Beyond the border

di oSally
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


"La più bella e profonda emozione che possiamo provare è il senso del mistero; 
sta qui il seme di ogni arte, di ogni vera scienza."
                             Albert Eistein


 

Quell'ometto basso e baffuto – si, è un allitterazione. E no, non è casuale. Voglio che si immagini il classico sessantenne grasso abbastanza da risultare più simile ad una palla che ad un uomo – continuava a girare intorno alla ragazza.
 “Si è convinto?”, la voce di Daniel era calma, non mostrava minimi segni di ansia.
 L’uomo non rispose, si fermò invece davanti alla ragazza. Le scostò i capelli biondissimi dal volto. Ella rivolgeva gli occhi verso il basso. Al tocco dell’uomo, le sue guance si colorarono di rosso.
All’ometto quella reazione sembrò non piacere, difatti il suo volto si increspò in una sorta di ghigno.
  “Questa cosa…”, indicò la ragazza seduta sulla sedia, “vuoi farla passare per un essere umano?”, bisbigliava.
 Poi si rivolse al pubblico, “Questa cosa”, indicò nuovamente la ragazza seduta su quella sedia al centro del palco, con gli occhi bassi e le guance rosate, “questa cosa non è un essere umano, è una macchina. Una semplice macchina.”
 “Come spiega il fatto che sia arrossita?”, Daniel continuava a rimanere calmo, in piedi accanto all’omuncolo, le mani incrociate dietro la schiena, l’accenno di un sorriso sul viso.
 “Semplice reazione al tocco, l’avete programmata in modo che così funzionasse.”
 “Per favore, mi provi – e provi a tutte le persone qui presenti – che la mia creatura è nient’altro che ammasso di ferro e io abbandonerò la competizione.
 Il giudice in gara alzò lo sguardo verso il ragazzo. Il suo aspetto lo turbava alquanto. Quei capelli così lunghi svelavano di lui le non nobili origini e un’educazione senz’altro pessima.
 “Molto bene”, riprese a girare intorno alla ragazza. “Alzati”, le ordinò.
La ragazza si alzò, continuando a tenere gli occhi rivolti verso il basso e i capelli che le coprivano il viso.  Il giudice avrebbe voluto spostarglieli, ma, una volta in piedi, la ragazza lo superava in altezza di almeno un metro. 
Rinunciò all’idea e si rivolse nuovamente al pubblico, “quest’affare è semplicemente una macchina, programmata in modo da reagire ad impulsi, ad esempio se io decido di tirarle uno schiaffo…”, riuscì ad arrivare solo ai fianchi. La reazione della ragazza fu un gemito di dolore. “Vedete? Ella nemmeno si muove, piange solo.”
 “Ella sta affrontando un test. Se la picchiasse, verrebbe eliminata dalla competizione, no?”, intervenne il ragazzo.
 “Molto bene, lei ha ragione. Allora proviamo in quest’altro modo”, si rivolse nuovamente alla ragazza, “descrivimi cosa pensi in questo momento, cosa stai provando. Che ne pensi di tutta la gente che ti osserva?”
 La ragazza inclinò leggermente il capo da un lato, quindi rispose, “Credo di essere in ansia, un sacco di gente mi sta guardando”, il tono era rimasto freddo, secco.
 “Visto? Non un’emozione, non una lacrima di ansia, niente. Solo parole. Parole vuote, registrate, nulla di più”
 “Come fate a sapere che non sta provando nulla? Forse è semplicemente timida, no?”
 “Caro signor…”
 “Daniel”
 “Daniel. Bene, un essere umano non può far a meno di mostrare al mondo il suo lato UMANO. Cosa voglio dire? Che un essere umano non assume un colore rossastro solo se reagisce a determinati impulsi, bensì ogni reazione in ognuno è diversa. Ad esempio, lei ora è arrossito. Arrossito per la vergogna di aver fallito. E sulla sua fronte appaiono le prime immancabili goccioline di sudore. Sta sfregando le mani l’una contro l’altra per l’agitazione. Questi piccoli gesti, che in ogni uomo sono diversi e possono presentarsi nelle più disparate situazioni, gesti che la tua amica non sembra aver intenzione di eseguire, proprio questi gesti, queste emozioni involontarie che li provocano, queste fanno di tutti gli esseri umani esseri  viventi. Puoi creare un robot super intelligente, capace di far di calcoli quanto ti pare, ma, signor Daniel, non puoi creare la vita, non puoi creare un’emozione, non puoi creare nulla. Noto la sua tristezza,ma così è, mi dispiace”
 “Capisco…”
 “Frustrato. Ecco un’altra emozione che un essere umano non è in grado di nascondere. La fustrazione. Lei la vede nella sua creazione?”
 Daniel guardò la ragazza; si era seduta nuovamente sulla sedia e sembrava fissare il nulla.
 “Signor giudice, lei ha detto che un essere umano può essere considerato tale nel momento in cui presenta “emozioni”. Così ha detto”
 “Sì, così ho detto, sì”
 “E ha anche citato ad esempio le mie emozioni”
 “Sì, l’ho fatto, quindi?”
 “Quindi mi auto-dichiaro vincitrice della competizione”
A parlare non era stato Daniel, né tanto meno il giudice in gara. A parlare era stata una ragazza. Si era alzata dalla sedia sulla quale era rimasta tutto quel tempo in silenzio, aspettando.
 “Chi è lei?”
 “Io sono Celine, partecipante numero 38 al concorso.”
Il giudice guardò sconvolto prima Daniel, poi la ragazza che lentamente si faceva largo fra la folla e avanzava verso il palco. Nel silenzio della sala risuonava il rumore dei tacchi dei suoi stivali.
Avanzò velocemente verso il palco, non badando ai volti sconvolti. Solo una signora colse la sua attenzione. Dritta e composta sulla sedia, sembrava essere stata attraversata dalla morte mentre giaceva nel suo prezioso vestitino rosa con la bocca spalancata e le lacrime agli occhi. Che orrore.
“Le piace?”, disse semplicemente, passandosi le mani fra i capelli, ma non ottenne risposta, “Oh, scusi. Il blu non va di moda quest’anno?”, sorrise continuando a camminare.
 “Daniel, a te la parola”, disse una volta giunta sotto il palco.
 “Caro signor giudice, lei ha ragione”, iniziò Daniel, “la mia creatura non è altro che un ammasso di ferro. L’ho programmata in modo che reagisse agli impulsi, ma ella non presenta emozioni, né tantomento un cervello umano. Ella rappresenta solo un progresso nella robotica. Ma io, io signore, io, per sua parola, ho mostrato gli stessi atteggiamenti, le stesse emozioni e reazioni proprie di un essere umano, o no? E così, posso fieramente ammettere di essere stato il primo essere umano creato e per giunta, vorrei dire,  da una ragazza di soli venticinque anni.”
La sala rimase in silenzio.
Celine sorrideva. Lo sapeva, sapeva che avrebbe trionfato.
 “Signore...”, salì il gradino che la portava al palco, “il mio premio?”
 “Questo… questo è un affronto”, l’ometto a malapena bisbigliava.
 “Non la sento, mi dispiace”, la ragazza mosse a grandi passi verso il suo compagno, “il mio premio?”
 Il giudice si colorò di rosso, poi di viola, finché non arrivò a sfiorare il blu, “demonio. Sei un demonio!”, si rivolse alle persone che gli erano di fronte, “questa ragazza ha osato paragonarsi al nostro signore, all’unico Dio che abbiamo diritto di dare la vita. Tu!”, nuovamente rivolse i suoi occhi, divenuti così piccoli da nascondere il verde dell’iride, “Satana. Satana è incarnato in te se osi affermare tali oscenità!”
 La ragazza non si mosse, “signore, mi si scioglie il trucco, non vede?”, gli mostrò una mano quasi del tutto bianca a causa del fondotinta che aveva utilizzato.
 “Tu sei il diavolo.”
 “Questo l’ha già detto. Signore, prevedo già le sue critiche, quindi lascia che le dico che qui, adesso, in questo momento, le critiche al buon costume le ritengo alquanto futili. Magari ne riparleremo davanti ad una calda tazza di cioccolata calda. Le darò anche la panna se me lo chiederà. Adesso io sono qui per riscuotere il mio premio, grazie.”
 Il giudice rimase in silenzio. Sembrava star tremando.
Quando si rivolse alle persone in sala, che fino a quel momento non avevano pronunciato parola, il suo tono era cambiato. Non può impaurito, non più sconvolto.
 “Signori, abbiamo davanti ai nostri occhi una blasfema, venuta qui solo e solamente per fare sfarzo della sua superbia. Abbiamo qui la rovina dell’umanità, la degenerazione della scienza che tenta affannosamente di mettersi al posto del nostro Signore. Ma se la sua mente malata, la sua e quella del suo fantomatico ‘amico’ non riescono a cogliere lo squallore del loro atto, bene, vorrei loro ricordare la mia affermazione: lei”, si rivolse ad Daniel, “lei doveva dimostrarmi che la sua creatura era un essere umano, ed io le avrei dato il premio. Ma non mi pare che questa roba sia considerabile un essere vivente”, indicò la ragazza bionda.
 “No infatti, affatto”, Daniel sorrise, “ma lei non è la mia creatura, lei è la sua creatura”, precisò indicando Celine, “Celine è la MIA creatura, così mi disse quando mi diede vita. Lei è la persona che ho il diritto e dovere di proteggere, proprio come se fosse mia figlia, la mia creatura. E su di lei, signore, non credo ci siano dibattiti in merito.”
Il giudice guardò sconvolto la ragazza che lo salutava con la mano.
Il suo sorriso gli ghiacciò il sangue.


 


Bene. Benissimo.
Alloooora, è una vita che non scrivo su questo sito. 
Ma questa storia mi aveva entusiasmata.
Dato che non posso essere considerata per niente una scrittrice (?), ammetto di non avere idea di cosa succederà in questa storia. Volevo provare a farmi trascinare dai personaggi e dalle situazioni e provare a immedesimarmi nel lettore, provare l'ansia o avere curiosità. Insomma, ste cose qua (?)
Quindi...non ho idea di cosa ne uscirà.
Speriamo bene!

Baci,

Sally :3

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Capitolo 2
*** I ***


Per ciascuno di noi v'è un giorno, più o meno triste, più o meno lontano, in cui deve infine accettare di essere uomo.

Jean Anouilh




 
La notizia era sempre la stessa, su qualunque giornale, qualunque rivista, in qualunque programma. Ogni canale Celine scegliesse, vedeva il suo viso su quel palco, mentre, con aria trionfante, stringeva il suo premio fra i volti allibiti dei presenti.
 “Lo sai che non hai vinto ancora niente?”
La testa di Celine comparve da dietro la spalliera del divano, a fissare colui che aveva parlato, “non credi sia già un grande successo? Cavolo, ci hanno concesso la vittoria! Hanno dovuto riconoscere che avevamo ragione.”
 “Che tu avevi ragione”, precisò il ragazzo.
Il volto di Celine si contorse in una smorfia. Si sedette sul divano e spense la televisione, “Vieni qui.”
 Daniel rimase fermo, davanti alla porta d’ingresso, le buste della spesa ancora in mano.
 “Dai, vieni.”
Daniel si avvicinò al divano, ma rimase in piedi a fissare la ragazza.
Celine si dovette alzare.
 “Eddai, Daniel. Va bene che sei un essere umano, ma non per questo ti concedo di farti venire crisi esistenziali”
Il ragazzo la spinse il giusto per poter passare e si andò a sedere sul divano. Prima di accomodarsi, squadrò la fodera  di stoffa, “Com’è possibile che sia rimasta di questo azzurro sgargiante? Avrei scommesso che al secondo giorno ci avresti fatto cadere la tua amata cioccolata calda sopra.”
Celine roteò gli occhi e si sedette accanto a Daniel, “Visto? Sono più brava di quanto tu possa nemmeno lontanamente immaginare.”
Daniel alzò le spalle e si stese sui cuscini abbastanza morbidi da non causare una cervicale ad ogni risveglio.
 “Daniel, smettila, dai.”
 “Non ho niente Sally, sul serio. Voglio solamente riposarmi, sono stanco, lo sai.”
 Daniel vide nuovamente il viso della ragazza trasformarsi nella sua solita espressione contraddittoria. Gli scappò un sorrisetto. Lo faceva sempre, ogni volta che non era d’accordo con lui. Alzava il sopracciglio destro, sgranava gli occhi e stringeva le labbra.
 “Suvvia Daniel”, Celine si sedette sul divano a mo’ di gatto, quindi iniziò a camminare carponi verso Daniel, muovendosi poi sul suo corpo finché il suo viso non raggiunse quello del ragazzo, “per favore, dimmi cos’hai. Non costringermi ad usare metodi…cattivi.”
Notò che Daniel era arrossito. Sentiva la sua erezione premere sulla sua carne anche attraverso i jeans di lui e i suoi pantaloncini di pelle.
 “Ehi, ehi, calmati tigre”, sorrise.
 “Togliti Sally.”
 “Mhm, non mi piace quando mi chiami ‘Sally’, lo sai”, finse un broncio, “allora, me lo dici o no?”
 Il colore rosato di Daniel passò ad un rosso puro, “lo sai”
 “No, non lo so, mi dispiace.”
 Daniel spostò lo sguardo di lato.
 Celine inarcò un sopracciglio.
 “Come puoi avere la certezza di non essere nel torto, Celine? Come puoi essere sicura che loro non si sbaglino?”
 Seguì un istante di silenzio, rotto poi da un sospiro della ragazza, “Ancora…”, premette le mani sul petto del ragazzo per raccogliere la forza di trascinarsi le gambe fino a poterle posizionare ai suoi fianchi. Quindi gli prese con forza il viso fra le mani per poi avvicinarsi con il suo, tanto da far sì che le sue ciocche più lunghe finissero esattamente negli occhi del ragazzo, “Daniel, non è una cosa che ho detto io. Mi è stato confermato dai migliori medici, neurologi, biotecnici, chimici e psichiatri dell’intero paese. Il tuo organismo è psichicamente e fisiologicamente identico a quello di un essere umano, okay? Per l’ennesima volta Daniel, tu non sei diverso da me. Tranne forse che per le nozioni che sai, sei dannatamente più intelligente della sottoscritta.”
 “E’ un’intelligenza che mi hai dato tu, non vale…”
 “Se guardi la questione da un punto di vista etico, non vale nemmeno che quel coso che ci ha rifilato questo premio sia considerato uno scienziato di altissimo livello. Eppure lo è, grazie alle sue innumerevoli conoscenze nel settore. E non mi riferisco alle conoscenze scientifiche.”
 “Cosa c’entra questo, scusami?”
 “Dimostra che l’etica esiste solamente in teoria”, Celine si alzò e si diresse a prendere le buste della spesa, “Hai comprato il pane? Sai che non vivo senza pane!”
 Daniel la ignorò, “Io non capisco, mi sfugge qualcosa, perché il mondo si sta ribellando a ciò che hai fatto? Tu hai semplicemente trovato un modo per creare la vita umana, perché se la prendono tutti con te?”
Celine ammiccò un sorrisetto, “l’essere umano è una creatura così debole, ha un necessario bisogno di sicurezze, di consolazioni. Tu pensa, da secoli in cui vigeva la certezza di un mondo ultraterreno, si è arrivati ad un periodo di quasi totale ateismo. E allora l’uomo ha dovuto ricercare nuove certezze. E dove le ha trovate? In se stesso. Il culto dell’essere umano era diventato così importante, così…fondamentale, oserei dire. La specie prescelta, la specie perfetta. E questo non faceva che fornire all’uomo altre certezze, riusciva ad avvicinarlo ad un Dio ormai dimenticato, riusciva a farlo essere in armonia con se stesso. E cosa succede? Che una ragazza di soli venticinque anni scopre che in fondo la vita non è qualcosa di così grandioso, che la vita può essere creata grazie alla scoperta di un sistema che riesca a far interagire fra loro cellule neuronali. Cosa ho fatto io, Daniel? Io ho distrutto tutte le certezze dell’essere umano, io ho disintegrato l’importanza della vita, l’ho resa un’inutile reazione chimica fra cellule, capisci? Ho ridotto l’umanità a materia, a pura e sterile materia. Questo non lo accetteranno mai, mai ti dico. L’uomo è troppo debole per ammettere la propria miseria.”
 Daniel piegò la testa di lato, non del tutto convinto.
Celine sorrise, “Daniel, non sei un cane. So di non aver creato un cane, quindi non reagire come reagirebbe un cane!”
 “Come sai di non aver sbagliato?”, il ragazzo chiuse gli occhi per un istante, quindi li fissò in quelli della ragazza, “Tu hai detto di aver ridotto la vita a pura interazione fra cellule, no?”
 “Sì. Sì, l’ho detto.”
 “Bene”, Il biondo emise uno sbuffo prima di continuare, “e se tu avessi sbagliato? Come puoi essere certa di non aver mancato anche la più piccola cosa, la più misera particella? Non puoi esserne così sicura.”
Sentì le mani di Celine toccargli i capelli. Era uscita dalla cucina dove aveva posato la spesa. Non l’aveva sentita.
 “Daniel, tu lo sai cos’è la meiosi?”
 “Sì”
 “Perfetto. Quando si studia il processo di meiosi, periodicamente si elencano anche tutte le possibili malattie che possono verificarsi in caso del più misero errore. E sono tante, tantissime. Tante che inizi quasi a pensare che effettivamente è un miracolo se sei così sano. E sai cosa? E’ veramente un miracolo. La maggior parte delle persone ha qualche difetto, direi quasi tutte. Eppure lo ignorano, non lo sanno. Ma la loro vita è una degna vita da esseri umani.
Perché? Non lo so. Forse perché presentano in tutti i casi una coscienza…più o meno. Anzi no. No, affatto. Una coscienza non la hanno per niente! Ma tu vedi quanta gente non presenta un minimo di umanità? Eppure vengono definiti esseri umani. Cavolo, perché secondo te? Perché sono nati da altri esseri umani? Beh, in quel caso, allora, l’umanità la si trasmette per eredità, come i titoli nobiliari in passato? O semplicemente il codice genetico che fa di noi quello che siamo ci rende umani? Perché in questo caso, ciccio, il tuo non differisce dal mio se non per quello dello 0.1% di DNA diverso in ogni persona.
 Daniel sorrise, “Lo sai che hai sparato una serie di concetti non aventi nessun legame fra loro?”
 “Caro, se li ho uniti, vuol dire che un legame esiste eccome! E comunque, il motivo di tutto questo discorso è uno solo: non esiste un canone effettivo per giudicare l’umanità. Non esiste. E comunque, come ti ho già detto e ridetto innumerevoli volte, sia da un punto di vista fisico sia psicologico, tu sei un essere umano a tutti gli effetti. Basta. Fine del discorso.”
 “Se è così ovvio… perché ho ancora dubbi Sally?”
 Celine ridacchiò. Si voltò di schiena e s’incamminò verso la cucina a passo lento e sì, muovendo sinuosamente il fondoschiena per attirare l’attenzione del ragazzo su ben altro argomento, “Sei un essere umano. La tua più grande disgrazia è e sarà per sempre il vivere con il perenne dubbio dell’esistenza. Diceva Pascal, un filosofo abbastanza importante a detta di tutti, che l’uomo non può conoscere nulla di sé né tanto meno della natura, nel cosmo, né di Dio. Così vive nella perenne incertezza, in una perenne miseria. Miseria dalla quale nasce una grandezza infinita, grandezza che ha origine nel tentativo assiduo dell’uomo di migliorare la propria posizione. Sempre. Di aspirare a qualcosa di più. Così, come io aspiro ad una cioccolata calda molto più densa, tu aspiri ad una piena realizzazione come effettivo essere umano. Non riuscirò a farti capire che non esiste differenza fra te ed un bambino nato da una madre. Mah, non capisci la fortuna di non essere stato espulso da una vagina puzzolente.”



 
 
“Cosa vi rende uomini e cosa vi rende donne?”
 La classe era rimasta in rispettoso silenzio. I bambini erano consci che un intervento non sarebbe stato gradito.
 “Il lavoro. Il lavoro! Voi dovete buttare il sangue, capite? Voi dovete spaccarvi la schiena per arrivare dove dovete arrivare. Avete un’idea? Avete un obiettivo? E’ quello che dovete raggiungere. Mai accontentarsi, mai rassegnarsi, né farsi vincere dalla pigrizia. Se soccomberete ad una di queste cause di fallimenti, bene, e allora sarete effettivamente degli inetti, dei veri e propri falliti. Falliti come esseri umani.”

                                                ***

 
  “Cel guarda che non devi prendere sempre alla lettera quello che ti dice la gente. Quando la prof parlava, ella si riferiva, in generale, all’atteggiamento da assumere nei confronti della vita.”
 Celine guardò l’amico. Trattenne un riso. Quel ragazzetto, così magro, così pallido, quel ragazzetto a cui lei voleva così bene non avrebbe mai raggiunto il suo obiettivo, mai realizzato qualcosa di concreto nella sua vita miserevole. Una vita da umano.
 “Non mi interessa cosa diceva quella palla di lardo, Max, non mi interessa minimamente. A me interessa quello che penso io e quello che ho intenzione di fare io nella mia vita.”
 “Il tuo obiettivo è dimostrare che la vita non esiste…”
 “Già. E ci riuscirò. E sarò premiata come colei che avrà distrutto l’essere umano. Capisci? Mi ameranno per averli fatti odiare. Tenteranno di zittirmi, tenteranno di tenermi a bada, ma non ci riusciranno. Il mondo saprà che la vita come la intendiamo è solo un’invenzione di una mente troppo sviluppata, una mente che si è lasciata corrompere dalla paura, dall’inquietudine ed è stata trasportata verso credenze, verso sfere metafisiche che l’hanno distolta da tutto ciò che era utile e materia. Perché si dice che l’istinto umano stia sparendo? Per questo. Mi dirai tu, ‘qual è il problema? Siamo creature più buone, più rispettose.’
Ed è vero. Oh, verissimo. Ma siamo anche più tristi, più depressi, più insofferenti. Ci siamo proiettati verso qualcosa che non ci appartiene ed io ho intenzione di estirpare questo qualcosa dalla mente dell’uomo una volta per tutte.”
Max guardò l’amica con diffidenza. Il suo nuovo taglio non gli piaceva. Aveva sempre amato i capelli lunghissimi di quella ragazza. Lunghissimi e neri, dello stesso colore della sua pupilla. L’unico colore capace di attrarre, di confondere, di disperdere. Erano un vuoto, un buco nero nei quali perdevi ogni cognizione di spazio e tempo. Invece quel nuovo tagli così corto, accompagnato per di più da un colore bluastro, non facevano altro che distruggere la personalità della ragazza, rendendola finta, vuota. Sterile. In un primo momento aveva pensato che Celine fosse la tipica persona da scoprire, con la quale ci si poteva perdere in un mondo diverso, che circondava lo spazio intorno a sé di un’atmosfera sì cupa, ma altrettanto affascinante. Si rendeva conto, invece, dopo due anni che la frequentava, che era semplicemente pazza. Un’esaltata, una persona che doveva aver subito così tanti traumi da non riconoscersi più in quella che era o in quella che era stata. Una persona che aveva bisogno di un cambiamento. Un cambiamento che, Max ne era sicuro, sarebbe stato più che radicale.

 


Salve salvino! (?)
Bene, ovviamente in ritardo, aggiorno oggi!
Non so, va beh, dovrei scolpire una statua in puro oro per tutti coloro che seguono, che recensiscono e che addirittura aggiungono alle preferite (O_________O) la mia storia. Davvero, grazie mille :3

Veramente, spero di non deludervi. 
E niente, ci sono una marea di cose che devono essere chiarite, lo so. Lo farò più in là. Se no che sfizio ci sta?
- Sì, me le devo chiarire io per prima.


Baci, baci,

Sally <3

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Capitolo 3
*** II ***



"La scienza può solo accertare ciò che è, ma non ciò che dovrebbe essere,
e al di fuori del suo ambito restano necessari i giudizi di valore di ogni genere"

Albert Einstein




 


Quando Daniel aprì gli occhi per la prima volta, Celine quasi svenne. Ovviamente nessuno seppe mai di questa sua reazione, eppure gli occhi della ragazza si inumidirono.Guardò la sua creatura: era perfetta. Perfettamente identica a come l’aveva immaginata, poteva intravedere lo stesso sguardo, la stessa ‘anima’.
Gli andò vicino.
 “Ciao.”
Il ragazzo non le rispose; si guardava intorno.

Celine si sarebbe aspettata una reazione alquanto diversa: urla, terrore, un ragazzo spaesato, diverso. Non ci credeva nemmeno lei che fosse possibile creare una vita umana.
Eppure la reazione di Daniel la sorprese; non appena ebbe pronunciato il suo ‘ciao’, il ragazzo si girò verso di lei e puntò lo sguardo nei suoi occhi. La scrutò a lungo, quindi chiuse gli occhi,stringendoli. Forse stava cercando di ricordare qualcosa, pensò Celine, ed aveva ragione. Quando aprì gli occhi, sorrise, “Ciao”, disse, “Grazie per avermi fatto nascere.”
Celine si era aperta di un sorriso che le aveva preso metà del viso. Ci era riuscita veramente.
Si alzò in piedi e si risedette per poi alzarsi nuovamente e buttarsi a terra. Si stese a fissare il soffitto della cantina, gli occhi sgranati e quel sorriso. Un sorriso che piano piano si ridusse sempre di più, fino a somigliare quasi ad un ghigno. Ce l’aveva fatta. Aveva vinto, vinto su tutti.
Vide il capo di Daniel fare capolino dal lettino, “Tutto bene?”, le chiese il ragazzo.
Ella si rialzò tanto velocemente da sentire la sua testa girare e dovette appoggiarsi al lettino. Daniel tentò, inutilmente, di aiutarla.
 Come ti senti Daniel?”, chiese, dopo aver, con un brusco movimento di bracio, rifiutato l’aiuto del ragazzo.
 Daniel si guardò intorno per qualche istante, “Confuso, direi.”
  “Oh, sì, immagino”
 “Cerco di riorganizzarmi i pensieri, credo.”
 Celine ridacchiò, “Sai dove ti trovi?”
 “Londra, 14 giugno 3999”,sembrava più una domanda.
 Celine rise ancora, “ti ho potuto dare tutte le mie conoscenze, ma non di più perché in caso contrario sarei stata gelosa, e non di meno, perché in caso contrario mi avresti fatto schifo.”

 “Sei simpatica”, notò Daniel.
 “Non mi conosci.”
 “Credo di conoscerti dal tuo punto di vista e credo che questa sia una cosa alquanto inusuale.”
 “Lo è, lo è”
 “Questa cosa non va bene… io so ciò che pensi e ciò che sei, ma tu non sai cosa penso e cosa sono io.”
 Celine si aprì in una smorfia che a Daniel fece quasi ridere, “Ciccio, io ti ho creato. Io ti conosco meglio di quanto ti conosca tu.”
Daniel si avvicinò alla ragazza, lentamente, a causa delle gambe ancora indolenzite, “Ciccia, una madre fa nascere suo figlio, ma non per questo può affermare di conoscere la sua anima.”
Celine sgranò gli occhi, “Tu non hai un’anima!”
 Daniel sorrise, “Nemmeno tu.”
***

 “Dovresti vederlo, Max, è perfetto, perfetto! Io…io l’ho fatto davvero! Io ho creato veramente un essere umano! Dovresti vedere come pensa, cosa dice…nemmeno io mi sarei mai aspettata che sarebbe potuto essere così perfetto.”
Max non rispose. Guardò la ragazza. Non gli piaceva ammetterlo, anzi si sentì in colpa al sol pensare una cosa del genere, ma si ritrovò a constatare quanto in quel momento gli facesse schifo quella ragazza, ciò che aveva fatto e la sua mente malata.

 “Tu sei pazza, Celine.”
 “No, no Max, io sono un genio! Per favore, devi venire a vederlo. E’ qualcosa di meraviglioso. Max, tu non puoi capire, okay che io gli avevo dato una conoscenza, lo sai, ma lui è stato in grado di elaborare tutti i pensieri e tutte le nozioni che io gli avevo dato per crearne di suoi! Quando si è svegliato, ha subito capito di dover riordinare la sua mente, di dover rispondere al mio ‘Ciao’. E mi ha anche risposto a tono! Dovresti vedere che caratterino che ha! Te lo giuro Max, io non ci posso credere, ma quel tipo è veramente un essere umano. Insomma, ovviamente non posso averne la certezza, ma i suoi organi funzionano esattamente come i miei, il ritmo cardiaco è perfettamente nella norma, ogni singolo nervo è perfetto! I suoi neuroni, oh, dei suoi neuroni non ce ne sta uno che non funzioni correttamente. E il suo cervello! Max, il suo cervello funziona perfettamente! L’unica cosa di cui mi dispiaccio è non essere stata in grado di capire come ‘accendere’ le altre parti, ma sarà il mio prossimo obiettivo!”
Ci sarebbero stati moltissimi punti di quel discorso che Max avrebbe voluto contestare, ma in quel momento l’unica cosa che gli venne in mente fu, “le altre parti?”
Si morse la lingua per quella domanda. Implicava un interessamento, implicava un punto a favore per la ragazza.
 “Sì, le altre parti. Quelle zone del cervello che nemmeno noi usiamo. Lo sai, i miei studi e questo mio esperimento si sono basati tutti sulla riproduzione di un essere umano vivente e cioè me – fatta eccezioni per vostre ...caratteristiche? maschili”, le scappò una risatina, “non ho fallito nemmeno lì, non so se mi spiego.”
 “Questa cosa ti sfuggirà dalle mani Cel”, Max la  fissava senza badare troppo a ciò che diceva, “se hai creato veramente un essere umano, se ci sei riuscita davvero…non potrai gestire i suoi sentimenti, le sue emozioni e le sue paure. Tu non sai incontro a cosa sei andata.”
Celine lo guardò torvo, “Perché mi vai sempre contro, Max? Non mi hai sostenuto nemmeno una volta in questa cosa e lo sai quanto ci tengo!”
Max la guardò con compassione, “lo sai che ti voglio bene. Ma non dovevi farlo, hai distrutto – e continuerai a distruggere – ciò che restava di te, ti sei gettata da una montagna.”
 “Tranquillo, aprirò il paracadute.”
 “Lo spero…”

 
***
 
 
 
 
 
 
 
 
Quando Celine era tornata a casa, era già mattino inoltrato. Si era svegliata presto in modo da trovare almeno una delle macchine libere. Adorava il nuovo provvedimento del suo quartiere: il fitto di queste nuove macchine che camminavano ad energia solare. La cosa entusiasmante – o almeno, il motivo per cui Celine le amava particolarmente – era che grazie al fatto che avevano ri-asfaltato la strada con questo nuovo materiale che, da quanto la ragazza era riuscita a capire, era stato prelevato direttamente da Giove, e che faceva in modo che al passaggio delle macchine si creasse un campo magnetico e, così, la macchina non toccava nemmeno terra. L’energia che circolava nella terra non era però pericolosa per l’essere umano, in quanto il materiale riusciva ad isolare il corpo e renderlo sicuro. Il meccanismo non le era chiarissimo, ma non ci si era mai applicata troppo. Lo avrebbe fatto nel momento in cui un’innovazione del genere le sarebbe servita per qualche esperimento. Era comunque soddisfatta del progresso scientifico anche perché, ne era certa, si era vicino all’ideazione di macchine volanti.
Quella mattina aveva dovuto fare lei la spesa: toccava a Daniel dormire di più. Era andata nel supermercato più vicino a l’aveva trovato vuoto. Ormai non era più d’usanza andare a comprare nei supermercati, eppure lei rimaneva attaccata alle vecchie tradizioni della sua famiglia, il mondo era diventato troppo tecnologico e, per quanto lei ringraziava il mondo scientifico per questo – come avrebbe potuto portare avanti i suoi esperimenti, in caso contrario? – d’altra parte, amava la semplicità di una mattinata passata a (non) fare la fila al supermercato e a parlare con qualcuno. Il mondo era diventato troppo chiuso. Nonostante tutto, ancora ricordava le parole di suo padre e, seppur di malavoglia, le amava e le rispettava tutte. Per quanto avesse cercato di allontanarsi da tutto quello che era stato quel mondo, si scopriva sovente ad amarlo, a trovarlo familiare, più familiare del suo laboratorio. Alla fine, perché si era trasferita in quel paese quando avrebbe invece potuto avere a disposizione i super attrezzati laboratori di Londra?
Amava quell’ambiente, amava quella pace e amava le persone che la vivevano.
Anche se dall’ultima volta che era apparsa in televisione, la gente o non le parlava o le rivolgeva troppe domande. E tutti, tutti le chiedevano di Daniel.
Il paradosso era che con Daniel si comportavano normalmente.
Gli esseri umani erano veramente strani e ipocriti.
 
Guardò la lettera che aveva sul tavolo con ripudio.
 “Cos’è?”, Daniel entrò nella cucina, ancora in pigiama.
 “Ci invitano al congresso della scienza.”
 Daniel sgranò gli occhi, “Non pensavo che l’avrebbero fatto”
 “Nemmeno io, sinceramente. Si è scatenato così tanto odio nei nostri confronti che pensavo fossimo stati banditi dal mondo scientifico”, ridacchiò, “a quanto pare un po’ di cervello per capire la nostra genialità ce l’hanno.”
 “La tua, Celine.”
 “La mia.”
 Daniel sbuffò, “Sei un’esaltata, lo sai?”
 “Sì, e lo sai anche tu”, gli si avvicinò e lo baciò.
Istintivamente Daniel sgranò gli occhi; non era frequente una manifestazione d’affetto da parte di quella ragazza. La sollevò, portandole le gambe dietro la sua schiena, in modo che Celine potesse incrociarle, per reggersi meglio. Daniel la strinse forte, mentre la baciava. Gli piaceva dannatamente accarezzarle la schiena, stringere la sua pelle fino a farla gemere, per il lieve dolore. Era una cosa che lo faceva eccitare dannatamente.
Celine si stacco dal suo viso all’improvviso, come sempre, “Ci andiamo?”, chiese.
Daniel rimase a fissarla. Aveva sempre pensato che fosse bella, bellissima e non aveva mai capito se i suoi sentimenti fossero paragonabili a quelli di un essere umano reale o erano solo frutto della sua riconoscenza alla ragazza per avergli regalato la vita. Era una cosa che provava solo per lei e non poteva spiegarselo. Perché proprio lei doveva causargli quello strano effetto fisico e psicologico?
Celine conosceva benissimo i dubbi di Daniel e Daniel questo lo sapeva. Eppure non riusciva a capire perché non li colmava, perché non gli dava delle risposte.
  “Daniel!”
 “Sì, ci andiamo”, rispose calmo, “è la tua occasione per parlare con altri scienziati, magari a qualcuno piaci, magari vedi di fare qualcosa nella tua miserevole vita.”
 Celine gli tirò i capelli e tornò con i piedi per terra, “Ciccino, tu lavori per me. Se sono miserabile io, lo sei ancor di più tu.”
 Daniel la ignorò, “Quand’è questa specie di festa/riunione?”
 “Domenica sera”
 “Ti servirà un vestito elegante?”
Celine si voltò a guardare il riflesso che i vetri della sua veranda creavano. Scrutò i suoi stivali neri, forse un po’ troppo alti e le sue calze a righe.
Scosse la testa, “No. So che l’aspetto che ho è appariscente e so che mi odieranno per questo. Ma Daniel, questa sono io, capisci? Questi capelli e questa sorta di maschera che ho sono parte di me”, si girò verso il ragazzo, “Amo ciò che sono e farò in modo che anche gli altri mi possano amare così!”
Alzò i tacchi e si diresse verso il soggiorno. Voleva prendere il suo cellulare dal divano, ma evidentemente, pensò Daniel, fare il giro era troppo faticoso, così aveva preferito prenderlo da dietro, abbassandosi il giusto per vincere l’altezza dello schienale del sofà. Quel giusto per mettere il evidenza tutte le doti che la natura le aveva regalato.
Daniel sbuffò; quella ragazza lo avrebbe fatto impazzire.
 
***
 
 



Londra, luglio 3998
 
 “Cel,cosa fai?”, Ciò che Max avrebbe voluto – e dovuto – fare era girarsi ed innervosirsi per l’atteggiamento dell’amica, ma era pur sempre un ragazzo in preda ad una tempesta ormonale e il suo istinto animalesco gli impedì di voltarsi.
Celine guardò il ragazzo con finta aria ingenua, “Perché?”
Max, il viso ormai irrimediabilmente rosso, indicò la maglietta che lei aveva fra le mani.
Celine avrebbe preferito continuare la commedia da finta-ingenua, invece scoppiò a ridere, “Tranquillo ciccio, le mie tette non sono abbastanza grandi per farti, come dire…agitare?”, poggiò la maglietta sul lettino e si guardò allo specchio.

Max rabbrividì; in generale quell’ambiente, così piccolo e angusto, lo inquietava e lo metteva a disagio. Odiava il laboratorio di Celine, o del padre, del nonno o bisnonno, insomma di chi fosse o fosse stato. Non che ci avesse capito troppo di tutta quella storia, ma in generale non gli piaceva come posto. Aveva visto il padre della ragazza solamente una volta e la reazione che aveva avuto ancora faceva ridere l’amica. Quell’uomo era spaventosamente inquietante, sembrava vivere per i suoi esperimenti, ma ciò che più aveva preoccupato Max era il fatto che sembrava aver voluto sua figlia solo perché fosse in grado di portarli avanti.
Era un uomo così contraddittorio, amava la scienza e il progresso in campo, d’altra parte criticava la società e il progresso tecnologico che, a detta di lui, stava portando alla distruzione della loro madre. Era un uomo amante di ciò che restava della natura, promotore di una campagna a favore della salvaguardia dell’ambiente. Grazie a lui così tante zone del paese erano state riabilitate, tante foreste e tanti laghi salvati. Era riuscito a far installare pannelli ad energia solare in metà del paese e ad innovare i prototipi di macchine che funzionassero interamente ad energia solare  - anche se non aveva ancora trovato il modo di farle camminare anche di notte. Eppure era un uomo veramente strano, aveva lavorato a qualcosa di più, all’ideazione del robot perfetto, un robot che fosse creato con parti interamente umane. Era da quello che Celine aveva preso spunto per il suo esperimento, anche se i suoi progetti erano molto più alti, molto più macabri e molto più presuntuosi.

Così, se già quell’ambiente lo metteva a disagio, vedere la sua migliore amica, se così poteva definirla, spogliarsi davanti lui, di certo non lo faceva sentire meglio.
Dopo essere rimasta solo in intimo, Celine iniziò a maneggiare con le forbici.
 “Cosa fai?”
 “Mi taglio i capelli!”
 Max sgranò gli occhi, “Come sarebbe ‘ ti tagli i capelli’?”

 Non ottenne risposta, vide semplicemente quei capelli che aveva sempre considerato meravigliosi, perfetti, cadere a ciocche sul pavimento. Non ebbe nemmeno il tempo, né tantomeno la prontezza di correre e levarle quell’aggeggio di mano che Celine si girò verso di lui sorridendo, “Allora? Non è meglio?”
Max storse il viso, “No”, si era lasciata semplicemente un caschetto con le due ciocche davanti più lunghe e la frangetta.
A quel punto, senza interessarsi più di tanto del parere dell’amico, Celine prese dalla borsa quella che gli sembro una boccetta di pittura. Non sbagliava. Era davvero pittura, una di quelle per il viso, ipotizzò(in realtà ci sperò, perché sapeva che l’amica era così folle da potersi senza problemi ricoprire il viso di autentica pittura) ed era bianca. Senza rifletterci più di tanto, Celine se la passò sul viso, finché ogni parte della sua pelle così candida venne coperta. Alla fine, prese quella che lui scambiò per pittura nera e se la passò sugli occhi; intorno a quello destro disegnò un cerchio, intorno a quelli sinistro, invece, disegno una sorta di punta di freccia verso il basso.
Infine indossò delle calze rigate, un pantaloncino di pelle ed una camicia a maniche lunghe con tanto di fiocchetto nero all’altezza del petto.
Si girò nuovamente verso l’amico, “Manca solo la tinta blu ed è perfetto, perfetto!”
Max la guardò disgustato, ciò che rimaneva della sua amica erano solo le iridi degli occhi, sempre e perennemente di quell’azzurro che lui definiva ‘perfetto’, non troppo chiaro, non troppo scuro. Un azzurro puntellato da varie sfumature più scure che sembravano ballare in girotondo intorno alla sua pupilla nerissima.
 “Perché questa cosa, Cel?”
 “E’ il mio nuovo aspetto!”, dichiarò soddisfatta la ragazza, “Questa”, rimarcò la parola passandosi le mani per tutto il corpo, “E’ quella che sono io.”
Il ragazzo non riusciva a chiudere la bocca, non sapeva se era di fronte ad una presa in giro o in generale frequentava una ragazza con seri problemi mentali. Ciò che fondamentalmente lo preoccupava in quel momento era che egli era sicuro che l’ipotesi più accertata fosse la seconda.

 “Scherzi?”
 “Affatto.”
Quella ragazza aveva dei gravissimi problemi e Max iniziava ad esserne seriamente spaventato.

 

Allora eccomi qui,
prima di tutto, in questo capitolo della storia "corrente" c'è poco, perché ho preferito aggiungere qualche Flash per poter rendere più chiara la situazione dei personaggi che non mi piaceva far uscire dalla storia. Non so se questa cosa possa piacervi o no, fatemi sapere. Dovete sapere che, per quanto mi sto iniziando ad affezionere a questa storia - lo ammetto - essa è una specie di esperimento: sto cercando, appunto, di sperimentarmi e cercare nuove teniche o cose del genere. 
Quindi fatemi sapere perché qualunque consiglio o critica(costruttiva) sono ben accetti!
Per quanto riguarda la trama, finalmente sta prendendo piede anche nella mia testa (che """""scrittrice"""""" pessima che sono ahaha) e così inizio a delineare un po' il tutto. Nel prossimo capitolo finalmente si saprà qualcosai di più in merito alle reazioni del mondo di fronte alla creazione di Daniel e all'atteggiamento di Celine nei confronti dell'umanità in generale!
Potrei ridardare a scriverlo, causa viaggio di una settimana, ma spero che voi possiate continuare a seguirmi e, a tal proposito, ringrazio tutto coloro che mi hanno aggiunto alle seguite e che recensiscono questa storia. Grazie davvero :3

a presto,

oSally

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Capitolo 4
*** III ***





"Al congresso sono tanti, dotti, medici e sapienti,

per parlare, giudicare, valutare e provvedere

e trovare dei rimedi per il giovane in questione."

Edoardo Bennato 

 

 

 



 

 

 

 

 

Il tappeto rosso che accompagnava i suoi passi, i tacchi di non troppo aggraziate signore che calpestavano quella stoffa, le luci e tutti quei volti toccarono immediatamente i nervi di Céline. Poi le voci. Tantissime, diverse, rumori insopportabili che si accavallavano tra loro dando origine quell’insopportabile mormorio. Erano sicuramente l’elemento più intollerabile.
Céline si fermò di botto per inquadrare la situazione. Il palazzo che le si stagliava davanti era incredibilmente diverso dal giorno prima. Aveva preso le sembianze di una di quelle milioni di antichissime regge di cui aveva studiato: intorno a tutto l’edificio erano state applicate migliaia di luci e ologrammi dei più illustri scienziati della storia camminavano sui muri, da Darwin ad Eisten, passando per Boyle, Mariotte, Avogadro e Higgs, fino ad arrivare ai più recenti. Insomma, per ogni disciplina ne appariva uno.
La ragazza storse il naso; in confronto la gente che camminava a testa alta sotto quel palazzo era un ammasso di formiche. Si voltò verso Daniel e si compiacque nel vedere l’espressione che immaginava dover avere assunto lei dipinta sul viso del suo complice.
 “Allora, Daniel?”
 “Mi aspettavo qualcosa di più decente effettivamente.”
 Céline ridacchiò, “Sono un mucchio di montati. Non sarà una serata divertente.”

  “Guarda lì”, Daniel posò una mano sulla spalla di Céline, si abbassò per arrivare all’altezza della ragazza in modo per avere la sua visuale e poter indicare con precisione, “Lì vicino quell’auto. Guarda chi c’è”
 Céline seguì la direzione tracciata dall’indice di Daniel finché non si imbatté in un paio di baffi fin troppo noti. Sgranò gli occhi, “Cosa ci fa quel tipo qui? Non è mica uno scienziato!”
 “Non lo so, magari è un famoso inventore, che ne sai.”
 “Con il cervello che si ritrova? Non direi, impossibile”, Céline storse il naso. In un istante il suo volto assunse però un’espressione più preoccupata che innervosita, “Non troveremo mai qualcuno che ci appoggi, Daniel, qui sono tutti così…falsi? Cioè guardali! Guarda le donne, tutte tacchi e colori. Scommetto che sono tutte mogli di scienziati mediocri che nessuno conosce che per avere un minimo di attenzioni si sono dovuti portare le belle donne. Magari non sono nemmeno realmente loro coniugi”, si voltò verso Daniel, “A nessuno di queste persone interessa realmente il progresso scientifico. Nessuno dei più importanti si presenterà a questa sottospecie di congresso, vedrai.”
 “E’ il più importante dell’anno, Sally. Inoltre, se ci sei venuta tu, vedi come vengono anche gli altri. Bisogna saper cercare qualcuno che abbia un cervello.”
Céline sbuffò e, scoraggiata, abbassò la testa.
Non mancò molto che un sorriso beffardo le catturasse di nuovo il volto.
Si concentrò sui suoi stivali neri e le calze rigate che aveva indossato e il buonumore la riavvolse.



 “Guarda qua che ti hanno portato”, Daniel entrò dalla porta sotto il peso di un enorme pacco.
 “Cos’è?”, Céline si alzò dal divano e corse verso il ragazzo per strappargli di mano il suo ‘regalo’. Lo aprì velocemente, per poi rimanere in silenzio a fissarne il contenuto.

La risata di Daniel echeggiò nella stanza, finendo per morire, oppressa da un silenzio agghiacciante.
 “Sul serio ?’’
All’interno di ciò che rimaneva del cartone era stato adagiato con fin troppa cura un vestitino di un celeste accesissimo, con tanto di pietre applicate sul merletto che caratterizzava tutta la parte di sopra del vestito.
Céline era disgustata.
Daniel continuava a ridere.
 “Non lo metto Daniel,ridi pure. Ma che schifezza è questa? Ma che vado al gran galà del 1800? Ma in che epoca vivono questi? Ma che si sono messi in mente?”, si alzò di scatto, volse la schiena e Daniel ed iniziò a gesticolare. Sembrava che stesse tenendo un discorso, eppure le sue labbra erano serrate.
  “Sei completamente pazza, Sally”

Céline si voltò furibonda verso il ragazzo, “Che affronto. Vogliono che sia elegante? E’ questo che vogliono? Che succede, hanno paura che possa far sfigurare le loro belle donnette? Le mie gambe attirano troppo l’attenzione?”, scoppiò a ridere, “Non mi conoscono. Non hanno capito chi sono Daniel. Non hanno capito nulla.”

 

 

 “Hai finito di ammirare i tuoi stivali alternativi?”, Daniel le diete una spinta, “Su, che ti guardano già tutti, almeno cammina.”
 “Tutti devono guardarmi, Daniel!”, Céline si mosse, alzò la testa a fissare la porta di quell’enorme palazzo e stese le mani lungo i fianchi. Man mano accelerò il passo, fiera del diverso rumore che i suoi stivali emettevano a contatto con la terra, fiera di non star procedendo a braccetto del suo coniuge. Fiera di essere la protagonista di quella serata.
Daniel la seguiva camminando, non troppo distante, ma abbastanza perché le attenzioni non si concentrassero su di lui. Paradossalmente la gente era più interessata a quella strana ragazza con i capelli blu e il viso dipinto che a lui, un essere umano completamente “costruito”, e di questo Daniel era immensamente grato alla stravaganza di Céline.

D’innanzi la porta d’ingresso, ritto nelle sue scarpe nere lucide accoglieva gli ospiti quello che a Cèline sembrò tanto simile a quei damerini dei libri di storia.

 “Sembra uscito da quel tipo del mito della tipa del camino”, bofonchiò Cèline, “Veramente roba d’altri tempi.”
 “Intendi ‘Cenerentola?’”
 “Quella roba là.”
Cèline estrasse i biglietti d’invito dalla giacca di pelle nera con fare altezzoso e li porse all’uomo.

 “Non ce n’è bisogno”, egli scosse la testa con un sorrisetto sulle labbra, “divertitevi.”
Cèline inarcò le sopracciglia, rivolse una fugace occhiatina a Daniel, quindi varcò la porta con un senso di gratificazione.

 “Ormai ci conoscono tutti”, si rivolse a Daniel non appena anche il ragazzo ebbe oltrepassato l’ingresso.

“Credo che la gente ti conoscerebbe anche se non fossi la più promettente delle scienziate, Sally. Ti ricordo che vai in giro con una parrucca blu e la faccia dipinta di nero e bianco. Effettivamente credo che in televisione ci andresti comunque, magari saresti un’esponente del femminismo, o forse una di quelle che si ritirano nei boschi e rinnegano il loro essere esseri pensanti. Non saprei, ma non resteresti nell’anonimato.”
Cèline rise, “Chi lo sa. Comunque, se da fuori questo palazzo mi sembrava disgustosamente rovinato, temo di averlo considerato troppo male per avere parole peggiori per descrivere l’interno.”

Davanti agli occhi della ragazza si apriva un’enorme stanza, con tanto di divanetti e cuscini e tavoli adibiti al buffet.

Céline mosse i primi passi.

 Daniel notò una certa esitazione nei movimenti della ragazza.

Effettivamente non aveva fatto i conti con il fatto che in quella sala lei sarebbe rimasta sola. Tutt’intorno vedeva solamente sfarzo, fintissimi sorrisi e chiacchiere. Troppe chiacchiere. Man mano che indagava la sala, si rendeva sempre più conto che non conosceva una delle persone nella stanza. Nemmeno una.
 “Daniel”, bisbigliò.
Il ragazzo si abbassò alla sua altezza per poterla sentire, “Cosa facciamo adesso?”
Il ragazzo si voltò verso di lei incredulo, “Cosa? Saresti in difficoltà?”
 “No”, bofonchiò Céline, “Semplicemente non è mio ambiente.

Daniel alzò le spalle, “Io mi fiondo sul buffet, vuoi qualcosa?”

Attese invano una risposta, quindi si allontanò.
Cèline rimase sola in mezzo alla sala ad osservare la situazione. Sapeva che tutti gli occhi erano puntati su di lei e che tutti gli argomenti delle conversazioni erano cambiati da quando lei era entrata. Si era aspettata di destare scalpore, ma non aveva riflettuto su come avrebbe affrontato la situazione.

Una strana sensazione iniziò a farsi largo nella sua mente, per trasformarsi pochi attimi dopo in una percezione fisica. Panico. Ecco cos’era. Erano anni che non avvertiva quello strano brivido sulla pelle, quella consapevolezza di essere sola in un mondo di estranei, di individui radicalmente diversi.
Avvertiva gli sguardi e le voci di tutti, eppure non riusciva a muovere un passo. Non capiva. Il suo autocontrollo stava cedendo per una situazione tanto stupida, tanto banale. Si trovava in mezzo ad una massa di imbecilli ai quali si sentiva altamente superiore. Eppure era bloccata, ferma al suo posto, le gambe che davano i primi segni di cedimento.
Il suo sguardo correva veloce da una parte all’altra dell’enorme salotto, cercando invano qualcuno che potesse aiutarla. Dopo istanti che le parvero infiniti, finalmente la sua attenzione fu catturata da un uomo anziano che usciva da una porta a destra della sala. Doveva essere sulla sessantina considerando che la barba doveva invecchiarlo parecchio.
Lei era così persa nei suoi pensieri che realizzò effettivamente che l’uomo si era avvicinato solo nel momento in cui sentì la sua salda presa sulla sua mano.
Si riscosse quando l’uomo si presentò.
 “Sr. Jofer”
E finalmente lo riconobbe. Si aprì immediatamente in un enorme sorriso e riacquistò in un istante il completo controllo delle sue espressioni, “Finalmente la conosco”, strinse la mano intorno a quella dell’uomo.
 L’uomo sorrideva, “In tali circostanze, solitamente si notano somiglianze con i genitori, cara Cèline, eppure tu mi metti in serie difficoltà. Il tuo volto è completamente coperto.”
 “Si fidi di me se le dico che ho somiglianze con mio padre più che con mia madre”, il tono della ragazza divenne ad un tratto molto serio.
 “Sì, sì, immagino. La ricordo da bambina, sempre assomigliato a Karen. Sono molto contento che abbia accettato l’invito, effettivamente non ci speravo molto. Eppure non credevo che venirla a cercare fosse una cosa particolarmente carina, ma devo ammettere che se oggi non si fosse presentata, la sarei venuta ad imprtunare.”
 “Non mi avrebbe recato fastidio, non lei.”
 “Sono contento di sentire queste parole. E vorrei sentirne tante altre, cara Cèline, il suo esperimento mi interessa molto, e lei non accetta interviste, non si fa sentire! Ha prima condannato l’intero mondo scientifico e religioso ad una profonda crisi e poi si è nascosta, ha rifiutato di dar qualunque spiegazione. Ha mandato in tilt i miei neuroni e poi è scomparsa.”
 Cèline non poteva far altro che sorridere, ma era visibilmente a disagio. Erano anni che non aveva una conversazione più lunga di qualche minuto con una persona. Per di più, si era resa conto che le domande sul suo conto sarebbero fioccate da quel momento in poi.
Lo scienziato si dovette accorgere dell’imbarazzo della ragazza, perché non le diede il tempo di rispondere, che subito attaccò nuovamente, “Credo che le mie visite a casa sua inizieranno e saranno anche molto frequenti. E’ diventato un bisogno primario sapere come è riuscita a mandare avanti quest’esperimento, come a raccogliere tutte le informazioni che io e suo padre avevamo trovato, come a risolvere il nostro enigma. E, soprattutto, voglio parlare con Daniel. Dov’è ora? L’hai portato con te?”
A quella domanda Cèline si riscosse, era una semplice domanda, poteva rispondere, “Sì. E’ lì”, indicò il tavolo del buffet.
Il biondo stava tornando da lei con un bicchiere di quello che credette essere champagne.

 “Daniel!”, lo scienziato gli porse la mano.
Daniel gliela strinse dopo aver porto il bicchiere alla ragazza. Il suo viso si aprì in un sorriso. Nessuno, mai nessuno oltre Cèline si era rivolto a lui con quella semplicità.
L’anziano lo guardò per qualche istante, prima di abbracciarlo.
Sia Daniel che Cèline sgranarono gli occhi.

 Lo scienziato si staccò e gli diede qualche pacca sulla spalla, “Come stai ragazzo?”
 “Bene”, rispose semplicemente Daniel, “Bene, direi.”
 “Perfetto, perfetto”, l’uomo si guardò intorno sorridendo, “Venite con me, non è la sala per voi questa. Indicò ai ragazzi di seguirlo e si avviò verso la porta dalla quale era entrato.
La gente, visibilmente interessata alla questione, tentò di avvicinare Cèline nel mentre che lei seguiva il professore, ma venne scortesemente allontanata dai toni della ragazza.
Quella che Cèline credette essere una porta di una stanza, apriva invece un corridoio scomodamente stretto.
La stanza verso la quale il professore si stava dirigendo si trovava a destra del corridoio.
 “Cèline”, il professore si fermò davanti la porta, “Sei una persona che credo stimerò molto bene in particolare per il temperamento molto forte che ti caratterizza.”
 Cèline rimase in silenzio, disorientata.
 “Ti prego, però, non prestare fede a ciò che potrebbero dirti le persone che troverai dietro questa porta. Certamente avrai a che fare con gente illustrissima, degna della mia più grande stima, ma, come in ogni ambiente, ti troverai a contatto con imbecilli di prima categoria. Ma, come ben sai, il paradosso di tutte le grandi società è che si reggono proprio sull’operato di questi cretini. Perché questo discorso? Perché, come la società lascia che essi operino per fini maggiori, così devi fare tu. Non adirarti, non insultare, gioca bene le tue carte e vedrai che la tua situazione non si complicherà.”
 Cèline piegò la testa verso sinistra, “La mia situazione è complicata, scusi?”
Il professore inclinò la testa, “Vivi troppo fuori del mondo, ragazza”, aprì la porta e fece segno a Cèline e a Daniel di oltrepassarla.

Se l’aria nella stanza era già pesante, quando Cèline ebbe mosso i primi passi, le sembrò che un’enorme quantità di ossigeno le fosse stata sottratta d’improvviso.

Era calato il silenzio, anche i pochi musicisti su quello che sembrava un palco improvvisato con cartoni di plastica rialzati si erano fermati.

Contrariamente a quanto era avvenuto nel salone principale, Cèline rimase calma, nonostante l’accoglienza così fredda, a scrutare la situazione. Le persone nella sala non erano molte, eppure in quel momento a Cèline non interessavano. Ella vedeva solo ombre, ombre che si muovevano all’interno di un angusto spazio. La sua attenzione era concentrata essenzialmente sulla sua figura. La sua mente era – doveva – essere concentrata, ogni suo muscolo doveva apparire rilassato, il suo sguardo non doveva lasciar trasparire nessuna espressione. Una macchina. Questo la gente doveva pensare di lei. Non un’emozione ella doveva provare o dar impressione di star provando, non rabbia, non ansia. Niente.
Eppure silenzio costante della ragazza sembrò innervosire ancor di più tutti i presenti.
Il professore intervenne a risanare la situazione. Si parò velocemente davanti a Cèline, quindi le pose una mano sulla spalla, “Non credo ci sia necessità che sia presentata a voi”, indicò Cèline, “Date il benvenuto alla figura più promettente in ambito scientifico degli ultimi due secoli.”
Cèline azzardò un sorrisetto. La stanza era così piccola: un covo di pochi eletti la cui intelligenza poteva in qualche modo essere ritenuta superiore rispetto a quella di tutti quei vermi che affollavano le altre sale. Eppure anche quella volta le sue aspettative furono deluse. Se pur piccolo, quello spazio, così riccamente decorato, forse anche più della precedente sala,  era più simile ad un salotto letterario dell’800 che ad una sala di un congresso. Che poi, quella farsa tutto era fuorché un congresso.

 “Cèline”, si sentì nominare la ragazza. Voltò lo sguardo verso colui che aveva emesso suono, ma dovette abbassare di diversi centimetri gli occhi per incrociare lo sguardo di colui che aveva parlato, “Oh Salve…’professore’? Ammetto di essere abbastanza sorpresa di trovarla qui, l’ho vista all’ingresso. Eppure proprio non riesco a capire quale sia il suo ruolo in questo congresso, ha forse qualche titolo che non conosco?”
Daniel sgranò gli occhi. Aveva osato troppo.
E se ne era resa conto anche lei. L’ansia, che era riuscita a prendere il sopravvento, che egli potesse offenderla in qualche modo l’aveva portata a fare il primo passo, un passo troppo avventato.
A pochi attimi di totale silenzio, seguì una sonora risata, “Spiritosa come sempre, sfacciata come una bambina, quale tu sei, vedo.”
Cèline ammiccò un sorriso, “Una bambina alquanto promettente, mi dicono.”
 “Una bambina troppo capricciosa, che non sa quando tenere la bocca serrata, che non ha imparato l’educazione, che osa mettersi al posto di Dio, convinta di essere al di sopra di ogni essere umano. Sì, una bambina a tutti gli effetti.”
 “Ha sparato un po’ troppi concetti in una sola frase, non crede? Temo di non averne capito il senso.”
 Le parole di entrambi schioccavano nella sala, per poi perdersi, sopraffatti dall’estremo silenzio dei presenti. Nessuno aveva la minima idea di come potersi intromettere nel discorso, per non recar torto né all’uno, né all’altro.
 “Cèline, vorrai conoscere il professor Johnes”, si intromise il professor Jofer, prendendo la ragazza per mano e conducendola verso un uomo che dimostrava la stessa età del professore, ma che, Cèline lo sapeva, aveva molti più anni, “saprai sicuramente chi è”
Bastò la vista di quell’uomo per cancellare dalla mente della ragazza l’immagine dell’ometto sproporzionato con cui aveva appena discusso. Si aprì in un enorme sorriso e eccezionalmente i suoi occhi si illuminarono. Quasi corse verso il professore, “Ben lieta di conoscerla!”, gli strinse la mano con troppa voga, “L’ammiro moltissimo per i suoi esperimenti.”

Si pentì subito della sua reazione. Aveva assunto il patetico atteggiamento di una ragazzina. Non riusciva ancora a controllarsi, non a ripudiare tutti quei sentimenti che le montavano dentro.
 “Il professore accennò un sorrisetto indifferente, “Grazie. Anche tu non sei male, direi.”
Cèline storse il viso, “Beh, grazie, che dire”, si voltò verso Daniel, “Vieni qui, Daniel, ti presento il professore.”
Alla vista del ragazzo, l’uomo sembrò illuminarsi, lasciò la mano di Cèline e si mosse a gran passi verso Daniel, “Ciao Daniel”, gli prese la mano. Più che stringerla, la esaminò scrupolosamente, “Meraviglia…”
Daniel arrossì d’imbarazzo.
La reazione colpì ancora di più il professore, “Incredibile davvero, davvero incredibile”, si voltò di nuovo verso Cèline, stavolta la sua espressione era aperta in un sorriso, “Non avevo mica capito chi tu fossi.”
Cèline sgranò gli occhi, stupita, “Oh, beh, mi scusi per non essermi presentata in tal caso”, era sempre più confusa.

 “Finalmente ti fai viva. Di te e del tuo esperimento si parla in tutto il mondo e tu te ne stai rintanata in casa, nascondi il tuo viso e i tuoi capelli sotto un pesante trucco ed una parrucca. Che dire, un personaggio eccezionalmente particolare.”
 “Non userei il termine ‘eccezionalmente’”.

 “Mi scusi, posso sapere il suo nome e la sua esatta funzione in questo posto?”, Cèline si voltò irritata verso l’ometto.

  “Razza di impertinente…”
 “Egli è il ministro della scienza e del progresso, Cèline”, intervenne Jofer, “presiede tutti i congressi e le manifestazioni scientifiche.”
Ministro. Cèline lanciò un’occhiata preoccupata a Daniel. Non si era mai interessata di politica, né tantomento ne conosceva gli esponenti. La sua vita negli ultimi cinque anni era stata condotta all’interno di un laboratorio, il suo cervello aveva avuto come unica funzione quella di analizzare dati, di calcolare, di sperimentare.
Eppure adesso che stava tentando di creare un’immagine all’esterno, nel mondo, non poteva permettersi passi falsi e confessarsi ignorante di qualunque arte non riguardasse la scienza in senso stretto non era certamente un’opzione da prendere in consierazione.

 Riflettere su una frase che potesse salvarla mentre tentava di tenere sotto controllo i movimenti di tutto il suo corpo non era semplice. Eppure il suo cervello riusciva a lavorare velocemente. Inoltre era schietta e sincera.

 “Oh, scusi”, si rivolse al ministro, “non mi interesso di malavita, mi dispiace.”
Daniel impallidì. Al contrario di Cèline egli era attento agli avvenimenti di quello che la ragazza chiamava ‘mondo esterno’ e sapeva fin troppo bene che un’affermazione del genere non poteva essere ignorata.

La tensione palpabile della stanza innervosì perfino la stessa Cèline.

Il ministro non riusciva ad emettere fiato. Tra l’imbarazzo e la rabbia, preferì aspettare che qualcun altro prendesse parola.
Il signor Jofer avanzò timidamente qualche passo verso Cèline, “Scusati”, le sussurrò, “e forse non vieni denunciata e non passi un guaio.”

Cèline arrossì, anche se nessuno poteva notarlo. La sua mente elaborò in fretta la risposta a quell’affermazione, “No”, eppure qualcosa le fece capire che la situazione questa volta non la reggeva più lei.

 “Mi scusi”, disse semplicemente, “ho esagerato, mi sono fatta prendere dalle parole.”
Passò qualche attimo di silenzio.

 Il ministro scrutava la ragazza senza emettere fiato.

“Sei una bambina, impara la civiltà e forse troverai un posto in questo mondo”, rispose semplicemente.

Cèline, l’imbarazzo e la rabbia che iniziavano ad assalirla, nemmeno si accorse che Jofer la stava portando fuori dalla stanza. Non salutò nessuno, serrò i pugni, cercando di trattenere qualunque tipo di sentimento che tentava di affiorare, comandava al suo corpo di non tremare per la rabbia ed ai suoi occhi di non inumidirsi per l’imbarazzo, mentre veniva condotta per il corridoio dallo scienziato.

Gettò un’occhiata a Daniel che la seguiva. Lo scrutò, analizzò tutti i suoi lineamenti, la sua perfezione. Questo bastò per farle ritrovare la calma ed il controllo di tutto il suo corpo. Eppure non si ribellò alla stretta salda che l’anziano scienziato esercitava sul suo polso.

 

 


 

Eccomi qua.

Allora, lo so, sono in un ritardo spaventoso, ma questa scuola mi ha ucciso 

in questo periodo.


Allora, questo capitolo è un po' più lungo, ma non potevo spezzarlo perché 

non avrebbe avuto senso. Ho preferito inoltre pubblicare un capitolo in cui siano

lasciate aperte molte questioni che, piano piano, attraverso i punti di vista di

altri personaggi, chiarirò. Prometto!


Spero vi piaccia il capitolo,


oSally :3

 

 

 

 

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