Hidden Fears

di Laix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Effetti indesiderati ***
Capitolo 2: *** Effetti desiderati ***



Capitolo 1
*** Effetti indesiderati ***


Ciaoooo! Questa fanfic l'ho scritta una marea di tempo fa senza mai pubblicarla, anzi, dimenticandola per un certo periodo. Non ricordo da cosa fosse stata ispirata, comunque l'ho ritrovata, sistemata un pochino e messa qui XD Come preannunciato, si concentra sull'amicizia che lega i due finti marmocchi e sulle sensazioni che la caratterizzano, paure nascoste e spirito protettivo. Perciò non vengono trattati come couple (nonostante sia segnata nella descrizione della ff, ma l'ho inserita per precisare i due protagonisti). Spero vi piaccia, aspetto vostre opinioni ^__^ Bye!

 

- Per tua sfortuna, Kudo, non mi stancherò mai di ripetertelo: se esageri con quella roba, prima o poi ci rimarrai secco. -
Conan fece roteare gli occhi con fare esasperato, mentre Agasa gli porgeva tra le mani un panno umido per il sudore. Era visibilmente stravolto in seguito alla trasformazione avvenuta poco prima, come tutte le volte che gli accadeva.
Quella mattina aveva nuovamente preso un antidoto temporaneo dell'APTX e nuovamente era tornato ad essere un piccolo marmocchio in meno di 24 ore. L'efficacia dell'antidoto si accorciava sempre più, come spesso Ai gli spiegava con fare stizzito e saccente, e lui ne prendeva atto, ma quel giorno proprio gli serviva a tutti i costi.
Aveva litigato in modo assurdo con Ran al telefono un paio di giorni prima e non era riuscito a riappacificarsi con lei col solo ausilio di un aggeggio che modula la voce e di un cellulare, doveva farlo di persona. Dal canto suo Ran, furiosa in un modo che Shinichi aveva visto ben poche volte, pareva non volerne sapere di perdonarlo o di concedergli troppa tregua, perciò lui era corso disperato da Ai implorandola di dargli l'antidoto, “solo per questa volta”. Ti prego, Haibara, solo per questa volta, sul serio, poi basta. Ai aveva dovuto fingere che le prime tre o quattro volte (o forse di più?) non fossero esistite e gliel'aveva consegnato, decisamente contrariata e irritata dal suo atteggiamento fin troppo adolescenziale.
- E' inutile che fai quella faccia. Non te lo dico perché mi diverto, ma perché l'ho creato io. E so meglio di te quali sono i rischi, idiota -
- Sì, sì, ho capito... tutte le volte la stessa storia, Haibara... -
- Tutte le volte, dici? Quali volte? Non era soltanto per questa volta? -
Conan sbuffò scocciato e si voltò dalla parte opposta, cercando in fretta qualcosa su cui appoggiarsi, visto che il corpo gli stava pesando come un piccolo macigno... anche se l'aveva già assunto in precedenza, la condizione post-antidoto non smetteva mai di essere un po' stancante e debilitante. Col respiro ancora affannoso si diresse verso un piccolo mobile da parete su cui appoggiò un braccio e dove si prese un attimo di riposo.
- Shinichi, perché non ti siedi per un po' sul divano? - intervenne Agasa.
Il detective si asciugò qualche goccia di sudore dal viso. - E' tutto ok, professore, due minuti e mi passa -
Agasa si strinse nelle spalle e tornò verso il tavolo della sala, sul quale stava sistemando alcune pile di vecchie riviste tecniche.
Ai tornò all'attacco, senza guardarlo, continuando a tenere lo sguardo sul suo computer e muovendo il mouse.
- Stavolta è andata così, Kudo, ma la prossima volta che intraprendi delle bisticciate da ragazzino vedi di tagliare corto e di implorare perdono strisciando ai piedi, se necessario. Non c'è bisogno di rischiare la vita per scusarsi con qualcuno -
Conan aprì la bocca per rispondere, ma l'affanno del respiro glielo impedì fin da subito. Non accennava a diminuire, anzi, e la gola iniziava a bruciare. Deglutì e si appoggiò ulteriormente contro il mobile, abbassando la testa e tentando di dominare la situazione. Aprì gli occhi e, con un certo orrore, vide la stanza vorticare, perciò li richiuse subito. Una goccia di sudore gli corse lungo il naso per poi cascare sul pavimento. Forse era solo un po' di suggestione, ma gli parve che poco a poco l'ossigeno mancasse sempre di più.
- Suvvia, Ai, può succedere... a volte certe questioni sono difficili da risolvere solo tramite delle telefonate, specie se la persona dall'altra parte ha una grande importanza -
- Non ce ne metta anche del suo, professore! Non cambio idea. -
- Okay, okay... - Agasa emise un risolino.
Ai inserì un CD ignoto dentro al computer, pronta a riprendere il suo consueto lavoro. Continuò a parlare mentre apriva e chiudeva le varie cartelle.
- Kudo, non appena ti riprendi bene vieni qui allo schermo, che ti faccio vedere una cosa... forse ti convinci meglio di quel che dico -
Conan riuscì con fatica a voltare lo sguardo verso di lei, senza incrociare il suo sguardo, e la stanza fu di nuovo il confuso scenario di un giramento. Sbatté gli occhi due, tre volte, per levare un fastidioso velo acquoso che gli impediva una vista corretta. Sentì il proprio cuore rimbombare forsennatamente nelle orecchie, mentre la faccia gli bruciava come fosse magma. No, no, era solo un'impressione, qualche secondo e sarebbe tornato alla normalità.
Si girò su se stesso e avanzò un paio di passi lenti verso la piccola scienziata al computer. Quest’ultima, in mezzo al ticchettio della tastiera, udì improvvisamente il rumore di oggetti pesanti trascinati sul legno seguito dai tonfi sordi e frastornanti della loro rovinosa caduta a terra. Lei si voltò all'istante verso la fonte del rumore e, mentre si girava, sapeva già cos'era accaduto. Vide il detective inginocchiato a terra e appoggiato completamente al mobile di legno, sopra il quale si erano trovati gli oggetti che erano ora tutti sparsi davanti a lui, trascinati giù dal suo braccio che non era riuscito a sorreggerlo a lungo. Aveva una mano stretta sul petto, il gesto che fece percepire ad Ai una morsa metallica attorno allo stomaco.
- M... merda... - bisbigliò Kudo in mezzo agli ansimi, stringendo la mano attorno alla maglietta.
Ai e Agasa si precipitarono verso di lui inginocchiandosi immediatamente alla sua altezza, trasformando l'aria di quella casa in una massa condensata di ansia e timore. Ai colpì bruscamente il pavimento col ginocchio e probabilmente se lo sbucciò, ma non riuscì a darci il minimo peso e non se lo ricordò nemmeno dopo. Nonostante tutto la ragazzina riuscì a mantenere un atteggiamento posato e controllato, decisa a compiere primariamente tutto ciò che le sue capacità le permettevano.
- Kudo, okay, ascoltami. Cosa senti esattamente? -
- I miei organi... stanno... -
- Battito accelerato, crampi? -
Lui annuì debolmente, con gli occhi chiusi e stretti per il dolore.
- Okay, professore, mi porti la cassetta dei medicinali. Mentre tu, Ku... -
In un solo secondo, massimo due.
Smise di tenere le palpebre strette e gli occhi tornarono ad essere chiusi in modo naturale, il respiro gli si bloccò di colpo e il suo corpo cadde a peso morto in avanti, addosso ad Ai, la quale lo bloccò con le braccia prima che toccasse terra. La ragazzina rimase alcuni millesimi di secondo così, immobile, con le mani strette alla schiena di lui, il viso che sfiorava i capelli di lui, gli occhi spalancati e fissati su un punto davanti a sé. Era terrorizzata, e lo sguardo altrettanto terrorizzato che lesse negli occhi di Agasa le confermò che era lo stato d'animo esatto per la situazione.
Senza dire una sola parola di troppo, i due si attivarono affinché Kudo riprendesse conoscenza. Nel giro di pochi secondi lo sistemarono sul letto di Ai e gli fecero un veloce controllo per capire come agire. La piccola scienziata portò l'orecchio a pochi millimetri dalla bocca socchiusa del detective, constatando come i suoi timori peggiori stessero prendendo forma. Lei gemette con un ansimo, rialzò la testa e quando parlò la voce le tremava.
- Professore, non... non respira... -
- Calma, Ai, adesso troviamo un modo -
Ai sapeva che prima o poi sarebbe successo, lo sapeva. Lo sapeva. Continua a dargli antidoti come se fossero biscotti, brutta stupida ignorante. Continua, dai, fallo contento, siccome te li chiede con quegli occhioni da cerbiatto disperato, tu daglieli. Daglieli tutti, dagli una scatola intera! E TU, MALEDETTO IDIOTA, PERCHE', PERCHE' CONTINUI A CHIEDERMELI, LO SAI CHE... no, no che non lo sai, IO lo so, ma tuttavia ti accontento sempre, tuttavia io...
- Non sta respirando, professore, e di questo passo... -
- Ti ho detto di calmarti, cerchiamo di ragionare! -
- SONO CALMA! -
- D'accordo, hai ragione, cosa proponi di fare allora? -
Lei chiuse gli occhi e respirò a fondo, riaprendoli di scatto e fissando il detective completamente inerme. Vittima di una crisi dovuta all'antidoto da lei creato. In quel breve attimo di immobilità che si concesse, sentì chiaramente le persiane alla finestra tremare e sbattere leggermente a causa del vento.
E' colpa mia, Kudo. Era colpa mia prima, quando sei tornato all'età infantile, ed è colpa mia adesso, che rischi di andare all'altro mondo. Qualsiasi cosa io abbia fatto ci sono state ripercussioni... su di te, soprattutto... proprio tu, poi, una delle poche persone che abbia mai dimostrato di tenere a me. E che farebbe di tutto.
Le venne in mente un liquido, un medicinale che per via delle componenti avrebbe potuto contrastare quel disastro, perciò lo preparò velocemente e glielo iniettò in vena. Aspettò qualche secondo, forse quasi un minuto. Ma niente. Il respiro non accennava a tornare, il battito diveniva di attimo in attimo quasi inesistente.
Vorrei solo che tutto questo potesse succedere a chi se lo merita. Vorrei che su questo letto non ci fossi tu, ma Gin, ad esempio. Proprio per fare un esempio, eh. Lui sì che si merita qualcosa di simile. Si merita di boccheggiare in cerca di aria, di esplodere da dentro. Si merita di essere fissato da me e schernito dal mio ghigno, mentre marcisce. Ma non tu. Tu sei ben lontano da una simile immagine. Eppure ora ci sei dentro. E sono io l'artefice.
Mentre Ai rifiutava di arrendersi continuando quindi a trafficare in vari cassetti alla ricerca di una soluzione, con il silenzio paradossalmente assordante che la circondava, la porta della stanza si spalancò. Ai si voltò di scatto, pensando con angoscia subito a Ran, che avrebbe di certo chiesto spiegazioni. Ma non era Ran. Era una persona comunque molto simile a lei.
Era Akemi.
La piccola scienziata rimase inchiodata dov'era, con sguardo imbambolato. No, le allucinazioni no, non era proprio il momento...
La fissò. Avrebbe voluto mitragliarla di domande, ma rimase zitta. Avrebbe voluto delle risposte, ma non le cercò. Iniziò a piangere piano e senza fare rumore, senza singhiozzi. Solo lacrime che sostituivano parole.
Akemi la guardò con un debole sorriso. Dalla bocca le usciva di continuo un rivolo di sangue, e solo in quell'istante Ai si accorse dell'enorme macchia rossa che imbrattava la camicia di sua sorella. Akemi ci posò una mano sopra, come per nascondergliela. Rise lievemente.
- Beh, chi voglio prendere in giro? Tu sei troppo acuta per cascarci, sorellina -
- Sei morta da tempo, Akemi -
- Eh, già -
- Per salvare me, per portarmi via da lì. Ma non ha funzionato. Anche in quel caso, è stata colpa mia -
- Non è vero, piccola... che stai dicendo? -
- Saresti dovuta scappare senza di me. Io ti ho solo fatto rimanere prigioniera per un tempo maggiore, e a che scopo? -
Ai abbassò lo sguardo, posando involontariamente gli occhi su quel fantoccio sdraiato che era diventato Kudo. No, per favore, no... le mie ultime frasi nei tuoi confronti sono state antipatiche e ostili. Ti ho anche dato dell'idiota in modo gratuito e sgarbato, e tu non mi hai nemmeno risposto per le rime. Perché non l'hai fatto? Mi sentirei un po' meglio. Perché mi hai sempre trattato con così tanta cura, stupido? Ecco, ti ho insultato ancora. Svegliati, Kudo, mi devo scusare con te. Stavolta lo faccio davvero, anche se ti verrà una ridarella incontrollata per questo.
Mentre le lacrime silenziose si intensificavano e i sospiri non si riuscivano più a trattenere, riguardò Akemi, sentendo sui suoi stessi occhi una membrana di tristezza solida e isolante. Le braccia molli e abbandonate. Strinse un poco i pugni, per poi ridistendere le mani.
- Sei... sei venuta a prendere lui? -
Akemi annuì con fare mesto e sconsolato, come se non le piacesse per niente quell'idea.
- Mi dispiace, Shiho. So che ci tenevi. -
- Tenevo a tante cose, Akemi. Però, certo, posso capire. Ve ne state andando tutti, mentre io rimango. - Strinse di nuovo i pugni e si morse forte un labbro.
- Rimango per fare altri danni a chissà chi. Se continuo così ti rivedrò ancora al prossimo giro... per la prossima vittima... -
Ai sorrise con estrema amarezza, tirando su col naso. Akemi non ricambiò, la guardò invece con espressione grave. La piccola scienziata pensò semplicemente che era tutto sbagliato: la sua defunta sorella era alla soglia della sua porta, ancora ferita e dal pallore mortale, colei che era stata la persona più importante della sua vita. E, combinazione, era venuta per portarsi via la persona che attualmente era la più importante della sua vita. Ma lei non voleva, rifiutava l'idea su ogni livello. Perché sì, Shinichi era proprio l'ultima cosa che avrebbe voluto perdere, l'ultima. Avrebbe dato di tutto per essere al suo posto. Non voleva che andasse così. Si sarebbe aggrappata a lui, se necessario, in qualsiasi modo e in qualsiasi momento.
Ai scosse la testa confusa e smarrita, fissando il pavimento. Di nuovo si concentrò involontariamente sul rumore delle persiane che sbattevano ritmicamente contro la finestra, per via di lievi raffiche di vento.
- Non anche lui, Akemi... ti scongiuro... -
- Mi dispiace, Shiho. So che ci tenevi. - Ripeté con tono identico.
La scienziata sospirò, stanca. Rialzò gli occhi su Akemi, che era appannata e inconsistente, dai contorni un po' sfocati. Forse avrebbe potuto passarci attraverso. Ma era così chiaramente lei, ogni parte di lei era così autentica e stranamente viva che Ai non poté comunque evitare di sorridere, più con il cuore che con le labbra.
- E' tutto così assurdo, e veloce. Ma sono contenta di rivederti, sai. Hai scelto la più orrenda delle circostanze... ma è comunque una sensazione tanto fugace quanto splendida... -
- Ti voglio bene, piccola mia -
Quella frase vibrò nell'aria, come l'onda d'urto di una bomba vicina. Ai esplose in un pianto incontrollato, crollando in ginocchio e coprendosi il viso con le mani, del tutto rassegnata. Non posso e non voglio restare sola così... non di nuovo. Inarcò la schiena verso il basso e pianse, pianse sempre più forte, mentre sentiva Akemi passarle di fianco con lievi passi e superarla, sentiva le gocce di sangue scivolare via dalla sua ferita e schiantarsi al suolo, sentiva fruscii e movimenti sul letto. Lascialo stare, Akemi, ti prego. Non avrei mai pensato di rivolgermi a te in questo modo, ma vai via da qui. Fammi questo favore, Akemi, lascialo giù... e poi fammene un altro, ok? Torna da me e restaci. O portami via con te, chi se ne importa, ma troviamo un modo. Un altro modo qualsiasi... che non sia questo.


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Capitolo 2
*** Effetti desiderati ***


Passiamo subito al secondo e conclusivo capitolo... buona lettura e grazie di essere passati di qui! Fatemi sapere, okay? ^__^
Laix




Ai spalancò gli occhi trovandosi immersa nell'oscurità, gli occhi inondati di lacrime e i respiri mozzati come se avesse appena terminato una corsa campestre. Sentiva una mano estranea sul suo braccio, una presa salda ma allo stesso tempo rassicurante, accompagnata dai sussurri tipici che vogliono infondere calma.
- Ssssht, ehi, va tutto bene... ehi... -
- Chi... chi, cosa... che... -
- Haibara, è tutto okay... -
- K-Kudo? -
- Sì, sono io... ora ricomponiti con calma -
Sbatté gli occhi e deglutì. Aiuto.
Un incubo. Un dannatissimo incubo che tale rimane, non è la realtà. Oh, grazie, accidenti! Sorrise debolmente percependo il cuore librarsi.
Poco a poco riuscì a ridare un ritmo regolare al respiro, poi si passò una mano sul viso per asciugarsi le lacrime che, comunque, continuarono a sgorgare fuori dal suo controllo. Si lasciò sfuggire anche qualche singhiozzo, anzi, un po' più di “qualche”. Forse era per via dell'incredibile sollievo, forse per la paura e il dolore che aveva provato, ma più tentava di smettere quel pianto e più questo si intensificava, non sapeva più che pesci pigliare. Dannazione, non davanti a Kudo, non davanti a lui.
- Okay, niente da fare, vedo... - Conan emise un risolino comprensivo. E poi allungò una mano per sfiorarle i capelli, al che lei alzò la testa e tentò di guardarlo nell'oscurità, scorgendo soltanto il riflesso degli occhiali. Sentì subito la sua carezza e poi un suo sussurro.
- Allora... riusciamo a calmarci un pochino? Ma devo farti da baglia proprio sempre? -
Con la mano che ancora teneva sulla sua nuca, lui esercitò una lieve pressione conducendola verso di sé. Come se fosse gestita da un telecomando, si mise a sedere per essere guidata nel suo abbraccio. Ma che gli era preso? Era lui che era impazzito o era lei che l'aveva fatto preoccupare troppo? Probabilmente la seconda, anche se sperava ci fosse pure un pizzico della prima.
- Certo che sei proprio un disastro... -
Rimanendo immobile in quell'abbraccio notturno, e dopo aver emesso un piccolo gemito contrariato a quell'affermazione, le scappò la domanda.
- Ho fatto tanto rumore...? -
- Haibara, ma che ti importa? -
- Sei venuto fin qui, quindi significa... -
- Significa che ero preoccupato. Ero in salotto a leggere e all'improvviso ti ho sentita piangere forte, qui nella tua stanza... ci ho messo un po' a svegliarti -
Oddio, che vergogna.
- Mh... bene... -
- Ti sei tranquillizzata un po', adesso? -
Lei sentì un'altra sua carezza di conforto sulla schiena. Si chiese come facesse un tocco così delicato ad essere al contempo così caldo. E in quelle condizioni, sì, si stava calmando abbastanza velocemente.
Sciolsero l'abbraccio inaspettato e lui la fissò negli occhi, o almeno così le parve.
- Ti va di raccontarmi cos'hai sognato? -
Lei sospirò, ancora tremante.
- Come mai ti... interessa? -
- Beh, penso possa farti bene parlarne. Dev'essere stata roba forte. Gridavi come un'ossessa -
- Ma la vuoi smettere? -
Lei si sentì invadere dall'imbarazzo più bastardo, mentre lui si accomodava ancora meglio sul bordo del suo letto. Aveva proprio voglia di fare lo spettatore. Lui voltò di nuovo lo sguardo verso di lei: ora che gli occhi erano abituati al buio, notò che era piuttosto serio.
- Hai nominato più volte tua sorella -
- Sì, era nel sogno. - E non osò aggiungere altro o menzionare altri soggetti.
- E cosa faceva? -
- Faceva una cosa. -
- Oh grazie, Haibara, esauriente... -
Non poteva dirgli che voleva portarsi via lui da morto, e che lei la pregava di non farlo in quanto lo riteneva la persona più importante.
- Diciamo che, ehm... era una specie di angelo. Ed io... io volevo semplicemente che lei restasse qui, invece di tornarsene indietro -
Lui annuì leggermente, mantenendo la stessa espressione seria. Non parlarono più per qualche secondo, assorbendo il peso invisibile e spontaneo di quel breve racconto.
- Perdeva sangue. Sentivo le gocce cadermi vicino. Era ferita e pallida, ma sorrideva, sembrava stare bene. Mi parlava esattamente come ricordo... -
Lei sorrise istintivamente, e anche lui lo fece. Ai si asciugò le ultime lacrime rimaste sulle guance, tirando su col naso e ricevendo pochi secondi dopo un fazzoletto dal suo interlocutore notturno.
- Grazie... che ore sono? -
- Le 3 e mezzo -
- Wow -
Lei si soffiò il naso, restando poi in silenzio ancora per qualche secondo. Notò che anche lui, stranamente, prediligeva il mutismo, forse perché immerso nei suoi pensieri. Senza preavviso alcune folate di vento iniziarono a sollevarsi nell'aria fuori dalla casa, costringendo le persiane a tremare e sbattere appena contro i ventri. Ai fu percorsa da un brivido gelido lungo la schiena: lo stesso rumore che aveva fatto da effetto sonoro di fondo per quell'incubo indecente. Le sembrava di esserci ancora dentro, tanto era stato nitido.
- Mi dispiace se ti ho fatto preoccupare nel bel mezzo della notte... -
Si risoffiò il naso. Lo vide sorridere nel buio, guardando davanti a sé.
- Nessun problema. Sarei rimasto sveglio ancora molto, il libro mi piace... -
- Diventi nottambulo quando c'è un bel libro di mezzo -
- Sì, sono irrecuperabile da quel lato. E poi sai, un po' di pensieri che ogni tanto mi tengono sveglio... come l'antidoto, il non sapere se riuscirò mai a tornare a come prima... -
Ai inspirò a fondo, senza pensarci, ebbe bisogno d'aria. Le tornò di colpo in mente quell'altro aspetto del sogno, dove c'era lui come protagonista inconsapevole. Lui e l'antidoto. Non aveva voglia di raccontargli quel pezzo, chissà cosa sarebbe andato a pensare poi...
Lo vide aggrottare la fronte e avvicinarsi a lei col viso un po' pericolosamente. Kudo, che diamine ti prende ogni tanto?
- Ehi, ehi, ora basta però, mi inquieti quando sei così fragile... -
- C-cosa? -
- Hai qualche lacrimuccia che ancora scende, scienziata di ghiaccio -
- Ah, ok, ops... ops, io... oh, accidenti... -
Lui fece ancora uno dei suoi risolini sommessi ma non irritanti. Dopodiché disse:
- E comunque tranquilla, Haibara, che non muoio per via di un antidoto temporaneo. Anche se mi hai già detto e ridetto e ri-ridetto che prima o poi uno mi ammazzerà... -
Lei si bloccò, di nuovo l'ondata di imbarazzo. Ma come, COME diavolo...?
- Forse... mi è sfuggito di bocca qualcosina riguardo a quello, mentre dormivo...? -
- Sì. Forse. -
- Ma che scocciatura... -
- Perché non me l'hai raccontato? -
- Perché ti fa piacere sapere che eri schiattato a causa di un antidoto? -
- Non proprio, però ammettiamo che è una teoria interessante. Ad esempio, che contromisure adottavi per farmi evitare la morte? -
- Medicinali vari iniettati in vena come se non ci fosse un domani -
- Grande risvolto! -
- E pregavo Akemi di non portarti via, se questo può essere un metodo valido... perché tra tutte le persone, di certo tu eri l'ultima che avrei voluto perdere... -
Lui smise intelligentemente di ridacchiare, facendo tornare il silenzio come padrone della situazione. L'onda di imbarazzo di prima si trasformò in un bel laghetto in cui sguazzare. Stupida, cretina! Che ti è saltato in mente di dire anche questo? E adesso? Ma quanto sei idiota ogni tanto...
Quando lui riparlò, lei capì con certezza che non era l'unica in quella stanza a farsi carico di un po' di imbarazzo.
- Beh, ehm... che dire... allora non mi odi poi così tanto, sembra -
- Perché dici così? Quand'è che ti sei fatto l'idea che io ti odi? -
- Più o meno da quando ti ho conosciuta? -
- Quanto sei stupido... -
A quel punto le venne una voglia pazzesca di picchiarlo, ma non lo fece per due ragioni: lui era stato fin troppo gentile in quel momento, consolandola e parlandole, e in secondo luogo si comportava così solo per provocarla, come aveva sempre fatto. Non aveva certo intenzione di dargli soddisfazioni.
- E... per curiosità, a questo punto... Akemi decideva di portarmi via, nonostante le tue richieste? -
Ai annuì, tentando di non riacquistare lo sguardo cupo che per forza di cose le tornava sul viso ripensando a quella scena.
- Non so... non so perché abbia deciso di fare così. Era come se non fosse lei a prendere le decisioni importanti, ma fosse solo un'esecutrice. Forse non poteva fare altrimenti... -
- In ogni caso, ti prometto che non ti chiederò alcun antidoto per mooolto, molto tempo... questa volta ho capito che sotto sotto quest'idea ti terrorizza davvero, e non mi pare proprio il caso di farti preoccupare ancora così -
- Kudo... dici davvero? -
- Sì... ho visto come hai reagito poco fa, nonostante fosse solo un incubo. Ma poco importa, reagiresti così anche nella realtà... ho visto con quanta forza questa evenienza ti potrebbe scuotere. Farò in modo di provocare danni il meno possibile. -
Mentre Ai lo fissava nella penombra senza nemmeno sbattere le palpebre, e più che mai attenta al suo discorso, lo sentì prendere un lieve respiro prima di terminare.
- Non voglio più vederti così. -
A quel punto lei sentì i propri occhi bruciare di nuovo, inondati di lacrime. Li sbatté più volte, per non vedere offuscato, sperando che Kudo non se ne accorgesse di nuovo.
- Perché lo ammetto, mi fai tanta paura... -
Usò un tono da ragazzino un po' spaventato da un film horror. A lei spuntò un nervetto iracondo sulla tempia, mentre la voglia di tirargli un cazzotto riprendeva a serpeggiarle dentro. Poi però le venne anche da sorridere, visto che quella frase stupida detta da Kudo era un suo evidente tentativo di alleggerire l'aria. La conferma le arrivò dalle frasi seguenti, di nuovo serie.
- Ti chiedo sempre l'antidoto con troppa leggerezza. E non mi accorgo quasi che per te ogni volta rischia di diventare un peso enorme -
Lei abbassò il volto e annuì leggermente, udendo il lievissimo rumore della sua lacrima che precipitava sul lenzuolo.
- E anche per me, si intende... e comunque, non sono riuscito a conoscere bene Akemi, ma conoscendo i gusti della sorella sono certo che mi avrebbe portato in un bel posticino di alta classe! Pieno di riviste di moda e di strutture chic con vasche idromassaggio -
Nel buio e con la vista offuscata da quei nuovi veli acquosi, lei rise spontaneamente a bassa voce, apprezzando di nuovo quel modo di sdrammatizzare. Rialzò lo sguardo verso di lui, senza preoccuparsi se l'avesse vista ancora piangere o meno. Tuttavia lui non parve notarlo, dicendo invece:
- Che dici? Posso tornare in salotto a leggere... o preferisci che rimanga ancora qui a parlare? -
- Come vuoi tu. -
- Riesci a riprendere sonno, se mi sposto? -
- No, non credo -
Lei stessa si stupì della trasparente sincerità che le uscì di bocca. Avrebbe voluto ritirare la frase per non infastidirlo ulteriormente, ma lui invece annuì con serietà e comprensione e si posizionò meglio sul letto, accanto a lei, sollevando anche le gambe sul materasso, appoggiando la schiena al muro contro cui aderiva il letto e alzando le braccia per portarsi le mani congiunte dietro la nuca, in una posizione che assumeva molto spesso.
- Va bene. Sto qui allora -
- No, ma... cioè... allora, in realtà puoi far quello che vuoi e... -
- E' tutto okay -
Lei rimase con la bocca socchiusa, le parole spente. D'altronde era ciò che davvero pensava. La paura di rifare un incubo uguale o lontanamente simile avrebbe ritardato di molto, se non annullato, l'incombere del sonno. E restando in compagnia avrebbe avuto inoltre meno possibilità di reimmergersi in quel ricordo così fresco. Ma lui questo lo sapeva di certo, leggeva quel suo lato un po' fragile come fosse un bel libro antico e spalancato sulle pagine centrali. Portava luce nelle zone d'ombra in cui erano nascoste le sue debolezze. Lo faceva da sempre.
Lei si risistemò sul materasso coprendosi con le lenzuola, silenziosa.
- Beh... grazie, allora -
Lui non rispose, semplicemente fissò di fronte a sé il buio con un mezzo sorriso. Nessuno dei due parlò per alcuni minuti, lasciando che l'unico sottofondo fosse di nuovo quella persiana che non poteva sottrarsi al vento. Dopodiché, dal nulla, lei esclamò:
- Ma sei comodo?! -
- Diciamo che lo sono stato di più, in vita mia -
- Prendi pure una parte del mio cuscino -
- Pfui, per chi mi hai preso? Non sarà certo un muro a cambiarmi la serata... un muro freddo... e duro... -
- Ahahah... ma a chi vuoi darla a bere? -
- Cambiamo discorso! Ti posso raccontare la trama del libro che stavo leggendo? -
- No -
- Haibara, daaai. Non capisci quanto sia avvincente. Allora, il protagonista è un ex prigioniere di... -
- Io in realtà avrei di detto di no... -
- … di un carcere di massima sicurezza confinato su una montagna, ma il punto è che un giorni viene liberato da... -
E lui continuò, senza freni, mentre lei rideva sotto i baffi decisamente rassegnata da quel suo modo di fare. Ad un certo punto fu pure coinvolta dal racconto, iniziando a fargli domande sulla trama.
- Kudo, guarda che lo noto -
- Cos'è che noti? -
- Che non trovi una posizione abbastanza dritta e comoda da evitarti il torcicollo -
- E quindi? -
- Vuoi un pezzo di cuscino? -
- Ancora?! Ti ho detto di no! Sto benissimo così. Ed ora andiamo avanti, hai altre domande sulla storia? -
- Veramente le ho esaurite... -
- E allora continuo io esponendoti le mie congetture -
Ai annuì e ridacchiò, chiudendo nel frattempo le palpebre che non erano più tanto leggere quanto prima, cullata dal discorso scorrevole di lui che, poco a poco, sembrava farsi sempre più fievole.


Quando il vento fuori si placò e il cielo all'orizzonte assunse una leggera tinta rosea, annunciando l'alba, il dottor Agasa si svegliò in automatico, si stiracchiò sbadigliando e si alzò dal letto, dirigendosi poi lentamente verso la cucina.
- Accidenti... è davvero prestino. E' proprio vero che con l'avanzare dell'età si finisce per alzarsi a questi orari... uuuff... -
Per poter giungere alla sua destinazione dovette passare di fianco alla camera di Ai, resa ben visibile dalla porta lasciata stranamente aperta. Si avvicinò per poterla chiudere, in modo che la luce imminente del giorno non la svegliasse così presto, ma non appena afferrò la maniglia qualcosa catturò la sua attenzione.
- Oh... ma quello è... Shinichi? -
I due ragazzi – ragazzini – dormivano come sassi uno di fianco all'altra, lei in posizione supina e lui un po' più stravaccato, con un braccio penzolante fuori dal materasso e la testa storta, come se fosse scivolata via dalla posizione originale, e rivolta verso di lei. Agasa era quasi certo che si fosse addormentato senza preavviso, colto dal sonno. Si dividevano il cuscino, metà e metà.
Il dottore sorrise dolcemente, chiudendo poi la porta per lasciarli riposare e immaginandosi la faccia di Ai nel momento in cui si sarebbe svegliata. Ridacchiò sommessamente e si sfregò le mani, malizioso, pronto a calarsi nella parte del pettegolo sia con uno che con l'altra.


- … -
- … -
- ...eh? -
Non appena aprì gli occhi, con la testa rivolta verso sinistra, Ai si trovò a pochi centimetri dal proprio viso quello bambinesco di Kudo, addormentato come un ghiro. La scienziata sui primi momenti rimase del tutto neutrale, confusa dal sonno e dalla difficoltà di tenere le palpebre alzate. Ma poi le sbarrò, capendo la situazione all'istante. Kudo si era addormentato lì accanto a lei, forse tediato dal suo stesso racconto di quella notte. Ed era vicinissimo, accidenti se lo era.
Lei rimase ad occhi aperti a fissarlo per alcuni secondi, forse qualcuno di troppo, in silenzio. Si sentì un po' imbarazzata, per quel risveglio piuttosto inaspettato. Poi la sua mente concepì un pensiero preciso e per poco non si mise a ridere.
- Incredibile... quando dorme sembra un angioletto candido e impeccabilmente innocente. E' quando si sveglia e inizia a parlare che si capisce quanto le apparenze ingannino... -
- ...ti sento, Haibara... -
- Ops. -
- E poi ti stupisci che io pensi che mi odi... -
- Hai il senso dell'umorismo un po' arrugginito, eh? -
- Mmm... -
E parve quasi riaddormentarsi. Anche perché non aveva ancora aperto gli occhi, nemmeno per dire quelle poche frasi.
Li richiuse anche lei, sentendosi trascinata da quello strano tepore di sonno avvolgente. In effetti si stava così bene lì, non trovava proprio nessun motivo per doversi già alzare.
- Mmm... ho dormito qui con te, alla fine... -
- Già... ti è parso comodo il cuscino che non volevi? -
- Sì, molto... e gli incubi... li hai fatti ancora? -
- No... per niente... -
- Meno male... non sarebbe stato bello... mmm... -
- Se parli così mi fai venire il doppio del sonno... smettila, Kudo... -
- Sì, ma... che rogna che sei... -
- E tu come hai dormito...? -
- Io... benissimo... -
Lei sorrise lievemente, tenendo ancora gli occhi chiusi. E lui lo vide, visto che in quel momento aveva socchiuso le palpebre. Chissà che aveva da ridere?
- Mi sa che il romanzo non era poi così avvincente, se mi sono appisolato mentre te lo raccontavo... -
Ai non poté reprimere una risatina, contagiando stranamente anche lui, che nel momento appena seguente tornò nel suo limbo tra veglia e sonno. Quella mattina non c'era verso di alzarsi, e d'altronde le pochissime ore di sonno per entrambi giustificavano la cosa.
- Penso che per un po' non mi vedrete per casa... ma tu alzati pure, se vuoi... -
- Nah... non ne ho motivo... non di domenica mattina -
- Beh, questo ha senso... -
E in realtà non è solo per la domenica mattina. Non mi dispiace restare qui ancora un po'. Sorrise di nuovo, lasciando che la mente si abbandonasse a nuvole soffici di silenzio.

Intanto Agasa, seduto sul divano con la tv accesa, aveva più che mai un'espressione perplessa in volto.
- Ma quei due... quando diavolo riemergeranno??? Va a finire che mi addormento io qui in sala e mi perdo l'occasione di prenderli un po' in giro! -
 

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