La Margherita e la Rosa

di Queila
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Due fiori nello stesso vaso ***
Capitolo 2: *** Lillà ***
Capitolo 3: *** Tisana alla Valeriana ***



Capitolo 1
*** Prologo - Due fiori nello stesso vaso ***


Introduzione
La storia nasce sul forum di EFP, dall’idea di una ragazza (Onigiri e sul forum niobe88) che ha sviluppato le due protagoniste… io mi sono messa a scrivere partendo dalla sua idea e questo è il risultato. La ringrazio di cuore perché è stata disponibile e gentil issa per suggerimenti e tempo che mi dedica ^^.
Vi lascio… ci ritroveremo nelle note finali!
 
 
 
Prologo – Due fiori nello stesso vaso
 
 
Fin da quando il mondo ha memoria la Rosa e la Margherita convivono disprezzandosi.
Una spinosa, tenace, e riservata che sboccia al momento opportuno, l’altra vanitosa e perfetta che si mostra a tutti quelli che la vogliono ammirare. Da sempre la Rosa e la Margherita si conoscono e da sempre devono accettare di essere rivali, imparando a tollerarsi per capire che senza l’una l’altra non esisterebbe.
 
 
                                                                                                                                      6.30 a.m.
 
La sveglia aveva squillato in perfetto orario e gli occhi chiari di Margaret si erano aperti a quel suono, puntuali come sempre. Si sfilò la benda dagli occhi, i tappi dagli orecchi e si avviò con calma in bagno, pronta a prepararsi per rendersi desiderabile e priva di difetti anche quel giorno.
Scese in cucina con un vestito rosa a stampe floreali che le arrivava sopra le ginocchia, aveva stivaletti bianchi e un copri spalle dello stesso colore: avrebbe portato l’aria primaverile anche in quel giorno di settembre. Bevve il suo succo biologico e si avviò in macchina, ancheggiando leggermente: sarebbe stata una giornata perfetta.
 
 
                                                                                                                                     7.30 a.m.
 
Rose aprì gli occhi di scatto, cavolo!
Si scoprì di fretta, rabbrividendo per il cambio di temperatura, e corse in bagno a piedi nudi: avrebbe fatto tardi anche quell’anno, non riusciva proprio ad arrivare in orario il primo giorno.
Una volta vestita con le prime cose che le erano capitate sotto mano: una gonna nera, calze bordeaux e maglioncino dello stesso colore, si precipitò, inciampando varie volte, in cucina.  Afferrò un muffin al volo e corse a prendere l’autobus.
Appena in tempo: la vettura gialla si era fermata quando Rose aveva ingurgitato l’ultimo morso del dolce. Sarebbe stata una giornata orribile
 
 
 
Margaret aveva sempre amato il primo giorno di scuola, fin da quando aveva poco più di tre anni e vedeva gli altri bambini piangere disperati sulla soglia dell’asilo, mentre genitori commossi li salutavano con fare triste. Aveva capito che il successo nasce fin da piccoli, aveva capito che la scuola, come il lavoro, poteva portare a ottime soddisfazioni e aveva cominciato fin da piccola a percorrere la strada verso la popolarità e ora era in vetta: ne era la regina incontrastata.
La ragazza a scuola, come a casa, dimostrava il suo controllo assoluto e tutti le davano retta: chi per il suo aspetto, chi per la sua innaturale leadership, tutti, ma proprio tutti, le andavano dietro, pregando che anche lei ricambiasse l’interesse, cosa che non accadeva nella maggior parte dei casi.
Prima di scendere dalla sua Audi si specchiò e volumizzò i lunghi capelli biondi che le ricadevano oltre il seno prosperoso, messo in mostra da una scollatura generosa; diede un’ultima passata di lucidalabbra e scese dalla vettura per affrontare il primo giorno del suo ultimo anno da liceale.
 
Rose aveva sempre odiato il primo giorno di scuola, fin da piccola, quando vedeva sua madre piangere sulla soglia dell’asilo, mentre lei la salutava con fare triste. Quell’incubo, però, stava per terminare: quello che avrebbe intrapreso sarebbe stato il suo ultimo anno del Liceo. In quella scuola di snob era stata anche troppo, purtroppo per il suo futuro, però, doveva resistere e respirare profondamente: ce l’avrebbe fatta, si sarebbe diplomata e sarebbe andata a Yale e per poi diventare un’ottima giornalista, avrebbe vinto una nuova borsa di studio, e questo era tutto. Doveva solo scendere dall’autobus e pregare di non incontrare la sola persona sulla faccia della terra che le provocava acidità di stomaco di prima mattina.
Guardò dritto, poi a destra ed infine a sinistra, nulla: della strega senza cervello non c’era traccia, Rose fece un profondo sospiro di sollievo, e scese dalla vettura, inciampando nelle sue stesse scarpe. Si ritrovò a terra con le calze nuove di zecca smagliate; sbuffò portando gli occhi al cielo, poi una mano la afferrò. Gli occhi marroni di Rose si scontrarono con quelli azzurri di un perfetto sconosciuto, il viso della ragazza andò in fiamme.
“Tutto bene?” le sorrise quello, affabile.
Era una sua impressione o il ragazzo era contornato da una strana luce bianca?
La moretta annuì, portandosi la mano dietro la nuca, imbarazzata.
“Oh, la racchia amorfa è caduta”.
Margaret era apparsa dal nulla e Rose, senza neanche degnarla di uno sguardo, si alzò e si precipitò in classe, cercano di non vomitare la colazione al ricordo della voce stridula della bionda, dimenticandosi completamente delle calze strappate e del bel ragazzo che le aveva porto una mano in aiuto.
 
 
Note Autrice:
 
Grazie mille a tutti per essere arrivati fino alla fine ^^. Era da tempo che volevo scrivere una long originale, spero sia decente xD. Dai prossimi capitoli in poi il nome del capitolo avrà a che vedere con fiori, piante e giardinaggio (tanto per rimanere in tema), e a inizio capitolo ci sarà una citazione ^^.
Spero continuiate a seguirci!
 
:*
 
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Capitolo 2
*** Lillà ***


Capitolo Uno -  Lillà
 
 
“Lo senti questo bum bum… è qui dove batte il cuore“
Qui, dove batte il cuore
 
 
 
 
Rose si mise a sedere al solito banco in fondo all’aula dieci minuti prima che la campanella suonasse, era particolarmente irritata e continuava a torturarsi la gonna con le mani, stringendola con tutta la sua forza. Aveva le calze smagliate e l’aria di chi è arrabbiata con il mondo intero, anche se i suoi sentimenti d’astio erano rivolti a una persona in particolare. Man mano che i compagni di classe occupavano posto, Rose sentiva crescere la rabbia nei confronti di se stessa per non aver reagito, come faceva di solito, e nei confronti di Margaret, che era sempre pronta a canzonarla di fronte a conoscenti e sconosciuti.
Un momento. Il mondo intorno alla mora si fermò per un secondo e il ricordo della caduta e del tentato salvataggio, assediò la mente della ragazza, facendola vacillare.
Si diede della stupida, sbarrò gli occhi e si nascose la faccia tra le mani, disperata. Chi era il ’ragazzo angelo’? Perché era scappata senza rivolgergli neanche una parola?
La causa della sua fuga entrò in classe in quel preciso istante con la sicurezza che le si addiceva: muoveva i fianchi sorridendo, consapevole di essere vista e ammirata da ragazzi e ragazze.
Un conato di vomito colpì Rose all’improvviso. Buttò un’occhiataccia verso Margaret e si preparò per la lezione, cercando il più possibile di non pensare agli occhi blu oltremare che l’aveva spiazzata circa venti minuti prima. Non riusciva a ricordare altro, però, del ragazzo, troppo accecata dalla luce che emanavano i suoi occhi, ma il ricordo della sua mano calda sulla spalla la fece arrossire, e il calore che le aveva trasmesso era ancora percepibile, quella parte del corpo le scottava, bruciava, ma non faceva male, anzi… il cuore di Rose prese a battere a quel pensiero, cosa le stava succedendo? Il bum bum che il suo petto produceva era talmente intenso che la ragazza pensò per un momento che tutti lo avrebbero sentito, nessuno, però, sembrava curarsi di lei. Poi il professore entrò in classe con un carico di libri impressionante e la ragazza si costrinse a concentrarsi sulla lezione, eppure in varie occasioni il suo cuore mancò un battito durante tutta la giornata al ricordo del ragazzo e dei suoi occhi.
“Quindi lo soprannominiamo uomo-angelo, un po’ come Beatrice e Dante, no?” Una ragazza con i capelli rossi a caschetto e una montatura d’occhiali notevolmente troppo grande per il suo viso, osservava Rose stupita.
“Evy, mi spieghi come cavolo fai a nominare opere straniere semi-sconosciute con tanta scioltezza?”
“Leggo, ecco tutto” affermò facendo spallucce, prima di finire quel poco succo rimasto nel bricco, aspirando con forza dalla cannuccia.
Rose sospirò e si riconcentrò sul suo panino al tacchino.
“Dobbiamo trovarlo” disse la rossa portando il pugno in alto con fare convinto.
“E perché mai?” Rose era confusa da tanta disinvoltura.
“Beh, è ovvio, perché hai una bella cotta!”
“Ma cosa stai dicendo?” alzò leggermente il tono di voce e i suoi occhi schizzarono subito dritti sul pavimento a quell’affermazione.
“Se non ti piace, perché sei rossa come un peperone?” le sorrise facendole la linguaccia Evy, divertita.
“Adesso non ho tempo da perdere, devo andare alla riunione per il giornalino della scuola”.
“Come? Anche il primo giorno di scuola?”
“Un reporter non dorme mai!”  si affrettò a dire prima di alzarsi dal tavolo.
Rose si allontanò di corsa dalla sua migliore amica, cercando di ignorare i suoi battiti cardiaci che erano decisamente aumentati.
Lei avere una cotta?
Impossibile.
Perché allora avvertiva il viso in fiamme?
E perché il suo cuore non la smetteva di fare quel suono fastidioso?
La mora scrollò la testa per allontanare quei pensieri e si avviò verso l’aula dove si sarebbe tenuta la tanto attesa riunione; la classe in cui prendeva sede il giornale della scuola aveva sempre lo stesso odore: pino e inchiostro, era un profumo così familiare che Rose sorrise non appena messo piede nella stanza. Tutto era come lo ricordava: i vecchi numeri buttati nell’angolo a destra, un tavolo rotondo che padroneggiava il centro e una lavagna con scritto il nome degli articoli e a chi erano stati assegnati.
Un’ora dopo, finita la riunione, la mora uscì più irritata che mai; le avevano affidato un’intervista e la cosa non le piaceva per nulla: per il suo curriculum di Yale quell’articolo era carta straccia, in pratica.
“Rose, questo è un ragazzo nuovo, nessuno ha le palle, in senso metaforico s’intende, come te per andargli dietro e punzecchiarlo, fallo, per favore”. Gli occhi di Jim, il caporedattore, l’avevano così colpita che non era riuscita a dire di no, erano stati troppo supplichevoli.
E aveva accettato, aveva acconsentito a stanare e intervistare il nuovo acquisto della scuola, stella promettente del basket americano, Rose si lasciò scappare uno sbuffo. Ma non mancò dal chiedersi se quel paio di occhi dell’uomo-angelo corrispondesse a quelli del giocatore di pallacanestro, un certo Allen Cooper.
E il cuore riprese a martellarle in petto.
 
Uscita dalla palestra, dopo l’allenamento delle Cheerleader, Margaret vide Rose appoggiata al muro vicino l’uscita della scuola, intenta a toccarsi il torace in modo bizzarro.
Un sorriso le nacque in volto.
“Ehi, racchia amorfa!”
La mora sussultò e girò di scatto la testa.
“Asina giuliva! Hai finito di sventolare palline colorare per farti ammirare?” la sua espressione era dura e sfrontata.
“Almeno qualcuno mi guarda…” rispose a tono Margaret, portandosi indietro una ciocca di capelli di colore oro.
“Speriamo si limitino a guardarti allora, perché se apri bocca, li fai ridere”.
“Tu, brutta…” la bionda stava per avventarsi su Rose puntandole contro il dito con fare minaccioso, quando Joey, capitano della squadra di basket, non che fidanzato ufficiale di Margaret, la trattenne per il vestito.
“Dai, Margaret, andiamo… o faremo tardi” le disse in tono superficiale avviandosi verso l’uscita.
La bionda abbassò il braccio e sussurrò un ‘non finisce qui’ proprio mentre passava accanto alla mora.
Salita in macchina, sbatté forte lo sportello, irritata oltre ogni misura, si allacciò la cintura di sicurezza e voltò il viso in direzione del suo ragazzo seduto al posto del passeggero.
“Ti devo accompagnare a casa, Joey?”
“Avevo altre intensioni a essere sincero” disse carezzandole la coscia destra con fare malizioso.
“Non oggi, non sono in vena”la bionda allontanò le dita del capitano di basket da sotto la sua gonna, irritata.
“Ultimamente non sei mai in vena…” sbuffò il biondo.
“Chissà perché” rispose beffarda e mise in moto, partendo velocemente per allontanarsi il più presto possibile dal parcheggio della scuola.
“Che cosa vorresti dire, Margaret?” Joey era diventato color porpora e le sue guancie esplodevano di rabbia, era evidente.
Mentre grosse gocce di pioggia cominciarono a cadere sull’asfalto, Margaret si chiese perché ancora stesse con quel tipo… era carino, era popolare, ma era un’idiota di prima categoria, e non se la cavava neanche tanto bene a letto come voleva far intendere lui ogni volta che usciva l’argomento con i loro amici.
“Mi stai ascoltando?” chiese irritato il ragazzo agitando una mano davanti alla visuale della bionda.
“Ma sei impazzito? Così non vedo nulla, vuoi farci ammazzare?” Margaret urlò nell’abitacolo della macchina e la sua voce risonò più dura che mai nelle orecchie di Joey.
“Forse ha ragione la racchia: sei solo una gallina…” sputò con rabbia.
La frenata brusca di Margaret arrivò due secondi dopo. A testa china, troppo offesa per guardarlo negli occhi, la bionda sussurrò un ‘scendi immediatamente’ che a Joey arrivò ovattato per colpa dello scosciare della pioggia, aumentata d’intensità nel giro di pochi minuti.
“Scusa?”
“Mi hai sentito: scendi subito da questa macchina” ripeté con gli occhi fissi sul volante. Il ragazzo aprì lo sportello dell’ Audi con forza e lo richiuse con rabbia, la ragazza lo vide allontanarsi con le mani in tasca e a testa china sotto l’acqua che continuava a scendere imperterrita.
Appena Joey fu lontano dalla vettura, Margaret parcheggiò e uscì sotto la pioggia senza ombrello: aveva un disperato bisogno di prendere aria prima di tornare a casa e strafogarsi di gelato alla vaniglia, il suo preferito. Cominciò a vagare per la piccola cittadina, ripensando alla sua storia con Joey, di come lui le avesse chiesto di uscire e della loro, non che sua, prima volta… lo amava? Forse sì, forse no, sapeva solo che il suo cuore non faceva le capriole quando lo incontrava e non prendeva a battere impazzito quando la sfiorava o le sussurrava dolci parole all’orecchio. Non era presa dalla voglia irrefrenabile di vederlo, né aveva le farfalle nello stomaco dall’ansia e paura che lui potesse essere davvero quello giusto; era semplicemente un ragazzo, come tanti, solo più carino.
Probabilmente avrebbero fatto pace e la cosa si sarebbe risolta, ma Margaret aveva la vaga sensazione che quella non sarebbe stata comunque la scelta migliore per se stessa, sbuffò pensando che ci stava rimuginando troppo sopra.
La pioggia continuava a cadere senza sosta, i capelli della bionda erano ridotti a una massa senza forma, quasi pianse specchiandosi in una vetrina: il suo riflesso era un disastro, con il trucco colato e le scarpe rovinate. Si guardò intorno come appena svegliata da un lungo sogno: vagava senza una meta specifica da circa quindici minuti e solo ora si era resa conto di essersi avviata verso una via a lei sconosciuta.
La cittadina di Garden Hill non era grande e Margaret ne conosceva quasi tutte le strade; intercettò la lavanderia dove la governante portava a lavare gli abiti più delicati (riconobbe il nome sull’insegna e lo ricollegò a quello scritto su delle buste che possedeva in casa), ma il resto dei negozi le rimase completamente estraneo.
Ancora tentava di orientarsi quando si bloccò di colpo.
Il suo corpo non rispondeva alla sua volontà, era immobile, fermo in mezzo al marciapiede e il cuore impazzito, prese ad accelerare i battiti come scosso da una forza esterna, il suono le arrivava fino alle orecchie, facendole pulsare.
Margaret cominciò a intercettare una melodia, era vicina eppure lontana, come generata da un intimo ricordo dimenticato in qualche antro della mente. La musica proveniva dal negozio oltre il marciapiede, era così familiare che la ragazza sapeva le note che sarebbero arrivate ancora prima che queste venissero prodotte, ma non sapeva spiegarsi il perché.
Il palpitare del cuore di Margaret non le impediva di godersi la calda e dolce armonia che proveniva da un pianoforte; la bionda intravide un ragazzo suonare, assottigliò gli occhi per focalizzare meglio i dettagli: il negozio si chiamava “Le note fiorite” e vendeva strumenti musicali… mentre lo sconosciuto continuava a muovere le dita sui tasti, il petto della ragazza batteva all’impazzata e una lacrima solitaria bagnò il viso della giovane, facendola sussultare.
Proprio mentre stava per attraversare la strada con il cuore in gola e le farfalle nello stomaco, il telefono le squillò.
“Pronto?” rispose con voce impastata per l’emozione.
“Margaret dove sei con questa pioggia?” Maria, la governante aveva il tipico accento messicano, colorato da una evidente preoccupazione.
“Scusami, sto per rientrare a casa”.
Riattaccò e alzò gli occhi verso il negozio di musica: la melodia era cessata e il ragazzo che prima intravedeva oltre la vetrina, ora era scomparso.
Fece spallucce scoprendosi delusa, si asciugò la lacrima e si avviò verso la macchina, con il respiro corto e il petto ancora a soqquadro.
 
 
Note Autrice:
 
Salve a tutti, come va? Cosa ne pensate del capitolo? Fatemelo sapere, mi raccomando ^^ Mi sto appassionando a Margaret sempre più, sebbene io sia più una Rose… e voi?
Ringrazio le magnifiche lettrici che hanno commentato e anche tutti i lettori silenziosi, grazie!
Un saluto speciale a niobe88 che continua a consigliarmi!!
Al prossimo capitolo!
 
P.S.
Il Lillà secondo il linguaggio dei fiori è legato al batticuore (provocato dal primo amore **, quanto siamo romantici).
 
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Capitolo 3
*** Tisana alla Valeriana ***


 Capitolo due - Tisana alla Valeriana
 
 
“Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce.” Blaise Pascal
 
 
 
Il suono della melodia ascoltata in quella strada cullò il sonno di Margaret per giorni.
Non si limitò, però, ad accompagnarla solo di notte, ma anche di giorno quando passeggiava indisturbata nei corridoi della scuola, o quando era a casa da sola, infatti, la dolce musica ritornava a riempirle il cuore. Era diventata un’ossessione: la ragazza era convinta di conoscere quel brano, ma non ricordava come, così passava ore su internet ad ascoltare melodie di musica classica composta da uomini defunti decenni prima, senza però ottenere risultati soddisfacenti, sia l’autore sia il brano le rimasero oscuri.
Non aveva ancora chiarito con Joey, anzi, lo evitava appositamente: non era dell’umore adatto e si sentiva ancora offesa per il comportamento del giocatore di basket. Joey, da parte sua, non dimostrava segni di pentimento e il suo sguardo, quando incontrava quello di Margaret, non faceva presagire l’intenzione di un rappacificamento. Per nulla al mondo la ragazza avrebbe chiesto scusa per prima: non era di certo in torto e aveva altro per la testa... non capiva come un brano musicale potesse riempirle i pensieri durante tutta la giornata e occuparle la mente anche nelle ore notturne, per quando non volesse ammetterlo, desiderava conoscere quel ragazzo e scoprire chi fosse, per svelare una volta per tutte il mistero dietro quella melodia.
Il vento trasportava il dolce suono facendolo arrivare continuamente all’udito di Margaret, eppure la ragazza era timorosa di rincontrare lo sconosciuto, non sapeva il perché, ma il presagio di qualcosa di negativo aleggiava sulle sue spalle, come un’ombra; d’altro canto, però, quel brano scandiva il susseguirsi delle sue giornate rendendole piacevoli e la curiosità e l’emozione le facevano battere il cuore. Le continue ricerche non le avevano dato il tempo necessario di studiare adeguatamente e il compito di storia arrivò nonostante gli sforzi di Margaret di ignorarlo il più possibile. La bionda si trovava in difficoltà. Si guardò a destra, poi a sinistra: era circondata dagli alunni peggiori del corso… ma di fronte aveva lei. La secchiona della classe, la ragazza con la montatura d’occhiali più imbarazzante dell’umanità, non che colei che più odiava tra quei corridoi. Margaret, con fare vago, cercò il più possibile di intravedere le risposte di Rose, con poco successo. Alla prima risposta la mora aveva messo la crocetta su’a’, eppure la bionda era quasi sicura che fosse ‘c’… sbirciò le altre: erano un trionfo di cancellature e sbavature, a quanto pareva non era l’unica che aveva studiato poco.
La bionda sbuffò sconfitta, non avrebbe dedicato un altro minuto a copiare dalla racchia amorfa, si sistemò i capelli e, riacquisita fiducia in se stessa, si concentrò sul compito, certa che in qualche modo ce l’avrebbe fatta.
Uscì dall’aula dopo aver messo l’ultima crocetta con il morale a terra: era certa di aver consegnato un pessimo compito nonostante gli sforzi. Andò in bagno e si ripassò il trucco e all’improvviso la sentì. Questa volta, però, non era nella sua testa, ne era sicurissima: non era nella sua mente, ma nell’aria, le note della sconosciuta melodia aleggiavano per la scuola, quel suono era reale. Si avviò in fretta per il corridoio con il cuore in gola e il respiro serrato dall’emozione, seguì la melodia fino all’aula di musica. Qualcuno stava riproducendo il brano che la perseguitava e Margaret era certa che fosse lui, lo sconosciuto che aveva aperto una breccia nel suo cuore. Si ritrovò davanti a una porta chiusa a contorcersi le mani per l’ansia, ma la curiosità vinse sulla paura, chiuse gli occhi, respirò profondamente ed entrò.
L’aula era piccola, con la finestra che dava sul parcheggio della scuola, da lì la bionda poté vedere la sua Audi parcheggiata… un pianoforte padroneggiava al centro della stanza e a suonarlo vi era una figura minuta, una ragazza mora con un pessimo gusto nel vestire.
Dopo aver guardato negli occhi Rose per un attimo, Margaret fuggì di corsa, scoprendosi profondamente amareggiata e delusa dalla scoperta.
Tanto era il suo sgomento, che non si accorse della presenza di una persona sulla sua traiettoria, l’impatto provocò la caduta della ragazza e del ragazzo che veniva dalla parte opposta.
“Perché non guardi dove vai?” disse lei arrabbiata, portandosi la mano dietro la nuca.
“Sei tu che eri distratta, Margaret…” pronunciò il suo nome con un tono di sfida, come per beffeggiarla.
I due alzarono gli occhi nello stesso istante e un sorriso nacque sul volto del ragazzo, mentre la bionda lo guardava bieco.
“Sguardo glaciale, come sempre, fai quasi paura” la canzonò lui.
“Allen, meno mi parli e meglio è, lo sai!” rispose Margaret puntandogli contro un dito, con il quale si avvicinò al ragazzo e gli diede una leggera spinta, come per allontanarlo.
Si rialzò con grazia e, ignorando completamente il ragazzo dagli occhi azzurri ancora a terra, si allontanò verso l’uscita della scuola: doveva andare in un posto, aveva rimandato troppo al lungo.
 
La settimana di Rose fu particolarmente dura e poco produttiva e il compito che aveva di fronte ne fu la prova lampante. Non riusciva a concentrarsi e inseriva risposte a caso, per poi correggerle un attimo dopo, riducendo il foglio che aveva davanti a una partita di battaglia navale; la colpa di tutto ciò era di Allen Cooper, ragazzo pomposo ammirato da tutti per quegli insulsi occhi azzurri. Il colore delle sue iridi rispecchiava in tutto e per tutto il suo animo: freddo e gelido come il ghiaccio. Era una settimana che gli andava dietro per l’intervista e puntualmente il ragazzo la rifiutava senza ascoltarla.
La prima volta che lo aveva visto, anzi rivisto, il suo cuore aveva mancato di un battito e le sue gambe tremato d’eccitazione: Allen e lo sconosciuto erano la stessa persona, come Rose aveva sperato ardentemente con tutta l’anima, ma le sue aspettative erano state spazzate via dal vento arido portato dalle parole del moro.
“Non voglio parlare con te, né tantomeno con altri membri di questo stupido giornale” l’aveva liquidata la prima volta.
“Sai, sei proprio fastidiosa… ti chiamerò cagnolino” le era stato detto il giorno successivo mentre il ragazzo le aveva riso amabilmente in faccia.
“Te la tiri un po’ troppo, Cooper, per essere solo un altro dei tanti diciottenni che cercano di fare canestro” gli aveva risposto senza timore Rose: non si faceva prendere in giro da nessuno, non le importava chi fosse il tizio.
I giorni seguirono e Allen non l’aveva degnava di uno sguardo e il cuore deluso di Rose aumentava di battiti ogni volta che lui si trovava nei paraggi, questa cosa la stava stancando.
Con il compito pieno di cancellature e la sua intervista ancora in bianco, la ragazza uscì amareggiata dell’aula di storia, dirigendosi direttamente dove poter dar sfogo alla sua frustrazione.
Il pianoforte nella stanza di musica non era di certo il più bello che Rose avesse visto in vita sua, ma faceva il suo lavoro e senza pensarci troppo sopra, la ragazza buttò a terra lo zaino e cominciò a scorrere le dita sui tasti bianchi e neri.
Non pensava a nulla: né al compito andato male, né all’intervista che le stava facendo perdere i capelli per la disperazione, c’erano solo lei e il dolce suono della musica.
Quando Margaret fece irruzione nell’aula, Rose la guardò negli occhi senza rendersene neanche conto, troppo presa dalla melodia, e la riconobbe solo dal nauseante profumo che si trascinava dietro per tutta la scuola. Le sue mani si arrestarono in automatico e rimase imbambolata per alcuni minuti a contemplare una porta chiusa, fece spallucce e ricominciò il soave movimento sopra lo strumento, ma ormai l’atmosfera era stata spezzata, la bionda l’aveva innervosita di nuovo. Guardò l’ora nell’orologio grigio appeso alla parete proprio di fronte a lei, l’autobus sarebbe passato a minuti. Prese il suo zaino e si avviò in fretta verso l’uscita dalla scuola.
Durante il percorso verso la fermata trovò Allen Cooper per terra e Margaret che fuggiva verso la sua Audi, si arrestò e guardò incuriosita la scena.
Quando gli occhi del ragazzo incontrarono quelli della mora, Rose percepì quel fastidioso bum bum provenire dal centro del suo petto.
“Ah, ci mancavi solo tu, cagnolino!” disse beffardo Allen, facendo perno sul braccio destro e tirandosi su con le gambe.
“Non ti stavo cercando questa volta...” era difficile ignorare i battiti accelerati del suo cuore, ma Rose fece di tutto per restare calma.
“Strano, non vuoi chiedermi nulla?”
“No, Cooper, sparisci!” disse lei cominciando a camminare per avviarsi all’uscita.
“Dai, cagnolino, non fare l’offesa… volevo concederti qualche domanda!”
Rose si arrestò di colpo, interessata dal discorso del ragazzo.
“Davvero?” chiese la ragazza voltandosi leggermente e spostando il peso sulla gamba destra.
“No” il moro cominciò a ridere in modo fastidioso: a Rose ricordò la risata di Margaret ed ebbe un brivido di orrore al solo pensiero.
“Vai all’inferno, Allen”.
Si voltò e raggiunse in fretta la fermata dell’autobus, doveva assolutamente fare qualcosa per queste  palpitazioni.
 
 
Note Autrice:
 
Ciao !!! Grazie mille a tutti voi che leggete la storia, e grazie a quelli che la seguono, fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando…
Per questo capitolo è stato difficile trovare una citazione xD, si adatta, però, alla fine, no? Il titolo: Tisana alla Valeriana, un rimedio per l’ansia, le palpitazioni e il nervosismo, le nostre eroine hanno avuto i nervi sotto stress in questo capitolo. Il prossimo sarà molto interessante!!!! Sarà dato un nome al misterioso ragazzo del pianoforte e Rose e Allen… beh, non vi spoilero nulla, leggete xD! Grazie mille a niobe88, sei carinissima, cara^^
 
Vi aspetto al prossimo capitolo, grazie a tutti :*
 
 
 
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