Cicli Immortali

di Nerys
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sogni?! ***
Capitolo 2: *** L'Ignoto ***
Capitolo 3: *** Ossessione? ***
Capitolo 4: *** L'Amicizia... ***
Capitolo 5: *** Scoperte ***
Capitolo 6: *** Senza Via d'Uscita ***
Capitolo 7: *** The Way ***
Capitolo 8: *** Domande... ***
Capitolo 9: *** Attesa ***



Capitolo 1
*** Sogni?! ***


Sogni?!

 

Travelling is like dreaming:

the difference is that, on waking, not everyone remembers the journey,

 whereas everyone vividly preserves the memory of where they have stayed.

Edgar Allan Poe.

 

«Denise! Guarda cosa mi ha comprato la mamma!» strillò una voce infantile ed entusiasta. Di chi era quella voce? Non riuscivo a capirlo, intorno a me era troppo buio perché vedessi qualcosa.

«Ora, chiudi gli occhi e girati. Non sbirciare o lo dico alla mamma!» Mi voltai in direzione della voce, ma non c’era nulla. Ero totalmente avvolta dall’oscurità.

«Ecco.» riecheggiò ancora una volta la Voce. «Ora apri gli occhi e guarda!» Non capivo da che parte provenisse. Ogni volta la sua origine cambiava, quasi come se si spostasse costantemente, facendomi girare intorno come una stupida. Mi passai le mani tra i capelli, cercando di mantenere la calma.

Tutto quello che stava succedendo non aveva alcun senso. Era impossibile! Esistevano soltanto due spiegazioni plausibili per questa situazione. O ero diventata matta all’improvviso, tanto da sentire delle voci nella mia testa, o stavo semplicemente sognando e tutto questo non era altro che il frutto della mia immaginazione. Sperai con tutto il cuore che si trattasse della seconda opzione, anche perché in caso contrario non sarei mai riuscita a spiegarmi questa improvvisa degenerazione mentale.

«Ti piace, Denise?»

Sobbalzai a quella frase improvvisa e dovetti portarmi le mani alla bocca per trattenere l’urlo strozzato, quando mi ritrovai la fonte della Voce proprio davanti ai miei occhi. Ero spaventata ed il mio cuore batteva furiosamente, tanto da farmi pensare che presto sarei stata vittima di un infarto prematuro, se non avesse rallentato un po’. Mi concentrai nel fare lunghi e profondi respiri, tentando di tranquillizzarmi, ma senza perdere mai di vista la bambina bionda che mi stava di fronte.

Con una mano prese la collana che teneva al collo e me la mostrò orgogliosa. «Hai visto, Denise?» disse allungando una mano nella mia direzione. Senza che me ne rendessi conto mi abbassai alla sua altezza e lei con un movimento deciso e delicato afferrò il ciondolo che indossavo e lo avvicinò al suo fino a farli combaciare. «Saremo insieme per sempre.» affermò sorridendo lanciando un ultimo sguardo al sole ed alla luna uniti.

Vi prego fate che sia un…

«… sogno.» sussurrai mentre spalancavo gli occhi.

Mi sedetti e lanciai un’occhiata intorno a me e finalmente mi ritrovai a fissare il familiare disordine della mia camera. Il mucchio di maglie abbandonate sulla sedia della scrivania, i libri sparpagliati qua e là insieme alla borsa abbandonata ai piedi del letto mi rassicurarono.

Sono sveglia. Pensai mentre mi sedevo sul materasso, stringendomi le gambe al petto. Il battito del mio cuore rallentò fino a coordinarsi col tempo dell’orologio sul comodino. L’incubo è finito, ora sono al sicuro, sveglia ed in camera mia, non ho più nulla di cui preoccuparmi. Mi ripetevo come un mantra.

 Mi appoggiai con una guancia alle ginocchia e iniziai a fissare il comodino al mio fianco.

Tic.

Nonostante non desiderassi altro che distrarmi e tornare a dormire, non potevo smettere di pensare a quel sogno/incubo. Sembrava talmente reale da farmi credere che fosse successo davvero, nonostante sapessi che era folle il solo pensiero.

Tac.

Anche se… Quella voce, quella bambina… Mi erano familiari ed estranee allo stesso tempo. Non sapevo come spiegarmelo, ma ero certa che l’avevo già vista da qualche parte, solo che in quel momento non ricordavo dove.

Tic.

Il mio subconscio doveva aver riorganizzato tutte queste informazioni e poi le aveva riproposte sotto forma di incubo. O forse ero io a farmi troppe paranoie ed in realtà era solo colpa dello stress degli esami dell’università.

Tac.

Più ci riflettevo, meno ci capivo. Nel sogno portavo un ciondolo a forma di sole, ma io non avevo mai avuto una collana del genere. E poi perché quella bambina si ostinava a chiamarmi…

«Diana! Stai bene?» mi chiese mia madre spalancando la porta. Indossava una semplice vestaglia color panna e la lunga chioma bruna era scompigliata, per un momento mi persi a fissarla, dimenticandomi della domanda. Quella era la prima volta in assoluto che vedevo mia madre in disordine, un evento straordinario per la perfetta e sempre ordinata Sara Fiore.

«Stai bene, Diana?» mi ripeté attirando la mia attenzione. «Ti ho sentita gridare.» mi spiegò con tono preoccupato. «Nulla di grave, un semplice incubo.» liquidai la cosa, mentre cercavo di ricordare quando avessi urlato.

Mia madre non fece ulteriori domande e tornò in camera, dopo avermi consigliato di tornare a dormire. Così per una volta decisi di seguire il suo consiglio senza mettermi a discutere. Ero stanca e volevo solo dimenticarmi quello strano sogno al più presto.

Tornai a coricarmi sotto le coperte e mi abbandonai all’abbraccio di Morfeo. Appena prima di addormentarmi completamente ebbi la sensazione di sentire una mano fresca accarezzarmi la guancia ed una voce sussurrarmi qualcosa.

Un altro sogno?

 

 

 

Ciao!!! Spero che il capitolo sia piaciuto a chiunque sia riuscita ad incuriosire. :) Non è molto lungo, ma visto che non è da molto che scrivo, ho voluto fare una prova e vedere se sono in grado di inventare anche fanfiction più lunghe di una oneshot. Quindi da come avrete capito, questa dovrebbe comprendere qualche capitolo, non so ancora bene quanti perché dipenderà dalla mia ispirazione, purtroppo… >.<

Fatemi sapere cosa ne pensate. :)

Nerys

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Capitolo 2
*** L'Ignoto ***


L’Ignoto

Il sentimento più forte e più antico dell’animo umano è la paura,

e la pura più grande è quella dell’ignoto.

H. Philips Lovecraft

 

Stavo dormendo.

Ne ero certa questa volta, nessun dubbio a tal proposito.

Perché mi trovavo in piedi davanti ad una finestra, di un posto che non conoscevo, ad osservare la notte che avanzava sul bosco circostante la villetta in cui mi trovavo, un paesaggio totalmente differente rispetto a quello che avrei visto da casa mia, dove si estendevano per chilometri palazzi, condomini e strade, niente a che vedere con la natura di quel posto.

Abbassai lo sguardo e vidi una sagoma avvolta in un cappotto pesante che usciva dall’ingresso principale e si inoltrava tra gli alberi, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata alle sue spalle. Chi era? Ora che ci riflettevo, ero rimasta immobile a guardare fuori dalla finestra persa nei miei pensieri senza dare uno sguardo al posto in cui mi trovavo e se fossi sola o in compagnia.

Nonostante i sogni frequenti, non mi era mai capitato di trovarmi in un luogo per così tanto tempo senza che Lei facesse la sua comparsa.

Questo sogno era diverso dai precedenti.

«Cosa guardi Denise?» mi domandò una voce alle mie spalle, facendomi sobbalzare e voltare di scatto. Ed ecco che la bionda fece la sua apparizione. Le labbra piegate in un sorriso allegro, tanto da farmi chiedere se conoscesse la tristezza o per lei fosse soltanto un concetto astratto, mai provato.

Il suo sguardo indugiò per qualche minuto sul paesaggio al di là del vetro, prima di individuare la sagoma che si allontanava nel bosco; immediatamente il sorriso abbandonò il suo viso per lasciar posto ad un’espressione seria e preoccupata. La fissai per tutto il tempo, studiandola e cercando di capire cosa le passasse per la testa, ma senza riuscirci.

Chi sei?, provai a chiederle, ma quello che dissi fu altro. «Cosa c’è?»

L’attenzione della ragazza, perché in questo momento non poteva avere più di diciassette anni, si spostò di nuovo su di me tornando a sorridere, come se niente fosse successo. «Cosa ci fa fuori? A quest’ora nel bosco!» domandai ancora una volta con un tono allarmato.

Sentii i brividi risalirmi lungo la schiena. Come avevo potuto non accorgermene fino ad ora? La voce era la mia ed erano state le mie labbra a muoversi, ma non ero stata io a deciderlo…

Non avevo alcun controllo sul mio corpo! Non ero mai stata io a guardare fuori dalla finestra, non ero io a parlare con Lei… Era qualcun altro! Ma chi?

Non ebbi modo di scoprirlo perché mi stavo svegliando. La bionda era già sparita, mentre il corridoio in cui mi trovavo si stava dissolvendo, tutto ciò che rimaneva era uno specchio in stile barocco a qualche metro da me. Mi avvicinai e…

 

Mi svegliai di colpo spaesata ed aggrovigliata tra le lenzuola del mio letto con un senso di vuoto nel petto. Mi sedetti sul materasso e con una mano mi portai indietro le ciocche castane che mi erano finite davanti al viso durante il sonno agitato. Avevo voglia di ridere, ridere per tutta questa situazione assurda ed inspiegabile, però se lo avessi fatto sarei sembrata ancora più pazza, così mi trattenni.

Ormai era diventata questa la mia routine delle ultime settimane. Mi addormentavo, sognavo quella donna e mi svegliavo nel bel mezzo della notte con le lacrime agli occhi ed una strana sensazione di vuoto addosso. La protagonista di quei sogni era sempre Lei, poco importava che cambiasse aspetto, passando da bambina a donna, riuscivo sempre a riconoscerla, come se lo avesse scritto in fronte. Avrei potuto chiamarlo istinto, ma avrei mentito; non sapevo nemmeno io come definirlo… Lo sapevo e basta.

Sempre allegra e solare, così come lo erano le vicende che sognavo, anche se più di una volta li avevo trovati più simili a ricordi che vere e proprie creazioni della mia immaginazione. I luoghi erano troppo definiti e quasi tangibili, rispetto ai tipici posti sfocati che visitavi nel sonno e da sveglia ricordavo tutto, non soltanto flebili spezzoni, ma tutto quello che avevo visto e fatto. Com’era possibile?

Ma non erano finite qua le stranezze… C’erano anche le emozioni contrastanti che mi suscitava la sua sola presenza… Rimorso, tristezza e disperazione. Totalmente in disaccordo con quegli eventi felici che continuavo a vivere nel sonno. E adesso scoprivo anche di non aver nessun controllo sul mio corpo nel mio sogno…

Cosa mi stava succedendo?

Una volta avevo provato a discuterne con mia madre e lei si era subito avvicinata con uno sguardo preoccupato, mentre con gentilezza mi aveva portato una mano alla fronte. «Eppure non sembra tu abbia la febbre…» aveva borbottato. Da quel momento decisi di tenermi questi strani sogni per me. Non volevo che mi prendesse per pazza come nonna.

Mi rigirai tra le lenzuola, cercando di addormentarmi e cadere in un sonno profondo e privo di sogni.

C’ero quasi riuscita quando sentii qualcosa raschiare il vetro della finestra. Rimasi immobile con gli occhi spalancati e trattenendo il respiro.

Me lo sono immaginata. In realtà sto già dormendo e questo è solo un altro frutto della mia mente, stressata a causa degli ultimi esami.

Mi ero quasi convinta quando sentii di nuovo qualcosa graffiare alla finestra. Mi strinsi maggiormente tra le coperte, avvicinandole al volto e cercando di nascondermi il più possibile. Era una difesa inesistente se quella cosa dall’altra parte del vetro aveva davvero degli artigli o era armata, ma mi dava un minimo di sicurezza, come se riuscisse a rendermi invisibile.

I graffi continuarono per qualche minuto, facendomi sobbalzare ogni volta. Se era un incubo, volevo svegliarmi il più presto possibile!

Poi il rumore fu sostituito da un lungo ed assordante silenzio. Il solo battere forsennato del mio cuore sembrava rimbombare nella stanza. Cos’era successo? Se n’era andato? Ero al sicuro?

Rimasi ancora una volta immobile nel mio letto in attesa di qualcosa che mi facesse capire di potermi tranquillizzare, ma non successe nulla. Così tentai di riaddormentarmi, ma nemmeno quello funzionò. Dovevo essere assolutamente certa che quella cosa fosse sparita in modo permanente, quindi non avevo altra scelta che controllare di persona.

Con lentezza e in silenzio mi avvicinai al muro, lungo il quale strisciai fino ad arrivare alla finestra. Presi un respiro profondo e poi sbirciai, esponendomi il minimo indispensabile.

Il buio della notte accompagnato da qualche lampione che illuminava la strada sotto casa e qualche casa, ecco cosa avevo visto. Nulla di strano o di anormale. Con un sospiro di sollievo mi lasciai scivolare a terra, mentre un sorriso si delineava sulle mie labbra.

«De-ni-se… Deni-see… De-nise…» gracchiò una voce dall’altra parte del vetro seguito da uno stridio. Il sangue nelle vene si gelò ed iniziai a sudare freddo. Non è possibile, pensai sentendo che gli occhi cominciavano a pizzicarmi e bruciarmi.

 «De-ni-se… Deni-see… De-nise…» ripetè un’altra volta ed io non resistetti. Alla fine cosa poteva esserci peggiore dell’ignoto? La risposta fu fulminea, non appena i nostri occhi si incontrarono.

Lui!

Occhi privi di orbite ed una bocca grande piena di denti affilati, come quelli di uno squalo.

Un lungo artiglio graffiò il vetro della finestra, mentre quella cosa inclinava la testa per fissarmi meglio.

«Ti ho… Trovata… De-ni-se…»

Strinsi le gambe al petto e mi tappai le orecchie con le mani serrando gli occhi.

Non volevo vedere.

 

 

 

Ciao!!! Ed eccomi col secondo capitolo! :)

Vi lascio di nuovo con un altri interrogativi… Chi è Denise? Perché Diana continua a fare sogni con questa ragazza bionda? Chi è? Perché sono cominciati proprio ora? Cosa è la cosa che sta spaventando Diana? Ma soprattutto… Riuscirò a pubblicare anche il prossimo capitolo senza farvi aspettare troppo? Lo spero!!! XD

Comunque voglio ringraziare tutti quelli che hanno letto il capitolo precedente e tutti coloro che leggeranno anche questo!!!

E continuate a farmi sapere cosa pensate dell’andamento della storia.

Nerys.

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Capitolo 3
*** Ossessione? ***


Eccomi ritornata!!!

Prima di passare al capitolo devo chiedere assolutamente scusa per questo mostruoso ritardo, purtroppo non ho avuto molto tempo per scrivere in questo ultimo mese. -.-“

Ho cercato di farmi perdonare scrivendo un capitolo un po’ più lungo con un bel colpo di scena! Ma non voglio anticiparvi nulla, quindi vi lascio alla lettura!!! :)

Ringrazio chi ha recensito e tutti coloro che stanno leggendo la storia. Spero che continuerete a seguirmi e prometto che il prossimo aggiornamento non sarà il prossimo mese, ma prima!!! :)

Kiss,

Nerys.

 

 

Ossessione?

Non riesco a liberarmi

del tuo fantasma.

Per quanto distolga lo sguardo

continuo a vederti.

Non posso spezzare

il legame che ci ha unito.

Per quanto non ascolti

continuo a sentire la tua voce.

La tua ombra discreta

mi accompagna dappertutto.

Il tuo morbo mi ha infettato

e per quanto abbia cura di me

non riesco a guarire.

Ossessione, Jim Morrison

 

Il rumore degli artigli contro il vetro continuò per quelle che mi parvero ore. Quella cosa non sembrava intenzionata a sfondarlo per entrare, ma doveva divertirsi un mondo a vedermi sobbalzare ad ogni unghiata.

Lentamente aprii gli occhi e spostai le mani dalle orecchie, cercando di fare il minor numero di movimenti possibili per non rischiare di agitarlo in qualche modo. Quell’essere non mi aveva ancora staccato gli occhi di dosso e continuava a chiamarmi Denise, ripetendo sempre la stessa frase come se fosse un mantra.

«Ti ho… Trovata… De-ni-se…» gracchiò per l’ennesima volta, ma a parte quelle parole ed i graffi sul vetro, non diede mai segno di voler entrare. Se ne stava semplicemente appollaiato sul cornicione ad osservarmi, della finestra senza perdermi di vista.

Lo studiai per qualche secondo dal mio “rifugio”.

Il suo volto e la sua pelle erano bianche, in forte contrasto con il buio della notte, invece gli occhi, due fosse scure, davano l’idea di seguire ogni mio più piccolo spostamento, nonostante fosse privo di orbite, il sorriso che si estendeva sul volto era composto da un numero indefinibile di denti, piccoli ed affilati, come quelli di uno squalo, mentre il resto del corpo era ricoperto da uno smoking rosso abbinato ad una camicia nera. Una scelta insolita, mi ritrovai a pensare, quasi dimentica che quell’essere pareva essere qui per me…

Avvicinò la mano artigliata al vetro più vicino a me.

«Vieni… Con me… Deni-se…» canticchiò in modo grottesco ed inquietante. «La padrona… Lei ci aspetta…»

Arretrai quando lo vidi allungare quell’artiglio nella mia direzione, soffocando un urlo. Quella cosa non si doveva avvicinare, non volevo che mi toccasse e, purtroppo non avevo nessuna certezza che non riuscisse ad entrare nella stanza. Gli artigli graffiarono per l’ennesima volta, quando sentii un rumore secco provenire dalla finestra. L’essere pallido era sparito ed adesso al suo posto si stagliava un’altra figura, sembrava quella di una ragazza magra con una lunga treccia bionda.

Qualcosa di lei mi rassicurò, tant’è che mi alzai da terra e mi avvicinai di nuovo alla vetrata, incurante che la creatura di prima potesse essere ancora lì nascosta da qualche parte in attesa di una mia mossa.

Una folata di vento le spostò i capelli e fece oscillare la collana che indossava, facendola brillare alla luce lunare. Il ciondolo era una mezzaluna argentata. La fissai attonita. «Com’è pos…» non terminai la frase che lei si lasciò cadere di sotto, facendomi trattenere a stento un urlo sorpreso. Subito aprii la finestra e guardai in basso, ma non vidi niente, soltanto la strada vuota e qualche lampione ad illuminarla, sia la ragazza bionda sia quel mostro erano spariti.

Quella notte non riuscii a dormire, la passai stringendo forte le coperte e con gli occhi ben serrati, sperando con tutto il cuore che fosse stato tutto frutto della mia mente…

 

Il rumore della porta che sbatteva mi svegliò di colpo, facendomi sobbalzare nel letto. Con lo sguardo assonnato guardai in giro per la stanza e vidi Lei in piedi davanti alla finestra. «Cos’è stato?» le domandai con la voce arrochita dal sonno e la mente ancora addormentata.

Lei si voltò nella mia direzione e mi sorrise incerta. «Tranquilla Denise. Era solo il vento che ha fatto sbattere delle persiane.» mi rassicurò senza accennare a spostarsi dalla finestra. La guardai scettica, ma evitai di controbattere. Non erano le persiane, ne ero sicura. Qualcuno era uscito dal portone d’ingresso ed il vento lo aveva chiuso di scatto.

Perché mi aveva mentito? Che motivo aveva? Chi era uscito?

In casa eravamo solo io, lei, mamma e qualche domestico…

Mi sedetti meglio sul letto e battei con la mano sul materasso per invitarla a prendere posto al mio fianco. Era ancora buio e vederla guardare fuori con quell’inquietudine negli occhi non mi faceva stare tranquilla. La vidi tentennare un momento, mentre alternava lo sguardo tra me e la vista oltre il vetro, ma alla fine si arrese e prese posto al mio fianco. Era nervosa e non riusciva a distogliere lo sguardo per troppo tempo dalla finestra.

Mi sporsi verso di lei e l’abbracciai stretta. «Ci sono io…» le sussurrai.

 

Un colpo al braccio mi svegliò di soprassalto, facendomi sbattere la testa su una superficie solida. Da quando il letto era diventato così scomodo e duro? Mi portai una mano alla parte lesa e la strofinai, mentre con l’altra mi strofinai gli occhi. «Che diavolo…» sussurrai dolorante.

Lanciai un’occhiata in giro, ero circondata da lunghi banchi ed una lavagna attaccata al muro, un’aula gremita di ragazzi attenti che scrivevano in maniera quasi maniacale su fogli, quaderni, pc o tablet. Li guardai confusa.

Stavo ancora dormendo?

Un secondo colpo al braccio attirò la mia attenzione, costringendomi a girarmi verso sinistra. Una ragazza dai lunghi capelli neri mi fissava con un misto di ansia e rassegnazione dipinto in viso. «Alleluia…» sospirò, mentre con una mano si sistemava gli occhiali che indossava.

«Cassie?» domandai ancora intontita dal sonno. Cosa ci faceva lei qui?

Con un gesto rapido mi diede un pizzicotto sul braccio per poi tornare a voltarsi verso la lavagna e tormentarsi con la mando destra un boccolo, mentre con la sinistra riprendeva a scrivere. La guardai sconvolta.  «Che ti prende?» le chiesi. «Mi hai fatto male…»

«È colpa tua!» affermò lei convinta, continuando la sua tortura a quella povera ciocca di capelli. Era decisamente nervosa e straripava ansia da tutti i pori e questo non era mai un buon segnale… Dopo sette anni di amicizia avevo iniziato a conoscerla e tutte le volte che lei si trovava in uno stato del genere di solito significava che si avvicinavano dei problemi… Per me, la maggior parte delle volte…

«Vorrei ricordare a chiunque trovasse la mia lezione noiosa o inutile che può uscire serenamente dalla sala senza disturbare chi ha piacere di seguire.» disse una voce austera alle mie spalle, mi girai e mi trovai il professore di Letteratura Italiana in piedi a pochi passi da me con uno sguardo tutt’altro che conciliante…

Merda! Mi sono addormentata in aula… E lui se n’è accorto!

 

«Dovevi dirmelo che era dietro di me…» accusai Cassie mentre mi spettinavo con un gesto nervoso i capelli. Mi ero appena fatta riprendere dal professore più severo dell’università davanti all’intero auditorium… Potevo solo sperare che non fosse troppo fisionomista e si dimenticasse al più presto il mio volto.

«Avevi solo da non addormentarti durante la lezione…» ribatté lei semplicemente, mentre rispondeva rapida ad un messaggio del suo nuovo ragazzo, Alessio… Alex… Non riuscivo proprio a ricordarmi il suo nome, ma poco importava… Si sarebbe stufata presto di lui e lo avrebbe lasciato, dunque era inutile memorizzare il suo nome. Quella ragazza era incoerente, credeva cecamente nell’Amore con la A maiuscola, ma si gettava sempre in relazioni di breve durata con ragazzi per cui non provava altro che attrazione.

Ma infondo chi ero io per giudicarla? Non facevo che sognare una strana ragazza bionda e vedere un mostro che si divertiva un mondo a graffiarmi la finestra. Una malata di mente in parole povere…

«Non lo faccio apposta, solo che sono settimane che non riesco a riposare decentemente. Penso di aver riposato sì e no una decina di ore negli ultimi quattro giorni.» spiegai mentre mi accasciavo sul tavolino de L’Eclissi, un bar poco distante dall’Università che frequentavamo in continuazione tra una lezione e l’altra. Ormai era diventata quasi una seconda casa.

Non era molto grande, ma mi aveva sempre incuriosita il modo in cui l’avevano arredato e dipinto le pareti: erano riusciti a raffigurare un eclissi talmente bene da sembrare reale, mentre il mobilio riprendeva quanto possibile i colori brillanti del sole quanto quelli scuri della notte. Inoltre l’atmosfera era confortevole e lo staff simpatico. Di tanto in tanto, quando c’era Leo, trovavamo già al nostro tavolo la colazione: tè ai frutti rossi e muffin al cioccolato per Cassie e un cappuccino formato extra large con croissant alla crema per me.

Eravamo fin troppo abitudinarie…

Con quella frase attirai immediatamente l’attenzione della mia amica, che in un batter d’occhio chiuse il cellulare e lo ritirò nella borsa.

Era rimasta rapita dai racconti sui sogni che mi ossessionavano la notte, mandando in fumo tutte le mie preoccupazioni riguardo le sue possibili reazioni. Nella migliore delle ipotesi mi ero immaginata che mi avrebbe data della pazza o mi chiedesse se stavo scherzando, invece lei si era seduta sul pavimento della mia camera e mi aveva ascoltata tutto il tempo senza interrompermi.

«Ancora quegli incubi?» mi chiese curiosa.

Già… Incubi…

Quando gliene avevo parlato avevo omesso la parte in cui quella cosa spaventosa aveva scambiato per un tira graffi la mia finestra…

«Non finiscono mai, ma quella ragazza è sempre…» mi interruppi di colpo fissando la vetrina del bar.

Una ragazza con una lunga treccia bionda si era appena fermata davanti alla porta del bar, sbirciando all’interno. Appena si girò nella mia direzione abbassò i grandi occhiali da sole, rivelando un paio di occhi azzurri che parevano leggermi dentro. Dimenticai di respirare mentre mantenevo lo sguardo fisso su di lei.

Non era possibile… Anche se dopo ciò che era successo la scorsa notte non mi sarei dovuta più stupire di nulla.

La ragazza sorrise e mi salutò con la mano, prima di voltarsi ed andarsene contenta. Senza accorgermene del tutto mi alzai dal tavolo del bar e mi lanciai verso la porta d’uscita, la spalancai e corsi dietro alla bionda, sotto lo sguardo scioccato di Cassie.

Aveva appena svoltato l’angolo ed io la seguii subito. Fu inutile, perché ormai era sparita nella folla di gente che si aggirava per le strade. L’avevo persa di vista…

«Diana!!! Diana!!! Si può sapere cosa ti è preso?» urlò Cassie raggiungendomi alle spalle e facendomi voltare nella sua direzione. «Mi devi delle spiegazioni. Ora!» affermò decisa ed agitata.

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Capitolo 4
*** L'Amicizia... ***


Ehilà!!! Eccomi tornata :)

Scusate sono un po’ di corsa >.<, quindi non mi resta che augurarvi buona lettura. Se avete voglia fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo e di come trovate la storia fino a questo punto! XP

Un grazie enorme a chi ha recensito e a chi, nonostante i miei ritardi, continua a seguire la mia storia!!!

Kiss,

Nerys <3

 

L’Amicizia…

 

Quegli amici che hai e la cui amicizia hai messo alla prova, aggrappali alla tua anima con uncini d’acciaio.

William Shakespeare

 

 

«Bene. Che ne dici di ricominciare dall’inizio, ma senza saltare alcun dettaglio?» mi domandò la mia amica sdraiandosi sul morbido tappeto nella mia stanza, mentre io mi appollaiavo sulla sedia girevole vicino alla mia scrivania e giocherellavo con la collana che portavo al collo cercando di trovare le parole per spiegarle tutto.

Non era facile.

Un conto era raccontarle di incubi che mi tenevano sveglia la notte…

Un altro era dirle che avevo visto una creatura terrificante abbarbicata alla mia finestra e poi la stessa donna bionda che infestava i miei sogni davanti alla porta del bar…

Stavolta mi avrebbe presa per certo per pazza o psicotica, quindi che male c’era nel cercare di temporeggiare un po’? Forse dopo oggi non mi avrebbe più rivolto la parola, non era normale cercare di evitare di perdere un’amica a cui tenevo veramente?

«Quando hai voglia di incominciare a spiegare…» mi esortò Cassie tamburellando con le dita sul palchetto.

Durante tutto il tragitto dal bar a casa mia non aveva spiccicato parola, limitandosi a fare strada e rispondere a qualche messaggio di tanto in tanto. Solo in un’occasione aveva aperto bocca, vale a dire quando aveva chiamato sua madre per dirle che sarebbe rientrata tardi e di non aspettarla per cena. Dopo di che si era chiusa in un ostinato silenzio lanciandomi qualche occhiata ogni tanto.

«Come ti avevo già detto sono settimane ormai che non dormo più a causa degli incubi...» iniziai a raccontare, mentre giocherellavo con una matita per cercare di scaricare l’agitazione e la preoccupazione perciò che sarebbe successo una volta che avessi terminato di spiegarle. «All’inizio avevo pensato che fosse tutta colpa dello stress dell’università, ma… Gli esami sono finiti da più di due settimane ed i miei sogni sono continuati.» affermai battendo ritmicamente la matita sulla scrivania ed evitando accuratamente il volto di Cassie.

«Ogni notte diventano sempre più dettagliati e vividi, tanto da non sembrare nemmeno più sogni. Nemmeno Lei… - Ti ricordi la ragazza bionda di cui ti avevo parlato? - Più la sogno, più l’idea che sia frutto della mia mente, mi sembra impossibile. Non so spiegartelo, ma è come se lei fosse una persona reale, non una mia creazione, ma un essere umano come te e me.» tentai di spiegarle. «Il suo comportamento è troppo umano e le sue reazioni e azioni troppo incoerenti. Non riuscirei mai ad immaginarla così perfettamente durante il sonno.» Conclusi voltandomi nella sua direzione per vedere come stava prendendo quel piccolo frammento di verità, che mi aveva obbligata a spiattellare.

Cassie era ancora sdraiata sul tappeto con gli occhi fissi su di me e un’espressione indecifrabile in volto, gli occhiali li aveva alzati sul capo, tenendo indietro i boccoli neri e mettendo in mostra gli occhi scuri che mi scrutavano affamati di mistero. «Il peggio è successo ieri sera…» dissi lasciando cadere la matita sul tavolo e girandomi con la sedia di fronte alla mia amica. «Non mi crederai, ma lasciami raccontare fino alla fine, dopo di che potrai dirmi tranquillamente quanto sembro pazza.» le promisi, lei fece un semplice cenno del capo, intenzionata a non aprir bocca per evitare di cambiar discorso.

«Come al solito ieri sera stavo faticando a prendere sonno, quando finalmente ero a metà fra il dormiveglia ed il sonno profondo, ho sentito dei strani rumori vicino alla finestra. Subito pensavo che stessi già sognando, ma quando mi sono resa conto che ero ancora sveglia, ho deciso di alzarmi per andare a controllare e…» deglutii e mi passai una mano sugli occhi. «… c’era una creatura dalla pelle bianca, due fosse scure al posto degli occhi, denti piccoli ed affilati ed indossava uno smoking rosso con camicia nera. Stava appollaiato sul davanzale e graffiava il vetro della finestra con degli artigli lunghi e taglienti, chiamandomi senza sosta Denise e dicendo che la sua padrona ci stava aspettando…»

Gli occhi di Cassie si allargarono ascoltando il mio racconto, ma non mi interruppe.

«Pensavo davvero che da un momento all’altro sarebbe riuscito ad entrare in casa e non ho voluto immaginare nemmeno per un secondo cosa mi avrebbe potuto fare. Per fortuna non ne ha avuto il tempo. Una donna è arrivata e lui è scomparso immediatamente. Non l’ho vista in volto, mi dava la schiena, ma aveva una lunga treccia bionda ed è sparita subito dopo.»

Conclusi in questo modo il mio monologo e poi rimasi in silenzio in attesa.

«E oggi? Per quale motivo sei scappata da L’Eclissi?» domandò semplicemente mantenendo un tono di voce atono e senza tradire alcuna emozione. Distolsi lo sguardo dal suo e presi a aprire/chiudere il cinghietto dell’orologio in un gesto nervoso.

«C’era una ragazza…» mi bloccai un momento incerta su come continuare. Avrei potuto mentire per salvaguardare tutto ciò che restava della nostra amicizia e non farla scappare a gambe levate, ma così avrei tradito la sua fiducia e sarebbe stato anche peggio…

Quando avevamo cominciato a conoscerci c’eravamo soltanto promesse una cosa: assoluta sincerità; tutto il resto era facoltativo e passava in secondo piano. Entrambe, in passato, non avevamo avuto fortuna per quanto riguardava le amicizie…

Lei era stata buttata fuori dal suo gruppo dopo che l’ultima arrivata l’aveva messa in mezzo nella sua relazione con il fidanzato di una vita, accusandola di aver fatto la cascamorta con lui…

Io avevo iniziato ad allontanarmi di mia iniziativa dal mio gruppetto, quando le avevo scoperte a sparlare su di me. Solo in quel momento mi ero resa conto quanto per loro fosse superficiale la nostra amicizia...

Da ciò si può intuire a che livelli storici fosse la nostra fiducia nel prossimo… Poco da stupirsi che uno dei valori fondamentali su cui si basava il nostro rapporto fosse proprio la sincerità. Avevamo sempre pensato che sarebbe stato meglio dirci sempre cosa ci passava per la testa e scontrarci di tanto in tanto, piuttosto che costruire un legame falso e superficiale! Quindi ora non mi restava che una sola scelta…

«Ho visto la ragazza del mio sogno fuori dal porta del bar. Sbirciava dentro dalla porta e mi ha sorriso…» sussurrai con tono incredulo, pure io faticavo ancora a crederci, quindi non l’avrei biasimata se mi avesse ritenuta una bugiarda.

Sbirciai con la coda dell’occhio nella sua direzione in attesa di una sua sfuriata, dove mi avrebbe accusata di mentire e di quanto non fossi troppo diversa dal suo vecchio gruppo, ma non successe niente.

Era rimasta immobile per diversi minuti con gli occhi persi nel vuoto, stava metabolizzando tutte le informazioni che le avevo dato. Poi con assoluta calma si sedette sul tappeto e abbassò gli occhiali aggiustandoseli, mentre io trattenevo il fiato aspettando che scoppiasse a ridere e mi dicesse che ero diventata matta da legare.

Le mie preoccupazioni furono del tutto inutili, dato che la sua reazione fu del tutto imprevedibile e scioccante. La mia amica incrociò le gambe davanti a sé e mi sorrise. «Ce l’hai ancora la brandina?» mi chiese allegra. «Abbiamo una lunga notte davanti e, se succede qualcosa, non me lo voglio perdere!» affermò decisa.

Ok.

Era solo una mia impressione o avevo un’amica davvero anomala?

No, perché io le avevo appena raccontato di soffrire di incubi inspiegabili e, probabilmente, di allucinazioni terrificanti e lei mi guardava eccitata davanti alla prospettiva di esserne partecipe, mentre una persona normale mi avrebbe dato della pazza e mi avrebbe consigliato delle visite da un bravo psicologo!

Forse non mi sarei dovuta preoccupare troppo di quella creatura con un gusto per la moda alquanto discutibile, ma piuttosto della ragazza che parlava entusiasta davanti a me…

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Capitolo 5
*** Scoperte ***


Scoperte

 

Ogni scoperta contiene un elemento irrazionale, o un’intuizione creativa.

Karl Raimund Popper

 

Non capivo dove mi trovavo, ma, sinceramente, non mi importava davvero. Dovunque fossi, ero certa di essere al sicuro, protetta... Avvolta in un caldo abbraccio, delicato e forte allo stesso tempo, senza accorgermene mi accoccolai meglio tra quelle braccia lasciandomi scappare un sorriso.

Una leggera carezza mi percorse il viso per poi scendere lungo il collo. Percependo il cambio di direzione, provai a mantenere la calma ed ignorai la mano, che con lenti movimenti circolari, mi stava facendo impazzire. Mi morsi il labbro inferiore e feci un respiro profondo, ma alla fine non resistetti a lungo. Infatti il mio aguzzino doveva conoscermi molto bene, perché non si lasciò ingannare da questo mio atteggiamento e continuò con quella lenta tortura.

Quando raggiunsi il mio limite, mi allontanai quanto possibile, data la stretta ferrea all’altezza del bacino. «Bastaaaa…» biascicai con la voce impastata dal sonno, mentre con una mano recuperavo le coperte e con l’altra tentavo di difendermi da quell’attacco…

«Dai, Amore…» sussurrò una voce roca maschile. «È ora di alzarsi… Tua sorella è già arrivata.»

«Non è vero… Arriverà domani. Ti prego, Luca… Ancora mezzoretta!!!» mi lamentai ad occhi chiusi stringendo il cuscino davanti al viso.

Lo sentii mollare la presa ed allontanarsi, permettendomi di fare un bel respiro profondo e di rilassarmi. Purtroppo quella calma apparente ebbe breve durata, infatti poco dopo mi saltò letteralmente addosso ripartendo alla carica col solletico e togliendomi il respiro, a causa delle risate che non riuscivo a trattenere e che spingevano per uscire dalla mia bocca. Era una reazione troppo forte perché potessi controllarla.

«M-mi… Ar.. Ar-rendo…» dissi tra un respiro ed una risata. «Come desiderate mia dolce signora…» rispose lui ed io mi voltai verso di lui per essere sicura che non mi prendesse ancora in giro. I suoi occhi scuri parevano brillare mentre si portava una mia mano alla bocca e si promuoveva in un perfetto baciamano. Non potei trattenere un sorriso davanti a quel suo comportamento così teatrale.

Non conoscevo quell’uomo con cui sembravo avere una relazione, ma di tanto in tanto avevo la netta impressione di averlo già visto. Solo che nella situazione in cui mi trovavo ora, non avevo idea come distinguere ciò che apparteneva alla mia realtà da ciò che sapevo nel sogno.

Luca mi diede un leggero bacio sulle labbra e si alzò dal letto dirigendosi verso la porta, dove si fermò per un momento girandosi nella mia direzione.

«In ogni caso non stavo scherzando prima…» affermò con un’espressione seria in volto, lasciandomi perplessa. «Tua sorella è davvero qui sotto… È sembra piuttosto inquieta.» concluse spalancando l’uscio e sorpassandolo.

Rimasi immobile nel letto per qualche istante, mentre la mia mente elaborava ciò che avevo appena visto, sentito e… Vissuto. Era chiaro che stavo sognando, anche se non ricordavo il momento esatto in cui la stanchezza aveva avuto il sopravvento sulla mia mente. Prima di crollare stavo parlando con Cassie di tutto ciò che mi era capitato negli ultimi tempi, cercando insieme la fonte di tutti questi incubi improvvisi ed irrazionali, ma non eravamo arrivate a niente…

Ma non era quello il punto.

Ciò che mi preoccupava in quel momento era che, come tutte le altre volte, non avevo alcun controllo sul mio corpo. Tutte le volte che aprivo bocca o facevo un movimento, non ero davvero io a parlare o muovermi… Sembrava che fossi intrappolata all’interno del mio stesso corpo, come muta spettatrice davanti ad uno spettacolo di cui non conoscevo che dettagli inutili…

Ad esempio il nome dell’uomo che mi aveva svegliata, Luca. Ero certa che quello fosse il suo nome, ma non avevo idea di chi potesse essere per me: un amante o forse qualcosa di più data la confidenza che si era preso nei miei confronti…

Dovevo avere delle risposte, non si poteva andare avanti soltanto per ipotesi ed intuizioni.

Con calma mi sedetti sull’enorme letto matrimoniale incrociando le gambe e riflettendo su ciò che Luca mi aveva appena detto. “Mia sorella” mi stava aspettando al piano di sotto…

C’era solo un piccolissimo dettaglio.

Ero figlia unica.

Più pensavo a questa fantomatica sorella più il volto della bionda mi ritornava prepotente in mente.

Alla fine il mio corpo si decise ad alzarsi dal materasso, raccattò una vestaglia dal cassetto e si precipitò di sotto, mentre tra uno scalino e l’altro indossava la veste.

Quando varcai la soglia del salone, trovai ad aspettarmi Luca affiancato da una giovane donna dai lunghi capelli biondi che mi dava le spalle. Erano talmente coinvolti nella loro conversazione che non si accorsero immediatamente del mio arrivo.

«Ora sì che sono sorpresa. Mi avevi detto che saresti stata impegnata in questi giorni… Come mai questa visita anticipata? È successo qualcosa?» domandò la mia voce con tono concitato.

La bionda si voltò verso di me e rividi il viso della sconosciuta del bar e della donna che ossessionava le mie notti, solo che stavolta dal suo sguardo trapelavano un mix di sentimenti contrastanti: sollievo, inquietudine e paura.

Cosa diavolo era successo?

«Denise…» mormorò mentre una lacrima le rigava la guancia. Non me lo feci ripetere due volte e mi avvicinai a lei, avvolgendola in un caldo abbraccio. Da sopra la sua spalla scambiai una rapida occhiata con Luca e lui senza dire una parola lasciò la stanza, permettendoci un po’ di intimità.

«Selene…» richiamai la sua attenzione. «Cosa ti ha sconvolta tanto?»

Selene alzò il capo e puntò i suoi occhia azzurri nei miei. «…»

Non sentii la risposta perché la mia attenzione venne attratta da un’altra voce familiare.

«Diana!» imprecò una ragazza. «Per l’amor del cielo svegliati!»

«Cassie?!» domandai.

Tutto intorno a me cominciò a svanire per essere divorato dall’oscurità, solo uno specchio ancorato alla parete opposta della stanza si salvò, rimanendo sospeso in aria ed avvicinandosi sempre di più fino a che iniziai ad intravedere la vestaglia che indossavo ed alcune ciocche castane, ma niente di più.

Ad un tratto anche lo specchio venne inglobato dal buio ed io aprii gli occhi.

 

Due buchi neri mi osservavano dal soffitto, facendomi perdere un battito ed obbligandomi a trattenere un urlo.

 

 

 

 

 

 

 

Buonasera a tutti!!!

Eccomi tornata e stavolta addirittura in anticipo rispetto al solito! Da adesso in poi spero di riuscire ad aggiornare questa storia ogni due settimane! Questa settimana è un’eccezione perché in realtà la prossima settimana non avrò molto tempo per scrivere, quindi mi sono data da fare in questi giorni. :)

Bene, detto questo, torniamo al capitolo.

Come avete letto finalmente ci sono state delle scoperte, da qui il titolo, riguardo alla bionda che perseguita i sogni di Diana. XD

Contenti? Finalmente è stata scoperta l’identità della bionda che perseguita i sogni di Diana.

Non so se era questo che vi aspettavate e mi piacerebbe sapere cosa vi eravate immaginati!

Comunque le sorprese non sono finite qui…

Ma per scoprire cosa succederà dovrete leggere il prossimo capitolo. :P

Un bacio,

Nerys

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Capitolo 6
*** Senza Via d'Uscita ***


Ciao a tutti! <3

Voglio incominciare col scusarmi per il più che enorme ritardo con tutti coloro che stanno leggendo questa storia e con chi ha anche recensito, purtroppo in questi ultimi mesi ho avuto qualche problema sia con l’inventiva sia col tempo a disposizione per scrivere.

Da ora in avanti spero di essere più puntuale e presente! Scusatemi ancora T.T

Ora vi lascio al capitolo.

Nerys

 

Senza Via d’Uscita

Scappare o combattere?

Non sempre la scelta è così scontata, tante volte la paura ti paralizza.

 

 

Due buchi neri mi osservavano dal soffitto, facendomi perdere un battito ed obbligandomi a trattenere un urlo.

 

 

Era tornato per me.

Era tornato per portarmi via.

Era tornato per trascinarmi dalla sua padrona.

Davanti a quelle constatazioni mi ritrovai incapace di respirare, per un attimo ero riuscita a dimenticare tutta quella folle situazione in cui mi ero ritrovata e di quanto fosse opprimente il suo sguardo buio ed impenetrabile. Durante il giorno passato all'università in compagnia di Cassie tutto quello che era successo la notte precedente mi era parso più simile ad un sogno che alla dura realtà...

Tutto ciò insieme non faceva che aumentare il terrore, che piano piano si stava insediando nella mia mente. La salivazione era azzerata e la gola secca mi rendeva difficile deglutire.

Quella cosa, nel frattempo, continuava a starsene immobile attaccata a testa in giù dal soffitto della mia camera, studiandomi attentamente con il capo leggermente inclinato da un lato.

Come aveva fatto ad entrare? Aveva spaccato il vetro della finestra? O aveva deciso di scardinare la porta d’ingresso? Ero certa che entrambe le ipotesi fossero validissime, ma non avevo il coraggio di distogliere lo sguardo da quella presenza, per scoprire quale delle due avesse scelto per entrare. E poi la possibilità di seguire i suoi spostamenti con lo sguardo mi rassicurava, anche se il mio corpo era immobilizzato dalla paura.

«Ti ho… Trovata… De-ni-se…» gracchiò allargando le labbra in quello che doveva essere un sorriso. Non riuscii a trattenermi dal rabbrividire davanti a quello spettacolo di denti affilati tutti in bella vista, mentre il cuore non faceva che martellarmi nel petto.

Lo vidi allungare un artiglio affilato nella mia direzione in un chiaro invito ad afferrarglielo. Di riflesso piantai le unghie nel materasso mentre guardavo quell’artiglio oscillare pericolosamente all’altezza del mio stomaco, se per un qualsiasi motivo avesse perso l’equilibrio o la presa al soffitto, mi avrebbe sicuramente trafitta.

«Vieni… Con me… Deni-se…» canticchiò in modo grottesco ed inquietante. «La padrona… Lei ci aspetta…»

Tremavo di paura ad averlo ad un metro di distanza ed ero ancora confusa dal brusco risveglio per capire appieno cosa stesse succedendo, ma, nonostante tutto questo, l'idea di afferrare quella specie di mano non mi sfiorò mai la mente.

Davanti al mio rifiuto lo vidi avvicinarsi ancora un po', fino a sfiorarmi il collo con l'artiglio. «La padrona… Ci aspet-ta…» cercò di sollecitarmi passandosi la lingua nera sui denti affilati.

Un conato di vomito mi risalì dalla bocca dello stomaco, fortunatamente riuscii a fermarlo prima che fosse troppo tardi.

Intanto quella creatura era scesa lentamente dal soffitto fino a poggiare i piedi sul letto, facendo molleggiare leggermente il materasso.

No… No, non doveva avvicinarsi! Con uno scatto mi sedetti ed iniziai ad indietreggiare freneticamente tra le lenzuola fino a scontrarmi dolorosamente contro la spalliera. Non ci diedi troppo peso, la mia mente era totalmente occupata dall’immagine di quel mostro che sostava placidamente a pochi passi da me. Tutto d'un tratto l'adrenalina che mi aveva aiutata a scappare, sparì nel nulla. Non riuscivo a reagire, a trovare la forza per buttarmi giù dal letto e fuggire il più lontano possibile da lui.

Il respiro si fece sempre più agitato, sentivo chiaramente il pulsare del sangue rimbombarmi nelle orecchie. Il tempo sembrava essersi congelato: lui se ne stava in fondo al mio letto immobile a fissarmi ed io paralizzata a guardare fisso nella sua direzione.

«DIANA!» urlò una voce femminile alle sue spalle, prima che lui sparisse totalmente dal mio campo visivo. Ora davanti a me stava una figura femminile ansimante con gli occhi pieni di preoccupazione ed angoscia. Selene…

Mi venne istintivo identificare la mia salvatrice con la figura bionda e slanciata che ormai ossessionava le mie giornate e i miei sogni. Ma mi sbagliai, perché la ragazza che mi ritrovai ad osservare non aveva una lunga treccia bionda, ma lunghi boccoli scuri scompigliati.

«Cassie?» domandai sorpresa. La mia amica impugnò la scopa a mo’ di mazza, spostando lo sguardo inquieto su di me. «Vieni qui! Che diavolo aspetti?» mi riprese mentre spostava lo sguardo sulla scrivania a fianco del letto, dove in quel momento si stava rialzando quell’essere.

L’urlo di Cassie fu come una secchiata d’acqua fredda, risvegliandomi da quello stato catatonico in cui ero caduta. Così, senza farmelo ripetere due volte, mi alzai di scatto dal letto raggiungendola subito. «Non ti provare ad avvicinare di nuovo!» lo avvertì Cassie stringendo la presa sulla sua arma improvvisata.

«Prima tu…»

«Un colpo solo all’altezza del costato. Non ci speravo molto a dir la verità.» rispose pratica lei. Non potei trattenermi dal guardarla con un misto di stupore e affetto. «Grazie.» sussurrai, mentre la osservavo sbalordita. I boccoli disordinati e gli occhi vispi che seguivano il più minimo movimento di quell’essere le davano un aspetto piuttosto selvaggio ed agguerrito.

Non l’avevo mai vista così.

In quel momento pareva un gatto pronto ad un agguato contro un grosso e pericoloso lupo… Già, due poveri gatti contro un lupo piuttosto affamato… Questo era il dislivello che incorreva tra noi e quell’essere, eravamo praticamente delle morti che camminavano. Stavolta non ne saremmo uscite. Eravamo solo noi due con una scopa come unica arma offensiva… Un po’ poco…

Ormai lui si era ripreso ed il conto alla rovescia era appena iniziato.

Con un movimento unico e fluido si era ancora una volta rialzato in piedi.

 

Non avevamo vie di fuga. Certo, saremmo potute scappare dalla camera e correre lungo il corridoio, ma l’istinto mi diceva che non sarebbe servito a nulla, avremmo solamente posticipato ciò che era inevitabile. Perché quella cosa avrebbe avuto la meglio in uno scontro corpo a corpo.

Non ne avevo il minimo dubbio!

 

Si sgranchì il collo prima da una parte poi dall'altra provocando suoni che mi fecero accapponare la pelle.

 

Forse…

Forse avrei potuto fare come voleva lui.

Andare dalla sua padrona… Magari mi avrebbero dato delle spiegazioni riguardo alla questione “Denise” e ai sogni che mi perseguitavano non solo più durante la notte, ma anche in pieno giorno. Avrei ricevuto delle risposte alla moltitudine di domande che mi si stavano affollando in mente…

Sorrise, il mostro.

 

Sorrise davanti alla mia incertezza, alla mia paura ed alla mia confusione, ma il sorriso che gli deformò il volto, fece sembrare quell’espressione più simile ad una ferita, un taglio sottile e preciso, su un volto che di umano aveva ben poco.

La scena che gli si presentava davanti doveva divertirlo parecchio: due ragazze spaurite con una semplice scopa come arma di difesa, mentre lui poteva vantare un ampio armamentario, tra cui denti affilati degni del peggior squalo bianco e artigli lunghi ed affilati da essere scambiati per rasoi. Era una battaglia persa in partenza.

 

Fece un passo nella nostra direzione studiandoci attentamente con quelle due orbite vuote.

Proprio mentre lo vedevo fare l'ennesimo passo nella nostra direzione, mi resi conto quanto l’idea di seguirlo volontariamente fosse una cazzata. Se quell’essere davanti a me era già spaventoso ed inumano, non volevo nemmeno immaginare come sarebbe potuta essere la sua padrona.

Con lo sguardo iniziai a studiare la mia camera alla ricerca di qualche via di fuga, ma come avevo già ipotizzato prima, l’unica sarebbe stata provare a scappare lungo il corridoio e cercare di raggiungere il portone d’ingresso nel minor tempo possibile.

Solo che mia madre sarebbe potuta uscire in qualsiasi momento, richiamata dal casino che avremmo fatto scappando fuori dalla camera.

Era già strano che non fosse ancora entrata qui in stanza dopo tutto il caos che avevamo fatto. In automatico lanciai una rapida occhiata alla mia scrivania che ormai giaceva distrutta in un angolo della stanza, la caduta di quella creatura doveva essere stata più devastante di quanto pensassi, anche se lui sembrava esserne uscito illeso.

Persa nei miei pensieri non mi accorsi subito che il mostro si era fermato a qualche passo da noi ed aveva inclinato il capo puntandoci contro quei buchi neri.

«S-sei una di no-i…?» domandò inclinando il volto verso sinistra e tracciando con quella lunga unghia il percorso tra la guancia ed il collo di Cassie, la vidi deglutire e mordersi il labbro inferiore tentando di mantenere la calma. Strinsi forte i pugni lungo i fianchi mentre sentivo il sangue circolare sempre più velocemente ed una strana sensazione cominciare a ribollirmi nello stomaco.

Quella sottospecie di feticcio umanoide si stava prendendo troppe confidenze con Cassie. Doveva allontanarsi e sparire dalla mia vista. Non aveva più importanza il motivo che lo aveva condotto qui, la mia curiosità ed il terrore erano spariti nello stesso momento in cui aveva osato toccare la mia amica, un’innocente, la cui sola colpa era stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Con un movimento brusco mi interposi fra di loro e con un gesto stizzito ed attento allontanai l’artiglio dal viso della mia amica. «Stalle alla larga!» esclamai sempre più furiosa.

Quella brutta copia di una mano si avvicinò di nuovo, ma stavolta si soffermò fra i miei capelli. «Non toccarmi e lascia stare Cassie!» gli urlai in faccia schiaffeggiando col dorso della mano il suo artiglio, ferendomi lievemente.

Lui non si scompose e ritirò semplicemente la mano, portandola davanti al viso ed osservando avidamente la piccola traccia di sangue che la sporcava. «Deni-se…» soffiò prima di leccare via la macchia con una lunga lingua nera. Un conato di vomito mi risalì lungo la gola e dovetti trattenere dallo svuotare il contenuto del mio stomaco direttamente sul tappeto.

«Cass-i-e…» sibilò spostando ancora una volta la sua attenzione sulla mia amica. «Non… Umana…» poi s’interruppe all’improvviso con lo sguardo fisso su Cassie. «Argento…» disse sgomento. «Argento… Koré!!!» e poi si allontanò verso la finestra senza staccare gli occhi da noi due ed urlando parole senza senso come “padrona” e “Way” per poi sparire nell’oscurità della notte sotto i nostri sguardi scioccati.

Sbattei un paio di volte le palpebre cercando di capire se ciò che avevo visto era davvero successo o se si trattava soltanto di un'allucinazione.

Un improvviso dolore al fianco mi riportò alla realtà. «Ahia!» urlai strofinandomi forte la parte lesa. «Che diavolo ti è preso?» chiesi infastidita a Cassie. «Cercavo di capire se non stavo sognando.» rispose innocentemente.

«E perché lo hai fatto a me?»

«Perché fa male!» mi rispose come se fosse ovvio, mentre ritirava la scopa dietro l’armadio.

Prima o poi l'avrei uccisa, giurai a me stessa con un leggero broncio sulle labbra.

Sempre che non cercasse prima lei di accopparmi con una scopa...

Davanti a questo pensiero non riuscii a trattenere una piccola risata sotto lo sguardo perplesso della mia amica. Avevo decisamente qualcosa che non andava se dopo essere aggredita da una specie di mostro, riuscivo ancora a ridere per delle cazzate del genere.

«Tu non sei normale!» affermò convinta Cassie lasciandosi cadere tranquilla sulla sua brandina. Inarcai un sopracciglio davanti al suo comportamento tranquillo ed assolutamente normale. «Nemmeno tu!» le risposi avvicinandomi alla finestra e chiudendola con un colpo deciso.

Sotto un lampione in lontananza mi sembrò di vedere una figura femminile, ma non appena sbattei le palpebre per metterla più a fuoco, di quella presenza non rimase più nulla.

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Capitolo 7
*** The Way ***


The Way

 

Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.

Dante Alighieri, III canto della Divina Commedia.

 

Ogni cosa presente in quel posto pareva emanare sentimenti negativi, nel silenzio che aleggiava in quella landa desolata il leggero alito di vento si mescolava con sussurri di lamenti ed imprecazioni. Voci provenienti da un passato vecchio di secoli e da uno più recente. Era incredibile come il vociare era quasi impossibile da sentire, a meno che non lo si ascoltasse attentamente.

Il Whispers’ Wind non era l’unico elemento inspiegabile del luogo, non era altro che il principio.

Il cielo, all’apparenza torbido, se studiato con calma svelava una consistenza acquosa che assorbiva ogni sprazzo di luce presente in quella lugubre distesa arida. Lì l’unica costruzione consisteva in un imponente castello dall’aspetto ostile ed impenetrabile: quattro torri ne delineavano il perimetro, le cui guglie svettavano pericolose ed affilate nel cielo; le mura a difesa erano costituite da enormi blocchi di roccia dall’aria invalicabile e resistente. Ciò che stonava in quella fortezza era il cumulo di legna distrutta e disordinata che bloccava il portone, resti di quello che una volta doveva essere l’ingresso principale.

Visto da fuori dava l’impressione di essere disabitato ed abbandonato alle intemperie da diversi secoli, se non fosse stato per la debole luce proveniente da alcune finestre della sala da ricevimento e da alcuni movimenti che si intravedevano attraverso il vetro, come l’ingresso di una creatura all’interno della stanza.

Il nuovo arrivato entrò nella stanza con passo lento e leggermente incerto, lanciando veloci occhiate ad ogni angolo e studiandone ogni particolare. L’ambiente era spoglio, eccetto per un lungo tappeto rosso che ricopriva in linea retta il percorso dalla porta ad un trono, rialzato da una piccola pedana di tre scalini, che sostava al centro del lato opposto del salone. Il seggio era interamente costruito in mogano con l’imbottitura rossa che spiccava in quella stanza oscura, così come risaltava la donna dall’aria elegante e sofisticata che lo occupava.

«Bentornato.» lo salutò poggiando leggermente il capo sulle dita della mano destra che terminavano con lunghe unghie laccate nere, mentre gli occhi dello stesso colore scrutavano il nuovo arrivato, che si stava avvicinando con un’andatura piuttosto veloce, nonostante il ciondolio preoccupante del busto.

L’essere aveva una colore cadaverico e due cavità scure a sostituire gli occhi, mentre le dita non erano altro che lunghi ed affilati artigli. Privi di vera volontà, venivano spesso manipolati da forze superiori per raggiungere i propri scopi. Erano presenti in alcune leggende del passato e in alcune fiabe raccontate ai bambini, nelle quali venivano usati come mostri dai quali guardarsi ed avvertimento su cosa poteva succedere se avessero disobbedito ai genitori. Una delle maggiori figure con cui venivano presentati era quella dell’Uomo Nero, altrimenti identificato come Boogeyman o Babau. Anche se la loro vera nominazione era quella di Lost, anime rubate ed intrappolate in corpi-fantocci, capaci di contenerle e rendere manovrabili da esseri legati all’Oltretomba.

Infatti, non avendo alcun interesse ad averne un tornaconto personale, erano più efficienti di molti demoni o spiriti inferiori nel completare gli ordini dei propri padroni. Anche se non sempre riuscivano a portarli a termine…

«Devo intendere che tu non abbia portato a compimento la mia semplice richiesta?» domandò la donna con voce candida e suadente, una combinazione contraddittoria e spaventosa allo stesso tempo.

Il Lost chinò il capo in un inchino frettoloso e contenuto, quando aprì la bocca per obbiettare, mostrando una lunga fila di denti affilati, lei lo interruppe immediatamente. «Dove si trova la ragazza?»

«Ca… Casa… Ho det… to che padrona vuole lei, ma la koré» e la sua bocca si piegò in un’espressione di disgusto. «… è intervenuta…» poi alzò il capo per fissarla in modo accusatorio.

Poche erano le cose che potevano interferire durante il lavoro di un Lost, una di queste era rappresentata dalla Koré. Quelle marionette demoniache non riuscivano a sopportarne la presenza e possedevano un odio viscerale nei suoi confronti.

«Avevate detto che non… che non c’era quellla cosa…» si lamentò. «Avevate giurato che era morrrta…» affermò con voce tremante e stridula, mentre muoveva in modo nervoso gli artigli facendoli sferragliare fra di loro e creando un rumore fastidioso.

La sua rivelazione sembrò incuriosire la donna, che, con un movimento elegante, si alzò dal trono e a passo deliberatamente lento si avvicinò al suo servo.

Mentre percorreva il divario tra di loro, la sua figura venne illuminata a tratti dalla flebile luce delle torce collocate lungo le pareti, donandole un aspetto crudele e mostrando un viso privo di imperfezioni. Una lunga chioma mogano le si arricciava in morbidi boccoli lungo la schiena color alabastro, lasciata scoperta dal profondo scollo interrotto solo a metà da una piccola catena formata da frammenti di onice, che legavano fra loro le spalline sottili. Era un essere dalla bellezza eterea e spettrale ed il cui potere era percepibile come un aura violenta intorno a lei ed il suo vestito cremisi sembrava accentuare la sua natura pericolosa: totalmente realizzato in seta, in modo da seguire alla perfezione ogni curva come una seconda pelle, formava delle morbide pieghe dandole un tocco sensuale.

Una volta giunta ad un passo dalla sua marionetta lo scrutò attentamente con quegli occhi più scuri delle tenebre stesse. «In questo caso cambia tutto.» affermò decisa e con un gesto rapido gli trapassò il torace, chiudendo le dita attorno ad un ammasso informe. Poi con un gesto rotatorio del polso, strattonò la presa ed estrasse la mano.

Il sangue la ricopriva fino al braccio, sporcando leggermente in gran parte il guanto nero di pizzo che le arrivava fino a sotto la spalla, ma lei non sembrò preoccuparsene dato che la sua completa attenzione era assorbita da ciò che teneva in mano. «Signo-ra…» singhiozzò dolorosamente il Lost inginocchiandosi, mentre la stretta, intorno a quello che doveva essere il suo cuore, aumentava in modo graduale.

«Ormai non mi sei più di alcuna utilità. Hai fallito!» affermò semplicemente distruggendo l’unico legame che lo manteneva ancora in vita. Dopo di che il sangue schizzò ovunque e di quella creatura non rimase che una lugubre melma scura in cui lasciò cadere i resti del muscolo cardiaco.

Con un movimento lezioso la donna si portò le dita della mano alla bocca e ne leccò via il sangue con un’espressione compiaciuta.

«Koré…» sussurrò con voce melliflua, scrutando con lo sguardo tutta la stanza che la circondava fino a fermarsi quando nel suo campo visivo comparve una debole fiammella blu. Allungò il braccio lungo la fiamma volante, raccogliendola al centro della mano, e se l’avvicinò alle labbra. «Thanatos… Giochi sporco.» sibilò prima di assorbire l’anima.

 

«Lo vedremo Morrigan…» affermò con un ghigno compiaciuto una figura maschile all’esterno del castello.

 

 

 

 

Buongiorno a tutti voi, valorosi superstiti che avete avuto l’ardire e la pazienza di continuare a seguirmi. :)

Questo capitolo è stata una breve interruzione per introdurre nuovi personaggi e spiegare alcune cose, che avevo lasciato in sospeso nei capitoli precedenti. Piaciuta la vera natura di quel demoniaco manichino scheletrico? Spero di non avervi deluso >.<

Cosa ne pensate del nuovo personaggio? E della figura maschile misteriosa?

Se avete un momento di tempo, fatemi sapere. Sono curiosa di conoscere le vostre opinioni.

Kiss,

Nerys.

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Capitolo 8
*** Domande... ***




Domande…


Si odono solo le domande alle quali si è in condizione di trovare una risposta.
Nietzsche.

«Cassie! Per l’amor del cielo! Vieni a darmi una mano a sistemare questo casino prima che arrivi mia madre!» sbuffai innervosita, mentre recuperavo da terra il computer, stranamente incolume dopo l’atterraggio del mostro su quella che, una volta, era stata la mia scrivania.

Cassandra posò lo sguardo per qualche secondo su quell’ammasso di legno dalla stabilità incerta che sembrava ancora tenersi in piedi per miracolo, prima di riportarlo su di me. «Tu pensi davvero che lei non si accorgerà di niente?» mi domandò con un’occhiata scettica.

Provai a replicare, per convincerla a darmi una mano, ma non trovai risposta davanti alla sua semplice constatazione; infatti, presa dall’agitazione e dalla fretta, non mi ero soffermata molto ad osservare il disastro che avevo davanti a me. Ero convinta che in un modo o nell’altro sarei riuscita a minimizzare il danno e che mamma non se ne sarebbe accorta, ma a ben guardarlo, anche solo l’idea di tentare di sistemarlo era impossibile… L’unica soluzione era far sparire la scrivania, ma mia madre non era stupida, se ne sarebbe di certo accorta. A questo punto potevo lasciarla lì e sperare che non facesse caso al suo aspetto leggermente decadente

Entrambe vennero scartate all’istante.

«Sono morta.» affermai sconsolata lasciandomi cadere per terra.

«Tranquilla…» cercò di consolarmi Cassie, inginocchiata davanti a me con una mano poggiata sulla mia spalla. «… Porterò dei fiori sulla tua tomba!» concluse cercando invano di trattenere un ghigno divertito.

Per un attimo la guardai allucinata: la mia migliore amica, quella che fino a qualche ora prima aveva affrontato un mostro per aiutarmi, mi stava abbandonando davanti al pericolo più grande che potesse incombere sulla mia giovane vita… Mia madre.

Sara era una persona amabile, gentile ed altruista con chiunque, aveva una pazienza encomiabile, ma… Perché alla fine n’esisteva sempre uno, la mia cara mammina sapeva diventare una vera furia, specie, quando combinavo qualche casino in casa, soprattutto se comprendeva la distruzione di qualsiasi oggetto…

Cassie aveva ben presente questo lato nascosto del suo carattere, infatti aveva avuto modo di essere spettatrice di una sua sfuriata quando per sbaglio avevo rotto un vaso…

E adesso voleva mollarmi in asso proprio quando era stata lei, la teppista, che aveva demolito la mia scrivania. In quel momento non importava quale fosse il motivo per cui l’avesse ridotta in quel modo. Era lei la colpevole e non mi avrebbe lasciata sola davanti ad una Sara Fiore indemoniata.

Un sorriso sadico mi incurvò le labbra, mentre davo voce ad una semplice constatazione. «Non penso proprio che potrai farlo, Cassie… Sarai troppo morta per riuscirci…» dissi calcando bene sulla parola “morta”.

All’inizio sembrò non capire, data la sua espressione perplessa, ma dopo qualche secondo di riflessione vidi le sue pupille dilatarsi all’invero simile e ritirare veloce la mano dalla mia spalla come se quel contatto l’avesse scottata. «Eh già, Cassie. Eravamo soltanto in due in camera… Chissà chi è che l’ha distrutta?» domandai retorica senza staccare gli occhi dai suoi.

«Cazzo!» esclamò guardando dalla prospettiva di mia madre lo spettacolo disastroso alle mie spalle. Chi altri avrebbe potuto combinare quel casino? Non di certo una strana creatura dalle sembianze umanoidi, che era entrata in camera e ci aveva attaccate. Solo a sentire una frase di quel genere mamma ci avrebbe urlato addosso, dicendo che non solo eravamo state tanto irresponsabili da distruggere la scrivania, ma che eravamo anche troppo immature per ammetterlo.

Nonostante tutto non riuscivo a smettere di gongolare davanti allo sguardo disperato di Cassie, ora non mi avrebbe più potuta abbandonare. Proprio mentre stavo per infierire, sentimmo un rumore di passi avvicinarsi alla camera…

Tutto ciò che stavo pensando fino ad un attimo prima perse importanza davanti alla paura opprimente che mi stava assalendo al pensiero della reazione che mia madre avrebbe avuto da lì a pochi secondi.

Con un colpo di reni mi tirai subito in piedi e mi catapultai di scatto verso la scrivania distrutta, seguita a ruota da Cassie, che con un movimento repentino, coprì tutto il caos con il piumone che fino a poco prima giaceva sulla brandina. Io, invece, raggruppati tutti i pezzi dispersi, li gettai sotto quella specie di telone improvvisato.

I passi si arrestarono e la maniglia si abbassò, attirando totalmente la mia attenzione e colsi solamente di sfuggita un movimento al mio fianco; per questo rimasi interdetta ed impreparata quando un cuscino mi colpì in piena faccia.

«Vittoria!» urlò Cassie a qualche passo da me saltellando sul posto ed agitando le mani in aria.

«Possibile che alla vostra età vi divertiate ancora a giocare alla guerra coi cuscini?» domandò mia madre mentre mi guardava con una mano davanti alla bocca per soffocare la risata che stava nascendo.

«Non si è mai troppo grandi, Sara!» affermò con un sorriso Cassie. «Vuoi unirti a noi per la rivincita di tua figlia?» le chiese mentre sventolava in aria la sua nuova arma.

Mamma scosse la testa in segno di diniego ridacchiando. «Per carità! Penso di non esserne più capace.» rispose gioviale. «Volevo solo salutarvi prima di uscire ed avvertirti che tua madre ti ha cercata, Cassandra. Ha detto di richiamarla appena possibile.» spiegò guardando preoccupata la mia amica. Conoscevamo entrambe qual era la sua situazione famigliare e dopo che lei aveva frequentato la nostra casa per anni, anche mia madre le si era affezionata.

Cassandra non si scompose e con un cenno del capo chiuse la conversazione.

«Buona giornata ragazze!» ci salutò uscendo dalla stanza.

Aspettammo di sentire la porta d’ingresso chiudersi e poi ci scambiammo un’occhiata d’intesa.

«Ed ora facciamo il punto della situazione.»


«Quindi non era la prima volta che vedevi quella creatura. Ti era già successo, ma pensavi fosse un sogno, corretto?» mi domandò Cassie, scarabocchiando qualche appunto su un foglio.

«In linea di massima sì, anche se io lo definirei più un incubo…» bofonchiai accucciandomi dall’altro lato del divano con una tazza fumante di the fra le mani.

«Ti aveva mai rivolto la parola?»

Feci un cenno affermativo col capo e presi un sorso dalla tazza, mentre mi perdevo nel ricordo della sua prima visita. Subito mi tornarono alla mente quelle cavità oscure, i lunghi artigli ed il sorriso affilato. Un moto di disgusto e terrore mi percorse la schiena.

Sbattei più volte le palpebre per allontanare quell’abominevole visione dalla mia mente. «Continuava a chiamarmi Denise, ripeteva che finalmente mi aveva trovata e che la sua padrona mi stava aspettando. Cose senza senso.»

«Lo stesso nome dei sogni?» domandò continuando a scribacchiare sul foglio.

«Sì!»

Prese un pennarello rosso e sul foglio segnò al centro alla pagina “DENISE” e lo cerchiò con foga. «A quanto pare tutto sembra ruotare intorno a questo nome, anche se non riesco a capire il collegamento con te.» riassunse spostando la sua attenzione su di me. «Denise… Conosci qualcuno con questo nome?»

Abbattuta, scossi la testa in segno di diniego.

«Cos’è una kore?» domandai appoggiando stanca la testa contro lo schienale del divano e stringendo le gambe al petto. Presi un sorso di the e studiai la ragazza davanti a me. I lunghi boccoli neri erano puntati sulla nuca con una matita in uno chignon piuttosto disordinato, mentre gli occhiali si appoggiavano traballanti sulla punta del naso, ma lei sembrava non curarsene minimamente, della quale lei sembrava non preoccuparsi minimamente. «Quella creatura l’ha urlato subito dopo averti guardata negli occhi.» continuai dubbiosa fissandola negli occhi.

Lei, sempre col pennarello rosso, scrisse KORE sul foglio aggiungendoci a fianco alcuni punti interrogativi.

«Bella domanda.»

Un suono interruppe l’improvviso silenzio che si era creato nel salone, con un gesto fluido Cassie prese lo smartphone dalla tasca dei jeans e lesse velocemente il messaggio per poi sbuffare e bloccare la tastiera.

«Inizia già a stancarmi.» sbuffò scocciata.

 Davanti a quella frase non riuscì a trattenermi dallo scuotere sconsolata la testa. «Ma no? Davvero?» le domandai sarcastica. Lei, come da copione, mi rivolse un’occhiataccia piuttosto accigliata.

Questa conversazione ormai stava iniziando ad essere ripetitiva, non era la prima volta che affrontavamo una discussione riguardo alla sua vita sentimentale e mai una volta ci eravamo trovate dello stesso parere.

Da quando era stata messa in mezzo alla situazione fra Veronica ed il suo ragazzo, aveva avuto parecchie difficoltà a mantenere qualsiasi tipo di legame sia di amicizia sia amoroso. Tutti sembravano tenersi a debita distanza da lei, cercando di rispettare una regola non scritta del regolamento studentesco: mai avvicinarsi ad uno studente screditato dalla figlia del Vicepreside.

Naturalmente nessun insegnante era a conoscenza di questa storia e la maggioranza degli studenti se ne fregava altamente di ciò che una ragazzina viziata faceva o no, ma c’era da ricordare che Cassie all’epoca era stata comunque parte del gruppetto delle stronze della scuola, quindi erano in molti a volergliela far pagare. Per cui l’idea di isolarla alla fine era stata rispettata da molti, anche se ognuno per motivazioni diverse.

Io ero stata una delle poche a ignorare la cosa ed avevo provato a farci amicizia. A distanza di anni non mi ricordavo nemmeno per quale motivo mi avvicinai a parlarle in mensa, forse perché mi dispiaceva che venisse estromessa dalla vita scolastica o forse solo perché le ragazze del mio ex gruppo, dopo avermi vista parlare con lei, avevano una faccia scioccata davvero impagabile…

Più probabile che tutto fosse iniziato come una vendetta, ma alla fine mi ero imbattuta in un’amica formidabile, che ancora adesso riusciva a sopportarmi soprattutto quando non mi facevo problemi a dirle cosa pensavo davvero di questi suoi spasimanti.

Quindi eccomi qui a fare la parte dell’arpia… Erano mesi che andava avanti con relazioni che non si potevano nemmeno definire tali: chi riuscirebbe a chiamare “relazioni” lo scambiarsi messaggi per qualche mese, fare all’incirca sei uscite insieme, non concludere un bel niente e ritrovarsi mollati con un semplice messaggio? Io no.

Non mi piaceva la piega che stava prendendo la sua vita sentimentale, le avevo chiesto un miliardo di volte cosa stesse cercando, anzi chi! Perché Cassie nonostante questo suo atteggiamento era una donna romantica e non aveva mai avuto alcun dubbio riguardo ciò che volesse, per questo tutto ciò era incomprensibile per me.

«Chi ti aspetti di trovare?» le domandai studiandola attentamente in volto.

Con un gesto brusco la vidi togliersi gli occhiali e lanciarli sulla poltrona al suo fianco. «Non ne ho la più pallida idea, ma ogni volta che inizio ad uscire con un ragazzo che fino ad una settimana prima era perfetto, ecco che scopro che gli manca qualcosa.» mi rispose iniziando a gesticolare. «Alle volte non lo trovo abbastanza intelligente, altre volte è troppo serio e via così… Sembra che non riesca mai ad accontentarmi di niente e nessuno! Non ci capisco più nulla! Non mi riconosco più! È frustrante scoprire di non saper cosa voglio. Non mi è mai successo!» sbottò esasperata mordendosi le labbra e portandosi le braccia al petto. «Per di più non è nemmeno vero che non so cosa voglio, dato che sono riuscita a trovare pecche in ogni ragazzo. Ognuno di quelli con cui sono uscita sembrava quello giusto…»

Persi qualche secondo ad osservare attentamente la ragazza davanti a me. «Sei sicura di non essere troppo critica in fatto di ragazzi? Nessuno è perfetto…»

«Questo non è il momento di parlare di cavolate di questo genere. Ci sono cose ben più importanti a cui dobbiamo pensare come ad esempio “Denise” e “kore”. Per quanto riguarda la seconda possiamo provare a fare un salto in biblioteca, ma per il nome non penso che ci sarebbe di nessun aiuto…» borbottò Cassie pensierosa.

Ancora una volta mi aveva lasciata perplessa, era riuscita a sviare la discussione senza fare una piega, dallo sguardo concentrato e da come stava ragionando ad alta voce non voleva più continuare la precedente conversazione.

«Potremmo cercare su Internet che ne dici?» le proposi ed il suo sguardo si illuminò all’istante. Senza attendere una sua risposta tornai al piano superiore a recuperare il mio portatile e lo portai con me in salone, dove Cassie mi aspettava.

Una volta ripreso il mio posto sul divano digitai sulla tastiera kore e scandagliammo i vari risultati. Alla fine ci ritrovammo con varie interpretazioni, una più improbabile dell’altra, a quanto pareva questo termine era utilizzato in diversi ambiti: il nome di un’università, una statuetta votiva, un altro nome per identificare la dea Persefone ed il nome di una band. Escludemmo a priori che l’università e la band interessassero il nostro scopo, non ci rimaneva che la statuetta e Persefone, ma nemmeno dopo aver letto le descrizioni, fummo in grado di venire a capo di qualcosa.

Era tutto inutile, l’unica cosa che potemmo fare fu escludere anche la statua dall’elenco delle nostre ipotesi, dato che il mostro si era riferito a Cassie con quel termine, era improbabile che potesse avere quel significato.

A quanto sembrava kore era un altro nome per identificare Persefone, moglie di Ade e, successivamente, dea minore degli Inferi e regina dell’aldilà, inoltre il termine vero e proprio aveva il significato di fanciulla, ma non riuscivamo a comprendere il collegamento fra Cassie ed esso.

«Beh… Questo spiegherebbe perché non riesco a trovare l’uomo perfetto. Sono già sposata!» esclamò lei ammiccando ad un’immagine di Ade sul pc.

Scoppiai a ridere davanti a quell’idiozia, già me la vedevo Cassie in piedi di fianco ad un uomo sulla quarantina barbuto con occhi spenti come quelli dell’immagine.

Proprio quando stavo incominciando a riprendermi dalla crisi di risate, un flash mi attraversò la mente: la mia amica in piedi davanti a me indossava un bel vestito rosso ed al suo fianco, al posto dell’Ade barbuto di prima, vidi un giovane uomo dai capelli scuri ed un ghigno sadico sulle labbra che le cingeva con una stretta decisa la vita.

Davanti a quella visione mi paralizzai all’istante e per una frazione di secondo mi parve di sentire un soffio alla base del collo, come un respiro.

Maledizione… pensai trattenendo il respiro e sbarrando gli occhi.





Buongiorno a tutti :)

Eccomi di nuovo qui in assoluto ritardo come al solito…

Per farmi perdonare ho provato a creare una copertina per questa storia. Fatemi sapere cosa ne pensate! Preferisco precisare che i disegni non sono miei. >_<

Per quanto riguarda la storia, invece…

Diana e Cassie hanno iniziato a riflettere un po’ su ciò che è appena accaduto e stanno cercando di trovare delle risposte da sole, ma purtroppo, come loro stesse scoprono, non è così semplice mettere i pezzi insieme.

Finalmente è stato trovato il significato di kore, ma sarà proprio quello che hanno trovato loro? Cassie è davvero la moglie di Ade? E chi è il ragazzo misterioso che ha fatto spaventare Diana?

Kiss,

Nerys

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Capitolo 9
*** Attesa ***


Attesa

 

The first condition of immortality is death.

Stanislaw Jerzy Lec.

 

«Tesoro, non fare i capricci. Ti prometto che non durerà molto.» promise con voce flebile mamma stringendomi la mano in una presa delicata, ma ferma. Strisciai il piede destro per terra annoiata, mentre un leggero broncio si disegnava sul mio volto.

Non mi piaceva quel posto. Era troppo bianco e puzzava di disinfettante, ogni volta che andavamo lì incontravamo sempre persone tristi: alcune piangevano cercando di liberarsi dal dolore che li tormentava senza riuscirci davvero, altre, invece, sembravano spezzate dentro, come se non riuscissero più a provare nulla se non la disperazione nella sua forma più pura…

Tutti lì dentro mi davano i brividi. Non riuscivo a stare tranquilla, i loro occhi mi fissavano ogni volta che io e la mamma percorrevamo i corridoi, ma non era tanto il peso del loro sguardo a farmi vacillare, quanto più la follia e la brama che li attraversava a tratti. Una brama che non aveva niente di sano…

Terrorizzata mi strinsi al fianco di mia madre, mentre la presa tra le nostre mani diventava la mia unica ancora di salvezza. Volevo uscire da quel posto e non tornarci più, dimenticare quell’edificio e tutto ciò che lo abitava. Quella era la Casa della Disperazione, un luogo che una bambina non avrebbe mai dovuto visitare, né vedere da lontano ed invece io mi trovavo esattamente in quell’antro degno dell’Inferno con l’unico desiderio di uscire da quella struttura e scappare il più lontano possibile senza guardarmi indietro.

Con un occhio sbirciai il volto stanco della mamma, lunghe occhiaie le incidevano il viso, la carnagione chiara pareva quasi bianca, i capelli erano intrecciati in una perfetta treccia laterale le scivolava oltre la spalla donandole un’aria piuttosto austera…

Se era vero quello che si diceva in giro, vale a dire, che gli occhi sono lo specchio dell’anima, allora mia madre era devastata da quello a cui stava andando incontro, perché per un attimo, quando abbassò il volto mi sembrò di vedere le sue iridi sbiadire leggermente fino a quando non mi mise bene a fuoco. Allora non poté fare a meno di cercare di sorridere, provando a rassicurarmi. Non mi lasciai incantare da quel triste sorriso…

I suoi occhi rispecchiavano la morte nel cuore.

Finalmente riuscii ad inquadrare l’edificio ospedaliero in cui ci trovavamo ed il motivo per cui ci trovavamo lì.

La struttura dell’Attesa, una specie di ricovero per i casi senza speranza che aspettavano di poter oltrepassare quel leggero velo che divideva il nostro mondo da quello delle anime. Qui venivano portati alcuni casi di malattie in stato troppo avanzato per essere curate o persone che avevano smesso di vivere da tempo, ma che i loro cari si ostinavano a trattenere al loro fianco…

Continuammo lungo il corridoio fino a raggiungere la stanza 999 e, come tutte le volte che dovevo attraversare quella soglia, venni colta dal panico. Volevo fuggire lontano ed andarmi a nascondere, lontano da tutti e da tutto, ma soprattutto lontano da Lei.

Lei, la stessa che ora giaceva impotente in un asettico e disinfettato letto ospedaliero, circondata da pareti bianche e coperta da lenzuola bianche e con la testa poggiata su un cuscino bianco, con cui i suoi lunghi capelli grigi sembravano confondersi. Detestavo quel colore con tutta me stessa, soprattutto quando mettevo piede lì dentro.

«Signora Fiore…»

Un medico in camice era appena comparso alle nostre spalle, richiamando l’attenzione della mamma con un tono di voce serio, mentre ci osservava al di là delle lenti degli occhiali che indossava. Con un gesto ci invitò ad entrare, mamma non se lo fece ripetere due volte, trascinandomi dentro e probabilmente mi richiamò anche per il comportamento che stavo dimostrando, ma io non la potevo sentire.

L’aria all’interno della stanza si era fatta di colpo irrespirabile e pesante. La vista iniziò a traballare ed i contorni del mio campo visivo si facevano via a via sempre più sfocati, non riuscivo a sentire nulla a parte il battito del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.

Volevo uscire da quella stanza e scappare il più lontano possibile. Perché mi trovavo lì? Io non volevo andarci, odiavo quel posto!

Mano a mano che mi avvicinavo a quel letto di ospedale più sentivo il bisogno di fuggire da quel luogo diventare impellente. Cominciai a strattonare la presa di mia madre e a puntare i piedi a terra pur di non avanzare nemmeno di un altro passo. «Mamma… Andiamocene, per favore…» piagnucolai, mentre lei si girava verso di me esasperata.

Prese un profondo respiro e si inginocchiò davanti a me. «Diana, tesoro… Per favore, devo sentire ancora il medico sulla situazione della nonna. Poi andiamo a casa, va bene?» mi promise prima di prendermi in braccio per impedirmi di fare altre storie.

Il medico ormai era a fianco del letto e fece cenno alla mamma di avvicinarsi, di riflesso chiusi gli occhi, non volevo vedere nulla della persona che occupava quel posto, avevo una sensazione orribile a riguardo. Se avessi guardato, sarebbe successo qualcosa di brutto.

«Lei è viva… È qui…» sussurrò una voce roca.

D’istinto aprii gli occhi per vedere di chi stesse parlando e mi ritrovai a fissare due pallidi occhi azzurri che mi tolsero il fiato… L’orrore che si rifletteva nei nostri sguardi era del tutto primordiale. Il cuore cominciò a battere all’impazzata, mentre cercavo disperatamente di respirare…

Mia madre mi mise immediatamente a terra guardandomi spaventata da quella reazione di panico che mi aveva colpita all’improvviso. La sentii chiedere disperata aiuto al dottore, ma non appena lui fece un passo nella nostra direzione, un lungo e acuto bip riempì la stanza.

In un secondo ripresi a respirare correttamente, ma da quel momento in poi cominciai a singhiozzare senza riuscire a fermarmi. Un dolore straziante aveva preso il posto della crisi di panico di poco prima. Quel repentino cambio di umore sembrò tranquillizzare mia madre, fino al momento che comprese l’origine del bip…

 

«Noioso, non trovi?»

Con uno scatto mi voltai verso la voce, ma mi ritrovai a fissare un’immensa distesa oscura. Non riuscivo a vedere chiaramente, soltanto una specie di sagoma in mezzo a quelle tenebre; qualcosa con una diversa consistenza, che, in qualche modo, la metteva in risalto rispetto all’ambiente circostante.

«Chi sei?» domandai tenendo lo sguardo fisso su quello che credevo il mio interlocutore.

Una risata fanciullesca e divertita si levò dalla sagoma, ma la sensazione che mi provocò fu tutt’altro che piacevole. Era come se mi trovassi davanti a qualcuno in grado di decidere della mia vita in base ad un suo semplice capriccio.

«Chi sono?» mi fece il verso una voce maschile. «Incredibile che proprio tu, fra tutti, me lo chieda. Ti sei già scordata di me?» domandò passando rapidamente da un tono di voce calmo e socievole ad uno lamentoso. «Ecco cosa succede quando decidi di aiutare un essere umano, si dimenticano subito di tutto ciò che hai fatto per loro…» aggiunse arrogante. Troppi cambi di umore repentini perché la sua presenza mi tranquillizzasse.

Fissai quella sagoma informe senza capire. Di cosa stava parlando? Ero sicura di non averlo mai incontrato, eppure quella voce aveva qualcosa di familiare e spaventoso allo stesso tempo, ma non per questo mi ispirava fiducia.

Ero certa di non aver mai chiesto aiuto a nessuno, avevo difficoltà a fidarmi delle persone, men che meno della fonte di quella voce! Nonostante non ne conoscessi l’identità, qualcosa nella sua arroganza e nel tono calmo mostravano quanto sarebbe stato facile per lui esaudire qualsiasi richiesta. Un’offerta allettante se non si faceva caso al pesante “ma” che alleggiava nella frase…

Tutto ha un prezzo a questo mondo, ora non rimaneva che scoprire cosa credeva di avermi promesso di esaudire e cosa avrebbe richiesto in cambio.

«Non credere di sfuggirmi, ragazzina. Il patto che abbiamo stretto più di settant’anni fa, è stato sigillato con il sangue e il sangue non mente mai!» soffiò quella voce nel mio orecchio con una vena di aggressività.

Settant’anni fa? «Impossibile. Io non ero ancora nata! Non sono io la persona con cui hai stretto il patto!» urlai girando su me stessa in mezzo a quell’infinito oscuro. «Quindi ora lasciami andare.»

Una fragorosa risata rimbombò tutto intorno a me. «Ti piacerebbe, Denise…»

Un movimento improvviso alle mie spalle mi fece voltare su me stessa, ritrovandomi faccia a faccia con me stessa. Per un attimo rimasi imbambolata a fissarmi, finché non iniziai a notare alcuni particolari come una cornice barocca che circondava la mia immagine. Non era una mia copia, ma la mia semplice immagine riflessa in uno specchio dall’aria antica.

Più fissavo il mio riflesso, più iniziavo a notare dettagli diversi fra di noi.

I suoi capelli erano perfettamente acconciati in una coda bassa, mentre i miei ricadevano spettinati e sciolti lungo la schiena; i vestiti che indossavamo erano totalmente diversi: i suoi vecchi, quasi anni ’20, mentre i miei un pantalone da ginnastica e una semplice maglia a maniche corte. La stavo ancora studiando attentamente quando mi saltò all’occhio uno scintillio. Spostai lo sguardo e mi ritrovai a fissare una collana d’ro con un ciondolo a forma di cerchio.

 

«Saremo insieme per sempre.» affermò sorridendo lanciando un ultimo sguardo al sole ed alla luna uniti.

 

«Il sole…» sussurrai flebile, mentre mille ricordi mi affollavano la mente.

Era lo stesso ciondolo di quella volta, di quel maledetto primo sogno!

Dovevo scappare, non ero al sicuro!

Provai a girarmi in ogni direzione, sperando di trovare un varco o una flebile luce che mi potesse indicare una via di fuga, ma tutto quello che mi circondava era solo un ammasso di oscurità.

Uno spostamento d’aria alle mie spalle e un improvviso calore mi fecero capire di avere qualcuno dietro di me. Non riuscii a muovermi alla sola idea che una creatura simile a quella che mi aveva attaccata in camera mia, potesse essere lì dietro, ma la curiosità era troppo forte.

Così, senza fare un movimento, sbirciai dal riflesso nello specchio. Non riuscii a vedere chiaramente, tutto il buio che ci circondava rendeva difficile metterlo a fuoco, sembrava quasi che le ombre facessero parte di lui. Perché di una cosa ero certa: si trattava di un uomo e aveva gli occhi di due colori diversi, il destro verde e il sinistro giallo che risplendevano nel buio.

«Oh no, ragazzina. Quello non è un sole.» mi sussurrò con voce melensa nell’orecchio. «Quella è una luna piena.»

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