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di anqis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** (life) ***
Capitolo 2: *** (human) ***



Capitolo 1
*** (life) ***







 
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01
(life)



A diciassette anni, Zayn lascia la graffite e i fogli sporchi di residui di gomma per gli anfibi e i calli dell'accademia militare. 
"Ti formerà il carattere" gli dice suo padre sullo stipite della porta, negli occhi scuri la determinazione che Zayn non ha mai (di)mostrato di aver ereditato, insieme alle restanti qualità che sono passate direttamente alle sorelle, sorvolando sull'unico figlio maschio della famiglia. L'unico in cui Yaser riponeva particolari aspettative e da cui ha ricevuto in cambio solo delusioni. 
Sin dalla gravidanza, Yaser  sognava partite di calcio nel fango, risse di cui rimproverarlo, birre scadute del sabato sera, ma suo figlio non fu mai quel genere di bambino: Zayn preferiva l'ombra della veranda all'asfalto torrido delle strade, le magliette a righe pulite e profumate e accettava di sporcarsi le mani solo del colore delle tempere. 
Non mancarono comunque i tentativi, i biglietti delle partite allo stadio per il compleanno e la finta felicità di Zayn che avrebbe voluto soltanto un nuovo set di matite colorate - che sua madre Tricia faceva comunque trovare sotto le coperte -, con le domeniche al parco e il malumore di entrambi di ritorno, sollevato solo dal pollo al forno di Tricia; e ve ne furono tante altre fin quando Yaser smise di guardarlo negli occhi quando Zayn gli disse di essere omosessuale. 
Per questo, quando suo padre lo informa della sua decisione, Zayn non reagisce, limitandosi a mantenere gli occhi spenti - leggimi, capiscimi per una volta - nei suoi, costringendosi a mantenere segreto ancora una volta la rabbia e la sua delusione. Yaser annuisce e lo lascia da solo, ma neanche l'intimità delle pareti di camera sua sono un rifugio sicuro per le sue lacrime. Solo le braccia di Tricia, la notte tarda, diventano culla del suo pianto perché Zayn aveva una vita in programma, la sua vita, quella che suo padre non ha mai preso in considerazione.




Gli anni dell'Accademia, alla fine sulla premessa del padre, si rivelano effettivamente di formazioni. Al carattere docile di Zayn vengono accostate nuove qualità: la determinazione, il facile adattamento, il rispetto, il sangue freddo e l'impulsività come unica via di fuga su cui contare nelle più estreme delle situazioni. Il corpo esile di Zayn comincia a prendere conoscenza delle proprie potenzialità, i muscoli lavorano sotto il peso dei vestiti fradici e dello sforzo delle corse mattutine, le mani si disegnano di calli e di graffi, le spalle prendono forma, ma nulla sul viso di Zayn cambia: la calma domina i suoi lineamenti anche con un fucile caricato sulla spalla e il vento negli occhi.  
Torna a casa solo l'estate del primo anno, consapevole sul treno verso l'accademia del perdono che non vuole concedere a suo padre. E un ultima volta, alla fine dei tre anni, per comunicare alla famiglia la decisione di partecipare alla missione in Afghanistan. Nulla lo convince di mancare alla sua scelta, non le lacrime di sua madre, non i pugni di Safaa contro il petto, nè lo sguardo di profondo pentimento che colora gli occhi chiari, chiari di lacrime trattenute, di suo padre.
"No. Non mi guardare così. Io non lo faccio per te" gli dice soltanto, prima di lasciare la stazione e la città in cui è cresciuto tra fogli strappati e palloni segretamente sgonfiati. 




La notte è silenziosa. 
La luna, alta nel cielo, gioca a guardia a ladri trovando riparo dietro le nuvole. Uno spicchio illumina loro il cammino, ma non un uomo della comilitiva azzarda un passo su quella Terra che dovrebbe essere casa, ma è invece zona nemica. Una duna di sabbia nasconde loro l'orizzonte e ad esso, le loro stesse sagome. I respiri si ammassano gli uni sugli altri, i battiti diventano unico concerto e i pensieri sono sfondo bianco. 
Zayn si morde forte le labbra, sul palato il sapore del sangue e sulla punta della lingua quello insipido della sabbia che il vento gli ha lasciato sulla bocca. Chiude gli occhi quando si rende conto delle nocche sbiancate e dell'impronta del grilletto nel palmo della mano, e conta le grida del cuore sotto la pelle. Uno, due, tre, cinque, dodici. Gli bastano e non si può concedere ulteriore tempo, perché vede il segnale ed è ora. Ora di attaccare.
Strisciano mascherandosi dietro i sospiri del vento, occhi bianchi e pupille dilatate che comunicano per sguardi e l'accampamento nemico si avvicina come la mano al fuoco. Allora, abbraccia l'arma tra le mani, compagno fedele, ed è giunto il momento di decidere i ruoli: chi la mano, chi il fuoco.
Non c'è un fischio di inizio, un'allarme che indichi l'inizio dei giochi, perché la guerra non è determinata da una data, da un'ora. La guerra è sotto la pelle, come il più bastardo viscido parassita che si nutre dell'odio altrui e cresce fino a scoppiare. Non si conosce l'esatto istante in cui trova radici nella carne, quel metaforico inizio è solo il troppo tardi. Ma tardi è quando Zayn, tra le grida dei feriti in lingue che dovrebbero comunicare, non farsi la guerra, voltandosi verso Jack - "Non devi guardare nessuno in faccia, ricordalo" "Sì, signore"  - non vede quella bocca di fuoco puntata verso di lui, ma solo lo sgomento nel viso del suo compagno. C'è sorpresa, delusione, tristezza e Zayn capisce che qualcosa non va perché nell'arco di pochi secondi riesce a cogliere ogni singola sfumatura dei suoi occhi azzurri - non aveva mai notato il colore delle sue iridi. Poi la sua fidata arma tocca terra, seguita dalle sue ginocchia e le sue dita incontrano il rosso del sangue che pare nero alla luce della luna, la quale adesso tornata a far loro visita, sorride tagliente. Zayn pensa solo a come una volta le sue mani si sporcavano soltanto di inchiostro. 
Grazie dei colori, mamma. 




Quattro giorni dopo, quando si sveglia, la prima immagine a cui assiste è il lenzuolo bianco del letto affianco che scivola e copre il viso pallido di Jack. Sembra quasi che stia dormendo.
Lo portano via subito, liberando le coperte ancora calde per il prossimo ferito.
Zayn non piange, chiude gli occhi e si concentra sui sussurri del suo cuore, mentre altri smettono per sempre di parlare.
Tu-tum, tu-tum, ti ascolto. Non smettere.




Lo mandano a casa. Zayn vorrebbe lottare per rimanere, ma il suo corpo non glielo permette: lo caricano di un borsone che raccoglie ciò che rimasto dei suoi averi, promettendogli una pensione come reduce infidamente insufficiente per sostenere le spese di una vita in città. Zayn riceve una chiamata da sua madre e capisce che è arrivata l'ora di tornare a casa.
Pensa non sia una scelta così errata, quando impressa la prima impronta degli anfibi sulla sentiero verso casa, tra le sue braccia stringe già le sue sorelle. Il borsone e la polvere della guerra cadono sull'erba fresca, viva. Viva come il viso di sua madre e gli occhi di suo padre.
"Bentornato, figliolo" lo accoglie Yaser cingendogli le spalle in un abbraccio goffo a cui Zayn non ce la fa proprio a tirarsi indietro. 
"Non te ne andare" è invece ciò che dice invece Tricia, costringendolo ad abbassarsi alla sua altezza. Zayn sorride e affonda il viso nella sua spalla, come di abitudine. Inspira profumo di bucato e odore di forno, invece che polvere da sparo. "Mai più."




I primi giorni crede veramente di potersi abituare a questa vita. Si sveglia ancora presto per abitudine, ma al caldo e sulla sua testa c'è un soffitto solido, non il tessuto verde di una tenda colpita e scossa da intemperie. 
Non rimane mai molto a letto, preferisce svegliarsi e andare a correre, litigando e perdendo contro l'ultimo iPod regalatagli da Doniya per il suo ritorno. Ha chiesto a Waliyha di aggiungere le sue canzoni e dopo un attimo di incertezza, lei ha accettato, realizzando che suo fratello non avesse la più pallida idea di ciò che nel frattempo aveva avuto luogo nel mondo.
Zayn arriccia le labbra quando riconosce l'ennesima canzone di Drake, manda avanti e si lascia trascinare dal ritmo confuso di No Church In The Wild che gli sveglia un tumulto nel petto. 
Quando entra in casa, trova Safaa seduta un cucina con una ciotola di cereali. Si libera delle cuffie e sente sua sorella chiedergli con voce bassa, ma tono allarmato: "Cosa succede?"
A quella domanda, Zayn solleva il capo di scatto, ma ci sono solo gli occhi grandi e preoccupati di Safaa concentrati sul suo viso. Si accorge solo incontrando il proprio riflesso sul vetro delle credenze, della fronte aggrottata, degli occhi assottigliati e delle narici dilatate. Si tocca la mascella nell'abbassare lo sguardo ed evitare quell'immagine, rilassandola di conseguenza e soffocando la tensione con una risata fasulla. 
"Niente" mormora lasciando in fretta la stanza per salire le scale. 
Zayn capisce che la guerra non l'ha ancora abbandonato, ma è ancora lì presente, aggrappata sotto la pelle. Affamata. 
Quella sera, gli incubi lo vengono a trovare e decidono di fermarsi per più notti. Sogna Jack con gli occhi azzurri e i lineamenti meno marcati, la pelle del viso pulita ma rigata dalle lacrime. Piange come un bambino con il naso bagnato e le guance che si fanno sempre più rosse: Zayn si offre alle sue braccia, lo cinge e cerca di consolarlo, ma non serve a niente, i singhiozzi si fanno ancora più insistenti fin quando si interrompono d'improvviso. Confuso, cerca di allontanarlo da sè e dopo un iniziale opposizione, l'altro si scosta. Ma Jack ha gli occhi chiusi e le vene blu che percorrono le pelle bianca cadaverica. Scivola come un sacco dalle sue braccia.
Si sveglia in un bagno di sudore, immobile e costretto al materasso. I muscoli sono rigidi e bloccati dalla paura che sente bruciargli le vene, attraversati da un ronzio che copre ogni suono - dove sei? Batti. Trascorrono minuti, forse ore, prima che riesca a riprendere controllo del proprio corpo. Le dita cominciano ad aprirsi e chiudersi nel palmo, le gambe si muovono e il petto non sembra più un palloncino sul punto di scoppiare. Tutto pare tornare alla normalità, ma tutto quel dolore statico e apatico si converte in un unico punto: nella spalla perforata. E la stessa pallottola che ha assaggiato il sapore del suo sangue e la consistenza della sua carne, brucia sulle pelle, appesa al collo come ricordo di ciò a cui è sopravvissuto e gli ha concesso di tornare a casa vivo. Colorato e non bianco. 



Sua madre lo costringe a prendere appuntamento con un dottore. Zayn protesta, ma si arrende perché Tricia non accetta discussioni. Così si trova seduto su un tram, con l'ultima canzone di Beyoncé che gli fa picchiettare la suola della scarpa a terra e il primo pacchetto di sigarette da quando è tornato. Non può sopravvivere ad una visita medica senza. 
È giocando con l'accendino nell'altra tasca che non si accorge di essere fermo nel traffico da più di cinque minuti. 
"Un incidente" dice a voce alta una signora che pure Zayn riesce ad udirla. 
Distrattamente concede l'orologio da polso di un'occhiata e constata che forse non ce la farà in tempo. Un ghigno inconsapevole, il primo della giornata, si stampa sulle sue labbra e due ragazzine del liceo prendono a ridacchiare guardandolo di sottecchi. 


 
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Louis non sta prendendo seriamente in considerazione l'idea di licenziarsi. No, certo che no, non fresco fresco di promozione. Non adesso che si può permettere un'auto di pattuglia, con tanto di sirene e porta ciambelle - perché sì, è in dotazione. La bicicletta l'ha venduta, non si torna indietro.
Ma quando Ashton riprende a ridere dell'ennesima sua battuta a cui non ha prestato attenzione, nel sedile accanto al suo, Louis si lascia stuzzicare dall'idea di gettarsi dall'auto in corsa e lasciare che quello si schianti contro un muro. 
Stringe le dita attorno al volante e cerca di concentrarsi sulla voce trasmessa dalla radio centrale, sperando in una distrazione in grado di zittire quella acuta del suo compagno di squadra. Perché ovviamente, in dotazione all'auto c'era incluso un altro sedere che avrebbe approfittato della pelle morbida. Louis era consapevole di dover condividere la sua preziosa aria con un altro collega, insieme alle chiavi dell'auto e le colazioni, ma nessuno lo aveva avvertito dell'impedimento umano che gli avevano amanettato - sì, usiamo i giusti termini - alla caviglia e che doveva trascinarsi dietro: Ashton Irwin, 23 anni di sopportazioni, capelli da tagliare perché la paglia sarebbe più accettabile, sorriso sfacciato e soprattutto voce da doppiatore di cartoni animati, e come se non fosse abbastanza, di contorno un adorabile accento australiano. 
"Ti devo assolutamente presentare il mio inquilino, è della Nuova Zelanda - cioè dai, siamo vicini di casa praticamente! - e parla in un modo ridicolo!" sta esclamando schiaffeggiandosi da solo una coscia fasciata stretta dalla divisa blu. 
Louis storce le labbra, incredulo del suo commento e schifato dall'idea di conoscerne un altro. I suoi poveri nervi non potrebbero sopportarlo: per questo, prima che parta in quarta in un esauriente e dettagliato resoconto riguardo a quella volta che questo ha spalancato la porta mentre era sotto la doccia e lo ha filmato, Louis lo interrompe proponendo di fermarsi da Gave's. Ashton accetta con entusiasmo e prende a commentare le uova strapazzate di Mrs. Shelley, perdendo il filo del discorso precedente perché Louis è certo di confermare la mancanza che non gli consente di pensare a più cose contemporaneamente. 
Parcheggia con manovre secche e disinvolte all'angolo della strada opposta e si slaccia la cintura. Prima di uscire, si passa distrattamente le dita tra le ciocche di capelli castano chiaro acconciati all'indietro, sbuffando pesantemente all'ennesima risata fragorosa del collega. Chiusa la macchina, attraversano la strada, ma sul marciapiede opposto Louis si scopre infastidito dai raggi del sole e fa subito per inforcare gli occhiali da sole a gocce che tiene sempre appesi alla tasca sul petto della divisa. Con delusione, le dita non si scontrano con il metallo freddo della montatura. Non ha voglia di tornare indietro, ma osservando le spalle larghe dell'agente muoversi adagio davanti a sè, pensa di approfittarne per rimanere da solo e fumarsi una sigaretta per conto proprio. Quindi "Ehi, ho dimenticato una cosa in macchina. Vai avanti, ti raggiungo" gli dice e senza interessarsi della risposta, si dirige nell'altra direzione. 
Ashton fortunatamente sembra dargli ascolto perché il silenzio percosso unicamente dai rumori cittadini torna a circondarlo. Louis abbassa la testa sui propri passi, giocando con le chiavi nelle tasche dei pantaloni che ha modificato clandestinamente perché gli stringano appena certi determinati punti. Percorre le strisce pedonali che tagliano il cemento e comanda l'auto di aprirsi. Gli occhiali sono appoggiati al cruscotto in bella vista, Louis li afferra e li sistema sul naso, arricciandolo appena come di abitudine. Chiude la portiera e si appoggia al fianco dell'auto, incrociando le caviglie e pregustando già il sapore amaro e familiare della sigaretta. 
La fiamma dell'accendino gli illumina le pupille nere mentre lo avvicina al viso, inspira e la prima boccata scende giù calda, ma morbida. D'istinto si lecca le labbra appena il fumo lascia la sua bocca, e sorride perché infondo tolto il suo imbarazzante collega, è una bella giornata. 
Londra è più ordinata del solito, il flusso di turisti sembra essersi calmato in questi giorni e i taxi scorrono fluidi sullo sfondo cittadino. Gli inglesi camminano frettolosi, ma ci sono ancora le eccezioni come quella bella signora che adesso gli passa davanti con gli occhi bassi concentrati su un'agenda e le mani impegnate a scrivere, come se il cellulare che tiene tra la spalla e l'orecchio non fosse già ingombrante. Louis la segue con sguardo assente e pigro, senza reali pensieri nella mente. Ma c'è un lampo che gli corre tra i neuroni, accedendoli uno a uno come lampadine a catena, quando la donna svolta tutto d'un tratto sfidando il traffico cittadino. Gli occhi di Louis corrono ai fari spenti della macchina che corre veloce verso di lei nell'istante in cui i muscoli scattano. Corre verso di lei, si trattano di due metri e la spinge, la spinge forte pensando già ai lividi e alle ferite sulle ginocchia e sui palmi delle mano con cui dovrà avere a che fare per giorni. Non pensa al peggio, all'auto che non si ferma e trova il suo corpo sulla propria strada, all'asfalto che nemmeno sentirà sotto la pelle, macchiato del suo stesso sangue. Perché Louis è un fottuto ottimista anche se non sembra, e lo penserà quando si sveglierà nel letto di un'ospedale, trovando al suo fianco i suoi occhiali da sole intatti. 


 
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"Zayn, sei già lì?"
"No, mamma. Sono bloccato nel traffico. Dicono sia stato investito qualcuno." 


 



 

Buonasera,
dopo pochi giorni, decido di pubblicare il primo capitolo della minilong ispirata al prompt innocente di Chantal: "Pensa a Zayn Malik come un soldato, a Harry Styles come un fiorario, a Niall Horan come un pr, a Liam Payne come un dottore, a Louis Tomlinson come poliziotto. Racconta quello che vuoi", di cui la ringrazio immensamente, nonostante l'assurdità di questa storia. 
Riguardo ad essa, spiego: saranno circa quattro capitoli, massimo cinque, di cui tre sono già stati scritti. La trama è nata come un gioco, ma mi sono così affezionata ai personaggi - spero sarà così altrettanto per voi - che non ho resistito dal continuare e scrivere ed è venuto fuori questo, di cui in verità sono un po' soddisfatta. 
Ho scelto di pubblicare oggi perchè i giorni futuri mi sarà impossibile per motivi personali e perchè sabato parto per lo stage, quindi per due settimane non avrò modo di aggiornare alcunchè e ci tenevo fin troppo a questo lavoro per attendere di pubblicarlo al ritorno. Mi rendo conto che sia un po' azzardato mandare avanti una long appena cominciata e affiancarla con essa, ma sono positiva perchè sono abbastanza avanti con il lavoro. Spero di venire esortata ed incitata ad aggiornare da voi, così da essere fedele agli impegni promessi. 
Con questo non ho altro da dire, se non ringraziare ancora Chantal (Cathlan), Veronica (Acinorev) per il contributo tecnico e chi deciderà di seguire questo progetto. 
Attendo i vostri pareri a riguardo, 

Anqi.



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Capitolo 2
*** (human) ***







 
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02
(human)



Zayn torna a casa quel giorno, approfittando dell'incidente stradale come pretesto per evitare la visita. Allo stesso modo non si presenta alla successiva, ma al terzo tentativo sua madre lo intercetta a due isolati da casa e gli offre un passaggio. Zayn accetta senza nemmeno provarci, consapevole di esser stato colto nel sacco perché la direzione intrapresa era inequivocabilmente l'opposta. Sua madre gli sorride tranquilla mentre picchietta con le dita la pelle nera del volante, ma gli occhi le brillano di divertimento e vittoria: quindi scuote la testa e sprofonda nello schienale, occhieggiando con sguardo distratto il paesaggio. 
Dopo pochi minuti, l'ospedale si fa spazio tra gli edifici monumentali del centro londinese. Tricia arresta l'auto di fronte l'entrata e si assicura di seguirlo con lo sguardo fin quando non lo vede varcare l'entrata: Zayn non si volta, arreso si dirige verso  l'accettazione dove lo indirizzano al secondo piano.
Le piastrelle sono di un grigio sbiadito, le pareti bianche dei corridoi esaltano i completi verdi degli infermieri e le lunghe camice bianche dei dottori. Le spalle si irrigidiscono perché non mette piede in un'ospedale da anni, non è più abituato a quel bianco accecante e all'odore di disinfettante che si infila nei vestiti e fin sotto la pelle.
Quando trova il suo reparto, scopre di condividere i seggiolini con circa tre persone: dà un'occhiata all'orologio che svetta infondo al corridoio ed conclude di essere in perfetto orario. Prende posto, nel frattempo la porta viene aperta e un uomo lascia la stanza. Pochi secondi dopo, una amabile infermiera chiama l'attenzione del successivo paziente, invitadolo a raggiungere il dottore all'interno. Zayn riesce giusto a cogliere un saluto cordiale e una voce tenute prima che la serratura scatti.
Adesso più tranquillo perchè circondato da persone, da colori e non dal bianco anestetico, alza il volume della musica e chiude gli occhi. Non sente il tempo scorrere, cosicché quasi sobbalza quando una mano gentile si posa sulla sua spalla, destandolo. Deve imporsi di rimanere fermo, reprimendo l'istinto di agguantare il polso magro e vissuto della signora in una presa poco gentile al fine di spezzarlo. 
Dio, respira. 
"Zayn Malik?" chiede l'infermiera, inclinando il viso in un sorriso dolce.
Muove un cenno di assenso con la testa e la segue, scricchiolando le dita nel tentativo celato di permettere all'ansia e all'adrenalina accumulata di scivolargli dalle nocche graffiate. Decide di concentrarsi sulla stanza che a primo avvisa gli pare più accettabile, quasi accogliente. Il gioco di bianco permane, ma le pareti sono tappezzate da certificati incorniciati e da rare foto che ritraggono un ragazzo in tuta da surf. Zayn si accinge a guardarle quando incontra gli stessi lineamenti del ragazzo catturato dalla macchina nell'uomo che lo aspetta dietro la scrivania, impegnato a riporre dei volumi su uno scaffale in metallo grigio. 
"Salve" saluta, attirando l'attenzione del soggetto che subito si volta verso di lui con un'espressione di sorpresa dipinta nel volto. Di quella sorpresa positiva di fronte ad una novità.
"Lei deve essere Zayn Malik, giusto?" esordisce infatti, avvicinandosi. "L'aspettavo!" aggiunge e con un sorriso amichevole che quasi lo mette a disagio, gli porge una mano. Zayn l'accetta, sollevando appena l'angolo della bocca. "Liam Payne."
"Ho avuto da fare" si limita a rispondere. 
Il dottore ride, "Non dica sciocchezze!" esclama rifilandogli un'amichevole pacca sulla spalla, al quale solleva le sopracciglia. "Scommetto si sia trattato di paura!" scherza, ma nel guardarlo dritto negli occhi, Zayn dubita della totale ingenuità di quel commento inopportuno. "Ma si sieda, prego" lo invita poi, indicando le due sedie di fronte la scrivania dietro cui prende posto a sua volta. 
Zayn si spoglia della giacca, mentre Liam ringrazia con un sorriso gentile l'infermiera che gli porta i documenti. Approfitta di quel momento per spiare il volto di colui che si prenderà cura del suo corpo e con sollievo misto a sorpresa, accetta di buon grado gli occhi piccoli, ma caldi dell'uomo, contornati da folte sopracciglia che gli conferiscono un'aria ancora più bonaria, simpatica. I lineamenti per quanto più marcati rispetto le foto che lo ritraggono, svelano comunque una giovane età. Cerca di non giungere a conclusioni affrettate, ma è contento di potersi rapportare con un suo coetaneo. 
Sistema i palmi delle mani sui braccioli e mantiene lo sguardo dritto su di lui fin quando questo non congeda la donna e rivolto l'ennesimo sorriso, senza nemmeno leggere le informazioni, dice: "Ho saputo che le hanno sparato in guerra" seguito poco dopo da un "Che cosa le è successo?" curioso che gli svela la reale natura di Liam Payne: un'idiota con dottorato nella manica della camicia. 
La mascella si contrae appena mentre elargisce un secco "Sono stato sparato" a cui l'altro scoppia a ridere, di nuovo. 
A questo punto, Zayn comincia a dubitare che sia effettivamente un medico mentre il suddetto si solleva e si gratta la punta del naso, indicando adesso con un cenno della mano il lettino per invitarlo a sedersi. Zayn annuisce ed obbedisce, sollevato che siano passati direttamente ai fatti perché i convenevoli sono risultati disastrosi. 
Alla richiesta di spogliarsi, irrigidisce instintivamente le spalle, ma si libera della giacca di pelle e della felpa grigia che ha recuperato uscendo dalla doccia. Profuma ancora del suo bagnoschiuma, muschio bianco, ed è quasi convinto che lui ne abbia colto il sentore perché le narici si muovono impercettibilmente. Realizza che gli spazi vitali dell'uno e dell'altro sono stati invasi e gli risulta difficile seguire il consiglio di rilassare i muscoli, non con l'aria fresca che gli carezza la pelle e il respiro del dottore che vi ci trova sentiero. Non si trovava così in intimità, se la situazione può essere descritta in tale modo, da anni ormai. È diverso dal trovarsi con il fiato di un compagno sul collo sotto l'attacco del nemico, dallo spogliarsi di fronte a 50 uomini con la pelle logora della guerra. Non c'è odore di sudore nell'aria, polvere da sparo e sangue. Solo quello onnipresente del disinfettante, di schiuma da barba e di muschio bianco. Profumo di intimità. 
Abbassa il viso, concentrandosi sulle piastrelle chiare e sui puntini neri che le decorano, cercando di distrarsi. 
Il viso di Liam Payne scompare dalla sua visuale, ma ben presto la sua presenza viene annunciata dal posato tocco dei polpastrelli leggeri. I polmoni si fanno aridi, desiderosi di una boccata di aria e di fumo. Soprattutto di fumo. Infastidito dalle insolite reazioni, lascia la presa sui bordi del lettino e si comanda di ascoltare i propri battini: sono appena accelerati, ma concentrandosi ha l'impressione di rallentarli, convinzione di cui lo prendevano in giro i compagni, ma che lo ha salvato dal perdere la testa e in tutti i sensi possibili. Lentamente, i muscoli si sciolgono sotto la pressione delle mani del dottore che mappano con attenzione ogni singolo porzione di pelle e carne che compongono la sua spalla e le zone circostanti. Trascorrono dei minuti, durante i quali ogni motivo di tensione perde di consistenza insieme alla realtà che lo circonda. Zayn si accorge di tenere gli occhi chiusi quando un'ombra si proietta sulle sue palpebre abbassate: è il dottore che gli sorride e gli suggerisce di vestirsi nuovamente. 
L'uomo gli lascia la dovuta privacy tornando alla scrivania dove comincia a digitare sulla tastiera del computer. La stampante prende a ronzare: prende i fogli e sembra sul punto di scrivere, che la penna si ferma e solleva lo sguardo, rivolgendogli l'ennesimo sorriso gentile. Zayn lo raggiunge in silenzio.
"Non ho riscontrato nulla di cui preoccuparsi" comincia, giocando con la penna. "Non ha dimostrato di provare dolore nonostante la pressione esercitata su determinate zone. Si trattava unicamente di tensione muscolare. Vorrei comunque accertarmi della situazione e quindi propongo un ecografia e un RX della spalla." 
Zayn si morde il labbro inferiore, mentre l'altro termina di riportare gli ultimi dati e firma le ricette. Accetta i fogli che ripone nella tasca della giacca e si alza, cominciando a guadagnare l'uscita. 
"Zayn" lo richiama e questa volta decidendo di usare il suo nome, dividendolo di pochi passi dalla porta. "C'è la possibilità che tu abbia somatizzato le esperienze di guerra e che il dolore fisico sia sintomo di un dolore di diversa entità. Un dolore di carattere emotivo" parla chiaramente Liam, senza ottenere risposta.
"Saresti disposto a farti vedere da uno psicologo?" domanda allora, incitato a continuare. "Conosco dei buoni colleghi che-"
"No, grazie" lo interrompe bruscamente e resosi conto del proprio tono di voce trattenuto, aggiunge: "Preferisco di no. Arrivederci, dottore" lo saluta, lasciando la stanza.
La luce proveniente dalla stanza si proietta sul pavimento e si spegne presto in un sottile spirale. Ignora gli occhi curiosi dei presenti e si volge in direzione delle scale. Il suo cammino viene però ostacolato da un corpo: all'urto, Zayn aggrotta le sopracciglio, trattenendo tra le mani le braccia di un ragazzino magro. Ha un massa di capelli indecenti che gli coprono due grandi occhi verdi e la bocca spalancata. 
"Uh" singhiozza, "Scusa?"
Zayn si sorprende divertito dall'espressione smarrita del ragazzino. Ha le guance di un rosa acceso e gli occhi che paiono brillare. Lascia la presa, resosi conto che si regge in piedi da solo - perché ne è stupito? - e accenna un sorriso di convenienza.
 "Tranquillo" lo rassicura.



Quando Zayn rincasa, alla domanda "Com'è andata?" di sua madre, senza pensare risponde: "Il dottore è un idiota."
Sua madre ridacchia in cucina e "Ti piace, eh?" domanda al che Safaa scoppia a ridere fragorosamente tra penne e quaderni scarabocchiati.
Ignora la scenetta, nascondendo il viso e una smorfia che pare quasi un sorriso dietro l'anta della frigorifero nella ricerca di una bibita ghiacciata. Individuata la Coca-Cola, di cui si sta drogando negli ultimi giorni perché Dio, quanto le è mancata, punta le scale. 
"Me ne vado in camera" conclude buttando giù il primo sorso, nella più totale indifferenza, ma quasi si strozza quando gli arriva la voce di Waliyha che si accinge ad intervenire con un chiaro "Sicuro che è etero!" 
Zayn pensa abbia ragione, anche se la tuta de surf suggeriva il contrario. 


 
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Bussano alla porta e Louis incrocia le braccia, deciso a non rispondere. Fingerà di dormire, dice a se stesso costringendosi ad ignorare il viso dispiaciuto che invadente si fa strada tra i suoi pensieri. Affonderebbe il viso nei cuscini se solo effettivamente potesse muoversi. Dannazione, quanto può odiare questa situazione? 
Serve a poco comunque perché la porta si socchiude con discrezione, introducendo prima una chioma di ricci dispedinati e poi quel suddetto viso. 
"Ciao" esordisce il ragazzino ancora sulla porta, un piede nella stanza come se stesse chiedendo seriamente il permesso. "Mi hanno detto che eri sveglio" spiega sollevando le spalle larghe. 
Louis solleva gli occhi al cielo - grazie, infermiera Beth, sei proprio di aiuto - e sbuffa piano. "Ciao, Harry."
"Come stai?"
Quante volte gli hanno rivolto quella domanda e quante volte ha mentito? Okay, forse solo con Harry, ma c'è un motivo dietro. Uno schifo, sono stanco di vedere la mia pipì in una sacchettino trasparente e di soffrire ad ogni impercettibile e fottuto movimento, vorrebbe rispondere, ma: "Sto bene, smettila di preoccuparti."
Harry sorride di nuovo e Louis pensare di odiare Beth: quella fissata del gioco d'azzardo - potrei arrestarla, in effetti - non vincerà la scommessa, mai. 
"Tu lascia che mi prenda cura di te."
Mai. 



La prima volta che Louis vede Harry, spera sia il suo vicino di stanza perché si annoia da morire e quel ragazzino è terribilmente carino, un piacere per i suoi occhi e per le membra addormentate. Poi realizza che non è un paziente perché non porta nè un pigiama imbarazzante come quello che è stato costretto a soffrire i primi giorni -  "Io 'sta cosa leopardata non la metto, Niall" "Senti, amico, avevo solo questo in casa" - nè la camicia verde che gli hanno rifilato quando era senza coscienza, o si potrebbe godere la vista di quelle gambe magre. Si sente subito in colpa per i propri pensieri, ma si trattasse soltanto di quello: il ragazzino entra nella stanza con passi incerti e un berretto di lana sfilacciato che tiene tra le mani e che sta tormentando. L'ansia e il dispiacere sono padroni dei lineamenti infantili che fanno a pugni con le spalle larghe, ma basse, e la schiena ampia. 
Louis tossisce a disagio: lo sta fissando con gli occhi grandi, verdi e lucidi. Sembra sul punto di piangere. 
Al che "La borsa della pipì non è ancora piena. Ripassa dopo" dice, tentando di alleggerire l'atmosfera.
Il viso del ragazzino si deforma e Louis è convinto di essere riuscito nel suo intento, ma quello scoppia a piangere e dio, cosa deve fare? Premere il pulsante dell'emergenza, alzarsi e consolar- non può nemmeno farlo e comunque ha sempre fatto pena in questo genere di cose. Allora rimane in silenzio, ma i singhiozzi dell'altro non sembrano volersi spegnere, nascosti dalle mani grandi con cui si copre il viso.
"Ehi, ragazzino.." comincia "Senti, forse hai sbagliato stanza, ma giuro che non sono in fin di vita, sono felice, giuro, incazzato perché ho il bacino andato" e i singhiozzi si fanno ancora più insistenti. "Ma- ma, cazzo, mi hanno detto che posso ancora scopare quindi non è una tragedia questa!" conclude e si sente un tale idiota nel momento in cui finisce la frase.
Il silenzio cala padrona sulla stanza, pressando il corpo di Louis contro il materasso. Forse avrebbe potuto scegliere altre parole, realizza mordendosi forte le labbra. Ma con sorpresa, nota le spalle del ragazzino tremare un'ultima volta e quello che sembra un sorriso farsi spazio tra i pugni chiusi che tiene adesso sulle guance.
"Stai tranquillo, sì?" riprova, ottenendo un cenno di assenso. "Vieni qui, siediti" lo invita picchiettando le dita sul lenzuolo bianco. Lo osserva con attenzione e con sollievo lo vede avvicinarsi e condividere il letto con lui. Non in quel senso, certo. Niall riderebbe di lui, se solo fosse presente: può ben immaginarmelo appoggiato allo stipite con quel ridicolo capellino rosso che porta voltato al contrario e una stupida sigaretta - che voglia - stretta tra le labbra. Snervante, gli darà contro la prossima volta. 
Trovandoselo vicino, Louis realizza sia piuttosto alto ed è quasi sicuro lo superi di qualche centimetro. Spera di no, sinceramente. Ha ancora gli occhi e le guance bagnate e il respiro frettoloso, ma ha smesso di tremare. 
"Quanti anni hai?" chiede senza pensarci troppo. "Io ventisette" aggiunge poco dopo.
"Ventuno" sospira l'altro con voce roca.
"Ventuno? Te ne davo giusto diciotto con quella maglietta da hipster" commenta a sua volta, ricevendo in cambio un "Ehi" offeso che lo fa sorridere. Quel sorriso si riflette nel volto dell'altro e Louis coglie in lui un viso già noto. 
"Ci siamo già incontrati prima?" domanda inclinando la testa e si vergogna l'istante dopo vedendolo arrossire fino alla punta delle orecchie. Sta già per chiarire che non ci sta provando con lui - anche perché le sue tecniche sono ben più raffinate - che il ragazzino con voce incredibilmente bassa e roca, forse perché consumata dalle lacrime, parla: "Sono Harry Styles e ti ringrazio per aver salvato mia mamma." 



Harry Styles ha ventun'anni, studia lettere e quando non viene a fargli visita, occupa il tempo in un piccolo negozio in centro, nascosto in una vietta poco percorsa, ma rinomata per il profumo di fiori che vi aleggia. Vende fiori, di ogni colore e disparati tipi, questo Louis lo sa per i diversi mazzi che adornano la sua stanza e che il ragazzino si è premurato di portargli ad ogni visita. Una volta si è pure presentato con una coroncina di boccioli in testa. Quando Louis glielo ha fatto notare, Harry ha riso per mascherare il leggero rossore che gli ha imporporato le guance e poi con audacia glielo ha sistemato tra i capelli. Louis nel tentativo di levarsela di dosso, teme di essersi strappato qualche ciocca di capelli. Alla fine in qualche oscuro modo, Harry è riuscito a scattare una sua foto ad insaputa che adesso occupa una milionesima parte di memoria del suo cellulare. Non si è lamentato nemmeno troppo, commentando con il solito tono saccente che adesso tra le canzoni indie e le foto hipster, avrebbe avuto finalmente qualcosa di cui vantarsi. Harry si è limitato a sorridere allo schermo del cellulare e Louis si è passato una mano in faccia, dandosi del coglione.
Perché, diciamo, è possibile che il suddetto ragazzo abbia mostrato più volte un certo interesse nei suoi confronti e per quanto Louis si sia impegnato a non incoraggiarlo - davvero, lo ha fatto, la storia delle fragole imboccate è stato un errore, l'unico -, ogni suo sforzo non sembra ripagarlo: Harry continua a presentarsi ogni giorno con quel sorriso ingenuo e insieme malizioso e i jeans stretti che gli fasciano le gambe chilometriche. Louis delle volte potrebbe mettersi a piangere per quanto è bello, ma non può, assolutamente.
Oggi per giunta indossa una striminzita maglietta bianca semitrasparente e Louis sta cercando in tutti i modi di ignorare lo scollo a v che si apre ad ogni suo movimento, svelando la pelle chiara e i tatuaggi che la decorano. 
"Harry, i cuscini vanno bene così" si lamenta, occhieggiano le due rondini disegnate sulle clavicole che quasi gli sfiorano il naso. "Davvero, smettila di-"
Harry abbassa lo sguardo su di lui, che inerme sbatte le ciglia da sotto le lenzuola dove ha cercato inutilmente rifugio. "Di fare cosa?" domanda e- sta seriamente giocando al finto tonto? 
"Di cercare l'ago del pagliaio nel mio cuscino" ribatte, muovendo nervosamente le sopracciglia. È piuttosto sicuro che in quei secondi il suo viso sia stato in preda agli spasmi più violenti. "Grazie."
Harry ridacchia, ma lo asseconda. Si allontana permettendo all'ossigeno di arrivare ai polmoni di Louis, invasi dall'odore infantile di Harry: shampoo, dentifricio alla menta, fiori e pioggia. 


 



 

Buonasera, un po' in ritardo, ma ci sono. Mi giustificherei dicendo "Sono appena tornata", ma penso potrei venire linciata per questo (sono state due settimane bellissime, dico soltanto questo). Grazie della pazienza, grazie a chi ha letto, chi ha pensato di aggiungere la storia tra seguite/ricordate/preferite e chi ha trovato il tempo per lasciarmi una recensione - risponderò appena possibile.
Riguardo al capitolo non ho nulla da dire, spero solo che vi affezionate a questo dottore che pare tanto tonto e inopportuno, ma con il cuore d'oro e troppa sincerità. Così come a questo Harry ventunenne che sembra più piccolo per il pianto e la paura. Zayn e Louis, li avete già conosciuti in parte nello scorso capitolo e ne manca uno che avrà un ruolo di poco spessore, ma gli ho regalato una bella introduzione (e forse l'unica scena in cui comparirà ah ah ah).
Mi scuso se non mi soffermerò molto sull'aspetto medico dei due pazienti, ma le loro infermità non sono il tema principale, piuttosto il pretesto letterario che permette ai personaggi di conoscersi. Ricordo che la storia è nata come un'idea semplice che poi si è sviluppata e a cui ho voluto dare un po' di importanza pubblicandola.
Ancora grazie, aspetto i vostri pareri,

Anqi.



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