Attraverso le Ali della Libertà di Lullaby1992 (/viewuser.php?uid=90282)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una visita inattesa ***
Capitolo 2: *** Altri progetti ***
Capitolo 3: *** Eren a Trost ***
Capitolo 4: *** L'udienza di Eren ***
Capitolo 5: *** Attenti ai geloni ***
Capitolo 6: *** Reazioni troppo pronte ***
Capitolo 7: *** Una piccola vittoria ***
Capitolo 8: *** La titano femmina ***
Capitolo 9: *** Una vecchia promessa ***
Capitolo 10: *** Il dolore di un padre ***
Capitolo 11: *** Una scintilla di vita ***
Capitolo 12: *** Domande ***
Capitolo 13: *** Varietà ***
Capitolo 1 *** Una visita inattesa ***
Era
una giornata normale a Trost. Il sole splendeva, la gente faceva
ognuno i fatti propri. Erano passati cinque anni dalla caduta del
Wall Maria. La gente iniziava di nuovo a rilassarsi e a sentirsi al
sicuro. I commercianti berciavano per le strade agitando le
mercanzie, i corpi della guarnigione gozzovigliavano alle loro
postazioni di guardia.
Certo,
erano decisamente meno i fannulloni, rispetto quelli che c'erano
stati prima della caduta del muro Maria. Ma anche pochi, alla vista
di alcuni militi e cittadini, provati dalla perdita di persone care,
erano comunque troppi, e li guardavano con sguardi pungenti.
In
quella bella giornata assolata una donna camminava a passo rapido e
deciso fendendo la folla.
Era
piuttosto bassa anche per la media delle donne, arrivando appena alle
spalle del più della gente. Aveva i capelli corvini, così
scuri e lucidi da avere riflessi bluastri, raccolti in una treccia
che era stata poi a sua volta raccolta in uno stretto nodo fermato
sulla sommità della nuca.
Aveva
lineamenti dolci e morbidi, il fisico minuto e slanciato, ben tornito
e femmineo, sebbene le sue forme non fossero particolarmente
abbondati era ben fatta.
Si
sarebbe detta quello che era l'ideale comune di una donna nobile.
Piccola, di lineamenti morbidi, delicata e raffinata.
La
divisa era estremamente curata.
Gli
stivali neri così lucidi da potercisi specchiare dentro. Le
fibbie dell'attrezzatura e l'attrezzatura stessa, erano curate e
sempre pronte all'uso, camicia e pantaloni erano di un bianco lindo e
ben serrate. Il giubbotto di cuoio portava il ricamo della testa
d'unicorno sul taschino frontale e sulla schiena.
Quello
che intimidiva i passanti non era tanto quello, che comunque era
piuttosto inusuale vedere degli uomini della gendarmeria fuori dal
Wall Sina, quanto l'espressione della donna.
Piatta.
Vuota ma determinata.
I
lineamenti erano fermi, gli occhi come persi nel vuoto di fronte a
sé. Fissi in un punto, ma come se non stessero vedendo nulla
di ciò che guardavano, ma stessero vedendo un obbiettivo tutto
loro.
Erano
anche di un colore strano. Blu scuro, profondo. Quasi più un
nero con una tonalità di blu. Un... blu notte, come la volta
celeste. O magari come un color oceano profondo, se la gente avesse
potuto ancora ricordare cosa fosse l'oceano.
Questa
però non degnò nessuno di uno sguardo, procedendo per
la propria strada.
Il
passo era fermo e regolare, e sebbene fosse una donna così
piccola, aveva una certa presenza. La fermezza di viso e passo
sembrava donarle un'aria pericolosa e sicura, e spesso era la gente
stessa che la circondava che istintivamente si ritraeva a lasciarla
passare.
Raggiunse
un edificio di mattoni come molti nella zona, questo però
recava fuori la bandiera verde con sopra lo stemma delle 'ali della
libertà'. Era una sede temporanea del corpo di ricognizione.
Entrò
dentro l'edificio e raggiunse il corridoio dove due soldati
piantonavano una porta.
“Signora,
possiamo esserle d'aiuto?” domandò il soldato di destra
mentre entrambe scattavano sull'attenti facendo il saluto militare
riconoscendo dalle mostrine sulle spalline della donna un loro
superiore.
“Devo
conferire con il comandante Erwin” il tono rimase calmo e fermo
mentre studiava il soldato.
Un
ragazzo castano con i capelli corti e il viso liscio, gli occhi
scuri.
Una
nuova leva. O comunque un acquisto recente, visto il nervosismo che
mostrava, valutò lei.
“Avete
un appuntamento?” domandò in tono incerto lui.
“No”
rispose con piattezza la donna.
“Vi
stava forse attendendo?” tentò di nuovo.
“Non
credo”
Il
soldato, imbarazzato, distolse lo sguardo “Temo di doverla far
desistere, Signora. Il comandante ci ha tassativamente ordinato di
non fare entrare nessuno”
“Aspetterò”
fu la pratica risposta della strana nuova arrivata.
“Ma...”
l'uomo di sinistra che era di un palmo più alto dell'altro e
dalle rughe d'espressione anche di una decina d'anni più
vecchio, fermò il commilitone.
“Potrebbero
volerci ore, signora”
“Non
resterà dentro per sempre. Io non ho fretta”
I
due uomini la guardarono straniti prendere una posizione militare di
riposo vicino al muro, in un cantuccio discreto ma da dove poteva
tenere d'occhio i movimenti del corridoio e delle stanze adiacenti e
rimanere immobile.
Lo
sguardo di lei si fece come vitreo, fermo. L'immobilità era
tale che a loro parve che nemmeno sbattesse più le palpebre.
La
sua presenza innervosì i due militi, però non avevano
né l'autorità per scacciarla né quella di
disturbare il loro comandante.
Era
ormai quasi sera quando finalmente, dai rumori che provennero dalla
stanza dello studio di Erwin gli rivelarono che doveva aver concluso
e che si fosse alzato dalle sedie con i suoi commilitoni, osarono
bussare leggermente.
“Signora,
come devo presentarvi?”
“Dite
solo che è una vecchia amica che viene a riscuotere un debito”
Erwin
congedò i suoi uomini con cui stava accuratamente pianificando
la sortita organizzata a giorni.
“Si-signore?”
era Tyson. Il ragazzo, sebbene fosse già da un anno dentro la
legione era ancora molto in soggezione nei confronti dei suoi
superiori. Il che era strano, considerando che dentro il corpo di
ricognizione si tendeva a essere piuttosto informali, salvo per le
occasioni che richiedessero uno stretto uso d'etichetta.
“Si,
dimmi”
“U-una
donna domanda di conferire con voi, signore”
“Chi?”
“Non
ha voluto presentarsi signore. Dice solo di dirvi che è una
'vecchia amica venuta a riscuotere un debito' Signore. È un
membro del corpo di Gendarmeria”
Erwin
aggrottò un momento la fronte, facendo mente locale mentre
congedava i suoi uomini e la guardia rimaneva in attesa di risposta.
“Dille
d'entrare” si limitò a dire.
Tutto
s'aspettava meno che trovarsi di fronte quegli occhi blu.
“Astrid?”
era sorpreso. Congedò con un frettoloso segno della mano la
sua guardia che ritornò a piantonare la porta, chiudendola
dietro di sé.
La
bocca di lei si storse appena. Come un vago accenno di sorriso.
“Capitano
Astrid, Comandante Erwin. Non sei l'unico ad aver scalato i ranghi
sai?” rispose lei con tono pacato, accettando il bicchiere di
liquore che lui aveva versato, e attendendo che prendesse in mano il
suo per poter brindare.
I
due si sedettero, studiandosi un momento vicendevolmente.
Astrid
gettò occhiate come vaghe nella stanza. Osservando i raffinati
mobili di noce, la scrivania più scura di mogano, la penna e
il calamaio adagiati vicino a numerosi fogli sulla scrivania che
Erwin aveva ammucchiato alla bell'e meglio nella fretta di farla
entrare.
“è
un piacere vederti in buona salute...” tentò Erwin non
sapendo con precisione come approcciare la donna, decise di stare sul
vago. Tastare il terreno.
“Tsk.
Evitiamoci le panzane, Erwin. Pardon, Comandante Erwin. Saltiamo
tutte le cazzate di ciao come stai? È dieci anni che non ci si
vede! E tutte quelle baggianate lì. Sono qui per un motivo.
Sai qual'è?”
Erwin
si ritrovò a sogghignare piano, ridacchiando di gola,
sommesso.
“Vedo
che questi anni non ti hanno addolcito per niente”
“Secondo
te passare dieci anni a navigare nella merda della gendarmeria
dovrebbe avermi addolcito?” domandò lei sollevando il
sopracciglio destro con fare sarcastico.
Erwin
si fece più serio.
“Suppongo
di no. Anche se, immagino, che le cose si saranno fatte più
complicate del previsto. Non è vero?”
Lei
rigirò il liquore nel bicchiere, con il viso scuro.
“Quando
mai le faccende vanno come previsto? Direi che se capita una volta su
cinquanta ci si può ritenere molto fortunati. Ma io e lei,
comandante, non siamo persone da affidarci alla fortuna non è
vero?”
“No,
certo che no”
Rimasero
di nuovo in contemplazione l'uno dell'altro.
Erwin
studiava con i suoi occhi di ghiaccio la donna che sedeva aggraziata
sulla sedia di fronte alla sua scrivania. La gamba sinistra poggiata
con leggerezza sulla destra.
Era
uomo, riusciva vedere le forme attraverso le divise, e quella che
aveva di fronte non era più la ragazzina spigolosa e dallo
sguardo truce che ricordava.
No.
Quella era una donna. Quegli occhi blu con quelle ciglia scure che si
piegavano in quella aggraziata curva scura su di essi, la pelle
candida di una perfezione quasi soprannaturale... le labbra
naturalmente rosse e piene, voluttuose e sensuali...
Erano
una trappola micidiale per qualsiasi uomo.
Perché
qualsiasi uomo abbastanza saggio da guardare oltre alla morbida curva
dei fianchi di lei, avrebbe intravisto il manico del pugnale che
spuntava leggermente da sotto al giubbotto corto, e quelli che
riuscivano a scollare gli occhi dal magnetismo della perfezione dei
lineamenti della donna, avrebbero visto la fredda calma dei suoi
occhi.
Si
era guardata intorno con un modo di fare svagato quasi pigro, come
chi dà giusto un occhiata per vedere il posto ma... chi aveva
l'esperienza per vedere e capire, avrebbe visto che era lo sguardo
fermo e calmo del predatore che sonda il terreno di caccia.
Probabilmente
madre natura non aveva mai dato alla luce nessun figlio più
pericoloso di lei. La bellezza soave di un angelo, in possesso di
determinazione granitica e una freddezza pareggiata solo dalla sua
rapidità di pensiero.
Il
nome di Astrid Lichtklinge era piuttosto noto a quasi tutti i
superiori in grado. Le sue imprese non erano pubblicizzate come
avrebbero potuto essere quelle di Levi, ma si mormorava che la sua
abilità non fosse seconda a nessuno.
Erwin
non stentava a crederlo, la conosceva in una certa misura. Inoltre
era troppo calcolatore per cadere al dolce battere delle ciglia della
donna.
“Sarò
chiara comandante. Credo che sappiamo entrambi che non sono capace ad
andarci troppo per il sottile in queste cose.
Io
e lei avevamo un patto. Mi sono fidata del suo giudizio. Ho fatto la
mia parte.
Ora
sta a lei, trovare il modo. Non m'importa il come. Sapete cosa
voglio. Trovate il modo”
“Mi
ci vorrà tempo. Dopodomani esco con la squadra”
“Ho
aspettato sin ora. Un mese in più o in meno non farà
differenza. Ma veda di non prendermi in giro”
“Non
l'ho mai fatto”
“Allora
continuiamo così”
La
donna tirò giù il contenuto del bicchiere con una
boccata sola per poi posarlo sulla scrivania con un sospiro mentre il
liquore le scaldava la gola sino allo stomaco.
Si
alzò, mentre con passo fermo raggiunse la porta, aprendola, si
girò di nuovo verso Erwin, e anche le guardie sentirono cosa
disse.
“Erwin,
mi raccomando, non morire là fuori proprio ora. La morte non
varrà come scusa per sottrarti al tuo dovere. Anche perché
altrimenti non saprei come vendicarmi, dopo...” lo disse con un
tono soave, quasi dolce, se non fosse stato per il sorriso freddo e
minaccioso che aveva sulle labbra.
Angolo
d'autore.
Bene,
eccomi anche su questo fandom a massacrare le pupille dei lettori con
le mie cavolate.
Avverto,
sono abbastanza nuova di questo ambiente, e non credo seguirò
proprio alla lettera tutti gli avvenimenti del manga originale.
Spero
che la storia vi piacerà comunque e sarete pietosi nei miei
confronti... anche se comunque le critiche sono sempre ben accette!
Che
altro c'è da dire... ah si! Aggiornerò regolarmente,
tutte le domeniche. Sperando che fantasia e ispirazioni (traditrici!)
non mi abbandonino sul più bello. Comunque per ora
rassicuratevi, ho già una piccola scorta di capitoli da
pubblicare!
Al
prossimo capitolo!
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Capitolo 2 *** Altri progetti ***
I
titani sembravano stranamente tranquilli, mentre che vagavano tra la
città mezza distrutta di Shiganshina. D'altra parte ormai
nella città non c'era più neppure un umano, per cui i
titani non avevano alcun motivo per restarci.
La
squadra Levi, supportata da alcuni altri uomini aveva fatto piazza
pulita dei giganti troppo vicini e ora c'era solo Hanji che si
'divertiva' a investigare presso i resti dei titani morti e un classe
tre metri che avevano legato e le sentinelle che tenevano d'occhio la
situazione da sui tetti.
Levi
stesso si avvicinò ad Erwin che da su un tetto controllava una
mappa e al contempo lanciava, di quando in quando, occhiate da falco
nei dintorni.
“Allora,
idee?” domandò Levi.
“No,
al momento no. Per fermare i titani bisognerebbe, ovviamente, tappare
il buco nelle mura. E per farlo abbiamo bisogno di risorse di cui non
possiamo disporre così facilmente.
Portare
mattoni, pietre, calce, eccetera richiede mezzi pesanti. Non possiamo
difendere mezzi che si muovono così lentamente. Anche perché
il buco aperto nelle mura richiede ben più che una semplice
'stuccatura'”
“Quindi
niente di nuovo” constatò Levi, bofonchiando tra sé.
“Sarà
forse solo una mia impressione, Erwin, ma ti vedo pensieroso”
disse il capitano, cercando di non pensare con rabbia alle vite che
avevano perso per venire sino a lì.
Anche
se... era indiscutibile dire che a Levi piaceva stare fuori da quelle
soffocanti mura piene di 'umanità'. La verità era che
il più delle volte l'uomo era nemico di sé stesso.
O
almeno, era così che lui la pensava.
“Una
nostra vecchia conoscenza mi ha fatto visita” rispose il
biondo. Levi aveva notato che durante il tragitto aveva avuto spesso
la fronte aggrottata, e questo era insolito per lui. Anche nel bel
mezzo di una missione.
“Chi?”
chiese incuriosito.
Prima
che potesse prendere fiato per rispondere fece la sua comparsa Erd.
“Signore,
i titani si dirigono tutti a nord. Hanno un comportamento strano”
“Confermo
è inusuale” convenne Hanji. “Ci stanno
deliberatamente ignorando, anche se dovremmo essere gli unici umani
in zona e si dirigono verso nord”
“Potrebbe
trattarsi di... preparate subito i cavalli!” ordinò
Erwin con la mente che galoppava già verso la prossima mossa
che doveva fare.
I
titani avevano colpito da sud, cinque anni prima, demolendo la città.
Se
ora si dirigevano tutti a nord... poteva essere successo qualcosa nel
Trost, e in qualsiasi caso, dubitava fosse una buona notizia.
Astrid
invece, si trovava dentro le mura di Sina quel giorno, passeggiava
distrattamente nella caserma che faceva da appoggio a buona parte
della polizia militare interna.
Odiava
stare alla capitale. Così chiusa, monotona, servile e mielosa
e... pericolosa.
Già.
Stare
in mezzo ai nobili era come prendere in mano un mazzo di fiori senza
essere certi che non fossero pieni di spine o di vespe pronte a
pungere a tradimento.
La
maggior parte delle volte usava la semplice politica del silenzio.
Quando
qualcuno ti chiede qualcosa, sorridi e annuisci. O ignoralo. In
nessun caso, mai dare corda ai nobili.
Poi,
ovviamente, c'erano nobili e nobili. Alcuni avevano troppo potere per
poter essere ignorati. O erano troppo astuti per essergli apertamente
ostili. Con alcuni era meglio usare i guanti. C'erano sempre delle
eccezioni al caso.
Ma,
per lo più Astrid era conosciuta da superiori e personaggi
importanti come un lupo solitario.
Il
suo voto negativo sin dall'accademia era stato proprio l'incapacità
di relazionare o di affidarsi ad altro.
Era
una solista ma... che solista!
A
cosa serviva un orchestra quando uno strumento solo può fare
un'opera così sopraffina da incantare chiunque? In quel caso,
l'orchestra si limita ad un pacato sottofondo con il solo scopo di
valorizzare ulteriormente quell'unico strumento.
Questa
era Astrid.
La
voce fuori dal coro.
Nelle
missioni pericolose, era sempre quella con la carta bianca, che
entrava o usciva dalle righe a piacimento.
Si,
perché sebbene gli addestratori (e i capi squadra in seguito)
avrebbero voluto sopprimerla sul nascere vedendo che non era in grado
di seguire le istruzioni come ci si aspetterebbe da un buon soldato,
finirono con il rendersi conto che non potevano distruggere una
simile opera d'arte.
Perché
il valore di quel soldato, era quello di un plotone intero. E per
quanto dovessero sopportare il suo 'essere diversa' capivano infine
tutti che sopprimere un simile soldato sarebbe stato un delitto
contro l'umanità.
No,
quello che spaventava davvero segretamente i superiori era la sua
volontà e la capacità di pensiero libero. Perché
poi, alla fin fine, non è che fosse incapace di eseguire gli
ordini. Quando voleva, sapeva essere diligente. Il problema sorgeva
quando riteneva gli ordini delle cretinate e iniziava a fare di testa
sua.
Nessun
discorso di fedeli, fanatici, burocrati, politici o quant'altro aveva
mai attecchito dentro la mente di lei.
Nessuno
sapeva cosa la motivava, o il perché di ciò che faceva.
Ma nessuno era riuscito a piegarla.
Una
volta qualcuno l'avvicinò tentando di iniziarla al 'culto
delle mura', ma fu bruscamente respinto.
Sette
segrete intestine alla Gendarmeria tentarono di accaparrarla nei loro
ranghi, promettendole oro, gloria, e di svelare alcuni misteri da
sempre legati alle mura e ai giganti. Certo, non lo dissero
direttamente, ma le velate promesse erano quelle.
Ma
lei lo capì, e troncò il discorso sul nascere.
Le
tornò in mente quella conversazione che aveva avuto due anni
prima con uno di questi:
“So
già cosa vuoi propormi” disse all'uomo in divisa che si
era presentato nel suo studio, prima ancora di lasciargli aprire
bocca.
“Cosa?”
sobbalzò lui, che stava tentando di racimolare le idee per
esporle al meglio.
“Lascia
che ti dica quello che penso e risolviamola alla svelta. Sono a
conoscenza delle sette che si celano dietro il corpo di Gendarmeria.
O per meglio dire, non so nulla di loro, ma so che esistono. Ci sono
voci e mi ritengo abbastanza furba da sapere che la maggior parte
delle cose che la gente mormora sono panzane ma, un fondo di vero
spesso c'è”
Prese
il fiato.
Per
Astrid era stato uno dei momenti in cui aveva dovuto usare
maggiormente il suo sangue freddo. Sapeva che se avesse dato delle
risposte sbagliate la avrebbero uccisa. E per quanto abile che fosse,
non avrebbe potuto nascondersi per il resto della vita dalla
gendarmeria, e non voleva di certo vivere come un coniglio braccato!
Sebbene
fosse pronta a morire per le sue idee e per le sue motivazioni in
qualsiasi momento... alla fine tutti gli esseri umani campano oggi
per vivere domani.
Astrid
aveva la sua meta in mente, e voleva vivere per vederla.
“Non
saresti pronta ad offrire la tua fedeltà e il tuo cuore al Re?
Ti facevo scaltra ma non codarda” tentò l'uomo cercando
di sondare il terreno per capire cosa aveva in mente la donna.
Il
viso di lei si fece serio. “Vacci piano con le parole, Karl. Ci
sono cose peggiori della morte, e non ho paura di morire” la
risposta fece rivelare all'uomo che lei sapeva di essere in quel
momento nel mirino dei loro agenti, e che sarebbe morta avesse detto
o fatto qualcosa di 'sbagliato'.
“Non
sono codarda. Il punto è che... non me ne frega assolutamente
niente del Re. Potrebbe crepare domani, per quanto mi riguarda...
alt! Fammi finire”
L'uomo
si era alzato con le mani pronte sulle armi.
“Io
ho un mio obbiettivo personale. Un... sogno, per così
chiamarlo, che sto inseguendo da anni. Perché mi sono unita
alla gendarmeria se non m'interessa il Re? Perché al momento,
gli interessi del Re collimano con i miei. Tutto qua.
Per
cui ritirati tu, con la tua setta e tutta la tua banda, io
dimenticherò questa conversazione, nessuno si sarà
fatto male e io non saprò nulla che possa danneggiarvi.
Tutti
felici e tutti con la testa sul collo. Che ne dici?”
controbatté lei. Lanciandogli la proposta con la
spensieratezza con cui un venditore ti offre un chilo di mele a
prezzo ribassato, ma stava studiano l'uomo con viso serio.
Dentro
di sé era pronta a scattare in piedi, prendere il pugnale che
portava nascosto nello stivale e freddare il tizio sul posto. Dopo
sarebbe morta anche lei, probabilmente, ma almeno quello che aveva di
fronte l'avrebbe portato con sé.
L'uomo
esitò.
Aveva
studiato la sua 'preda' abbastanza da sapere che Astrid non avrebbe
ceduto. Se aveva detto no, era no. Con lei il più delle volte
mezze misure non esistevano. Ora il problema era accettare il no o
ficcargli una pallottola nelle cervella. Le soluzioni erano solo
queste.
Decise
di temporeggiare.
“Cosa
ti dice che io non proverò a metterti a tacere più
tardi?” domandò lui, tenendo un'espressione cordiale,
visto che anche la sua ospite ostentava serenità.
“Di
fatto... nulla. Ci saranno di certo dei tiratori appostati nelle
vicinanze, pronti ad un tuo cenno ad agire. Certo, se ti muovessi
ora, probabilmente avrei la tua testa, anche se morirei.
Ma
nulla ti vieta di provarci più tardi, quando avrò la
guarda abbassata. Sono abile ma sono ancora umana, ho bisogno pure io
di dormire, e mangiare. Non posso avere occhi ovunque né
prevedere ogni cosa.
Tuttavia,
ho due vantaggi su di te”
“Davvero?
E quali?” tentò di sogghignare l'uomo, mostrandosi
spavaldo.
In
verità, il modo calmo e freddo in cui stava esponendo i fatti
la donna lo stava spaventando, eccome.
Chi
poteva essere così calmo sapendo che la propria vita è
in pericolo?
Quella
donna o era pazza, o era soprannaturale. In entrambe i casi erano
guai per lui.
“Primo.
Tu sei un uomo di sua maestà sino al midollo. Due, io sono una
risorsa per l'umanità. Se vuoi ti spiego anche a parole
semplici come il primo punto si collega al secondo” il sorriso
di lei si fece voluttuoso, quasi dolce.
Come
una mamma che si accinge a spiegare al figlio una semplice lezione.
“Non
per vantarmi ma sono uno dei soldati migliori di cui disponete se non
il migliore. Non sapete il più delle volte come gestirmi, ma
fin ora ho obbedito con risultati eccellenti.
Io
non so nulla che possa compromettere te o la tua 'associazione' o
gilda o quel che è. So della vostra esistenza, ma credo che
molti di quelli di grado appena un po' più alto dei cadetti lo
sappiano, ma sai bene anche che so tenere la bocca chiusa.
Fin
tanto che io obbedisco agli ordini e resto un ottimo soldato sono
ancor sempre una risorsa troppo preziosa per poter essere buttata via
per un semplice sospetto.
E
questo tu lo sai”
“Forse
ti stai sopravvalutando”
“Forse”
ammise lei, con calma, versandosi del vino nel calice.
Osservò
le belle mani con le dita affusolate strette introno alla bottiglia.
Non tremavano. Erano ferme. Così come rimase fermo il vino nel
calice quando lo sollevò.
Non
aveva paura. Non c'era nessun cenno di cedimento o paura in lei.
“Quanto
sai di noi?” domandò lui infine.
“Nulla.
So solo che operate segretamente. Il più delle volte lavori
sporchi. E prima che me lo chieda, sappi che ne sono venuta a
conoscenza semplicemente svolgendo i miei soliti incarichi.
Ho
sentito il mormorare di persone spaventate da misteriose
'sparizioni'. Nobili con la lingua troppo sciolta che parlavano a
vanvera su cose di cui sapevano poco ma su cui infioravano
bellamente, credendo di vantarsi.
Capirai
che, qualcosa sono riuscita a metterla insieme. Ma questo è
tutto”
Rimasero
entrambi in silenzio per un lungo tempo.
Alla
fine l'uomo prese la sua decisione.
Fece
un secco sospiro “Molto bene. Da quanto ne so non sei solita
mentire deliberatamente. Io non ti conosco, tu non mi conosci. Questa
conversazione non è mai avvenuta. Ti terremo d'occhio”
“Ovviamente”
fu la sua pacata risposta.
Riprendendo
a camminare in modo secco lungo il cortile di pietra, Astrid mugugnò
tra i denti. “Se non farai quello che voglio io Erwin...
troverò il modo di fartela pagare per tutti questi anni”
In
quel momento venne un messo di corsa.
Subito
lei non focalizzò. Era troppo presto per il rientro delle
truppe del corpo di ricognizione. A meno che qualcosa non fosse
andato male...
“Signora!
È terribile Signora!”
Il
giovane era un suo fan spietato e lei gli aveva lasciato il compito
di comunicarle immediatamente se fosse stato avvistato il rientro
della truppa di ricognizione.
“Calmati
cadetto. Rapporto!” gli intimò con serietà.
Il
ragazzo si rimise nei ranghi, porgendole il saluto militare e
prendendo fiato.
“è
comparso di nuovo il titano colossale signora. Il distretto di Trost
sta cadendo, anche se la guarnigione sta cercando di fare del suo
meglio per contenere l'avanzata dei titani e dare tempo ai civili di
evacuare. Stanno anche già mettendo in allarme tutti i
cittadini del Wall Rose per un eventuale fuga sino al Wall Sina. Il
comandante Pixis sembra abbia un piano di riconquista che prevede di
tappare il buco creato nel muro del Trost. Non so altro signora.
Stava organizzando il tutto mentre sono venuto ad avvisarvi”
Diverse
parolacce diverse salirono alle labbra della donna, anche se non
trovarono sfogo, visto che queste si serrarono in un'espressione
severa e tesa.
“Corri
a prepararmi il cavallo più veloce che trovi”
“Subito!”
aggiunse vedendo l'incertezza nel modo di fare del giovane.
Questo
schizzò verso la scuderia.
Dannazione,
questa non ci voleva! Mugugnò tra se e sé.
Il
problema era... la squadra di ricognizione! Realizzò di colpo
lei.
Era
andato verso Shiganshina, il distretto più a sud delle mura
Maria. Avrebbero tentato di rientrare dal Trost. La porta più
vicina. Se l'avessero trovata tappata... potevano rimetterci la pelle
tutti.
Salendo
a cavallo e spronandolo al massimo in direzione del Trost, Astrid
ruggì al vento che le fischiava nelle orecchie “Non
provare a morire ora dannato Erwin! Ho altri progetti per la mia
vita!”
Angolo
d'autore.
Oilà.
Bene bene, stiamo iniziando a dare una 'linea' a questo nuovo
personaggio. Direi che è una tosta. A quanto pare mi vengono
bene le donne con un certo carattere... vabbè.
Questi
comunque sono capitoli di partenza, mi ci vuole sempre due o tre
capitoli per dare veramente il via alla storia... spero che comunque
vi piaccia, o quanto meno vi incuriosisca... lasciatemi pure un
commento con le critiche, sono quelle che più di tutte aiutano
a migliorare!
Ditemi
pure cosa ne pensate del mio modo di scrivere, dei personaggi, cosa
vi piace e cosa no!
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Capitolo 3 *** Eren a Trost ***
Astrid
arrivò al muro di Rose nei pressi del Trost con il cavallo che
quasi stramazzava a terra dalla fatica per giungere lì il
prima possibile, e lo trovò gremita di persone che si
affollavano intorno al percorso fluviale per imbarcarsi nei barconi
d'evacuazione.
Le
facce dei soldati erano tutte scure, e per lo più nei pressi
delle mura e dei barconi erano state posate barelle su barelle di
feriti.
Molti
erano ormai morenti.
Difficilmente
si sopravviveva al confronto con un gigante.
I
più morivano direttamente sul colpo. I feriti erano dovuti per
lo più ai crolli di qualche edificio da cui erano stati
fortunosamente recuperati. Oppure all'essere stati travolti dalla
folla in fuga e soccorsi solo in un secondo tempo.
“Cadetto!”
dovette richiamarlo due volte, senza ottenere risposta.
Scese
da cavallo, si portò di fronte al ragazzo e gli tirò
una sberla che lo fece cadere sulle ginocchia stupito e con lo
sguardo allucinato.
“Cadetto!
In riga!”
Per
istinto il ragazzo dai capelli biondo scuro, rispose al tono
autoritario mettendosi sull'attenti con il pugno sul cuore.
“Porta
il mio cavallo nella scuderia e da in modo sia strigliato” gli
ordinò, leggendo però nei frattempo la paura negli
occhi grandi e chiari del giovane.
Capiva
che non tutti potevano avere un'eccellente forza d'animo che
occorreva per rispondere a certe situazioni, ma erano nell'esercito,
e non si poteva permettere alla paura di dilagare, o sarebbe sfociata
in insubordinazione.
“S-sisignora”
“Datti
una sciacquata alla faccia e renditi utile. Restare a piangersi
addosso non serve a niente. Porta acqua ai feriti e assistenza ai
medici se sei così senza palle da non andare a supportare i
veri soldati” con questo, senza sentire la replica salì
sulle mura, dove agguantò la prima attrezzatura che le venne
sotto mano. Sperava più che altro che la provocazione servisse
a cancellare la paura e lo spingesse ad agire.
Controllò
che ci fosse gas e che funzionasse correttamente. Si rifornì
di lame che ondeggiò nell'aria per testare. Erano anni che non
ne prendeva in mano una.
“Cosa
ci fa qui il corpo di Gendarmeria?” chiese quello che doveva
essere un caposquadra, dal viso autorevole e dal modo di atteggiarsi.
“Sono
qui in veste di soldato dimentica la mia uniforme. Fammi un quadro
della situazione!”
L'uomo
esitò solo un momento prima di spiegare nel modo più
breve possibile quanto sapeva di un certo cadetto di nome Eren che
aveva la capacità di trasformarsi in gigante e che avrebbe
tappato lui il buco nelle mura, mentre gli uomini erano schierati
lungo le mura come esche per attirare i giganti.
“Molto
bene. Comunica a Pixis che... ma sì. Dì a Pixis che
questa volta Astrid Lichtklinge va' a
ballare con i titani”
La
ragazza senza attendere oltre, si mise a correre lungo le mura, da
est diretta a sud.
Doveva
aiutare la squadra esplorativa. Avessero tentato il rientro ora si
sarebbero trovati nei pasticci.
Conoscendo
gli elementi... non sarebbe stato insolito vederli comparire. In fin
dei conti tra di loro c'era chi aveva un vero fiuto per i guai,
avrebbero capito che c'era qualcosa che non andava in città.
Corse
quindi sulle mura, fino ad arrivare sopra la fenditura creata dal
titano colossale, dove si stavano riversando dentro decine di
giganti.
Credeva
di aver visto migliaia di depravazioni dell'uomo, lavorando nella
gendarmeria, ma non si era aspettata una simile carneficina.
Il
sangue era ovunque, sembrava piovere pure dal cielo. I giganti
scavavano nelle macerie delle case, cercando bimbi che madri avevano
abbandonato, vecchi o invalidi che non avevano potuto sposarsi.
Soldati feriti, altri rimasti senza gas e quindi senza possibilità
di fuggire. Gente che era rimasta così paralizzata dal
terrore, che non cercava neppure più di scappare. Restava lì,
inerte, con l'espressione vuota, come se l'anima avesse già
abbandonato il corpo, e non gli restava che attendere la morte.
Le
parole come pietà o tregua, non esistevano in quel giorno in
quel luogo. Era una battaglia all'ultimo respiro.
Astrid
si era fatta arrivare sempre per vie traverse i rapporti del corpo di
ricerca. Si era tenuta informata sulle novità, sulle nuove
scoperte, sugli studi condotti suoi giganti.
E
si era anche tenuta allenata per poter combattere i giganti, almeno
un poco.
Scese
infatti dalle mura un paio di volte, per aiutare delle truppe della
guarnigione e dei corpi cadetti che si erano trovati in difficoltà.
Uccise
due giganti, e si sentì orgogliosa di averlo fatto. Non solo
perché salvò una manciata di cadetti, che incitò
a continuare alla lotta, ma perché aveva appena eliminato due
dei nemici naturali dell'umanità.
Due
di quei fottuti bastardi che li obbligavano a restare rinchiusi in
quelle mura pulciose.
Rischiò
un paio di volte di farsi prendere, lo ammise. Erano troppi anni che
lottava solo contro altri esseri umani. Però fu abbastanza
agile da riuscire a regire con prontezza e se la cavò con un
paio di lividi e un taglio su un braccio.
Meglio
di molti di quelli che stavano seminati sulle strade qua e là,
divorati a brandelli.
O
di quelli che stavano rinchiusi in quel diavolo di bozzo che suppose
essere un rigurgito di un gigante.
Secondo
le teorie elaborate negli anni, essendo i giganti senza apparato
digerente, quando avevano la pancia piena erano costretti a
rigurgitare per poter continuare a divorare altri umani.
Hanji
Zoe aveva stilato un lungo e ricco rapporto riguardo questa teoria.
Vederla
confermata però non era per niente una bella cosa.
Persino
nel suo ferreo autocontrollo, Astrid si trovò costretta a
forzare sé stessa per non rimettere o per non fuggire a gambe
levate.
Si
costrinse a fissare quell'ammasso di carne e sangue e ossa spezzate e
mormorò “Che possano le vostre anime riposare in pace.
Un giorno l'umanità si riscatterà” prima di
riprendere a correre sul muro.
Fece
appena in tempo. Identificò dallo scintillio in lontananza le
bardature degli animali e delle fibbie del corpo di ricerca.
Dentro
le mura invece si stava avvicinando un gigante con un enorme masso
sulle spalle.
“Ehi
mocciosi! Quello è il cadetto Eren?” urlò da in
cima le mura.
Un
biondino dall'aria filiforme si girò per cercare chi avesse
parlato.
“Si
signora! Dobbiamo proteggerlo perché completi la missione”
rispose.
“Arrivo
subito! Devo prima salvare le chiappe ad altri uomini!”
Facendo
più veloce possibile, calò le funi dal muro e le
carrucole con le imbracature per tirare su i cavalli.
Il
gruppo si accostò a quel lato del muro, vedendo le corde
calate, dato che Eren, a quanto sembrò dal gran fragore, e
dalle scosse che sentì Astrid sotto i piedi, riuscì
nella sua missione.
“Ehi!
Dannati alati! Muovete quelle chiappe qua c'è un titano a cui
salvare il culo!” gridai dal bordo delle mura mentre i primi
uomini si aggrappavano alle scale di corda per iniziare a risalire il
muro.
Li
mollai lì e mi tuffai di sotto dall'altra parte del muro,
saltando direttamente sulle spalle di un quindici metri che si stava
avvicinando ai due cadetti che tentavano di tirare fuori un ragazzo
dalla collottola del titano che s'era accasciato contro la pietra
piazzata a mo' di natta di recupero sul collo di una bottiglia.
Recisi
con un taglio netto la collottola di questo, e saltai sul secondo,
sfruttando la spinta d'inerzia che avevo ancora in corpo.
Vidi
un ombra scendere sul terzo titano, che a breve cadde in terra anche
quello.
Non
mi fermai a vedere chi fosse.
Seguendo
la scossa d'adrenalina mi lanciai verso il prossimo.
“Yahoo!
Abbiamo una città intera da ripulire!”
“Chi
diavolo è quella pazza?” domandò il capitano
Levi, soccorrendo i cadetti e la donna occhialuta che faceva parte
dei corpi scelti della guarnigione.
“L'ho
solo intravista, ma credo sia Astrid Lichtklinge. Corpo di
Gendarmeria”
Rispose
la donna occhialuta.
Levi
rimase un momento a fissare il punto in cui era scomparsa dietro una
casa.
“Beh,
risaliamo le mura la nostra truppa vi scorterà sino al Wall
Rose non appena avremo finito
di caricare i cavalli e i materiali”
Passò
qualche giorno, Eren venne arrestato e portato alla base.
Astrid
tenne ben d'occhio le mosse sia di Erwin che di Neil Doak. Il secondo
non gli dispiaceva troppo come persona, ma personalmente lo trovava a
volte troppo titubante per essere un comandante. Una cosa che stimava
di Erwin era proprio che ragionava sempre fermamente con la propria
testa e faceva quello che andava fatto.
Certo,
non che non ascoltasse i suoi uomini, ma al contempo sapeva non
farsene influenzare troppo. Il che era una buona prerogativa per non
farsi manipolare.
Neil
a volte esitava, o si lasciava influenzare da opinioni esterne.
Tratto che Astrid non gradiva particolarmente. Ma si rendeva anche
conto che, di persone come potevano essere lei o Erwin con la testa
dura sino all'ultimo c'è n'erano ben poche, e nella sua
personale classifica Neil non stava poi così in basso.
Così
come studiò Eren da quanto più vicino possibile. Riuscì
pure a mettere le mani su alcuni incarti privati che le consentirono
di sapere la provenienza di Eren.
Il
distretto Shiganshina. E che aveva fatto domanda per entrare nel
corpo di ricerca. Sorrise tra sé e sé. Aveva fegato il
moccioso, se aveva visto quel massacro, l'aveva rivissuto nel
distretto di Trost e ancora voleva far parte dell'unico corpo che si
metteva volontariamente a rischio con i titani.
Tsk!
Che tipo!
In
quanto a ufficiale, gli fu consentito di partecipare alle riunioni
con Neil prima dell'udienza per decidere del destino di Eren.
Il
numero di persone che proposero di eliminarlo a priori era
esorbitantemente alto.
Astrid
poggiò i piedi sul basso tavolino di mogano, afferrando
dell'uva dalla coppa posta ormai vicino ai suoi piedi e si mise a
gustarsi i dolci acini mentre gli altri berciavano tra di loro
concitati.
Neil
era solito ascoltare anche le opinioni dei graduati, per quanto
l'ultima parola spettasse a lui. Lei però aveva deciso di
smetterli di ascoltarli non appena che capì come giravano gli
umori.
Che
gruppo di pazzi bastardi, inutili e pavidi.
Si
domandava ogni giorno di più come avesse fatto a sopportare
sin ora di restare lì.
Anche
se, dentro di sé sapeva bene che era una domanda retorica.
Sapeva bene il perché e il percome era nella gendarmeria.
“Astrid,
non dici nulla tu?” domandò Neil. Forse nella speranza
di uscire dal gorgo di militi impazziti, strepitanti e urlanti.
“Sei
sicuro di volere sentire la mia?” rispose per contro con un
sogghigno.
“Hanno
preso parola tutti. Solo tu sei rimasta in silenzio”
“Siete
la più grande banda di inetti con la testa vuota che abbia mai
visto”
Un
silenzio glaciale calò nella stanza. Non era mai stata gradita
in quell'ambiente. Non troppo, ma il fatto che non avesse 'peli sulla
lingua' era una delle caratteristiche sicuramente più sgradite
ai suoi superiori.
“Possiamo
sapere perché di grazia?” chiese Neil, non senza una
certa fredda ironia.
“Per
una volta si presenta un'arma, una vera arma nelle nostre mani.
Efficace quanto dieci armate. E voi, mezze cartucce di checche che
non siete altro cosa pensate? Distruggiamola. Certo! Mi pare logico
no? Buttate via le armi e aspettate di farvi mangiare dal prossimo
gigante che passa!” li schermì lei.
“Potrebbe
essere...”
“Con
i 'potrebbe' non si vincolo le guerre Neil. Quello che è
successo a Maria, è una conferma. Non siamo al sicuro.
Possiamo vivere 100 anni di pace, forse 200, forse anche 300 o mille.
Non importa. Le mura non sono invulnerabili. Questo è il
messaggio che avrebbe dovuto arrivare alla mente di tutti noi.
Dobbiamo
trovare un mezzo alternativo per difenderci. Se non volete attaccare,
almeno un mezzo di difesa efficace ci vuole, e spero che di questo ne
converrete pure voi.
Il
ragazzo è... l'arma perfetta contro i titani. Se tu avessi
letto con accuratezza le informazioni fornite dal rapporto del
comandante dei cadetti, sapresti che il giovane mostra un viscerale
odio contro i giganti che hanno ucciso la sua famiglia. Era di
Shiganshina.
Voi
dite che Eren è pericoloso. Ovvio che lo è, è un
arma. Come un fucile.
Ti
punteresti mai la canna del fucile nella bocca? No, ovvio che sarebbe
pericoloso!
Quello
è un magnifico fucile, niente di più niente di meno. Ed
è già puntato verso i titani, basterebbe avere il
coraggio di premere il grilletto. Ma voi state ampiamente dimostrando
con i vostri discorsi di non avere le palle per farlo.
Se
non avete la lungimiranza per vederlo, sono fatti vostri”
Un
silenzio gelido era rimasto ad aleggiare nella sala.
“Questo,
è quello che penso io”
La
donna si alzò gettando via il graspo ormai spoglio.
“Ah,
Neil... se le cose vanno come penso io... aspettati le mie
dimissioni” con questo se ne andò sbattendo la porta
della stanza nel castello.
“Luridi
porci schifosi! Miopi e deboli...” la sentì sibilare
rabbiosa un inserviente che stava lavando i pavimenti in quella zona,
mentre con passi frettolosi si allontanava dalla stanza delle
riunioni.
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Capitolo 4 *** L'udienza di Eren ***
Neil
fini quasi per il pensare di più ad Astrid che al processo di
Eren.
Che
diamine aveva in mente quella donna infernale?
Non
poteva negare fosse un piccolo genio militare. Nelle azioni singole
aveva una maestria davvero unica.
E
dimissioni che diamine voleva dire? Non era quasi mai capitato che
dei soldati si ritirassero dal servizio. Salvo dal corpo di ricerca,
chi, dopo il 'battesimo di sangue' capiva di non avere la stoffa per
stare fuori dalle mura, cercava di fare ripiego sul corpo di
guarnigione.
Alcuni
di questi ultimi avevano mollato dopo Shiganshina, per il trauma
subito, chiedendo di poter essere assegnati ai campi da dissodare.
Essere contadini era forse più umile, ma più sicuro e
più tranquillo.
Ma
dalla gendarmeria... erano casi strani. Cosa diavolo aveva in mente?
Perché
lui, era certo che avesse un piano, la dannata. Si trattava solo di
capire quale.
Quella
giornata Astrid si sentiva... in fermento. Frizzante. Era il momento
della verità. Era curiosa di vedere se l'umanità era
tanto rincretinita da uccidere la migliore soluzione che gli fosse
capitata tra le mani da quando era rimasta rinchiusa in quelle cavolo
di mura.
Dannate
mura. La loro salvezza e la loro condanna. Astrid si rendeva conto
che l'umanità sarebbe stata annullata senza mura ma... vivere
così, come canarini in gabbia, a cinguettare ai loro
carcerieri...
No,
lei non era un canarino canterino a disposizione di un padrone. Lei
era un aquila che sarebbe vissuta libera o morta cercando di esserlo.
Era
seduta nell'angolo più lontano possibile dal corpo di
gendarmeria. Osservò il banco dei presenti da parte del corpo
di ricerca. Erwin, con la sua statura e la sua curata chioma di
capelli lisci e biondi spiccava subito. La sua presenza era
ulteriormente accentuata dal viso austero, serio e solerte. Dallo
sguardo freddo e determinato di quegli occhi azzurro chiaro. Un viso
nobile, distante, determinato, austero.
Quello
era un capo senza la paura di sporcarsi le mani, che analizzava
situazione per situazione, vagliando ogni possibilità prima
d'agire, ma che anche messo alle strette sapeva pensare e agire
rapidamente.
Sempre
detto che lo si riuscisse a mettere alle strette. Ridacchiò
tra sé Astrid.
Vicino
a lui c'era una donnetta non tanto alta dai capelli chiari che
riconobbe come Petra Ral. Anche lei era una vera risorsa per
l'umanità, con un numero di titani uccisi nella sua scheda da
far invidia al suo stesso capitano.
Quando
Astrid spostò lo sguardo sulla destra di Erwin... il fiato le
mancò, le dita presero a formicolare mentre il cuore pulsò
per qualche istante con una certa aritmia.
Non
sentì neppure il comandante supremo Zackley iniziare a
parlare, mentre sentiva le guance che avvampavano avvolte nel calore.
Levi.
Di
bassa statura come sempre.
Levi.
Quei
capelli tagliati alla moda militare, rasati sui lati della testa e
leggermente più lunghi sulla sommità. Scuri e lisci.
Levi.
Quei
magnifici occhi grigio tempestoso, sempre così annoiati e
piatti. Come se non vedessero mai qualcosa che lo garba, ma solo
qualcosa che lo infastidisce.
Levi.
Erano
anni che non lo vedeva. Sapeva che c'era nella truppa fuori dalle
mura di appena qualche giorno prima, ma non aveva avuto il tempo e il
modo per fermarsi a guardare.
Non
si era dimenticata di lui. No, questo mai.
Di
quel suo viso un po' spigoloso ma virile. Di quella sua sciocca mania
per la pulizia estrema. Di quel suo modo di storcere il naso
esclusivo di quando vedeva il corpo di gendarmeria. Li disprezzava
proprio profondamente, lui. E Astrid non si sentiva di contraddirlo.
Anche lei li disprezzava, se era solo per quello...
Prese
un profondo respiro, sentendosi la testa girare per assenza
d'ossigeno.
Espirò
con calma, allungando le dita come per rilassarle, scuotendo appena
la testa per tentare di dissipare la sensazione di calore che di
certo aveva fatto avvampare le sue gote.
Non
si aspettava una reazione così forte al solo vederlo.
Sapeva,
e aveva avuto notizie delle sue imprese però... non si erano
mai più rivisti da allora e...
Sussultò
quando la voce di Eren riempì la stanza nel suo grido
coraggioso, mentre le catene delle manette tintinnavano contro il
palo che lo costringeva a una posizione in ginocchio.
Fu
più la sorpresa che lo spavento, che non le consentì di
reagire prontamente. Fortunatamente per Eren intervenne Levi prima
che i suoi commilitoni premessero i grilletti dei fucili.
Quando
Eren fu a terra sanguinante sotto ai colpi impietosi del capitano,
ricevuta la lezione, e quando Levi disse la sua in merito, fu Astrid
a parlare.
“Abbassate
quelle armi pagliacci. Il ragazzo ha solo un genuino desiderio di
sterminare i giganti, non gli uomini. E se comunque usassimo il
vostro sciocco ragionamento, direi che un titano di quindici metri
gli fa appena il solletico le vostre patetiche pallottole non
credete?”
Il
comandante Neil strinse i denti rabbioso.
Un
conto era essere 'denigrati' da un corpo esterno, ma sentire una loro
componente del loro corpo che li scherniva di fronte a tutti... era
davvero inaccettabile.
Gli
uomini sebbene esitanti obbedirono. In fondo un ragazzino sanguinante
con un dente rotto da un calcio non spaventava poi così
tanto...
Lo
sguardo piatto e inespressivo di Levi incrociò gli occhi blu
di Astrid. Fu questione di un secondo, ma lei sentì una scossa
che le percorse tutto il corpo, che dovette usare tutto il suo ferreo
autocontrollo per dissimulare in un espressione piatta.
Zackley,
decise di affidarlo al corpo di ricognizione, sotto la custodia del
comandante Levi.
“Comandante
Zackley, Signore!” lo fermò mentre l'udienza si stava
sciogliendo e buona parte di nobili e personaggi era già
uscita dalla stanza.
“Capitano
Lichtklinge?” domandò lui, già in piedi e pronto
ad abbandonare la sala.
“Credo
che vi sia già giunta la mia lettera Signore. Vorrei
sollecitare una risposta al più presto, se fosse possibile”
“Capitano
Lichtklinge, come al solito non conoscete la pazienza. Vi risponderò
a breve, nel frattempo, resterete alla capitale”
“Sissignore!”
fu la piatta risposta.
Zackley
individuò Erwin nella folla e lo chiamò, facendogli poi
cenno con il capo di seguirlo.
Lo
condusse in un balcone dove avrebbero potuto discorrere senza
scocciature.
“Suppongo
che tu sappia che Astrid Lichtklinge ha fatto domanda di essere
trasferita al corpo di ricerca” esordì il comandante
supremo.
“Si,
signore. Ha mandato la lettera anche a me, ed è pure venuta di
persona ad esortarmi ad accettare. Quello che trovo più
curioso, è che l'abbia domandato a voi, comandante”
“Suppongo
che la ragazza, sveglia com'è, abbia capito che se avesse
chiesto solo ai suoi comandanti avrebbero ignorato la domanda.
Difficilmente
chi entra nei ranghi della gendarmeria ne esce. Troppi segreti.”
disse schiettamente. Sono cose di cui era certo Erwin fosse a
conoscenza. Non era uno sprovveduto, e Zackley non aveva voglia di
andare per il sottile.
“Dunque
ha scavalcato i ranghi per ottenere ciò che vuole. Non si può
dire che le manchi la grinta” commentò pacatamente
Erwin.
“Tutto
sommato è una decisione che non mi spetta. Probabilmente
dovrei respingerla e fare
felice Neil e i suoi commilitoni. Tuttavia, volevo sentire anche la
tua”
“Non
ho nulla in contrario all'accoglierla nei miei ranghi” rispose
semplicemente Erwin.
“Come,
non temi che sia una spia?”
Erwin
congiunse le mani dietro la schiena, fissando la città
sottostante al balcone.
“Diciamo
che la considero un rischio accettabile. La richiesta risale a prima
della scoperta che Eren fosse un titano, per cui dubito potesse
prevedere una simile opportunità, e per il resto il corpo di
ricognizione ha poche attrattive per la gendarmeria. Le nostre
ricerche si occupano del nemico, dei titani, la gendarmeria si occupa
dei 'nemici interni' branche totalmente differenti.
Inoltre,
credo di poterla gestire, e sarebbe da stupidi rifiutare una simile
offerta.
Ha
già letto il rapporto riguardo alla crisi del Trost a
riguardo?”
“Cosa
di preciso?”
“Astrid
ha ucciso, per sue parole e per testimonianze vive, da sola almeno
sei titani e ha aiutato all'eliminazione almeno altri quattro, per un
totale almeno dieci titani in un giorno solo. Ed era anche la prima
volta che li affrontata effettivamente.
Credo
che questi dati palesino il suo valore di soldato più che
altre mille parole. Non sarà di certo io a rifiutare
quest'offerta. Anche a mio rischio e pericolo”
“Comandante
Zackley, signore? Oh, chiedo perdono, non volevo disturbare”
Neil
stesso era uscito sul balcone alla ricerca di Zackley.
“Va
giusto bene che sei qui Neil. Stavamo parando di Astrid”
“Quella
piccola sfacciata, chiedo perdono per il suo comportamento io...”
“Per
quel poco che la conosco rimproverarla non servirà a nulla,
Neil. No, stavamo parlando del suo trasferimento” rispose
Zackley.
“Trasferimento?
Già l'altro giorno mi ha presentato le dimissioni ma non...”
iniziò l'uomo della gendarmeria.
“Ha
fatto domanda a Erwin di prenderla nei suoi ranghi” tagliò
corto l'uomo più anziano.
“E
tu hai intenzione di accettare?” domandò Neil a Erwin.
“Come
dicevo al comandante, sarei sciocco a rifiutare” disse
semplicemente il biondo.
Neil
sospirò rimanendo in silenzio per un lungo momento.
“Ha
mandato una lettera anche a me per chiedermi d'intervenire. Io però,
ho preferito parlare con voi” riprese Zackley.
“Non
sarebbe molto corretto lasciarla andare, il suo grado le conferisce
una certa autorità e...” tergiversò Neil.
“Se
sei preoccupato per i tuoi segreti di stato Neil, ti posso garantire
che la mia unica intenzione al momento è di metterla alla
guardia di Eren con Levi. Con due soldati di quel calibro a vegliare
notte e giorno sul ragazzo, ridurremo drasticamente la possibilità
di incidenti. Inoltre ritengo che sia una persona di parola. Falle
giurare di non divulgare nulla, e lasciala andare” gli propose
Erwin.
La
mente di Neil però s'era fermata prima.
A
guardia di Eren.
Si,
lasciare lei alla guardia del ragazzo titano... era piuttosto certo
che non avrebbe esitato ad ammazzarlo, se necessario. Inoltre magari
avrebbe potuto provare a carpirle informazioni in un secondo tempo.
Quello
che Neil non sapeva era che Erwin lo aveva detto di proposito. Una
bella esca indorata dal caso. L'aveva buttata così come se
parlasse di cose comuni, ma l'aveva detta di proposito.
Purtroppo,
era vero che aveva un debito d'onore con Astrid e voleva mantenerlo.
“Molto
bene, accetterò. Anche perché conoscendo la
cocciutaggine di quella sfacciata non sentirebbe ragioni e farebbe
tutto per costringermi ad accettare”
“Molto
bene. La questione è risolta. Erwin riceverai lei e le sue
schede a due giorni da oggi. Magari, chissà, almeno tu
riuscirai a insegnarle un po' di disciplina...” commentò
Zackley.
“Ti
faccio i miei migliori auguri...” aggiunse sarcastico Neil.
Erwin
non vi badò. La sua missione, almeno sin qui era compiuta.
Si
erano aggiunti altri problemi, che mise in conto nella bilancia della
sua mente, ma sul suo piatto, si era aggiunta Astrid, e questo per
lui valeva decisamente la fatica spesa per giungere sin lì.
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Capitolo 5 *** Attenti ai geloni ***
Astrid
venne messa alla testa dei cadetti per raggiungere il forte dove
avrebbero stazionato fino alla partenza della prossima sortita, che
sarebbe avvenuta a breve.
Ebbe
modo di conoscerli tutti, almeno, del gruppo principale che più
si era distinto durante la battaglia di Trost. Anche se aveva già
letto i loro nomi nei rapporti.
Armin
Arlet, un ragazzino minuto e biondo, non molto forte, ma che
compensava la sua carenza con ingenio e strategia. Era stato lui ad
elaborare i piani che avevano consentito ai suoi compagni di
sopravvivere, e consigliato come utilizzare Eren per richiudere la
falla nel Trost. Certo, probabilmente l'aveva fatto anche per salvare
il suo amico d'infanzia, ma di fatto il Trost ora era al sicuro e
questo era l'importante.
Mikasa
Ackerman. Una fredda e tosta, a quanto si diceva. Capelli neri e viso
con lineamenti vagamente asiatici. Il suo unico punto debole evidente
era l'attaccamento a Eren. Sembrava fossero vissuti nella stessa
casa. La ragazza era stata adottata dalla famiglia di lui quando i
suoi genitori erano stati uccisi da un gruppo di banditi.
Jean
Kirschtein, un ragazzo castano dall'aria non troppo complessa. Aveva
valori abbastanza nella media, ma si diceva avesse la testa per
comandare. O almeno, dai rapporti si diceva che si era eretto leader
di un gruppo di cadetti e ne aveva salvati quanti più
possibile. Secondo l'addestratore tendeva a essere un po' troppo
schietto nel parlare. Ma questo per me non era un difetto.
Connie
Springer. Un altro cadetto nella media. Lento a volte di
comprendonio, ma solido e affidabile. Aveva una buona resistenza
fisica. Teneva i capelli rasati e un fisico robusto.
Sasha
Braus. Una ladruncola fatta e finita. Possedeva un buon istinto e un
fisico agile, e la mania di rubacchiare qualsiasi cosa fosse
commestibile, sembrava che il suo istinto di prendere tutto il
possibile fosse dovuto all'aver patito la fame in passato.
Loro
guardavano innervositi la mia giubba con ancora il simbolo della
gendarmeria sopra, così mi limitai ad osservarli sottecchi,
scambiando giusto qualche parola amichevole con loro.
Erwin
Smith in persona ci accolse nella zona.
“Purtroppo
non ho tempo per restare. Ero passato a controllare.
Queste
sono le vostre nuove divise. Benvenuti a voi cadetti. E...”
Si
era girato verso Astrid ma questa con il cavallo si era avvicinata ad
un mucchio di foglie secche e rametti alla cui avevano dato fuoco.
Fece una palla del suo giubbotto e lo buttò dentro, tornando
poi ad un trotto allegro verso Erwin, scese da cavallo e accettò
il nuovo giubbotto e il mantello verde dalle mani del comandante,
dopo avergli porto il suo saluto.
“Era
un sacco di tempo che volevo farlo...” commentò con un
sorriso e un tono abbastanza basso da poter essere udito solo da
Erwin stesso, che rispose al sorriso.
“Voi
cadetti in questi giorni vi impegnerete al massimo, i soldati più
esperti si prenderanno cura di voi e vi insegneranno qualche
trucchetto.
Spero
che accoglierete l'occasione di migliorarvi e che ci metterete
impegno.
Astrid,
in quanto a te... sei pari grado di Levi, ma mi aspetto che tu ti
attenga alle sue direttive e quelle di Hanji”
“Sissignore”
“Molto
bene. Hanji e Levi sanno già cosa devono fare. Ci vedremo
presto” salendo sul suo cavallo si avviò verso le mura
interne.
Mentre
Eren andava dai suoi amici salutandoli, Astrid si gustò
appieno il momento portando il cavallo nella scuderia, per poi
infilarsi con soddisfazione la giubba.
Le
ali della libertà.
Carezzò
lo stemma quasi con amore e venerazione.
Finalmente.
Erano
anni che sognava quel momento.
“Signora,
se volete seguirmi vi mostrerò i vostri alloggi. Anche se al
momento la squadra sta ancora ripulendo il castello” m'informò
un soldato.
“Ti
ringrazio” disse lei seguendolo.
Le
mostrò una ampia stanza, ammobiliata per l'indispensabile con
un letto, una scrivania, una sedia e un mobile. Gli comunicò
inoltre che al momento tutta la legione era impegnata a ripulire il
forte. Lei quindi rispose che poteva badare a sé.
Mentre
si dirigeva a cercare dei panni per spolverare i mobili e delle
lenzuola da mettere nel letto, lo vide.
Era
in una stanza, da solo. Stava ramazzando in terra, vestito con un
grembiule da domestica e un fazzoletto davanti al viso per la
polvere.
Astrid
non poté soffocare un risolino, vedendolo, portandosi sullo
stipite della porta.
Lui
alzò gli occhi, e i loro sguardi s'incrociarono, rimanendo a
fissarsi qualche istante.
Il
cuore di Astrid si strinse, per poi palpitare più forte.
“Ed
ecco il soldato più forte dell'umanità. Nemico
difficile, la polvere?” disse tentando di mascherare
l'imbarazzo. Era passato così tanto tempo...
“Tsk”
riabbassò lo sguardo sul mucchietto di polvere che stava
spazzando nella paletta.
“Ehi,
LT” esordì lei in tono... pacato, ma con un fondo dolce,
come se nell'acqua avessero aggiunto una nota di miele.
“Non
chiamarmi così!” fu la secca risposta. Più che
secca, piatta, al massimo scocciata.
“Preferivi
MLT?” tentò invece lei, sentendo già la delusione
montare nel petto ma cercando di mostrarsi imperturbabile.
“Nessuna
delle due”
“Quanto
sei intrattabile” Astrid esitò, facendo un passo
indietro. Si diede della sciocca, in fondo cosa si aspettava dopo
tanto tempo? Era naturale che le cose stessero così... insomma
erano capitate tante cose e...
“Sei
pregata di dare una mano nelle pulizie, e insegnare qualcosa alle
reclute”
“Lo
sai che le mie tecniche non le ho mai insegnate a nessuno”
rispose quasi offesa.
“Allora
trova un modo di renderti utile” di nuovo la sua voce era
piatta e indifferente.
Le
parole piatte, artificiose, quasi stantie, rimasero sospese
nell'aria.
Prole
legnose, di chi vorrebbe dire di più ma non sa come arginare
quella porta sprangata che si ritrova di fronte.
“Non
sei cambiato per niente, LT” disse solo Astrid. “Ne sono
felice...” mormorò così piano che dubitò
che persino lui avesse potuto sentirla.
In
qualsiasi caso, lui non la degnò di una risposta, per cui lei
cercò quanto di cui aveva bisogno, poi si ritirò nelle
sue stanze per pulire.
I
movimenti veloci, meccanici però non consentivano alla mente
di Astrid di concentrarsi su quello che faceva.
Quegli
occhi grigi continuavano a pungerle l'anima mentre le parole
distaccate la distruggevano in mille brandelli.
Sentiva
le lacrime agli occhi, cosa che la faceva tremare e sentire spaesata.
A
lei queste cose non capitavano mai. Mai.
Perché
lui aveva questo potere su di lei? Perché? Non era giusto. Non
era leale. Non gli aveva dato neppure una possibilità di
parlare. Nessun segno che potesse essere incline quanto meno al
dialogo. Ad aprirle uno spiraglio.
No,
lui l'aveva cancellata dalla memoria. Questo gli era chiaro. L'aveva
cacciata dalla sua vita, dalla sua mente.
Si
buttò sul letto pulito di schiena, guardando lo spoglio
soffitto a pietra della costruzione.
Mise
un braccio di traverso sugli occhi, per bloccare la luce fastidiosa.
Da
quanto tempo era che non piangeva? Tanto. Forse troppo.
Astrid
era una bambina felice. Viveva nel distretto Yalkell, a ovest del
Wall Sina.
Aveva
una bella casa con genitori amorevoli.
Non
erano i più ricchi né i più potenti della zona,
ma la loro casa era ampia e confortevole, e il cibo non mancava mai
sul tavolo, e loro si ritenevano fortunati.
Il
papà di Astrid era un ex-soldato della Gendarmeria. Non le
aveva mai detto perché si fosse ritirato, ma ora si occupava
di una piccola forgia appena fuori città dove forgiava armi
per le legioni.
La
mamma era una donna di nobili origini, forse di qualche casato
minore, ma era una donna gentile e aggraziata, che le insegnò
a ricamare e ad usare il telaio.
Quello
che la sorprese invece, fu quando all'età di dieci anni, il
padre iniziò a portarla nella sua forgia, e dietro essa aveva
costruito manichini e paglioni dove ufficialmente “testava le
armi”.
“Da
oggi tutti i giorni verrai con me, ci assisterai nella forgia per
qualche ora, e poi ti insegnerò”
“Cosa?”
domandò Astrid al padre. Un uomo di media statura, con i
capelli scuri come quelli della figlia e gli occhi blu che lei stessa
aveva poi ereditato.
Lei
aveva preso dalla madre solo le proporzioni delicate e la pelle
candida.
“A
combattere figliola. Dovrai essere capace di farlo. Questo, piccola
mia è il retaggio della nostra dinastia. La tua dote. Il tuo
patrimonio più grande. Non esiste un Lichtklinge
che non abbia nel sangue il combattimento”
“Ma
papà, io sono una femmina. La mamma dice che devo imparare a
cucire e filare per essere una buona dama e..”
“Lascia
perdere quello che dice tua madre. Lei non capisce. Non queste cose”
Il
padre fece un sospiro profondo.
Gli
costava chiedere un simile sacrificio alla figlioletta ma... sentiva
che sarebbe stato per il suo bene, e lui come genitore doveva fare il
tutto e per tutto per lei.
Anche
renderla un maschiaccio, se occorreva per farla sopravvivere.
“Tesoro,
stammi bene a sentire ok? Queste cose. Queste che ti insegnerò...
devi tenerle per te ok? Non dire a nessuno che te le insegno. Non
dire a nessuno dove le hai apprese. Non parlarne con nessuno. Mai,
per nessun motivo. Gli unici a cui potrai trasmetterle saranno ai
tuoi bambini, quando ne avrai ok?”
“Ok”
“Mi
dai la tua parola?” chiese l'uomo con un sorriso trattenuto.
“Si,
papà. Lo giuro!” disse la bambina con solerzia.
Fu
l'uomo a insegnarle la lotta corpo a corpo. Come usare la testa per
elaborare le migliori strategie. Come trovare punti deboli e come
sfruttarli.
Tecniche
di meditazione volti a sottomettere il corpo alla volontà
della mente. Per sentire meno il dolore e continuare a combattere in
ogni situazione.
Le
insegnò ad attendersi di tutto dalla vita. Ad essere sempre
pronta. Ad avere un sonno leggero e non esitare ad agire.
Come
sopravvivere e come usare una lama.
Come
riconoscere le bugie dalle persone che parlano. C'erano sottili segni
involontari che le persone facevano mentre mentivano.
Per
quattro anni e mezzo, le insegnò ogni cosa che poteva
insegnarle in ogni ritaglio di tempo che trovava. Di sé del
suo mestiere, delle sue capacità ancora sopite.
Doveva
essere pronta.
In
qualche modo, il padre di Astrid aveva intuito che alla sua bambina
sarebbe servito sapere tutto ciò. Già, perché su
una cosa aveva mentito. Nemmeno i Lichtklinge insegnavano queste arti
alle femmine, ma solo ai figli maschi.
Non
sapeva cosa lo avesse spinto ad agire diversamente.
Però,
nemmeno lui avrebbe potuto prevedere che gli eventi avrebbero preso
una svolta così brusca.
Quello
che negli anni successivi lo ringraziò sinceramente però,
fu proprio la fanciulla.
Senza
di lui e alla strana lungimiranza dell'istinto del padre, non sarebbe
sopravvissuta negli anni a venire.
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Capitolo 6 *** Reazioni troppo pronte ***
Astrid
si svegliò di colpo con la consapevolezza che c'era qualcuno
nella sua stanza.
Rimase
immobile.
Non
ebbe tempo di fare mente locale, ricordarsi che era addormentata in
un letto del forte della legione esplorativa, che una mano le afferrò
la spalla.
Forse
era solo per scuoterla, ma il corpo di Astrid agì prima del
suo pensiero.
La
mano prese il polso dello sconosciuto, mentre con l'altro braccio gli
diede una gomitata, che lo raggiunse all'altezza delle costole, lo
tirò sotto di sé, bloccandolo sul letto ed estrasse il
pugnale nascosto sotto al giubbotto, agganciato nell'imbracatura
della schiena.
Fu
solo allora che si fermò a guardare.
“Ehi!
Aspetta! Aspetta!” strillava quello che aveva intrappolato
sotto il suo corpo, e lo strillo aveva attirato l'attenzione, la
porta si aprì di scatto.
Una
donna dai capelli rossi e gli occhiali ne emerse.
Hanji
Zoe. La ricercatrice. “Che succede?” chiese questa
entrando.
Astrid
trasse un sospiro, mentre anche Levi compariva sulla soglia dicendo
con tono annoiato “Ohi, che diamine succede qui?”
Tornò
a rinfoderare la lama, liberando Connie.
“Cadetto
Connie, non svegliarmi mai più così...”
“Si-si!
Ricevuto!”
“Cos'è
sto trambusto?” domandò Levi.
“Avevo
mandato Connie a chiamare Astrid per la cena” disse Hanji con
noncuranza. Per lei la cosa era già risolta ed era prossima ad
andarsene. “Bei riflessi, tra l'altro” ghignò lei.
“è
stata colpa mia, signore. L'ho provata a chiamare, ma non sentendo
risposta sono entrato. Trovandola addormentata ho provato a
svegliarla. Il Capitano Astrid ha solo reagito d'istinto... credo”
“Proprio
così...” stavo per chiedere scusa a Connie, quando
intervenne Levi.
“Dovresti
stare attenta a non ammazzare nessuno e...”
“Oh!
Per favore!”
Non
era mia natura essere remissiva, e in fin dei conti, non aveva
diritto di giudicarmi. Non per quello. Lui non poteva sapere, ma io
odiavo la situazione. La rabbia di ciò mi fece agire come
forse non avrei fatto. Non con lui, tanto meno in pubblico.
Mi
avvicinai a lui con passo tranquillo, un sorriso che poteva essere
tanto seducente quanto inquietante sulle labbra.
Gli
arrivai a un palmo dal naso, Hanji e Connie sembravano entrambe
troppo interessati a vedere la reazione di Levi per intervenire.
Anzi, seguivano la cosa con fiato sospeso.
“Puoi
anche fare finta di non conoscermi, se ti fa piacere, LT...”
gli mormorai, circondando il suo fianco con un braccio lentamente.
Gli
altri due presenti trattenevano il fiato. Probabilmente ai loro occhi
c'era solo una straniera che tentava di provocare sensualmente il
loro capitano.
Levi
sembrò sul punto di prendere fiato per dire qualcosa, i suoi
occhi grigi, in quel momento erano stranamente vivi. Lampeggiavano di
rabbia, accesi da quel grigio tempestoso, ma con pagliuzze più
chiare, grigio acciaio. Le spalle erano rigide, forse era incerto su
cosa fare. Non era da lui sbilanciarsi, ma di certo avesse voluto
intervenire, l'avrebbe già fatto in modo repentino.
Lui
era così, come un serpente. Stava fermo fino all'ultimo e
reagiva in modo così rapido da non dare via di scampo.
Con
un gesto rapido estrassi il pugnale che nascondeva anche lui dietro
il giubbotto e lo conficcai nello stipite della porta, a poco dalla
sua spalla.
“Ma
almeno non prendiamoci per il culo!” sibilai rabbiosa, per poi
piantare tutti e tre i presenti lì dov'erano, urtandogli la
spalla mentre passavo.
Hanji
fissò Levi, che osservava la donna allontanarsi. Era
straordinario come riuscisse a mantenersi freddo in ogni situazione.
L'espressione
del suo viso avrebbe potuto essere quella di una maschera di granito.
Ferma, fredda e immobile. Un qualcosa di immortalato nel tempo, che
nessuna perturbazione avrebbe mai potuto mutare. Tuttavia, era anche
vero che Hanji era da un po' che lo conosceva e riconobbe una
scintilla di rabbia negli occhi di solito dallo sguardo annoiato del
capitano.
Rabbia
e... c'era dell'altro. Ma non lo seppe identificare.
“Raggiungete
il refettorio ormai staranno servendo la cena” fu la piatta
dichiarazione di Levi, riprendendosi il pugnale conficcato nel legno
e riponendolo nel fodero celato.
Hanji
attese che Connie fosse sparito oltre gli angoli del corridoio per
dire “Non sapevo girassi sempre armato”
“Una
vecchia abitudine” rispose solamente lui per poi accelerare il
passo, dichiarando chiaramente che non voleva continuare oltre la
discussione.
Hanji
normalmente l'avrebbe tartassato di domande sino allo sfinimento, ma
sapeva che Levi non era tipo da cedere facilmente alle torture
verbali, e comunque, qualcosa la trattenne.
No,
lei era una ricercatrice. Avrebbe prima indagato, cercando il punto
debole nella corazza e poi colpito. La situazione la incuriosiva, ma
quando voleva, sapeva avere sangue freddo e pazienza. I risultati
migliori si ottenevano con la pazienza, dunque ne avrebbe messa
quanto bastava per scoprire questo nuovo succoso segreto di Levi.
E
lei che pensava che fosse un noioso senza speranza! La cosa si stava
facendo più interessante!
Astrid
si fece una camminata per il castello prima di andare a sua volta nel
refettorio, sbollì rapidamente la tensione, esercitando il suo
autocontrollo per eliminare il corpo da tutti i segni di
irrigidimento dovuti alla rabbia.
Non
che dentro di sé si sentisse meno ribollire, a ripensare alla
scena. Odiava che lui la ignorasse così, o che facesse finta
di nulla.
Tuttavia,
doveva avere pazienza. Forse... si, forse bastava dare un po' di
tempo al tempo per migliorare le cose.
Forse
bastava. O quanto meno se lo augurava.
Prese
il suo vassoio con la razione di cibo e individuò con lo
sguardo un tavolo con un gruppetto di reclute là.
“Scusate,
posso sedermi?”
La
conversazione che si svolgeva allegra e concitata intorno a Eren
s'interruppe.
“C-certo”
disse questo insicuro se fosse la cosa giusta da dire. Però
Astrid si lasciò cadere sulla sedia senza tanti complimenti e
poggiando il vassoio sul tavolo spezzò il pane per iniziare il
pasto.
“In
verità volevo scusarmi con te, Connie. Il Capitano Levi non me
ne ha dato il tempo”
“S-si
figuri, signora”
“Ehi,
non siamo né a una parata né a nessuna occasione
formale. Non serve essere così rigidi. Io sono dell'opinione
che, se dietro a queste...” disse picchiettando con l'unghia le
mostrine sulle spalle del giubbotto “...non c'è una
persona che abbia fermi ideali e sia capace di essere un leader, il
grado serve a poco. I capi devono essere persone che ispirino lealtà
e fiducia. Gente che sa quello che fa. Altrimenti sono solo palloni
gonfiati da tirare nella latrina”.
Staccò
un morso al pane, masticandolo con calma per dare il tempo ai ragazzi
di digerire la cosa.
“Ovviamente
non dovrei essere io a dirvi questo, e non pensate di montarvi la
testa. Per la diserzione c'è ancor sempre la forca”
“Insomma
ci sta dicendo di usare la nostra testa?”
Inquadrai
quello che aveva parlato. Biondo, mingherlino e gli occhi azzurri.
“Armin
Arlert?” domandai.
“Si,
Signora!”
“Avevo
letto che hai buone doti tattiche, ma non credevo avessi una mente
tanto acuta. Una buona dote l'essere l'agile di pensiero. Spesso
sottovalutata. Interessante. A quanto pare le reclute di quest'anno
sono sopra la media.
Si,
Armin. Sto dicendo che, nella maggior parte dei casi, bisogna prima
di tutto ragionare con il proprio cervello, prima di fidarsi
ciecamente di opinioni di altri”
“Perché
ci dice questo?” domandò un altro ragazzo.
“Reiner
giusto?”
“Si”
Astrid
tirò giù due bocconi in tutta calma prima di rispondere
“Suppongo di non avere un vero motivo per farlo. Ma era una
buona occasione per scambiare quattro chiacchiere con quelli che
probabilmente a breve diventeranno i miei compagni di sortita. Forse
sarete anche dei miei sottoposti, dato che Erwin non mi ha degradato
durante il trasferimento.
Mi
piace sapere con chi lavoro. Farmi un idea con chi ho a che fare.
Con
questa breve chiacchierata ho già capito che anche se non
chiederei ad Armin di abbattere un titano per me, probabilmente
potrei chiedergli consiglio su come agire, ne avessi bisogno. Ha
intuito e mente pronta.
Mentre
te, signorina... Mikasa giusto? Probabilmente non ti darei le spalle,
ma sembri una affidabile in campo”
Lei
arricciò un sopracciglio. “E questo da cosa lo avresti
dedotto? Non ho aperto bocca”
“Diciamo
che so riconoscere i miei simili” rispose Astrid con un sorriso
un po' ambiguo.
Il
silenzio rimase teso per qualche istante, poi Astrid fece finta di
accorgersene in ritardo, solo dopo aver buttato giù un'altra
porzione di cibo.
“Ehi,
non mordo mica!” buttò lì a mo' di battuta, cosa
che fece sciogliere un po' i giovani.
“Posso
chiederle una cosa, signora?” chiese Eren esitante.
“Sentiamo”
“Voi
e il Capitano Levi vi conoscete?”
“Come
mai vuoi saperlo?” domandò Astrid, ma si rese subito
conto che la domanda di Eren aveva riscosso l'attenzione di tutti i
cadetti al tavolo. Non poteva evitarla facilmente.
“È
stato il Capitano a salvarmi durante il processo, sebbene non ci sia
andato giù leggero. Ed ora è lui a sorvegliarmi e...”
“Insomma
sei curioso. In fin dei conti Levi è una figura quasi
leggendaria. Il soldato più forte dell'umanità e bla
bla bla... quando lo si incontra ci si aspetta che sia alto almeno
dieci metri e lanci palle di fuoco con lo sguardo vero? Invece vi
trovate davanti un nanerottolo scorbutico e una mania aggravata per
la pulizia che lo rende al limite della sanità mentale”
Dallo
sguardo imbarazzato dei cadetti capii di aver fatto centro.
Ridacchiai.
“Già, immaginavo”
“Quindi
lo conosce per davvero?” chiese Eren.
Rimestai
il cucchiaio nella minestra, cercando una risposta giusta da dare
senza allargarmi troppo.
“Diciamo
che siamo stati... conoscenti, in passato. Abbiamo fatto
l'addestramento da cadetti nello stesso periodo” sorrisi, tra
me e me “ci siamo contesi il primo posto nella top ten
dell'anno”
“E
come è finita?” domandò curioso Eren.
“Penso
che il nostro sia stato l'unico Ex-equo della storia dell'esercito”
Questo
ammutolì il mio pubblico.
“E
poi?” chiese affascinato Connie.
A
quanto pare la storia interessava proprio tutti.
“Beh,
sapete com'è la vita... io sono entrata nella gendarmeria e
lui nella ricerca. L'ho rivisto all'udienza di Eren per la prima
volta dopo... beh sono passati un sacco d'anni e...” cavolo!
Perché dovevamo finire proprio su questo argomento spinoso?
“Ehi,
Astrid non starai già cercando di circuire i novellini?”
disse Hanji Zoe.
Ridacchiò,
sollevata di uscire da quella conversazione “Nah, non credo.
Cercavo solo di abituarmi all'idea di lavorare in una squadra. Sai,
non sono molto portata per queste cose...”
“Si,
a vedere la sua faccia Neil sembrava più sollevato che
infastidito a scaricarti a noi sai?”
Ghignò.
“Ci scommetto” rispose.
Astrid
trovò sollievo nell'intervento di Hanji. Da lì in poi
si limitò a essere cordiale e a studiare i presenti,
collegando nomi a volti e tentando d'indovinare le inclinazioni dei
giovani.
Tutto
sommato, la faccenda sembrava divertente.
Carezzò
distrattamente con la punta delle dita il ricamo delle due ali che
stava sul suo giubbotto.
Vide
passare Levi, provando un gusto dolce-amaro dentro al petto.
'Un
passo alla volta Astrid. Oggi è passato, domani si vedrà',
si disse, congedandosi per andare a dormire.
Era
finalmente giunta alla legione esplorativa. Era già un grande
risultato.
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Capitolo 7 *** Una piccola vittoria ***
Astrid
si ritrovò a cavalcare nella formazione meno di una settimana
dopo il suo arrivo.
Era
stata una settimana intensa, dove reclute e ufficiali avevano
lavorato sodo. Sia per mostrare 'i trucchetti' alle reclute, che per
prepararli alla sortita.
Gli
spiegarono come si doveva tenere la formazione, come era formata,
come reagire agli imprevisti, come segnalare e tutte quelle cose che
dovevano sapere per restare in vita.
Erwin
aveva escogitato un ottimo sistema di segnalazione con i fumogeni, ma
in caso di pioggia, dovevano orientarsi con dei particolari segnali
acustici.
Astrid
poi si impegnò con dovizia all'addestramento anti-titano con
le reclute.
Era
stata troppi anni nella gendarmeria. Non voleva ritrovarsi
'arrugginita' una volta fuori, per cui doveva riprendere la mano alla
svelta.
Levi
osservava senza dire nulla l'impegno della donna. Si limitava a
guardare, con l'aria di un falco incerto su quello che sta vedendo.
Astrid
faceva da apri pista agli altri, mentre l'addestratore stillava
consigli dal bordo del bosco, dove erano state portate delle sagome
con il collo fatto di un materiale apposito per simulare la carne dei
titani da tagliare.
Hanji
li guardò con il binocolo, seguendone i movimenti.
Da
dopo che i suoi due titani erano stati uccisi e il colpevole non era
stato trovato, si erano messi d'accordo con Erwin di uscire dalle
mura il prima possibile.
“Waaa
che manovra. Certo che Astrid ci sa fare con il dispositivo per la
manovra tridimensionale” commentò ammirata Hanji. La
donna eseguiva curve strette e manovre agili ingranandole una dopo
l'altra senza sprechi di gas.
“Per
chi è nato con le ali, volare non è difficile”
disse impassibile Levi, rendendosi solo conto troppo tardi di
esserselo lasciato sfuggire.
“Sento
ammirazione nella tua voce?” lo punzecchiò Hanji con un
sorriso.
“Tsk”
sbuffò l'altro.
“Che
razza di risposta sarebbe?”
“Piantala
Hanji. Lo sai bene che eravamo cadetti nello stesso gruppo, e siamo
stati in Ex-equo sul primo posto. La conosco abbastanza da sapere che
probabilmente anche dentro la gendarmeria non si sarà lasciata
impigrire. Si sarà allenata negli spazi stretti tra gli
edifici, per cui trovo naturale che sia abile.
Ne
abbiamo discusso con Erwin solo l'altro giorno l'hai dimenticato?”
rispose lui annoiato.
Hanji
mise un finto broncio “Certo che sei proprio noioso eh... con
te non si ha mai un minimo di soddisfazione...”
“Se
per te farti gli affari altrui è una soddisfazione...”
rispose scuotendo leggermente le spalle lui.
“La
tua risposta però include che in effetti qualcosa di cui
impicciarmi c'è...” ghignò lei.
“Pensala
come ti pare” fu la pacata conclusione, forse un po' scocciata
di Levi.
Detestava
Hanji quando faceva così!
Astrid
però dimostrò che il suo grado aveva motivo d'essere.
Sebbene fossero anni che non si allenava contro i titani, e quindi
avesse perso un po' la mano nell'usare le lame, compensava ciò
con manovre agili e disinvolte anche negli anfratti più stetti
o difficoltosi, e la capacità di adattarsi velocemente alle
situazioni nuove.
Inoltre,
sebbene il suo ingresso nella legione fu movimentato, il rispetto che
presto si trovò a provare nei confronti della mente laboriosa
di Hanji o alle ciniche strategie di Erwin, fecero sì che si
comportasse in modo educato e rispettoso, facilitando anche il
compito degli altri ad accettarla.
I
cadetti la trovavano una tipa eccentrica ma forte. Eren la prese in
simpatia, aiutato anche dal fatto che il più delle volte
Astrid non badava molto alla formalità. Esigeva rispetto, ma
non gli importava poi così tanto di essere chiamata 'Capitano'
o 'Signora' in continuazione.
Armin
diffidava ancora di lei, come anche Mikasa, ma il biondo comprendeva
anche il valore che aveva come soldato, e dunque, anche se aveva dei
dubbi comprese presto perché Erwin aveva rischiato di
prenderla con sé, anche con il rischio di ritrovarsi una spia
della gendarmeria tra le mani.
Altri,
come Christa, che era più timida di carattere e tendente a
essere introversa e a ritenersi debole, la vedevano quasi come un
modello da seguire. Una donna ufficiale che almeno all'apparenza non
aveva paura di niente.
Quando
quindi partirono per la missione, e le porte si spalancarono di
fronte a loro, mentre le enormi grate si sollevavano, Astrid sentiva
il suo cuore battere all'impazzata.
Il
mondo. Il vero mondo oltre le mura.
I
suoi occhi si spalancavano mentre le zampe del cavallo baio che aveva
macinavano metri su metri, portandola sempre più lontano.
Erano ancora dentro i territori perduti del Wall Maria, ma pensare
che lì non avrebbe trovato più tracce di umanità...
li facevano sembrare diversi.
Astrid
aveva vissuto gli ultimi anni tra gli intrighi della gendarmeria, e
trovava quasi nauseante, il casino degli umani. Pensare di un luogo
totalmente privo di essi... le fece provare un brivido di gioia. Di
libertà. Una sensazione di non avere né legami né
obblighi.
Solo
il suo desiderio, da seguire nella più totale libertà.
Era lei a voler essere lì. Era stata lei a sceglierlo, a
volerlo. E anche se obbediva a ordini dei superiori... si sentiva
leggera come il vento. Quello era il suo posto.
Era
forse quella la sensazione del possedere le 'ali della libertà'?
Il
lottare per un domani migliore, per sé, per gli altri. Per un
domani senza mura e senza confini. Se era così, allora voleva
provare quel brivido. Ancora e ancora.
Si
trovava nel cuore della formazione. Con Eren e Levi.
“Non
è da te rimanere zitta così a lungo...” considerò
Levi. Si pentì quasi subito di aver parlato, quando i due
occhi blu si posarono su di lui.
Era
impossibile ignorarla dannazione!
Lei
gli sorrise, risvegliando ricordi in lui che avrebbe preferito
lasciare sopiti.
Una
ragazzina magra, smunta, con ormai solo più la pelle tirata
sulle ossa come se tutto il resto del suo corpo fosse andato
consumato altrove.
“Merita
davvero la pena?” gli chiese lei, lo sguardo cupo, quasi
rassegnato.
Lui
comprese però la domanda. Merita davvero la pena vivere?
Scosse
leggermente la testa per togliersi il ricordo dal cervello prima che
diventasse troppo invadente.
“Mi
stavo godendo le mie ali della libertà...” rispose lei,
tornando a puntare lo sguardo verso l'orizzonte. Sgombro da case,
fabbriche, fattorie, o qualsiasi altra costruzione umana.
Prese
un profondo respiro, quasi di soddisfazione o di sollievo. Sia Eren
che Levi la guardarono.
“Dovessi
morire oggi, sono felice di aver visto il mondo fuori dalle mura.
Certo, siamo ancora dentro al wall Maria, ma ora è diverso.
L'aria è diversa è...”
“...libera”
completò pacatamente Levi, ritornando a guardare davanti a sé.
“Sta
succedendo qualcosa sul fianco destro” commentò un
soldato in coda con noi.
“è
troppo tempo che non mandano segnalazioni, e onestamente non mi sento
così ottimista da pensare che stia andando tutto a meraviglia”
ammise Astrid.
“Proseguiamo.
Siamo ormai in vista della foresta degli alberi giganti” ordinò
Levi.
“Fumo
nero a ore cinque signore!” c'avvisò una vedetta nel
retro.
Fu
poco dopo che giunse al galoppo, in tutta fretta un uomo con il viso
disperato.
“Un
titano anomalo signore! Ha falciato via tutto il nostro fianco
destro! È un titano femmina. Capelli biondi di media
lunghezza, una quindicina di metri d'altezza”
Astrid
imprecò tra i denti, Levi strinse un poco gli occhi, mentre il
viso di Eren si faceva all'improvviso scuro e rabbioso.
Gli
altri si fecero invece solo più seri. Erano stati scelti per
la protezione e il controllo di Eren. Erano tutti soldati d'élite.
Scelti per la loro abilità. Non era la prima volta che
vedevano amici e commilitoni sbranati dai giganti, sapevano come
funzionava la cosa.
Astrid
però sentì il cuore prendere a palpitare più
irregolare, preso a metà tra paura ed eccitazione. La
sensazione non era poi tanto diversa dal solito. La possibilità
di rimanere uccisi, di vedere ferito chi si ha accanto è
sempre un'eventualità da considerare. Sebbene il più
delle missioni della gendarmeria avesse un tasso di morte
drasticamente inferiore a quello della legione ricognitiva.
Prese
quell'emozione e la trasformò in brama da battaglia. Fare a
pezzi il nemico. Questo era il suo obbiettivo. Tanto più che
ora i nemici non erano solo quelli di un governo ladro e che si
faceva solo i fatti propri.
No,
i giganti erano il male dell'intera umanità. Spazzarli via era
un bene.
“Ho
il permesso di lasciare la formazione?” domandò piatta.
Levi
soppesò la domanda prima di rispondere “no”.
Sapeva
il valore individuale di lei, e sapeva che lavorava bene da sola ma,
se le cose andavano come credeva Erwin, doveva tenere la formazione
compatta.
Lei
non si perse d'animo, né la ebbe a male, si limitò a
lasciare un po' le briglie del suo cavallo, così che corresse
assieme agli altri in formazione e a ruotarsi sul busto per tenere lo
guardo puntato sulla presunta posizione del titano femmina che li
stava raggiungendo.
Quello
che accadde di lì nei seguenti cinque minuti sembrò più
lungo di una giornata intera.
La
gigante fece la sua comparsa all'orizzonte, in rapido avvicinamento.
L'ordine di Levi però rimase immutato. Correre più
veloce, senza voltarsi indietro.
La
titano si faceva sempre più vicina, mentre loro s'inoltravano
nella foresta, squadre spuntavano da sulle cime degli alberi solo per
essere sistematicamente ammazzati da quella maledetta. Precisa,
pulita, avveduta.
“Cazzo,
Levi quella titano sta sterminando tutti gli uomini! È... è
intelligente dannazione!” dissi senza più riuscire a
trattenermi.
Lui
mi guardò con espressione piatta ma compresi e mi zittii.
Loro
sapevano! Loro lo aspettavano!
“Capisco...”
disse solo Astrid, tornando a fissare davanti a sé.
“Proseguite!
In fretta!” ordinò infatti lui.
Le
grida strazianti di uomini lasciati in fin di vita senza neppure la
carità di ricevere un colpo di grazia però era una cosa
che penetrava dalle orecchie, al cervello sino nei meandri più
profondi per petto. Dove ristagnava, scuotendo l'anima e facendoti
sentire un meschino maledetto a proseguire la strada senza far nulla.
Astrid
digrignava i denti in silenzio, i suoi occhi blu stranamente fissi e
brillanti, come se li avesse induriti per renderli zaffiri di una
tonalità stranamente scura.
Alcuni
degli uomini che circondavano Eren piangevano in silenzio, senza
smettere di galoppare e senza osare perdere la concentrazione. Se ne
andava della vita di tutti. Però non riuscivano neppure a
trattenere le lacrime.
Eren
invece si guardava la mano. Come incerto di volergli staccare un
morso e trasformarsi in titano per affrontare quella stronza che
decimava i suoi compagni.
Perché
ormai, pure lui doveva aver capito che era troppo strana per un
titano classificato come 'anomalo'.
No,
quella era troppo intelligente. Quella era un umana trasformata a
titano.
Levi
con la sua voce pacata consigliò a Eren di prendere una
decisione.
“Non
sta a me dirti cosa è sbagliato cosa è giusto, perché
non lo so neanche io. Ma prendi una decisione e perseguila.
L'esitazione farà finire ammazzati tutti” disse
semplicemente con voce piatta Levi.
Ma
fu Petra quella che infine lo fece decidere di fidarsi dei suoi
compagni e proseguire.
Spalancai
gli occhi assieme a Eren e alla squadra nel vedere le salve di
cannone che vennero lanciate verso la gigante, che le trafissero la
pelle, ancorandosi.
Erano
tante punte uncinate legate a corde fissate ai grandi alberi.
Neppure
la forza di un titano poteva sradicare tante corde insieme.
Erwin
osservò la scena soddisfatto, anche se era ancora presto per
cantare vittoria. La femmina di titano, era per il momento
immobilizzata, e questa era una piccola vittoria!
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Capitolo 8 *** La titano femmina ***
“Quindi
era questo il piano...” ansimò Astrid, ancora affannata
dalla corsa assieme agli altri.
“Raggiungiamo
il carro dei rifornimenti” ordinò Petra, mentre Levi
raggiungeva Erwin su un ramo.
“...la
volevano catturare viva...” commentò qualcuno. Forse
Gunther.
Astrid
rilasciò la tensione con una risatina. “Ora ricordo
perché mi piace quel fenomeno di Erwin. Come si dice... chi
non risica non rosica... e lui si che lo sa fare!”
“Risica..?
rosica?” Eren mi fissava come se la donna capitano avesse
appena tirato fuori un qualche cosa di strano e pericoloso.
“è
un modo di dire. È come dire... chi non osa non ottiene. Per
avere qualcosa, devi rischiare qualcos'altro” gli spiegò
con un mezzo sorriso.
“Come
diamine fai a ridere in questa situazione! Sono morte un sacco di
persone!” disse Gunther.
“Siamo
soldati. Sono cose che succedono. Quando ho firmato per il
trasferimento a questa legione, sapevo bene che potevo restarci secca
anche appena messo il naso fuori dalle mura. Quello che ora bisogna
sperare, è che riescano a prendere quella figlia di buona
donna che sta nella collottola di quella maledetta. Questo darà
un senso alla fine di quegli uomini. Ci sono cose peggiori della
morte. Ma il morire invano... fa arrabbiare” disse Astrid,
rimanendo calma.
Aveva
un senso.
I
soldati strinsero i denti, capendo che in fin dei conti aveva ragione
lei, o quanto meno, il suo ragionamento aveva una propria logica.
“Qualcuno
di voi lo sapeva?” chiese Eren per cambiare argomento, mentre
controllavano i livelli di gas nelle loro bombole.
“Non
guardare me” rispose Astrid, controllando le fibbie e
abbeverando il cavallo.
“Nemmeno
noi” rispose poi Petra per il gruppo.
“Co-come
mai?” domandò Eren.
Ci
fu un attimo di silenzio, seguito dal consultarsi tra loro dei
soldati della squadra Levi.
“Erwin
è una volpe. Avrà sospettato sin dall'inizio, quando
sono stati uccisi i due titani del Trost che ci fosse una spia. A me
non l'avrà detto per prudenza. Sono un capitano, ma se si
tratta di sospetti infiltrati, sarò probabilmente in cima alla
lista o poco sotto.
Per
quanto riguarda gli altri... avrà fatto sapere il piano a
quelli che sono i più anziani nei ranghi e a chi era
strettamente indispensabile per l'operazione. Scaltro e saggio”
“Dunque
a te non infastidisce?” domandò Petra.
“È
naturale che si sospetti di me. Fossi al suo posto farei altrettanto”
rispose semplicemente lei.
“Già...
e noi dobbiamo fidarci dei nostri superiori” asserì Erd
infine.
Ritrovato
lo spirito di gruppo, si mossero per mettersi in attesa.
Le
cose capitano sempre troppo in fretta. I momenti di staticità,
quasi noiosi, si alternano bruscamente ad brevi momenti intensi, come
violente scariche d'adrenalina che paiono durare a volte ore, ma sono
appena manciate di secondi.
Il
titano femmina prese ad urlare come una forsennata, e i titani
risposero alle sue grida piombandole addosso in massa distruggendo il
suo corpo.
Erwin
ordinò la ritirata al corpo di ricognizione, ma mandò
Levi al carro per fare rifornimento di gas e lame.
Il
gruppo dell'unità del capitano, però, vedendo il
fumogeno, credettero che fosse stato Levi a mandare il segnale come
di consueto e si misero in marcia in quella direzione.
Non
sospettarono di nulla sino a quando trovarono Erd con la testa
separata dal collo, e in brave tutto andò allo sfacelo.
Gunther
la prima cosa che fece fu puntare su di me, sospettando delle mie
intenzioni, ma la comparsa, o per meglio dire ri-comparsa del titano
femmina lo fece desistere.
Auruo,
con Petra e Astrid tentarono di bloccare la Titano.
La
accecarono e iniziarono a tempestarla di colpi sulle spalle e nella
zona ascellare per farle cadere le braccia e raggiungere la nuca, ma
la femmina di titano fece una mossa inattesa: riuscì a
rigenerarsi l'occhio destro. A quanto sembrava, era in grado di
concentrarsi su un unico punto da rigenerare per accelerarne il
processo.
“Petraaa!”
Astrid si tuffò per tentare di fermare la titano, tranciandole
un polpaccio, e salvare la dolce ragazza. Non fece in tempo.
Fu
spiaccicata come una mosca contro il tronco d'albero, rimanendo
contro di esso con la schiena piegata in un angolo innaturale. Aveva
certamente la spina dorsale spezzata.
“Eren!
Scappa! Subito! È te che vuole! Corri!” gli ordinò
Astrid.
Lui
però non sentiva, e Astrid dovette fuggire verso l'alto per
evitare la fine di Petra.
La
titano alzò il sinistro per tenare di prendere Astrid. Questa
sganciò la fune e piantò l'altro grappino nella sua
stessa mano, usandola come un'altalena per deviare il percorso ed
evitare la destra.
Non
tentò neppure di colpirla alla collottola. Aveva visto come
aveva agito con gli altri. Si sarebbe protetta e avrei finito per
farmi ammazzare in due secondi.
Auruo
però era fuori di sé per la rabbia, tentò di
approcciarla, finendo preso, sbattuto in terra e poi schiacciato.
La
trasformazione di Eren fu repentina, e mentre sotto forma di titano
si slanciava contro la femmina, Astrid balzò verso l'alto
degli alberi.
Eren
stava gridando la sua rabbia forsennata, e forse fu proprio questa ad
attirare l'attenzione di Mikasa.
Astrid
però le ordinò di rimanere in disparte. Provare a
intromettersi in quel violento scontro di esseri di quindici metri
d'altezza, era una morte assicurata: si poteva con il finire per
essere in mezzo mentre i due corpi collidevano, o peggio ancora,
essere pure d'intralcio a Eren.
Avrebbero
fatto la fine di un moscerino preso tra il comodino e il giornale, se
presi nella morsa dei due titani.
Astrid
in quanto a titani non era molto più esperta di quello che lo
erano le reclute: aveva operato per lo più nelle terre
centrali, occupandosi di casi di 'polizia'.
Ma
i titani erano sempre stati presi per esseri privi di volontà
e intelligenza. Mere forme di vita che sembravano esistere al solo
scopo di uccidere la razza umana.
Vedere
due 'soldati-titano' che si scontravano come fosse un incontro di
lotta libera... dava un certo brivido di terrore.
La
titano però ebbe la meglio, strappando Eren dalla collottola
con un morso. Sembrava avere la capacità d'indurire alcune
zone del corpo per evitare danni. Fu grazie a questo stratagemma che
riuscì ad avere la meglio sul furioso Eren.
“Andiamo!”
spronai Mikasa a seguirlo assieme a me.
“Nessuna
azione avventata, cadetto. Quella troia sa il fatto suo. Attaccassimo
direttamente ci ridurrebbe a marmellata prima ancora di avere il
tempo di rendercene conto. È veloce, per le sue dimensioni”
le raccomandai.
Provammo
alcune azioni diversive, recidendogli i muscoli della coscia e del
polpaccio, ma ottenemmo solo di rallentarla.
“Dov'è
la mia squadra?” chiese Levi comparendo da appeso ad un albero,
mentre le due donne inseguivamo la titano.
“Li
ha fatti fuori lei!” gli gridai in risposta, mentre mi muovevo.
“Eren?”
Indicai
la gigante “Lo tiene in bocca!” gli rispose per me
Mikasa.
Si
riunirono per organizzarsi in una mossa.
“Astrid,
io e te creiamo un diversivo. Mikasa, tu al primo momento buono
recupera Eren. Non provare ad ammazzarla. Prendi il moccioso e
filiamocela!” gli ordinò Levi.
Annuirono
tutte e due.
Astrid
e Levi attaccarono da due punti differenti per crearle un imbarazzo
della scelta, ma sapeva rispondere colpo su colpo, costringendoli a
zompettare su e giù intorno a lei come mosche impazzite.
'Al
diavolo!' ringhiò tra i denti Astrid.
La
donna si buttò in una coraggiosa mossa, puntando verso il suo
collo.
Schivò
la prima mano, volando a lato, la seconda però era in coda
alla prima a distanza più breve di quella che si fosse
aspettata.
Fu
presa di striscio dal pollice, mentre tentava di alzarsi a tutta
birra puntando in alto, che andò ad urtare sul costato.
Con
un grido soffocato, riuscì a scansarsi, ma andò a
sbattere contro un tronco.
La
titano la seguì, forse nella speranza di finirla ed avere un
avversario in meno di cui occuparsi. Specie perché quelli che
aveva introno erano soldati sopra la media standard. Era difficile
vedersela con tutti e tre insieme.
Ma
Astrid non aveva alcuna intenzione di morire lì. “Ho no”
si disse “Con sto cavolo!” Aveva ancora troppe cose da
fare per morire per mano di quella zoccola gigante!
Mollò
le corde dell'attrezzatura per il movimento tridimensionale,
riavvolgendole e lasciandosi cadere più in basso, e di nuovo
la titano la seguì, Astrid però afferrò un ramo,
e si tirò di lato con uno sforzo, evitando il suo colpo.
L'adrenalina
era tale in quell'istante che Astrid quasi non sentì i
dolorosi urti tra la dura corteccia e il costato leso.
Levi,
approfittando del diversivo che stava offendo, gli si parò di
colpo davanti con una manovra ardita, piantandogli tutte e due le
lame nelle pupille, sfagliandole gli occhi per togliergli la vista.
Questa
sorpresa, barcollò indietro, finendo seduta contro un tronco e
portandosi nuovamente le mani a ripararsi la collottola.
Mikasa
esitò solo un istante. La titano era così
vulnerabile... poteva ammazzarla. Poteva farcela!
Quell'istante
le costò quasi la vita, e quasi ce la rimise Levi al posto
suo.
Aveva
a quanto pareva nuovamente focalizzato la rigenerazione solo su un
occhio per poterne accelerare il processo, coperta dal fumo che
producevano le ferite dei titani, approfittando della loro guardia
abbassata per attaccare.
“Non
osare!!” fu il ruggito di rabbia di Astrid.
Le
sue due lame si conficcarono di traverso, messe in diagonale nel
braccio della titano. Recidendo i nervi, la mano penzolò
inerte sul fondo del braccio, salvando la vita a Levi che stava per
esserne stritolato, e invece fu solo colpito leggermente su un
braccio, dato che si era scansato.
Mikasa
si riscosse, tranciando la guancia della titano e tirando fuori Eren,
che prese a spalle per poi allontanarsi velocemente.
Lo
scrollone che fece prendere ad Astrid il movimento del braccio della
gigante, dato che era ancora appesa alle spade, la fece gridare di
dolore. Le costole probabilmente fratturate, o quanto meno incrinate
che urlavano la loro agonia a ogni suo respiro.
Lasciò
la presa, abbandonando le due lame dentro il braccio della femmina di
titano, e cadendo a piombo verso terra, semisvenuta.
Levi
riuscì a prenderla al volo, facendola strillare di nuovo per
il dolore, e seguendo Mikasa verso i cavalli e i carri, buttandola
poi sul carro assieme al corpo di Petra, che qualcuno aveva trovato e
caricato. Astrid era ormai svenuta.
“Dobbiamo
andare più veloce!”
“I
cavalli sono al limite Signore!”
“Alleggerite
i carri” il perentorio ordine fece risvegliare Astrid dal sonno
torbido che stava vivendo.
Sbatté
le palpebre per mettere a fuoco, mettendo al contempo in moto il
cervello per capire dove si trovava e perché.
Il
cielo sopra di lei era straordinariamente azzurro.
Ma
certo! Era fuori dalle mura, rammentò. Un rapido flash gli
fece rivivere gli ultimi violenti e rapidi istanti prima di perdere
conoscenza.
Girò
il capo da una parte, trovando solo la sponda di legno del carretto
dove si trovava.
Si
sentiva la bocca asciutta e la lingua spessa. Sentiva il suo cuore
battere nelle orecchie, misto ai rumori degli zoccoli dei cavalli e
il sobbalzare delle ruote del carro che penetrava nelle ossa
attraverso la coperta stesa a mo' di giaciglio sotto la sua schiena
sulle rigide assi di legno.
Girandosi
dall'altra vide Levi intento a scucire la toppa con il simbolo delle
ali della libertà dal giubbotto di Petra, che dal pallore e
l'immobilità, era indubbiamente morta.
“Quando...”
gracchiò la donna, per poi schiarirsi la gola e riprendere “Mi
dispiace. Fossi stata più veloce, forse sarei riuscita a
fermarla”
Levi
finalmente mi guardò negli occhi. Uno sguardo in tralice.
Incerto.
“Credo
tu abbia fatto il possibile. Quella titano ci ha fregato tutti, su
tutta la linea” fu la piatta risposta prima di buttare il corpo
di Petra fuori dal carro.
La
sua mano ancora stingeva la toppa, che s'infilò in una tasca.
Il
suo viso non mostrava niente, ma Astrid vide nel suo sguardo una cupa
rabbia, mista a tristezza e dolore. Odiava perdere le persone che gli
stavano vicino. Era per questo che tante volte si comportava così
bruscamente.
Teneva
lontane le persone, poiché per quelle che gli erano vicine se
ne sentiva responsabile.
Astrid
tentò di alzarsi a sedere. “Posso cavalcare. Ci saranno
altri feriti e... ahi!”
Una
mano li aveva presa per la fronte e ributtata coricata senza troppa
finezza.
“Smettila
di fare la cretina. Ci siamo lasciati dietro un mucchio di cadaveri,
non diventare uno in più. E comunque ormai, quelli che
dovevano morire sono già morti... e gli altri sono già
piazzati su altri carri” disse piattamente Levi.
La
donna non riuscì a non storcere la bocca in un mezzo sorriso.
“LT... non sei cambiato per niente”
Si
sentiva la mente torbida. Forse le avevano iniettato un qualche
antidolorifico, pensò, che però la faceva sentire come
se stesse nuotando dentro un barattolo di miele con i pensieri. Erano
densi e lenti.
“Oggi
mi hai salvato. Ti ringrazio” fu tutto quello che riuscì
a sbilanciarsi lui. Lo disse in modo brusco, come se volesse
togliersi l'onere di sentirsi in debito.
“Ci
ho messo dieci anni per tornare da te. Non potevo lasciarti morire
oggi no?” fu la risposta un po' incerta di Astrid, con la
lingua che le si attorcigliava in bocca.
Levi
la guardò stupito per rendersi conto che aveva di nuovo perso
i sensi.
Che
diamine voleva dire?!?
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Capitolo 9 *** Una vecchia promessa ***
Levi
si risistemò sul cavallo, piazzandosi a fianco del carro che
trasportava ora Astrid assieme ad Eren.
Erano
in posizione di poco arretrata rispetto l'apripista dove si trovava
Erwin.
Con
la scusa di guardarsi intorno il suo sguardo scivolava sul corpo
inerte della donna.
Mikasa
teneva gli occhi quasi sempre incollati su Eren dalla sua postazione
a cavallo, alla destra del carro.
Levi
non era mai stato tipo a riflettere eccessivamente sulle questioni.
Ponderava le situazioni, si chiedeva quale fosse la decisione
migliore. Ma una volta presa, la perseguiva senza ulteriori
esitazioni.
Cosa
voleva dire “Ci ho messo dieci anni a tornare da te”?
Eppure...
era stata lei a non volerlo più rivedere, dopo gli eventi alla
fine degli esami no?
L'aveva
cercata, giusto per sapere cosa diamine fosse successo, ma non
l'aveva più trovata. Si era arrabbiato, aveva smesso di
cercarla.
L'aveva
attesa, sperando che fosse lei a venire da lui. C'era voluto davvero
molto tempo per estirparla totalmente dai suoi pensieri. Che poi, non
c'era mano mai riuscito del tutto. Ogni tanto ritornava a chiedersi
perché, o cosa o come fosse successo.
Ricordava
ancora la prima volta che l'aveva vista.
Una
bambina che avrà avuto circa sette anni, si annoiava da sola
in casa.
Quella
non era nemmeno casa sua, ma una casa in affitto dentro Sina per un
breve periodo che i genitori dovevano trascorrere lì.
Aveva
provato ad uscire nel giardino, dove una piccola piscina di acqua
fresca attendeva solo qualcuno da poter rinfrancare dalla calura
estiva.
La
bambina però era sola in casa, e sapeva che i genitori non
sarebbero tornati sino a sera inoltrata. Le avevano lasciato le
pietanze già pronte solo da prendere sul tavolo. C'era
sufficiente cibo per una famiglia intera. Di certo molto di più
di quanto non avrebbe potuto mangiare da sola.
Vide
all'improvviso tre bambini. Due maschi e una ragazzina. Erano sul
ciglio della strada. Quello che sembrava il più grande aveva i
capelli scuri, corti e arruffati. Il secondo aveva i capelli color
sabbia, e assieme alla bambina con i capelli rossicci sembravano i
più patiti.
Erano
arruffati, con gli abiti lisi e a tratti strappati, e l'aria di chi
avrebbe potuto staccare volentieri un morso pure all'erba del
vialetto.
Astrid
non aveva mai visto ragazzi conciati così, ma sapeva che
esistevano ragazzi di strada, glie ne aveva parlato il padre. E
subito li inquadrò come tali.
Un
qualche cosa le si mosse nel petto. La mamma e il papà le
avevano raccomandato di non fare entrare nessuno però lei lì
era sola e si annoiava a morte!
“Ciao!”
esclamò aggrappandosi al cancelletto.
I
due dietro il moro quasi sussultarono per la sorpresa.
Il
ragazzino più grande la squadrò con un gelido sguardo
per poi ignorarla.
“Ehi,
parlo con voi!” Astrid aprì il cancelletto e gli si parò
davanti. Odiava essere ignorata.
“Cosa
vuoi mocciosa?” domandò infine il moro.
Astrid
gonfiò le guance “Guarda che non mi sembri né più
alto né più vecchio di me!” protestò.
Si
ritrovò tre sguardi astiosi puntati addosso, quindi tentò
di essere più diplomatica.
“Mi
sembrate affamati. Volete venire dentro a mangiare qualcosa?”
tentò quindi.
Gli
occhi grigi del moro lampeggiarono di rabbia “Non vogliamo la
carità di nessuno” sibilò rabbioso.
“Meno
che mai da una sporca nobile!” ringhiò appresso il
ragazzo con i capelli color sabbia, sebbene però la
prospettiva di mangiare qualcosa lo avesse reso meno acido di quanto
avrebbe voluto.
Quella
che invece si limitò a mugugnare, fu invece la bambina dai
capelli rossi, che aveva una fame davvero tremenda, ma non voleva
contraddire i suoi due fratelli.
“Credo
che questo sia quello che papà dice 'partire con il piede
sbagliato'. Uhm... ritentiamo” disse semplicemente Astrid. Non
era tipa da lasciarsi scoraggiare così facilmente. Qualcosa
gli diceva che voleva aiutare quei bambini a tutti i costi. Anche a
costringerli a farsi aiutare, se necessario.
Questo
lasciò sbigottiti tutti e tre i ragazzini.
“Allora
prima di tutto in una conversazione educata ci si presenta. Io sono
Astrid Lichtklinge. Voglio offrirvi... com'è già quella
parola... ah si! Un contratto!”
“Contratto?
Cosa sarebbe?” chiese il ragazzo con i capelli color sabbia.
“Papà
li usa spesso per i commerci. Ah, e giusto per la cronaca non sono
nobile. Almeno, papà era un soldato, ma ora fa solo il fabbro.
Comunque
un contratto è un... accordo ecco. Dove entrambe le parti si
impegnano a fare qualcosa in cambio di qualcos'altro”
“E
tu cosa ci staresti offrendo?” chiese il moro sarcastico.
“Vedete
oggi sono sola, e mi sto annoiando a morte. Che ne dite se per oggi
giocate con me? Mi allevierete la noia, e io in cambio vi offrirò
la cena. Nessuna carità. Solo uno scambio equo”
Il
moro la guardava come a cercare una fregatura nelle parole di lei, ma
il bambino e la bambina avevano preso a fissarlo con aria da cuccioli
bastonati.
Avevano
fame! Tanta fame. E giocare in cambio di un pasto... era ovvio che
era lei che ci perdeva! Dovevano proprio rifiutare?
“Per
favore fratellone...” mugugnò la bambina che si era già
mangiata tutte le unghie nei giorni precedenti pur di avere qualcosa
da masticare.
“Va
bene. Solo per oggi”
“Ma
certo! Dai venite dentro. Chiudete il cancelletto per favore”
disse lei facendo strada dentro la casa.
Una
volta dentro, i tre si guardavano intorno spaesati, restando vicini
come per fare gruppo contro un nemico ignoto.
Astrid
invece li squadrò con occhio tagliente.
“Per
prima cosa ci vuole un bagno” commentò.
“Un
bagno?” domandò la bambina.
“Beh,
certo. È poco igenico rimanere sporchi. E il dottore dice che
attira le malattie. Quando è possibile è sempre meglio
tenersi puliti. Seguitemi!”
Loro
la seguirono sospettosi su per la rampa di scale. Sembravano
attendersi una trappola a ogni passo, o di trovare un soldato pronto
ad afferrarli per la collottola e rispedirli nella strada.
Lei
aprì la porta del bagno, dove c'era una grande vasca, nella
quale aprì i rubinetti per riempirla d'acqua.
Frugò
nel mobile sino a trovare dei vestiti che potessero andare bene a
loro.
“Sentite,
non mi piace continuare a chiamarvi 'ehi' o 'voi'. Posso sapere il
vostro nome?” chiese appoggiando la pila d'indumenti su uno
sgabello.
“Io
sono Isabel!” rispose per prima la rossa.
Il
ragazzo con i capelli sabbia lanciò un occhiata per trovare
prima l'approvazione del moro.
“Mi
chiamo Farlan”
“E
tu?”
“Levi”
rispose stringato il moro.
“Molto
piacere” rispose Astrid sorridendo al gruppo.
Il
sorriso fece sciogliere almeno un po' il terzetto.
“Forza
ora spogliatevi!”
“Cosa!?”
strillò Isabel stravolta.
“Vorrete
mica fare il bagno vestiti no?”
I
tre però la fissavano di traverso.
Capì
di dover dare un esempio da seguire, per cui con uno sbuffo, si
liberò della magliettina e dei pantaloncini estivi e si buttò
nell'acqua appena poco più che tiepida della vasca.
“Visto?
Non morde. Forza!” in fin dei conti erano tutti ancora troppo
piccoli per fare distinzioni di sesso, e la vasca era enorme rispetto
la loro taglia, per cui entrarono tutti comodamente nella vasca.
Lì
la loro indole da bambini prese il sopravvento. In fin dei conti non
esisteva bambino che non si divertisse in acqua, e dopo aver fatto
provare i saponi profumati a Isabel, questa li volle provare sui suoi
fratelli a loro scapito.
Però
quando uscirono erano, se non altro, tutti puliti. Astrid regalò
loro dei vestiti, che ai bambini stavano un po' grandi, mentre regalò
uno dei suoi a Isabel che si mise a piroettare giuliva per tutto il
bagno, causando forti risate ad Astrid.
Se
non altro il bagno aveva addolcito e rilassato i giovani, per cui
accettarono il dono senza protestare.
Con
la scusa di fare merenda, li fece mangiare a sazietà, e poi
trascorsero tutto il pomeriggio a giocare. A guardia e ladri, a
nascondino, stella e a tutti i giochi che gli vennero in mente.
Erano
bambini. Ancora con l'anima innocente, sebbene per i tre ragazzini di
strada era già stata intaccata dalla durezza della vita, e
presto il dover sopravvivere avrebbe portato via l'innata allegria
propria dell'infanzia.
Però
per quel giorno accantonarono divergenze di sesso, rango o età.
Giocarono e si divertirono. Punto.
Quando
fu il tramonto, per Astrid fu dura scortarli sino al cancelletto. Gli
aveva fatto un involto di cibo che aveva consegnato nelle braccia di
Levi.
“Mi
sembri il più assennato”
“Non...”
“Si,
lo so che non vuoi carità. Consideralo... consideralo il dono
di un'amica. Ne avete più bisogno voi di me. E questo è
obbiettivo no?”
Lui
annuì rigidamente. Astrid sorrise. “Oggi mi sono
divertita, vi ringrazio. Non vi dimenticherò. Voi... se volete
farmi un favore... non dimenticatevi di me. Spero che se ci
rincontreremo, mi considererete vostra amica. Posso contarci?”
Chiese
porgendogli la mano al moro.
Esitò
ancora un'istante prima di prendere la mano “D'accordo”
“Ora
è meglio che andiate. Sarebbe meglio non farvi trovare dai
miei genitori. Ciao!”
I
tre esitarono ancora un istante.
Farlan
la salutò con calore. Isabel l'abbracciò, quasi con le
lacrime agli occhi.
Levi...
si limitò alla stretta di mano, ma lui mantenne la promessa.
Non la dimenticò.
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Capitolo 10 *** Il dolore di un padre ***
Astrid
iniziò a risvegliarsi sentendo le campane risuonare in
lontananza. La città aveva avvistato l'avvicinarsi della
legione.
Le
grate iniziarono a sollevarsi mentre lei si guardava intorno. Levi
era alla sua destra, a cavallo, mentre alla sua sinistra era coricato
Eren, e alla destra del carro, anche lei a cavallo, c'era Mikasa.
“Ritorniamo
nella gabbia per canarini?” sussurrò a nessuno in
particolare.
Eren
si girò a occhi sgranati a guardarla.
Astrid
chiuse gli occhi nauseata, limitandosi ad ascoltare, per evitare il
senso di claustrofobia che aveva provato vedendo il muro comparire
sulla sua testa, mentre attraversavano il passaggio. Si concentrò
invece sul dolore pulsante ma al momento non troppo forte sulle sue
costole ad ogni respiro.
“Capitano
Rivaille-dono!” la voce di un uomo superò la folla,
avvicinandosi al carro. Probabilmente si era accostato al cavallo di
Levi.
“La
ringrazio per essersi preso cura di mia figlia. Sono il padre di
Petra! Pensavo di fermarmi un momento a parlarle prima di andarla a
trovare!”
Sentii
un fruscio cartaceo, appena udibile nella ressa mormorante che
circondava quasi di sicuro il rientro della truppa.
“Mia
figlia mi ha mandato questa lettera... Ha scritto che ha avuto il
grande onore di esserle utile, Capitano. E che avrebbe dato il
massimo per soddisfare le sue aspettative... e, beh, sai... per lei
era un vero e proprio vanto, anche se non capiva quanto potesse
preoccupare un genitore una notizia del genere...”
L'uomo
ridacchiò. Io guardai Levi. Il suo viso gelido. Il suo sguardo
scuro, cupo, i suoi occhi grigi oscurati come nuvole che si preparano
alla tempesta.
“E,
Beh... comunque come suo padre io, ehm... pensavo che fosse
probabilmente troppo presto per pensare al matrimonio, sa... è
ancora troppo giovane, e ha ancora tutta la vita davanti, quindi...”
l'uomo esitava, incespicava.
Lo
sguardo di Levi rimaneva scuro e fisso verso il nulla. Il suo viso
gelido e senza espressione.
Sentii
Eren singhiozzare di fianco a me, si era portato un braccio sulla
bocca per tentare di soffocarlo, e nascondere un po' il viso, rigato
dalle lacrime.
Una
profonda sensazione d'impotenza e colpevolezza stava martellando
l'anima della donna come il maglio di un fabbro. Si sentiva
responsabile della morte di Petra.
Con
uno sforzo di pura volontà, Astrid si alzò a sedere,
aggrappandosi alla sponda del carro.
“Signore
io...”
L'uomo
portò lo sguardo su di me, incerto, poi forse mosso dalla
'pietà' verso Astrid che era evidentemente ferita, si avvicinò
a questa, per sentirla.
“Mi
dispiace signore. Ho... ci ho provato a salvarla. Non sono stata
abbastanza veloce. Mi dispiace”
“Cosa...
cosa stai dicendo io... dov'è? LEI DOV'È!?!”
L'uomo
la prese per il bavero della camicia, la scosse, facendola sussultare
di dolore, a malapena contenuto dagli antidolorifici.
“Mi
dispiace...” sussurrò lei di nuovo, piano, sentendosi
così meschina, per essere viva, mentre Petra non lo era più.
Così piccola a poter dire solo 'mi dispiace' di fronte al
dolore di un genitore senza più la propria bambina.
La
sua razionalità le diceva che era naturale così. La
vita si costruisce giorno dopo giorno sulla morte altrui. Che sia la
vita del pollo che mangi o del soldato che muore al tuo fianco. Ma
questo, alla coscienza sembrava non bastare.
Levi
poggiò delicatamente la mano sul braccio del signore. Doveva
essere affranto anche lui per non ricorrere a modi più
bruschi, che di solito gli erano più spontanei.
“Signore.
Ha le costole incrinate per aver salvato la pelle di molte altre
persone. Le sta facendo male”
“La
mia bambina... la mia bambina è morta! Morta! Non tornerà...”
L'uomo aveva il viso rigato dalle lacrime. La disperazione sfigurava
i suoi lineamenti.
“Mi
dispiace...” riuscì solo a ripetere mentre lui la
lasciava, e lei ritornò a cadere sulle assi di rigido legno,
con un tonfo seguito da un sibilo di dolore.
Ci
fu un lungo momento in cui Astrid si limitò a fissare dritto
verso il cielo sopra di lei.
“Levi...”
chiamò.
Lo
sguardo grigio di lui si fermò su di lei, che ancora guardava
il cielo.
“Qualcuno
dovrà pagare per questo. La vita di quella stronza... mi
appartiene”
Levi
vide i pugni serrati intorno al bordo del mantello verde che le era
scivolato sulle gambe quando si era alzata.
“Non
solo a te” si limitò a rispondere.
La
mente di Astrid... sobbalzava. Tra brevi istanti di coscienza e
quelli di sonno angoscioso dovuto al dolore fisico e mentale.
Già,
perché il peggio, non era il dolore fisico, no. Era l'angoscia
che si portava dentro.
Tutte
quelle vite infrante, per un cavolo di titano, che poi era riuscito a
sfuggirgli! Maledizione!
E
si dannava ancor di più dandosi della debole proprio perché
provava queste cose. Erano soldati, si diceva, sapevano i rischi,
sapevano di poter morire. Ma alla sua coscienza sembravano solo
flebili scuse.
Si
sentì spostare. Un paio di persone la presero su una barella e
la portarono sino ad un letto, dove finalmente, dopo essere stata
doverosamente medicata, cadde in uno stato più profondo
d'incoscienza.
La
sua mente iniziò a vagare.
Aveva
quattordici anni ormai, e il suo addestramento con il padre
procedeva.
La
madre si era un po' rassegnata alle mezze verità che le
avevano raccontato. Il padre non voleva coinvolgerla più del
dovuto, per cui le aveva detto che voleva far ereditare ad Astrid la
fucina e i suoi saperi di metallurgia. Non sapeva che la sua adorata
figliola era capace a combattere corpo a corpo meglio di un soldato.
Già
così tollerava a mala pena le stravaganze del marito, in
questo campo, era meglio che di certe cose non ne sapesse nulla.
Per
lei, la figlia avrebbe dovuto diventare un modello di nobildonna, con
le dovute conoscenze di cucito. Saper filare, ricamare e far di
conto. Una nobildonna doveva sapere gestire il patrimonio del marito,
per mandare avanti una casa. Occuparsi di allevare la prole, gestire
il personale. Cose simili.
E
tutte le volte che vedeva quella bella bambina tornare a casa con le
nocche sbucciate e il viso annerito dalla fuliggine... era per lei
causa di un dolore quasi fisico.
Il
padre di Astrid, di nome Falker, aveva deciso in comune accordo con
la bimba di tenerla all'oscuro di quello che realmente facevano.
Anche se lei ignorava che fosse anche meglio per mantenere la
segretezza e proteggerla da orecchie indiscrete.
Tuttavia
per il padre era un periodo agitato. Questo Astrid lo capì
subito. Era nervoso e teso, e spesso fuori casa. Partiva e tornava ad
orari strani, saltava le loro lezioni.
Qualcosa
non andava.
La
madre, prese a credere che avesse un'altra donna, ma Astrid non diede
peso a quelle parole. D'altra parte, credeva che pure lei, la sua
quattordicenne figlia, si vedesse di nascosto con un moroso perché
di quando in quando, visto che il padre non c'era, andava ad
allenarsi da sola nel retro della fucina nel pomeriggio.
Tuttavia
per quanto lo martellasse di domande, il padre non disse nulla né
alla figlia né alla moglie. Anzi, più cercavano di
estorcergli informazioni più il suo silenzio aumentava.
Fu
un pomeriggio che proprio mentre stava dicendo ad Astrid “Ti
devo parlare...” venne chiamato da un apprendista nella fucina.
“Dei
soldati della gendarmeria ti cercano a casa. Vogliono che raggiungi
tua moglie”
“Perché?”
chiese Astrid.
“Hanno
delle domande su un sospettato... credo” rispose il ragazzo con
una scrollata di spalle.
“Arrivo
subito” rispose.
Astrid
però vide il viso gentile del padre impallidire, la pelle
ricoprirsi di un leggero strato di sudore, e quando si mosse per
seguirlo, lui la fermò bruscamente.
“Resta
qui. Se non mi vedi tornare entro tre ore... scappa. Nei boschi, nel
wall Maria. Dove vuoi, ma non tornare a Sina ok?” il viso di
lui era mortalmente serio.
“Va...
va bene” rispose incerta Astrid.
Lo
attese per cinque ore.
Non
tornò.
Il
padre le aveva detto di fuggire. Ma perché? Cosa gli era
successo? Perché doveva fuggire? E loro dove sarebbero andati?
Le
domande, la curiosità, e anche una buona dose di ingenuità
la fecero ritornare a casa contro l'ordine del padre.
Forse
si era solo dimenticato, e ora stava cenando. In sti giorni era così
teso che a volte si dimenticava anche che aveva già il
cappello in testa e finiva con il cercarlo per lunghi minuti.
La
casetta dove abitavano, aveva la porta e il cancelletto aperto, una
luce accesa dentro.
Visto?
Si era solo dimenticato. O almeno, così si disse, ignorando la
sensazione di gelo che stagnava nell'aria e che le penetrava nelle
ossa.
Fu
più forte di lei, la curiosità, l'incredulità
che le faceva in tutti i modi escludere il peggio la spinse ad agire.
Entrò
chiamando “Papà... mamma?”
Si
trovò di fronte uno spettacolo agghiacciante.
Il
salotto era pezzi, i mobili riversi al suolo e il bel tavolino di
legno ridotto a centinaia di schegge.
La
madre era riversa di schiena al suolo, l'espressione sorpresa e la
mano sulla gola, dove il sangue era grondato fuori allargandosi sotto
di lei come la corolla di un macabro fiore.
Il
padre era poco più in là, adagiato su un fianco, ferito
in tanti punti diversi. La spalla, un braccio mozzato, il ventre
aperto.
Ma
altre tre figure, erano al suolo ormai morte, e il loro sangue sparso
sul pavimento di legno. Tre figure con la divisa della gendarmeria.
La
criniera dell'unicorno, di solito bianca, inondata di rosso.
Astrid
provò una strana sensazione. Come se fosse uscita dal suo
corpo e stesse osservando sé stessa fissare i suoi genitori
morti in quel lago di sangue.
Prese
a tremare.
Si
mise una mano sulla bocca, come se potesse in questo modo fermare
fisicamente il conato di vomito che le fece torcere lo stomaco.
Pensava
che sarebbe scoppiata ad urlare, che l'odio le sarebbe montato dentro
come spuma di mare. Che avrebbe magari abbracciato le figure ormai
morte dei genitori, o preso a calci i cadaveri degli uomini in
divisa.
Attese
quei sentimenti.
Invece
non arrivarono. Si sentì svuotata da ogni emozione o pensiero,
rimanendo a fissare quello scempio. L'unico bisogno che udiva era
di... muoversi.
I
sensi erano impazziti, come se si fosse attivato un campanello dentro
di lei che gridava 'allarme! Scappa!' Solo che... non sapeva cosa
fare. Dove andare.
Si
guardò le mani. Erano ferme. Non tremavano più. Perché?
All'improvviso
sentì arrivare dei passi.
D'istinto
si nascose dietro la porta.
“Allora
che si fa qui? L'avete trovata?” chiese un tizio.
“No,
alla forgia non c'era” rispose il secondo uomo.
“Credevo
avessero una figlia sti due” commentò.
“E
chi se ne frega” il tono del milite era annoiato, scocciato.
Come di chi sta parlando degli straordinari dopo lavoro. “Non
ci pagano abbastanza per preoccuparci di queste cose. E comunque
sopra ci sono altri cadaveri. Magari è tra quelli. Diamo fuoco
a tutto e amen”
Ma
certo... dovevano essere ospiti alcuni amici della madre... avevano
ammazzato anche loro?
Sbirciò
appena dalla fessura di qualcuno che aveva tirato un colpo, forse di
un pugnale o una spada nella porta.
Erano
altri uomini in divisa della gendarmeria.
Tenne
il respiro leggero.
No,
non doveva dargli la soddisfazione di farsi trovare. Men che meno
quella di farsi ammazzare.
Attese
che uscissero in cerca di olio per dare fuoco alla casa, e lei se la
svignò.
Dove
sarebbe andata?
Non
lo sapeva. Ma di certo, doveva allontanarsi da lì e alla
svelta!
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Capitolo 11 *** Una scintilla di vita ***
Astrid,
senza un idea di come diavolo fare a sopravvivere senza i genitori,
prese a vagare senza un meta precisa per il distretto dove si
trovavano.
Una
cosa però era abbastanza grande e furba da capire: se erano
gli uomini della gendarmeria ad averli uccisi, doveva nascondersi
bene.
Non
poteva più abbandonare Sina. Lo capì quando, guardando
le guardie sul portone le vide sveglie e all'erta, anziché
oziose, e oltre alle truppe di guarnigione c'erano anche alcuni
membri della gendarmeria.
Si
scervellò, girando nei vicoli laterali con i gatti randagi.
Cosa
doveva fare? Di chi si poteva fidare?
Magari
di un amico di famiglia. Conosceva qualche contatto di cui papà
si fidava ma... no. Se la gendarmeria la cercava, l'avrebbe trovata
troppo facilmente tra ex commilitoni o qualche nobilotto di basso
rango parente della mamma.
Doveva
sparire. Fisicamente. Dovevano crederla morta.
Aveva
in tasca un coltellino multiuso che teneva con sé da quando il
padre le aveva insegnato a forgiare lame. In fin dei conti, doveva
coprire le apparenze, ed era meglio far credere che volesse una
figlia fabbro, che non che le stesse insegnando tecniche segrete di
famiglia.
Si
ricordò dei bambini di strada di tanti anni prima. Tagliò
i capelli, buttandoli in un bidone dell'immondizia dietro una casa.
Li arruffò il più possibile, e si sporcò viso e
braccia con la terra, strappandosi a tratti gli abiti. Fortuna che
indossava i vestiti da lavoro, più grezzi e comuni.
Doveva
sembrare un ragazzino di strada.
Si
spostò verso l'interno del distretto. Cosa poteva ancora fare?
Loro
temevano che avrebbe tentato di scappare verso Wall Rose.
Con
un po' di temerarietà entrò dentro Sina, verso la
capitale, accodandosi ad un gruppo di mercanti, vicino ad un carro,
cercando di mimetizzarsi tra gli uomini di fatica.
Forse
l'avrebbero scambiata per un'apprendista.
Nonostante
i quattordici anni, era ancora secca, senza troppo seno, e aveva le
braccia abbastanza muscolose per via degli allenamenti da poter
sembrare un qualche lavoratore.
Con
un po' di fortuna, riuscì ad entrare.
Ma
ora non sapeva cosa fare. Se non altro aveva più posto per
nascondersi.
Era
ancora un po' troppo pienotta per essere uno di quei piccoli pezzenti
sul bordo della strada. Valutò.
Ma,
pensandoci razionalmente, si disse che non lo sarebbe stata ancora a
lungo.
Sapeva
cacciare, papà glie l'aveva insegnato. Ma dentro le mura di
Sina, c'erano solo industrie e fattorie. Era quasi impossibile
trovare appezzamenti boscosi abbastanza ampi o poco sorvegliati da
poter passare inosservata.
Cosa
diamine doveva fare?
Verso
sera riuscì a trovare un luogo asciutto tra la spiovenza di un
tetto e le radici di un albero e decise di accucciasi lì.
Finalmente
scoppiò a piangere, sebbene lo fece quanto più piano
riuscì.
Non
poteva cercare lavoro: la gendarmeria l'avrebbe trovata, e comunque
lì c'erano per lo più residenze di nobili altolocati e
dei loro più stretti servitori.
E...
mamma e papà non c'erano più. Nessun bacio gentile a
confortarla la sera quando tornava a casa dalle fatiche giornaliere,
nessun sorriso con l'invito di lavarsi le mani e raggiungere la
tavola. Nessuna guida da seguire. Nessun sostegno. Nulla.
Un
vuoto così grande e intenso da sembrare una voragine infinita
all'altezza dello stomaco, che stava pian piano allargandosi e
risucchiare anche la sua stessa anima.
Si
ritrovò a pensare che non aveva mai dato valore a quelle
piccole cose, sino ad oggi. Che le erano venute a mancare.
Pianse
la dolcezza della madre, la gentilezza del padre. Pianse per tutte le
cose che le sarebbero mancate, il loro affetto, il loro sostegno, i
loro consigli. Tutto.
Ma
quello che le rintronava nella mente di più di tutto era...
per cosa vivo ancora a fare?
I
mesi che seguirono furono i più duri della sua vita. Non
sapeva bene neppure lei come, ma si ritrovò nella città
sotterranea. Forse mentre scappava a rotta di collo dalla
gendarmeria.
Lì
se possibile la vita era ancor più dura, ma almeno non c'era
gendarmeria. Già, perché sembrava che pure loro si
fossero rassegnati all'idea che lì era inutile qualsiasi
tentativo di ripristinare l'ordine.
La
gente viveva selvaggia, usando la semplice legge del più
forte.
La
fregatura del vivere lì è che... ti passa anche la
voglia di vivere, e di lottare. Lì, dove si viene privati di
tutto, anche della luce del sole.
Astrid
era già sul bordo del baratro. In condizioni psichiche e
fisiche allo stremo. Non sapeva nemmeno cosa l'avesse spinta a vivere
fino ad oggi a continuare.
In
fin dei conti non era meglio lasciarsi morire? Era come spegnere una
candela. Semplice. Ti addormentavi, te ne andavi e puf... tutto
finito. Non era più semplice?
Avrebbe
finalmente raggiunto i suoi genitori. Avrebbe smesso di patire la
fame.
Uno
non si rende conto di ciò che ha finché non lo perde.
Non
potersi più lavare quando lo si voleva. Dover bere a volte
addirittura dalle pozzanghere, poiché non sempre le fontane
pubbliche funzionavano, e per “quelli di sopra” non era
certo una priorità che “quelli di sotto” avessero
da bere acqua pulita.
Per
cui i più sfortunati si dovevano accontentarsi delle
pozzanghere create da macchie di condensa e umidità che
colavano giù dalle stalattiti sul soffitto.
Astrid,
se all'inizio era stata schizzinosa e aveva evitato di mangiare
alcune cose che vedeva poco igieniche, con il passare dei giorni, si
rese conto che era una fortuna trovare delle bucce di patata nei
cestini dell'immondizia. Rosicchiare radici poi, era sempre un
azzardo. Ne beccò un paio una volta non molto commestibili che
gli diedero mal di pancia per diversi giorni. Però era anche
vero che la fame aguzzava l'ingenio. Per cui imparò in fretta
a evitare ciò che era proprio del tutto inutilizzabile e a
godere di tutto ciò che poteva essere mangiato senza sprecare
assolutamente nulla.
Però
là sotto, non era la sola a essere in quella condizione, e le
poche risorse non bastavano per tutti.
Venne
cacciata da un gruppo di bulli dalla zona migliore, e presto, il
susseguirsi dei giorni la indebolì sempre più. Finché,
ormai si rese conto di non avere più neppure le forze per
alzarsi.
Era
davvero giunta la fine? Si chiese.
Guardò
le mani, sporche, le unghie spaccate e mangiucchiate. Erano sempre
state così lunghe o erano solo magre?
Guardò
il dorso, dove le ossa sporgevano, la pelle tesa, pallida e smunta.
No.
Era semplicemente giunta al suo limite.
Guardò
verso l'alto, rimpiangendo di non poter vedere il sole.
I
pensieri fluivano, lenti, come se anche loro fossero talmente senza
carburante da non riuscire a scorrere.
Beh,
se non altro, era così affamata da non sentirne neppure più
i dolorosi morsi. Sebbene la cosa non sembrasse avere alcun senso
logico.
La
schiena le scivolò lungo la parete a cui era appoggiata, non
ebbe neppure la forza di opporsi, e cadde sulla schiena.
Guardò
il soffitto, in attesa di morire, rincrescendosi solo di non vedere
nemmeno un barlume di luce. Doveva essere giorno no? Doveva esserci
un po' di luce...
Non
sa di preciso quanto tempo passò , ma ad un certo punto vide
spuntare di fronte a sé due occhi grigio tempestoso che la
fissavano con curiosità e incertezza.
Li
riconobbe. Voleva salutarlo, voleva dirgli qualcosa... ma era troppo
stanca. Aveva sonno.
Una
voce gli parlava, ma il suo cervello era troppo stanco persino per
capire cosa quella voce le stesse dicendo.
Gracchiò
solo una parola prima di svenire “...Levi...”
Levi
non voleva credere di aver rivisto, a distanza di anni, la bambina
che viveva nel wall Sina, ora, tra la sporcizia e gli affamati nella
città sotterranea.
Non
era possibile. Non poteva essere lei.
Eppure...
La
ragazza, o almeno, quella che sembrava essere una ragazza, poiché
era così magra, smunta e sporca che poteva appartenere a
qualsiasi genere senza poterla riconoscere molto, si accasciò
sulla schiena.
Stava
fissando il soffitto.
Si
decise ad andare a indagare, ignorando le chiacchiere di Isabel e
Farlan che gli risuonavano nelle orecchie.
No.
Quegli occhi blu... non li aveva mai rivisti da nessuna parte.
Provò
a chiamarla, a chiederle come si chiamava, ma sembrava non rispondere
più agli stimoli esterni.
Poi
con voce rauca, appena udibile bisbigliò “...Levi...”
Era
lei. Doveva essere lei. Anche se non capiva come potesse esserlo.
I
suoi occhi si chiusero.
“Farlan,
Isabel aiutatemi. Dobbiamo portarla al rifugio”
I
tre si dovettero dare da fare, poiché lei era svenuta, ma
nessuno dei tre voleva portarsi in casa il lerciume che aveva
addosso.
Levi
e Farlan recuperarono secchi d'acqua pulita e Isabel ci diede sotto a
lavarla il meglio possibile, constatando con orrore che le si
potevano contare non solo le costole, ma anche tutte le vertebre una
a una, tanto era magra.
“Come
sta?” chiese Farlan che l'attendeva assieme a Levi nella stanza
comune.
Il
loro “rifugio” che era anche la loro casa, era poi solo
diviso in “sala comune” e “bagno”, ma per lo
meno si curavano di non invadere gli spazi intimi altrui. Volevano
essere diversi da quella marmaglia che viveva sotto. Loro, sognavano
una vita migliore. E questo lo iniziavano tenendosi puliti, lavando
spesso sé stessi e i loro pochi abiti. E cercando di essere
cortesi almeno tra di loro.
“è
viva. Per ora. È solo più un mucchietto d'ossa con un
po' di pelle sopra. Ha dei segni di graffi e lividi qua e là.
Deve aver tentato una zuffa con quelli della zona buona”
Chiamavano
“zona buona” una semplice macchia di terreno dove un
minimo di luce che filtrava faceva crescere qualcosa di commestibile.
Levi
si alzò.
“Tienila
d'occhio e prova a darle un po' d'acqua da bere. Io e Farlan
cerchiamo qualcosa di commestibile”
I
ragazzi come loro sapevano quanto il nutrimento fosse legato alla
vita.
Per
chi saltava troppi pasti consecutivi, si indeboliva sino a non avere
più nemmeno le forze per cercarne altro.
Loro
infatti tenevano sempre una 'riserva d'emergenza' composta da radici
e altri cibi essiccabili e facilmente conservabili.
Ma
per quella volta optarono a cercare qualcosa di sostanzioso. Magari
un pezzo di pane decente, o se riuscivano a sgraffignarlo anche un
pezzo di carne. Meglio ancora qualche verdura per fare un brodo. In
quelle condizioni dubitava che sarebbe riuscita a inghiottire
qualcosa di solido...
Tornarono
a casa con un magro bottino, ma era meglio di nulla.
Isabel
stette sveglia tutta la notte a cacciare briciole di pane tra le
labbra della giovane e piccoli cucchiaini di minestra, che però,
a poco a poco riuscì a inghiottirle solo in parte, ma era già
meglio che niente.
“Non
so se supererà un altra notte...” disse la ragazza
dispiaciuta.
Se
non fosse stato per Levi, né lei né Farlan
probabilmente l'avrebbero notata. La città sotterranea era
piena di gente che moriva di fame. Né tanto meno l'avrebbero
riconosciuta. Anche se, lo stesso Levi ammetteva che fosse stata una
pura coincidenza, notare i particolari occhi blu di lei. Se no, non
l'avrebbe riconosciuta neppure lui.
“Credo
che ora come ora, il problema non sia tanto la sua forza, quanto la
volontà” commentò Levi.
Isabel
e Farlan non capirono, ma obbedirono al suo ordine di andare a
dormire.
Astrid
si risvegliò in piena notte, stupita di essere ancora viva. Le
budella le si torcevano impietose nella pancia, lamentandosi di
essere vuote.
“Ohi...
sei sveglia”
“Uhm...”
si guardò in cerca di chi aveva parlato, rendendosi conto nel
frattempo di essere sotto una coperta, e di non sentire il freddo.
“So-sono
ancora viva?” domandò lei, trovando finalmente il viso
del suo interlocutore, fiocamente illuminato da una candela.
“Per
ora”
Riconobbe
nella bruschezza dei modi e da quegli occhi grigi... “Levi?”
“Quindi
sei davvero Astrid?”
“Io...
si” aveva difficoltà a concentrarsi. E poi non sapeva se
essere delusa o meno di essere ancora viva. Proprio ora che si era
rassegnata, che aveva creduto di aver finito le sue sofferenze...
eccola di nuovo lì, con male allo stomaco e alla pancia e una
fame che avrebbe potuto masticare pure il lenzuolo che la ricopriva,
o staccare un morso al braccio del suo salvatore. Che poi era davvero
un salvatore, visto che l'aveva strappata dal pacifico riposo della
morte per riportarla in quell'inferno dei vivi?
“Merita
davvero la pena?”
Lui
comprese la vera domanda “Merita davvero la pena di vivere?”
Rimase
incerto su come risponderle.
Si
era sentito colmo di tristezza nel vedere quei luminosi occhi blu,
così spenti. Come se al cielo gli si fossero improvvisamente
spente le stelle. Rimaneva sempre il cielo, ma ora era piatto e
monocromatico, privo della sua bellezza luminosa.
Ora
stava a lui rinfocolare quella luminosità o spegnerla del
tutto. Qual'era la cosa giusta da fare? Quali erano le parole giuste
da dire?
“Non
lo so”
Rimasero
in silenzio a lungo.
“Come
la pensi tu?” le chiese lei.
Lui
di nuovo rifletté prima di rispondere.
“Che
la morte è definitiva. Il domani no. Domani porta sempre nuove
possibilità. Diverse scelte, diverse vie, mai uguali. Non è
quasi mai semplice, ma c'è sempre l'opportunità di
cambiare mentre... una volta morti è tutto finito, senza
nessuna possibilità di rimando”
Le
parole rimasero sospese qualche istante, mentre Astrid, a occhi
chiusi, contava i respiri. Cosa doveva fare? Qual'era la scelta
giusta?
Sospirò.
“D'accordo. Proviamoci. Hai qualcosa da mangiare? Sto
letteralmente morendo di fame...” provò a fare ironia
lei.
A
Levi si storse appena la bocca, tentando di dissimulare un sorriso.
Alla
fine non era stato così difficile allora. D'altra parte, aveva
capito che era una bambina con un'indole forte. Era bastata una
piccola pioggia di scintille per dare subito fuoco alla paglia.
Considerò
di chiamare Isabel, ma poi si disse che non era il caso di svegliarla
per una simile cavolata, per cui imboccò lui stesso la
giovane, che era così debole da riuscire a muoversi a stento.
Fu
così, che guadagnò il quarto membro del suo piccolo
gruppo.
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Capitolo 12 *** Domande ***
Mentre
Erwin discuteva con i capoccia per evitare che la legione venisse
direttamente sciolta nel giro di un paio di giorni, Levi passò
il tempo a riflettere.
I
feriti erano stati soccorsi e sistemati in una base presa in
prestito. Le reclute non ferite -salvo Eren, Armin e Mikasa- erano
state mandate in un'altra zona del wall Rose.
Lui
era stato messo a fare da balia a Eren, e di secondo compito, ai
feriti.
Si
annoiava, e peggio ancora, la sua mente non riusciva a stare ferma,
volando da un pensiero all'altro.
Qualcosa
non gli tornava nei suoi conti.
Cosa
voleva dire “ci ho messo dieci anni tornare da te”?
Non
aveva senso. Non combaciava con quello che sapeva. Non collideva con
gli avvenimenti. Non aveva senso.
Doveva
esserci qualcosa. Qualcosa che gli era stato occultato. Un evento di
cui lui era all'oscuro. Questa era l'unica possibilità
plausibile.
Si
sforzò di ricostruire gli eventi. Ma era difficile andare a
ripescare ricordi che si era sforzato in tutti i modi di dimenticare.
Eren,
invece, seduto al tavolo con il capitano che sorseggiava il the
fissando il muro, si domandava a cosa stesse pensando il capitano per
avere uno sguardo così truce, sussultando a ogni ticchettio
della tazzina sul piattino. Si ricordava ancora troppo bene il sapore
degli stivali di Levi in bocca per volerli riassaggiare.
Ed
era evidente che l'uomo non era nei suoi migliori stati d'animo,
anche se il viso era così gelido da non poterne decifrare
nulla.
Ad
un certo punto Levi abbassò di scatto la tazzina sul piattino.
Eren
quasi schizzò via dalla sedia, da come fu preso di sorpresa.
“Bastardo
di Erwin!” sibilò Levi.
“Co-come?”
ebbe il coraggio di chiedere.
Lanciò
un occhiata al ragazzo, facendolo deglutire. “Mi sta facendo
aspettare, tra un po' sarà qui la gendarmeria se non si
spiccia” mentì.
“Si-signore,
mi dispiace per il suo braccio” mormorò lui.
Si
toccò la parte, lesa, sovrappensiero. Sarebbe potuta andare
decisamente peggio.
“Se
non fosse stato per le mie scelte forse...” Eren sembrava
davvero contrito.
Finalmente
Levi lo degnò di un vero sguardo.
“Nessuno
può sapere cosa comportano le nostre scelte. Possiamo solo
seguire la via che ci sembra migliore, e quella che ci sembra
implicare meno rimpianti” ripose pacatamente.
“Sembrate
molto pensieroso oggi, capitano”
“Lo
sono infatti” si limitò a rispondere lui.
Eren
rimase a languire, non sapendo quanto fosse saggio fare altre
domande. Venne sollevato dall'indecisione dall'entrata nella sala di
Erwin, accompagnato da altri, tra cui Armin, Mikasa e altri membri
più anziani del corpo di ricognizione.
Levi
sorseggiò il the, con aria indifferente.
“Erwin.
Dopo gradirei parlarti”
Erwin
annuì, prendendo a esporre il piano ai presenti.
Mentre
lo faceva però, notò lo sguardo cupo del suo capitano.
Lo conosceva abbastanza da riconoscerne almeno un po' gli umori, e lo
teneva abbastanza d'occhio.
Era
stato con la sua lama puntata alla gola, in passato.
Levi
era un soldato eccezionale quanto letale. Sapeva che gli era fedele,
ma se qualcosa gli avesse fatto pensare che lui, Erwin, lo stesse
prendendo in giro, sapeva che Levi non era tipo da girarci troppo
intorno prima di ammazzare anche lui.
La
gente come Levi e Astrid erano lame a doppio taglio. Efficienti e
letali, bisognava stare attenti a impugnarle con cautela, o avrebbero
ferito anche il padrone.
Una
volta esposto il piano, verificato che tutti avessero ben compreso, e
che non ci fossero ulteriori dubbi, si ritirò in uno studio
appartato, seguito da Levi.
“Dunque?
Di cosa volevi parlarmi?”
“Astrid”
“Oh.
E come mai?” chiese sedendosi. L'argomento spinoso.
Diamine.
Proprio ora doveva chiederglielo? Tanto più che c'erano cose
che Levi non sapeva, e se le avesse scoperte in malo modo... beh
suppongo che anche un uomo controllato come lui potesse sbroccare se
troppo sollecitato.
“Mentre
rientravamo, sul carro, dato che era mezza stordita dagli
antidolorifici, credo si sia lasciata scappare un qualcosa che non
voleva dire”
“Sentiamo...”
disse Erwin. Che la sospettasse di essere una spia?
“L'ho
ringraziata per avermi salvato la pelle, e lei ha risposto 'Ho
impiegato dieci anni per tornare da te. Non posso lasciarti morire
ora'”
Le
parole rimasero in sospeso. Levi era troppo arrabbiato per sentirsi
in imbarazzo a una dichiarazione simile.
“E
quindi? Sapevo che c'era un forte legame tra te e il tuo gruppetto
quando...”
“No.
Lascia perdere ste stronzate. È tutto il giorno che ci penso.
Non avevano senso quelle parole dopo tutto il casino successo e...
no. Erano senza senso.
Finchè
mi è venuto in mente. Erwin, fosti tu a dirmi di smetterla di
cercarla, dopo la sua entrata nella gendarmeria.
All'epoca
non ci diedi peso.
Ma
ora, dopo che l'hai fatta rientrare, e mi sembra che ti fidi anche
troppo di lei per essere una che potrebbe benissimo essere la spia
che stiamo cercando...”
Levi
si sedette, puntando i gelidi occhi grigi nelle iridi azzurre di
Erwin. “Cosa sai che io non so?”
Erwin
rimase un lungo momento in silenzio. Riflettendo su cosa rispondere,
con Levi che attendeva paziente.
“Credo
che non sia giusto da parte mia raccontarti questa storia, Levi.
Dovrai chiederla a lei” rispose semplicemente. Rispettava
troppo Astrid per negargli questo favore. La possibilità di
parlare a tu per tu con Levi.
Si
erano trattati come sconosciuti tutto il tempo, i rapporti
raffreddati e incrinati da eventi e il tempo che era passato.
A
dispetto delle apparenze, aveva capito già anni addietro
quello che provava Astrid. Aveva fatto finta di nulla con Levi, ma
dopo tutto quello che era successo, gli doveva almeno questo alla
donna.
“Prima
che tu possa arrabbiarti, ti dirò che è stata lei a
chiedermi di non parlartene, per motivi che capirai da solo. Ma nel
frattempo, ti garantisco che è dalla nostra parte”
“Quindi
dovrò fidarmi della tua parola” Levi sbuffò.
“D'accordo. Glie lo chiederò”
In
fin dei conti non poteva ammettere che sin ora tutto quello che Erwin
aveva fatto era stato per il bene collettivo della legione e dei suoi
sottoposti.
Hanji
andò a trovare Astrid, chiedendogli come stava, e lei,
annoiata dal tempo passato a letto, finì con il chiacchierare
con la stravaganze rossa, parlando del più e del meno.
Venne
aggiornata a riguardo alla missione che stavano per compiere nel wall
sina, e Hanji notò con piacere che la mora guariva in fretta.
“Già,
ho la pellaccia dura..” commentò ridacchiando.
“Lo
so di essere invadente, ma non so resistere un secondo di più
senza chiedertelo... cosa c'è tra il capitano Levi e te?”
Astrid
sussultò, più sorpresa che imbarazzata “Niente,
perché?”
“Forse
ho fatto la domanda sbagliata allora. Forse dovevo dire cosa c'è
stato? Al passato? No, perché è qualche anno che lavoro
con quello scorbutico e non l'ho mai visto così... teso?
Nervoso? Suscettibile?” non sapeva neppure lei come definirlo.
Astrid
ridacchiò, ma questa volta un leggerissimo velo di rossore
comparve sulle guance, appena accennato.
“Nulla,
davvero Hanji”
“Guarda
che io sono solo curiosa, non pettegola. D'altra parte sono una
ricercatrice, è mio compito essere curiosa. E più mi
vengono negate le risposte più divento morbosa. Ti avverto!”
“Sembra
una minaccia, la tua!”
“Lo
è!”
Le
due si guardarono fisso un secondo prima di scoppiare a ridere.
Astrid decise di potersi fidare.
“Credo
di poter dire che ci siamo salvati la pelle diverse volte a vicenda.
Prima. Prima della legione, prima di essere soldati.
Ho
vissuto per la strada, nella città oscura. Un posto crudele,
anche senza bisogno di titani. Ero solo una ragazzina. Mi andarono
male un paio di zuffe e mi ritrovai a essere così debole da
non riuscire ad avere la forza neppure di cercare una pozzanghera per
bere. La fame è un circolo vizioso. Ti indebolisci e hai
sempre meno energia per cercare qualcos'altro. Levi, con Farlan e
Isabel mi salvarono la vita, e da allora divenimmo un gruppo unito.
Quando
vivi in un ambiente simile, avere qualcuno a cui affidarti fa
diventare i legami molto stretti. Sapevamo di poter contare l'uno
sull'altro per ogni evenienza. Ci aiutavamo a vicenda, per
sopravvivere.
Però
le cose, quando Erwin ci ha reclutato, non sono andate proprio come
previsto. Dopo l'addestramento ci siamo divisi, e non ci siamo più
visti fino a quando sono entrata nel corpo di ricerca. Credo che
l'abbia visto come un tradimento al nostro gruppo. Tutto qui”
“Dunque
non siete stati amanti?”
“Ti
ha mai detto nessuno che è la curiosità ad avere
ammazzato il gatto?” ridacchiò Astrid alla domanda così
diretta e priva di vergogna della rossa.
“Non
hai risposto però. Lo sai che si dice che il silenzio è
un altro modo per dire di si?”
“Ficcanaso.
Comunque no, mai”
“Però
ti sarebbe piaciuto...” ghignò Hanji sistemandosi gli
occhiali con un ghigno quasi perverso.
“Ora
stai diventando davvero troppo invadente Hanji Zoe!” disse
senza però non riuscire a non ridere alle buffe espressioni
della rossa. In fondo, era dalla morte di Isabel che non aveva una
vera e propria amica. E Hanji, nonostante le domande irriverenti e
ficcanaso, era lì evidentemente con l'intenzione di farle
compagnia e risollevarle il morale, cosa di cui lei le era grata.
Fuori
dalla porta, con la mano ancora alzata per girare la maniglia, c'era
Levi.
L'abbassò
senza toccarla. Sarebbe ripassato in un secondo momento
Angolo
d'autore.
Chiedo
scusa per i ritardi e tutto, ma oltre a problemi personali, ho anche
ripreso un po' in mano la storia di Fairy Tail che avevo lasciato a
languire decisamente per troppo tempo.
Spero
mi perdonerete!
Al
prossimo capitolo (che spero di pubblicare il più presto
possibile...)
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Capitolo 13 *** Varietà ***
Astrid
era una tipa con la testa dura, e voleva decisamente vendicarsi di
quella bastarda che aveva ammazzato la squadra Levi.
Con
le costole ancora fasciate, valutò di riuscire comunque a
respirare bene. Le dolevano ancora un po' fare respiri profondi, ma
si era vista in situazioni peggiori.
Chiuse
la porta della stanza, infilò intimo e pantaloni. Prese le sue
lunghe fasce, e con movimenti esperti, prese a fasciarsi il seno. Per
quanto che si potesse dire, sulla femminilità a lavoro e tutte
ste palle, era innegabile che essere uomo, per certi mestieri era un
vantaggio.
Astrid
si riteneva un tipo pratico, e c'erano state volte, poche ma erano
capitate, in cui aveva odiato essere donna. Implicava avere meno
forza, sebbene questo per lei era un caso un po' a parte in quelle
cose. E tante volte il seno era ingombrante e fastidioso per certe
manovre.
Aveva
preso già anni addietro l'abitudine di fasciarlo stretto
dentro le bende.
Forse
la sua linea femminea, allo specchio ne risentiva, ma lei era più
soddisfatta all'idea di avere maggiori possibilità di tornare
a casa ancora viva.
Indossò
il resto degli abiti e l'imbracatura, poi seguì di soppiatto
la squadra che si preparava all'imboscata.
Nuovamente
si ritrovarono coinvolti nello scontro con i due titani,
impossibilitati a intervenire senza rischiare.
Però
Astrid, vedendo l'esitazione di alcune truppe di stanza nella zona,
prese in pungo la situazione.
“Ehi,
cagasotto senzafatiche! Datevi un mossa. Evacuate i civili, sgombrate
l'area circostante! Mandate truppe ai cancelli, cercasse di fuggire,
e supportate le squadre già in azione! Svelti!”
Il
polso che dimostrò, fece smuovere la situazione, e finalmente
anche truppe di gendarmeria si diedero da fare. In modo un po'
caotico forse, ma era meglio di niente.
Fiancheggiò
Mikasa, correndo in avanti, nella direzione che sembrava prendere lo
scontro.
“Merda
uno spiazzo!” imprecò Astrid tra i denti.
“Capitano
ma lei...” disse incerta al ragazza.
In
effetti aveva il respiro più corto del solito, e ora che si
muoveva di fretta, le costole le davano fitte.
“Non
è il momento di pensare a dove dovrei essere. Diamoci da fare.
A quanto pare la nostra amichetta vuole battere ritirata!” le
dissi, senza smettere di correre.
Eren
era in terra, KO. E Annie sembrava voler puntare dritto al muro.
Forse voleva scalarlo.
Io
e Mikasa ci mettemmo a correrle dietro. Io, per via delle costole
doloranti rimasi un po' più indietro, ma ripensando a Petra,
alla disperazione del padre quando aveva avuto la notizia, al suo
viso sconvolto, ai sensi di colpa che mi colpivano l'animo vedendo il
viso disperato del pover'uomo...
Strinsi
i denti e continuai a correre.
“Vuole
scalare il muro!” gridò qualcuno mentre la titano aveva
preso a piantare le mani nella roccia per ricavare dei buchi a cui
aggrapparsi.
“Fermiamola!”
gridai a Mikasa.
Senza
preoccuparmi per una volta di sprechi di gas, piantai i ganci nella
schiena della titano e schizzai in su a tutta birra.
Lei
con una mano si parò la collottola, però io me lo
aspettavo.
Mikasa
aveva puntato alla mano agganciata al muro. Io puntai a quella con
cui si riparava la collottola.
Entrambe
recidemmo le falangi del titano.
“Ora
Mikasa!” in qualche modo ci capimmo. Lei, più in alto
sganciò i rampini dell'attrezzatura, io, usando lo slancio
residuo, con una piroetta mi lanciai verso l'alto. La colpimmo
entrambe con i piedi sulla fronte che teneva rivolta verso l'alto.
“Cadi,
Annie” disse Mikasa.
La
titano, priva di falangi, perse l'equilibrio e cadde all'indietro,
dove si affollavano già le truppe, con funi, cavi, armi e
quant'altro.
“Io
avrei usato termini più coloriti. Ma ben fatto” disse
Astrid a Mikasa.
“Capitano
si sente bene?” aveva il viso pallido e sudato.
“Mi
sentirò meglio quando mi daranno il permesso di piantarle una
lama nelle budella per avere informazioni” rispose per poi
prendere a calarsi giù dal muro con l'attrezzatura per
raggiungere Annie.
Fu
in quel momento, che lei notò che nel buco nel muro... c'era
un titano!
In
seguito le cose accaddero piuttosto caoticamente.
Astrid,
come molti altri, diedero i numeri per via di Annie che si era
ritirata in un cristallo all'apparenza ininfrangibile.
“Ehi,
stronza! Mi senti la dentro? Sappi che quando troverò il modo
di spezzare sto schifo avrai la vita di un mezzo centinaio di uomini
di cui rispondermi, e poi ci sono tutti gli altri!” le sibilò
Astrid, prima che qualcuno della legione si accorgesse della sua
presenza.
Forse
uno dei sottoposti di Hanji, che con una certa eloquenza la rispedì
senza troppi complimenti al quartier generale per riposarsi.
Hanji
ebbe il suo bel daffare per chiuderei buchi nelle mura e per
interrogare il pastore Nick, che era ovvio sapesse più di
quello che diceva.
Erwin
per giustificare ai piani alti le azioni della giornata.
Astrid
invece si rimise a letto, controvoglia ma dolorante. “Dannata
codarda...” brontolò tra sé e sé.
“Davvero
puoi dire di essere senza colpe?” chiese una voce.
Astrid
sussultò.
“Oh,
Levi, non ti avevo sentito arrivare”
“Sono
io che dovrei dire 'non ti ho sentito uscire'. Dunque mi hai privato
del piacere di poterti prendere per le orecchie e rimetterti a
cuccia” rispose sedendosi sull'unica sedia nella stanza.
“Brontolone”
“Deficiente,
hai le costole incrinate. Vuoi morire con un polmone bucato?”
“Non
sono messa così male. E come vedi sono ancora viva e... non
riesco a dimenticare quell'uomo...” lui capì a chi mi
riferivo.
Rimase
un momento in silenzio e disse, con meno astio “Capisco, ma se
muori anche tu, non servirà a nulla. E non sei la sola a
essere arrabbiata per la morte di così tanti uomini. Erano la
mia squadra”
“Scusami”
“Erano
tutti bravi uomini” tradotto dal Levi/Italiano-Italiano/Levi,
intendeva dire che gli voleva bene e anche lui si dispiaceva della
loro dipartita.
“Ma
guardaci. Qua a brontolare. Ci manca solo una delle uscite
democratiche di Farlan e qualche cazzata di Isabel per infiorettare
il tutto” commentò Astrid, portandosi le mani dietro la
testa.
Levi
rimase in silenzio, pensoso.
Astrid
lo guardò. Quanto gli era mancato!
Ne
studiò i lineamenti. Non era cambiato poi tanto da come era
tempo addietro. Però, si era fatto più.. uomo. I
lineamenti affilati da ragazzino erano diventati più fermi e
virili, e anche attraverso la divisa si poteva notare il fisico che
sebbene slanciato, era muscoloso. Asciutto e pronto agli scatti.
Accidenti
che seccatura. Era difficile nascondere le emozioni a qualcuno che ti
conosce.
Levi
strinse un pugno su un ginocchio.
“Perché
te ne sei andata?”
“Cosa
scusa?” cascò Astrid, stupita.
“Quando
tornavamo, sul carro. Hai detto 'Ho impiegato dieci anni per tornare
da te, non potevo lasciarti morire ora'. Allora perché te ne
andasti?” lo sguardo era fisso nel vuoto.
“Oh.
Non mi ricordavo di averlo detto”
“Lo
sospettavo” mi guardò. “Per quello te l'ho chiesto
ora”
Astrid
rimase in silenzio. Non sapendo bene cosa rispondere.
“L'altro
giorno ho parlato con Erwin. Le cose non mi quadravano, e mi sono
reso conto che qualcosa non mi quadrava. Era stato lui a dirmi in
passato di smetterla di cercarti. Ora si fida troppo di te, non
poteva essere una coincidenza.
Quindi
glie l'ho chiesto. Lui mi ha risposto 'è una storia che non ho
in diritto di raccontare io. Dovrai chiederla a lei'. Ora parla.
Voglio la verità, quindi evitami di doverti far assaggiare gli
stivali”
Astrid
rimase rigida, sorpresa, a fissarlo.
Poi
di punto in bianco si mise a ridere, ci impiegò un lungo
momento per smetterla, dove Levi non cambiò né
posizione né espressione.
“Cavolo
LT. Non sei cambiato di una virgola, davvero. Stesso modo di fare,
stesso modo di parlare. Sei dolce quanto una scartavetrata in queste
cose. Ma, mi sento in dovere di ricordarti che nella lotta libera,
sei sempre stato tu a mangiare i miei stivali”
Finalmente
l'angolo della bocca di Levi si storse appena. “Sono passati
gli anni, potrebbero essere cambiate, le cose”
“Lo
vedremo appena mi tornano a posto le costole. E a te il braccio”
disse Astrid.
“Molto
bene. Ora non deviare il discorso però. Erwin mi ha anche
detto che sei stata tu a chiedergli di non parlarmi della cosa.
Voglio una risposta esaudiente anche di questo”
“Perché
sapevo che tu non l'avresti accettato, LT. E io non potevo
permetterlo”
Il
silenzio alleggiò un attimo pesante nella sala.
“é
un discorso lungo e dovrò partire da parecchio indietro ma...”
“Scusate,
piccioncini mi dispiace irrompere per una volta che vi stavate
parlando senza piantarvi occhiate gelide, ma abbiamo una emergenza”
interruppe Hanji.
“Che
succede?” chiese Levi.
“Wall
Rose è caduto. Dei titani si stanno muovendo verso Sina e...”
Levi
era già in piedi, e anche Astrid si buttò giù
dal letto.
“Cosa
dobbiamo fare?”
“Tu
devi...”
“Un
cavolo. Non me ne andrò con la coda tra le gambe in quella
fogna di Sina senza prima staccare un paio di teste, quindi evitati
parole inutili e dimmi cosa fare”
Lei
mi fissò un momento, prima di sospirare.
“Prendete
l'attrezzatura, poi segui Levi e andate a prendere i vostri ordini”
Astrid
le fece il saluto militare prima di andare a prendere la montagna di
fibbie e cuoio da indossare.
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