Anja Karenina

di Arianna18
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


I.

 

Quel giorno non era affatto un giorno felice. Erano passati ormai diciotto anni da quando Anna se n’era andata, ma il suo ricordo non aveva mai lasciato casa Karenin. La giovane Anja era cresciuta senza una madre e, in realtà, senza un padre, troppo impegnato per badare a lei. Solo il fratello sembrava avere un amore sincero, Serëža l’adorava ed era stato fondamentale ogni volta che Anja aveva avvertito il bisogno di affetto.
Ogni anno la famiglia Karenin si preparava per andare a far visita alla tomba di Anna, forse più per dovere che per amore, ma quella volta nessuno pareva ricordare l’impegno preso. Nessuno eccetto Anja.
In piedi di fronte allo specchio la giovane donna osservava ogni minimo dettaglio della sua figura, non era vanitosa, piuttosto la incuriosiva notare i cambiamenti di qualsiasi aspetto della realtà. Passò le dita sottili sulla stoffa dell’abito nero e chiuse gli occhi. Era davvero bellissima, una “creatura meravigliosa” affermavano alcuni, mentre altri azzardavano a dire che fosse ancor più affascinante della madre. Non si sbagliavano, lei possedeva tutto l’incanto di Anna, ma, se possibile, era ancora più avvenente.
Emise un sospiro e prese il suo cappello e la pelliccia: l’inverno pietroburghese non era così clemente. Una volta all’ingresso si guardò attorno e per la prima volta in vita sua si sentì terribilmente sola. Serëža era partito poche settimane prima per far visita ai cugini a Mosca e Karenin sicuramente non avrebbe voluto essere disturbato. Anja raggiunse la carrozza che l’attendeva e appena si sistemò al suo interno diede l’ordine di partire. Avrebbe fatto visita a quella tomba con o senza suo padre e suo fratello, mancare questa sorta di tradizione sarebbe stato imperdonabile per lei.
Durante il tragitto la sua mente si perse nel ricordo della madre, ricordo che sopravviveva solamente grazie ai racconti di Serëža. Negli anni si era fatta un’idea ben precisa, ma il desiderio di conoscerla realmente era tanto forte quanto impossibile da realizzare.
I cavalli arrestarono la loro corsa ed Anja, all’interno della carrozza, sobbalzò leggermente. Scostò la tendina per accertarsi di essere nel posto giusto. Appena aprirono lo sportello per permetterle di scendere un’aria fredda e un intenso odore di terra umida la raggiunsero, conosceva quell’odore, anno dopo anno era diventato familiare: era arrivata.
Si diresse verso la tomba con in mano un mazzo di campanule viola. Passo dopo passo aumentava in lei la solita malinconia, ma crescendo aveva imparato a non farsi dominare dallo sconforto e così, con grande forza d’animo, procedette lentamente accompagnata solamente dal lieve fruscio del suo abito sul viale lastricato.  Nulla era mutato dall’anno precedente, né i colori né l’odore di quel luogo. Anja provò una vaga consolazione nel constatarlo.
Eppure non tutto era rimasto come al solito: quando giunse a pochi metri dalla tomba una novità catturò la sua attenzione. In quel cimitero le uniche presenze, oltre la sua, erano sempre state quella del padre e del fratello, ma quell’anno, sotto la fitta coltre di nubi invernali qualcosa era cambiato. La ragazza era confusa: chi poteva mai far visita alla tomba della madre che lei non avesse già conosciuto in precedenza? Si avvicinò lentamente e con molta cautela, era sempre stata molto diffidente: di certo si poteva dire che, chi fosse riuscito a conquistare la sua piena fiducia, sarebbe stato molto fortunato.
Era un uomo sicuramente più giovane di suo padre, ma su cui i primi segni della vecchiaia cominciavano a rivelarsi, i capelli bianchi si confondevano a quelli biondi e le mani forti, un poco rovinate, nascondevano il suo viso. Era accovacciato davanti alla lapide e indossava un cappotto nero molto più simile ad un’uniforme. Anja si avvicinò ancora, ritenendo che fosse inoffensivo e più la distanza tra loro diminuiva più lei percepiva un profumo nuovo, estremamente gradevole ed inaspettatamente familiare. Sembrava che lui non si fosse minimamente accorto della sua presenza finché non si trovarono a pochi centimetri l’uno dall’altra. In un fugace istante i loro sguardi si incrociarono.
“Anna!” esclamò l’uomo balzando in piedi con un rapido scatto. Era alto, dal fisico robusto e dal portamento fiero, nonostante le circostanze presupponessero un altro tipo di atteggiamento. Anja pensò fosse l’uomo più bello che avesse mai visto: il suo viso regolare era incorniciato dai ricci biondi, ma ciò che catturò la sua attenzione furono gli occhi. I suoi occhi erano grigi, profondi, incredibilmente luminosi, eppure indubbiamente velati da una quasi impercettibile ombra di tristezza.
L’aveva chiamata Anna. In qualche modo si era sentita lusingata nell’essere scambiata per la madre: aveva sempre avuto una grande stima di lei e nonostante non l’avesse mai incontrata provava per quella donna un’ammirazione spropositata.
“Mi dispiace, non sono Anna” disse lei prontamente cercando di mascherare il tono malinconico.
L’uomo premette leggermente le dita sugli occhi come per cancellare un’immagine orribile per poi rivolgersi nuovamente ad Anja.
“Vi devo chiedere scusa signorina, conoscevo la donna che è  sepolta qui e voi me la ricordate così tanto. Sono il conte Aleksej Vronskij, al vostro servizio” disse piegandosi in un inchino.
“Anja Karenina” fece lei contraccambiando. Lui la guardò sorpreso tanto da farla arrossire e, dopo qualche secondo, ruppe il silenzio.
“Perdonate l’indiscrezione, siete una cugina, una nipote?” Disse indicando il nome sulla lapide. La sua voce era profonda e calma, Anja era sorprendentemente attratta da quel timbro che le pareva così familiare. Sorrise alla sua domanda ed educatamente rispose.
“Anna era mia madre” a quelle parole gli occhi di Vronskij si riempirono di lacrime, dovette lottare contro se stesso per non farle scorrere sul viso. Era così visibilmente sconcertato che Anja si preoccupò di aver detto qualcosa di offensivo, eppure nelle sue parole c’era solo la verità.
Dopo pochi secondi sembrò riuscire a riprendere il controllo di sé anche se sul suo volto restava una vaga parvenza di turbamento.
“E’ stato un onore conoscervi Anja Karenina, ma ora temo di dovervi salutare” S’inchinò un’altra volta baciandole la mano e le rivolse un sorriso pieno di tristezza per poi andarsene velocemente.
Anja sentì una forte stretta al cuore appena il Conte Vronskij le voltò le spalle. Non sapeva chi fosse né in che modo fosse legato a sua madre, l’unica cosa che desiderava era rivederlo per alleviare la sua curiosità, per sapere qualcosa in più su entrambi.
Lasciò i fiori ai piedi della tomba, chiuse gli occhi per un istante chiedendo a Dio di farle incontrare quell’uomo ancora una volta e ritornò alla carrozza. In cuor suo sapeva che le sue preghiere sarebbero state esaudite.  

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


II.

 

Erano trascorse due settimane dall’incontro con il conte Vronskij, ma il cuore di Anja non aveva trovato pace, anzi, il desiderio di parlare con quell’uomo cresceva e si faceva più insistente con il passare dei giorni. Di lì a poco, sarebbe tornato Serëža e sicuramente l’avrebbe aiutata a fare chiarezza: dopotutto lui aveva conosciuto Anna, aveva vissuto con lei, anche se per poco tempo.
Decise, contro la volontà del padre, di andare lei stessa ad accogliere suo fratello, aveva constatato che più rimaneva lontana da casa, più le probabilità di incontrare Vronskij aumentavano, così quel pomeriggio, dopo essersi preparata al meglio, si precipitò nella carrozza che l’avrebbe condotta alla stazione. Sentiva una strana euforia percorrerle le ossa, un’impazienza talmente travolgente da impedirle di restare calma.
Appena i cavalli si fermarono corse fuori dalla vettura dimenticando per un secondo di essere in mezzo alla gente che la osservava sbalordita. Il treno da Mosca era leggermente in ritardo e ciò contribuì a far crescere l’inquietudine di Anja la quale continuava a studiare ogni minimo particolare di ciascun essere umano lì presente nella speranza di ritrovare un dettaglio che le sembrasse familiare.
Nello stesso momento, però, qualcun altro si accorgeva della sua presenza. Sulla pensilina alle spalle della ragazza, il conte Vronskij attendeva l’arrivo di qualcuno, ma senza alcuna impazienza. Tuttavia quando la vide un inspiegabile senso di nervosismo lo attraversò. Non la conosceva affatto, ma, nonostante tutto, si sentiva profondamente legato a quella ragazza. Voleva raggiungerla, parlarle, ma sapeva che non avrebbe dovuto farlo per due semplici motivi: sia per non esserle causa di dispiacere, sia perché in lei rivedeva Anna.
Improvvisamente Anja si voltò e finalmente, dopo giorni di attesa, lo vide in mezzo alla folla nel suo cappotto nero. Aveva la stessa espressione malinconica di quando l’aveva incontrato, ma conservava tutta la sua fierezza e il suo decoro. Non poteva credere di essere stata così fortunata. Chiuse gli occhi per qualche secondo per accertarsi che fosse tutto reale e con sua grande gioia capì, quando li riaprì, che le sue preghiere erano state ascoltate. Mentre si affrettava a raggiungere Vronskij sentì, in lontananza, il fischio sordo del treno che finalmente arrivava a destinazione.
Quando raggiunse la pensilina, per un istante fu presa dallo sconforto, lui era scomparso in mezzo ai fumi della stazione, ma improvvisamente una voce, pochi centimetri dietro di lei, le parlò.
“ Anja Karenina, ci incontriamo ancora” disse lui con il suo solito tono calmo e sicuro. Anja si voltò e sul suo viso comparve il più sincero dei sorrisi. Nel guardarla Vronsij riconobbe tutta la spontaneità della madre e non poté fare altro che inchinarsi e baciarle la mano.
“Sapevo che vi avrei rivisto!” Esclamò, tradita dall’euforia tipica di una giovane donna, mentre lui la guardava ammirato.
“Come mai vi trovo qui, state partendo?” chiese non riuscendo a trattenere la curiosità.
“No, in verità aspetto mio fratello di ritorno da Mosca. Oh ecco il treno!” il rumore del ferro sulle rotaie catturò l’attenzione di Anja e Vronskij approfittò della situazione per osservarla meglio. Era davvero uguale ad Anna: lo stesso viso regolare, le stesse labbra sottili, gli stessi capelli castani e decisamente ricci. Solo gli occhi erano diversi, invece che di un leggero colore ambrato, erano grigi, quasi trasparenti. Non poteva negare che quegli occhi gli ricordassero qualcuno di familiare. Anche nei modi di fare, poi, c’era tutta l’essenza di Anna, ma Anja possedeva ancora l’ingenuità di una ragazzina. In alcuni momenti, però, quella ragazzina scompariva per lasciare spazio alla donna piena di fascino che stava diventando. Aleksej Vronskij  aveva, davanti agli occhi, uno spettacolo unico nel suo genere.
“E voi siete in partenza o come me aspettate qualcuno?” chiese.
“Sono venuto a prendere mia madre” fece lui, ma mentre parlava un ricordo attraversò la sua mente e il suo cuore: l'ultima volta che si era recato in una stazione ad aspettare il ritorno della contessa Vronskaja, sua madre aveva conosciuto Anna.
Quel giorno lui la vide, la vide ed era bellissima, così elegante e aggraziata nei gesti. Le urla della gente, il fischio di un treno in partenza, ogni cosa sembrò non esistere più. I movimenti si fecero lenti e cadenzati, il respiro rallentò, ma il cuore prese a battere all’impazzata. Aleksej non aveva mai provato una sensazione simile prima di allora.
Scosse la testa per rimuovere quel ricordo insistente, ma fu inutile: lo sguardo di quella donna diciotto anni prima aveva lasciato un segno indelebile. Bastò un solo sguardo ed ora che riconosceva in Anja Anna stessa sentì mancare la terra sotto i piedi.
Il treno si fermo emettendo un rumore assordante, ma Anja sembrava non farci caso: suo fratello era arrivato finalmente e lei non vedeva l’ora di presentarlo al conte Vronskij.
“Torno subito, vogliate scusarmi” disse la ragazza arrossendo leggermente.
Lui la guardò mentre spariva nel fumo della locomotiva e istintivamente pensò che non fosse saggio continuare a parlare con lei: già in passato i rapporti con la famiglia Karenin gli erano costati molto, forse troppo, non voleva che la storia riprendesse lo stesso corso di un tempo. Decise che era meglio attendere sua madre più avanti dove Anja non l’avrebbe visto e se ne andò.
Nello stesso momento, la ragazza, all’apice della felicità,si era spostata verso il vagone di Serëža per accoglierlo con tutto l’affetto possibile e, quando lo sportello si aprì e lo vide uscire, non seppe più contenere la gioia.
“Serëža! Sono così contenta di vederti! Non puoi capire quanto tu mi sia mancato!” Disse abbracciandolo.
“Cara sorella, Mosca era così noiosa senza di te! La prossima volta verrai, non m’importa cosa dirà nostro padre” Esclamò lui provocando la sonora risata di Anja che riecheggiò per tutta la stazione.
“Oh Serëža, devo raccontarti così tante cose, ma prima ti voglio presentare una persona”
Camminarono fin dove, pochi minuti prima, era rimasto Vronskij, ma, con grande delusione, lui non c’era. La ragazza guardò in ogni direzione, ma dovette rassegnarsi al fatto che se ne fosse andato.
Presero la carrozza e, una volta arrivati, dopo essere passati dal padre, i due fratelli si raccontarono tutto ciò che era successo nelle settimane trascorse lontani l’uno dall’altra, dei balli a casa dello zio Stiva, della mostra d’arte della baronessa e, per ultimo, dell’incontro avvenuto nel cimitero di Pietroburgo.
Serëža era sorpreso, ma, con grandissima delusione della sorella, non aveva la minima idea di chi fosse il conte Aleksej Vronskij; tuttavia, il nome gli suonava terribilmente familiare.
Dopo quella sera non ne parlarono più, ma Anja non aveva dimenticato e, se non fosse riuscita a saperne di più da sola, avrebbe chiesto a suo padre.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


III.


Le giornate trascorrevano lentamente, dopo l’arrivo di Serëža tutto era tornato alla normalità, o per meglio dire, la vita era precipitata nel torpore più tedioso e monotono. Di certo le cose da fare non mancavano, ma i balli, le mostre d’arte e le uscite in società non riuscivano minimamente a placare i pensieri che, sempre più insistenti, andavano ad insidiarsi nella mente di Anja. Oramai la maggior parte delle sue riflessioni andavano a Vronskij per il quale nutriva un affetto incondizionato. Senza sapere chi fosse, si sentiva legata a lui dal destino mentre in maniera opposta, non riusciva neanche a stabilire un dialogo con il padre.
 Aleksei Aleksandrovič Karenin, effettivamente, non era proprio il miglior esempio di cordialità, senza dubbio era un uomo buono, ma, quando si trattava di sentimenti, ergeva una corazza inespugnabile. Non era così vecchio, ma i suoi modi, talvolta, risultavano troppo all’antica per essere compresi dai figli, soprattutto dalla giovane Anja. Entrambi non erano mai riusciti ad intendersi completamente e, durante gli anni, il loro distacco era via via aumentato. Karenin, a parte i segni del tempo, non era mai cambiato: rimaneva, come sempre, fermo nelle sue decisioni e moralmente rigoroso. Di sicuro non avrebbe mai approvato che sua figlia avesse fatto conoscenza con un uomo in una situazione così poco adatta. Ogni minima azione, soprattutto se si trattava di Anja, andava svolta secondo le sue disposizioni e contestarlo non era un privilegio concesso. Nonostante questo, tutti avevano una sincera stima di lui il quale incarnava i più nobili ideali di lealtà e decoro dell’alta società pietroburghese.
Una sera, i tre si ritrovarono, come di consueto, attorno alla lunga tavola della sala per consumare la cena, ma, quella volta, era calata su di loro un’insopportabile tensione, densa quasi quanto la nebbia. Anja, più irrequieta del solito, continuava a scambiare rapide occhiate con il fratello sotto lo sguardo intransigente del padre il quale mostrava i primi segni di nervosismo.
“Devo supporre che ci sia qualcosa che non va a giudicare dal vostro atteggiamento” disse Karenin rompendo il silenzio. Serëža, che tra i due fratelli era quello che temeva maggiormente i richiami, abbassò lo sguardo tentando di nascondere la vergogna, ma Anja, che mal sopportava i rimproveri celati, si girò verso il padre con un evidente atteggiamento di sfida. Non disse nulla e mentre distoglieva lo sguardo lasciò cadere il cucchiaio visibilmente seccata.
“Non gradisci la zuppa?” chiese, ma la ragazza al limite della pazienza non riuscì a trattenersi.
“Chi è il conte Vronskij?” A quelle parole, un brivido percorse la schiena di Karenin veloce e gelido: da diciotto anni non sentiva quel nome. Il passato ripiombò nella sua vita così bruscamente da impedirgli di reagire. Rimase impassibile di fronte allo sguardo attento della figlia. Come poteva, Anja, conoscere l’uomo che, un tempo, l’aveva rovinato? Ma soprattutto, perché voleva a tutti i costi informazioni sul suo conto? Mille domande cominciarono a comparire nella sua mente, una più allarmante dell’altra, ma non poteva tradire la sua preoccupazione. Karenin fece appello a tutta la sua forza interiore e rispose.
“Non lo so...” Fu tutto ciò che riuscì a dire. Anja però non era soddisfatta e ripartì più agguerrita che mai.
“E’ impossibile lui...” ma il padre, infuriato come non mai, la interruppe.
“Anja Karenina, ora basta!” non l’avevano mai sentito urlare in quel modo. Con un riflesso incondizionato si era alzato dalla sedia battendo un pugno sul tavolo. La ragazza, spaventata, corse via sforzandosi di trattenere le lacrime e quando arrivò nelle sue stanze chiuse la porta con una forza tale da far vibrare il lampadario di cristalli al piano inferiore.
Serëža osservò il padre di sottecchi, non approvava minimamente il modo in cui aveva trattato Anja, ma appena decise di parlare Karenin intervenne.
“Puoi andare...” non aggiunse altro. In totale silenzio il ragazzo si precipitò davanti alla camera della sorella e con un po’ di timore bussò.
Lei era seduta alla scrivania con la testa tra le mani, non stava piangendo, piuttosto era fuori di sé dalla rabbia: non era mai stata rimproverata così duramente.
“Hai visto come si è comportato? Lo odio, Serëža, con tutte le mie forze...” disse guardando il fratello attraverso il riflesso nello specchio.
“Anja, sai com’è fatto, non vuole essere disturbato” provò a replicare lui.
“Lo stai difendendo!” esclamò la ragazza voltandosi per guardarlo negli occhi.
“Comunque non è questo il punto...” concluse riacquistando in parte la calma.
“Cosa vuoi dire?” le domandò.
“Ha mentito prima, a cena. Non so chi sia il conte Vronskij, ma so per certo che conosceva maman. Di conseguenza nostro padre non può non essere informato sul suo conto”
Il ragionamento di Anja era lucido, ponderato: non fu difficile convincere Serëža delle sue teorie. Ora più che mai era intenzionata a far chiarezza in quella storia e, dato che non avrebbe ottenuto alcuna informazione dal padre, iniziò a meditare la possibilità di far visita alla zia Dolly e allo zio Stiva. Mosca era un’ottima idea, rimaneva solo da comunicare la decisione.  

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


IV.


Il treno correva sulle rotaie facendo sobbalzare di tanto in tanto i passeggeri. Anja, rapita dal paesaggio che si presentava ai suoi occhi, non stava più nella pelle: ancora poche ore e avrebbe riabbracciato gli zii e i cugini. Era stata a Mosca solo una volta, ma aveva appena sei anni e i sui ricordi apparivano molto sfocati. Ancora non riusciva credere che il padre le avesse permesso di partire, soprattutto senza il fratello, ma, nonostante tutto, aveva come il presentimento che la sua accondiscendenza derivasse più dalla preoccupazione che da una sincera generosità. Restare lontana da Pietroburgo implicava una probabilità minore di incontrare persone sgradite, ma non aveva importanza.   
La stazione di Mosca era sorprendentemente affollata, Anja aveva il timore di perdersi in mezzo a tutta quella gente, ma, con suo grande sollievo, notò tra la folla un viso familiare e corse verso di lui. Stiva Oblonskij era il classico uomo che riusciva a mettere chiunque a proprio agio senza troppi sforzi; un paio di folti baffi completavano il viso paffuto, dall’incarnato leggermente rossastro con due occhi svegli e luminosi.
“Piccola Anja!” esclamò con un sorriso raggiante appena vide la nipote scendere dalla carrozza del treno. La ragazza, avvolta nella sua pelliccia, corse dallo zio e, nonostante lo ricordasse a malapena, ebbe la sensazione di volergli già un gran bene.
“Ma guardati, sei il ritratto di tua madre!” fece lui commovendosi appena. Anja arrossì come ogni volta che qualcuno le faceva notare l’indiscutibile somiglianza.  
“Grazie per aver accettato di ospitarmi, zio Stiva. Confesso che avevo timore di disturbarvi.” Ammise timidamente.
“Non dirlo neanche per scherzo piccola Anja!” urlò Oblonskij euforico.
“In effetti, quando tuo fratello ci ha fatto visita ci siamo domandati come mai tu non fossi con lui, ma eccoti qui!” concluse sfoggiando una sonora risata e prendendola contemporaneamente sottobraccio. Salirono sulla carrozza e la ragazza sentì di essere esattamente dove doveva essere.


 
Trascorsero alcuni giorni dal suo arrivo, la compagnia degli zii e dei cugini fece dimenticare ad Anja tutte le controversie che aveva avuto fin ora con il padre: la casa di Dolly e Stiva era ormai diventata un rifugio accogliente, rifugio che sarebbe diventato sempre più affollato. Un pomeriggio Oblonskij rientrò dall’ufficio più allegro che mai, la sua risata riecheggiava tra le mura domestiche e nessuno poteva rimanere indifferente. Con un gesto plateale spalancò le porte della sala stringendo tra le mani una lettere tutta stropicciata.
“Dolly! Fai preparare le stanze e di’ al cuoco di allestire un banchetto degno di questo nome!” strillò pieno di entusiasmo raggiungendo la moglie e stringendola in un abbraccio quasi soffocante.
La curiosità era sui volti di tutti, compreso quello di Anja la quale non era ancora avvezza alle particolarità dello zio. Il motivo di tanta contentezza era dovuto all’imminente arrivo di Konstantin Levin e Katerina la sorella di Dolly, i quali da molto tempo non si recavano a Mosca per una visita. A quell’annuncio la sala si riempì di sorrisi e tutti abbandonarono le proprie attività per dedicarsi ai preparativi. Anja era, forse, la più impaziente, amava conoscere persone nuove e ora che ne aveva la possibilità si sentiva davvero fortunata.
Decise di aiutare la zia, nonostante quest’ultima le avesse ripetuto più e più volte che non fosse necessario in quanto ospite anche lei, ed in men che non si dica si ritrovarono a discorrere di Kostantin e Kitty, di quanto fossero delle brave persone e di quanto li avrebbe trovati di ottima compagnia. Anja aveva appreso dalle parole di Dolly che i Levin avevano un figlio della sua età e che questo “brillante azzeccagarbugli”, come l’aveva definito lei, avesse una personalità davvero affascinante. Dentro di sé la ragazza sperava già in una buona amicizia e ciò fece solamente aumentare la sua curiosità.
Le ore prima dell’arrivo degli ospiti passarono ad una velocità impressionante e l’attesa risultava sempre più viva, ma ecco che finalmente si sentì il rumore di una carrozza e di seguito i passi nell’ingresso. Le porte della sala da ricevimento si spalancarono e da lì comparvero due figure dall’aria tranquilla e cordiale. Lui, Kostantin Dimitrievič Levin, era un uomo alto e robusto di costituzione, con i capelli di un color rosso acceso e un temperamento estremamente timido. Katerina, o meglio Kitty, era invece l’esatto opposto del marito: minuta e decisamente aggraziata, aveva nei lineamenti qualcosa di particolarmente piacevole ed inoltre il suo sorriso era senza dubbio affascinante.
Anja, al momento delle presentazioni, si sentì leggermente in soggezione di fronte a quelle due figure così maestose, ma non appena parlarono scoprì, con molto piacere, che non aveva nulla da temere nei loro confronti, come le aveva preannunciato la zia, i Levin erano davvero cortesi e molto socievoli.
Dopo aver sistemato i bagagli degli ospiti si riunirono a tavola e subito l’attenzione si posò su Anja. Kitty la osservava attentamente già da parecchi minuti e non aveva potuto fare a meno di notare una certa somiglianza con la sorella di Stiva. Le controversie che avevano allontanato lei e Anna da giovani suscitavano nel suo animo una certa diffidenza verso la ragazza, eppure Katerina era sicura di sbagliarsi. Anja seduta vicino a lei, rispondeva ad ogni domanda con un po’ d’imbarazzo, in realtà non era abituata ad essere così al centro dell’attenzione, ma l’atmosfera non era minimamente tesa come, invece, accadeva a casa.Quella sera il tempo sembrava essersi fermato.

 

Passarono alcuni giorni dall’arrivo dei Levin, in quella casa era impossibile annoiarsi: in qualsiasi stanza si andasse in qualsiasi momento della giornata, c’era sempre qualcuno. Sembrava che la solitudine fosse proibita. Ad Anja questo non dispiaceva affatto, anzi, trascorrendo la maggior parte del tempo sola a Pietroburgo, non poteva che essere felice di qualsiasi compagnia.
Solamente una volta accadde che in casa fossero rimaste solamente lei la zia e Kitty. Gli uomini erano usciti a pranzo e le cugine erano attese ad un ricevimento nel pomeriggio, perciò le tre donne riunite attorno ad un tavolino di legno discorrevano del più e del meno noncuranti del trascorrere del tempo. Katerina, mentre raccontava della vita tranquilla che conduceva nella campagna russa, rifletteva su quanto suo marito e suo figlio fossero tutto ciò di cui avesse bisogno; aveva uno sguardo così sereno e sincero che Anja sentì un pizzico d’invidia. Desiderava una famiglia tutta sua, magari non subito, magari non alla sua età, ma la voleva. Sentire i racconti di Kitty e vedere la zia insieme a Stiva e a tutti i loro figli era meraviglioso e il sogno di una vita simile dava alla ragazza una smisurata forza d’animo.
Ad un certo punto la sorella di Dolly, con gli occhi che le brillavano per la tenerezza, tirò fuori una fotografia che usava da segnalibro dalla copertina di un libro e la porse ad Anja. Kostantin, Kitty e loro figlio sorridevano di fronte all’obiettivo e alle loro spalle si estendevano i campi immensi; erano così giovani, ma a parte qualche ruga in meno erano le stesse amabili persone che aveva conosciuto. La ragazza osservò a lungo quello scatto cercando di cogliere il maggior numero di dettagli. In men che non si dica si ritrovò a pensare che le sarebbe piaciuto conoscere il giovane Levin il quale, davanti ai suoi occhi, in quell’istante, era nient’altro che un bambino con lo sguardo timido, ma estremamente intelligente. Dovevano avere all’incirca la stessa età, ma Anja non sapeva assolutamente nulla di lui. Kitty, che notò il suo sguardo curioso, si affrettò a rispondere alla muta domanda che le stava ponendo.
“Si chiama Ilya” iniziò richiamando l’attenzione della ragazza. In uno scatto fulmineo Anja alzò la testa dalla foto e osservò la sua interlocutrice con un gran sorriso.
“Ha la tua età sai? Mi dispiace non sia riuscito a venire con noi, ma proprio ieri ci è arrivata una sua lettera dove annunciava che ci avrebbe raggiunti qui a Mosca” Concluse.
Anja non stava nella pelle, un’altra persona da conoscere, un altro viso da ricordare, non c’era nulla di più piacevole.
“Non vedo l’ora di conoscerlo, sento che saremo ottimi amici”
I discorsi e le chiacchiere continuarono indisturbate, ma improvvisamente un pensiero insistente si insinuò nella mente della ragazza senza darle tregua: era da molto che non ci pensava, ma una parola della zia aveva risvegliato i suoi dubbi. Dopotutto si era recata a Mosca anche per scoprire qualcosa di più sul conte Vronskij, tuttavia, appena varcata la soglia di quella casa, aveva scordato ogni cosa. Discorrendo dei vecchi tempi, però, Dolly aveva aperto un discorso riguardo i soldati e le uniformi, così, l’immagine di Vronskij chino sulla tomba, attraversò i pensieri di Anja. Sospirando e cercando di far uscire tutta la tensione che si era creata nel suo animo, si convinse che era meglio parlare ora in quell’atmosfera raccolta.
“So che è una domanda insolita, ma... Zia, Kitty... Voi conoscete il conte Aleksej Vronskij?” A quelle parole calò nella stanza un silenzio quasi assordante. Le due sorelle, nel sentir nominare Vronskij, cedettero di essere tornate indietro nel tempo: ormai erano quasi vent’anni che nessuno pronunciava il suo nome. Anja attendeva una risposta, sul suo volto era disegnata un’espressione fin troppo eloquente che allarmò zia Dolly e scosse Kitty, qualcosa dovevano pur dire. Una bugia sarebbe stata presto smascherata, dopotutto, se Anja aveva iniziato quel discorso, era sicuramente a conoscenza di qualcosa. Così, con una rapida occhiata d’intesa tipica di due sorelle, optarono per una risposta abbastanza soddisfacente da colmare, almeno per il momento, la sua curiosità e, allo stesso tempo, sufficientemente vaga.
“Era un vecchio amico di tua madre” dichiarò Dolly fingendo il migliore dei sorrisi. A quelle parole Kitty si girò perplessa tentando di nascondere uno sguardo anche troppo espressiva.
“Sì, un militare!” aggiunse, ma Anja non era cieca e aveva uno spiccato senso dell’osservazione. Qualcosa non andava nella domanda che aveva posto: prima il padre le mentiva, ora anche la zia e Kitty. Cominciava a sospettare che fossero tutti d’accordo a nasconderle la verità per chissà quale motivo, in fondo cosa ci poteva essere di così temibile in un uomo come Vronskij? Non lo sapeva, l’unica cosa che sapeva era che alla fine sarebbe riuscita a capire.
Tuttavia, proprio quando aveva deciso di essere più specifica, la zia l’aveva liquidata dicendo di dover andare a controllare i lavori nella cucina e subito dopo anche Kitty, con una scusa altrettanto illogica si era allontanata. Cercarle non era opportuno e non sarebbe servito a molto, di sicuro non avrebbe scoperto più di quanto già sapeva, poteva solamente aspettare il momento giusto.
Nel frattempo, nel corridoio al piano superiore, le due sorelle discutevano animatamente come se fosse in ballo un affare di estrema importanza.
“Deve saperlo Dar’ja! Non possiamo tenerle nascosto questo e per due motivi: il primo, il più importante, è suo diritto sapere la verità dei fatti, il secondo, non meno rilevante, lei sicuramente non si arrenderà così facilmente! Quando scoprirà cos’era successo diciotto anni fa, come credi reagirà verso di noi, verso Stiva, verso suo padre? Perché stai certa che lo scoprirà prima o poi, è pur sempre la figlia di Anna!” Kitty aveva nella voce e nello sguardo una particolare esuberanza, voleva correre da Anja dirle tutto e porre fine ai suoi dubbi, ma Dolly no, Dolly aveva riflettuto: non era saggio, per ora, confessare tutto. Non era facile e non lo sarebbe stato né per la ragazza né per nessun altro.
“No Kitty! Non è compito nostro dirglielo, so che non è giusto, ma adesso non dobbiamo fare nulla... nemmeno una parola su questa faccenda, intesi?” Dolly la guardò intensamente con aria di rimprovero, fu talmente irremovibile che la sorella non poté far altro che adeguarsi alle sue disposizioni. Entrambe non erano affatto convinte di ciò che stavano per fare, o meglio, di ciò che stavano per non fare. Anja era giovane e, sia Dolly che Kitty, temevano di rovinare qualcosa nella sua vita. Tuttavia era esattamente così: aspettare era la soluzione migliore.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


V.

Dopo quel pomeriggio nessuno aveva più avuto il coraggio di entrare nell’argomento “Vronskij”. Ovviamente Dolly non esitò ad avvertire suo marito riguardo i vari dubbi che occupavano la mente della nipote e, persino Stiva, che solitamente non si dava troppe preoccupazioni, sembrava sufficientemente allarmato. Kitty, al contrario, evitò di parlarne con Kostantin, lui non vedeva il conte di buon occhio, non l’avrebbe mai ammesso, ma era così e sua moglie lo sapeva bene, così non gli riferì una parola e cercò di pensare all’imminente arrivo del figlio.
Ilya era arrivato proprio quel giorno tra le urla di Stiva e i sorrisi dei genitori; quella casa stava diventando sempre più simile ad un albergo, ma la questione sembrava non interessare. Anja, in camera sua, impegnata a sistemarsi i capelli, sentì le porte della sala aprirsi ancora una volta e, senza curarsi dei ricci disordinati che le scendevano sulle spalle, corse al piano inferiore animata da una forte curiosità.
Improvvisamente si arrestò sugli ultimi gradini, nessuno sembrava essersi accorto della sua presenza, nessuno a parte Ilya che si era voltato quando i passi della ragazza erano diventati appena percettibili. Era davvero alto e di costituzione robusta, non dimostrava la sua età, se Kitty non le avesse assicurato che fosse suo coetaneo, Anja avrebbe sicuramente pensato avesse l’età del fratello. Per qualche secondo rimasero a studiarsi a vicenda, incuriositi l’uno dall’altra.  
“Oh, Anja, giusto in tempo! Ti presento Ilya Kostantinovič Levin!” Strepitò Stiva mentre lei scendeva le scale senza mai distogliere lo sguardo dal ragazzo. Solo quando si trovò di fronte a lui si rese conto di quanto somigliasse ad una di quelle statue greche che aveva visto nei libri. Gli porse la mano quasi intimorita e, appena lui la prese, percepì un insolito brivido lungo tutta la schiena: di fronte a lei due occhi trasparenti, forse fin troppo espressivi, non avevano smesso di osservarla nemmeno per un secondo. Sentì che poco alla volta le sue guance si tingevano di un rosso leggero. Ilya non era timido, riusciva a sostenere qualsiasi tipo di sguardo senza farsi mettere in soggezione. Molti lo ritenevano arrogante, altri solamente schivo, ma la prima impressione che ebbe Anja fu quella di un ragazzo estremamente affascinante, forse per via dell’aspetto, forse per la sua sicurezza. Lui, inchinandosi leggermente, le baciò la mano.
“E’ un piacere mademoiselle” disse sorridendo.
Anche la voce aveva un suono piacevole, così calma e profonda, Anja ne era rimasta incantata e non riusciva a spiegarsi il motivo. Tuttavia, dovette ammettere a se stessa che Ilya era davvero bello. Non era solita soffermarsi sull’aspetto esteriore delle persone, ma in quel caso era troppo evidente.
A cena la ragazza lo esaminò attentamente, il più discretamente possibile, cercando di trovare le somiglianze con Kitty o con Kostantin: sicuramente la corporatura l’aveva ereditata dal padre, ma il resto, i lineamenti regolari del viso, i capelli chiari e lisci e il portamento sicuro erano della madre. Ogni tanto lui alzava la testa e la osservava come se sentisse i suoi occhi e, notando l’imbarazzo, sorrise tra sé e sé. Aveva una naturale simpatia per Anja, i suoi modi di fare lo incuriosivano e lo intenerivano: nonostante fosse la prima volta che la vedeva, era quasi certo che sarebbero diventati amici molto presto.
Mademoiselle Karenina, è la prima volta che venite a Mosca?” chiese lui facendola arrossire nuovamente.
“Chiamatemi Anja, vi prego. In effetti no, ma ero decisamente troppo piccola per ricordare.” Rispose lei leggermente imbarazzata.
“E’ un peccato che tu non venga più spesso a Mosca, piccola Anja! E’ una città talmente incantevole e ricca di cose da fare che non troveresti il tempo per annoiarti!” Urlò Oblonskij.
“Stiva ha ragione, soprattutto per voi giovani Mosca è una città instancabile. Ilya, inoltre, è un’eccellente guida! Scommetto che la povera Anja è qui da giorni e non ha ancora visitato nulla, non è così?” fece Kitty. Era incredibile come Anja diventasse sempre d’interesse per gli altri: per la seconda volta era giunto un ospite e, nonostante ciò, lei era finita di nuovo al centro dell’attenzione. Annuì alla domanda di Katerina suscitando una considerazione ancora maggiore da parte di Ilya il quale non perse tempo.
“Se vi fa piacere, potrei accompagnarvi. Non sarò una guida ottima come vuole farvi credere maman, ma Mosca la conosco bene” le sussurrò lui sorridendo.
“Ne sarei felice!” rispose Anja.
Ilya mantenne la promessa, trascorsero i giorni seguenti in giro per Mosca tra piste di pattinaggio, gallerie d’arte e teatri. Erano diventati inseparabili in pochissimo tempo, tra loro c’era una complicità così forte che sembrava quasi strano a vedersi. Ovviamente né lui né Anja se n’erano accorti, talmente era naturale passare del tempo assieme e, alla fine, scoprirono di avere molti interessi in comune. In ogni caso la loro amicizia era assolutamente benvista da tutti, inaspettatamente anche da Kitty che all’inizio aveva avuto qualche perplessità.  
Quella sera, la duchessa Sorokina, amica di Stiva, aveva invitato tutta la sua famiglia al ballo per la nascita della nipote e nessuno l’avrebbe persa. Anja non era mai stata in società a Mosca e finalmente ne aveva l’occasione. Era entusiasta di andarci con Ilya, in realtà era entusiasta di fare qualsiasi cosa purché fosse con Ilya, ma i balli li preferiva in assoluto.
Iniziò a prepararsi presto, voleva apparire al meglio, dopotutto era un’occasione importante, ma la verità era un’altra: le piaceva come il figlio di Kitty e Kostantin la guardava e, in quel momento, la giovane donna che era in lei prese il sopravvento. Si stupì di quella frivolezza, ma per la prima volta disse tra sé e sé che non c’era nulla di male. Prese il suo vestito più bello e indossandolo si sentì davvero a proprio agio nella stoffa bordeaux e nei drappeggi. Cominciò a pensare al ballo, a tutta la gente che avrebbe incontrato e, soprattutto, a quanto si sarebbe divertita insieme ad Ilya il quale si stava preparando nella stanza vicina. Passò alcuni minuti di fronte all’ampio specchio studiando la sua immagine riflessa fin nei minimi dettagli e cercò di trovare anche solo una banale imperfezione, qualcosa che non la convincesse nella sua figura, ma dopo un’attenta osservazione, decise che ogni cosa era al proprio posto e passò ai suoi capelli, come sempre, scompigliati in una cascata di ricci scuri.
Quando finì di prepararsi era ormai sera e tutti stavano aspettando che scendesse; al piano inferiore le due donne chiacchieravano mentre Levin era andato a controllare la carrozza e Stiva si versava un bel bicchiere di vodka, solo Ilya camminava avanti e indietro lungo il corridoio, nervoso come non lo era mai stato. Improvvisamente qualcosa catturò la sua attenzione e quella degli altri presenti: sulla scalinata di casa Oblonskij, come un miraggio, apparve Anja in tutta la sua bellezza ed eleganza e nessuno riuscì a parlare. Non amava avere così tanti occhi puntati su di lei e arrossendo cercò di guardare altrove. Kitty e Dolly sorrisero non appena la videro e sicuramente ebbero lo stesso pensiero: quella sera era come se Anna non se ne fosse mai andata, tutto il suo splendore era vivo grazie ad Anja. 
“Sei un incanto piccola Anja!” urlò lo zio con ancora il bicchiere in mano. In quel momento rientrò Kostantin,  confermando l’arrivo della carrozza, e nemmeno lui fu immune dalla bellezza della ragazza, ma dato che non era un uomo di molte parole si limitò a fare un profondo inchino. Improvvisamente Stepan si accorse di quanto fosse tardi e con urla di sorpresa esortò tutti ad uscire. Anja scese gli ultimi gradini e raggiunse Ilya che timidamente le porse il braccio, con un leggero rossore sulle guance, la guardò come se non avesse mai visto niente di più straordinario.
“Sei...” cominciò lui, ma le parole gli si fermarono in gola così che sul volto della giovane donna apparve un’espressione dubbiosa.
“Sei davvero bellissima” disse tutto d’un fiato sperando di non sembrare un perfetto idiota, ma Anja, abbassando lo sguardo per l’imbarazzo e sentendo una strana stretta allo stomaco, sorrise cortesemente al complimento e insieme andarono verso la carrozza.
Il palazzo della duchessa Sorokina era immenso, niente a che vedere con la sua casa o la casa dello zio le benché fossero, a loro volta, grandissime. La sala dove si teneva il ricevimento risplendeva di luce propria, non aveva mai visto così tanto sfarzo chiuso in una stanza, ne rimase talmente incantata che ben presto non seppe più dove guardare. La duchessa, come immaginava, rispecchiava lo splendore dell’atmosfera: era una donna già di mezza età, ma piena di fascino, con un portamento regale e fiero stava in piedi accanto a suo marito sventolando ogni tanto il ventaglio in attesa che gli ospiti arrivassero a porle i loro omaggi. Presto fu il turno di Oblonskij e della sua famiglia.
“Duchessa Sorokina, siete una gioia per gli occhi” esordì Stiva mentre si abbassava in un inchino fin troppo teatrale.
“Stepan Arkadevič Oblonskij, sono felice di notare che non avete perduto il vostro spiccato senso dell’umorismo! Ad ogni modo è un piacere rivedere voi e tutta la vostra famiglia” Esclamò lei mostrando un sorriso perfetto.
“Duchessa, le devo presentare mia nipote: Anja Alekseevna Karenina! E’ la sua prima volta in società a Mosca” disse in tono solenne. La ragazza si avvicinò allo zio e a madame Sorokina e si inchinò elegantemente.
“Siete di una bellezza stupefacente” disse sorpresa.
“La ringrazio madame” fece Anja in tono gentile.
“E anche garbata! Stiva perché non me l’avete presentata prima?” Chiese senza mai distogliere lo sguardo dalla ragazza.
“Ad ogni modo, è stato un vero piacere! Divertitevi!” Esortò senza lasciare il tempo ad Oblonskij di rispondere.
Era trascorsa solo mezz’ora dal loro arrivo, ma Anja aveva già perso la concezione del tempo: non si era mai divertita tanto in vita sua, nemmeno nei giorni precedenti a visitare Mosca. Aveva scoperto che Ilya era un ottimo ballerino e non avevano smesso di danzare nemmeno per un secondo, nonostante la stanchezza e i piedi doloranti. Al sesto valzer decisero di fermarsi e riprendere fiato, ma, mentre si allontanavano dalle danze, ad Anja sembrò di scorgere qualcuno di familiare e così cominciò a guardarsi intorno con aria circospetta: non era del tutto sicura di aver visto bene.
“Ti senti bene?” chiese Ilya preoccupato per quella improvvisa agitazione.
“Oh, sì perdonami! Credevo di aver visto... non importa” rispose lei con aria assente. Pensò di essersi sbagliata, quello che le era sembrato il conte Vronskij, probabilmente, era solo uno dei tanti nobiluomini di Mosca invitati dalla duchessa. Presto dimenticò l’accaduto e decise di ricominciare a ballare, tuttavia il suo cavaliere era richiesto altrove: erano appena arrivati alcuni suoi vecchi amici e dovette andare a salutarli promettendo, però, ad Anja che avrebbe fatto in fretta. La ragazza non se la prese e, mentre Ilya raggiungeva i suoi compagni, si appoggiò ad una delle colonne osservando le dame e i gentiluomini presenti con grande ammirazione.
“Se permettete, ballo io con voi” Da troppo tempo non sentiva quella voce. Appena riconobbe il timbro familiare di Vronskij se ne rallegrò immensamente.
“Conte Vronskij!” esclamò dopo aver risposto all’inchino.
Le danze ripresero e i due si diressero verso il centro della sala, sembrava che anche lui fosse un amante della danza, oltre che un ottimo ballerino.
“Non mi aspettavo di trovarvi a Mosca!” disse lui nel mezzo di un valzer.
Anja  gli raccontò del viaggio e del soggiorno a casa degli zii, tralasciando, però, il motivo della sua visita; improvvisamente le venne in mente che, nonostante tutto l’impegno di suo padre per tenerla lontana da quell’uomo, stava ballando proprio con lui e, se avesse voluto, avrebbe potuto chiedergli qualsiasi cosa. Tuttavia non ritenne essere il momento giusto per un discorso cosi importante e si limitò a sorridere divertita al pensiero del padre, qualora l’avesse vista.
“Quindi siete qui da sola?” chiese il conte.
“Oh, no in realtà” disse Anja con un sorriso imbarazzato.
“Capisco, vi accompagna quel giovane che si è allontanato poco fa” fece lui con uno sguardo ammiccante.
“Si chiama Ilya, Ilya Kostantinovič Levin. Conoscerete forse i genitori... siamo ottimi amici comunque” chiarì, sempre più rossa in volto.
“Ma certo, sono sicuro sia un ragazzo fuori dal comune per meritare la vostra amicizia. Avete detto che si chiama Levin, è per caso il figlio della principessa Ščerbackaja?” chiese dubbioso.
“Sì! Conoscete Kitty?” esordì entusiasta la ragazza, ma lui, come se avesse avuto una visione spiacevole, a quella domanda s’incupì.
“Superficialmente...” rispose vago. Anja intuì  che il conte Vronskij non fosse propenso a quel discorso così cambiò abilmente argomento. Chiacchierarono d’altro, di Mosca, di quanto si sarebbero trattenuti lì e di molte altre cose finché Ilya non fu di ritorno.
“Credo sia il momento che io ceda il posto al vostro cavaliere” disse scherzoso vedendo arrivare il ragazzo. In quel momento Anja cercò di fare appello a tutto il suo coraggio.
“Mi farebbe piacere rivedervi” disse lei tutto d’un fiato e, contemporaneamente , sul volto di quell’uomo comparve un sorriso affettuoso.
“Farebbe piacere anche a me... E’ da qualche giorno che vorrei passeggiare nel parco, ma sfortunatamente non ho mai trovato la giusta compagnia...” disse lui con un po’ di ironia. La ragazza rise divertita da quelle parole, ma il conte la precedette prima che potesse rispondere.
“Domani pomeriggio sarò lì nei dintorni, se voi foste così gentile da unirvi a me saprete dove trovarmi” si inchinò e dopo aver scambiato una rapida occhiata con Ilya, il quale li aveva raggiunti, scomparve tra la folla.
Il figlio di Kitty era perplesso: credeva che Anja non conoscesse nessuno a Mosca, ma evidentemente si era sbagliato. Nonostante il forte desiderio di sapere chi fosse quell’uomo lasciò perdere, voleva concludere la serata senza troppe preoccupazioni e, per questo motivo, si gettò nuovamente nelle danze con la sua dama.
Quando fu tardi e tornarono a casa, sui volti di tutti c’era un’espressione di gioia e di serenità che per molto tempo non era comparsa. Anja sentiva che presto avrebbe risolto ogni cosa e guardando Ilya, qualche passo avanti a lei, si rese conto di essere davvero felice.

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