fare i capricci, ‘Ferre. Non ti morde mica!».
«È lei, Enjolras, non vedi? Non è una semplice ragazza, diamine!».
«Ehi, voi due! L’avete smessa di battibeccare? Vorrei iniziare la lezione, grazie», sbraitò l’insegnante d’arte, poi si rivolse a Combeferre: «Ragazzo, c’è un posto lì».
Combeferre alzò gli occhi al cielo e prese posto al secondo banco, vicino alla ragazza. Eponine aveva notato tutte le occhiatacce che gli aveva riservato quel tipo stravagante e la sua esitazione nel prendere posto accanto a lei, e ne era indignata. Si spostò più a destra e raggruppò tutte le sue cose da una parte.
«Ecco, questa è la mia parte e quella è la tua. Se vuoi traccio una linea di divisione così evitiamo disguidi vari», disse, con assoluta fermezza, senza nemmeno guardarlo negli occhi.
Fu un bene che non gli degnò di uno sguardo perché Combeferre era diventato rosso come un peperone. Insomma, Eponine Thénardier gli aveva rivolto la parola per la prima volta!
Combeferre ci pensò un po’ su prima di rispondere, in modo tale da evitare balbettamenti e figure varie. «Mi basta poco spazio, puoi prenderti anche il mio se ne hai bisogno, tranquilla», rispose cortesemente.
«Non ne ho bisogno, grazie», rispose lei con asprezza.
Combeferre deglutì, per poi tacere.
«Allora», iniziò la professoressa d’arte: «Chi mi sa dire quante più informazioni possibili su questo quadro?».
L’insegnante alzò in alto la foto di un dipinto. Enjolras alzò la mano: i suoi occhi si illuminarono come fuoco. Anche Eponine alzò la mano, pronta a rispondere a tutte le domande.
«C’è qualcun altro oltre ad Enjolras e ad Eponine che vuole esprimersi?», chiese l’insegnante.
Nessuno rispose. Combeferre lasciò che fosse Enjolras a parlare, dato che sapeva quanto ci tenesse all’argomento.
«Per esempio tu al primo banco», la professoressa indicò Grantaire: «Cosa mi sai dire su questo dipinto?».
Grantaire lo osservò con attenzione. In tutti quegli anni di scuola non aveva mai aperto un libro d’arte – andiamo, aveva mai aperto un libro in generale? – ma sapeva sempre destreggiarsi in quella materia, dato che era la sua preferita. E poi quel quadro era famosissimo, era impossibile non conoscerlo.
«La Liberté Guidant le Peuple di Eugène Delacroix», rispose Grantaire: «La donna rappresentata è la Marianne, l’emblema della Francia e indossa un berretto frigio, simbolo della libertà. La donna è il primo tentativo di riprodurre un nudo femminile in abiti contemporanei. I colori della bandiera francese si ripetono negli abiti della figura ai piedi della donna».
L’insegnante annuì. «Molto bene. Qualcos’altro?».
Grantaire strinse gli occhi: «In lontananza sono visibili le torri della cattedrale di Notre-Dame».
«Potrei aggiungere un dettaglio storico?», chiese Enjolras, impaziente: con la mano alzata da un tempo indefinito avrebbe rischiato una paralisi.
«Certo che sì».
«L’opera è stata realizzata nel 1830 e rappresenta la lotta dei parigini contro la politica di Carlo X di Francia. Quella del 1830 fu una rivolta del tutto borghese, ma il pittore decise di inserire nel dipinto tutte le classi sociali, infatti vi è il borghese, il proletario, il soldato e vi è anche un bambino».
«Giusto», rispose la professoressa: «Tutto corretto. Credo possiamo procedere con qualche altra opera».
L’ora passò molto velocemente per Grantaire. Quando suonò la campanella, Eponine quasi fuggì dal banco, senza degnare Combeferre di un saluto, ancora visibilmente offesa.
Grantaire e Jehan erano fuori all’aula. «Fammi capire: sai tutte quelle cose senza aver mai aperto un libro?», chiese Jehan, stupito.
«Son cose che si sanno e anche se non le studio le so, in un modo o nell’altro», rispose Grantaire, con un piccolo sorriso.
«Grantaire? Posso parlarti un momento?».
L’interessato non si voltò, quasi paralizzato da quella voce che ormai aveva imparato a memoria. Fu Jehan a destarlo dandogli un colpetto sulla spalla.
«S-sì, certamente», fece lui girandosi e vedendo Apollo, nascondendo la sua sorpresa.
«Mi chiedevo se ti andrebbe di vederci fuori scuola per un incontro».
Non stava accadendo davvero.
In un primo momento, Grantaire inarcò un sopracciglio. «Incontro?», chiese, confuso.
«Io e il mio gruppo di amici teniamo delle riunioni al Café Musain per discutere dei problemi che affliggono la nostra scuola e il nostro paese e trovare delle soluzioni. Sto cercando di radunare un gruppo compatto, più ne siamo meglio è e ho pensato che potessi esserne interessato. Ti andrebbe di unirti a noi? Non sei obbligato ovviamente, puoi anche venire soltanto una volta per vedere di cosa si tratta».
Grantaire giurò di non aver capito una parola pronunciata da Enjolras, troppo esaltato per aver ricevuto un invito del genere. «Perfetto. Quando ci vediamo?», fu l’unica cosa che riuscì a dire.
«Domani alle cinque del pomeriggio al Musain».
«Magnifico, non mancherò».
«Se hai qualche amico che credi possa essere d’aiuto fa’ pure», aggiunse Enjolras, ammiccando in direzione di Jehan.
«Va benissimo. Ci vediamo, allora».
«Grazie, ciao».
«Grazie a te!».
Enjolras svanì, e Grantaire dovette perdere dieci anni di vita. «Ti sei ripreso?», gli disse Jehan con un dolce sorriso: doveva aver capito che la presenza di quel ragazzo mandava Grantaire in estasi.
Grantaire annuì, piano. «Non ci credo».
«Dovresti crederci».
Grantaire si domandava perché Enjolras avesse chiesto proprio a lui e incominciò a farsi mille illusioni. Poi si ricordò del giorno prima, quando aveva difeso il ragazzo di fronte all’intera scuola.
«Tu verrai con me», disse infine a Jehan, con un enorme sorriso.
«Io?», fece quello, sorpreso, sgranando gli occhi: «Ti ringrazio, ma preferisco di no…».
«Andiamo! Cos’hai da perdere?».
«Niente, ma non conosco nessuno…», rispose Jean Prouvaire, mesto: «… mi sentirei in imbarazzo…».
«E io sono nessuno? Potrei offendermi», scherzò Grantaire, facendogli l’occhiolino: «Devi essere più disinvolto, ragazzo mio. Coraggio!».
Jehan annuì, non nascondendo un certo stupore sul suo volto: nessuno in quella scuola gli rivolgeva la parola se non per prendersi beffe di lui. Era passato un giorno e Grantaire si era già dimostrato un ragazzo piacevole con cui scambiare due chiacchiere.
Jean Prouvaire non voleva illudersi, ma forse aveva trovato un amico.





 

Angolo Autrice

Buongiorno a tutti! :)
Eccomi con il terzo capitolo! Cosa succede qui? Enjolras rivolge la parola a Grantaire (finalmente!) e la reazione di 'Taire è abbastanza comprensibile, andiamo :'D
Il povero 'Ferre si agita tanto - non è proprio da lui - ma capitelo: è cotto di Eponine da tempo immemorabile, ormai. E 'Ponine fraintende il suo atteggiamento xD
E poi Courf vede questo ragazzo con i capelli rossi... chi potrà mai essere? u.u
E poi c'è tanta amicizia Jehan/Grantaire *w* *sparge cuoricini*

Ringrazio tutti coloro che leggono e Bertile_bousset_enjolras e Pandora Dixon che hanno recensito lo scorso capitolo <3  
Come sempre ringrazio _Rossyj_ ed _ems per il loro appoggio ♥
Dovrei aggiornare o venerdì o sabato prossimo, o domenica(?). Alla prossima!
SmartieMiz

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Capitolo 4
*** I ragazzi del Musain ***


Capitolo IV ~ I ragazzi del Musain



Il freddo era giunto piuttosto in anticipo: quella mattina Parigi era gelida. Le vie ricoperte di foglie rosse davano una sensazione di calore e vivacità, nonostante l’arrivo del gelo.
Eponine camminava verso scuola. I capelli bruni le scendevano dolcemente sulle spalle; indossava una felpa grigia di un paio di taglie più grande e ascoltava la musica.
Quello era il momento della giornata in cui non pensava a niente, se non a se stessa. Non esisteva nessun Marius e nessun problema, ma soltanto la musica che le attraversava la mente e il cuore.
Tuttavia, qualcosa la distrasse quel giorno: dietro ad un muretto, un ragazzino del primo anno era accerchiato da un gruppo di ragazzi.
Eponine si tolse le cuffiette e provò ad origliare.
«Sgancia i soldi, moccioso».
«E già che ti trovi, dacci anche il cellulare».
Eponine riconobbe quella voce: era la voce di Montparnasse. Montparnasse era un ragazzo dell’ultimo anno ed era un amico di famiglia. Per Eponine era stato anche il suo amico d’infanzia, ma con il passare degli anni aveva incominciato a non sopportare più il suo atteggiamento.
«Hey, Montparnasse e voi altri», Eponine si mostrò allo scoperto: «Sparite».
«E tu saresti?», chiese un ragazzo.
«È la figlia dei Thénardier», rispose Montparnasse con pacatezza, poi si rivolse al ragazzino e fece: «L’angelo custode è venuto a salvarti, sei stato fortunato. Ora scappa prima che cambi idea».
Il ragazzino non se lo fece ripetere due volte e se la diede a gambe levate.
«Ti fai sottomettere da una smorfiosa?», mormorò un altro ragazzo.
Montparnasse rimase impassibile. «Lasciateci soli», disse, semplicemente.
I compagni fecero spallucce, per poi eseguire la sua volontà. «’Ponine, è sempre un piacere vederti, peccato che ti vedo sempre nei momenti meno opportuni», esordì il ragazzo.
«Il piacere è tutto mio, ‘Parnasse, e sarò ancora più felice di vederti quando la smetterai di intimorire i ragazzi più piccoli», rispose lei, risoluta.
«Perché mai dovrei smettere?».
«Perché mai dovresti continuare?».
«L’ho sempre fatto e così farò».
«Hai sempre sbagliato e continuerai a sbagliare».
«Per me non è sbagliato. La cosa è sempre relativa».
Eponine sbuffò. «Se non ti dispiace ora dovrei andare a scuola e no, non ho intenzione di essere accompagnata da uno come te. Non fare guai in mia assenza», e andò via.
Montparnasse sorrise: quella ragazza sarebbe stata senz’altro la sua rovina.
 
«Io sarò anche matto, ma tu Jehan, sei un completo idiota».
«Perché?».
«Non puoi essere in ansia per un semplice colloquio tra ragazzi! Come te lo devo far capire? Non stai per incontrare la Regina d’Inghilterra o il presidente degli Stati Uniti!».
Grantaire e Jehan stavano fuori scuola. Nel giro di pochissimi giorni erano diventati inseparabili e molti a scuola si erano meravigliati di quella strana coppia. Erano noti come l’alcolizzato e il figlio dei fiori, oppure più semplicemente i due froci.
«Ma non conosco nessuno! Eccetto te», aggiunse Jehan all’occhiataccia di Grantaire: «Mi sentirò sicuramente a disagio, come sempre… ho deciso: mi porterò un libro e mi rintanerò in un angolino, sarà la cosa migliore da fare…».
«Se ti porti il libro te lo brucio, okay? Smettila di farti paranoie», fece Grantaire: «Mal che vada ci sono io. Non sei solo come credi».
Grantaire era assolutamente sfrontato ma decisamente efficace: le sue parole erano come un toccasana per il timido Prouvaire.
«Sta’ tranquillo, davvero. Enjolras frequenta gente a posto, ne sono più che sicuro», aggiunse Grantaire: «Non ci sarà nessuno a tormentarti, se è questo che ti preoccupa».
 
La giornata passò come in un battito di ciglia. Jehan arrivò a casa prima del solito: doveva aver corso.
«Buongiorno, caro. Già a casa?», lo salutò la signora Prouvaire.
Jehan posò lo zaino a terra. «Ciao, mamma. Sì, ho degli impegni oggi».
La signora Prouvaire annuì, non nascondendo una certa curiosità.
«Papà quando torna?», chiese Jehan.
«Stasera alle otto», rispose sua madre: «Oggi ha da fare a lavoro…».
Jehan annuì. «Oggi alle cinque dovrei uscire», la informò.
«Sì, lo so che vai sempre in biblioteca, è inutile che me lo dici», disse la donna con un piccolo sorriso.
«No, non devo andare in biblioteca», fece Jehan, poi spiegò quasi con vergogna: «Sono stato invitato da un gruppo di ragazzi per discutere dei problemi della scuola. E del paese. Al Musain, hai presente?».
Evitò di dire “ho conosciuto un ventenne alcolizzato di nome Grantaire che però è molto simpatico ed è una bravissima persona e mi ha convinto anzi costretto a venire con lui”.
La signora Prouvaire sgranò gli occhi. «Jean, ma è una bellissima notizia!», lo abbracciò, e Jehan si sentì in estremo imbarazzo. Era vero, in quei diciassette anni di vita non era uscito molte volte con altre persone, ma non pensava che sua madre avrebbe avuto una reazione così eccessiva.
«Sono brave persone?», fu l’unica cosa che osò chiedere.
Jehan deglutì.
Non conosceva nessuno.
«Sì, suppongo di sì», rispose infine Jehan, fidandosi delle parole di Grantaire e della sua fiducia cieca in quell’Enjolras.
 
«Non fanno per me queste cose, Courf».
«Avanti, che ti costa! Enjolras è diventato decisamente irritante nei miei confronti e ho bisogno di una spalla amica».
Courfeyrac aveva telefonato Marius e stava provando a convincerlo a venire con lui al Musain. «Okay, Enjolras non è proprio quello che s’intende per una persona amichevole, ma ci sono io con te, e tu con me».
«Devo studiare».
«Pontmercy, trovati una scusa migliore!», sbuffò Courfeyrac: «Siamo agli inizi della scuola, se non esci ora non uscirai mai più».
«Molto rassicurante».
«Ti ho convinto?».
«Quasi».
«Bene. Passo sotto casa tua alle cinque meno dieci».
«Va bene. Ah, dimenticavo di dirti una cosa di vitale importanza».
«Cosa?».
«Cosette. Si chiama Cosette!». Courfeyrac non poté vedere il tenero sorriso che era comparso sul volto dell’amico.
«La ragazza nuova?».
«Sì. Ha uno sguardo dolcissimo, Courf. Devo conoscerla».
Courfeyrac ridacchiò. «Ti sosterrò, lo sai, mentre io rimarrò scapolo a vita».
Marius rise. «Conoscerai anche tu la donna della tua vita, vecchio mio».
Courfeyrac arricciò il naso. «Nah. L’amore è una cosa stupida, ho capito che non fa per me. Si vive meglio senza: meno intralci e meno problemi».
 
Sto fuori al Musain. Non oso entrare finché non arrivi – Jehan
 
Sto per raggiungerti e farti una partaccia ;) – R
 
«Eccoti!», Grantaire comparve dietro Jehan, facendolo quasi sussultare.
«La partaccia?», chiese l’altro, con un timido sorriso.
«Te la risparmio, ma sappi che non sono queste le cose di cui bisogna vergognarsi. Devi smetterla di essere così… così preoccupato per tutto, ecco», rispose il compagno, senza peli sulla lingua, poi disse: «Entriamo?».
Jehan annuì. I due ragazzi varcarono la soglia del Musain e subito Grantaire individuò Apollo, seduto ad un tavolo in fondo con dei ragazzi.
«Buongiorno», fu il saluto di Enjolras.
«Buongiorno a tutti», rispose Grantaire, controllando le sue emozioni: «Sono Grantaire, lui è Jean Prouvaire».
«Combeferre, piacere di conoscervi», un ragazzo con i capelli biondo-castano e gli occhiali li salutò molto cordialmente.
«Feuilly, piacere», un ragazzo poco più grande d’età tese loro le mani con un sorriso.
«Bahorel. Ah, ma io vi vedo sempre», esordì un ragazzo.
A Jehan venne un brivido. Riconobbe immediatamente Bahorel: era il quarterback della squadra di football della scuola. Non l’aveva mai tormentato, ma ormai Jehan aveva paura di ogni singolo giocatore.  
«Io sono Bossuet, lui è Joly», si presentarono due ragazzi piuttosto stravaganti, uno calvo e l’altro piuttosto pallido.
«Eccoci! Scusate il ritardo!».
I ragazzi si voltarono: erano appena entrati Courfeyrac e il suo amico.
«Lui è Marius Pontmercy. Marius, lui è il famoso e terribile Enjolras di cui ti parlavo!».
Enjolras storse il viso. «… lui è il carissimo Combeferre, quello che sta tossendo come un dannato è Joly e quello sempre al suo fianco è Bossuet, quello forte e robusto è Bahorel, quello riccio è Feuilly e… oh ciao! Altri novellini?».
«Courfeyrac, la smetti di parlare, di grazia?», prese posizione Enjolras, piuttosto scocciato: «Loro sono Grantaire e Jean Prouvaire».
Courfeyrac sorrise, calorosamente. «Piacere di conoscervi! Ho sentito parlare di te», disse, porgendo la mano a Grantaire, poi si avvicinò a Jehan, quasi con esitazione.
Immediatamente riconobbe il ragazzo del parco.
«Sei tu Jean Prouvaire, giusto?».
Jehan sentì qualcosa all’altezza dello stomaco. Non era il timore che aveva provato nel salutare Bahorel, e nemmeno il senso di vergogna che lo assaliva costantemente.
Era ben altro.
«S-sì, puoi c-chiamarmi Jehan, s-se vuoi», balbettò il ragazzo, facendosi rosso per l’imbarazzo.
Courfeyrac gli sorrise, un sorriso dolcissimo e gentile. Jehan perse un battito nel senso più letterale del termine.
«Courfeyrac, piacere», il ragazzo gli strinse la mano, poi cercò di metterlo a suo agio dicendogli: «Spero ti troverai bene con noi».
«T-ti ringrazio».
Dopo qualche minuto, i ragazzi presero tutti posto. Grantaire alternava momenti di contemplazione del posto a momenti di contemplazione di Apollo; Jehan, invece, aveva il capo chino.
«Dichiaro ufficialmente aperta la prima seduta dell’anno de Les Amis de l’ABC», esordì Enjolras.
Courfeyrac notò gli sguardi confusi di Jehan, Grantaire e Marius.
«Dell’ABC, sì. È un nome bellissimo che abbiamo inventato io, ‘Ferre ed Enj all’asilo e siamo affezionati, ormai. Ma questa è un’altra storia!», spiegò Courfeyrac con una risata.
«Abaissé è anche il popolo!», lo rimbeccò Feuilly.
Combeferre fece un cenno a Courfeyrac, invitandolo a tacere. Enjolras lo ignorò completamente: «Frequentiamo tutti lo stesso liceo eccetto Feuilly che è comunque pronto a darci una mano per qualsiasi cosa. Possiamo iniziare a stilare la lista delle cose che vorremmo cambiare in quest’istituto, partendo da quelle più urgenti e che consideriamo più rilevanti».
Joly alzò la mano. «Di’ pure», lo invitò a parlare Enjolras.
«Maggior sicurezza per quanto riguarda gli armadietti. Non so chi e non so nemmeno come faccia, ma qualcuno si frega sempre tutte le mie medicine! Sono costretto a portarmele nello zaino ogni giorno», protestò il ragazzo.
«Ma piantala, Joly: non sei malato!», Bahorel alzò gli occhi al cielo: «Sei soltanto malato mentalmente, ecco».
«Bahorel, ho la tosse da tre settimane! Potrei tossire fino allo sfinimento per poi soffocarmi e morire», spiegò Joly, convinto.
«Ha ragione!», concordò Bossuet: «Non fa altro che tossire dalla mattina alla sera…».
«Combeferre, puoi aggiungerlo alla lista», tagliò corto Enjolras: «Il prossimo?».
Questa volta fu proprio Combeferre ad alzare la mano. «Io avanzerei la proposta di richiedere colloqui con il preside. L’istituto va a rotoli proprio perché non è possibile dialogare con il suo organo principale».
«Ben fatto, ‘Ferre, giustissimo», approvò Enjolras: «Qualcos’altro?»
«Introduzione di sorveglianti dato che non ce ne sono, e che siano competenti. Il bullismo si sta espandendo a macchia d’olio e bisogna fare qualcosa di concreto contro di esso», continuò l’amico.
I ragazzi annuirono. Jehan si limitò a non guardare nessuno in faccia.
«Io avrei una proposta», alzò timidamente la mano Marius.
Enjolras inarcò un sopracciglio, interessato. «Parla pure, Pontmercy».
«I distributori non funzionano da circa un anno. Credo sia necessario fare qualcosa».
Bahorel non si trattenne: a quelle parole rise sguaiatamente. Marius fu squadrato minacciosamente da Enjolras da capo a piedi. Courfeyrac strinse i denti e incominciò a pregare per il suo amico.
«E questa ti sembrerebbe una richiesta urgente?», disse Enjolras, con assoluta fermezza: «Si può vivere benissimo senza distributori».
«Ma se ad esempio mi viene mal di stomaco o mal di pancia non posso prendere nemmeno una camomilla o un tè caldo…», aggiunse Marius, cercando di dare prestigio alla sua proposta.
«Vai in infermeria a prenderti qualcosa», gli suggerì Joly con premura.
«Oppure vai alla mensa», aggiunse Feuilly: «Di solito hanno sempre qualche tisana o camomilla».
Grantaire ridacchiò. «Beh, a questo punto io richiedo la distribuzione di vino e birra alla mensa. Andiamo, si beve soltanto acqua a scuola! Un po’ di vino risolleverebbe il morale di tutti gli studenti che saranno poi incentivati a studiare. La scuola ci guadagnerebbe soltanto!».
Questa volta fu Jehan a recitare preghiere per Grantaire.
Enjolras guardò Grantaire: era la prima volta che lo scrutava con assoluta freddezza. «Spero per te fosse una battuta», disse, algido.
Grantaire rise. «Ovviamente! Anche se non sarebbe male», disse, divertito, poi si rivolse ad un cameriere: «A proposito, avete del buon vino?».
Enjolras scosse il capo. Combeferre notò la sua disapprovazione: sembrava quasi deluso. Forse aveva visto in Grantaire del potenziale quando l’aveva difeso di fronte all’intera scuola e quando aveva parlato durante l’ora d’arte.
Forse si era sbagliato.
Grantaire era l’alcolizzato, proprio come era chiamato a scuola. Nient’altro che un alcolizzato.
«Qualcuno ha intenzione di avanzare una proposta intelligente?», domandò Enjolras.
«Jehan, per esempio. Ancora non hai parlato!».
Jehan alzò il capo, incontrando gli occhi vivaci di Courfeyrac che lo scrutavano e il suo sorriso appena accennato sulle labbra.
Sentì il cuore battere all’impazzata.
«Io… beh, ecco, io…», incominciò a tentennare Jehan.
Io cosa?
Per Jehan il problema più urgente di quell’istituto era assolutamente il bullismo, ma ormai vi era abituato.
«Io concordo pienamente con Combeferre in tutto e per tutto», disse, infine, poi aggiunse: «Ci sarebbe un’altra proposta, ma di certo non è di grande importanza per il bene dell’istituto… cioè sì, potrebbe esserlo, ma non è una priorità, insomma…».
Courfeyrac era curioso. «Di' pure», lo incitò.
«Sicuramente la tua proposta sarà meno stupida di quelle che abbiamo appena avuto la sfortuna di ascoltare», osservò Enjolras.
Jehan arrossì. Tuttavia, prese coraggio e parlò speditamente, senza balbettare: «Ho notato che questo liceo non propone attività che possano incoraggiare lo studente. Vi sono soltanto attività sportive e dall’anno scorso sono stati introdotti i club di teatro e musical e quello di cucito. Secondo me sarebbe opportuno introdurre altre attività che possano stimolare la creatività degli studenti, ma anche il pensiero. Club di scrittura, di disegno, di lettura… ma anche gruppi di dibattito politico, economico, sociale… qualcosa di simile a questo, per esempio. Per molti di noi questo è l’ultimo anno, ci attende l’università. Non so voi, ma la penso così».
«Non hai tutti i torti», fece Enjolras: «Insomma, è una gran bella idea. Anche questo è importante».
«Sì, infatti», condivise Combeferre, poi disse ispirato: «Formare le giovani menti e proiettarle verso il futuro… è essenziale per il progresso umano».
«Concordo! Io già so per certo cosa fare dopo il liceo ma ci sono studenti che ancora non ne hanno la minima idea. Anche dei corsi di orientamento sarebbero l’ideale», parlò Courfeyrac.
«Quanto ti ci metti d’impegno dici cose intelligenti, però!», scherzò Feuilly.
«Avevi dubbi, amico?», rise Courfeyrac.
Jehan sorrise, lievemente. Il calore di quelle persone lo avevano reso un po’ più allegro, riuscendo a scacciare per un po’ la sua costante malinconia.
«Mi piace, Jehan. Bravo», disse Grantaire, finendo la bottiglia di vino che aveva ordinato poco prima. Ne ordinò un’altra. «Un corso di enologia, per esempio, con visite guidate annesse nei vigneti più prestigiosi della Francia. Sarebbe grandioso!».
Grantaire rise, un po’ rosso in viso, facendo ridere anche gli altri.
«Ragazzo, sei uno spasso. Credo di amarti», disse Bahorel, sbellicandosi dalle risate.
Enjolras era profondamente sdegnato.
Come aveva potuto fare un simile sbaglio? Perché aveva dato a Grantaire fiducia che non meritava?
L’incontro terminò un’ora più tardi. I ragazzi si salutarono e furono tutti molto carini con Jehan, in particolare Feuilly, Joly e Bossuet.
E Courfeyrac.
«Alla prossima!», gli disse, dandogli una pacca amichevole sulla spalla.
Jehan arrossì, inevitabilmente. «Q-quando?», farfugliò di nuovo.
«Non so, solitamente ogni mercoledì pomeriggio. Potresti lasciarmi il tuo numero così posso farti sapere, se vuoi».
«C-certamente», fece Jehan, rossissimo per l’imbarazzo e per l’emozione: «Il mio numero è questo…».
I ragazzi si scambiarono i numeri di cellulare, poi Courfeyrac lo salutò e con un sorriso andò via.
Un sorriso che però non scomparve dalla testa di Jehan.
«Jehan, sei un pomodoro. Sei rosso», Grantaire rise, barcollando verso l’amico.
«Anche tu. Hai bevuto troppo», rispose Jehan, serio: «Ti accompagno a casa. Dove abiti?».
«Abito a casa mia!», rispose lui con un sorriso, per poi ridere di nuovo.
Enjolras osservava la scena da lontano con assoluta discrezione, in silenzio e inorridito. Gli occhi color ghiaccio di Grantaire erano gonfi e ormai rossi: la sua espressione era alterata dall’ebbrezza.
Scosse il capo, come se volesse cancellare chissà quale pensiero dalla testa.
Abbandonò il Musain.
 






 

Angolo Autrice

Buongiorno a tutti! :)
Ecco il quarto capitolo dove finalmente abbiamo tutti les Amis al completo!
Innanzitutto iniziamo con un esemplare di Montparnasse (♥) che Eponine ferma con gran stile. Sarà sempre così? Chi lo sa! v.v
Jehan e 'Taire sempre più amici e sempre più cuccioli *w*
Abbiamo Enjolras e le gaffe di Grantaire, e poi abbiamo Courf, e Jehan è completamente andato in un mondo di unicorni e glitter.
Meglio che mi fermo a sparare stronzate XD
Che dire? Ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono <3
Credo che aggiornerò ogni venerdì, salvo imprevisti.
Alla prossima! :)
SmartieMiz

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Capitolo 5
*** Un sabato sera differente ***


Capitolo V ~ Un sabato sera differente



Quel giovedì Grantaire non si presentò a scuola. Jehan non si preoccupò più di tanto: la sera precedente l’aveva accompagnato a casa e si era addormentato come una pera cotta.
La giornata passò molto lentamente. Durante la pausa Jehan restò da solo nell’aula di storia: senza Grantaire si sentiva come un pesce fuori dall’acqua.
Quando la campanella suonò, fu costretto a lasciare l’aula per prendere i libri di matematica. Si avvicinò al proprio armadietto e mise a posto le sue cose.
«Jehan! Ciao!».
All’udire il proprio nome, rimase immobile per qualche secondo per lo stupore. Chi lo stava salutando?
Si voltò e vide Enjolras e Combeferre.
Jehan sorrise, lievemente. «Ciao».
«Stiamo lavorando sulle proposte e abbiamo intenzione di attendere l’elezione dei rappresentanti d’istituto per poterle presentare in presidenza», lo informò Enjolras.
«Sempre se ci permettono di dialogare con il preside», precisò Combeferre.
Jehan annuì. «Grandioso. Speriamo ci diano ascolto…».
«Già», confermò Enjolras: «Devono farlo».
Combeferre si guardò un po’ intorno. «Jehan, ma quell’amico tuo dov’è? Mi sembra si chiami Grantaire…».
Al sentire quel nome, Enjolras assunse un’espressione indignata.
«Oggi non c’è», rispose semplicemente Jehan.
«Ah va bene. Ci vediamo, a presto!», lo salutò Combeferre, per poi andare via con Enjolras.
Jehan sospirò: il pensiero che Enjolras e Combeferre si fossero ricordati di lui lo sollevava.
Il ragazzo prese finalmente i suoi libri e si incamminò verso l’aula di matematica. Durante il suo percorso, lo vide.
Aveva i capelli castani e ricci, morbidi e arruffati. I suoi occhi a mandorla erano vivaci e pieni di vita e risaltavano sul suo bel viso pallido. Le labbra erano sempre incurvate leggermente all’insù.
«Ciao!».
Courfeyrac salutò Jehan, molto naturalmente, con un sorriso.
Non era solo: era affiancato da Alain, Pierre e Vincent.
Tra i tre, Pierre e Vincent erano coloro che, tra tanti ragazzi a scuola, lo schernivano e lo seccavano. Alain era sempre stato molto neutrale, o almeno non aveva mai offeso Jehan in modo diretto.
Tuttavia, Jehan li ignorò completamente e sorrise dolcemente a Courfeyrac. «Ciao!», rispose, rosso in viso come suo solito, per poi andare via.
 
«Chi hai salutato?», chiese immediatamente Alain a Courfeyrac una volta certo che Jehan fosse andato via.
«Un ragazzo», rispose lui, molto vagamente.
«Un ragazzo?», rise Pierre: «Insomma, l’hai guardato bene? Quello che tu definisci ragazzo sprizza tutto tranne che virilità».
«Come lo conosci?», chiese invece Vincent.
«È un interrogatorio?», chiese Courfeyrac, innervosito: «Non è permesso salutare persone in questa scuola?».
«Oh per carità, nessuno ha detto questo, ma soddisfa la curiosità dei tuoi amici», lo rinfrancò Alain: «È che ci sembra strano che uno come te conosca certa gente».
«Certa gente? È per caso un assassino, un furfante, una cattiva persona?», rispose Courfeyrac, spazientito. Il ragazzo quasi si meravigliò della sua reazione eccessiva: non conosceva nemmeno quel Jean Prouvaire, aveva scambiato con lui sì e no due parole e gli aveva dato un fastidio immane sentir parlare di lui in quel modo. A primo impatto gli era apparso come un ragazzo molto timido e riservato; tutto tranne che una brutta persona.
«È un frocio del cazzo, e questo dovrebbe bastarti», rispose Vincent, inasprito.
«Quindi?», chiese Courfeyrac, seccato: «Che cosa dovrei fare?».
«Quindi ti converrebbe stare attento», rispose Alain, tranquillo: «L’hai visto come ti guarda?».
«È solo molto timido», provò a giustificarlo Courfeyrac, invano.
«Un ragazzo semplicemente timido non guarda un altro ragazzo in quel modo», concluse Alain, poi disse: «Io e Pierre abbiamo matematica adesso. Ci vediamo dopo!».
 
Jehan prese posto al primo banco.
«Dammi il quaderno», gli disse Pierre non appena gli fu vicino.
«Copia velocemente», si limitò a dire Jehan.
Pierre inarcò un sopracciglio. «No, forse non ci siamo capiti: dammi il tuo quaderno e basta», disse, con un sorriso impercettibile.
«Mi serve».
A quella risposta, Pierre s’innervosì.
«Senti, fiorellino», Pierre gli si accostò, appoggiando le mani sul banco e parlando sottovoce: «io non ci metto niente a stenderti con un pugno, e lo sai bene. Avanti, fa’ il bravo e non fare tante storie».
Jehan si fece rosso, questa volta di rabbia. Era in momenti come quelli che si sentiva impotente e completamente inutile. Si sentiva debole e aveva una gran voglia di parlare, di esprimersi. Ma non ci riusciva, o almeno non ci riusciva più, non come prima.
Jehan era troppo buono per prendersela con gli altri, perciò se la prendeva sempre con se stesso.
Gli diede il quaderno, senza nemmeno guardarlo in faccia. «Oggi mi sento così buono che ho voglia di ringraziarti. Grazie, sei un tesoro!», fece Pierre con un falso sorriso, per poi rifugiarsi all’ultimo banco. Jehan sospirò, rassegnato.
Una ragazza si avvicinò al suo banco. «Posso sedermi qui?», domandò.
Jehan non la guardò nemmeno. «Come vuoi tu», rispose.
La ragazza prese posto accanto a lui, sistemò la propria borsa e aprì un libro sul banco: il professore doveva ancora arrivare. Impaziente, picchiettò le dita contro il banco per qualche minuto. Anche se lo faceva con molta discrezione, non aveva smesso nemmeno un secondo di osservare il ragazzo sedutole accanto per capire cosa fosse successo.
«Okay», disse improvvisamente, destando l’attenzione del compagno: «ti vedo agitatissimo. Devi essere interrogato?».
«No».
La ragazza sospirò. «Hai dimenticato il quaderno?».
«No. L’ho regalato a Pierre, praticamente», disse, con un sorriso cinico.
La ragazza si voltò indietro. «Ah, Pierre, ho capito. Beh, puoi sempre prendere un foglio e copiare gli esercizi da me prima che arrivi il prof., se vuoi», cercò di rassicurarlo.
Jehan non capì perché tutta quella gentilezza. C’era un doppio fine?
«N-non preoccuparti…».
«Oh, ma non preoccuparti tu!», fece lei, amichevolmente, porgendogli il quaderno: «Fa’ pure».
«Io non so come ringraziarti…».
Lei sorrise, semplicemente. «Cosette Valjean, piacere di conoscerti».
«Jean Prouvaire», rispose lui: «Sei molto gentile», osò aggiungere.
Cosette si limitò a sorridere, un sorriso dolce e assolutamente sincero.
Per un momento pensò al sorriso di Courfeyrac.
 
Quel pomeriggio – come quasi tutti i pomeriggi – Enjolras era a casa di Combeferre (o viceversa). I due amici erano inseparabili: studiavano insieme e organizzavano praticamente qualsiasi cosa insieme.
«E se quest’anno spostassimo l’incontro de les Amis de l’ABC dal mercoledì pomeriggio al venerdì sera? E magari ne facciamo due a settimana, anche il sabato sera», propose Enjolras, mentre Combeferre sistemava i propri libri in ordine alfabetico.
«Il sabato sera non verrebbe nessuno, e neanche il venerdì», rispose il ragazzo: «Forse solo Feuilly sarebbe disposto a cambiare giorno».
Enjolras annuì, pensoso. «Ma converrebbe anche a Joly, Bossuet e Bahorel. Anche loro hanno impegni e devono studiare, no?».
«Fidati, Enjolras, già è tanto che riusciamo a vederci una volta a settimana», disse l’amico.
Enjolras sbuffò. «Mi chiedo cosa facciano il sabato sera!».
Combeferre rise con leggerezza, divertito. «I comuni adolescenti escono a quest’età, amico mio. Siamo noi gli unici asociali a leggere trattati di diritto o medicina e a guardarci Star Wars e i film che piacciono soltanto a noi», disse con assoluta normalità, ignorando il fatto che anche lui fosse un adolescente.
«È triste come cosa?», chiese il ragazzo.
«Un pochino, ma non mi lamento», sorrise Combeferre.
Ci fu qualche minuto di silenzio, poi Combeferre esordì con una domanda: «Posso chiederti una cosa?».
«Siamo in democrazia», si limitò a rispondere Enjolras.
«Non mi hai detto proprio niente di questo Grantaire. All’improvviso si è presentato per il nostro incontro. Non mi sto lamentando mica, ma questa cosa mi incuriosisce parecchio».
«Cosa vuoi sapere?», chiese Enjolras, senza rendersi conto di essersi inasprito.
«Cosa ti ha spinto a convocare anche lui?».
Prima di rispondere, Enjolras pensò bene a cosa dire. «Credo sia un ragazzo intelligente, sagace, e la società ha bisogno di menti giovani e brillanti. Tutti lo vedono come l’alcolizzato. La gente vede soltanto i lati negativi delle persone. È stato… strano. Una parte di me ha voluto dargli fiducia, l’altra diceva in continuazione “ma cosa stai facendo, Enjolras? Non lo conosci nemmeno”. Ho voluto dare una speranza ad un completo sconosciuto o quasi, ed ecco le conseguenze».
«Non devi essere troppo severo con lui», gli suggerì Combeferre: «Non perdere così le speranze. Anche Bahorel sembrava e ancora sembra un menefreghista e invece è realmente interessato alla nostra causa. Secondo me Grantaire è un bravo ragazzo e può fare tanto con noi, ovviamente solo se lo vuole anche lui».
«Tutto questo se non bevesse. Ma beve, ed è soltanto d’intralcio con le sue idee improponibili», protestò Enjolras.
«Ma siamo in democrazia e vanno ascoltate tutte le proposte, no?», lo rimbeccò Combeferre.
«Il fatto che vadano ascoltate non implica che vadano anche accettate», fece Enjolras, poi disse: «Cambiamo argomento, per piacere. Mi secca parlare di quel Grantaire…».
Combeferre si limitò ad annuire, ma non avrebbe di certo lasciato in sospeso quella questione.
 
«Chi è?».
«Jehan».
Grantaire gli aprì la porta. «Ah amico, sei tu. Come va?», disse.
«Bene, piuttosto tu come stai?», gli rispose Jehan gentilmente, entrando in casa.
«Meglio», rispose lui, sedendosi sul divano.
Ci fu un breve silenzio. Grantaire quasi deglutì prima di dire: «Ieri ho combinato un disastro, vero?».
«Ti mentirei se ti dicessi di no, purtroppo…», rispose il ragazzo, sincero.
Grantaire si portò una mano alla fronte. «Diamine», imprecò: «Ovviamente ho fatto la figura dell’idiota, come sempre. Chissà adesso cosa penserà Enjolras di me…».
Il modo in cui lo disse fece tenerezza a Jehan. Il ragazzo prese posto accanto a lui. «Non abbatterti. C’è sempre una seconda occasione».
Grantaire annuì, poco convinto. «E comunque dovresti moderarti col bere, sai? Non ti fa di certo bene bere tutto quest’alcool», aggiunse Jehan.
«È come se mi stessi chiedendo di morire», rispose Grantaire, quasi divertito.
«Ci sono ben altri modi per dimenticarsi del mondo e per vivere davvero, se è questo che intendi. Bere di certo non ti aiuta».
Jehan era spaventosamente serio. Questa volta era Grantaire a sentire le sue parole sagge e veritiere, e nessuno prima d’ora gli aveva mai parlato in quel modo, così profondamente.
«Anch’io avrei potuto darmi all’alcool anni fa se avessi voluto, ma non l’ho fatto. Bisogna essere più forti di certe cose», continuò Jehan, per poi interrompersi e concludere il discorso.
Grantaire non seppe che cosa dire, e non osò chiedergli altro per non metterlo a disagio. «Ti ringrazio», si limitò a dirgli sottovoce, accennando un sorriso: «Sei un bravissimo ragazzo, Jehan».
Jehan sorrise, un sorriso molto tenue e breve. La malinconia stava ritornando ad impadronirsi di lui.
 
Il giorno dopo Eponine era piuttosto ansiosa. Camminava nervosamente per i corridoi della scuola, cercando il volto di Marius invano. Si era decisa a chiedergli di uscire e perciò era molto agitata.
L’unico volto che sfortunatamente trovò fu quello di Montparnasse.
«Ci si rivede, Thénardier», la salutò, appoggiandosi all’armadietto adiacente a quello della ragazza.
«Hey, Montparnasse», fece lei, seccata: «Che gioia vederti».
«Lo so che sei sempre felice di vedermi, è inutile farmelo notare sempre», scherzò lui, cinico.
Eponine sbuffò. «Sei libera domani sera?», le domandò Montparnasse.
Lei alzò il volto, guardandolo sorpresa. «Perché me lo chiedi?».
«Tranquilla, bocconcino, non ti sto chiedendo nessun appuntamento», rise lui, facendole alzare gli occhi al cielo: «Tuo padre ed io abbiamo degli affari di cui discutere e lui vuole che tu sia presente».
«Col cavolo che sarò presente», sbuffò Eponine: «Quante volte vi ho detto che non voglio essere coinvolta nei vostri loschi piani?».
Montparnasse si limitò a ridere, facendo innervosire la ragazza. «Pensaci bene, Eponine. Pensa a cosa è davvero importante per te», disse, per poi andare via.
Eponine sbatté il proprio armadietto con forza. «Di certo non siete voi la mia priorità», mormorò, indignata.
Tra i ragazzi, Eponine finalmente scorse Marius.
«Marius!», lo chiamò da lontano: «Marius! Hey!».
Marius salutò gli amici, per poi avvicinarsi a lei. «Eponine, ciao! Dimmi che sei riuscita a fare quello che ti avevo chiesto! Ti prego!».
«Cosa?», rispose Eponine, senza nemmeno pensarci.
Chiedere il numero a Cosette.
Quando quel pensiero le tornò in mente, si sentì malissimo. «No. Ancora devo avere un dialogo con quella ragazza», disse, con un sorriso sprezzante.
Marius sembrava intristito. «Ah, che peccato. Ci conto però! Ora devo andare, a presto ‘Ponine!», e si congedò.
Eponine strinse i pugni per la rabbia. Non aveva avuto nemmeno il tempo di parlare e di chiedergli di uscire.
 
Cosette camminava per i corridoi. Era passata poco più di una settimana in quella scuola e ancora non era riuscita ad ambientarsi completamente.
Non aveva un amico, e questo la faceva sentire davvero sola e triste. Tutti i ragazzi erano gentili con lei – o almeno fingevano di esserlo – ma nessuno sembrava davvero interessato a frequentarla e ad averla come amica.
«Eponine, ma quando lo capisci che non ti fila nessuno?».
«Nemmeno ci rinunci, eh? Lui è popolare, non ripiegherà mai su una sfigata come te».
«Non sarai nemmeno la sua ruota di scorta».
Erano queste le parole che aveva udito Cosette mentre cercava l’aula di storia. Vide tre ragazze accanto ad una dai capelli bruni.
«Non credo che questi siano affari che vi riguardano», rispose quella che doveva chiamarsi Eponine.
«Oh sì, invece, dal momento che già c’è un interesse verso di lui qui a scuola. Rassegnati, Eponine: morirai sola».
«Non mi sembra la cosa più sconcertante di questo mondo. La più brutta cosa sapete qual è? Essere delle povere ignoranti come voi!».
Non era stata Eponine a rispondere, bensì la ragazza nuova dai capelli biondi e gli occhi chiari.
Cosette.
Quando la vide, Eponine sgranò gli occhi: l’interesse amoroso di Marius era lì, di fronte a lei, e l’aveva appena difesa.
Le tre ragazze si guardarono tra loro, visibilmente offese e a corto di parole. «Ragazza nuova, stai attenta», si limitò a dire una delle tre: «Non ci piaci nemmeno un po’».
«Neanche a me piacete molto», rispose Cosette con un sorriso impercettibile.
Le ragazze le riservarono un’ultima occhiata per poi andare via.
Eponine non sapeva cosa fare. Avrebbe dovuto ringraziare Cosette?
Macché! Era lei la sua rovina, il suo intralcio, il suo ostacolo.
Avrei potuto cavarmela da sola, pensò di dire Eponine. Anche se la detestava, non riusciva a dirle una cosa del genere.
Era stata gentile, e non voleva essere scortese.
«Grazie», disse, semplicemente, senza nemmeno guardarla in faccia.
«Prego, non ho fatto niente di che», Cosette le sorrise, sincera, poi per rompere il ghiaccio le domandò: «Che ora hai adesso?».
«Storia», rispose Eponine.
«Ah bene, anch’io! Possiamo andarci insieme se vuoi».
Eponine si limitò ad un sorriso falso.
Sei felice adesso, Marius? Stiamo per diventare amiche, pensò Eponine, crucciata.
 
Sabato arrivò. La settimana dopo avrebbero finalmente svelato i nomi dei nuovi rappresentanti d’istituto.
Enjolras aveva già accettato con pazienza l’imminente sconfitta: era consapevole che in un istituto intero avrebbe avuto soltanto i voti di Combeferre, Joly, Bossuet, Bahorel e forse di qualcun altro, e che non ce l’avrebbe mai fatta a diventare rappresentante.
Ad Enjolras poco importava: sapeva di poter fare comunque qualcosa per quell’istituto, anche se non ne sarebbe divenuto il rappresentante.
Era per questo che per quell’anno, ancora più fortemente rispetto agli anni precedenti, aveva in serbo più riunioni e incontri de les Amis de l’ABC: i progetti da realizzare erano tanti, e la determinazione di Enjolras era anche maggiore.
Fu per questo che quel sabato pomeriggio Enjolras aveva inviato un sms ai suoi amici chiedendo loro di venire a casa sua. Tutti avevano protestato per la pessima scelta del giorno, ma Enjolras li aveva calmati dicendo che come premio avrebbero potuto guardare il film che aveva noleggiato Combeferre.
Grantaire fu sorpreso di leggere quell’sms. Quel pomeriggio era a casa di Jehan quando il cellulare di quest’ultimo aveva squillato.
«È impossibile. Avrò bevuto senza accorgermene!».
«Ma leggi tu stesso! Se vuoi puoi portare anche il tuo amico», ripeté Jehan, leggendo il messaggio ricevuto da Courfeyrac: «È chiaro che per mio amico intende esclusivamente te».
Grantaire scosse il capo. «E dopo la scenata dell’altra volta Enjolras riuscirebbe mai a guardarmi senza disprezzo?».
«Sei troppo duro con te stesso. Magari l’avrà anche dimenticato…».
Grantaire inarcò un sopracciglio. «Sii serio, Jehan: come ci si può dimenticare di un pazzo ubriacone che ha delirato un pomeriggio intero?».
Jehan sospirò. «Okay, forse non l’ha dimenticato, ma almeno tu hai imparato qualcosa. Stasera niente alcool, intesi?».
«È sabato sera, cavolo… neanche un bicchierino?», si lamentò il ragazzo.
«Neanche un bicchierino».
«Una birretta? Piccola piccola?».
«Non m’incanti. Nemmeno una birretta», rispose Jehan, con un piccolo sorriso: «Lo sai che lo faccio per te, vero?».
Grantaire sbuffò. «Sei odioso e sei inquietante quando sorridi così», disse, per poi ridere: «ma purtroppo hai totalmente ragione».
 
Eponine si era chiusa nella sua stanza che condivideva con sua sorella Azelma e il fratellino Gavroche. Poteva sentire suo padre nell’altra stanza bisbigliare con alcuni amici di famiglia.
Eponine sapeva che suo padre non era una brava persona, ma non aveva mai voluto approfondire la cosa. Quando Montparnasse l’aveva “invitata” ad essere presente a quella riunione, aveva quasi avuto timore: forse suo padre la considerava abbastanza grande per occuparsi di chissà che cosa.
Aveva rifiutato, ed era per questo che si era rinchiusa nella sua stanza. Non voleva avere niente a che fare con quella gente e ancor meno con il suo vecchio amico Montparnasse.
Qualcuno bussò alla porta.
«Ti ho già detto di no, Montparnasse!», sbuffò Eponine.
«Sono Gavroche».
«Ah».
Eponine si alzò e aprì la porta. «Che carina questa maglietta! Dove vai di bello?», chiese la ragazza al fratellino: erano quasi rari i momenti nei quali quel bambino fosse a casa.
«Vado a casa di alcuni amici», rispose Gavroche: «Hanno la tua età, più o meno. Sono dei tipi in gamba».
Eponine aggrottò le sopracciglia. «E ti trovi bene con loro?», domandò.
«Certo che sì. Parliamo di cose serie, noi. Sarà un modo diverso e interessante per passare il sabato sera».
Senza nemmeno pensarci due volte, Eponine afferrò il cappotto. «Vengo con te. Per piacere! So di non essere invitata, ma ho un bisogno enorme di lasciare questa casa, anche se per qualche ora. Sto per impazzire».
«Non credo sia un problema. Azelma?».
«È uscita con un’amica».
«Perfetto. Scendiamo ora».
 
«I tuoi genitori sono gentili».
«Ti ringrazio».
«Tua madre ci tiene molto a te. Ma anche tuo padre, devo dire».
Jehan sorrise alle parole di Grantaire, semplicemente. Erano diretti alla casa di Enjolras, e durante il tragitto intravidero un ragazzo riccio al fianco di uno molto alto.
Erano Courfeyrac e Marius.
Jehan fece finta di niente, anche se visibilmente agitato.
«Uh, c’è l’amico di Enjolras!», gli fece notare Grantaire.
«Lo so», rispose Jehan, affrettando il passo senza nemmeno accorgersene: «Lo so bene…».
«Ciao!».
Jehan si fermò di botto. Grantaire trattenne le risate. «Allora vi siete decisi, anche voi da Enjolras», fece Courfeyrac con un sorriso.
Jehan maledisse il suo imbarazzo e si chiese perché quel Courfeyrac dovesse sempre sorridere in quel modo così sublime da star male.
«Sì», asserì Grantaire.
«Certo che siete coraggiosi! Mollare il sabato sera per andare da Enjolras!», ridacchiò Courfeyrac.
«Siamo in quattro ad esserlo, allora», rispose Grantaire con una risata.
Grantaire e Courfeyrac subito riuscirono a rompere il ghiaccio; Jehan e Marius erano piuttosto taciturni.
«E tu, Marius? Cosa ne pensi?», chiese Courfeyrac dopo un po’, nel bel mezzo di chissà quale discorso.
«Cosa?», rispose infatti Marius, facendo ridere l’amico.
«Jehan, ti prego, dimmi che almeno tu stavi seguendo la conversazione», fece Courfeyrac.
Diamine.
Jehan boccheggiò qualcosa, poi sparò la prima idiozia che gli fosse venuta in testa. «Sì, e sono completamente d’accordo!».
Grantaire lo guardò, stranito. «Sei completamente d’accordo sul fatto che l’ora di letteratura con Monsieur Leroy sia una palla assoluta?», gli disse.
Jehan sgranò gli occhi. «Ehm, volevo dire l’esatto contrario! N-non sono d’accordo».
Courfeyrac rise, quasi intenerito. Jehan si sentì un completo imbecille. Non voleva fare la figura dell’idiota, ma ormai gli risultava impossibile, soprattutto con quel ragazzo davanti a lui. «Io a-amo la letteratura. E la poesia. C-credo che un uomo sia incompleto senza queste due grandi e incantevoli cose che arricchiscono l’anima…».
«È vero», affermò Courfeyrac: «Bisogna però imparare ad apprezzare queste cose. Sinceramente, Monsieur Leroy mi fa venire voglia di tagliarmi le vene…».
Parlarono per un po’ finché non giunsero da Enjolras.
Attesero che arrivassero anche gli altri. Ad un certo punto fece il suo ingresso un bambino che non poteva avere più di undici dodici anni e una ragazza alta e bruna.
«Ciao a tutti! Ho portato con me mia sorella Eponine, spero non vi dispiaccia», parlò il bambino, poi si presentò a Grantaire e Jehan: «Io sono Gavroche, piacere».
Combeferre impallidì. Avrebbe voluto nascondersi.
«’Vroche, non mi avevi detto che hai una sorella così carina. Non si nascondono queste cose!», scherzò Courfeyrac.
Eponine fulminò Courfeyrac con lo sguardo, poi finalmente si accorse che Marius era lì.
Sorrise inconsciamente. «Marius! Anche tu qui?».
«Hey, Eponine. Sì», rispose il ragazzo.
«E tu la conosci pure e non me l’hai mai presentata? Ma bravo Pontmercy!», fece Courfeyrac, fintamente offeso.
Combeferre storse il viso, ma si trattenne dal dire qualcosa: odiava quando Courfeyrac faceva il cascamorto con le ragazze. Con Eponine, in particolare.
Enjolras sembrava infastidito dalla presenza di una ragazza che non conosceva personalmente; Joly, Bossuet, Bahorel, Feuilly, Grantaire e Jehan furono invece molto aperti nei suoi confronti.
Combeferre si era nascosto dietro Enjolras, praticamente.
«Tu sei della nostra stessa scuola, vero?», le chiese Bossuet.
«Sì, sono al secondo anno», rispose la ragazza.
Combeferre uscì allo scoperto; gli sembrava poco cortese non presentarsi alla ragazza, e sapeva che avrebbe dovuto mantenere la calma come suo solito.
«Combeferre, piacere», le disse, porgendogli la mano.
Eponine riconobbe in lui il suo compagno di banco durante l’ora d’arte. «Piacere», si limitò a dire, accettando la stretta.
«Allora? Diamo il via a questa serata!», parlò Courfeyrac, esaltato: «Ho portato dei dvd, preferite World War Z o The Hunger Games? Ho anche portato Harry Potter e i Doni della Morte!».
«La morte che stai per fare tu se non la smetti di parlare», rispose Enjolras, esasperato.
Tutti tacquero; Bahorel soltanto rise. «Che umorismo macabro», fece Gavroche, divertito.
«Se c’è tempo guardate un film a vostra scelta. Prima il dovere», esordì Enjolras.
«Altro che democrazia, questa è dittatura!», fece Courfeyrac.
«Hai accettato di venire e comunque eri a conoscenza del programma di questo sabato sera», disse semplicemente Enjolras, poi fece: «Posso avere un po’ di attenzione?».
I ragazzi smisero di chiacchierare. Enjolras disse: «Possiamo anche iniziare con la seconda riunione dell’anno de les Amis de l’ABC».
Eponine si sentì frastornata: non sapeva di cosa avrebbero discusso.
«Lunedì verranno eletti i rappresentanti d’istituto», parlò Enjolras: «Martedì io e Combeferre ci prendiamo l’impegno di presentare il programma stilato insieme allo scorso incontro. I punti sui quali ci siamo soffermati sono stati sicurezza, dialogo con gli organi principali dell’istituto, bullismo, stimoli per la creatività e il pensiero dello studente e corsi d’orientamento. C’è altro da aggiungere?».
«Per chi fosse stato assente la volta scorsa, praticamente abbiamo intenzione di rendere migliore l’istituto avanzando proposte efficaci ed intelligenti», spiegò Combeferre, rivolgendosi principalmente ad Eponine che, con un cenno del capo, annuì.
Grantaire alzò la mano, destando la curiosità di tutti e la sorpresa di Enjolras che si limitò a dire: «Parla pure».
«Io proporrei qualcosa come una mostra d’arte organizzata dagli studenti, o qualcosa del genere. I fondi ottenuti potrebbero andare alla scuola, per poi essere investiti in modo utile… o almeno si spera!», rispose il ragazzo.
«Sono d’accordo», fu Eponine a parlare: «È un modo per incentivare l’arte, per scoprire il talento degli studenti e per ottenere fondi. Magari una parte di essi potrebbe andare in beneficenza».
«Sì. Aggiungilo alla lista, Combeferre», approvò Enjolras
La serata andò avanti in quel modo. Enjolras sembrava piuttosto entusiasta degli esiti di quell’incontro che addirittura concesse ai ragazzi di ordinare una pizza.
«Allora? Vada per Harry Potter?», chiese Courfeyrac.
«In realtà io avrei noleggiato un film di…».
«No, ‘Ferre, non mi fido! L’altra volta è stata una trappola. Non so se sei peggio tu o Enjolras nella scelta di film. Vi contendete il primo posto», lo interruppe Courfeyrac, facendo ridere gli altri.
«Vediamo World War Z. Non l’ho mai visto, mi intriga», asserì Feuilly, beccandosi lo sguardo sorpreso di Courfeyrac.
«Nah! Stupidi zombie che ti inseguono. È un film idiota», fece Bahorel.
«Non è per niente vero!», parlò Courfeyrac: «È un film così avvincente!».
«Cambiamo film, dai. Che ne dite di Trecento?».
«No, Bahorel! Per carità! Tutto quel sangue… potrei svenire!», si intromise Joly.
«E tu vorresti diventare medico. Dimmi come se ti impressiona tutto!», lo rimbeccò Bahorel.
«Ho anche La madre», fece Courfeyrac.
Solo a pronunciare quel nome, Joly si portò una mano al cuore. «No… non potete farmi questo, davvero!».
«Per me quello è un film comico, altro che dell’orrore!», rise Bahorel.
«Wow, bellissimo!», esultò Gavroche.
«Eponine? Grantaire? Marius? Jehan? Cosa proponete?», chiese loro Courfeyrac.
«Per me è uguale», fece Grantaire.
«Idem», rispose Marius, di poche parole.
«Qual è il film che aveva noleggiato Combeferre?», chiese Eponine.
«Eh infatti, qual è?», disse Jehan.
Combeferre sorrise. «The Truman Show, e sono sicuro che piacerà anche a quell’ingrato di Courf che non apprezza mai niente!».
«Accetto la sfida, allora!», rispose Courfeyrac con un sorriso malandrino.
I ragazzi si riunirono per guardare il film; Enjolras vide il film a tratti in quanto ogni tanto usciva fuori al balcone di casa sua, pensieroso.
Enjolras apprezzava quegli attimi di completa solitudine. C’erano solo lui, la notte e il flusso dei suoi pensieri.
Ad un certo punto non fu più solo: venne raggiunto da Grantaire.
«Ti senti bene? Incominciavo a preoccuparmi…», gli disse il ragazzo.
«Sto bene», rispose Enjolras.
Grantaire annuì, per poi appoggiarsi all’inferriata del balcone. Accese una sigaretta. «Vuoi?», gli chiese Grantaire, tranquillamente, come se gli avesse appena chiesto “vuoi un po’ di torta?”.
Enjolras arricciò il naso. «No, non fumo».
«Io volevo chiederti scusa per l’altra volta», fece Grantaire, mesto: «Ho detto un mucchio di cavolate. Spero non si ripeterà».
«Ma figurati. E lo spero anch’io», fece Enjolras, semplicemente. Non c’era rimprovero nelle sue parole: era assolutamente calmo. I suoi occhi azzurri guardavano un punto indefinito, il suo sguardo era assorto e si perdeva nella bellezza della notte.
Era meraviglioso.
«Sei una bella persona, Enjolras», disse Grantaire, sincero: «Ti ammiro».
Enjolras era piuttosto sorpreso, ma non lo diede a vedere, come suo solito. Nessuno gli aveva mai detto una cosa del genere, e non sapeva nemmeno se fosse una cosa positiva o negativa. Le emozioni che provò furono molto contrastanti. Era confuso, e ciò lo innervosì.
«Bene», fu l’unica cosa che riuscì a dire.
«Beh, io torno dentro. E scusami ancora per il disturbo», fece Grantaire, spegnendo la propria sigaretta.
«Nessun disturbo», rispose Enjolras: «a parte il tanfo di quel veleno che ingerisci nei tuoi polmoni».
«La prossima volta non fumerò in tua presenza», disse il ragazzo con un piccolo sorriso, per poi tornare dentro, abbandonando l’altro ai suoi pensieri.


 


 

Angolo Autrice

Buongiorno a tutti! :)
Innanzitutto voglio ringraziare sentitamente tutti coloro che leggono e recensiscono! <3
Per quanto riguarda questo capitolo, io organizzerei un complotto contro Alain, Pierre e Vincent. *si arma di forconi*
Grantaire ha fatto le sue scuse ad Enjolras e quest'ultimo sembra averle accettate. c: (sembra). E poi abbiamo un momento Enjolras/Combeferre e insomma, Enj si apre a 'Ferre in un modo o nell'altro c: 
Jehan è semplicemente l'amore e io non so cosa dire *w* E il discorso avuto con 'Taire è molto importante per questa storia!
Courf finalmente inizia a farsi valere u.u Ah, e abbiamo di nuovo Montparnasse. Non sarà l'ultima volta in cui lo vediamo, no. (ma che ci posso fare? Nonostante tutto, io lo amo ♥).
Accenni nemmeno troppo velati alla Combeferre/Eponine c: Che dire? Io li shippo molto, spero solo di non fare un guaio nel caratterizzarli xD
Cosette è semplicemente dolcissima e grintosa e lo possiamo notare da come aiuta Jehan e da come difende Eponine. Non odiate né Eponine né Cosette (a seconda delle vostre simpatie XD), la prima è arrabbiata e la seconda è assolutamente innocente. Vi prometto che cambierà il loro rapporto XD
Che dire? La smetto di dire stupidate e vi do appuntamento al prossimo capitolo!
A presto! :D
SmartieMiz

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Capitolo 6
*** Occasioni ***


Capitolo VII ~ Occasioni



Martedì era arrivato, e la prima cosa che Eponine fece fu trovare Marius e dirgli con entusiasmo: «Giovedì audizioni!».
«Cosa?», rispose lui, confuso.
«Avevo mandato le richieste per entrare nel club di musical e finalmente sono state prese in considerazione. Giovedì audizioni! Se non te la senti di cantare puoi anche recitare qualcosa. O ballare».
Marius quasi sgranò gli occhi. «Marius? Ricordi?», fece la ragazza: «Me l’hai promesso…».
«Ti avevo promesso che ci avrei pensato», rispose il ragazzo.
Perfetto, non ci aveva neanche pensato.
«… e va bene, spero di non fare brutte figure», concluse Marius.
«Nah, tranquillo! E vedrai che ti piacerà! Sarà un corso fantastico», rispose la ragazza con un sorriso.
«Se lo dici tu mi fido», fece lui con un sorriso sbarazzino, poi domandò: «Hai notizie di Cosette?».
Eponine non ne rimase delusa: se lo aspettava. «Sì, ci ho parlato. Ho il suo numero».
Marius spalancò gli occhi: l’espressione gioiosa che si dipinse sul suo volto fu indescrivibile. «Eponine! Ti amo, sul serio! Mille grazie!».
Era bello vedere Marius così felice, ma non dopo averle detto un ti amo giocoso che spezzò in due il cuore della ragazza.
Eponine non disse niente, limitandosi a dargli il numero di Cosette.
«Grazie, davvero. Ti sono debitore!».
«Devo andare. Ci vediamo, a presto!», si dileguò Eponine, voltandosi e camminando velocemente.
Non era riuscita a sopportare a lungo come gli altri giorni: le lacrime incominciarono a solcarle le guance. Doveva andare in fretta nel bagno delle ragazze se non voleva farsi vedere da nessuno.
«Eponine, ciao!».
Troppo tardi.
«Ma cos’è successo?».
Eponine riconobbe le voci di Grantaire e Jean Prouvaire, quei due ragazzi che erano presenti a casa di Enjolras il sabato precedente.
Eponine non riuscì né a rispondere al saluto né a spiegare cosa fosse successo. Provò un’immensa vergogna e chinò il capo, singhiozzando. Non era da lei mostrarsi in quello stato. Eponine era forte e sapeva di esserlo.
Grantaire e Jehan si guardarono, perplessi.
Jehan cercò nella sua tracolla un pacchetto di fazzoletti per poi offrirlo ad Eponine. «Tieni, prendi pure», la rassicurò.
«Grazie», rispose Eponine con un filo di voce.
«Fai un respiro profondo», le suggerì Grantaire.
La ragazza si asciugò le lacrime, per poi seguire il consiglio del ragazzo e incominciare a respirare regolarmente. «Vi ringrazio, siete così gentili», disse, con un minuscolo sorriso: «Grazie, davvero…».
«Non devi ringraziarci», fece Jehan, semplicemente: «Ti senti meglio?».
«Sì».
«Che ora hai adesso?», le chiese Grantaire.
«Geografia», rispose lei.
«Perfetto! Ci andremo insieme», cercò di confortarla Grantaire, poi si rivolse verso Jehan: «Amico, ci vediamo dopo!».
I ragazzi si salutarono. Grantaire non fece domande ad Eponine per non imbarazzarla, ma riuscì a parlare con lei a lungo.
Jehan era ansioso, e ciò accadeva ogni volta che non era con Grantaire. Aveva l’ora di inglese e soltanto il pensiero di dover rivedere le facce di Pierre, Vincent e degli altri giocatori di football lo infastidivano.
Era appena entrato in classe e solo quando vide Courfeyrac si rese conto che quella era l’unica ora che avevano in comune. Incominciò a sentire le farfalle nello stomaco, e ogni volta che lo vedeva la sua reazione era sempre più forte ed intensa.
Per sfortuna di Jehan, Courfeyrac era seduto accanto ad Alain. Nonostante tutto, fu proprio Courfeyrac a salutarlo con un sorriso ed un cenno della mano.
Jehan ricambiò, poi la sua attenzione venne richiamata da un ragazzo pallido dallo sguardo allegro.
Joly.
Joly lo salutò e gli fece posto. «Come va, Jehan?», gli chiese, cerimonioso.
«Per ora bene, ti ringrazio», rispose Jehan, pieno di gratitudine: «E tu?».
Joly sospirò. «La tosse sembra essere andata via, ma sono raffreddato e ho un mal di gola allucinante».
«Stai prendendo qualcosa?».
«Sì, ma niente fa effetto. Deve essere una forma grave».
«Dovrei avere qualche caramella nella borsa, ne vuoi una?», gli chiese Jehan.
«No, ti ringrazio. Non vorrei peggiorasse!».
Jehan annuì. «Se cambi idea non esitare a dirmelo».
La professoressa d’inglese ancora doveva arrivare, perciò il ragazzo si voltò e diede un’occhiata in giro: di Bossuet nemmeno l’ombra, quindi ciò significava che aveva inglese ad un’altra ora.
«Psss», lo richiamò qualcuno: «Prouvaire!».
A Jehan non piaceva essere chiamato Jean, e ancor meno gli piaceva Prouvaire.
Jehan si voltò: l’aveva appena richiamato un giocatore di football. «Adesso conosci anche il malato  immaginario? Non ti bastava l’alcolizzato?», disse con una risatina.
«Claude, piantala».
Jehan si sorprese quando capì che era stato Courfeyrac a parlare, beccandosi l’occhiata truce di Claude. Joly si limitò ad un sorriso di riconoscenza.
 
«Ho qualche dubbio che accetti le nostre proposte», parlò Combeferre.
«Le deve almeno leggere. È nostro diritto», rispose Enjolras.
«Non so nemmeno come abbiamo fatto ad ottenere un incontro con il preside. Già è tanto», fece l’amico.
«Ragazzi, due minuti di orologio ché ho da fare».
Il preside Javert era entrato nella stanza, per poi chiudere la porta alle sue spalle. Aveva preso posto dietro alla lunga scrivania di mogano. Era un uomo di mezz’età dall’aspetto austero. Aveva la barba corta e uno sguardo sempre circospetto.
Molti a scuola lo temevano, ma di certo non Enjolras e Combeferre.
Combeferre rifletté un momento, cercando di trovare le parole adatte. «Signor preside, le ruberemo soltanto un paio di minuti», iniziò, cortesemente: «Vorremmo consegnarle un programma stilato da alcuni studenti di quest’istituto. Sono delle richieste e degli accorgimenti affinché quest’istituto possa sempre puntare al meglio e affinché gli studenti possano sentirsi “al sicuro”».
«Sono stati notati molteplici problemi e far qualcosa per risolverli è l’obiettivo che ci siamo prefissati. Sarebbe gradito il vostro intervento», continuò Enjolras.
Il preside Javert inarcò un sopracciglio. «Dunque», disse, per poi schiarirsi la voce con un colpetto di tosse e continuare a parlare: «state dicendo che ci sono dei problemi nel mio istituto?».
«Esattamente», rispose Enjolras, senza peli sulla lingua.
«Non ho mai ricevuto lamentele prima d’ora», si limitò a dire il preside.
«Ma non è una lamentela, signor preside. Consideratela una sorta di protesta pacifica», fece Combeferre.
«Ieri sono stati finalmente eletti i rappresentanti d’istituto. Per quale motivo non vi appellate a loro? Secondo voi vengono eletti per fare un po’ di confusione? Vengono eletti per occuparsi dei problemi degli studenti e dell’istituto!», disse aspramente Javert: «Io ho da fare, mi avete già tolto tempo a sufficienza. Andate a lamentarvi con loro».
«Ma lei è l’organo principale di quest’istituto, se non ci appell…».
«Andate via, ne ho abbastanza», Javert interruppe duramente Combeferre, con un’espressione che non ammetteva repliche.
Combeferre guardò Enjolras, facendo spallucce. Si diressero all’uscita.
«Signor preside, mi lasci soltanto dire una cosa», esordì Enjolras, prima di andare via: «le sorti di quest’istituto dipenderanno principalmente da lei e dalle sue decisioni!».
Quando uscirono dalla presidenza, Combeferre si rivolse ad Enjolras con una nota di rimprovero: «Hai rischiato grosso, lo sai?».
«Mi sembrava di stare al cospetto di un monarca, è stato irritante», rispose semplicemente Enjolras: «Il preside non ha voluto visionare il nostro programma. Se non ci saranno cambiamenti, protesteremo».
«Stiamo soltanto all’inizio dell’anno, procediamo con calma», provò a placarlo Combeferre, poi disse: «E quindi secondo lui dovremmo rivolgerci alle rappresentanti d’istituto?».
«Sì», rispose Enjolras, freddamente: «Carine, Coralie e Christine».
«La vedo dura».
«Beh, faremo quanto ci è stato detto e gli dimostreremo che non risolveremo un bel niente in questo modo», fece Enjolras, risoluto: «Andiamo a cercarle».
 
Marius era particolarmente allegro quel giorno: aveva finalmente ottenuto il numero di Cosette.
Stava aspettando Courfeyrac di fronte al proprio armadietto quando la vide.
Cosette era lì, a pochi metri da lui: indossava un vestitino azzurro e i lunghi capelli biondi le scendevano dolcemente lungo le spalle.
Marius voleva parlarle, ma sentiva che le parole gli si sarebbero bloccate in gola, e poi provava una gran vergogna.
La cosa più incredibile fu quando Cosette si voltò e incrociò il suo sguardo. La ragazza sorrise leggermente. Marius fu colpito da un momento di felicità inspiegabile: ricambiò con un enorme sorriso imbarazzato.
Cosette prese i suoi libri e andò via. Marius credette di poter svenire da un momento all’altro.
 
«Un piano di proposte per migliorare l’istituto?», ripeté Carine.
«Esattamente», rispose Enjolras.
«Il preside non ha voluto darci ascolto, ci ha detto di appellarci ai rappresentanti d’istituto», spiegò Combeferre.
Carine guardò prima Coralie e poi Christine, scambiando quasi uno sguardo d’intesa. «Beh, noi forse potremmo provare a fare qualcosa», disse.
«Mi sa che dovremmo tenerci costantemente in contatto», aggiunse Coralie, fissando Enjolras con un sorriso affettato.
«Per ora ecco a voi», fece Enjolras, consegnando il programma alle ragazze: «È scritto in modo abbastanza chiaro».
«Confidiamo in voi», aggiunse Combeferre.
Le ragazze sorrisero. «Ci lasciate un numero?», fece Christine.
Combeferre diede il suo numero di cellulare – Enjolras non avrebbe mai dato il suo – e le ragazze, con un sorrisetto ambiguo, si congedarono.
«Non mi piacciono neanche un po’», asserì Enjolras, duro: «Secondo me fingeranno di leggere il programma».
«Lo credo anch’io», disse Combeferre, storcendo il viso: «ma diamo loro una possibilità».
 
Marius fremeva dalla voglia di uscire da scuola. Quando arrivò a casa, mandò un messaggio a Eponine.
 
‘Ponine, che cosa faccio? La contatto? – Marius
 
Eponine non rispose al messaggio, lasciando Marius nel vuoto totale e pieno d’ansia.
Che cosa avrebbe dovuto fare? Aveva il terrore di poter dare una brutta impressione a Cosette quando lui voleva soltanto parlarle.
 
Ciao. Lo so che molto probabilmente non mi conosci, ma sono Marius Pontmercy, un ragazzo della tua scuola. Oggi volevo parlarti, ma sei letteralmente fuggita.
 
Sono pazzo di te.
 
Marius cancellò tutte le parole che aveva scritto, arrossendo inevitabilmente. Si diede del cretino: non avrebbe mai avuto abbastanza fegato per contattarla.
Il suo cellulare segnò l’arrivo di un sms. Doveva essere la risposta di Eponine.
 
Ciao :) – Cosette
 
Non era assolutamente possibile.
Marius credette di morire: era uno scherzo? Il numero di cellulare era proprio quello che gli aveva dato Eponine.
Andò in escandescenze.
 
Ciao :D – Marius
 
Okay, forse può sembrare un po’ inquietante la cosa. Lascia che mi presenti: sono Cosette! È stata Eponine a darmi il tuo numero. Sto raccogliendo un po’ i contatti di tutti perché sono nuova e mi sento un po’ come un pesce fuor d’acqua! – Cosette
 
Marius non sapeva se credere a tutta quella storia, ma non gli interessava molto: Cosette gli aveva rivolto la parola, e questo era l’importante. Sì, tramite un sms, ma lo aveva fatto.
 
Non preoccuparti. Per qualsiasi cosa puoi rivolgerti tranquillamente a me :) – Marius
 
Ti ringrazio! Ora devo andare, ci vediamo domani ;) Scusami ancora! :3 – Cosette
 
A domani :D – Marius
 
Marius ci mise una nottata intera per assimilare il tutto.
 
Il giorno dopo era mercoledì. Per quanto potesse piacergli quella materia, l’ora di storia dell’arte fu la più terribile per Enjolras.
«… e quindi per mercoledì prossimo voglio un bell’approfondimento su quello che ho spiegato oggi. Vi do una settimana di tempo perché voglio un progetto assolutamente grandioso ed originale! Ognuno avrà un partner con cui lavorare. Eponine, tu lavorerai con Jean. Combeferre, tu con Armand. Carine con Alain, Isabelle con Margot, Christine e Coralie, poi… Grantaire, mm. Grantaire, tu con Enjolras».
Ad Enjolras venne quasi un colpo. «Scusate, potrebbe ripetere?», chiese all’insegnante.
Grantaire sorrise compiaciuto alla reazione di Apollo. «Con Grantaire. Hai sempre lavorato a tutti i progetti con il tuo compagno di banco Combeferre, è ora di cambiare un po’, non credi?», rispose la professoressa con un gran sorriso: «Sta proprio in questo il talento e la bravura di uno studente: impegnarsi e dare il meglio di sé con qualsiasi partner di lavoro! So che puoi fare tanto, Enjolras. E anche tu, Grantaire, se solo fossi meno svogliato!».
Enjolras si limitò a mordersi un labbro, come se volesse trattenersi dal dire qualcosa. Alla fine dell’ora, Grantaire stava sistemando il suo zaino quando Enjolras si fiondò vicino al suo banco.
«Oggi c’è l’incontro al Musain, possiamo incontrarci un’ora prima e iniziare la ricerca, se vuoi», disse, algido.
Grantaire quasi rise. «La facciamo al Musain? Non c’è neanche un computer o un’enciclopedia!».
Enjolras alzò gli occhi al cielo. «Non al Musain, infatti. Potremmo andare in biblioteca».
«In biblioteca? Sono così noiose le biblioteche. Mi verrà il sonno», rispose semplicemente il ragazzo.
«È il posto ideale per lo studio», rispose Enjolras con ovvietà: «Allora alle quattro in biblioteca?».
«Alle quattro in biblioteca, sissignore», rispose Grantaire con un sorrisetto ironico.
Enjolras fece un rapidissimo cenno di saluto per poi andare via.
«Ho temuto andasse peggio…», rivelò Jehan all’amico.
«Nah. È fatto così. Mi fa impazzire», rispose Grantaire, scuotendo il capo, divertito: «E tu con Eponine, giusto?».
«Sì. Sarei potuto capitare con Pierre o Vincent! Siamo stati fortunati», disse Jehan.
«Puoi dirlo forte», concluse Grantaire con un sorriso soddisfatto.
 
Marius aspettava di nuovo Courfeyrac fuori al proprio armadietto come il giorno prima. Sentiva che da un momento all’altro sarebbe passata Cosette. Era ancora meravigliato del fatto che avesse ricevuto un sms da quella creatura angelica.
Poteva l’amore essere davvero a prima vista? Marius non aveva più dubbi.
La vide poco dopo avvicinarsi a lui. Marius non ebbe nemmeno il tempo di prepararsi un discorso o qualsiasi cosa da dire – anzi, farfugliare – che Cosette, con il sorriso più dolce del mondo, gli disse: «Ciao!».
«Ciao», rispose lui con un sorriso buffo che fece sorridere ancor di più Cosette.
Ci fu qualche attimo di silenzio ed entrambi arrossirono, lievemente. «È una bella giornata, non credi?», disse Marius improvvisamente: «Le temperature sembrano essersi alzate…».
«Sì, infatti! Proprio una giornata perfetta per andare a fare un giro al parco», rispose la ragazza, entusiasta.
«Già. Io vado spesso al parco», mentì Marius.
Dove voleva arrivare?
«Davvero? Io ci vado da qualche settimana. Sai, sono qui a Parigi da poco…», rispose lei.
«Proprio questa settimana non sono andato, ma oggi mi vedrai», rispose Marius, fiducioso: «Credo che passerò per le cinque».
«Perfetto», disse lei con un sorriso dolcissimo: «Devo andare, ho un’ora di matematica. Ci vediamo!».
Cosette si dileguò, ma il sorriso stampato sul volto di Marius non era ancora andato via.






 

Angolo Autrice

Buongiorno a tutti! :)
Ecco il settimo capitolo, dove abbiamo finalmente un po' di Marius/Cosette e... rullo di tamburi... Enjolras e Grantaire dovranno fare la ricerca insieme u.u
Courf difende Jehan e Joly da Claude, e poi abbiamo Eponine che è triste e arrabbiata. Per un momento ho creduto di averla resa troppo OOC, ma si tratta soltanto di un momento ed era piuttosto giù di morale, quindi... quindi spero di non aver fatto un guaio xD
Ho un piccolo avviso: domani parto e fino al 29-30 agosto non credo che potrò aggiornare per mancanza di Internet. Qualora riuscissi a connettermi, potrei forse postare l'ottavo capitolo ma ne dubito, quindi penso che se ne parla a fine agosto. Mi scuso anticipatamente per il ritardo!
Ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono ♥
A presto! :D
SmartieMiz

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Capitolo 7
*** Gli esiti ***


Capitolo VI ~ Gli esiti



Nonostante tutto, era stata una bella serata. Eponine aveva parlato moltissimo con Grantaire scoprendo di essere in totale sintonia con lui ed era riuscita persino a parlare con il timido Jehan che aveva subito preso in simpatia.
«E se esistesse anche The Courfeyrac Show? Se voi foste tutti attori in mia funzione?», Courfeyrac era ancora sconvolto per il film appena visto: «‘Ferre, ammettilo! Tu sei un attore nato per distruggermi!».
Combeferre rise. «Sempre al centro dell’attenzione, tu! Potrebbe essere anche il mio show, o quello di chiunque altro».
Verso mezzanotte i ragazzi si salutarono.
«È stato un piacere averti con noi, se vuoi il mercoledì pomeriggio siamo soliti incontrarci al Café Musain per la nostra causa», disse Combeferre tutto d’un fiato quando salutò Eponine.
Eponine annuì con un sorriso appena accennato, e Combeferre rischiò di sciogliersi, ma cercò di non darlo a vedere. Courfeyrac assisteva alla scena scuotendo il capo, divertito.
«Allora ci vediamo a scuola?», chiese Grantaire a Jehan.
«Sì. Ciao, ‘Taire».
«A lunedì!».
 
Quella notte Grantaire non riuscì a dormire per due motivi. Il primo motivo era la mancanza di alcool: aveva la gola secca e il gran bisogno di bere, peccato che in casa l’ultima bottiglia di vino era esaurita; forse sua zia aveva pensato benissimo di nascondergliela, ovviamente per il suo bene.
Grantaire si faceva vedere ubriaco da sua zia di rado: preferiva uscire di casa la sera – quando poteva – e tornare tardi, per poi rientrare a casa e dormirci su.
Sua zia Agnés, una donna di quarantacinque anni, voleva molto bene al nipote, anche se aveva qualche difficoltà a dimostrarglielo. Era molto premurosa, ma a causa del lavoro non poteva controllarlo sempre. E poi sapeva bene che quel ragazzo, già ventenne, era impossibile da trattare, ma lei ci provava ugualmente.
Quando Grantaire era tornato a casa per la mezza, Agnés quasi si era meravigliata di averlo trovato così presto e piuttosto lucido: solitamente il sonno l’aveva già vinta quando il giovane tornava a casa.
«Grantaire, tesoro, dove sei stato?», gli aveva chiesto quando lo aveva visto varcare la porta di casa.
«A casa di amici», aveva risposto il ragazzo, molto vagamente: «Vado a dormire. Buonanotte».
Grantaire era andato a prepararsi per la notte, dopodiché si era buttato sul letto. Aveva chiuso gli occhi nel tentativo di prendere sonno, ma li aveva riaperti un istante dopo.
Il secondo motivo che lo teneva sveglio era Enjolras.
Quell’Enjolras era diventato la sua ossessione. La sua ossessione preferita, per l’esattezza. Il bisogno di vedere Enjolras quasi superava il bisogno di bere.
Quando aveva bevuto alla prima riunione de les Amis de l’ABC irritando ed esasperando Enjolras, si era sentito male per un po’ di giorni. L’idillio e la dolce, inaspettata sensazione che aveva provato quando Enjolras lo aveva fermato a scuola per parlargli si erano immediatamente spezzati: Grantaire sentiva di aver combinato un guaio e che se il loro rapporto aveva avuto la speranza di essere buono, ormai quella speranza era andata perduta per sempre.
Forse si sbagliava, ma Enjolras non era più come prima nei suoi confronti. L’essere freddo e senza emozioni come un marmo era una qualità propria di quel giovane Apollo, ma Grantaire avvertiva quasi delle differenze, forse minime, quando gli rivolgeva la parola.
Non sapeva cosa stava accadendo. Sapeva soltanto che aveva bisogno di Enjolras, senza nemmeno chiedersi o spiegarsi il perché, perché era diventato improvvisamente tutto così naturale, così ovvio. Lui, cinico, scettico, lui che era un totale disastro, aveva bisogno di quel ragazzo così credente, determinato, puro, appassionato, perfetto, proprio come l’uomo ha bisogno della luce, del sole, dell’acqua per vivere.
E se Enjolras era la sua luce, il suo sole, la sua acqua, Grantaire voleva vivere.
 
Quella domenica, Jean Prouvaire si svegliò di buon’ora. Al contrario di Grantaire, aveva dormito divinamente.
Per le dieci uscì di casa e si diresse al parco o meglio, al suo albero preferito del parco. Faceva piuttosto freddo, ma non così tanto da restare chiusi in casa.
Jehan amava stare all’aria aperta e anche se apprezzava ogni singola stagione trovandoci sempre del buono, per lui la fine dell’autunno e l’intero inverno erano una dura sofferenza: preferiva di gran lunga la primavera e scrivere, leggere e comporre versi in un parco o in un giardino che farlo in casa. Tuttavia, considerava preziosa e ispiratrice anche la solitudine della sua stanza.
Stava appunto scrivendo dei versi quella mattina, sentendosi particolarmente ispirato: stava lavorando su un sonetto.
Erano passate diverse ore. Gli bastò alzare un attimo lo sguardo per notare che Courfeyrac – sì, Courfeyrac! – passava di nuovo da quelle parti. Doveva abitare nei dintorni?
Courfeyrac guardò in sua direzione, assolutamente di proposito, e fece un cenno, accompagnato da un grande sorriso. Jehan rispose anche lui con un cenno, sperando vivamente – invano – di non essere arrossito fino alla punta dei capelli.
Courfeyrac gli si stava avvicinando, e Jehan stava andando in iperventilazione.
Cosa dire? Cosa fare?
Stava accarezzando l’assurda idea di fuggire quando Courfeyrac gli fu completamente vicino.
«Come va?», gli disse amichevolmente il ragazzo.
Jehan deglutì. «B-bene. Te?».
«Bene, a parte il noioso pranzo domenicale con i nonni che mi attende», rispose Courfeyrac alzando gli occhi al cielo.
«M-ma farai tardi», disse molto intelligentemente Jehan: «È quasi l’una».
«In realtà sono già in ritardo di un quarto d’ora, ma mi scoccio esageratamente. Oh, un diario! Che fai?», cambiò totalmente argomento Courfeyrac, prendendo posto accanto a lui sul prato.
Era uno scherzo, quello?
Courfeyrac non prese il diario di Jehan senza permesso come avrebbe potuto fare qualcun altro, e per questo il poeta gli fu già immensamente grato. «Io, beh… ecco… s-scrivo poesie», svelò Jehan: «e storie».
Neanche Grantaire sapeva che Jehan scrivesse poesie, anche se avrebbe potuto intuirlo abbastanza facilmente. Jehan si sentì improvvisamente come un pulcino fuori dal nido.
Courfeyrac non fece una faccia contrariata o una smorfia: sorrise ancora di più. «Ah sì, ieri sera lo avevi accennato, in un certo senso. E su cosa scrivi?», chiese, interessato.
«S-sull’amore. La primavera. I fiori. La pioggia. La solitudine. La malinconia. La vita. La morte. Su quel che mi capita», sparò a raffica l’altro.
Courfeyrac annuì con l’ennesimo sorriso. Se Courfeyrac avesse continuato a sorridere in quel modo, Jehan non avrebbe retto ancora.
La fortuna – o sfortuna? – volle che Courfeyrac si alzasse e dicesse: «Devo proprio andare se non voglio sentire i miei urlarmi contro! È stato un piacere, Jehan. Ci vediamo!».
Jehan non riuscì a dire e fare niente, se non a salutarlo con un segno della mano.
Quando Courfeyrac scomparve definitivamente dalla sua vista, Jehan riprese a respirare regolarmente. Si diede del cretino: perché quando lo vedeva si trasformava in una dodicenne alla sua prima cotta?
Cotta.
Bastò pensare a quella parola e Jehan divenne scarlatto.
 
«Courfeyrac, sei in ritardo di ventiquattro minuti», lo ammonì la madre: «I nonni stavano aspettando soltanto te».
«Mi chiedo cosa tu faccia per essere sempre così in ritardo agli appuntamenti!», sbottò suo padre.
«Scusatemi!», disse il ragazzo ansimante a tutti i presenti. Il nonno, severo, lo stava squadrando da capo a piedi. Suo padre aveva un’espressione ancora più terrificante del nonno.
In quella stanza, l’unica persona che sorrideva giovialmente era la nonna del giovane. «Suvvia, non ne fate un dramma! Bastava però avvisare, mio caro!».
Courfeyrac sorrise, precipitandosi su sua nonna e cogliendola in un abbraccio. «Ciao nonna!».
«Mio nipote adorato!».
Quando si staccò dall’abbraccio, si avvicinò al nonno che gli regalò un’occhiata fredda e si limitò a stringergli la mano.
«Credo possiamo dar inizio al pranzo», disse la madre di Courfeyrac.
Una decina di minuti più tardi, erano tutti seduti comodamente a tavola parlando di cose assai noiose.
«Dunque, madre, padre, com’è stato il viaggio in India?», chiese il padre di Courfeyrac.
«È stato in-can-te-vo-le!», rispose l’anziana signora, emozionata: «Un paese pieno di storia e cultura. Magnifico. Ne sono rimasta semplicemente abbagliata».
Parlarono per un po’. Courfeyrac non ascoltava, troppo annoiato ed intento a divorare la sua porzione di pasta.
«E quindi sei all’ultimo anno di liceo, nipote», disse improvvisamente suo nonno.
Courfeyrac tornò alla realtà. Sua madre lo guardò con disapprovazione, facendogli cenno di pulirsi la bocca.
Il ragazzo sbuffò, pulendosi con un fazzoletto: «Sì, nonno».
«Mi sembra sciocco chiedertelo, ma dopo farai Legge all’università e sarai avvocato, giusto?», fece suo nonno.
«Ma che domande! Ovvio. Porterà avanti la tradizione di famiglia e il nostro buon nome, padre», disse il padre di Courfeyrac a suo nonno.
Courfeyrac sorrise imbarazzato. «Che gran bella cosa, me ne compiaccio», continuò il nonno, poi disse: «E che cosa mi racconti, nipote?».
«Niente di interessante».
«Non si parla con la bocca piena, ma quanti anni hai?», lo ammonì sua madre.
Courfeyrac roteò gli occhi al cielo. «E la fidanzatina?», continuò a chiedere suo nonno molto sfacciatamente: «La nonna ed io vogliamo tanti bei nipotini, vero?».
Il ragazzo rischiò di farsi andare un boccone di traverso. Certo, un giorno gli sarebbe anche piaciuto essere padre, ma di certo non a quell’età.  «Suvvia, Gérard! Ha diciassette anni il ragazzo, credo sia ancora presto per parlare di figli!», disse sua nonna divertita con una risatina.
Santa nonna.
«Diciotto», precisò la madre: «Diciotto tra meno di due mesi».
«Insomma, è un vecchio decrepito!», disse ironicamente la nonna.
Il nonno sembrava non voler sviare la questione. «Allora, nipote? Come va con le ragazze?».
«Uno schifo. Per ora sto bene da solo», rispose Courfeyrac con un sorriso mellifluo.
I genitori lo guardarono torvo. «La nonna conosce una giovinetta che vive qui nei dintorni. Dovremmo fartela conoscere».
«Nonno, sono contro i matrimoni combinati», scherzò Courfeyrac, non nascondendo un’aspra ironia: «Sto bene, fidati. Ho i miei amici, che me ne faccio di una ragazza!».
Suo nonno lo guardò in volto, freddamente. «Beh, come vuoi, l’importante è che prima o poi mi darai dei nipotini, e insisto su questa cosa. Sai cosa intendo, vero? L’importante è che tu non sia frocio!».
Gli unici a ridere furono i due uomini. La madre di Courfeyrac taceva, la nonna sembrava indignata.
E poi c’era Courfeyrac che proprio non capiva cosa ci fosse di divertente nelle parole del nonno.
«Non sono gay, nonno, ma cos’hai contro gli omosessuali?», si limitò a dire.
«Lo chiedi pure?», fu suo padre a rispondere, con un sorriso idiota sotto i baffi.
Courfeyrac ne aveva abbastanza. Prima i suoi amici, poi suo nonno e suo padre. Cosa c’era che non andava in loro?
Immediatamente pensò a quello che gli avevano detto i suoi amici su Jehan. Come potevano le persone dire certe cose? Jehan era la persona più innocua e buona che conosceva.
«Preferisco astenermi dal commentare, non voglio rovinarmi il pranzo», disse la nonna, poi con un amabile quanto finto sorriso disse: «Allora? Potrei continuare a parlare del mio viaggio in India?».
 
Il giorno dopo c’era agitazione a scuola, tutti entusiasti per l’elezione dei rappresentanti d’istituto.
Grantaire era appena uscito dalla cabina apposita al voto. «Credo sia la prima volta che abbia votato in vita mia», disse il ragazzo con una risata.
Jehan sorrise. «Hai votato Enjolras?», chiese.
«Il voto è segreto, tesoro», disse Grantaire ironico, poi aggiunse sottovoce: «E secondo te chi ho votato, eh?».
«Okay, avevo indovinato».
«Merita davvero di vincere, e non lo dico perché sono di parte», parlò Grantaire.
«Ma infatti. L’ho votato anch’io. Spero vinca».
Qualche ora dopo si ebbero gli esiti. In tutto l’istituto, Enjolras aveva ottenuto trenta voti. Un pessimo risultato, ma decisamente migliore di quello di Alain, Pierre e Vincent che ne avevano ottenuti ventinove.
Alla fine vinse il gruppo di Carine, Coralie e Christine, le tre cheerleader più popolari – e vuote – di quel liceo.
Alain, adirato, camminava avanti e indietro per i corridoi.
Il pacifico e diligente Combeferre non si trattenne e rise. «Non sai come sto godendo», disse ad Enjolras.
«Sono state elette quelle tre ragazze», disse invece Enjolras, profondamente serio: «L’istituto andrà a rotoli».
«Non sono le regine del mondo, amico. Domani consegneremo il nostro programma al preside, tranquillo».
 
«Courfeyrac! Marius!».
I ragazzi si voltarono, vedendo Alain arrivare. «Alain furibondo in arrivo», bisbigliò Courfeyrac.
«Cosa gli diciamo?», fece Marius.
«Mentiamo spudoratamente, no?».
Alain si avvicinò e con un sorriso mellifluo disse: «Buongiorno, ragazzi».
«Ciao, Alain!», rispose Courfeyrac.
«Bella giornata, vero? Fa meno freddo di ieri, si sta bene!», inventò Marius, in buona fede.
«Bella giornata?», ripeté Alain, poi gli sfuggì una risata sarcastica: «Quel folle di Robespierre ha ottenuto un voto in più a noi. Mi chiedo chi siano gli imbecilli che lo votano!».
Courfeyrac trattenne una risata: se Enjolras avesse saputo che Alain l’avesse soprannominato Robespierre, avrebbe fatto i salti di gioia.
«Non lo so», fece Marius: «Eppure le vostre idee sembravano buone…».
«Lasciate stare questo fatto, ma piuttosto pensate alle idee di quello psicopatico. Cambiare l’istituto, e poi il mondo. Solo un povero pazzo può pensarlo. E poi combattiamo per la patria? Ma cos’ha in testa? E quel “non vi inciterò a votarmi perché ciò significherebbe andare contro i principi di libertà, di voto e d’espressione, ma sappiate che potete sempre contare su di me”. Insomma, che ruffianata!».
Forse Enjolras poteva essere un po’ folle nel suo buonsenso, ma non era assolutamente un ruffiano. Courfeyrac si trattenne dal dire qualcosa, restando al gioco.
«Voi avete votato noi, vero?», Alain fece finalmente la domanda che ormai si portava da tutta la giornata.
«Certo che sì!», rispose Courfeyrac.
Alain aggrottò le sopracciglia. «Già, come posso dubitare di voi!», disse, con un sorriso molto forzato e falso: «Io vado. Ci si vede».
Andò via, e Courfeyrac e Marius non riuscirono a trattenere le risate.





 

Angolo Autrice

Buongiorno a tutti! :)
Eccomi con il sesto capitolo! Abbiamo praticamente Grantaire e le sue riflessioni su Enjolras e sì, il nostro amato 'Taire direi che è completamente andato, ma questo già lo sapevamo ♥
E poi insomma, abbiamo una scena pucciosa tra Jehan e Courf! *w* 
Inutile dire che non sopporto i genitori di Courf - ricconi snob e molto all'antica - e in particolar modo suo padre. E anche suo nonno. Al contrario, adoro sua nonna e sono lieta di annunciarvi che la rivedremo un po' più avanti u.u
Cosette tornerà presto nel prossimo capitolo! c: E anche Marius ;)
Ah, dimenticavo! E' vero che Enj ha perso :( ma almeno ha superato di un voto Alain e la sua combriccola di idioti u.u
Ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono ♥
A presto! :D
SmartieMiz

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Capitolo 8
*** L'audizione ***


Capitolo VIII ~ L'audizione



«Jean Prouvaire, io ti odio!».
«Ma l’ho fatto per te, ‘Taire!».
«Come ho potuto soltanto pensare di fidarmi di te!».
«Un giorno mi ringrazierai».
«Ti odio».
Jehan rise: era solito andare a studiare in biblioteca, ma quel giorno aveva deciso di studiare a casa e Grantaire provava una certa difficoltà a stare in quel luogo senza una spalla amica.
Grantaire sbuffò. «Come mi dovrò comportare?».
«Innanzitutto telefonino spento. Ed è vietato fumare», asserì Jehan: «Lo sapevi, vero?».
«Neanche una sola sigaretta?».
«Secondo te?».
«E che ne so, non sono mai stato in una biblioteca, ti ho detto!».
«Ma è un luogo pubblico, e nei luoghi pubblici non si fuma affatto!».
Grantaire arricciò il naso.
«Poi… prepara il tuo miglior sorriso e salutalo semplicemente. Ascoltalo e cerca di non dire cavolate. Sei sobrio, vero?».
«Non dire quella parola. Mi sento in colpa quando sono sobrio», rispose Grantaire.
«Oh, e invece è meglio così. Poi mi aggiornerai su tutto!».
«Dobbiamo fare una ricerca, piccolo Jehan, nient’altro. Non ti facevo così svergognato, sai?», scherzò il ragazzo.
Grantaire poté vedere l’amico arrossire dall’altra parte del telefono. «Non stavo alludendo a niente», disse Jehan, semplicemente: «Ci vediamo dopo al Musain!».
Grantaire staccò la chiamata: erano le quattro in punto. Era fuori alla biblioteca e non c’era nessuna traccia di Enjolras.
Che strano. Sarà in ritardo?, pensò Grantaire, inarcando un sopracciglio. Attese per una decina di minuti, poi si decise ad entrare perché stava incominciando a fare di nuovo freddo.
Quando entrò vide una signora seduta ad un tavolo: doveva essere la bibliotecaria.
«Buon pomeriggio, mi sa dire dov’è la biblioteca?», chiese il ragazzo.
«Buon pomeriggio, ragazzo. Ma è questa la biblioteca», rispose la signora con fare perplesso.
«Ma io non vedo né libri né persone».
La signora sorrise. «Intendi la sala dove si radunano gli studenti? Proprio lì», rispose indicando una stanzetta in fondo.
«Mille grazie».
Grantaire entrò nella stanza indicata, per poi chiudere la porta dietro di sé provocando un forte rumore senza nemmeno accorgersene. Vide una decina di ragazzi tutti silenziosi e impegnati a studiare, poi lo vide, seduto su una sedia con aria spazientita.
«Hey! Ciao!», lo salutò Grantaire con un grande sorriso, proprio come gli aveva suggerito Jehan.
Enjolras spalancò gli occhi. I ragazzi si voltarono tutti verso Grantaire, fulminandolo con lo sguardo.
«Calmatevi, ho salutato il mio compagno!», fece Grantaire alzando le mani in segno di difesa: «Perché mi guardate in questo modo? Rilassatevi!».
«Ho un esame domani e sei pregato di stare zitto», lo mise a tacere una ragazza.
Grantaire si avvicinò ad Enjolras. «Ma che problema hai? Non puoi urlare in una biblioteca!», lo rimproverò il ragazzo sottovoce: «E sei pure in ritardo di dodici minuti!».
«Mi sono gelato il culo là fuori per aspettarti», rispose Grantaire, imbronciato.
«Era alle quattro in biblioteca, non fuori la biblioteca», sottolineò Enjolras, accigliato.
«Allora la prossima volta sii ancora più pignolo dato che non capisco il tuo linguaggio, Apollo».
«Apollo? Ma cosa stai blaterando?», gli chiese Enjolras, sgranando appena gli occhi.
«Apollo, il dio dell’Olimpo, hai presente? La prima volta che ti ho visto non sapevo il tuo nome e mi è risultato impossibile non poter affibbiarti quel soprannome».
«Tu non stai bene. Cosa bevi, precisamente?».
«Proprio in questo momento sono sobrio, giuro!».
Enjolras sospirò. «Beh», rifletté: «avresti potuto designarmi anche come il folle che straparlava in auditorium o il mancato rappresentante d’istituto».
«Ma non ti si addice», rispose l’altro: «Non sei uno qualsiasi, o almeno non per me».
Enjolras si trovava un po’ in difficoltà, ma non lo avrebbe mai ammesso.
«Vorreste smetterla voi due?», li ammonì un ragazzo.
«Scusami, sono mortificato», Enjolras porse le sue scuse sincere.
«Ma prendiamoci una stanza così possiamo parlare più liberamente, no? Si può fare?», propose Grantaire.
«Grantaire, non stiamo in un hotel! E comunque qui è perfetto, devi soltanto tacere».
«Ti intimorisce restare da solo con me? Guarda che non ti faccio niente, non oserei mai».
La sfrontatezza – e allo stesso tempo la schiettezza – di Grantaire provocarono un leggero rossore sulle gote dell’altro. «Basta chiacchiere, per piacere. Tra meno di un’ora dobbiamo stare al Musain!», concluse Enjolras.
 
Stranamente puntuale, Marius era al parco alle cinque di quel giorno, come “promesso”. Cosette ancora non era lì, e ciò lo fece rattristire. Aveva forse dimenticato “l’appuntamento”?
Marius decise di tranquillizzarsi e di non farsi paranoie.
 
Marius, sto fuori al Musain. Non vieni? – Eponine
 
Oggi non vengo al Musain, vado in palestra. Ci vediamo a scuola ;) – Courf
 
Marius si era completamente dimenticato dell’appuntamento al Musain. Rispose immediatamente agli sms ricevuti.
 
L’avevo completamente rimosso, scusa! Non ci crederai ma sto al parco e sto aspettando Cosette. Ti aggiornerò su tutto! Non ti ringrazierò mai abbastanza :D – Marius
 
Neanche io vengo, ho da fare. Ci sentiamo dopo :) – Marius
 
«Marius! Ciao!».
Marius non si era accorto che la ragazza era di fronte a lui e gli aveva sorriso sempre in quel modo così dolce che solo lei sapeva fare.
«Cosette», rispose Marius, semplicemente, con un piccolo sorriso: «Eccoti».
Cosette si sedette accanto a lui su una panchina. «Fa di nuovo freddo. Sembrava una giornata così bella stamattina!», disse la ragazza.
«Già. Siamo a Parigi!», fece Marius con un sorriso: «Dovrai abituarti».
Lei annuì. «Sai, Marius», iniziò: «finora sei uno dei pochi ragazzi della scuola che è così gentile e carino con me».
Marius arrossì fino alla punta dei capelli. «Ho conosciuto Alain, Pierre e Vincent. Sono tuoi amici, mi sembra».
«Sì», rispose lui.
«Ecco. Loro, per esempio, sono totalmente diversi da te», fece lei: «cioè, questo è un complimento per te».
«G-grazie».
«Poi ho conosciuto Eponine, la tua amica. È davvero carina, senza di lei adesso non sarei qui».
«Nemmeno io», rispose Marius: «È così bello parlare con te, Cosette».
«Penso la stessa cosa», sorrise lei.
Cosette era stata troppo precipitosa? Marius era stato troppo avventato?
No. Nessuna delle due cose.
Si erano trovati, e basta.
 
Eponine strinse con rabbia il cellulare tra le sue mani, poi lo mise in tasca per evitare danni.
«Tutto bene, sorellina?», la richiamò alla realtà Gavroche.
«Sì, mai stata meglio», rispose lei con un sorriso forzato: «Entriamo?».
Un attimo prima di entrare, vide Grantaire, Jehan e il ragazzo biondo in lontananza.
«Ciao!».
«Ciao», risposero lei e Gavroche. «Oggi di cosa si parla?», chiese il ragazzino ad Enjolras, esaltato.
«Del solito. E accenneremo anche la protesta studentesca che ci sarà a fine mese», rispose il ragazzo, soddisfatto del fatto che Gavroche fosse realmente interessato.
«Hey, Jehan», Eponine richiamò il ragazzo: «stavo pensando alla nostra ricerca. Quando sei disponibile?».
«Sempre», rispose lui.
«Io domani non ci sono. Ti andrebbe bene venerdì pomeriggio?».
«Sì, è perfetto», fece il ragazzo: «Andiamo in biblioteca?».
«Sì, per me va benissimo».
Quel giorno non c’era molta gente al Musain. Joly e Bossuet erano già lì. Qualche minuto più tardi arrivarono anche Bahorel e Feuilly. Courfeyrac non venne.
«Courfeyrac? E quel Pontmercy?», domandò Grantaire ai ragazzi, con sguardo interrogativo.
«Oggi non vengono», rispose semplicemente Combeferre.
Eponine abbassò il capo. Non vedeva l’ora di iniziare l’incontro e di tenere la mente impegnata.
Peccato che il pensiero di Marius fosse sempre presente.
Circa un’ora dopo, quasi alla fine dell’incontro, le arrivò un sms.
 
Forse domani non posso esserci alle audizioni, mi dispiace! Ho chiesto a Cosette di uscire e mi ha chiesto di vederci domani… non voglio farle vedere che già non sono disponibile! Posso venire un’altra volta? – Marius
 
Eponine sentì il mondo crollarle addosso.
 
Non credo. Sono le audizioni. – Eponine
 
Allora posso andarmene prima? Magari chiedo la cortesia di potermi esibire per primo o qualcosa del genere. – Marius
 
No, non penso si possa fare e comunque non fa niente. Va’ da Cosette, davvero. Quando ti ricapiterà un’occasione del genere? Sai come si dice? Carpe diem! – Eponine
 
Lo sapevo che avresti capito. Grazie per esserci sempre, Eponine. :) – Marius
 
L’ultimo messaggio fu quello che spezzò non solo il cuore di Eponine, ma il suo animo.
Grazie per esserci sempre, Eponine.
Perché lei c’era sempre. E nessuno c’era per lei.
Si sentì uno schifo.
«Eponine, io vado a farmi un giro. Ci vediamo stasera!», le disse Gavroche alla fine dell’incontro.
«Ciao, pulce».
Gavroche sgattaiolò via. Eponine sospirò: si mise le cuffiette alle orecchie e andò via.
 
Il giorno dopo, Eponine cercò di evitare completamente Marius. Aveva instaurato un bel rapporto con Grantaire e Jehan e stare con loro era piuttosto piacevole.
«E quindi farai l’audizione oggi!», esclamò Jehan, a momenti più entusiasta di lei: «Che cosa canterai?».
«Bella domanda, Jehan. Non lo so», rispose Eponine.
Grantaire aggrottò le sopracciglia. «Non hai preparato una canzone?», chiese.
Eponine sorrise. «Certo, ne ho preparate molte, ma sono indecisa su quale fare. Credo che deciderò al momento».
Alla fine della giornata scolastica, Eponine salutò i suoi amici e si diresse verso il teatro della scuola. Quando vide il palco, sentì qualcosa all’altezza dello stomaco: non era panico o ansia, bensì era emozione.
Quell’ambiente le metteva allegria, anche se non conosceva nessuno dei ragazzi lì.
«Tu sei…?», le chiese una ragazza.
«Eponine».
«Piacere, Gabrielle», rispose lei, con un piccolo sorriso: «Di che anno sei?».
«Secondo».
«E cosa canterai?», le chiese un ragazzo.
«In realtà ancora non lo so», fece Eponine, sincera: «Ci sto ancora pensando».
«Siete voi i ragazzi del club di teatro?», chiese una voce.
Eponine si voltò e vide Carine.
Eponine detestava Carine – la cosa era reciproca – e le cheerleader in generale. Erano le classiche oche senza cervello ma con un fisico perfetto, salvo qualcuna.
«Sì», rispose semplicemente Gabrielle, quando poi vide la ragazza sgranò gli occhi e disse: «Non ci credo! Carine Picard, è proprio lei!».
Carine si avvicinò ai ragazzi con un sorriso. «Salve, gente!».
«Carine! Ti ho votato, lo sai? Lo sapevo che avresti vinto!», disse Gabrielle con sguardo adorante.
«Lo sapevo anch’io», rispose lei con nonchalance: «Era ovvio, andiamo! Alain e i suoi amici saranno anche popolari, ma non hanno le tette come me. E Robespierre ha soltanto un bel faccino, ma delle idee folli».
Eponine rimase disgustata da quel discorso sciocco. «Come mai anche tu al club di musical?», osò chiedere un ragazzo.
«Beh, ho pensato che ogni tanto abbassarsi ai livelli degli sfigati può essere interessante. È una strategia, ma ciò non significa che non penso che bisogna dare giusto valore e importanza alle arti!», rispose la ragazza con un sorrisetto.
Eponine trattenne un conato di vomito.
«Scusate il ritardo!».
Un ragazzo stava venendo verso di loro: era Combeferre.
Sorpresa, Eponine dovette strizzare più volte gli occhi per accertarsi fosse lui: Combeferre era il più preciso e puntuale de les Amis, forse lo era ancor più di Enjolras.
«Tranquillo, la prof. deve ancora venire», lo rinfrancò Gabrielle.
«Ah, tu sei l’occhialuto che ieri mi ha dato il programma insieme allo psicopatico figo. Purtroppo ho avuto molti impegni, ma vi prometto che entro la fine della settimana darò un’occhiata», fece Carine con un sorriso studiato: «Com’è che ti chiami?».
«Combeferre, non occhialuto. E il mio amico è Enjolras, non lo psicopatico figo», rispose il ragazzo con assoluta pacatezza.
Il cellulare di Eponine emise un trillo.
 
Sto con Cosette, è dolcissima. Ha detto che sono stato un ingrato a non essermi presentato alle audizioni. Mi sa che ha ragione. Ti augura una buona audizione! A proposito… in bocca al lupo, ‘Ponine ;) – Marius
 
Cosette era stata carinissima.
Eponine sorrise tristemente: una sola lacrima le rigò la guancia.
Combeferre aveva notato la presenza della ragazza soltanto quando il suo cellulare aveva squillato. Rimase sorpreso di trovare Eponine lì.
«Ciao Eponine! Anche tu per l’audizione?», le si avvicinò e la salutò amichevolmente, mettendo da parte l’imbarazzo.
«Hey! Sì», rispose lei con un piccolo sorriso, per poi chinare il capo e asciugarsi gli occhi.
Combeferre non sapeva come comportarsi: voleva rassicurarla, ma non sapeva cosa fosse accaduto.
Avrebbe tanto voluto abbracciarla e vederla sorridere.
«Se non te la senti oggi puoi farla anche domani», fu l’unica cosa che riuscì a dirle.
Eponine alzò gli occhi verso di lui. «Davvero?», chiese, incredula.
«Sì. Le audizioni sono giovedì e venerdì».
Eponine ci pensò su: non sapeva se esibirsi il giorno dopo o stesso quel giorno. Avrebbe anche potuto avvisare Marius, ma dubitava si sarebbe presentato il giorno dopo, e poi si era organizzata con Jehan per fare la ricerca di arte.
«Ti ringrazio, non lo sapevo, però credo di farla oggi», rispose Eponine, decisa, poi chiese per sviare il suo malessere: «Tu canterai? O reciterai?».
Combeferre si fece rosso. «Ehm… sì, canterò».
«E cosa?».
«Non lo so ancora. Sono indeciso… avevo pensato ad un pezzo del Fantasma dell’Opera, ma non vorrei esagerare e fare una pessima figura».
Eponine sgranò gli occhi. «Oddio! Se canti Music of the Night, ti sposerò».
Combeferre rise. «Beh… adesso dovresti sposarmi», scherzò.
Eponine sorrise, divertita. «Cavolo! Che scelta audace».
«Appunto… mi sono impegnato molto, ma credo che cambierò. E i cambiamenti improvvisi mi fanno andare in panico».
«Tranquillo. Canta la canzone che preferisci e che ti fa stare meglio», gli suggerì Eponine: «Anch’io sono indecisa. Spero andrà bene».
Combeferre annuì con un sorriso, poi non riuscì a dirle più niente: avevano parlato già abbastanza.
Il ragazzo non si trattenne dal mandare un sms al suo amico Enjolras.
 
Anche Eponine fa le audizioni, sai? Che cosa devo fare? – ‘Ferre
 
L’sms di risposta di Enjolras non tardò ad arrivare.
 
Non ti riconosco più. Ti scomunico come amico. – Enjolras
 
Enjolras, dai, sii d’aiuto… - ‘Ferre
 
Niente, cosa vorresti mai fare? Canta. – Enjolras
 
«Salve! Sono madame Blanchard, la vostra direttrice. Vedo dei volti nuovi!», si presentò una donna bassa e tondetta con un paio di occhiali, i capelli rossicci e un sorriso allegro.
«Sì. Io sono Carine, lui è Combeferre e lei… oh scusa, ho dimenticato il tuo nome! Com’è che ti chiami? Eméline? Eglantine?», chiese Carine ad Eponine.
Eponine le avrebbe volentieri spaccato qualcosa in faccia. «Eponine», rispose Combeferre al suo posto.
«Bene! Speriamo di aver fatto un buon acquisto», disse l’insegnante ammiccando un sorriso: «Benvenuti nel club di teatro e musical! Siete solo voi tre a fare l’audizione, potete decidere chi si esibirà per primo».
«Potrei esibirmi per prima? Prima canto e meglio è!», fece Carine: «O volevi andare tu, Combeferre?».
«Per me va bene. Chiedi anche a lei», rispose il ragazzo.
Eponine apprezzò il piccolo sforzo di Combeferre per far capire a Carine che esisteva anche lei. «Sì, fa’ come vuoi», si limitò a dire.
I ragazzi presero tutti posto. Carine salì sul palco e prese il microfono. Gabrielle l’aiutò a sistemare dal computer la base della canzone che avrebbe cantato.
 
 

I threw a wish in the well
don't ask me, I'll never tell
I looked to you as it fell
and now you're in my way

I'd trade my soul for a wish
pennies and dimes for a kiss
I wasn't looking for this
but now you're in my way

Your stare was holdin',
ripped jeans, skin was showin'
Hot night, wind was blowin'
Where you think you're going, baby?

Hey, I just met you
and this is crazy,
but here's my number,
so call me, maybe?

It's hard to look right,
at you baby,
But here's my number,
so call me, maybe?

Hey, I just met you,
and this is crazy,
but here's my number,
so call me, maybe?

And all the other boys,
try to chase me,
but here's my number,
so call me, maybe?
 
(“Call Me Maybe”, Carly Rae Jepsen)

 
 
«Puoi fermarti!», la interruppe madame Blanchard: «I miei complimenti! Hai una voce dolce e vivace allo stesso tempo e sei perfettamente intonata. Mi piace la tua energia e anche la coreografia!».
Eponine aveva sudato freddo per tutta la durata dell’esibizione: non si sentiva all’altezza. Carine era andata più che bene: più che voce dolce e vivace, aveva una voce da smorfiosa, ma era maledettamente brava.
«La ringrazio», fece Carine con un sorrisetto: «Avanti, il prossimo?».
Eponine e Combeferre si guardarono, indecisi sul da farsi.
«Vado io? Per me è uguale», le disse Combeferre.
«Come preferisci, davvero», rispose gentilmente Eponine.
Combeferre salì sul palco mostrandosi tranquillo, anche se in realtà era intimorito. Aveva lasciato perdere Music of the Night a malincuore, scegliendo un’altra canzone dal suo repertorio mentale.
 
 

What would I do without your smart mouth
Drawing me in, and you kicking me out
Got my head spinning, no kidding, I can’t pin you down
What’s going on in that beautiful mind
I’m your magical mystery ride
And I’m so dizzy, don’t know what hit me, but I’ll be alright
 
My head’s under water
But I’m breathing fine
You’re crazy and I’m out of my mind
 
Cause all of me
loves all of you
Love your curves and all your edges
All your perfect imperfections
Give your all to me
I’ll give my all to you
You’re my end and my beginning
Even when I lose I’m winning
‘Cause I give you all, all of me
And you give me all, all of you
 
How many times do I have to tell you
Even when you’re crying you’re beautiful too
The world is beating you down, I’m around through every move
You’re my downfall, you’re my muse
My worst distraction, my rhythm and blues
I can’t stop singing, it’s ringing in my head for you
 
My head’s under water
but I’m breathing fine
You’re crazy and I’m out of my mind
 
(“All of me”, John Legend)

 
 
Combeferre era stato meraviglioso: non c’erano altre parole per descrivere quanto fosse stato bravo.
L’insegnante lo aveva fermato e lo aveva riempito di complimenti. «Bravissimo, davvero! Hai cantato con molto sentimento e questo è importantissimo in un club di teatro e musical, dato che l’espressività e le emozioni sono le prime cose da mettere in scena».
Combeferre tornò al suo posto, rossissimo in viso. Non osò guardare nessuno in faccia.
«Sei stato bravissimo e sono sicura che anche la tua Music of the Night sarebbe stata ugualmente grandiosa», gli sussurrò Eponine.
«Davvero ti è piaciuta?», chiese Combeferre, nascondendo egregiamente la sua sorpresa.
«Ma ti sei sentito? Sei stato straordinario! Davvero intenso», rispose lei, sincera: «E adesso tocca a me…».
«In bocca al lupo», le sorrise lui.
Eponine salì sul palco e l’ansia si dissolse tutto d’un tratto. Chiuse gli occhi per un istante e fece un respiro profondo: si sentiva perfettamente a suo agio su quel palco.
Poteva farcela. Era quello il suo luogo, la sua vera casa, il suo sogno più segreto.
 
 

If anyone asks
I'll tell them we both just moved on
When people all stare
I'll pretend that I don't hear them talk
Whenever I see you
I'll swallow my pride and bite my tongue
Pretend I'm okay with it all
act like there's nothing wrong
 
Is it over yet?
Can I open my eyes?
Is this as hard as it gets?
Is this what it feels like to really cry?
Cry
 
If anyone asks
I'll tell them we just grew apart
Yeah what do I care if they believe me or not?
Whenever I feel your memory is breaking my heart
I'll pretend I'm okay with it all
act like there's nothing wrong
 
Is it over yet?
Can I open my eyes?
Is this as hard as it gets?
Is this what it feels like to really cry?
Cry
 
I'm talking in circles
I'm lying, they know it
Why won't this just all go away
 
Is it over yet?
Can I open my eyes?
Is this as hard as it gets?
Is this what it feels like to really cry?
Cry
 
(“Cry”, Kelly Clarkson)

 
 
Se Combeferre era pazzo di Eponine da sempre, dopo quell’esibizione ne era pazzamente innamorato: Eponine era stata perfetta.
Aveva cantato con un’intensità e una bravura senza eguali. Non aveva semplicemente cantato: sentiva ciò che intonava.
«Per me vale lo stesso discorso che ho fatto al tuo compagno poco prima. Ci hai messo tanta passione. Bravissima! Hai un’estensione vocale molto alta, questa è una gran cosa. Dimmi un po’, per caso fai canto?», le chiese madame Blanchard, interessata.
«No», rispose Eponine, sincera, arrossendo lievemente: «Canto per passione quando posso…».
Sia Carine che Combeferre ed Eponine vennero accettati nel club.
«Sei stata eccezionale», le si congratulò Combeferre.
Eponine sorrise, lievemente. «La cosa è reciproca», rispose.
«Ti ringrazio», Combeferre chinò il capo: «Beh… ci vediamo mercoledì prossimo?».
«Non so se verrò al Musain, mi dispiace», fece Eponine, sincera: «ma sicuramente ci vedremo giovedì, ma anche durante la settimana».
«Allora ci vediamo a scuola».
«Ciao!».
Gabrielle e gli altri ragazzi fecero i complimenti a tutti. Carine andò via, senza degnare Eponine di uno sguardo. Prima di tornare a casa, Eponine andò nel bagno della scuola e ne approfittò per controllare ancora una volta il proprio cellulare.
 
Com’è andata? – Marius
 
Senza pensarci due volte, cancellò il messaggio.


 



 

Angolo Autrice

Buon pomeriggio a tutti!
Okay, sono tornata qualche giorno fa e sì, sono finite le mie vacanze çç Ma non stiamo a parlare delle mie vacanze, piuttosto del nuovo capitolo! XD
In questa ff Jehan shippa e/R, ve lo posso confermare XD Abbiamo il primo incontro di Enj e 'Taire in biblioteca e insomma, questi due litigano come sposini come se non ci fosse un domani XD
Marius e Cosette aka la coppietta più dolce del mondo *w*
Abbiamo finalmente l'audizione di Eponine e... *rullo di tamburi* ta dah! Combeferre che fa un corso di musical! Come mai proprio un corso di musical? Lo scopriremo soltanto vivendo (?) (scherzi a parte, non c'entra niente il fatto che lo faccia anche Eponine. 'Ferre non lo sapeva :v ).
Ah, premetto che questa cosa del corso di teatro e musical non sarà la cosa principale di questa ff, ovvero non parlerò unicamente di questo dato che ci sono molte altre storyline da sviluppare. Sarà invece molto importante per 'Ponine e 'Ferre.
Ecco, ora inizia il mio monologo. Vi prego di leggerlo LOL
Alors, non odiate né Eponine né Marius, a seconda delle vostre preferenze. Ammetto che io simpatizzo molto per Eponine (lei e Fantine sono i miei pg femminili preferiti) e so anche che 'Ponine in questa ff sta prendendo la piega della ragazza acida, scontrosa e nonsocosa, ma okay, vi assicuro che tutti cresceranno e matureranno, davvero. In questa ff li ho pur sempre presentati come degli adolescenti xD e insomma, è solo questione di tempo (mi riconosco un po' in alcuni di loro e quindi provo a metterci me stessa quando posso, in un certo senso XD).
Idem Marius. Non odiatelo perché non ha mantenuto la sua promessa. Cioè, io sono la prima a non condividere la cosa, però è un ragazzo innamorato e sappiamo tutti cosa capita agli/alle adolescenti innamorati/e (non voglio generalizzare eh, però spesso capita xD), almeno i primi tempi xD Vi assicuro che Eponine e Marius non perderanno la loro amicizia, anche se così vi può sembrare.
E scusatemi davvero tanto per il monologo ma ci tenevo a fare un paio di precisazioni per evitare disguidi vari e per mettere chiarezza sul proseguimento di questa storia xD
Spero vi sia piaciuto il capitolo e spero abbiate fatto buone vacanze!
A presto! :D
SmartieMiz

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Capitolo 9
*** L’idillio di Rue Oudinot ***


Capitolo IX ~ L'idillio di Rue Oudinot



Il giorno dopo, Eponine fece finta che non fosse accaduto assolutamente niente. Sistemava i suoi libri nell’armadietto con estrema cura e ancora non aveva visto Marius.
Lei non cercava più Marius, e semplicemente lui non cercava lei. Eponine lo faceva a malincuore, Marius senza nemmeno accorgersene.
Si ridestò quando le si avvicinò Cosette che la salutò con un dolce sorriso.
«Com’è andata l’audizione?», le chiese la ragazza, realmente curiosa.
«Bene», rispose Eponine: «Grazie».
«Marius si è davvero dispiaciuto, ieri non ha fatto altro che dire che era una persona orribile», le disse Cosette: «Voleva sentirti».
Beh, se voleva realmente sentirmi sarebbe venuto, e avrebbe lasciato perdere te, pensò Eponine, ma tenne quel pensiero per sé. Cosette era una ragazza così dolce e solare, come poteva odiarla?
Eppure era più forte di lei: Eponine la detestava. La detestava perché era venuta da poco e già aveva fatto breccia nel cuore dell’ingenuo Marius. La odiava perché, senza volerlo, si era portata via il suo migliore amico, lo stesso ragazzo che lei conosceva da più tempo e con il quale aveva condiviso momenti belli e brutti.
E odiava Marius ancor di più, perché aveva dimenticato tutta la loro amicizia a causa di quell’amorazzo nato all’improvviso.
«Devo andare», tagliò corto Eponine: «Ci vediamo».
Eponine si stava dirigendo verso l’aula quando finalmente vide Marius.
«Hey, ‘Ponine! Mi dispiace non…».
Eponine lo fermò, forzando un sorriso. «Lo so, Cosette mi ha già detto tutto. Tranquillo».
Marius annuì, con quei suoi occhi dolci e un po’ intristiti. Bastò guardarlo e immediatamente Eponine si dimenticò di odiarlo, mentre il suo cuore incominciava a riempirsi di gioia e di tenerezza.
Ma Eponine lo salutò e andò via. Restava il fatto che Marius aveva preferito mille volte Cosette a lei.
Doveva farsi da parte? O doveva continuare a combattere per ottenere ciò che voleva?
Non lo sapeva. Eponine non sapeva più niente.
 
«Ho invitato Enjolras a continuare la ricerca da me, ma non vuole andare in nessun posto che non sia la biblioteca», sbuffò Grantaire.
«Come ti ha risposto?», domandò Jehan.
«“No, grazie, ma non scomodarti: a mio parere la biblioteca è il luogo più adeguato per lo studio”», lo imitò Grantaire con aria saccente: «Gli ho pure detto che oggi c’è mia zia a casa, sai, per evitare malintesi, ma non vuole saperne niente. Che bel marmo!».
Jehan scosse il capo. «Credo sia normale, ‘Taire, non vi conoscete molto bene. Anch’io proverei imbarazzo se mai Courfeyrac mi invitasse da lui…».
Jehan si rese conto di aver parlato anche fin troppo e divenne più rosso dei suoi capelli. Grantaire lo guardò con un sorriso malandrino. «Allora avevo capito tutto», disse, compiaciuto, dandogli una pacca amichevole sulla spalla.
«È così evidente?», chiese Jehan, senza negare.
«Andiamo! Lo capirebbero tutti», ridacchiò Grantaire, ma ciò non migliorò la situazione. Cercò di rassicurare subito Jehan che già aveva sgranato gli occhi: «Okay, non credo gli altri ci abbiano fatto molto caso, e Courfeyrac stesso mi sembra troppo indifferente per realizzare una cosa del genere».
Indifferente.
Jehan ebbe improvvisamente paura di quella parola. Ebbe come l’impressione di essere stato bagnato da un secchio d’acqua ghiacciata.
Lui era Jean Prouvaire e se a scuola vi era una sorta di piramide gerarchica, lui era alla base di essa, o forse non ne faceva nemmeno parte.
Era un perdente - uno sfigato, per intenderci – e Courfeyrac era tutto fuorché uno sfigato.
Lui aveva amici per tutta la scuola, e sicuramente delle ragazze.
Jehan non avrebbe mai occupato un pezzettino del suo cuore e nemmeno della sua mente. Forse Courfeyrac lo salutava soltanto perché era una persona educata, o forse gli faceva semplicemente pena. Forse quella domenica gli aveva chiesto cosa stesse facendo al parco soltanto perché era annoiato.
Jehan era stato troppo accecato da quel sole per poter soltanto pensare di fermarsi a riflettere.
Jean Prouvaire era un poeta, un sognatore, e chi meglio di lui poteva capire cosa gli stesse accadendo? Era inutile continuare a nasconderlo a se stesso: era innamorato.
Ma innamorato della persona sbagliata.
 
Il pomeriggio, Jehan ed Eponine si incontrarono fuori la biblioteca per la ricerca, e allo stesso tempo anche Grantaire ed Enjolras.
Eponine fu contenta di vedere anche Grantaire che subito le chiese dell’audizione.
«È andata molto bene, a madame Blanchard è piaciuto molto!», rispose la ragazza entusiasta: «Ah, e ho incontrato anche Combeferre. Farà anche lui il club di teatro».
Grantaire aggrottò le sopracciglia al contrario di Enjolras che annuì, per niente sorpreso. Quando entrarono nell’edificio, Eponine e Jehan chiesero una saletta per poter studiare in tranquillità e parlare anche ad alta voce se fosse stato necessario.
Grantaire non si trattenne dal guardare Enjolras con un’espressione accigliata come per dirgli: “Hai visto?”. Enjolras lo ignorò di proposito.
Per tutto il pomeriggio Jehan non poté non notare che Eponine era piuttosto triste; la cosa era assolutamente reciproca.
Grantaire, Jehan ed Eponine non erano altro che tre anime affrante e ferite profondamente dalla freccia scoccata da Cupido, solo che Grantaire affrontava il tutto con fermezza, Jehan con timidezza ed Eponine con sconforto.
 
Quella volta per Enjolras fu particolarmente piacevole lavorare sulla ricerca d’arte: Grantaire sembrava finalmente aver capito le regole da rispettare in biblioteca e quindi evitò brutte figure.
Finalmente finirono la ricerca, ma ovviamente Enjolras – un perfezionista senza speranze – volle approfondirla maggiormente. O fu soltanto una scusa per restare altro tempo lì? Questo Grantaire non lo seppe mai, e nemmeno lo stesso Enjolras.
«Secondo me sarebbe una buona idea realizzare dei disegni utilizzando appunto la tecnica del puntinismo», propose Enjolras, parlando sottovoce per non disturbare nessuno: «ma io sono una frana in disegno».
«E io che credevo fossi perfetto e sapessi fare tutto!», scherzò Grantaire, ottenendo la reazione impassibile dell’altro: «Comunque posso provare io, davvero. Entro mercoledì sarà tutto pronto».
«Cosa hai in mente?».
«Lo scoprirai», disse semplicemente Grantaire, restando sul vago: «Lo so che non ti fidi di me, ma questa volta puoi anche metterci una mano sul fuoco! Ne uscirà una cosa fantastica. Ti stupirò, Apollo».
«Spero tu abbia ragione», si limitò a dire Enjolras, nascondendo al meglio la sua curiosità.
 
Marius e Cosette erano di nuovo al parco quel pomeriggio. Il tempo sembrava scorrere in modo velocissimo quando i due giovani erano insieme, e non era mai abbastanza sufficiente.
«Comunque tuo padre è il mio professore di filosofia», disse Marius ad un certo punto alla ragazza.
«Davvero?», esclamò lei, poi incuriosita domandò: «E com’è?».
«È un bravo professore, davvero buono. Cioè, non lo dico perché sei sua figlia, ma lo è davvero».
Cosette rise, leggermente. «L’avevo immaginato. Non sei subdolo come gli altri. Alain ha subito decantato mio padre come se fosse, non so, il dio della filosofia disceso in terra!».
Marius sorrise adorabilmente. Era così dolce sentir Cosette parlare e vederla ridere, e sentiva che avrebbe potuto vivere soltanto di quello.
«Ora devo andare», fece Cosette, poi scherzò: «Mio padre sarà anche un buon professore e un brav’uomo, non posso lamentarmi, ma su questo è severo».
«Perché per le sette devi stare a casa?», chiese infatti Marius.
«È molto protettivo, ci tiene a me. Sono abituata», spiegò Cosette con assoluta innocenza: «E poi alle otto c’è la cena, sto un’oretta prima con madame Touissant».
Marius la guardò, interrogativo. «La governante», si affrettò a spiegare Cosette, con un piccolo sorriso: «È una donna molto dolce».
Il ragazzo annuì. «E se dopo cena non puoi uscire, posso venire io da te?», propose Marius, con gli occhi che s’illuminavano per la splendida idea.
Cosette sorrise felicemente, ma con una punta di malinconia. «Già è tanto che mio padre mi stia lasciando libera il pomeriggio», disse: «però mio padre va a letto alle dieci e mezzo, più o meno. Se restassi in giardino… e tu fuori al cancello…».
«Alle undici mi faccio trovare fuori al cancello! Lo farò!», disse Marius con gioia: «Se tu lo vuoi, ovviamente».
«Certo che lo voglio, ma non so, è troppo tardi, potrebbe essere pericoloso», spiegò Cosette, piena di buonsenso.
«Anche se solo per dieci minuti, passerò!», si convinse Marius: «Dove abiti?».
«Rue Oudinot1».
 
Eponine, sai dov’è Rue Oudinot? – Marius
 
Eponine era a casa quando lesse il messaggio. Non pensò nemmeno lontanamente che potesse essere la via dove abitava Cosette.
 
– Eponine
 
Non è che me lo spiegheresti? È dove abita Cosette – Marius
 
Eponine provò a controllare la collera. Cosa doveva fare?
Scelse di aiutare Marius fino in fondo, illudendosi che così il loro rapporto sarebbe migliorato.
 
Certo! Telefonami pure – Eponine
 
«Perché oggi non sei andato al parco?», chiese Grantaire indagatore, contemplando la grande libreria di casa Prouvaire: «Mi hai fatto capire che vai sempre al parco a leggere».
«Oggi non mi andava», rispose Jehan, semplicemente.
Grantaire si voltò, inarcando un sopracciglio. «Tu, essere immondo!», disse, indicandolo: «Che cosa ne hai fatto di Jean Prouvaire?».
Jehan scosse il capo, non nascondendo un piccolo sorriso. «Può capitare».
«Io già so a cosa o meglio, a chi stai pensando», fece Grantaire, quasi orgoglioso di riuscire ad entrare nella testa dell’amico: «Ah, l’amore».
«Non sto pensando a Cou… all’amore, ecco», rispose Jehan, diventando paonazzo.
Grantaire fece un’espressione eloquente che convinse Jehan ad aggiungere: «Sono proprio un libro aperto…».
«Mi sa di sì», confermò Grantaire con un sorriso sornione: «Sai che ti dico? Non puoi aspettare che scenda la manna dal cielo. Chiedigli di incontrarvi».
«Ma come! Non si ricorderà nemmeno chi sono», protestò Jehan.
«Certo che si ricorda di te, sei tu che non vuoi, è ben diverso. Io lo chiederei ad Enjolras se solo sapessi che non mi risponderebbe con un secco no», spiegò il ragazzo.
«E se anche Courfeyrac facesse così?».
«No. Insomma, l’hai visto? Non è di certo cattivo o poco educato. Non che Enjolras lo sia, ma di certo non è così raggiante e amichevole come Courfeyrac».
«Ma non vorrei che Courfeyrac fraintendesse…».
«Ma mica ti ho detto di organizzare una cena al lume di candela o un appuntamento al buio!», rise Grantaire: «Qualsiasi cavolata, anche un caffè! E che deve fraintendere? Sarà una cosa tra amici, che deve capire? E se pure capisse, tanto meglio per te».
«No, invece. Ha così tanti amici… come può fregarsene di uno come me?», finalmente esplose Jehan: «Ed è un così bel ragazzo, avrà tante pretendenti, e io con loro. E poi io sono un ragazzo. Io sono innamorato dell’amore, ma sarà lo stesso anche per lui?».
Jehan ne parlò con estremo rammarico: più ci pensava e più traeva delle tristi conclusioni.
Grantaire capì perfettamente ciò che voleva dire Jehan. Gli si avvicinò e lo guardò, seriamente. «Il fatto che lui abbia tanti amici e tu no è irrilevante: sarebbe un essere superficiale se pensasse a questo. E comunque, sai cosa mi ha sempre detto mia zia? Non ci si innamora del sesso, ma esclusivamente della persona. Non so fino a quanto può essere vero e quanto gli altri possano condividere, ma per me sì, è così, assolutamente. Io sono reduce di diverse “avventure”, e non lo dico per vantarmi o chissà che cosa, ma per farti capire. Ma cavolo, nessuna è assolutamente paragonabile ad Enjolras e a come mi fa sentire».
Pensando ad Enjolras e ammettendo quelle cose a cuore aperto, Grantaire sorrise lievemente, ma continuò ugualmente, parlando speditamente: «Eppure Enjolras è un ragazzo, ma cosa m’importa? Niente. Non me lo chiedo nemmeno, non mi soffermo nemmeno a pensare perché proprio lui. Perché è lui, e basta».
Jehan annuì: era totalmente d’accordo con Grantaire, la pensava esattamente allo stesso modo, ma aveva comunque paura di poter ricevere un rifiuto da parte di Courfeyrac.
Lo vedeva così lontano e irraggiungibile e, paradossalmente, più pensava a lui, più lo sentiva vicino.
 
 
«Mi auguro che però te ne sappia tornare a casa da solo dopo», scherzò Eponine.
«Ma sì! Sei la mia salvezza, davvero. E sei anche il mio navigatore», rise Marius.
Eponine sforzò un sorriso per quella battuta estremamente squallida. «Allora? È quella la villa della signorina?».
«Sì». Marius sospirò, visibilmente emozionato. «Grazie mille, ‘Ponine, davvero», il ragazzo abbracciò l’amica: «Tutto questo è sempre grazie a te».
Eponine non riuscì a dire niente, se non a stringere più forte Marius a sé e sentire il suo profumo fresco nelle narici. Ogni parola che diceva era come una pugnalata.
«Marius».
«Sì?».
Eponine abbandonò delicatamente quell’abbraccio. «Noi siamo amici, vero?».
Marius la guardò, interrogativo. «Scherzi? Sei la mia migliore amica! Perché me lo chiedi?».
La ragazza si limitò ad un piccolo sorriso. «Così. Adesso vado. Ci sentiamo!».
Marius le fece un cenno di saluto, poi si avvicinò al cancello di villa Valjean. Eponine, in realtà, gli aveva mentito: non andò via, ma si nascose affinché potesse ascoltare di nascosto.
Era notte ormai a Parigi, e si gelava. Cosette era nel giardino, stretta nella sua vestaglia. Quando vide Marius fuori al cancello sorrise enormemente, per poi avvicinarsi a lui.
«Marius», disse semplicemente.
«Cosette», rispose lui, con la stessa intensità: «È sempre bello vederti».
«Lo è anche per me», rispose lei, con gli occhi luminosi: «Vorrei farti entrare, ma non vorrei che papà si svegliasse all’improvviso e andasse a fare un giro in giardino, non so…».
«Tranquilla. Sono felice lo stesso», rispose lui, sincero.
«Allora? Sei arrivato fin qui senza problemi?», si impensierì lei.
«In realtà soltanto grazie all’aiuto di Eponine», fece Marius, poi cambiò argomento dicendo: «È proprio un bel giardino».
«In primavera e in estate lo è ancora di più. In quelle stagioni la natura è semplicemente rigogliosa», spiegò Cosette, dolcemente: «Sono contenta ti piaccia».
Eponine non riuscì più ad udire nient’altro: sentirli conversare così amabilmente la distruggeva soltanto. Tornò sui suoi passi.
Incominciò a piovere.
 

Hey Courf, come va? È da molto che non ci sentiamo. Ti andrebbe di vederci?
 
 
1 Attualmente Rue Oudinot corrisponde a rue Plumbet, la via di cui si parla nel romanzo.


 


 
Angolo Autrice


Buongiorno a tutti!
Mi scuso infinitamente per l'immenso ritardo. Non sono stata colpita dal blocco dello scrittore (dato che questi capitoli sono già scritti, non tutti ma questi sì XD), bensì dalla mancanza di tempo. La scuola è iniziata e con essa tutti gli impegni annessi XD
Dunque, in questo capitolo abbiamo un palese richiamo al romanzo (a partire dal titolo) e al musical ("A Heart Full Of Love" "On My Own"). Mi è piaciuto fare questi riferimenti XD

In questo capitolo c'è qualcosa di molto importante, ovvero il discorso tra 'Taire e Jehan (miei cuccioli adorati ♥) e le parole di Grantaire tramandate da sua zia. Sono importanti perché rappresentano un po' il fulcro del rapporto tra Jehan e Courf.
Abbiamo Marius e Cosette ed Eponine. Niente Enjolras, 'Ferre, Courf, Joly e altri, ma torneranno molto presto!
E nel prossimo capitolo ci sarà una special guest star... una già comparsa u.u Vi sfido ad indovinarla XD
Per quanto riguarda il finale, abbiamo un sms. Chi l'avrà mandato? Sono aperte le scommesse anche per questo XD
Spero vi sia piaciuto questo capitolo! Come al solito ringrazio tutti coloro che seguono, recensiscono o semplicemente leggono ♥ 
A presto! (si spera...) :D
SmartieMiz

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Capitolo 10
*** Convegni miracolosi ***


Capitolo X ~ Convegni miracolosi



«Courf, mi dispiace ma non posso venire più. Oggi sono inciampato a terra mentre andavo dai miei nonni e adesso mi fa male tantissimo la schiena. Credo che starò un paio di giorni a letto. Non vorrei inciampare nuovamente e rompermi un braccio!».
Sembrava una scusa ben costruita, ma Courfeyrac non aveva bisogno di sottoporre Bossuet ad un interrogatorio: quel ragazzo era semplicemente colpito dal malocchio sin dalla nascita. E poi si fidava di lui: Bossuet era sincero, se mai si fosse scocciato di uscire l’avrebbe detto senza problemi.
«Mi dispiace molto. Andrai all’ospedale?», s’interessò Courfeyrac, preoccupato.
«No, fortunatamente non è niente di grave, devo solo riposarmi un po’», spiegò Bossuet: «Ora devo staccare, serve il telefono a mia sorella. Ci sentiamo! Divertiti, caro».
«Grazie. Rimettiti presto!».
Non appena Courfeyrac attaccò il telefono di casa, il suo cellulare iniziò a squillare insistentemente. Lesse il nome di Joly sul display.
Courfeyrac alzò gli occhi al cielo: cos’altro doveva andar male quel sabato pomeriggio?
«Courf».
«Joly, hey!».
«Bossuet ti ha spiegato tutto, vero?».
«Sì, ho appena finito di parlare con lui».
«Bene, volevo dirti che praticamente non verrò alla conferenza perché andrò da lui a fargli un po’ di compagnia. Mi dispiace tantissimo! E poi devo controllare se si è rotto qualche osso, sai, non si sa mai… e se fosse qualcosa di grave? Deve andare all’ospedale!».
«Se si fosse rotto qualche osso credo che non camminerebbe più. Mi ha detto che non è niente di grave», fece Courfeyrac, poi aggiunse: «Comunque tranquillo. Grazie per avermi avvisato».
«Mi dispiace davvero! Poi mi dirai com’è il convegno», disse l’amico.
«Non ci andrò», rispose semplicemente Courfeyrac.
«Perché?».
«Da solo non ne ho voglia. Se fosse venuto un amico con me allora sì. Ma non preoccuparti!».
Joly si sentì in colpa. «Non puoi andare con Marius?».
«Ha da fare».
«Combeferre?».
«Glielo chiesi già quando presi i biglietti. Gli piacerebbe, ma deve studiare. Sì, Joly, studia il sabato per il lunedì».
«Enjolras?».
«Quando glielo chiesi esordì con un “Mai un convegno sulla politica e sulla Repubblica Francese e i problemi che l’affiggono, eh? Mi dispiace, ma non sono interessato, ho cose ben più importanti di cui occuparmi”».
«Bahorel, allora! Sicuramente non avrà niente da fare».
«Sicuramente si scoccia».
«Feuilly?».
«Lavora questo sabato».
Joly sospirò, poi venne illuminato da un’idea. «Inizia tra un’ora, vero?».
«Sì. Devo prepararmi ora o farò tardi…».
«Bene, tranquillo! Ti richiamo tra dieci minuti», disse Joly, fiducioso.
Quando ebbe finito di parlare con l’amico, Courfeyrac sospirò. Aveva prenotato i posti per quel convegno già due settimane prima: nessuno dei suoi amici era interessato a partecipare oppure semplicemente avevano già altri impegni; soltanto Joly e Bossuet si erano dimostrati disponibili, forse per pietà.
Courfeyrac non aveva nemmeno pensato di chiedere ad Alain, Pierre e Vincent e agli altri suoi amici a scuola; quel convegno era come qualcosa di segreto. Era una conferenza su una delle sue più grandi passioni e non gli piaceva condividerle con gli altri; soltanto i suoi amici più stretti lo sapevano.
 
Quel sabato pomeriggio Grantaire stava dipingendo qualcosa quando ricevette improvvisamente la telefonata di Joly, uno degli amici di Enjolras. Non si sorprese più di tanto: in quei giorni Grantaire, grazie alla sua spigliatezza e al suo carattere, era riuscito a mantenere i contatti con diversi amici di Enjolras e ad instaurare un buon rapporto.
«‘Taire? Come va?».
«Joly, hey! Direi bene. Tu?».
«Bossuet è caduto oggi e ha mal di schiena, andrò di persona a controllare se si è fratturato qualcosa», rispose Joly, quasi con tono professionale: «Per quanto riguarda me, ho un mal di gola allucinante e non mi separo più dalla mia sciarpa, neanche la notte».
Grantaire aggrottò le sopracciglia. «Mi dispiace per te, e anche per Bossuet! Fammi sapere come sta».
«Lui ritiene di non avere niente di grave, ma non sa quello che dice. Bisogna fare una diagnosi accurata per poter trarre delle conclusioni», fece Joly, serio, poi disse: «Praticamente volevo dirti che abbiamo dovuto declinare l’invito di Courfeyrac per un convegno. Ha già preso i biglietti e ci sono due posti liberi. Mi chiedevo se ti farebbe piacere venire al posto mio!».
«Un convegno? Su cosa? Sul vino?», domandò Grantaire, incuriosito.
«No, un convegno sulla storia del cinema francese negli anni ‘30-‘40».
Grantaire strabuzzò gli occhi. «Non mi sembra roba da Courfeyrac», disse.
«Lo so, diciamo che è la sua passione segreta e non gli piace condividerla con altri, quindi acqua in bocca. Ci saremmo dovuti incontrare tra un’ora al Musain e poi saremmo andati insieme a questa conferenza».
«Al Musain? Ma avete un rapporto morboso con quel posto!».
«Tutta colpa di Enjolras», rispose Joly con una risata: «Allora? Che ne dici?».
«Ti faccio sapere», rispose il ragazzo: «Hai detto due posti liberi, vero?».
«Sì».
«Chiedo pure a Jehan, credo sia interessato».
«Perfetto!».
 
«Cooosa?».
Jehan non credeva alle sue orecchie: due posti liberi per un convegno sul cinema. Con Courfeyrac. Gli sembrava tutto uno scherzo.
«È come ti ho detto», fece Grantaire: «Allora? Hai da fare?».
«No, ma ci devo pensare. Non sono pronto psicologicamente, insomma… ci sarà Courfeyrac! Non ci credo!», cinguettò Jehan.
Grantaire si contenne e trattenne le risate: Jehan sembrava decisamente una ragazzina alla sua prima cotta.
«Non c’è niente a cui pensare, già è tardi. Mettiti qualcosa addosso ed esci», gli suggerì Grantaire.
«Ma se ci pensi è come se fossimo le ruote di scorta... Courfeyrac non aveva di certo preso i biglietti per noi due…».
«Ma che ti frega! Non iniziare a farti paranoie! Approfitta della cosa!», lo esortò l’amico.
«Va bene! Non ci credo!», continuò a dire Jehan felice, più a se stesso che a Grantaire: «Allora? Alle cinque in punto al Musain?».
«Sì. Ci vediamo dopo».
 
Eponine stava incominciando ad odiare con tutta se stessa il sabato: Montparnasse monopolizzava casa sua quel giorno, e non era solo: casa Thénardier veniva occupata da Babet, Gueulemer e Claquesous. Quei quattro, inseparabili, erano amici di suo padre.
Il sabato pomeriggio Eponine si chiudeva in camera dato che non voleva vedere nessuno, eccezion fatta per Azelma e Gavroche; tuttavia, quel sabato Montparnasse s’infiltrò nella stanza della ragazza.
«Avresti potuto bussare!», sbraitò Eponine, alzandosi dal letto.
«Perché? Mi avresti aperto? Non credo», rispose Montparnasse, ironico.
Eponine boccheggiò qualcosa. Il ragazzo sorrise, trionfante.
«Cosa vuoi?», sbottò lei.
«Niente, devo andare. Volevo semplicemente salutarti», fece lui: «ma a quanto pare la signorina qui presente non gradisce la mia presenza…».
«Ti fai vedere sempre nei momenti meno appropriati», rispose lei.
«Ma allora non devo farmi vedere mai, se la pensi così. Non credi, piccola Thénardier?».
«Mi chiamo Eponine», disse lei, freddamente.
Montparnasse si limitò a sorridere, sornione, poi si avvicinò a lei. La fissò con un’espressione che Eponine avrebbe giurato di non aver mai visto sul suo volto: sembrava serio se non addirittura preoccupato, e ciò la spaventava.
«Perché mi guardi in questo modo?», domandò Eponine, sostenendo il suo sguardo.
«Perché sei così fredda?», chiese lui di rimando: «Eri così sorridente un tempo».
Eponine accennò un sorriso nostalgico. «Anche tu lo eri. Sei cambiato un sacco».
«Sono ancora più bello, lo so».
La ragazza sbuffò. «Non metto in dubbio la tua bellezza. Piuttosto…».
«… anche tu sei cambiata», la interruppe lui: «Ti ho fatto qualcosa? Non mi risulta».
«Perché stai venendo quasi tutti i giorni a casa mia?», chiese Eponine: «Cosa vuole mio padre da te? Cosa vuole da tutti voi?».
«Mi sembrava di aver capito che non volessi avere niente a che fare con i nostri affari».
«E infatti non voglio esserne coinvolta, ma ho il diritto di saperne almeno qualcosa!», scoppiò Eponine: «Non posso continuare ad andare avanti così… non sto capendo più niente…».
Montparnasse non le rispose. Eponine aveva gli occhi lucidi, stanchi e arrabbiati.
«Cos’è più importante per te? La famiglia o il resto del mondo?», le chiese improvvisamente il giovane.
«Ma che domanda è?», fece lei.
«Rispondi».
Eponine tirò su col naso. «La famiglia… se solo ce l’avessi ancora».
Montparnasse annuì, lentamente. «Ne parlerò con tuo padre e vedremo cosa fare».
«Non c’è niente da fare!».
Il ragazzo abbassò il cappello ossequiosamente: «Devo andare. Au revoir, mademoiselle».
 
Grazie a Joly, Courfeyrac aveva trovato qualcuno che potesse andare a quel convegno al posto suo e di Bossuet. Grantaire e Jehan non erano proprio suoi amici intimi, ma Courfeyrac era aperto con tutti; d’altronde, Grantaire era una persona simpatica e Jehan era solo un po’ riservato, ma non era male.
Alle cinque precise, Jehan era fuori al Musain.
«Arriveranno», sussurrò Jehan tra sé e sé, sistemandosi meglio la sciarpa per proteggersi dal freddo autunnale.
Con molta pazienza attese gli amici. Riuscì a scorgere la figura di Courfeyrac dopo circa dieci minuti.
«Ciao!», lo salutò Courfeyrac con un sorriso. Non diede nemmeno il tempo a Jehan di rispondere per dire subito: «Non so come ringraziarti! Se anche tu e Grantaire aveste rifiutato, credo che sarei arrivato a strapparmi i capelli! Ah, e scusami per il ritardo! Ti ho fatto aspettare un sacco di tempo, scusa!».
Jehan non riuscì a dire niente, sottoposto a mille emozioni diverse e contrastanti. Sorrise, semplicemente.
Il cellulare di Jehan squillò. «Deve essere Grantaire», asserì il ragazzo: «Scusami un momento».
Jehan rispose alla chiamata. «‘Taire? Stiamo al Musain, ti stiamo aspettando. Tu dove sei?».
«A casa».
«Sei almeno pronto?», chiese Jehan, sgranando gli occhi.
«No, non verrò. Un giorno mi ringrazierai».
Grantaire si era appena vendicato per la “storia” della biblioteca. «Grantaire… ti prego…».
«Nah, non devi ringraziarmi! Lo sai che lo faccio per te. Poi mi farai sapere come bacia! Mi raccomando eh! Ti telefono stasera. Buona fortuna».
Grantaire lo abbandonò. Jehan era rosso come un peperone: non aveva nemmeno il coraggio di guardare in faccia Courfeyrac dopo quelle parole.
Tutto quello scompiglio significava soltanto una cosa: Jehan sarebbe rimasto solo con Courfeyrac.
Una specie di primo appuntamento ad insaputa di tutti.
Quei pensieri di certo non aiutarono il giovane poeta a tranquillizzarsi e a fare pace con se stesso.
«Jehan? Tutto bene?», fu proprio Courfeyrac a riportarlo sul pianeta Terra.
Jehan si voltò verso di lui. «Grantaire ha dato buca», disse, semplicemente: «Mi dispiace…».
Courfeyrac scosse il capo. «Non fa niente! Va bene lo stesso», lo rassicurò, poi aggiunse: «Meglio se ci incamminiamo, però».
 
Ormai Marius e Cosette si vedevano quasi tutti i giorni: quel sabato si ritrovarono nel parco a mangiare un gelato.
Marius era diventato inconsapevolmente più allegro e distratto; Cosette era diventata più intrepida e ancor più radiosa.
Il ragazzo non smetteva di incantarsi ogni volta che Cosette parlava: lo faceva sempre con un sorriso e con un’estrema dolcezza. Era semplicemente pazzo di lei.
Marius era sicuro di essere innamorato della ragazza; non aveva mai provato una sensazione del genere prima d’ora con qualcun’altra.
«Marius? Mi stai sentendo?», chiese d’un tratto lei.
Marius tornò alla realtà. Si grattò la testa, nervosamente. «Ehm… scusa. Stavo pensando», rispose, timidamente.
«A cosa pensavi di così interessante da snobbarmi in questo modo?», disse lei, giocosamente.
 A quanto sono pazzo di te, pensò Marius.
«A quanto sei bella. E dolce. E gentile. E intelligente. E solare. Sei semplicemente meravigliosa. Questo è tutto ciò che penso di te».
Marius parlò a raffica, infervorato. Cosette sorrise teneramente. «Questo è quello che pensi di me?», disse, con due occhi pieni di luce.
«S-sì».
«Ed è esattamente ciò che penso anch’io».
Cosette si protese leggermente in avanti e si alzò in punta di piedi per avvicinare le proprie labbra a quelle di Marius, sigillandole con un tenero bacio.
Marius allentò la presa e lasciò cadere a terra il proprio gelato. Arrossì terribilmente, sentendosi incredibilmente stupido: aveva persino sporcato le scarpe di Cosette.
«S-sono mortificato!», blaterò, cercando disperatamente un pacchetto di fazzolettini – che non aveva – nelle tasche dei pantaloni. «Sono un disastro, solo io posso fare certe figure e…».
Cosette rise, spensierata. «Non importa. Oh dimenticavo che sei anche estremamente buffo. E adorabile».
Marius finalmente sorrise, sentendosi più leggero e ridendoci su. «Ti ricomprerò le scarpe».
«Assolutamente no», fece lei, divertita: «Incidenti di percorso. Possono capitare!».
Anche se rosso e pieno di vergogna, il dolce sorriso che si era increspato sulle labbra di Marius non era svanito ancora.
Era felice.
 
Alle cinque e mezzo i ragazzi erano nella villa pubblica dove di lì a poco si sarebbe tenuta la conferenza. Si sistemarono in una saletta nei loro appositi posti.
«Potrebbe sembrare una cosa noiosa, ma non lo è», sussurrò Courfeyrac a Jehan: «La prima volta ci andai con Marius… si addormentò».
«Non preoccuparti, le trovo affascinanti queste cose», rispose Jehan, sincero: «Il cinema è arte a tutti gli effetti. Non può non piacermi!».
La conferenza era divisa in due parti. La prima parte durò un’ora, poi ci fu una pausa nella quale gli spettatori potevano comprare libri e dvd o semplicemente andare qua e là.
«Quindi esistono diverse versioni de “L’Atalante” di Jean Vigo», conversò Courfeyrac.
«Sì. La pellicola è andata perduta durante la guerra», rispose Jehan, attenendosi alle informazioni appena acquisite.
Courfeyrac e Jehan parlarono animatamente, finché non vennero interrotti da una signora che chiese loro: «Sapete quando riprende il convegno?».
Courfeyrac si voltò. «Nonna!», esclamò, sorpreso: «Non credevo ci fossi anche tu!».
«Sono interessata a queste cose. In quegli anni persino io non ero ancora nata!», rispose la signora con una risata.
«Il nonno?», chiese il ragazzo.
«Non è voluto venire. Non sa cosa si perde! Beh, peggio per lui!», rispose la donna, accigliata, poi si voltò verso Jehan e gli sorrise: «E chi è questo bel giovanotto?».
«Jean Prouvaire, signora», rispose il ragazzo, arrossendo lievemente.
«Suvvia, chiamami Amélie! Mi fai sentire vecchia», rispose lei, divertita, stringendogli la mano.
«Nonna, ma tu sei vecchia», obiettò Courfeyrac.
La donna lo fulminò con lo sguardo. «Come sei ingrato, nipote! A sessantacinque anni si è vecchi?».
«Si è vecchi soltanto quando si pensa di esserlo», asserì Jehan.
«Ben detto, ragazzo!», sorrise Amélie.
Jehan ebbe la pensata di andar via e di lasciar parlare nonna e nipote. Incominciò a sentirsi di troppo, nonostante la calorosità e la gentilezza dimostrata da entrambi.
«Scusate, non è che sapete dove sono i bagni? Torno subito», chiese Jehan, timidamente.
«Di là, caro, a destra», rispose la nonna di Courfeyrac indicandoli.
«Grazie». Non appena Jehan andò via, l’anziana signora si rivolse al nipote con un sorriso.
«Non vedi che amabile figliolo?».
«Sì. È gentile», disse Courfeyrac, semplicemente.
«Ma mica solo gentile! Sembra così dolce ed educato, e perlopiù è anche un bel ragazzo!», sottolineò lei.
«Nonna, ha diciassette anni e tu sei una donna già sposata», scherzò il ragazzo.
«Ma cosa dici? Non potrei mai! Piuttosto, avrà un sacco di pretendenti», ammiccò sua nonna.
«In realtà oggi più sei buono e gentile, meno vieni apprezzato. È paradossale ma è così», asserì Courfeyrac, ripensando a ciò che dicevano i suoi amici su di lui.
Jehan era malvisto da molti, solo perché era diverso. Aveva passioni singolari ma non per questo meno importanti, ed era buono come il pane. Perché mai si erano accaniti contro di lui? Perché forse era innamorato di un ragazzo e non di una ragazza come loro? Courfeyrac non riusciva a concepire quel pensiero così retrogrado.
«Come l’hai conosciuto?».
«Ad un incontro al Musain con i nostri amici», rispose Courfeyrac: «Frequenta la mia stessa scuola».
«Comunque davvero grazioso», continuò sua nonna: «Cosa ne pensi?».
Courfeyrac sospirò, sentendosi in estremo imbarazzo. «Nonna, mi piacciono le ragazze, non potrei mai pensare a lui in un altro modo…».
«Non ti ho mica chiesto di pensare a lui in un altro modo. Sei tu che l’hai pensato!», rise sua nonna.
Jehan arrivò proprio in quel momento. Courfeyrac era rossissimo in volto a causa della conversazione appena avuta con sua nonna. Si dileguò con una scusa. «Scusate… torno subito», disse, dirigendosi verso il bagno.
Amélie scosse il capo, divertita. «Courfeyrac, è sempre lui», disse con un sorriso: «Che cosa ne pensi di mio nipote? È uno spudorato, vero?».
Jehan ridacchiò. «Ma no», disse: «È molto simpatico».
Quando Courfeyrac tornò qualche minuto più tardi, notò che sua nonna e Jehan conversavano amabilmente, completamente a loro agio, come se fossero amici di vecchia data.
«L’Italia è tutta meravigliosa, ma la meta che preferisco è assolutamente Firenze. Una città d’arte e cultura… Firenze pullula di splendore! La patria dei poeti, degli scrittori… degli artisti! Senza parole, davvero».
Jehan, affascinato, ascoltava quella donna parlare dei suoi viaggi con occhi pieni di meraviglia.
«Lì ho scritto la mia prima raccolta di poesie. Ero particolarmente ispirata», continuò Amélie.
«Anche voi scrivete poesie?», chiese Jehan, appassionato.
«In realtà sono una scrittrice di gialli, ma di tanto in tanto mi piace comporre versi».
«Io vi stimo. Davvero! Siete la prima persona che conosco a cui piace scrivere», sorrise Jehan.
«Che carino che sei, figliolo. Mi farebbe davvero piacere se un giorno mi facessi leggere qualche tuo componimento», fece lei, entusiasta: «Solo se lo vuoi anche tu, ovviamente».
Jehan, un po’ rosso in viso, annuì energicamente.
 
«Amo tua nonna», esordì Jehan quando uscirono dalla villa.
«Ho notato, c’è un certo feeling. Anche lei ama te», rise Courfeyrac.
Jehan sorrise. «Non scherzo: ti adora», continuò Courfeyrac: «e ti trova anche carino».
Jehan rise, spensierato. Non si era mai sentito così bene e anche un tantino imbarazzato allo stesso tempo.
«Comunque è stata una conferenza davvero interessante. Come mai proprio il cinema?», chiese Jehan, incuriosito.
«Mi affascina, basta pensare che sin da piccolo facevo i video ai miei pupazzi e ai supereroi dei miei fumetti preferiti e poi aggiungevo gli effetti al computer. Avevo solo cinque anni e già ero idiota», rise Courfeyrac.
Jehan sorrise, intenerito. «Non è affatto una cosa idiota. Se una cosa ti piace non sarà mai banale. E poi io ho iniziato scrivendo filastrocche», disse dolcemente, poi domandò: «Farai cinematografia l’anno prossimo, quindi?».
«Ma no. È solo una passione. Un hobby, insomma. Farò Diritto. Sarò un avvocato, proprio come mio padre e mio nonno. Si spera!», rispose il ragazzo con sicurezza. Tuttavia, Jehan notò che una certa tristezza traspariva dai suoi occhi sempre allegri.
«Tu?», chiese Courfeyrac: «Sai già cosa farai?».
«Non so. Mi piacerebbe molto Letteratura, ma anche Lingue», fece Jehan: «Amo scrivere ed è il mio sogno più grande poter continuare a farlo, ma allo stesso tempo amo anche le lingue. Forse le imparerò per passione, magari da autodidatta. E non scriverei soltanto, ma viaggerei per tutto il mondo. Poi mi piacerebbe avere dei bambini, e insegnerei loro molte cose. E farei viaggiare anche loro, perché viaggiare è meraviglioso e ti apre la mente a nuove culture…».
Courfeyrac non gli aveva chiesto di parlare della storia della sua futura vita e di tutti i suoi progetti, ciononostante ascoltò con interesse e ammirazione quel ragazzo così dolce e così sognatore.



 


 
Angolo Autrice


Buon pomeriggio a tutti!
Io non so più che fare con me stessa(?) Sono passati circa 5 mesi che non aggiorno questa fanfiction (e mica solo questa!) e ciò che posso dire è che mi dispiace tantissimo e che capirò perfettamente se non avrete più voglia di leggerla. E' stato ed è ancora un periodo un po' difficile tra scuola e impegni vari... un terzo anno di fuoco! XD Diciamo che questo periodo non è ancora passato, ma sto cercando di ritagliarmi qualche attimo :D
Quindi mi scuso ancora una volta, e spero di ritardare al massimo di un mese invece di cinque mesi XD
Il capitolo era già scritto da mesi ormai, ma soltanto ora ho aggiunto e aggiustato delle cose.

Per quanto riguarda la guest star del capitolo... signore e signori... la nonna di Courfeyrac! <3 Io l'adoro, non so voi XD
Per quanto riguarda il messaggio ricevuto da Courf nello scorso capitolo ancora non sappiamo l'emittente ;)
In questo capitolo abbiamo un incontro-scontro tra un'Eponine frustrata e confusa e un Montparnasse ancor più misterioso. Non è finita qui XD
E poi... *rullo di tamburi* finalmente Cosette bacia Marius! E' stato troppo presto? Non saprei, ma sappiamo tutti che sono anime gemelle e personalmente non mi meraviglierei se già hanno capito di essere follemente innamorati l'uno dell'altra :D (e poi mi piaceva rievocare un po' il romanzo, dato che nel libro finiscono per innamorarsi a prima vista e il resto è storia <3).
Jehan e Courf non mi esprimo... dico semplicemente che li amo e boh, chissà cosa ci riserverà in futuro(?) ;)
Grantaire ed Enjolras torneranno, non so bene quando e come ma in futuro cercherò di concentrarmi su di loro! (e anche su Les Amis in generale)
Ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono <3
A presto!
SmartieMiz

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