Falsità di una statua

di crimsontriforce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rumori di fondo - Priorità ***
Capitolo 2: *** A ciel sereno - Rabbia ***
Capitolo 3: *** Pioggia battente su rocce scoscese - Sfiducia ***
Capitolo 4: *** Squarci nel buio - Ribellione ***
Capitolo 5: *** Echi del tuono - Falsità di una statua ***



Capitolo 1
*** Rumori di fondo - Priorità ***


Rieccomi a pesce su Braska FFX! Capitolo uno di cinque, per l'ennesima follia indetta da Criticoni. :3 Meno cervellotico della volta scorsa, in teoria la consegna era semplice: suddivisi in squadre, ogni squadra ha ricevuto un prompt di squadra - una frase - e un set di prompt singoli - coppie di opposti - da smazzare fra i partecipanti, uno a testa.
Tuttavia!
La mia amabile squadra *sparge brillantini*, eroicamente capitanata da Keiko, ha deciso che tali prompt erano per poppanti. Ergo, le seguenti limitazioni aggiuntive: per prima cosa, la fanfiction avrebbe avuto piacere d'esser angst e, secondo, sarebbe stato gradito un riferimento musicale più o meno marcato. E noi che fangirl siamo, beviamo, beviamo...

I prompt:

"I grandi eroi, quelli che vengono ghermiti da me, dalla Gloria, non sono mai esseri imperfetti."

Immortalità/Precarietà

L'angst viene gentilmente fornito dalla casa *batte cinque a Yu Yevon*

E la musica... ah, la musica. Chi mi conosce almeno un po' sa che 'musica' e 'FFX' nella stessa frase tendono a farmi rincantucciare in un angolino tutta tremante, con in testa immagini delle Thunder Plains in cui smette di piovere per il p0t3r3h della Mary Sue e di concerti a Luca con lo stadio pieno. D'acqua.
Però, però...










Falsità di una statua

"So you're a champion of Yevon now, Braska?"
(Auron, Tempio di Djose)



1. Rumori di fondo - priorità



I call
And there is no reply
Like some phantom cry
On ears too far away
(Yoko Kanno - Cowboy Bebop, No Reply)







“Torneremo.”

Questione chiusa, Jecht si azzittì. Non poteva rispondere male al capoccia della loro allegra brigata – si chiese se la piccola carogna in rosso avesse atteso apposta, così da troncare lo spassoso scambio di opinioni che li aveva intrattenuti negli ultimi minuti. Non era ancora certo di poterlo ritenere al di sopra di simili stratagemmi. Né di volerlo.
Ad ogni modo, la promessa non gli dispiaceva. Anche se era solo un dannato fiume. Anche se un fiume che la notte sbrilluccica sembrava uscito dalla testa di una bambina di dieci anni tutta fiocchi e bambole e sorrisi. E pertanto causa di imbarazzo profondo per chiunque non rientrasse nella categoria. Ma Jecht ci si era bagnato i piedi, in quella fantasia infantile. Ci aveva abbattuto l'unica bestia che avrebbe dovuto lasciare lì dov'era. Era un punto definito su una carta geografica ed era più di quanto si potesse dire di... di altro, dannazione. Era stato il suo ultimo compagno di bevute, in un certo senso. 'Torneremo' era una buona promessa.

“Forse neanche allora sarà sera”, disse Braska. “Ma avremo un'altra possibilità. E, ad ogni modo, torneremo.”
Salutò con affetto gli alberi alle sue spalle, che si stavano diradando per lasciare spazio alle imponenti formazioni rocciose dell'area di Djose.
“È uno dei privilegi concessi a chi s'incammina dal nord, io credo”, confidò loro, “quello di conoscere la strada due volte, di non dover dare il primo saluto come se fosse l'ultimo. Siamo benedetti.”
Auron si schiarì la voce.
“E ho piena fiducia nei miei guardiani”, lo precedette l'evocatore. “Se anche dovessi girare tre volte in cerchio attorno Spira, so che sarei al sicuro. So che lo sarò, a meno che Yevon non si faccia burla di noi mettendoci sul cammino del Distruttore.”
“Mio Lord”, rispose, ed era un'accettazione, una supplica e un'offerta. Il resto della risposta aveva perso importanza. “Ma questa baldanza ha già lasciato troppe vittime sul suo cammino.”

Senza appigli per un'entrata in scena che fosse abbastanza chiassosa e appariscente da soddisfarlo, Jecht li lasciava fare, silenzioso, a cinque passi di distanza: abbastanza pochi per sentire ogni loro commento, aveva stabilito, e abbastanza per potersi permettere, di tanto in tanto, una telecronaca bisbigliata dei momenti salienti della conversazione.
Erano partiti da meno di un mese e già il chiacchiericcio dei compagni si era imposto come rumore di fondo della sua nuova vita, come un tempo era stato il boato del pubblico o un pianto sommesso da oltre il muro, che non voleva essere scoperto e che di conseguenza il blitzer non aveva mai consolato, per una personale forma di rispetto.
Era lieto di constatare che il suo evocatore, al contrario, fosse ben in grado di consolarsi da sé. Da cosa, Jecht non sapeva ancora dire, né era – ancora – sicuro di interessarsene a sufficienza. Vedeva solo Auron affannarsi come una bambinaia dietro a un lattante troppo cresciuto e Braska stesso, un pilastro di certezze, perdere ogni tanto il terreno da sotto i piedi e doversi aggrappare, per non cadere, alle parole che gli piacevano tanto. Come aveva appena fatto. Parole mirate e gentili come chi le aveva espresse, mai sprecate, ma non richieste.
E Jecht camminava cinque passi indietro, il giusto per ascoltare e non essere ascoltato, per fare da retroguardia e irrompere nel mondo discreto dei suoi compagni di viaggio ogniqualvolta la fantasia lo sosteneva. Per osservare un mondo che non era il suo.

***


"Mete turistiche di spicco?"
"Prego?"
"Ristorantini nei dintorni, centri sportivi...?"
Rallentando il passo, Braska si voltò e offrì a Jecht un perplesso sorriso di circostanza. Era grato al suo guardiano per gli interventi giocosi – a volte al limite della maleducazione – con cui lo sviava da pensieri più cupi, non meno che per la speranza nascosta che la sua stessa esistenza implicava, quella di una Zanarkand viva come nelle leggende che li aspettasse in gloria oltre l'orizzonte.
Ciò premesso, a volte proprio non lo capiva.

“Ehi, Braska”, attaccò in spiegazione, ma si fermò di colpo, indicando in avanti con gesto teatrale.

“Lord Braska”, lo riprese puntualmente Auron da qualche passo in avanti, con una forte enfasi sul Lord. Il ragazzo si strinse nelle spalle.

“Almeno c'è l'eco”, concluse Jecht soddisfatto dell'esperimento. “Saranno le montagne. È un inizio, vedi, ma ci si annoia presto. Yocun!”, esclamò, per riprova.

Il suo bersaglio piantò la spada in terra e si fermò a braccia incrociate. Jecht lo osservò con soddisfazione: l'ultima volta era riuscito a farsi correggere quattro volte sugli appellativi di politici e santi prima che l'altro si rendesse conto che lo stava prendendo in giro.
“Chi?”, lo salutò Auron quando fu raggiunto, con voce piatta tradita da un ghigno che ancora stonava sul suo viso serio. “La fornaia del ponte basso? Davvero una cara signora, molto pia.”
Braska scoppiò a ridere e finì per reggersi alla sua asta, sia per un concetto pur remoto di dignità, che gli impediva di piegarsi in due, sia per i bordi impietosi della sua corazza, che gli vietavano fisicamente il gesto minacciando lividi se ci si fosse appoggiato con troppo slancio. Rise di cuore, per i suoi guardiani e non di loro, come il più giovane aveva dapprima temuto.

Jecht guardava altrove, scostando inesistente polvere dal suo guanto ferrato.
“Come dicevo”, commentò, “ci si annoia presto, ha già smesso. E io ho bisogno di qualcosa da fare quando mi scaricherete in locanda per andare al vostro specialissimo tempio, signori miei. L'altra volta avete rischiato di riportare indietro un morto di noia, e qui non c'è neanche la neve.”

“C'è, in effetti, un luogo di primario interesse nell'area”, rispose Braska pensieroso. “Potremmo accompagnartici. Per meglio dire, potresti tu accompagnare noi. Te la senti, Jecht?”

La notizia penetrò a fatica.
“Il tempio? Con voi?”, chiese incredulo dopo qualche passo. “E me lo chiedi?”
“Non è il modo di...”, iniziò Auron.
“È proprio il modo di rivolgersi a un tipo a posto, invece.”
Braska sorrise.
“È quello che sei”, continuò Jecht, con l'entusiasmo che di solito si accompagna a un granello di commozione e che invece, Jecht essendo Jecht, restava entusiasmo schietto, calore ed energia.
“Sarebbe un triste mondo, quello in cui un evocatore non si potesse fidare dei suoi guardiani.”
“Lasciarmi indietro l'altra volta è stata una scelta tutta vostra, non mia.”
“Mia, mia! Me ne assumo ogni responsabilità”, disse Braska. “Come avrei dovuto fare davanti al tempio. Puoi capirmi?”
“E Yevon comanda”, recitò Auron per completezza, “che il sacro viaggio sia compiuto da un corpo e da uno spirito; così il guardiano è braccio e voce del suo evocatore e, se pecca, entrambi avranno peccato; se pronuncia il falso, entrambi avranno mentito; ma se il suo agire è degno del ruolo di cui è stato investito, due saranno i raggi di speranza sul nostro mondo corrotto dal peccato.”
“E se starnutisce, saranno raffreddati entrambi? Bada che questa avrebbe anche senso...”
“Oggigiorno nessuno prende le Scritture così alla lettera, ma è pur vero che sarei io il responsabile di danni da voi arrecati.”
“Quindi, visto e considerato che ho abbattuto un dannato shoopuf, ti sei detto 'ehi, tanto una più grossa di così non la può combinare' e via?”, chiese Jecht con una punta di amarezza. Più apriva gli occhi su un mondo che non era fatto solo per adorarlo e più si scopriva un idiota. La sensazione non era piacevole; quello sgangherato trio, l'unica consolazione.
“No, anche se si può dire che la povera bestia vi abbia giocato un ruolo importante. Mettiamola così, Jecht: io mi fido di te. Non mi fido dell'alcool che ti guidava fino a qualche giorno fa.” Sospirò. “Mi fido dello sportivo. Mi fido della persona che da allora ha sperimentato cosa significhi realmente una vita che dipende dalla sua. Così oggi mi seguirai al tempio, perché il pellegrinaggio è di un'anima e un corpo e giungeremo da pari a Zanarkand o non vi giungeremo affatto.”
“Ben detto”, approvò una voce infantile dentro la sua testa, talmente esile che si confuse fra altri pensieri.
“Ritiro: sei dannatamente a posto, capo”, le fece involontariamente eco Jecht. “Se fossimo a bordo campo, con un discorso del genere avresti già la squadra in tasca.”
“Fosse così semplice.”
“Parola mia, chi ti ha sbattuto fuori ha perso un ingaggio.”
Risero.

Auron osservava, in disparte, un mondo che era stato il suo. Sentì con chiarezza, in quel momento, di essere rimasto un passo indietro. Per l'età, si disse, o un concetto di famiglia condiviso che lui aveva invece respinto con tutte le sue forze. O una rigidità mentale che gli veniva spontanea e che fino a quel giorno non gli aveva reso disservizi.

Osservando, vide.
Braska era troppo impegnato nella conversazione, o troppo fiducioso, o tende davanti agli occhi, sono tende davanti agli occhi, per Yevon, l'inutilità di fregiarsi di quelle vesti se l'hanno cacciato, o forse è a questo che servono i guardiani, quando chi è troppo intento a guardare oltre l'orizzonte non si accorge di quello che succede al suo fianco. Ma Auron vide. Vide Jecht tendersi come un animale, rispondendo a un richiamo fatto per lui solo, e prepararsi a scattare. Dove e perché non avevano importanza: Auron balzò al fianco del suo evocatore, mano ben salda sull'elsa della spada. “Lord Braska!”, gridò, vedendolo ancora immobile con la coda dell'occhio e pregando che si preparasse a combattere qualunque pericolo si fosse parato loro davanti – senza escludere la possibilità che si trattasse di Jecht stesso.

Ma Jecht era già altrove. Era corso via per il sentiero con tutta la forza che aveva nelle gambe, spiritato e selvaggio.

Sperarono dapprima che avesse visto o sentito un pericolo davanti a loro, ma non sentirono scontri, solo passi pesanti che si allontanavano fino a scomparire del tutto.
Lentamente, abbassarono insieme asta e spada, ancora muti per lo stupore. La strada rimaneva deserta e silenziosa.
“Jecht!”, chiamarono più volte, senza risposta. “Jecht! Jecht!”

“Ci ha lasciati... così? Canaglia...”, disse infine Auron, incerto.

Braska scosse la testa. “Non essere così veloce a giudicare, amico mio.”
“Cosa devo fare, allora? Accettare che si sia preso gioco della nostra fiducia solo per andarsene così? O che detta fiducia sia stata riposta fin da principio in un pazzo?”
“Non giudicare. Non abbiamo certezze. E, credo, neanche lui.”
“Così sia”, si arrese Auron, in cui la rabbia stava già facendo posto a riflessioni diverse e contrastanti su quanto e cosa, di preciso, quella diserzione avesse incrinato in lui. Appoggiarsi al giudizio di Braska era la via d'uscita più semplice. “Da dove iniziamo?”
“Cosa?”
“Le ricerche”, rispose stupito.

L'evocatore chiuse gli occhi e il pesante copricapo che portava scivolò in avanti sulla sua fronte aggrottata.
“Mio Lord?”
Dovette attendere molto prima di ricevere risposta.
“Parli come un buon soldato e compagno di viaggio. Ma questo non è un normale viaggio, né una campagna militare. E solo pochi minuti fa gli ho promesso che saremmo arrivati a Zanarkand insieme...”
“È stato lui a rompere la sua parte di promessa, mio Lord.”
“Sei lesto a scusarmi”, gli sorrise Braska, ma la sua voce era bassa e triste. “Mi sono legato a molte promesse, sai? Verso Yevon, mia moglie, la mia piccola Yuna. Se tornassi indietro, farei ancora in tempo ad assolverne molte. Ma più vado avanti, più ne stringo... più mi rendo conto che viviamo in un mondo che non permette di onorarle. Così ne resta solo una, la più grande... quella fatta a tutta Spira, cui non verrò meno. Tutto il resto viene dopo.”
Auron tacque.
“Arriveremo al tempio prima di sera. Chiederemo di lui, lasceremo istruzioni. Con qualche fortuna, ci starà già aspettando lì, curato della sua improvvisa follia, se di follia si trattava. Non è più l'uomo di un altro mondo che abbiamo conosciuto nelle prigioni di Bevelle: sa qual è la nostra meta e fino a poco fa aveva la mente abbastanza sgombra da saperla raggiungere. Ho ancora fiducia in lui.”
“Così sia.”
“Non voglio credere che l'abbiamo perso”, concluse Braska, con gli occhi sempre chiusi e la testa china, un pugno stretto sotto le ampie maniche. “Non voglio pensarci. Ma non possiamo essere noi a cercarlo. Non possiamo ritardare il nostro viaggio, non quando ogni giorno può portare con sé la morte di molti.”

“Centoquarant'anni”, avrebbe risposto d'istinto Auron. Tanto era passato dall'ultima Calma: certo, un giorno in più non avrebbe fatto la differenza? Avevano passato una vita senza partecipare con tanta urgenza al ciclo di distruzione che avvolgeva Spira. Ma non avrebbe guadagnato che, appunto, un giorno, forse due, a cercare quel pazzo nei campi. Finché Zanarkand si fosse erta all'orizzonte dei suoi incubi, un giorno in più sarebbe stato un misero rattoppo, uno per cui non valeva nemmeno la pena di opporsi ai suoi principi o ai dettami di una religione lontana, men che meno al suo evocatore. Avrebbe convinto Braska a non gettare la sua vita o l'avrebbe sorretto fino all'ultimo respiro.
Quindi tacque.

“Auron?”
“Sì?”
“Rispetto il tuo silenzio. Grazie.”

Sentirono, da oltre l'ultima curva del sentiero, il canto profondo della Fede riempire la vallata. Il tempio era vicino.

















******

*indica l'ultima frase* Musica!

A presto col secondo capitolo, nella speranza che quest'introduzione abbia destato qualche curiosità. :)


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Capitolo 2
*** A ciel sereno - Rabbia ***





2. A ciel sereno - rabbia




I close my eyes and watch as my life passes by
The only thing I see is you
For all the times you walked the line for me and standing by my side
I say thank you
Here lies my life
It never felt that real to me







Quando arrivarono, il tempio era in subbuglio.
“Ha smesso di agitarsi?”, si chiedevano i viaggiatori che sostavano nello spiazzo principale. “Cosa gli è successo?” “Sta male?”

“Cosa è successo a chi?”, chiese brusco Auron a un giovane mercante strattonandolo per la spalla.
Braska si sporse per vedere meglio, ma il capannello di monaci e curiosi era troppo fitto.
“Uno straniero”, rispose il mercante, sollevato dal vedere un evocatore e il suo guardiano sulla scena. “È arrivato qui poco fa, strepitando come un ossesso. Chiedeva di Zanarkand. 'Dov'è Zanarkand', diceva, 'non nascondetemela', e poi ha detto qualcosa su un canto, ma l'unico canto qui è l'inno che la Fede di Djose oggi sta intonando, sia lode a Yevon per averci dato occasione di ascoltarlo.”
“Non siamo riusciti a capire cosa volesse”, si intromise una signora. “A un certo punto deve aver capito di non essere a Zanarkand, povero pazzo, e si è messo a battere per terra con le gambe e con le braccia. Dopo un po' ha smesso anche con quello, ora è semplicemente... lì.”

Braska non perse un istante e si fece largo fra la piccola folla, col fiato sospeso finché non vide coi suoi occhi Jecht inginocchiato al centro dello spiazzo, esausto e con gli occhi spiritati, ma perlomeno illeso. A un passo da lui, due monaci guerrieri gli sbarrarono la strada incrociando le spade. Braska li fissò incredulo: se anche non l'avessero riconosciuto come il suo evocatore, che soldato avrebbe tenuto lontano un evocatore da un'anima in pena? Fece per raggiungerlo, ma i due non si spostarono, facendogli anzi cenno con la testa di andarsene.
“Jecht!”, lo chiamò, “Vieni qui!”, ma non ottenne reazione.
“Nel nome di Yevon e per la sacra autorità conferitami, fatemi passare”, intimò allora ai due monaci, pregando che quella situazione grottesca si risolvesse al più presto. Non poter vedere le facce dei due, nascoste sotto le pesanti celate dell'uniforme, rendeva ancora più irreale il tutto, che somigliava sempre più a un incubo dalle tinte accese, dal vociare indistinto e sommesso dei passanti al canto sereno della Fede che risuonava nell'insenatura, dalla luce netta del primo pomeriggio alle saette che guizzavano dalle rocce del tempio. Avevano ritrovato Jecht senza doversi attardare, era lì davanti, vivo, qual era il problema?

“Lord evocatore, non possiamo permetterle il passaggio”, rispose incerto il più intrepido fra i due. “Quest'uomo è agli arresti.”
“Per cosa, di grazia?”
Braska non riusciva a distogliere gli occhi dal suo guardiano – da un uomo che stava imparando a conoscere e apprezzare nella sua forza elementare. Qualcosa lo aveva ridotto a un guscio vuoto – 'qualcosa' da Zanarkand, intuì, e rabbrividì al pensiero – e non poterlo assistere, sostenere, al limite concedergli un sonno artificiale che lo distogliesse dalla sua sofferenza, era ingiusto in un modo più limpido e puro di quanto l'evocatore volesse arrivare a comprendere.
“Per bestemmie, signore”, continuò il monaco. “Gli è stato interdetto ogni contatto con i giusti discepoli di Yevon, affinché non li corrompa con la sua impurità. Stiamo attendendo Lord Maife perché pronunci la sua punizione, signore.”
“Mi appello al Primo Dovere verso i caduti e i sofferenti”, rispose svelto Braska con una durezza nella voce che Auron non ricordava di aver mai sentito. Si portò vicino al suo evocatore, per ogni evenienza.
“Fatemi passare. Negare assistenza ai bisognosi è una bestemmia in sé, abbassate quelle spade. Ora.”
“Sono ordini, signore, e i peccatori sono fuori dalla grazia di Yevon...”

Braska fece un passo indietro, chiuse gli occhi, rigirò l'asta fra le mani e la alzò, un muscolo per volta, nel primo movimento dell'evocazione. Attese.

I monaci abbassarono le spade e si fecero da parte.
Braska gettò a terra l'asta e si inginocchiò vicino a Jecht, scuotendolo dolcemente e richiamando energia curativa nella speranza che potesse aiutarlo anche per qualunque ferita dell'animo l'avesse colpito. Jecht però non rispose: stava cantando, poco più che sottovoce, quell'inno che era il principale e più antico testo sacro di Yevon – con altre parole. Inseguendo il canto del basso profondo della Fede, che ricordava ai credenti l'eternità sua e del dio che serviva, Jecht narrava, stonato e roco, di sogni bambini in riva al mare e dell'unica stella che li avrebbe avverati. Braska lo strinse a sé, cercando di scuoterlo dal suo incanto.

Auron richiamò la sua attenzione e indicò l'ingresso del tempio: il portone di pietra si era aperto al passaggio di un sacerdote alto e dai lineamenti squadrati, con un lungo tabarro a denotare l'alto grado nella gerarchia ecclesiastica e un copricapo piatto blu e giallo che arrivava a fasciargli il mento. Era scortato da quattro monaci guerrieri.
“Lord Maife, suppongo”, lo salutò Braska con chiaro disprezzo, senza abbandonare il suo guardiano.
“Lord Braska, desumo dal codazzo d'infedeli con cui vi accompagnate.”
“Con cui sto viaggiando verso la città sacra. Corre voce che sia la meta implicita al conseguimento dei voti.”
“Può darsi”, sviò Maife con una risata. “Ma, se così fosse, chi amministrerebbe i templi?”
“La questione si presterebbe ad un interessante dibattito – in altra sede. Rilasciate il mio guardiano e fatemi strada fino alle Prove, Sin non aspetta.”
“Quindi confermate che questo barbaro è vostro guardiano? Da Macalania parlavano di un solo guerriero ad accompagnarvi, e uno dotato di buone maniere, per quanto in disgrazia.”
“Sì, lo è. Sir Jecht è mio guardiano e amico fidato.”
“Questo non gli impedisce però di levare parole contro la sacralità di Yevon.”
“Vi dispiacerebbe chiarire l'accusa?”
“Siete sordo, come dicono, alla voce dei precetti”, lo schernì Maife, avanzando finché fu a ridosso dei due. “L'accusa è alla portata delle vostre stesse orecchie: vi sembrano parole degne dell'inno che accompagnano?”
“È una grave menomazione. Tuttavia...”, annuì Braska, mentre a tentoni cercava l'asta e ci si appoggiava per rialzarsi, lasciando Jecht alle cure di Auron. Guardò finalmente Maife da pari a pari e trovò in lui un odio che lo lasciò sgomento. “Tuttavia penso che riuscirò a conviverci, almeno finché non renderà i miei occhi ciechi al dolore degli uomini. Questo barbaro è confuso, sacerdote, forse è un sopravvissuto a un attacco di Sin la cui mente non ha retto alla sua tossina, forse altro ancora, più meraviglioso e sacro, che le storie di Spira non contengono. È mio dovere, come evocatore e come amico, farmi carico dei suoi dubbi e della sua sofferenza, guidarlo sulla retta via. Per questo ci accompagniamo.”
“Non solo per questo”, ammonì una voce infantile dentro la sua testa, talmente sottile che si perse fra altri pensieri.
“Imprigionandolo non otterrete nulla se non un'anima realmente peccatrice, con malignità nata dallo scontento.”
“Con un simile permissivismo, evocatore, non mi stupisce che siate arrivato a sposare un'eretica. La vostra disgrazia già ricade su noi tutti, e voi pretendete ora di infliggerci anche le scelleratezze dei vostri guardiani? La parola scritta è unica e immutabile. A meno che non vogliate discutere perfino le parole di Lady Yunalesca in persona, che ce la donò come tramite con Yevon... Quest'uomo ha peccato sotto la mia giurisdizione e per questo dev'essere punito. Lascio a voi i vostri sofismi.”

Non era un odio personale: non si erano mai nemmeno conosciuti prima, nonostante fossero quasi coetanei e il forte accento di Bevelle dell'uomo lasciasse pochi dubbi in merito alla sua origine, o alla mezza promozione che l'aveva posto a capo di una scogliera sperduta, in balia di Sin. Ma il suo mondo era appunto quello – promozioni, leggi e chiarezza – e non voleva concepire l'universo che vi gravitava intorno.
“È follia!”, esclamò Braska, che fra quelle stelle aveva viaggiato a lungo ed era tornato a terra un po' più saggio, un po' più vivo e con una luce diversa negli occhi. “È questo che insegna Yevon?”
“No”, concesse l'altro. “Insegna che dovrei rinchiudervi entrambi per la responsabilità che condividete, negandovi l'accesso alla Fede del mio e di qualunque altro tempio. Per personale compassione lascerò invece l'ultima decisione al Tempio Centrale di Bevelle, la cui rapidità dipenderà dalla disponibilità di Magister Mika ad occuparsi di sciocchezze simili. Mentre attenderemo la risposta, sarete graditi ospiti della strada, a nord o a sud, o in qualunque zona del tempio al di fuori delle Prove. Sia lode a Yevon.”

Braska vide con la coda dell'occhio Auron alzarsi per prendere la parola, tremante di rabbia.
“Fermo, Auron”, disse, forzando una calma che non sentiva. “Nella forma, ha ragione lui. Non peggioriamo la situazione.”
“Mio Lord.”

***


Di quel giorno, Jecht ricordò sempre il sole abbagliante, il freddo e la sagoma scura che lo chiamava con una dolcezza e una pazienza che non meritava. Non era tornato a casa, come aveva dapprima sperato; forse non ci sarebbe tornato mai più. Ma, mentre i suoi compagni lo sorreggevano portandolo verso le loro stanze, seppe di aver trovato un'ancora in quello strano mondo.
I debiti non gli piacevano. Avrebbe trovato modo di ricambiare, prima o poi.



















******
E li mortacci tua se hai ricambiato prima o poi, Jecht ç_ç Vabbe', divagazioni dell'ultimo paragrafo a parte. E Braska-show a parte, che è un po' il motivo per cui ho scritto l'intera baracca, una delle prime scene su cui s'è poi depositato il resto...
...grazie sony1987! Da habitué delle oneshot e dei remoti angoli di fandom, l'idea di essere seguita è piuttosto nuova e assai galvanizzante XD Se i computer universitari non mi troncano per un motivo o per l'altro, spero di concludere il tutto in settimana, sono ancora tre capitoli.
Alla prossima con la più grossa zappa sui piedi che personaggio di FFX si sia mai tirato addosso in vita (o non-vita) sua. 9_9

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Capitolo 3
*** Pioggia battente su rocce scoscese - Sfiducia ***


3. Pioggia battente su rocce scoscese – sfiducia




If only I could call the rain to melt and wash away the pain you feel

I would

You gave yourself to me and showed me what the truth could be

For that, I say thank you

This was my life

It never made much sense to me








Auron restava in piedi davanti alla porta dell'alloggio, vigile. Cercava del coraggio, così piantato su due piedi, mentre la luce del giorno svaniva dalla finestra alle sue spalle.

Quando l'ebbe trovato, bussò veloce per cinque volte.


“È aperto, Auron. Non penso che verranno a trucidarci nella notte, per sgraditi che possiamo essere.”


Braska era seduto sul letto e lo attendeva con sguardo vuoto, massaggiandosi il collo sotto i lunghi capelli castani finalmente liberi dai paramenti. Indossava una pesante camicia da notte, mentre gli abiti che aveva scelto per rappresentare la sacralità del suo cammino giacevano ammonticchiati all'altro angolo della stanza, una fiamma spenta di ogni tono di rosso cupo che divorava l'asta, lo scialle , l'armatura.

Auron sentì di aver sconfinato in un momento di intimità di cui non era certo di fare parte e fece per uscire, scusandosi con un inchino a mani unite che manteneva la sostanza di quello rituale senza concedersi una forma da cui si sentiva lontano, quella sera più che mai.


“Poche lodi a Yevon?”, notò pigramente Braska. “Resta, amico mio, resta. Siamo sulla stessa barca.”

Auron si sedette con discrezione su una panca libera, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Trovava conferma dei suoi pur ovvi timori e il cuore gli doleva: il volto dell'evocatore era tirato, le guance scavate accentuate dalla luce obliqua della sera. Lo osservava a sua volta ed era tornato attento ed affettuoso, ma mancava di ogni serenità: gli avvenimenti del giorno avevano lasciato in lui un solco profondo.


“Mio Lord”, iniziò, trovando sconveniente – sgarbato, nel minimo – quello stallo prolungato. “Posso?” Indicò la corazza per terra, mezza sepolta da volute di stoffa rossa con l'occasionale guizzo di blu. Aveva tanto insistito, prima della partenza, affinché Braska si proteggesse almeno il busto con del buon acciaio, secondo l'esempio di Lady Yocun, nel malaugurato caso la sua spada non fosse stata abbastanza rapida da difenderlo. Vedere la sua piccola vittoria abbandonata nel mucchio, ancora sporca del fango della traversata del mattino, gli doleva un po'.

“Fai pure”, disse Braska e subito lo vide frugare nella loro sacca comune alla ricerca di olio e di uno straccio per poi impegnarsi con tutte le sue forze in operazioni cui era abituato da una vita.


“Grazie, Auron. Ma certo non sei venuto qui per farmi una predica implicita sulla mia trascuratezza?”

“No, certo”, rispose, lasciando lo straccio e appoggiandosi con entrambe le mani alla superficie ancora sporca. Dov'era fuggito il coraggio di prima? “È che, pensavo... non posso accollarmi il fardello altrui. Forse, però, condividerlo...”

“È solo questo, dunque?”, chiese Braska con un sorriso triste. Si portò una mano alla fronte. “Da quando sei entrato cerco di leggerti, ma sei stato insolitamente oscuro. Mi chiedevo quale segreto portassi con te, o che infausta notizia.”

“Ho fallito, dunque?”

“Al contrario, al contrario. La solitudine mi era... insopportabile.” Scostò una ciocca di capelli, innervosito. “E doppiamente lo era accettare quel sentimento, ché non è degno del mio ruolo. Ti chiedo solo, mio buon Auron, di essere più chiaro la prossima volta che ti presenterai alla mia porta.”


“Jecht?”, chiese poi.

“Dorme. Prima gli ho parlato. A lungo.” Accompagnò la risposta con una passata di straccio particolarmente vigorosa.

“Quindi avevi un segreto, in un modo o nell'altro.”

“Nessun segreto. Un... dubbio.”

“Vuoi parlarmene?”

“Posso essere del tutto diretto?”, chiese, ma al contempo negò, perché con la scusa dell'ultima luce alzò la placca a coprirgli del tutto il volto – le fibbie, anche le fibbie devono essere regolarmente controllate, in fondo, si disse.

“Da te non mi aspetterei nulla di meno.”

“Non capisco se non posso o non voglio continuare a non prestargli attenzione”, tirò fuori tutto d'un fiato.

“Parola mia, Auron, tu quattro negazioni le chiami 'essere diretto'?”, lo stuzzicò Braska, mentre un'altra parte dei timori che lo assalivano lasciava timidamente spazio all'amore sconfinato e divertito per il mondo e le persone che lo circondavano.

“Resta quello che provo. Ora dorme. Prima... parlava. Non sempre a me. Mi ha chiesto se eravamo un sogno, se quando fosse riemerso da... da 'quell'onda', ha detto, sarebbe tornato da suo figlio. Ha raccontato molto della sua casa, una frase sconnessa alla volta, inframmezzate da lunghi silenzi in cui guardava il soffitto o la sua mano. Mai me. Si vergognava, credo.”

“Non mi stupisce. Farsi vedere così vulnerabile? Povero, povero Jecht... non è tipo di persona che possa perdonarselo. Però si è fidato di te. Considerala come una piccola conquista, perché il nostro compagno di viaggio” – e qui fece una pausa soddisfatta nel poterlo chiamare nuovamente così, perché le scelte compiute sulla strada avevano avuto un peso da cui non era ancora sicuro di essersi liberato – “è difficile da avvicinare e ancor più a comprendersi.”
“Tutto quello che vedevo erano gli scherzi e le sfide, mio Lord. Non ho fede né talento per scrutare nei cuori degli uomini. Ne conosco uno, al resto non bado.”

“Non lo conosci abbastanza per sapere che non è faccenda di fede, pare!”, rise Braska. “Non di quella dei templi, almeno, che non arride all'intuito e alla conoscenza. Ma dici bene nello stimare altrove i tuoi talenti. Sei un buon consolatore, credo, almeno a giudicare dai tuoi successi di oggi.”

“Sono solo stato in silenzio. Cosa avrei dovuto rispondergli?”

“Questo va oltre la mia stessa comprensione, temo. Eppure si è rasserenato abbastanza da cedere al sonno. Ti ha detto altro della canzone?”
“Poco, ma coerente, come tutto il resto. La conosce come una nenia per bambini, con delle parole molto semplici.”

“Nulla per cui venir tacciati di eresia, eh?”

“Non per il mio metro. Sono, credo, più belle delle nostre.”

Prega, Yu Yevon, sogna, Fede, per tutta l'eternità, donaci abbondanza...”, recitò Braska tenendosi la fronte fra le mani. “C'è poco di eterno in un qualcosa che altrove è conosciuto in altro modo, non trovi?”
“Vorrei sapere dove. Per via del blitzball, pensavo... una città sperduta, non raggiunta da Yevon. Ma quel nome? La tossina di Sin, se quello è stato a consegnarcelo così, non sconvolge i ricordi a quel modo. E ora l'Inno. Non può essere casuale, né tanto meno esserselo inventato, come avevo a volte sospettato – e ora me ne pento. Troverò modo di fare ammenda. Ma non capisco.”


“Una città di luci, senza Sin né quei precetti vuoti che altro non fanno che ricondurlo a noi”, disse Braska, sguardo ora fisso sulla cima dell'asta che era diventata uno stendardo carico di promesse. “Sembra un'illusione scintillante, al largo delle coste mortali. Tu più di ogni altro, Auron, sai quanto in questi giorni il mio pensiero imbocchi una sola via”, disse, alzandosi e appoggiandogli una mano sulla spalla. Auron rabbrividì. “Eppure quell'immagine non mi lascia... e Jecht è la prova vivente che c'è qualcosa al di fuori di questo ciclo, che sia un insegnamento dal passato più remoto, uno squarcio del futuro cui dobbiamo aspirare o altro ancora, che nella nostra limitatezza non riusciamo a comprendere. O forse viviamo in menzogne più profonde di quelle che uno spirito attento possa riuscire a riconoscere... e quella Zanarkand è veramente il premio che attende i coraggiosi che raggiungono il Nord. Abbiamo un solo modo per scoprirlo”, sussurrò. “Se, come temo, non sarà così... proseguirete da soli la ricerca. Me lo prometti, Auron?”

“Mio Lord, io... non ero venuto per parlare di Jecht.”


Gli rivolse uno sguardo ferito. L'uomo di Zanarkand era la speranza e il sogno. Anche solo parlando di lui era riuscito a tornare se stesso, ma ora che quello era spezzato Braska doveva fare i conti con un mondo che si stava rivelando peggiore di quello che era pronto a salvare.


Nessuno dei due era certo di come proseguire. Auron chiese permesso con un cenno del capo e si sedette per terra, schiena al letto. Braska si accovacciò sulle coperte.

“Auron... pensi che ce la faremo?”

“Non è mio compito curarmi della speranza, mio Lord.”
So che non è quello che desideri. Ma sei venuto qui offrendo aiuto e... per stasera, ti prego, non rendere le cose più difficili. È più di quanto...”

“Chiedo perdono. E comprendo la domanda.”

“Mi fido della tua opinione, Auron.”

“Mal riposta”, rispose tristemente. “Non lo so. Pensavo che avessero almeno abbastanza giudizio da non intralciare chi viaggia per la loro salvezza, ma...”

“È questo che mi avvilisce.”

La scelta del termine non poteva essere più adeguata. Auron non aveva mai visto Braska lasciarsi andare a quel modo, con una stanchezza profonda della mente che traspariva da ogni gesto.

“Far girare un messaggio da qui a Bevelle non è faccenda di molto”, riprese l'evocatore. “Anche tenendo in conto la burocrazia della capitale... e so che le sue accuse non sono sufficienti a fermarci.”

“Se ci hanno fatti partire...”

“Appunto! Yevon non rinuncerebbe mai a un evocatore. Sta temporeggiando, gliel'ho letto negli occhi.”
“Non c'era bisogno di guardarlo negli occhi, mio Lord. L'avrei aperto in due...”
“Ora, questo sì che ci avrebbe causato un guaio”, sorrise a fatica. Auron rispose con un ghigno d'incoraggiamento degno del compagno assente. “Condivido il sentimento, ad ogni modo. Se il sacerdote di un tempio è capace di agire con tale meschinità...”


“Noi non siamo nulla”, disse infine Braska con la semplicità che riservava di solito a riflessioni più tranquille. “Non siamo nulla e l'incidente di oggi me l'ha mostrato. Come ha fatto la buona sorte ad assistermi finora? Conosco l'indifferenza che permea i popoli quando la distruzione è sempre alle porte, conosco tutti i mali causati dall'ignoranza, la rabbia di un uomo la cui sorella fugge con uno straniero, la crudeltà data dalla miseria, il dolore che opprime quando quell'indifferenza se ne va e molti altri ancora. L'odio che mi ha mostrato Maife non è più profondo né immotivato di altri, credo, ma è... lì, semplicemente, dove non me l'aspettavo. Finora, nulla che io conosca si è mai opposto apertamente a un pellegrinaggio. Questo lo rende più grave? O forse è solo l'ultimo anello di una catena che solo ora si è ingrossata abbastanza da diventare visibile ai miei occhi miopi. Se un sacerdote di Yevon si comporta così, che speranza hanno gli altri? Pensavo che una Calma avrebbe aperto la strada a un nuovo modo di pensare, e di sentire, ma vedo ora che tutto questo scorre troppo, troppo in profondità... tutte le mie speranze mi si ritorcono contro, Auron, non so cosa fare.”

Auron non sapeva cosa rispondere.


“E io che reagisco”, riprese, “non sono forse ugualmente indegno? Non è presunzione, quella di voler cambiare il mondo intero? Mille anni di storia e noi al confronto così fragili, così transitori che basta questo a fermarci. Sin è eterno, Yevon lo è...”

Appoggiò la schiena alla parete e continuò la confidenza in tono più sommesso.

“Ogni tanto, sai, ho un'impressione. Mi sembra che l'amore che mi legava a lei non sia stato che un frammento, un evento casuale nell'ordinaria ciclicità del mondo... e tutto quel che ne è seguito, un'illusione.” Non pianse per abitudine, perché non era qualcosa che un evocatore potesse permettersi, in qualunque circostanza. “Ce la faremo, Auron? Cosa faremo?”


Il guardiano avrebbe giurato di essersi sentito spezzare a metà. Mentre sentiva parlare quella persona che non aveva la calma di Braska (per la seconda volta in giornata), non ragionava come Braska (in una spaventosa prima volta dacché lo conosceva) e in definitiva non era che un'ombra dell'uomo cui aveva votato la sua esistenza, Auron sapeva che gli sarebbe bastato dar voce alla sua verità per dare alla storia un corso diverso: “No, è follia.” “Non otterremo niente.” Quella volta, solo quella volta l'avrebbe ascoltato. Sarebbe tornato da Yuna, a Bevelle, o avrebbero vissuto altrove e ugualmente Auron li avrebbe seguiti, finalmente sereno.


Invece si alzò, prese l'asta che giaceva appoggiata al muro e vi chiuse attorno la mano dell'evocatore, tenendola stretta con la sua e inginocchiandosi poi ai suoi piedi. Che giustizia ci sarebbe stata in una vittoria del genere? Che onore?

“Per stasera”, disse allora, “andiamo a prendere quell'Eone. Domani, quando la mia promessa di non infierire non sarà più valida, si vedrà.”

L'avrebbe fatto desistere, un giorno. Auron ne era certo. Quando fosse successo, però, sarebbe stato a testa alta, con una scelta degna di lui e di tutto ciò che rappresentava.


“Auron? Sei sicuro di quello che dici?”, chiese Braska, che non piangeva, perché non era qualcosa che un evocatore potesse permettersi, ma che come amico sentiva gli occhi lucidi.

“Mai stato più certo in vita mia.” Né più autodistruttivo. Ma qualcuno doveva mantenere la direzione del loro piccolo gruppo e, se Braska in quel momento non ne era in grado, la responsabilità ricadeva su di lui. “Maife si è arrogato un diritto non suo. Il tempio esiste per servire la Fede, o così ci dicono: se le Prove non ci sconfiggeranno ed essa accetterà la nostra situazione, la sua posizione sarà insostenibile. Io dico di andare e lasciare che sia la realtà del pellegrinaggio a giudicarci.”
“Sai che è un piano incosciente? Potremmo venir scomunicati... tutti... di nuovo.”

“So anche che non posso tollerare che la situazione ci distrugga così, mio Lord”, ammise a testa bassa.

“Sei coraggioso, amico mio”, disse Braska, rasserenato da un sostegno così inflessibile trovato in una fonte così imprevista. Non l'avrebbe mai ringraziato a sufficienza per essere entrato d'improvviso nella sua vita, in un giorno qualunque di tanti anni prima. Si limitò, per il momento, a stringergli a sua volta la mano chiusa.

“Se Sin portasse la soluzione fra le sue fauci, andrei lì a prenderla. E ho già rigettato Yevon partendo. Tutto quello che faccio...”


“Mi piace questo modo di ragionare!”, disse Jecht spalancando la porta.


“Jecht!” Auron scattò in piedi. “Dovresti essere ancora a letto!”

“Non guardare me, balia troppo cresciuta! È lui che ha bisogno di tutte le tue amorevoli cure, ora. Il Grande Jecht non ha bisogno di riposo, posso partire anche subito – e con quella dannata musica sparata nelle orecchie!”

Fu un attimo troppo veloce nell'assumere una delle sue pose tronfie per risultare del tutto credibile, ma si accontentarono di vederlo lì, saldo in piedi davanti a loro.

“Origliare le conversazioni del proprio evocatore non è permesso”, lo rimproverò Auron tradendo un sorriso.

“Neanche espressamente vietato, che io sappia”, gli fece eco Braska.

“L'ho detto che sei a posto, capo! Ma sei anche in minoranza, due contro uno.” Strizzò un occhio a Auron, che lo guardò incredulo. “Quindi stanotte si va, chiusa discussione.”

Si piantò i pugni sui fianchi e restò lì, guardando per aria, in una posa che evidentemente riteneva eroica.

Braska, ugualmente incredulo, spostava lo sguardo da un guardiano all'altro.

“Jecht?”, chiese.

“Sì?”, mugugnò l'altro, immobile.

“Voglio un parere onesto. Quando, se arriveremo fino in fondo... cosa otterremo?”

Jecht incrociò le braccia e si appoggiò allo stipite.

“Cosa otterremo? Abbiamo una tradizione, negli Abes. Se qualcuno chiede 'Qual è il nostro scopo?', la risposta è una sola: 'Vittoria!' Non ne conosco altre.”


Era deciso.








******
Formattazione al meglio di quel che mi riesce di fare dai computer universitari - suscettibile di revisione non appena mi ridaranno il mio. u_u

@sony1987, sono felice che ti stia prendendo! E sì, il pellegrinaggio di Braska è proprio pieno di spunti e possibilità, con una ricca gamma di paralleli e contrasti con quello di Yuna che aspetta solo di venir sfruttata.
--Papiro alert, darmi corda su FFX è pericoloso--
Beh, sarà pure un'opinione personale la tua, ma ::anche la trama di FFX-2:: può essere smentita da chiunque, l'opinione è in buona compagnia XP Con me sfondi porte aperte, l'ho pure già spernacchiato ne Il sole non tramonta e in incisi più o meno invisibili sparsi ovunque, è più forte di me... ed è anche più forte di lui l'impulso di mostrare il fianco, suvvia. Penso che la mia immaginazione avrebbe approfondito comunque, magari a livello più microscopico (che vien anche più facile), se il canone si fosse soffermato più sul trio, ma farci addirittura un gioco intorno avrebbe avuto un grosso problema: il finale. Si può obiettare che la loro storia è una prima pietra importantissima nell'inizio della fine di Spira (è il grosso cartello al neon che regge quasi ogni mia fanfiction sul trio XDD), si può calcare la mano quanto si vuole, ma il succo è sempre quello: rocce cadono, tutti morti, niente di fatto. =( Pensando a illustri paragoni storici: Valkyrie Profile Silmeria si dà al What if contestualizzato, Xenosaga butta ai rovi la continuity, Fire Emblem 7 limita l'elemento prequel a una quisquilia, Chrono Cross (il prequel-sequel-midquel-whateverquel) fa della dimensione alternativa la sua ragione di vita, i due KH in arrivo promettono burrasca... non mi viene in mente un videogioco che faccia seriamente da prequel a un altro riprendendone ed espandendone elementi ben noti proprio perché, ehi, si saprebbe già chi fa cosa e perché. Mi sembra che Silmeria sia quello che l'ha svolto con più grazia fra quelli che conosco, poi mettiamoci anche Myst 4 che però gioca secondo tutt'altre regole narrative. Insomma, è un terreno spinoso, anche a voler fare le cose per bene.
I nostri amati autori peraltro non sono coinvoltissimi nell'X-2, eh XD Team diverso, ed è da tempo che mi riprometto di controllare chi badò a entrambi e chi no...

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Capitolo 4
*** Squarci nel buio - Ribellione ***


4. Squarci nel buio - ribellione




With every lie that I lived

Part of me would fade

Into this empty shadow I've become

And now I feel so numb

I no longer know myself

But I still know you








Un movimento pulito dell'asta fendette l'aria notturna, accompagnato dal pensiero proiettato dell'evocatore, e un monaco di guardia cadde a terra addormentato. Il suo compagno seguì lo stesso fato prima che potesse rendersi conto di quello che stava succedendo.


“Via libera”, comunicò Auron sottovoce.

“Lo spero”, rispose Braska con un sorriso forzato mentre lo seguiva all'interno del tempio. Jecht chiudeva il gruppo. Se li avessero catturati, o se avessero torto un capello a una sola delle guardie la cui unica colpa era quella di stare facendo il proprio dovere, il loro viaggio sarebbe finito all'istante. Ma, come aveva fatto notare Auron, Maife era passato nel torto marcio arrogandosi il diritto di giudicare un evocatore in pellegrinaggio: se la Fede, unica autorità competente in materia, l'avesse accettato, rendere pubblici gli eventi della giornata avrebbe aiutato più loro che lui. Avevano quindi preparato le loro cose in silenzio, ben oltre il coprifuoco, e si erano fatti strada nell'ombra, aiutati dall'occasionale incantesimo di sonno.

Entrati nel tempio, Braska si diresse a sinistra, verso la statua di Gandof, primo Alto Evocatore dopo Lady Yunalesca.

“Mio Lord...?”
“Un momento solo, Auron. Precedetemi alle Prove, non tarderò.”


“Ma che...?”, protestò Jecht mentre l'altro guardiano lo trascinava su per le scale e oltre la porta che segnava l'ingresso al Chiostro delle Prove.

“Prega.”
“Fin lì c'ero arrivato.”

“Le tre statue qui fuori rappresentano i tre evocatori che in passato hanno sconfitto Sin. Lord Ohalland e Lady Yocun sono illustri modelli di quello che significa essere un evocatore, ma è a Lord Gandof che Lord Braska guarda con particolare stima.”
“Hai fatto bene i tuoi compiti...”

“Ne parliamo spesso”, rispose Auron, piccato. “E in un certo senso capisco il suo punto di vista. Per quattrocento anni, dalla sua nascita e immediata prima morte, Sin ha regnato incontrastato. Yevon predicava e predicava, ma senza risultati e la gente era inquieta, il pellegrinaggio visto con occhi diversi. Lord Gandof era un uomo anziano, un ingegno fino, un costruttore... diventare evocatore e partire dev'essere stato un atto di fede senza eguali.”
“Sembra il tizio che cercherei anch'io, nella sua situazione. Dubito che mi starebbe ad ascoltare, però.”
“Per il momento, limitati a non farti ascoltare da sacerdoti in giornata storta.”
“Un senso dell'umorismo, Auron? Da quando ne hai uno?”
“Da quando mi serve una qualche protezione per sopportarti”, tagliò corto. “E ora ascoltami bene. Potrebbero arrivare altre guardie e non mi fido di te, qui.”
“Reciproco, baci abbracci e tutto, grazie Auron, sei commovente.”

“Il che significa”, riprese cupo Auron zittendolo con un gesto, “che avrai un ruolo più importante. Accompagnalo oltre le Prove e resta nell'anticamera fino a quando non sarà uscito. Sarà molto debole: sorreggilo. Che ti entri in quella testa dura: veglia e non perdere d'occhio quella dannata porta, perché ci sarà bisogno di te. Se vengo a sapere che hai sgarrato non esci vivo di qui, parola.”


Jecht lo osservò a braccia conserte, divertito. Senza dargli la soddisfazione di una risposta, si fece un appunto mentale di 'tenere d'occhio la dannata porta': per quanto il suo modo di stare vicino al loro evocatore non fosse proprio quello di Auron, fare bene il suo mestiere era il meno che potesse fare per iniziare a sdebitarsi.


Braska li raggiunse poco dopo e i due si immersero nelle profondità elettriche del Chiostro delle Prove.


***



La Sala della Fede, col suo silenzio e i suoi sigilli, gli sembrava un grembo materno. Dopo le angosce della giornata, culminate in quell'incursione notturna al limite dell'incosciente, per Braska fu un sollievo inginocchiarsi in quel luogo protetto e invocare l'apparizione di Ixion del Tuono, potere nascosto di Djose.


Lo spettro che gli si presentò era un uomo dall'aria allegra e con un mento pronunciato, che un tempo poteva essere stato capitano di un vascello e ancora si fregiava di un giaccone verde cupo con gradi e mostrine. Lo salutò toccandosi il tricorno, con un sorriso ben inciso nelle rughe profonde e, come già con Shiva, Braska sentì che i ruoli si erano invertiti: lui era un ignorante, a stento riconducibile sulla via della saggezza, e quel buon signore di un tempo passato la luce, la verità, la forza. Trovarsi all'altro estremo dello stesso tipo di placida curiosità che lui stesso era solito rivolgere al mondo non faceva che rinforzare l'impressione.


“Saluti, giovane evocatore. La strada è breve alle tue spalle, ma ti guida un impeto che ti fa onore. Questa visita era a lungo attesa e ci riempie di gioia.”

Braska si inchinò, senza comprendere a cosa si riferisse con il plurale né perché la sua presenza potesse essere così importante.

“Ma il tuo sogno è disturbato.”


***



Torna.


Il canto riempiva ogni spazio e ogni fessura dell'anticamera, discendendo dalle linee dorate che imitavano il fulmine, diffondendosi assieme alla luce rossa e azzurra scintillante delle lampade. Non c'era scampo. Jecht scacciò l'aria e si rannicchiò con la testa fra le ginocchia, camminò in circolo lungo il mandala che ornava il pavimento e infine si arrese rifugiandosi in una nicchia nella parete, sotto una finestra ricoperta di roccia.


Torna. Chiudi gli occhi a questo mondo imperfetto.


Sentì due braccia esili stringerglisi attorno al petto, un dito seguire il contorno del suo tatuaggio come se non avesse mai conosciuto altro. Sentì della stoffa ruvida appoggiarsi alla sua schiena.


“Tidus...?”, chiese piano, sentendo la forma minuta sussultare al ritmo dei battiti del suo cuore, che sovrastavano ormai il canto, la voce e la ragione.

Abbassò lo sguardo.

Le braccia che lo cingevano erano nude e scure.


Torna, nostro figlio adorato.


Jecht chiuse gli occhi e si fece coraggio e si preparò a voltarsi e nulla di questo era mai accaduto.


Stremato da un'emozione ignota, si addormentò al suono profondo della voce della Fede col suo canto di sogni ed eternità. Sognò un tramonto che si stendeva per sempre, scendendo la sera nel mare e rinascendo come una nube di luci fatue in ogni lampione, ogni finestra, ogni faro abbagliante da stadio puntato su di lui – fino all'alba.


Torna a Zanarkand.


***



“Dubito del mio compito, Lord Ixion.”

“Tu dubiti?”, rise. “Fai bene! È questa la strada, giovane evocatore. Devi iniziare dai tuoi dubbi per trovare la forza che ti condurrà oltre Zanarkand. Ne passano tanti, da qui, che non dubitano. Fanno poca strada. Ma poi dovrai superarli affinché non ti sommergano! Vieni, lascia che il mio sogno ti guidi in un galoppo sfrenato verso il Nord!”

“Speravo in risposte”, ammise Braska.

“Le avrai!” L'energia di Ixion era contagiosa e l'evocatore si sarebbe abbandonato volentieri alla corsa promessa, ma restò attento. “Oltre. Non è mio compito fornirle.”

“Ma forse è il mio”, disse una voce sottile alle sue spalle: la Fede bambina che l'aveva iniziato all'evocazione, Bahamut il saggio dalle vesti stracciate, era apparsa al fianco di Ixion. “È giunto fin qui oltre una grettezza che non dovrebbe fregiarsi dei miei poteri né dei tuoi: penso che le abbia meritate.”

“Proprio tu!”, lo salutò Ixion saltando i convenevoli. “Sicuro che mandarlo in pellegrinaggio sia la cosa migliore? Rischia fin troppo e lo sai. Arriveranno, sì, ma sono solo in due.”

“È quello che abbiamo votato, Ixion. Il nostro figlio deve tornare, i fratelli sulla montagna sono incompleti... ma ha bisogno di una scorta e senza gli uomini non abbiamo potere. Ho fiducia in lui.” Incrociò le braccia e squadrò il compagno dal basso in alto. Questi non osò rispondere.


“E ora a te, allievo, figlio”, riprese rivolto a Braska, che aveva ascoltato in silenzio una conversazione che certo non pensava lo riguardasse. “Cosa ti turba?”

“L'immensità del compito, mio Lord Bahamut. Sin è immortale. Quando anche Yevon mi volta le spalle, mi rendo conto di quanto io non lo sia.”

“Vieni da un Eone a parlare di immortalità? Il nostro sogno è eterno, più antico di Sin. Affidati ad esso e non smarrirai la strada.”

“È questo che comandate?”, chiese approfondendo l'inchino e nascondendo la smorfia di disappunto. Era una rassicurazione quella, non una risposta. “Vi confido oggi di aver perso ogni fiducia in Yevon, o perlomeno nei suoi rappresentanti mortali. Non ho che voi cui appoggiarmi, perdonate quindi la mia insolenza se vi chiedo: è questa la via?”
“È l'unica che Spira può sognare.”
Non c'è davvero altro, dunque, pensò, ma tenne per sé la sua amarezza. “Ma che differenza posso fare?”

“Differenza?”, chiese Bahamut, quasi faticasse a familiarizzare col concetto.

“Sin rinascerà prima che l'umanità possa aver raggiunto un qualsivoglia livello di purezza, non è vero? L'ho visto oggi per la prima volta e mi sono scoperto cieco da trent'anni.”

“Sconfiggerai Sin”, rispose lentamente, studiando ogni parola. Non era abituato a consolare. “E porterai un raggio di speranza. Non è così che vi chiamano? E la speranza è... in sé... fonte di cambiamento”, mentì. “Noi tutti guardiamo al tuo viaggio con grandi aspettative. Ti aiuteremo. Chiamaci, nell'ora del bisogno o quando il dubbio s'insinuerà alle tue spalle. Dimentica Yevon e torna... a Zanarkand.”

“Torna...?”


Bahamut lo guardò con compassione, protetto dall'ampio cappuccio. Scosso dal lutto che ricopriva tutta la città di sogno e chi la manteneva in vita, costretto per la prima volta in mille anni ad affrontare un destino incerto come quello dei mortali che aveva sempre guardato dall'alto, si vergognò delle risposte che stava dando a un uomo onesto.


“È ora che io lasci queste sale, ché non sono a me dedicate e mantenere la presa sul sogno vivente si fa faticoso. Saluti, evocatore. Trova in te la forza in virtù della quale ti abbiamo scelto e accettato.”

Bahamut svanì.


***



“Non penso proprio”, disse Auron con inedito autocompiacimento, appoggiato a una colonna, mentre giocherellava con un sacchetto mezzo vuoto di polvere sonnifera. Ai suoi piedi, i corpi di quattro guardie giacevano inerti – salvo che per un leggero russare. Se Jecht aveva preso il suo posto, in fondo, lui poteva benissimo prendere il suo, atteggiamenti inclusi. Scoprì quella notte che il tutto poteva essere piuttosto divertente. Avrebbe avuto dieci anni per perfezionarlo.


***



“Hai le tue risposte, giovane?”

“Ho una via”, rispose Braska pensieroso. “Ed è più di quanto avrei potuto chiedere a chi, come me, non vedrà l'alba di un nuovo secolo. Forse le risposte non possono essere impartite. Le cercherò... sulla strada, con i miei mezzi e i miei compagni.”

“Quindi combatterai Sin?”
Sostenne il suo sguardo. “Donerò a Spira la speranza di cui ha bisogno.”

“Eccellente. Possiamo iniziare.”

“Un'ultima domanda, se mi è concessa.”
Ixion lo squadrò divertito. “Ci tieni impegnati, giovane. Concessa, concessa.”
“Riguarda l'inno che cantate. Desidero sapere, se non è troppo audace, quale sia il suo significato e quale la sua origine. Mi è stato insegnato che è un dono per chetare gli animi, ma vedo oggi che non è così, o che non sempre lo è stato.”

Il volto di Ixion si corrugò in un largo sorriso. “Ti darò una risposta sincera, se è questa che cerchi. Il nostro inno è... un canto che non può non morire: per questo lo intoniamo. Se la sua eco si spegnesse in noi, smetteremmo di essere quelli che siamo per diventare quello che i vostri sacerdoti vorrebbero che fossimo.”
“Ammetto di non comprendere, ma terrò a mente queste parole”, disse Braska vedendo le sue certezze scivolare sempre più lontano. Sentì il peso di tutto quello che non capiva e seppe che né i suoi maestri, né i compagni di strada, né a quel punto le sue uniche guide l'avrebbero mai alleviato. Temette che sarebbe morto senza conoscere la verità, squarciandone solo a tratti il velo, come lampi nella notte più buia. Ma avrebbe continuato a cercare.

“Per comodità lo ammantiamo di lodi”, riprese Ixion, “o lo intessiamo nei sogni di un bambino, ma ogni parola effimera muore sotto le note che ci insegnarono le nostre madri, e le madri delle nostre madri, quando ancora calcavamo le terre del Nord. Il nostro canto attraversa i secoli e non ha che un significato, il ricordo: ricordo di ribellione, sconfitta, vendetta giurata. Non ti dirò altro e forse già questo mi costerà, ma riconosco in te la forza calma entro la tempesta e quella ho voluto omaggiare. Saluti, cercatore di dubbi, sia veloce la tua andatura.”


La Fede scese dal cristallo al centro della stanza e lo abbracciò; la sua pelle sapeva di tuono e burrasca. Mentre scompariva e i loro sogni diventavano uno, Braska sentì la stanchezza di mille anni entrargli in corpo e arrancò a stento fino alla porta. Oppresso da una forza che ancora non controllava e dai nuovi interrogativi cui quelle risposte avevano portato, pregò di potersi abbandonare a un abbraccio fidato, umano. Ma Auron non c'era e Jecht dormiva in un angolo, così non poté che appoggiarsi al muro, respirare a fondo e prepararsi al viaggio.


Ricordò in seguito che all'ultimo Ixion si fosse tolto il cappello e, calcandoglielo in testa come si farebbe a un bambino, l'avesse salutato così: “Guidalo bene. Corri, evocatore. Supera il tramonto.”


***



Auron li attendeva fuori, circondato da corpi, con la spada pulita e l'espressione seria. Ripartirono prima che la Roccia del Fulmine rendesse nota la loro bravata al tempio tutto.


Maife il sacerdote fu espressamente invitato al silenzio dalla Fede che aveva giurato di servire. Anche se così non fosse stato, fare rapporto a Bevelle in merito a una divergenza d'opinioni con Lord Ixion difficilmente sarebbe rientrato nelle sue priorità.

Un attacco di Sin lo uccise anni dopo, appena prima che venisse a sapere cosa gli eretici Al Bhed avevano intenzione di fare dei terreni consacrati alla sua Djose. Yu Yevon la chiamò vendetta; Jecht, pietà.


Ixion aveva visto la tempesta addensarsi attorno a quell'evocatore e sognò a lutto, acqua scrosciante sulla terra scura, fino a che una giovane carica di pioggia non gli ridiede la speranza di un ultimo tuono e poi di pace eterna.


I tre pellegrini proseguirono per Kilika, Besaid e infine il Nord, dove la morte li divise.







******
@sony1987: Grazie, sono felice che ti sia rimasta impressa quella scena, probabilmente è anche la mia preferita nel capitolo! Quella, e i vari accenni che rendono 'sto racconto più un manualetto di come si sta con gli abiti di Braska addosso che un pezzo di prosa XD E Auron resta nel cuore, sì, sempre. Caro, caro fedelissimo a modo suo, prima e dopo. Oh, sulla voglia di dettagli son con te, del tutto! Ci son tanti modi di approfondire... avrebbero potuto ampliare un po' i flashback, o anche solo dedicar loro qualche rigo in più sull'Ultimania - Jecht ha praticamente la stessa quantità di testo di O'aka o Maechen, voglio dire. é_é Su Auron invece c'è un bel pezzettino, se già non lo conosci lo trovi in un topic stickato su Gamefaqs!

E con il prossimo capitolo, l'epilogo, si chiude! :3

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Capitolo 5
*** Echi del tuono - Falsità di una statua ***


Ed eccoci al finale. ;_; Ho tanto amato questa storia, spero sia stata gradita! Ora, per un po', potrebbe essere tempo di drabble, o comunque cosucce corte... e una buffa. Oh sì. <3





5. Echi del tuono – Falsità di una statua




Like the perfect ending
It won't be long
Till everything I've ruined has seen me gone
In time, I pray you'll forgive
Now you know the man I am
Can you forgive me?







“Così ora sei un campione di Yevon, Braska?”, aveva chiesto dieci anni e una Calma dopo, quando da poco era tornato a calcare le vie dei vivi.
La statua non rispose.

Stonava.
Il tempio di Djose non era cambiato in quegli anni, notò mentre la sua seconda evocatrice si intratteneva in chiacchiere con un ragazzino che pretendeva di rivedere in lei lo sguardo del padre. Raramente, d'altronde, Spira poteva permettersi un tale lusso, se non a mezzo di Sin.
Ma c'era una nuova statua a guardare l'ingresso alle Prove, a celebrare l'uomo che dieci anni prima si era sacrificato per dare al mondo qualche notte libera dall'ombra incombente del Distruttore. E agli occhi di Auron – quello aperto, che vedeva, e quello perduto, che ricordava – quell'elogio di pietra stonava. Da morire.
Che Yocun e Ohalland scortassero i nuovi evocatori, mentre il vecchio Gandof meditava in disparte su quanto aveva dato e quanto più tolto al suo mondo: Braska non apparteneva a Yevon. Era stato della strada e della gente, e della piccola Yuna, di sua moglie, certo di Sin cui si era votato, e di Jecht per la cui forza era morto, e forse, se non era troppo ardito pensarlo, forse un poco anche suo. In nessuno dei casi Yevon rientrava nel conto e vederlo raffigurato lì, sereno com'era giunto ad essere ma privo del sorriso che in pochi avevano compreso, era una bestemmia verso la sacralità vera.
Si sentì bruciare. Alzò il bavero, si sistemò gli occhiali scuri e tacque, perché in quel momento lo disertava anche l'ironia secca di cui aveva imparato ad ammantarsi a tal punto da scomparirne.

Allontanandosi per seguire Yuna, si voltò indietro e trovò una nuova prospettiva: forse era un'intrusione. Un infiltrato.
Braska credeva nel cambiamento. Anche nell'ora più buia, di fronte alla consapevolezza che nessun miglioramento, personale o collettivo, avrebbe mai avuto il potere di scacciare Sin, non aveva abbandonato la speranza di poter essere un inizio, il gradino su cui altri, con la mente sgombra dall'oppressione, sarebbero saliti per riguadagnare il cielo. Erano passati dieci anni da quei discorsi e nulla era cambiato, salvo la sua statua, una macchia grigia sotto gli occhi di tutti, nel cuore a tinte nette del territorio nemico.
Forse un gradino non bastava, ma sulle sue spalle un giorno sarebbe sorto il secondo e poi avanti, verso un altro futuro. Braska era Braska. Il suo spirito non sarebbe andato perduto.

Lo salutò un'ultima volta prima di entrare nel chiostro.
“Deliziosa ironia, eh?”, lo apostrofò a cuor sereno.
Gli sembrò che sorridesse.

***


Dopo la morte, il riposo non dona conforto.
Quella notte, Auron vagava senza meta nei dintorni del tempio, grato a un silenzio assoluto fuorché per l'infrangersi delle onde sulla scogliera lontana. Per coloro che vivevano secondo i Precetti, Djose era un angolo di pace che nemmeno l'orrore del giorno prima, il massacro di Mi'ihen, era riuscito a scalfire nella sua prima essenza.
L'alba portò i suoi passi all'interno del tempio, ugualmente silenzioso e vuoto. Tranne che per una figura.
Una ragazzina era inginocchiata a fianco della statua di Braska. In abiti da accolita di terzo rango, non più di quindici anni, il volto minuto eclissato da paramenti rotondi dalle tinte vivaci. Avvicinandosi, Auron vide che la stava lucidando.

“Signore?”, chiese quando si fu accorta della sua presenza.
“Continua pure, ragazzina.”
“Mi chiamo Damia, signore.”
“...continua pure, Damia. Quello che fai è... ammirevole.”
Restò ad osservarla, faticando un poco a convincere il se stesso di dieci anni prima che lo spettacolo davanti ai suoi occhi stesse realmente accadendo.

“Lucidi solo questa statua, Damia?”
“Sono devota a Lord Braska, signore. È il massimo fra gli evocatori, meglio di lui non ce ne sono.”
Auron sbuffò, divertito. Il primo gradino.
“E cosa ti ha donato l'ultimo Alto Evocatore che gli altri non hanno saputo darti, ragazzina?”
“Quando gli altri hanno portato la Calma io non c'ero ancora, signore, quindi con tutto il rispetto, non so se mi spiego...”
“Abbastanza, sì.” Una risata bassa e roca: Yevon e Spira, sempre prevedibili, sempre uguali a se stessi, uniti in un'eterna spirale di egoismo. Era davvero tornato a casa.
La ragazza riprese a spiegare.
“Non è tanto quello, però, signore. Vede, io ho un fratello, signore, un fratello di poco maggiore che è nei Crociati e da mesi sognava, oh, quanto lo sognava! Sognava di combattere nell'Operazione Mi'ihen come tutti i senza fede suoi compagni. 'Sconfiggeremo Sin', diceva, 'vedrai sorellina! Nessuno dovrà più morire', e lustrava quella sua arma eretica parlando di machina da guerra con poteri tremendi, signore. Io tremavo e gli dicevo di lasciar perdere, e pregavo, pregavo, pregavo. E l'avrei perso e sarei sola al mondo se all'ultimo la fede non l'avesse salvato, mostrandogli la perversione delle vie degli Al Bhed! Se non sono fra quelli che piangono i loro morti, signore, almeno è mio compito ringraziare... non so se mi spiego.”

Per questo lo ringraziavano?
Sentì scivolare la presa sulle luci fatue che componevano il suo corpo, riempite ora di un orrore sordo, violento, che spingeva per liberarsi e incanalarsi in una nuova forma in cui zanne e artigli potessero meglio esprimere una rabbia che andava oltre le parole. Gli era già capitato una volta: una mattina d'inverno alle pendici del Gagazet, quando si era reso conto di essere morto e che tre vite votate a cambiare il mondo non avevano concluso altro che venir schiacciate dal suo lento girare. Aveva resistito.
La situazione non era molto diversa. Resistette.

“Questo dicono nei templi?”, articolò a fatica.
“È storia nota, signore, sulla bocca di tutti. Lord Braska che ha ritrovato la sua fede dopo essere sceso nell'abisso della perdizione è il più grande fra gli eroi. Il suo successo, Yevon sia benedetto per averlo preso a sé nella sua gloria, è la prova provata per noi tutti che la perfezione è raggiungibile, non so se...”

Resistette, perché la rabbia, in lui, aveva il dono di sfumare in fretta in un'amarezza tutta personale, che sapeva trattare col rispetto dovuto a una compagna fedele. E di quella si svanisce, al massimo, quando il mondo non ha più nulla da offrire a un'anima stanca, ma Auron era sorretto da due promesse e restò saldo al suo posto.
Non del tutto.
Si appoggiò alla statua con tutta la sua forza, col palmo aperto della mano guantata, alzò la testa, chiuse gli occhi e pregò. Cadde in ginocchio e lì restò, chiuso, immobile e di pietra lui stesso.



“Miracoli della fede”, mormorò sorpresa Damia allontanandosi, lasciando quel forestiero al suo credo e alle sue verità. “Sia lode a Yevon.”

























******
@sony1987: ci puoi scommettere! Alla base di quel che scrivo, almeno in Myst e qui in FFX, c'è sempre la voglia di condividere qualcosa che ho scoperto o ipotizzato. Sono così tanti i risvolti fascinosi, così tanti i dettagli buttati lì forse nemmeno volontariamente dai creatori, ma che comunque s'inseriscono a meraviglia nel quadro generale, arricchendolo e sfaccettandolo! Invece di un post argomentativo su un qualche forum, mi diverto di più a mettere il tutto in prosa e vedere i personaggi che amo muoversi all'interno di quell'idea. :3 E le Fayth sono miei grandissimi amori fin dalla prima partita (prima di Braska volevo cosplayare Bahamut... ci son riuscita quattro mesi fa, ma ci son riuscita XD Coming next, Fayth of Shiva è_é), quando ancora li conoscevo poco, solo per quelle parole gentili e splendide rivolte a Tidus. Quelle restano, ma su di loro pesa un millennio di peccato d'indifferenza che non può non caratterizzarli (assieme all'aspetto da Eone e da statua). Complessi e affascinanti. Ixion poi è un buffo signore.
forse chi leggerà le tue pagine capirà che Ixion non è un cavallo bianco... :-P <-- Pubblicità progresso, faccio del mio meglio! XD Quello, e altre amabili cose come le tendine del copricapo di Braska che NON sono i suoi capelli (non è il fato turchino u_u), la spiegazione ufficiale del camminare sull'acqua, la Calma che NON dura dieci anni, il numero stesso di Calme, eccetera. Mi sono fatta una cultura grazie ad autori di fanfiction competenti, cerco di rendere il favore, quando capita. XD
Quel che dici sull'ipotesi di prequel è parecchio interessante. Sarebbe una gran bella sfida! Anche solo un fangame... Sentito, gente sfaticata in Squenix e altrove? Ora sarei curiosa di vedere se qualcuno, in qualche altra opera, ha fatto qualcosa di simile. Come citavo nella scorsa risposta (scuse? Ma stai scherzando? Grazie dello scambio di idee! =D), la mia cultura porta solo a esempi contrari. O anche solo studiare i casi di finale negativo nei videogiochi, dato che su due piedi me ne viene solo uno e mezzo (il mezzo essendo FFX stesso).
...no, sono un'idiota. Crisis Core! Ecco, sulla Compilation of FF7 tento di chiudere gli occhi, tapparmi le orecchie e far finta che non esista, ma quando lo troverò usato a poco sarò curiosa di giocarlo anche solo per vedere come hanno gestito questa faccenda qui, visto che il caso è quasi identico. Però hanno aggiunto molto in un modo che, visto da fuori, non mi convince mica tantissimo... mmmmmmh. Ah, e il KH per DS prossimo venturo, quello sarà un altro esempio interessante. E anche lì hanno aggiunto almeno un personaggio, però. Boh. XD


E con questo è veramente tutto. ;_; Alla prossima!

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