Anime dal passato

di Beatrix Bonnie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I - Incontri ***
Capitolo 3: *** II - Convinzioni ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Firenze, maggio 1833

Or poserai per sempre,
stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
in noi di cari inganni,
non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
palpitasti. Non val cosa nessuna
i moti tuoi, né di sospiri è degna
la terra. Amaro e noia
la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera
l'ultima volta. Al gener nostro il fato
non donò che il morire. Omai disprezza
te, la natura, il brutto
poter che, ascoso, a comun danno impera,
e l'infinita vanità del tutto.
(Giacomo Leopardi, A te stesso)

La valigia era pronta, tutti i suoi effetti personali impacchettati. Le dispiaceva lasciare Firenze, le passeggiate lungo l'Arno, le chiacchierate nei caffè. Soprattutto, le dispiaceva interrompere quell'amicizia da poco sbocciata e già così florida. Le loro idee filosofiche non potevano essere più diverse, eppure c'era un'intesa armoniosa tra loro, quasi come se fossero due anime innamorate che si erano ritrovate dopo lungo tempo. E ora dovevano separarsi per sempre.
«Posso salutarvi in un modo del tutto sconveniente ad una signorina perbene che sta per andare a sposarsi?» sussurrò con un nodo alla gola.
Il giovane conte, seduto ai pedi del letto, alzò i grandi occhi blu su di lei, perplesso. «Fate pure.»
La ragazza, allora, si chinò verso il suo viso e depositò sulle labbra semiaperte di lui un bacio delicato. «Forse un giorno ci rincontreremo» gli sussurrò piano. «Ma in un'altra vita, conte Leopardi.»










Carissimi,
ecco il brevissimo prologo di una nuova storia che ho scritto per il contest QUESTO è ciò in cui credo.
Non ho molto da dire, se non che spero di avervi incuriositi ad andare avanti. A breve il primo capitolo.
A presto,
Beatrix B.

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Capitolo 2
*** I - Incontri ***


I
Incontri


Bologna, oggi

Nessuno ha mai commesso un errore più grande
di colui che non ha fatto niente
perché poteva fare troppo poco.

(Edmund Burke)

Margherita adorava i portici e odiava i turisti. Adorava i portici perché, quando pioveva, nove volte su dieci lei era senza ombrello e almeno poteva ripararsi dall'acqua sotto le arcate; odiava i turisti perché, nove volte su dieci, lei era in ritardo e dover schivare gruppi di vecchietti in visita alle chiese non la aiutava a muoversi spedita.
Esattamente come quel giorno di inizio ottobre: pioveva e lei era in ritardo. «Permesso, scusate» borbottò, facendosi largo tra turisti tedeschi che probabilmente aveano la stessa età della chiesa che si accingevano a visitare. Sbuffò, ma riuscì a salire sull'autobus prima di essere investita da improperi in arcana lingua germanica. La sua fermata era poco fuori dal centro, per fortuna, per cui il tragitto fu piuttosto breve, anche perché il mezzo pubblico era umido e caldo come una foresta pluviale, preso d'assalto dagli studenti di Medicina. Margherita ascoltò uno spezzone di comunicazione tra due ragazzi che si lamentavano dell'esame di anatomia e del professore stronzo di turno. Mal sopportava gli studenti di Medicina, convinti com'erano di essere gli unici a sudare sangue sui libri, mentre a tutti gli altri i voti venivano regalati. Che poi, solo quella di Medicina era una vera università, le altre erano inutili! Cielo, che odio! Margherita di lauree ne aveva collezionate un bel po', tutte assolutamente non spendibili nel mercato del lavoro. Tutte assolutamente meravigliose. Se fosse tornata indietro, le avrebbe scelte di nuovo.
Una volta scesa dall'autobus e abbandonato il gruppo di studenti di Medicina, entrò nella sua facoltà e prese a salire i gradini a due alla volta, giusto perché un po' di esercizio fisico aiutava a mantenersi in forma. Bussò alla porta dello studio con tanta frenesia che per poco non si fracassò le nocche contro il legno.
«Prego, avanti» chiamò il professore, con la sua r moscia leggermente accennata.
Margherita entrò sfoderando il suo miglior sorriso. «Buongiorno!»
Il professor Rainelli la guardò da sopra i suoi occhialetti ovali da lettura. «Sei in ritardo.»
«Lo so, lo so, mi scusi!» brontolò Margherita, prendendo posto davanti alla scrivania e cominciando a frugare nella borsa. «È che c'è sempre un sacco di gente, e poi piove...»
«E poi, e poi... una volta eri più brava ad inventare scuse» sogghignò il professore.
«Grazie» replicò gelida Margherita. «Si vede che quando Dio distribuiva la puntualità, lei era il primo della fila, io ero in ritardo.»
Il professor Pietro Rainelli aveva un sarcasmo piuttosto pungente per essere un frate domenicano, ma Margherita aveva imparato a rispondergli a tono. In fin dei conti, l'aveva scelto come docente per il Baccalaureato e la Licenza in Teologia e ora per il Dottorato, oltre ad aver seguito il suo corso di Storia delle Chiese alla facoltà di Lettere. In tutti quegli anni era stato il suo mentore e da lui aveva assimilato anche il gusto per l'ironia e la prontezza di spirito nel rispondere alle battute.
«Dai, fammi vedere che mi hai portato» disse padre Rainelli, tornando serio.
Margherita cominciò a spargere fogli e quaderni sulla scrivania del professore, mettendo a soqquadro il perfetto ordine che vi regnava. «Ecco!» annunciò soddisfatta, estraendo dalla borsa una cartellina dall'improbabile color verde acido, che mise sotto il naso del professore. «Però non sono molto convinta.»
Padre Rainelli diede un'occhiata veloce alle pagine. «Cos'è che non ti convince?»
Margherita scosse la testa. «Ho riletto talmente tante volte quel pezzo che lo so quasi a memoria, ho spulciato tutta la bibliografia di padre Chenu, ho cercato ovunque, ma non sono del tutto convinta che i due temi si possano mettere sullo stesso piano... o che comunque si possa giustificare la connessione sulla base di quel passo della Summa Theologiae» snocciolò in un sol fiato.
Il professore annuì comprensivo. «Fammi leggere quello che hai scritto, poi valuteremo insieme.»
«Allora attendo sue notizie.» Margherita ficcò alla rinfusa nella borsa la roba che aveva sparso sulla scrivania e si alzò dalla sedia.
«Credo che per fine settimana dovrei riuscire a darci un occhio» le confermò il professore. «Comunque ci sentiamo.»
Margherita annuì e, augurando al professore una buona giornata, uscì dallo studio. Così come aveva fatto le scale di corsa in salita, anche in discesa non si risparmiò, nella speranza di riuscire a non perdere la corsa dell'autobus. Possibile che fosse sempre in ritardo?
Sbuffò, preparandosi ad affrontare un secondo traumatico viaggio sul mezzo pubblico – grazie al cielo, aveva almeno smesso di piovere – e ripassando mentalmente le cose che doveva fare quella giornata. Arrivata alla sua fermata, scese dall'autobus quasi investendo una vecchina che pretendeva di salire dall'uscita. «Mi scusi, mi scusi!» le urlò dietro, già di nuovo di corsa verso la sua seconda meta.
«Oh, buongiorno, professo'!» si sentì salutare quando entrò nell'atrio della scuola.
«Buongiorno, signor Armando» rispose distrattamente al bidello, presa com'era dal frugare nella borsa alla ricerca del quaderno su cui aveva preparato le lezioni della giornata. «Merda, merda, merda e più merda!» scandì la sua camminata veloce verso l'aula insegnanti, quando si accorse che il prezioso quaderno non era in borsa. E quel suo frugare le fu fatale, perché andò a scontrarsi senza ritegno contro qualcuno che veniva nella direzione opposta. Alzò gli occhi verso lo sconosciuto e quel “scusami” che stava per pronunciare le si fermò in gola. Aveva di fronte un bel giovane altro, moro con due stupendi occhi blu. Probabilmente le uscì spontaneo sulle labbra un sorriso da ebete, di certo del tutto involontario.
«Cos'è successo di così tragico da farti invocare escrementi di vario tipo per i corridoi della scuola?» le domandò con un sorrisetto divertito.
Improvvisamente Margherita si rese conto che doveva star facendo una pessima impressione. «Ho lasciato il quaderno con le lezioni preparate sulla scrivania del mio professore, in università» balbettò in risposta. «Credo proprio che oggi dovrò improvvisare.»
«In bocca al lupo, allora» le augurò.
«Professor Ricci?» chiamò in quel momento il bidello Armando. «Paola la vuole in segreteria.»
«Arrivo» rispose il giovane, accomiatandosi da Margherita con un sorriso e un breve inchino.
La ragazza restò immobile nel bel mezzo del corridoio finché l'altro non fu sparito dalla sua vista. Chiuse gli occhi e li riaprì. Fantastico, ho appena fatto una colossale figura di merda con un nuovo professore. Ed è pure carino!
«Margherita!» la richiamò una giovane signora dall'aula insegnanti.
«Ciao, Betta» salutò funerea la ragazza, avviandosi verso di lei. «Oggi non è la mia giornata.»
«Lo sarà anche meno, adesso, fidati» la accolse la sua collega, lanciandogli un'occhiata eloquente.
«Cos'è successo?» sbuffò Margherita, domandandosi cosa potesse accadere ancora per peggiorare la situazione.
«È successo che pioveranno sospensioni come fosse Natale!» esclamò la professoressa di Diritto, non appena Margherita entrò in aula insegnanti.
La ragazza le rivolse un sorriso stiracchiato. Non erano mai andate d'accordo lei e la professoressa Antonella Tozzetti, da tutti soprannominata Fanny per via dell'omonimia di cognome con la nobildonna fiorentina, nonché per la sua indiscussa bellezza e il suo fascino. Oltre ad una sana antipatia a pelle, forse dovuta anche – Margherita era costretta ad ammetterlo – all'invidia per la bella presenza della Tozzetti (mentre lei aveva l'aspetto anonimo di una trentenne qualunque), a dividerle c'era una profonda divergenza di vedute: Margherita era convinta che la scuola dovesse educare prima che punire, fornire competenze prima che nozioni. “Tu fai tutto facile” le ripeteva sempre la professoressa di diritto, “non hai nessun contenuto da insegnare.”
Margherita aveva smesso di rispondere alle sue provocazioni: erano solo gli sterili attacchi di una cieca positivista, che credeva nel progresso umano, nella scienza, nella legge positiva, e che valutava la religione alla stregua della notte buia dell'umanità. Lei che si proclamava tanto aperta di mente, non aveva nemmeno le orecchie per ascoltare le posizioni di Margherita: le bollava immediatamente come retaggi medievali di oscurantismo.
«Cos'è successo, di grazia, per far piovere sospensioni?» sospirò Margherita, rassegnata all'idea che quella si sarebbe rivelata una pessima mattina.
La Tozzetti le rivolse un sorrisetto, come se la possibilità di sospendere qualcuno la divertisse. «Ha cominciato a girare per scuola un giochino: bisogna andare in bagno, farsi una foto in biancheria intima e pubblicarla su Facebook, taggando almeno tre amici» spiegò, con una smorfia di disprezzo. «Chi viene nominato deve fare altrettanto, per non venir etichettato come sfigato e venir preso di mira da tutta la scuola.»
Margherita sbuffò rassegnata. Perché i ragazzi erano sempre così idioti? Come potevano pensare che una scemenza del genere non venisse prima o poi scoperta dai professori?
La campanella d'inizio della terza ora suonò proprio in quel momento. La Tozzetti prese al volo la sua borsetta di chissà quale marca famosa e si mise sotto braccio i libri di diritto. «Pare che tutto sia partito dalla tua adorata quinta B» rivelò a Margherita, con un sorriso falso.
La ragazza arricciò in su gli angoli della bocca, ma i suoi occhi rimasero freddi. «E scommetto che hai già dato una bella nota di classe.»
«Ovvio.» La donna ne sembrava enormemente compiaciuta. «Ah, è vero che tu sei quella che predica contro l'inutilità delle note sul registro!»
«Anche se ti diverti a fare dell'ironia, io resto della stessa idea» replicò Margherita, seria. Era convinta che le note sul registro fossero solo delle parole buttate al vento, vane minacce che non avrebbero mai fatto cambiare atteggiamento agli studenti, almeno finché non si fossero convinti da soli a scegliere la retta via.
La Tozzetti si avvicinò a lei quel tanto che bastava per sovrastarla. «Fai come vuoi, tanto una bella punizione non gliela leva nessuno» mormorò, sempre senza smettere di sorridere. «Forse così impareranno, una buona volta.»
«Cosa impareranno?» la provocò Margherita. «Ad odiarti? Oh, fidati, quello lo fanno già benissimo.»
«E tu che credi di fare?» le rispose con sdegno la Tozzetti, improvvisamente meno aggraziata senza il suo sorriso seducente. «Non puoi salvarli tutti: alcuni non si meritano nemmeno di essere salvati e comunque sei solo un'insegnante di Religione. Non hai alcuna influenza su di loro.»
Margherita fece un passo avanti e alzò gli occhi su di lei, determinata. «Farò tutto quello che posso» replicò decisa. «Anche se fosse troppo poco, è sempre meglio di niente.»
«Professoresse, è suonata» le avvertì il bidello, mentre spediva in classe gli studenti che erano usciti al cambio dell'ora.
«Grazie, Armando» rispose Margherita, con un cenno di saluto alla collega.
«Buona lezione» sibilò quella, il suono dei suoi tacchi che riecheggiava per il corridoio vuoto.


Firenze, maggio 1832

Amami, per Dio.
Ho bisogno d'amore, amore, amore, fuoco, entusiasmo, vita:
il mondo non mi par fatto per me.
(Giacomo Leopardi, lettera al fratello Carlo)

Margherita se ne stava seduta sul prezioso divanetto del salotto di casa. Era ben lavorato, non c'era niente da dire, e comodo, anche, ma avrebbe gradito un passatempo più interessante che non quello di ammirare il mobilio di casa Targioni Tozzetti. Eppure, a quanto pareva, la sua compagnia non era giudicata sufficientemente interessante dagli altri ospiti della serata. Uno dei vecchi membri dell'Accademia della Crusca, nel passarle davanti, le rivolse un cenno di saluto e un breve inchino. Margherita rispose con un sorriso tirato. Sapeva di non essere né bella né affascinante come la padrona di casa: era piccola e minuta, con un viso sgraziato, capelli incolore e occhi anonimi. Eppure riteneva che, quanto meno, le sue idee meritassero di essere ascoltate, indipendentemente dal suo aspetto fisico. Ma anche tra i colti letterati fiorentini, il mondo era fatto solo d'apparire.
Si era da poco trasferita a Firenze con la famiglia, lasciando per qualche tempo la caotica Milano, ma era certa che gli inviti che aveva ricevuto per i più prestigiosi salotti letterari della città fossero dovuti al suo cognome, piuttosto che alla sua cultura. Dopotutto, lo zio di suo padre, Giovanni Maria Imbonati, aveva dato vita alla più importante accademia letteraria di Milano, l'Accademia dei Trasformati.
«Tutta sola, signorina Imbonati?» Uno degli ospiti si avvicinò sorridente.
Margherita scattò in piedi come se qualcosa l'avesse punta, aggrappandosi con tutte le sue forze a quello spiraglio di conversazione. «Pietro Giordani, quale piacere» lo salutò speranzosa.
«Non vorrei disturbare la vostra solitudine, ma mi sembra una serata troppo interessante per non approfittare di qualche piacevole conversazione.» Giordani le tese la mano per prenderla sotto braccio e condurla a spasso per il salotto.
«Vi ringrazio, signor Giordani» rispose Margherita. «A quanto pare, le conversazioni con una donna non sono sufficientemente piacevoli se non sono corredate da un aspetto gradevole.»
Giordani sogghignò per tanta franchezza. «Io trovo che il vostro aspetto sia gradevole quanto basta per poter conversare insieme.»
«Vi ringrazio, ma non per tutti è così.» Gli occhi di Margherita indugiarono sulla padrona di casa, la tanto ammirata Fanny, che lei considerata tanto bella quanto effimera.
«Non dovete adirarvi con lei» le sussurrò all'orecchio Giordani, intuendo i suoi pensieri. «La natura le ha elargito molti doni e lei li elargisce agli altri.»
Margherita lanciò a Giordani un'occhiata di leggero rimprovero. «Dio elargisce a ciascuno dei talenti, secondo la Sua divina misericordia, ma non per sbatterli in faccia agli altri» replicò tagliente. «O, peggio, per usarli al fine di procurarsi una schiera di ammiratori. E di amanti.»
Giordani scoppiò a ridere, divertito. «Oh, voi e il vostro dio. Adoro quando lo infilate in ogni conversazione.»
Margherita gli rispose con un sorriso furbo. «Il mio Dio è il Dio di tutti, per quanto voi non lo riconosciate» precisò compiaciuta. «E lo infilo in ogni conversazione, perché Egli è la roccia su cui ho fondato la mia vita.»
Giordani la guardò con intensità per una frazione di secondo. «Voglio presentarvi una persona» esclamò poi, conducendola sempre a braccetto verso un uomo dall'aspetto malaticcio. Si appoggiava ad un bastone da passeggio, malfermo sulle gambe e con i primi segni della gobba. Ma la prima cosa che notò Margherita furono i suoi occhi blu, enormi ed espressivi come se fossero stati dipinti dal più grande degli artisti.
«Giacomo, questa è la signorina Margherita Imbonati» la introdusse Giordani. «Signorina, vi presento...»
«Il conte Leopardi» concluse Margherita, incantata dalla personalità del poeta. «Non sapete quanto mi senta onorata di conoscervi, signor conte.»
«Lasciate, lasciate pure perdere i titoli» rispose l'uomo, facendo un gesto svolazzante con la mano. «Li trovo quanto meno eccessivi, nella situazione in cui mi trovo.»
Margherita fece un breve inchino come segno d'assenso, ma non osò chiedere quale spiacevole situazione avesse indotto il poeta a rifiutare il suo titolo. I suoi occhi saettarono in direzione del Giordani, nella speranza di ottenere un aiuto per intavolare una conversazione che non offendesse l'animo del suo interlocutore, quando la voce trillante di Fanny richiamò l'uomo di lettere al suo volere. «Pietro caro, vi prego, raggiungetemi un attimo» ordinò con tale soavità che era impossibile rifiutarsi.
«Scusatemi, miei signori.» Giordani si accomiatò con un inchino. «Il dovere mi chiama.»
Non appena l'uomo si fu allontanato, calò un silenzio imbarazzante. Leopardi giocherellò con il bastone, Margherita si stropicciò le mani, lo sguardo fisso a terra. Aveva tanto amato i suoi scritti e le sue poesie, ma ora che ce l'aveva davanti non sapeva cosa dirgli. Certo, i loro orizzonti erano completamente differenti, ma i versi di quell'uomo erano così densi di struggente umanità che non potevano lasciare insensibili.
Passarono una manciata di secondi in silenzio e poi, nello stesso momento, si guardarono negli occhi e presero a parlare. Si bloccarono immediatamente. «Vi prego, scusatemi» balbettò Leopardi.
«A voi la parola» lo invitò Margherita.
«Oh, no, ci mancherebbe.» Il poeta parve quasi a disagio. «A voi.»
La giovane prese un profondo respiro. «Ho letto le vostre Operette Morali e le ho trovate sublimi» rivelò, illuminandosi al solo ricordo di quelle pagine magistrali. «Per quel che vale, ritengo siano ben migliori della Storia d'Italia di Botta.»
Leopardi si concesse di sorridere. Aveva un bello spirito, quella giovinetta, per pronunciarsi così apertamente contro le decisioni dell'Accademia della Crusca, che due anni prima aveva assegnato il premio alla Storia d'Italia del Botta invece che alle sue Operette Morali. «Peccato non siate membro dell'Accademia della Crusca, allora.»
Margherita accennò ad un sorriso. «Dubito che sarebbe permesso ad una donna» commentò, ma poi i suoi occhi saettarono in direzione di Fanny, ancora intenta a chiacchierare di chissà cosa con Giordani. «A meno che non sia di piacevole aspetto, è ovvio.»
Leopardi soffocò un risolino. «State parlando con l'uomo sbagliato, signorina» le confessò. «Si può dire tutto di me, tranne che io abbia tanta cura per l'aspetto del corpo.»
«Voi forse no, perché siete un'anima poetica.» Margherita sorrise per il buffo inchino che inscenò Leopardi a mo' di ringraziamento per quell'elogio. «Tuttavia – si sentì in dovere di continuare, – il resto del mondo tiene molto in considerazione l'aspetto esteriore del corpo.»
«Allora pare che il mondo non sia fatto per me» concluse il conte, riservandole uno sguardo che voleva trasmettere l'evidenza di quel ragionamento logico. Margherita rise. «Il mondo è per tutti.»
«Non per me, fidatevi» insistette Leopardi, scuotendo la testa.
«Forse – azzardò Margherita, – il mondo non vi par vostro perché avete bisogno di amore, fuoco, entusiasmo e vita.»
Pietro Giordani, sopraggiunto proprio in quel momento, si abbandonò ad un'allegra risata. «E dove si possono comprare questi gustosi ingredienti?» ironizzò. «Forse dal droghiere?»
Margherita non si fece intimidire: non sarebbe certo bastata l'ironia pungente del Giordani per metterla a tacere. «Il vostro droghiere non ne è per caso fornito?» rispose per le rime. «Fossi in voi, domani mattina, andrei a lamentarmene.»
Giordani le mise una mano sulla spalla. «Siete una donna davvero singolare, signorina Imbonati. Una novella Aspasia» si complimentò l'uomo, paragonandola alla colta amate di Pericle, che aveva diffuso la fama della sua intelligenza in tutta Atene.
«Vi ringrazio, signor Giordani» rispose Margherita, con un accenno d'inchino. «Addirittura una singolare, novella Aspasia?»
«Dalla lingua un po' tagliente» precisò Leopardi, guardandola di sbieco. «Ma... singolare, sì. Come Aspasia.»










Ebbene, ecco qui il primo capitolo della storia che ho scritto per il contest QUESTO è ciò in cui credo. In realtà, ci sarà solo un altro capitolo e l'epilogo, perché il tema del contest era quello di mettere in scena le nostre convinzioni più profonde, quindi non ho creato una storia dalla trama elaboarta.
Comunque, siete venuti a conoscenza di tutti i personaggi, ognuno con il suo doppio. Giusto perché io NON sono una tipa che adora le immagini, ecco qui le belle facce dei protagonisti:
QUI Margherita Imbonati e Margherita Alberti;
QUI Giacomo Leopardi e Giacomo Rizzi;
QUI Pietro Giordani e padre Pietro Rainelli;
QUI, infine, Fanny Targioni Tozzetti e Antonella "Fanny" Tozzetti.
Bene, spero che questi incontri vi siano piaciuti. A breve il capitolo dedicato al credo delle due Margherite! ;)
A presto,
Beatrix B.

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Capitolo 3
*** II - Convinzioni ***


II
Covinzioni


Firenze, settembre 1832

Sebbene è spento nel mondo il grande e il bello e il vivo,
non ne è spenta in noi l'inclinazione.
(Giacomo Leopardi, Zibaldone)

Margherita riteneva che settembre fosse il mese più bello per godersi Firenze. L'arsura estiva era stata mitigata dal vento settembrino, ma le giornate erano ancora limpide e il cielo tanto azzurro da parer dipinto. Se ne stava per delle ore intere appoggiata al parapetto del Lungarno, ad osservare il fiume che scorreva placido verso il mare.
«Non mi capacito di come abbiate fatto a convincermi» borbottò una voce alle sue spalle.
Margherita si voltò con un sorriso innocente. «Siete proprio un brontolone.» Adorava stuzzicarlo a quel modo.
«E voi siete una... una...» provò, senza trovare un aggettivo adatto.
«Oh, accidenti!» scherzò Margherita. «Al grande conte Leopardi mancano le parole.»
Il poeta fece qualche passo malfermo verso il parapetto. «Siete una donna con cui è davvero amabile conversare» ironizzò poi, levandosi il cilindro in segno di rispetto.
«Lo so» rispose Margherita, fingendosi deliziata. «Ed è per questo che adorate stare in mia compagnia.»
Il conte sbuffò, appoggiando il bastone da passeggio al muretto. «Si fa quel che si può, in mancanza di altre compagnie più piacevoli.»
Margherita si voltò a guardare lo scorrere placido dell'Arno. «Il vostro caro Ranieri tornerà presto, non temete» rincuorò l'amico, per quanto sapesse che la sua era stata una battuta di spirito per punzecchiarla.
Leopardi accennò ad un sorriso. «So che non vi piace.»
La ragazza si sforzò in ogni modo per evitare di incupirsi: doveva ammettere che probabilmente era gelosa dell'amicizia tra Leopardi e Ranieri, tanto più perché quest'ultimo, con i suoi modi da scavezzacollo innamorato, aveva una pessima influenza sul primo. «È un uomo senza Dio» riassunse alla fine, senza riuscire a trattenere una smorfia.
Leopardi rise. «Anche io sono un uomo senza dio.»
Di fronte a quell'evidenza, Margherita si rilassò e tornò a concentrarsi sulla conversazione, lasciando perdere le sue antipatie per Ranieri. «Lo so – concesse con un sorriso, – ma io sono sicura che quando Gli sarete davanti, Egli vi perdonerà ogni cosa per la sola bellezza delle vostre poesie. Anch'Egli si è beato ascoltando il suono dei vostri dolcissimi versi.»
«Quale sciocchezza!» proruppe Leopardi, quasi divertito da quell'innocente credulità. «Non c'è altra vita oltre a questa terrena e, credetemi, è già abbastanza.»
Margherita fiutò la possibilità di un bel dibattito. Sorrise: quella volta l'avrebbe spuntata lei contro il cocciuto poeta recanatese. «Oh, avete ragione, mio caro Leopardi, quando dite che questa vita è infelice» rispose accorata. «Abbiamo dentro di noi un'inclinazione alla bellezza, alla verità e alla grandezza, una tensione verso l'infinito, ma l'infinito non appartiene a questo mondo, dove ogni cosa è mortale. Se tutto si concludesse qui, avreste ragione a dire che siamo figli di una natura che è per noi matrigna malvagia.» Margherita notò che Leopardi la guardava con un misto di interesse e di sospetto: l'uomo ormai conosceva troppo bene le sue tendenze filosofiche e morali per credere che gli stesse davvero dando ragione. «Quello che non comprendo – continuò, – è perché non vogliate nemmeno soppesare l'ipotesi che l'uomo, invece che figlio di una matrigna che lo odia, sia figlio di un Padre che lo ama. Egli è il sommo bene, la somma bellezza e l'infinita verità; Egli è colui al quale la nostra vita deve tendere per soddisfare la sua inclinazione verso l'eterno, Egli è il nostro destino e Colui che dà senso alla nostra esistenza. Dio ci ha chiamati alla vita, non alla morte.»
Leopardi scosse la testa, rassegnato. «Non posso accettare questa vostra idea di dio» ammise con franchezza. «Se egli è davvero buono come voi dite, per quale motivo ci ha messi in questo mondo a soffrire, per poi prometterci nell'aldilà la ricompensa di ogni sofferenza? Non vi pare contraddittorio?»
Margherita non si fece scoraggiare. «Ma voi sbagliate la premessa, mio caro conte» gli rivelò con un sorriso furbo. «Dio non ci ha messi al mondo per soffrire.»
«Come no?» Leopardi sembrava confuso: non riusciva a capire dove volesse andare a finire il discorso contorto della giovane milanese. «L'avete detto anche voi che possediamo una naturale inclinazione verso l'eterno, ma siamo costantemente infelici perché nulla in questo mondo caratterizzato dalla morte può soddisfarla.»
«Appunto, nulla in questo mondo.» Margherita sorrise, come se avesse un asso nella manica e fosse pronta a rivelarlo. «Ma Dio non è di questo mondo» ricordò al suo interlocutore. «Egli è il naturale punto d'approdo della nostra inclinazione, l'unico in grado di soddisfare la nostra sete d'eterno già in questa vita, perché Egli stesso è l'Eterno.»
Leopardi sbuffò. Prese il bastone da passeggio e picchiò delicatamente la testa d'argento contro lo sterno della giovane ragazza. «A volte siete così incredibilmente testarda» la rimproverò.
«Non sono l'unica, io credo.» Margherita espresse in un sorriso tutto l'affetto che sentiva nascere verso quel cocciuto poeta di versi così sublimi.
Leopardi, improvvisamente imbarazzato, distolse lo sguardo e prese a fissare il fiume che scorreva placido verso il mare. «Ve l'hanno mai detto che avete un sorriso incredibilmente... bello?» farfugliò quasi a disagio, senza guardarla negli occhi.
«Siete il primo» confessò Margherita, appoggiandosi anche lei al parapetto per osservare l'Arno. «Ma d'altronde sono la vostra Aspasia, no?» ironizzò leggera.
L'imbarazzo di Leopardi sparì con l'ironia: era più facile giocare su quel campo con la giovane Imbonati. «Oh, e volete che vi scriva qualche bella poesia?» le domandò, fingendosi cavalier servente.
«Oh, no, no» rispose immediatamente Margherita. «Scrivete pure poesie d'amore all'affascinante Fanny.»
Leopardi corrugò la fronte. «Non voglio scrivere poesie d'amore per Fanny. Ha una bellezza divina, certo, ma non è altro che una dotta allettatrice*» confessò con franchezza.
«Ma non dovete scriverle davvero per lei!» spiegò Margherita, con una risatina. «Lei sarà la vostra donna-schermo, cosicché tutti crederanno che vi siate invaghito di lei, mentre voi nasconderete il vostro vero amore dietro quello falso per lei.»
«E quale sarebbe il mio vero amore?» indagò Leopardi, sempre stando al gioco.
«Io, ovviamente» rispose la ragazza, d'improvviso più seria. Eppure, ancora un'ombra di sorriso giocoso le increspava le labbra. «Perché io so che il vostro cuore arde per me.»
«Signorina Imbonati, state vaneggiando» tagliò subito corto Leopardi. Tuttavia, la fretta con cui aveva liquidato la questione sembrava nascondere ben altri sentimenti. «Non potrei mai innamorarmi di una donna così ottusa come voi siete» si giustificò, distogliendo gli occhi da lei. Ma sembrava che quella scusa dovesse servire a convincere più che altro se stesso.
Margherita non si scompose di fronte a quell'improvvisa freddezza, perché aveva come l'impressione che il poeta stesse facendo di tutto per mascherare qualcosa di diverso. «Quella che voi chiamate ottusità, mio caro conte Leopardi, è ciò su cui ho fondato la mia vita» gli rivelò sincera. «È ciò in cui credo.»



Bologna, oggi

La terra non stanca mai,
la terra è rozza, silente, incomprensibile a tutta prima,
la Natura è rozza e incomprensibile a tutta prima,
non scoraggiarti, continua, vi sono cose divine con cura celate,
ti giuro, vi sono cose divine più belle di quanto può dirsi a parole.
(Walt Whitman, Canto della strada)

Margherita trovò i ragazzi piuttosto silenziosi quando entrò in classe, sebbene fosse in ritardo di quasi dieci minuti – cosa che di solito provocava schiamazzi e passeggiate per l'aula e per i corridoi. Li salutò con il solito “buongiorno” e andò a sedersi al tavolo dove c'era appoggiato il computer, per compilare il registro e cercare su Google qualche immagine per quella lezione improvvisata. Benedisse mentalmente la LIM, la nuovissima lavagna digitale che era da poco stata installata in tutte le aule, grazie alla quale avrebbe potuto realizzare quell'idea assurda che le era balenata in testa. Si alzò dalla sedia, afferrò al volo il telecomando e, quando accese la LIM, l'immagine del busto di una procace signorina in biancheria intima riempì l'aula.
«Ho voluto partecipare anche io al gioco!» esclamò in risposta alle facce allucinate dei suoi studenti. Fu in quel momento che si accorse di una presenza estranea in aula: seduto in fondo, a fianco del ragazzo disabile, stava niente meno che il professor Ricci, l'insegnante avvenente contro cui era andata a sbattere quella mattina. Ottimo!, pensò. È proprio la mia giornata. Decise di ignorare la sua presenza e andare avanti con la lezione che le era venuta in mente.
«Dite che non sono io?» ironizzò poi, indicando l'immagine sulla lavagna. Abbassò lo sguardo, come per controllare che la sua misera seconda non si fosse magicamente gonfiata fino a raggiungere le dimensioni della modella che aveva scelto. «Forse no» ammise, strappando qualche sorrisetto ai ragazzi. Alcuni si rilassarono, convinti che la professoressa di Religione volesse solo sdrammatizzare un po'.
«Lei è la prima che non ci fa la ramanzina, prof» si azzardò addirittura a commentare Lorenzo, quel ragazzo vispo e dalla lingua incontenibile che sedeva sempre in prima fila.
«Ramanzina? Nah...» rispose Margherita, scuotendo la testa. Eccome se aveva in mente di far loro una lavata di capo, ma l'avrebbe fatta a modo suo. «Siete giovani, no? È stata solo una sciocchezza. Nulla di così grave...» cominciò a dire, prendendo a passeggiare davanti alla cattedra. «Sapete che vi dico? Fate bene a spassarvela! Avete tutta la vita davanti, perché prendersi delle responsabilità ora? Divertitevi, godete, svagatevi! Chi se ne importa del resto!»
I ragazzi cominciarono a scambiarsi occhiate perplesse: quella non era certo una teoria che si aspettavano di sentire da un insegnante, figuriamoci da una di Religione. Di solito, in quelle ore, si parlava di moralità, di comportarsi bene, di quello che la Chiesa diceva sull'aborto, l'eutanasia e i rapporti prematrimoniali. Ma con la prof Alberti non si poteva mai dar nulla per scontato, perché se ne veniva in classe sempre con delle idee bizzarre. Che quella volta avesse finalmente dato voce al credo dei giovani d'oggi, divertimento senza responsabilità?
«Tanto c'è solo una cosa certa, nella vita» continuò Margherita, ben consapevole dell'effetto che le sue parole stavano avendo sugli alunni. Tornò al computer, per selezionare la seconda immagine che aveva preparato: uno scheletro in una fossa comparve macabro sulla LIM. «Ed è questa.»
I ragazzi presero a sussurrare e a guardarsi intimoriti.
«Strano, vero?» ironizzò Margherita, rapendo di nuovo tutti gli sguardi su di sé. «La morte è l'unica e sola certezza della vita» continuò. «Ogni cosa, in questo mondo, è destinata a far questa fine. L'amore, la bellezza, la gioventù, l'amicizia... tutto finirà per morire.»
Stava dicendo cose ovvie, eppure i ragazzi pendevano dalle sue labbra. Forse nessuno gliele aveva mai sbattute in faccia in quel modo, per non rovinare la loro delicata adolescenza. Be', era giunto il momento di dar loro una svegliata.
«E sapete chi era già arrivato a questa conclusione?» domandò loro, selezionando la terza immagine. «Quest'uomo» lo presentò, mentre il quadro più famoso di Giacomo Leopardi riempiva la lavagna. «Quest'uomo, che – quando gli va bene – tra gli studenti è conosciuto come il depresso sfigato con la gobba, quello a cui Silvia non l'ha data... be', quest'uomo era un genio» continuò Margherita, cercando di far apprezzare anche ai ragazzi un poeta così spesso sottovalutato dagli studenti e che lei adorava immensamente. «Leopardi aveva capito, di fronte all'ottuso ottimismo e fiducia nel progresso del suo tempo, che la vita non è altro che disperazione. E questo perché in noi c'è un innato desiderio di felicità eterna, di amore eterno, di bellezza e di bene, ma nessuna delle cose del mondo ci può soddisfare nella nostra ricerca.»
Margherita fece una pausa per poter contemplare il ritratto del giovane poeta recanatese, il suo viso un po' sgraziato, il naso pronunciato, e quegli occhi blu così incredibilmente espressivi. «Sapete che vi dico?» chiese, voltandosi di nuovo verso i ragazzi. «Aveva ragione, aveva maledettamente ragione. Perché tutte le vostre idee dell'essere giovani, del divertirsi, del non pensare alle conseguenze... sono tutte stronzate!» Ormai Margherita era tanto infervorata dal discorso che non badava più nemmeno ad essere politically correct, come di solito era richiesto agli insegnanti.
«Non sarete giovani per sempre» li avvertì. «La vita, presto, vi chiederà il conto. Vi chiederà con quanta responsabilità avete affrontato i vostri impegni, quanta serietà avete messo nelle cose fatte.» Margherita guardò i ragazzi con intensità. «Le idiozie da quindicenni, lasciatele fare ai quindicenni. Voi ne avete quasi venti, di anni. Datevi una mossa. Scegliete ora di affrontare la dura e amara verità, la verità che la vita non è un allegro susseguirsi di feste e divertimenti. Perché a trenta o quarant'anni, sarà troppo tardi per accorgersene.»
I ragazzi parvero smarriti. Certo, si sentivano giovani e il predicozzo sull'assumersi le proprie responsabilità era stato riversato loro addosso tante di quelle volte da risultare quasi nauseante. Eppure, quella volta, c'era qualcosa di terribilmente vero, vivo e angosciante nelle parole della professoressa. Era quel senso quasi opprimente di essere in ritardo sulla propria vita, di essersi lasciati sfuggire l'occasione di crescere.
Margherita chiuse gli occhi per un attimo, lasciando che un po' di sana fifa si infiltrasse nei cuori dei suoi studenti. Era solo partendo da quel sentimento di incertezza e di vuoto che i ragazzi avrebbero imparato a interrogarsi sul senso della vita e a scendere da quell'assurdo piedistallo, dal quale tutto sembra dovuto, bello, divertente. E, finalmente, a prendere la vita con la giusta serietà.
«Ma io insegno Religione, giusto?» li interpellò, tornando a osservarli, questa volta con un sorriso che voleva essere speranzoso. «E per quanto non abbia alcun contenuto da insegnarvi, a detta di alcuni colleghi, non vi lascerò ciechi, a brancolare nel buio della disperazione» li rincuorò. «Una risposta a tutto questo c'è, perché, se voi guardate attentamente, in questa natura umana a prima vista rozza e incomprensibile, ci sono delle cose divine celate con cura. Noi desideriamo l'eterno, ma l'eterno non esiste in questo mondo, dove tutto è destinato a morire. Allora è come diceva Leopardi? Dobbiamo rassegnarci a quest'amara certezza?»
Margherita fece una pausa, come per invogliare i ragazzi stessi a dare un giudizio sulla questione nel proprio animo. Sorrise, facendo loro capire che per millenni gli uomini si erano interrogati, come si stavano interrogando loro in quel momento, ed erano giunti alle conclusioni più disparate; ma una in particolare le interessava. «Sapete, tutte le religioni ce l'hanno una risposta diversa dalla disperazione: si chiama Dio» disse semplicemente. «Dio, secondo le religioni, è quell'Essere che può soddisfare il nostro desiderio innato di eternità, il naturale punto d'approdo della nostra inclinazione, l'unico in grado di appagare la nostra sete d'infinito già in questa vita, perché egli è l'Eterno cui puntiamo, che non appartiene a questo mondo corruttibile.»
Margherita si fermò, rendendosi conto da alcune facce perplesse dei suoi studenti che nel suo ruolo di docente non poteva andare oltre. Dopotutto, il suo era un insegnamento culturale, non certo catechistico. «Non sto in nessun modo cercando di convertirvi» li rassicurò, cercando di rendere il suo messaggio significativo per tutti, al di là delle credenze di ciascuno. «Dico solo che avete raggiunto un'età in cui bisogna porsi certe domande. Vivere nell'illusione che tutto sia bello e positivo solo perché siete giovani è quanto meno sciocco.» Li guardò con intensità uno a uno. «Se non riflettete seriamente adesso, se non vi prendete le vostre responsabilità adesso, dopo sarà troppo tardi.»





* La definizione "dotta allettartice", che si può parafrasare come “esperta seduttrice”, è tratta dallo stesso Leopardi: si trova nella poesia Aspasia (che gli studiosi ritengono dedicata alla fine dell'infatuazione del poeta per Fanny), Canti XXIX, vv. 20-21.





Ebbene, ecco qui il primo capitolo della storia che ho scritto per il conters Questo è ciò in cui credo, di cui a breve i risultati.
Insomma, entriamo nel vivo delle convinzioni delle due protagoniste: per quanto entrambe amino Leopardi, il loro orizzonte è ben diverso da quello del poeta recanatese. Lo so che ultimamente parlare di fede è demodé, ma io non ci vedo nulla di male: non credo che qualcuno potrebbe sentirsi offeso nel leggere questa storia; al limite, può non condividere le opinioni delle due Margherite, ma il bello di questo mondo è che ci sono tante opinioni diverse, no? =)
Grazie a tutti quelli che seguono. Ci vediamo presto con l'epilogo (e spero con i risultati del contest).
Beatrix

ps. Leopardi ha scritto davvero delle poesie d'amore per la bella Fanny... sono quelle che appartengono al cosiddetto "Ciclo di Aspasia". Ma siamo sicuri che siano state scritte davvero per Fanny, come ritengono gli studiosi? E se fosse stata solo una donna-schermo di dantesca memoria...? ;)

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Capitolo 4
*** Epilogo ***


Epilogo

Bologna, oggi

Il vero maestro accende interesse,
apre squarci di vita e di verità,
col suo sapere offre anche se stesso.
(monsignor Gianfranco Ravasi)

«È stata una stronzata, non è vero?» Lorenzo fissava più che altro la cattedra e ogni tanto alzava gli occhi sull'insegnante.
Margherita annuì, seria. «Sì, è stata una stronzata. Bella grossa, anche» confermò.
«Saremo sospesi?» chiese ancora il ragazzo, che era stato nominato portavoce dai compagni.
Margherita fissò uno ad uno negli occhi i responsabili di quella bravata. Erano degli idioti, certo, ma c'era una scintilla di qualcosa di meraviglioso in ciascuno di loro. Si erano costituiti di loro spontanea volontà, al termine dell'ora di Religione. Qualche effetto doveva pur averlo ottenuto con la sua sfuriata.
«Farò in modo che non siate sospesi» li rassicurò. «Ma pretenderò che la sospensione si trasformi in ore di servizio sociale alla scuola.»
«Mi sembra giusto» annuì piano una delle ragazze. Quantomeno sembrava sincera nel suo pentimento.
«Ora andate, c'è la ricreazione.» Margherita fece un cenno con il capo verso la porta e i ragazzi si affrettarono a squagliarsela, forse sollevati di aver evitato le peggiori punizioni: se c'era la prof di Religione a difenderli, potevano star certi che se la sarebbero cavata.
Margherita raccolse le proprie cose e fece per uscire a sua volta dall'aula, quando una voce la fermò: «È stata bella, per essere una lezione improvvisata.» L'insegnante di sostegno si scostò dal banco cui si era appoggiato per avvicinarsi a lei.
Margherita si era completamente dimenticata di lui. Lo guardò di sottecchi mentre le si faceva incontro e realizzò che era proprio un bel uomo, maledizione! Azzardò un sorrisetto tirato. «Scusa, di solito non sono così isterica.»
Il professore sorrise divertito. A giudicare dalla naturalezza con cui si mosse, doveva essere ben consapevole dell'effetto che quel semplice gesto aveva sulla popolazione femminile. «Comunque, piacere, sono Giacomo, il nuovo insegnante di sostegno» si presentò, tendendo avanti la mano.
«Margherita» rispose la ragazza, stringendogliela con vigore. «Docente di Religione e campionessa delle figure di merda.»
Giacomo sorrise e fece per replicare qualcosa, quando il suo sguardo fu rapito da una sagoma oltre la porta. «C'è un frate che ti sta puntando» rivelò a mezza bocca, come se dovesse avvertirla di chissà qualche grave pericolo.
Margherita si voltò sollevata, ben sapendo chi avrebbe trovato. «È il mio angelo custode» commentò, notando lo sguardo a metà tra il rimprovero e il divertito di padre Rainelli.
«Credo che questo ti serva, oggi» le disse il frate, depositandole tra le mani il prezioso quaderno su cui preparava tutte le lezioni.
Margherita trattenne a stento l'impulso di abbracciarlo. Non sarebbe stata la prima volta, d'altronde, ma forse non era il caso di fare l'ennesima figuraccia davanti al nuovo professore tanto carino. «Lei è la mia ancora di salvezza.»
Padre Rainelli sorrise con rassegnazione. «Lo so.»
«Ah, questo è il mio nuovo collega, il professor Ricci.» Margherita, per fortuna, si ricordò delle buone maniere e presentò i due uomini. «E questo è padre Rainelli, il mio angelo custode.»
«Che ti porta gli appunti» completò il frate.
Giacomo sorrise. «Hai fatto un'ottima lezione, oggi, anche senza appunti» rivelò ammirato, facendola arrossire come un'idiota.
Padre Rainelli non parve affatto sorpreso. «Immagino. Si vede proprio che ha avuto un buon mentore» ironizzò.
Margherita avrebbe voluto scomparire. Un conto era essere bersaglio delle frecciatine di padre Rainelli quando c'erano solo loro due, un altro era farsi riempire di imbarazzanti complimenti di fronte al nuovo insegnante carino. Non ne aveva fatte abbastanza di figuracce per quel giorno?
«È riuscita a convincere i ragazzi a prendersi le proprie responsabilità» continuò imperterrito Giacomo. Forse era davvero impressionato, non la stava solo stuzzicando o prendendo in giro.
Margherita alzò le spalle, come per minimizzare. «Gliel'ho solo raccontata un po' su...»
Padre Rainelli le mise una mano sulla spalla, improvvisamente più serio. «In questa lezione, col tuo sapere, hai offerto anche te stessa» le rivelò con un sorriso.
Margherita lo guardò di sottecchi. «Quanto tempo è restato lì fuori con il mio quaderno?» indagò.
Il frate fece balenare nuovamente quel suo sorriso ironico. «A sufficienza da capire che non ti sarebbe servito per quest'ora. Hai fatto un ottimo lavoro.»
«Grazie.» Margherita annuì piano, ripensando a tutto ciò che si era ripromessa quando aveva deciso di diventare insegnante: correttezza, passione, onestà, voglia di educare e di mettersi in gioco, capacità di trasmettere qualcosa di più che semplici nozioni. Ce l'aveva fatta, ce la stava facendo. «Questo è ciò in cui credo.»










Eccoci giunti all'epilogo di questa storia scritta per il contest Questo è ciò in cui credo, in cui si è classificata seconda.
Siamo tornati al presente, col belloccio professor Ricci e quell'adorabile rompiscatole di padre Rainelli (ispirato ad un professore vero, tra parentesi!).
Insomma, che dire? La storia non era di grandi pretese, lo ammetto, ma ho colto l'occasione del contest per "gridare" anche io qualcosa al mondo. Spero, quanto meno, che vi abbia fatto un po' riflettere.
Grazie a tutti coloro che hanno recensito, seguito o anche solo leggiucchiato. Alla prossima occasione,
Beatrix Bonnie

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