All the love in my heart can't even find a way.

di Madness in me
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** If he's the beast, am i supposed to be his harlot ? ***
Capitolo 2: *** You know you can't give me what i need. ***
Capitolo 3: *** Can your heart still break, if it's already stopped beating ? ***
Capitolo 4: *** Cleanse us Acid Rain. ***
Capitolo 5: *** Will we burn inside the fire of a thousand suns? ***



Capitolo 1
*** If he's the beast, am i supposed to be his harlot ? ***


Capitolo 1.
"If he's the beast, am i supposed to be his harlot ?"

 

 

 

 

 

 

 

Diedi una veloce occhiata all’enorme pila di libri di fianco a me poi, sospirando, lessi la lista.
Dovevo sistemare ancora le tre enciclopedie, i dieci volumi di storia, i tre romanzi gialli e quattro dizionari poi avrei potuto timbrare il cartellino e godermi il meritato weekend.
Sospirai ancora poi ripresi a sistemare.
Amavo lavorare nella biblioteca di Huntington e poi il signor Charles, il proprietario, era un vecchietto d’oro.
Mi aveva presa a lavorare li senza soffermarsi sui miei lunghi capelli rossi fuoco o sui due piercing al labbro, non gli importava dei dilatatori ai lobi delle orecchie o delle braccia tatuate e neppure del mio modo di vestire; a lui importava solo che fossi puntuale, silenziosa ed educata con i clienti.
Erano ormai due anni che lavoravo lì e la cosa mi piaceva sempre più, inoltre la paga era buona, o almeno mi bastava per pagare le bollette, fare la spesa e comprarmi le dannate sigarette.
Quando finii di sistemare erano ormai le otto di sera, timbrai il cartellino poi salutai il vecchio Charles vedendolo rispondere con un sorriso, raccolsi le mie cose ed infine uscii per le strade semi deserte accendendomi una sigaretta.
Tirai fuori il cellulare dalla tasca e lo accesi, diedi una veloce occhiata alle chiamate perse, sorridendo.
Sempre lo stesso numero.
Aspirai una gran boccata di fumo mentre facevo partire la chiamata e rimanevo in attesa.
“Santa merda, bimba, che fine avevi fatto ?”  la voce profonda e familiare del mio migliore amico quasi mi stordì.
“Sono uscita ora da lavoro, Matt, calmati.”
“Ora ?! Ah, quel vecchio rimbambito finirà per sfiancarti!” sorrisi.
“Nah, non preoccuparti. Allora, piani per la serata ?”
“Nessuno. Le ragazze ci hanno dato buca, di nuovo, e non ho intenzione di portarti alla festa in spiaggia se non c’è almeno Alice quindi, dato che torna la settimana prossima dal suo viaggio di lavoro, stasera niente festa.”
Inarcai un sopracciglio, “Ma andiamo, starò con voi!”
“No e il discorso è chiuso. Se non hai le ragazze a farti compagnia o Alice a tenerti buona, noi ci ubriacheremo e succederà il finimondo ma tranquilla, ho un piano alternativo.”
“E sarebbe ?” domandai, svoltando l’angolo per imboccare la via con tutte le villette tra cui c’era casa mia e mi illuminai in un enorme sorriso.
Matt era subito fuori dal cancelletto di casa mia che mi salutava sorridendo mentre Brian e Zacky subito dietro di lui, sventolavano in aria le birre e i cartoni della pizza e JC mi chiamava a gran voce.
Li raggiunsi lasciandomi stringere in un abbraccio da Matt poi diedi un bacio sulla guancia agli altri tre ed estrassi le chiavi di casa dalla tasca, avviandomi alla porta, ignorando la figura che, a braccia incrociate al petto, stava ferma, poggiata al muro di fianco alla porta.
“Siamo qui da due ore, la pizza è fredda.” Borbottò, infastidito.
“Ho il forno in casa” risposi, acida.
“Non è la stessa cosa” puntualizzò.
“E allora non mangiare.” Dissi, esasperata,  facendo girare la chiave nella serratura e aprendo la porta.
“Fanculo, io volevo andare alla festa.” Borbottò ancora mentre i ragazzi entravano in casa.
Mi voltai a guardarlo, stringendo i pugni, stando ben attenta a non incrociare mai l’azzurro dei suoi occhi.
“Sullivan, nessuno ti obbliga a stare qui.” Dissi, lentamente, senza fargli notare il mio nervoso.
“Sono obbligato dato che i miei migliori amici sono qui.” Rispose, infastidito, per poi entrare in casa e andare a sedersi, come al solito, sulla poltrona davanti la TV.
Sospirai poi entri chiudendomi la porta alle spalle, dirigendomi in cucina e accendendomi una sigaretta mentre, seduta sul mobile, liberavo i piedi doloranti dalle mie amate creepers.
“Ehi, nana, avete già discusso ?” domandò Brian, entrando in cucina col suo classico sorriso da stronzo e l’immancabile Marlboro tra le dita.
Annuii sbuffando fuori una nuvoletta di fumo.
Poggiai la fronte alla sua spalla non appena venne a circondarmi la vita con le braccia e lo sentii poggiare il mento alla mia testa, sospirando.
“Gli hai parlato di Sabato sera ?” mi domandò, cullandomi appena.
“No, Brì. Non serve. Non intendo farlo.” Sussurrai, nascondendo  a fatica la tristezza nella mia voce.
“Az..” sospirò, rimproverandomi appena ma mantenendo un tono di voce dolce.
Sbuffai e sciolsi l’abbraccio, scendendo svelta dal mobile e lasciando la sigaretta nel posacenere.
“Lascia stare, ne parliamo dopo. Vado a fare una doccia, mangiate pure.” Sorrisi appena, gli lasciai un veloce bacio sulla guancia poi sgusciai svelta fuori dalla stanza, fiondandomi al piano di sopra ed entrando in bagno aprendo l’acqua della doccia, mi spogliai in fretta e mi infilai in doccia, chiudendo gli occhi e lasciando indietro la testa mentre il getto d’acqua calda mi scivolava addosso, sospirai.
Conoscevo i ragazzi da, ormai, quattro anni e il mio rapporto con Matt, Brian, Zacky e Johnny era stupendo, loro erano i miei fratelloni e io ero la loro piccola sorellina da difendere e coccolare e gli volevo un bene enorme.
Poi c’era l’incognita più grande della mia vita, il tasto dolente, James.
Con quei fottuti occhi azzurri, alto quattro volte più di me, con quel suo modo di fare che.. mi aveva rubato il cuore dal primo giorno che Matt me lo aveva presentato ma lui non ricambiava, anzi.
Lui stava con quell’oca odiosa di Leana e inoltre non mi sopportava.
Io e Jmmy litigavamo sempre e lui era stato chiaro, non voleva vedermi ed era costretto a frequentarmi solo per i ragazzi.
Mi ero messa il cuore in pace o meglio fingevo di averlo fatto, nonostante Brian e Matt sapessero l’amara verità.
Eppure, dopo quattro anni di sentimenti nascosti a gran fatica, il Sabato passato Jimmy, come su solito, si era divertito a confondermi e massacrarmi un altro po’ il cuore già calpestato, mandandomi in palla il cervello giù confuso.
Quel Sabato sera, come spesso capitava, Alice era fuori per lavoro e le ragazze non c’erano e io non ero riuscita a controllare i ragazzi che si erano ubriacati di brutto e, come al solito, quella sera avevo ringraziato mentalmente Matt che mi aveva insegnato a guidare, aiutandomi a passare l’esame della patente.
Avevo caricato, non senza fatica, i ragazzi in macchina e li avevo portati a casa mia.
Avevo messo tutti a letto e, per abitudine, avevo lasciato Jimmy sul divano ma, mentre gli stavo sfilando il giacchetto di pelle per mettergli una coperta addosso, lui aveva aperto gli occhi, mi aveva afferrata saldamente per le spalle e mi aveva tirata a se, baciandomi con una foga incredibile.
Poi mi aveva spinta sul divano, spingendomi col peso del suo corpo e senza smettere di baciarmi nemmeno un secondo.
Ero lì lì per lasciarmi andare quando avevo realizzato che poteva trattarsi, anzi, era sicuramente tutta colpa dell’alcool e, a fatica, mi ero liberata dalla sua presa ed ero schizzata al piano di sopra, piangendo e chiudendomi in stanza.
Ed era lì che Matt e Brian mi avevano trovata, ancora in lacrime, la mattina successiva.
E, dopo avergli raccontato tutto, eravamo scesi per fare colazione.
Brian e Matt mi avevano riempita di speranze, per quel motivo quando chiesi a Jimmy “Che intenzioni avevi, ieri notte ?” e lo vidi rispondere, acidamente, aggrottando un sopracciglio, confuso “Di che parli ? L’ultima cosa che ricordo di ieri è la bionda del bar che infilava la sua lingua nella mia bocca”, tutte le mie stupide speranze mi erano crollate addosso come un carico di mattoni, schiacciandomi fino a frantumarmi le ossa e togliermi il respiro.
Ora, dopo una settimana passata a piangere, non dormire, tentare di evitare il più possibile ogni tipo di contatto o discussione con Jimmy, nascondendo le occhiaie con chili di matita nera, il vuoto nel mio stomaco non mi dava pace.
Finii di lavarmi e poggiai, sconfortata, la fronte alla parete, rimanendo sotto il getto d’acqua e sospirando.
Dopo poco chiusi l’acqua ed uscii dalla doccia legandomi addosso un asciugamano e prendendo ad asciugarmi i capelli con l’asciugamano.
Ero di spalle alla porta con la testa rivolta verso il basso e mi asciugavo i capelli quando sentii la porta aprirsi e chiudersi di scatto e mi tirai su in fretta, confusa, spostandomi i capelli dagli occhi.
Jimmy era in piedi davanti al water, dandomi le spalle, intento a tirarsi giù la lampo dei jeans.
Sgranai gli occhi e la bocca.
“Cosa.. diavolo fai ?” domandai, stupita.
“La pipì, tu non la fai ?” domandò, acido come suo solito.
“E non potevi aspettare che io uscissi dal bagno ?!” continuai.
Finì di fare pipì e si chiuse i jeans voltandosi e guardandomi con un sopracciglio inarcato.
“Perché avrei dovuto ?” domandò, come fosse veramente una domanda logica.
“JAMES, SONO NUDA. E SE FOSSI STATA ANCORA NELLA DOCCIA ?!” mi mandava in bestia quel suo modo di fare, soprattutto quando mi trattava come io fossi una povera pazza appena uscita da un manicomio e detestavo quando mi fissava come se stessi parlando di cose assurde.
“Guarda, ragazzina, che non mi sarei certo messo a fissarti mentre ti lavavi.” Poi fece un passo verso di me e si piegò, avvicinando il viso al mio e sussurrò “nonostante io sappia che la mia presenza nella tua doccia potrebbe farti solo piacere..” ghignando.
Sentii le guance ribollire ma mi sforzai di mantenere un certo contegno.
Si divertiva sempre così, tentando di stuzzicarmi.
Ma lo faceva con tutte.
Lo avevo visto, lo vedevo sempre quando, se Leana non c’era, ci provava con tutte le ragazze, istigandole senza pietà e ghignando da perfetto stronzo.
“Forse farebbe piacere a te, Sullivan. Non sono una delle tante sgualdrine che ti porti a letto e la tua presenza mi da solo fastidio. Ora esci, grazie.” Conclusi il tutto sbuffando e voltandomi, riprendendo ad asciugarmi i capelli.
Quando mi tirai su e guardai allo specchio per vedere se fosse uscito, sobbalzai.
Jimmy era ancora in piedi, vicino a me, così vicino che poggiava la pancia sulla mia schiena e mi guardava, ghignando, dallo specchio.
Deglutii a fatica, la gola secca e rimasi a fissarlo riflesso nello specchio.
Improvvisamente poggiò le mani sui miei fianchi e si piegò di scatto, prendendo a baciarmi il collo ed io mi irrigidii.
Tra un bacio e l’altro lo sentii sussurrare, sulla mia pelle “Quindi vuoi dirmi.. che non ti farebbe piacere.. fare la doccia con me ? Sfiorare la mia pelle bagnata mentre io ti bacio e ti stringo a me ?”
Rabbrividii, sussurrando a fatica “N-no.”
Lo faceva solo per prendersi gioco di me, solo perché si divertiva a vedermi in difficoltà o forse perché cercava una qualche sgualdrina da portarsi a letto.
“Ah.. no ?” sussurrò ancora poi mi morse il collo, forte fino a farmi tirare un leggero urlo e si staccò svelto, serio.
“Meglio così, ragazzina.” Concluse, uscendo svelto dal bagno e sbattendo la porta.
Rimasi a fissarmi il collo dal riflesso dello specchio, sconvolta.
Sulla pelle bianca ora c’era, chiaro, il segno dei denti di Jimmy, rosso come non mai, come se fosse sporco di sangue.
“PEZZO DI MERDA!” gridai, fuori di me, voltandomi verso la porta sentendolo poi ridere dal piano di sotto.
Mi misi seduta a terra, forzandomi di non piangere.
La porta si spalancò e Matt si fiondò nel bagno, prendendomi in braccio preoccupato.
“Che diavolo è successo ?!” domandò mentre dal piano di sotto sentivo Brian rimbeccare Jimmy mentre quest’ultimo rideva.
Inclinai appena la testa lasciando vedere a Matt il segno lasciatomi sulla pelle da Jimmy e lo sentii irrigidirsi, sfiorandomi la pelle con le dita.
“L’ha.. fatto Jimmy ?” domandò, confuso.
“Sì! Sono stanca, Matt! Sono stanca di essere trattata come un gioco da lui, porca puttana. Deve lasciarmi in pace.” Dissi, furiosa, raccogliendo il pacchetto di sigarette dai miei jeans per terra e accendendone una.
Matt sospirò.
Quando quest’ultimo stava per parlare qualcosa attirò la mia attenzione.
Zacky, in piedi sulla porta del bagno, aveva tossicchiato per farci notare la sua presenza nella stanza.
“Posso ?” domandò, inarcando un sopracciglio.
Sbuffando, annuii e lo vidi entrare e chiudersi la porta alle spalle.
Ci raggiunse mentre io lanciavo un’occhiata confusa a Matt vedendolo poi alzare le spalle, confuso anche lui.
Zacky si mise seduto davanti a noi e mi guardò di sfuggita il segno sul collo e sospirando per poi puntare i suoi occhi cerulei nei miei.
“Non serve spiegarmi niente. Lo sappiamo tutti, non solo Matt e Brian, di ciò che provi per Rev. Rev stesso l’ha capito ed è per questo che ci si diverte, con te, nonostante io non riesca affatto a capire perché si comporti in questo modo. Ma sono stanco di vederlo giocare con te.” Disse, serio.
Rimasi a fissarlo, confusa ma allo stesso tempo incuriosita.
“Che hai in mente, Vee ?” domandò Matt.
Zacky sorrise, per poi dire “Restituiamogli ciò che lui sta dando ad Az.”
Inarcai un sopracciglio, sempre più curiosa, portando un dito davanti la bocca di Matt che, contrariato, stava già provando ad intervenire.
“Giochiamo suo stesso gioco e vediamo come reagisce. Ci stai ?” domandò poi, sorridendo.
Rimasi pensierosa per qualche istante poi arricciai appena il naso, “E perché dovrei farlo ?”
Zacky sospirò poi riprese a guardarmi “Conosco bene Jimmy e deve esserci un motivo dietro questo suo continuo metterti a disagio. Lo hai mai notato come si comporta con Leana quando non ci sei ? Ovvio, non puoi farlo perché quando non ci sei non noti la differenza, bene, te lo dico io. Quando è da solo con noi e c’è Leana e tu non ci sei, è tranquillo, distaccato. Sembra quasi infastidito da Leana stessa ma quando ci sei.. oh, le cose sono diverse. Sembra tentare di darti fastidio.” Sbuffai, interrompendolo, già pronta a mandare al diavolo lui e le speranze che stava per darmi ma Zacky mi prese per mano, guardandomi negli occhi “Ascoltami. Non sto dicendo che tu debba riempirti di speranze, assolutamente. Sto solo dicendo che Jimmy nasconde qualcosa e io voglio sapere cosa, in più e la mia idea funziona, ti prenderai la tua piccola vendetta su tutte le volte che lui si è preso gioco di te.” Concluse, serio.
Rimasi a fissarlo, indecisa.
Tutte le immagini delle nottate passate a piangere per lui per poi ricevere indietro sempre scherzetti come quello di quella sera cominciarono a passarmi davanti agli occhi come le scene di un film e allora capii.
Jimmy non sarebbe mai stato innamorato di me ma io non potevo permettergli di giocare con i miei sentimenti come fossi una bambola.
Annuii, seria “Spiegami il piano” dissi, accendendomi un’altra sigaretta.
“Quando usciremo da quella porta, io e te staremo insieme. Almeno per Jimmy e le ragazze. Puoi dire tutto ad Alice ma solo perché so che la pensa come me e sarebbe d’accordo. E anche perché non riusciresti a nasconderglielo. Pensi di farcela ?” domandò, sorridendo teneramente ed io annuii.
“Perché tu ?” domandò Matt, iperprotettivo come sempre.
“Perché tu stai con Valary, Johnny sta con Lacey e Brian sta con Alice. Mentre io mi sono lasciato da poco con ..Gena.” sussurrò il nome come scottato, poi prese fiato e continuò “E quindi potremmo usarlo come una scusa, magari la mia tristezza per la rottura improvvisa potrebbe avermi portato a scoprire sentimenti che non conoscevo per Azriel. Reggerebbe come scusa.” Disse, guardandomi poi cercando conferma.
I ragazzi lo sapevano, mi conoscevano bene quasi quanto Alice e sapevano il rapporto che avevo con l’amore.
Io non ci credevo, non ci avevo mai creduto fino a quando non avevo incontrato Jimmy.
Io ero più la tipa da una notte e via, giusto per divertimento, per istinto umano.
E per una volta che mi ero innamorata ? Tutto era finito solo per crollarmi addosso e ferirmi.
Sorrisi radiosa a Zacky alzandomi dalle gambe di Matt, guardando Zacky “Ci sto.”
Zacky e Matt si tirarono su, uno sorridente e l’altro sbuffando.
“Allora andiamo a preparare a tavola, le pizze sono quasi pronte.” Disse Vee, dandomi un bacio sulla fronte e scendendo.
“Sei.. sicura ?” Mi chiese Matt non appena Zacky uscì dalla stanza ed io annuii, legandomi i capelli in una coda alta.
“Sicurissima. Deve smetterla di prendersi gioco dei miei sentimenti.” Conclusi.
Matt fece per dire qualcosa ma poi si limitò a sospirare e uscire dal bagno.
Sorrisi appena andando in camera per cambiarmi.
Matt odiava pensare che io potessi partecipare ad una cosa simile, non gli piaceva l’idea di me che mi comportavo da troia, era abituato a vedermi come la sua piccola sorellina e lo mandava in bestia perfino l’idea che io potessi baciare qualche ragazzo, era come un papà apprensivo.
Ridacchiai mentre mi infilavo il reggiseno in pizzo nero e le mutandine uguale, poi infilai dei jeans strettissimi e una canottiera degli Slipknot che mi fasciava alla perfezione, mi infilai le scarpe e mi truccai svelta.
Scesi al piano di sotto e sorrisi delle espressioni stupite di Zacky, Matt, Brian e Johnny.
“Ehi, bambola, dove te ne vai così bella ?” disse Johnny, sorridendomi.
Jimmy teneva lo sguardo fisso sulla TV, la birra in mano.
“Beh, è una serata speciale, bisogna festeggiare.” Dissi, affiancando Zacky che, sorridendo, mi circondò le spalle con un braccio e mi strinse a sé.
Jimmy si voltò appena, guardandoci con un sopracciglio inarcato.
“Festeggiare.. cosa ?” domandò Brian, confuso.
“Il fatto che io e Zacky stiamo insieme.” Annunciai, fiera.
Johnny sgranò gli occhi, imitato da Brian mentre Jimmy, con tutta la calma del mondo, tornò a voltarsi verso la TV, sbuffando appena.
“Tu e Zacky.. ?” chiese Johnny, confuso e stupito e Zacky annuì.
“Ma per favore..” borbottò Jimmy, sbuffando.
“Qualcosa non va, Rev ?” domandò Zacky, ghignando.
“Sei caduto in basso, fratello.” Continuò Jimmy, voltandosi ed io accusai il colpo senza cambiare espressione.
“E perché mai ?” domandò Zacky, stringendomi a sé.
“Sei finito con una ragazzina pazza. Era meglio quella troia di Gena.” Disse Jimmy, sorridendo.
In tutta risposta, Zacky mi tirò a sé baciandomi ed io mi aggrappai alla sua maglietta, più per lo stupore che per altro, chiudendo gli occhi e ricambiando il bacio.
Quando ci staccammo Zacky sorrideva, radioso.
Johnny e Brian, ancora confusi, presero posto sul divano mangiando la pizza mentre Matt si sedeva sul tappeto e prendeva una birra.
Zacky mi diede un altro bacio veloce poi andò a sedersi vicino a Matt, accendendo l’xbox ed io rimasi al centro della stanza, accendendomi una sigaretta.
Quando alzai gli occhi dalla sigaretta, però, incrociai, per mia enorme sorpresa, lo sguardo di Rev che mi fissava, un’espressione indecifrabile in faccia.
Inarcai un sopracciglio, chiedendogli silenziosamente cosa volesse e lo vidi scuotere appena la testa, infastidito poi sbuffò e tornò a guardare la TV, visibilmente più nervoso.
Ti brucia, Sullivan, essere il giocattolo e non il giocatore, mh ?
Sorrisi, soddisfatta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed eccomi qui, yup lo so, non ho pace.
Sono tornata con una nuova fanfiction.
Istigata da cosa ? Come al solito troppi pensieri e una nottata passata ad ascoltare Beast and the Harlot a ripetizione.
Spero di riuscire ad aggiornare regolarmente.
Spero di aver attirato la vostra curiosità.
Spero piacerà la storia.
Somuchlove,
Sah. 

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Capitolo 2
*** You know you can't give me what i need. ***


Capitolo 2.
"You know you can't give me what I need. 
And even though you mean so much to me, I can't wait through everything."

 

 

 

 

Dopo la cena, parecchie ore, un paio di film e un paio di birre di troppo, come al solito, i ragazzi erano ubriachi persi.
Io riuscivo ancora a capirci qualcosa, ma ero abbastanza brilla anch’io.
Ero seduta in braccio a Vee da dieci minuti e stavamo seguendo lo scempio di partita all’xbox tra Matt e Johnny, quest’ultimo stava perdendo pietosamente, nonostante Matt fosse così ubriaco da riuscire a riconoscere, a fatica, i pulsanti sul controller.
Brian era completamente andato e se ne stava sdraiato sul tavolo in cucina, cantando canzoni romantiche al telefono ad Alice.
Jimmy invece non si era mosso di un millimetro, era rimasto piantato nella poltrona e aveva continuato a bere come fosse senza fondo.
“AZRIEL!” gridò Brian dalla cucina.
“CHE C’E’ ?” risposi, tra una risata e l’altra.
“ALICE HA FINITO PRIMA I SUOI IMPEGNI DI LAVORO, TORNA DOMANI POMERIGGIO, ANDIAMO A PRENDERLA IN AEROPORTO E LA SERA SI FESTEGGIA!” continuò lui dalla cucina.
“FANTASTICO!” gridai, sinceramente felice.
“Oh bene, torna l’altra pazza.” Sussurrò Jimmy.
Mi faceva fatica trattenermi dall’alzarmi e prenderlo a pugni in faccia quando lo sentivo parlare male di Al ma poi mi consolavo em i calmavo con la consapevolezza che Alice, prima o poi, gli avrebbe fatto scontare tutti i suoi stupiti atteggiamenti.
Sospirai.
“Allora direi che è ora che dormiate tutti un po’, dato che sono già le 6 di mattina” dissi, sentendo i ragazzi cominciare a borbottare e lamentarsi come sempre.
Mi alzai a fatica dalle gambe di Vee e, barcollando, spensi l’xbox a Matt e JC obbligandoli a salire al piano di sopra, feci lo stesso con Brian salutando Al e attaccandogli il cellulare, portai anche Zacky in camera mia e poi tornai in sala per sistemare il disastro che avevamo creato.
Jimmy era ancora seduto sulla poltrona e beveva l’ultima birra, seguendo ogni mio movimento con la coda dell’occhio.
“Va di troia in troia, quel ragazzo.” Borbottò.
Non mi voltai, non ero in vena di rovinarmi una bella serata solo per dare retta alle sue frecciatine acide.
Portai i cartoni delle pizze in cucina e li buttai nel secchio poi tornai in sala per raccogliere le bottiglie vuote.
Quando stavo per prendere l’ultima, ovvero quella appena lasciata da Jimmy sul tavolino, quest’ultimo mi afferrò per un polso tirandomi a sé di scatto, facendomi cadere tutte le bottiglie dalle braccia.
“Cosa.. Cosa cazzo vuoi ?!” domandai, sentendo già il cuore accelerare i battiti e vedendolo rimanere fin troppo serio.
Mi tirò ancora un po’ a sé, avvicinando fin troppo il viso al mio, a tal punto che sentivo il suo respiro sulle mie labbra.
“Stai giocando con il fuoco, ragazzina.” Sussurrò.
Deglutii a fatica “Di che .. di che diavolo parli ?”
“Lo so che lo stai facendo per darmi fastidio, cosa credi ? Ma ti sbagli. Io non sono interessato a te, probabilmente non riusciresti a soddisfarmi nemmeno per una sola notte di sesso. Quindi, se stai usando mio fratello solo per sperare di farmi qualche effetto, smettila.” Concluse, gelido.
Strattonai il braccio liberando il polso dalla sua presa, fuori di me.
“Tu sei fuori di testa, James! Io non voglio avere niente a che fare con te e non deve interessarti il perché io decida di fidanzarmi con qualcuno. Quanto a Zacky, è adulto e vaccinato, se vuole stare con me è perché lo vuole lui. Lasciami in pace!”
Quando finii di parlare Jimmy si alzò di scatto, fin troppo minaccioso per i miei gusti, senza mai staccarmi gli occhi di dosso e mi trovai ad indietreggiare finché non trovai il tavolino ad ostacolare il mio cammino e mi sbilanciai, cadendo a terra.
Jimmy ghignò e si avvicinò ancora un po’, portandosi poi a cavalcioni su di me.
Avvicinò il viso al mio, le labbra praticamente attaccate alle mie e mi ritrovai a trattenere il fiato, un groppo in gola e le lacrime che premevano per uscire.
“JIMMY.” Urlò Zacky, appena sbucato in salotto e Jimmy si voltò, con calma, inarcando un sopracciglio.
“Cosa cazzo fai ?” domandò ancora, avvicinandosi, visibilmente infastidito.
“Mi assicuro che la tua bambina si comporti bene.” Ghignò Jimmy.
“Lasciala in pace.” Concluse Zacky e Jimmy, ridacchiando, si alzò lasciandomi libera ed io schizzai tra le braccia di Vee che mi strinse a sé, protettivo.
“Ti pentirai di esserti messo con lei, lo sai, vero ?” domandò, ridacchiando, Jimmy.
“Non mi interessa ciò che pensi, Rev. Ora è la mia ragazza e ti conviene iniziare a trattarla meglio.” Rispose, piuttosto minaccioso, Vee.
“Oh.. mi stai minacciando, Vengeance ?” domandò l’altro e lo sentii muovere un passo verso di noi.
“Sì. Ti sto minacciando.”
A quel punto tirai su la testa dal petto di Vee ed incrociai il suo sguardo, sussurrando “Non litigate. Ti prego, Zee. Lascialo stare. Andiamo.”
Zacky mi guardò per qualche istante, lanciò una veloce occhiata a Rev poi mi prese per mano e si incamminò verso il piano di sopra.
Non mi voltai nemmeno un secondo sentendo il peso dello sguardo di Rev sulla schiena e quando raggiunsi la camera mi avvicinai alla finestra, spalancandola e accendendomi una sigaretta, nervosa.
Ero poggiata con i gomiti al davanzale della finestra quando Zacky mi affiancò.
“Stai bene ?” domandò, accendendosi una sigaretta senza guardarmi.
“Sì.. grazie.” Sussurrai.
Rimase in silenzio per qualche istante poi, lentamente, portò un braccio sulle mie spalle e mi attirò a sé ed io, sospirando fuori un po’ di fumo, poggiai la testa alla sua spalla.
“Non devi stare così male per lui, Az.” Sussurrò Vee, dopo qualche minuto di silenzio.
Non risposi, limitandomi a sospirare.
Se solo avessi potuto scegliere, pensava veramente che non avrei scelto di spegnere ogni sentimento che provavo per lui ?
“Lo so che è difficile. Lo capisco, meglio di chiunque altro. Ci sono passato anche io, ricordi ? Ricordi come Gena si prendeva gioco di me e mi trascinava come un cagnolino al guinzaglio ? E quanto ci ho messo per liberarmi da quel fottuto guinzaglio ? Tre anni. Eppure sono libero e sto meglio.” Continuò lui, poggiando una guancia alla mia testa, senza guardarmi.
“Come hai fatto a liberarti, Vee ? Perché a me sembra impossibile.” Sussurrai, la voce appena tremante.
“Con il sostegno tuo, di Alice e dei ragazzi. Ma soprattutto un giorno mi sono guardato allo specchio ed ho notato che quel guinzaglio non mi donava affatto, così l’ho tolto.” Concluse, stringendomi appena di più.
“Io.. non ci riesco.” Dissi, stringendo le dita intorno alla sigaretta.
“Perché non pensi di avere motivi validi per farlo, ma se io te ne dessi uno ?” disse, lentamente, allontanandosi quel tanto che bastava per guardarmi in faccia.
Sostenni il suo sguardo, confusa.
Lo vidi avvicinarsi lentamente al mio viso e poggiò le labbra alle mie, delicatamente, chiudendo gli occhi.
Rimasi rigida, stupita da un simile gesto.
Evidentemente, questo era completamente fuori dal suo “piano”, anche se a quel punto non sapevo più dire, esattamente, quale fosse il suo piano.
“Lasciati andare, Az. Fidati di me..” sussurrò sulle mie labbra.
Cosa avevo da perdere  ?
Mi ero lasciata andare così tante volte con perfetti sconosciuti, perché non farlo con Zacky ?
Avevo baciato così tante labbra per provare a dimenticare l’immagine di quelle di Jimmy, cosa cambiava se quelle di Vee si fossero aggiunte alla lista ?
E inoltre, la cosa poteva diventare più di una scopata e via.
Zee era sempre stato protettivo, con me, si era sempre preso cura di me senza mai farsi problemi quindi cosa rischiavo se avessi provato a lasciargli il mio cuore in mano ?
Poteva tenerlo, il mio cuore, poteva tenerlo e farne ciò che più preferiva perché tanto io non avevo fatto altro che distruggerlo e maltrattarlo.
Mi lasciai andare, ricambiando il bacio e lasciando cadere la sigaretta di sotto dalla finestra, chiusi gli occhi e legai le braccia dietro il suo collo, sentendolo sorridere sulle mie labbra.
Le sue mani scivolarono lentamente sui miei fianchi e mi tirò più vicino a sé, stringendomi contro di lui.
Il battito accelerò leggermente quando Zacky mi fece poggiare la schiena alla parete premendosi contro di me.
Sospirai pesantemente, gli occhi chiusi e la testa lasciata appena indietro, mentre lo sentivo scendere a percorrere la mia gola con la lingua e le labbra.
Sfilò la mia maglietta percorrendo poi le mie spalle, svelto, con le dita, fino a slacciare il reggiseno e scendere a baciarmi il petto, provocandomi dei veloci brividi lungo tutta la schiena.
Aprii gli occhi un istante, ansante e, come mi succedeva da anni, per un istante vidi gli occhi di Jimmy al posto di quelli di Vee e sobbalzai, mordendo un labbro a Vee che, fortunatamente, non si accorse del mio disagio.
Mi prese in braccio e mi fece sdraiare sul letto, finendo di spogliarmi svelto mentre io spogliavo lui, più con rabbia che altro e lasciai che mi facesse sua, svelto, mentre continuava a baciarmi e sfiorarmi.
Non mi controllai, nemmeno un po’.
Lasciai che dalla mia bocca uscissero gemiti e urli, senza controllare il tono di voce.
Non mi importava nulla.
I ragazzi dovevano sentire, tutti.
Uno in particolare.
Quando Zacky si tese contro di me mi morsi un labbro, inarcandomi contro di lui per poi sentirlo scivolare, ansante, di fianco a me e tirarmi a sé.
Mi rannicchiai tra le sue braccia, poggiando la testa al suo petto e lui prese a carezzarmi piano i capelli, tenendomi stretta.
Quando lo sentii regolarizzare il respiro mi rilassai appena e mi addormentai dopo poco, cullata dal battito del suo cuore.
Quando aprii gli occhi, l’orologio sul comodino segnava mezzogiorno e sospirai, alzandomi attenta a non svegliare Vee, andai a lavarmi svelta e poi mi rivestii, scendendo in cucina, superando come un razzo il divano dando per scontato che Rev stesse ancora dormendo.
Iniziai a preparare il caffè attenta a non fare rumore e misi la macchinetta del  caffè sul fuoco, sedendomi a tavola e accendendomi una sigaretta.
Quando la porta si aprì, per qualche istante trattenni il fiato e mi rilassai appena quando vidi entrare in cucina Johnny, in boxer, ancora rimbambito di sonno, che prese posto a tavola di fianco a me, sfilandomi una sigaretta dal pacchetto e accendendola, poggiando un gomito sul tavolo e il pugno chiuso sulla guancia.
“Qualcuno ieri sera ha fatto baldoria..” mi disse, sorridendo.
Arrossii appena, sorridendo anche io “A quanto pare..” sussurrai.
Poi mi alzai per versare il caffè in due tazzine e ne porsi una a Johnny, sentendolo ringraziarmi.
Ripresi posto di fianco a lui e iniziai a sorseggiare il mio caffè, fissandomi i piedi che dondolavano distrattamente a pochi millimetri da terra.
“Az.. posso chiederti una cosa ?” domandò improvvisamente Johnny, attirando la mia attenzione.
“Mh..” sussurrai, curiosa, le labbra poggiate alla tazzina.
“Sei ancora innamorata di Jimmy ?” sussurrò, assottigliando gli occhi.
Abbassai lo sguardo, colpevole.
Non potevo mentire dicendo di non provare più niente per Jimmy ma cosa sarebbe successo se avessi ammesso la verità ?
Avevo bisogno di Zacky, in un certo senso.
Una parte di me era certa che Vee potesse lenire le ferite ancora sanguinanti lasciate da Jimmy.
E l’altra parte ?
Oh beh, l’altra parte era quella che, nonostante sanguinasse a morte, continuava a cercare quel maledetto batterista ovunque, che ne sentiva il bisogno come fosse una droga.
Johnny poggiò, delicatamente, una mano sul mio braccio, tirandomi fuori dai miei pensieri e puntando gli occhi nei miei, guardandomi dolcemente.
“Ascolta, bimba..” cominciò ed io trattenni il fiato “So del “piano” di Zacky e so anche, per certo, come lo sanno Brian e Matt, che quello di ieri sera non era parte del piano ma che è successo e basta.. quindi, perché non provarci, mh ? Zacky è un ragazzo d’oro e così sei anche tu. Avete entrambi il cuore spaccato, magari insieme riuscirete a stare meglio. Però ti prego.. se dovessi capire che non sta servendo, che non stai guarendo, se dovessi renderti conto che lo stai facendo solo per infastidire Jim.. sii sincera con Zacky, capirà.” Rimase serio per qualche istante, poi mi sorrise di nuovo teneramente “Però puoi provarci. Smetti di pensare a Jimmy quando sei con Vee, almeno provaci. Vedrai.. ti farà bene.”
Rimuginai per una decina di minuti sulle sue parole, in silenzio poi mi alzai di scatto e mi misi seduta sulle sue gambe, poggiando la fronte alla sua spalla, aggrappandomi alla sua maglietta e chiudendo gli occhi stretti per non far uscire nemmeno mezza lacrima.
Johnny sospirò, stringendomi a sé e carezzandomi la schiena per poi sussurrare “Ehi, Az, va tutto bene. Va tutto bene. Al cuor non si comanda, no ? Quindi non farti una colpa se non riesci a toglierti dalla testa, facilmente, quello spilungone.”
Sospirai, senza tirare su la testa.
“Sei mai stato innamorato di qualcuno che non potevi avere ?” domandai, senza pensare.
Sentii JC irrigidirsi appena per poi rilassarsi con un sospiro “Sì..” sussurrò.
Alzai appena al testa, strusciandomi un pugno chiuso sull’occhio per poi guardarlo curiosa.
“Sì. E la cosa non passa facilmente. E’ difficile. Pesante. Ti schiaccia e non ti lascia forze, vedere la persona che ami tra le braccia di qualcun altro ma sai.. a volte bisogna mettere a cuccia il cuore e dare spazio al cervello. Bisogna chiedersi se vale la pena soffrire così e se la risposta è no, allora bisogna rimboccarsi le maniche, stringere i denti e andare avanti, lasciando quella persona alle spalle, trovando la forza e il coraggio per non voltarsi mai indietro.” Concluse, carezzandomi una guancia.
Tremai appena.
Sentire Johnny parlare in quel modo, devastato, vedendo nei suoi occhi quella tristezza schiacciante che cercava di nascondermi mi metteva una tristezza atroce.
Legai le braccia dietro il suo collo e lo abbracciai, stringendolo forte, sentendolo ricambiare la presa.
Quando sciolsi l’abbraccio e mi alzai, Johnny mi diede un bacio sulla guancia e si alzò per andare in bagno.
Mentre usciva dalla cucina, feci caso ad un piccolo dettaglio.
Sul suo collo c’era, ben visibile, il segno di un morso che andava a diventare viola.
Non mi sembrava di averlo notato la sera prima, quindi chi poteva averglielo fatto ?
Feci spallucce, sospirando e tornando a lavare le tazzine per poi accendermi una sigaretta.
Magari glielo aveva fatto Lacey e io, la sera prima, non ci avevo badato.
Mancavano quattro ore al ritorno di Alice e il pensiero di rivederla mi rendeva felicissima.
Mi mancava da morire.
Dopo dieci minuti, in cucina c’erano tutti i ragazzi.
Vee mi teneva in braccio mentre mangiava un cornetto, vicino a noi c’era seduto Matt che sorseggiava il caffè ridacchiando con Brian di fronte a lui, a capotavola c’era JC ancora rintronato dal sonno e seduto sul mobile vicino al lavandino c’era Jimmy che sorseggiava il suo caffè in silenzio.
Mi ero ben guardata dal non incrociare mai, per nessun motivo, lo sguardo di Jimmy, quindi non avrei saputo dire se lui stesso mi stesse ignorando o se, come faceva spesso, si stesse limitando a lanciarmi occhiate gelide e piene di disprezzo.
Ero presa a guardare i ragazzi che discutevano su chi avrebbe dovuto guidare fino all’aeroporto quando, posando lo sguardo su Matt, notai un piccolo dettaglio.
Matt aveva, appena dietro l’orecchio, un evidentissimo succhiotto che sembrava esser stato fatto da, al massimo, qualche ora.
Mi tornò in mente il segno del morso sul collo di JC e rimasi confusa e pensierosa.
Che fossero.. NO.
La mia mente, come suo solito, viaggiava senza limiti creando situazioni poco credibili e instabili.
Era solo una coincidenza, decisamente.
Scossi appena la testa per liberarmi da quei pensieri poi tornai a concentrarmi sui ragazzi.
Il tempo passò in fretta e ci ritrovammo in un batter d’occhio in aeroporto.
“Azriel, aiutami.” Disse, nervoso, Brian piazzandosi davanti a me mentre i ragazzi tentavano di capire da dove sarebbe sbucata Alice.
“Che succede, Brì ?” domandai, confusa.
“Il cappello lo metto o lo tolgo ? E i fiori glieli do qui o aspetto che siamo a casa ?” chiese, giocando nervoso con le dita.
Trattenni una risata.
Ogni volta era così, quando Al partiva Brian finiva sempre per passare un pomeriggio intero buttato o sul letto o sul divano di casa mia a bere birra e fumare, poi si riprendeva un bel po’ e infine quando andavamo in aeroporto a riprenderla, lui era sempre lì, in ansia, creandosi mille problemi stupidi.
Mi alzai in punta di piedi e gli sistemai meglio il cappello, sorridendo.
“Brì, ma ogni volta la stessa storia ? Andrai benissimo. Tranquillo.” Dissi infine vedendolo annuire e sospirare, raggiungendo poi Matt e gli altri.
Brian e Alice erano veramente una coppia formidabile e non lo dicevo solo perché erano, praticamente, mia sorella e mio fratello.
Loro due si completavano.
Alice era intelligente e impediva all’idiozia di Brian di commettere enormi stronzate ma, al contempo, Brian riusciva a calmare gli istinti di Alice impedendole, spesso e volentieri, di fare o dire cose di cui poi si sarebbe pentita.
In più si amavano tantissimo, forse troppo e forse un po’ li invidiavo anche.
Trovavo l’amore una cosa stupida, una presa in giro, un qualcosa di inesistente eppure loro due erano la ferma dimostrazione del contrario.
L’amore, tra loro, esisteva e dannazione com’era bello.
Ma c’era per loro e forse io un amore simile non l’avrei mai provato e sarei stata costretta a rimanere in disparte, seduta in un angolo ad osservare il loro, d’amore.
Però non mi dispiaceva poi tantissimo.
Alice e Brian erano perfetti per stare insieme e io desideravo solo il bene per loro.
“Ehi, bimba, ci sei ?” domandò improvvisamente Zacky, passandomi una mano davanti agli occhi.
Sobbalzai appena, incrociando il suo sguardo “Oh sì, scusa.”
“Pensierosa ?” domandò ancora, legandomi le braccia in vita e attirandomi a se.
Poggiai le mani sulle sue spalle ed annuii, senza smettere di sorridere.
“Pensavo ad Al e Brì.” Ammisi, poggiando poi la testa al suo petto e lasciandomi stringere.
“Come mai ?” chiese ancora, curioso.
“Perché Brian ogni volta sembra un bambino, inoltre so che se lui muore dalla voglia di rivederla beh, Al starà esattamente come lui, se non peggio.” Sussurrai.
Zacky mi diede un bacio sulla testa poi mi prese per mano e ci incamminammo verso gli altri che avevano finalmente capito dove saremmo dovuti andare per prendere Al.
Quando  Al ci raggiunse, trascinando la sua enorme valigia, non feci in tempo neanche a sorridere che Brian l’aveva già presa in braccio, urlando di gioia mentre lei gli si attaccava al collo, sorridendo, le guance appena rosse, rubandogli un leggero bacio.
Alice salutò tutti i ragazzi abbracciandoli per poi ricevere una pacca sulla spalla da Jimmy che le fece un mezzo sorriso.
Sospirai.
Jimmy era stronzo solo con me, in realtà.
E’ vero, Alice riusciva a tenergli testa senza problemi eppure lui con lei non era scontroso come lo era con me.
Quando Al mi raggiunse mi illuminai e la abbracciai forte, sentendola ricambiare la presa.
Dopo qualche istante sciogliemmo l’abbraccio e Al mi scompigliò i capelli prima di prendere per mano Brian che non smetteva di sorridere, proprio come un bambino.
“Allora..” cominciò Matt, prendendo la valigia di Al e affiancandoci “Andiamo tutti a casa mia, pranziamo lì e ce ne stiamo in piscina poi la sera le ragazze ci raggiungono e andiamo a quel pub nuovo in fondo alla via, quello che hanno inaugurato qualche settimana fa.” Concluse, sorridendo.
Zacky mi prese per mano mentre ci incamminavamo e non potei non notare l’occhiata confusa di Alice, sorridendole appena.
“Diamo il tempo ad Al di sistemarsi, magari.” Sorrise dolcemente Johnny.
Alla fine il diritto alla guida era giunto, non sapevo come, tra le mani di Jimmy.
Salimmo tutti e Brian aiutò Al a sistemare le valigie, poi anche loro si misero comodi sui sedili e partimmo.
Il viaggio fino a casa di Al fu, come al solito, pieno di musica, risate ed i sonori baci che Brian dava ad Alice, senza mai smettere di sorriderle, raggiante.
Raggiungemmo casa sua e aspettammo che Alice si sistemasse e si facesse una doccia, quando fu pronta uscimmo e raggiungemmo in dieci minuti casa di Matt.
I ragazzi erano in cortile, Jimmy e Matt facevano la brace mentre Johnny, Zacky e Brian facevano il bagno.
Io me ne stavo arrotolata su una sdraio e li osservavo sorridendo quando Al mi affiancò.
“Allora, devi raccontarmi qualcosa ?” mi domandò, inarcando appena un sopracciglio.
Sospirai, sorridendo e annuii, iniziando a raccontare.
Quando finii di parlare lei mi guardava, la testa appena inclinata da un lato.
“Cosa c’è ?” domandai, mordicchiandomi poi un labbro preoccupata.
“Non ti dirò che sono d’accordo con tutto questo, mentirei. Semplicemente perché ho paura che sia tu che Zacky ne uscirete ancora più distrutti ma.. Non posso neanche dirti che non spero che lui possa farti stare bene.” Disse, accendendosi poi una sigaretta.
Non dissi nulla, limitandomi ad annuire.
In realtà, nemmeno io sapevo se credere o meno in tutto ciò che stava accadendo.
Alla fin fine, ero ancora dannatamente innamorata di Jimmy e non ero certa che sarei mai riuscita a stare meglio ma avrei dovuto almeno tentare.
“VENITE A FARE IL BAGNO, VOI DUE!” gridò improvvisamente Johnny.
Non feci in tempo a rispondere che Zacky uscì dall’acqua e corse verso di me, prendendomi in braccio e rituffandosi in piscina trascinandomi con se.
Quando uscii dall’acqua, imprecando a gran voce, mi accorsi che Brian aveva giocato lo stesso scherzo ad Al.
Agganciai le braccia dietro il collo di Vee e mi lasciai trascinare in giro per la piscina mentre gli altri non facevano altro che urlare e ridere.
Zacky mi guardava, sorridendo e non potei fare a meno di rubargli un bacio per poi vederlo sorridere ancora di più.
Dopo un’oretta, eravamo tutti a tavola che mangiavamo tra le risate generali.
Il peso che avevo sullo stomaco da quella mattina mi impediva di mangiare e quasi mi schiacciava, nonostante tentassi di ignorarlo.
Tentai di non pensarci, la sera ci saremmo divertiti e finalmente eravamo tutti di nuovo insieme quindi tutto si sarebbe sistemato in fretta.
Almeno speravo.
Se solo avessi saputo ciò che in realtà mi aspettava, da quella sera ai mesi a venire, probabilmente mi sarei rifiutata anche solo di muovere un muscolo ma il destino si divertiva, fin troppo, a giocarmi tiri mancini, distruggendo i miei fugaci momenti di gioia per poi sghignazzarmi in faccia quando cadevo schiacciata dal peso di tutto ciò che era andato storto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Ed eccomi qui di nuovo.
Spero il capitolo piaccia.
Grazie a chi ha deciso di seguirmi anche in questa nuova storia.
Somuchlove,
Sah. 

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Capitolo 3
*** Can your heart still break, if it's already stopped beating ? ***


Capitolo 3.
"So tell me dear, can you heart still break if it’s already stopped beating ?"

 

 

 

“Esci da quel fottuto bagno, Azriel, o vengo a prenderti per i capelli!” mi gridò Alice.
La faceva facile lei, in quel suo bel vestito rosso stava da dio, era bellissima, come sempre.
Mentre io ?
Io, nel mio vestitino striminzito nero, con la stupida scollatura a cuore, sembravo una specie di lumaca bitorzoluta, almeno ai miei occhi.
Inoltre non riuscivo a camminare con quegli stupidi tacchi alti e odiavo i capelli legati in quella fastidiosa coda alta.
“Non esco da qui in questo stato!” urlai, sbuffando poi.
“Azriel, piantala, cristo! Stai benissimo, quel vestito ti sta divinamente e ora muoviti! I ragazzi e le altre sono tutti giù, stiamo tutti aspettando te e Brian tra poco perde la pazienza dato che la macchina è in moto da quindici minuti.” Continuo Alice, dando una botta alla porta a cui ero appoggiata.
“Non voglio venire, lasciatemi qui!” gridai ancora.
“Io ti avevo avvertita!” gridò lei, poi la sentii allontanarsi dalla porta.
Non feci nemmeno in tempo a tirare un sospiro  di sollievo che sentii una chiave infilarsi dall’altro lato della porta per poi girare, la serratura scattare e infine Matt, sorridendo dispiaciuto, che mi caricava in spalla borbottando uno “scusa bimba, ma gli altri aspettano e Alice non sente ragioni.” Per poi gettarmi in macchina nel sedile posteriore vicino a Zacky che mi sorrideva.
Sbuffai mentre Alice saliva davanti vicino a Brian alla guida e mi lanciò un’occhiataccia “E guai a te se tieni quel fastidioso broncio tutta la sera, Az.” Concluse, mentre partivamo.
Ero impegnata a tirare convulsamente giù il bordo del mio stupido vestito quando sentii Zacky sussurrare “Ehi, bimba, calma.”
Mi voltai e lo trovai a sorridermi dolcemente e mi sentii improvvisamente stupida.
Mi sistemò una ciocca di capelli sfuggita dalla coda poi mi carezzò una guancia.
“Stai davvero benissimo, mai visto tanta bellezza.” Disse poi.
Sentii come se le guance volessero sciogliersi ma non glielo permettevo da così tanto tempo che ormai non arrossivo quasi più e mi limitai a sorridere e sussurrare un ringraziamento.
In fondo, era solo una bugia di cortesia, la sua.
Ci fermammo ad un semaforo e la macchina guidata da Matt ci affiancò, Matt tirò giù il finestrino ed iniziò a chiacchierare allegramente con Brian.
Ero impegnata a scrutare distrattamente il sorriso raggiante di Matt quando il mio occhio cadde sui sedili posteriori.
Leana e Rev erano aggrovigliati una con l’altro e più che baciarsi, si stavano letteralmente mangiando.
Quando Matt ripartì, io ero ancora fissa sul finestrino, incredula.
Poi scossi la testa.
Io stavo con Zacky.
A me non importava di Rev.
No.
Più o meno..
Sospirai scacciando quei pensieri e fui sollevata nel notare che Vee era impegnato a parlare con Brian e non mi aveva notata ma qualcun altro, in quella macchina, mi aveva notata, anche troppo.
Alice mi guardava dallo specchietto.
Gli occhi scuri quasi spalancati e una punta di dispiacere nella sua espressione.
Le sorrisi il più convincente possibile e sembrò rilassarsi, sebbene sapevo che in realtà non aveva creduto a quel sorriso nemmeno un istante.
Tornai a guardare fuori dal finestrino e mi accesi una sigaretta.
Raggiungemmo il locale in nemmeno venti minuti e appena scesi dalla macchina, tornai a preoccuparmi del vestito troppo corto per i miei gusti, senza far caso allo scorrere del tempo.
Nel pub quella sera c’era una piccola band emergente e una folla esorbitante si spargeva tra i tavoli, il bancone e lo spazio davanti al piccolo palco.
Nel giro di un’ora, tutti i ragazzi erano in qualche angolo con le rispettive fidanzate mentre solo Alice e Brian se ne stavano, raggianti e sicuramente ubriachi, davanti al palco, incitando i poveri malcapitati membri della band a suonare canzoni che a loro sembravano più adatte.
Io me ne stavo seduta al bancone, in un angolo, silenziosa.
Ero alla quinta birra e ormai il barista, Andrew –o forse Mark ? non ne ero proprio sicura-, si limitava a porgermi la successiva birra appena vedeva che la mia era finita.
Zacky ?
Oh beh, Zacky si era allontanato da me più o meno dieci minuti dopo che eravamo entrati nel pub.
Aveva incontrato una sua vecchia conoscenza, un compagno delle superiori, mi pareva di aver capito.
Un certo Arin.
Un ragazzo davvero carino, carnagione olivastra, due grandissimi occhi scuri e i capelli neri mossi, sparsi qua e la, secco come uno stecchino ma con un sorriso davvero dolce.
E così quel bambino mi aveva sfilato il ragazzo da sotto il naso e ora erano, da non sapevo quanto, seduti ad un tavolo a bere e ridere senza limiti.
Stappai la sesta birra lasciando, in automatico, i soldi sul bancone e presi a bere di nuovo.
Ero concentrata sui sorrisi di Brian e Alice quando mi sentii toccare un fianco e, sobbalzando, mi voltai.
Rev era in piedi dietro di me, il suo classico ghigno da stronzo ben piantato in faccia e gli occhi lucidi di chi aveva bevuto decisamente troppo.
Tornai subito a guardare il palco, decisa ad ignorarlo e lo sentii avvicinare le labbra al mio orecchio per poi sussurrare “E il tuo ragazzo.. dov’è ?”
Trattenni il fiato, stringendo la birra “Lasciami stare, James.”
“Non la vuoi un po’ di compagnia ? Non lo sai che non è bello per una piccola bambina indifesa starsene sola in un posto simile ?” continuava a sussurrare e sentii la sua mano scivolare lentamente sul mio fianco.
La reazione, scatenata da quel che ormai era esasperazione totale, arrivò spontanea.
Mi voltai di scatto e gli mollai uno schiaffo di quelli che si vedono nei film, quelli che lasciano le cinque dita stampate sulla pelle per qualche secondo.
Poi afferrai le sigarette e l’accendino dal bancone e balzai giù dallo sgabello, facendomi velocemente strada tra la folla che sembrava stesse per soffocarmi.
Non appena fui fuori dalla porta non ci pensai nemmeno, mi sfilai le scarpe lasciandole a terra e mi accesi, con la mano tremante, una sigaretta, schizzando via.
Ero a metà strada quando tutto ciò che avevo tenuto in quel momento, la mia maschera di noncuranza, mi crollò addosso schiacciandomi.
Mi ritrovai a camminare lentamente, in lacrime, tremando e faticando anche ad aspirare dalla sigaretta.
Sciolsi la coda che sembrava minacciare di strapparmi la pelle della testa da un momento all’altro e continuai a camminare.
“AZRIEL, PORCA PUTTANA FINALMENTE!” gridò la voce tanto familiare di Alice subito dopo il rumore di una frenata.
Mi voltai e non le diedi neanche il tempo di scendere dall’auto che mi gettai al suo collo, affondando il viso contro la sua spalla e singhiozzando, come una perfetta idiota.
“Cos’è successo ?! Ti hanno fatto del male ? Azriel, che succede ?” la voce di Gates, appena dietro Alice, arrivava flebile alle mie orecchie eppure sapevo che era li li per urlare.
Alice fece un gesto con la mano per poi trascinarmi fino alla macchina senza lasciarmi un istante, sedendosi ai piedi del sedile del passeggero e lasciando che mi stringessi tra le sue braccia, senza smettere di piangere.
“La giacca, Bri, per favore..” sussurrò piano Alice e dopo poco mi sentii avvolgere in quella che dedussi essere la giacca di Gates.
“E’ stato Rev ?” domandò Alice, dopo qualche minuto, quando riuscii a calmare il pianto isterico e mi limitai ad annuire, rimanendo stretta tra le sue braccia.
La sentii passare piano le dita tra i miei capelli e mi sentii più al sicuro.
Sentii Gates, dietro di me, sospirare e mi sentii in colpa.
Le cose tra lui e Rev, da quando c’ero io, non andavano poi così bene, anzi.
Erano andate via via peggiorando.
Quando fui abbastanza calma da smettere di tremare, mi accesi una sigaretta e, rimanendo tra le braccia di Alice iniziai a raccontare ciò che era successo dal momento in cui ero entrata in quel pub fino a quando ne ero uscita.
Alice, come suo solito, non parlò ma mi tenne sempre più stretta, come a volermi proteggere.
Gates si limitò ad imprecare ogni tanto.
Dopo un paio di sigarette mi lasciai caricare in macchina e mi feci accompagnare a casa.
Entrai e mi lasciai cadere sul divano a faccia in giù.
“Rimaniamo qui ?” Domandò Gates.
“No, vi prego..  non voglio rovinarvi ancor di più la serata. Tornate al pub e divertitevi. Dormo un po’, di certo non mi farà male.” Dissi, tentando di essere il più convincente possibile.
Sentivo lo sguardo di Alice trafiggermi la schiena ma non osai alzare la testa dal divano.
Se l’avessi fatto, lo sapevo, mi sarei lasciata andare di nuovo e li avrei costretti, come spesso succedeva, a rinunciare alla loro serata insieme per badare a me.
Così, dopo tre minuti buoni di silenzio sentii Al sospirare e avvicinarsi per baciarmi la testa e sussurrare “Va bene.. ma stasera io e Gates dormiamo qui. E niente obiezioni. Riposati un po’..”
Annuii piano poi li sentii allontanarsi, la porta si chiuse e sentii la macchina partire e allontanarsi.
Mi misi seduta, fissandomi i piedi.
Accesi l’ennesima sigaretta e rimasi con gli occhi sgranati, senza nemmeno battere le palpebre.
Mi sentivo di nuovo vuota.
E stupida, soprattutto.
Gli avevo permesso di nuovo di giocare con me.
Mi ero mostrata, come sempre, debole e in suo completo potere.
Ora lui se ne stava li, con tutti i miei amici e quella stupida puttana montata mentre io me ne stavo da sola, spenta e disperata.
Fu in quel momento che presi una decisione di quelle che si prendono solo quando la mente è annebbiata dall’alcol e dal cuore in frantumi.
Di quelle decisioni che, a pensarci a mente lucida, ti rendi subito conto essere stupide ed insensate.
Salii al piano di sopra spogliandomi lungo le scale e mi affrettai in camera, infilai jeans, maglietta, felpa e scarpe poi afferrai uno zaino.
Buttai nello zaino un paio di vestiti, il portafoglio, tutti i soldi che avevo da parte nascosti per la camera, il cellulare, le mie scorte di sigarette poi mi strinsi nella felpa e poggiai le chiavi sul tavolo a tener fermo un foglietto con scritto solo “Scusate.” Poi avevo afferrato le chiavi della macchina che raramente usavo ed ero uscita di casa, lasciando di proposito la porta accostata.
Salii in macchina e partiti senza nemmeno aspettare un secondo, senza mai guardarmi indietro.
Raggiunsi la stazione e balzai giù, mollando li la macchina con le chiavi ancora nel cruscotto, non mi importava.
Entrai e raggiunsi la biglietteria.
“Posso aiutarla ?” domandò la commessa, una giovane ragazza dai lunghi capelli scuri e mi sentii trafiggere quando, per un misero istante, mi parve di vedere Alice.
Scossi nervosa la testa per poi dire, con la voce appena tremante “Ho bisogno di un biglietto per l’aeroporto, per favore..”
La ragazza parve scrutarmi qualche istante, forse si chiedeva se fosse corretto dare il biglietto a quella che sembrava come un’adolescente appena scappata di casa ma, dopo qualche istante di esitazione, digitò qualcosa al pc, rimase in attesa e stampò il biglietto che mi porse con un mezzo sorriso.
Ringraziai, inespressiva, lasciai i soldi sul banco sotto la finestrella poi mi allontanai svelta, raggiungendo la banchina del mio treno e mi misi seduta a terra, accendendomi una sigaretta.
Passai più di venti minuti nel silenzio più totale, non c’era quasi un’anima in stazione, se non due ragazze che, evidentemente ubriache, ciondolavano qua e la cantando abbracciate e un barbone che, infreddolito, se ne stava arrotolato su una panchina, coperto da pagine di giornale sgualcite.
Sospirai e salii sul treno non appena le porte si aprirono, presi posto e mi portai le gambe al petto.
Quando il treno partì ricacciai dentro le lacrime e mi vietai, categoricamente, di guardare fuori dal finestrino.
Evidentemente mi addormentai perché quando sentii il cellulare squillare, mancavano ormai solo due fermate.
Risposi titubante.
“AZRIEL DOVE SEI ? TI PREGO NON FARE STRONZATE, DIMMI DOVE SEI E VENGO A PRENDERTI!” gridò Matt, dall’altra parte del telefono.
Sentii chiaramente Alice urlare furiosa in sottofondo e mi strinsi nelle spalle, sussurrando un debole “Scusate..” per poi attaccare la chiamata e spegnere il telefono, ricacciandolo in tasca insieme alle lacrime.
Non stava a loro, occuparsi di me.
Non si meritavano tanti problemi.
Meritavano solo di stare tranquilli e in pace, senza il peso della mia presenza sulle loro spalle.
Non ero affatto convinta della mia scelta ma non lo stavo facendo per me, lo facevo per loro.
Per permettere a Zacky di sorridere sempre raggiante come aveva fatto al pub con quel ragazzo, per lasciare che Alice e Brian si godessero le loro serate gioiose insieme, per far sì che Brian ritrovasse suo fratello e che Matt non fosse più obbligato a preoccuparsi della ragazzina incapace di muovere un passo da sola senza cadere, per lasciare libero Johnny dall’ansia di ritrovarmi senza vita in un cesso per aver ingerito pasticche a caso e, chissà, forse anche per liberare Jimmy dalla mia presenza che sembrava arrecargli tanto disturbo.
Raggiunsi l’aeroporto senza mai alzare il viso, continuando a fissare il pavimento senza neanche vederlo, feci il biglietto per New York senza quasi parlare poi mi rannicchiai in un angolo dell’aeroporto e rimasi li per cinque ore, infine mi alzai e raggiunsi il gate in rigoroso silenzio.
Salii sull’aereo e presi posto.
Fu solo quando vidi la mia amata California ridursi ad un mucchietto indistinto di lucine che mi permisi di lasciar uscire tutte quelle lacrime che avevo tanto duramente tenuto.
Poggiai la fronte al vetro e continuai a singhiozzare, in silenzio.
Se solo avessi alzato la testa da quel divano, se solo avessi puntato i miei occhi in quelli scuri di Alice, forse, ora sarei ancora nella mia piccola casa in California.
Probabilmente sarei stata stretta tra le braccia di mia sorella, con le sue dita leggere tra i miei capelli e la voce calda di Brian che raggiungeva le mie orecchie di tanto in tanto.
Probabilmente avrei sentito la calda risata di Matt che, bonariamente, derideva il povero JC che aveva fatto cadere tutto il caffè mentre Zacky suonava la sua amata chitarra e, perché no, forse avrei sentito anche il continuo e fastidioso sbuffare e sospirare di Jimmy.
Ma era tardi.
La nebbiolina dell’alcol aveva lasciato posto alla totale lucidità che si alternava con un martellante mal di testa e la mia finta sicurezza si era sbriciolata, come un bicchiere di vetro che cade al suolo dopo un volo di dieci metri e ora rimanevo io.
Azriel.
Quella vera.
La bambina spaventata e sola, tremante e debole, in lacrime, con in mano null’altro che un pugno di sentimenti che non mi erano serviti a nulla se non a stare sempre peggio, fino a ridurmi a ciò che ora rimaneva di me, un agglomerato di sentimenti aggrovigliati intorno alle mie fragili ossa.
E feci ciò che mi riusciva meglio, piangere.
Piansi tanto, troppo.
Fino a sfiancarmi ed addormentarmi.
Quando mi svegliai stavamo atterrando.
Gli occhi erano gonfi e pesanti e forse il cuore mi pesava ancora di più.
Scendere dall’aereo e uscire dall’aeroporto fu così meccanico che quasi non me ne accorsi e in men che non si dica, mi ritrovai per le strade dell’affollata e rumorosa New York, alla disperata ricerca di un fottuto taxi.
Quando ne trovai uno quasi sbracai a terra  un uomo sulla quarantina per entrarci e sputai svelta la via che dovevo raggiungere.
Poi mi lasciai andare sul sedile, fissando fuori senza però vedere nulla.
Avevo fatto quel percorso così tante volte da ricordarlo perfettamente a memoria, nonostante fossero passati anni dall’ultima volta.
Sì, ero nata li.
Nella stupida, rumorosa ed eccessivamente popolata New York.
Ero andata in California per una vacanza studio e li avevo conosciuto Alice, la mia via di salvezza, l’unica luce nel buio che era la mia vita.
Alice, figlia di una famiglia benestante, come la mia, non aveva vita facile, proprio come me.
Suo padre era un uomo d’affari che non si curava affatto di sua figlia e sua madre ? Sua madre non c’era mai stata.
Alice ricordava vagamente i suoi occhi scuri ma null’altro.
Lei si era tirata su da sola, era andata a scuola, aveva frequentato il conservatorio e li aveva incontrato i ragazzi.
Dopo due o tre anni, ero arrivata io.
Allora avevo cominciato a fare avanti e indietro, ogni volta che avevo una pausa da scuola, rubavo i soldi ai miei e prendevo l’aereo, raggiungendo la bella e soleggiata California per rifugiarmi tra le braccia di Alice.
Perché sì, Alice era il mio rifugio.
Da cosa ? Beh, da un padre sempre troppo occupato a gestire il suo giro di prostitute e da una madre troppo occupata a prostituirsi per ricordarsi della mia stupida, inutile e non voluta esistenza.
Mio padre gestiva uno dei più grandi giri di prostituzione di tuta New York, mia madre era una delle prostitute più conosciute.
Io ? Io ero solo un fottuto errore.
Ero stata la follia di un momento.
L’idea campata in aria di due poveri pazzi che non sapeva nemmeno badare a loro stessi ma avevano deciso di mettere al mondo un’altra vita, tanto per rovinarla un po’.
Ma una cosa positiva quei due l’avevano fatta, mi avevano lasciato libero accesso a tutti i loro soldi.
E, inoltre, mi avevano lasciato un’altra cosa, il piccolo appartamento in St. Mark Avenue, a Brooklyn.
Pagai il taxi e scesi, dirigendomi verso il piccolo palazzo rosso scuro di sei piani ed entrai, fermandomi alla portineria.
Per mia enorme sorpresa il vecchia Carlos era ancora li, i suoi buffi baffi neri ora brizzolati e la testa pelata e bitorzoluta, insomma, il classico messicano anziano, dal volto simpatico ma che non attirava null’altro che un semplice sorriso; di quelli che incontri per strada e sorridi pensando ‘che messicano simpatico’, pur non avendo nessuna conferma del suo essere messicano ma te lo senti, si vede, ce l’ha scritto sulla pelle.
“Salve, Signor Ortiz” dissi, piano, senza riuscire a trattenere un sorriso.
Carlos alzò il volto dal suo giornale, si sistemò gli occhialetti sul naso, ridusse agli occhi a due fessure per poi illuminarsi in un gigantesco sorriso, alzandosi lentamente dalla sua sedia e uscendo dalla sua piccola stanzetta per venire ad abbracciarmi, gridando, con quel suo buffo accento “Bondad de el cielo, la niña con el fuego tra i capelli!”
Alzai gli occhi al cielo divertita, ricambiando piano l’abbraccio di quell’uomo che per me era come un nonno.
“Sono felice di rivederti anch’io, Carlos.” Sussurrai, piano.
“Qual buon viento ? Ti mancava il tuo abuelo ?”
“Carlos, si dice nonno, a New york.” Sorrisi.
“Abuelo, nonno. Non cambia muy.” Borbottò, sorridendo e sciogliendo l’abbraccio, tenendomi per le spalle e guardandomi “Guardati.. altro che niña, sei diventata una mujer meravigliosa.” Concluse, sorridendo dolce come solo un nonno sa fare ed abbassai istintivamente lo sguardo.
Non amavo i complimenti per educazione ma lui era l’uomo che, anche più dei miei genitori, si era preso cura di me e non potevo permettermi di contraddirlo o mostrargli qualche smorfia contrariata così mi limitai a tenere quel sorriso forzato.
“Senti Carlo, vorrei salire a casa.. posso avere le chiavi ? Ho bisogno di riposare, il viaggio è stato lungo.. magari scendo più tardi a fare quattro chiacchiere, mh ?” domandai, gentile, sperando nel suo istinto da nonno e fu, stranamente, ascoltata.
“Ma certo, niña. Ecco, tieni.” Mi disse, raggiungendo goffamente la sua postazione, cercando qualcosa per poi porgermi la chiave del mio appartamento e rimanere a sorridermi, salutandomi con la mano mentre sparivo lungo le scale.
Non appena infilai la chiave nella toppa, lasciai cadere il finto sorriso e tornai alla mia inespressività.
Aprii lentamente la porta ed entrai nell’appartamento affrettandomi a richiudermi la porta alle spalle, lasciando cadere lo zaino e poggiando la schiena al legno, alzando lentamente lo sguardo.
Tutto proprio come lo ricordavo.
Il tavolino in legno con le due sedie scomodissime, camuffate da due cuscini rossi, il tutto poggiato al muro sotto la finestra quadrata, coperta da una tenda anch’essa rossa.
Voltando lo sguardo a destra, lo scomodo divano poggiato al mobile della cucina con davanti la TV e quella specie di cucina con un lavandino, mobili tutti graffiati dalle varie visite di Spettro, il gatto di Alice e i fornelli macchiati di tutte le volte che avevo quasi dato fuoco a tutto per provare a cucinare qualcosa.
A sinistra due porte, quella che portava al microscopico bagno con una piccola vasca, un water e un lavandino e poi quella della mia camera.
Passai davanti la libreria, sfiorandola silenziosa con le dita, permettendomi un mezzo sorriso e poi aprii la porta della mia stanza.
Esattamente come l’avevo lasciata.
I poster delle mie band preferite ancora attaccate alla parete sopra la scrivania ricolma di libri, voltai lo sguardo lasciandolo scivolare sull’enorme letto matrimoniale con le coperte rosse che tante volte avevo condiviso con Alice e sopra la parete, eccole.
Le foto.
Foto di me e Alice, foto di Alice con Spettro in braccio.
E ancora, foto dei ragazzi, Alice e i ragazzi, io, Alice e i ragazzi.
Le guardai, sospirando e ripromettendomi di strapparle il prima possibile poi tornai in sala e sospirai, fissando il pavimento.
Carlos, come suo solito doveva aver ripulito tutto svariate volte, ripetendosi “tornerà, prima o poi e se lo facesse, troverà pulito” e lo avrei ringraziato.
Lasciai il cellulare spento sul divano, mi accesi una sigaretta poi raggiunsi il bagno, guardandomi un istante allo specchio, disgustata, aprendo poi l’acqua della vasca e iniziando a spogliarmi, per poi scivolare nell’acqua tiepida fumando e chiudendo gli occhi.
Quel vuoto nello stomaco non si sarebbe riempito nemmeno con tutti i sorrisi più sinceri di Carlos.
Il mio mal di testa martellante non si sarebbe fermato neanche con tutti i bagni caldi del mondo.
Speravo solo di chiudere gli occhi e non riaprirli, ma sapevo non sarebbe successo.
Lasciai cadere ancora altre lacrime, pregando fossero le ultime che il mio corpo potesse contenere mentre sentii, o meglio immaginai di sentire, nella camera affianco, la contenuta ma bellissima risata di Alice e fu istintivo tirare su di scatto la testa e pigolare, disperata “Alice.. ?” ma fu quando, dopo svariati minuti, non ricevei risposta che ricordai.
Alice non c’era.
Alice non ci sarebbe stata.
Perché ? Perché era giusto così.
Ora forse era furiosa, magari stava spaccando tutto ciò che le capitava a tiro, mettendo sottosopra la mia camera e maledicendomi mentre Gates la osservava, affranto e in silenzio.
Matt al piano di sotto se ne stava inespressivo, stringendo a se il piccolo JC che piangeva mentre Zacky fissava la sua chitarra, spento.
Jimmy ? Jimmy probabilmente se ne stava con Leana, festeggiava, lui.
Aveva vinto.
Ma sarebbe passato tutto.
La tristezza sarebbe scemata fino a sparire, mi avrebbero dimenticata e sarebbero tornati tutti alla vita di ogni giorno, quella bella, felice.
Quella senza di me, la rossa dal cuore fermo e le speranze troppo grandi.
Chiusi di nuovo gli occhi e mi lasciai andare al sonno, perché forse almeno li avrei trovato tranquillità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi. 
*Si nasconde dietro il divano* NON UCCIDETEMI.
Lo so, lo so, sono stata una maledetta ad averci messo tanto ma ho avuto seri problemi a scrivere.
Spero il capitolo sia piaciuto e spero continuerete a seguirmi.
Scusate ancora il ritardo.
Somuchlove,
Sah. 

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Capitolo 4
*** Cleanse us Acid Rain. ***


4. Cleanse us acid rain.

 

Aprii gli occhi lentamente e faticosamente.
Come ormai avevo imparato, il sonno non era un buon rifugio quando si cercava di fuggire alla propria mente.
Infatti da quando mi ero addormentata nella vasca, due ore prima, non avevo fatto altro che sognare Alice che piangeva in un angolo della mia stanza.
Ero uscita infreddolita e, forse, ancor più stanca di prima e mi ero avvolta nell’asciugamano, lasciando i capelli bagnati cadermi lungo la schiena, fino ai reni.
Poi mi ero diretta in sala e mi ero seduta al tavolo, accendendomi una sigaretta e fissando la sedia davanti a me.
Sul tavolo c’erano incise due grandi A.
Ricordavo il giorno in cui le avevo incise.
Era una calda domenica di non so bene quale mese ed io e Alice eravamo in quella casa, Spettro se ne stava sul divano acciambellato e profondamente addormentato mentre io e Al parlavamo del più e del meno.
Mi mostrò un coltellino a scatto che Zacky le aveva regalato “Per sicurezza”, almeno così aveva detto lui, ma sapevamo bene tutti e tre che in realtà glielo aveva regalato solo perché ad Alice piaceva da impazzire, con tutta la lavorazione sull’impugnatura e quella lama quasi bianca.
Così, improvvisamente, sfilai il coltellino dalle mani di Alice e incisi due enormi A, intrecciate tra loro, al centro del tavolo.
“Perché l’hai fatto, Az ?! Il tavolo era nuovo!” mi disse, confusa, Alice.
Le sorrisi, restituendole il coltellino e sfiorando le incisioni con la punta di un dito “Perché questo tavolo era vuoto, piatto, senza senso e senza una storia da raccontare.. come me. Poi sei arrivata tu ed ora ho una storia da raccontare, anzi.. ho una storia ancora da finire di scrivere. Ogni volta che vedrò quest’incisione, mi ricorderò di questa promessa. Se un giorno saremo lontane e io dovessi far cadere il mio sguardo su queste due enormi A, mi ricorderò che ho una storia da terminare.. e quella storia la sto scrivendo insieme a te.”
Ricordai il suo sorriso incredulo, la vidi gettare a terra il coltellino e me la ritrovai addosso in un istante, con quei suoi abbracci che mi toglievano il fiato e mi davano vita.
Imprecai tra i denti, troppo stanca anche per piangere e mi alzai.
E,  per un misero istante, mi parve di vedere Spettro, acciambellato e profondamente addormentato, sul divano ma scacciai subito l’idea.
Sul divano non c’era nessuno, niente se non il mio cellulare spento.
Mi avvicinai prendendolo tra le mani e lo scrutai, senza sapere bene perché, soffermandomi poi sul piccolo sticker attaccato sul retro del cellulare, una piccola fragola.
“Azriel, Az!” gridò Johnny, quel giorno, correndo su per le scale venendomi in contro con un sorriso così grande che quasi illuminava la casa intera “Guarda cos’ho comprato! Gli sticker colorati! Come quando ero bambino, voglio attaccarli tutti sul basso, mi aiuti ?” ed io non avevo potuto certo rifiutare così avevamo passato quelle ore da soli, nel salotto di casa mia, ad attaccare sticker sul suo basso, come due bambini idioti e poi era capitata quella piccola fragolina ma quando stavo per attaccarla, JC me l’aveva sfilata dalle mani e l’aveva attaccata al mio cellulare.
“Perché ?” Avevo chiesto.
Lui mi aveva sorriso, sincero e raggiante come suo solito e mi aveva detto “Perché mi ricorda te. Piccola e rossa. Dolce come una fragola, o almeno quando vuoi. Quindi voglio tu la attacchi al telefono e ti ricordi che sei la mia fragolina preferita, ogni volta che la vedi.” E lo stavo facendo.
Il magone allo stomaco era cresciuto ancora di più così lasciai di nuovo il telefono sul divano e mi spostai verso la cucina, cercando qualcosa che mi distraesse da loro.
Mi ero messa seduta, come facevo spesso, sul mobile e i ricordi erano tornati, come una cascata, senza darmi tregua.
Mi ricordai di uno degli ultimi giorni passati in quella casa, prima di trasferirmi in California, era estate e i ragazzi erano venuti a stare da me insieme ad Alice, per visitare finalmente New York.
Ero seduta proprio in quel punto e Zacky si aggirava, raggiante, per la mia microscopica cucina, cucinando prelibatezze di ogni tipo.
Io dondolavo le gambe come una bambina e lui ogni tanto mi faceva assaggiare qualcosa.
Poi per un attimo si era fermato, mi aveva guardata attento e mi aveva sorriso, scompigliandomi i capelli e dicendomi “Adoro cucinare con te come un piccolo e dolce soprammobile vicina. Mi piace farti assaggiare ciò che preparo e vederti arricciare il naso quando è qualcosa che non ti piace, o farmi gli occhioni quando sto cucinando qualche dolce e ne vuoi ancora. Sei la mia assaggiatrice personale, promettimi che non mangerai mai le torte di nessun’altro, se non le mie. ..Beh, le mie e quelle di Alice. Ma nessun’altro.” E io avevo annuito così quella sera, per festeggiare i miei ultimi giorni a New York e, soprattutto , la nostra amicizia, Zacky e Alice mi avevano preparato un’enorme torta al cioccolato.
Torta nella quale poi Alice aveva spiattellato per bene la faccia di Vee, facendoci ridere tutti a crepapelle.
Ormai il magone allo stomaco era diventato un pesante macigno e mi sentii quasi mancare l’aria, singhiozzavo a vuoto ma non volevo piangere, non potevo.
Balzai giù dal mobile e mi fiondai in camera, gettandomi sul letto e stringendo le coperte, soffocando gli urli in un cuscino.
Quando però alzai la testa, capii che non potevo scappare.
Il mio sguardo si poggiò su una delle foto alle pareti.
Ritraeva me tra le enormi braccia di Matt, entrambi sorridenti come bambini mentre Gates, poco distante, era pronto a versarci addosso un enorme secchiata d’acqua.
Anche quel momento era segnato nella mia testa, come se lo stessi vivendo in quel momento.
“Reggiti, nana che ora corriamo!” aveva gridato Matt.
E io mi ero stretta a lui, ridendo ma Alice, complice, ci aveva fermati con la scusa della foto e così, in un istante, Gates ci aveva versato l’acqua gelida addosso e, dopo qualche secondo, dio solo sapeva come, mi ero ritrovata a rotolare a terra tentando di salvarmi da Matt e Gates che, ridendo come pazzi, cercavano in tutti i modi di farmi il solletico.
Alla fine di quel delirio ero sdraiata a terra, ansante, Gates e Matt sdraiati vicino a me.
“La mia nana!” aveva annunciato, ridendo, Matt.
“Tua ? Quando te la sei comprata ? “ aveva borbottato Gates.
“Ma è OVVIO che sia mia, vero rossa ? Diglielo.” Ed io ero rimasta in silenzio, su suggerimento di Al, ridacchiando, curiosa di vedere cosa avrebbero fatto.
“Facciamo che è un po’ di tutti. Come noi siamo tutti un po’ suoi, che te ne pare ? “ aveva aggiunto Matt.
E, dopo qualche istante di silenzio, mi ero ritrovata stretta tra le braccia di entrambi.
Andata. La NOSTRA nana.” Aveva urlato Gates e poi, alla fine, anche Alice e gli altri ci si erano gettati addosso e ci eravamo ritrovati a rotolare e ridere sul prato come dei perfetti cretini.
A quel punto le lacrime uscivano, libere, veloci e instancabili.
In barba alla mia convinzione di aver pianto fino a finire le lacrime.
Non era così, le lacrime non finivano mai e io lo sapevo bene.
Mi tirai su disperata, mettendomi seduta e aggrappandomi con le mani ai capelli, piangendo come una pazza.
Cosa avevo fatto ?
Perché l’avevo fatto ?
Quanto egoista ero stata a lasciarli tutti così ?
Non ero degna di loro, non ero degna di nulla.
Mi alzai di scatto, fiondandomi in bagno e aprendo l’armadietto di medicinali, rammucchiando più pasticche possibile e svuotandole tutte nella mano, chiudendo poi lo sportello.
Ero pronta a buttare tutto giù quando, nello specchio, l’immagine dell’unica persona che non avrei mai voluto vedere, comparve chiara, quasi non fosse solo un’altra delle mie stupide allucinazioni.
Ma questa volta, a differenza del solito, non ghignava.
Era serio.
Quegli occhi azzurri sembravano volermi trafiggere mentre i suoi capelli scuri sembravano ancor più scuri del solito, quasi rincarnassero una qualche specie di rabbia infinita, disumana.
Quasi sembrava volesse rimproverarmi da un momento all’altro, come volesse sbucare da quello specchio e farmi a pezzi.
“TI ODIO!” gridai, fuori di me, dando un pugno allo specchio che si frantumò in mille pezzi, pezzi che entrarono nella mia mano facendomi cadere di mano tutte le pasticche.
In men che non si dica, il pavimento del bagno era sporco di sangue e io mi ritrovai a terra, terrorizzata e dolorante, di nuovo in lacrime.
Era successo di nuovo.
Ero crollata per l’ennesima volta, a causa sua.
“Andrai avanti così per molto ?” mi domandò, gelido, quello che riconobbi subito essere Rev.
Mi paralizzai.
Non era possibile.
Lui non era li.
Alzai, titubante, lo sguardo ed eccolo.
In piedi poggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate al petto e quel suo fastidioso ghigno sempre puntato in faccia.
“Cosa- Cosa ci fai qui ?! Come sei arrivato ? CHI TI HA FATTO ENTRARE ? COSA VUOI ?!” gridai, terrorizzata, indietreggiando fino a schiacciarmi contro la parete.
“Azriel.. io non sono qui, è più che ovvio. Sono solo frutto della tua testa.. e delle tue solite e stupide allucinazioni.” Sussurrò, accucciandosi davanti a me.
Che ero pazza lo sapevo, lo sapevo da un’infinità di tempo ma mai.. mai mi era successo di avere un’allucinazione così chiara.
“E’ perché sei sola..” sussurrò lui, come mi avesse letto nel pensiero.
Non sapevo cosa rispondere e la mano continuava a pulsare.
Continuavo a piangere, fissando l’immagine di Jimmy davanti a me che ora aveva smesso di ghignare e mi guardava, neutro.
“Alice e i ragazzi sono sempre riusciti a tenere a bada le tue allucinazioni ma ora sei sola.. ora sei sola e peggioreranno, di giorno in giorno. Sarà sempre peggio. Tu non puoi vivere senza di loro, Azriel, lo capisci, vero ?”
Mi alzai in piedi e lui mi imitò.
“Basta. Sparisci. Se sei solo frutto della mia immaginazione.. Va via.” Dissi, con la voce tremante.
Lo vidi sospirare poi, in un battito di ciglia, non c’era più.
Mi portai la mano al petto e mi incamminai verso la porta, guardandomi intorno terrorizzata “Jimmy.. ? Jimmy dove sei ?! JIMMY TI PREGO TORNA QUI, NON E’ VERO, NON VOGLIO TU VADA VIA. Non è vero.. non andare via..” mi accasciai di nuovo a terra, lo sguardo fisso sul pavimento annebbiato dalle lacrime e, tra i singhiozzi, sussurrai “non lasciarmi sola.. hai ragione, hai ragione tu.. io da sola non posso fare niente.. non andare via..” ma non ricevetti risposta.
Jimmy non riapparve.
Non tornò.
Passai l’intero pomeriggio sdraiata a terra, fissando il soffitto.
La mano aveva smesso di pulsare e il sangue si era fermato.
Così come il mio cuore, il cervello e, a tratti, il respiro.
Cosa stavo concludendo ? Nulla.
Cosa stava migliorando ? Ancor meno di nulla.
Almeno per me.
E loro, come stavano ?
Ero partita per i ragazzi e per Alice, per farli stare bene ma, effettivamente, loro come stavano ?
Mi misi seduta, sentendo tutte le ossa indolenzite dal pavimento scrocchiare ad ogni movimento e mi voltai verso il divano, il cellulare era ancora li.
Feci un profondo respiro e mi alzai, attendendo che il giramento di testa passasse per poi prendere il cellulare, accendendolo.
Attesi qualche istante ma niente.
Nessuna chiamata persa, nessun messaggio da leggere.
Trattenni il fiato.
Forse.. mi avevano già dimenticata ?
Magari non era il caso di farsi sentire di nuovo, non per il momento.
Lasciai di nuovo il cellulare sul divano, sciacquai e fasciai la mia mano, mi cambiai svelta e tirai su la felpa del cappuccio, prendendo la chiave dell’appartamento e le sigarette, schizzando via dall’appartamento chiudendomi la porta alle spalle, scendendo le scale come un razzo.
Se solo avessi saputo che proprio in quel momento Alice era riuscita a calmarsi e stava componendo il mio numero di cellulare per poi rimanere in attesa che rispondessi, disperata e preoccupata, forse, non sarei uscita da quella casa così in fretta.
Ma non potevo saperlo.
Salutai frettolosamente Carlos inventandomi di avere qualcosa di importante da fare e mi gettai fra le strade ancora decisamente affollate di New York.
Chissà cosa pensavano, quei pochi che mi notavano per strada.
Chissà se mi trovavano buffa, ridicola o magari carina.
Chissà quanti di loro avevano problemi di cuore, forse alcuni erano anche appena scappati di casa, proprio come me.
“E ora dove vai ?” domandò JC, comparso improvvisamente al mio fianco.
Lo ignorai.
Era solo una stupida allucinazione.
“Forse è così ma magari dovresti ascoltarci..” provò anche Matt ma ignorai anche lui.
Mi accesi una sigaretta stringendomi nella felpa e continuando spedita, senza una vera meta.
“Non puoi scappare, Az, siamo nella tua testa.” Sospirò sconfortato Zacky.
Non li avrei ascoltati.
Era solo la mia stupida mente malata, i veri ragazzi stavano bene.
Erano in California, tutti insieme, felici.
“Tu devi impegnartici davvero tanto, per pensare certe cazzate, mh ?” Gates, gentile anche nella mia immaginazione.
Sospirai.
Mi avrebbero lasciata stare, dovevano.
Io non avevo bisogno di loro.
“Ah no ? Quindi hai mentito per tutto questo tempo ?” gli occhi scuri di Alice, dritti nei miei, mi bloccarono.
Rimasi a boccheggiare qualche istante ma lei non perse tempo.
“Non hai bisogno di noi ?! Allora perché mi hai cercata ogni volta che piangevi ? Perché sei corsa a farti proteggere dai ragazzi ogni volta che ce n’era bisogno ? EH ? Se non avevi bisogno di noi, potevi anche evitare di entrare nelle nostre vite e creare tutto il casino che hai creato, stronza ingrata!”
Stavo per rispondere quando sospirai, abbassando lo sguardo.
“Tu non sei Alice. Lasciami stare.” Sussurrai, facendo poi dietro front e imboccando una via a caso.
Camminai finché non si fece buio.
Ci misi ore e ore per riconoscere la via di casa ma quando fui sicura di essere nella via giusta accelerai appena il passo, raggiungendo il palazzo rosso in pochi minuti.
Schizzai davanti la cabina di Carlos ringraziando che il vecchietto fosse addormentato, salii le scale in un baleno e rientrai nel mio appartamento.
Gettai una veloce occhiata al cellulare ancora scuro sul divano e sospirai, prendendo poi posto al tavolo ed aprendo un nuovo pacchetto di sigarette.
Forse era davvero come avevo pensato ?
Forse ora stavano bene.
Forse.. forse non era questo quel che volevo ?
Ma sì, era proprio ciò che volevo, che stessero tutti bene.
Poggiai, sconfortata, la guancia al legno del tavolo e finii la sigaretta, rimanendo poi a fissare fuori dalla finestra.
Il vuoto nel mio stomaco ora minacciava di inghiottirmi eppure stavo solo facendo ciò che io stessa avevo creato.
Non potevo biasimare nessun’altro se non me stessa.
Chiusi gli occhi, sospirando.
Dopo quella che mi parve più di un’ora, sentii bussare e tirai su la testa dal tavolo, sbuffando.
“Sì ?” domandai.
“Niña, esta aqui un tipo strano che quiere di te.” Disse la voce familiare di Carlos.
Un tipo strano ?
Mi alzai, sbuffando, il mal di testa martellante appena tornato ed aprii la porta.
La figura di Carlos sparì davanti ai miei occhi perché fui subito rapita dalla figura in piedi dietro di lui.
Sgranai gli occhi, incredula, tenendo stretta la mano sulla maniglia della porta.
“Cosa- .. Non è vero..” balbettai, sconvolta.
“Non cacciarmi, Az, per favore. Voglio solo parlare. Ho fatto nove fottute ore d’aereo buttando al vento metà dei miei risparmi solo per arrivare qui in fretta, voglio solo che ascolti ciò che ho da dire!” disse, svelto, Jimmy, superando Carlos e piazzandosi davanti a me.
Carlos evidentemente si sentì di troppo perché, dopo aver lanciato un’occhiataccia a Rev, si dileguò giù per le scale.
“S-sei solo una stupida allucinazione. BASTA. Sono stanca.” Dissi, furiosa, chiudendo di scatto la porta.
“AZRIEL!” gridò Jimmy, il piede incastrato tra la porta e lo stipite, impedendomi di chiuderla.
Mi voltai di nuovo, rimanendo come pietrificata.
Le allucinazioni non potevano certo tenere ferme le porte.
E tantomeno sentivano il dolore, quindi..
Afferrai saldamente la maniglia della porta e la spalancai, per poi sbatterla con forza sul piede di Rev, sentendolo urlare una bestemmia a pieni polmoni per poi spingermi dentro casa, accucciandosi a terra.
“MA SEI SCEMA ?!” Mi gridò, guardandomi sconvolto per poi cambiare espressione subito dopo.
Ero di nuovo in lacrime e continuavo ad indietreggiare.
Quello era davvero Rev ?
Perché era li ?
Cosa voleva ?
Lo vidi alzarsi ed entrare in casa approfittando del mio momento di totale panico, si chiuse la porta alle spalle e mi guardò, con un’espressione che mai prima di allora gli avevo visto in faccia.
“Az, ascolta, prima di cominciare ad urlare e sbraitare, dare di matto o tentare di uccidermi, per favore, ascol-“ non riuscì a finire perché mi gettai contro di lui, legandogli le braccia in vita e scoppiando a piangere a singhiozzi.
“Azriel..” sussurrò, confuso, poggiandomi una mano sulla testa.
“TI ODIO! TI ODIO DA MORIRE! PERCHE’ SEI VENUTO TU ?! PERCHE’ ?! PER PRENDERTI GIOCO DELLA POVERA RIDICOLA RAGAZZINA RACHITICA CHE E’ SCAPPATA COME UNA CODARDA PER POI RINTANARSI IN UN BUCO A PIANGERE ?!” gridai, senza sapere nemmeno io cosa stavo dicendo.
Ma Jimmy non si mosse, non disse una parola, si limitò a tenere la sua mano sulla mia testa e rimanere in silenzio, incassando tutti i miei insulti e le mie stupide accuse.
Quando finii di piangere e sbraitare lo feci mettere seduto sul divano, portandogli del ghiaccio per il piede che aveva iniziato a gonfiarsi e poi mi misi seduta al tavolo, accendendomi una sigaretta ed evitando di guardarlo.
“Non sono qui per prendermi gioco di te..” cominciò, piano, dopo qualche istante di silenzio “Sono qui per riportarti a casa.” Concluse.
“Questa è casa mia.” Dissi, senza voltare la testa.
“Non è vero. Casa tua è in California, con Alice e i ragazzi.” Disse lui, fermo.
“E tu che ne sai ?! Tu di me non sai.. niente.” Sussurrai, strofinandomi una mano sugli occhi che pizzicavano ancora per le lacrime.
“No, ti sbagli.” Disse, attirando la mia attenzione e puntando gli occhi nei miei “So che.. So che sei la sorella di Alice e so che sta malissimo, a tal punto che è svenuta. E’ priva di forze perché si è agitata come mai prima d’ora ed è costretta a letto. So anche che i miei migliori amici ti reputano come una sorella e stanno di merda. Per questo non sono ancora riusciti a venire, perché non hanno le forze. Sono venuto io apposta, per riportarti indietro.” Concluse.
Feci un sorriso amaro, scuotendo la testa e tornando a fissare il tavolo.
“Tu menti.” Sussurrai.
“Perché dovrei ?” chiese, piccato.
“Perché lo fai sempre, quando parli con me. O già hai dimenticato ? Hai dimenticato tutte le volte che mi sono fidata di te e tu mi hai usata solo per divertimento, per poi prenderti gioco di me subito dopo ? Io non l’ho dimenticato affatto.” Conclusi, stringendo la sigaretta tra le dita.
“E secondo il tuo genio malvagio ci sarei arrivato fino a New York, dalla California, solo per prenderti per il culo ? Tu ti dai troppa importanza, ragazzina!” disse,  nervoso.
Tornai a guardarlo, battendo un pugno sul tavolo.
“TROPPA IMPORTANZA ?! MA CHI TI CREDI DI ESSERE, ARRIVI QUI E TI COMPORTI COME SAPESSI TUTTO, TI COMOPRTI COME FOSSI UN ANGELO APPENA SCESO DAL PARADISO QUANDO INVECE SEI SOLO UNO STRONZO MONTATO, UN PALLONE GONFIATO PIENO DI SE CHE NON CAPISCE DI ESSERE SOLO UN RIDICOLO E FASTIDIOSO IDIOTA! SAI CHE TI DICO ? FA QUEL CHE TI PARE, IO NON MI MUOVO DI QUI.” Detto ciò mi alzai ribaltando la sedia e andai a chiudermi a chiave in camera, sdraiandomi sul letto e raggomitolandomi sotto le coperte.
Sentii Jimmy battere sulla porta un paio di volte, bestemmiando.
Poi dopo qualche istante di furia, lo sentii poggiarsi alla porta.
“AH Sì ?” Gridò da fuori la porta “ALLORA SAI CHE TI DICO ? IO RESTO QUI, TUTTA LA NOTTE. ANCHE TUTTO DOMANI, E DOPODOMANI E VIA DICENDO. PRIMA O POI DOVRAI USCIRE DA LI E IO TI RIPORTERO’ A CASA!”
“Perché ?!” Domandai, al limite tra la disperazione e la rabbia.
Ci fu qualche istante di silenzio poi una possente botta alla porta che mi fece sobbalzare, botta che dedussi essere un pugno e infine la voce di Jimmy giunse alle mie orecchie come fosse tremante “Perché ci sono persone che hanno bisogno di te, tanto quanto tu hai bisogno di loro..”
Trattenni e il fiato ma decisi di non rispondere.
Perché mi sarei dovuta fidare di lui ?
Magari erano stati i ragazzi o Alice stessa ad obbligarlo a venire la.
Non gli avrei permesso di prendersi gioco di me, non di nuovo.
Chiusi gli occhi voltando le spalle alla porta ma finii per rimanere sveglia tutta la notte fissando la finestra.
Verso le quattro decisi di alzarmi e aprii piano la porta.
Jimmy cadde a terra addormentato, mugolando infastidito senza però svegliarsi.
Lo osservai qualche istante, mordendomi un labbro.
Quella sensazione di male al petto che provavo ogni volta che lo guardavo, temevo non sarebbe mai passata.
Alla fine mi ritrovai a caricarmi quel colosso sulle spalle e trascinarlo fino al mio letto, togliendogli anche l’altra scarpa e sistemandolo sotto le coperte, chiudendo poi la porta e raggomitolandomi sul divano, infreddolita.
Si era preso il mio cuore, la mia famiglia, ogni cosa.. e ora si rubava anche il mio letto.
Cos’altro voleva da me ?!
Sprofondai nel sonno di nuovo, atterrata dal mal di testa sfiancante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Hola!
Eccomi di nuovo, mi scuso come sempre per il tempo che lascio passare tra un capitolo e l'altro.
Grazie a chi ancora mi segue e spero il capitolo piaccia.
Somuchlove,
Sah. 

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Capitolo 5
*** Will we burn inside the fire of a thousand suns? ***


 

5. Will we burn inside the fires of a thousand suns ?
Quando aprii gli occhi ero ancora raggomitolata sul divano.
Provai a stiracchiarmi appena ma mi accorsi di qualcosa di diverso.
Ero arrotolata in una coperta e sotto la mia testa c’era un cuscino, oggetti che non ricordavo di aver preso quella notte quando..
Sgranai gli occhi al ricordo di Jimmy e mi liberai della coperta, balzando in piedi e fiondandomi in camera.
Nulla.
Il letto era ancora fatto e di Jimmy non c’era traccia.
Che avessi immaginato tutto  ?
Probabile.
Andai in bagno a sciacquarmi la faccia, sospirando nel notare lo specchio in frantumi ancora sporco qua e la di sangue, avrei ripulito.
Uscii dal bagno e mi accesi una sigaretta, sedendomi al tavolo e riprendendo a fissare la finestra.
Con tutte quelle stupide allucinazioni, sarei finita per impazzire del tutto e commettere qualche follia, lo sapevo.
Ma a dire il vero, non importava.
Eppure quell’abbraccio e la sua mano sulla mia testa mi erano apparsi così reali.
Improvvisamente sentii il rumore della chiave che girava nella serratura della porta e mi voltai, fissando la porta e trattenendo il fiato.
“Ciao, ragazzina..” Borbottò Jimmy, chiudendosi la porta alle spalle e avvicinandosi al tavolo, lasciando davanti a me un enorme bicchiere di caffè e una busta con un cornetto al cioccolato, sedendosi al tavolo anche lui e sfilandosi la giacca, tirando fuori un altro cornetto da un’altra busta ed iniziando a mangiare come nulla fosse.
Fissai il bicchiere, la busta col cornetto e poi lui, confusa.
“Non sono avvelenati, se questo ti preoccupa.” Disse, inarcando un sopracciglio e mandando giù un sorso del suo caffè.
“Cosa significa ?” domandai, indicando con il dito il caffè ed il cornetto.
“Tu non fai colazione ?” mi domandò lui, tornando ad avere quel suo fastidioso modo di parlarmi come fossi pazza e parlassi di alieni.
Trattenni un’imprecazione e mi sforzai di respirare a fondo.
“So che cos’è la colazione, James, ti sto solo chiedendo perché diavolo l’hai presa anche per me.” Dissi, sostenendo il suo sguardo e aspirando una gran boccata dalla mia sigaretta.
“L’ho presa e basta, mangia e zitta.” Si affrettò  a dire lui, distogliendo lo sguardo e portandolo verso la finestra.
Sbuffai e presi il caffè, iniziando a sorseggiarlo in silenzio.
Rimanemmo in silenzio per tutto il tempo poi, presa dall’esasperazione, sospirai pesantemente.
“Che c’è ?” mi domandò immediatamente.
“Dimmi cosa diavolo vuoi da me e facciamola finita, non voglio averti intorno.” Dissi, sforzandomi di mantenere la voce ferma e fissando le mie mani avvolte intorno al bicchiere.
“Il piano originale era quello di riportarti a casa ma ora ho cambiato idea..” cominciò lui, parlando come nulla fosse “Ora il piano è rimanere qui a farti da balia finché non arriveranno gli altri e quando loro saranno qui, mi godrò la scenata che ti faranno e anche gli schiaffi che penso ti darà Alice. Nel frattempo, mi assicurerò che tu non ti faccia del male o non scappi di nuovo.” Concluse, finendo il suo caffè in un sorso e lasciando il bicchiere sul tavolo.
Lo guardai, sentendo lo stomaco chiudersi di nuovo e lasciai il bicchiere sul tavolo, spegnendo la sigaretta e alzandomi.
“Dove vai ?” Mi domandò subito.
“Posso andare al cesso o devi controllarmi anche lì ?!” sbottai, esasperata.
Fece spallucce e tornò a fissare fuori dalla finestra ed io raggiunsi il bagno, chiudendomi dentro a chiave.
Scivolai a terra, la schiena poggiata alla porta, prendendomi il viso tra le mani, sospirando esasperata.
Dovevo trovare un modo per liberarmi di lui.
Voleva solo giocare con me e io ero stanca di essere il suo giocattolo, non gli avrei permesso di rimanere a tormentarmi.
Era colpa sua se ero scappata.
Ma se fosse stato vero che Alice e i ragazzi stavano venendo a cercarmi, era giusto scappare di nuovo ? 
Non sapevo più cosa fosse giusto e cosa no ma ero certa di non avere le forze per scappare di nuovo e non avevo neanche un altro posto in cui potermi rifugiare. 
Quindi sarei dovuta rimanere con lui ?
Il solo pensiero mi mandava fuori di testa.
Sospirai alzandomi e raccogliendo i pezzi di vetro, tagliandomi più volte, uscendo poi dal bagno e andando a buttare i pezzi nel secchio, sciacquando poi il sangue nel lavandino della cucina.
“Che cazzo hai fatto ?” mi domandò Jimmy, apparso dietro di me.
Feci per rispondere ma mi prese per un polso costringendomi a girarmi e mi guardò le mani per poi sbuffare e farmi sedere sul tavolo, prendendo a disinfettare tutti i tagli e fasciarmi le dita.
“Come hai fatto ?” domandò, senza alzare lo sguardo dalle mie mani.
“Si è rotto lo specchio..” borbottai, lo sguardo basso.
“I tuoi specchi prendono ed esplodono tagliandoti le mani ? Hai degli specchi strani.” Disse, ironico.
Ritirai le mani di colpo, raggomitolandomi sul divano con le gambe al petto e borbottando “Lasciami in pace.”
Lo sentii sospirare.
“Scusa..” sussurrò poi, accucciandosi davanti a me.
Rimasi raggomitolata, guardandolo appena.
Lui mi porse una mano, gentile, sorridendomi “Sono un idiota, lo so, ma non volevo offenderti.. posso finire ?” domandò.
Lo guardai scuotendo la testa, facendomi più stretta su me stessa.
Lui sospirò di nuovo passandosi una mano sul volto e parlando piano “Mi dispiace davvero. Sono abituato ad essere ironico e non riesco a non farlo. Prometto che se mi fai finire di medicarti le mani, io mi impegnerò per smetterla con le mie battutine taglienti, mh ? Ci stai ?” 
Alzò lo sguardo su di me, sorridendomi gentile ed io rimasi a scrutarlo per qualche istante, prima di porgergli lentamente le mani e vederlo riprendere a medicarmi attento.
"Perché.. ?" sussurrai piano dopo qualche secondo.
Jimmy smise di medicarmi e alzò lo sguardo su di me, confuso "Perché cosa ?" domandò.
"Perché fai così.. ?" sussurrai, la voce che ormai tremava e gli occhi ricolmi di lacrime che tenevo a stento.
Lo vidi irrigidirsi e fissarmi con una faccia quasi sconvolta, come avesse appena visto un fantasma e per la prima volta da quando lo conoscevo mi apparve umano.
Sì perché era quello il problema fondamentale con Jimmy, da quando lo avevo incontrato la prima volta, almeno davanti a me, non si era mai mostrato "umano", mai un sorriso sincero, mai una parola gentile.
Sembrava solo  una macchina creata per ferirmi e divertirsi con i miei sentimenti, il che però non combaciava con i racconti del resto delle persone che lo conoscevano, che lo descrivevano sempre solare, simpatico, gentile, disponibile, insomma.. tutto il contrario di ciò che era normalmente con me.
Lo vidi alzarsi e la sua mano poggiata sulla mia testa mi tirò fuori dal vortice di pensieri che mi aveva risucchiato.
Alzai lo sguardo per guardarlo in faccia ma era girato verso la finestra e non vidi la sua espressione.
"Sei tu che mi hai chiesto di essere gentile.. se vuoi smetto." sussurrò.
Ma sapevamo entrambi che non era a quello che mi riferivo.
Nonostante questo però mi ritrovai a scuotere la testa come una bambina.
Capii che stava sorridendo perché vidi lo zigomo alzarsi appena e mi ritrovai a pensare di trovarlo davvero bello.
Ma non bello come lo avevo visto fino a quel momento, era bello per davvero, di una bellezza disarmante che andava ben oltre la semplice attrazione sessuale che mi provocava quando lo vedevo suonare la batteria a petto nudo.
Era bello ma al contempo spaventoso, come un cielo in tempesta.
"Allora.." Cominciò dopo qualche secondo, togliendo la mano dalla mia testa e sedendosi vicino a me sul divano "c'è qualcuno che aspetta di sentirti." concluse sorridendo e porgendomi il cellulare.
Lo guardai incerta, avrai voluto ribattere ma una parte di me temeva che se l'avessi fatto avrei distrutto quell'aria tranquilla che per la prima volta aleggiava tra me e lui, così mi limitai a prendere il telefono e fissare i numeri in rubrica che erano poi solo quelli di Alice e dei ragazzi.
"Chiama Johnny, sarà sicuramente l'unico abbastanza ragionevole da mantenersi calmo." mi suggerì lui, come ad incoraggiarmi ed eseguii.
Feci partire la chiamata e ad ogni squillo a vuoto il mio cuore perdeva un battito.
Solo in quel momento realizzai la mia più grande paura.
Si erano già dimenticati di me, mettendosi il cuore in pace e decidendo di lasciarmi perdere ? 
Sentii gli occhi pizzicare e il respiro fermarsi ma qualcosa attirò la mia attenzione: Il braccio di Jimmy scivolò intorno alla mia vita e la sua mano strinse appena un mio fianco ma stavolta gentile, incoraggiante, non con la cattiveria che usava di solito e, incredibilmente anche per me, mi sentii sicura ad averlo vicino.
Fu istintivo poggiare una tempia alla sua spalla.
Sobbalzai quando la chiamata si aprì.
"AZRIEL!" gridò Johnny, incredulo.
"J-Johnny.." sussurrai appena, la voce che tremava senza controllo.
"Azriel, piccola stai bene ? Dove sei ? Ti veniamo a prendere. Risolveremo tutto, vedrai." cominciò lui.
Se avessi scommesso sulla mia reazione, avrei vinto perché, come prevedibile, scoppiai a piangere.
"Mi dispiace tanto.." riuscii a mormorare tra i singhiozzi mentre sentivo le dita di Jimmy carezzarmi un fianco.
"No, no bimba non piangere. Hai agito d'istinto, lo sappiamo, l'abbiamo capito e siamo pronti a venirti a prendere anche in capo al mondo. Dove sei ?" continuò Johnny e quel suo modo di essere così apprensivo ma al contempo tanto dolce mi spiazzava sempre, facendomi sentire come una bambina rassicurata dal padre.
"Sono a casa mia.. a New York.." dissi ma prima che lui potesse chiedere altro aggiunsi "Sono con Jimmy." e calò il silenzio.
Sentii il batterista vicino a me accendersi una sigaretta e il silenzio nella cornetta continuare.
Qualcosa non quadrava.
Capii di essere in vivavoce solo quando sentii Alice, esasperata, sbottare in un "FIGLIO DI PUTTANA!"
Corrucciai la fronte, ora preoccupata.
"Allontanati da lui, immediatamente!" fu Matt questa volta a parlare e per la prima volta la sua voce sembrava colma di un sentimento che non gli apparteneva affatto, sembrava quasi odio.
Mi irrigidii.
Jimmy aveva sentito ? 
La risposta arrivò nel momento in cui sentii Jimmy rafforzare la presa sul mio fianco, ora con cattiveria e sussurrare pianissimo "Non osare muoverti."
Il mio cuore si era fermato, ne ero certa.
Ero andata contro l'unica regola ferrea che mi ero assegnata: Mai fidarsi di James.
E ora ne avrei pagato le conseguenze.
"Azriel, hai sentito Matt ?!" urlò anche Zacky.
Era spaventato ? 
La cosa non aiutava ed ero andata in panico, non riuscivo a parlare e faticavo a respirare.
Fu Jimmy ad intervenire, parlando a voce abbastanza alta da farsi sentire.
"Allora, siete partiti sì o no ?" domandò, gelido.
"JAMES LASCIALA STARE O GIURO CHE NE PAGHI LE CONSEGUENZE, STAVOLTA!" urlò Brian, evidentemente fuori di sé ma sembrava distante dal telefono.
Sentii Alice rimbeccarlo e Johnny intervenire "Siamo in macchina, Jim. Tra poco arriviamo. Ma lasciala stare, ti prego. Non ti ha fatto niente, non è giusto che tu la tratti così.. ti prego, non rovinare ancora di più le cose. Tu non sei questo."
"Sta zitto Seward, è meglio per voi se vi sbrigate." concluse Rev, sfilandomi il telefono.
Sentii Alice urlare qualcosa ma lui chiuse la chiamata e lanciò il mio telefono contro la parete rompendolo in due.
Approfittai di quell'istante per dar retta al mio istinto e schizzare via dalle sue braccia.
La mia testa mi diceva di andare a rifugiarmi in bagno ma, fortunatamente, il mio corpo fu abbastanza intelligente da fiondarsi verso la porta e uscire come un fulmine dall'appartamento fiondandomi giù per le scale.
"CARLOS, CARLOS AIUTO!" iniziai a gridare. 
Jimmy era dietro di me e sapevo che non ci avrebbe messo molto a raggiungermi.
Fu come una luce nel buio vedere l'anziano portiere alla fine dell'ultima rampa di scale e mi gettai tra le sue braccia in lacrime.
"Niña, che succede ?!" mi domandò lui.
"TI PREGO AIUTAMI, VUOLE FARMI DEL MALE!" ormai singhiozzavo e tremavo come una foglia, aggrappata alla sua maglietta.
"Chi ?!" domandò Carlos, confuso.
"Oh, Carlos, menomale che l'ha ripresa." disse Jimmy appena arrivato, sembrava veramente preoccupato ma prima che potessi dire o fare qualsiasi cosa mi sentii sollevare e vidi Carlos allontanarsi di qualche passo da noi.
Iniziai a dimenarmi blaterando frasi insensate e piangendo.
Carlos mi guardava, dispiaciuto "Oh, niña.. chiunque ti ha ridotta così.. debe arder en el infierno."
Di cosa parlava ?!
Ridotta come ? 
Era proprio davanti a lui, era James a spaventarmi così!
Perché non faceva nulla per aiutarmi ?
"Gracias a Dios hai questo dottore così giovane e gentile. Vedrai che ti aiuterà." concluse Carlos, carezzandomi la testa.
Dottore ? 
Quale dottore ?
Dottore per cosa ?
Aiutarmi in cosa ?
"Grazie signor Ortiz, ora torniamo a casa e la faccio calmare." cominciò Jimmy, per poi abbassare la voce come se io così non potessi sentirlo "Sa.. da quando c'è stato l'incidente con quei ragazzi a scuola.. Azriel non è più la stessa. Ma stiamo lavorando per far sì che torni in se." concluso il discorso Jimmy prese a risalire le scale senza lasciarmi neanche lo spazio per potermi muovere.
Non appenna rientrammo in casa mi lasciò cadere a terra e si piazzò davanti la porta, fissandomi quasi con odio.
"CHE CAZZO VUOI DA ME ?! COSA TI SEI INVENTATO ?!" domandai urlando e piangendo, indietreggiando fino a schiacciare la schiena alla parete, tremando.
"Al signor Ortiz ho mostrato il documento che attesta che non sei in pieno possesso delle tue facoltà mentali e che attesta che sono il tuo medico personale. Ho detto che hai avuto un trauma a scuola con dei ragazzi che ti hanno violentata e che sei scappata dalla casa di cura e che siamo qui per cercare di aiutarti a superare tutto. Gli ho anche mostrato la foto del gruppo che ti ha provocato tutti questi danni.. vuoi vedere ?" mi chiese, ghignando e prima che potessi dire nulla estrasse una fotografia dalla tasca e me la gettò davanti.
Abbassai lo sguardo e subito mi sentii mancare.
La foto ritraeva i ragazzi e Alice, nel cortile di casa di Matt.
La foto era stata tagliata, io lo sapevo, mancavamo io e Jimmy in quella foto ma se qualcuno l'avesse vista in quel momento, non ci avrebbe fatto caso.
Alzai di nuovo lo sguardo per ribattere ma prima che potessi dire qualsiasi cosa mi ritrovai la mano di Jimmy schiacciata sulla bocca e sentii la mia testa premuta contro la parete, i suoi occhi azzurri sembravano quasi liquidi e il suo ghigno ad un palmo dal mio naso mi faceva quasi venire voglia di morire.
"Ho detto al signor Ortiz di chiamare le autorità se quel gruppo di pazzi dovesse farsi vedere qui." sussurrò, fiero di ciò che stava dicendo.
Perché tutto questo ?
Quelli erano i suoi fratelli, la sua famiglia, perché stava facendo quell'enorme stronzata ? 
"Se te lo stai chiedendo.. lo faccio per puro divertimento. Perché sono stanco di fare il buono con tutti, ricevendo in cambio solo il vostro odio o la rabbia. Sì, pensala come vuoi, magari sono solo uscito di testa, chi lo sa ? Fatto sta che ora è il mio turno di divertirmi e lo farò a spese tue. Perché sei tu la causa di tutto ciò che è accaduto a quella che una volta era la mia famiglia." concluse Jimmy.
Sentii il cuore fermarsi di nuovo.
Era colpa mia, lui lo sapeva.
E l'avrei pagata. 
Per cosa ? Beh, per aver fatto ciò che mi riusciva meglio: Distruggere la vita di chiunque entrassi in contatto con me.
Non provai a liberarmi quando il mio corpo, in preda ai tremori e al respiro mozzato, perse le forze e mi lasciai andare all'incoscienza sperando che quella volta non mi sarei mai svegliata.
Una parte di me però sapeva che sarebbe accaduto, che avrei aperto gli occhi.
Perché non si può mai scappare da quello che è il nostro destino.

5. Will we burn inside the fires of a thousand suns ?



Quando aprii gli occhi ero ancora raggomitolata sul divano.
Provai a stiracchiarmi appena ma mi accorsi di qualcosa di diverso.
Ero arrotolata in una coperta e sotto la mia testa c’era un cuscino, oggetti che non ricordavo di aver preso quella notte quando..
Sgranai gli occhi al ricordo di Jimmy e mi liberai della coperta, balzando in piedi e fiondandomi in camera.
Nulla.
Il letto era ancora fatto e di Jimmy non c’era traccia.
Che avessi immaginato tutto ?
Probabile.
Andai in bagno a sciacquarmi la faccia, sospirando nel notare lo specchio in frantumi ancora sporco qua e la di sangue, avrei ripulito.
Uscii dal bagno e mi accesi una sigaretta, sedendomi al tavolo e riprendendo a fissare la finestra.
Con tutte quelle stupide allucinazioni, sarei finita per impazzire del tutto e commettere qualche follia, lo sapevo.
Ma a dire il vero, non importava.
Eppure quell’abbraccio e la sua mano sulla mia testa mi erano apparsi così reali.
Improvvisamente sentii il rumore della chiave che girava nella serratura della porta e mi voltai, fissando la porta e trattenendo il fiato.
“Ciao, ragazzina..” Borbottò Jimmy, chiudendosi la porta alle spalle e avvicinandosi al tavolo, lasciando davanti a me un enorme bicchiere di caffè e una busta con un cornetto al cioccolato, sedendosi al tavolo anche lui e sfilandosi la giacca, tirando fuori un altro cornetto da un’altra busta ed iniziando a mangiare come nulla fosse.
Fissai il bicchiere, la busta col cornetto e poi lui, confusa.
“Non sono avvelenati, se questo ti preoccupa.” Disse, inarcando un sopracciglio e mandando giù un sorso del suo caffè.
“Cosa significa ?” domandai, indicando con il dito il caffè ed il cornetto.
“Tu non fai colazione ?” mi domandò lui, tornando ad avere quel suo fastidioso modo di parlarmi come fossi pazza e parlassi di alieni.
Trattenni un’imprecazione e mi sforzai di respirare a fondo.
“So che cos’è la colazione, James, ti sto solo chiedendo perché diavolo l’hai presa anche per me.” Dissi, sostenendo il suo sguardo e aspirando una gran boccata dalla mia sigaretta.
“L’ho presa e basta, mangia e zitta.” Si affrettò  a dire lui, distogliendo lo sguardo e portandolo verso la finestra.
Sbuffai e presi il caffè, iniziando a sorseggiarlo in silenzio.
Rimanemmo in silenzio per tutto il tempo poi, presa dall’esasperazione, sospirai pesantemente.
“Che c’è ?” mi domandò immediatamente.
“Dimmi cosa diavolo vuoi da me e facciamola finita, non voglio averti intorno.” Dissi, sforzandomi di mantenere la voce ferma e fissando le mie mani avvolte intorno al bicchiere.
“Il piano originale era quello di riportarti a casa ma ora ho cambiato idea..” cominciò lui, parlando come nulla fosse “Ora il piano è rimanere qui a farti da balia finché non arriveranno gli altri e quando loro saranno qui, mi godrò la scenata che ti faranno e anche gli schiaffi che penso ti darà Alice. Nel frattempo, mi assicurerò che tu non ti faccia del male o non scappi di nuovo.” Concluse, finendo il suo caffè in un sorso e lasciando il bicchiere sul tavolo.
Lo guardai, sentendo lo stomaco chiudersi di nuovo e lasciai il bicchiere sul tavolo, spegnendo la sigaretta e alzandomi.
“Dove vai ?” Mi domandò subito.
“Posso andare al cesso o devi controllarmi anche lì ?!” sbottai, esasperata.
Fece spallucce e tornò a fissare fuori dalla finestra ed io raggiunsi il bagno, chiudendomi dentro a chiave.
Scivolai a terra, la schiena poggiata alla porta, prendendomi il viso tra le mani, sospirando esasperata.
Dovevo trovare un modo per liberarmi di lui.
Voleva solo giocare con me e io ero stanca di essere il suo giocattolo, non gli avrei permesso di rimanere a tormentarmi.
Era colpa sua se ero scappata.
Ma se fosse stato vero che Alice e i ragazzi stavano venendo a cercarmi, era giusto scappare di nuovo ? 
Non sapevo più cosa fosse giusto e cosa no ma ero certa di non avere le forze per scappare di nuovo e non avevo neanche un altro posto in cui potermi rifugiare. 
Quindi sarei dovuta rimanere con lui ?
Il solo pensiero mi mandava fuori di testa.
Sospirai alzandomi e raccogliendo i pezzi di vetro, tagliandomi più volte, uscendo poi dal bagno e andando a buttare i pezzi nel secchio, sciacquando poi il sangue nel lavandino della cucina.
“Che cazzo hai fatto ?” mi domandò Jimmy, apparso dietro di me.
Feci per rispondere ma mi prese per un polso costringendomi a girarmi e mi guardò le mani per poi sbuffare e farmi sedere sul tavolo, prendendo a disinfettare tutti i tagli e fasciarmi le dita.
“Come hai fatto ?” domandò, senza alzare lo sguardo dalle mie mani.
“Si è rotto lo specchio..” borbottai, lo sguardo basso.
“I tuoi specchi prendono ed esplodono tagliandoti le mani ? Hai degli specchi strani.” Disse, ironico.
Ritirai le mani di colpo, raggomitolandomi sul divano con le gambe al petto e borbottando “Lasciami in pace.”
Lo sentii sospirare.“Scusa..” sussurrò poi, accucciandosi davanti a me.
Rimasi raggomitolata, guardandolo appena.
Lui mi porse una mano, gentile, sorridendomi “Sono un idiota, lo so, ma non volevo offenderti.. posso finire ?” domandò.
Lo guardai scuotendo la testa, facendomi più stretta su me stessa.
Lui sospirò di nuovo passandosi una mano sul volto e parlando piano “Mi dispiace davvero. Sono abituato ad essere ironico e non riesco a non farlo. Prometto che se mi fai finire di medicarti le mani, io mi impegnerò per smetterla con le mie battutine taglienti, mh ? Ci stai ?” Alzò lo sguardo su di me, sorridendomi gentile ed io rimasi a scrutarlo per qualche istante, prima di porgergli lentamente le mani e vederlo riprendere a medicarmi attento.
"Perché.. ?" sussurrai piano dopo qualche secondo.
Jimmy smise di medicarmi e alzò lo sguardo su di me, confuso "Perché cosa ?" domandò.
"Perché fai così.. ?" sussurrai, la voce che ormai tremava e gli occhi ricolmi di lacrime che tenevo a stento.
Lo vidi irrigidirsi e fissarmi con una faccia quasi sconvolta, come avesse appena visto un fantasma e per la prima volta da quando lo conoscevo mi apparve umano.
Sì perché era quello il problema fondamentale con Jimmy, da quando lo avevo incontrato la prima volta, almeno davanti a me, non si era mai mostrato "umano", mai un sorriso sincero, mai una parola gentile.
Sembrava solo una macchina creata per ferirmi e divertirsi con i miei sentimenti, il che però non combaciava con i racconti del resto delle persone che lo conoscevano, che lo descrivevano sempre solare, simpatico, gentile, disponibile, insomma.. tutto il contrario di ciò che era normalmente con me.
Lo vidi alzarsi e la sua mano poggiata sulla mia testa mi tirò fuori dal vortice di pensieri che mi aveva risucchiato.
Alzai lo sguardo per guardarlo in faccia ma era girato verso la finestra e non vidi la sua espressione.
"Sei tu che mi hai chiesto di essere gentile.. se vuoi smetto." sussurrò.
Ma sapevamo entrambi che non era a quello che mi riferivo.
Nonostante questo però mi ritrovai a scuotere la testa come una bambina.
Capii che stava sorridendo perché vidi lo zigomo alzarsi appena e mi ritrovai a pensare di trovarlo davvero bello.
Ma non bello come lo avevo visto fino a quel momento, era bello per davvero, di una bellezza disarmante che andava ben oltre la semplice attrazione sessuale che mi provocava quando lo vedevo suonare la batteria a petto nudo.
Era bello ma al contempo spaventoso, come un cielo in tempesta.
"Allora.." Cominciò dopo qualche secondo, togliendo la mano dalla mia testa e sedendosi vicino a me sul divano "c'è qualcuno che aspetta di sentirti." concluse sorridendo e porgendomi il cellulare.
Lo guardai incerta, avrai voluto ribattere ma una parte di me temeva che se l'avessi fatto avrei distrutto quell'aria tranquilla che per la prima volta aleggiava tra me e lui, così mi limitai a prendere il telefono e fissare i numeri in rubrica che erano poi solo quelli di Alice e dei ragazzi.
"Chiama Johnny, sarà sicuramente l'unico abbastanza ragionevole da mantenersi calmo." mi suggerì lui, come ad incoraggiarmi ed eseguii.
Feci partire la chiamata e ad ogni squillo a vuoto il mio cuore perdeva un battito.
Solo in quel momento realizzai la mia più grande paura.
Si erano già dimenticati di me, mettendosi il cuore in pace e decidendo di lasciarmi perdere ? 
Sentii gli occhi pizzicare e il respiro fermarsi ma qualcosa attirò la mia attenzione: Il braccio di Jimmy scivolò intorno alla mia vita e la sua mano strinse appena un mio fianco ma stavolta gentile, incoraggiante, non con la cattiveria che usava di solito e, incredibilmente anche per me, mi sentii sicura ad averlo vicino.
Fu istintivo poggiare una tempia alla sua spalla.
Sobbalzai quando la chiamata si aprì.
"AZRIEL!" gridò Johnny, incredulo.
"J-Johnny.." sussurrai appena, la voce che tremava senza controllo.
"Azriel, piccola stai bene ? Dove sei ? Ti veniamo a prendere. Risolveremo tutto, vedrai." cominciò lui.
Se avessi scommesso sulla mia reazione, avrei vinto perché, come prevedibile, scoppiai a piangere.
"Mi dispiace tanto.." riuscii a mormorare tra i singhiozzi mentre sentivo le dita di Jimmy carezzarmi un fianco.
"No, no bimba non piangere. Hai agito d'istinto, lo sappiamo, l'abbiamo capito e siamo pronti a venirti a prendere anche in capo al mondo. Dove sei ?" continuò Johnny e quel suo modo di essere così apprensivo ma al contempo tanto dolce mi spiazzava sempre, facendomi sentire come una bambina rassicurata dal padre.
"Sono a casa mia.. a New York.." dissi ma prima che lui potesse chiedere altro aggiunsi "Sono con Jimmy." e calò il silenzio.
Sentii il batterista vicino a me accendersi una sigaretta e il silenzio nella cornetta continuare.
Qualcosa non quadrava.
Capii di essere in vivavoce solo quando sentii Alice, esasperata, sbottare in un "FIGLIO DI PUTTANA!"
Corrucciai la fronte, ora preoccupata.
"Allontanati da lui, immediatamente!" fu Matt questa volta a parlare e per la prima volta la sua voce sembrava colma di un sentimento che non gli apparteneva affatto, sembrava quasi odio.
Mi irrigidii.
Jimmy aveva sentito ? 
La risposta arrivò nel momento in cui sentii Jimmy rafforzare la presa sul mio fianco, ora con cattiveria e sussurrare pianissimo "Non osare muoverti."
Il mio cuore si era fermato, ne ero certa.
Ero andata contro l'unica regola ferrea che mi ero assegnata: Mai fidarsi di James.
E ora ne avrei pagato le conseguenze.
"Azriel, hai sentito Matt ?!" urlò anche Zacky.
Era spaventato ? 
La cosa non aiutava ed ero andata in panico, non riuscivo a parlare e faticavo a respirare.
Fu Jimmy ad intervenire, parlando a voce abbastanza alta da farsi sentire.
"Allora, siete partiti sì o no ?" domandò, gelido.
"JAMES LASCIALA STARE O GIURO CHE NE PAGHI LE CONSEGUENZE, STAVOLTA!" urlò Brian, evidentemente fuori di sé ma sembrava distante dal telefono.
Sentii Alice rimbeccarlo e Johnny intervenire "Siamo in macchina, Jim. Tra poco arriviamo. Ma lasciala stare, ti prego. Non ti ha fatto niente, non è giusto che tu la tratti così.. ti prego, non rovinare ancora di più le cose. Tu non sei questo."
"Sta zitto Seward, è meglio per voi se vi sbrigate." concluse Rev, sfilandomi il telefono.
Sentii Alice urlare qualcosa ma lui chiuse la chiamata e lanciò il mio telefono contro la parete rompendolo in due.
Approfittai di quell'istante per dar retta al mio istinto e schizzare via dalle sue braccia.
La mia testa mi diceva di andare a rifugiarmi in bagno ma, fortunatamente, il mio corpo fu abbastanza intelligente da fiondarsi verso la porta e uscire come un fulmine dall'appartamento fiondandomi giù per le scale.
"CARLOS, CARLOS AIUTO!" iniziai a gridare. 
Jimmy era dietro di me e sapevo che non ci avrebbe messo molto a raggiungermi.
Fu come una luce nel buio vedere l'anziano portiere alla fine dell'ultima rampa di scale e mi gettai tra le sue braccia in lacrime.
"Niña, che succede ?!" mi domandò lui.
"TI PREGO AIUTAMI, VUOLE FARMI DEL MALE!" ormai singhiozzavo e tremavo come una foglia, aggrappata alla sua maglietta.
"Chi ?!" domandò Carlos, confuso.
"Oh, Carlos, menomale che l'ha ripresa." disse Jimmy appena arrivato, sembrava veramente preoccupato ma prima che potessi dire o fare qualsiasi cosa mi sentii sollevare e vidi Carlos allontanarsi di qualche passo da noi.
Iniziai a dimenarmi blaterando frasi insensate e piangendo.
Carlos mi guardava, dispiaciuto "Oh, niña.. chiunque ti ha ridotta così.. debe arder en el infierno."
Di cosa parlava ?!
Ridotta come ? 
Era proprio davanti a lui, era James a spaventarmi così!
Perché non faceva nulla per aiutarmi ?
"Gracias a Dios hai questo dottore così giovane e gentile. Vedrai che ti aiuterà." concluse Carlos, carezzandomi la testa.
Dottore ? 
Quale dottore ?
Dottore per cosa ?
Aiutarmi in cosa ?
"Grazie signor Ortiz, ora torniamo a casa e la faccio calmare." cominciò Jimmy, per poi abbassare la voce come se io così non potessi sentirlo "Sa.. da quando c'è stato l'incidente con quei ragazzi a scuola.. Azriel non è più la stessa. Ma stiamo lavorando per far sì che torni in se." concluso il discorso Jimmy prese a risalire le scale senza lasciarmi neanche lo spazio per potermi muovere.
Non appenna rientrammo in casa mi lasciò cadere a terra e si piazzò davanti la porta, fissandomi quasi con odio.
"CHE CAZZO VUOI DA ME ?! COSA TI SEI INVENTATO ?!" domandai urlando e piangendo, indietreggiando fino a schiacciare la schiena alla parete, tremando.
"Al signor Ortiz ho mostrato il documento che attesta che non sei in pieno possesso delle tue facoltà mentali e che attesta che sono il tuo medico personale. Ho detto che hai avuto un trauma a scuola con dei ragazzi che ti hanno violentata e che sei scappata dalla casa di cura e che siamo qui per cercare di aiutarti a superare tutto. Gli ho anche mostrato la foto del gruppo che ti ha provocato tutti questi danni.. vuoi vedere ?" mi chiese, ghignando e prima che potessi dire nulla estrasse una fotografia dalla tasca e me la gettò davanti.
Abbassai lo sguardo e subito mi sentii mancare.
La foto ritraeva i ragazzi e Alice, nel cortile di casa di Matt.
La foto era stata tagliata, io lo sapevo, mancavamo io e Jimmy in quella foto ma se qualcuno l'avesse vista in quel momento, non ci avrebbe fatto caso.
Alzai di nuovo lo sguardo per ribattere ma prima che potessi dire qualsiasi cosa mi ritrovai la mano di Jimmy schiacciata sulla bocca e sentii la mia testa premuta contro la parete, i suoi occhi azzurri sembravano quasi liquidi e il suo ghigno ad un palmo dal mio naso mi faceva quasi venire voglia di morire.
"Ho detto al signor Ortiz di chiamare le autorità se quel gruppo di pazzi dovesse farsi vedere qui." sussurrò, fiero di ciò che stava dicendo.
Perché tutto questo ?
Quelli erano i suoi fratelli, la sua famiglia, perché stava facendo quell'enorme stronzata ? 
"Se te lo stai chiedendo.. lo faccio per puro divertimento. Perché sono stanco di fare il buono con tutti, ricevendo in cambio solo il vostro odio o la rabbia. Sì, pensala come vuoi, magari sono solo uscito di testa, chi lo sa ? Fatto sta che ora è il mio turno di divertirmi e lo farò a spese tue. Perché sei tu la causa di tutto ciò che è accaduto a quella che una volta era la mia famiglia." concluse Jimmy.
Sentii il cuore fermarsi di nuovo.
Era colpa mia, lui lo sapeva.
E l'avrei pagata. 
Per cosa ?
Beh, per aver fatto ciò che mi riusciva meglio: Distruggere la vita di chiunque entrasse in contatto con me.
Non provai a liberarmi quando il mio corpo, in preda ai tremori e al respiro mozzato, perse le forze e mi lasciai andare all'incoscienza sperando che quella volta non mi sarei mai svegliata.
Una parte di me però sapeva che sarebbe accaduto, che avrei aperto gli occhi.
Perché non si può mai scappare da quello che è il nostro destino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Hola,
Sì lo so, non odiatemi!
E se qualcuno di voi è ancora qui a seguire questa storia, posso solo ringraziare infinitamente.
Somuchlove,
Sah. 

 

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