Risvegli

di vannagio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ieri, oggi, domani ***
Capitolo 2: *** Domani (è un altro giorno) ***



Capitolo 1
*** Ieri, oggi, domani ***


Per la serie…
“Quando vannagio vaneggia!”







Risvegli




Ieri


Oddio, che ore erano? Di sicuro troppo presto per alzarsi dal letto. Sollevò solo una mezza palpebra, trattenendo uno sbadiglio, e diede una sbirciata alla radiosveglia sul comodino.
Mezzogiorno e un quarto.
Non così presto, in fondo. Poco male.
Oliver lasciò andare lo sbadiglio, si stiracchiò girandosi sul fianco e allungò il braccio verso la seconda metà del letto per abbracciare La… ria fredda.
Questa volta di mezze palpebre ne alzò due.
La stanza era immersa nella luce soffusa del mattino. Okay, del giorno. Nessuna traccia di Laurel. Forse era andata in bagno? Doveva andare a controllare? Si mise in piedi a fatica, ancora mezzo addormentato, e un passo alla volta uscì dalla camera da letto. Si bloccò sulla soglia del piccolo soggiorno e non poté fare a meno di sorridere.
Laurel era seduta alla scrivania. I capelli spettinati raccolti in uno chignon improvvisato. Una ruga di concentrazione sulla fronte. Lo sguardo immerso nella lettura. Con una mano reggeva un librone enorme, con l’altra piluccava il pranzo dal carrellino del servizio in camera. Una gamba tirata al petto e l’altra che penzolava giù dalla sedia. La maglia dei NY Giants le copriva a mala pena le cosce.
Era completamente sveglio, adesso.
«Credo che il mio concetto di vacanza romantica sia diverso dal tuo».
Laurel sollevò lo sguardo dal libro e gli sorrise.
«Buongiorno, dormiglione!».
Oliver si chinò su di lei e la baciò sulle labbra.
«Dico sul serio, Miss Lance. Il dormire insieme presuppone anche lo svegliarsi, insieme».
«Be’, dato che un certo figlio di papà di mia conoscenza è abituato ad alzarsi all’ora di pranzo e che io invece alle otto sono già sveglia come un grillo, ho pensato di portarmi avanti con lo studio».
«Secchiona».
«Studiare per superare gli esami è la mia missione. Dovrebbe essere anche la tua».
«No». Oliver le strappò via il libro e lo scaraventò sul divano. «La mia missione è avere una cattiva influenza su di te». La afferrò per la vita e se la caricò sulla spalla. «E riportarti a letto. Subito».
Laurel strillò e tentò di divincolarsi dalla sua presa picchiandolo sulla schiena, ma quando lui la distese sul letto, non ci mise molto a disfarsi da sola della maglia dei NY Giants.




Oggi


Si era svegliata perché le scappava la pipì. E quando le scappava la pipì, non riusciva più ad addormentarsi. Fu solo dopo aver scalciato le coperte (che erano grigie, non cosparse di mini Tardis blu come il suo piumone) e dopo aver poggiato i piedi sul pavimento (che era ghiacciato come una lastra di metallo e non morbido e caldo come la moquette della sua camera da letto), che si rese conto nell’appartamento di chi si trovava, del cosa aveva fatto con quel chi, e che il chi in questione non c’era più. Al suo posto, sul cuscino (grigio, in pendant con le coperte), solo un post-it sul quale era stato scritto in una calligrafia frettolosa Eureka!, seguito da un cuoricino.
Felicity ridacchiò.
Dopo aver espletato i pressanti bisogni fisiologi in bagno, si diresse in soggiorno avvolta nel lenzuolo (grigio anche quello, ovvio), alla ricerca di un bicchiere d’acqua. Trovò invece un altro post-it attaccato al monitor del computer.
Doppiamente eureka!
E un altro cuoricino.
A quanto pareva, era stata una notte densa di eventi per Mr Cinquanta Sfumature di Grigio. Stava dando una sbirciata agli appunti sparsi sulla scrivania, sempre avvolta nel lenzuolo, quando la porta d’ingresso si aprì.
Un Ray Palmer parecchio impolverato ed escoriato esibiva un sorriso a quarantasei denti e reggeva sotto braccio uno scatolone stracolmo di roba. Posò la scatola per terra e corse ad abbracciarla di slancio. Felicity per poco non si fece scappare il lenzuolo.
«Ray, dove sei stato? E che diavolo ti è successo? Stai bene?».
Lui si slacciò dall’abbraccio, sempre con espressione entusiasta.
«Funziona! L’esoscheletro funziona!».
Felicity lanciò un’occhiata alla scatola sul pavimento e aggrottò la fronte.
«A giudicare dallo stato in cui si trova, avrei detto il contrario».
«Uhm? Ah, no. Quello è stato solo un piccolo incidente. Hai presente Icaro? Ecco, uguale. Solo che le mie ali invece di sciogliersi si sono congelate. Ma penso già di sapere come risolvere il problema. Bisogna trovare una lega metallica che garantisca l’integrità della fusoliera e mantenga al contempo il giusto rapporto potenza-peso. In questo modo la pressurizzazione dell’involucro rimarrà…».
«Ehi, frena un secondo! Stai dicendo che sei precipitato?». Felcity sgranò gli occhi. «Oddio, aspetta! Questo significa che sei riuscito a volare?».
Ray ammiccò.
«Vedo che hai colto il punto, finalmente. Mi spiace di esser sgattaiolato via dal letto, stanotte, ma non potevo aspettare. La soluzione dell’equazione è arrivata all’improvviso. Boom! Come un fulmine al ciel sereno. Quindi forse avrei dovuto dire kaboom». Ray scosse la testa. «Ad ogni modo, sei arrabbiata con me?».
Felicity fece finta si pensarci su, grattandosi il mento.
«Naah. Mi spiace solo non averti visto schizzare sopra i tetti di Starling City».
«Be’, dato che parte della mia missione consiste proprio nello schizzare sui tetti di Star City, penso che avrai altre occasioni di vedermi all’opera».
«Già, ma dato che parte della mia missione consiste nel riportarti sano e salvo a terra, prima cerchiamo quella lega metallica di cui parlavi. Anzi, no. Prima ho bisogno di un caffè. E prima ancora di mettermi qualcosa addosso».
Ray sorrise e le cinse la vita con un braccio.
«Perché? Trovo che il mio lenzuolo ti doni molto!».




(Un) Domani (si spera non molto lontano)


La prima volta si era svegliata troppo tardi.
La seconda pure.
La terza proprio mentre la porta si chiudeva alle sue spalle.
Era sempre così difficile, per lei, scrollarsi di dosso il torpore del sonno. Specie se aveva fatto le ore piccole per dare la caccia ai cattivi. Specie se lui si muoveva silenzioso e furtivo come un’ombra che scivola sinuosa lungo le pareti. Poi, però, a furia di dormigli accanto, il suo udito si era affinato. Anche nel sonno. Di necessità virtù, si dice. E adesso bastava uno scricchiolio della scarpa, il lieve ondeggiare del materasso o il fruscio dei vestiti sulla pelle per farle sbarrare gli occhi.
Proprio come adesso.
Felicity sollevò le palpebre come se le avesse chiuse solo due minuti prima (e considerato il tipo di vita che conduceva, non era da escludere). E si mise a sedere.
La luce di un lampione filtrava attraverso la tenda e illuminava il profilo della schiena nuda di Oliver. Una linea luminosa che partiva dalla nuca, tracciava le spalle massicce e colava giù lungo il fianco.
Lui si stava rivestendo. In fretta, ma senza far rumore.
Felicity accese l’abat-jour e incrociò le braccia sotto al seno. Oliver si freddò sul posto. Un braccio infilato nella camicia e l’altro no.
«Cosa mi ha tradito questa volta?», chiese senza voltarsi.
«Non lo so. Forse il fatto che hai smesso di russare».
Le dava le spalle, quindi non poteva vederlo in volto, ma Felicity sapeva che Oliver stava sorridendo, ora. Aveva un sesto senso per i suoi sorrisi. Del resto, Oliver sorrideva così di rado, che quando lo faceva sembrava quasi che il suo sorriso tintinnasse, per avvertire i presenti dell’eccezionalità di quell’evento. Tin tin tin.
«Cosa è successo?», gli chiese.
Lui finì di indossare la camicia e passò agli scarponi.
«Un messaggio da Dig. Una rapina in banca. Il metronotte è stato preso in ostaggio».
Quando c’era da correre a salvare qualcuno, Oliver era sempre velocissimo. Agiva in fretta, ma con ordine e disciplina. Tanto nel preparare un piano, quanto nel vestirsi. Un indumento alla volta, bottone dopo bottone. Pure se i minuti erano contati, trovava il tempo per fare tutto. Meticolosamente. Dava quasi ai nervi guardarlo.
Felicity invece era un caos.
Scattò in piedi. Corse all’armadio. Spalancò le ante. Poi si rese conto che non c’era tempo. Così afferrò il cappotto e lo indossò sopra il pigiama. Saltò nelle prime ballerine che le capitarono a tiro (quelle coi panda). Si precipitò in soggiorno per cercare il tablet. Poi si ricordò che lo aveva lasciato in bagno. Rientrò in camera da letto a raccattare qualcosa con cui legarsi i capelli, per poi sfrecciare in direzione opposta verso... Gli occhiali! Tornò indietro.
Quando finalmente lo raggiunse col fiatone, gli occhiali storti sul naso e i capelli da pazza, Oliver la stava aspettando davanti alla porta d’ingresso, la schiena dritta, perfettamente vestito e in ordine.
«Non è necessario che tu venga in questi casi, te l’ho già detto altre volte. È la mia missione».
«Ed io ti ho già detto altre volte che la mia missione è la tua missione. E poi hai bisogno di qualcuno che ti guidi dall’alto, no? Perciò…». Felicity aprì la porta e uscì. «...si può sapere perché stai lì impalato? Possibile che debba aspettare sempre te?».
Tin tin tin. Eccolo là, di nuovo, il suo sorriso.
Pure se i minuti erano contati, Oliver trovava il tempo per fare tutto.
Perfino per baciarla.
Meticolosamente.







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Note autore:
Dedicata a chi ha criticato Ray per essere sgattaiolato via dopo aver fatto zum zum con Felicity e a chi sostiene che Oliver al suo posto non avrebbe mai e poi mai fatto una cosa del genere, sarebbe rimasto con lei e se ne sarebbe infischiato della missione. Mi spiace, se pensate questo, non avete capito Oliver. E non avete capito nemmeno Felicity, che non chiederebbe mai a Oliver (o a Ray) di non correre in soccorso di qualcuno per restare a letto a farle le coccole.
Dedicata anche a chi ha fatto il parallelismo con la scena della prima stagione (in cui Oliver lascia Laurel da sola nel letto per andare a indossare i panni di Arrow) a dimostrazione che quello di Ray non è vero amore. Oliver nella prima stagione amava Laurel, facciamocene una ragione.
L'idea dell'armatura di Ray che si congela perché si spinge troppo in alto è presa dal primo film di Iron Man. Visto che Ray Palmer ricalca Tony Stark, mi sembrava appropriato inserire una piccola citazione. :P
In ogni caso, spero che queste tre mini-flash vi siano piaciute. Le ho scritte velocemente, spinta dall’ispirazione del momento, quindi nulla di che, ma avevo un bisogno disperato di scrivere qualcosa.
A presto, vannagio

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Capitolo 2
*** Domani (è un altro giorno) ***


ATTENZIONE: spoiler della 3x23. Fanghèrl avvisata, mezza salvata!







Risvegli




Domani (è un altro giorno)


Aprì gli occhi e per un istante non riconobbe il luogo in cui si trovava. Il materasso ondeggiava molto più di quanto avrebbe dovuto ondeggiare un materasso normale e dalla parete di fronte al letto la gigantografia di Elvis lo fissava con intensità. Poi vide la giacchetta da donna appesa all’appendiabiti a forma di chitarra elettrica e gli tornò in mente tutto. Fosse stato per lui avrebbero preso una stanza in un lussuoso hotel a cinque stelle, ma Felicity era stata categorica: non si può fare un viaggio on the road e non fermarsi almeno una volta in uno squallido motel a tema Elvis, è la prima regola delle fughe romantiche in auto.
Nel tentativo di ignorare lo sguardo penetrante di Mr Tutti Frutti, Oliver si guardò intorno e trovò l’altra metà del letto vuota. Quando era uscita? Com’era possibile che non l’avesse sentita? Incredibile ma vero, aveva dormito come un sasso per la prima volta da… sempre, probabilmente. La porta della stanza si aprì proprio mentre lui tentava di mettersi seduto. Desistette subito, però, quando l’ondeggiare del materasso rischiò di fargli venire il mal di mare.
«Odio questo posto».
Felicity ridacchiò.
«A me piace, invece. Mi ricorda Las Vegas».
«Io, Las Vegas, me la ricordo diversa…».
«Be’, agli occhi di un ricco figlio di papà, Las Vegas è sempre diversa». Felicity scalciò via le scarpe e si sedette sul materasso accanto a lui. L’onda d’urto per poco non lo fece ruzzolare sul pavimento. «Sono andata a procacciarmi del cibo. Hamburger con patatine». Passò a Oliver un sacchetto unto, che odorava di olio fritto. «E direttamente dal distributore automatico, una bottiglia di fragolino che, se siamo fortunati, conterrà lo zero virgola zero zero zero zero zero uno per cento di fragolino e il novantanove virgola nove nove nove nove nove nove per cento di colorante alimentare E 120. Be’, non sarà come quel Lafite Rothschild 1982 che mi hai regalato una volta, ma… che ne dici di un brindisi?».
Oliver la fulminò con un’occhiataccia e lei mise su la migliore finta espressione innocente del suo repertorio.
«Che c’è?».
«C’è che non accetterò mai più alcol in un bicchiere porto dalla tua mano dopo che è stata pronunciata la parola brindisi».
«Oh, andiamo, non avevi detto che mi amavi ancora di più per quello che avevo fatto? E poi le mie intenzioni erano buone, lo sai».
«La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni, Felicity».
«Ah ah». Lei scosse la testa. «Non ti conviene giocare a questo gioco con me, perché tu ci hai asfaltato un’intera autostrada con le buone intenzioni».
La risata di Oliver segnò la sua resa, ma Felicity mise via il fragolino con espressione improvvisamente seria.
«A proposito… credo che, prima di intraprendere sul serio questo viaggio insieme, sia meglio chiarire alcune cosette. Sai, voglio godermi questa cosa senza fraintendimenti».
Oliver sbuffò e si lasciò cadere sul materasso.
«Felicity, per la milionesima volta, non credo che un matrimonio a Nanda Parbat abbia valore legale nel resto del mondo. E sono sicuro che Ra’s non abbia avuto il tempo di mandare i documenti a Starling City».
Si beccò un scappellotto sulla fronte.
«Ehi, ahi!».
Felicity aveva incrociato le braccia al petto.
«Non mi riferivo a quello, scemo. Stavo parlando del… dopo. Quali sono i tuoi programmi per il futuro?».
Oliver aggrottò la fronte.
«Pensavo di sistemarmi in una casetta in riva al mare. Magari alle Hawaii».
Felicity scoppiò a ridere.
«E con quali soldi? Da quel che mi risulta, sei ancora uno squattrinato».
Oliver fece spallucce.
«I tuoi soldi, naturalmente. Da quel che mi risulta, i vice-presidenti di una azienda guadagnano un bel po’».
«Quindi è questo il tuo programma? Fare il mantenuto a mie spese?».
«Perché no? Ha funzionato praticamente per tutti i primi trent’anni della mia vita. Squadra che vince non si cambia. Ma potrei anche trovarmi un lavoretto… come custode della villa che comprerai, ad esempio». Si sporse verso di lei, facendo leva sui gomiti, e soffiò a un centimetro dalla sua bocca: «Accetto pagamenti in natura».
Felicity stava trattenendo il fiato, gli occhi grossi come palle da biliardo. Oliver sapeva di averla in pugno, le loro bocche si stavano già sfiorando. Le mise una mano sulla nuca per trattenerla, ma così facendo dovette sbilanciarsi in avanti.
Il materasso ad acqua fece il resto.
Oliver capitombolò addosso a Felicity, che andò a sbattere la testa contro la testata del letto.
«Oh, cazzo. Scusa, ti sei fatta molto male?».
Cercò di tirarsi su per soccorrerla, ma era come tentare di stare in piedi su una tavola da surf mentre il mare è agitato, perciò cadde sul fianco ancora una volta. Felicity si teneva il capo e cercava a stento di trattenere le risate.
«Mi sa che come playboy sciupafemmine sei un po’ arrugginito».
Attese che il materasso sotto di loro smettesse di ondeggiare e poi probabilmente rimase in silenzio ancora un po’ per dare il tempo a Oliver di raccogliere i cocci del suo ego, infine tornò seduta e seria.
«Oliver… lo sai, vero, che non durerà? Intendo…», frullò le dita come a indicare la stanza, «…tutto questo. Noi, la fuga romantica».
«Non capisco, Felicity, mi sembra di essere stato chiaro. Ho detto che…».
«So bene cosa hai detto. E ti ho assecondato perché, dopo tutto quello che hai passato, una pausa te la meriti. Ma sappiamo entrambi che presto o tardi succederà qualcosa che ti farà sentire in dovere di tornare a Starling City. Sarai pure diventato qualcos’altro… ma rimani pur sempre un eroe. Un domani Starling City avrò bisogno di te e tu vorrai correre da lei. Be’, voglio che tu sappia che quel domani io sarò al tuo fianco, perché non ti ho mai chiesto di scegliere tra essere Oliver ed essere Arrow. Tre anni fa non mi sono unita alla tua crociata per il tuo bel faccino. Non che il tuo faccino non sia bello, eh? Hai un faccino delizioso e quelle rare volte che sorridi…». Felicity scosse la testa, come per resettare il cervello. «Mi sono unita alla tua crociata perché volevo essere di aiuto anche io. Mi è sempre piaciuto fare quel che ho fatto con te fin ora. Okay, nella mia testa suonava meno ambiguo di come suona a voce alta, ma…».
Oliver bloccò il fiume di parole accarezzandole la guancia.
«Lo so».
Felicity abbozzò un sorriso.
«Quindi un domani…».
«Domani è un altro giorno. Concentriamoci sul presente, okay?».
Felicity annuì e Oliver sorrise.
«Se riuscissi a capire come muovermi senza fare la figura della pera cotta che casca dall’albero, in questo momento ti bacerei».
Lei gli diede un buffetto sulla testa.
«Che fai? Mi rubi le battute?».
Poi ci pensò lei a colmare le distanze. A quanto pareva, a differenza sua, Felicity non era nuova ai materassi ad acqua. E sapeva esattamente come muoversi.
Grazie al cielo.







__________________







Note autore:
Tanto lo sappiamo che a ottobre Oliver sarà costretto a tornare a Starling City da qualcosa o qualcuno, no?
A presto!

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