hundred letters never sent.

di Laquartaopzione
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** first letter. ***
Capitolo 2: *** second letter. ***
Capitolo 3: *** Third and last letter. ***



Capitolo 1
*** first letter. ***


Non so se mi pensi, se mi hai mai pensato o se mi penserai.
Non so se odori ancora di sigarette e di baci rubati.
Non so se ti manca accarezzarmi i capelli sussurrandomi frasi troppo dolci all'orecchio.
Non so se sei ancora fedele ai fumetti di Diabolik.
Non so se ti diverti ancora a immaginarti la vita delle persone che ti passano affianco.
So a malapena che quando canto le canzoni dei kodaline alle tre del mattino sorridi, so che ti piace mordermi il labbro inferiore e che vorresti essere il protagonista di un qualche fumetto.
So che ti piacerebbe visitare il mondo, ma rimanere comunque fedele alla tua città, che é troppo lontana dalla mia.
So che ti piace guardarmi mentre mi fai il solletico sui fianchi, e che il thé al limone non é assolutamente tra le tue bevande preferite.
So che passare con te tutte le mie estati é stato il miglior impiego per il mio tempo e che quando ascolti gli Artic Monkeys sei nervoso.
So che adori il mio odore di sigarette e di sogni persi, e che disegnarmi cerchi sulla pelle é uno dei tuoi passatempi preferiti.
So che ti piace quel senso di malinconia che mi porto regolarmente dietro e che il mio sorriso ti ricorda una di quelle canzoni tristi che ascolti sul treno.
So che ci son troppe frasi che non ti ho detto, troppi baci che non ti ho dato e troppe lettere che non ti ho mai inviato.
Perché forse farebbe troppo male non ricevere alcuna risposta, o perché forse farebbe troppo male riceverne una, di risposta.
Come quando mi chiedo se tu mi abbia almeno un po' amato o meno.
Farebbe troppo male sentirsi dire "meno."








 
 

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Capitolo 2
*** second letter. ***


La prima volta che ti visi fuori c’era un caldo afoso e la canzone dei Radiohead continuava a risuonarmi in testa.
Tu continuavi a guardarmi sorridente e io continuavo a pensare che, se avessi continuato a sorridere per molto, di li a poco il cono gelato che avevo in mano si sarebbe sciolto, ma solo dopo il mio cuore.
Ed era tutto così insensato con i tuoi occhi addosso e il mondo che intanto continuava a girare come se niente fosse, come se noi fossimo solo minuscole pedine tenute in piedi grazie alla gravità circostante.
Il tuo nome, la tua voce e il tuo sorriso mi seguirono dappertutto come un’ombra, per settimane.
Ed era tutto cosi complicato con il tuo nome che continuava a risuonarmi in testa al posto della canzone dei Radiohead, con il tuo sorriso che pesava sulla mia pelle anni di tristezza e con i tuoi occhi che guardavano il movimento delle onde come se non avessero visto niente di più bello.
Ed era tutto così semplice con le tue dita intrecciate  alle mie in un qualcosa di cosi dolce ed intimo che non pensavo di potermi permettere.
Ed era tutto così perfetto con la chitarra che accompagnava la tua voce in una delle più belle canzoni che avessi mai sentito.
Ma era anche tutto così triste, come la distanza che pesava su di noi ogni centimetro.
Mi bastarono tre mesi per innamorarmi di te, tre mesi per capire la trappola in cui ero ormai andata ad incastrarmi.
Tre mesi in cui ascoltai le tue passioni per le tradizioni Giapponesi e per le canzoni  neo punk.
Tre mesi in cui la frase del film Dear john mi risuonò in testa Ora staremo lontani per un anno, ma cos'è un anno dopo due settimane così! e tre mesi in cui il continuo della frase risuonava silenziosamente, senza nessuna risposta “Ma un anno passa velocemente come gli altri senza le tue dita intrecciate alle mie?”
Ma poi anziché farmi domande per tre mesi iniziai a farmi domande per un anno intero, domande senza risposta, domande che non ho nemmeno mai avuto il coraggio di porre.
Domande che mi carbonizzavano il cervello, ed il cuore che ormai si era sciolto poco prima del gelato.
E la tua maledetta voce che raccontava le vicende in cui ti eri cacciato e quelle in cui ti saresti voluto cacciare.
La tua voce che mi sussurrava frasi al chiaro di luna ed io che non pensavo che tanto amore mi potesse piacere.
Per una come me che credeva che l’amore fosse solo un’illusione e che un bacio non fosse un qualcosa di esageratamente intimo quello fu un colpo basso.
Come quando ti crei i tuoi castelli, con tutte le difese necessarie contro l’amore e le persone, e poi una  persona riesce a far crollare tutto con un semplice sorriso, come se tutte le difese non valessero niente, contro l’amore.
Come se tutti gli sforzi compiuti non valessero niente.
Come se tu fossi stato creato per distruggermi.
Con quelle fossette che mi piacevano da star male, che mi creavano nodi allo stomaco da non farmi riuscire nemmeno a respirare.
Con quel tuo sorriso che mi faceva pensare che tra di noi ci fosse un segreto che nessuno riusciva a comprendere realmente.
Con la tua maledetta voce che abbassava tutte quelle difese create in anni di strazianti delusioni.
Con la mia paura di rimaner sola e con il destino che alla fine fa in modo che non ci sia mai nessuno accanto a me.
Con le tue dita che accarezzavano i miei capelli e tutto il mio corpo che ormai non aveva più difese.
Perché tu sei il mio dannato scoglio, uno di quelli in cui ti aggrappi per difenderti ma in cui alla fine ci scivoli, facendoti il doppio del male.
Perché io in un anno ho tante domande da porti e troppe paura da affrontare.
Perché a volte mi chiedo, se almeno un po’ per te io sia stata il tuo scoglio.

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Capitolo 3
*** Third and last letter. ***


Ti ricordi il ventitre agosto? Il sole era alto in cielo e la sabbia bruciava come non mai.
Nel corso di una settimana ci saremmo dovuti separare, e io non riuscivo ad essere felice, nemmeno quando ti avevo accanto.
Sentivo un vuoto nel cuore, che continuava ad allargarsi ogni volta che sorridevi con quelle labbra che mi ricordavano i miei sogni proibiti.
E io continuavo a pensare che l’inverno sarebbe arrivato presto, nel mio cuore che ormai si stava iniziando a ghiacciare, nonostante il calore che tu emanavi.
E tu continuavi a parlare di quelle fottute tradizioni giapponesi che ti piacevano da morire, e io continuavo a pensare che di quelle tradizioni non ne avrei più sentito parlare dopo quella settimana. La tradizione del filo rosso, me la ricordo ancora a distanza di due anni.
“Il filo rosso del destino è una leggenda popolare di origine cinese diffusa in Giappone. Secondo la tradizione ogni persona porta, fin dalla nascita, un invisibile filo rosso legato al mignolo della mano sinistra che lo lega alla propria anima gemella.”
E forse non servono cento lettere per dirti che ti amo, non servono cento lettere in cui non riceverò mai una risposta, non servono cento lettere che mai ti invierò.
Forse dal principio ne sarebbe bastata una. E tu avevi ragione quando dicevi che mi complico troppo la vita, ma ho ragione anch’io quando dico che son fatta così. Sono un pacchetto completo, se mi prendi ottieni tutto, con tanto di complicazioni.
Perché se non fossi stata così sarebbe bastata una lettera, in cui ti dicevo che son stata felice con te, come una protagonista di un film che finisce bene, uno di quelli in cui non c’è la distanza, i pianti e la cogliona che finisce a scrivere lettere che mai invierà.
Perché se fosse stata una sola lettera ti avrei scritto che come tu mi hai dato la felicità me l’hai anche tolta, esattamente un anno dopo.
L’anno dopo la tradizione del filo rosso, l’anno dopo con un’altra ragazza sulla spiaggia, l’anno dopo con me che avevo capito che ormai il cuore si era ghiacciato, e non saresti bastato nemmeno tu a scioglierlo.
L’anno dopo. L’anno in cui ti visi, senza di me, sulla spiaggia. Ed eri così felice, con quella ragazza che aveva gli occhi scuri come i miei e i capelli più corti. Ed eri così felice, senza di me.
Io continuavo a pensare che se ci doveva essere un brutto scherzo del destino, quello sarebbe stato perfetto. E affianco a me c’era quel ragazzo che si era fatto rompere il naso da te pur di provare a baciarmi, affianco a me c’era quel ragazzo che ti faceva gelosia. Affianco a me non c’eri tu, ma i tuoi sguardi gelosi c’erano ancora.
E mi chiesi come fossimo riusciti a diventare così dopo solo un anno, cosi distanti, nonostante avessimo scoperto da poco quanto schifo facesse la distanza.
E io continuavo a guardare verso di te, che eri cosi vicino ma anche cosi lontano, e tu continuavi a stringere la mano della ragazza che ti eri portato sulla spiaggia.
Riesco a sentire ancora -nonostante un anno- il peso di tutte le domande che non ti ho fatto, un peso che non mi fa quasi più vivere.
Anche lei quella sera aveva scoperto la leggenda del filo rosso?
Anche lei sentiva quella sensazione di tristezza perché saresti partito? Oppure lei sarebbe venuta insieme a te?
Perché io sarei venuta in cima al mondo per te, ma forse è troppo tardi per dirlo.
Perché la mia vita è un continuo ritardo, dal ciclo ai sogni che vorrei realizzare.
Perché se potessi tornare indietro sarei venuta con te in cima al mondo.
Nonostante ti avessi conosciuto solo per tre mesi, nonostante la canzone dei Radiohead non risuonava più nella mia testa e nonostante avessi dovuto sentire la tua passione per le tradizioni Giapponesi tutti i giorni. A me sarebbe bastato il tuo amore, con quello sarei vissuta benissimo, perché con il tuo amore non ci sarebbero state troppe domande, perché con il tuo amore non ne avrei scritta nemmeno una di lettera.
A volte basta così poco, non pensi? Come il tuo sorriso, le tue fossette e le tradizioni giapponesi.
Perchè a volte basta la distanza, a far smettere di suonare quella canzone dei Radiohead nella mia testa.
Questa lettera sarebbe bastata, se non fossi stata complicata.
Il tuo amore sarebbe bastato, per non farmela scrivere, ma probabilmente, a distanza di due anni, il tuo amore l’avrai dato a qualcun’altra, una di quelle che adesso non starà scrivendo cento lettere che nemmeno ti invierà. Una di quelle che si vedono nei film che finiscono bene.
Una di quelle che non sono io.
E avevi ragione tu quando dicevi che sono complicata, ma forse così complicata non lo sono, perché al posto di cento lettere ne ho scritte solo tre.
Così complicata non lo sarei stata con le tue mani sui miei fianchi.
Ma  ritornando alla domanda iniziale; ti ricordi il ventitré agosto?
Esattamente due anni fa, quel giorno in cui mi raccontasti della leggenda del filo rosso.
Te la ricordi ancora quella leggenda?
Io si, e fin da quel giorno, da due anni ormai, mi pongo la stessa domanda:
Quando raccontavi di quella leggenda, non sentivi il filo che avevi legato al mignolo della mano sinistra che continuava a tirarti verso di me?
Perché io si.
Ma forse la leggenda è solo una leggenda.
Perché quel filo dopo quel ventitré agosto, si è spezzato.



*Spazio Autrice*
Ringrazio tutte le persone che  hanno messo la storia nelle preferite, quelle che l’hanno recensita e quelle che la recensiranno. Ringrazio anche le persone che l’hanno seguita in segreto.
Ho deciso di farla finire cosi, questa raccolta che forse un senso non ha, perché un bel finale da “felici e contenti” non sarebbe stato da me. Non in questa storia che non è nemmeno una storia.
Quindi grazie mille ancora per aver letto queste tre lettere che stavano mangiando il mio essere.
Alla prossima storia, spero, bacioni :)

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