Memories Never Die -Il ricordo di una vita-

di Goldenslumber14
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


 

 

Memories Never Die

 

-Il ricordo di una vita -

 

***

 

 

 

Capitolo I:

 

-Scozia- 15:10-

 

-È la terza volta in questo mese che veniamo convocati, non si può certo continuare così- disse irritato l'uomo dai capelli corvini. Non gli piaceva quando lo interrompevano nel suo lavoro, ma per sua figlia questo andava fatto.

-Lo so Paul, ma lo sai com'è l'adolescenza, si diventa tutti più ribelli- John come al solito cercava di difenderla, visto che avevano lo stesso carattere cocciuto e provocante.

-Magari per te John, ma per quanto mi riguarda ho avuto un'adolescenza serena-

-Si, tra concerti e le troie d'Amburgo, bell'adolescenza tranquilla Paul!-

-Io per adolescenza intendo dagli 11 e i 14 anni, e mi sembra che quando mi sono unito ai Quarry Man, ne avevo 15- sottolineò Paul, guardando duramente l'amico, che però alzò le sopracciglia -15 anni, compiuti da un mese, possiamo dire che ne avevi ancora 14-.

Paul imprecò contro di lui, continuando a camminare con decisione verso l'ufficio del preside. Si fermarono entrambi davanti alla porta dell'ufficio -Ricordati che a regola in questo mese lei dovrebbe essere da te, ma visto il tuo stato non credo che saresti in grado di badarle- .

John lo spintonò irritato per poi aprire la porta. Videro il preside e Marilyn, seduta su una sedia che volse loro uno sguardo di scusa.

Si sedettero anche loro nelle altre due libere, aspettando che il preside prendesse parola. Il vecchio omone barbuto si schiarì la voce con un colpo di tosse -Mi dispiace di avervi disturbato, ma era necessario- congiunse le mani sulla scrivania guardando i due uomini -Signorina McCartney, se non le dispiace- fece un cenno a Marilyn, che se ne andò via dalla porta.

-Sono veramente rammaricato da questa situazione, ma è necessario sospenderla-.

Gli occhi di Paul a quelle parole si spalancarono più che mai -Ma perché?- chiese allibito. Mai prima di allora sua figlia era stata sospesa e anche John ne era sorpreso.

-Vostra figlia è stata sorpresa a picchiarsi con un suo compagno, e come sapete abbiamo già chiuso un occhio al terzo rapporto, doveva già essere sospesa all'epoca. Adesso non possiamo fare altrimenti-.

Paul picchiettava le dita nervoso sul bracciolo della sedia; era arrabbiato, anzi furioso con Marilyn, non poteva continuare così. -E per quanto?-

-Abbiamo deciso ieri per una settimana- disse tranquillamente il preside, come se fosse una cosa da poco.

John a quelle parole scattò -Una settimana!? Ma non le sembra esagerato per un semplice litigio tra studenti?-. Come al solito tendeva sottovalutare la situazione e a scusare il comportamento della figlia, ma ci pensò il preside a guardarlo con rimprovero -Signor Lennon, non si è trattato di un semplice litigio, ma di una rissa. Se non volete che il padre del ragazzo la denunci per poi andarci di mezzo voi, vi consiglierei di non commentare le nostre decisioni-.

John si risedette composto sulla sedia, lanciando uno sguardo d'intesa a Paul -Va bene, la terremo a casa per una settimana e porremo rimedio a tutto questo- si alzarono entrambi, percependo il professore che sospirava, come se fosse l'ennesima volta che glielo dicevano.

Trovarono Marilyn che li aspettava seduta sulla panca fuori dall'ufficio. Lo sguardo severo di Paul la trafisse come una lama.

-Andiamo- disse solamente. La ragazza li seguì con lo sguardo basso. John però non riusciva a vederla in quel modo -Su dai, non fare così- le mise una mano sulla spalla, mentre vedeva il volto di sua figlia risplendere come sempre -Mi perdonate? Prometto che non farò più una cosa del genere.-

-Non ci bastano più le promesse, vogliamo i fatti- disse Paul, cercando di essere severo, anche se ormai tutto era passato.

Continuava a pensare a quella settimana. Non poteva tenerla per tutto quel tempo con sè, aveva l'altra famiglia dopo tutto, ma non voleva nemmeno lasciarla a John, che in quel periodo era tutto fuorché affidabile.

Paul accompagnò la figlia fino alla macchina, dicendole di aspettarli un momento. Doveva parlare con John e subito.

Marilyn guardò i due camminare intorno alla scuola. Conosceva i metodi di suo padre, faceva sempre così quando doveva parlare di cose importanti con John, così si sistemò comodamente sul sedile della stramba Rolss Royce di John.

-John, non posso tenere Marilyn per questa settimana- incominciò Paul, guardando l'amico.

-Ma Paul...sai benissimo che non è il periodo giusto- John abbassò lo sguardo, provando non poca difficoltà nell’ammettere ciò che tentava di nascondere anche a sé stesso.

-Soprattutto in questi giorni- aggiunse ricordando che doveva tornare da May, a Los Angeles. Paul lo fermò prendendolo per le spalle, gli occhi fissi nei suoi -Lo so John, ma per favore, lo sai che Linda e Marilyn non vanno d'accordo, quindi fai uno sforzo- .

John abbassò gli occhi, non voleva farsi vedere sempre ubriaco da sua figlia, ma con May non aveva saputo far altro.

-Paul, avevamo deciso che finché non mi davo una calmata Mary sarebbe stata con te- ricordò duramente.

-Devi capire che lei non deve aspettare te. So che la separazione da Yoko è stata dura e lo è ancora, ma devi capire che l'amore per i figli va oltre tutte queste cose, va oltre la depressione, oltre l'alcol e ogni fottuta cosa. John, devi mettere da parte tutto per lei-.

-Tu non capisci- sussurrò John mettendosi le mani in tasca e distogliendo lo sguardo, quasi scocciato.

-Ah, non capisco? Sai, in questi ultimi anni nemmeno io sono stato uno splendore, ed è solo grazie a Marilyn se adesso sono così. Prima facevo uso regolare di droga, ma poi Linda mi ha detto che non potevo sempre ridurmi in quello stato ogni volta, sia per lei che per la famiglia. Per cui so come ti senti-

Si guardarono. Dopo tutto quel tempo si guardavano veramente.

Chissà come mai era sempre Marilyn a far risvegliare in loro certi sentimenti. John si sentì abbracciare da Paul. Non se lo aspettava, era un'azione ormai inconsueta da parte sua, ma non perse tempo a ricambiare. -Va bene Paul, tanto dovevo anche vedere Julian, sai lo porto a DisneyLand-.

Paul appoggiò la testa sulla spalla di John -Vedrai che si divertiranno- gli sussurrò all'orecchio.

Quando ritornarono alla macchina, Marilyn li aspettava fuori, appoggiata sul cofano -Ci avete messo tanto, cosa succede?-.

John le mise una mano sui capelli -Vieni da me, tesoro!- Marilyn sorrise raggiante alla notizia e lo abbracciò; le era molto mancato in quel periodo. -Dimmi che c'è anche Julian!- lo guardò con occhi preganti.

-Si, c'è anche Jules-

Lei alzò le braccia in segno di apprezzamento e si infilò di filata in macchina, voleva solo arrivare a casa per fare le valige e partire alla volta della calda Los Angeles.

 

*

 

Linda si mise le mani nei capelli ed andò da Paul -Puoi dire a Mary di fare meno confusione con il suo “secondo” padre!? Sto cercando di far dormire Stella- .

Paul l'abbracciò facendola calmare. Marilyn e Linda non andavano per niente d'accordo, anche se la prima aveva dei buonissimi rapporti con le altre bambine, soprattutto con Heather, che aveva solo due anni in meno di lei.

-Mary, hai finito la valigia?- chiese Paul dal piano terra. Sentì i passi affrettati della ragazza, che insieme a John scendeva le scale, emozionatissima di andare a Los Angeles -Sono pronta!- disse mettendosi un cappellino parasole.

Linda andò da lei sistemandola, visto che nonostante tutto il suo spirito materno prevaleva sempre.

-Linda, non devo andare dalla Regina... come ha fatto qualcuno- disse la ragazza rivolgendo un’occhiata ironica al padre. Paul rise, John era riuscito a convincerla che tutta quella storia dell'MBE fosse “un’incredibile puttanata”, e Mary non faceva altro che rimarcarlo.

-Vieni principessa- disse invece lui, aprendo le braccia. Lei lo abbracciò forte, in fondo un po' le sarebbe mancata quella famiglia, che alla fine stava diventando anche la sua, da quando non c'erano più i Beatles.

Dopo aver salutato Paul, si avviò con John, che la teneva per mano, verso l'uscita della casa. Appena la porta si chiuse Linda si girò verso il marito, che aveva uno sguardo preoccupato.

-Non ti fidi vero?- lo baciò sul collo, circondandolo con le braccia nel tentativo di tranquillizzarlo.

-Non so Linda, ma se ci sarà qualche problema, lei mi chiamerà, ne sono sicuro-.

*

 

3 giorni dopo...

-Los Angeles- 15:45

 

-Marilyn, andiamo a prendere Julian!-

Sentendo quel nome, la ragazza si riscosse. Stava guardando uno dei tanti talk show dove John era l’ospite principale e si divertiva ascoltando le risposte provocatorie che dava il padre.

-Ok- disse contenta di vedere l'amico, che era più un fratello per lei.

Anche quel giorno il sole batteva caldo sopra le loro teste, riempiendo di afa la caotica città; era tutto ben diverso dalla silenziosa e fredda Scozia.

Marilyn adorava quell'aria calda e il sole sempre presente, qualsiasi altra città che aveva visitato in Inghilterra pareva niente in confronto.

Per John invece quei tre giorni erano stati difficili, aveva disdetto tre serate con Harry Nilsson, per non tornare a casa ubriaco.

-Papà! Li vedo, eccoli!- Marilyn corse verso le due figure, che conosceva da molto tempo. Julian fu costretto a mollare le valigie, per non essere travolto da Marilyn, che lo strinse con irruenza, non avendolo visto per molto tempo. -Julian! Quanto mi sei mancato!- lui cercava in tutti i modi di scrollarsela di dosso, non riuscendo più a respirare a causa della stretta.

-Sì anche a me, ma così mi uccidi- finalmente lo mollò. Cynthia, che era proprio dietro a suo figlio, la abbracciò baciandola sulla guancia -Come sei cresciuta- commentò sorpresa guardando come pian piano stesse diventando una donna.

-I miei 14 anni si vedono eh?- chiese Marilyn volteggiando nel suo vestitino estivo. Cynthia invece, agli occhi della ragazza, non sembrava tanto cambiata. Aveva sempre i capelli biondi, raccolti in uno chignon per il caldo, e la osservava con i suoi occhi gentili. Ogni cosa in lei sembrava ispirare bontà, ma quella volta aveva lo sguardo stanco e provato.

John la salutò con freddezza; la loro separazione era stata difficile e complicata, a parere di Marilyn, e per questo l'aria tesa fra i due era palpabile. Ma per fortuna l'affetto per Julian non era venuto a mancare. Infatti John lo prese in braccio, un po’ a fatica trovandolo cresciuto -Cavolo Julian, si dice tanto delle ragazze, ma anche i ragazzi non ci scherzano con la crescita-

Lo appoggiò per terra, guardando suo figlio che finalmente rideva, felice di rivedere finalmente suo padre.

May invece era molto contenta di conoscere Cynthia, con cui si dimostrò subito aperta e gentile -È un piacere conoscerti e...vorrei farti una domanda se non sono indiscreta... Marilyn è tua figlia?-.

Cynthia rise, non era la prima a farle quella domanda, tutti avrebbero pensato che fosse sua figlia, dopotutto era l’ipotesi più logica da fare. -No, purtroppo questa peste non mi appartiene- rispose scompigliando scherzosamente i capelli di Marilyn.

May arrossì un pochino -Perché sai, la vedevo molto affezionata a Julian per cui pensavo...- la donna bionda la zittì -Non ti preoccupare, non sei la prima a pensarlo-.

Il ghiaccio iniziale si era finalmente rotto, e il viaggio in macchina fu pieno di chiacchiere e risate. John si era offerto di accompagnare Cynthia e Julian fino all'hotel, dimostrandosi più disponibile del previsto. Per la bionda non sembrava vero; che quella May avesse fatto qualcosa a John, che sembrava improvvisamente così diverso?

-Beh Cyn, tu ti fermi qui, domani vengo a prendere Julian- John la salutò normalmente. Marilyn volle riabbracciare suo fratello prima di rientrare in macchina -Domani guerra aperta con l'autoscontro, Lennon- gli sussurrò lei. Julian sorrise sarcastico -Vedremo chi vincerà, McCartney-

Marilyn mentre si allontanava gridò -Questa è una sfida Lennon/McCartney!- Julian rise salutandola.

 

*

 

La ragazza guardò incuriosita suo padre, che da quando erano tornati a casa, parlava ininterrottamente al telefono con un tipo misterioso. Lo vedeva ridere e scherzare, per cui pensò fosse un amico.

-Va bene, allora a stasera- disse John rimettendo la cornetta sul telefono. Si sfregò le mani soddisfatto -Stasera si cena fuori May!- avvertì la compagna con fare entusiasta, per poi buttarsi sul divano.

Marilyn lo guardò interrogativa -Con chi?- chiese sistemandosi i capelli castani. -Con Harry- disse John ridendo mentre pensava alla buffa faccia dell'amico -Vengo anche io immagino- dichiarò felicemente Marilyn. Purtroppo John dovette contraddirla: non aveva intenzione di portarla con loro, aveva paura dei possibili esiti di quella serata e non voleva che sua figlia diventasse una triste spettatrice di tutto ciò. Ma d’altra parte non poteva resistere.

-Ma papà! Perché non posso venire?- chiese nuovamente lei cercando di intenerirlo con le facce più dolci che riusciva a fare.

-Io ed Harry parliamo solamente di lavoro- provò a scusarsi.

La figlia lo guardò sospettosa, avendo capito che non era quello il problema -Papà, sono stata dieci anni della mia vita a guardarvi suonare nello studio e ormai penso di saperne almeno quanto te in fatto di musica, quindi anche se non me lo vuoi dire, so che non è questo il problema-

John rimase in silenzio. Certe volte si sorprendeva di quanto riuscisse a cogliere ogni suo pensiero anche quando cercava di mentirle. Lo conosceva troppo bene.

Alla fine riuscì a convincerla noleggiandole un film in cassetta, che voleva da tempo vedere. Mandò May a prendere la pizza, che arrivò quasi subito, in modo che Marilyn potesse avere tutto ciò di cui aveva bisogno.

-Allora noi andiamo- disse John mettendosi il cappello. Mary alzò il pollice in segno affermativo, mentre addentava la pizza con gusto.

*

 

Erano passate da poco le quattro, quando Marilyn sentì la porta aprirsi. Era nella sua camera da letto ma, aguzzando l'udito, capì che quella voce distorta e impacciata apparteneva a John. Sospirò arrabbiata, odiava quando suo padre si ubriacava, diventava più lunatico di quanto non fosse già, e non lo sopportava.

Si alzò dal letto, non sarebbe riuscita a dormire comunque.

Nell'atrio vide John, che barcollava ridendo istericamente senza un vero motivo. -Ah, ciao Marilyn, era bello il film?-

La figlia scosse la testa con rassegnazione ed andò ad aiutare il proprio padre. -Si era molto bello, ma adesso devi andare a dormire- lo prese sotto braccio mentre rideva ancora -Cos'è questo scambio di ruoli? I bambini come te non possono stare svegli a quest’ora-

-Con il casino che fai mi stupirei se riuscissi anche a chiudere occhio- rispose sussurrando, più che certa che non la sentisse.

Lo trascinò in camera, dove May stava già dormendo. Lo appoggiò piano sul letto, attenta a non fare troppo rumore. -Ora ti metti qui e dormi intesi?- guardò suo padre, che seduto sul letto la osservava con gli occhi socchiusi -Sei il mio angelo custode- le sussurrò dolcemente infine, facendole una delicata carezza sulla guancia.

Marilyn sorrise dandogli una leggera botta sul capo -Dai John, vai a dormire, domani si va a DisneyLand- lui annuì e si infilò sotto le coperte, abbracciando May. La ragazza sorrise e se ne ritornò in camera, dove finalmente riuscì a dormire.





Angolo Autrice:
Allora, sono molto emozionata, perchè questa è la prima long fic slash che pubblico. Premetto che la storia non sarà per niente come l'ultima che ho scritto (scontata e lunghissima), ma già dall'avvertimento triangolo si capisce che è un pochino diversa.
Spero di avervi incuriosito anche un minimo. Mi piacerebbe sentire dei vostri pareri al riguardo, sono accettate anche le critiche (costruttive please).
Quindi vi saluto
xxx

L'autrice che forse cambierà nome.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II:

 

-Los Angeles- 10:30-

 

-John, mi avevi promesso che ti saresti preso cura di lei!-.

Abbassò lo sguardo colpevole, era consapevole di aver sbagliato, ma senza Yoko non riusciva a capire più niente ed era come se avesse perso l’orientamento, come se una parte di sé stesso non gli appartenesse più.

-Lo so, ma non ci riesco- tentò inutilmente di scusarsi.

-Sono solo parole Lennon, me l'avevi promesso e le promesse si mantengono- lo rimproverò delusa la donna, puntandogli un dito contro.

-Potrei sempre far sapere a tutto il mondo il tuo unico segreto- le parole uscirono dalle sue labbra con un suono provocatorio e malizioso.

-Quei tempi sono passati- rispose prontamente John cercando di evitare il discorso.

-E invece ancora una volta stai mentendo a te stesso-

-Ma comunque tu non lo faresti mai- disse il cantante cominciando ad essere inquietato. Di fronte a quella sagoma non riusciva ad essere del tutto tranquillo, la percepiva minacciosa nei suoi confronti. Cominciava a temerla.

-Ma sai John, come sono scomparsa posso sempre riapparire- schioccò le dita e sparì, in quel vuoto bianco.

John la chiamò e la chiamò più volte, finché non udì solamente l’eco della sua voce e si rese conto di essere rimasto solo.

Cadde in ginocchio e cominciò a piangere tutte le lacrime che fino a quel momento aveva tenuto rinchiuse dentro di sé. Non riusciva più a smettere, tutto stava diventando insopportabile. -Non avresti potuto- singhiozzò portandosi le mani tremanti al viso.

-Non avresti potuto lasciarmi, senza più nulla-.

Sentì delle mani che delicatamente gli alzavano il capo, e si trovò davanti a lei, che lo penetrava con i suoi occhi, enigmatici ma così familiari al tempo stesso. -Non ti ho mai lasciato solo, sono sempre stata accanto a te, anche se non mi vedi. John, ho realizzato il tuo sogno, ma te ne devi prendere cura, altrimenti diventerà un incubo... mi capisci John?-

Lui annuì, si asciugò una lacrima sorridendole, non era cambiata per niente -Allora, ci vediamo- disse vedendo che stava sparendo -Sì John, a DisneyLand.”

 

Aprì gli occhi di scatto, ritrovandosi a fissare il soffitto bianco della sua stanza, che sapeva di fumo. Si stropicciò gli occhi, ancora intorpidito dal sonno e guardò l'ora dalla sveglia sul comodino -Le dieci e mezzo- sussurrò girandosi su di un fianco.

In quel momento la porta si aprì, rivelando una Marilyn già pronta e vestita -Giù dal letto! Si deve andare a Disneyland!-

A quelle parole il padre si nascose sotto le coperte come per non ascoltarla, facendo ridere la propria figlia. -A volte sembri proprio un bambino!-

Decise finalmente di alzarsi, ricordandosi che avrebbe dovuto passare a prendere Julian. Era felice di poter essere vicino ai suoi due figli, che in quel momento era l'unica cosa a cui teneva veramente, l’unica cosa che ancora gli apparteneva.

Quel giorno, sarebbe stato il padre migliore del mondo per loro.

Presi cappotto e cappello, uscì dall'appartamento. Come al solito il sole lo investì abbagliandolo. Si nascose da esso inforcando i suoi tipici occhialetti tondi, sperando che celassero i suoi occhi arrossati e le profonde occhiaie. Guardò sua figlia: indossava un cappello di paglia, che con l’ingombrante visiera, le ombreggiava il viso dai tratti morbidi. La bocca a cuore era aperta in un sorriso e i suoi occhi vagavano da una parte all’altra della città, incuriositi da qualsiasi cosa.

Era maturata molto velocemente, visto che aveva dovuto affrontare la realtà fin da piccola, per questo le perdonava qualche monelleria.

-Papà, aumenta il passo su!- gli ordinò Marilyn mentre saltellava felice. Si tenne il cappello per non farlo volare sotto al tocco del vento, per poi girare su sé stessa gioiosa. L'aria di Los Angeles le faceva proprio bene, alla fine quella settimana di sospensione non era così male.

Quando arrivarono a casa di Julian, il ragazzo si fiondò subito da loro, non volendo sprecare neanche un secondo di quel “ritrovo familiare”.

-Sei pronta per la sconfitta, McCartney?- chiese dandole un colpetto sulla spalla appena vide la sorella. Lei lo spintonò via -Bada a come parli Lennon!-

John si fece scappare una risata, erano proprio buffi come fratelli.

A Disneyland si divertirono un sacco. Era quasi toccante vedere i due ragazzi che ridevano di gusto e per un istante a John parve che tutto il resto non esistesse, solo lui e la sua famiglia.

Forse è questo che si prova pensò mentre addentava dello zucchero a velo, che prontamente gli si attaccava al palato, riempiendo la sua bocca di un dolce sapore.

Il tempo era passato come il vento e si rese conto solo all'ora che dovevano tornare a casa per la cena.

In macchina Julian e Marilyn, continuarono a decantare le loro meravigliose sfide all'autoscontro. John sapeva anche troppo bene che il giorno dopo non sarebbero stati così pimpanti, fortunatamente per lui, e che i lividi si sarebbero fatti sentire.

-Ordiniamo qualcosa al cinese?- chiese mentre guidava la macchina per le strade affollate di Los Angeles.

-Un'ottima idea papà, però a domicilio,noi non abbiamo voglia di uscire e neanche May- Julian strizzò l'occhio alla donna, che sorrise divertita. John si trovò pienamente d’accordo.

Appena arrivarono a casa, i due figli si stravaccarono sul divano, aspettando la cena. Julian raccontò a Marilyn come aveva trascorso quell’anno, con la scuola e tutto il resto. -Lo sai, mi sei mancata- disse infine guardandola seriamente.

-Dici davvero?- chiese lei alzando le sopracciglia.

-Certo, credi che mi inventi tutto?- protestò il fratello. Lei lo strinse a sé, forse troppo, ma lo fece ridere -Sei uno stupido tenerone certe volte!-

Quando lo lasciò, Julian si rabbuiò improvvisamente -Sai, quando papà mi ha chiamato per andare da lui...all’inizio non volevo farlo-.

La ragazza si sedette composta e lo guardò seriamente.

-Non so perché, ma l'idea di rivedere papà, solamente io e lui... mi terrorizzava- le parole di Julian erano sincere e Marilyn sapeva quanto sforzo stesse facendo per esplicitare ciò che sentiva.

-Ma quando poi ho saputo che c'eri anche tu, ho capito che sarebbe andato tutto bene-. Sorrise timidamente abbassando gli occhi.

La ragazza gli strinse la mano, calda e grande -Ma perché? Perché hai paura di John?-.

A quella domanda il ragazzo abbassò lo sguardo -Beh, tu non puoi saperlo, ma...ecco...certe volte, quando stava ancora con mia madre, aveva degli sbalzi di umore e si arrabbiava senza un vero motivo. Insomma, non volevo subirmi ancora una delle sue sfuriate, ma con te è come se fosse più tranquillo, non so perché-.

Non lo sapeva nemmeno lei e da una parte si sentiva più serena nel sapere che con lei John si desse una controllata, ma dall’altra non voleva che avesse delle preferenze, perché non era giusto nei confronti di Julian.

Paul l’aveva avvertita che stava passando un brutto periodo, ma non aveva mai saputo nulla di tutto questo.

-Ho capito, comunque non ti devi preoccupare, se prova a farti qualcosa ci penso io- disse dandosi un pugno sul petto, per sottolineare la sua fedeltà.

 

*

 

Stava per andare a letto, stanca di tutto, quando un pensiero le attraversò la mente come un fulmine a ciel sereno. Non ci aveva mai pensato prima, e quella cosa la incuriosiva. Così andò da suo padre, pensando che le avrebbe dato delle spiegazioni.

-Papà, dov'è la mamma?-.

John stava lavando i piatti, ma anche se la domanda poteva sembrare innocente e innocua, turbò l'uomo. Una forchetta scivolò dalle sue mani e lo stridio risuonò glaciale per tutto l’appartamento.

Marilyn lo continuava a fissare, quasi incuriosita dal suo comportamento. -Papà?- chiese di nuovo.

John si riscosse -Come mai lo vuoi sapere?- “Che domanda idiota, non c’è un perché lo voglia sapere, è un suo diritto” pensò.

-Non so, mi sembra giusto che io lo sappia- dichiarò lei.

Come immaginava. John chiuse gli occhi, dire la verità era più difficile di quanto volesse ammettere.

Si passò una mano tra capelli nervoso. -Non posso- sussurrò velocemente, andandosene dalla cucina. La ragazza lo seguì, volendo sapere ancora di più quello che era accaduto a sua madre.

-John, non provare a scappare- disse minacciosa puntandogli il dito contro. Lo conosceva e sapeva anche meglio di lui che, davanti a delle brutte situazioni, preferiva fuggire che affrontarle.

-Io non sto scappando- disse irritato alzando entrambe le mani, sapendo perfettamente che sua figlia aveva ragione.

-Allora dimmi, dov'è mia madre- disse scandendo le parole.

Non lo sopportava, non voleva assolutamente parlare di sua madre, non era il momento. Era ancora troppo presto, c’erano ancora tante cose che doveva capire, metabolizzare e tutto stava andando troppo velocemente per i suoi gusti. -Senti, adesso no-

Ma Marilyn insisteva, non capendo perché si ostinasse a non voler dire nulla.

-Che cazzo Marilyn! Ti ho detto di no! Per dodici anni ho vissuto senza sapere chi fosse mia madre e non ho mai rotto il cazzo in questa maniera!-

Marilyn sgranò gli occhi -Appunto tu più di chiunque altro dovresti capire! Sai benissimo che è un mio diritto sapere chi mi ha dato la vita!-

Ecco, gli sbalzi di umore. Vedeva nei suoi occhi una strana luce, inquietante e irata, che non gli aveva mai visto. Quello non era John, non era il padre divertente e scanzonato che la faceva ridere ogni volta.

-Non cominciare con queste puttanate, non è così importante sapere chi ti ha partorito, ci siamo io e Paul, quindi smettila di rompere il cazzo!- la minacciò John.

La ragazza si sentiva come messa al muro, e aveva paura ma era anche così arrabbiata con suo padre che reagì d’impulso -Altrimenti cosa farai? Mi picchierai? Ma tanto tu sei il fantastico e famosissimo John Lennon, puoi dire e fare qualunque cosa, perché tanto tutti ti ameranno comunque!-

Era rossa in viso, non aveva mai litigato con John e per lei quella situazione era del tutto inesplorata.

-Non dici niente? Vedo che allora nessuno te lo ha mai detto, forse perché col tuo carattere di merda hai finito con l’allontanare tutti quelli che ti volevano bene!-

John scosse la testa -Che diavolo stai dicendo?-

-Sto dicendo la verità, papà! Tu non ti rendi conto di cosa hai fatto a Cynthia e a Julian! Forse Cynthia è stata troppo buona, ma io non sono lei e devi mettertelo in testa, perché quando cominci a fare cazzate, io te lo dico e non ho paura di te!- Non fece in tempo a finire la frase che John aveva sbaraccato il tavolino con un calcio, rompendo anche qualche bicchiere.

Il silenzio si fece padrone dell'appartamento.

I due si guardavano, entrambi con le labbra serrate dall’ira e dalla delusione. Marilyn aveva le mani strette in pugni e ormai non le sentiva più. I suoi occhi stavano diventando lucidi, ma non voleva dargli quella soddisfazione. Non quella sera.

John allontanò lo sguardo da lei e andò a prendere il cappotto, per poi uscire dall’appartamento camminando nervosamente. Sentì sua figlia che lo mandava a quel paese, probabilmente stava piangendo. Ma non gli importava, non in quel momento.

 

*

 

Le strade luminose di Los Angeles erano prive di attrazione per John. Aveva bisogno di calmarsi, di sfogare tutta quella rabbia che gli si era annidata dentro, o sarebbe finito con lo scoppiare.

Si intrufolò così in un bar, buio, sporco e pieno di persone ubriache o stravaccate sui tavoli. In quel momento non ambiva a nulla di meglio.

Si sedette al bancone con lo sguardo torvo e ordinò un drink. Si passò una mano sul viso esasperato; capiva che aveva sbagliato ad arrabbiarsi così, non ce n'era bisogno, ma quella domanda lo aveva fatto impazzire.

Sono uno stronzo” pensò mentre ingurgitava alcol tutto d'un fiato. Appoggiò lentamente il bicchiere. Si guardò intorno, due uomini avevano cominciato a litigare a gran voce, ma non capiva un’accidente di cosa si stessero dicendo.

Continuò ad ordinare drink su drink senza mai smettere, ed in quel momento i ricordi cominciarono a farsi vivi e limpidi nella sua mente. Ricordava tutto perfettamente e sapeva di doverlo dire a Marilyn, se lo meritava, dopo anni passati nell'ignoranza.

Tutto era iniziato in quella schifosa città di Amburgo, rise tra sé e sé ripensando ai momenti passati là. Strano che proprio lì fosse cambiato tutto.

Erano accadute troppe cose che per troppo tempo erano state nascoste, ma era difficile rivelarle tutte in quel momento e da solo non ce l'avrebbe mai fatta. Non avrebbe saputo nemmeno da dove cominciare.

Si stravaccò sul bancone completamente ubriaco. Voleva chiudere gli occhi e dimenticare per un momento tutto. Chi era lui, i suoi doveri di padre, gli amori vecchi e nuovi, tutto a quel paese, voleva essere libero.

Una scossa lo fece tornare in sé, un uomo lo stava scuotendo. Il bar sarebbe chiuso fra poche ore e John doveva andarsene il prima possibile.

Tornò a casa, triste, ripensando a quanto fosse diverso una volta.

Quando entrò nell'appartamento, vide che Marilyn lo stava ancora aspettando, seduta sul divano, con una coperta sulle spalle. Lo guardò con gli occhi arrossati, segno che aveva pianto.

John sentì improvvisamente un dolore fortissimo. Vederla in quello stato e sapere di esserne la causa, face nascere il lui dei dolorosi sensi di colpa. Si precipitò da lei e l'abbracciò baciandole la testa.

-Sono un figlio di puttana- le sussurrò tra i capelli. Marilyn lo strinse ancora più a sé, per fargli capire che lo aveva perdonato.

-Non avrei dovuto insistere, posso capire che possa essere difficile-

John sorrise, era per questo che voleva molto bene a sua figlia, lo capiva e riusciva a perdonarlo, anche se riusciva benissimo a ferirlo con la sua lingua tagliente. Caratteristica che sicuramente le aveva trasmesso lui stesso, si ritrovò a pensare.

-Ma almeno puoi dirmi com'era?- chiese lei.

John sospirò, ma accettò comunque la richiesta -Era una donna straordinaria, amava cantare, ballare ma soprattutto ridere. Non c'era nulla che le piacesse più di ridere. Era anche bella sai, molto bella, e tu le assomigli-

Mary arrossì, non si era mai considerata bella, ma John sapeva che prima o poi se ne sarebbe resa conto.

-Lei mi capiva, riusciva a tirarmi sù il morale e non c'era sfida che non accettasse. Diceva che le faceva solo per vivere la vita con pienezza, per avere delle storie da raccontare e dire “io l'ho fatto”- rise ripensando a che donna incredibile fosse la madre di quella ragazza.

-Ma dietro a quella donna divertente, si nascondeva una donna seria, matura e sensibile-

Marilyn gli disse di fermarsi. Non voleva sapere altro, gli bastava quello. Aveva notato qualcosa negli occhi di suo padre, come un luccichio. Forse l'aveva amata sul serio, pensava la ragazza mentre andava a dormire.




Angolo Autrice:
Si lo so, questo capitolo è corto, ma finalmente Marilyn chiede di sua madre. Ah, che soddisfazione arrivare a questi traguardi (?).
Come avrete notato non metto l'anno in cui si svolge la storia, però visto che John è a Los Angele si potrebbe dedurre che sia durante il Lost WeekEnd, e quindi intorno al 1975-76. Ho scelto apposta questo periodo della vita di John perchè...beh, Yoko per un po' non ci sarà e quindi il nostro Johnny è un po' instabile. 
Vi avverto che potrebbero esserci delle incongruenze per quanto riguarda l'età di Marilyn...ma queste sono sottigliezze.
Ringrazio Mei 77 che ha recensito e messo la storia sia nelle seguite che nelle ricordate.  cipollina_15 che ha messo la storia nelle preferite e infine Chiara_LennonGirl06 che ha recensito.
Vi prego di recensire, è importante :)

With Love
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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III:

 

14:35 -Los Angeles-

 

Due giorni dopo arrivò Paul. John non sapeva perché, ma guardò istintivamente Marilyn, che con un sorriso imbarazzato gli fece capire di essere la causa. Venne a sapere, che la notte che avevano litigato, Marilyn aveva chiamato Paul. Anche se furioso con la figlia non disse nulla, aveva creato già abbastanza guai per il momento.

Lo sguardo severo dell’amico lo trafisse -John, dobbiamo parlare- disse infine richiamandolo lontano dalla ragazza.

John si sedette sulla sedia sdraio, guardando il sole caldo che lo illuminava coi raggi del pomeriggio. -Va bene, mi dispiace!- disse prima che Paul potesse dire qualsiasi cosa.

Il bassista rise e si sedette -Lo so John, ma non sono qui per farti la predica, anche se ce ne sarebbe bisogno- il suo sguardo si fece improvvisamente serio. Gli si avvicinò -Dobbiamo dirle di sua madre-.

John sospirò grave, tappandosi la faccia con una mano -È difficile- commentò guardandolo.

Paul poteva vedere benissimo la paura negli occhi di John, la paura di essere giudicato, di essere deriso.

-Non devi avere paura John, per questo sono qui- gli prese la mano. John arrossì e lo guardò abbastanza stupito da quel segno d'affetto.

-Paul- lo avvertì guardando lui e poi la sua mano. Il bassista la ritirò subito borbottando qualcosa. -Non riesci proprio a fingere di non essere una checca eh?- scherzò.

Paul lo guardò con un sorriso sereno sulle labbra -Tu non sai quanto è stato difficile dimenticarti-.

Il più grande scosse la testa e si alzò. Anche per lui era stato difficile, ma era stato necessario. -È per questo che si litiga no? Bisogna tenere viva una relazione-

Paul imprecò contro di lui, ma lo seguì lo stesso. Era incredibile come finissero sempre per rivedersi. Era sempre Marilyn, la causa dei loro incontri, ma non gli dispiaceva.

John chiamò a gran voce la figlia, che venne subito nel giardino della loro nuova casa di Los Angeles.

Abbracciò Paul e guardò entrambi gli uomini. -Che c'è?- chiese avendo paura di una possibile punizione.

Paul la prese per le spalle gentilmente e i suoi dubbi infondati svanirono -Volevi sapere di tua madre? Ebbene, oggi ti accontenteremo. Ma ti avverto, è una storia lunga- .

Marilyn sorrise emozionata. Si sedettero tutti sulle sdraio, in modo da potersi guardare in faccia l'un l'altro

Paul guardò John, capì che non avrebbe cominciato a parlare, così si schiarì la voce -Bene, questa storia comincia ad Amburgo,era il 1959 credo ah, si ora ricordo-

*

 

-1959 -Amburgo-

 

-Hey Paulie, ti faccio fare un giro!-

Quelle erano state le parole di John. Molti avrebbero affermato il contrario, ma fu quello l'inizio di tutto.

Erano solo da qualche settimana ad Amburgo, ma già, lavorando anche nei peggiori locali della città, avevano riscosso un largo successo tra i giovani tedeschi.

Paul acconsentì, non aveva nulla da fare.

Il freddo pungente colpì il suo viso, così si strinse nel suo giacchetto di pelle. Non gli piaceva Amburgo, pensava che tutto fosse sbagliato, persino la sua presenza lì lo era. Talvolta si sentiva così fuori posto che si domandava cosa lo avesse portato ad accettare la proposta dell’amico.

John lo trascinò con un sorriso furbo fino ad un pub, non molto lontano dall'Indra. Paul lo riconobbe subito: era l’Anglikanische Kirche, uno dei tanti locali che gestiva Koschmider. Ricordava di averci suonato qualche volta e sapeva che genere di posto fosse. John sicuramente ci andava per divertirsi con le prostitute o le spogliarelliste, e molte volte era riuscito a trascinarlo con sé.

-Te lo ricordi Paul? È stato il più bello spettacolo a cui abbia mai assistito- commentò lui guardando con occhi pieni di desiderio i corpi sinuosi delle spogliarelliste.

Paul scosse la testa rassegnato, ormai lo conosceva troppo bene, ma non era dell'umore adatto per seguire John in un’altra delle sue folli avventure, così si sedette al banco e ordinò una birra.

Vide subito che John aveva abbordato una spogliarellista, appena scesa dal palco. Notò che ogni volta che smetteva di parlare, anche solo per riprendere fiato, lo sguardo dell'amico cadeva inesorabilmente sul seno della donna, che sembrava stare al gioco del più giovane.

Paul prese la sua birra ed uscì. Preferiva stare al freddo piuttosto che in quella gabbia di matti.

Guardò la poca gente che animava le strade, gli sembrava di essere una fottuta ragazzina in crisi premestruale e per lo più depressa “Ma che mi prende?“ si chiese mentre si passava svogliatamente una mano tra i capelli capelli.

In quel momento riconobbe la risata di John, sonora e contagiosa, accompagnata dalle risa di una ragazza.

-John, dai smettila!-

Paul si girò e la vide. Cavolo se era bella, no anzi, era bellissima.

Si accorse solo dopo della semi nudità della ragazza, che si copriva a stento con la giacca di John.

-Questo bel faccino è Paul- disse lui indicandolo. Il ragazzo non seppe far altro che sorridere.

La ragazza si accorse subito di ciò che stava guardando Paul, ovvero le sue gambe -Ah, perdona le mie condizioni, ma quest'idiota- indicò John scompigliandogli i capelli -Mi ha trascinata fuori dal camerino e quindi beh...lascio a te l'immaginazione- disse infine.

-Scusate, ma vado a farmi una ballerina- John se ne andò, lasciando i due soli. Paul continuava a guardarla, incantanto dalla sua bellezza. Lei si sedette sui braccioli della ringhiera che guarnivano le scale e lo fissò a sua volta, incuriosita.

-Non sembreresti il tipico amico di John- commentò.

-Forse perchè non sono un completo idiota e non faccio lo stronzo?-.

Lei scese, sedendosi accanto a Paul sorridendo -Si, può darsi-.

Dal local usciva una musica assordante, che si confondeva con le urla e i fischi del pubblico, che sicuramente stava gradendo lo spettacolo.

-Vi ho visti suonare, siete bravi-

Paul arrossì, ma si ricompose quasi all’istante; non voleva apparire impacciato di fronte alla ragazza.

-Beh grazie- disse infine.

Lei rise vedendolo in difficoltà. -Come sei tenero!- esclamò baciandolo sulla guancia. Paul stavolta non riuscì a trattenere il rossore delle sue guance.

-Non saresti dovuto venire qui- commentò lei senza distogliere lo sguardo dal ragazzo.

-Ma il destino mi ci ha portato- disse Pau alzando le mani come sconsolato.

-Hey Paul, non provarci con Jenn, è già mia!-

John.

Lo vide chinarsi e baciarla sulla guancia, per poi sussurrarle all'orecchio -Non è vero?-. Lei lo spinse via rialzandosi.

John fece per riprendere la giacca, ma lei si ritrasse -Eh no bello, questa me la tengo-.

Lui rise mentre si rincamminava verso l'Indra con Paul -Me la ridai quando scopiamo!-

Jenn alzò la mano salutandolo -Ti sei fregato da solo Lennon!-

Se da una parte Paul non sopportava quel modo di fare arrogante e irruento, da una parte lo invidiava. John appariva sempre sicuro di sé, anche quando era evidentemente in errore riusciva sempre a trovare la cosa giusta da dire. Camminava a testa alta, con lo sguardo dritto davanti a sé, fregandosene di tutto e di tutti. Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere come lui.

-Ti ho visto in confidenza con Jenn- commentò Paul, non avendo potuto non notare il rapporto tra i due.

-Bah, è una persona con cui fai amicizia in fretta. Comunque, ho visto come la guardavi- lo guardò con un sorriso beffardo.

Si spintonarono a vicenda. -Come flirtavi con lei! Era una meraviglia!- cominciò a ballare un lento improvvisato, per sottolineare il romanticismo di Paul. Lui scosse la testa raggiungendo l'unico pazzo che ballava in mezzo alla strada.

-Non è vero!- cercò di smentirlo, ma John ormai aveva capito tutto. -Beh, devo dire che hai gusto! È bella, simpatica e anche brava a letto-

Paul a quelle parole sgranò gli occhi. L'amico al fianco se ne accorse -Sì Paul, sei arrivato tardi- disse accendendosi una sigaretta.

Non ci voleva credere. Roteò gli occhi scocciato, succedeva così ogni volta. Sapeva benissimo che, una volta trovata una preda, John non la lasciava così facilmente, nemmeno ad un suo compagno. Era consapevole anche del fatto che nessuna ragazza avrebbe messo da parte il leader del gruppo per uno dei chitarristi.

-Paul, cosa c'è?- chiese John distogliendolo dai suoi pensieri. Gli era bastato un attimo per capire cosa passasse nella testa del suo compagno.

-Niente- disse solamente.

John cominciò a stuzzicarlo finchè l’altro non sbottò -Va bene cazzo! Forse, beh...sì diciamo che probabilmente...potrei essere attratto da Jenn-.

John sorrise compiaciuto -Ti conosco troppo bene, principessa-.

Quando ritornarono all'Indra però non volle dire nulla. Solitamente si sarebbe messo ad urlare “Paulie è innamorato!” ai quattro venti, ma questa volta non volle farlo.

Dopo il concerto, i Beatles ritornarono nel loro buco, che alcuni si permettevano di chiamare camera. Quattro pareti di una minuscola e sporca stanza dietro ad un cinema, senza nemmeno una finestra era un insulto anche alla più umile delle capanne.

Si stravaccarono sul letto senza forze. George si addormentò praticamente subito e anche gli altri presero il suo esempio. Quella sera, niente baldoria.

Però John non riusciva a dormire, continuava a ripensare a ciò che Paul gli aveva detto quella sera. Lo invidiava certe volte, riusciva a provare ancora sentimenti del genere, veri e genuini. Non si era ancora fatto contagiare dall’aria che si respirava ad Amburgo.

Si alzò e lentamente si infiltrò nel letto di Paul, che si scostò pigramente -Anche oggi?-.

John si divertiva a dormire nel letto di Paul, principalmente per rovinargli il sonno, scusandosi dicendo che in due si dorme meglio e che non era più abituato a dormire da solo

-Cosa c'è adesso?- chiese Paul assonnato.

John si stese su un fianco, per poter guardarlo in faccia -Devi spiegarmi come è successo?-.

Paul lo guardò interrogativo -Come è successo cosa John? Io voglio dormire- protestò mettendo la testa sotto il cuscino.

John lo guardò. Si ritrovò a fissare le braccia dalla pelle chiara e delicata dell'amico. Scosse un po' Paul, voleva veramente sapere come era successo -Dai, non riderò giuro- sussurrò quando vide che il viso di Paul, pian piano usciva da sotto il cuscino. -Mi prometti che dopo non rompi?-

John annuì.

Paul sospirò cercando di ricostruire il tutto -Allora, apatico del cazzo, è successo quello che succede ad ogni persona sana di mente. Quando l'ho vista, non so...ho sentito il mio cuore che si fermava e poi cominciava a battere velocemente, sempre di più-.

John sarebbe rimasto ore e ore a sentirlo parlare, solo per il suono della sua voce

-Ho capito- disse solamente. Non ricordava di aver mai provato una cosa del genere.

Si girò dando di spalle a Paul, che capì che qualcosa aveva turbato l'amico -John?- chiese. Ma lui rimaneva in silenzio, senza dire nulla -Cosa succede?- John sospirò cercando di trovare delle parole che non sembrassero stupide -È che, perdona le mie riflessioni filosofiche, penso di non essermi mai innamorato-.

A quelle parole Paul alzò le sopracciglia dubbioso -Lo trovo molto strano Johnny-

Vedendo che John non rispondeva minimamente, tentò di tirargli su il morale- Forse sono io ad essere un sentimentale del cazzo...oppure sei frocio, si spiegherebbero molte cose-

-Figlio di puttana!- John per tutta risposta gli diede un colpo in testa e tentò di soffocarlo con il cuscino. Entrambi scoppiarono a ridere ma quando sentirono George lamentarsi del loro baccano, decisero che era abbastanza.

Paul si avvicinò di più a lui per non farsi sentire -Facciamo così, tu mi dici tutto quello che sai di lei e in cambio faccio qualsiasi cosa tu voglia-

A quelle parole John si girò subito, interessato a quel patto -Ci sto McCartney- disse sghignazzando.

-Allora, fa la spogliarellista, e solo quando mancano delle sue amiche lavora come puttana. Abita in un appartamento insieme a delle sue colleghe, in un condominio del maniaco che le paga. Per cui ti puoi immaginare-

Paul rise, John aveva un modo tutto suo di descrivere una ragazza, parlava delle cose meno importanti ma che in molti momenti si scoprivano molto rilevanti.

-E poi ha un bel paio di tette- l'amico lo spintonò -Cosa c'è? Mi hai chiesto un parere e io te l'ho dato-

-LA VOLETE SMETTERE CAZZO!?- urlò sempre Geroge.

Sogghignando cercarono di abbassare il tono della voce -Paul, adesso tocca a te- . John pensò a cosa avrebbe potuto chiedergli. Voleva qualcosa che lo disarmasse o che lo rendesse ridicolo davanti ad altri, aveva pensato a farlo correre in mutande per la strada, ma era banale.

-Ci sono, visto che come dici te sono una checca, sento tantissimo il bisogno di domire abbracciato alla mia principessa-

Vide gli occhi di Paul spalancarsi molto più di quanto fosse umano -Cosa!? John tu sei malato!-

Sospirò. Sapeva che doveva accettare le condizioni, le aveva imposte lui stesso e si era fregato da solo.

Beh, poteva andargli peggio.

John sorrise malignamente. Si girò nuovamente su un fianco, aspettando ridendo che Paul lo abbracciasse.

Riconobbe il calore delle braccia del ragazzo più giovane, che si cingevano sul suo petto e lo attiravano verso il suo corpo. Paul si accorse del sorriso assonnato che si era fatto largo sul viso beffardo di John, ma non disse nulla. Non era quello il momento. Lasciò così che John si addormentasse tra le sue braccia, mentre vegliava su di lui.

 

*

 

-Los Angeles- 15:02

 

Marilyn sgranò gli occhi -Mi state dicendo che mia madre era una spogliarellista?-

Dalle sopracciglia inarcate i due compresero quanto fosse sorpresa e scioccata da quell'idea di sua madre. -Si, ma è sempre stata una brava persona- disse velocemente Paul.

Mentre i due parlavano facendo commenti su Jenn, John non riusciva a smettere di guardare Paul. Ricordava benissimo quella notte, era stato felice di averlo così vicino. Ma forse era stato un po' geloso, geloso dei sentimenti che Paul provava per Jenn.

Rise tra sé e sé, ormai era passato.

Insieme ritornarono dentro la casa, fra pochi giorni Marilyn se ne sarebbe andata, ma John non voleva lasciarla. Si trovò a pensare a quando insieme a lei se ne sarebbe andato via anche Paul.

John, la devi smettere di fare il sentimentale, ormai è storia passata” si disse mentre osservava i comportamenti che riservava alla figlia. In molti avevano detto che molto probabilmente era figlia di Paul, vista la sua spiccata somiglianza, ma il bassista si era rifiutato di fare il test, per vedere se fosse vero. Voleva che fosse figlia anche di John, senza badare a chi fosse veramente il padre biologico.

-Ma allora è finita così la storia?- chiese Marilyn mentre si sedeva in poltrona -No, ti ho detto che è una lunga storia, poi ti racconteremo il seguito- promise Paul. La guardarono entrambi correre dal fratello e giocare in giardino.

John si sedette accanto a Paul, per ammirare insieme a lui, ciò che avevano creato insieme.

-Non ti pare incredibile?- Paul rise, una risata cristallina e pura

-Cosa?- chiese John guardando i lineamenti dolci del viso dell'altro uomo.

-Che abbiamo creato una ragione per incontrarci- sussurrò Paul, come per non farsi sentire.

John si infilò le mani nella tasche volgendo lo sguardo sui suoi figli -Già, veramente incredibile. Sembra quasi che nel nostro inconscio sapessimo cosa sarebbe accaduto- l'osservazione di John lo fece riflettere. Era molto strano perché lui all'epoca non avrebbe mai pensato alla separazione dei Beatles, alla separazione da John.

-Sai John, a volte penso a come sarebbe andata se...- non finì la frase. Quell'incertezza però fece capire cosa intendeva, o almeno John lo aveva sempre capito.

-Si a volte anche io- si alzò e si rinchiuse in camera sua, al piano superiore. Sentì le sue stesse lacrime scorrergli per il viso. Si buttò sul letto cercando di nascondere i singhiozzi “Perché a volte è così difficile?” pensò tra le lacrime.

 

Angolo Autrice:
Scusate il ritardo, ma ho avuto molto da fare in questo periodo. E finalmente abbiamo conosciuto la nostra Jenn, la ragazza stramba che lavora come spogliarellista.
È arrivato anche un momento McLennon (finalmente!).
Lo so, la fine è un po'..come dire..triste, ma il povero John ricorda benissimo tutto quel che è accaduto.
Quindi vi lascio così ^^
Ma farebbe piacere leggere delle vostre recensioni,
spero vivamente (ma come parlo?) che la storia vi stia piacendo

With Love
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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


 

Capitolo IV:

 

 

-1959- Amburgo-

 

-Ecco, siamo arrivati- John alzò la mano trionfante mostrando al suo amico il luogo dove viveva la sua amata. Davanti a loro si innalzava un condominio mal messo, con tante finestre che davano sulla strada. Dall’interno si sentivano schiamazzi e risate femminili e non vi era nemmeno l’ombra di un uomo.

-Jenn!- urlò John.

Da una finestra si affacciò una ragazza bionda, che quando vide John alzò gli occhi al cielo -Ancora tu!? Quando lo capirai che non te la da?-.

John le intimò di chiamarla. La ragazza bionda sparì nella stanza e poco dopo apparve il viso sorridente di Jenn. Salutò i due ragazzi -Venite su- li invitò con un cenno della mano.

I due si affrettarono ad arrivare al suo appartamento.

Quando furono davanti alla porta, questa si aprì, rivelando la figura di Jenn, avvolta in un maglione molto più grande di lei -Mi siete venuti a trovare!- li abbracciò entrambi e li fece entrare in quella stanza, con solo una lampada.

-Non so se vi siete già conosciuti, quella è Anne e quella lì è Sabrina- le due ragazze salutarono con noncuranza gli ospiti per poi tornare a farsi gli affari loro.

Dovevano essere delle colleghe di Jenn, ma in quel momento non avevano un’aria confortante o minimamente attraente. Probabilmente nessuna delle due si sarebbe fatta scrupoli nel prenderli a colpi se le avessero infastidite. Paul decise che non era il caso di iniziare una conversazione.

-Come mai siete venuti qui?- chiese Jenn guardandoli con occhi ridenti.

-Solo per una visita, ma è meglio uscire da questa...chiamiamola stanza- gesticolò per evidenziare lo squallore del posto. Jenn si mise a ridere e prendendo sotto braccio Paul, fece un cenno col capo a John, che li seguì.

Le strade erano illuminate soltanto dalle luci provenienti dai locali. Paul era felice vi avere nuovamente la ragazza accanto a sé e avrebbe approfittato di ogni secondo con lei.

-Hey piccioncini, i ragazzi ci aspettano all'Indra, perché non vieni anche tu Jenn?- disse John guardando duramente Paul. Non voleva che l'avesse lui solamente, anche se ne era innamorato.

La ragazza acconsentì.

All'Indra infatti trovarono George, Pete e Stuart che li aspettavano sull'uscio -Era ora- disse Stu dando una pacca sulla spalla a John. George invece si interessò subito alla nuova arrivata -Ma che maleducati, non mi avete presentato questa bella ragazza- si inchinò anche troppo teatralmente baciandole la mano.

-Lei deve essere il signor Harrison-

Lui la guardò stupito -Come fa a conoscere il mio nome?-

-La fama la precede- rispose Jenn entrando nel locale -Comunque io sono Jenn-

Era buio lì dentro e solo le luci sul palco illuminavano il piccolo ambiente. C'erano molte persone ma i Beatles non si sarebbero esibiti, quel giorno era uno dei loro pochi momenti di libertà.

John circondò le spalle di Jenn con un braccio, sussurrandole qualcosa all'orecchio, che Paul non riuscì a sentire a causa della musica.

Vide che John gli stava facendo cenno di seguirli. Si ritrovò poco dopo a bere insieme ai ragazzi e a Jenn. Inebriati dall’alcol, non riuscivano a smettere di ridere per qualsiasi cosa. Se non fosse stato per il braccio che riduceva lo spazio tra i corpi di John e Jenn, Paul sarebbe stato anche felice di averla portata all'Indra. Ma poteva benissimo vedere con che occhi John guardasse la ragazza.

Si stupì di se stesso, era davvero geloso?

John sorseggiò la sua birra, senza distogliere lo sguardo dalla ragazza che teneva a fianco. Trovava che fosse bellissima, ma non era solo il suo aspetto ad attrarlo e affascinarlo, ma anche il suo atteggiamento così disinvolto e magnetico. Solo ragazze con una certa esperienza potevano possedere quel fascino e a Liverpool, John Lennon ne aveva conosciute ben poche.

-John, leva la mano da lì- disse minacciosa Jenn guardandolo malissimo. John sorrise di sbieco allontanando la mano dal suo seno -Guastafeste- commentò il ragazzo. Lei gli diede un colpo spintonandolo -Secondo te mi faccio palpare dal primo che passa? Idiota-

John notò il sorrisetto divertito di Paul, che aveva visto da prima il movimento lento ma deciso e premeditato dell’amico.

-Comunque un giorno te le toccherò- promise lui alzando il pugno al cielo.

Lei allora si alzò dicendo che doveva tornare all' Anglikanische Kirche -Beh, ci vediamo ragazzi- diede un bacio veloce a John e a Paul per poi andare fuori dal locale.

 

*

 

-Los Angeles- 18:37-

 

Marilyn prese la sua valigia tristemente, avviandosi insieme a Paul verso la sua macchina. John arrivò poco dopo, con lo sguardo basso e triste. Non voleva lasciarli andare, non di nuovo.

La ragazza si rinchiuse in macchina, rifiutandosi di parlare. Paul ricordava che anche John tendeva a diventare silenzioso quando c’era qualcosa che non andava. Sospirò, era proprio figlia di suo padre.

I due uomini si guardarono. Neanche Paul voleva andarsene, sapeva quanto John avesse bisogno di lui in quel momento.

-Mi prometti che tornerai?- chiese John.

Paul sentì gli occhi inumidirsi, voleva rispondere, ma la sua voce era come bloccata. Decise semplicemente di abbracciarlo. John si sentì come quella volta ad Amburgo, quando si erano abbracciati nel cuore della notte. Strinse Paul, facendo aderire completamente i loro corpi.

-Neanche io vorrei andare, ma devo- gli sussurrò Paul all'orecchio.

Marilyn intanto osservava la scena con curiosità, non li aveva mai visti comportarsi così, o almeno non lo ricordava. Vide con stupore che Paul, prima andare, diede un leggero bacio alla guancia di John. Probabilmente non significava nulla, ma quel gesto la colpì comunque.

Paul si sistemò nervosamente sul sedile davanti. Sapeva che ciò che aveva fatto poco fa era stato un gesto sconsiderato e che se qualcuno li avesse visti avrebbe sospettato qualcosa. Non voleva rovinare tutto proprio in quel momento. Marilyn si sporse vicino al padre -Papà, ma chi è veramente mio padre?-.

La macchina sbandò. Colpa di Paul, che era rimasto colpito da quella domanda.

-Devi avere pazienza, non ho neanche finito di raccontarti la storia-

Lei appoggiò la schiena sul sedile ed incrociò le braccia -Ma perché dovete farla così misteriosa? Tutto quello che so su mia madre è che era una spogliarellista e che sei stato te il primo ad innamorarti. Ma da come me ne ha parlato John sembrava che anche lui l'amasse-

Paul si schiarì la voce. Era difficile anche per lui capire come era stato possibile tutto questo, era una storia veramente complicata quella che andava a raccontare e non sempre avrebbe potuto rispondere alle domande della figlia.

-Ma sai, anche se non lo dava a vedere anche John ne era innamorato. Faceva finta di essere un duro, insensibile, ma io capivo sempre quando si innamorava di qualcuno- Marilyn sorrise. Anche se il destino non le aveva dato una madre, in cambio aveva avuto due splendidi padri che, anche se complicati, le volevano bene.

 

John era rientrato in casa. May si era accorta subito che qualcosa non andava e infatti gli si era avvicinata -John, cosa c'è?- chiese accarezzandogli la schiena -Niente May, voglio restare un po' da solo- detto questo si avviò verso la sua camera, dove si stese sul letto contemplando il soffitto. Scosse la testa come per scacciare i pensieri che si erano insinuati nella sua mente. Non doveva riaccadere, era riuscito a dimenticarlo dopo tanto tempo e non poteva ricominciare tutto nuovamente.

Chiuse gli occhi ripensando a Jenn, a quante volte l'avesse aiutato. Lei c'era sempre stata, anche se non era presente John sentiva la sua presenza. L'aveva pure sognata qualche giorno fa “Devo proprio essere matto” si disse sorridendo.

 

*

 

-1959- Amburgo-

 

Sentì un colpo arrivargli dritto in faccia. Barcollò all'indietro per poi riavventarsi sull'uomo nettamente più grande di lui. Non ne aveva paura, era solo un dannatissimo tedesco troppo ubriaco.

Quello lo spinse al muro ed incominciò a dargli dei pugni nello stomaco, facendolo piegare in due dal dolore.

-Halt!-

John conosceva quella voce, ma non riuscì a vedere il suo volto, tanto ridotta era la sua vista.

Il tedesco lo lasciò cadere e se ne andò imprecando contro di lui. Jenn corse da John -Possibile che devi sempre fare l’idiota?- chiese mentre con uno straccio cercava di fermare il sangue.

John adesso la vedeva, vedeva il suo viso preoccupato -Non è niente dai-.

Si alzò barcollando ma Jenn prese il suo braccio su una spalla -No che non è niente, andiamo-.

John si lasciò trascinare, troppo stanco e dolorante per ribattere. Durante il tragitto non dissero nulla.

Arrivati all'appartamento di lei, John si mise a sedere sul tavolo. Pensava che ci fossero Anne e Sabrina, ma a quanto pare era il loro turno quella sera.

Vide Jenn appoggiare una scatola sul tavolo ed armeggiarvici dentro. -Che fai?-.

Lei alzò lo sguardo sul ragazzo malconcio -Voglio curarti, ecco cosa faccio- era scocciata. Non sopportava quando John si faceva così rissoso e snervante.

-Ma perché l'hai fatto?- chiese mentre tamponava la ferita sulla sua fronte.

Lui non disse niente, ma l'occhio gli cadde sul maglione maschile che la ragazza teneva indosso -Di chi è?- chiese serio.

Jenn guardò il maglione blu -Di Karl- abbassò lo sguardo sul cotone che aveva in mano.

-È quello stronzo che ho pestato prima vero?- sapeva che era così, l'aveva riconosciuto. Da un po' di giorni cercava di abbordare Jenn, e a quanto pare ci era riuscito.

-Vorrai dire quello che ti ha pestato-.

-Dettagli- rispose secco.

John odiava vedere come si buttasse via quella ragazza, odiava vederla con chiunque altro in realtà.

-Quindi adesso te la fai con lui? Vedo che non perdi tempo- commentò.

Jenn lo guardò inarcando le sopracciglia -Senti stronzo, non ti deve importare chi frequento, capito? Karl è un bravo ragazzo, sei te che l'hai fatto imbestialire- John diede un colpo sul tavolo -Bravo ragazzo!? Secondo te sono così stupido da negare l'evidenza? L'ho visto come faceva il bravo ragazzo con le ragazze che frequentano l'Indra, e ho anche visto quel che faceva con te!-

Jenn spalancò la bocca sorpresa -Non ha mai fatto niente!-

-Ah no? Ma per favore! Ti tratta come se esistessi solo per servirlo come una puttana, e nonostante questo, ha pure la faccia tosta di prenderti a schiaffi. Non provare a negarlo, l’ho visto con questi occhi! -

Si era lasciato troppo prendere dall’ira e solo in quel momento notò che gli occhi di lei si erano inumiditi. Jenn abbassò lo sguardo senza riuscire a trattenere una lacrima.

John capì di aver esagerato, non era sua intenzione prendersela con lei in quella maniera, tanto meno farla piangere.

-Dai Jenn, non volevo scusa-

Lei scosse la testa e si girò. Sospirò profondamente asciugandosi le lacrime -Hai ragione- disse piano. John la guardò girarsi di nuovo verso di lui -Togliti la maglietta-

Il ragazzo la guardò interrogativo -Cosa?-

-Non intendo nulla di erotico, John-

-Ah, peccato- disse togliendosela.

Come pensava. Aveva dei punti dove perdeva sangue. Gli fasciò la spalla, dove la ferita sembrava più grave.

John scese dal tavolo rimettendosi la maglietta. Ancora non riusciva a spiegarsi perché Jenn uscisse con certi individui, avrebbe potuto avere qualsiasi tipo di uomo, sicuramente meglio di un tedesco perennemente ubriaco.

Quando Jenn tornò, lo trovò seduto sul divano. Le fece un cenno e lei gli si sedette accanto.

-Perchè ti fai questo?- chiese John accarezzandole una guancia.

Jenn sospirò -John, non lo so perché è difficile da spiegare...anche se ti dicessi tutto non capiresti-.

Fece per alzarsi ma John la bloccò per un braccio -Insisto-. Jenn si risedette e abbassò lo sguardo. Era uno sforzo enorme parlare di ciò che le era successo. Aveva cercato di allontanare il suo passato e non voleva riviverlo nuovamente.

Lo guardò, proprio lui doveva sapere?

Si passò una mano tra capelli -Però devi dirlo anche a Paul- John storse il naso. Voleva che quel momento appartenesse a loro due soli, non ci voleva dentro anche Paul. -Ma perché?-

-Perché anche lui ha il diritto di sapere-

John acconsentì. Dopotutto Paul ne era innamorato, per cui non avrebbe indugiato a riferirgli tutto.

-Non ho sempre abitato ad Amburgo, prima stavo in Inghilterra e fino ai tre anni ho vissuto insieme a mia madre. Poi un giorno ha deciso che era troppo difficile crescere una bambina, oppure si era semplicemente stancata di me, e mi ha lasciata a mio zio. Era un piano perfetto, l’avrei fatto anche io...lasciare un errore a qualcuno che aveva i mezzi per tenerlo- sospirò un momento per ritirare le lacrime -Ricordo che aveva una bella casa, una famiglia perfetta e avevo anche una camera tutta per me. Ma nemmeno mio zio era perfetto, e tanto meno mia zia, che mi incolpava di qualsiasi cosa succedesse alla loro figlia e così...- si bloccò.

Non riusciva a continuare, quel ricordo era troppo doloroso.

John le prese la mano vedendo che aveva ricominciato a piangere. Jenn si tappò il viso con le mani. Sentì le braccia di John che le circondavano il corpo, in un abbraccio protettivo.

La baciò sui capelli, anche se non poteva neanche lontanamente immaginare cosa Jenn gli stesse per dire -Quel bastardo...mi picchiava, oppure mi rinchiudeva nel suo studio per ore, facendomi saltare i pasti, perché solo così avrei imparato cos’era la disciplina-

John non sapeva come reagire, si era ritrovato del tutto impreparato al racconto di Jenn e ogni parola sarebbe stata superflua. Preferì rimanere in silenzio e aspettare che terminasse di parlare

-Quando la situazione si è fatta insostenibile ho deciso di andarmene. Ormai avevo passato così tanto tempo nello studio di mio zio, che sapevo dove teneva alcuni dei suoi risparmi. Così, durante una punizione li ho rubati. Sophie, una mia amica, si era trasferita in Germania, quindi sono subito andata da lei, perché sapevo che mi avrebbe ospitato e non avrebbe detto niente a mio zio. Dovevo trovarmi un lavoro e così sono finita qui -.

A John sembrava impossibile che la stessa ragazza di quei racconti fosse la stessa Jenn, che tutti i giorni si presentava sorridente e sempre pronta per una risata. Che fosse una maschera?

-Ma adesso stai bene?- chiese lui preoccupato. Jenn rise -Certo! Non mi vedi? Non faccio altro che ridere ed è così che voglio vivere, ridendo-.

John la prese per le spalle, guardandola dritta negli occhi -Allora lascia Karl e tutti gli altri stronzi che ti stanno dietro-

Jenn annuì.

Era proprio grata a John, confidarsi e parlare con lui l’aveva resa più leggera, come se parte del suo dolore fosse stato in qualche modo assorbito da lui. Si sentiva libera.

John diede un'occhiata all'orologio e si accorse che era l'ora di andare -Vorrei restare ancora, ma il lavoro mi attende-.

Jenn annuì seguendolo fino alla porta. Gli chiese di aspettare e lui rimase lì appoggiato allo stipite della porta -Quando stacco vi vengo a trovare-.

John sorrise -Ti aspettiamo dolcezza- le prese il mento fra le dita dandole un bacio sulla guancia.

 

*

 

-Scozia- 22:30-

 

Paul tirò un'altra boccata di fumo, osservando l'infinita distesa verde. Amava follemente quel posto, la natura incontaminata. Un leggero venticello smosse i suoi capelli corvini.

-Papà!- quella era la voce di Marilyn, infatti la ragazza era appena uscita dalla casa. Si mise accanto al padre osservandolo -Sai, ho ragionato parecchio su ciò che è successo in questi giorni, e sono arrivata alla conclusione che in questa storia si formerà un triangolo-

Paul sorrise. Aveva indovinato perfettamente, mancava solo il perché e come si sarebbe formato.

-Esattamente-

Marilyn rise. Si perse anche lei nel contemplare la natura, che si piegava al tocco del vento.

Si girò verso l'uomo più grande -Papà, mi puoi dire altre cose su di lei?-

Paul aspirò il tabacco -Allora, John mi raccontò che da piccola era stata abbandonata dalla madre, per poi finire con suo zio che la picchiava. Per questo motivo aveva deciso di fuggire in Germania, dove poi era rimasta in quegli ultimi anni-.

Mary spalancò la bocca. Non si aspettava una risposta del genere -Ma dopo tutto ciò, non eri come...spaventato da lei?

-Più che altro ero scioccato, non mi sarei mai immaginato che una persona così allegra potesse avere un passato del genere. Ma rimasi comunque innamorato di lei-

Marilyn arrossì. Non era abituata a parlare di certi argomenti con il padre, preferiva parlarne con gli amici.

Paul la riportò dentro, visto il freddo che cominciava ad aumentare.

-Quando vi siete dati il primo bacio?- guardò suo padre sedersi sul divano. Lei prese una coperta seguendo il suo esempio.

Il camino era acceso e rimasero entrambi catturati dai giochi della fiamma. -Esattamente una settimana dopo al giorno in cui seppi la sua storia. Le cose erano cambiate, eravamo famosi lì e ci avevano spostato al Kaiserkeller, sempre di Koschmider. Jenn veniva sempre più spesso da noi e quindi ormai ci conoscevamo bene. Stava soprattutto con me e John, anche se aveva dei buonissimi rapporti con gli altri . Non nego che certe volte fossi geloso di ciò che c'era tra lei e John, ma anche noi avevamo i nostri momenti.-

Marilyn appoggiò la testa sulla spalla di Paul -Ma l'hai baciata prima tu o John?-

-Eh no, prima io-

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


 

Capitolo V:

 

-1959- Amburgo-

 

Era una notte insolitamente più tranquilla. Paul volse lo sguardo alla Luna che illuminava il cielo, e che gli regalava quello splendido spettacolo. Si girò, percependo una presenza dietro a se. Jenn.

-Hey- disse salutandola. John li aveva convinti ad andare ad una festa, che si sarebbe tenuta al Top Ten Club, un locale molto più rispettabile di quello dove lavoravano loro.

Jenn guardò Paul con un mezzo sorriso sul viso. Si perse anche lei nel contemplare la Luna -Ti rendi conto che è stata la musa di molti poeti?- Paul annuì. Aveva fatto in tempo a studiare qualche classico, prima di abbandonare completamente lo studio.

Posò lo sguardo su di lei. Il suo vestito azzurro, le stava d'incanto, sembrava una dea -Sei bellissima stasera- non sapeva con che coraggio le aveva fatto quel complimento, ma vide con gioia che Jenn era arrossita abbassando lo sguardo -Beh, grazie- ci fu un momento di silenzio. Un silenzio molto imbarazzante per entrambi.

-Paul, andiamo- lo prese per un braccio e lo trascinò per la strada, che era completamente vuota. Paul sorrise vedendo le loro mani che si congiungevano, scaldandosi. Si lasciò trascinare fino al porto.

Era una cosa fantastica, la Luna si rifletteva come uno specchio sull'acqua. Jenn spalancò la bocca, estasiata da quella vista -Non è bellissima Paul?- lui si avvicinò alla ragazza dai capelli castani, che era rimasta abbagliata dalla Luna -Già- disse solamente.

Sentì che Jenn gli prendeva nuovamente la mano, portandolo dove erano attraccate le barche.

Si sedettero entrambi su una panchina, era bellissimo vedere quella città buia illuminata dal bagliore della luna, bianca e pura.

-Tocchiamo l'acqua- disse improvvisamente Jenn -Ma sei pazza!? Dovresti sporgerti troppo e cadresti sicuramente-. Lei si inginocchiò guardando da più vicino l'acqua, che sembrava più cristallina del solito.

-Allora aiutami tu- Paul scosse la testa rassegnato, quella ragazza non avrebbe mai smesso di sorprenderlo. Così, si appostò vicino a lei, tenendola per i fianchi. La vide sporgersi, e toccare con una mano l'acqua, sicuramente gelida -Paul, tienimi- disse Jenn sentendo che la presa si faceva sempre più debole -Ma sei pesante!-

-Paul Tienimi!-

Si ritrovarono entrambi ad urlare come pazzi, attirando l'attenzione dei pochi passanti, che li guardavano per poi sbuffare.

Paul riuscì a tirarla su agilmente. Si guardarono entrambi e poi scoppiarono a ridere -Non farò mai più una cosa del genere- disse Paul sorridendo.

Camminarono ancora lungo il porto, senza parlare, ma Paul continuava a guardarla pensando che fosse la persona più incredibile che avesse mai incontrato.

-John mi ha detto di ciò che hai passato- non sapeva perché l'aveva detto, ma doveva ammettere che era come geloso del fatto che a John avesse detto tutte quelle cose.

-Ah- disse lei abbassando lo sguardo -Spero che non ti abbia scioccato, perché adesso sto bene- Paul infilò le mani delle tasche. Jenn si era accorta del cambiamento d'umore di Paul -Perché quella faccia?- chiese infatti. Paul alzò le sopracciglia scuotendo la testa -Niente- disse volendo concludere lì il discorso. Ma Jenn gli si fermò davanti, bloccandolo -Non mi dire che sei geloso?- Paul arrossì violentemente, si sentiva avvampare -No, ma cosa dici?- la oltrepassò cercando di fuggire da quella situazione -E invece è proprio così!- esclamò Jenn -Ma perché?-

-Beh...diciamo che...non pensavo che avresti raccontato la tua vita proprio a John- abbassò lo sguardo. Jenn rise, era comprensibile che si fosse ingelosito, chiunque lo sarebbe stato.

Gli prese la mano portandolo vicino ad una barca -Ma non puoi salirci!- protestò Paul. Lei gli intimò di fare silenzio e lo condusse a prua della barca, che si mise a dondolare pericolosamente -Se ci scoprono siamo fregati- disse Paul sedendosi davanti a Jenn, che guardava l'immensità del mare che si stendeva davanti a lei.

-Beh, mi hai detto che non ti andava bene il fatto che avessi raccontato tutto a John, così ti dirò una cosa che neanche lui sa-

-Oh dai Jenn, non fare la stupida- Paul non era per niente a suo agio, soprattutto su quella barca che sembrava in procinto di affondare da un momento all'altro -Il mio nome non è Jenn- Paul la guardò interrogativo.

Lei sorrise, avendo attirato la curiosità del suo amico -Il mio vero nome è Grace Genesis Allen, ma visto che c'era già una Grace nell' Anglikanische Kirche, hanno usato il mio secondo nome abbreviandolo in Jenn- Paul sorrise.

Restarono per un po' in silenzio, ascoltando lo sciabordio dell'acqua che sbatteva pigramente contro il legno della barca -Sai, a volte penso di andarmene-

Paul la guardò, doveva essere difficile vivere lì, in mezzo a tutti quei matti e il sesso che ti veniva sbattuto in faccia -E perché non lo fai?- chiese, pensando che qualcuno in Inghilterra doveva pur avere.

-Qui ormai ho la mia vita, sarebbe strano tornare lì, dopo tutto quel che ho passato- obbiettò lei. Aveva paura che lì ci fosse ancora suo zio, che l'aspettava adirato, pronto a punirla. Scacciò dalla mente il volto di suo zio.

No, non voleva tornare.

-Sai una cosa Jenn, mi piace una ragazza- che cosa stava dicendo? Era impazzito per caso? Ma lei invece lo guardò interessata -E dimmi, com'è? Forse la conosco- Paul si passò una mano fra i capelli corvini, si era fregato da solo, ma ormai non poteva tirarsi indietro, non voleva.

-Beh, devi sapere che è molto bella, ma non pensare che la valuto superficialmente. Le piace la musica, una delle poche che ne sa anche qualcosa, e ama cantare. L'unico problema è che si vergogna di cantare davanti ad un pubblico, ma ha davvero una voce bellissima- gli occhi di Jenn si allertarono, aveva affrontato con Paul quel discorso qualche giorno fa “Ma no, non sta parlando di me” si affrettò a pensare.

-Ed è pazza, ma dico sul serio, non c'è nessuna sfida che non accetti e fa cose che nessuno si immaginerebbe. Però, anche se non lo da a vedere, ha paura. Si ecco...è insicura e si nasconde dietro ad un muro, ma sono riuscito a vederla. La vera lei intendo. Perché certe volte, puoi vedere il suo sguardo, che si perde nel contemplare le persone. Ma se si accorge che la stai fissando riprende subito a parlare-

Jenn cominciava a fremere, stava parlando di lei, ma no, di sicuro c'era altra gente come lei lì ad Amburgo. Non poteva in alcun modo piacere ad uno come Paul.

-Ma la cosa che veramente amo di lei, è la sua risata. Lei non ride tanto per fare, lei ride perché è veramente felice e vuole vivere quel momento. Lei vuole vivere ridendo- a quelle parole la ragazza arrossì completamente. Si sentì avvampare “E adesso cosa faccio?” seguì il suo impulso. Si alzò improvvisamente ed uscì dalla barca.

Paul ovviamente la rincorse, dicendole di fermarsi -Hey cos'hai adesso?- la prese per un braccio bloccandola. Jenn lo guardò, non sapeva cosa fare. Era rimasta stupita dalla descrizione di Paul, che anche se si conoscevano da poche settimane, l'aveva saputa descrivere cogliendo particolari che nessuno prima di allora aveva saputo vedere. La vera lei.

-Paul, ho capito cosa intendi, la ragazza di cui parlavi prima sono io- Paul però non sembrò vergognarsi dei suoi sentimenti, sentendosi sicuro e pronto a tutto -Si esatto- lei cercò di allentare la presa di Paul, che prontamente la riattirava a se -Paul, devi capire a ciò che vai incontro. Con me non potresti assolutamente avere una relazione normale-

Paul la prese per le spalle -So a cosa vado incontro, e non mi importa se non potremo stare insieme- Paul la attirò a se e la baciò. Per un momento Jenn rimase interdetta, le sembrava di vedere la scena da fuori, di loro due che si baciavano. Quel momento le sembrò che durasse un'eternità, ma si decise finalmente a ricambiare il bacio.

Accarezzò i capelli di Paul, mentre si faceva trascinare dall'energia del momento. Paul la strinse di più a se, avendola aspettata da tanto tempo.

Quando i due si staccarono, Jenn si lasciò abbracciare da lui. Si sentiva come protetta da Paul, tra le sue braccia calde e forti.

Il ragazzo la baciò sui capelli, morbidi e profumati. Non avrebbe voluto lasciarla andare, ma sapeva che qualcosa bloccava Jenn, e non poteva farci nulla. Sapeva che con lei non andava incontro ad una relazione fissa, ma non gli importava. C'erano cose che andavano fatte, e quella faceva parte della lista.

 

                                                                       ***

 

-Scozia- 16:05-

 

-Papà, sono tornata!- Paul si alzò dal divano, sentendo la voce di sua figlia. Andò ad accoglierla alla porta e notò felicemente che aveva portato un'amica -Ciao Elizabeth- disse Paul.

La ragazza bionda lo salutò timidamente -Papà, vai via, così me l'ammazzi- fece un cenno con la mano per farsi intendere. Paul se ne andò ridendo. Ormai la conosceva bene, il primo giorno che l'aveva portata a casa, per poco non era svenuta. Ebbene si, era una fan dei Beatles.

Marilyn portò Elizabeth ad appoggiare gli zaini. Ogni volta che entrava lì dentro, per la ragazza era come un sogno che si avverava.

Si sedettero entrambe sul parquet della camera di Marilyn -Mi sei mancata in questa settimana Eli- la bionda sorrise mentre si sistemava i capelli -Anche a me, ma proprio con il Frost ti dovevi pestare?- Marilyn si alzò facendo avanti e indietro per la stanza.

Ricordava bene quel giorno, se l'era cercata e sapeva che se avesse raccontato com'era andata a John, probabilmente si sarebbe arrabbiato -Ma cosa è successo esattamente?- chiese Elizabeth, nessuno dei compagni aveva raccontato nulla e Frost si era vergognato troppo per rievocare l'episodio.

-Beh, continuava ad insultare i miei genitori-

Elizabeth sgranò gli occhi -Se ha insultato Paul è veramente nei guai- Marilyn gli mise una mano sulla spalla calmandola. No, se l'era presa con sua madre e all'epoca non sapeva nulla su di lei e sentire insulti sul suo conto l'avevano fatta imbestialire.

Al suo racconto Elizabeth si fece seria, sapeva che il fatto che avesse due padri aveva scatenato parecchie voci, ma a lei non importava.

-Ma...sai niente di tua madre, tipo dove sia finita?- Marilyn scosse la testa negativamente -Però mi stanno raccontando la sua storia, di come si sono conosciuti- Elizabeth annuì.

Si fermarono entrambe, ascoltando Paul, che aveva cominciato a suonare il piano. Elizabeth prese un cuscino e lo strinse deformandolo -Ah, quanto adoro tuo padre- Marilyn rise.

La spintonò cercando di farla tornare alla realtà -Sai che non ci sarà mai nulla tra te e lui vero?- Elizabeth le tirò il cuscino fingendosi arrabbiata -Lasciami almeno sognare!- si trovarono in mezzo ad una battaglia di cuscini, ma si interruppero sentendo il trillo del telefono.

-Eli, rispondi tu che mio padre non lo sente- Elizabeth sbuffò ma andò lo stesso al piano inferiore. Prese la cornetta e rispose, cercavano Paul -Aspetti un momento- andò nella sala, dove Paul stava suonando.

-Mi scusi, signor McCartney?- lui si girò guardandola e per poco non le faceva prendere un infarto -Elizabeth, ti ho già detto che mi devi chiamare Paul- lei annuì velocemente avvertendolo che lo volevano al telefono. Paul la ringraziò e rispose -Pronto?-

-Paul- era la voce di May e capì subito che doveva essere successo qualcosa a John -May, cosa è successo?- sentì la donna indugiare -Beh...ieri John si è ubriacato e ha cominciato ad insultare tutti continuando a dire che “lei non avrebbe voluto che finisse così”, non so cosa intendesse-.

Paul la esortò a continuare, dal tono di voce la donna era proprio scossa. Doveva essere difficile sopportare John.

-Così alla fine ha cominciato a picchiare Harry, e lo hanno dovuto fermare, non ce la faccio più Paul!-

-Non preoccuparti, come sta adesso?- sentì May che sospirava -È in casa e non vuole vedere nessuno, non so più che fare!- Paul le disse di calmarsi, doveva innanzitutto calmare se stessa, se no John non avrebbe mai fatto lo stesso -Senti May, so che sei stressata e appunto per questo ti chiederei di mandarlo qui-

-Dici che lo aiuterebbe?-

-Si, lo terrò d'occhio e poi c'è anche Marilyn, di sicuro tornerà in se- May lo ringraziò e disse che avrebbe di sicuro accettato, sapeva quanto bene volesse alla figlia.

Marilyn intanto era scesa di sotto, era insieme a Elizabeth e pregava che non fosse successo nulla di grave.

Quando il padre riattaccò il telefono guardò la figlia, preferì non dirgli cosa era successo a John.

-Lennon ci viene a trovare- sul viso di Marilyn si disegnò un sorriso. Guardò la sua amica che era sbiancata in volto -John Lennon torna in Inghilterra...- la guardarono pronti a prevenire il suo svenimento -John Lennon torna in Inghilterra!- si batterono il cinque urlando all'unisono. Paul si ritrovò a ridere insieme a loro, si avrebbe fatto bene anche a John stare lì. Magari così, avrebbe fatto pace col passato.

 

                                                                         ***

 

-Los Angeles- 16:36-

 

Era sdraiato sul letto da molte ore, ma non se la sentiva di alzarsi per affrontare quel che avrebbe trovato fuori da quella casa.

Guardò May, che era entrata piano nella stanza, come intimorita -John- disse per attirare la sua attenzione. Lui la guardò e le sorrise. Le fece cenno di avvicinarsi e la donna si sedette sul letto. Gli accarezzò i capelli -John, ha chiesto Paul se li vuoi raggiungere in Scozia-

John aprì improvvisamente gli occhi. Si alzò e prese la mano della donna -Beh...tu cosa dici?- lei sorrise arrossendo -Dico che ti farebbe bene, con tutto quello che è successo, un po' di tranquillità non può farti che bene- John sorrise. Anche se non stava più con Yoko, amava May, era riuscita a farlo stare bene, a non deprimersi del tutto e di questo la ringraziava sempre.

La abbracciò, appoggiando la testa nell'incavo del suo collo -Grazie May, è solo grazie a te se sono ancora vivo- May lo spinse via ridendo. Sapeva che John tendeva ad esagerare parecchio quando si trattava delle persone a cui voleva bene.

-Allora alzati e prepara la valigia, la Scozia ti aspetta- la donna si alzò prendendolo per mano. John allora prese la valigia, che teneva sempre a portata di mano, e cominciò a buttarvici dentro della roba, con la testa per aria.

Pensava a quando sarebbe arrivato in Scozia, sicuramente si sarebbe sentito a disagio, tra Paul e la sua famiglia. Probabilmente Linda non avrebbe approvato, anche se voleva bene a John, non sopportava certi aspetti del suo carattere.

Non gli piaceva come educava Marilyn.

Sospirò chiudendo la valigia, doveva mettere da parte certi sentimenti, non potevano ritornare. Scosse la testa scendendo al piano inferiore, dove May lo aspettava, felice. Quanto avrebbe voluto sentirsi come lei.



Angolo Autrice:
Scusate per l'enorme ritardo >.< è solo che in questo periodo non passo molto tempo su EFP. L'importante è che sia riuscita a pubblicare un altro capitolo (fortunatamente).
Beh...spero che la storia non vi annoi e quindi vi saluto.

With Love

Goldenslumber14

 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


«Salve a tutti quelli che leggeranno questo capitoletto ^^. Volevo ringraziare Missrocker per aver recensito, Chiara_Lennongirl06 che come sempre è passata a leggere la storia nonostante i miei enormi ritardi, J_Marti_96 (grazie mille davvero :D) e infine la nuova arrivata paperback_writer. Grazie mille a tutte :)
Uno spoiler insignificante: piccolissimo McLennon Moment in arrivo :')
With Love
L'autrice»





Capitolo VI:

 

-Scozia- 18:54-

 

Il sole aveva da un po' lasciato quelle colline, facendo spazio al vento e al buio della notte. Marilyn girò piano il cucchiaino, annusando l'aroma del the. Quel giorno Paul era tornato tardi dagli studi, era tutta la mattina che era agitato. Era per John e Marilyn lo sapeva, ma non aveva voluto turbare ulteriormente il padre. Sentiva i suoi passi dal piano superiore, socchiuse gli occhi scuotendo la testa “Non cambierà mai” pensò la ragazza mentre beveva un sorso di the.

Sentì delle ruote che frenavano sul ghiaino. Un sorriso si fece largo sulle sue labbra. Era arrivato.

-È arrivato!- Marilyn si girò e vide la piccola Mary che correva da tutte le parti, eccitata anche lei per l'arrivo di John. Marilyn la recuperò prendendola in braccio. La bambina rise e cominciò a giocare con i capelli di lei.

La ragazza vide Paul correre giù per le scale, insieme a Martha, che aveva incominciato ad abbaiare all'arrivo della macchina.

Quando Paul fu fuori, l'aria fredda lo investì. Il cane andò a salutare John, che si fermò per accarezzarla.

Paul sorrise, si avvicinò a John dandogli una pacca sulla spalla -Dai vieni dentro, ti stavamo aspettando-.

Per John era veramente strano trovarsi lì, in Inghilterra, in casa di Paul oltretutto.

Trascinò fino in casa la sua valigia, per poi fermarsi ad ammirare la bellezza di quella casa. Interamente di legno, a parte le pareti che erano infatti di pietra “Cavolo se le sa scegliere le case” pensò mentre guardava ancora ammirato quel luogo. Sentì qualcuno chiamarlo.

Era Marilyn, che gli saltò addosso, felice di rivederlo. John la strinse a se baciandola sulla guancia -Contenta che papà è tornato?- la ragazza annuì ridendo.

Trascinò suo padre in giro per la casa, volendo fargliela vedere tutta nei minimi particolari. John era compiaciuto dalla felicità di Marilyn nel rivederlo e pensò che non era stata una cattiva idea andare in Scozia.

Per poco non si scontrava con Linda, che vedendolo lo abbracciò sorridendo -Ben arrivato John- aveva in braccio Stella, che agitò le manine percependo anche lei la gioia intorno.

-Dai vieni, ti porto nella tua stanza- Marilyn lo portò in quella che era la stanza degli ospiti. John si sedette sul letto guardandosi ancora intorno. Marilyn preferì lasciarlo solo, non era lì per una visita e lo sapeva. Qualcosa era successo, ma come al solito la volevano tenere all'oscuro di tutto.

John si ritrovò ad ascoltare le tante voci che abitavano la casa. C'era una bella atmosfera là dentro, sarebbe stato bene. Si sdraiò sul letto chiudendo per un attimo gli occhi.

Paul appoggiò la mano sulla porta. Non sapeva se entrare o meno. Avrebbe disturbato John? Lasciò scorrere le sue dita sul legno, che lo divideva da John. Alla fine si decise ad entrare. Lo trovò steso, che però aveva aperto gli occhi e in quel momento lo fissava -Hey Paul-.

L'uomo più giovane si sedette sul letto, mentre John poneva le gambe sopra le sue -John...tu sai che prima o poi lo saprà- John annuì grave. Purtroppo per lui doveva affrontare quell'argomento, Marilyn aveva il diritto di sapere.

-Si, sarà difficile, ma penso di riuscirci- Paul lo guardò con comprensione. Appoggiò la mano sopra quella di John, come per dargli forza. John però lo attirò a se -Ma cosa fai?- chiese Paul ridendo. Cercò di liberarsi ma inutile, John era ancora più forte -Dai Macca, lasciati andare!- lo esortò John. Paul si arrese e si stese accanto a John, facendo scivolare un braccio sotto alla sua testa. Rimasero in silenzio. Ricordavano tutti e due momenti come quello, perché una volta erano stati felici insieme, una volta non pensavano alle conseguenze delle loro azioni. Ma all'improvviso tutto era cambiato e anche loro.

-Cosa direbbe se ci vedesse?- Paul girò la testa verso al suo amico. Erano tremendamente vicini e poteva benissimo percepire il suo respiro -Direbbe che siamo degli idioti- John rise. Si, probabilmente li avrebbe insultati.

John appoggiò la testa sul petto di Paul. Sentiva i battiti del suo cuore, calmi e continui. Chiuse gli occhi abbandonandosi al quel battito, al profumo di Paul che gli era mancato moltissimo.

Finalmente la pace.

Paul intanto lo guardava. Passava dai capelli morbidi al suo viso, che sembrava aver finalmente trovato riposo.

Chinò la testa sopra quella di John. Sperava solo che non entrasse qualcuno, rovinando quel momento. Ma perché? Ormai doveva aver superato quel periodo, non poteva certo ritornare indietro. Ma una parte di lui voleva rimanere lì, abbracciare John, fargli sentire che erano insieme. Ma quei sentimenti andavano scacciati, avrebbero mandato tutto a monte e Paul non voleva.

-John, dobbiamo andare- lui rispose con un mugolio di disapprovazione. Paul sorrise -Dai Johnny- lo scosse un pochino finché non riaprì gli occhi. Erano tornati sarcastici, come sempre -Hai paura che tua moglie ci scopra?- Paul lo spintonò -Sei sempre il solito-

 

Dopo la cena Paul aveva spedito a letto tutte le figlie, non voleva che il giorno dopo fossero stanche, perché le aspettava una lunga passeggiata. Marilyn aveva sbuffato un poco all'inizio, ma aveva accettato le condizioni del padre.

John aprì piano la porta, facendo sbucare solo mezza faccia. Dentro alla camera dormivano Marilyn e Heather.

Cercò di attirare l'attenzione della propria figlia, che al secondo schiocco di dita aprì gli occhi di scatto -John!- sussurrò contenta -Vieni- le disse l'uomo. Marilyn si alzò piano dal letto e cercando di non far rumore, uscì dalla stanza -Che vuoi fare?- chiese la ragazza divertita. Era per questo che aspettava con ansia John, era sempre imprevedibile e faceva di tutto per farla ridere.

-C'è una cosa che devo farti vedere, seguimi- le prese la mano, guidandola nella sua stanza. Marilyn fece attenzione alle voci di Linda e Paul, che per fortuna erano ancora al piano inferiore a parlare.

Entrati nella camera si nascosero nel letto entrambi, ridendo come due bambini -Papà, tu sei pazzo- commentò la figlia mentre John accendeva una torcia -No, voglio solo farti vedere tua madre- tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una foto. Marilyn la prese in mano, ne percepiva la fragilità. La guardò attentamente e riconobbe John e Paul, che tenevano al centro una donna con in braccio una bambina -Quella sono io- sussurrò Marilyn.

Posò lo sguardo sulla donna, i capelli di lei le cadevano sulle spalle, mossi e scompigliati, che sicuramente aveva trasmesso alla figlia. Ma la cosa che la colpì di più erano gli occhi, avevano ragione a dire che gli occhi erano lo specchio quell'anima, perché in quel caso era vero. Non aveva mai visto occhi più felici e gioiosi -Era bellissima- disse guardando John.

Lui sorrise cercando un modo per tenere la torcia in alto -È tua, la puoi tenere- Marilyn si aprì in un grande sorriso.

Ripiegò la foto -Papà, Paul mi ha raccontato di quando si sono baciati, ma alla fine si sono messi insieme?

-No, ma erano odiosi, era una cosa incredibile. Dovevi vederlo, faceva il cascamorto a non finire, era veramente una rottura di palle!- la porta si aprì. Era Linda -John, quando la smetterai di fare il bambino?- vide sbucare il viso adulto del chitarrista, era felice -Mai, è troppo bello- Linda rise e chiuse nuovamente la porta.

John ritornò sotto e si rivolse alla ragazza -E insomma, ti dicevo: lei ovviamente cercava in tutti i modi di dissuaderlo, non voleva creare problemi- Marilyn era confusa. Era strano che Jenn non si fosse messa con Paul, non ne capiva il motivo.

-Ma perché?- chiese infatti. John sospirò chiudendo per un attimo gli occhi -Era per me- disse infine. Marilyn rimase a bocca aperta, sapeva che doveva formarsi un triangolo, ma era comunque una cosa inaspettata -Quindi in qualche modo tu le piacevi-

-Esatto, perché in fondo eravamo simili e ci capivamo l'un l'altro, eravamo attratti e non posso negarlo. Però continuavo a dirmi che piaceva a Paul e la mia era solo attrazione, ma ben presto si trasformò in qualcosa di più che attrazione-

 

                                                                      ***

 

-1959- Amburgo-

 

John appoggiò nervosamente la birra sul tavolo, era l'ennesima volta che Paul flirtava con Jenn e non riusciva più a sopportarlo -McCartney, ce la fai a trattenere i tuoi istinti sessuali!?- Paul lo guardò furente in volto. Beh, non aveva tutti i torti, visto che era John quello che non si sapeva trattenere.

A quel punto John decise di lasciare il tavolo. Uscito fuori lanciò con rabbia la bottiglia ancora mezza piena, che andò in frantumi. Si accese nervoso una sigaretta, cercando di calmarsi.

Si soffermò ad osservare la gente,per distrarsi e non pensare a Jenn “Quei due mi stanno rovinando la vita” pensò scacciando l'immagine di Paul e Jenn.

-John?- lui non si voltò al richiamo di Jenn. Si limitò a buttare fuori il fumo -Cosa vuoi adesso?- chiese con una nota aspra, che Jenn notò subito.

Gli mise una mano sulla spalla, ma lui la scansò. Lei incrociò le braccia arrabbiata, possibile che fosse così cocciuto, si offendeva per tutto, era incorreggibile -Ah, tanto è impossibile parlare ragionevolmente con te- fece per andarsene ma fu bloccata dalla mano di John, che la costringeva a rimanere -Senti mi date sui nervi voi due che flirtate, lo so che Paul non si è ancora arreso, ma almeno tu potresti fargli capire che non ha speranze!-

Jenn gli diede un colpetto sulla nuca -Ma qui sei tutto matto, solo te vedi queste cose!- John alzò gli occhi al cielo. Era troppo evidente, e anche un cieco l'avrebbe visto. Ma decise di non approfondire il discorso.

Jenn si avvicinò a lui, sapeva come fargli tornare il buon'umore -All'Anglikanische Kirche danno una festa, ti va di venire?- John alzò le sopracciglia interessato, quando si trattava di feste nel locale di Jenn c'era sempre da divertirsi e rimediava sempre qualche ragazza.

-Però mi raccomando, fai il bravo- Jenn lo tirò per la giacca giù in strada. John ridacchiò, lei gli faceva sempre tornare il buon umore e non ce la faceva a tenerle il muso “Cazzo sto diventando come McCartney” ma quel pensiero sparì subito quando si trovarono davanti al locale.

John guardò con attenzione le molte ragazze che si aggiravano di lì, come per classificarle. Jenn se ne accorse e gli diede un colpetto -Hey, cerca di fare meno il maiale, sei con me- gli prese la mano e lo portò dentro.

C'era molta gente e un gruppo stava suonando sul palco, illuminato da vecchie luci.

John si guardò intorno, non aveva visto nessuna spogliarellista, ma pensò che fossero anche loro invitate alla festa e quindi non lavoravano.

Non riuscì a trattenersi per molto, la musica gli era entrata in testa e non poté fare a meno di cominciare a ballare.

Jenn lo seguì, quello era il John che conosceva, quello che si divertiva, che se ne fregava degli altri.

John posò lo sguardo sui movimenti della ragazza, che certe volte si facevano molto sinuosi -Però, sei brava a ballare- Jenn gli sorrise -Beh, dopo un paio d'anni che fai questo lavoro viene naturale- lui scosse la testa con rassegnazione.

La musica si fermò, ma poi il gruppo che stava sul palco cominciò a suonare un lento. Jenn alzò le sopracciglia, come per invitare John. Lui la avvicinò a se prendendola per i fianchi. Si ritrovò a fissarla negli occhi, scuri, profondi. Sarebbe rimasto ore a guardarla, ma si volle riscuotere.

-McCartney non ci rimarrà male?- Jenn sbuffò ed alzò gli occhi al cielo -Possibile che non fai altro che parlare di lui?- John rise.

Con delicatezza avvicinò il corpo della ragazza a se, accarezzandole la schiena. Jenn però non disse nulla, per una volta quel genere di gesti non le dispiacevano -Ma secondo te come l'ha presa Paul?-

-Chi è che parla di lui adesso?- John socchiuse gli occhi ironico, facendo scappare una risata a Jenn.

-Lo so, ma in qualche modo adesso siamo legati- disse infine lei. John ci pensò un attimo alla risposta da dare -Beh...di sicuro adesso si, visto che vi siete baciati- a quelle parole Jenn arrossì. Abbassò lo sguardo, si sentiva in colpa nei confronti di tutti e due.

John le accarezzò il viso -Hey, guarda che non devi prenderla a male, Paul sapeva a cosa andava incontro e ha corso il rischio- Jenn appoggiò la testa sul torace di John. Lui le accarezzò i lunghi capelli, che gli scivolavano sinuosi fra le dita.

Quando la canzone fu finita, John le offrì una birra. Jenn appoggiò le braccia sul bancone aspettando che il barista gli desse la bottiglia. Sentì un grido e un colpo che le veniva dato sulla spalla -Hey, Jenn! Si rimorchia oggi?- la riconobbe subito.

Quando si girò infatti riconobbe il corpo magro di Kirsten. La abbracciò sorridendo -Mah, se lo chiami rimorchiare questo-

Kirsten si passò una mano fra i capelli biondi dando uno sguardo a John -Ma io mi ricordo di te!- John sorrise e alzò la bottiglia affermativamente -Come se fosse ieri- aggiunse.

Kirsten appoggiò le mani sui fianchi fingendosi severa -Questo monello mi ha fatto passare la notte più terribile di tutte- gli diede un colpetto in testa -Una notte che ricorderai per tutta la vita mia cara-

-Purtroppo si- gli fece l'occhiolino e se ne andò.

Jenn lo guardò stupita, ma allo stesso tempo un po' gelosa -Allora è così?- John la guardò fingendo di non sapere a cosa si stava riferendo. Jenn scosse la testa sospirando, cosa andava a pensare? Era inevitabile il sesso ad Amburgo, te lo sbattevano in faccia.

Bevve un altro sorso di birra, finendola.

Cominciarono entrambi a bere, fino ad ubriacarsi del tutto. John si sentiva ridere e vedeva che anche lei rideva e tutto sommato, ciò era buono.

Solo che la confusione si stava facendo troppa per i suoi gusti, così si avvicinò a Jenn -Vieni- disse prendendola per la mano. La portò fuori, mentre lei rideva ancora, probabilmente era più ubriaca di lui.

-John, ma perché mi porti via?- John non disse nulla, cercando di trascinarla via da lì -Cosa fai, mi rapisci?- cominciò ad urlare inscenando un rapimento. John cercò di tappargli la bocca, ma inutilmente, lei continuava -Dai John, lo sai che scherzo- lui la guardò male -Solo che qui danno più retta a te che a me, quindi ci rimetto io- lei scoppiò a ridere. Era proprio andata, sbandava da tutte le parti cercando di camminare dritta.

John allora la prese in braccio, stupendola -Che cavaliere- si aggrappò a lui, mentre la portava nella camera dei Beatles. In strada c'erano solo ubriachi, marinai per lo più. John li odiava, avevano sempre da commentare su tutto e quindi preferiva non averci a che fare. L'ultima volta che ci aveva parlato con uno di quelli era andata a finire male.

Entrò nel Bambi Kino, seguendo la via secondaria che portava direttamente alla camera. Aprì la porta con un calcio, senza badare di non romperla. Non gli fregava nulla di quella topaia. Dentro non c'era nessuno. Erano ancora tutti a fare baldoria.

Stese Jenn sul suo letto, che nel frattempo si era addormentata. John la guardò, era proprio bella mentre dormiva, aveva un'aria innocua e serena. John si sedette sul letto ed appoggiò la mano su quella di lei. Sospirò, non avrebbe potuto averla. Lei era innamorata di Paul, anche se non lo diceva era così. Non si sarebbe preoccupata della reazione di Paul se no.

John scosse la testa e si alzò dal letto. Quel movimento fece svegliare Jenn, che aprì gli occhi sbattendoli un paio di volte, per cercare di rimanere sveglia -John- lo chiamò.

Lui però non disse niente, si limitò solo a girarsi guardandola -Vieni qui- John andò dalla ragazza stendendosi accanto a lei. La sentiva calda accanto a se. Jenn si stese su di un fianco e abbracciò John.

Percepiva il suo respiro regolare e un'idea gli balenò nella mente. Sapeva che era sicuramente una cosa stupida e inadatta a quel momento, ma non riusciva a resistere alla tentazione. Mosse lentamente la sua mano, in modo da non svegliarla, e la appoggiò sul seno di lei. Pregò che non se ne accorgesse e infatti Jenn non diede cenno di essersene accorta “Si cazzo!” si riscosse solo quando la sentì muoversi.

-John?- aveva fatto in tempo a togliere la mano, sarebbe stato già morto altrimenti -Si?- disse per non destare sospetti. Si sentiva come un ladruncolo che ha rubato qualche dolciume, ma che mentirebbe spudoratamente sull'accaduto solo per paura della giusta punizione.

-Lo sai perché non mi sono messa con Paul?- lo diceva in un sussurro, mentre si avvicinava sempre di più a John. Lui scosse la testa.

-Per te- rispose Jenn. Erano ad un centimetro l'uno dall'altra e quel senso di esitazione, di suspance stava facendo impazzire Jenn.

John le prese il viso tra le mani e la baciò. Lo aveva aspettato da tanto tempo, anche se cercava di negarlo a se stesso. La ragazza posò le sue mani sul petto di John, mentre continuavano a baciarsi con desiderio.

John sembrava instancabile e ne voleva sempre di più. Le accarezzò la schiena, attirandola completamente a se, in modo da sentirla ancora più vicina. Per John era come una vittoria, dopo una corsa. Non si spera che il traguardo, per dire finalmente “si, ce l'ho fatta”.

Lo sguardo di Jenn cadde su delle lettere, appoggiate con cura sul comodino accanto al letto. Spinse via John, che rimase basito e stava per chiedergli cosa cavolo le fosse venuto in mente, ma lei lo interruppe -Chi è Cynthia?- era seria e il suo sguardo diceva tutto.

John si mise seduto sul letto, borbottando una risposta incomprensibile -Stupido!- disse Jenn alzandosi dal letto. Era alla porta quando John la bloccò -Aspetta- si ritrovò faccia a faccia con lei. Aveva tutti i capelli arruffati, il che la faceva sembrare anche più furiosa -Quando aspettavi di dirmi che eri fidanzato?-

John le prese le mani, non voleva lasciarla andare -Te lo avrei detto giuro- Jenn scosse la testa. Non voleva neanche guardarlo, in tutto quel tempo era stato con un sacco di ragazze e sicuramente lei non ne sapeva nulla -Cosa penserebbe lei se ti vedesse adesso? Non ci pensi a Cynthia!?-.

Lei aprì la porta ed uscì, lasciandolo dentro. John però la seguì “Cavolo se cammina veloce” pensò mentre la rincorreva per il corridoio.

La afferrò per un braccio costringendola a fermarsi -John lasciami!- John però la attirò a se abbracciandola. Questo Jenn non se lo aspettava, non sapeva come reagire -Rimani come me- Jenn rimase ancora impietrita, indecisa se dargli ascolto oppure no -Dormi con me-

Jenn lo guardò male -Cosa!?-

-Ma no, senza fare nulla, solo...così- Jenn lo guardò. Era sincero, lo sentiva. Anche se non capiva perché ci tenesse così tanto accettò.

Pochi minuti dopo si ritrovò nel letto, a dormire insieme a John. Lui era crollato quasi subito, ma Jenn era rimasta a guardarlo. Gli accarezzò i capelli. John si spostò più vicino a lei ed appoggiò la testa sulla sua spalla. Jenn sospirò, si era cacciata in una situazione da panico e toccava a lei risistemare le cose.

 

                                                                     ***

 

-Scozia- 23:04-

 

-Ma poi cosa succede?- chiese impaziente Marilyn. Aveva ascoltato rapita tutta la storia, senza mai interrompere il racconto, ma voleva sapere sempre di più. John fece no con la testa -Adesso devi andare a dormire, se no Paul se la prende con me-

Marilyn sbuffò mentre se ne andava dalla stanza -Non ti sei dimenticato qualcosa?- chiese fingendosi offesa. John si appoggiò allo stipite della porta. Ammirava sua figlia, quella era una sua creatura e sembrava impossibile che poco tempo prima la portava sulle spalle.

-Buona notte Marilyn- la figlia sorrise correndo in camera sua. Heather non si era svegliata e dormiva beatamente nel letto.

Marilyn si stese sotto le coperte. Era sempre più incuriosita da quel racconto, la storia si faceva intricata. Però decise di chiudere gli occhi, avrebbe avuto tempo per pensarci il giorno dopo.




Ps dell'autrice: Scusate per l'azione poco casta di John (Non prendetemi per pazza please >.<)

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


 

Capitolo VII:

 

-Scozia- 14:16-

 

I passi di Paul facevano scricchiolare le foglie autunnali del bosco. Guardò le fronde degli alberi illuminate dal sole, facevano strani giochi di luce.
Quella mattina erano andati tutti a fare un pic-nic nel bosco e non aveva saputo resistere alla tentazione di andare ad esplorarlo. Lo faceva stare bene, lo tranquillizzava.

Accarezzò il pelo folto di Martha, che gli stava sempre accanto in quelle passeggiate. Si arrampicò su di un masso, ricoperto tutto di erbino, fino ad arrivare alla cima. Si sedette mentre osservava i movimenti della natura. Il rumore degli alberi, il cinguettio degli uccelli, il vento.

Qualcosa di diverso però attirò l'attenzione di Paul, che aprì gli occhi. Riconosceva sempre un rumore diverso dagli altri quando era in un bosco, perché era in qualche modo più secco e non era in armonia con il resto dell'ambiente -Paul cosa cavolo ci fai lassù?- Paul guardò prima John e poi la pietra dove era seduto -Ah, niente. Osservavo- John scosse la testa. Paul adorava la natura, in tutte le sue forme. Stare lì per lui era come essere a casa.

John si arrampicò per stare insieme all'amico. Paul gli fece spazio, permettendo a John di sedersi. Fu come abbagliato, era davvero bello poter guardare tutto da lì, senza che nessuno ti disturbasse. Capiva perché Paul ci era salito.

Si soffermò anche lui ad ascoltare i rumori della natura. Era rilassante.

-Paul, pensi che ritornerò con Yoko?- Paul sospirò, la cosa non era facile, sapeva quanto complicato fosse il loro rapporto e infatti certe scelte non riusciva a capirle -Ti telefona ancora?- John scosse negativamente la testa. Da quando l'aveva informata che andava in Scozia, non si era fatta più sentire. Come se non volesse che lui fosse lì, con Paul e sua figlia.
L'uomo più giovane alzò la testa verso l'alto -Beh, se tu vuoi è sempre possibile- John abbassò gli occhi, esatto se voleva. La corsa dei suoi pensieri fu interrotta dai passi di Marilyn, che li aveva raggiunti. Li guardò interrogativa, erano proprio buffi seduti sul quel macigno, che osservavano tutto dall'alto -Sembrate usciti dal Signore degli Anelli- commentò mentre faceva cenno loro di scendere.
John diede un'occhiata a Paul, come per chiedergli se veramente volesse scendere. Paul annuì, scivolando per primo da quel masso. Si ritrovò davanti a Marilyn. Quanto era bella, ogni giorno che passava lo notava sempre di più. Il suo viso stava cominciando ad avere dei tratti più adulti. Aveva perso le guance tonde e rosee che aveva da bambina e che tanto si divertiva a tirarle.

Marilyn prese la mano di John e insieme si avviarono dove le altre stavano facendo la borsa. Marilyn alzò lo sguardo verso Paul, le nascondeva qualcosa, lo aveva notato da quando era tornata da Los Angeles. Era sempre nervoso, lei lo capiva anche dai piccoli gesti, come quando batteva il dito impercettibilmente sul tavolo o quando si passava sempre una mano fra i capelli, come se qualcosa non andasse.

-Papà, John mi ha raccontato di quando ha baciato la mamma- Paul puntò lo sguardo sul suo amico, ci era riuscito finalmente, era riuscito a parlarne. John nascose un sospiro, già, si era impegnato proprio in quella cosa. Voleva tutto per Marilyn.

Paul si mise le mani nelle tasche del giubbotto verde foresta -Dopo è successo un casino- disse Paul. John si mise a ridere, lo ricordava bene. I loro assurdi litigi, soltanto per quella ragazza. Dovevano essere matti.

John le accarezzò i capelli castani. La ragazza sorrise alle attenzioni del padre -Immagino che tu voglia sentire la storia vero?- chiese retoricamente John. Era tipo una fiaba, i bambini adorano le fiabe e certe volte chiedono sempre la stessa. Era lo stesso per Marilyn, si stava appassionando e voleva assolutamente sapere come era andata a finire.

Paul decise di fermarsi, non voleva che Linda sentisse i loro racconti, per la verità non le aveva detto quasi nulla sulla madre di Marilyn e ciò aveva fatto arrabbiare Linda. Lei voleva sapere chi fosse effettivamente il padre, ma lui non poteva darle una risposta.

Si sedettero nell'erba formando un piccolo cerchio. John si sistemò gli occhiali -Allora si comincia?-

 

                                                                              ***

 

-1959- Amburgo-

 

-Sei un coglione!-

-Non mi dire che te la sei presa?-

-E certo, io mi sono fidato di te!- la rabbia di Paul era plausibile. John sapeva perfettamente che non avrebbe dovuto farlo, ma trovandosi in quella situazione. Ricordò con piacere quel bacio, desiderato da tanto tempo -Ora non cominciare con il fatto della fiducia- Paul stava per esplodere. Non lo sopportava quando faceva così, gli sembrava di parlare con un idiota, quando John invece era tutt'altro che quello.

Chiuse gli occhi e sospirò rumorosamente, doveva calmarsi, non voleva litigare, soprattutto con John. Decise di prendere la cosa con filosofia, c'era un motivo se Jenn si era spinta a tanto, almeno dal racconto di John sembrava che fosse stata lei -Ma rispiegami come è andata la faccenda- Paul si sedette sul letto.
John era scocciato, quante volte avrebbe dovuto raccontargli quell'episodio? Ormai lo aveva imparato a memoria, peggio di una preghiera -Allora, quando siamo venuti qui lei si è addormentata sul mio letto. Io mi stavo cambiando quando lei si è svegliata, mi ha detto di venire accanto a lei, così sono andato. E Paul...mi ha detto perché non si è messa con te- Paul alzò lo sguardo verso John. Aveva omesso quel piccolo particolare. Sentì le mani pizzicargli, se non fosse stato John lo avrebbe preso a colpi “E ti viene in mente adesso razza di idiota!? Me lo chiedo da giorni!” frenò la lingua, volendo comportarsi civilmente. Fece cenno a John di continuare -Beh, ha detto che- John prese aria nei polmoni, era veramente difficile dirlo -Ha detto che è per me- vide la faccia di Paul sbiancare.

Il ragazzo più giovane si alzò dal letto ed appoggiò le mani al muro -Sono queste le sue esatte parole?- sentì la mano di John che si appoggiava delicata sulla sua spalla. La sentì muoversi per un tratto della schiena, come una carezza -Paul, mi dispiace, giuro che non volevo- Paul si girò guardandolo. Era incredibile, certe volte non sembrava il John sonoilpiùfigodiquestaterra Lennon, in quel momento era diverso, pensava sul serio ciò che diceva -Ma no, è solo che...- John gli prese le spalle guardandolo con dolcezza. Paul sorrise a quello sguardo -È una situazione strana Paul, ci piace la stessa ragazza...però io ho Cynthia-

-E cosa centra, io fino a pochi giorni fa stavo con Dot- John ridacchiò, erano stati una bella coppia, ma negli ultimi tempi erano diventati troppo appiccicati e più nessuno li sopportava. Ad Amburgo Paul si era accorto che per colpa di lei stava perdendo i suoi amici, e l'aveva lasciata.

-Adesso non pensiamo a Cynthia ok? Ciò che accadrà qui, molto probabilmente rimarrà qui John. Sarà solo un bel ricordo- Paul aveva ragione, Amburgo sarebbe passato e con la città tutte le persone che vi avevano conosciuto.

John si sdraiò sul suo letto, pensando ad una soluzione a tutto quel casino. Paul invece preferì sedersi a terra, guardando John dal basso. Il suo sguardo si posò sugli occhi di John, erano belli, avevano qualcosa di misterioso e profondo, come del resto era lui. Vide appunto quegli occhi illuminarsi, poi dilatarsi. Le sopracciglia si alzarono e quando vide che stava guardando verso di lui, Paul si spaventò -Paul, ho avuto uno dei miei lampi di genio- a John venivano sempre nel momento del bisogno, spesso e volentieri erano delle soluzioni strambe, ma che risultavano ottime per la situazione.
 -Dimmi tutto- Paul si avvicinò a lui, volevano entrambi uscire da quel casino, senza però far soffrire nessuno -Allora, ciò che vogliamo noi è che qualcuno si metta con Jenn. L'unico problema è che siamo incastrati in un fottutissimo triangolo, quindi la soluzione sarebbe finirla con lei- John vide che lo sguardo di Paul si stava spegnendo, come pensava -Ma, la mia mente geniale ha posto rimedio anche a questo, nessuno di noi si metterà nel vero senso della parola con Jenn, ma potremo amarla entrambi- Paul non aveva capito, non gli sembrava possibile quella cosa. Aveva battuto tutte le altre cavolate che aveva detto fino a quel giorno -Penso di non aver capito- John sospirò -Quanto sei scemo, in poche parole potremmo fare un trio di amanti!- disse John alzando il pugno trionfante.

Paul alzò le sopracciglia -John, tu mi devi cinque sterline-

 -Ma perché!? Cosa centra adesso!?- Paul aprì la mano, guardandolo deciso -John, dammi i soldi- lui sbuffò e si frugò nelle tasche “Come fa a sapere che ho esattamente quella somma?” tirò fuori i soldi e li diede contro voglia all'amico -Tieni stronzo- Paul si fece scappare un sorrisetto soddisfatto.

John lo spintonò con un piede -Adesso mi spieghi cosa centravano i soldi, ho perso a qualche scommessa?- Paul scosse la testa massaggiandosi la guancia. Incrociò le braccia arrabbiato -Perchè hai detto una cazzata- John rimase allibito. Gli era sembrata la soluzione più logica, lo sapeva che era strana ma non pensava che Paul l'avesse presa in quella maniera -Hai offeso i miei sentimenti- voltò la testa fingendosi addolorato.
Paul rise e raggiunse John sul letto -Non intendevo la soluzione, ma sul “trio di amanti”-

-Perchè, non ti piace?- John si asciugò una lacrima invisibile guardando il bassista. Paul appoggiò la testa sulla spalla di John, che lo guardò confuso -Ma no tesoro, è solo che visto che l'hai detto te, era parecchio strano- disse Paul in falsetto. Scoppiarono entrambi a ridere. Dovevano dire a Jenn della loro “scelta” “Ci prenderà per matti io lo so” si disse Paul mentre uscivano dalla stanza per andare a cercarla.
Si trovarono ben presto in mezzo alla folla. John guardò Paul facendogli cenno di seguirlo. Ricevettero parecchi insulti, visto che spintonavano la gente per arrivare velocemente all'Anglikanische Kirche.
Entrarono dentro cercandola con lo sguardo. C'era molta gente quel giorno, era sabato dopo tutto. Andarono a vedere se era al bancone, che magari parlava con una sua amica, ma niente. Paul era agitato, già non era convinto che quella cosa avrebbe funzionato, in più lì c'era un sacco di gente e lui non sopportava la confusione -Ah, cazzo,ma dove è andata!?- sentì John che gli dava dei colpetti alla spalla -Che cazzo c'è adesso!?- John indicò il palco con un cenno della testa.
Paul sgranò gli occhi. Jenn era lì, sul palco, che faceva il suo lavoro. Si ritrovò a fissare le sue gambe, avvolte da delle calze a rete che lasciavano ben poco all'immaginazione. Lo stesso valeva per tutto il completo, che pian piano sarebbe sparito.
Si riscosse quando vide che lei li stava guardando. Era imbarazzata e gli fece cenno di andarsene, Paul prese per un braccio John, ma lui era irremovibile. Incrociò le braccia, sfoderando un mezzo sorrisetto -Cosa fai?- chiese Paul, non era il momento per fare i pervertiti -Mi godo lo spettacolo- ammiccò a Jenn, che però alzò gli occhi al cielo e continuò a lavorare.
Paul avrebbe voluto avere la forza di girarsi e andarsene, ma era come incollato lì e si dovette subire John, che non la smetteva di fare commenti sconci su di lei -Ma non te l'eri portata a letto?- John lo guardo, poi si mise a ridere -No, era solo una bugia per farti andare in tilt, tutto qui- Paul era furioso.

Quando tutto fu finito, andarono nei camerini, dove di sicuro avrebbero trovato Jenn. Infatti era lì che li aspettava, arrabbiata, ma li aspettava. Ancora con il completino camminò con passo deciso verso i due e senza farli parlare diede uno schiaffo a John. Lui si massaggiò la guancia, dove si era disegnato il segno della mano di lei -Perché?-

 -Perché sei un'idiota ecco perché!- lui si mise le mani in tasca e abbassò lo sguardo. Paul le appoggiò una mano sulla spalla, che era del tutto scoperta -Jenn, abbiamo ripensato a ciò che è successo in queste settimane- lei puntò lo sguardo nuovamente su John -Gliel'hai detto?- lui alzò le mani come per difendersi -Si, è mio amico dopo tutto- lei sbuffò, ma fece cenno a Paul di continuare -E beh, visto che piaci a tutti e due e...tu non ti sai decidere, abbiamo pensato che...finché restavamo ad Amburgo, potevamo fare tipo una coppia a tre- Jenn sgranò gli occhi. Girò i tacchi e se ne andò verso il gruppo di ragazze, che si stavano struccando.
John e Paul la inseguirono, chiedendole di fermarsi. Le altre ragazze intonarono un “huu” quando videro che la stavano inseguendo.
La ragazza decise finalmente di fermarsi, quando si girò era ancora più furente in viso. Li guardò entrambi, non capivano proprio cosa volesse dire per lei quella cosa -Mi avete preso per una puttana?- domandò. Loro scossero la testa all'unisono.

Lei sospirò, era incredibile, era accaduto tutto così velocemente. Però una soluzione andava trovata, magari avrebbe smesso di frequentarli, anche se voleva bene ad entrambi.
Si guardò intorno, le sue colleghe li stavano guardando, così decise di portarli fuori da quel posto. Prese il cappotto ed uscì dalla porta sul retro. Nel vicolo non c'era nessuno e avrebbero parlato indisturbati -John, so che hai avuto tu quest'idea- lui ridacchiò passandosi una mano fra i capelli -Ma allora cosa dici?- Paul ormai non ce la faceva più, aveva subito di tutto in quei giorni, dal non essere ricambiato al dover condividere il suo amore con qualcun altro. Era strano per lui, ma poteva abituarcisi -Non lo so Paul, è difficile. Ormai avete capito che mi piacete entrambi, ma non vorrei che mi prendeste per una facile- nei suoi occhi John vide la paura, la paura che potesse riaccadere tutto.
Se avesse sbagliato anche quella volta sicuramente non si sarebbe più ripresa -Ragazzi sapete entrambi qual'è la mia condizione, adesso sto bene, ma se questa cosa dovesse procurarmi del dolore...non so se ce la farei- Paul la circondò in un abbracciò. Lei lo strinse a se, era bello sentire il calore, che nuovamente ritornava in lei -Non ti devi preoccupare, è finché siamo ad Amburgo- John si avvicinò ai due, ovviamente imbarazzato da quella situazione -Appunto, intendo dire che se qualcuno ti chiedesse se sei single tu potresti dire benissimo di no, oppure se vuoi levartelo dalle scatole si, capito? È strano da spiegare, ma non stiamo tecnicamente insieme, solo... amanti ecco-

 -John- Paul lo guardò male, non gli piaceva come usava quella parola, faceva sembrare la cosa molto più illegale di quel che era -Va bene sto zitto- Jenn si staccò da Paul. Ci pensò su un attimo, beh poteva provare, in fondo cosa c'era di male -Ok, ma dobbiamo darci delle regole- servivano proprio in quel caso, o la cosa sarebbe diventata subito caotica.
 -Quando siamo tutti insieme, non dobbiamo baciarci o queste cose qui- i due ragazzi storsero la testa -Intendo dire che non è che mi dovete saltare addosso, solo magari prendere la mano ogni tanto, gli abbracci o baci sulla guancia...piccole cose insomma- John parve insoddisfatto.

Quella cosa sembrava farsi sempre più interessante. Non si sarebbero create nemmeno delle gelosie perché, nessuno avrebbe fatto nulla davanti all'altro. Era perfetto.
Paul sorrise, ci sarebbe stato sicuramente da ridere, ma non pensava che l'avrebbe detto anche agli altri Beatles. Soprattutto a Stuart, era con lui che di solito John condivideva tutto, ma in quel periodo visto che Stu stava con Astrid, John si era molto avvicinato a lui, e di questo Paul ne era felice.
-Allora siamo d'accordo?- chiese John. Gli altri due annuirono -Però se la cosa degenera io mi tiro fuori- avvertì Jenn. Sembrava sensato.
John alzò il pugno in aria gridando -Al trio di amanti!- gli altri due gli urlarono contro scocciati. Lui rise, si, sarebbero stati un bel gruppetto loro tre. Perchè in quel caso non si parlava solo di amore, c'era anche l'amicizia di mezzo, che semplificava le cose.

Paul propose di andare a festeggiare al Kaiserkeller, il nuovo locale dove suonavano. L'Indra era stato chiuso per il troppo rumore, così Koschmider li aveva spostati lì. Non era tanto diverso dall'Indra, solo un poco più grande, ma era questione di un paio di metri.
Dentro si respirava la solita aria pesante, tipica dei posti sempre chiusi. Quando entrarono un altro gruppo era sul palco, così se ne approfittarono per una birra -Al trio!- proclamò John alzando la bottiglia. Brindarono allegramente, era una nuova sfida, sicuramente una cosa da raccontare alla futura prole.
Li raggiunsero Stuart e Astrid. Jenn sorrise ad entrambi mentre John li presentava -Jenn, questi due sono Stuart e Astrid- quest'ultima storse il naso. Jenn notò che il suo sguardo si era fatto perfido e il suo sorrisetto diabolico faceva trasparire le sue emozioni -Ma a te ti conosco, è quasi impossibile non conoscerti- Jenn fece finta di non aver capito a cosa si riferisse, non avrebbe potuto incolparla per cose che aveva solo pensato.
Infatti John guardò le due ragazze -Sai, i ragazzi parlano molto di come tu sia brava nel farli eccitare- Jenn incrociò le braccia sul petto increspando le labbra. Se quella era una guerra, non le spettava che accettarla -Ah, e tu devi essere la fotografa, non pensare che non si parli di te dalle mie parti. Sono molto famose le tue foto di gente nuda-
Stuart avendo capito dove voleva arrivare Jenn, volle proteggere la sua ragazza -Il nudo è arte- Jenn si finse stupita -Allora se il suo nudo è arte, anche il sesso lo è- Astrid fece un passo in avanti arrivando ad un centimetro dalla faccia di Jenn, che restava impassibile, anzi se la rideva delle reazioni della ragazza -Mi stai dando della troia per caso!?- Jenn scosse la testa -No, perché non torna un dettaglio, noi ci facciamo pagare- i ragazzi guardavano la scena esterrefatti.
Sapevano che la regola numero uno era non immischiarsi tra i litigi delle ragazze, poteva andare a finire veramente male.
Jenn se ne andò dal Kaiserlkeller, ma si fermò sulla porta -Ah, Stuart se lei non ti soddisfa, conta pure su di me- gli fece l'occhiolino guardandolo sensualmente.
Mentre John se la rideva, Paul andò dietro a lei. Quando Jenn si sentì chiamare da una voce amica, si fermò. Paul le prese la mano guardandola -Ma...- lei non lo fece parlare -Ha iniziato la puttana!- Paul sorrise -Stavo per dire che hai fatto bene- lei lo abbracciò. Finalmente qualcuno dalla sua parte.
Paul le circondò le spalle con un braccio -Io non sopporto Stuart, ma non capisco perché Astrid abbia reagito in quel modo- Jenn sospirò. Era sempre degradante sentirsi chiamare troia, soprattutto quando era vero -So che gente frequenta, tutti artisti che sognano di diventare famosi. Ah, quelli non sanno qual'è la vita vera- abbassò lo sguardo.
Era da molto tempo che non aveva sogni, aveva smesso di sognare molto tempo fa e in quel momento voleva solo vivere senza la tristezza -Forse hai ragione, ma ci siamo anche noi tra quelli- Jenn lo guardò ironica -E chi l'ha mai detto che non siete dei completi idioti?- Paul si mise a ridere. La convinse a rientrare, sapendo che Stuart era sicuramente andato via e con lui anche la vipera. Infatti dentro c'era solo John, che insieme agli altri del gruppo se la ridevano.
John aveva raccontato anche a loro del litigio tra Jenn e Astrid, e non la smettevano di ridere -Comunque sei stata grande- le disse George mettendole una mano sulla spalla. Jenn gli sorrise grata, nonostante tutte quelle persone odiose, ce ne erano alcune che ti facevano tornare il sorriso.
  -Beh, se l'è meritato, non si insulta una Allen-

 -Ben detto- disse John alzando la bottiglia.
Rimasero a festeggiare per tutta la notte, fino a che i ragazzi non furono troppo ubriachi anche solo per tenersi in piedi.

Jenn andò da John e Paul, accasciati scompostamente su delle sedie, che ridevano senza un vero motivo -Ragazzi io vado- John alzò la mano a mo' di saluto. Lei invece li baciò sulla guancia salutandoli.
Quando uscì la strada si era svuotata e rimanevano poche persone, si strinse nel suo cappotto beige camminando velocemente. Non era sicuro rimanere in una strada vuota durante la notte, soprattutto nel quartiere a luci rosse. Arrivò al suo locale, dove un omaccione stava chiudendo la porta di legno massiccio.
Jenn si fermò ad osservare l'edificio, era strano per uno strip club, aveva un qualcosa di maestoso e antico. Forse era per le belle scalinate o per il portone imponente. Anne le aveva raccontato perché si chiamava così. Un tempo era stato una specie di chiesa dove si riunivano gli anglicani, ma poi era era stato chiuso e cose varie, per questo si chiamava Anglikanische Kirche. Chiesa Anglicana.
Rise sotto i baffi a pensare che appunto quel luogo le aveva cambiato la vita. Era riuscita a sconfiggere la tristezza ed era cambiata, diventando più forte.

Riprese il cammino. A volte avrebbe voluto rivedere Sophie, la ragazza che le aveva salvato la vita, ma lei era riuscita a trovarsi una sistemazione migliore ed era riuscita ad andarsene. Sophie ovviamente non voleva lasciarla lì ed era stata proprio Jenn a insistere purché se ne andasse. E così era rimasta da sola, aveva dovuto prendere la vita tra le sue mani e decidere cosa farne.

Arrivò davanti al condominio, dove tutte le ragazze stavano già dormendo o, molto più probabile, chiaccherando sottovoce.
Prese le chiavi dalla tasca destra del giacchetto ed aprì la porta. Aspirò l'aria fredda dell'ingresso, interamente in pietra nera e bianca. Si trascinò pesantemente sulle scale, era stanca anche lei. Quando fu arrivata al terzo piano, si fiondò in camera sua buttandosi sul letto. Non riuscì nemmeno a salutare le altre, che si addormentò.
Era stata una delle giornate più strane della sua vita, ma era anche l'inizio di una nuova vita.


Angolo Autrice:
Well well well...finalmente sono tornata! Beh, in questi giorni sono stata occupata in gita e non ho potuto pubblicare, ma adesso eccomi qui con un nuovo capitolo!
Beh, come nell'avvertenza il triangolo si è formato. So che è una cosa abbastanza inverosimile, ma nelle fan fiction si può tutto no? E quindi ne ho approfittato.
Ringrazio Chiara_LennonGirl06 e Missrocker per aver recensito, grazie davvero ^^

With Love
Goldenslumber14

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


 

Capitolo VIII:

 

-Londra (Abbey Road studios)- 00:23-

 

Linda era partita. La notizia le era arrivata quella mattina e ne era rimasta colpita. Solitamente era Paul, quello che andava via inaspettatamente, ma questa volta avevano chiamato Linda per un servizio fotografico. Per tutto il giorno non aveva fatto altro che correre di qua e di là per raccogliere il materiale. Era tutta frenetica.

Aveva portato con se anche Heather e Stella, e visto che passavano lì vicino, le avrebbe lasciate dalla nonna materna che era sempre contenta di vedere le sue nipoti.

Così Paul, dopo ovviamente aver addormentato Mary, aveva trascinato John e Marilyn fino a Londra. Voleva sicuramente ricordare i vecchi tempi, improvvisando qualcosa nello studio.

L'odore di legno pregiato aveva accolto Marilyn fin dal primo istante. Lo ricordava bene, era come casa sua. Ci aveva passato metà della sua vita, per seguire i Beatles nelle loro registrazioni.

Passò una mano sul pianoforte nero. Ricordava quando Paul le aveva insegnato a suonarlo -Quanto tempo è passato- disse John più a se stesso che a lei. Si guardò intorno anche lui, non era cambiato nulla, ma quell'aria di immutabilità gli piaceva.

Paul era rimasto indietro, in verità era andato a prendere delle chitarre che teneva sempre lì. Aveva pensato che John avrebbe sicuramente suonato con lui -Paul, quanto ci metti?- l'uomo dai capelli corvini si riscosse, rischiando di far cadere entrambi gli strumenti -Arrivo, un attimo- John sorrise quando lo vide arrancare con in braccio due chitarre. Aveva voglia di suonare in effetti -Come i vecchi tempi?- Paul sorrise emozionato -Già- Si sedette su una sedia, accordando un pochino la chitarra. Era molto tempo che non andava lì, e i ricordi in quella sala erano tanti, che continuavano a girovagare per la sua mente.

-Io vado a fare un giro- disse Marilyn. Aveva capito che quello era un momento che loro dovevano passare in privato, era così ogni volta, e lei lo ricordava. Quando non c'erano George e Ringo e le capitava di essere nei paraggi mentre John e Paul suonavano, aveva preso l'abitudine di lasciarli in pace. La musica era per loro un momento di intimità, un momento di calma e pace, come se fosse fori dal mondo, solo loro due.

Mentre il suono maestoso della chitarra si espandeva per tutto lo studio, Marilyn salì al piano di sopra, dove si trovava la sala “dai tanti pulsanti”. Era lì che solitamente si fermava con Martin, a sorvegliare le mosse di loro. Quando toccò il ripiano nero, sfiorando appena i mille bottoni, un flashback le illuminò la mente. Era piccola, forse tre anni circa. Sentiva una melodia distante, vide Brian che la prendeva in braccio, dicendole qualcosa che però non riusciva a sentire. Indicava John e Paul, che ridevano all'ennesimo errore. Marilyn si girò al richiamo del suo nome, era una voce femminile.

-Cristo- disse togliendo la mano immediatamente dai pulsanti. Quella era la voce di sua madre, ne era sicura. Si mise una mano sulla fronte, dicendo al suo cuore di calmarsi. Era stato stranissimo quel flashback, era tanto che non sognava Brian. Da quando era morto lo sognava parecchio, era stato una persona importante nella sua vita, ma in quegli ultimi anni sogni e flashback come quello erano spariti.

Uscì da quella stanza, che gli aveva dato molti ricordi. Camminò per il lungo corridoio volteggiando a tempo della musica. Anche se non suonava più nulla, lei l'adorava. Era stata la compagna più fedele, l'aveva aiutata sempre nel momento del bisogno. Soprattutto quella di John, aveva una predilezione per le sue canzoni, perché ci metteva l'anima, era sincero. Ci sentiva lui stesso.

 

John smise un momento di suonare la chitarra. Guardava Paul, il suo viso che si rasserenava solo quando prendeva in braccio la chitarra, le sue lunghe ciglia, che facevano sembrare femmineo il suo intero volto. Una volta lo amava, aveva amato quella persona -Ti ricordi quel giorno ad Amburgo?- gli occhi di Paul si illuminarono. Come poteva scordare. Non avrebbe mai dimenticato quel momento.

-Si-

John sorrise abbassando lo sguardo timidamente. Paul sapeva quanto era difficile per lui esternare le proprie emozioni, e quanto quella cosa lo stesse tormentando anche nel presente. Gli mise una mano sulla spalla, rassicurante -Non te ne devi vergognare John- lui appoggiò la chitarra a terra e si alzò, lasciando Paul nella sala di registrazione. Si alzò anche lui, seguendolo velocemente. John sentiva i suoi passi dietro di lui, veloci, decisi.

Si fermò davanti ad una porta. Era lo studio di Brian. Sentì gli occhi che si bagnavano, li chiuse velocemente per impedire alle lacrime di scendere. Brian, certe volte sentiva ancora la sua mancanza. Era sempre stato presente nella sua vita, aiutandolo nel momento del bisogno. Era stato il padre che non aveva mai avuto.

Appoggiò la mano sulla maniglia, era fredda. Nessuno la apriva da moltissimo tempo -Vai se vuoi- disse Paul, che ormai l'aveva raggiunto. John la aprì piano, come se avesse paura di cosa ci avrebbe trovato dentro. Ma lo studio era rimasto lo stesso, nessuno ci aveva più messo mano. C'erano le stesse tende verde scuro, la stessa scrivania in mogano e gli stessi fottutissimi libri.

John compì dei passi lenti, indagatori, davanti alla scrivania. Vide una cornice, appoggiata con cura lì sopra. Non ci aveva mai fatto caso in tutti quegli anni.

La prese in mano. C'erano loro, i Beatles. John era lì nel centro con in braccio Marilyn, che doveva essere nata da pochissimo, tutti la guardavano incuriositi mentre John le sorrideva -Brian adorava quella foto- John si voltò verso il bassista, non sapeva nulla di quella foto -Si vede che non hai fatto attenzione, ma lui vedeva tante cose John. In quel momento ti ha visto veramente felice- John accarezzò la foto, possibile che Brian fosse così attaccato a quel genere di cose?

Appoggiò con cura la foto nuovamente sulla scrivania. Avrebbe voluto ringraziarlo, ringraziarlo di tutto quel che aveva fatto per i Beatles, per lui.

Paul intanto si era seduto su una sedia, contemplando il suo amico pensieroso -Sai John, mi sei mancato in questi anni- John lo guardò, era stupito. Non era più abituato a sentirsi dire certe cose. Ovviamente Yoko, in tutte quelle telefonate, non gli aveva mai detto cose del genere. Forse era per sottolineare il distacco, ma era una cosa tremenda per lui.

Anche John si sedette su una sedia, davanti a Paul -Anche tu Paul- no, non doveva farsi trasportare dal momento. Non voleva, o forse si. Non ce la faceva a stare seduto, così si alzò andando alla finestra che da molti anni era chiusa. La aprì con forza, facendo entrare un'ondata di vento che colpì le tende. John era bellissimo tra quelle tende verdi, o almeno, Paul la pensava così. Sbatté un paio di volte gli occhi per ritornare in se “Ormai mi capita sempre più spesso di pensare a lui, che cosa devo fare?”

-La senti anche tu?- Paul si avvicinò alla finestra. Il suono di una fisarmonica rimbombava per quella strada buia. Paul chiuse gli occhi, assaporando l'aria sul suo viso e quella canzone. La conosceva? Si, l'aveva già sentita -Here, There and Everywhere- esatto, era quella. John sorrise soddisfatto, le indovinava sempre lui le canzoni, era un suo talento -Un tuo capolavoro, devo proprio dirlo- John si sentì morire quando vide la mano di Paul appoggiarsi timidamente sopra la sua. Era rimasta morbida e delicata come un tempo.

-John- Paul sentiva che stava tremando. Voleva dirglielo, voleva aprirsi a lui perché era sempre stato sincero. Ma aveva paura di dirgli quanto fosse importante per lui -Paul, ti senti bene?- probabilmente John si era accorto che stava tremando e si era preoccupato. Vide che Paul stranamente stava sorridendo, un sorriso nascosto -Sai John, c'è una cosa che vorrei dirti- John allora si rimise dritto, trovandosi di fronte a Paul, che lo guardava negli occhi provocandogli strani pensieri “Smettila di pensare cazzate John!” si disse l'uomo mentalmente.

-Beh, quella volta ad Amburgo...non ero ubriaco- trattenne il respiro guardando la reazione di John. Non sapeva assolutamente cosa dire, non si aspettava una rivelazione del genere -Cavolo...ma perché proprio adesso?- chiese John. In verità avrebbe voluto chiedergli per quale fottutissimo motivo in quel momento provava dei sentimenti per lui -Non lo so, mi sembrava il momento più adatto- John abbassò lo sguardo prendendo coraggio, ma no, c'era Yoko “Chi se ne fotte di Yoko, quella non mi vuole più con se e il mio matrimonio andrebbe comunque a monte. Adesso o mai più John” alzò lo sguardo. Deciso, calmo.

-Io Paul, quella volta ero ubriaco, non avevo paura. Adesso invece si- prese il viso di Paul e lo baciò. Il più piccolo non ci pensò due volte e ricambiò all'istante il bacio di John. Era come ritornare in un sogno, un bel sogno.

John lo spinse contro il muro, mentre passava con i baci sul collo di Paul. Lui lo attirò più a se facendo aderire i loro corpi. Rimasero a guardarsi, in attesa che uno dei due si facesse avanti -Come quella volta- sussurrò John. Paul sorrise accarezzandogli la guancia -No, meglio- lo baciò nuovamente, mentre John gli prendeva le mani bloccandole dolcemente al muro.


                                                                            ***
 

-1959- Amburgo- 02:04-

 

Si sedettero tutti in cerchio, ridendo per la troppa birra bevuta. John esortò Jenn a sedersi tra lui e Paul. Le cose per il momento erano andate bene, non avevano ancora litigato e sembrava che la soluzione di John fosse stata la migliore.

-Propongo il gioco della bottiglia!- quello era Ringo. Lo avevano conosciuto da poco, ma già si era rivelato un ottimo amico.

Tutti acconsentirono la proposta del batterista e mandarono Stuart a prendere la bottiglia. Tornò ben presto con in mano un bottiglione di vetro, trovato chissà dove.

Quella sera avevano festeggiato alla grande, senza che Astrid e Jenn si scannassero a vicenda.

Così, dopo tutto il trambusto si erano ritirati nella camera dei Beatles.

-Dai ragazzi cominciamo!- esclamò George facendo girare la bottiglia. Tutti gli occhi dei presenti si posarono emozionati sopra di essa, come se fosse la freccia del loro destino. La bottiglia si fermò davanti a John, che sorrise mentre alzava il pungo con fare ironico -John con- George guardò la bottiglia fermarsi su Jenn, che cominciò a ridere guardando John -Sei pronto?- disse sempre sorridendo mentre gli prendeva il viso tra le mani.

-Mai come oggi- la baciò con foga, scatenando gli urli e le risate dei presenti. Nessuno sapeva del “trio” per cui sembrava strano che si baciassero così naturalmente, ma dopo tutto erano pur sempre ubriachi, chi mai avrebbe sospettato qualcosa?

Il gioco continuò per le lunghe tra risate e baci. Ormai erano tutti stanchissimi, ma nessuno degli 8 voleva farsi prendere dal sonno, quasi fosse una sfida.

Pete ruotò svogliatamente la bottiglia, che si fermò prima su Paul. Lui guardò la bottiglia girare nuovamente, indifferente, ormai tanto non gli importava chi gli avesse riservato il futuro. Ma con sua enorme sorpresa si fermò su John. Gli altri si fecero più attenti, non erano mai capitati due ragazzi e quella cosa la rendeva irresistibilmente proibita. Paul guardò John, imbarazzato. Avrebbe accettato? “Ma no, non lo farà, devo smetterla di pensare a lui in quel modo” guardò il viso di John.
Il ragazzo gli sorrise avvicinandosi -Ci sto McCartney- Paul non fece nemmeno in tempo a dire una parola che John aveva appoggiato le labbra sulle sue. Erano calde, ma sapevano terribilmente di alcool, ma a Paul non importava “Chi se ne frega” si disse rispondendo al bacio. Erano talmente presi che quasi ansimavano e non si erano accorti che si trovavano l'uno sopra l'altro.
Jenn intanto se la rideva, non si era resa conto di nulla, troppo ubriaca per comprendere -Divideteli! Questi fra poco vanno al sodo!- tirò Paul per una spalla, che si ritrovò disteso per terra con uno strambo sorriso dipinto sul volto. John aveva il fiatone, guardò Paul sorpreso, non si aspettava nulla del genere da lui. Avrebbe voluto tornare da Paul, tornare tra le sue braccia.
Aveva sentito uno strano calore, come quando ci si sveglia. Si sente il calore del letto, piacevole e quasi ti riaddormenteresti, ma sai che devi uscire da lì. Dovrai sentire il freddo. Ecco, così si sentiva John, come appena uscito dal letto.

George diede un'occhiata all'orologio da polso e notò che era tardissimo e che se non si muoveva a mandare via gli ospiti, probabilmente non sarebbe nemmeno riuscito a dormire un'ora -Ragazzi su, sloggiare! Noi domani si lavora- disse mentre spingeva fuori Ringo, Jenn e Astrid -Che maniere!- commentò quest'ultima andandosene a testa alta. George sbuffò, quando c'era Jenn si trasformava sempre e diventava odiosa.

Contemplò la confusione che regnava sovrana in quella stanza. Si rassegnò buttandosi nel letto, era meglio per lui se non faceva commenti su quanto accaduto. Anche gli altri lo imitarono, facendo calare il buio nella stanza.

 

John si rigirò nel letto per l'ennesima volta. Non riusciva proprio a dormire, continuava a pensare a Paul. Il contatto con le sue labbra, le sue mani che lo stringevano desiderose. No, quello non era stato solo un bacio “O forse sono io che mi faccio troppe pippe mentali” pensò John arrabbiandosi con se stesso.

Non mi posso comportare come una stupida checca!” si sgridò da solo. Girandosi vide il viso di Paul, ad appena pochi metri da lui. Sentiva che respirava regolarmente, stava dormendo. Sospirò, non ce la faceva più. Lui non poteva negarsi all'istinto e se l'istinto gli diceva di fare una cosa, lui obbediva. Non avrebbe comunque saputo trattenersi a lungo.

Si alzò da letto piano, in modo da non svegliare i suoi compagni. Si diresse in punta di piedi fino al letto di Paul. Lo scosse un pochino sussurrando il suo nome. Il ragazzo più giovane rispose con un mugolio -Cosa c'è?- chiese assonnato strusciandosi gli occhi. John non disse nulla, lo scostò solamente facendosi spazio nel letto. Paul era troppo stanco per ribattere, ma sapeva che John voleva parlare. Parlare di cosa era accaduto prima.

-Paul-

Ecco, appunto -John?-

-Ecco...è stato strano- commentò alla fine “Ma come mi è venuto strano!? Mi sono rincretinito per caso!?” ma ormai l'aveva detto e indietro non poteva tornare.

Paul si sentì tirare verso il corpo di John. Percepì il suo petto contro la sua schiena e le loro gambe, che si sfioravano appena. John appoggiò la testa vicino al collo di Paul, dove ci lasciò un bacio -Però non voglio dimenticare- Paul si sentì avvampare “Non è da John fare così. Cosa gli è preso?” pregò che John non facesse nient'altro. Lui poteva resistere a tutto, ad ogni tipo di attrazione sessuale o quel che vi pare, ma non a John. Lui era il suo punto debole.

-Probabilmente però ti scorderai tutto- sperava sul serio che fosse così, non sarebbe riuscito ad arrivare alla settimana seguente. Deglutì mentre le mani di John gli accarezzavano il petto, provocandogli un brivido che lo scosse per tutta la schiena. John ridacchiò per la reazione di Paul -Cosa succederà domani?-

-Non lo so John, si vedrà se saremo capaci di guidare i nostri destini verso-

-O smettila di dire cazzate e dormi!-

-Va bene-

 

                                                                         ***

 

-Londra (Abbey Road studios)- 00:45-

 

Marilyn voleva tornare a casa. Era stanca e anche se il giorno dopo non avrebbe avuto a scuola, voleva dormire, per regalare finalmente della pace al suo povero corpo stanco. Quella era stata una settimana dura. Chiamò i suoi due padri, ma non rispondevano “Dove si sono cacciati quei due?” ritornò al piano di sopra, sperando di trovarli almeno lì.

Li stava per chiamare quando si bloccò. No, non era vero. Era impossibile, la sua immaginazione aveva giocato ancora un brutto scherzo. Ma lei li stava guardando, si dalla parte vetrata dello studio di Brian. Loro, John e Paul, i suoi unici genitori, si stavano baciando.

Si abbassò in modo da non farsi vedere. Non poteva interromperli, sarebbe stato imbarazzante sia per lei che per loro. Li osservò ancora un momento “Meno male che hanno smesso” ringraziò tutte le divinità esistenti al mondo per averla aiutata in quel momento. Si fece coraggio ed entrò nello studio, cercando di essere più calma possibile -Si va a casa?- chiese fingendosi assonnata. Quella notte non avrebbe di sicuro dormito.

John andò da lei appoggiandole una mano sulla spalla -Ok, andiamo tesoro- la prese per mano e insieme a Paul uscirono dallo studio.

Marilyn osservava gli sguardi che certe volte si lanciavano i due durante il viaggio in macchina. Era imbarazzante essere in mezzo a quella cosa. Non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine dei due che si baciavano. Aveva potuto vedere quanto lo avessero desiderato, quanto avessero aspettato quel momento.

Quando furono a casa Marilyn si fiondò in camera sua, che quella notte non avrebbe condiviso con nessuno. Si mise il pigiama velocemente e si infilò nel letto. Quasi ci sprofondava dentro, da quanto era morbido il materasso.

Io non ho visto niente, io non ho visto niente” continuava a ripetersi cercando di calmarsi. Sentì dei passi, erano loro. Restò col fiato sospeso quando da sotto la porta riuscì a vedere le scarpe dei due. Erano ferme e Marilyn ipotizzo che si stessero fissando, chiedendosi anche loro cosa stesse accadendo. Li sentì darsi la buona notte e ritirarsi in camera.

Non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo. Chiuse gli occhi essendosi calmata. Andava tutto bene, lo sapeva. Probabilmente non sarebbe successo più nulla. Scivolò lentamente sotto l'incantesimo di Morfeo, che la avvolse gentilmente nel suo mantello di sogni, per regalarle finalmente la tranquillità.

 

Aprì gli occhi piano. Aveva sentito qualcosa che scricchiolava. Sentì dei passi passare davanti alla sua porta “Cavolo! Quello è John” pensò riconoscendo il ritmo dei suoi passi. Nascose la testa nel cuscino, incuriosita ma anche spaventata, si forse, da quella situazione. Non le era mai capitato di vedere John e Paul in quel modo.

Aguzzò l'udito quando sentì che poco più in là, John spingeva piano un'altra porta. La porta della stanza di Paul. Quando essa si richiuse Marilyn sgranò gli occhi. Lo avrebbero fatto? No, Paul non lo avrebbe permesso. Ma se invece avesse cambiato idea? Tutte quelle domande giravano per la testa della ragazza, che si nascose completamente sotto le coperte.

Spero almeno che la mia mente perversa non faccia scherzi domani mattina” si promise che non avrebbe avuto cattivi pensieri sui suoi genitori e su quanto era successo quella notte. Se loro si amavano c'era un motivo, non era niente di inesplorato per John e Paul. Marilyn voleva solo che fossero felici.

 

                                                                         ***

 

-Scozia- 10:06-

 

Il nitrito del cavallo svegliò improvvisamente Marilyn dai suoi sogni. Sbuffò, aveva dimenticato di dargli da mangiare quella sera, e quindi era logicamente arrabbiato.

Controvoglia si alzò da letto, trascinando i suoi piedi fuori dalla stanza. La luce del giorno la abbagliò e fu costretta a stropicciarli per abituarcisi.

Sbirciò nella camera accanto, dove Mary dormiva ancora tranquilla. Sorrise e richiuse piano la porta.

Mentre scendeva le scale, un certo sfrigolio insieme ad un buon odore di bacon arrivò a Marilyn. Paul non mangiava carne, essendo vegetariano, ma non era per niente riuscito a convertirla, per cui ogni volta che poteva, lei la mangiava.

Sentì un leggero fischiettio, che proveniva dalla cucina. Si affacciò e non seppe cosa dire a quella scena. John indossava un grembiule a fiori (probabilmente di Linda) e stava cucinando il bacon con l'uovo, mentre Paul, suo fedele compagno, stava preparando delle frittelle. Cos'era tutta quell'attività di prima mattina?

-Buon giorno tesoro!- disse Paul allegro. Marilyn non rispose, si sedette su una sedia, mentre guardava i due all'opera. Erano proprio presi, sembravano una coppia di casalinghi.

John intanto portò un piatto fumante davanti a Marilyn, che sgranò gli occhi quando vide il bacon, cosa che non mangiava da tempo -Bontà divina!- esultò. Paul invece sbuffò, dandole dell'assassina. La ragazza non ci fece caso e continuò a mangiare la sua colazione, preparata con tanto amore da John.

Paul si girò un attimo, mentre girava la frittella. Sorrise timidamente a John, che ricambiò con un cenno del capo. Marilyn aveva notato tutto, ma cercava di non far vedere che stava impazzendo “Cosa hanno fatto qui due ieri notte?” si chiese mentre prendeva la sua tazza di the verde fumante.

Paul andò al cesto della frutta, prendendo qualche cosa per se. Si girò -John, la vuoi una banana?- John bofonchiò qualcosa, visto che aveva la bocca piena di bacon, ma prese lo stesso la banana al volo. Marilyn invece era rimasta alquanto scioccata “Dio santo! Non devi pensare male! Gli ha solamente chiesto se voleva...un frutto” pensò per chiudere mentalmente il discorso.

Paul si sedette finalmente. Cominciò a zuccherare il the, e ad ogni zolletta guardava John. Il mondo in cui lasciava cadere la zolletta e lo sguardo con cui guardava John.

Marilyn era veramente preoccupata, perché vedeva gli sguardi che si lanciavano John e Paul, in più essendo lei una 14enne pensava estremamente male a quei doppi sensi.

Paul sbuffò girando il cucchiaino -Ah, Marilyn, il cavallo sta impazzendo, ma cos'ha?- Marilyn gli raccontò che la sera prima aveva dimenticato di dargli da mangiare -Allora poi vai, perché è da stamattina che nitrisce- Marilyn alzò il pollice affermativamente. Bevve in fretta il suo the per poi andare fuori. Era una bella giornata, strano per quel mese. Aspirò l'aria fresca della campagna, era bello svegliarsi e poter vedere quello spettacolo, non avrebbe desiderato vivere da nessun'altra parte.

Rayblack, la aspettava impaziente nella stalla -Hey bello, non hai mangiato ieri eh?- disse le accarezzandogli il muso. Lui scalpitò. Voleva uscire e lei lo avrebbe accontentato. Lei lo trascinò per le briglie portandolo fuori, all'aria aperta.

Ricordava ancora quando Linda le aveva portato Rayblack, era giovane ma resistente a tutto e velocissimo. Paul, visto che il cavallo era completamente nero, voleva chiamarlo Ray, in onore di Ray Charles. Solo che Marilyn invece voleva Black e così era nato Rayblack.

-Ray, sei pronto?- chiese Marilyn. Il cavallo diede un colpo al terreno con una zampa. Lei gli salì sopra, senza sella quella volta. Neanche aveva dato un colpetto che il cavallo era sfrecciato per la campagna. Marilyn si ritrovò ad urlare, a sentire quanto bello fosse il vento nei capelli. Quello era il sapore della libertà. Rayblack era impazzito, correva da una parte e poi girava e andava dall'altra. Si impennava pericolosamente, ma a Marilyn piaceva. Era sempre stato agitato quel cavallo, amava correre, soprattutto con Marilyn che gli permetteva di tutto.

Lei tirò le briglie e il cavallo si fermò. Marilyn gli accarezzò il collo, morbido e completamente lucido -Oggi sei in gran forma! Ti conviene mangiare adesso, papà non ti lascia tanto fuori- sembrava che Rayblack l'avesse sentita, infatti aveva cominciato a brucare tranquillamente. La ragazza diede uno sguardo a quella fattoria, non voleva tornare là dentro per trovarsi di nuovo con quei due che parlavano coi doppi sensi “Bisogna avere coraggio” si disse. Quando ebbe portato il cavallo nella stalla, ritornò in casa. Doveva vestirsi, tra poco avrebbero pranzato.

Si levò gli stivali ormai sporchi di fango e erba. Annusò l'inconfondibile odore del pollo arrosto “John sta rivoluzionando la mia vita” pensò mentre dava un'occhiatina in cucina.

-Paul tu non sai come si fa! Devi proprio infilarlo bene capito?

-Ok, ma io quel coso non lo tocco.

Ma per sua fortuna, John stava solo illustrando come farcire un pollo. Paul ovviamente non era più abituato ma comunque non voleva toccare l'animale. Essere vegetariano per lui era più che uno stile di vita, era il rispetto verso la natura, che lui amava.

Marilyn scappò al piano superiore a vestirsi.

John guardò Paul, che si era appoggiato leggermente al tavolo. Ripensava ancora alla sera prima, era stato bellissimo poterlo baciare, toccare nuovamente. -Paul, cosa hai intenzione di fare?- chiese John ritornando al suo lavoro. Paul lo osservava, da molto tempo ormai, e conosceva ogni dettaglio delle sue movenze -Non lo so, ma non possiamo continuare- quelle erano parole dure da pronunciare per Paul. John spalancò la bocca solo per qualche istante, non capiva il perché di quelle parole, così dure e secche -Ma Paul..- mise il pollo nel forno togliendosi i guanti -Perchè?

-Perchè finirebbe come l'ultima volta. John, ci siamo dovuti nascondere, negare il nostro amore. Non potrei rifarlo, così rovinerei tutto- John sbuffò andandosene dalla cucina. Paul era sempre il solito, si preoccupava sempre per tutti. Non poteva una fottutissima volta farsi guidare dal cuore?

-John fermati- Paul lo prese per un braccio. Lo sguardo di John era confuso, triste, arrabbiato. Sembrava non avere una sola emozione -Paul, non ho più nessuno, se adesso te ne vai anche te- Paul lo zittì. Disse che avrebbe sicuramente trovato un'altra donna e sarebbe stato felice -Si, e poi magari viviamo per sempre felici e contenti? Paul non è come una fiaba, io non sono come te! Hai trovato la donna della tua vita, la mia se n'è andata. So che in passato ho sbagliato, ma non lo rifarei, perché adesso so cosa significhi per me- una lacrima passò sul viso di John, che abbassò gli occhi per cercare di nasconderla. Paul abbracciò quell'uomo, l'uomo che aveva bisogno di lui, l'uomo che molto tempo fa aveva desiderato ardentemente, ma che adesso non poteva più ricambiare -Su, non ti abbattere, andrà tutto bene- John appoggiò il mento sulla sua spalla, lasciandosi accarezzare la schiena dal bassista.

John chiuse gli occhi, godendo di quel momento con Paul. Quello dell'altra sera era forse stato un momento di debolezza di entrambi. Ma l'amore non è mai debole.

Il campanello del forno suonò e John fu costretto ad andare per non bruciare il pranzo. Paul sentì le sue mani, vuote, senza più niente. Si morse il labbro ripensando alla notte scorsa. John era andato da lui e avevano dormito insieme, così, tra baci e carezze. Ma quello era un sogno, e i sogni svaniscono quando ti svegli “Devi resistere Paul, ne va della famiglia” chiamò le sue due figlie, che corsero giù per le scale.

Durante il pranzo Marilyn si accorse che qualcosa tra i due era cambiato. Non si lanciano più gli stessi sguardi, complici, ma adesso era John che sembrava guardare Paul come se lo stesse implorando. Comunque continuò a mangiare normalmente.

Finito il pranzo, Mary rimase a giocare con Paul, mentre lei si ritirò in camera per svolgere i compiti. Molto probabilmente la professoressa di lettere l'avrebbe interrogata, era sempre lei la prima della lista.

Aprì il suo enorme libro di letteratura, era contenta di essere passata all'Hig School. Quando si era trasferita aveva dovuto abbandonare tutti i suoi amici di Londra, ma non aveva mai faticato a farsene di nuovi. All'inizio nessuno aveva mai badato al suo cognome, mai poi tutti ne erano venuti al corrente. Si era fata subito dei nemici, Frost e la sua ridicola banda di idioti. Ridacchiò mentre ripensava a quanto aveva goduto nel prenderlo a botte, era da tempo che lo aspettava.

Nella camera irruppe John, che si sedette accanto a Marilyn -Che studi?- chiese. Non aveva mai avuto modo di fare la lezione con lei, di solito ci pensava Paul, visto che era più intelligente.

-Ah, poesie di gentiluomini inglesi- John prese il libro sfogliandolo, tra meno di una settimana circa avrebbero letto i racconti di Oscar Wilde -Beh, siete a un buon punto- commentò ridandole il libro. La figlia rise, le piaceva l'aspetto paterno che John aveva in quel momento. Era strano averlo lì, in un momento così quotidiano -È strano vederti interessato- disse ridendo. A lui non era mai piaciuta la scuola e diceva sempre a Marilyn che se l'avessero espulsa, lui le avrebbe trovato sicuramente qualche lavoro.

La ragazza tornò a studiare. John la guardava, ogni particolare del suo viso, ancora in formazione ormai era a lui familiare. Le era sempre piaciuto il carattere della figlia, era simile al suo, con la sola differenza che lei non si nascondeva dietro a nessuna maschera. Era semplicemente fatta così.

Guardò come impugnava il lapis, un impugnatura perfetta, avrebbe detto il suo ex professore d'arte. Le aveva detto che poteva scegliere una scuola privata, ma lei aveva scelto di frequentare quella scuola da gente normale.

Si alzò e le diede una pacca sulla spalla per augurarle buona fortuna. Quando scese di sotto vide dalla finestra che Paul stava portando Mary a cavallo. Sorrise vedendolo ridere. Adorava i bambini e lui era adatto a fare il padre. Severo quando ce n'era bisogno, ma anche dolce. Lo osservò mentre la appoggiava delicatamente sul cavallo pezzato. Sospirò. Ora capiva perché non voleva amarlo, per non rovinare tutto questo. La famiglia, la sua vita. Aveva ragione, non potevano ricascarci nuovamente.

Si mise le mani in tasca e si avviò verso la stanza dove Paul aveva messo il pianoforte. Di solito lì componeva canzoni, lo vedeva dai fogli sparsi da tutte le parti. Tipico di Paul la confusione artistica. Prese dei fogli a caso leggendo alcuni appunti per possibili canzoni. Aveva l'abitudine di metterci la data. Molti erano vecchi di mesi, anni, mentre altri risalivano a qualche settimana fa. Un foglietti cadde dal piano, attirando così l'attenzione di John. Lo prese, era accartocciato, ma le parole erano ben leggibili -I'm scared to say I love you- lesse quasi sussurrando. Guardò la data rimanendo fermo, immobile. Non poteva crederci, ci doveva per forza essere qualche errore. La frase risaliva al giorno prima.

Voltò lo sguardo su Paul, che fuori stava cavalcando insieme alla figlia. Strinse quel foglietto, riducendolo ad una pallottola. Gli aveva mentito “Quello stronzo!” John imprecò più volte contro l'amico. Almeno poteva dirgli che lo faceva per la famiglia, no, aveva dovuto mentire.
Chiuse gli occhi cercando di trattenere la rabbia “Non posso continuare a stare qui, ormai non ha più senso” John si alzò tornandosene nella sua stanza.
Prese i vestiti mettendoli disordinatamente nella valigia. Non badava a ciò che faceva, vedeva soltanto Paul che gli mentiva.
Perchè l'aveva fatto?
I suoi pensieri vennero interrotti dal rumore della porta. Girandosi vide Marilyn, che lo guardava preoccupata -Te ne vai?- chiese entrando. Il padre non sapeva cosa risponderle, non poteva dirle la verità. Come al solito doveva sempre nascondere i suoi veri sentimenti -Vado via stasera, sono stato anche troppo insieme a voi- Marilyn si sedette sul letto. Non voleva che se ne andasse di nuovo, ogni volta che John spariva era perché era accaduto qualcosa. Lo guardò tristemente sapendo comunque che non poteva fare niente per fermarlo -Sicuro?- John annuì grave.

Marilyn lo lasciò solo, nella sua stanza, a chiedersi per quale motivo si fosse nuovamente innamorato di Paul. Erano passati anni dall'ultima volta, cosa era successo? “È sempre colpa tua Jenn se mi ritrovo sempre a pensare a Paul”. John ci parlava spesso con lei, gli dava forza e certe volte sembrava che lei in qualche modo gli rispondesse, con qualche piccolo segno del destino.

Si prese la testa tra le mani, cercando di trattenere le lacrime.

 

-Scozia- 23:00-

 

John trascinò la sua valigia fino all'ingresso. Guardò ancora una volta quella casa, probabilmente non ci sarebbe tornato spesso. Vide Paul arrivare davanti a lui. Lo guardò serio -Davvero vuoi andare?- era difficile anche per lui lasciarlo andare, soprattutto dopo quel che era successo.

John gli mise una mano sulla spalla sorridendo -Sono a Londra, semmai volessi vedermi, sarò lì- Paul gli diede le chiavi della macchina e lo guardò uscire. Sentì gli occhi pizzicare, non doveva piangere, non in quel momento. Sentì delle braccia che lo stringevano da dietro -Hey Paul, da vieni, non potrai stare tutto il tempo qua davanti- Paul socchiuse gli occhi. Si girò per guardare il viso di sua moglie.
Era tornata da poco e non aveva ancora finito di raccontargli tutto su quel servizio. Lei era una donna in gamba, felice della sua vita. Ma Paul non poteva esserlo altrettanto, non in quel momento.
Comunque, prese la mano di Linda facendosi guidare sul divano. Lei cominciò a raccontargli del viaggio, ma Paul non riusciva ad ascoltarla. La sua mente restava ferma sull'immagine di John che se ne andava. Lasciandolo, di nuovo.



Angolo Autrice:
Hello everybody :D
Sono finalmente tornata e scusatemi per il ritardo, ma lo studio mi prende un sacco di tempo, e trovarne per scrivere diventa sempre più difficile. Ma fortunatamente ecco il nuovo capitolo.
Pensate che il fatto che Marilyn pensi male ad ogni cosa che dicono i padri sia un po' surreale? Beh, dopo quel che aveva visto, ho pensato bene di farla atteggiare così, ma poi mi direte voi ^^
E beh, quando finalmente arrivava il McLennon....John se ne va. Scusatemi, scusatemi *si inginocchia chiedendo pietà*
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito, grazie davvero :)
With Love

Goldenslumber14

 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Capitolo IX:

-Scozia- 9: 45-

Marilyn mordicchiò la penna cercando di concentrarsi in quella lezione. Certo, le illusioni ottiche non erano per lei tanto interessanti, e in più ci si metteva pure il professore, che la recitava tipo una preghiera ripetuta mille volte.

Voltò lo sguardo verso la finestra, da cui si poteva intravedere il cortile ingrigito per colpa del brutto tempo.
Sospirò accasciandosi sul banco. Erano ormai entrati nel mese di Dicembre, già tutti parlavano del Natale, ma a lei non importava.

Erano settimane che non aveva più notizie di John. Sapeva che era a Londra, ma non cosa facesse o se stesse bene.

Sentì la mano esile di Julia che le toccava la spalla, si girò e prese al volo il foglietto che le lanciò -È di Jason- sussurrò indicando con un cenno della testa il ragazzo poco distante.

Allora, oggi a casa tua alla solita ora? Dopo aver letto il biglietto alzò il pollice a Jason, che sorrise. Era da un po' che lo aveva “assunto” per ripetizioni di psicologia. Non era proprio portata per quella materia, mentre lui aveva una vera passione e in più era simpatico.

Suonò la campanella che segnava la ricreazione. Marilyn si alzò immediatamente appoggiandosi alla finestra. La aprì un pochino per far passare l'aria “Fra poco piove” pensò guardando le nuvole che minacciose si avvicinavano all'edificio.

-Tuo padre non si arrabbierà?- Marilyn guardò Jason ridendo. Paul all'inizio non aveva veduto di buon occhio che quel ragazzo fosse così spesso in casa sua, e si sa, i padri diventano spesso possessivi -Basta che ti comporti bene e vedrai che andrà tutto a posto- lui rise scostandosi una ciocca di capelli. Aveva una chioma di capelli mossi e neri, che però non riuscivano ad essere domati dal pettine e che prontamente andavano di qua e di là, rendendo il suo aspetto molto disordinato.

-Ok, però cerca di tenerlo calmo, certe volte è inquietante- Marilyn lo spintonò via ridendo. Jason se ne andò con ancora il sorriso sulle labbra. Marilyn scosse la testa, la faceva sempre ridere quello lì.

Elizabeth si avvicinò alla sua amica, rivolgendole un'occhiata maliziosa -Qualcuno se la intende con Jason?- Marilyn la guardò malissimo diventando tutta rossa. Elizabeth adorava punzecchiarla su quella cosa, le riusciva benissimo e non perdeva nessuna occasione per metterla in imbarazzo -Quando la finirai con questa storia?- chiese Marilyn mentre se ne andava nell'atrio davanti alla classe. Elizabeth si appoggiò allo stipite della porta -Possibile che tu non te ne accorga? Gli piaci, è così evidente- ma Marilyn non voleva cascarci nuovamente. Le medie erano stati degli anni duri per lei, un falso amore le aveva fatto perdere la testa e non voleva che riaccadesse. Quella volta doveva essere lui a fare il primo passo -Per ora non mi interessano queste cose- congedò così la sua amica, lasciandola lì e dirigendosi verso i bagni.
Ovviamente Elizabeth la seguì -E quando allora? Fra vent'anni!?- Marilyn non rispose e si chiuse nel bagno. Sentiva che Elizabeth stava dando dei colpi alla porta, dicendole di uscire, ma non voleva non in quel momento.

Marilyn, calmati. Oggi Jason verrà a casa tua, quindi niente scenate.” sospirò rialzandosi. Si pulì la divisa dal sudicio di quel bagno e si decise ad uscire. Elizabeth era sempre lì. Quando la vide le rivolse un sorriso gentile. Le prese la mano e si diresse nuovamente in classe -Ricordati, se succede qualcosa, devi raccontarmi tutto capito?- Marilyn sbuffò fingendosi arrabbiata. Non poteva incolpare la sua amica di una cosa che non sapeva.

In classe era già arrivato il professore di scienze motorie, che stava facendo la solita ramanzina al quartetto dell'apocalisse -Andiamo e..Frost, niente casini oggi- Marilyn ridacchiò vedendo che il suo peggior nemico aveva abbassato la testa annuendo -E lo stesso vale per lei, signorina McCartney- non abbassò gli occhi allo sguardo minaccioso del professore.

Seguì la classe che si dirigeva in palestra, per un momento non sentì la confusione, le chiacchere. Tornò a pensare a suo padre, chissà dove a Londra. Voleva vederlo, voleva sapere altro su sua madre, ma in quei giorni Paul non le aveva raccontato niente.

Appoggiò lo zaino nello spogliatoio, mentre si metteva la tuta. Jane si preoccupò di chiudere la porta a chiave, i ragazzi di tanto in tanto si divertivano ad entrare e alle ragazze dava molto fastidio.

Sentì un colpo arrivarle alla spalla, si girò infuriata trovandosi davanti ad Alisha -Oh, scusami, non ti aveva visto- Marilyn si mise le mani sui fianchi alzando un sopracciglio -Ancora arrabbiata perché ho pestato il tuo ragazzo?- la ragazza bionda si infuriò diventando tutta rossa. Si erano odiate fin dal primo istante, Marilyn la odiava quando la vedeva pavoneggiarsi davanti a tutti, credendo di essere chissà chi. Quando poi Alisha aveva scoperto di chi Marilyn fosse figlia era inorridita, sapendo che Paul era MOLTO più importante di suo padre.

-Sei solo gelosa della nostra relazione!- le rispose indignata. Marilyn le rise in faccia, sprezzante, come aveva imparato da John -E tu credi che io sia gelosa? Di quell'idiota? Guarda, per me potete pure sposarvi, non me ne fregherà mai nulla- chiudendo il discorso, uscì dallo spogliatoio cominciando a correre insieme ai ragazzi.

La raggiunse subito Jason. Aveva notato la sua espressione scocciata, ma preferiva non parlarne. Marilyn gli rivolse un'occhiata stanca -Non mi chiedere cosa è successo perché non è il momento per farmi lo psicologo- Jason scansò Matt, che si era fermato per allacciarsi la stringa. Guardò un poco le persone che aveva davanti, per calcolare quando parlare e quando fermarsi -E se invece te lo chiedessi?-

-Ti direi di farti gli affari tuoi- Marilyn lo superò, mentre Jason scuoteva la testa un poco rammaricato. Certe volte lo trattava male, ma ormai c'era abituato, sapeva che aveva una vita strana ma non fare domande era quasi impossibile per lui.

Aumentò il passo raggiungendola nuovamente -Sei così da tutto il giorno, cosa è successo?- chiese preoccupato. Marilyn lo guardò, insicura sul da farsi. Prese un buon respiro dandosi coraggio e tempo per formulare la risposta -Beh, sei più o meno il primo a cui lo dico, e non è semplice- l'istruttore diede un nuovo esercizio, facendo cambiare andatura a tutti gli alunni -Beh, hai presente John Lennon?- Jason annuì -Lui potrebbe essere mio padre- il ragazzo si fermò e lo stesso fece lei. Il suo sguardo era tra il confuso e lo scioccato -Cosa?- Marilyn si guardò intorno. Lo sapeva, ora aveva incasinato tutto -Non so neanche io perché, ma li ho sempre chiamati papà, ahi!- guardò con occhi socchiusi Alisha, che correva al fianco dell' idiota.
-Puttana!- le urlò senza mezzi termini, facendosi sentire anche dal professore -Vuoi un rapporto McCartney!?
-

-No!-

-Allora muoviti! E anche tu, Leban, muovi quel culo!- probabilmente Jason stava mandando a quel paese il prof mentalmente. Marilyn rise, ricominciando a correre insieme a lui.

Il professore distribuì i palloni da volleyball dando da fare un esercizio di passaggio in coppia. Vedendo che Elizabeth era andata con Jane, si mise in coppia con Jason.

-Ma allora, mi spieghi tutta questa storia?- Marilyn prese al volo la palla -Non sa nessuno chi sia mia padre, ma legalmente sono affidata a Paul- Jason la guardò sconcertato, prendendo la palla senza accorgersi che era arretrato pericolosamente verso il muro -Cavolo...ma mi stavi dicendo?

-John è tornato in Inghilterra- Jason sbiancò in viso -John Lennon è tornato? Io non lo sapevo!?- Marilyn stava per impazzire, odiava essere interrotta, soprattutto in un modo così continuo -Senti! Lui è tornato, ma non ho sue notizie da Novembre- Jason rimase pensoso mentre faceva rimbalzare la palla, che rimbombò per tutta la palestra. Probabilmente, conoscendo molte cose su John, Marilyn aveva paura che potesse finire coll'ubriacarsi o cadere in depressione.
Era semplice preoccupazione, tutto qui -Non ti devi preoccupare- le disse tranquillizzandola -Sta bene, te lo dico io.
-

***

Paul guardò pensoso il bordo del suo pianoforte. Pieno di fogli volanti che venivano depositati lì, per pura comodità. Li raggruppò seza un'ordine preciso mettendoli tutti da una parte -Papà, oggi viene Jason, cerca di comportarti bene- Paul ridacchiò pensando al buffo ragazzo che così tante volte era venuto in quella casa. Linda gli diceva sempre di essere più gentile o meno attaccato a Marilyn, ma era più forte di lui.
Era sempre più evidente che Jason si stava pian piano interessando a lei e lui, in quanto padre, non era d'accordo.

Intanto Marilyn faceva di tutto per rendersi presentabile. Pettinava i suoi capelli mossi, si spruzzava del profumo, si metteva del leggero trucco. Tutto questo faceva incuriosire sempre Heather, che restava ore a fissarla -Viene Jason vero?- chiese con aria maliziosa -Non sono affari tuoi- disse la maggiore spingendola via dalla stanza.
Heather rise tornando nuovamente lì dentro -Secondo me gli piaci- Marilyn si fermò con la spazzola, appoggiandola lentamente sul letto -Secondo me no- concluse infine riprendendo il suo lavoro. Heather si sedette sul letto insieme alla ragazza. La guardò mentre si pettinava i lunghi capelli castani, certe volte la invidiava, invidiava il suo carattere così prepotente ma sensibile.

Improvvisamente suonò il campanello. Le due si fecero scappare un sussulto, essendo state insieme ore e ore a discutere su quella persona -Heather, operazione “placca papà”- lei alzò il pollice correndo di sotto. Come previsto Paul stava andando ad prire la porta e come minimo lo avrebbe minacciato nell'eventuale azione poco casta da parte di Jason.

-Papà!- lo chiamò Heather, Paul si girò e mentre lei gli diceva delle cose senza senso, Marilyn era già alla porta -Ciao Jason- lui era lì, con un sorriso splendente e il casco della motocicletta ancora indosso -Pronta per studiare?- chiese lui mostrandogli i libri -Prontissima comandate!- si fece da parte lasciando che entrasse. Jason salutò Paul, che invece rispose distrattamente. Lei lo portò di sopra, anche se lui ormai era abituato a quell'ambiente.
Si sedette sul letto osservando ancora una volta la camera di Marilyn. L'altro letto apparteneva alla sorella e si vedeva quanto fossero diverse. La parte di Heather tutta ordinata, senza oggetti che dessero nell'occhio, mentre la parte di Marilyn era un caos, pieno di oggetti strani e poster di cantanti.

Marilyn si sedette su una sedia aprendo il quaderno di psicologia -Allora, si comincia?- Jason annuì aprendo il libro.

Paul faceva avanti e indietro per la stanza da un bel po', erano settimane che non aveva notizie di John e si stava proccupando. L'idea di andarlo a trovare le era spesso passata per la mente, ma aveva paura “Sono un codardo” pensò mentre si nascondeva il viso tra le mani.
Sospirò, doveva prendere una decisione. Quella sera doveva andare da John, per vedere come stava tutto lì. “Si, è la cosa più giusta da fare”

-Scozia- 21:09-

Jason se n'era andato da un po' e nella sala quasi tutti stavano dormendo davanti al film. Tutti, tranne Marilyn e Paul. Lui guardò l'orologio e capì che era l'ora di andare. Si alzò dal divano, attirando l'attenzione della figlia -Dove vai?- chiese sempre guardando lo schermo.

-Da John- rispose Paul mentre si metteva la giacca. Marilyn si voltò a guardarlo, sorrise -Salutalo anche da parte mia- Paul annuì ed uscì nella notte gelida di quel Dicembre.

Quando fu a Londra c'era ancora traffico, tipico di quella città caotica. Tamburellò le dita sul manubrio mentre fischiettava un motivetto orecchiabile.
Arrivò all'Hotel dove alloggiava John in un quarto d'ora. Di certo non aveva badato alle spese, le cinque stelle si vedevano anche troppo chiaramente.

Chiese al portinaio russo dove alloggiasse John -Ah, il signor Lennon stare nella 324, ma lui non uscire mai di lì- Paul si preoccupò visibilmente “Come non esce mai?” si chiese mentre ringraziava il portiere.

Salì le scale correndo, sapeva che stava combinando qualcosa e non era nulla di buono, sicuramente no. Arrivò alla benedetta porta tutto ansante, prese un bel respiro per calmarsi e busso.
Nessuna risposta.
Provò di nuovo e più forte ma nulla.

Cavolo, come faccio adesso?” provò a spingere la porta e quella miracolosamente si aprì. L'ambiente dentro era buio e puzzava di alcool. Fece attenzione a non rompere le bottiglie sparse per terra -Mio dio- sussurrò guardando quell'inferno.

Sentì un rumore proveniente dal bagno. Si avvicinò lentamente alla porta -John?- disse quasi avendo paura di ciò che vi avrebbe trovato. Infatti er lì, sulla tavola del gabinetto che vomitava, probabilmente reduce da una sbronza. Vedendolo in quello stato Paul corse in suo aiuto, reggendolo con le braccia -John, cristo!- imprecò Paul rimettendolo a sedere. John respirava a fatica -Cosa ci fai qui?- chiese in un sussurro.

-Ti libero da tutto questo- fece per alzarlo, ma John lo spinse via -No, vai via Paul- a quel punto l'uomo più giovane lo prese di forza, stendendolo poi sul letto. John si lamentò, provando ancora fitte allo stomaco -Paul, non è questo il momento- disse piano chiudendo gli occhi.
Paul non riusciva a vederlo così, era rovinato, stanco sembrava che fossero passati anni dal loro ultimo incontro -John non voglio che ti rovini così-

-Ma tanto ormai che senso ha? Mi hanno abbandonato tutti, Yoko, e quando pensavo che tu ci saresti stato per me, mi hai lasciato solo- Paul si sedette sul letto tenendogli la mano -John, io non ti ho mai abbandonato e mai lo farò- John sgranò gli occhi colpito. Si mise a sedere a fatica, ma continuava a guardarlo -Cosa?-

Paul abbassò gli occhi, che pian piano si stavano inumidendo. Era terribile vedere la persona a cui tieni di più, ridursi in quella maniera.

-Quando tu mi ha lasciato...mi sono sentito morire, è stato come se una parte di me si fosse staccata- John gli strinse la mano, mentre vedeva il viso del suo amico cedere, volendo nascondere le lacrime.

-E, mi sono dato alla droga e all'alcool, cercando di dimenticare tutto, perché nulla avrebbe avuto più senso. Non avevo più nulla di te e sentirti così lontano era terribile. Ma poi ho capito. Marilyn, mi ricordava te. Il suo carattere, il suo comportamento, era uguale al tuo. Era il frutto del nostro amore, una cosa impossibile da cancellare e che rimarrà sempre- John gli tirò sul il viso, mettendo in mostra le guance bagnate e arrossate di Paul.
L'uomo gli accarezzò i capelli, percependo un fremito da parte di quest'ultimo.

-Non pensavo di averti fato stare così male-

-Non avresti potuto fare nulla-

-E invece si, perché sei sempre rimasto importante per me!- protestò John. Non c'era stato giorno nella sua vita che non avesse pensato almeno una volta a Paul. C'era sempre spazio nella sua mente per l'uomo che gli aveva cambiato la vita e che ancora la stava modellando -Anche per me è stata dura all'inizio- disse John abbassando lo sguardo -E lo è anche ora- sussurrò cercando di non farsi sentire.

-John, mi devi promettere che non ti ridurrai più così- il suo sguardo era serio, ma John non ci riusciva. Non riusciva a dirgli di si, anche se avrebbe voluto. Era più forte di lui, si faceva prendere dalla disperazione -No, non posso prometterlo- disse scuotendo più volte la testa.

-Per favore John-

-No! Per favore un cazzo! Appena varcherai quella fottutissima porta, non penserai a me! Tornerai dalla tua cazzo di famiglia, dimenticandoti di oggi, perché ormai non sono più importante per te!- a quelle parole Paul prese tra le mani il viso di John, baciandolo improvvisamente. Lui si sentì avvampare, preso così alla sprovvista. Ma ricambiò lo stesso quel bacio, approfondendolo, avendolo atteso molto.

-Non devi dirlo nemmeno per scherzo, capito? Tu sarai sempre importante per me, più importante di Linda o di chiunque altro- passò le sue mani sul petto di John, accarezzandolo dolcemente -Perché potrò sempre cambiare donna, amarne un'altra, ma non potrò mai amare un uomo che non sia tu-

John lo prese per la camicia, trascinandolo sopra di lui. Aveva bisogno di Paul, più di ogni altra cosa, in quel momento.
Portò i suoi baci sul collo, mentre lentamente gli sbottonava la camicia. Paul sentiva le braccia di John che gli accarezzavano la schiena, desiderose e piene d'amore. Quando il suo torace fu completamente spoglio, Paul portò John a se, abbracciandolo. Sentiva il suo corpo caldo, quel contatto lo faceva stare bene.

-John, io ti amo- disse mentre l'altro gli baciava la linea del collo. John alzò il viso, avvicinandolo piano a quello di Paul -Anche io ti amo- sussurrò lui sulle labbra dell'uomo più giovane.

Le bocche di entrambi si unirono in un appassionato e bisognoso bacio. Avevano atteso con pazienza quel momento, e finalmente era arrivato, era arrivato il momento di amarsi.

***

-1959- Amburgo-

Erano passati parecchi giorni e i due non si erano più parlati. Paul sentiva che John cercava di evitarlo, visto che non aveva dimenticato l'accaduto. Ma Paul non lo poteva ignorare, era il suo migliore amico e forse...e forse erano qualcosa di più, ma Paul non lo sapeva.

Lo aveva osservato parecchio, sembrava felice, ma ogni volta che i loro sguardi si incrociavano, lui lo distoglieva. E in più non voleva parlare di quanto era successo.

Paul si ritrovò ben presto a essere geloso di tutte le attenzioni che John riservava alle ragazze, o anche a Jenn. Sospirò vedendo come ci stesse provando con l'ennesima puttana di quel cazzo di posto. Doveva parlare con lui e subito.

Andò vicino ai due e lo trascinò via, anche se John lo continuava ad insultare. Ma non gli importava, voleva sapere solo la verità -John, dobbiamo parlare-

John sbuffò -Adesso no Paul, come hai visto, stavo parlando amabilmente con una ragazza, quindi se non ti dispiace- fece per tornare dentro al locale, ma Paul lo bloccò, deciso a voler sapere.

-Come rompi il cazzo- disse John senza però guardarlo negli occhi. Non ne aveva il coraggio, non poteva affrontarli.

-John, voglio sapere la verità su ciò che è successo quella notte- John socchiuse gli occhi guardandolo bene -Non è successo niente Paul- disse congedandolo. Lo lasciò lì, che aspettava spiegazioni.

Paul lo rincorse, stava andando al porto. Scansò velocemente le persone, scusandosi, ma teneva sempre lo sguardo puntato sulla figura di John. Non l'avrebbe scampata così facilmente.

Quando fu uscito da quel groviglio di gente lo chiamò, per dirgli di fermarsi. John si voltò scocciato “Possibile che sia così ostinato!?” pensò mentre lo prendeva per un braccio e lo trascinava dietro ad un'enorme cassa di merci -Cosa hai intenzione di fare eh!?- gli chiese minaccioso sbattendo il più giovane alla cassa. In quel momento Paul ebbe paura di John, sapeva che quando si arrabbiava perdeva il lume della ragione e poteva diventare violento.
Pregò che non gli succedesse niente -Voglio solo sapere la verità su di noi!- John finse di non aver capito -Che cazzo! La verità su noi due, su cosa è successo quella notte!- sbottò Paul, ormai impaziente.

-Mi dispiace dirtelo, ma non c'è proprio niente tra noi- se ne andò, ma fu bloccato dalle braccia del ragazzo -Secondo te non ho notato che non mi parli più e cerchi di evitarmi?-

-Io non cerco di evitarti- rispose John sempre restando di spalle.

-E invece si! Perché io ti conosco Lennon, e so che ti è piaciuto quando ci siamo baciati, ti piaceva tenermi stretto e questo non lo puoi negare! Poi all'improvviso, tutto cambia. Smetti di parlarmi, mi eviti e non riesci a guardarmi negli occhi, perché non vuoi affrontare questa cosa!- John non disse nulla, non voleva girarsi, non voleva vedere il viso arrabbiato di Paul -Cazzo John, guardami!-

John si voltò, trovandosi vicinissimo a Paul. Rimasero entrambi in silenzio, perdendo l'uno nello sguardo dell'altro.
John gli accarezzò piano la spalla, sempre guardandolo -Paul, la verità fa dannatamente male...- la frase gli si spezzò a metà, infatti, era difficile ammetterlo. Paul gli strinse la mano, sapeva che quanto fosse difficile perché lo era stato anche per lui.

-Lo so, ma non puoi mentirmi John. Non puoi dirmi che in questi giorni non hai pensato al nostro bacio e a cosa significasse.-

-Infatti, non voglio mentirti, ma non ce la faccio ad ammetterlo, una parte di me non vuole questo- John abbassò lo sguardo. In quei giorni in lui avevano combattuto sentimenti contraddittori, e alla fine non sapeva neanche lui quale avesse vinto.
Paul gli prese la mano sorridendo -Non ti devi preoccupare- John lo guardò, come faceva a dirlo in una situazione simile?

-Ci penserò io a persuadere quella parte- appoggiò le labbra su quelle di John. Lui non ci pensò un secondo a schiudere le labbra per continuare quel bacio. Era anche più semplice del previsto. John lo attirò a se facendo si che i loro corpi aderissero perfettamente, incastrati nell'ordine perfetto, come pezzi di un puzzle.
Gli accarezzò i capelli bisognoso di lui, bisognoso di quell'amore.

-L'hai già convinta- disse velocemente John per poi tornare a baciarlo.

Paul appoggiò le mani sui fianchi di John, mentre sentiva il calore invadergli il corpo. John si staccò da Paul, prendendogli però il viso tra le mani -Paul, ma come facciamo a dirlo agli altri?- era di quello che aveva paura. Di cosa avrebbe detto la gente, neanche lui vedeva di buon occhio gli omosessuali e per questo sentiva che tutto era strano.

-Non lo diremo, nessuno deve sapere di noi o andrà tutto a puttane- le condizioni di Paul erano sensate. Tutti avrebbero preso male la cosa e nulla sarebbe stato più lo stesso. E poi non voleva rovinare la loro permanenza ad Amburgo, visto che stavano avendo molto successo -Ci sto McCartney- John sorrise baciando Paul sulla guancia. Il più piccolo arrossì per quel contatto, ancora non abituato alla cosa.

-Ma che non ti venga in mente di fare il romantico con me, va bene?- lo avvertì scherzoso John. Scoppiarono entrambi a ridere. Si erano infilati nei casini, ma alla fine non gli dispiaceva.

Paul sfiorò la mano di John, che però fece finta di nulla, mentre camminava nella folla. Sarebbe stato tutto così, non si sarebbero fatti scoprire.

***

-Scozia- 06:00-

Marilyn non riusciva a dormire. Si rigirò nel letto cercando di non svegliare la sorella, che a differenza sua dormiva tranquillamente.

Erano passati due giorni da quando Paul era andato a casa di John e non aveva più saputo nulla “Qui la cosa non quadra” pensò lei mentre guardava furtiva lo spiraglio di luce che filtrava dalla porta.
Doveva in qualche modo sapere cosa stava succedendo, anche se lo immaginava.

Scese piano dal letto, appoggiando i piedi sul legno stranamente freddo. Si diresse al piano inferiore, dove indugiò davanti al telefono. Doveva chiamare l'hotel? Non voleva disturbare suo padre, aveva paura che stesse accadendo qualcosa di importante e non voleva rovinare nulla.
Al diavolo quei due!” prese il telefono con decisione e compose il numero che aveva ormai memorizzato.

***

-Londra- 06:05-

Paul abbracciò John. Ancora non ci credeva, era stato due giorni in quel fottuto appartamento, dimenticandosi completamente della famiglia. Ma lui non voleva sentir parlare della famiglia, voleva solo John.

Sotto alle sue braccia, percepiva la pelle calda di John, che però stava dormendo, ignaro delle azioni di Paul.

Il più piccolo baciò la schiena di John, che si svegliò in un fremito -'Giorno Paul- disse mentre un sorriso stanco si faceva largo tra le sue labbra. Paul alzò lo sguardo, finendo negli occhi di John, che lo guardavano divertiti. John si avvicinò a Paul, lasciando che gli prendesse la mano, cominciando a muoverla per aria -Sembra quasi un sogno- commentò John.
Guardò come le loro mani si intrecciassero, perfette, tra loro. Come se fossero state create apposta per stringersi.

Lo sguardo di Paul cadde su un foglietto, appoggiato sul comodino vicino al letto. Lo prese incuriosito “I'm scared to say i love you” conosceva quelle parole. Le aveva scritte in un momento di confusione, era stato come un pugno in pieno stomaco il ritorno di John, inaspettato e con un po' di dolore intorno. Non aveva saputo che dire ed era uscita fuori quella frase.

-John- lo chiamò Paul dandogli un colpetto sulla spalla. Gli mostrò il biglietto. John sorrise imbarazzato -Beh...mi piaceva il verso..-

-John, lo so che è per questo che te ne sei andato-

John abbassò lo sguardo. Si ricordava come si era sentito quel giorno, era stato triste capire che Paul aveva solo paura di amarlo. Paura, c'entrava sempre la paura, non li abbandonava mai.

Quando Paul riappoggiò il foglietto sul comodino, il telefono squillò facendolo sobbalzare. Paul prese la cornetta mentre John lo abbracciava dal dietro.

-Sono Marilyn- Paul sospirò grato, aveva creduto di essere stato scoperto o che fosse Linda incavolata per la sua assenza -Ciao tesoro- disse mentre scansava via John, che aveva incominciato a baciargli la spalla.
-Come stai?-
-Oh, bene ma- Paul non la lasciò terminare -Non ti preoccupare, sto bene, dovrei tornare fra pochi giorni-

-Papà, so di te e John-


Angolo Autrice:
Eccomi di nuovo! Scusatemi ancora ma non ho molto tempo per stare su efp (novitaXD). Però ce l'ho fatta, è questo l'importante. Ringrazio innanzitutto Mei 77 e Chiara_LennonGirl06 per aver recensito ^^
La coppia più bella del mondo si è finalmente ricongiunta, ma Marilyn vuole capire e quindi....beh, insomma...non posso dirvi nulla. Niente spoiler!
Beh, vi chiedo ancora di recensire, mi piace sentire le vostre opinioni :)

With Love
Goldenslumber14

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


"Salve a tutti! Finalmente ho più tempo libero e quindi ho fatto un salto ad aggiornare la mia storia. Era proprio passato tanto tempo, sorry.
Ma ormai lo sapete che sono sempre in ritardo...ma cercherò di migliorare ^^.
Vorrei ringraziare J_Marti_96 e Chiara_LennonGirl06 per le belle recensioni. Grazie mille :D
Ok, ora vi lascio alla lettura.
With Love
Goldenslumber14"




Capitolo X:

 

-Scozia- 07:57-

 

Marilyn guardò annoiata il paesaggio, che scorreva veloce sotto la macchina. Quando aveva pronunciato quella frase, Paul le aveva riattaccato senza rispondere. Si chiese come mai Paul non le avesse mai detto nulla della sua relazione con John, non ci avrebbe trovato nulla di male.

-Marilyn, siamo arrivati- la avvertì Linda passandole lo zaino. Lei ringraziò e scese dalla macchina. Linda la lasciava sempre qualche metro più avanti rispetto alla scuola.

La ragazza si guardò intorno, tutte le macchine che si suonavano a vicenda perché non volevano arrivare in ritardo a scuola.

Un pensiero improvviso le attraverso la mente “Mi dispiace per Linda, ma devo farloscattò per un lato del marciapiede, doveva fare in fretta o avrebbe perso il treno. Non le importava di perdere la scuola, voleva delle spiegazioni e subito.

La stazione non era molto lontana ed era già andata a Londra col treno.

Quando arrivò alla stazione guardò il tabellone con gli orari. Quello per Londra era già arrivato. “Cristo!” corse verso il binario cinque, dove stava per partire il suo treno. Riuscì in tempo ad infilarsi nel vagone. Sospirò sollevata e si diresse verso le poltrone.

Si sedette insieme ad una coppia di indiani, che stavano consultando la guida turistica di Londra. Non aveva soldi con se e se fosse arrivato il controllore, probabilmente l'avrebbe fatta scendere alla prima fermata “E se gli dicessi chi sono probabilmente non mi crederebbe”.

Appoggiò lo zaino sulla sue ginocchia guardandosi intorno. C'era molta gente quel giorno, e tutti rendevano calda l'atmosfera.

Il suo sguardo si soffermò su una famigliola: i genitori stavano giocando con la figlia. Marilyn notò che l'uomo stava stringendo la mano a sua moglie. Avrebbe voluto avere una famiglia come quella, vivere con sua madre. Certe volte ci pensava, a come sarebbe stato con lei accanto “Probabilmente non sarei quella che sono adesso” pensò mentre si legava i capelli in una coda.

Guardò distrattamente l'orologio, almeno due ore e sarebbe finalmente arrivata a Londra.

Si alzò dal suo posto, avendo sentito il controllore che veniva a timbrare i biglietti. Aumentò il passo cercando di essere il più normale possibile. Arrivò fino al bagno delle donne, dove si chiuse per sicurezza. Sentì dei passi e preferì guardare dalla serratura chi fosse. Inizialmente passarono due donne e poi, finalmente, il controllore. Lo aveva riconosciuto per la tipica striscia bianca sui pantaloni, molto simile a quella dei poliziotti.

Quando sentì che era andato nell'altro vagone si decise ad uscire per tornare al suo posto. Sospirò guardando il gruppo di turisti che avevano davanti, forse non avevano fatto caso al fatto che non avesse fatto vedere il biglietto.

 

Quando il treno si fermò, lei fu la prima a scendere. L'accolse l'immensa stazione di Londra, piena di persone che andavano tutte in direzioni diverse. Respirò sorridendo l'aria di fumo e nebbia che caratterizzava quel posto. Si diresse insieme ad un altro gruppo di persone fuori dalla stazione, facendosi accogliere dall'immensità della città.

Ripeté mentalmente dove si trovava l'Hotel, non era molto lontano dalla stazione. Conosceva bene quella parte di Londra per cui decise di andarci a piedi.

Guardava tutto e tutti, come se fosse la prima volta che ci veniva. Adorava quella città, aveva significato molto per lei.

Svoltò per una strada e finalmente lo vide. Il famoso Hotel a cinque stelle, dove avrebbe finalmente trovato John e Paul. Entrando notò che l'uomo grasso alla reception osservava lo spazio davanti a lui, per controllare chi entrava. Marilyn decise di aspettare ancora un po' all'entrata, per vedere se si faceva distrarre da qualsiasi cosa. Per sua fortuna delle chiavi caddero dal mobile e lui fu costretto a chinarsi. Non aspettava momento migliore. Entrò nell'edificio correndo su per le scale, in modo da non farsi vedere da nessuno.

E finalmente era lì, davanti alla porta che aveva tanto atteso di vedere “Finalmente saprò la verità” si disse deglutendo. Aveva paura, paura di ciò che avrebbe trovato dentro. Preso un po' di coraggio bussò, aspettando lì che quasi tremava.

Quando la porta si aprì, vide Paul, in vestaglia che la guardava. Restarono qualche momento in silenzio, a guardarsi increduli. Il silenzio fu interrotto da John, che non sapeva cosa stesse accadendo -Paul, ma chi è alla porta?- Paul chiuse gli occhi maledicendo John.

-Marilyn, ora mi devi spiegarmi una cosa: cosa ci fai a Londra!?-

-Potrei farti la stessa domanda- rispose calma la figlia. Paul diede un colpo allo stipite della porta, in quel momento doveva essere a scuola e invece aveva preso il treno fino a lì -Ma per caso sei impazzita, non puoi venire qui come se niente fosse. Tu devi andare a scuola!- la rimproverò Paul.

Marilyn si stava stufando, così incrociò le braccia sul petto guardandolo arrabbiata -Ma secondo te puoi assentarti per giorni senza dire nulla!? Guarda che non esisti solo tu! E poi quando avevi intenzioni di dirmi che stavi con John?-

Paul prese la figlia e la tirò dentro, senza nemmeno pensare che John era appunto lì, nel letto...nudo.

Marilyn si guardò intorno, accorgendosi della confusione che regnava sovrana nell'appartamento. Il suo sguardo poi andò su John, che dal letto la guardava incredulo -Paul, cosa ci fa qui?- chiese mentre guardava il compagno che si sedeva sul letto. Marilyn intanto li guardava, sapeva benissimo cosa avevano fatto poco prima il suo arrivo, ma pensarci era troppo strano per lei. Era già difficile accettare la cosa e in più si trovava in una situazione imbarazzante.

-Per favore, potete vestirvi?- chiese timidamente lei guardando i suoi due padri. Loro annuirono mentre la figlia si chiudeva in bagno. Quando sentirono la porta che si chiudeva John sbottò -Lo sapevo che sarebbe andato tutto male!- si alzò andando a recuperare i suoi vestiti.

-Poteva andare peggio John. Pensa se lo veniva a sapere Linda!-

John sbuffò alzando velocemente la zip dei pantaloni. Tirò a Paul i suoi vestiti, facendogli cenno di indossarli. Non dissero più nulla, occupati entrambi a pensare a cosa avesse visto Marilyn.

Quando furono presentabili, la chiamarono. La ragazza compì qualche timido passo nella stanza. Guardò entrambi i suoi genitori, sentendosi come di troppo -Perchè non me l'avete mai detto?- cominciò subito lei. Non voleva perdere tempo con inutili frasi.

Paul sospirò cercando le parole giuste per spiegare. Ma niente, le parole non venivano fuori “Perchè proprio adesso che ne ho bisogno?” pensò mentre guardava sua figlia, che aveva compiuto quel viaggio solo per sapere la verità.

-Avevamo paura- disse John correndo in aiuto di Paul. Marilyn gli lanciò uno sguardo confuso -Ma siete i miei genitori, non vi avrei mai giudicato per questo- abbassò lo sguardo. Non si erano fidati di lei, era quello il punto.

Paul le prese le spalle portandola in cucina, dove la fece sedere su una sedia. Marilyn si contorceva le mani nervosa, cosa che aveva preso sicuramente da John, che lo faceva spesso -Sentite, le cose sono più complicate del previsto, vi farei molte domande, ma è meglio che mi raccontiate tutto dall'inizio-

I due genitori si guardarono, incerti su chi avrebbe cominciato. Come al solito era Paul quello che sapeva raccontare meglio quel genere di “storie” a sua figlia -Beh, è successo tutto ad Amburgo, è lì che ci siamo scoperti l'uno innamorato dell'altro. Siamo stati insieme per quasi dieci anni, ovviamente ci sono stati i litigi, ma non abbiamo mai smesso di amarci. Tutto cambiò nel '68, ognuno di noi stava prendendo la propria strada e ciò ci disorientò tutti. John cominciò a vedersi con Yoko, come amici inizialmente- Paul si fermò un attimo lanciando uno sguardo a John, che però rimase in silenzio -ma poi si fecero molto più intimi e...ci lasciammo-

Marilyn aveva ascoltato la storia attentamente. A quanto pare John e Paul si erano ravvicinati più che mai, con questa faccenda di Jenn, ed erano riemersi i vecchi sentimenti.

-Ma come l'ha presa la mamma?-

-Beh...non tanto bene inizialmente-

 

 

-1959- Amburgo- 04:15-

 

John spinse Paul dentro la stanzuccia buia. Avevano da poco finito di suonare e visto che non era rimasto nessuno, avevano deciso di approfittarne.

-Non hai mai suonato così bene- disse John mentre baciava il più giovane, che era caduto sul letto. Non avevano saputo resistere, non riuscivano a stare lontani per troppo tempo.

Paul si stese sul letto, lasciando che John lo sovrastasse -Non è da te fare complimenti- osservò mentre gli accarezzava la schiena. John portò la sua attenzione al collo di Paul, riempiendolo di baci, mentre sentiva che l'eccitazione saliva -E non è da te accettarli senza fare il modesto- ribatté sarcastico. Paul gli levò la maglietta, lanciandola in un qualche punto della stanza semi oscurata. Gli baciò il petto, mentre sentiva la mano di John che lentamente gli abbassava la zip dei pantaloni.

-Hey ragazzi, ma cosa fate qui...- i due si fermarono immediatamente, guardando verso il fascio di luce che illuminava la stanza. Lì, impietrita stava Jenn, che li guardava scioccata. Restarono per un momento a fissarsi, aspettando che succedesse qualcosa. Jenn sbatté gli occhi più volte -Non è possibile- disse girandosi, come per scacciare quella visione.

John si alzò immediatamente dal letto, cercando di spiegarle che non era come sembrava.

-Appunto, è anche peggio!- urlò lei correndo fuori dalla porta. I due ragazzi la inseguirono, pregandola di non urlare. Jenn si fermò guardandoli sconcertata -Potevate anche dirmelo che eravate omo- non riuscì a finire la frase che John la zittì -Ma sei impazzita!? Non urlare-

Lei scosse la testa, non aveva ancora superato lo shock e continuava a pensare che l'avessero usata per nascondere la loro relazione. John si avvicinò a lei, appoggiandole una mano sulla spalla, per tranquillizzarla. Con l'altra le alzò il viso -Hey, non devi prenderla male-

-Non devo prenderla male!? Vorrei vedere te al mio posto!- disse scansandosi da lui. John guardò disperatamente Paul, che corse in suo aiuto. Lui era il tipo che riusciva a calmare le persone, essendo calmo lui stesso, mentre John era sempre nervoso.

-Ti prego, lasciaci almeno spiegare- le disse Paul prendendole entrambe le mani. La ragazza annuì abbassando lo sguardo e permise loro di raccontarle la verità. Già quella relazione a tre era complicata di suo, poi ci si mettevano pure John e Paul con le loro venature omosessuali.

Quando Paul finì di parlare, restò per un momento col fiato sospeso, aspettando una qualsiasi reazione di Jenn. Lei infatti rimase a bocca aperta per lo stupore e si allontanò un poco da due ragazzi -Ma questo è un fottutissimo triangolo!- urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. John le tappò la bocca, non voleva che tutto il mondo sapesse della loro relazione -E lasciami!- protestò lei spingendolo via.

-Oltretutto è da entrambi i lati!-

John la guardò disorientato “Entrambi i lati?” pensò -Ma in che senso?- chiese volendo almeno capire cosa passasse per la mente di quella ragazza.

-Nel senso dell'eterosessuale e dell'omosessuale!- urlò ancora più forte di prima. John stava per impazzire, quando avrebbe capito che non doveva urlare? La prese per il braccio e la trascinò fuori. C'era ancora molta gente, per cui Jenn decise di contenersi, non voleva davvero rovinare tutto perché stare con John e Paul in fondo le faceva bene.

Paul intanto li aveva raggiunti. Sperava con tutto se stesso che Jenn si fosse calmata, e si risollevò quando la vide che parlava più tranquillamente con John -Va bene ragazzi, non dico a nessuno di questa...cosa- disse gesticolando. I due sospirarono sollevati.

Jenn si levò il cappotto e lo tirò addosso a John, che protestò animatamente -Ma perché, cazzo!?- lei incrociò le braccia piegando la testa di lato -Non so se te lo ricordi, ma sei a petto nudo-

-E non so se te lo ricordi, ma sei col costume di scena- osservò John alquanto divertito. Jenn si guardò, notando il vestito aderente e le calze a rete. Sbuffò, ma non diede cenno a volersi riprendere il cappotto. Con la sorpresa dei due, li prese per la mano, trascinandoli in quel groviglio di gente.

Li portò fino al suo appartamento. Le altre ragazze erano andate via per una vacanza e le avevano lasciato l'appartamento tutto per lei, per cui non c'era pericolo di essere scoperti.

-Ma cosa vuoi fare?- chiese John scostandosi dalla ragazza e percorrendo la stanza a grandi passi. Jenn si sedette su divano accavallando le gambe -Beh, non potevate stare lì, è più sicura questa stanza adesso- disse accendendosi una sigaretta.

Paul intanto stava dando un'occhiata in giro per il piccolo appartamento. Accendeva tutte le luci per vedere meglio le camere, si fermò sulla porta quando riconobbe la stanza di Jenn -Genesis, questa è la tua stanza?- lei per risposta alzò il pollice in segno di affermazione -Non ti dispiace se entro- lei scosse il capo, dando il permesso al ragazzo di entrare.

Paul alzò la testa girando su se stesso, lentamente, in modo da avere uno sguardo completo sulla stanza.

Notò che allo specchio erano state appiccicate varie foto. Si sedette sulla sedia guardandole una per una. La foto più in alto di tutte ritraeva una Jenn quattordicenne che sorrideva spensierata, insieme a delle sue amiche “Probabilmente le manca la vita a Londra”. C'erano anche delle cartoline dall'America, l'Irlanda, posti così insomma. Dedusse che aveva sognato di andarsene da Amburgo e che forse, si sentiva stretta in quella città.

Intanto John si era seduto accanto a Jenn, che però non riusciva a guardarlo in faccia e fumava con gli occhi persi nel vuoto. John le baciò la spalla -Ancora scioccata?- chiese mentre con le labbra percorreva la linea del suo collo. Jenn scosse la testa prendendo la mano di lui -Sono solo scocciata del fatto che non me l'avete detto-

-L'avresti sicuramente presa male- rispose John appoggiando la testa sulla spalla di lei. Chiuse gli occhi lasciando che Jenn gli accarezzasse i capelli. Era da tanto che non avevano un momento così.

-Ma lo sapevo di già, vedevo come vi guardavate, il vostro rapporto, ma saperlo così, improvvisamente...mi ha sconcertata- John comprendeva le sue ragioni, e avrebbe voluto che tutto tornasse alla normalità, ma non riusciva a stare senza Paul. Quando era riuscito finalmente ad esprimere i suoi sentimenti, era stato come se si fosse tolto un grosso peso e che potesse finalmente godere di quella felicità, di quell'amore.

La ragazza si alzò improvvisamente, esortando John di fare lo stesso. Lo portò nella sua camera, dove Paul stava guardando delle foto. Jenn si chinò a vedere di cosa si trattava e sorrise nel vedere il viso di Sophie, pochi mesi prima che partisse. La prese un momento per osservarla meglio, ricordava bene quel momento, era più felice delle altre volte perché quando stava con Sophie...si sentiva bene -Questa qui è Sophie- disse hai due indicando una ragazza alta e bionda, che rideva guardando l'obbiettivo -Due mesi dopo è partita per l'America- ricordò con tristezza. Paul si accorse di quella nota di malinconia nella voce della ragazza, così si alzò e la circondò in un abbraccio -Non devi essere triste, ci siamo noi- guardò John, che capì cosa volesse intendere l'amico, e l'abbracciò pure lui -Si, anche se le cose si stanno complicando, resteremo insieme- a quelle parole Jenn sorrise confortata.

Avevano proprio ragione, loro due avevano lo stesso effetto di Sophie, e alla fine non trovava assurdo che John e Paul si amassero. Aveva conosciuto molti uomini che alla fine si erano rivelati gay, ma era stata felice per loro, che erano riusciti ad ammetterlo almeno a qualcuno.

-Ragazzi, sono stanca, che ne dite se andiamo a dormire?- disse mentre si avviava verso il letto ad una piazza e mezzo. John e Paul si guardarono per poi annuire -Le tue amiche non lo troveranno strano?- chiese John mentre si sedeva sul letto.

-No, non ci sono-

Quando finalmente si furono sistemati comodamente nel letto, John spense la luce, essendo al lato destro del letto. Era la prima volta che dormivano tutti e tre insieme, di solito Jenn andava una volta da uno e una volta da un altro, ma in quella situazione le pareva idoneo dormire tutti assieme. Le sembrava di essere più unita a loro -Notte- disse baciando entrambi i ragazzi sulla guancia.

John la attirò a se con una gamba, suscitando la gelosia di Paul -Non è solo tua Johnny- disse scocciato il più giovane, tirandola dalla sua parte -Ma neanche solo tua- ribatté John prendendola per un braccio.

-Ragazzi, non sono un oggetto! E quindi non appartengo a nessuno, sto in mezzo apposta!- li sgridò lei.

I due annuirono mentre si insultavano sottovoce.

John appoggiò la testa sulla sua spalla, mentre Paul si era solamente limitato ad appoggiarle una mano sulla pancia. John guardò ardentemente Paul, volendo in qualche modo sentirlo, ma non poteva prendergli la mano, non con Jenn presente “Al diavolo!” pensò mentre appoggiava la sua mano su quella fredda di Paul, che sorrise a quel contatto. Jenn aprì gli occhi guardandoli divertita -Ragazzi, siamo in tre ad affrontare questa cosa- sembrava che parlasse più a se stessa, per darsi sicurezza, che a loro.

-Adesso siamo proprio un trio di amanti- commentò John. La ragazza lo guardò male, mentre Paul protestava per ciò che aveva detto -Ok, ok, quanto siete suscettibili-

 

***

 

-Scozia- 9:00-

 

-Diciamo che l'ha presa così- disse Paul terminando il suo racconto. Marilyn sorrise, come al solito i racconti su sua madre le facevano tornare il buon umore. Però ancora non sapeva cosa fare, ormai sapeva che John e Paul si amavano ancora e non poteva andare in giro a urlarlo ai quattro venti. Decise così di chiedere aiuto a loro -Ma quindi, cosa avete intenzione di fare?- i due uomini si guardarono, incerti sul da farsi. Non potevano tornare insieme, Paul aveva una famiglia e John non voleva più nascondersi, ma non sarebbe riuscito a dichiarare al mondo la sua relazione con Paul.

-Non possiamo tornare insieme- disse infine John. Il viso di Marilyn si fece spento e triste, aveva sperato in una possibile riunione dei suoi genitori -Ma perché?- chiese non riuscendo a capire per quale motivo fosse così difficile.

Paul le mise una mano sulla spalla -Non è semplice Marilyn, è stato bello ma sappiamo entrambi che non durerebbe-

-Ma invece si! Basta volerlo!- protestò la figlia guardando il proprio padre supplichevole -No Marilyn, finiremmo per litigare di nuovo e ci sarebbe soltanto dolore- le spiegò calmo Paul.

John però non diceva nulla. Non trovava nulla che potesse calmare sua figlia, perché in fondo...si trovava d'accordo con lei. Lui avrebbe voluto tornare ad amare Paul, perché sapeva quanto avessero bisogno l'uno dell'altro e quanto bello era stato.

Aveva sbagliato, ma non avrebbe ripetuto l'errore. Nella sua testa però, erano in piena battaglia pensieri contrastanti, che non gli permettevano di avere un opinione concreta in proposito. E intanto guardava Paul, che spiegava a sua figlia che aveva sbagliato a restare tutti quei giorni da lui e che sarebbe tornato immediatamente a casa.

Si ritrovò poco dopo davanti alla porta aperta, dove Paul lo guardava un po' tristemente. Non si salutarono nemmeno, e quando John chiuse la porta, si sentì infinitamente solo e triste.

Ciondolò fino al letto, dove crollò coprendosi il viso con le mani. Stava piangendo, non gli era capitato da tanto tempo di piangere per Paul. Ma non poteva scordarsi ciò che aveva detto “Finiremmo per litigare e ci sarebbe soltanto dolore”.

Cercò di nascondere i singhiozzi, che fuoriuscivano strozzati “Non sarei mai dovuto venire qui”.



 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Capitolo XI:

 

-Scozia- 11:03-

 

-Marilyn, non protestare, ci ha fatto stare in pensiero!-

Marilyn non la guardava. Da quando era arrivata a casa con Paul al suo fianco, Linda non aveva smesso un attimo di farle la predica. Paul ovviamente non aveva fatto nulla per impedirlo, troppo preso da altri pensieri.

La ragazza batté un pugno sul tavolo -Ma ti ho riportato indietro il marito! Potresti almeno ringraziarmi!-

-Non usare quel tono con me signorina!- la avvertì Linda puntandole un dito contro. Ma Marilyn era stanca, aveva sempre ingoiato tutte le prediche (anche ingiuste) di Linda e non ce la faceva più -Tu non mi dici con che tono devo parlare capito!? Tanto lo so che hai sposato Paul soltanto per i soldi!-

Aveva esagerato, lo sapeva, ma non era riuscita a trattenersi. Linda aveva assunto una faccia indignata e si stava avvicinando a Marilyn, quando Paul si mise tra le due -Adesso basta Marilyn- disse con voce ferma, senza emozioni. Marilyn si sentì mancare.

Proprio lui, lui che sapeva cosa era successo a Londra.

Si girò di scatto sentendo che le si stavano inumidendo gli occhi. Corse su per le scale evitando Mary, che era venuta a vedere cosa stesse accadendo.

Appena fu in camera, sbatté la porta e si buttò sul letto. Lasciò che le lacrime scorressero sul suo viso. Prese da sotto il cuscino la foto che le aveva dato John. Guardò sua madre, probabilmente non voleva che lei fosse infelice, ma proprio in quel momento non ce la faceva.

Nascose la faccia nel cuscino, bagnandolo.

-Marilyn- era Paul, ma la figlia non disse nulla. Lui si sedette piano sul letto, osservando sua figlia: i capelli scompigliati, le mani sottili e delicate che stringevano la foto, conosceva ogni particolare di quella creatura.

Le accarezzò i capelli, facendola smettere di piangere. Gli scappò un sorriso ricordando quanto John avesse provato a calmarla durante le sue solite scenate isteriche, ma soltanto Paul riusciva nell'intento.

-Perchè la tratti così?- chiese vedendo che si era decisa a mettersi seduta. Marilyn abbassò lo sguardo, ciò che aveva detto aveva ferito Linda e lo sapeva -Lei non è mia madre, non può darmi ordini- protestò comunque.

Paul le prese la mano comprensivo -Lo so, ma lei cerca in tutti i modi di essere una figura di riferimento per te, è normale che si preoccupi- la ragazza non disse nulla. Non voleva che Linda cercasse di prendere il posto di sua madre, non ne aveva il diritto, e non sarebbe stato lo stesso.

Paul la prese tra le braccia stringendola a lui. Marilyn appoggiò la testa sul suo torace, lasciandosi coccolare dal padre.

Lui le baciò la fronte -Vuoi che ti racconti un po' della mamma?- chiese con la voce leggermente bassa. La ragazza annuì col capo per poi ristendersi insieme al padre.

Paul appoggiò la testa vicino a quella della propria figlia, percependone il sospiro delicato e finalmente calmo, non più scosso dai singhiozzi.

-Allora, un giorno un tipo è venuto al Kaiserkellar dicendoci che aveva un ingaggio per noi al Top Ten Club- incominciò lui mentre accarezzava i capelli morbidi di Marilyn, che ascoltava rapita -Noi ovviamente accettammo, perché ci pagava di più e il posto era assolutamente messo meglio. Ma quando Koschmider lo venne a sapere, fece entrare la polizia nel locale, facendo saltar fuori che George era minorenne e che non poteva suonare oltre la mezzanotte e così lo hanno mandato via dalla Germania. Come sai, abbiamo appiccato accidentalmente fuoco al Bambi Kino, e ci hanno mandato via-

Marilyn ridacchiò un pochino. Le aveva raccontato molte volte delle mattanate che aveva fatto da giovane, descrivendole anche nei minimi particolari, ma aveva sempre omesso una persona: Jenn.

Paul le raccontò che lei fece di tutto per farli rimanere, ma Koschmider era irremovibile.

Sicuramente non sopportava l'idea di perdere nuovamente una persona a lei cara. Anche se li conosceva da poco più di un mese, erano diventati molto uniti -Continuammo a scriverci, ma non era la stessa cosa. Lei era l'unica persona che sapesse di me e John, avevamo bisogno di Jenn, perché con lei potevamo essere noi stessi-

-Ma allora cosa avete fatto?- chiese Marilyn, sapendo che pian piano si stava avvicinando l'anno della sua nascita.

Paul si passò nervoso la mano fra i capelli corvini -Noi niente, fece tutto da sola. John abitava nell'appartamento che gli aveva lasciato Stuart, quando era ancora in vita. Quando ritornammo dal nostro viaggio a Parigi, lei era lì dentro che ci aspettava. All'inizio pensammo di essere pazzi, perché non poteva essere lì, e invece si. Era seduta sul divano che stringeva la sua valigia, cenno che sarebbe sicuramente restata per un po' di tempo-

Paul lanciò un'occhiata alla finestra, che aveva scricchiolato all'ennesima folata di vento. Si stava per alzare una bella tempesta, il cantante sperava solo che non piovesse, del vento gli importava poco.

-Ma come aveva fatto ad entrare?- chiese Marilyn mentre si metteva più comoda sul letto.

-Lei ci disse che era entrata dalla finestra del bagno. Diciamo che da quel giorno si stabilì insieme a John. Quell'appartamento era diventato il nostro unico rifugio, perché sia io che John avevamo un'altra vita. John aveva Cynthia e io vivevo di relazioni occasionali. Ma in quell'appartamento, eravamo solo noi tre, che uniti affrontavamo il mondo-


                                                                       ***
 

-1961- Liverpool- 10:57

 

Jenn si girò nel letto. Non aveva voglia di alzarsi, ma quel raggio che filtrava dalla finestra le dava un fastidio tremendo.

Sbadigliò guardando la sveglia ben in vista sul suo comodino -Le 10:57- disse tra se e se. Fece per riaddormentarsi, ma sbarrò gli occhi di colpo “Le 10:57!?”.

Si alzò dal letto e corse fuori dalla sua stanza. Guardò il tavolo ma lo trovò sgombro dalla sera prima “Come pensavo, quei due non si sono svegliati” pensò mentre si avviava verso la loro camera.

Quando aprì la porta, vide che entrambi si nascondevano sotto le coperte, accecati dalla luce. Jenn si mise le mani sui fianchi, guardandoli con severità -Ragazzi, sveglia! Dovete andare a lavorare!-

-Ma che ore sono?- chiese John con la bocca impastata dal sonno.

-Le 10:57-

-Cazzo!- urlò Paul alzandosi immediatamente dal letto.

Dovevano essere al Cavern alle undici, era quello l'accordo, quella settimana avevano il turno di pranzo. In più Paul odiava arrivare in ritardo, a differenza dell'altro.

Intimò a John di alzarsi, che a fatica si tirò su in piedi -Paul, ma dove cavolo hai messo i miei vestiti?-

Paul si guardò intorno cercandoli con lo sguardo -Non lo so John, ieri non ho fatto caso a dove li ho tirati-

A quelle parole Jenn per poco non scoppiò. Gli aveva già detto che non voleva sapere nulla su ciò che facevano la notte, ma visto che abitava con loro era inevitabile -Dai ragazzi, mancano due minuti!-

I due si sbrigarono, infilandosi velocemente i vestiti che probabilmente erano dell'altro, visto che a Paul stava tutto un po' più grande -Non importa Paul, sei sexy anche con la mia roba- lo rassicurò John mentre si pettinava i capelli guardandosi attentamente allo specchio.

Paul lo abbracciò dal dietro, posandogli un piccolo bacio sul collo. John sorrise appoggiando la testa su quella di Paul.

-Piccioncini! Dovete andare a lavorare!- ricordò Jenn battendo le mani più volte.

I due andarono in cucina dove presero quel che capitava sottomano. Jenn scappò per un momento in camera sua, uscendone poco dopo vestita e pettinata.

Paul andò da lei e le prese le mani -Perfetta, come al solito- commentò appoggiando la fronte su quella di lei. Jenn gli sorrise baciandolo -Se non mi vesto a modo non mi fanno entrare in libreria-

Raggiunsero John che li aspettava alla porta. Uscirono tutti insieme, come erano soliti fare.

Jenn, da quando si era trasferita a Liverpool, aveva deciso di rimediare alla sua vita e così era andata a lavorare in libreria. Adorava quel posto e certe volte si perdeva a leggere qualche libro che la ispirava.

John si accese una sigaretta mentre camminava sicuro per la strada -Non abbiamo una scaletta- disse rivolgendo uno sguardo a Paul. Lui rimase per un po' interdetto, pensando a cosa fare -Rock Around the Clock è la prima indiscussa, poi qualche canzone di Jerry Lee Lewis, Elvis, Johnny Cash...qualche love song e ci infiliamo qualcuna delle nostre-

-Non l'avrei saputa fare meglio- commentò John con un sorriso sarcastico che gli illuminava il volto.

Si fermarono tutti e tre quando iniziava la strada che portava alla libreria. Jenn li guardò entrambi -Fate i bravi, mi raccomando- certe volte le sembrava di essere una madre, ma si divertiva in quel ruolo.

John la abbracciò per poi baciarla delicatamente -E tu invece non fare porcherie con qualche intellettuale, d'accordo?- Jenn sorrise maliziosamente spingendolo via.

Diede un'occhiata all'orologio “Oh Cristo!” pensò mentre si metteva a correre per la viuzza di pietra.

Entrando con foga nella libreria fece sobbalzare la donna occhialuta che stava alla cassa. Era molto magra e aveva moltissimo riccioli neri che andavano da tutte le parti.

Si sistemò i grandi occhiali rotondi cercando di ricomporsi -Le sembra il caso di entrare in questa maniera?- la rimproverò. Era il suo sport preferito, sembrava quasi che l'avesse assunta apposta per quello. Ma Jenn aveva subito di peggio e quindi un pochino ci stava al gioco di quella “vecchiaccia”.

Le diede subito un malloppo di libri da sistemare negli scaffali. Jenn prese rischiando di cadere la grande pila e si mise a disporli per la libreria.

 

 

-Finalmente siete arrivati!- esclamò George correndo verso John e Paul. Quest'ultimo diede un'occhiata all'orologio e notò che erano le 11:02. Erano in orario.

George li guardò comunque con disappunto -Lo sapete che il proprietario del Cavern ci tiene alla puntualità, se arrivavate qualche minuto più tardi vi avrebbe scannato-

John lo oltrepassò, lo spettacolo sarebbe cominciato a minuti. Radunò dietro le quinte tutti gli altri. Spiegò loro che avrebbero improvvisato un paio di pezzi che ormai conoscevano a memoria e la cosa sarebbe andata liscia come l'olio -Avete capito ragazzi? Forza, strumenti alla mano!-

Quando furono sicuri di essere soli nel camerino, Paul si avvicinò a John -Mi ha detto Pete che se il concerto va bene, il capo ci offre una giornata di bevute gratis- lo abbracciò da dietro, mentre lo guardava pettinarsi i capelli.

John si levò la sigaretta di bocca e la lanciò lontano nel camerino -Non pensavo che ci volesse così bene- commentò.

-Ma sai, gli affari vanno bene, perciò...- Paul cominciò a baciare il collo di John, che sorrise a quel contatto. Si girò e prese le mani di Paul perdendosi negli occhi del compagno -Lo sai Paul, hai dei bellissimi occhi- Paul arrossì abbassando lo sguardo.

John ridacchiò per la sua timidezza, che certe volte riaffiorava nell'amico. Gli prese il mento fra il pollice e l'indice, alzandolo alla sua altezza -Principessa, lo spettacolo la attende- Paul lo spintonò via ed imbracciò il basso. Facendo un cenno col capo a John, andarono dove gli altri li stavano aspettando.

Pete alzò il pollice e andò per primo sul palco, scatenando già una miriade di urletti.

A John piaceva stare sotto i riflettori, avevano un effetto rilassante su di lui. Certe volte, prima di andare sul palco aveva degli attacchi di panico e cominciava a sudare freddo, ma quando era lì, davanti al pubblico, tutto andava per il meglio. Paul a differenza sua, invece era sempre tranquillo, o forse non lo dava tanto a vedere.

Lanciò un'occhiata al pubblico, non vedeva un accidente. Bene, si poteva cominciare.

 

Dovevano essere almeno le quattro, quando Jenn sentì della gente cantare al di fuori della libreria. Rise avendo riconosciuto quelle voci.

La libreria era un po' più sotto rispetto al livello della strada e da una finestra riusciva a vedere soltanto le scarpe dei passanti.

La porta si spalancò, John e Paul tenendosi a braccetto saltellarono fin da Jenn. Paul si inginocchiò baciandole la mano -È un piacere rivederla milady- disse guardandola intrigante. John invece si limitò ad abbracciarla.

La signora Boumb, così si chiamava la proprietaria della libreria, li guardò con cattiveria trovando quelle smancerie non adatte a quell'ambiente prestigioso. Per non parlare dell'abbigliamento poco elegante dei due ragazzi.

Anche se la sfruttava, la signora Boumb aveva sempre pensato che Jenn fosse una ragazza per bene e che quindi non dovesse frequentare gente simile.

-Salve signora Boumb- la salutò John sorridendole. La signora sbuffò e tornò a sistemare delle cose alla cassa.

Jenn li trascinò entrambi dietro ad uno scaffale pieno di libri che sembravano esser lì per cadere da un momento all'altro. Lì almeno nessuno li avrebbe visti.

-Allora, com'è andato il concerto?- a lei era sempre interessata la carriera del gruppo e voleva essere sempre aggiornata sulle novità.

-Splendidamente come al solito- disse John dandosi un'aria da principe di chissà quale contea -Però...staserà non ci sarò a casa- disse mettendosi le mani nelle tasche.

Jenn li guardò contrariata -Proprio oggi che ho imparato a fare la pizza!- incrociò le braccia sul petto. John la prese per le spalle e la guardò negli occhi -Ho un appuntamento con Cynthia oggi, lo sai che devo andare- Jenn sospirò.

La ragazza di John non sapeva nulla di quel che accadeva nell'appartamento di Stuart. Per John doveva essere difficile avere due vite, ma fino a quel momento non c'erano stati problemi.

John spinse Paul verso di lei -Per questo Paul resterà con te!- esclamò divertito. Jenn sorrise a Paul e gli prese la mano -Allora, sei tutto per me oggi- disse lei sensuale. Lui le fece fare una giravolta per poi riattirarla a se -Si, mia cara- le sussurrò all'orecchio.

John li guardò con finta disapprovazione -Paul, quante volte ti devo dire di trattenere le tue voglie- rise quando Paul lo spinse scherzosamente, facendolo sbattere ad uno scaffale.

John guardò l'orologio -Oh, il tempo è volato, devo andare una donzella mi attende!- baciò sia Paul che Jenn per poi andarsene di corsa.

Gli unici rimasti si lanciarono un'occhiata, aspettando che uno dei due dicesse qualcosa.

-Devo ancora finire il mio turno quindi...- Jenn non terminò la frase e preferì andare a sistemare gli altri scatoloni pieni di libri. Paul la seguì -Posso aiutarti- disse mentre le prendeva un libro dalle mani. Jenn sorrise e acconsentì, sperando che la signora Boumb non facesse uno dei suoi soliti commenti.

Paul prese un'intera scatola di libri e la spostò vicino a se, e cominciò a disporre i libri, senza dire nulla.

Jenn si ritrovò a fissarlo, era da tanto tempo che non stava da sola con lui, anche se in verità soli non erano, visti gli occhi severi della signora Boumb che li osservava.

-Perché mi guardi?- al suono della voce di Paul lei si riscosse e cercò immediatamente di trovare una scusa -No, niente. Stavo...riflettendo ecco- disse velocemente. Paul ridacchiò avendo capito che Jenn era imbarazzata. Guardò la copertina del libro che aveva in mano e chiamò Jenn -Questo è il libro adatto per John- disse porgendole il libro. Lei lesse il titolo che a grandi caratteri diceva “Cucina per principianti”. Lo diede in testa a Paul -Dai! Sei crudele così!- lo rimproverò lei scherzosa.

Sapeva bene che John non era un genio della cucina, e che la maggior parte delle volte rischiava di dar fuoco alla casa, ma visto che era permaloso nessuno glielo faceva notare.

Passò un'oretta e ormai il sole era calato, e le strade si facevano sempre più buie. La signora Boumb picchiettò la vecchia scrivania con la penna e volse lo sguardo sui due giovani. Sorrise nel vedere che Jenn era felice, perché alla fine era quello che sperava per quella ragazza, la felicità.

-Jenn- la chiamò con uno schiocco di dita. La ragazza si girò aspettando l'ennesimo ordine che quell'arpia le avrebbe dato, ma invece si stupì -Puoi uscire prima oggi- le disse guardando Paul e facendosi intendere.

Sul viso di Jenn si allargò un sorriso che illuminò quel posto vecchio e che sapeva di legno.

Prese Paul per la mano e lo trascinò fuori dalla libreria, dopo aver ringraziato la signora Boumb ovviamente.

-Cena a casa o cena fuori?- chiese Paul costringendola a fermarsi. Lei ci pensò su -A casa, cucino io!- disse baciandolo.

Si sorrisero entrambi e Paul si lasciò trascinare fino all'appartamento.
J
enn girò su se stessa per tutta la piccola sala fino a sedersi sul divano. Paul si sedette accanto a le e cominciò ad accarezzarle i capelli, senza dire nulla, solo guardandola. Certe volte dimenticava quanto l'avesse desiderata. Ricordò la prima volta che l'aveva vista, ad Amburgo. Non si sarebbe mai scordato ciò che aveva provato in quel momento.

E adesso era lì, insieme a lui, solo loro due.

Jenn chiuse gli occhi abbandonandosi al tocco delle mani di Paul. Alla fine lui era l'unico che potesse considerare suo.

-Paul- lo chiamò lei riaprendo gli occhi. Paul continuava a guardarla, come se non si stancasse mai -Prepara la tavola e metti fuori la farina, ci vorrà un po' per la pizza- Paul la baciò e annuì.

-Io intanto mi faccio una doccia- detto questo si alzò e si avviò verso il bagno. Paul si sdraiò completamente sul divano, mettendo le mani dietro alla testa. Chiuse gli occhi volendosi riposare un po', ma qualcosa gli arrivò in faccia.

Si accorse ben presto che era la camicia di Jenn. Si alzò immediatamente e vide che lei era rimasta in biancheria intima.

Paul ridacchiò -Simuli uno spogliarello?- chiese mentre ammirava il corpo della bella ragazza che trovava di fronte -Mi ricorda i vecchi tempi- fece una giravolta improvvisando una piroetta. Paul la prese tra le braccia prima che cadesse a terra -Ma questa doccia la vuole fare da sola, signorina?- gli accarezzò i fianchi avvicinandola a se.

Lei stava per rispondere, quando la porta dell'appartamento si aprì. Riconobbe all'istante la voce di John e, sfortunatamente per loro, anche quella di Cynthia.

I due si girarono verso John, che era rimasto davanti alla porta, come per bloccare l'imminente entrata di Cynthia.

Gesticolò come un pazzo per dire a Jenn di nascondersi -Cyn, ma guarda com'è bello quel quadro- disse per dare il tempo a Jenn di nascondersi. Lei scappò nel bagno sperando che Cynthia non ne avesse avuto bisogno.

John entrando guardò male Paul -Paul, già ritornato?- chiese per sembrare il più normale possibile -Beh si, non avevo nulla da fare- Paul guardò Cynthia e le baciò la mano, come era solito fare.

Questo a John diede fastidio -Non cercare di fregarmi la ragazza, McCartney!- risero entrambi.

-Ma Paul cosa hai combinato?- chiese Cynthia indicando i vestiti che giacevano per terra. Paul sembrò preso alla sprovvista -Ehm, niente non ci fare caso- disse buttandoli via.

John intanto si avviò a prendere i soldi, che aveva lasciato sul tavolo. Il cuore di Paul ricominciò a battere normalmente, Cynthia non si era accorta di nulla per fortuna.

Si appoggiò per un momento sul divano. Un rumore di cose che cadevano fendette l'aria silenziosa dell'appartamento.

John e Cynthia si voltarono verso Paul. Il rumore veniva dal bagno “Maledetta Jenn”. Paul vide che Cynthia si stava avvicinando a lui e pensò al peggio che poteva accadere.

-Sarà stata la pila di deodoranti di Paul- obbiettò John naturalmente. Si infilò in portafoglio nella tasca della giacca e si avvicinò ai due prendendo sottobraccio la sua ragazza -Sai, Paul ha questa mania di fare una specie di torre con i suoi deodoranti, profumi o quello che sono-

Una scusa migliore non la poteva inventare!?” pensò Paul cercando di mantenere la calma.

Quando riuscì finalmente a mandarli fuori di casa, entrò furibondo nel bagno trovando Jenn che raccoglieva le cose che aveva fatto cadere -Potevi farci scoprire!- la rimproverò Paul congelandola con lo sguardo. Lei abbassò gli occhi senza dire nulla e riprese a raccogliere i suoi trucchi.

Paul incrociò le braccia sul petto guardandola severamente. Lei alzò lo sguardo, cercando in qualche maniera di intenerirlo, ma niente. Riabbassò il capo e rimise i suoi trucchi a posto per poi alzarsi.

Se ne andò dal bagno senza spicciar parola a Paul, che se la rideva sotto i baffi.

La raggiunse che era in camera sua, seduta sul letto e imbronciata.

Paul scosse la testa e le si sedette accanto -Non mi dire che te la sei presa- le accarezzò un braccio mentre la baciava sul collo. Lei annuì, senza però fermare i baci di Paul.

-Potrebbe essere- disse mentre voltava la testa verso Paul. I loro sguardi si incrociarono, e bastava quello sguardo per farsi intendere.

Lei appoggio la testa sulla spalla di Paul, che le accarezzò i capelli. Jenn chiuse gli occhi cercando di imprimere nella mente quel momento, quel momento in cui si sentiva amata.

 


Angolo Autrice:
Salve a tutti :D
Metto adesso il nuovo capitolo perchè la prossima settimana sarò molto impegnata.
Non so cosa pensare di questo capitolo, da una parte...beh non succede nulla, ma da un'altra si da uno sguardo alla vita dei tre. Quindi aspetto dei vostri pareri in proposito.
Voglio ringraziare Chiara_LennonGirl06 e GaaraIstillloveyoubaby per aver recensito il precedente capitolo, e Kia85 che ha iniziato a leggere la storia e mi sta dando degli ottimi consigli ^^

With Love
Goldenslumber14

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Capitolo XII:

 

-Liverpool- 10:00-

 

Paul aspirò a pieni polmoni quell'aria familiare, quell'aria che sapeva di casa. Faceva sempre uno strano effetto tornare in quella città, dove tutto era iniziato.

Sentì che Marilyn lo stava tirando per il cappotto -Papà, perché mi hai portato a Liverpool?- chiese nuovamente. Per tutto il viaggio aveva sempre fatto quella domanda, ma Paul non le aveva mai risposto.

-Tu seguimi e basta- le prese la mano trascinandola per quelle strade che da moltissimo tempo non percorreva. Si fermò davanti ad una chiesa, il suo cuore ebbe un sussulto al ricordo di quel giorno.

Prese un bel respiro ed entrò nel giardino della parrocchia. Marilyn la riconobbe, la St. Peter Church.

Non era più come Paul la ricordava, il giardino si era fatto più incolto e una pianta rampicante aveva avvolto la parrocchia, dandole l'aspetto di una casa abbandonata.

Paul si avviò nel giardino -Lo sai cosa è successo qui?- chiese. Marilyn sorrise, certo che lo sapeva -Hai incontrato John-

-Esatto, ed ero proprio qui- si fermò in un punto, per Marilyn indistinto, del giardino restando con lo sguardo fisso davanti a se.

Chiuse gli occhi e fu come se fosse di nuovo lì. Sentiva le risate, il sole che gli batteva sugli occhi e la sua voce, non l'avrebbe mai scordata.

Marilyn lo raggiunse. Si sedette sull'erba e provò ad immaginare la scena. Paul che guardava rapito il teddy boy sul palcoscenico, e John che con quell'aria strafottente suonava la chitarra con gli accordi del banjo.

Paul aprì improvvisamente gli occhi e guardò sua figlia. Si sedette accanto a lei, senza però dire niente, ma ai due non dispiaceva stare qualche momento in silenzio.

-Secondo te rivedremo John?- a quella domanda Paul si voltò verso la figlia. La strinse a se comprendendo cosa voleva dire distaccarsi da una persona cara -Si, vedrai che si rifarà vivo- in verità Paul non era affatto sicuro di quel che diceva. John era capace di sparire senza dare più sue notizie per moltissimo tempo, ma non voleva che accadesse.

Paul si alzò improvvisamente prendendo Marilyn per mano -Papà, che succede?- chiese lei mentre lo seguiva.

-Dobbiamo andare in un altro posto-

Camminava velocemente per non farsi riconoscere dai passanti, ma era quasi impossibile. Molti lo riconobbero e subito chiesero un suo autografo. Paul non riusciva mai a dire di no, un po' perché aveva un carattere buono e un po' perché doveva ai suoi fan il successo dei Beatles.

Marilyn lo prese per la giacca -Ci conviene prendere l'autobus- Paul annuì e scappò alla fermata degli autobus.

Appena arrivò pagò in fretta il biglietto per poi rintanarsi al piano superiore. Quando finalmente si sedette si lasciò andare in un gran sospiro di sollievo. Sua figlia lo guardò per poi scoppiare a ridere.

-Perchè ridi?-

-Sei buffo quando scappi dai fan-

Paul lasciò cadere la testa all'indietro, cercando di nascondere quel sorrisetto che gli era spuntato in viso. Tornare a Liverpool era stata una pazzia, lo sapeva benissimo che se si fosse sparsa la voce sarebbe stato aggredito.

Marilyn intanto guardava le case che scorrevano veloci. Non si ricordava molto di Liverpool, ci era stata poche volte -Ma perché non mi portavate a Liverpool?- Paul non sapeva cosa dire, John voleva starci il meno possibile anche se l'adorava -Non lo so, probabilmente per il lavoro-.

Quando scesero erano nel centro di Liverpool. A Marilyn piaceva quella parte di città, perché era molto rumorosa e le ricordava quando abitava a Londra.

Lei aprì la sua borsa e ne tirò fuori un paio di occhiali da sole e un cappello, che diede a Paul -Almeno ci avremo provato- disse trattenendo una risata.

-Sono così ridicolo?- chiese Paul cercando un vetro dove specchiarsi. Marilyn lo spintonò scherzosamente.

Paul era sicuro di se mentre camminava per quelle vie, come se non le avesse mai abbandonate. Ormai erano dentro di lui e avrebbe potuto camminare anche a occhi chiusi.

Quando arrivarono all'inizio della Matthew Street, Marilyn capì dove voleva portarla suo padre. Il luogo dove tutto era cominciato, i Beatles erano cominciati.

Il Cavern Club.

Rimasto famoso nella storia solo grazie a loro.

A Paul quel posto scatenava una marea di ricordi, dei ragazzi, di John. Soprattutto di John.

Mentre scendevano le scale si poteva sentire la musica che pian piano si faceva più potente. Era questo l'effetto del Cavern, fuori nulla, ma dentro si scatenava l'inferno.

Paul fu costretto a togliersi gli occhiali da sole. Sul palco c'era un altro gruppo, e lui immaginò i Beatles, nuovamente lì.

Marilyn notò subito l'espressione nostalgica di Paul -Mi offri qualcosa?- disse quindi per risvegliarlo. Il padre acconsentì ed andò al bancone.

Inizialmente la ragazza che lavorava lì non lo riconobbe e infatti chiese cosa volesse senza problemi, ma quando lo sentì parlare -Ma lei è- Paul la zittì. In quel caos se l'avessero scoperto sarebbe stata la fine -Sono in incognito- scherzò lui mentre la ragazza andava a riempire un bicchiere di birra per poi andare a prendere una bottiglietta di Coca Cola.

-Grazie- disse cordialmente pagando. Prima di ritornare dalla figlia lanciò un occhiolino alla ragazza che per poco non cadde per terra.

-Perchè tutte queste smancerie con quella?-

-Se non le avessi fatte adesso saremmo assediati dai fan-

Marilyn bevve un sorso di Coca -Ma adesso mi spieghi perché mi hai portato qui?-

Paul sospirò guardando nuovamente il locale -Pensavo che sarebbe stato più bello raccontare la storia proprio qui, in uno dei luoghi che la caratterizzano-

Marilyn accavallò le gambe -Beh, allora vai, non aspettavo altro-

 

 

-1961- Cavern Club (Liverpool) -15:50-

 

-John, cosa voleva quel tipo?-

-Quale tipo?-

-Dai, quello in giacca e cravatta-

John si voltò verso il suo amico o avrebbe dovuto chiamarlo amante? Era almeno un anno che stavano insieme, tra litigi e scontri vari, ma finivano sempre per far pace.

-Ah, dici Epstein. Era parecchio strano, ci ha detto di andare nel suo studio domani- si sistemò con il pettine quella strana pettinatura che si era fatto ad Amburgo, non pensava che gli donasse tanto, ma gli altri gli avevano detto il contrario.

Paul si avvicinò al compagno -Ancora non sei convinto vero?- disse appoggiando la testa sulla sua spalla. John scosse la testa.

Il più giovano gli prese le spalle, costringendolo a voltarsi -Hey, tu stai bene con tutto, ricordalo- quel complimento fece sorridere John. Nella sua vita aveva ricevuto più rimproveri e insulti che complimenti e Paul sembrava l'unico ad averlo capito. Ogni volta gli ripeteva che aveva fatto una splendida esibizione e John si atteggiava come se fosse logico, ma in realtà gli faceva piacere.

John si sedette su una sedia sbilenca, che sembrava stesse per cedere. Lo stesso fece Paul, appoggiandosi sulle ginocchia dell'altro.

John aveva notato che Paul era stranamente nervoso, ma non riusciva a spiegarsi il perché.

-John-

La voce di Paul era tremolante, come se stesse per dirgli che stava morendo. John lo circondò con le braccia -Cosa c'è Paul?- il più giovane sospirò. Stava diventando rosso “Ma perché devo fare sempre così?” si chiese.

-John, è più o meno un anno che continuiamo con questa cosa e io...- John si fece attento -Vuoi tirarti fuori?- chiese con tono cupo.

Paul strabuzzò gli occhi -No, certo che no, è solo che...io ti amo, anche quando fai lo stronzo e mi tratti male, io continuo ad amarti. Forse penserai che sia stupido ma-

-Io non penso che l'amore sia stupido- quell'osservazione fece rimanere Paul un po' disorientato. John lo canzonava sempre per il fatto che fosse molto sentimentale, a differenza sua, ma in quel momento non sembrava più lui. Era questa la bellezza di John, quella di saper cambiare.

Paul si mise una mano in tasca -Ti conosco bene John, e posso dire che da quando ti conosco la mia vita è cambiata e credimi, vivrei tutti i dolori della mia vita ancora una volta, solo per incontrarti- a John cominciavano a pizzicare gli occhi. No, non poteva piangere davanti a Paul “Non piangere, stupido, non piangere”.

-Quindi...volevo darti questo- Tirò fuori dalla tasca un piccolo anello. John prese quasi un colpo al cuore quando lo vide, ma si accorse ben presto che non era una fede per sua fortuna. Lo prese tra le mani e lo guardò luccicare -Beh, cosa dovrei dire?-

-Niente, devi solo tenerlo legato al collo con questa- Paul teneva in mano una corda per la chitarra. Gliela legò al collo insieme all'anello -Guarda- disse facendo vedere che portava al collo la medesima cosa.

John non resistette più e si alzò di scatto voltandosi contro alla parete. Provò ad asciugarsi quelle lacrime, ma non ci riusciva. Perché solo Paul riusciva a farlo sentire cosi?

Paul lo raggiunse -Johnny? Stai piangendo?- gli appoggiò una mano sulla spalla, ma l'altro non disse nulla.

Quando John si girò, Paul notò subito un leggero rossore intorno agli occhi. -Non mi stai chiedendo di sposarti vero?- si misero a ridere entrambi. Come al solito John cercava di sfuggire da quella situazione.

-Dai, vieni qui, romanticone del cazzo- gli prese la testa fra le mani e lo baciò. Paul lo strinse a se facendo aderire i loro corpi. Era incredibile il legame che c'era fra i due. Erano stati per lo più amici, ma poi il tutto si era evoluto.

John passò una mano fra i capelli corvini di Paul, guardandolo con dolcezza. Lo amava, si proprio così e non avrebbe voluto essere con nessun altro in quel momento.

Paul gli prese la mano -Ma Jenn? Come la prenderà?- quella era la domanda che da un po' di tempo si stava facendo l'altro. Alzò lo sguardo in cerca di una risposta “Non posso comunque abbandonarla” pensò.

-Tu la ami ancora Paul?-

-Si, ma non è lo stesso sentimento che provo per te...è strano da spiegare- John capiva benissimo. Tutto quello era strano, era strano che lui stesse con un ragazzo ed era strano che convivesse in una relazione a tre.

Paul si mise le mani in tasca abbassando lo sguardo -Non possiamo comunque dirle che non le vogliamo più bene, perché non è vero e lo sai anche tu-

John si sedette nuovamente sulla sedia -Vedrai che non la prenderà male, ha un carattere forte e sa cosa c'è fra noi due...a dirla tutta è anche l'unica a saperlo- Paul annuì all'osservazione dell'amico.

Jenn intanto li stava cercando per tutto il Cavern. Dopo l'esibizione George e gli altri se n'erano andati e soltanto quei due erano spariti.

Forse sono ancora nel camerino”

E infatti aveva visto giusto, erano proprio lì.

Fece per entrare, ma si fermò guardandoli dal piccolo spiraglio. Anche se la visuale era ridotta riusciva a vedere i due che parlavano. Paul si rigirava tra le dita un anello “Ma cosa è successo?” si domandò lei. Non volle però interrompere la loro conversazione.

Si sedette e cercò di capire cosa si stessero dicendo “Grace Genesis Allen, sai benissimo che non si deve origliare!” ma la curiosità era più forte di tutti i suoi buoni propositi.

-Adesso che abbiamo l'anello, ci mancherebbe solo un figlio e siamo a posto- Paul lo guardò serio, non aveva gradito la battuta. Sapevano benissimo entrambi che la loro relazione aveva dei limiti, ma John ogni volta ci scherzava su -Avanti Paul, era solo uno scherzo- gli mise una mano sulla spalla, ma lui la allontanò -Lo sai che mi da fastidio quando scherzi su queste cose-

-Ma Paul, anche se volessi non sarebbe possibile...e poi sarei un pessimo padre- abbassò lo sguardo sospirando. Non si vedeva per niente nel ruolo di un padre, era troppo irresponsabile e se non si sapeva prendere cura di una pianta figuriamoci di un essere umano!

Paul si girò verso di lui -Non è vero John e lo sai. Solo perché tuo padre non ha saputo fare il suo dovere, non significa che anche tu farai così- si avvicinò a John arrivando a pochi centimetri dal suo viso -Perchè io ti conosco, e so che non sei solo uno stronzo irresponsabile-

John sorrise. Un sorriso che avrebbe illuminato le strade di notte, il sorriso che Paul amava.

-Ma come lo chiameresti?-

-Non so...Elvis magari-

-Dai, non dire cazzate!-

Risero entrambi.

Ma Paul ci pensava, al figlio. Avrebbe voluto veramente averne uno da educare insieme a John? Dopotutto erano giovanissimi, non ce l'avrebbero fatta. E gli altri, cosa avrebbero detto?

Fanculo gli altri!”

-Comunque, se fosse possibile, a me piacerebbe- disse tutto d'un fiato Paul. John lo guardò strano -Ne sei sicuro?-

-Si. Te lo immagini, un piccolo Beatle- John incrociò le braccia. Restava comunque il fatto che non fosse fisicamente possibile per loro due, e di adottare un bambino all'orfanotrofio... “Nah, non se ne parla”.

Jenn aveva ascoltato tutto. Era rimasta sbalordita dalla convinzione di Paul, che sicuramente avrebbe contagiato anche John.

Ma come potrebbero fare?” Jenn pensò e ripensò ad una possibile soluzione. Non riusciva a trovare una risposta a quell'interrogativo. Ad un certo punto il corso dei suoi pensieri si fermò. Un'idea, le era balenata nella mente “Io. Potrei essere io la madre. Realizzerei il loro sogno e sarebbe un modo per ringraziarli per tutto quello che hanno fatto per me”. Non c'era altra soluzione.

Si alzò da terra, decisa più che mai, ed aprì la porta -Io vi darò un figlio!-

John e Paul la guardarono stralunati, non si erano accorti che li stava spiando da un po' e quell'entrata li aveva lasciati basiti -Cosa?- disse John.

-È un modo per ringraziarvi di tutto quello che avete fatto per me- Jenn non capiva, aveva trovato la soluzione, come mai allora quest'insicurezza.

John la prese per le braccia -Jenn, non devi rimanere incinta solo per ringraziarci, perché poi non è Paul che deve partorire, sei tu-

-Aspetta, perché io dovrei partorire?- Paul mise le mani sui fianchi guardando il suo compagno malissimo -Beh, perché sinceramente tu sei più femminile di me, e non mi stupirei se un giorno tornassi a casa con delle tette- Paul gli diede un colpo in testa per poi spingerlo via.

Jenn sbuffò, era difficile prenderli in un momento di serietà -Ragazzi dico sul serio. Per me non è affatto un problema, anzi! Farei di tutto per la vostra felicità-

-Ma non questo. Poi potresti pentirtene, cosa ne sai se vuoi avere figli?-

-Senti John, io voglio avere dei figli. Ma non voglio che il padre sia un uomo all'infuori di voi due. Perché grazie a voi ho trovato un equilibrio stabile. La verità è che non so se questo equilibrio lo troverò anche con qualcun altro-

Le parole di Jenn erano vere, venivano dal cuore. Infatti li fece riflettere parecchio. Ma avevano entrambi paura di quel che sarebbe accaduto, di come si sarebbero comportati.

Fu Paul a prendere parola per primo -Ok, ma solo se vuoi tu, se vorrai tirarti indietro, giuro che capirò-

-Non ce ne sarà bisogno Paulie, perché non mi tirerò indietro-

 

 

-Liverpool- 10:15-

 

-Ma quindi poi cosa è successo?- chiese Marilyn che ormai giocherellava con la bottiglia vuota.

Paul si schioccò le dita di entrambe le mani -Eravamo tutti in fermento perché era una novità. Le domande erano tante, dove ti avremmo messo quando saresti nata e chi, soprattutto, sarebbe stato il padre-

Ecco, quello che Marilyn aspettava da anni. Paul le leggeva negli occhi la voglia di sapere -Ma lei non voleva lasciare fuori nessuno, così si affidò al caso-

-Cosa?-

-Si, in pratica andò a letto con entrambi-

Marilyn restò a bocca aperta. Non pensava che sua madre si fosse spinta fino a quel punto solo per avere lei.

-Ma quindi, come fate a sapere chi è il padre?-

-Devi avere pazienza, che ci arrivo-

Decisero di uscire dal Cavern. Dovevano tornare a casa, visto che Linda li aspettava per quel pomeriggio.

-Papà, ma cosa si fa per Natale?- chiese la ragazza mentre camminavano per il marciapiede. La scuola sarebbe finita fra pochi giorni e Marilyn non vedeva l'ora di entrare nelle vacanze natalizie, per avere finalmente un po' di riposo.

Paul scaldò le sue mani nelle tasche della giacca -Non so, si invitano i ragazzi?- la sua era una domanda retorica. Sapeva benissimo che Marilyn non vedeva l'ora di vederli -Davvero? Fantastico!- improvvisò un balletto per la strada, costringendo Paul a ballare con lei.

-Ok, ok. Allora poi li chiamo-

-Sarà fantastico!-

 

-Londra- 18:00-

 

John tirò un'altra boccata di fumo che si sparse per la stanza. Da quando Paul se n'era andato non era più in se. Beveva e fumava più del suo solito ed ogni sera girava per strada ubriaco.

Mi sto distruggendo” pensò mentre guardava il fumo fare dei strani disegni nell'aria.

Il telefono squillò, ma non aveva per niente voglia di rispondere. Rimase quindi lì, sulla poltrona davanti alla finestra. Sotto di lui la città era in pieno movimento e tutti preparavano i negozi per il Natale.

Quando il telefono finì di squillare partì il messaggio in segreteria -John, sono Yoko. Quanto starai ancora in Inghilterra? Sai, fra poco è Natale e mi sarebbe piaciuto averti a casa. Mi manchi-

John ridacchiò maligno -Adesso quindi ti manco eh?- fece schizzare via la sigaretta ormai finita e se ne accese un'altra.

Si alzò e prese tra le mani il 33 giri di Abbey Road. Lo esaminò a fondo, era stato l'ultimo disco dei Beatles.

Lo mise nel giradischi ed aspettò che partisse Come Together. Era molto tempo che non ascoltava un loro vecchio disco, sembrava passata un'eternità.

Si ritrovò a battere il tempo con il piede “Sono proprio senza speranza” pensò mentre canticchiava.

Dopo la prima canzone decise di passare a Oh Darling. Sapeva che sarebbe stato un duro colpo risentirla, risentire la voce disperata di Paul. Sapeva che quella canzone l'aveva scritta per lui “Ma visto che sei uno stronzo insensibile non hai detto nulla, vero Lennon?”. Si era incolpato più e più volte del legame interrotto con Paul.

John attraversò a passi lenti la stanza, ascoltando la canzone, che gli faceva riemergere tantissimi ricordi. Non erano belli. Ricordava Marilyn, che aveva cominciato a guardarli diversamente, sapendo anche lei che qualcosa era cambiato.

Il telefono squillò di nuovo. John non si scomodò nemmeno ad abbassare il volume della musica ed andò a rispondere.

-Pronto?-

-John sono Paul-

Rimase di sasso risentendo la sua voce, non si aspettava per nulla una sua telefonata -Beh, cosa ti ha indotto a chiamarmi?-

-John, sai benissimo che non puoi sempre sparire senza più dare tue notizie! Non tanto per me, che ci sono abituato, ma per nostra figlia. Pensavo che almeno a Marilyn avresti concesso l'onore di sentire la tua voce, ma a quanto pare mi sbagliavo-

John sapeva che Paul aveva ragione, il suo comportamento non aveva scuse -Beh, cosa avrei dovuto fare? Tornare da te in Scozia facendo finta che nulla fosse accaduto? Forse non ti ricordi, ma abbiamo fatto sesso Paul!-

-Questa non è una scusa-

-Falla meno lunga McCartney, perché mi hai chiamato?-

-Marilyn ti vorrebbe qui a Natale-

John giocherellò con il filo del telefono. Aveva paura di rispondere di si, perché avrebbe rivisto Paul, ma non poteva rispondere negativamente -Ok vengo, ma ci sono anche gli altri vero?-

-Si...ma stai ascoltando Oh Darling?- anche se non aveva Paul davanti, John arrossì violentemente -Beh, si...qualche problema?-

-No, certo che no-

Ci fu un momento di silenzio. Nessuno dei due sapeva cosa dire. La canzone intanto continuava e Paul dall'altro capo del telefono non riuscì a non pensare a quel periodo. John all'epoca era tutto preso da Yoko e lo aveva lasciato, Paul aveva cercato inutilmente di convincerlo ma ormai il rapporto era stato rotto ed ogni tentativo di ricongiungersi era stato disastroso.

John batteva le dita sul comodino del telefono -Sai Paul, Yoko ha ricominciato a chiamarmi- Paul ne rimase sorpreso, pensava che ormai fosse tutto finito, ma si sbagliava.

Peccato” si ritrovò a pensare.

-Si vede che le manchi. Dopo anni ed anni passati a sopportarti anche a me sei mancato-

-Ma come sei sentimentale- lo canzonò John sbattendo più volte gli occhi con fare civettuolo, come se avesse Paul davanti. Infatti lui rise, contagiando anche il più grande. Non c'era niente di meglio della risata di Paul -Allora ci si vede a Natale?-

-Si, a Natale-






Angolo Autrice:
Salve a tutti, rieccomi con un nuovo capitolo :D
Anche questo potrebbe essere un capitolo corridoio (ma quanto dura 'sto corridoio?) ma visto che si ha "l'idea", chiamiamola così, di Marilyn...non saprei.
Ringrazio Kia85, che continua a seguire la storia e a darmi consigli, e ChiaraLennonGirl06 che con i suoi complimenti mi fa sciogliere.

With Love
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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Capitolo XIII:

 

-Scozia- 13:05-

 

Quando Marilyn sentì battere alla porta saltò giù dal divano e corse ad aprire. Era emozionatissima.

-Marilyn!- Ringo la abbracciò forte accarezzandole i capelli -Come stai?- chiese dandole delle pacche sulla spalla -Bene, bene. Su, entra...ma dove hai lasciato George?-.

Ringo si tolse giacca e sciarpa e li appese all'appendiabiti -È fuori a prendere i regali- disse con semplicità. Vide con piacere che sul viso della ragazza si era allargato un bellissimo sorriso.

Era passato tantissimo tempo dall'ultima volta che l'aveva vista. Se la ricordava ancora bambina, mentre adesso sembrava già una donna. “Come cresce in fretta” pensò mentre si addentrava nella casa.

Paul spuntò dalla cucina e quando vide Ringo sembrò come illuminarsi. Andò ad abbracciarlo. Anche se non si vedevano da tempo era come se nulla fosse cambiato.

-Come va? Ho sentito che ti sei trasferito a Los Angeles- lo prese per le spalle. Ringo alzò lo sguardo -Si, sono nel periodo degli spostamenti- rispose ridendo.

Marilyn intanto era corsa ad apparecchiare la grande tavola nella sala da pranzo. Le grandi vetrate permettevano di vedere il paesaggio innevato della Scozia.

La ragazza prese i piatti che le stava passando Heather. Aveva dei jeans e una camicetta bianca da cui si poteva vedere una bellissima collana, che le aveva prestato Linda -Ma come siamo eleganti- commentò infatti Marilyn.

Heather si guardò gli stivaletti che portava ai piedi -Secondo te sto bene?-.

Lei adorava Marilyn, la considerava una figura di riferimento e molto spesso cercava il suo aiuto.

Marilyn la osservò con occhio critico -No, non stai bene- gli occhi di Heather si abbassarono tristi -Sei meravigliosa, e non devi chiederti certe cose. Io vorrei essere come te- le disse dandole una pacca sulla spalla.

-Davvero?-

-Ti ho mai mentito?-

Heather incrociò le braccia -Beh, quella volta che..- Marilyn le tappò la bocca con un dito -Ok, si ti ho ho mentito qualche volta, ma mai su queste cose. E ora va', è arrivato George con i regali-.

Mary lo aveva già assalito e pensava che fosse Babbo Natale. Continuava a tirargli i pantaloni per attirare la sua attenzione -Tu sei Babbo Natale!- diceva.

George chiese aiuto a Paul solo con lo sguardo. Il padre rise vedendo la faccia disperata dell'amico e andò a prendere Mary. La bambina rise guardando Paul e poi indicò di nuovo George -Babbo Natale-.

-Tesoro, ma quello è lo zio George, non lo riconosci?-

Mary incrociò le braccia sul petto -No, è Babbo Natale- George si mise a ridere dandole un regalo -Hai lo stesso carattere di tuo padre-. Paul lo guardò male, come per dirgli “dopo ti ammazzo”.

Marilyn li stava fissando appoggiata allo stipite della porta. Era bello vederli di nuovo insieme, vedere la sua vera famiglia di nuovo unita. Perché se anche lei era figlia di John e Paul, era anche figlia di Ringo e George, funzionava così con i Beatles.

-Mi ricordo quando io ero il tuo Babbo Natale- Marilyn alzò gli occhi. Anche Ringo li stava guardando, e forse ripensava al passato -All'inizio durante i tuoi primi Natali era John a farlo, ma dopo si è stancato...e così ho preso il suo posto-

Marilyn notò che c'era della commozione nei suoi occhi -Sei sempre il migliore zio Ringo- lo abbracciò.

Linda chiamò i ragazzi a tavola, ma per Paul non era ancora il momento “Manca John” pensò mentre guardava speranzoso la porta. Aveva detto che sarebbe venuto.

Stette un po' lì, ma poi sospirando se ne andò nella sala da pranzo. Sembrava che nessuno si fosse accorto dell'assenza di John, o almeno facevano finta di non accorgersene.

Si sedettero tutti alla grande tavola cominciando subito a chiacchierare. Marilyn li ascoltava rapita, era sempre così ogni volta che si vedevano. Raccontavano sempre qualcosa del passato, un aneddoto divertente -Ti ricordi quando siamo andati a Parigi?- chiese George mentre affettava del pane.

-Certo che lo ricordo. Tutti quei ragazzi che ci rincorrevano, e noi che ci aspettavamo le Brigitte Bardot- si misero a ridere tutti e tre.

-Il più urlato era Ringo. Devo ammettere che avevi molto più successo sull'altra sponda, non hai mai pensato di cambiare?- alle parole di George Ringo appoggiò delicatamente le posate sul tavolo. Socchiuse gli occhi per poi guardare George -Ringrazia che siamo in casa di Linda e che quindi non possa prenderti a forchettate-

L'intera tavola esplose in una sonora risata -Ma perché ridete tutti?- chiese il batterista mentre si metteva a ridere, essendo contagiato. Marilyn cercò di prendere respiro per rispondere -Nessuno ti vede a prendere George a forchettate-.

Tutto poi si calmò e ripresero i racconti. Marilyn rimase sorpresa quando Ringo e George iniziarono a parlare di sua madre.

Fino a quel momento aveva solo sentito la campana di John e Paul, quindi per lei quella era un'esperienza nuova.

George bevve un sorso d'acqua -Sai, fu la prima donna ad assistere alle nostre registrazioni in studio- disse -Non interveniva molto sul nostro lavoro, preferiva starsene in disparte a guardare. Solo durante le pause veniva a farci un saluto e a dirci come secondo lei era andata la registrazione-

Ringo annuì pulendosi le labbra col tovagliolo -Si, il bello fu quando un giorno la vedemmo col pancione che girava per lo studio. Non ci eravamo per niente accorti del fatto che fosse incinta e fu un vero shock per noi- Marilyn sorrise. Come al solito Ringo aveva la testa per aria “Ma come si fa a non accorgersi che una donna è incinta?” si chiese mentre scuoteva la testa rassegnata.

-Quando poi ci trasferimmo tutti quanti a Londra per il lavoro, anche lei ci seguì. John le comprò una casettina nel quartiere più tranquillo che potesse trovare- aggiunse George.

La ragazza notò che stranamente Paul era rimasto in silenzio, mentre sentiva parlare di Jenn. Suo padre non era un uomo timido, o almeno non con i Beatles visto che ci aveva passato una gran parte della sua vita.

-Stava con noi tutti il giorno e finché non si finiva di registrare non tornava a casa, e quindi restava lì anche la notte-

 

                                                                         ***
 

-1962- Londra (Abbey Road Studios)-

 

Appoggiò la testa sul pianoforte nero e sbatté le palpebre per restare sveglia. Lottava contro il sonno da giorni, lo faceva per restare con John e Paul il più possibile; ma la notte ci si metteva pure il bambino, che aveva cominciato a muoversi e a non darle pace.
Il dottore le aveva detto che poteva sentire i rumori esterni e quella notizia aveva reso John e Paul ancora più felici.

Quest'ultimo stava discutendo con i ragazzi, ma il suo sguardo scivolò su Jenn. Era stanchissima e la capiva.

Andò vicino a lei inginocchiandosi per essere alla sua altezza. Non poté fare a meno di fissare il pancione. John gli diceva che era troppo apprensivo e che avrebbe finito col soffocare il bambino. “Sempre il solito stronzo” pensò mentre lo accarezzava, sperando che il bambino potesse sentirlo.

Jenn gli sorrise -Dicono che i bambini quando nascono riconoscono le voci che avevano già sentito- gli accarezzò i capelli appoggiandogli la testa sulla pancia -Ascolta-. Paul sentiva che dentro qualcosa si stava muovendo, ma erano rumori indistinti che non riusciva a classificare come movimenti.

John, accortosi dell'assenza di Paul, si avvicinò ai due -Non sentirai mai nulla così-

-Ecco il solito rompipalle!-

-Paul! Il bambino ti sente-

-Ah, giusto. Scusa-

John si mise a ridere -Imparerà subito l'essenziale del linguaggio- si accovacciò anche lui e diede dei leggeri colpetti alla pancia -Sta a guardare- disse sottovoce a Paul.

Entrambi ne sentirono altri due in risposta ed estasiati si guardarono. Forse l'idea di diventare genitori non era così malvagia, per ora andava tutto liscio.

Lo sguardo di John si stava addolcendo, e Paul poté finalmente vedere il vero John, quello che conosceva lui. Gli mise una mano sulla spalla e si scambiarono una sguardo che valeva più di mille parole.

Erano emozionati, ormai non mancava più tanto al parto.

Arrivarono anche i rimanenti Beatles, ormai stanchi di provare -Hai sonno?- chiese George. Jenn annuì tirandosi su dal pianoforte -Si potrebbe anche andare che dite?- i Beatles ci pensarono.

C'era ancora da rifinire un pezzo e John odiava lasciare le cose incompiute, ma era stanco anche lui.

-Va bene, ma prima proviamo ancora una volta, una soltanto- i ragazzi acconsentirono e tornarono alle loro postazioni.

Paul prima di andarsene baciò delicatamente la guancia di Jenn -Grazie- le sussurrò all'orecchio e poi tornò vicino ai ragazzi.

Il suono delicato delle chitarre risuonò ancora nello studio. Jenn chiuse gli occhi lasciandosi andare a quel vortice di parole e note. Si rendeva conto forse solo ora di quanto fossero bravi i Beatles. In effetti “Love me do” era salita in fretta in cima alle classifiche, ma secondo George Martin era ancora troppo presto per cantar vittoria.

Batteva le dita a tempo sul pianoforte e pensava a suo figlio “Si ricorderà di queste melodie, delle loro voci”.

Quando i Beatles terminarono, misero gli strumenti al loro posto e si avviarono verso l'uscita.

John la aiutò ad alzarsi, porgendole il braccio. Andarono entrambi a mettersi i cappotti.

Fuori faceva freddo, da un po' di giorni continuava ad esserci quel vento fastidiosissimo, che spettinava i capelli di Jenn facendoli assomigliare ad un cespuglio.

-Questo vento del cazzo!- imprecò lei mentre cercava di tenersi il cappello sulla testa. John si mise a ridere -Non dire queste parole davanti a tuo figlio-

Jenn sbuffò e alzò gli occhi al cielo -Senti John, sono 8 mesi che porto in pancia la creatura, quindi lasciami imprecare quanto cazzo mi pare! Per dio!-

-Ecco che cominciano gli sbalzi d'umore- commentò George mentre apriva la portiera della sua macchina. Jenn socchiuse gli occhi guardandolo male -Cosa intendi dire Harrison?-

John cercò inutilmente di distrarla da quel che aveva detto George. In effetti aveva ragione, era diventata parecchio suscettibile in quegli ultimi mesi.

Jenn si avviò alla macchina di Paul -Ma non è vero! Diglielo John che non sono isterica!-

John la prese per le spalle e la costrinse ad andare in macchina -No Jenn, non lo sei- disse con tono ironico mentre salutava gli altri con un cenno del capo.

John si sedette accanto a Paul, che si era messo alla guida della macchina. Si lanciarono uno sguardo, quella sera avrebbero volentieri dormito da Jenn.

-So cosa volete fare- disse lei avendo intuito i loro piani -Ma tu John, devi avvertire Cynthia-.

John sospirò. Si erano sposati frettolosamente, troppo per i suoi gusti. Non aveva neanche avuto il tempo per comprendere la cosa che BAM si era ritrovato davanti al giudice, promettendole amore eterno.

Lui le voleva bene, molto anche, e certe volte sapeva di essere stato possessivo e ingiusto nei suoi confronti, ma non si sarebbe mai immaginato di sposarla. Ma non aveva potuto fare altrimenti, visto che era rimasta incinta.

Quando Jenn lo aveva saputo lo aveva mandato al diavolo più volte, non tanto per il bambino, ma perché Cynthia avrebbe dovuto sopportare quel peso.

-Ma avete più o meno la stessa età- le aveva detto John.

-Ma un conto è volerlo e un conto è essere costretti a volerlo perché non si ha altra scelta-.

Le due si erano pure conosciute e quindi Jenn si sentiva in dovere di difenderla.

John girò la testa verso Jenn -Ok, ok, la chiamo e le dico che sono da Paul- la donna sembrò soddisfatta e si concesse un po' di riposo, chiudendo momentaneamente gli occhi.

Paul notò che John era stranamente silenzioso, da quando era entrato in macchina non aveva più parlato. “Probabilmente pensa al bambino con Cyn” pensò mentre distoglieva lo sguardo da lui. Doveva ammettere che all'inizio, quando aveva saputo che Cynthia era incinta, era stato come...geloso. Forse perché sapeva che con lei sarebbe stato tutto normale e che nessuno avrebbe trovato strano vedere John insieme a sua moglie e suo figlio.

Anche se avrei preferito John insieme a...suo marito e suo figlio” ammise a se stesso Paul.

-Cos'hai?- chiese in fine non sopportando vederlo in quella maniera. John non distolse minimamente lo sguardo dalla strada -Nulla, comincio a pensare che ho troppi figli-.

Paul sbuffò divertito -Uno dei quali potrebbe essere anche mio- lo corresse.

-Giusto-

-Potremmo dire che è nostro-

-Si...e anche di Jenn-

Paul diede un'occhiata alla donna che dormiva nei posti di dietro -Ci pensi che fra poco nascerà?- era emozionato, non vedeva l'ora di vedere loro figlio.

Aprì il finestrino facendo entrare un piccolo spiffero d'aria -Vorresti un maschio o una femmina?- chiese Paul.

-Tu?-

-Ah per me è indifferente- alzò le mani come per evidenziare l'uguaglianza. John ci pensò un pochino -Non lo so, avere un figlio sarebbe bello. Gli insegnerei a suonare la chitarra, ad andare in bicicletta e tutte quelle cose che dovrebbe fare un padre, insomma-

Paul provò tenerezza nei suoi confronti. John non sapeva cosa voleva dire avere un padre, anche se lo zio George lo aveva aiutato molto, ma avrebbe preferito avere il suo vero padre.

-Però...non mi dispiacerebbe avere una figlia-

Paul sembrò stupito dalle parole di John -Perchè mi guardi così?- chiese infatti -Lo so cosa pensi. Uno che usa le donne come oggetti sarebbe la fine per una bambina, però mi piacerebbe. Perché quando sono adolescenti sono piene di insicurezze, ed è bello vedere come cambiano appena fai loro dei complimenti- si accorse dallo sguardo sempre più sorpreso di Paul di star diventando sentimentale -E poi tu la tratteresti come una principessa-.

Paul ridacchiò. Sì, aveva ragione.

Quando la macchina si fermò bruscamente Jenn si svegliò di scatto -Ma chi ti ha dato la patente!?- inveì contro il guidatore.

I ragazzi senza dire nulla scesero e la aiutarono a muoversi. Il pancione era veramente ingombrante e anche lei certe volte si chiedeva come facesse a camminare senza il loro aiuto.

L'interno della casa era immerso nell'oscurità. La donna fece per accendere le luci, ma John la fermò. Stava bene al buio e al buio intendeva rimanere.

-Fai come vuoi- disse Jenn avviandosi in cucina a prendere un bicchiere d'acqua. Si sentì in un secondo rinvigorire, aveva ragione il dottore a dirle che doveva bere, visto che molti suoi liquidi andavano al bambino.

Poco dopo sentì delle mani prenderla per i fianchi ed attirarla verso un corpo maschile. Lei sorrise maliziosamente riconoscendone il proprietario -Johnny?-

Lui non rispose e le baciò la spalla per poi spostarsi sul collo. L'attrazione fisica che c'era fra i due era innegabile, c'era sempre stata e sembrava non finire mai.
-Hai avvertito Cynthia?-
-Sì-

Jenn si girò verso il compagno unendo le labbra a quelle sottili di lui. John passò una mano fra i lunghi capelli di Jenn, che scivolarono sinuosi fra le sue dita. Le abbassò una spallina del vestito facendole intendere dove voleva arrivare.

Jenn gli prese la testa scansandolo dolcemente -John, no, non adesso- ma lui sembrava non ascoltarla e infatti si riavvicinò a lei baciandola -Perchè? Paul tanto è già crollato, dai piccola-

-No John. Ma guarda per una volta il trio torna utile! Vai da Paul e fai...beh, quel che devi fare- detto questo se ne andò dalla cucina dirigendosi nella sua camera. John la fermò per un braccio -Ti prego- Jenn lo guardò negli occhi e rifiutò ancora.

-Ho bisogno dell'amore femminile- disse John avvicinandosi a lei ed accarezzandole la spalla.

Jenn incrociò le braccia -Tra l'uomo e la donna non esiste solo il sesso, dai vieni- gli fece cenno di entrare. John parve soddisfatto quando la vide sedersi sul letto. Lei gli disse di sedersi accanto e John eseguì.

-Senti John, in questo periodo non ho molta voglia di farlo, quindi se vuoi dormire con me bene, se no te ne vai a- John la zittì mettendole un dito sulle labbra -Non dire queste parole davanti al piccolo-

-Volevo solo dire di andare a dormire da Paul-

John si stese sul letto e si mise le mani dietro la testa, mentre la guardava cambiarsi. Il suo corpo non era per niente cambiato, era solo ingrassata un pochino, ma a John questo non dispiaceva. Le dava più un'aria da madre.

Sono sicuro che sarà perfetta” pensò.

Jenn si stese sul letto accanto a lui -Non mi hai mai detto nulla sulla tua famiglia- cominciò lei. John distolse lo sguardo puntandolo sul soffitto -Forse perché non ce l'ho? Mia madre è morta e mio padre...non si è mai fatto vedere- la sua voce era rauca, come se cercasse sempre di respingere quell'immagine. L'immagine di Julia.

-Com'era?-

-Ah, fantastica. Fu lei a insegnarmi gli accordi del banjo- Jenn sorrise. Anche se ormai si conoscevano bene, le mancava tutta una parte di vita di John e Paul.

La donna appoggiò la testa sul torace di lui, lasciando che le accarezzasse i capelli. Sentiva il suo respiro calmo e i battiti del suo cuore.

Quel ritmo la stava addormentando, ma si riscosse subito cercando di rimanere sveglia. John se ne accorse e le disse che se era stanca poteva dormire.

Si ritrovarono poco dopo nel buio più totale, completamente immersi nei loro pensieri.

Jenn strinse la mano di John, ma non sentì alcuna reazione da parte sua -John, cosa c'è?- chiese cercando di mettersi su un fianco. Lui sbuffò -Niente, non ti preoccupare-.

Lei gli si avvicinò di più -È per via di Cynthia vero?- l'aveva centrato pienamente. A sentire quel nome John ebbe un sussulto. Aveva paura di diventare padre di due figli, era troppa responsabilità per uno come lui e non riusciva a vedersi in quel ruolo.

-Sì-

-Non ti devi preoccupare, capito? Andrà tutto bene-

-Sto solo diventando padre di due figli-

Jenn gli accarezzò i capelli, cercando di tranquillizzarlo. In fondo lo capiva, anche lei era spaventata dal fatto di diventare madre ma non voleva comunque tirarsi indietro.

Il problema era: John avrebbe fatto lo stesso?

-Ma...non mi lascerai per questo, vero?-

Anche se John non la vedeva bene, poteva sentire l'insicurezza nella sua voce. Si pentì di averla fatta sentire in quel modo -Non devi neanche pensarlo capito? Non ti abbandono- la baciò per farle capire che quel che diceva era vero.

Jenn si sentì subito più tranquilla e socchiuse gli occhi -Sai, secondo me non sei così stronzo come dicono tutti. Certo, la maggior parte del tempo sei insopportabile, ma...sotto sotto hai un cuore d'oro-

John la attirò a se in un caldo abbraccio -Ti assicuro che cambierai idea- disse baciandole i capelli. Lei sorrise -Ti assicuro del contrario-.

 

                                                                            ***
 

-Scozia- 14:00-

 

Il pranzo era andato per le lunghe e ormai Marilyn si chiedeva se John sarebbe mai arrivato. Lei ci teneva che fosse presente, e da una parte si sentiva delusa.

Paul l'aveva capito dallo sguardo della figlia e si stava veramente scocciando dell'atteggiamento di John. Per una volta doveva prendersi le sue responsabilità.

In quel momento sentì la porta aprirsi. Cercò di trattenersi, ma invece si alzò di scatto, andando verso la porta d'entrata. Era lì, ne era assolutamente sicuro.

E infatti.

-John- quel nome gli uscì quasi sussurrato, come se avesse aspettato da molto tempo la sua venuta. In effetti era così, non aveva passato un giorno senza pensare a cosa sarebbe accaduto.

Ed ora era lì, davanti a lui e non sapeva cosa dire.

-Sei in ritardo- disse senza pensarci “Ma come mi è venuto in mente? Dovrei abbracciarlo invece”. John si infilò le mani nelle tasche della giacca -Il creatore dei Beatles non è mai in ritardo, sono gli altri ad essere in anticipo-. Paul si lasciò scappare una risata, facendo battere più velocemente il cuore di John, anche lui non più abituato a vederlo.

Paul gli fece cenno di accomodarsi -No aspetta, c'è anche Yoko-

Cosa?”

La frase di John continuava a risuonargli nella mente. Non poteva crederci, non poteva essere vero.

No, lei no”. L'unica cosa che non aveva previsto era lei, ma come avevano fatto a riavvicinarsi così velocemente?

Quando la vide fece una sforzo enorme per salutarla ed abbracciarla. Li accompagnò entrambi nella sala da pranzo, dove furono accolti calorosamente.

-Ecco quello più famoso di Gesù- disse George abbracciandolo. -Eravamo tutti più famosi di Gesù- puntualizzò l'altro sorridendogli

Marilyn corse verso di lui e lo strinse fortissimo -Papà- disse solamente. John si sentì un bastardo, non aveva per niente pensato a Marilyn e ora lei gli correva di nuovo incontro, lo abbracciava.

La ragazza abbracciò anche Yoko, che le diede un pacco incartato con della carta colorata e vivace. Marilyn fece per aprirlo ma John la fermò -Aprilo quando sei da sola- le sussurrò in un orecchio. Lei sorrise e andò ad appoggiarlo in camera.

Gli altri cominciarono a parlare, ma Paul non riusciva ad aprir bocca. Continuava a guardare John e poi Yoko, pensando che tutto quello fosse sbagliato.

John si era accorto del nervosismo di Paul, che picchiettava le dita sul tavolo.

Alla fine non ce la fece più e decise di assentarsi per un attimo. Salì velocemente le scale fino ad arrivare alla sua camera. Sbatté la porta dando libero sfogo alla sua indignazione.

-Perché l'ha portata qui? Avevo invitato John non lei- si prese la testa tra le mani. Tutte le sue speranze erano state cancellate. Ormai John era tornato con Yoko e forse...era meglio così, almeno avrebbe smesso di pensare a lui “Ma non posso smettere cazzo!” Paul diede un colpo al muro, non sentendo il dolore alla mano che si era arrossata.

Si lasciò andare sul letto, senza più provare emozioni. Voleva solo John, anche solo poterlo abbracciare o prendergli la mano. Voleva in qualche modo sentirlo vicino.

Paul si alzò e andò a guardarsi allo specchio -Cos'ha lei che io non ho?- pensandoci bene però gli venivano in mente un paio di cose -Ok va bene, ma cos'è che attira John in quel modo?-

-Papà, perché parli da solo?-

Paul si interruppe subito a andò alla porta, dove Marilyn lo stava aspettando -Tesoro, stavo solo appuntando dei versi per una canzone- disse sperando di essere stato credibile.

Quando tornò al piano inferiore, tutti si erano trasferiti in salotto. Paul riusciva a sentire benissimo le loro voci, sembravano essere tornati ai vecchi tempi.

Già, i vecchi tempi.

Continuarono a parlare fino a quando Ringo e George non dovettero andarsene. Si salutarono promettendosi di rivedersi qualche altra volta.

Gli unici ad essere rimasti erano John e Yoko che erano in sala con Marilyn che parlava del liceo e dei compagni.

Paul si sedette sul divano accanto alla figlia, ascoltando quel che diceva. Stava raccontando a Yoko di quando aveva pestato quel ragazzetto che, a quanto diceva lei, faceva il furbo e aveva insultato sua madre. John era subito intervenuto -Hai fatto bene cavolo! Perchè non me l'hai detto subito?-

In quel momento qualcuno bussò alla porta. Ad aprire andò Linda, seguita a ruota da Mary, che si nascose dietro di lei. La donna bionda sorrise per poi affacciarsi in salotto -Marilyn, c'è Jason- la ragazza si alzò di scatto dal divano andando all'entrata. In effetti lui era lì, coperto da capo a piedi, che si stringeva nel suo cappotto.

-Posso entrare? Sai, qui fa un po' freddo-

Marilyn acconsentì. Non si aspettava proprio di vederlo ma le faceva piacere avere anche lui in quel bel giorno.

Lo abbracciò -Buon Natale- gli disse mentre si staccava da lui. Jason sorrise appoggiando il cappotto all'appendiabiti, non riusciva a smettere di guardarla, gli sembrava che fosse bellissima.

-Non vorrai restare nell'ingresso per tutta la vita?- scherzò lei prendendolo per il polso -Vieni- disse.

Mentre passavano davanti alla sala, Jason non poté non notare le persone che la occupavano. Rimase senza parole quando vide John Lennon che, tranquillamente seduto sul divano, chiacchierava con Paul McCartney.

Si fermò un attimo -Ma...è John Lennon- sentendo pronunciare il suo nome John si girò verso il ragazzo, che continuava a guardarlo con ammirazione.

-Muoviti!- Marilyn lo trascinò via, su per le scale. Come tutti quelli che venivano a casa sua, Jason era rimasto sbalordito di fronte a suo padre. Lei provava a capirli, ma proprio non ce la faceva. Per lei John era un normalissimo uomo, non aveva nulla di diverso dagli altri.

-Ma non era a Londra?- chiese Jason. Un conto era trovarsi davanti a McCartney, ormai ci era abituato, ma John Lennon! Non riusciva ancora a capacitarsi di averlo visto.

Marilyn si passò una mano fra i capelli guardandosi per qualche secondo allo specchio del corridoio -Si, ma per Natale papà ha invitato i ragazzi a casa-

-Per “i ragazzi” intendi i Beatles?-

-Esattamente- Marilyn aprì la porta di camera sua mettendosi a sedere sul letto. Per Jason era strano vedere la camera di una figlia di un musicista senza neanche un vinile. Tante volte le aveva chiesto cosa ascoltasse maggiormente, ma Marilyn aveva sempre dato risposte vaghe.

La verità era che qualche volta era pure stufa della musica. Da quando era nata l'aveva sempre sentita intorno a se e aveva avuto il piacere di conoscere molti cantanti e musicisti; quindi a volte preferiva rimanere nel silenzio.

Jason si sedette accanto a lei e le porse un pacco con un fiocco rosso -Aprilo- disse solamente. Marilyn aprì la bocca stupita -Ma, Jason non dovevi- disse mentre scartava il regalo. Scoprì che si trattava di un vinile, dei Platters per precisare.

La ragazza lo guardò, aspettando che dicesse qualcosa. Jason sembrò riscuotersi -Beh, visto che non hai dischi che non appartengano a tuo padre, ho pensato che ti sarebbe piaciuto questo come inizio-

-Infatti mi piace- disse lei senza accorgersi di star sorridendo. Guardò il retro del vinile per guardare le canzoni. John le avrebbe descritte troppo sdolcinate, ma a lei un po' di romanticismo non dispiaceva per niente.
Andò ad appoggiarlo sulla mensola sopra la scrivania -Perchè proprio i Platters?- chiese continuando a guardare il vinile.

Jason fece finta di non aver sentito la domanda -Tu non hai idea della tempesta di neve che c'è fuori. Se non vado fra poco la moto mi si congela- disse cercando di cambiare discorso.

Sul viso di Marilyn apparve un mezzo sorrisetto sarcastico -Non sai quanto mi possa interessare della tua moto di cui non sapevo l'esistenza, ma non hai ancora risposto alla mia domanda- incrociò le braccia.

Jason scosse la testa rassegnato. Si alzò dal letto avvicinandosi a lei -Forse perché sono un inguaribile romantico- quella a Marilyn sembrava una scusa bella e buona.

-Forse perché mi trovo d'accordo con i loro versi- ormai era vicinissimo a lei e le mise le mani calde sulle braccia.

Marilyn non riusciva quasi a tenersi in piedi. Ripensò a quando lo aveva conosciuto. Un incontro strano in effetti, lui l'aveva fermata prima che si potesse scagliare contro una ragazza della classe davanti alla loro che si era permessa di insultare Elizabeth. Da quel giorno avevano passato molto tempo insieme, e anche se lo negava...sentiva di provare qualcosa nei suoi confronti.

Si era piano piano accorta di come la guardava durante le ripetizioni di psicologia, e di come aveva cominciato a guardarlo lei.

Ma rimaneva sempre quell'incertezza, quella paura. L'ultima relazione che aveva avuto era stata disastrosa: era terminata con un furioso litigio e ancora Marilyn non si spiegava perché l'avesse lasciata.

Sentiva il respiro di Jason sul suo collo -Forse perché mi fanno venire in mente te-

Marilyn sapeva quel che doveva fare, ma aveva paura di quel che sarebbe successo dopo. Sua madre le avrebbe detto di buttarsi, e fu quello che fece.

Voltò il capo, piano, con incertezza. Il viso di Jason si trovava a pochi centimetri dal suo e in quel momento tutti i suoi pensieri sparirono. Aveva la mente completamente vuota.

Jason le prese il viso con una mano e finalmente la baciò. Avrebbe tanto voluto che quello fosse accaduto prima, durante una di quelle tante ripetizioni, anche a scuola sarebbe andato bene. E invece era andato tutto diversamente, in fondo Marilyn era imprevedibile e aveva sconvolto fin da subito il suo mondo.

Lei si girò completamente e congiunse le mani dietro al collo di lui, mentre si lasciava abbracciare.

 

-Paul, ma quel ragazzo che è entrato poco fa...non sarà mica il fidanzato di Marilyn?- sentendo quella frase Paul per poco non si strozzò mentre beveva il the. Appoggiò la tazza sul tavolo -No, certo che no- disse come se la cosa fosse ovvia. John però non era convinto, era sempre sospettoso quando si trattava di sua figlia, ma quel Jason sembrava un tipo a posto.

-Scommetto che non lo sopporti-

-E cosa te lo fa pensare?-

-Il fatto che sei molto possessivo nei confronti di Marilyn- John accavallò le gambe senza staccare gli occhi da Paul. Lui sbuffò, aveva ragione purtroppo.

In quel momento apparve Jason davanti alla sala. Stava riprendendo cappotto e sciarpa, ma prima di aprire la porta si affacciò sulla stanza -Ah, signor Lennon, se intende tornare a Londra le conviene farlo adesso. Fuori sta infuriando una tempesta di neve e fra poco non saranno più accessibili le strade-.

John alzò il pollice -Ok, grazie Jason- il ragazzo salutò educatamente per poi scappare sulla moto, che aveva preso da poco.

Appena la porta si fu chiusa Yoko guardò John -Mi sa che dobbiamo andare- disse alzandosi. John le prese la mano accompagnandola nell'ingresso.

Si voltò un momento a vedere cosa stava facendo Paul. Era andato vicino alla finestra e guardava malinconicamente il paesaggio innevato.

John si morse il labbro. Non voleva lasciarlo, ma allo stesso tempo gli dispiaceva per Yoko. Si erano finalmente riavvicinati e non si sentiva più così sicuro come prima.

Paul non riusciva a guardare John senza provare una fitta di dolore. In quel momento si sentiva in grado di affrontare qualunque cosa pur di restare con lui...ma a quanto pare era arrivato troppo tardi “Sono stato uno stupido” pensò mentre abbassava lo sguardo cercando di non piangere.

Sentì la porta che si apriva nuovamente. Ecco, lo stava lasciando, e ancora non era riuscito a dirgli cosa provava.

La porta si chiuse.

Era andato via.

Sentì le lacrime scivolargli lungo le guance e cercò quindi di soffocare i singhiozzi. Linda dopotutto era soltanto in cucina a finire di lavare i piatti e avrebbe potuto benissimo sentirlo.

E infatti sentì dei passi venire verso di lui.

-Sei proprio un idiota McCartney. Secondo te ti avrei lasciato così?-

Il cuore di Paul ebbe un sussulto. Avrebbe potuto riconoscere quella voce fra milioni.



Angolo Autrice:
Salve a tutti!
Sono finalmente ritornata con questo nuovo capitolo. Succedono tante belle cosette :3 mi dispiace solo di non aver scritto tante parti McLennon, ma mi rifarò nei prossimi capitoli.
Vorrei ringraziare J_Marti_96 e Chiara_LennonGirl06 per aver recensito il capitolo precedente, e Kia85 che continua a seguire la mia storia.
Grazie anche a quelli che leggono e basta :)

With Love
Goldenslumber14

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Capitolo XIV:

 

-1962- Liverpool- 9:20-

 

Non riusciva proprio a ricordare cosa fosse successo quella mattina, aveva solo delle visioni poco nitide e non riusciva a ricostruire interamente la vicenda.

Prima c'era stato dolore, molto dolore. Pensava di non aver mai provato una cosa simile.

Poi tutto era sparito e c'era stato il sollievo.

Finalmente ce l'aveva fatta.

Le luci dell'ospedale continuavano ad accecarla ed era costretta a chiudere gli occhi -Dov'è?- chiese ai dottori ancora nella stanza. Il più anziano si avvicinò a lei sistemandosi gli occhiali. Le mise una mano sulla spalla e sorrise -Le faccio i miei complimenti, è una bella femminuccia- disse quasi in modo paterno.

Jenn non ce la faceva più, voleva tenerla in braccio, voleva poterla vedere. Voleva toccare quello che fino a poco fa era un sogno ma che in quel momento si era trasformato in realtà.

Un'infermiera le porse il fagottino che aveva in mano. Era stranamente leggero e a Jenn non sembrava vero. Sua figlia era lì, proprio davanti a lei e già la guardava con occhi spalancati.

-Non sempre i bambini aprono subito gli occhi- disse l'infermiera vedendo il volto stupefatto di Jenn.

La bambina sorrise alla propria madre e Jenn sentì il suo cuore perdere un battito. Era vero allora che l'amore per i figli è per sempre “O forse no” pensò mentre cercava di ricordare sua madre. L'aveva abbandonata senza un motivo a quell'uomo orribile, che le aveva fatto passare un inferno.

Jenn avrebbe fatto di meglio, si sarebbe presa cura della bambina, con o senza John e Paul -Te lo prometto- le sussurrò.

 

Era da più di un'ora che il suo animo non riusciva a trovare pace. Continuava a camminare avanti e indietro per il corridoio, si sedeva per poi rialzarsi.

-Non devi essere così agitato- gli disse Paul, che a differenza sua era seduto sulla sedia pensoso. John gli si rivoltò contro -No, non devo essere agitato, sta solo nascendo mio figlio!- disse con una nota amara di ironia.

Paul si alzò e gli mise una mano sulla spalla. I loro occhi si incontrarono e per John fu una consolazione averlo accanto. Non ce l'avrebbe fatta a sopportare lo stress senza Paul.

-Vieni qui- gli disse Paul abbracciandolo. John si lasciò stringere, era preoccupato e forse anche troppo. Pensava a quel che poteva succedere se fosse andato storto qualcosa.

Avrebbe perso sia Jenn che il bambino.

Paul gli accarezzo la schiena, posando un bacio quasi impercettibile sul collo di John -Andrà tutto bene, capito?- John sospirò, sperava veramente nelle parole di Paul.

Ricordavano entrambi troppo bene quel che era successo quella mattina. Erano a casa di Jenn e si erano svegliati presto perché poi sarebbero dovuti andare agli Abbey Road Studios.

Era tutto cominciato normalmente. Si erano seduti a tavola con gli occhi che ancora si chiudevano per il sonno.

John aveva guardato Paul e si erano sorrisi entrambi, come ogni mattina. Non parlavano molto appena svegli, lasciavano che le parole si dissolvessero come il vapore del the.

La porta si era aperta ed era uscita Jenn. -'Giorno- aveva detto John girandosi verso di lei. Jenn si teneva il pancione con una mano e aveva la faccia sofferente -John- aveva cercato di dire -portami all'ospedale, ora-.

A quelle parole la tazza che Paul aveva fra le mani era caduta e si era spaccata a terra.

Poi tutto era sembrato andare più veloce. L'automobile che partiva, loro tre che arrivavano all'ospedale e poi l'attesa.

Un colpo di tosse risvegliò i due. Davanti a loro il dottore gli faceva cenno di seguirlo -La signorina Allen mi ha detto di farvi entrare- disse mentre con passo lento li conduceva nella stanza dove stava Jenn.

-Ma, ditemi...uno di voi è il padre?- i due ragazzi smentirono in fretta i dubbi del dottore. Non volevano certo che finisse in prima pagina -Lei non ha parenti qui e siamo i suoi amici più cari- spiegò Paul.

-Come immaginavo- borbottò il dottore. Si fermò davanti ad una porta con i vetri appannati e la aprì.

John vide con sollievo che Jenn stava bene. Quando lei si accorse della loro presenza non poté fare a meno di sorridere -Venite-.

I due si fecero avanti con timidezza, ancora sconvolti da quel che era accaduto.

Paul prese una sedia e si sedette accanto a Jenn -Come stai?- le prese la mano. Jenn appoggiò la testa su quella di Paul e sospirò -Sono stanca- confessò. Il parto era stato difficile per lei, e non riusciva a credere di averlo superato.

-Se vuoi riposarti non ce ne andiamo- disse subito John. Non voleva in nessun modo disturbarla, visto che aveva sofferto a causa loro.

Jenn scosse la testa, voleva che vedessero la figlia prima degli altri, ma si astenne nel dirgli che la creatura...non era un maschio.

John aveva notato fin da subito la culla ai piedi del letto e il suo sguardo continuava a cascarci sopra. Non aveva però il coraggio di prendere in braccio suo figlio, aveva paura di non esserne capace.

-John- lo risvegliò Jenn -Puoi prenderlo in braccio se vuoi- disse tranquilla. Sapeva che John aveva avuto un'infanzia difficile ed era normale che si sentisse a disagio.

John si affacciò sulla culla. Sentiva gli occhi pizzicare “Sentimentale del cazzo che non sei altro, non piangere” si disse a se stesso. Non poté restare a guardarla per troppo tempo e si girò.

-Cosa succede?- chiese Paul preoccupato dall'atteggiamento di John. Lui si voltò verso il più giovane, cercando di non piangere per la commozione -Paul...è una bambina- disse tutto d'un fiato.

-Cosa?-

-Cazzo Paul, è una bambina!-

Jenn avrebbe voluto alzarsi e prenderlo a colpi, ma in quel momento non ne era capace -Non dire queste parole davanti a lei!- disse incenerendolo con lo sguardo.

-Ah giusto, scusa-

Paul si alzò e andò davanti alla culla. Proprio lì c'era una bambina che, accortasi dei due, li guardava incuriosita con quegli occhioni grandi.

Paul non riuscì a trattenersi e la prese in braccio -Jenn...è un angelo, non può essere vera- commentò senza distogliere lo sguardo dalla piccola. Jenn sorrise vedendo l'emozione sulla faccia di entrambi -E invece è vera Paul-

John si avvicinò all'amico per poter vedere meglio sua figlia. Paul aveva ragione, era bellissima, la cosa più perfetta che avesse mai visto.

Le fece una carezza sulla testa e la bambina ridacchiò agitando le minuscole braccia.

Paul si avvicinò a John e gli diede un bacio sulla guancia -Vedi, le piaci già- disse con dolcezza.

Dopo un po' la bambina cominciò a piangere e Paul la diede immediatamente alla madre. Jenn la prese in braccio cullandola un pochino -Piccola, non piangere- sussurrò baciandole la testolina -La mamma è qui, non ti preoccupare- mise la bambina vicino a se e piano piano i singhiozzi di lei si fecero sempre più pacati, fino a sparire.

Paul diede un'occhiata a John. Rimaneva immobile a guardare la figlia, quasi fosse un miracolo che fosse nata.

Gli diede un colpetto sulla spalla e, quando ebbe attirato la sua attenzione, con un gesto del capo fece intendere a John di uscire dalla stanza.

-Jenn, ora ti lasciamo un attimo da sola. Se hai bisogno comunque noi siamo qui fuori- avvertì Paul.

Jenn annuì ritornando poi a guardare sua figlia.

Quando i due furono nuovamente fuori si guardarono allibiti. Avevano una figlia, il loro sogno si era finalmente avverato -Ci pensi? Da adesso siamo padri- disse Paul.

-Già-

John non sapeva cosa dire. L'iniziale stress era sparito, ma rimaneva ancora la paura di non farcela, di non essere in grado di fare il padre.

Fu costretto a risvegliarsi dai suoi pensieri, perché si sentì chiamare. Entrambi si girarono e videro George e Ringo correre per i corridoi ospedalieri, facendo attenzione a non travolgere nessuno.

Quando finalmente li ebbero raggiunti si fermarono per riprendere fiato. Ringo fu il primo a parlare -L'abbiamo saputo da Brian- disse mentre si appoggiava alle ginocchia -Siamo venuti subito, Brian è appena dietro di noi- continuò ansante.

John scosse la testa con un mezzo sorriso. Non sarebbero mai cambiati quei due, volevano sempre essere partecipi e a Jenn non sarebbe dispiaciuta quella visita.

-Come sta?- chiese George interessato. John gli spiegò tutto quel che era successo quella mattina, e i due rimasero col fiato sospeso finché non arrivò al momento del parto -Penso di essere stato ore e ore a camminare avanti e indietro per il corridoio, quando finalmente il dottore ci chiama-

George e Ringo annuirono all'unisono, mentre intanto si erano seduti sulle sedie -E ha quel punto abbiamo scoperto che beh...è una bambina-

-Davvero?- esultò Ringo. Paul notò che aveva già gli occhi lucidi e per un attimo gli fece tenerezza. Erano tutti grandi amici di Jenn e quindi il sentimento di sorpresa era comune a tutti loro.

John sentì una mano posarsi sulla sua spalla -Allora, com'è andata?- appena si girò riconobbe Brian -Benissimo, è una femmina-

-Ah che bella notizia. Non avrei sopportato un altro piccolo Beatle- disse in tono scherzoso.

Non avevano detto a nessuno dei tre che la bambina poteva essere di uno di loro, e avevano trovato prontamente una scusa. Se l'erano bevuta facilmente, la storiella della ex spogliarellista che durante una nottata rimane incinta senza volerlo. John soprattutto aveva paura di dire la verità, non voleva che gli altri sapessero della sua relazione con Paul...soprattutto Brian non doveva saperlo.

Ringo si avvicinò alla porta dove sapeva avrebbe trovato Jenn -Posso entrare?- chiese sottovoce a John, senza aprire. Lui per tutta risposta gli fece un cenno ed entrò al posto suo, per chiederle se voleva vedere i ragazzi.

Trovò Jenn tutta intenta nell'allattamento della bambina. Si accorse subito che qualcuno la stava fissando, e quando vide che era John alzò gli occhi al cielo -Chi poteva mai essere? Solo tu puoi entrare mentre ho un seno fuori posto- nonostante le sue parole però John restava lì a guardarla. Sembrava che le venisse naturale fare la madre, comportarsi in modo materno e occuparsi della figlia. Perché allora lui non ci riusciva?

Dalle spalle di John spuntò Ringo, che appena la vide la salutò sorridendo senza accorgersi minimamente della situazione.

-Ehm...Ringo, John, potreste uscire un momento e tornare fra un minuto? Sarei un attimino occupata- con un gesto della testa alluse alla figlia e allora Ringo non fece storie e trascinò via John.

Quando la porta si richiuse Jenn scosse la testa con rassegnazione. Sarebbe stata dura educare una figlia in quel covo di matti, ma quella sfida non la spaventava per niente, anzi. Quello era un momento di svolta per lei, il momento di riscattarsi.

Quando ebbe finito di allattare la bambina decise di farli entrare tutti e cinque, che non vedevano l'ora di vederla. Ringo si commosse nuovamente quando vide la piccola che teneva fra le braccia la sua amica -Io non ce la faccio...è troppo...piccola!-

-Vedrai quando crescerà- disse George che intanto si era avvicinato a Jenn, sedendosi sulla sedia dove poco prima si era seduto Paul. Le fece una leggera carezza e la bambina gli prese il dito, incuriosita dalla figura estranea che aveva di fronte.

Paul incrociò le braccia ascoltando Brian che faceva mille complimenti a sua figlia. Era bello vedere che quella nascita non era stata vista come un intralcio o uno sbaglio. Brian poi non avrebbe fatto pressioni, non sapendo che la bambina era o di John o di Paul.

- Ma come la chiamiamo?- chiese appunto lui. In effetti non aveva ancora un nome. Si misero tutti a pensare a un bel nome da darle. Avevano tutti idee diverse e finirono col discutere, come andavano sempre a finire le decisioni di gruppo quando si trattava dei Beatles.

-Deve essere un bel nome, perché lei è bellissima-

-Va bene, basta che non la chiami Brigitte- disse George. John gli aveva fatto la testa come un pallone con tutti i suoi commenti su Brigitte Bardot e su quanto fosse bella e perfetta e sul fatto che fosse la donna dei suoi sogni.

John sbuffò -Non sono così cretino, George-

-Avrei da ridire in proposito- commentò Paul.

-Sta zitto McCartney!-

-Smettetela voi due!- li sgridò Jenn arrabbiata. Dovevano solo scegliere un fottutissimo nome dopotutto, cosa c'era di difficile?

E poi ci fu un momento di assoluta tranquillità. Erano tutti rimasti in silenzio a pensare a qualcosa di adatto. Quel nome avrebbe finalmente dato un'identità alla bambina.

Ringo di colpo sgranò gli occhi. Aveva avuto un'idea e la reputava assolutamente geniale -Ragazzi, che ne dite di Marilyn?- con piacere vide che John, nonostante bocciasse sempre le sue idee, in quel momento si trovava d'accordo con lui.

-Si, mi piace- disse infatti. Di solito quando una cosa piaceva a John la questione era chiusa, perché niente sarebbe riuscito a fargli cambiare idea.

John la prese in braccio cullandola dolcemente. Si avvicinarono tutti a lui per poterla vedere più che potevano, visto che poi avrebbero dovuto tornare a lavoro.

-Allora è deciso, ti chiamerai Marilyn, piccolo angelo- sorrise.

 

FLASH

 

John guardò davanti a se, un poco disorientato. Brian gli stava sorridendo -Ho voluto immortalare questo momento- disse come per scusarsi.

Aveva appena scattato una foto.

 

 

-Scozia- 16:10-

 

Sentiva il giradischi che gracchiava, ancora in attesa di arrivare alla prima traccia. Si lasciò cadere sul letto, ripensando a cosa era accaduto poco prima.

Jason l'aveva baciata, era impossibile anche solo da pensare, ma era successo.

Finalmente partì la prima canzone del disco che le aveva regalato. Sorrise tra se e se riconoscendola. Quell'indimenticabile inizio con la chitarra elettrica e poi, quella voce calda.

 

Only you

 

Esattamente quel che mi aspettavo” pensò mentre stringeva il cuscino, emozionatissima. Cosa sarebbe successo nei giorni seguenti? E quando sarebbe tornata a scuola, come avrebbe fatto a guardarlo senza pensare a quel che era successo quel giorno?

Non gli importava, ormai era stato fatto e non si poteva tornare indietro “E neanche vorrei”.

In quel momento le venne in mente una cosa. Aveva completamente dimenticato il regalo che le aveva fatto John.

Si mise a sedere sul letto, con i capelli scompigliati, cercando di ricordare dove l'avesse messo. Lo cercò per tutta la camera, spostando cuscini, quaderni, libri e anche le cose di Heather.

-Stavi cercando questo?-

Marilyn si girò e vide che sua sorella, affacciata alla porta, teneva in mano un pacchetto colorato. Come mai ce l'aveva lei? -Chi ti ha dato il permesso di prenderlo?- Marilyn incrociò le braccia sul petto guardandola con disapprovazione. Proprio non la sopportava quando le prendeva le cose senza chiedere.

Heather fece la sua solita faccetta innocente -Nessuno, perché? È tanto importante?- chiese. La sorella maggiore alzò gli occhi al cielo, per poi gettarsi all'inseguimento di Heather.

-Tanto non mi prendi!- le urlò mentre scendeva a perdifiato le scale. Marilyn la seguì, passando davanti alla sala.

Quel trambusto incuriosì John. Andò davanti alla porta d'ingresso, ancora aperta dopo l'arrivo delle due ragazze. Vide che Marilyn stava rincorrendo sua sorella nella neve, senza badare al freddo e al vento che la colpiva in faccia.

Un sorriso si fece largo sul suo viso. Da una parte invidiava la vita che stava facendo sotto le cure amorevoli di Paul. Lì in Scozia aveva una vera famiglia, con lui invece...

-Ragazze, tornate in casa, forza!-

La voce apparteneva a Paul, avvicinatosi anche lui all'uscio da cui entravano le folate di vento. Aveva dipinto sul volto un sorriso, sereno, come se tutto stesse finalmente andando per il verso giusto.

Poco prima infatti John gli aveva detto che sarebbe volentieri rimasto, Yoko avrebbe capito.

Marilyn aumentò la velocità e riuscì ad acciuffare Heather. Lei, ancora intenta a ridere, cedette il regalo.

La maggiore sbuffando la lasciò andare, tornando in casa. Guardò sorpresa John; Yoko se n'era andata e trovava strano che non fosse con lei. Ricordava quando l'aveva incontrata per la prima volta: erano tutti in studio e John gliel'aveva presentata. Paul non era affatto contento della sua presenza lì, ma invece a Marilyn non era affatto dispiaciuto. Si comportava in modo materno con lei.

-Ma perché non sei con Yoko?-

-Ho deciso di rimanere ancora per un po'. Non ci siamo visti per molto tempo, e pensavo- non riuscì a terminare la frase che Marilyn lo abbracciò di nuovo, come per ringraziarlo per quello che stava facendo.

John la lasciò salire in camera, rimanendo nuovamente solo con Paul. Gli occhi verdi di lui riuscivano a trasmettere solo gioia. Non avrebbe voluto nient'altro in quel momento.

Solo John, e lui era lì.

La voce di Linda li riscosse entrambi. Quando la donna si accorse che l'unico rimasto era John, capì subito che si sarebbe trattenuto lì più giorni -Ti preparo la solita camera?- chiese con un sorriso luminoso.

-Non c'è bisogno, faccio pure da solo- cercò di fermare la moglie dell'amico, che però era già corsa a prendere le coperte pulite al piano di sopra.

Paul scosse la testa, nessuno poteva fermare Linda se aveva qualcosa in mente.

Intanto Marilyn era tornata nella sua stanza, badando a chiudere la porta a chiave. Non voleva che Heather entrasse per rubarle altro tempo prezioso.

Scartò con delicatezza il regalo. Era un album fotografico dalla copertina beige, con sopra un'etichetta anch'essa marroncina che diceva “Il trio”.

Aprì l'album e vide subito che in prima pagina c'era una foto che ritraeva sua madre, sempre in ospedale, con una bambina in braccio. In quella foto Jenn era felicissima, e Marilyn quasi si commosse.

Nelle pagine dopo, c'erano le foto di loro tre nell'appartamento, oppure durante le registrazione a Abbey Road. Le foto non erano state messe in ordine cronologico, perché John faceva sempre confusione con le date.

Si soffermò su una foto, tipo a metà dell'album. Erano entrambi sul divano che guardavano la televisione. Paul appoggiava la testa sulla spalla di John, mentre entrambi si tenevano per mano.

Da una parte lo trovava strano, non era abituata a vederli come coppia, ma da un'altra...era quasi familiare, quell'immagine.

Chiuse l'album fotografico e cercò nella camera un luogo dove nasconderlo. Sospirò delusa, ogni luogo non era lontanamente sicuro dagli occhi indiscreti della sorella. Non voleva che sapesse del segreto di John e Paul.

Lo studio di suo padre poteva essere abbastanza sicuro. Lì dentro ci entrava solo Paul ed era pieno di scatole polverose che nessuno apriva da tanto tempo. Non avrebbe certo dato nell'occhio una in più.

Guardò sotto al suo letto in cerca di una scatola vuota. C'era proprio di tutto là sotto, dalle scarpe alle foto con le amiche che non guardava da quando era iniziato il nuovo anno.

Infine trovò il contenitore che cercava e vi infilò l'album fotografico. Andò ad aprire la porta e con passi leggeri si diresse nello studio di Paul.

Dentro vi era una luce biancastra che dava a quella stanza un'aria innaturale “Come se il tempo si fosse fermato” si ritrovò a pensare la ragazza.

In effetti aveva ragione, su tutte le pareti erano appese foto, articoli di giornale, addirittura fogliettini con sopra le scalette dei concerti passati. Paul adorava tenere quelle cose, gli ricordavano i bei tempi.

Mise la scatola insieme a delle altre nello spazio sotto la libreria e rimase lì a fissare ancora quella bellissima stanza. Riconobbe un disegno che gli aveva fatto quando era piccola. Raffigurava quattro tipi vestiti tutti uguali che si tenevano per mano e la scritta sopra di loro diceva “La mia famiglia”.

Marilyn sorrise guardando quei disegni sgangherati, che però avevano reso felicissimo suo padre, che aveva deciso di tenerli.

La porta si aprì di scatto e fece sussultare la ragazza -Cosa ci fai qui?- chiese appunto Paul essendo entrato.

-Niente, davo solo un'occhiata alle foto-

Sul viso di Paul si formò un sorriso dolce e comprensivo. Lo faceva spesso anche lui.

Si sedette accanto a sua figlia accogliendola in un caldo abbraccio. In quella stanza c'era tutta la sua vita, ma stranamente nessuna foto di Jenn, neanche una delle tante lettere che gli scriveva quando era fuori per i tour.

La porta si aprì nuovamente -Fate le riunioni familiari senza di me?- al suono di quella domanda padre e figlia si girarono. Il viso di John sbucava dalla porta e li guardava con uno sguardo divertito.

-Ma come ti viene in mente? Non si potrebbe mai escludere John Lennon da un evento così importante- lo canzonò Paul.

Senza aggiungere altro e sempre col sorriso sulle labbra, John si sedette accanto al più giovane. Appoggiò lo sguardo su Marilyn e le accarezzò i morbidi capelli.

-Hai aperto il tuo regalo?-

Marilyn annuì, ma non aggiunse altro. Non ne capiva il motivo, ma una parte di se non voleva che Paul venisse a sapere dell'album fotografico.

A quanto pare neanche John, perché non disse nient'altro a riguardo.

A Paul dava noia tutto quel silenzio e la presenza di John, così vicino a lui, lo stava rendendo nervoso -Forse è meglio andare...-

Dallo sguardo del suo amico, John capì subito che si sentiva a disagio e preferì fare come diceva. Così uscirono tutti dallo studio e mentre Marilyn ritornava in camera sua, i due si avviarono verso la camera degli ospiti.

-Immagino che tu non ti sia portato dei vestiti dietro- suppose il più giovane aprendo la porta della camera, ormai diventata familiare a John.

Quest'ultimo si stravaccò immediatamente sul letto appena rifatto -In effetti no- ammise. Non era nei suoi piani rimanere lì per qualche giorno.

-Ma non ti dispiace vero?-

-No, no. Anzi-

John alzò un sopracciglio -Cosa?- aveva capito benissimo che quell'anzi nascondeva dentro di se un significato più profondo.

Paul si girò prima che l'altro potesse accorgersi del rossore che si faceva spazio sulle sue guance, con la scusa che andava a prendere i vestiti per lui.

John ridacchiò mentre lo guardava andarsene in fretta e furia “Non imparerà mai a fingere con me” pensò mentre chiudeva gli occhi.

Sapeva che avrebbe dovuto chiarire una volta per tutte con Paul. Vedeva fin troppo bene che il loro rapporto era incerto sull'amicizia e sull'amore e doveva porre una fine a quell'oscillare.

Quando ci saremo chiariti tornerà tutto alla normalità” continuava a ripetersi, ma una piccola parte di lui non era del tutto convinta. Si era finalmente conciliato con Yoko, ma continuava a ripensare a quelle notti passate con Paul.

Scosse la testa per scacciare quei pensieri, doveva smetterla una volta per tutte o non sarebbe mai riuscito a dimenticare Paul “E se non lo volessi?”.

I suoi pensieri vennero interrotti proprio da Paul, che era rientrato con una pila di vestiti.

-John, te li metto nell'armadio va bene?-

Lui annuì rimanendo con gli occhi chiusi. Sentì che Paul si sedeva accanto a lui sul letto. Il suo sguardo si posò sulla mano di John, così vicinina alla sua. Sarebbe bastato un minimo movimento per poterle unire e Paul non voleva altro che un contatto, ma...aveva paura che John avesse già cambiato idea, che per lui fosse già tutto finito.

John si alzò improvvisamente, interrompendo così il corso dei pensieri di Paul. Si diresse verso l'armadio e prese la camicia che gli avrebbe prestato il suo amico.

La osservò, centimetro per centimetro, tastando il morbido tessuto -Non mi dire- commentò girandosi verso di Paul -Questa la usavi quando eri nei Beatles-

Era vero. Sembrava impossibile che John potesse ricordare quei piccoli particolari e non gli album e le canzoni che aveva scritto lui stesso.

-Si è quella-

Paul si avvicinò al più grande tenendo le mani nelle tasche dei jeans. I loro sguardi si incrociarono. Paul vedeva dentro agli occhi di John tutta la storia dei Beatles, le risate, i divertimenti, ma anche i litigi e tutti quei piccoli motivi che li avevano indotti la non sentirsi per lungo tempo.

Abbiamo litigato come bambini. È durato così tanto che non mi ricordo nemmeno perché litigavamo”

-Una domanda John, come mai ti ricordi queste cose?- in effetti era strano, ma lo era anche John, del resto. Imprevedibile, lo era sempre stato, e forse era stata quell'imprevedibilità, quella certezza che John fosse qualcosa di più che il John Lennon orgoglioso e stronzo, che aveva attratto Paul.

Sul viso di John sbucò un lieve sorriso -Forse tu non te ne accorgevi Paul, ma...ti osservavo molto-

-Dici sul serio?-

-Sì, cercavo di imprimere nel mio cervello tutto di te. Ogni piccolo gesto, la tua camminata, i tuoi occhi, la tua voce-

Paul si chiese come non avesse fatto ad accorgersi di tutto questo. Per molti anni avevano condiviso tutto, ma proprio tutto, e mai si era accorto delle piccole attenzioni che gli riservava John.

Paul fece di tutto per non arrossire -Ma perché lo facevi?-

Quella domanda sembrò mettere in difficoltà John. Ma si ricompose subito rispondendo -Sindrome di abbandono-

Paul si mise a ridere e gli diede una pacca scherzosa sulla spalla. Non la smetteva mai di scherzare.

John si levò senza nessun preavviso la maglietta, lasciando il più giovane di stucco. -Vediamo un po' se sono dimagrito- disse provandosi la camicia.

John, non dovevi farlo, non dovevi, non dovevi” il bassista cercava in ogni modo di mantenersi calmo. Ma ora che aveva John davanti a se, con il petto scoperto, non riusciva più ad essere razionale. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo.

John era la sua unica debolezza.

Non riuscendo più a resistere, avendo aspettato anche troppo tempo, si avventò su John sbattendolo alla parete. Senza aspettare neanche un secondo di più, appoggiò le labbra su quelle di John.

Quest'ultimo sgranò gli occhi, non aspettandosi una reazione del genere da parte dell'amico, ma non ci mise molto a schiudere le sue labbra per il desiderio di approfondire quel bacio.

I baci di Paul si spostarono sul suo collo, mentre con le mani gli accarezzava il petto caldo.

John gli prese la testa fra le mani -Paul, non possiamo- gli sussurrò, ma l'altro si liberò dalla sua presa, tornando a baciarlo. John allora lo tenne lontano con un braccio -Dico sul serio Paul-

Paul abbassò lo sguardo e appoggiò la testa sulla spalla di John -Ma non ce la faccio, non lo capisci? Neanche volendo potrei stare senza di te-

John lo strinse a se. In quei mesi aveva sentito maledettamente la sua mancanza, non riusciva a dormire col pensiero di averlo lontano.

Qualcosa doveva pur significare no?

-Ti prego- sussurrò Paul -Almeno per adesso, possiamo far finta di non aver nessuna famiglia a cui fare da padre?-

La voce di Paul aveva una nota triste e John non sarebbe riuscito, per nessuna ragione al mondo, a negargli questo desiderio.

Si sedette sul letto, stringendo tra le sue braccia il corpo di Paul, che mai come allora era sembrato più delicato e fragile.

Paul sentiva il calore della mano di John, che si intrecciava con la sua. L'incastro era semplicemente perfetto, come se fossero nati apposta per prendersi per mano.

Peccato che a volte il destino fa strani scherzi. Perché in quel momento non potevano tenersi per mani, ne amarsi come una normale coppia.

Il bassista chiuse gli occhi appoggiano la testa su quella del compagno. Sarebbe rimasto lì per tutta la vita se glielo avessero permesso.

-È incredibile- disse a quel punto John.

-Cosa è incredibile?-

-Che più cerchiamo di allontanarci l'uno dall'altro, più ci avviciniamo-

Paul sospirò -Forse perché la verità è che non possiamo stare lontani-

-Si, forse hai ragione- disse l'altro baciandogli il collo amorevolmente.

A quel punto rimasero entrambi in silenzio. Forse pensavano ad una possibile vita insieme, a cosa sarebbe potuto succedere.

Forse dovevano finirla una volta per tutte, ma sembrava impossibile anche solo da immaginare.

-Paul-

-Sì John?-

-Penso di aver finalmente trovato la chiave di tutta questa storia-

A quelle parole il più giovane si alzò, guardandolo aspettando che continuasse. Aveva paura che dicesse che non lo amava, che dovevano tornare a fare i bravi mariti e a prendersi cura della famiglia.

Non voleva. No. Assolutamente no.

Anche John si alzò e gli prese le mani, cercando di rassicurarlo -Ho capito perché ho fatto lo stronzo con tutte le donne che ho avuto, perché Yoko mi ha lasciato, perché non ho dormito in questi ultimi mesi, perché ho esagerato portando agli estremi il mio corpo, perché mi sono sentito vuoto e senza uno scopo nella vita-

Si fermò. Era una pausa ad effetto, tipiche di John, ma stavano facendo morire d'ansia il povero Paul.

-All'inizio pensavo che fosse per Yoko. Era la mia anima gemella, mi aveva aiutato a capire molte cose su me stesso e mi aveva aiutato, così trovandomi senza di lei ero come...perso-

Paul abbassò gli occhi, puntandoli in un punto indefinito del parquet. John gli rialzò il viso, tenendo il suo mento tra l'indice e il pollice. I loro occhi si incrociarono, quelli insicuri di Paul e quelli calmi di John.

-Ma poi ho capito che ero perso fin dall'inizio e che mi sentivo vuoto perché mancava una parte essenziale del cuore. E quella parte ce l'hai tu-

Paul scosse la testa. Non era vero.

Volse le spalle a John andando verso la porta -La verità è che tu, John, ti sei innamorato da un'altra persona...non avevi più bisogno di me- faceva male ammetterlo ma era vero.

Era vero come il litigio che li aveva separati la prima volta. Poi John aveva conosciuto Yoko e se ne era innamorato alla follia.

John lo raggiunse e lo costrinse a girarsi -Esattamente Paul. Mi sono innamorato di Yoko, perché non volevo avere costantemente bisogno di te-

Quel discorso cominciava a diventare complicato, e a Paul girava la testa. Ma John non sembrava essersene accorto e continuava col suo soliloquio.

-Sono una persona molto orgogliosa, tu lo sai, e non volevo ammettere nemmeno a me stesso che sentivo follemente la tua mancanza fin dal primo giorno che ho smesso di essere la tua metà-

Paul non riusciva a credere a quelle parole. Sembrava del tutto impossibile, ma era dannatamente bello quel che John gli stava dicendo e volle credergli -Dici sul serio?-

-Vuoi altre prove?-

Paul congiunse le mani dietro al collo di John -Si-

Sul viso del più grande comparve un sorrisetto malizioso, sapendo dove voleva arrivare il suo compagno.

Eliminarono definitivamente le distanze tra i loro visi, unendo le loro labbra in un altro magico e travolgente bacio.


Angolo Autrice:
Eccomi qui, dopo un sacco di tempo, con un altro capitoletto.
Che dire, ho deciso di unire i nostri due amanti preferiti (devo dire che era l'ora, in effetti).
Per adesso tutto sembra scorrere liscio, visto che il capitolo ci lascia con una bella immagine. Ma cosa succederà nel prossimo?
Non faccio spoiler, quindi per adesso...a voi i commenti :)

With Love

Goldenslumber14

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Capitolo XV:

 

-Scozia- 9:05-

 

Un raggio di sole mattutino fu la prima cosa che vide. Era entrato dalla finestra con le tende un poco scostate.

Si girò dall'altro lato cercando di riprendere sonno, ma non ci riusciva. Continuava a girarsi, alla ricerca di una posizione comoda.

-Marilyn, la smetti di muoverti? È presto- disse improvvisamente la sorella, che ancora aveva gli occhi chiusi per il sonno.

La maggiore sbuffò mentre guardava l'ora dalla sveglia sul comodino. Non era poi un'ora così indecente, decise quindi di alzarsi.

Mentre si stiracchiava uscì dalla camera, raggiungendo in fretta la sala e buttandosi sul divano.

Dalla finestra vedeva il paesaggio innevato che brillava sotto la luce del sole. Era bellissimo, la neve ricopriva le colline poco distanti dalla casa facendole sembrare come soffici balle di cotone.

Vide Linda che andava tranquillamente verso di lei, tenendo una tazza fumante in mano -Buongiorno Marilyn-

-'Giorno- si limitò a rispondere strusciandosi pigramente un occhio.

La donna bionda appoggiò la tazza su un tavolino vicino e poi si rivolse nuovamente alla ragazza -Oggi devi dare da mangiare ai cavalli-

Sapeva anche troppo bene che era arrivato il suo turno, ma finse di essere stanca morta cominciando a sbadigliare e a lamentarsi della troppa luce.

-Non crederai di poter sfuggire ai tuoi doveri?-. Aveva pienamente ragione.

Marilyn acconsentì, anche se di malavoglia.

Quando fu lavata e vestita si coprì a dovere e si infilò gli stivali. Appena fu fuori sentì l'aria gelida e pungente farle venire i brividi.

Mise le mani al caldo nelle tasche del giaccone e cominciò la camminata verso le stalle, dove avrebbe trovato dei cavalli molto affamati.

Non era nemmeno arrivata che sentì un forte nitrito, che riconobbe subito. Solo RayBlack la “salutava” ogni volta che la vedeva, mentre gli altri si limitavano a guardarla.

Quando finalmente fu arrivata alla stalla passò prima dal suo prediletto, accarezzandogli la criniera nera e liscia. Appoggiò la fronte sul muso del cavallo mentre continuava ad accarezzarlo.

RayBlack dopo un po' scalciò sul terreno -Ok, ora ti do da mangiare- sorrise all'animale e si diresse verso un casottino di legno che conteneva il fieno. Ne prese una bel po' da dare al cavallo nero, che si avventò immediatamente sul cibo.

Diede da mangiare anche agli altri cavalli per poi restare ad osservarli. Avevano tutti un'aria possente e quasi regale, ma quello che di più attirava l'attenzione di Marilyn era l'Appaloosa di Linda. Bianco a macchioline nere. Quando andavano tutti in passeggiata lei di solito montava quello “Deve essere stato il suo primo cavallo” pensò Marilyn.

In effetti avevano notato che ogni volta che Linda si avvicinava, gli occhi di quel cavallo sembravano illuminarsi.

Una voce che la chiamava interruppe il corso dei suoi pensieri. Si girò e vide che John, coperto da uno spesso giaccone, guanti e sciarpa, si avvicinava affondando nella neve.

Mise un braccio intorno alle spalle della figlia e le baciò la fronte per darle il buongiorno.

-Qual è il tuo?- chiese indicando con un cenno del capo i cavalli nelle stalle. Marilyn indicò il cavallo nero e John gli si avvicinò piano. Anche lui come la figlia era affascinato dai cavalli, e infatti non resistette al fargli una carezza. -Come si chiama?-

-RayBlack-

Marilyn raggiunse il padre osservando il movimento lento e delicato che la sua mano percorreva sul manto del cavallo. -Sei mattiniero- commentò poi ricordandosi che il padre aveva l'abitudine di dormire fino all'ora di pranzo.

John si passò una mano fra i capelli nervoso -Oggi torno a Londra- disse tutto d'un fiato.

La figlia abbassò lo sguardo un po' delusa. Si aspettava che rimanesse di più, ma in fondo lo capiva; aveva Yoko ed era comprensibile che volesse stare con lei.

Vide che John si era fatto improvvisamente serio e che la guardava, come se fosse accaduto qualcosa di grave. Fece un bel respiro per poi appoggiare le mani su entrambe le spalle di lei -Marilyn, devo dirti una cosa. È molto importante-

La ragazza deglutì. Non sapeva esattamente quel che stava per dirle il padre, ma aveva paura.

Annuì, facendogli capire che poteva continuare.

-Mi sembra giusto che sia tu la prima a saperlo- si bloccò un secondo, doveva prendere coraggio.

-Ieri io e Paul abbiamo parlato e...insomma, in poche parole abbiamo scoperto di amarci ancora- notò che l'espressione di Marilyn era cambiata velocemente da “preoccupata” a “decisamente scioccata”. Non si aspettava certo di entrare in quell'argomento e la rivelazione del padre l'aveva lasciata di stucco.

-Ma...pensavo fosse tutto finito tra voi- replicò, ricordando bene quel giorno nell'hotel a Londra. Paul era anche stato troppo chiaro su quella faccenda.

John scosse la testa -Lo pensavo anche io, ma abbiamo un costate bisogno l'uno dell'altro e abbiamo deciso che è inutile cercare di stare lontani-

Quella decisione avrebbe creato moltissimi problemi, uno più grande dell'altro, questo John lo sapeva, ma non gli importava. Finalmente erano sicuri entrambi e nulla avrebbe potuto fargli cambiare idea. Sarebbe stato difficile, ma John era stranamente ottimista per quanto riguardava il futuro.

Marilyn lo prese per mano e si incamminò verso la casa -È per questo che parti. Vuoi dirlo a Yoko-

-Esattamente, così Paul potrà dirlo a Linda senza avere me di mezzo. Sarà tutto più semplice-

La figlia però non era così convinta. Paul amava Linda e per nulla al mondo avrebbe voluto farla soffrire, ma era proprio ciò a cui stava andando incontro.

John improvvisamente si fermò. Guardò negli occhi sua figlia, riconoscendo quella paura. La paura che tutto quel che finalmente aveva sparisse, di perdere le persone a lei care. La paura che John conosceva anche troppo bene.

La strinse in un abbraccio caldo e rassicurante -Te l'ho detto per prepararti a quello che accadrà. Non voglio che tu soffra così tanto-

Marilyn non disse nulla e chiuse gli occhi, perdendosi nel calore sprigionato dalle braccia forti di John.

Quando finalmente rientrarono in casa lei era nervosa. Cercava Paul con lo sguardo, in cerca di spiegazioni.

Da una parte era felice che finalmente John e Paul avessero deciso di essere una famiglia, ma dall'altra non voleva perdere la sua famiglia. Anche se non lo ammetteva, si era affezionata a Linda e alle sue sorelle. Si era abituata alla vita lì e cambiare tutto sarebbe stato di sicuro drastico.

Infine lo vide. Stava scendendo le scale in fretta e furia, anche lui coperto da capo a piedi -John, dov'è il taxi?- chiese mentre guardava l'orologio. Proprio in quel momento sentirono delle ruote frenare sulla neve morbida che si stava sciogliendo al sole.

-Tempismo perfetto McCartney- commentò John lanciandogli un'occhiata divertita.

Marilyn voleva fermare suo padre, chiedergli se aveva realmente intenzione di fare come John aveva detto, ma non riuscì a dire nulla.

Paul intanto aveva accompagnato John fino alla porta d'ingresso, dove poi si era fermato appoggiandosi sullo stipite.

Si guardarono nuovamente, eccitati e contenti di sapere che sarebbero rimasti insieme.

-Ritornerai vero?- chiese Paul. John gli sfiorò la guancia con una mano -Certo. Te lo prometto McCartney, a un anno da qui dobbiamo vivere insieme a costo di venirti a riprendere-

Il più giovane ridacchiò e lo lasciò andare nel taxi, che poi sparì nella campagna.

Paul si lasciò scappare un sospiro. Era arrivato il momento di affrontare quella situazione una volta per tutte. Doveva parlare con Linda e subito.

Era pieno di coraggio, se lo sentiva.

La cercò per la casa e infine la trovò in cucina, che preparava la colazione per le figlie. Quando si accorse della sua presenza si voltò verso di lui e sfoderò un sorriso a trentadue denti.

Paul ebbe un tuffo al cuore. No, non ce la faceva.

-Vuoi che ti prepari qualcosa tesoro?- chiese con tranquillità. Il marito si riscosse in fretta e annuì con sguardo cupo e pensoso. Linda se ne accorse subito, ma preferì non chiedere al compagno di cosa si trattasse.

Paul si sedette al tavolo insieme alle figlie. Non aveva mai pensato che tutto quello potesse finire, che non avrebbe più potuto vederle tutti i giorni, che non le avrebbe potute vedere giocare, crescere.

Tutto ciò che un tempo era la sua vita stava per finire.

Marilyn intanto lo aveva seguito e si era seduta alla tavola insieme a lui. Cercava di non far notare l'agitazione che le scoppiava dentro, ma Paul aveva visto come guardava prima lui e poi Linda.

John le aveva detto tutto. Paul sospirò “Perché John deve sempre fare quel che dice?”. Non voleva che Marilyn sapesse già quel che stava per fare, era stressante.

Forse in quel momento lo stava odiando, perché stava distruggendo quella che per lei era una famiglia.

Linda appoggiò sul tavolo una tazza bianca con del the fumante per poi dare un bacio sulla guancia al marito, che spontaneamente sorrise. Perché proprio adesso, la vita di coppia sembrava tanto dolce?

Marilyn stava ancora mangiando i suoi pancakes quando si sentì tirare la manica della maglietta. Si girò e vide che la sua sorellina Mary stava cercando di attirare la sua attenzione -Cosa c'è Mary?-

-Andiamo fuori a giocare con la neve?-

La più grande non poté negare quel piacere alla sorellina. Si alzò prendendole la mano e la condusse all'ingresso. La piccola voleva immediatamente uscire, ma Marilyn la bloccò -Prima devi coprirti- le mise il giacchetto quasi a forza e poi le infilò i guanti nelle piccole mani.

Mary incrociò le braccia sul petto e la guardò contrariata -Perché devi sempre fare come la mamma?-

-Perché ti voglio bene e perché fuori si gela- si chinò per essere più o meno alla sua altezza e l'abbracciò. Sarebbe stato strano senza le sue sorelle.

Appena aprì la porta, Mary cominciò a correre nel campo innevato prendendo la neve per poi tirarla in aria. Ma la cosa più bella era la sua risata, limpida e sincera.

Marilyn la raggiunse e cominciò a tirarle delle palle di neve, aspettando sempre che la più piccola rispondesse. Anche se Mary era ancora una bambina aveva sviluppato fin da subito un carattere combattivo e non si lasciava scoraggiare dall'evidente differenza fisica che c'era fra le due.

Intanto nella casa, Paul le guardava dalla finestra, assaporando ogni momento della sua vita familiare.

Sentì delle braccia che gli circondavano la vita e che lo stringevano ad un corpo femminile. Linda appoggiò la testa sulla schiena di Paul -Tesoro, cosa succede?-

-Niente, Linda non preoccuparti-

Cercò inutilmente di tranquillizzarla, ma sua moglie non era per niente cieca e vedeva nel suo sguardo che qualcosa non quadrava.

Paul ormai non sapeva più cosa fare. Aveva paura di essere troppo diretto, di non avere un minimo di tatto, ma non trovava le parole per iniziare il discorso.

Distolse lo sguardo da lei, per difendersi “Cavolo, e adesso?”.

Fortunatamente il telefono squillò, salvando Paul da quella situazione. Quando vide che Linda stava andando a rispondere tirò un sospiro di sollievo; aveva almeno cinque minuti per elaborare qualcosa.

Cercava un inizio, solo quello, poi il resto sarebbe venuto da se, ma aveva la mente bloccata.

Intanto sentiva Linda che parlava tranquillamente, probabilmente era una delle sue amiche.

Paul non ce la faceva a restare lì, così si diresse a passi svelti nel suo studio. Lì sarebbe riuscito a concentrarsi.

Si sedette sulla sedia di legno scuro e guardò tutti i fogli che ingombravano la scrivania. Lì dentro c'era tutta la sua vita.

Prese la foto che teneva in bella vista sulla libreria vicina, c'era raffigurata una Marilyn molto piccola che rideva per le smorfie di John. Paul adorava alla follia quella foto.

-Amore, perché sei scappato di qua?-. Quella voce apparteneva a sua moglie, lo aveva cercato per poi trovarlo lì. Si chiedeva il perché di quel comportamento.

Appoggiò una mano sulla spalla di Paul -Vuoi dirmi cosa succede?-

-Come se fosse semplice- borbottò l'altro senza guardarla. Non ce l'avrebbe fatta a sostenere il suo sguardo.

Linda si chinò prendendogli la mano -Sono tua moglie, ricordi? Puoi dirmi tutto-.

A quel punto i marito si girò. Doveva dirle tutto, non voleva più fingere perché lei aveva il diritto di sapere la verità.

-Va bene. Volevi tanto sapere chi era la madre di Marilyn, ebbene adesso ti dirò tutto quello che so su di lei-. Non era esattamente quella che si chiamava una dichiarazione di separazione, ma per Paul era fondamentale partire dall'inizio, in modo Linda capisse poi la parte più importante del racconto.

Lei stette ad ascoltare attentamente ogni singola parola che usciva dalla bocca di Paul, senza mai interromperlo.

Quando Paul finì di raccontarle tutto, rimase per qualche minuto in silenzio.

-Ok Paul, ma perché hai deciso di raccontarmi tutto questo adesso?-. Ecco la domanda che più temeva e a cui aveva paura di rispondere. Ma un vero rapporto coniugale si fonda sulla sincerità e anche se stava per finire, Paul volle tener fede a quel principio.

Prese un bel respiro -Linda, la figlia che Jenn mi ha dato, non è solo mia figlia, ma anche figlia di John...perché noi due...stavamo insieme-.

Silenzio.

Nessuno dei due fiatava. Quei pochi minuti sembrarono a Paul un'infinità e aveva paura che il peggio stesse per arrivare.

Linda sospirò -Non era proprio questo che mi aspettavo ma, non voglio giudicarti-.

Paul si alzò prendendole le mani -Non è questo il punto Linda-

-E qual è allora?-

-Noi due...ci amiamo ancora-.

Fu come rompere uno specchio, uno specchio che divideva l'immagine che Paul si era creato da quella che aveva sempre nascosto. La parte di lui che amava John.

Però con le schegge di specchio frantumato ci si fa male. Ed era come se tante piccolissime schegge taglienti stessero trafiggendo il cuore di Linda, che non voleva credere alle parole di Paul.

Così si mise a ridere, una risata nervosa perché cercava con tutte le sue forze di ripetersi che stava scherzando, ma lo sguardo del marito era più sicuro e veritiero di quanto si aspettasse.

Linda gli mollò le mani, cercando di trattenere le lacrime -Quindi...mi stai dicendo che vuoi andare da lui?-

-Si-

La moglie diede un colpo sulla scrivania e delle lacrime le rigarono il bel volto -Ma Paul, io credevo che tu mi amassi...e per tutto questo tempo, non hai fatto altro che fingere-

Paul le prese il viso tra le mani tentanto di asciugarle le lacrime -No, ero veramente innamorato di te, non ho mai finto, sono sempre stato sincero ed è per questo che ho deciso di dirtelo-.

Ma Linda lo respinse via, non voleva neanche stare ad ascoltare quel che aveva da dire, era troppo sconvolta.

Uscì da lo studio sperando che Paul la lasciasse stare ma invece le andò dietro, bloccandola per un braccio.

Lei si girò e gli diede uno schiaffo, che risuonò per tutta la casa. Probabilmente anche le bambine lo avevano sentito.

-Non ti è mai passato per la testa che per inseguire il tuo folle sogno di una vita con John avresti non solo spezzato il cuore di tua moglie, ma anche quello delle tue bambine!?-

-Linda cerca di calmarti-

-No! Lasciami! Non hai minimamente pensato a noi, solo a te stesso!- strattonò via il braccio con violenza e scese al piano inferiore.

Nel frattempo Marilyn aveva radunato le sue sorelle e si era nascosta nella sua stanza. Erano atterrite e toccava a lei, in quanto sorella maggiore, rassicurarle, ma non riusciva neanche a calmare il suo cuore quindi come avrebbe fatto con le sorelle?

Mary si avvinghiò a lei nascondendo il volto pieno di lacrime -Perché mamma e papà stanno litigando?-. Le parole della più piccola erano ogni volta interrotte dai singhiozzi.

Marilyn però non le rispose, non riusciva a dire niente e nei suoi occhi aveva solo la paura, niente di più. Sentivano le urla di Linda anche da piano di sotto, che inveiva contro Paul, senza neanche dargli il tempo di rispondere.

Era come una tempesta, e loro erano in mezzo, senza poter far nulla per placarla.

Il bassista cercava in tutti i modi di calmarla, ma tutto quello che otteneva erano ancora più insulti e imprecazioni. Non l'aveva mai vista arrabbiata in quella maniera.

Linda si lasciò andare sul divano, nascondendo il volto pieno di lacrime dietro alla sua esile mano. Il marito guardava il corpo di lei, scosso dai singhiozzi e non poteva far altro che provare un senso di colpa, o odio verso se stesso, per aver dato dolore alla donna che lo aveva sempre amato.

-Tu...mi ha tradito- sussurrò Linda -con un uomo-. Non riusciva ancora a capacitarsene, non si sarebbe mai aspettata un comportamento così meschino da parte di Paul. Voleva abbandonare lei e la famiglia, per cosa poi? John, quell'uomo che gli aveva creato più dolori che gioie in passato.

Ma Linda non poteva saperlo, non poteva capire che tra i due musicisti scorreva ben di più che amore. Era un legame così forte che andava oltre le loro continue vicissitudini.

Paul le appoggiò una mano sopra la spalla, ma sembrava che Linda non la stesse neanche percependo.

-Paul, vattene-

Inizialmente l'uomo dai capelli corvini parve non capire, ma Linda non si risparmiò un'altra ripetizione -Vattene- e non c'era clemenza nella sua voce, solo dolore.

Lo sguardo di Paul sembrava disorientato e perso -Ma, in che senso? Non capisco-

-Esci da questa casa, Cristo!- esclamò la bionda.

No, non poteva cacciarlo di casa. Dove sarebbe andato? Non poteva certo andare da John, visto che anche lui era alle prese con la propria moglie.

Fece qualche passo indietro, quando si accorse che la moglie lo guardava amaramente, con gli occhi arrossati dal pianto.

-Linda, per favore, capisco che sei distrutta...ma, non posso andarmene-

Lei si alzò dirigendosi velocemente verso di lui -Oh si che puoi! Sei miliardario Paul, sicuramente troverai un hotel di tuo gradimento-.

-Ma...le bambine?-

-Staranno bene anche senza di te, adesso esci- lo spinse verso la porta, che venne subito aperta, rivelando il paesaggio ancora innevato.

Paul prese la donna per le spalle cercando di farle cambiare idea -Linda non ho un posto dove andare, non puoi sbattermi fuori dalla mia stessa casa-

-James Paul McCartney, forse non l'hai ancora capito, ma posso fare un sacco di cose!- detto ciò lo spinse fuori dalla porta, che fu subito richiusa.

Paul abbassò il capo. Aveva gli occhi lucidi, ma non era il momento di piangere, doveva farsi forza e trovare una soluzione al problema che lui stesso aveva creato.

Ma non ce la faceva.

Crollò a terra, sentendo che ormai le lacrime bagnavano anche il suo viso. In quel momento avrebbe tanto voluto non aver detto niente a Linda, sarebbe stato sicuramente meglio.

Il vento lo colpì violentemente sul volto, e un brivido percorse la sua schiena. Decise quindi di alzarsi e si diresse verso di garage dove teneva la macchina, lì almeno non avrebbe patito il freddo.

Lì dentro era pieno di scatoloni e roba ammucchiata l'una sopra l'altra. Sospirò cercando di non pensare a ciò che ormai aveva perso.

Si infilò nella macchina e si sedette sul sedile accanto al manubrio. Appoggiò la testa sul cruscotto e si abbandono al mantello di tristezza e solitudine, che lo avvolse completamente.

 

Marilyn corse giù per le scale. Appena aveva sentito che tutto si era calmato aveva deciso di uscire allo scoperto, per vedere lei stessa le condizioni di Linda e del padre.

Quando fu al piano inferiore però si ritrovò a camminare lentamente, come se si facesse largo tra le macerie della casa, alla ricerca di qualcuno. Effettivamente qualcosa si era rotto: il cuore di Linda, l'equilibrio della loro famiglia.

La trovò seduta al tavolo della cucina, che fissava il vuoto persa in chissà quali pensieri.

La ragazza si avvicinò lentamente, guardando come la notizia avesse sconvolto Linda. Il suo volto era il vero ritratto della tristezza e i suoi occhi azzurri, una volta lucenti, erano spenti e vuoti. Il suo intero corpo sembrava fragile come il vetro.

-Linda...- cercò di risvegliarla Marilyn. Vide la bionda girarsi e guardarla, senza però cambiare espressione. In quel momento la ragazza avrebbe desiderato di essere più piccola, in modo da vedere un sorriso, anche se finto, sul viso di lei. Ma Linda non riusciva più a nasconderle niente, e non le risparmiava nemmeno il peso della rottura tra lei e Paul.

Marilyn non riuscì a dire nient'altro, ma preferì abbracciarla. La donna rimase sorpresa dal suo gesto, ma ricambiò volentieri l'abbraccio; in quel momento aveva bisogno d'affetto.

Le accarezzò i capelli castani, cercando di tranquillizzarla -Va da lui- le sussurrò. Marily la fissò un po' stranita da ciò che aveva detto, ma poi un sorriso triste si fece largo sul suo giovane visto.

Linda aveva capito che per la ragazza il padre era molto importante e non le avrebbe negato di poterci parlare.

La guardò andare a prendersi un giacchetto e i guanti invernali, per poi uscire frettolosamente dalla porta.

Si era affezionata a quella peste e sapeva, purtroppo, che con Paul se ne sarebbe andata anche lei, ma Linda non l'avrebbe impedito.

Quando Marilyn fu fuori il freddo la colpì e quindi si diresse velocemente verso l'unico posto dove poteva essere andato suo padre: il garage.

Infatti lo trovò lì, dentro la macchina, col viso appoggiato al cruscotto. “Non si dovrebbe vedere i propri genitori in questo stato” si ritrovò a pensare la ragazza. Le dava un dispiacere immenso vederli così abbattuti e tristi e sperava che riuscissero a riprendersi il prima possibile.

Aprì lo sportello della macchina e si sedette accanto a Paul, che si riscosse subito appena la vide. Si vergognava a farsi vedere in quel modo e decise quindi di sembrare un po' più calmo di quel che era in realtà.

Si accorse subito della smorfia triste che aveva sua figlia e si rammaricò moltissimo per questo. Le diede un buffetto sulla guancia -Non essere così triste, non è colpa tua- e con suo enorme piacere vide che un leggero sorriso si faceva largo sul viso di Marilyn. Nulla poteva essere altrettanto luminoso in quel momento.

-Papà, come credi che andrà a finire?-

-Non lo so, tesoro. Spero solo che tu sia felice, è la sola cosa che mi importa veramente-

Ed era vero, forse non se n'era accorto prima, ma in quel momento capiva cosa voleva dire essere padre. Voleva solo il meglio per Marilyn e le sue bambine, qualsiasi cosa sarebbe successa in futuro non gli importava, ma loro dovevano essere felici.

Marilyn gli prese una mano, riscaldandola -Immagino che andrai da John-

Quella era una speranza di Paul, con il suo amico sarebbe stato finalmente capito e forse sarebbe riuscito a stare un po' meglio -Lo spero. Ma sarà comunque difficile. Certo, non sono più gli anni sessanta e la gente comincia ad essere più aperta verso l'omosessualità ma- sbuffò. Già si immaginava i giornali e i media, tutti eccitati per il nuovo scandalo che oltretutto riguardava i beniamini dell'Inghilterra. Per non parlare del divorzio.

Rimasero entrambi in silenzio, per minuti che sembrarono infinità. Pensavano a come sarebbe stata la loro nuova vita, Marilyn non poteva più immaginarla senza le sorelle, come prima non riusciva ad immaginarla senza i Beatles.

-Papà?-

-Dimmi-

-Raccontami della mamma-

Paul sorrise, gli era tornata alla mente l'immagine di Jenn, sempre sorridente e non poteva far a meno di sentirsi meglio.

 

***

-Londra- 1964-

 

-John, sicuro che sia la cosa giusta?-

-Al cento per cento. Non ti preoccupare, ci sono anche gli altri-

John guidava sicuro per le strade di Londra, di tanto intanto portava una sigaretta alle labbra, per poi sputare il fumo fuori dal finestrino.

Jenn gli sedeva accanto tenendo tra le braccia la piccola Marilyn, che si guardava intorno estasiata. Era sempre felice quando la portavano a fare un giro, ma Jen non poteva essere altrettanto entusiasta.

John aveva avuto l'idea di invitarla da lui, con anche Cynthia e Julian. Sapeva che Marilyn e il bambino andavano d'accordo e non le dispiaceva che giocassero insieme, ma provava un'immensa vergogna nello stare vicino alla donna a cui “rubava” il marito.

Il musicista volse un attimo lo sguardo verso la sua amante, notò che aveva lo sguardo preoccupato. Se ne accorgeva soprattutto dalla fronte leggermente corrugata, come ogni volta che c'era qualcosa che non andava.

Sospirò conoscendo il motivo della sua preoccupazione, ma desiderava proprio avere anche lei vicino. Visto che venivano anche gli altri Beatles aveva ben pensato di chiamare anche lei, in modo da poter portare anche Marilyn.

Era stato via con i ragazzi per un minitour in America. Era stato incredibile, non pensava che sarebbero mai arrivati là, nella patria del Rock'n Roll, ma ce l'avevano fatta.

Vedere tutte quelle ragazzine urlanti anche solo ad aspettarli all'aereoporto era stato fantastico. Si era sentito come in cima ad una vetta, ma Brian gli aveva detto che da lì in poi non avrebbero fatto altro che salire. Effettivamente le vendite dei dischi stavano andando veramente bene.

Parcheggiò la macchina nel piazzale davanti ad una villetta, dove abitava insieme alla moglie e al figlio.

Jenn notò che c'erano altre macchina e sorrise all'idea di rivedere i ragazzi dopo tanto tempo.

Scese dalla macchina sempre con la figlia in braccio, che guardava tutto con curiosità sempre rinnovata, come ogni bambino.

-Vieni da papà- disse John prendendola delicatamente dalle braccia della madre. Marilyn ridacchiò quando il padre se la mise sulle spalle, riuscì solo a dire -Gatto!- era così che chiamava John e nessuno aveva ancora capito perché non lo chiamasse papà, nonostante i suoi tentativi, ma al chitarrista andava bene così.

Tutti e tre si diressero verso l'entrata della casa. Quando suonarono il campanello venne subito Cynthia ad aprire. Il suo viso si illuminò con un grandissimo sorriso quando vide Jenn. Lei la considerava una grande amica, perché si erano aiutate a vicenda durante e dopo la gravidanza.

Per quanto fosse gentile però Jenn non riusciva mai a dimenticare ciò che le stava facendo e molte volte risultava timida, quasi da far tenerezza alla stessa Cynthia.

Li fece entrare, ricordando a John di far scendere la piccolina, per paura che cadesse.

All'interno della casa, Jenn percepì subito le voci degli altri Beatles, che chiacchieravano nel salotto.

Prese la bambina tra le braccia e si fiondò dai tre ragazzi, gli erano mancati tantissimo durante il tour americano.

Quando la videro esultarono tutti -Jenn!-. Si alzarono per andarla ad abbracciare, avevano mille cose da raccontarle sull'America e volevano portarci anche lei un giorno.

-Come sta la creatura?- chiese Ringo rivolgendosi a Marilyn. Lei allungò una mano per toccarlo, facendolo commuovere come ogni volta che aveva a che fare con i bambini. Cominciò a ridere, stringendo gli occhi azzurri -Vedi? Riconosce lo zio Ringo- disse prendendola in braccio.

La bambina fu attirata dai numerosi anelli del batterista e cercò immediatamente di prenderli. Ringo se ne sfilò uno e provò a metterlo al dito di Marilyn -Ti sta ancora troppo grande, quando sarai cresciuta te ne regalerò uno-

-Cos'è? Una proposta di matrimonio?- chiese Paul che intanto era andato da Jenn per salutarla.

-Potrebbe anche essere- sentenziò il batterista -C'è qualche problema?-

George si mise a tossicchiare -Pedofilo- sussurrò facendo ridere gli altri.

Intanto Cynthia era andata a recuperare il piccolo Julian, che stava giocando nella sua camera. Sapeva quanto gli piacesse giocare con Marilyn, nonostante ci fosse almeno un anno di differenza.

Lo guardò adorante, era ancora paffuto ed era sempre tranquillo a differenza di Marilyn. Jenn le aveva raccontato che la notte le faceva passare le pene dell'inferno, perché non riusciva a dormire. A Cynthia piaceva quella bambina vispa e sempre sorridente, sarebbe diventata una bella ragazza.

-Guarda chi c'è?- disse Jenn a Marilyn ancora in braccio a Ringo. Sgranò gli occhi tondi e sorrise all'amico. Li misero entrambi sul tappeto con i mille giochi di Julian, in modo che potessero divertirsi.

John posò una mano sulla spalla di Cynthia -Lasciamo soli i ragazzi Cyn, si meritano un po' di intimità-

Jenn protestò immediatamente -John non sono adolescenti e per di più sono come fratelli, non puoi dire queste cose!- fece ridere tutti, ma solo John e Paul avevano capito a cosa alludeva la donna.

Quella bambina poteva essere benissimo figlia di Paul che di John e c'era quindi la possibilità che fosse la sorellastra di Julian.

Si sedettero tutti quanti sul divano, cominciando a raccontare a Jenn dell'America. Rimase affascinata dalla descrizione paradisiaca di Miami e un po' invidiava Cynthia, che aveva avuto l'occasione di andare mentre lei era rimasta a casa a prendersi cura della figlia.

-Ah, ti ringrazio tantissimo- le disse poi Cynthia -Mia madre mi ha raccontato che l'hai aiutata con Julian mentre ero via-

Jenn arrossì. Si era sentita sola e quindi era andata ad aiutare la madre di Cynthia a tenere il bambino. Era stato divertente vedere quei due giocare insieme e non le era affatto pesato.

Poteva quasi dire che fare la mamma le veniva naturale.
-Di nulla Cyn, tanto era da sola, quindi ho pensato bene di andare da tua madre. Sono anche andata a trovare Mimi-

A quelle parole John scoppiò in una risata fragorosa. Si era perso quel grande avvenimento, avrebbe tanto desiderato esserci durante l'incontro tra Jenn e Mimi -Ti prego raccontami tutto, cos'ha fatto quell'arpia?-

-Penso che tu le abbia già raccontato di me, perché quando sono arrivata mi ha subito chiamato per nome. Poi mi ha fatto un sacco di domande, da dove venivo, cosa facevo ad Amburgo e cosa faccio ora, se ti sfrutto per i soldi-

Paul accavallò le gambe -E cosa le hai risposto?-

Jenn alzò gli occhi come per ricordare gli avvenimenti di quel dannato pomeriggio, anche se in verità aveva tutto ben stampato in mente -Le ho detto che ad Amburgo facevo la spogliarellista ma non mi ha lasciato finire, perché mi ha buttato fuori dicendo che ero una sgualdrina e che non poteva tenermi in casa. Ha cominciato a vaneggiare sul fatto che sto solo usando John per i soldi e che presto te lo dirà-

Tutti si misero a ridere. Come al solito Mimi aveva dato i numeri a sentire i racconti di Jenn e nessuno infatti si era meravigliato della reazione.

-Non ti conviene presentarti un'altra volta da mia zia- concluse John, dopo aver smesso di ridere.

Le fecero vedere le foto di quando erano in America. Le spiagge sembravano proprio come le avevano descritte e il loro Hotel era proprio sul mare. Un vero paradiso in confronto alle giornate sempre grigie dell'Inghilterra.

Jenn si soffermò su una foto. Era stata scattata sulla spiaggia al tramonto, si vedevano due ragazzi di spalle che riconobbe subito come John e Paul. Quest'ultimo stava suonando la chitarra mentre John aveva il volto girato e lo guardava. Forse nessuno se n'era accorto, ma in quello sguardo c'era tutto l'amore che John provava per il compagno e che doveva essere tenuto nascosto, ma i suoi occhi non mentivano mai.

-Cyn, posso prendere questa foto?- chiese gentilmente Jenn, sperando in una risposta positiva. La bionda acconsentì.

John e Paul si erano accorti del cambiamento della donna e si erano lanciati un'occhiata. Come faceva ad accorgersi sempre di tutto? Nessuno li aveva ancora scoperti nessuno, ma lei riusciva a trovare ogni piccolo dettaglio del loro amore.

John ricordava benissimo il giorno sulla spiaggia. Erano rimasti tutti lì per godersi il mare e il sole caldo. Paul si era portato dietro la chitarra e aveva iniziato a suonarla, incantando John. Era sempre così quando lo sentiva cantare, come se nella sua voce ci fosse un richiamo a cui John non riusciva a resistere.

Lo guardava mentre passava velocemente le dita sulla chitarra, scaturendo un rumore dolce come il miele, che aleggiava nell'aria leggero.

Non avevano fatto ne detto nulla, ma entrambi avevano avvertito qualcosa di speciale e unico. Forse era proprio questo il loro amore, anche senza dire nulla si dicevano tutto e si amavano anche solo con uno sguardo.

 

***

 

-Scozia- 00:05-

 

La camera era immersa nel più completo silenzio e oscurità, ma l'animo di Paul non riusciva a darsi pace.

Alla fine Linda l'aveva fatto rientrare, ma non si erano rivolti la parola per tutto il giorno. In più si era trasferito nella camera degli ospiti, ma gli sembrava stranissimo essere ospite a casa sua, non ci era abituato.

Sapeva che il giorno dopo avrebbe nuovamente affrontato la questione con la moglie, magari più civilmente, e avrebbero deciso cosa fare prima di iniziare le procedure per il divorzio.

Rabbrividì, quella parola sembrava così orribile e sbagliata.

Pensava già a tutti quelli che lo avrebbero insultato e gli amici che avrebbe perso, ma non poteva comandare al suo cuore. Tutte le volte che aveva cercato di essere razionale e di fare la scelta giusta per tutti aveva finito col rendersi infelice, ma non quella volta.

Era difficile, ma cosa non lo era stato nella sua vita? Aveva sempre incontrato delle difficoltà, che forse all'inizio l'avevano spaventato, ma aveva imparato ad affrontarle. Ma in quel momento non riusciva proprio a trovare una soluzione.

Si girò nuovamente tra le coperte, cercando una posizione comoda per provare a dormire.

Da dietro la tenda poteva scorgere la luce della mezzaluna, che faceva capolino tra le nuvole grigie del cielo scozzese. Non volava un filo di vento e c'era un'innaturale calma.

Il suono improvviso del telefono lo fece sobbalzare. Sperò che qualcuno si alzasse per andare a rispondere, ma comprese ben presto che Linda era stanca per alzarsi a quell'ora per rispondere a una chiamata alquanto inopportuna.

Controvoglia si alzò dal letto e, trascinando i piedi pesanti come mattoni raggiunse la sala. -Sì?- non riuscì a trattenere un piccolo sbadiglio, che fece ridacchiare la persona dall'altra parte. Riconobbe al volo quella risata, ma non riusciva a credere che fosse proprio quella risata.

-John?- chiese sussurrando con la speranza di non farsi sentire da Linda.

-In persona mio caro-

Paul se lo immaginava, quel suo mezzo sorriso ironico. Sentire la sua voce lo fece rasserenare quel poco che bastava per lavargli via l'espressione preoccupata che aveva avuto per tutto il giorno.

Paul si sedette per terra, incurante del freddo che lo stava avvolgendo -Ti sembra questa l'ora di chiamare?-

-Scusa se ti ho svegliato principessa, volevo solo sapere com'è andata-

Il bassista sospirò, ricordando quell'orribile momento del giorno prima. Il senso di colpa gli risalì nel corpo come se stesse nuovamente ripetendo l'esperienza. -È stato terribile. Tu piuttosto, dove sei? Sento un sacco di rumori-. Era vero, la voce di John certe volte veniva tappata da quello che sembrava lo strombazzare dei clacson, ma Paul non ne era sicuro.

John schioccò la lingua, come se stesse cercando parole per descrivere la sua situazione -Ti basti sapere che sono stato buttato fuori di casa- Il suo tono era ironico, ma Paul percepì un lato nascosto di tristezza. Come al solito John non voleva far vedere il suo lato sofferente.

-Beh, sinceramente pensavo che ti avrebbe ucciso-

John dall'altra parte sbuffò -Paul seriamente, non so proprio dove andare-

-Non ti preoccupare, tra non molto anche io sarò fuori di casa-

I due musicisti rimasero in silenzio. Tra di loro c'erano chilometri e chilometri di distanza, ma era come se fosse uno davanti all'altro, a guardarsi negli occhi.

Sapevano entrambi di essere in una situazione problematica e che ci sarebbe voluto un po' di tempo prima di riuscire a sistemare le cose. Soprattutto prima di avere l'affidamento di Marilyn. Anche il suo futuro li preoccupava, volevano poterla tenere con loro, come sua madre aveva sempre voluto, ma temevano che il giudice non fosse d'accordo. Che la legge non lo permettesse, anche se in verità si trattava più che altro dei confini mentali delle persone.

Come lo avrebbero spiegato ai loro amici, e ai loro due compagni di sventure George e Ringo?

-Guardaci- esordì John -I due più grandi pilastri della musica inglese ridotti così-

Paul sorrise, essendo in parte d'accordo con il suo compagno. Una volta pensavano di avere il mondo intero a disposizione, di poter fare qualunque cosa. Erano giovani e pieni di speranze, ma erano maturati e dentro di loro era cresciuto il senso della realtà. Purtroppo, erano molto più realisti di prima.

-Già, se l'avessi saputo prima non ci avrei mai creduto-

-Infatti, era del tutto impensabile che John Lennon e Paul McCartney potessero amarsi, o che potessero addirittura avere una figlia, ma è successo-

Intanto Paul intrecciava il cavo del telefono tra le dita, intento a pensare alle parole di John. Era proprio incredibile la vita, piena di sorprese, ma non tutte le sorprese sono belle.

-Dai, vedrai che riusciremo ad uscire da questa situazione. Dopotutto non ci sono problemi, ma soluzioni- disse John, anche a se stesso per recuperare un po' di speranza perduta.

Sì, non doveva perdersi d'animo, ma pensare ad un futuro migliore per lui e per sua figlia. Doveva essere positivo e darsi da fare.

Sentì improvvisamente una tegola del parquet che cigolava e si girò di scatto. Dietro di se vide una figura più bassa accovacciata come per non farsi notare.

Sospirò -Marilyn- le sussurrò quasi rimproverandola per essere scesa a quell'ora, ma non aveva il coraggio e la forza per dirle di ritornare di sopra a dormire. Anche lei si trovava in mezzo a quell'uragano e aveva il diritto di ascoltare.

John però non aveva capito che dall'altra parte c'era anche la figlia -Paul cosa c'entra Marilyn?- chiese infatti.

-Quella peste di nostra figlia è scesa di sotto-

-Allora passamela!-

La voce di John era diventata improvvisamente più felice, come era ogni volta che vedeva sua figlia. Questo dava un enorme piacere a Paul.

Passò la cornetta del telefono a Marilyn, che si fece avanti senza dire nulla sempre con lo sguardo basso. -Papà?-

-Tesoro, come stai?- e quella volta John intendeva davvero quello che chiedeva.

Lei sospirò, non sapendo proprio cosa dire. Aveva visto sia Linda che Paul in condizioni pessime e avrebbe preferito non vedere mai le persone che considerava i suoi punti di riferimento, crollare in quella maniera -Spero soltanto che tutto questo finisca-

-Anche noi.-

-Papà, ma come andrà a finire? Intendo, resterò con Linda e le mie sorelle?- si sentì stupida a fare quel genere di domande, sapendo che molto probabilmente non avrebbe ricevuto risposta, ma desiderava tantissimo avere un'immagine nella sua mente di come sarebbe stato il suo futuro.

John soppesò per qualche minuto la domanda -Penso che verrai con noi Marilyn, saremo nuovamente una vera famiglia, ma potrai comunque continuare a vedere le tue sorelle, non te lo impediremo-.

Per un attimo la ragazza pensò veramente a quella possibilità. Si immaginava felice, con i suoi genitori finalmente riuniti come aveva sempre sognato, però dove sarebbe andata a vivere?

Non voleva lasciare la Scozia, lì ormai aveva degli amici e...aveva Jason, come avrebbe fatto in un posto nuovo?

Comunque acconsentì, per non aggravare il peso che suo padre portava sulle spalle.

-Adesso vai a letto tesoro, è veramente tardi- disse John amorevolmente. Marilyn sorrise un po' malinconica -Va bene, 'notte papà-

-Buona notte Marilyn-

Quando la figlia fu salita di sopra, Paul recuperò immediatamente il telefono. Si era decisamente calmato, ancora una volta grazie a John che anche nei momenti più tristi c'era sempre stato e quello non faceva eccezione.

Lo sentì ridere dall'altro capo del telefono -Mi sa che fra poco devo riattaccare Paul-

-Non ti preoccupare, trovati un posto dove dormire piuttosto-. Entrambi si ritrovarono a ridere, perché in quella situazione o si rideva sprezzanti del dolore o si piangeva, ma non c'era più spazio per le lacrime ed entrambi i musicisti erano stanchi di soffrire. Per una volta preferirono non pensare al futuro.

-Allora alla prossima Johnny-

-Sì alla prossima, principessa-


Angolo Autrice:

Sono risalita dall'oltretomba per assillarvi con la mia storia! Ok, è sato uno sclero, ma non lapidatemi per i miei tempi di pubblicazione ma ho attraversato un momento di blocco dello scrittore e mi sono arenata come una balena, ma per fortuna sono riuscita a terminare questo capitolo.
Vorrei sapere i vostri commenti in proposito, se ho esagerato la reazione di Linda o se qualche personaggio non si comportava da tale e magari la segnalazione di eventuali errori.
Scusatemi ancora tantissimo per l'enorme e orrendo ritardo, ma non sapevo proprio cosa fare >.<

With Love
Goldenslumber14

 

 

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