Orfeo ed Euridice

di AthenaSkorpion
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non andare via ***
Capitolo 2: *** Una corsa fatale ***
Capitolo 3: *** Decisione ***
Capitolo 4: *** La Sibilla ***



Capitolo 1
*** Non andare via ***


Smise per un istante di punzecchiare le corde della sua amata lira.
I ruscelli ripresero a scrosciare armoniosi, gli alberi dalle tremule foglie dorate, danzanti nel tiepido vento di primo autunno, tornarono dolcemente a riposare nei loro nidi di terra e gli usignoli che avevano cantato con Orfeo, fecero un rispettoso inchino e volarono via, a raccontare alle montagne del prodigio cui avevano appena assistito.
Solo una figura rimase immobile, nascosta dietro ai tronchi dei cedri profumati nel boschetto: una ragazza.
I suoi capelli rossi sembravano non avere peso e galleggiavano mollemente sulla sua testa, come un'aureola di fiamme. Era coperta di una veste color smeraldo quasi trasparente che lasciava intravedere il suo profilo snello e giovane. Orfeo non aveva mai visto delle labbra così belle e un naso più delicato, vestito di lentiggini. I suoi occhi, color delle violette, erano spaventati.
Il musicista restò ad ammirarla senza osare dire una parola, né muovere un muscolo. La fanciulla era immobile, imbarazzata, come se fosse stata appena scoperta a commettere un delitto.
Per un momento sembrò voler dire qualcosa, ma poi ci ripensò e fuggì.
- Aspetta! Ti prego, non ti farò del male!- gridò Orfeo dietro di lei. La giovane rallentò e si voltò verso il ragazzo, che si era alzato dalla roccia su cui si era seduto per suonare. Orfeo fece il primo passo verso di lei, lentamente, e continuò con voce più calma:- Per favore, non andare via, non volevo spaventarti. Come ti chiami? Sei una driade, non è così?
La ragazza esitò un istante, poi rispose con voce dolce:- Sì, è vero. Il mio nome è Euridice, signore.
Orfeo le sorrise e si sedette di nuovo. Euridice sembrò poco più rassicurata e si avvicinò di qualche passo.
- Io mi chiamo Orfeo, mia bellissima Euridice. Ti piace la mia musica?
La driade arrossì e annuì, sorridendo anche lei.
- Non volevo interromperti, continua pure- suggerì lei indicando la lira.
Orfeo avvicinò a sé lo strumento con un'intima soddisfazione, ridendo tra sé e sé, e stuzzicò le corde. Dapprima lentamente, poi in rapida successione, le note parvero, danzando, agitare l'aria stessa, frizzante e tesa. Su quella melodia improvvisata veniva voglia di ballare fino a notte fonda. Il Sole sarebbe rimasto lì tre giorni per rimanere ad ascoltare. suoni trillanti si alternavano con maestria ad altri più dolci e romantici. All'improvviso Orfeo udì della musica che non proveniva dal suo caro strumento. Tese l'orecchio e capì che era Euridice che aveva iniziato a cantare senza parole, riprendendo la melodia del giovane uomo per poi intrecciarsi ad essa accompagnandola in modi del tutto inaspettati ma di una bellezza ammirevole. 
Si guardarono negli occhi, sorpresi e al tempo stesso commossi, ed Euridice si sedette a pochi passi da lui, finalmente libera dall'agitazione che aveva avuto fino ad allora. In quel preciso istante compresero di essersi appena ritrovati.
Perfino le rocce presero vita per ammirare quel trionfo di sinfonie a due voci. I due si avvicinarono lentamente senza accorgersene.
La musica rallentò e si spense con un ultimo respiro di miele.
Orfeo ed Euridice erano faccia a faccia, senza più imbarazzo.
- Devo andare- sussurrò il musicista. La driade divenne triste e allora osò sfiorarlo. La sua bianca mano si posò sul petto di lui. Il cuore palpitò sotto il suo tocco leggero, unico strumento, unico ritmo in quel silenzio febbricitante.
- Per favore, non andare via-mormorò Euridice. Orfeo le sorrise con tutto il calore che aveva, prese la fredda mano della ragazza tra le sue e la portò alle labbra per baciarla con delicatezza.
- D'accordo, mia signora.

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Capitolo 2
*** Una corsa fatale ***


Orfeo decise di accompagnarla dai genitori per approfittare ancora per un po' della sua compagnia. La luce già volgeva ad ovest e la malinconia lo stava afferrando. Tenendola per mano, non riusciva a smettere di pensare che forse quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto la graziosa Euridice.
- Dove hai imparato a suonare in quel modo?- chiese la driade, ancora sorpresa e scombussolata. 
- Il dio Apollo mi ha donato questa lira e mi sono esercitato a lungo per poterlo onorare al meglio con la mia musica. E tu? Quel canto era meraviglioso.
Euridice rise squillante e disse, stringendo la sua mano più forte a sé:- Mi è venuto naturale giocare con quella musica! Sei un dio quando accarezzi quelle nove fortunate corde.
Arrossirono entrambi e per un momento si guardarono negli occhi. Orfeo si fermò e lei lo imitò. Con delicatezza e infinita dolcezza sfiorò con il dorso della mano il viso della fanciulla, che rabbrividì senza nascondere un sorriso compiaciuto.
- Così?-chiese Orfeo mormorando. Lei annuì e si avvicinò al suo petto per rifugiarvisi.
- È da ingenua e immatura farsi colpire da Eros in pochi e brevi istanti? È da irresponsabile ragazzina fidarsi di uno sconosciuto, un così bello e sorprendente sconosciuto?
Orfeo la accolse tra le sue imponenti braccia e sussurrò:- È sciocco desiderare improvvisamente di vedere la propria arte, la propria gioia, la propria stessa vita fuggire via purché questo dia anche solo una scintilla di gioia ad una ragazza dalla bellezza e grazia irraggiungibile e dolorosa, or ora ritrovata tra i boschi come un pericoloso dono degli Dei?
Euridice si allontanò improvvisamente e disse:- Parla con mio padre. Non voglio nessun altro nella mia vita.
Orfeo fu preso in contropiede, ma accolse la proposta con entusiasmo. La prese per mano e a grandi passi si diressero verso la silvana casa della driade.
La giovane, a piedi nudi, quasi trascinava con sé il divertito Orfeo, che la seguiva docilmente.
Euridice lo fermò sobbalzando per lo spavento e lo costrinse a nascondersi non appena vide che un uomo stava uscendo dalla sua piccola abitazione.
- Quello è Aristeo! Sono giorni che tenta di convincere mio padre... Dei immortali, fate che non abbia accettato- sussurrò terrorizzata e ansimante Euridice.
Orfeo fu inquietato dal timore della sua amata (pensare a lei come alla sua amata agitò il suo stomaco), così spaventata e indifesa. Osservò Aristeo: aveva l'aspetto di un pastore, piuttosto rozzo nei modi e sporco nel mostrarsi. Con voce roca e arrogante salutò il padre di Euridice e se ne andò indignato. Probabilmente l'affare era di nuovo saltato.
Euridice si voltò verso Orfeo e disse:- Ora ho paura... Se mio padre ci vedesse tornare insieme a casa si arrabbierebbe molto.
Orfeo annuì e andò da solo ad affrontare il padre della driade.
Euridice tremò. La sua felicità dipendeva integralmente da ciò che il musicista avrebbe detto. restò fuori dalla casa, attendendo il ritorno del suo uomo dal duello.
Non aveva mai immaginato che il suo primo amore sarebbe stato così intenso, sacro, struggente e caldo come il Sole, ma ancor di più stentava a credere di  essere caduta così facilmente tra le braccia di uno sconosciuto, per quanto accoglienti, delicate e amorevoli fossero quelle braccia. Orfeo era affascinante. La sua musica l'aveva stregata, il suo portamento quasi regale e il riguardo che aveva avuto nei confronti di lei l'avevano conquistata.
E se avesse scoperto che era solo un'illusione destinata a fallire? Se Orfeo avesse perduto l'amore per lei? Se l'avesse trattata male? Mille sentimenti si agitavano nella sua tempestosa anima.
Non poté attendere oltre. Con il cuore che batteva all'impazzata, uscì dal proprio nascondiglio e bussò alla porta, per poi entrare in casa.
Il padre e Orfeo si alzarono davanti a lei.
- Mia bella figliola, vieni qui- ordinò il padre facendole segno con la mano di sedersi accanto a lui. 
Orfeo e la driade si scambiarono un'occhiata di complicità che il genitore non colse. L'anziano sospirò e disse:- Amatissima Euridice, molti uomini sono venuti a chiedermi la tua mano prima di oggi e penso sia giunto il momento che tu scelga tra i pretendenti che ritengo migliori. Dimmi, luce dei miei occhi, sceglierai Aristeo figlio di Apollo, o il qui presente Orfeo figlio di Eagro?
Euridice, senza pensarci due volte, ricolma di una gioia insostenibile, quasi gridò:- Orfeo!
Nello stesso istante un suono violento di oggetti rotti si udì da fuori. Tutti i presenti trasalirono ed uscirono a vedere cosa stava succedendo. Sotto le ombre della sera imminente, Aristeo aveva origliato e ora ringhiava come un animale.
- Bella Euridice, cara Euridice, esco dalla tua casa dopo aver offerto quanto di più prezioso potesse esistere nel mondo al tuo santo padre, mi volto e vedo un altro uomo entrare nella tua casa e rapirti di fronte a me con le sue belle parole! Vergogna! 
Euridice indietreggiò spaventata. Orfeo ebbe un terribile presentimento.
- Ma se quest'uomo può darti nome di sposa portando solo una vecchia lira nella tua piccola dimora, io che ho offerto armenti, la mia casa e tutto me stesso, posso avere da te qualcosa di più.
Il pastore si avvicinò rapido alla ninfa e Orfeo, pronto a difenderla, gridò:- Fuggi, Euridice!
Il padre della driade e il suo promesso sposo inseguirono Aristeo finché non riuscirono a prenderlo, ma la giovane ragazza, terrorizzata, non smise di correre nella foresta neanche quando calpestò un ramo pieno di spine. Si guardò indietro e scoprì di essere sola nel bosco, le stelle già alte nel cielo. Esausta, presa dal panico e sconsolata si sedette e iniziò a piangere sulla riva del fiume dove quella stessa mattina aveva incontrato Orfeo. 
Il piede iniziò a farle davvero male e quando lo osservò vide che si era gonfiato. Due piccoli fori ravvicinati. Era stata morsa da un serpente. Sopraggiunse allora la disperazione più grande che avesse mai provato. Doveva tornare a casa o lasciare che venissero loro a cercarla? Non poteva attendere. Si alzò in piedi ma ricadde a terra; aveva perso sensibilità alla gamba. 
Sbrigati, amore mio, o non  ti vedrò mai più. 
Non l'avrebbe mai ritrovata lì, nella penombra. Iniziò a cantare con voce malferma, in lacrime, e continuò a farlo finché il freddo non iniziò a bloccarle le vene. Faticava a respirare, ma con voce flebile ancora intonava un canto dolce e malinconico.
- Euridice!
La ninfa udì quella parola risonare sotto la Luna testimone, ma non ebbe neppure la forza di sorridere. L'ultima immagine che vide fu il volto di Orfeo, che le sorrideva rassicurante con gli occhi annegati nelle lacrime trattenute.


La foresta risuonò delle grida strazianti del musicista, che tra le sue calde braccia stringeva il gelido corpo della driade adorata, maledicendo il nome di Aristeo.

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Capitolo 3
*** Decisione ***


Orfeo diede un ultimo doloroso sguardo alla bella Euridice e quando la ragazza si disfece sotto i suoi occhi in una limpida pozza di acqua cristallina, sentì lo stomaco annodarsi e le lacrime esondare. Cosa gli rimaneva di lei? Neppure un corpo da stringere a sé, un viso da ricordare, nulla. La sua bellissima voce non avrebbe mai più risuonato per lui. Mentre le stelle iniziavano a danzare in cielo, il padre della ninfa, Nereo, con Aristeo ormai in fuga all'orizzonte, rientrò in casa sulle sue gambe deboli scuotendo la testa in silenzio per il dolore insopportabile. 
Orfeo rimase lì, accovacciato sull'erba umida, con la sua piccola cetra in mano. Provò a suonare una dolce melodia, sperava di poterla riportare in vita come riusciva a fare perfino con le pietre, ma scoprì che in quel momento le corde restavano immobili sotto le sue dita, in lutto.
Poche ore prima aveva suonato per la giovane ragazza, ora sentiva il suo cuore spezzarsi davanti alla consapevolezza che non avrebbe mai più potuto guardare i suoi occhi luminosi e immergere il viso nei suoi impalpabili capelli. E cosa sapeva di lei, all'infuori del nome? Nulla. Perché stava soffrendo in quel modo? Forse, dopotutto, in lei, in quella morte ingiusta, aveva visto sciogliersi tutte le opportunità mai più fattibili, tutte le strade che non avrebbe mai più potuto percorrere con l'unica creatura che avesse mai amato.
Restò così tutta la notte, fermo come una statua di pietra. Venne l'aurora rosata e il Sole, vestito di seta, si portò con sé ciò che era stato di Euridice. 
Un soffio di vento. Orfeo, quasi incoscente, si riscosse dal torpore di morte. La sua cetra aveva parlato. La brezza si fece più insistente, le corde dello strumento ripresero vita con energia. 
L'uomo si alzò da terra. Non poteva finire così, tutto poteva tornare alla vita. Anche Euridice.
Orfeo mosse qualche passo davanti a sé, sempre più determinato, sempre più convinto della follia che aveva in mente di tentare. Picchiettò le corde della cetra in una marcia di battaglia. Avrebbe liberato la sua amata dalle ombre dell'Ade.
Un usignolo si posò sulla sua spalla.
Orfeo si fermò, perplesso; non aveva il coraggio di scacciarlo, ma non voleva perdere tempo.
- Non sai neanche dove andare, mio sfortunato innamorato.
Il musicista non credette alle proprie orecchie. L'uccellino aveva appena parlato.
- Chi sei?- chiese. L'usignolo cinguettò, volando su un ramo poco lontano da lui. 
- Non sono nata in questa forma, ma questo a te non interessa. Conosco il luogo dove si ergono le porte dell'Ade, serrate per i vivi e terribilmente attraenti per i fumi dello spirito. Ti avverto: non sarai il benvenuto. Può darsi che tu non riveda mai più la luce, se accederai al sentiero di Persefone.
Orfeo non ebbe bisogno di pensarci.
- Io non vado a perdere la mia anima. Vado a riprendermela. 
L'usignolo tacque qualche istante. Se avesse avuto delle labbra, avrebbe sorriso.
- Se io avessi conosciuto un amore come il tuo, forse... Ma il tuo è vero amore o è follia? Sei davvero disposto a rischiare la tua mirabile vita, invidiata perfino dagli Dei, per salvare una ninfa che non puoi dire neppure di conoscere bene?
Orfeo esitò. 
- Bellissima cantante delle foreste, non so descrivere ciò che provo dentro. È una follia, sì, ma è dolce. È un calore che si spande dal centro del mio cuore, ma che ha un disperato bisogno del calore di lei per poter giungere alle mani, ai piedi e a questa sciocca testa. Quello che coltivo in me è il seme di un gelo che mi pervade ogni istante che passo lontano da lei. Sento il freddo della sua morte sulle dita e sale su, fino in gola, condensandosi in lacrime che non posso trattenere. Io l'ho persa. Io l'avevo tra le mie braccia, felice di poterla presto onorare come sposa, e pochi respiri più tardi lei non esisteva più. Oh, se avessi potuto donarle un po' di quei miei respiri! Mi sentirei più vuoto, ma sarebbe lei a chiudersi nel mio petto.
L'usignolò si alzò in volo cantando con poche e brevi note tristi e poi mormorò:- Seguimi.
Orfeo, scosso, ubbidì tentando di stare al passo. L'uccellino si premurò di essere seguito. 
Giunsero, inerpicandosi su delle rocce ricoperte di arbusti, ad un promontorio a strapiombo sul mare.
- Vedi quel porto, sulla spiaggia là in basso? Prendi una nave e vai ad ovest, presso la Sibilla di Cuma. Ti aiuterà a trovare la strada. Stai attento, dolce citaredo. Sii la tua stessa fortuna. Ti auguro di poter rivedere al più presto la tua regina.
Dopo aver scorto il porto di cui parlava l'usignolo, Orfeo si volse verso l'uccellino sperando di potergli chiedere come si chiamasse, ma era già sparito tra le chiome degli alberi.
Dopo essersi legato la cetra sulle spalle con un laccio di cuoio, iniziò a scendere con cautela giù dalla scarpata, con un solo obiettivo nella mente.

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Capitolo 4
*** La Sibilla ***


Le onde dormivano davanti a Orfeo. Le monete potevano comprare il diritto ad un viaggio su quella piccola nave passeggeri, ma non poteva corrompere la natura e il vento era muto sulle vele sgonfie. Sotto al tiepido carro di Apollo i marinai avevano iniziato, lentamente, a remare sui loro seggi mentre i passeggeri mormoravano tra loro allietandosi con il vino o i dadi.
Orfeo guardava all'orizzonte piatto e percepiva la costa ancora troppo vicina, ancora troppo vicina. Gli altri viaggiatori avevano tentato di integrarlo ai loro intrattenimenti, ma lui si era gentilmente scostato dopo pochi sorrisi di convenienza e con una certa ansia si era avvicinato in silenzio al parapetto. In quel momento di riflessioni, poteva quasi vedere davanti a sé Medea insanguinare il mare con le membra del fratello e il re piangere suo figlio e gridare al sole le sue maledizioni. Dopo quell'orrenda visione, lasciare gli Argonauti gli era sembrata una lieta pensione.
Anche ora si lasciava del sangue alle spalle. Avrebbe dovuto essere furioso con Aristeo in quel momento, ma semplicemente riteneva inutile ormai cercare vendetta sul satiro. Meglio vagliare soluzioni costruttive.
Troppo lenta la nave, troppo lontana la Sibilla.
Dopo due ore vedeva ancora la costa a occhio nudo e si sentiva nervosamente vicino alle lacrime. Quella lentezza lo stava uccidendo. Le chiacchiere della gente lo innervosivano e iniziava a disperare di poter completare la propria missione.
Carezzò il dorso della propria cetra. Le sue dita, rapide e piene di energia repressa, accennarono una danza delirante che prese un ritmo stabile dopo pochi istanti. Tutti smisero di parlare e si voltarono di scatto verso il discreto viaggiatore. Gli uomini ai remi trovarono nuova forza e le onde iniziarono a correre. Prima che qualcuno potesse accorgersene, uomini, donne e bambini stavano già ballando e l'Apeliote era accorso per festeggiare quell'improvvisata Dionisia. Le vele sembrarono esplodere di vita e con uno strattone la nave iniziò, ondeggiando, a tagliare il mare sempre più a ovest.


Le dita rosate dell'Aurora iniziavano a tingere le terre di Cuma. Una donna, immobile,  gli occhi rovesciati all'indietro, attendeva Orfeo. Il musicista scese dalla nave con gli applausi di tutti i presenti e con svariati doni nel suo sacco da viaggio. Presto si accorse della gelida figura che si ergeva sul molo. I brividi percorsero il suo corpo quando la guardò in viso. Delle pitture rosse e nere alteravano la percezione che lui aveva dei suoi lineamenti e quegli occhi bianchi lo inquietavano. Osservandola meglio, capì che non erano rovesciati all'indietro, ma che le sue iridi erano bianche come le nubi. Orfeo, con rispetto e reverenza, le si avvicinò e, inchinandosi, le baciò la lunga veste rossa. Lei, presa da un fremito, iniziò a piangere e con la mano fredda gli accarezzò dolcemente il volto. Orfeo non osò alzarsi, ma contemplò la sua bellezza: era una donna giovanissima, con qualche tratto ancora infantile ma dalle forme armoniose. Degli anelli di curiosa fattura le ornavano le esili dita e i suoi lunghi capelli cadevano fino ai polpacci in ricci d'ebano splendente.
La Sibilla si abbassò con solenne lentezza e baciò la fronte del citaredo, che sentì il proprio cuore sciogliersi di fronte a quell'inaspettata dimostrazione di vicinanza. 
- La tua storia sarà narrata finché gli uomini solleticheranno questa polvere con i loro piedi-sussurrò al suo orecchio con un sorriso tra le lacrime.
Orfeo chiese:- Sarà una bella storia, messaggera degli Dei?
La Sibilla lo sollevò da terra con delicatezza mentre alcuni curiosi osservavano.
- Chi sono io per giudicare? La vita ha i colori di un diamante, mio caro Orfeo, e non tutti possono piacerti. Puoi solo arrenderti all'idea che senza i brutti colori, non saresti commosso davanti ai più belli.
Orfeo rabbrividì, il cuore stretto in una tenaglia. Non riusciva a capire dove la ragazza volesse condurlo con il suo discorso, ma non osò domandare oltre. La Sibilla iniziò a camminare, quasi potesse vedere dove stava andando. Il citaredo fu tentato di aiutarla a scendere dal molo, ma con un inatteso balzò lei lo superò.
Continuarono a camminare per un'ora, immersi nel verde paesaggio che circondava il porto, finché sulla sinistra Orfeo non vide il lago Averno che pungeva le sue narici con un odore di morte.
La Sibilla si fermò all'improvviso e si voltò verso il musico. Con la punta dell'indice sfiorò la sua fronte e il mondo scomparve dai suoi occhi, sostituito da una visione soprannaturale. 
Le bolle d'aria uscivano dalle sue labbra schiuse, la cetra affondava nel buio profondo di un'acqua gelida che lo stava lentamente annegando. 
Uno schiaffo improvviso. La Sibilla l'aveva violentemente riportato alla realtà.
- Aggiungi dei sassi al tuo sacco da viaggio, parla-musica. Dovrai toccare il fondo.
Il cuore del viaggiatore iniziò a tremare come quello di un colibrì, ma non dubitò della benevolenza della Sibilla.
La donna gli sorrise. Si avvicinò alla selva che circondava il lago spettrale e gli donò una corona di mirto.
- Non hai potuto officiare le nozze, ma hai la benedizione degli Dei. Quando scoprirai il tuo futuro, ricorda che Euridice è ora tua moglie.
Orfeo sentì un groppo in gola mentre la donna gli posava sul capo la leggera corona e gli indicava con lo sguardo vacuo il lago Averno.
Il citaredo si specchiò nelle acque mefitiche. Perfino senza vento la sua immagine tremava. Ma forse era lui a tremare.
Dopo aver appesantito con i sassi la sua sacca, riempì il petto d'aria prima di fare il suo primo passo verso quel freddo vetro oscuro.
Una volta dentro, abbandonò le paure e, quasi rassegnato si immerse fino alla testa  camminando finché non riuscì più a sentire la terra sotto di sé. La sua schiena, gravata dal peso, affondava prima del resto del corpo e poteva vedere la luce del mattino ondeggiare sopra di lui attraverso le bolle d'aria che liberava dalla bocca. Gli sfuggì di mano la cetra, ma a quel punto non gli importava più nulla. La sacca toccò terra e nel buio più opprimente i suoi polmoni iniziarono a contrarsi in cerca di aria nel gelido carcere che preannunciava l'imminente inverno. Quale inverno? Io non vedrò più altro inverno all'infuori dell'inverno della mia vita. Un colpo di tosse, acqua nei polmoni. Un colpo di tosse, la vita fuori dai polmoni, le membra sciolte e contratte, sciolte e contratte.
Nella sua straziante agonia, sentì la voce di Euridice prima di chiudere gli occhi.

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