Once Upon a Time

di Strega_Mogana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vecchie abitudini ***
Capitolo 2: *** La voce della coscienza ***
Capitolo 3: *** Mi raccomando. Punti molto piccoli! ***
Capitolo 4: *** Un'offerta che ho dovuto rifiutare ***
Capitolo 5: *** Un aiuto dall'alto ***
Capitolo 6: *** Un the non proprio sul soffitto ***
Capitolo 7: *** Ballando coi pinguini ***
Capitolo 8: *** Un mago di nome Merlino ***
Capitolo 9: *** Per informazioni tirare la leva ***
Capitolo 10: *** A volte si è gelosi anche di una carota ***
Capitolo 11: *** Concorrenza sleale ***
Capitolo 12: *** Non è tutto oro ciò che luccica ***
Capitolo 13: *** Non un principe ma un cavaliere ***
Capitolo 14: *** Come ti elimino gli altri ***
Capitolo 15: *** A volte tutto inizia con un bacio ***
Capitolo 16: *** Un fuoco che brucia dentro ***
Capitolo 17: *** Un maiale, un topo e due giraffe ***
Capitolo 18: *** Proposte di matrimonio inaspettate ***
Capitolo 19: *** Quando meno te lo aspetti ***
Capitolo 20: *** Seguire le istruzioni ***
Capitolo 21: *** Sei tu ***
Capitolo 22: *** Basta ***
Capitolo 23: *** Gli scheletri nell'armadio di Silente ***



Capitolo 1
*** Vecchie abitudini ***


Storia scritta per la Severus House Cup - mese di Settembre, indetta dal Calderone di Severus.
Nota 1: Prima di urlare all’OOC (sì potreste anche pensarlo), vi prego di leggere fino in fondo la storia. C’è una spiegazione a tutto. Promesso.
Nota 2: la parola chiave per leggere questa storia è una sola: divertirsi!
Nota 3: dal secondo capitolo la storia diventa folle. Vi ho avvisato.


Capitolo 1: Vecchie abitudini


Severus Piton era al Ministero della Magia, si guardava attorno alla ricerca di una persona ben precisa.
Ignorava le occhiate di tutti i presenti che gli passavano accanto, ignorava i sussurri e le dita puntate nella sua direzione, ignorava, perfino, i quadri di Ministri e maghi famosi che cercavano di guardarlo oltre la propria cornice.
Erano passati quasi otto anni dalla fine della guerra, anni in cui aveva cercato di riprendere in mano la sua vita o quello che ne restava. Aveva ripreso il ruolo di Preside e, questa volta, non era un compito che gli pesava sulla coscienza. Sapeva di meritalo, poteva uscire alla luce del sole e camminare a testa alta senza sentirsi a disagio, senza vedere le sue mani sporche di sangue innocente.
Ovviamente il vecchio Severus era sempre in agguato ed era pronto ad uscire in ogni momento di apparente serenità.
Sapeva di essersi macchiato di crimini orrendi; di notte gli incubi tornavano a tormentarlo, fortunatamente non con la frequenza di prima.
Poteva definirsi un uomo nuovo, ma comunque legato a quello che era prima. Non che potesse dimenticare quello che era stato.
Alcune etichette sono difficili da levare, altre sono così incollate alla propria anima che, ormai, era impossibile togliersele.
Il mago mise una mano nella tasca dei pantaloni neri e prese un vecchio orologio da taschino appartenuto a suo padre, una – se non l'unica – cosa buona che aveva ereditato da lui.
Lesse velocemente l'ora sul quadrante leggermente graffiato in un paio di punti e masticò una silenziosa imprecazione: la persona che stava aspettando era in ritardo. Come ogni singola volta.
Era un atteggiamento che lo infastidiva a morte.
L'irritante assistente che seguiva quella persona non lo lasciava entrare nel suo ufficio dicendo che aveva l'ordine di non fare entrare nessuno in assenza della signorina Kent.
Aveva cercato di spaventarla come quando era un'insignificante Corvonero dietro un banco o un calderone con una pozione decisamente sbagliata che bolliva male, ma la sua famosa occhiata non funzionava più come un tempo.
Ovviamente con la sua miracolosa sopravvivenza avvenuta grazie ad un repentino, e per nulla richiesto, intervento di Fanny e con Potter che parlava al suo posto nel periodo in cui la gola non poteva sopportare un discorso senza che le ferite si riaprissero; non solo doveva sopportare occhiate e dita puntate, ma la sua reputazione di bastardo dall'animo nero e solitario era andata a farsi benedire. Il tutto sotto le risate sguaiate del ritratto di Albus che gli diceva che tutto quell'affetto non poteva che fargli bene.
Lui era convinto che tutto quell'affetto fosse peggio di una Maledizione Crociatus.
Così le sue famose occhiate non bastavano più per incutere un certo timore, venivano viste come una maschera che nascondevano un animo puro e un buon cuore colmo di sentimenti; le frecciatine sarcastiche erano prese come battute rendendo la sua vita da eroe miracolato un inferno in terra.
Ma c'erano anche risvolti positivi in quella vita completamente inaspettata.
Poteva finalmente sentirsi libero di amare, anche in quegli anni nessuna donna sana di mente abbia mai dimostrato interesse nei suoi confronti. Lui e Minerva avevano chiarito ogni equivoco, avevano parlato per ore, avevano pianto insieme, lei lo chiamava ancora figliolo. Era bello avere di nuovo la sua stima e il suo appoggio, due cose che gli erano mancate più di quanto osasse ammettere durante il lungo anno in cui era stato Preside contro la sua volontà.
Aveva riallacciato vecchi rapporti di amicizia con maghi che credeva morti in battaglia o scappati per paura di morire in battaglia.
Una di queste era Patricia Kent.
Ex compagna di scuola, Serpeverde intelligente e bellicosa, da sempre, o per lo meno da quando Severus ne ha memoria, fervida sostenitrice di Silente e della sua causa.
Severus non ha mai saputo cosa legasse l'amica Patrica a Silente, voci di corridoio dicevano che il vecchio l'aveva adottata quando il fratello di lei aveva sacrificato la famiglia all'Oscuro Signore condannando i genitori ad una morte orribile e tremendamente dolorosa.
Erano solo voci e lui, per rispetto, non aveva mai indagato, però ricordava molto bene le parole di affetto che Albus aveva per Patricia. La chiamava figlia quando pensava che lui non lo udisse.
Ricordava anche il giorno in cui aveva messo piede a Hogwarts. Giovane Mangiamorte redento, spia che da poco camminava sul sottile confine tra vita e morte; si trovava nel ufficio circolare del Preside, affacciato alla finestra con nel cuore la paura di perdere per sempre Lily. Desideroso di vederla in salvo con la felicità che meritava e che lui non avrebbe mai saputo darle e che lei, comunque, non avrebbe mai accettato.
Lei era entrata come una furia. Aveva spalancato la porta così forte che un quadro aveva dondolato pericolosamente, il preside che ci dormiva aveva avuto la nausea per due giorni ed era stato costretto a riposare in un quadro al secondo piano che raffigurava l'infermeria. Aveva estratto la bacchetta così velocemente che non se ne era neppure accorto, gliela aveva puntata alla gola. Era furiosa come un drago, gli occhi verdi, ma diversi da quelli così tanto amati, mandavano fiamme di collera e disgusto.
Aveva cominciato a sbraitare, urlava che era un traditore della peggior specie, una serpe, che doveva andare a nascondersi e che non aveva diritto di stare in quell’ufficio. Non aveva neppure il diritto di respirare su quella terra.
Lui non aveva risposto, non poteva, Patricia aveva pienamente ragione. E in quel periodo voleva veramente essere morto per la condanna che aveva lanciato sulla testa della donna che amava.
Poco dopo era entrato Silente, con la solita irritante calma e, per una volta, senza l’usuale fastidioso sorriso a fior di labbra, aveva messo una mano sulla spalla della donna incoraggiandola ad abbassare la bacchetta.
Lei non lo ascoltava, lo fissava dritto negli occhi cercando qualcosa che era morto il giorno in cui aveva ricevuto il Marchio. Cercava l'amico di scuola, quello che le dava ripetizioni in pozioni, senza però trovarlo e lui non sapeva come tornare ad essere quello di un tempo. Forse non ne sarebbe mai stato capace.
Poteva ancora sentire il sospiro carico di dolore di Silente e, dopo avergli lanciato un'occhiata cercando il suo consenso, aveva cominciato a raccontare la sua storia, dicendole che ora Severus Piton, era dalla loro parte.
Ci aveva creduto, si era sempre fidata ciecamente di Silente e aveva abbassato la bacchetta che stava per trafiggerli la gola, ma non aveva abbandonato quello sguardo di fuoco. Si era voltata e se n’era andata.
Avrebbe dovuto seguirla quella notte, cercare di parlarle e di scusarsi, ma la sua preoccupazione per Lily e i suoi sensi di colpa lo schiacciavano rendendogli impossibile riallacciare i rapporti con quella che era stata una delle sue amiche più care nella sua vita post Lily.
Si erano rivisti dopo svariate settimane, era andata lei a cercarlo. Volarono parole dure, entrambi avevano urlato, erano arrivati ad estrarre le bacchette e un paio di libri della sua personale libreria erano finiti in brandelli. E quando entrambi si erano fissati esausti e con il fiatone avevano abbandonato le bacchette sul tappeto del suo nuovo ufficio da professore e si erano abbracciati.
Patricia aveva pianto sul suo petto per un tempo infinito e lui aveva sorriso.
Non poteva avere Lily, ma poteva riavere un pezzetto della sua vecchia vita.
Una vita che, nonostante il dolore per la perdita del suo grande amore, era stata quasi felice con accanto anche quel ciclone verde e argento che faceva esplodere il calderone ad ogni lezione facendo infuriare Lumacorno.
Le cose erano migliorate nei dieci anni che avevano separato le due guerre.
Lui era l'arcigno professore di Pozioni che vedeva ogni anno rifiutata la sua richiesta per la cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure. Lei era impegnata al Ministero, prima nell'Ufficio Applicazione delle Legge sulla Magia poi all'Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale, aveva affiancato Barty Crunch per alcuni anni per poi prendere il suo posto alla Confederazione Internazionale dei Maghi.
Era sempre impegnata in viaggi in giro per il mondo, si vedevano poco, ma si scrivevano spesso. Silente all'inizio lanciava maliziosi commenti sul loro rapporto fin troppo stretto, insinuava che ci fosse molto di più oltre la semplice e disinteressata amicizia.
Poi tutto era nuovamente precipitato quando il Marchio aveva ripreso a bruciargli la pelle.
Patricia era riuscita a restare al Ministero il più a lungo possibile, non era mai stata accettata dall'Ordine per via del suo aperto schieramento con Albus. Aveva lavorato in seconda linea, cercando di tessere più rapporti possibili con i Ministeri esteri. Quando il Ministero cadde nelle mani dell'Oscuro lei riuscì a ristare al suo posto per poche settimane, per poi scappare quando iniziarono le udienze contro i Nati Babbani.
Dalla morte di Albus non si erano più parlati.
Lui non l'aveva cercata e lei era sparita dall'Inghilterra.
L'aveva rivista solo al San Mungo, mentre le pozioni e gli unguenti gli guarivano le ferite del corpo, ma non dell'anima.
Lei era entrata nella sua stanza, si erano fissati a lungo, lui non poteva ancora parlare, lei non sembrava intenzionata a voler dirgli qualcosa. Si era seduta accanto a letto ed era rimasto a fissarlo in silenzio, erano rimasti così per parecchio tempo, mentre il mondo scorreva fuori da quella stanza leccandosi le ferite.
Quella volta non c'erano bacchette sguainate, non c'erano parole dure, urla e libri in frantumi.
Sul volto di entrambi c'erano le rughe di due guerre combattute in due modi completamente differenti. C'era la consapevolezza che il mondo era cambiato, che loro erano cambiati, che non erano più i ragazzi e non erano i libri ad essere in brandelli, ma le loro anime.
- Stupido. - aveva mormorato dopo un tempo di infinito silenzio prendendogli una mano pallida.
Quella era stata la loro unica parola sull’argomento.
Il mago si guardò attorno cercando di non sbuffare infastidito. Aspettava da troppo tempo e iniziava ad irritarsi sul serio, era quasi arrivato al punto di rottura: il momento in cui avrebbe scritto un biglietto, lasciato all'irritante assistente e se ne sarebbe andato in attesa delle sue scuse.
Meditava su cosa scrivere quando e porte dell'ascensore si aprirono, Patricia uscì dal piccolo abitacolo con passo sicuro e a testa alta. I capelli erano stati raccolti in uno chignon morbido, indossava una seste da strega color zaffiro, i tacchi picchiavano sul pavimento del corridoio.
Solo dalla camminata Severus capì che era stata una pessima mattinata.
- Sei in ritardo. - l'attaccò quando fu abbastanza vicina, anche se la sua mattina non era stata delle migliori non era una scusa per farlo attendere in corridoio come un’idiota.
- Non ti ci mettere anche tu. - sbuffò lei infastidita – E' stata una pessima, pessima mattina. Perché sei qui in piedi come una statua? Ho un ufficio con delle poltrone molto più comode.
- La tua zelante assistente non fa entrare nessuno in tua assenza.
La strega spostò lo sguardo sulla porta del suo ufficio e sbuffò.
- La Corvonero più stupida del mondo. - borbottò entrando nell'ufficio dopo aver fatto un cenno al mago invitandolo a seguirla.
L'ufficio di Patricia era piccolo e in disordine. Alcuni fascicoli erano aperti sulle due scrivanie che occupavano due dei quattro lati della stanza. La terza parete era occupata da una libreria piena di tomi sulle leggi magiche e sui trattati tra i vari Ministeri, la terza scrivania era quasi al centro dell'ufficio, alle spalle aveva la finestra magica che mostrava un cielo limpido e una splendida giornata di sole estivo.
La donna fissò la finestra qualche istante poi si sedette sulla poltrona nera che emise un lieve cigolio.
- Scusa il ritardo.- disse prendendo la pila di bigliettini che stavano al centro della scrivania color ciliegio – Ho passato la mattinata a discutere con il capo del Folletti della Gringott.
- Non è una questione che riguarda l’Ufficio del controllo delle Creature Magiche?
- Di norma sì. – spiegò continuando a leggere le missive - Ma se ci metti anche la camera blindata di un Ministro spagnolo e l’eredità che ha lasciato alla Gringott senza dire nulla ai parenti la questione diventa di livello internazionale ed entro in gioco io. Ho passato tutta la mattina a cercare di convincere quel cocciuto Goblin che è diritto dei figli vedere cosa diavolo c’è in quella camera anche se non hanno la chiave.
- E la risposta?
- Gli eredi devono cercare quella chiave o quello che c’è dentro diventerà legalmente dei folletti nel giro di cinquant’anni e le chiavi delle camere blindate non sono, ovviamente, appellabili quindi dovranno setacciare ogni angolo della Spagna per cercarla.
Arrivata quasi all’ultimo biglietto Patricia sbuffò contrariata.
- Sue! – gridò.
L’assistente entrò immediatamente nell’ufficio, Patricia non le diede neppure tempo di parlare.
- Per favore, manda un messaggio alla Granger e dille che non ho tempo di discutere con lei sulla legge per la liberazione degli Elfi Domestici. Precisa che le informazioni che ha trovato sulla Nuova Zelanda sono errate e di andare più a fondo della questione, si accorgerà che non è il paese così civilizzato che crede.
- Ma… ma è molto insistente, questa mattina è già passata due volte…
- Non mi interessa. Una discussione con lei vorrebbe dire perdere tutto il mio pomeriggio e rivedere le leggi internazionali sulle Creature Magiche e non ne ho le forze e, comunque, ho il pomeriggio impegnato.
La ragazza uscì dall'ufficio ripetendo a bassa voce quello che le era stato riferito per evitare di dimenticarsi delle parole. Patricia scosse il capo.
- Devo trovarne un'altra. Hogwarts non sforna più giovani streghe di talento?
- Sì, ma la loro ambizione non è quella di venire a fare la tua assistente. - le sorrise Severus comprensivo – Sai che non ti libererai così facilmente della Granger, vero? Quando si punta un obbiettivo è più cocciuta di uno Snaso quando vede qualcosa brillare.
- Il mio piano non è evitarla, ma rifiutarmi di fissare un appuntamento fino a quando non sarà costretta a stare a casa per la maternità. Anche se girano scommesse strane su di lei e quel pancione che si porta dietro.
- Che genere di scommesse?
- C'è chi sostiene che partorirà qui per evitare di perdere preziosi giorni di lavoro.
- Visto il soggetto non mi sorprenderebbe.
Patricia ridacchiò e si rilassò sullo schienale della sedia.
- Devo restituirti una cosa. - disse lei muovendo la bacchetta con un cenno annoiato della bacchetta.
Una fiala contenente una pozione color senape superò la testa del pozionista e si appoggiò senza rumore sul tavolo della scrivania.
Severus sollevò un sopracciglio.
- E questa cosa sarebbe?
- Sai cos'è. - rispose lei.
- Sei riuscita a distillare questa pozione?
- No. E' una delle tue.
Il mago allungò una mano e afferrò la fiala. La sollevò davanti agli occhi constandone consistenza solo con un cenno impercettibile del polso. Riconobbe immediatamente la fiala, era leggermente opaca sul fondo e il tappo di sughero si era sbriciolato da un lato.
Era la sua pozione.
- Quando l'hai presa?
- La stessa sera che mi hai costretto a seguire una noiosa lezione cercando di insegnarmi come distillarla.
Un sopracciglio di Severus si incurvò verso l'alto.
- Noiosa?
Patricia fece un cenno con la mano.
- Non ci saranno sempre le mie pozioni da rubare. - la rimproverò infilando la fiala in una delle tasche interne del grande mantello nero - Devi imparare a distillare le più semplici... - la strega non si scompose, prese la borsa e iniziò a rovistarci dentro come se la cosa non le interessasse – la prossima volta usa un contraccettivo Babbano! - sbottò lui.
- Non sei stufo di ripetermi sempre le stesse cose?
- A dire il vero sì.
- Allora perché sei così cocciuto e vuoi a tutti costi darmi ripetizioni di una materia che trovavo noiosa anche quando andavo a scuola? E, comunque, quella pozione era coperta di polvere. Mi chiedo per cosa la tenevi visto che un monaco ha una vita sessuale più attiva della tua.
Severus sentì le guance imporporarsi appena.
- Non... non sai di cosa parli...
- Davvero? - domandò lei divertita sollevando lo sguardo dalla borsetta – Quando è stata l'ultima volta che hai visto una donna nuda Sevvy?
- Non chiamarmi Sevvy, Patricia. Sai che non lo sopporto.
- Preferisci verginello?
- Non giocare con il fuoco ragazzina.
- Oooh che paura... Pozionista fallito.
Severus tirò le labbra cercando di nascondere un sorriso divertito.
- Politica inconcludente.
- Secchione.
– continuò la ragazza.
Il mago questa volta non rispose, quei loro piccoli battibecchi erano all'ordine del giorno. Si divertivano a trovare piccoli insulti che si lanciavano con un sorriso sulle labbra. Quel giochetto faceva ridere a crepapelle Albus.
Non aveva mai avuto un'amicizia così, neppure con Lily, ma forse con lei era sempre stato tutto troppo diverso.
Si concentrò su una foto che Patricia aveva sulla scrivania, era una vecchia foto che rappresentava la sua famiglia.
Era ancora piccola, abbracciata al papà che sorrideva all'obbiettivo. Il fratello grande stava vicino alla madre che gli accarezzava teneramente i capelli. Avevano tutti un sorriso felice, uno sguardo sereno. Il piccolo bambino che sorrideva nella foto si sarebbe trasformato in un assassino, avrebbe sacrificato la sua famiglia che lo amava per dimostrare la sua lealtà verso l'Oscuro Signore.
Ora quello stesso bambino, ormai uomo adulto, era rinchiuso in una cella di Azkaban, più morto che vivo, sottoposto al Bacio dei Dissennatori pochi mesi dopo la sua cattura durante la prima guerra.
Un involucro vuoto che non aveva più emozioni, ricordi o sentimenti di alcun genere.
Da quello che lui sapeva Patricia non lo vedeva dal giorno dell'udienza quando la sua condanna fu confermata ed eseguita nella stanza accanto.
Silente le era accanto quel giorno.
Se Patricia, quell'anno, non avesse deciso all'ultimo momento di tornare a Hogwarts per Capodanno avrebbe fatto la fine dei suoi genitori e lui non l'avrebbe mai conosciuta.
- Non mi hai ancora detto perché mi hai mandato quel gufo. - le disse rimettendo a posto la cornice ignorando la foto accanto, anch'essa rinchiusa in una semplice cornice d'argento. La foto rappresentava Albus.
- Per farmi offrire il pranzo. - spiegò lei allegra con il sorriso sulle labbra rimettendo a posto la borsa.
- Fammi capire. Mi rubi una pozione, insulti il mio metodo di insegnamento, mi prendi in giro e pretendi che ti offra il pranzo.
Il sorriso tremò sulle labbra della strega e Severus capì che era successo qualcosa.
Qualcosa di brutto.
Quel sorriso, quell’allegria erano solo una maschera. L’ennesima che Patricia si ostinava ad indossare.
- Joseph è morto. Questa notte... è venuto il Ministro Kinglesy in persona ad informarmi stamattina in ufficio. Beh fisicamente è morto. Da quando ha ricevuto il Bacio era solo uno zombie che respirava. Mi sono sempre chiesta come fosse possibile sopravvivere così a lungo, solitamente i detenuti che subiscono il Bacio muoiono nel giro di pochi mesi, qualche anno al massimo. - Severus la vide spostare lo sguardo sulla fotografia che raffigurava la sua famiglia – Io... io devo avere qualcosa che non va, Severus. Ha condannato a morte i nostri genitori e se io non avessi deciso di tornare prima a scuola sarei morta anch'io. Ha distrutto tutto quello che avevamo, mi ha lasciato sola, senza più una casa, senza neppure i soldi per comprare i libri. Eppure... eppure... da quando Kingsley me l'ha detto non riesco a non pensare che era stato un bravo fratello... prima... quando non era stato intaccato dalle idiozie sul sangue puro.
- Patricia...
- Dovrei odiarlo. Con tutta me stessa eppure... eppure... c'è una parte di me che non... non...
- Era tuo fratello.
La strega annuì, non stava piangendo, ma fissava con tristezza quella foto dove un tempo tutti erano felici.
- Mi aveva chiesto perdono…- disse la donna senza staccare gli occhi dalla cornice – poco prima di essere trascinato in quella stanza. Mi ha fissato e nei suoi occhi c’era una richiesta di perdono a cui non ho dato risposta. Non potevo… non potevo perdonarlo per quello che aveva fatto… ma… era mio fratello.
- Sai già dove vuoi mangiare? - le domandò Severus cercando di cambiare argomento.
Patricia sollevò lo sguardo dalla fotografia, c’era gratitudine nei suoi scuri occhi verdi. Si sforzò di sorridere, non era un bel sorriso, ma lui non glielo fece notare.
- C'è un ristorante che vorrei provare. E' nella Londra Babbana, non voglio stare qui, girano già abbastanza voci su di noi e sono quasi certa che la metà le abbia sussurrate Albus in qualche stupido quadro pettegolo del sesto piano.
Il mago fece un debole sorriso, conosceva abbastanza bene Patricia per sapere che non avrebbe pianto per la morte del fratello, ma sapeva che aveva bisogno del suo amico.
Aveva bisogno di lui.
Quel pensiero gli fece stranamente battere il cuore.

* * * *



Se c’era qualcosa che Severus odiava di quel periodo dell’anno erano i cambiamenti improvvisi del tempo.
La mattinata era stata soleggiata, calda e piacevolmente ventosa.
Era bastato perdersi in una libreria per qualche tempo che, all’uscita, li aveva accolti un cielo grigio e spento, un tuono che rimbombava sulle loro teste e una minaccia di pioggia imminente che li costrinse a correre all’appartamento di Patricia per evitare di inzupparsi.
La pioggia li travolse a metà strada, costretti a camminare in mezzo ai Babbani, cercarono di trovare riparo sotto le tende dei negozi, ma arrivarono a destinazione fradici ed infreddoliti.
La porta si aprì con un colpo secco. Patricia gocciolava dai capelli neri, i vestiti zuppi erano appiccicati al corpo e Severus ringraziò che fossero scuri altrimenti avrebbe anche dovuto fare i conti con la visione dell’intimo dell’amica. Sentiva l’acqua anche nelle scarpe e un brivido di freddo lungo la spina dorsale gli fece venire la pelle d’oca.
Patricia trovava quella storia molto divertente. Rideva come una bambina mentre andava nel piccolo bagno a prendere alcuni asciugamani.
Il mago si ritrovò nel piccolo salotto dell'appartamento che conosceva bene, ricordava ancora con orrore il pomeriggio passato a sollevare scatoloni senza l'uso della magia per paura che qualche Babbano li vedesse, così come ricordava le silenziose imprecazioni che le aveva lanciato per aver scelto di vivere in un quartiere Babbano.
L'amica uscì dal bagno: aveva in mano due asciugamani di un improbabile color pesca. Gliene lanciò uno mentre continuava a ridacchiare.
- Per fortuna ho lanciato un silenzioso incantesimo impermeabile al sacchetto e ai libri, altrimenti si sarebbero rovinati tutti.
- Per fortuna... - sibilò sarcastico lui mentre asciugava i capelli con la salvietta – Si può sapere perché ridi?
- E' divertente vederti con i vestiti Babbani e del tutto bagnati. Sai la tua solita espressione arcigna perde d'intensità quando non indossi quel lenzuolo nero sulle spalle che sembrano due ali da pipistrello. - spiegò la strega aprendo il sacchetto – Sono tutti asciutti! – sorrise trionfante mentre ne tirava fuori uno alla volta.
- Libri per bambini.- sentenziò acido il pozionista – Favole, stupide storielle con principi e improbabili cattivi che non vincono mai. Si può sapere perché leggi quella roba?
Ancora bagnata, Patricia prese la bacchetta e con un colpo deciso i volumi si sollevarono dal tavolo e fluttuarono fino alla libreria in salotto dove si riposero in silenzio.
- Non si può sempre leggere libri di incantesimi e manuali di pozioni, Preside Piton. - gli fece una giocosa linguaccia – A volte è bello leggere storie dove tutto è semplice e facile. Dove sai già che il bene trionferà è l'amore è veramente l'arma più forte di tutte. Non mi aspetto che tu capisca Severus, ma a volte trovo le favole Babbane molto più rilassanti di un buon bicchiere di vino. Sai potresti leggerne qualcuna e capire che anche tu puoi trovare una principessa là fuori, innamorarti, sposarti, abitare in un castello con lei e i vostri numerosi figli e vivere per sempre felici e contenti.
- Io non sono un principe, Patricia.- rispose lui passandosi l'asciugamano sul volto – Io sono un cattivo e i cattivi non vivono per sempre felici e contenti.
- Pipistrello guastafeste.

Severus aprì la bocca per ribattere a tono, ma un rumoroso starnuto rispose al suo posto.
Ondeggiò la testa con così tanta forza che i capelli neri ancora umidi si appiccicarono su tutto il volto formando un insolito pizzetto nero.
Patricia scoppiò in una fragorosa risata.

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Capitolo 2
*** La voce della coscienza ***



Corro il rischio di non poter aggiornare domani.
Così ho deciso di anticipare di un giorno.


Capitolo 2: La voce della coscienza

Sudava in quel letto come se qualcuno gli avesse acceso un fuoco sotto il materasso o direttamente in corpo.
Sudava e si dimenava mentre raccapriccianti Dissennatori con le labbra tumefatte si avvicinavano per baciarlo, e le loro mani morte cercavano di toccarlo e trascinarlo in un mondo vuoto e privo di emozioni.
Si dimenava e gemeva mentre sentiva la risata di Patricia esplodere attorno a lui, mentre figure femminili con addosso vestiti da principesse gli urlavano che quella era la sua meritata fine.
I cattivi non vincono mai. Nessun felici e contenti per l'assassino Severus Piton.
Severus aprì gli occhi di scatto. Sudava e tremava nel suo letto al sicuro a Hogwarts.
Si sentiva bollente e, contemporaneamente, ricoperto da gelido sudore.
Tentò di spostare le lenzuola e mai gesto così semplice e abituale gli sembrò difficile e impossibile come in quel preciso momento.
Riuscì con la sua ferrea forza di volontà a mettersi seduto.
Il contatto con il pavimento gelido gli fece battere violentemente i denti.
Quando riuscì, dopo vari tentativi inutili, ad alzarsi la sua stanza vorticò così velocemente che dovette aggrapparsi con forza ad una sedia per non cadere o per non vomitare tutto quello che aveva nello stomaco.
Si mosse piano, con gli occhi socchiusi, nella stanza illuminata solo dalle braci di un fuoco morente nel camino.
A tentoni prese la bacchetta sul comodino, la mosse cercando di appellare la vestaglia, ma si sentiva troppo debole e quell’incantesimo di appello, che gli riusciva ogni mattina anche dopo aver ricevuto violenti Cruciatus, non riuscì e la vestaglia restò inanimata ai piedi del letto.
Sentiva la pioggia fuori dalle mura del castello, sentì i tuoni e la testa che rimbombava ad ogni colpo. Reggendosi ai mobili, un passo alla volta, combattendo contro le vertigini e la nausea si avvicinò alla sua personale dispensa alla ricerca di una pozione ricostituente che l'aiutasse a riprendere le forze e preparare una pozione antinfluenzale.
Non si fidava molto delle pozioni di Poppy.
Era un pozionista ex spia e, come tale, si fidava solo del suo lavoro.
Con lo sguardo appannato dalla febbre spostò le ampolle che tintinnarono fastidiosamente tra di loro rimbombandogli nella testa in modo doloroso.
Cercò un paio di volte, combattendo contro la vista doppia e le gambe che sembravano volessero cedere da un momento all'altro. Quando si convinse che non c'era la pozione che stava cercando, andò con molta calma nel suo personale laboratorio. Per fortuna era nella stanza accanto e solo una porta lo sperava dal suo prezioso calderone.
L'odore delle pozioni e degli ingredienti, solitamente un odore gradevole per il suo naso, gli provocò un conato di vomito e gli ci volle una gran forza di volontà per non usare il calderone come secchio.
Un insulto a tutto quello che rappresentava.
Concentrandosi il più possibile si sedette sull'unica sedia presente, quella dove, solitamente, abbandonava mantello e casacca per lavorare e mosse con un gesto stanco la bacchetta.
Il fuoco si accese debolmente sotto il pentolone nero. La fiamma non era abbastanza alta, ma quello poteva sistemarla.
Alcuni ingredienti volteggiavano fino al tavolo dove un coltello tremante iniziò a tagliarli.
Severus chiuse un attimo gli occhi cullato dal rumore ritmico della lama che cozzava contro il tavolo di legno.
Sospirò di sollievo quando il mal di testa e la nausea scemarono e aspettò che il coltello finisse il suo lavoro.

* * * *


Patricia entrò nello studio circolare visibilmente preoccupata, indossava una semplice veste da strega color avorio che faceva spiccare i capelli neri e gli occhi verdi, aveva le guance arrossate per la corsa.
Il Preside sedeva dietro la sua scrivania come se fosse un giorno qualunque.
- Stai bene? – domandò apprensiva - Minerva mi ha mandato un gufo. Diceva che non ti sei sentito bene stanotte.
- Ho avuto un po' di febbre. - minimizzò lui senza smettere di leggere l'ultima uscita di Pozioni Moderne – Mi sono preparato una pozione e ora sto bene. Colpa di quella corsa sotto l'acqua insieme a te. La prossima volta sarai tu ad offrirmi il pranzo.
- Peccato... - mormorò lei sedendosi su una delle poltroncine che, solitamente, occupavano gli studenti mandati da lui per ricevere severe punizioni – ho portato un libro di favole e speravo di leggertelo mentre eri incosciente.
- Preferisco sedermi nell’ufficio di Gazza e ascoltare la storia della sua vita.
La strega fece una smorfia e mise un libro sulla scrivania, il pozionista alzò lo sguardo dalla rivista per vedere un tomo alto quanto un’enciclopedia, la copertina era di pelle marrone, aveva incisa una parola dorata che non riconobbe e quello che sembrava il disegno di una casa di marzapane in rilievo.
Sollevò un sopracciglio scettico.
- Te lo lascio lo stesso.- fece la donna alzandosi – Leggilo, non può farti che bene, burbero mago vestito di nero. Sono quasi certa che una delle tue storie preferite sarà Robin Hood. Non chiedermi perché, ma ho questa sensazione.
- Ti ho già detto che sono storielle stupide. Non lo voglio, grazie.
Patricia si alzò dalla sedia con un sorriso, lasciando il libro al suo posto, lanciò un’occhiata alla finestra alle spalle del mago.
- Il tuo camino è collegato al Ministero? – il Preside annuì - Ha iniziato a piovere e non voglio correre sotto l’acqua per arrivare a Hogsmeade e smaterializzarmi.
Il mago si alzò nello stesso momento in cui Patricia si avvicinò al camino in tutta fretta. Severus afferrò il libro di fiabe e allungò il passo per afferrare anche l’amica.
- Ti ho detto che non lo voglio!
- Non morde sai? – ridacchiò lei allungando la mano nel sacchetto appeso accanto al camino e prendo una manciata di polvere – Potrebbe anche piacerti la Foresta di Sherwood.
La donna buttò la polvere tra le fiamme che divennero immediatamente verdi smeraldo.
Tutto accadde in pochi attimi, lei entrò tra le fiamme nello stesso istante in cui lui le afferrò un braccio.
Il mondo accanto a loro vorticò in un turbinio verde.
La presa sul libro di fiabe si allentò, Severus lo fece cadere senza realmente rendersene conto.
Lo vide aprirsi ai loro piedi e una luce accecante li avvolse.
Poi non sentì più nulla.

* * * *



Il professore di pozioni stava cercando di liberarsi dal un cespuglio di more selvatiche dove era precipitato.
Si guardò attorno mentre strattonava il mantello ormai strappato in un paio di punti. Si era risvegliato in quella che, all’apparenza, sembrava una rigogliosa foresta.
Il sole filtrava dalle alte chiome degli alberi sentiva degli uccellini cinguettare e un coniglio era sparito dentro una tana davanti a suoi occhi solo poco prima.
Non aveva la minima idea di dove fosse finito.
Il suo ultimo ricordo lucido erano le fiamme del camino che avvolgeva entrambi, poi quello stupido libro che si apriva e una luce accecante che li aveva avvolti.
Si era risvegliato in mezzo ai rovi, con dei graffi sulla pelle e un umore decisamente coordinato ai vestiti che usava.
Di Patricia, ovviamente, nessuna traccia. Strattonò ancora una volta la vegetazione, si liberò dal groviglio di spine che gli imprigionava le caviglie e si guardò attorno.
- Patricia!- urlò – Andiamo Patricia non è il momento di giocare. – nessuna risposa neppure in lontananza – Salazar, Patricia! Rispondi! Dove diamine ti sei cacciata?
Udì un lieve lamento, quasi come il pigolio di un animale impaurito.
- Guarda in alto…- mormorò la donna con un filo di voce.
Severus alzò lo sguardo, Patricia era sdraiata pericolosamente su un ramo di una grande quercia. Nonostante fosse in alto Severus vide subito che stava tremando.
- Scendi da lì!
- Non… non... posso. – balbettò la ragazza tremante.
- Perché no?
- Soffro di vertigini. – spiegò con voce strozzata.
- Soffri di vertigini?- ripeté incredulo – E quando voli sulla scopa?
- Mi hai mai visto su una scopa, Severus? – ribatté lei acidamente.
Patricia si mosse con troppa foga, il ramo oscillò pericolosamente. La strega si sbilanciò e rotolò di lato andando incontro al vuoto sotto di lei.
Severus chiuse gli occhi cercando di non guardare mentre lei precipitava, aspettò il tonfo ma non sentì nessun rumore.
Aprì un occhio… poi l’altro… e constatò con orrore che la donna si era aggrappata al ramo e penzolava a quattro metri d’altezza.
- Dammi una mano! – urlò l’altra costringendosi a non guardare giù – Severus, fai qualcosa di utile!
Severus mise una mano all’interno del mantello e sbiancò.
- La mia bacchetta! – gridò guardando a terra – Merlino dov’è finita la mia bacchetta!
- Pensi alla tua stupida bacchetta in un momento del genere?- urlò furiosa la donna – Trova un modo per farmi scendere senza che mi rompa l’osso del collo!
- Giusto. – mormorò il mago guardandosi attorno, come se fosse disponibile una scala in mezzo ad un bosco.
Non trovando nulla che facesse a caso suo sollevò ancora lo sguardo sull’amica valutando ogni possibile soluzione.
Con un sospiro si posizionò meglio sotto di lei e allungò le braccia.
- Lasciati andare!
- Ti sei rincretinito?
- Ti prendo al volo io, fidati. – spiegò il mago.
- Rassicurante…- fece l’altra chiudendo gli occhi, provò a lasciare la presa, ma non ci riuscì. Serrò le palpebre con forza e si aggrappò quanto possibile al ramo – ...non… non riesco Severus. L’altezza mi terrorizza a morte.
- Smettila di fare la bambina e lasciati andare!- urlò arrabbiato.
- Sto facendo la bambina?- rispose a tono lei – Sono appesa ad un ramo e tu mi dici che sono una bambina! Non mi sto divertendo!
- Ti ho detto che ti prendo al volo e tu fai la spiritosa.
- Spiritosa? - strillò Patrica offesa - Severus io sto tremando di paura e tu non fai altro che dirmi che sono una bambina! Sei… sei… – non riuscì a finire la frase che le mani sudate cominciarono ad allentare la presa.
La strega urlò agitando le gambe, il dondolio del ramo era un chiaro segno che presto si sarebbe spezzato.
- Sto per scivolare! – gridò in preda al panico la donna.
- Lasciati andare. Non ti succederà nulla.
- Non riesco Severus.
- Smettila di frignare e sganciati da quel dannato ramo! - ordinò severo.
- Non dirmi cosa devo fare! – urlò esasperata lei.
Non appena finì di urlare le mani lasciarono totalmente la presa lasciandola cadere proprio in testa all’amico.
Severus era pronto ad afferrarla, aveva posizionato bene il corpo e bilanciato correttamente il peso sui piedi, ma quando se la ritrovò tra le braccia non riuscì a sostenere il suo peso e cadde.
Rotolarono entrambi a terra, lui la teneva stretta, lei si era aggrappata al suo collo tremante come una foglia.
Quando si fermarono, Patricia aveva il viso premuto con forza sulla sua casacca.
- Sei a terra. – le sussurrò l’uomo all’orecchio – E’ tutto finito.
La donna si guardò attorno con i grandi occhi verdi sgranati dal terrore, fece un sospiro di sollievo. Poi cominciò a sbraitare.
- Non osare mai più urlarmi in quel modo hai capito! Io non sono una tua studentessa! Non darmi più ordini! – si alzò dal terreno e si guardò attorno per la prima volta.
- Tu… tu…- cominciò Severus forzandosi di non strozzarla con le proprie mani – io… io.. argh!!! – si allontanò qualche passo cercando un sentiero o, comunque, un qualche punto di riferimento conosciuto.
Purtroppo la foresta era molto fitta, non vedeva molto oltre alla vegetazione, gli alberi sembravano semplici pini e querce. Insomma nulla di caratteristico.
Sentì la presenza dell’amica accanto, ma non le disse nulla.
- Scusa. – mormorò lei con un filo di voce – Hai ragione, mi sono comportata come una bambina. Ero molto spaventata.
- Non importa Patricia. Anch’io ti devo delle scuse, sono stato troppo duro. – fece lui – Ora dobbiamo capire dove siamo.
- Io posso rispondere. – echeggiò un’acuta voce allegra spuntata dal nulla.
- Chi ha parlato?- fece Patricia guardandosi attorno.
- Io. – rispose la vocetta.
- Fatti vedere! – urlò Severus sospettoso - Esci allo scoperto.
- Ma io sono allo scoperto!
La strega fece un passo in avanti guardandosi attorno.
- Ehi ferma! Così mi schiacci!
- Cosa?- la ragazza alzò il piede. Sotto la suola c’era un piccolo esserino verde, vestito di stracci e molto denutrito – Non posso crederci…- mormorò facendo un passo indietro, ma il piede si incastrò in una radice sporgente e cadde a terra.
- Stai bene? - domandò Severus chinandosi per aiutarla ad alzarsi.
Il suo sguardo si posò sullo strano esserino che stava appoggiato al suo ombrellino tutto rattoppato e arrugginito, era in piedi su una foglia che, date le piccole dimensioni dell'essere, sembrava un grande tappeto verde.
– E tu chi... cosa… sei?
- Come chi sono?- fece sconcertato l'altro – Io sono il Grillo Parlante! - si tolse il cappellino malconcio e fece un teatrale inchino.
L'unica risposta del mago fu il sopracciglio che si inarcava in una perfetta mezzaluna.
- Insomma! – urlò indignato il grillo pestando un piccolo piedino a terra, il gesto di stizza fece ondeggiare la grande foglia e, per poco, l'essere non cadde – Non mi conoscete? Il Grillo Parlate… Pinocchio… La Coscienza… Geppetto… La Fatina dai capelli Turchini….
- Patricia conosci una strega che si chiama così?
La donna guardava l’animale incuriosita, non capiva se fosse una sua allucinazione causata dalla caduta o se fosse realmente il Grillo Parlante di Pinocchio.
- Io conoscevo una strega che si faceva chiamare così, - confermò sorridendo - ma non erano i capelli ad essere turchini.- il mago sollevò lo sguardo al cielo e scosse mestamente il capo - Se lei è il Grillo Parlante, - continuò la donna - mi sa dire dove ci troviamo?
- Ma certamente! – rispose entusiasta – Benvenuti nella Foresta di Sherwood! – aprì le piccole braccia come se volesse abbracciare l'intera foresta.
Una delle cuciture della vecchia giacca si allentò, strappandosi all'altezza del gomito.
- Maledizione! - imprecò il Grillo esaminando il danno – Era la mia giacca buona!
Patricia e Severus si guardarono in faccia.
- Scusa Grillo... - mormorò la strega – io non... non ho capito bene. Dove hai detto che siamo?
- La Foresta di Sherwood, - ripeté il grillo socchiudendo gli occhi insospettito mentre cercava di unire i lembi strappati del buco che si era formato sul gomito – … ma voi non leggete? Non conoscete le fiabe?
- Severus... quando siamo caduti abbiamo battuto la testa vero?
- E’ molto probabile. – rispose stordito – Commozione celebrale… a volte non sa di averle.
- Esatto. – confermò lei – Sì, allucinazioni causate dalla caduta. Oppure abbiamo mangiato qualcosa che ci ha fatto male, quel pesce a pranzo ieri non mi sembrava freschissimo.
- Tu hai la bacchetta Patricia?
- No, la tengo sempre nella stessa tasca, ma è come sparita.
Piton annuì pensieroso.
C'era qualcosa di strano in quel posto, qualcosa che lo inquietava molto più degli occhi rossi dell'Oscuro Signore.
Per prima cosa doveva capire cos'era successo. Perché la Metropolvere non aveva funzionato?
Perché erano finiti in quella foresta che non riconosceva?
Un'improvvisa illuminazione gli fece accapponare la pelle.
Il libro... quello stupido libro... si era aperto...
- Patricia, - fece il mago – il libro che mi avevi portato... dove... dove l'hai preso?
- Me l'ha regalato Arthur Weasley l'anno scorso al mio compleanno.
- E ti sei fidata di uno che lavora all'Ufficio Uso Improprio dei Manufatti Babbani? Di uno che trova divertente a prendere la scossa con le spine elettriche?
- Sei troppo sospettoso! L'ho letto un sacco di volte e non mi è mai successo nulla.
- Patricia ti rendi conto che abbiamo un'allucinazione davanti ai nostri occhi che dice di essere il Grillo Parlante? E’ meglio se troviamo un sentiero per uscire di qui.
Il Grillo Parlante non era un tipo che mollava facilmente, socchiuse gli occhi e guardò molto attentamente un fiore. Mise l’ombrello sgangherato tra i denti e cominciò ad arrampicarsi sullo stelo, arrivò alla corolla tutto sudato e senza fiato, si mise a saltare su un petalo e a sbraitare.
- Io sono realmente il Grillo Parlante!
- Se sei il Grillo Parlante. – fece Patricia iniziando a cercare un sentiero – Perché sei vestito di stracci? Se non sbaglio la fatina ti aveva messo dei vestiti puliti.
- Da quando Pinocchio è diventato umano non ho più un lavoro.
- E non sei andato a fare la Coscienza di qualcun altro?
- Ora tutti vogliono fare i politici, gli avvocati, gli assicuratori o i venditori d’auto… sono lavori che non vanno d’accordo con la coscienza e gli altri sono troppo arrabbiati con i primi così hanno fatto tacere la propria coscienza per potersi vendicare… il mondo sta andando a rotoli. – spiegò rassegnato scuotendo la piccola testa verde e pelata.
- Capisco. E cosa vuoi da noi?
- Io so come uscire di qui.
Con un movimento fluido e fulmineo Severus lo acciuffò dalla corolla del fiore.
- Tu sai come farci uscire?
Il grillo non rispose, cercava disperatamente di allentare la presa del mago che lo stava letteralmente stritolando, il piccolo volto paffuto era passato dal verde ad un intenso colore rosso.
- Severus lo stai uccidendo!- urlò la donna liberando l’esserino da quella morsa mortale.
- Gr… gra… grazie…- boccheggiò il Grillo prendendo aria dal palmo della mano di Patricia – ... ancora qualche secondo e ci restavo secco, non bastava Pinocchio e il suo martello.
- Hai detto che sai come farci da qui. – lo aggredì Piton - Avanti parla!
Il Grillo lo guardò storto, si alzò e si spolverò il vestito liso.
- Sì, so come farvi uscire ma non ve lo dirò fino a quando quello lì, - disse stizzito puntando un dito verde contro Severus – … non mi chiede scusa.
Patricia lo guardò, la sua occhiata valeva più di mille parole.
- Io non chiedo scusa a quella bestiaccia!
- Severus…- mormorò Patricia, il tono non ammetteva repliche – avanti chiedi scusa al Signor Grillo Parlante.
- Non ci penso nemmeno. – ribatté voltandogli le spalle – E’ una follia! – borbottò ricominciando a cercare un sentiero per conto proprio - Ora mi devo scusare con un Grillo. Io li butto nei pentoloni bollenti! Ci faccio le pozioni con quegli inutili insetti verdi.
Il Grillo Parlante cominciò a tremare.
La strega lo aiutò a tornare sulla corolla del fiore, poi si avvicinò all’amico.
- Severus… – gli sussurrò all’orecchio – può essere l’unico modo per uscire da qui e tornarcene a casa. Io non vedo un sentiero e senza la magia siamo completamente indifesi. Se non hai un piano alternativo, ti prego per una volta di fare il gentile.
Piton si bloccò e le lanciò un’intesa occhiataccia, poi buffò. Chiuse gli occhi e borbottò quelle che sembravano scuse.
- Non ho capito…- fece il Grillo tendendo un minuscolo orecchio – può ripetere?
- Scusi, non volevo stringerla in mano è stato un… incidente.
- E si scusa anche per avermi dato della bestiaccia?
Severus alzò gli occhi al cielo, Patricia lo stava guardando implorandogli di dargli retta.
- Sì, anche per quello.
- E promette di non usare mai più i grilli come ingrediente delle pozioni? – continuò l’esserino con un sorriso.
Severus si voltò con uno scatto, prese quello scocciatore per il colletto della camicia e lo lasciò a penzolare a pochi centimetri dal suo naso.
- Senti esserino verde, non farmi perdere la pazienza altrimenti infilo te dentro un calderone e ti posso assicurare che sarai ancora vivo quando l’acqua comincerà a bollire.
Il Grillo divenne bianco come il latte, deglutì un paio di volte e poi tornò del suo solito colorito verde chiaro.
- Va… va bene…- borbottò l’animale – accetto le scuse. Ora se non le dispiace…
Severus lo guardò torvo poi lo passò nelle mani di Patricia.
- Allora bestiaccia. – disse Piton con tutta la scortesia di cui era capace – Dove diavolo siamo e dove dobbiamo andare per uscire da questo posto?

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Capitolo 3
*** Mi raccomando. Punti molto piccoli! ***


Capitolo 3: Mi raccomando. Punti molto piccoli!

Gli stava per venire un forte mal di testa.
Non sapeva dov’era. Non sapeva cosa fosse successo. Non sapeva dove fosse la sua bacchetta e stava parando con un grillo.
In più Patricia sembrava pure prenderci gusto in quella situazione assurda e del tutto priva di logica.
Non aveva molte alternative a dire il vero, non aveva la magia a disposizione e senza sapere dove si trovava non poteva girare per quella foresta senza perdersi.
Odiava sentirsi completamente in balia degli eventi.
E, soprattutto, odiava non avere la sua bacchetta a portata di mano.
Sbuffò quando, per l’ennesima volta, quella bestiaccia a forma di grillo gli disse che l’unico modo per arrivare alla città più vicina era andare da Robin Hood.
- Certo…- mormorò sarcastico – incontreremo anche Peter Pan e Campanellino.
- Tu non hai avuto un’infanzia felice, vero?- chiese il Grillo – E’ ovvio che non incontrerai quelle persone!
- Ecco appunto.
- Loro vivono dall’altra parte del regno!
- Merlino…
- No, neppure lui vive qui. – borbottò l’animale indignato – Certo che sei proprio ignorante!
Il mago strinse i pugni e digrignò i denti ripassando mentalmente ogni pozione che conoscesse in cui servivano dei grilli per il completamento della formula. Preferibilmente grilli vivi.
- Ci stavi dicendo come possiamo tornare a casa, Grillo. – li interruppe con voce dolce Patricia.
Il mago ringraziò mentalmente la sua capacità di diplomazia affinata in anni di lavoro al Ministero, se fosse stato per lui quell’esserino fastidioso si sarebbe trasformato in una macchia verde sotto la suola della sua scarpa.
- C’è un portale. - spiegò il Grillo con tono solenne – Un portale che si apre solo con la magia di sette pietre incantate. Le pietre sono sparse per il Regno e nessuno sa bene come siano fatte. La leggenda narra di “Sette gocce di magia cadute dal cielo che aprono la porta sull'altro mondo”. Non so di più.
- Quindi non sai nulla. – sentenziò il pozionista infastidito.
Il Grillo Parlante lo ignorò completamente.
- Se c’è qualcuno a cui potete chiedere di queste gemme è Robin. Lui conosce il Regno e sa tutto sui gioielli più preziosi.
- Tu conosci la strada per questo Robin, bestiaccia?
- Severus!
- Cosa? Continua a blaterare, ma non ci ha ancora fornito una spiegazione plausibile, non ci ha dato un indizio o un sentiero da seguire.
La strega gli lanciò un'occhiataccia che fece rabbrividire il mago, poi tornò a guardare la loro insolita guida.
- Anche se detto in modo orribile, - iniziò – Severus ha ragione, Grillo. Alla fine non ci hai ancora detto nulla di utile. Almeno puoi indicarci la strada per arrivare a Robin Hood?
- Farò di meglio, signorina. - fece il Grillo passandosi una manina sulla testa glabra - Vi condurrò da lui.

* * * *



Seguivano il grillo da un paio d’ore, cominciavano ad essere stanchi, Severus sentiva le gambe pesanti e la schiena a pezzi.
- Grillo quanto manca? - urlò Patricia al puntino verde che saltava davanti a loro.
- Un paio di minuti! - rispose lui spiccando un altro salto.
- E’ la stessa cosa che mi ha risposto mezz’ora fa! – sbuffò la strega, durante la camminata uno dei suoi tacchi si era rotto suscitando una battuta ironica di Severus che aveva scatenato l'ennesima lite – Non riesco più a camminare, maledizione.
- Non sono le scarpe adatte per camminare nei boschi.
- Strano. - rispose sarcastica Patricia fermandosi un attimo. - Stamattina quando mi sono vestita ho pensato che fossero perfette per una scampagnata nei boschi! Fermati Grillo!
La donna prese la scarpa con il tacco integro e iniziò a picchiarlo su una roccia poco distante.
- Che succede? - domandò l'esserino verde – La notte scende in fretta ed è difficile trovare l'accampamento di Robin quando è notte.
- Dimmi quanto manca o non sarò più così diplomatica come lo sono stata finora.- spiegò spazientita la donna staccando il tacco dalla scarpa con un colpo secco.
- Siamo... siamo arrivati...- balbettò il Grillo allungando il piccolo braccio – Dobbiamo solo superare quella collina.
- Muoviamoci allora. - disse il mago.
Il Grillo riprese a saltare davanti a loro, i due si scambiarono un'occhiata e ripresero a camminargli dietro.
Restarono in silenzio per alcuni minuti, fu Severus il primo a parlare.
- Le mie frasi erano fuori luogo. - le disse – Scusa, ma questa situazione mi infastidisce.
- Non importa. - disse lei – Secondo te cosa troveremo?
- Io non sono un gran intenditore di favole.
- Scommetto che da piccolo chiedevi a tua madre di leggerti le formule delle pozioni prima di addormentarti. – ridacchiò Patricia.
- Spiritosa. Qualcosa mi ha raccontato a dire il vero, ma ero troppo piccolo e, prediligeva le favole dei maghi da quella Babbane. Dicevano che erano molto più reali di principesse che dormivano per essersi punte un dito o giovani uomini che vivono con dei lupi. Dovremmo incontrare un branco di contadinotti che si credono ladri, giusto?
- Sì dovrebbe essere più o meno così, come dobbiamo comportarci? Cosa gli diremo?
- La verità, - rispose Severus dopo averci riflettuto qualche secondo – ma lasciamo perdere la faccenda della magia, siamo dei comuni Babbani. Diremo solamente che ci siamo persi e che dobbiamo tornare al nostro mondo; che dobbiamo trovare quelle gemme. Probabilmente lui sa dove cercarle, se vale la metà di quello che c’è scritto nei libri dovremmo essere in buone mani.
- Siamo arrivati! - urlò il Grillo a qualche metro di distanza.
I due accelerarono il passo fino a raggiungere l'ex coscienza di Pinocchio.
- Ecco. – disse l’animale con un sorriso radioso e soddisfatto – Quello è il rifugio di Robin Hood e i suoi uomini.
In fondo al pendio della piccola collina dove si erano arrampicati c’era un piccolo villaggio di capanne, alcune stavano sugli alberi, altre ai piedi dei grandi tronchi, c’erano uomini che lavoravano fuori dalle case, chi aggiustava le capanne, chi si allenava con la spade, chi con l’arco; mentre le donne stavano fuori con i figli a rammendare o solo a cucinare qualcosa per la sera.
Il Grillo ricominciò a saltare verso quella piccola città, Severus e Patricia gli correvano dietro, ormai stanchi e senza fiato.
- Fermi! - urlò una sentinella appostata sul ramo di un albero – Chi siete? Identificatevi!
- Sono io! - urlò il Grillo – Sono il Grillo Parlante! Voglio parlare con Robin.
- E gli altri due chi sono? – chiese puntando la balaustra sul mago.
Severus fissò la freccia che puntava dritto al suo cuore. Era deciso se sollevare un sopracciglio o le mani.
Optò per la seconda ipotesi.
- Sono miei amici! - rispose l’animale – Li ho incontrati nella foresta, si sono persi e hanno bisogno di una guida fino a Nottingham.
- E cosa vanno a fare in quel covo di serpi? Non saranno spie dello sceriffo, vero?
- Senti ho già perso troppo tempo con te! – urlò il Grillo – Vai ad avvisare Robin Hood e dirgli che il suo amico Grillo Parlante è venuto a trovarlo e con sé ha due amici.
- Ma…
- Muoviti!
- Va bene Grillo, stai calmo! - fece stizzito la guardia, prese una liana e si calò a terra poi corse verso la capanna più grande cercando il capo.
Dopo qualche istante un uomo biondo, col fisico di un atleta e con due occhi azzurri come il cielo uscì dalla capanna e si avvicinò ai nuovi visitatori.
- Accidenti… - fece Patricia mangiando con gli occhi il bel Robin Hood – nei libri non lo descrivono così bello.
- Se ti piacciono gli uomini in calzamaglia. – mormorò cattivo Severus squadrando il famoso ladro con sguardo maligno – Sembra Allock con le calze aderenti.
- Grillo Parlante! - urlò Robin stringendo la piccola manina dell’animale – Sono felice di rivederti dopo tanto tempo, ho giusto bisogno della tua consulenza riguardo ad un certo lavoretto che devo fare. – poi i suoi occhi furono catturati dallo sguardo penetrante, e un pochino famelico, di Patricia – Benvenuta nel mio modesto regno Signorina…
- Kent… Patricia Kent, Signor Hood. Posso dire che è un onore conoscere il ladro più famoso di Nottingham.
Robin fece un sorriso furbo e baciò, delicatamente, la mano della donna.
Severus roteò gli occhi verso il cielo che si stava striando di viola. Incredibile come la sua amica fosse disposta a cercare un uomo anche in un luogo come quello.
- Il piacere è tutto mio, Milady. Non capita tutti i giorni di imbattersi in una così sublime e celestiale bellezza.
- Ma mi faccia il piacere. – sibilò malefico il mago.
- Temo di non aver capito il suo nome. - disse Robin sorvolando sul cattivo carattere dell’ospite.
- Nessuno gliel'ha detto, infatti. - rispose asciutto lui allungando una mano - Severus Piton.
Robin afferrò con sicurezza la mano che gli veniva offerta e la strinse in una ferrea morsa; socchiuse gli occhi sorpreso dall’improvvisa forza dell'uomo che si trovava davanti. Di certo non era muscoloso come molti dei suoi uomini, eppure gli stava stritolando la mano. Rispose alla stretta con altrettanta forza cercando di dimostrare, in una puerile gara di virilità, chi era il più forte. Nessuno sembrava voler cedere per primo.
- Signor Hood, - lo chiamò la donna cercando di sottrarre il povero arciere dalle grinfie del mago- noi avremmo bisogno di raggiungere Nottingham il prima possibile.
Robin lasciò la mano di Piton, sorrise e offrì il braccio alla donna.
- Parleremo di questo a cena Milady, - rispose lui incamminandosi verso la capanna – la sera è molto vicina. Daremo una festa, all’alba partiremo, vi farò dormire nella migliore capanna disponibile. – abbassò poi la voce in modo da farsi sentire solo da Patricia - Altrimenti potrebbe far compagnia a me Milady... stanotte.
Patricia voltò appena la testa lanciando uno sguardo perplesso all'amico.
- Ma... vostra moglie, Lady Marion?
Il ladro scoppiò in una fragorosa risata.
- Le sembro il tipo che si sposa, Milady? No... io e Marion abbiamo preso... emmh strade diverse tempo fa.
- Capisco...- balbettò la strega – vede, signor Hood, io...
- Chiamami pure Robin. - le sussurrò all'orecchio lui.
- Robin...- ripeté con un finto sorriso di cortesia – io...
- Milady dormirà con me, Hood. - dichiarò Severus con tono che non ammetteva repliche.
- Perfetto. - rispose Robin lasciando la mano della donna – Potere riposare in quella capanna laggiù. La cena sarà pronta tra poco, a stomaco pieno si ragiona meglio.
La capanna era piccola, aveva un corto letto matrimoniale con un materasso fatto di paglia, una cassapanca di legno grezzo e un minuscolo tavolo traballante.
Erano così esausti per la lunga camminata che si sdraiarono sul letto e chiusero gli occhi senza più parlare.

* * * *


Severus aprì gli occhi sperando, per qualche istante, di essersi sognato tutto. Invece si ritrovò a fissare il soffitto di legno della baracca dove aveva riposato. Anzi era meglio dire dove aveva chiuso gli occhi perché non si sentiva affatto riposato, era come se non avesse mai dormito.
Voltò la testa incontrano il volto rilassato di Patricia.
Invidiava la sua capacità di dormire nei posti e nelle situazioni più disperate. Si ritrovò a seguire la linea decisa del naso che scendeva lungo le labbra rosse. Non aveva mai fatto caso alle sue lunghe ciglia nere che incorniciavano gli occhi verdi.
Tempo prima, quando la sua anima era ancora integra, aveva provato a confrontare gli occhi di Lily con quelli dell'amica, fallendo miseramente.
Gli occhi di Lily erano verdi come i prati baciati dal sole, chiari e cristallini, dove riuscivi a leggere ogni emozione. Sapeva cosa provava Lily solo guardandola negli occhi.
Gli occhi di Patricia erano di un verde intenso come le chiome degli alberi dei boschi, non avevano nulla in comune con gli occhi di Lily. Lo sguardo di Patricia era tagliente come un coltello, riusciva a celare le sue emozioni con sorprendente abilità e solo un sorriso.
Abilità da politico le definiva lei.
Maschera che protegge dal dolore le chiamava lui.
E lui era esperto di maschere che celavano il dolore dell'anima.
Vide le sue palpebre tremare, prossima al risveglio, e si affrettò a chiudere gli occhi fingendosi ancora addormentato. Sarebbe stato tropo imbarazzante essere sorpreso a fissarla mentre dormiva, non avrebbe saputo inventare una scusa abbastanza credibile e Patricia era un tipo estremamente sospettoso a volte.
La sentì muoversi appena accanto a lui, si era svegliata ne era certo, ma era altrettanto certo che Patricia fosse tutto tranne che una donna delicata al risveglio.
Riuscì a non sussultare sorpreso quando avvertì un polpastrello sfiorargli appena le labbra.
- Sono qui, Severus. - mormorò la strega a voce così bassa che la sentì appena – Anche se tu non mi vedi.
Ancora perplesso la sentì alzarsi dal letto di paglia e poi tirargli una spinta. Questa volta sussultò colto alla sprovvista.
- Sveglia Sevvy. Abbiamo dormito troppo e questo profumino è invitante.
- Sono sveglio. - disse lui osservandola mentre cercava di lisciarsi la veste da strega nera con i bordi color zaffiro.
La fissava ed era confuso. Perché gli aveva detto quelle cose? Perché sfiorarlo e poi tornare ad essere la solita strega che lui conosceva. Chi era la donna con lui in quel letto? Perché non conosceva quella parte della sua amica?
Troppe domande da porsi in un quel luogo assurdo e con lo stomaco che brontolava.
- Questa veste è un disastro. - sospirò sconsolata la strega – Avranno dei vestiti da prestarmi? - sollevò lo sguardo alla ricerca di una risposta alla sua domanda incontrando solo uno sguardo confuso – Sevvy stai bene?
Il mago cercò qualcosa da dirle, qualcosa che cercasse di spiegare il comportamento strano dell'amica. Alla fine sospirò.
- Non chiamarmi Sevvy. - borbottò scendendo da letto e uscendo dalla capanna.
Patricia osservò per qualche istante la porta, poi lo seguì, fu fermata quasi subito dal mago che con delicatezza le fece cenno di tacere posizionandosi un dito sulle labbra sottili, poi indicò le orecchie.
La strega socchiuse gli occhi, serrò le labbra e rimase in ascolto.
- Il trasferimento dell'accampamento è previsto per il prossimo mese. - udì la voce di Robin che bisbigliava a qualcuno – Lo sceriffo di Nottingam é arrivato troppo vicino l'ultima volta. Grillo, sei sicuro che gli hai fatto recapitare le informazioni giuste?
- Io so fare il mio lavoro. - sbottò il Grillo Parlante indignato – Sono i tuoi uomini che non sanno mimetizzarsi bene e Marion è inferocita.
- Non capisco cosa le sia preso.
- L'hai piantata sull'altare! - il Grillo stava sicuramente urlando, ma, visto la sua minuscola statura, sembrava che stesse parlando normalmente - Con tutto il regno che ha riso di lei per settimane. E, come se non bastasse, hai sfregiato lo sceriffo. E' andato in giro per tutto il reame a trovare qualcuno che gli cucisse la ferita come voleva lui. Era un forsennato, a tutti gridava “Mi raccomando! Punti molto piccoli” (*). Lo sai che da quando si è scoperto che Marion e lo sceriffo sono cugini lui la protegge e ha giurato di vendicarla. Le hai portato via la virtù, metà dell'oro che aveva nelle segrete e la sua credibilità. Non uscirà dalle delle sue stanze fino a quando la tua testa non verrà appesa fuori dalle mura di Nottingam.
Patricia sgranò gli occhi incredula.
- Guarda tu questo bastardo... - sussurrò arrabbiata.
Severus le intimò di tacere solo con un'occhiataccia.
Lei sbuffò e tornò ad ascoltare.
- Lascia perdere Grillo, questo è il passato. Ora però dobbiamo trasferirci tutti. Ho trovato una radura ben protetta ad est del fiume, sul confine tra le terre di Nottingam e le terre del Sultano. Vedi di mandare lo sceriffo da tutt'altra parte.
- Lascia fare a me, Robin. Ma ricordi i nostri accordi?
- Sì sì... avrai il tuo oro quando la polvere sollevata dal cavallo dello sceriffo non sarà visibile neppure all'orizzonte.
- Bene.
- Sai Grillo, per essere una coscienza sei alquanto bizzarra.
- Anche le coscienze devono mangiare, Robin Hood.

* * * *


Come aveva predetto il Grillo la sera era scesa veloce e in modo quasi violento nel bosco.
Il cielo si era oscurato così velocemente che il cambiamento fu quasi visibile ad occhio nudo, come se qualcuno avesse premuto un interruttore per spegnere la luce del mondo.
Era un pensiero assurdo, ma vista la situazione che stava vivendo, non era un’ipotesi da escludere del tutto.
Il mago percorse un piccolo sentiero di terra battura ed erba schiacciata che usciva dall’accampamento dei ladri. Una lampada ad olio penzolava dal braccio mentre in mano teneva un calice di coccio sbeccato in un paio di punti.
Patricia sedeva su un tronco rovesciato, probabilmente spezzato da un fulmine durante una tempesta. Sedeva sul muschio cresciuto sulla corteccia ormai morta, senza preoccuparsi di sporcarsi il vestito da strega rovinato.
Fissava uno squarcio tra le chiome degli alberi che mostrava il cielo pieno di stelle, così belle e splendenti da sembrare quasi finte.
Quando si sedette anche lui sul tronco lei non si mosse, continuava a fissare il cielo persa in mille pensieri a lui preclusi.
Le allungò il calice.
- E’ vino speziato. – le spiegò quando le dita affusolate della donna si chiusero attorno al calice sfiorandogli la mano – E’ buono.
Patricia non rispose, non lo ringraziò neppure, si portò il bicchiere alle labbra e bevve un sorso senza mai staccare gli occhi al cielo.
- Il pagliaccio in calzamaglia, - le lanciò un’occhiata sperando in un piccolo sorriso divertito, ma non successe nulla - ha detto che ci porterà domani da Principe Giovanni. Da quello che ho capito Re Riccardo è partito per un’altra delle sue spedizioni e lui ha usurpato il trono. Ancora. Tu ci capisci qualcosa?
Lei annuì solamente, gli occhi persi tra le stelle.
- Mi ha anche parlato di quelle gemme. Lui non sa dove trovarle tutte, ma è certo che nella corona del Principe ci sia uno smeraldo a forma di goccia. E’ un inizio. Vuole presentarci come nobili, ci presterà dei vestiti e un po’ di provviste.
- Bene. – fu l’unica laconica risposta della donna portandosi di nuovo il bicchiere alle labbra.
- Patricia cos’hai? – le chiese irritato Severus prima di bere un sorso di vino – Non sei un tipo silenzioso.
- E’ tutto così diverso…- mormorò lei – io… io… leggevo e rileggevo queste favole perché nulla cambiava. Sapevi chi era il buono. Chi era il cattivo. Tutto era già segnato, tutto era semplice. – Patricia sospirò e chiuse per un instante gli occhi - Ma niente è mai semplice. Quello che credi sia la persona migliore del mondo, la persona più buona e sulla quale sai sempre di poter contare si rivela un manipolatore, con doppi fini che non ha paura di sacrificare gli altri per raggiungere uno scopo.
Un sopracciglio sottile del mago s’incurvò verso l’alto, era certo che non stesse più parlando di quel luogo o dei bizzarri incontri che avevano fatto.
Parlava di Albus.
- Sono stata così stupida…
- Patricia…
La strega aprì di nuovo gli occhi e si voltò a fissarlo.
Gli rivolse il suo consueto sorriso, gli occhi brillavano come le stelle del cielo.
Si teneva tutto dentro come aveva sempre fatto della sua vita.
Severus si rese conto che, in fin dei conti, c’erano lati della sua amica che lui non conosceva affatto e quella improvvisa rivelazione gli fece male.
- Patricia…- ripeté con un sussurro.
- Le stelle, però, sono bellissime. – cambiò discorso lei tornando a guadare quel piccolo pezzo di cielo stellato.
Il mago sospirò e alzò anche lui lo sguardo verso le stelle.
- Sì, - confermò – sono bellissime.

___________________________

Nota:
(*) frase tratta dal film: Robin Hood – Il principe dei ladri del 1991 con Kevin Costner, Morgan Freeman e Alan Rickman nei panni del bellissimo sceriffo di Nottingam. Quella è una battuta dello sceriffo dopo che Robin l’ha ferito al volto.
E’ un mio piccolo tributo ad Alan, sempre per farvi quattro risate! XD

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Capitolo 4
*** Un'offerta che ho dovuto rifiutare ***


Capitolo 4: Un'offerta che ho dovuto rifiutare

- Ho proprio toccato il fondo. – pensò guardandosi disgustato.
Severus si ritrovò agghindato con un pesante vestito di velluto blu con i bordi in oro, i pantaloni a sbuffo con sotto una scomodissima calza maglia bianca, le scarpe d’oro si arricciavano sulla punta ed erano troppo strette, la giacca lo stava soffocando mentre il cappello con la piuma bianca era troppo largo, in più la ruvida camicia bianca sotto la giacca gli dava un odioso prurito.
Il mago sospirò di nuovo e, per un attimo, si ricordò del rosso Weasley e l'orrido vestito da cerimonia che aveva indossato per il Ballo del Ceppo. Provò stranamente pietà per lui.
- Esci Severus! - urlò Patricia dall'altra parte della porta, lei si era vestita in un'altra capanna usando vecchi vestiti di Lady Marion.
- No! - gridò l'uomo cercando qualcosa con cui coprire quel ridicolo abbigliamento, o un paio di forbici per farlo a pezzi.
- Avanti non può essere così terribile!
Severus gemette piano tirando la giacca, sbuffando contro la piuma che, insistentemente, gli cadeva davanti al naso adunco.
- Io entro,- dichiarò la strega dall'altra parte – sei avvisato!
Patricia aprì la porta ed entrò nella capanna dove avevano dormito quella notte.
Severus si ritrovò a corto di parole, aveva indossato un sontuoso vestito verde smeraldo che avrebbe fatto invidia ad ogni ragazza o donna della Casa Serpeverde. Aveva delicati ricami d'argento ed era sorretto da due spalline riccamente ricamate con gemme che riflettevano la luce.
Anche senza trucco e con i capelli semplicemente raccolti sembrava una nobildonna.
La strega lo fissò con gli occhi sgranati e, notando la sua occhiataccia, riuscì a trattenere le risate.
- Perché il tuo vestito è più bello? - si lamentò tornando a torturare la giacca blu. - Tu sei bellissima.
- E tu sei ridicolo. – sorrise lei dando un colpetto alla piuma del cappello con due dita - Non ce n’era uno meno pomposo e meno... blu...
- L’altro era giallo canarino. – rispose con una smorfia – Mi ha ricordato Allock, ho optato per questo meno sgargiante.
- Siamo pronti? – urlò Robin strofinandosi le mani entrando nella capanna, aveva indossato un lungo mantello nero e un paio di occhiali da sole, visto di sfuggita sembrava un cieco – Oooh Milady siete splendida e anche lei Messer Piton state proprio bene!
Piton ringhiò qualcosa di incomprensibile, certamente non erano ringraziamenti per avergli dato quell'orrido vestito.
Uscirono dalla capanna dove trovarono una carrozza trainata da un paio di cavalli. Nonostante la carrozza avesse lo stemma di una nobile famiglia sulla piccola portiera si vedevano i segni del tempo, in alcuni punti la vernice era scheggiata o del tutto mancante. In più i due animali che la trinavano sembravano due brocchi prossimi a percorrere il loro ultimo tragitto.
- Benissimo andiamo! – disse entusiasta Robin Hood.
Salirono sulla piccola carrozza diretti a Nottingham.

* * * *


Arrivarono alla città verso metà mattina, Severus e Patricia si guardarono attorno. Intorno a loro c’era solo gente povera, chiedevano del cibo, un po’ d’elemosina, bambini soprattutto e anziani malati.
E tutti si voltarono a fissarli, all’inizio pensarono che quella carrozza malandata attirava l’attenzione poi si resero conto che Robin, vestito ancora da cieco, stava guidando i cavalli.
- Siamo arrivati!- esclamò contento Hood – Bene vi lascio qui, dite alle guardie che vi manda Robin, loro vi apriranno. – spronò il cavallo e cominciò ad allontanarsi – Buona fortuna amici!- urlò sbracciandosi per salutarli.
Quando la carrozza svoltò l’angolo i due fecero un lieve respiro di sollievo e bussarono al portone, si aprì una piccola fessura e due minuscoli occhi neri sbirciarono fuori.
- Chi siete?- fece una voce profonda e rauca.
- Siamo il conte e la contessa Loxfort, - disse prontamente Patricia, avevano studiato una piccola bugia durante il viaggio per rendere credibile la loro visita - vorremmo parlare con sua maestà il Principe Giovanni.
- Avete un appuntamento? – chiese la guardia.
I due si scambiarono un’occhiata preoccupata.
- Beh... no… ma vede…
- Senza appuntamento non si entra a palazzo, – la interruppe scortesemente la guardia - se dovete vedere il principe telefonate alla sua segretaria, il numero è sull’elenco, sotto la P., Poppins Mary. – ringhiò prima di chiudere la fessura con un colpo deciso.
Patricia bussò ancora più decisa.
- Che volete ancora?- fece la guardia scocciata.
- Senta abbiamo fatto un lungo viaggio per vedere il Principe e ora…
- Le ho già detto che senza un appuntamento non si passa. – la interruppe di nuovo l’uomo.
- Ci manda un caro amico del Principe. – spiegò la strega.
- E chi sarebbe? - chiese sospettoso.
- Robin.
L’apertura venne richiusa all’istante, dopo pochi attimi il portone venne aperto e loro entrarono nel palazzo del Principe Giovanni.
Erano sicuri di trovare un energumeno dietro la massiccia porta di legno, invece c’era un piccolo omino con un sigaro in bocca.
- Dovevate dirlo subito che siete amici di Robin. – disse la guardia con la sua voce rauca – In fondo al corridoio a sinistra troverete la sala del trono, il Principe Giovanni è lì. – continuò finendo la frase con un colpo di tosse catarrosa.
Il corridoio in questione sembrava interminabile, lungo e contorno, illuminato solo dalle torce appese alle pareti che emanavano una luce sinistra.
- Mi sento quasi a casa. – mormorò Severus guardandosi attorno e sfiorando le fredde pareti di pietra grigia.
La stanza del trono era luminosa e completamente ricoperta d’oro, sacchi di monete, monili d’oro e d’argento erano sul pavimento mentre quadri preziosi e antichissimi arazzi impreziosivano le pareti. Alcune armatura brillavano negli angoli della stanza e lungo le pareti.
Il Principe Giovanni era seduto sul suo trono di legno laccato d'oro, sembrava molto giovane con i suoi lunghi capelli ramati, gli occhi neri e penetranti e il fisico atletico.
- Benvenuti nel mio castello. – fece alzandosi dal suo seggio – Vi prego di perdonare la mia guardia, non è stata delicata nei vostri confronti.
- Lei ci deve scusare Vostra Eccellenza, - disse Patricia con un dolce sorriso – siamo arrivati senza annunciare il nostro arrivo. Abbiamo un lungo viaggio davanti a noi, uno delle tappe era Nottingam e non potevamo non ringraziare il suo sovrano per averci dato il consenso ad attraversare le sue terre.
Il giovane principe fece un sorriso e allargò le braccia.
- Ora siete miei ospiti. Questo castello vi darà tutto quello di cui avrete bisogno per il vostro viaggio. Che non si narri nelle terre lontane che il Principe Giovanni di Nottingam non è un sovrano magnanimo.
- Molto gentile sua Maestà. – Patricia fece un piccolo inchino, poi diede una piccola gomitata per far inchinare anche Severus.
- Sarete stanchi per il viaggio, - disse il Principe chiamando due valletti – vi farò sistemare nelle vostre stanze e sarete miei ospiti per il pranzo ovviamente.
- Non possiamo fermarci molto mio Principe. – rispose educatamente Patricia – I nostri impegni ci obbligano a riprendere molto presto la strada, ma accettiamo la sua ospitalità.
- Oh che peccato…- rispose suadente Giovanni avvicinandosi a Severus – mi sarebbe piaciuto approfondire la vostra conoscenza Conte di Loxfort.
Severus alzò un sopracciglio, quel principe gli piaceva proprio poco. Lo guardava in un modo strano, gli sorrideva ad ogni frase e sembrava non gradire la presenza di una bella donna come Patricia.
I suoi sospetti aumentarono ancora di più quando il valletto lo accompagnò nella sua camera stranamente molto vicina a quella Reale. Molto, molto vicina.
Voleva andarsene da lì il più presto possibile.
Poco dopo pranzo lui e Patricia stavano nel grande parco dietro il castello, il principe si era presentato con corona e scettro ed ebbero la conferma alle parole del ladro. Nel centro della corona c'era una gemma verde a forma di goccia grossa quanto un uovo di gallina.
Non erano certi che fosse quello che cercavano, ma dovevano controllare.
- Allora hai escogitato un piano per rubargli quella gemma?- chiese sotto voce la donna.
- Certo, tra qualche ora cercherai di convincerlo a fare una passeggiata per il parco, devi sedurlo e farti condurre nella sua stanza. - rispose il mago chinandosi sul prato e strappando qualche fiore dalla corolla di un intenso color rosso.
Lei rimase in silenzio osservando la schiena piegata del mano.
- So cosa stai pensando. - disse lui indaffarato a togliere i gambi tenendo solo i petali e pistilli neri.
- Sto pensando che non avrei dovuto restituirti quella pozione.
Severus si raddrizzò di scatto e si voltò verso Patricia che sorrideva maliziosa.
- Non passerai la notte con Giovanni!- nella sua voce c'era una punta di gelosia che nessuno dei due colse al volo – Sai cos'è questo? - le domandò mostrandole i fiori spezzati.
- Insalata?
- Papaveri. - spiegò il pozionista senza commentare la sua risposta – I petali e i pistilli tritati sono l'ingrediente principale della pozione del sonno. Saranno pronti per questa sera dopo la cena. Fai portare del vino in camera e proponi un brindisi, metti la polvere nel suo calice e aspetta che si addormenti, non dovrebbe volerci molto. Quando si addormenta rubi la pietra. Scapperemo subito, questa notte stessa, non possiamo correre rischi, quando se ne accorgerà noi saremo già lontani.
- Addio al divertimento... - borbottò sconsolata l’altra.
Il mago sollevò un sopracciglio.
- Lascia perdere, tu non capiresti. – rispose Patricia allontanandosi per prepararsi.

* * * *



Li aveva lasciati soli di proposito, con una scusa qualsiasi, non voleva che nulla andasse storto, Patricia era stata bravissima e, con una scusa molto convincente, aveva condotto il sovrano in giardino per una romantica passeggiata sotto il chiaro di luna. Le aveva passato un fazzoletto ripiegato dove ci aveva nascosto la polvere di papavero. Si erano dati appuntamento nel portico appena il piano fosse riuscito.
Già stava assaporando la vittoria su quello stolto di un Principe quando sentì qualcuno che bussava alla sua porta, poggiò l’orecchio sull’uscio cercando di captare anche un minimo rumore per capire chi fosse a quell’ora tarda, non sentendo nulla socchiuse la porta.
- Patricia!- disse sorpreso appena la vide – Cosa diavolo ci fai qui?
- Fammi entrare. – tagliò corto la strega.
Era strana, sembrava imbarazzata.
- E’ successo qualcosa?- domandò immediatamente – Il coso che si crede un Principe ha fatto qualcosa di sbagliato?
- No. – rispose senza guardalo.
- Non sei riuscita a parlarci?
- No, ho parlato a lungo con lui.
- Allora sei riuscita a rubare il gioiello prima del previsto.
- Non è così.
- Ma sei entrata nella sua stanza vero? – disse cominciando a perdere la pazienza.
- Ecco…. Severus è proprio questo il problema. – rispose sedendosi sulla sponda del letto.
- Ti sei comportata male e ti ha cacciato?
- No! Senti io e il Principe abbiamo parlato e lui mi ha detto... mi ha detto... che preferisce la tua compagnia. – esordì tentando di nascondere un sorriso divertito.
- La mia compagnia?- ripeté stupito – E perché? Cosa può volere da... - la frase gli morì in gola e impallidì nel giro di qualche secondo – Scordatelo. – disse dopo aver superato la confusione iniziale - Io non lo faccio.
- Ma se ti attieni al piano non dovrai neppure sfiorarlo. – fece lei passandogli il fazzoletto ancora piegato.
- No! Io non ci metto neppure piede in quella camera! Tu gli hai detto che io non sono quel genere di uomo, vero?
- Veramente io gli ho detto che saresti andato nelle sue stanze immediatamente. – rispose Patricia voltandosi dall’altra parte cercando di non scoppiare a ridere.
- Non puoi averlo fatto! – urlò sconcertato – Come puoi avermi fatto una cosa del genere?
- Senti ci serve quella pietra e io non posso neppure avvicinarmi alle stanze del Principe. – rispose decisa lei cercando di mantenere il controllo – Tu, invece, hai questa opportunità. Perché io potevo farlo e tu no? In fondo non ci devi finire a letto! Quando gli metterai la droga nel calice sarà tutto finito.
- Nel frattempo cosa faccio? – chiese allarmato.
- Io questo non so. – disse Patricia accompagnandolo fuori dalla stanza – Ma sei sempre stato bravo ad improvvisare. – non riuscendo più a trattenersi Patricia scoppiò a ridere e corse dentro la camera chiudendosi la porta alle spalle.
Severus rimase solo in quel corridoio, la porta del Principe era a pochi passi dalla sua. Sapeva che lo stava aspettando, un brivido gli percorse la spina dorsale; doveva solo sperare che tutto finisse alla svelta e il più indolore possibile.
Fretta e indolore erano le parole chiavi della situazione in cui si era cacciato.
Si sistemò la casacca blu, infilò con cura il fazzoletto nella tasca dei pantaloni, facendo molta attenzione che la polvere non si perdesse.
- Scommetto che ti stai divertendo un mondo, Patricia. - mormorò a denti stretti avvicinandosi alla porta del Principe.
Arrivato alla massiccia porta di legno intagliato fece un profondo respiro e bussò.
Sgranò gli occhi quando il principe aprì la porta invitandolo ad entrare.
Il completino di pelle nera, completo di quelle che sembrano borchie lasciava molto scoperto e ben poco all'immaginazione.
Attingendo a tutta la sua abilità di doppiogiochista riuscì a celare una smorfia di disgusto.
- Benvenuto Conte!- lo accolse raggiante Giovanni con la voce leggermente più alta di quanto ricordasse – Sono felice che abbiate accettato il mio invito. Vostra sorella mi ha raccontato che siete un uomo molto timido e che difficilmente fate la prima mossa.
Severus maledì Patricia in tutti i modi che conosceva.
- Spero di non risultare troppo sfacciato ai vostri occhi. – disse poi notando l’espressione leggermente assente di Severus.
- A... affatto. – balbettò il mago abbozzando un sorriso ed entrando nella stanza.
Si bloccò sulla soglia, la stanza del principe poteva benissimo essere quella di un perfetto maniaco. Oltre alle stoffe rosse che ricoprivano praticamente ogni cosa era invasa da specchi. Manette, frustini e altri oggetti di cui ignorava l'uso erano in bella mostra su un tavolo, l'orrida ciliegina finale su quella torta di orrori era il letto rotondo.
- Ti piace?- gli sussurrò all’orecchio Giovanni.
Severus chiuse gli occhi e deglutì a fatica:
- Molto... molto... suggestiva. – sussurrò irrigidendosi quando la mano del Principe gli aveva sfiorato una natica.
- Nervoso? – chiese l’altro non capendo quel suo gesto.
- E’ che sono fuori allenamento. – rispose il mago cominciando a preoccuparsi per la piega che stava prendendo la situazione.
Stava succedendo tutto troppo velocemente. Doveva prendere il controllo della situazione.
Giovanni sorrise cospiratore e si mise davanti al suo nuovo amante:
- Andiamo Conte, una volta imparato non si dimentica più. – mormorò dolcemente mettendogli le braccia attorno al collo – Vediamo se riesco a rinfrescarti la memoria. – continuò avvicinandosi alle sue labbra, ma Severus cercava in tutti i modi di sfuggire a quel bacio – Smettila di fare il timido. Andiamo. Patricia mi ha raccontato cose molto interessanti sul tuo conto, ma ti avevo notato subito… appena entrato nel mio castello. – mormorò seducente cominciando a slacciargli la casacca blu mentre gli baciava il collo – Ho capito subito che sei il mio tipo.
Piton, da parte sua, non riusciva a muovere neppure un muscolo, era così paralizzato dalla foga del Principe che aveva dimenticato la gemma e la polvere custodita in tasca.
- Andiamo tesoro…- fece Giovanni cominciando a stufarsi della rigidità del compagno in posti dove non doveva essere rigido – non stare fermo. Non ho indossato il mio miglior completino intimo per tenerlo addosso a lungo.
A quella frase Severus si destò dal suo torpore iniziale e ricordò quello che doveva fare, mentre cercava di non vomitare e, nel frattempo, si imponeva di fingere apprezzare le carezze del Principe, che si facevano pericolosamente insistenti e sempre più vicino alle sue parti intime, controllava se nella stanza c'era qualcosa dove poter sciogliere il sonnifero.
C’era una brocca sulla scrivania, una brocca e due calici, molto probabilmente vino.
Ghignò soddisfatto.
- E’ vino quello? - chiese Piton con la voce più calda e sensuale che gli riuscisse.
Il viso di Giovanni si illuminò.
- Certo amore è vino…- lo prese per mano e lo trascinò fino alla brocca – te ne verso un bicchiere.
- No aspetta! - lo fermò rudemente Severus con un gesto deciso – Faccio io, tu buttati sul letto. – e, senza aspettare che lui eseguisse l’ordine, lo spinse con forza sul giaciglio rotondo.
- Come sei virile…- cinguettò l’altro passandosi una mano nella folta chioma rossa.
Severus versava da bere mentre progettava una vendetta per la Signorina Kent che aveva raccontato tutte quelle assurdità sui suoi gusti sessuali.
Senza farsi vedere afferrò dalla tasca della giacca il fazzoletto contenente la polvere di papavero e ne mise due pizzichi nel calice. Si domandò se ne avesse messo abbastanza, non aveva i suoi strumenti e non sapeva quanto fosse efficace e in che tempi. Riaprì il fazzoletto e ne sciolse altri due pizzichi, poi, non contento, mise tutta la polvere nel vino.
Sfrigolò un poco mentre si scioglieva per poi scomparire del tutto. Sperò che non alterasse il sapore delle bevanda.
Con estenuante lentezza, che per il Principe era solo un gesto per aumentare la sua eccitazione mentre per Severus era un modo per ritardare il più possibile la visione del pazzo maniaco in completino di pelle, si voltò sfoggiando il sorriso più suadente che gli riusciva. Si mise a sedere accanto a Giovanni e gli passò il calice colmo di sonnifero.
- Bevi tutto. – sussurrò Severus con un mormorio basso facendo vibrare le corte vocali e il corpo dell’uomo che gli sedeva di fronte.
Giovanni non se lo fece ripetere due volte, bevve avidamente in un solo sorso e gettò il calice alle sue spalle, poi si gettò famelico su Severus che non riuscì a schivarlo in tempo e si trovò sdraiato sul letto con il Principe che finiva di slacciarli la casacca.
- Era una dose che avrebbe messo fuori gioco anche Hagrid! - pensò il professore basito sfuggendo alle labbra del principe – Doveva crollare immediatamente! Forse la sua eccitazione sta ritardando l’effetto del sonnifero… o peggio… la polvere di papavero sta aumentando la sua eccitazione! Giuro che questa volta me la paghi Patricia. Appena ti metto le mani addosso io… io…- ma i suoi pensieri furono bruscamente interrotti, Giovanni aveva finito di slacciagli la casacca e l’aveva completamente aperta sul torace.
Gli stava torturando la pelle del collo con delicati morsi che avrebbero dovuto aumentare la sua eccitazione mentre rischiava solo di fargli rimettere quello che aveva mangiato a cena, mentre con quelle fastidiose mani andavano sotto la cintura cercando un entrata per raggiungere posti che Severus esigeva che restassero privati.
E, mentre lui faceva ogni genere di sforzo per slacciare la complicata chiusura di quell’abito ottocentesco, Severus la riallacciava cercando di non dare nell’occhio.
Il Principe alzò la testa solo per poter vedere meglio lo sguardo magnetico e provocante del suo nuovo amichetto di giochi; Piton accennò un debole sorriso. Quando Giovanni riprese a baciargli il collo alzò gli occhi al cielo sperando che la pozione facesse in fretta il suo lavoro. Cominciò ad avere qualche serio dubbio sulla sua efficacia quando l’altro iniziò a scendere con la bocca fino ai suoi pantaloni, afferrò con i denti uno dei lacci e tirò verso il basso aprendoli del tutto. Severus chiuse gli occhi disperato, non voleva guardare, non voleva sentire, voleva solo morire, mentre si preparava al peggio avvertì uno strano rumore totalmente diverso da quello dei baci, morsi, risatine idiote e risucchi che aveva avvertito fino a poco prima.
Alzò appena la testa e vide Giovanni immobile davanti al suo intimo nero; con un colpo di bacino lo fece rotolare di lato. Il Principe Giovanni, fratello di Re Riccardo e nuovo sovrano di Nottingham era crollato: la polvere di papavero aveva fatto effetto e ora avrebbe dormito per diverse ore, forse anche un giorno intero.
Il pozionista si accasciò sul letto con un sospiro di sollievo. C’era andato troppo vicino per i suoi gusti.
Si rialzò allacciandosi i pantaloni e prese la casacca dal pavimento, mentre si rivestiva alla bene e meglio cercava nella stanza la corona del Principe mettendo a soqquadro la camera.
- Tua sorella mi ha detto che sei timido…- mormorò imitando la voce dell’uomo che russava – Oh sì Patricia mi ha raccontato cose molto interessati sul suo conto…- continuò cercando in tutti i posti immaginabili – Vorrei proprio vedere cosa ti ha raccontato quella pazza, brutto porco depravato! – sbuffò mentre controllava anche sotto il letto e dietro i quadri alla ricerca di una cassaforte – Oh come sei virile… E quella sconsiderata chissà come se la ride! – si fermò un attimo cercando un angolo dove non aveva ancora cercato, la stanza Reale era sotto sopra, aveva rovistato ovunque, aperto ogni cassetto e controllato sotto ogni tappeto e quadro, la sua attenzione fu attirata dall’armadio. Quello non lo aveva ancora controllato, forse per paura di trovarci qualche ex amante appeso.
Furtivamente aprì le ante del mobile. Appoggiata ad una testa di plastica raffigurante il volto sorridente del sovrano c’era la corona. Severus la prese tra le mani e la controllò bene, la gemma verde splendeva nel centro, racchiusa in un cerchio di piccoli diamanti. Senza troppe difficoltà Piton recuperò il gioiello che a contatto con la sua mano emanò un intenso bagliore verde. Sorridendo soddisfatto se lo mise in tasca, uscì dalla porta promettendo a se stesso e al suo corpo di non farvi mai più ritorno.

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Capitolo 5
*** Un aiuto dall'alto ***


Capitolo 5: Un aiuto dall'alto

- Perché non mi vuoi raccontare cos’è successo?- chiese ancora una volta la strega.
Durante la notte aveva rubato un paio di cavalli neri dalle scuderie ed ora stavano cavalcando verso sud. Ovvero verso l’ignoto.
Senza guida giravano a vuoto, senza sapere dove dirigersi o dove cercare il prossimo indizio, ma di una cosa erano assolutamente certi: dovevano allontanarsi da Nottigam.
Viaggiavano ormai da un paio di giorni e le informazioni che avevano ricevuto da altri viaggiatori incrociati per strada non erano le più incoraggianti.
Da quello che avevano sentito il Principe Giovanni si era svegliato solo dopo un giorno, ancora vestito con quel ridicolo completino di pelle, con una forte emicrania e la rabbia per la scoperta del furto del gioiello fu superata solo dalla rabbia di apprendere che due dei suoi cavalli purosangue erano spariti. In più era arrivata una soffiata allo sceriffo e, il mattino successivo alla loro fuga, era partito con alcuni soldati alla ricerca del fuggiasco Hood.
Severus non ne aveva la certezza, ma il sorriso stampato comparso sulla faccia di Patricia quando aveva appreso la notizia fugava ogni suo sospetto.
Avevano accelerato il trotto dei cavalli per aumentare sempre di più la distanza che li separava dalla cittadina e avevano rubato alcuni vestiti da contadini stesi ad asciugare fuori da una capanna in mezzo alla campagna lasciando i vestiti preziosi donati dal ladro come pegno.
Nonostante nessuno li stesse seguendo o fosse sulle loro tracce Severus era più taciturno del solito e non rivolgeva parola all'amica se non i caso di estrema necessità.
- Andiamo ti puoi fidare di me...- gli disse sorridente Patricia – io ti sono amica.
- Amica?- esplose all’improvviso il mago – Non mi avresti gettato tra le braccia di quel maniaco se fossi stata mia amica! Non avresti raccontato tutte quelle balle su di me se fossi mia amica!
La strega trattenne a sento una risata con una smorfia che fece infuriare ancora di più l'uomo.
- Ma cosa dovevo dirgli? Lui aveva già puntato gli occhi su di te io ho solo forzato un attimo la mano.
- Ho visto! Per poco non mi violentava!
Patricia decise che era meglio lasciar perdere il discorso, non era il caso di farlo arrabbiare ulteriormente. Fece un profondo respiro e si guardò attorno, avevano lasciato Nottingham e la Foresta di Sherwood e il panorama non era molto vario. Vaste pianure verdi, piccole colline, capanne isolate dal resto del mondo, qualche strano uccello di tanto in tanto ma nulla di veramente pericoloso, temibile o anche solo vagamente emozionante.
- Che noia...- sbuffò raccogliendo i capelli con un nastro – Sevvy come facciamo a trovare le altre gemme senza una guida?
- Non lo so, - rispose serio l'altro – e non chiamami Sevvy!
- Ora dove andiamo?
- Seguiamo il sentiero, da qualche parte ci sarà una città o solo un piccolo villaggio.
Verso il mezzodì arrivarono di fronte ad una grande collina completamente ricoperta di fiori di ogni genere e colore. Il profumo dolciastro dei fiori era così forte che dava quasi la nausea. Salirono metà colle e decisero di fermarsi per mangiare un boccone.
- Chissà cosa c’è oltre la collina? – fece la donna addentando del pane ormai quasi del tutto secco.
- Non saprei, non si sentono rumori. Temo che ci vorrà ancora un po' prima di trovare una città o anche solo un villaggio con più di cinque case.
Il mago fece un lieve sorriso notando una bella margherita bianca, la colse e la infilò tra i capelli dell’amica. Il candore dei petali spiccava con i capelli neri come la pece della donna. Patricia arrossì lievemente e Severus si rese conto che la sua amica era tenera quando rinfoderava le unghie e la lingua biforcuta.
Stava per parlarle quando un pianto esplose a pochi metri da loro. I due saltarono in piedi, guardandosi attorno.
- Assassino! – gridarono in coro delle vocette squillanti.
- Terrorista! – urlò una voce più profonda.
- Ma cosa...- fece Piton guardandosi attorno quelle vocette stridule ce l'avevano con cui – Chi parla?
- Avete visto?- fece la seconda voce – Fa pure finta di non vederci e dire che siamo tutte intorno a lui.
Il mago socchiuse gli occhi e si guardò attorno ancora con più foga.
- Dove siete? – chiese chiedendosi se aveva perso del tutto la ragione.
- Siamo qui idiota!- urlarono le vocette indisponenti – Sei cieco oltre che un assassino?
- Io non sono un assassino!
- Hai ucciso una nostra sorella!- risposero le vocette prima di scoppiare a piangere di nuovo.
- Una vostra sorella? – ripeté Severus convinto, ormai, di esser uscito di senno e di stare parlando con una voce immaginaria partorita dalla sua mente – Patricia ci capisci qualcosa?
Ma la ragazza non rispose, gli dava le spalle e stava guardando a terra.
- Patricia… cosa c’è?- domandò cercando di capire quale fosse l’oggetto di così tanto interesse, la strega stava osservando un piccolo fazzoletto di terra ricoperto da bianchissime margherite – Non sei un po' grande per cogliere le margherite? Vuoi farci una coroncina come le bambine?
- Non ci provare!- urlarono all’uniscono i fiori aprendo i loro occhietti neri e la loro boccuccia irritante – Sei un genocida!
- Per tutti i Gargoyle! - esclamò il professore sgranando gli occhi neri – Ma questi fiori parlano.
- Certo che parliamo umano. – rispose un giglio vicino alla sua caviglia – Cosa credevi che fossimo solo fiori insignificanti?
- O ornamenti per i capelli?- fecero in coro le margherite arrabbiate.
Severus alzò gli occhi al cielo, quei giorni erano trascorsi in modo così tranquillo e normale che aveva quasi dimenticato dove fosse finito.
- Mi dispiace per vostra sorella. – mormorò – Patricia andiamo.
La strega annuì e cominciò a raccogliere le sue cose.
- Dove siete diretti?- chiese curiosa una violetta quando la strega si chinò a raccogliere la sacca che aveva trovato nelle stalle del castello a Nottingam.
- Non lo sappiamo con preciso, stiamo vagando per il regno alla ricerca delle gemme magiche per aprire la porta che ci condurrà a casa.
- Oh…- fece una bocca di leone rossa fuoco – io so di cosa parlate!
- Sul serio?- domandò speranzosa Patricia con un sorriso.
- Sì, sì io so cosa sono!
- Sa anche dove possiamo trovarle? – chiese elettrizza la donna.
- Io so dove si trova una gemma. – rispose delicatamente una rosa gialla – Dietro la collina c’è un bosco, tra gli alberi, dopo le sette cascate, troverete una casina piccola. Là vi abitano sette nani, là troverete una gemma.
- Ovvio!- disse Patricia – La miniera dei sette nani! Come ho potuto dimenticarlo! Andiamo Sevvy! Siamo sulla pista giusta!
- Ti ho già detto di non chiamarmi Sevvy! – farfugliò il mago salendo a cavallo.
Partirono al galoppo alla ricerca della foresta.

* * * *


- Dovremo lasciare i cavalli. – constatò Piton osservando il fitto bosco di fronte a loro – Continueremo a piedi.
- Va bene. – rispose la donna scendendo dall’animale e togliendogli la sella.
Camminare per la foresta di Sherwood era stato abbastanza facile, gli alberi erano molto alti e facevano passare abbastanza raggi luce da illuminargli il cammino e rendere l’aria fresca e respirabile. Questo bosco, invece, aveva un aspetto sinistro e malsano, era buio e puzzava terribilmente di alberi in decomposizione, la vegetazione era bassa, scura, umida, l’erba cresceva ovunque attaccandosi sulla corteccia degli alberi come un parassita.
- Non mi sembra il bosco di Biancaneve. – commentò Patricia osservando la vegetazione – Assomiglia alla Foresta Proibita.
- Magari ci troviamo pure qualche schifosa bestiaccia pericolosa come nella Foresta Proibita. E non abbiamo la magia per difenderci.
- Potremmo cercare un’entrata. – suggerì la donna.
- E’ un bosco! Non c’è una porta con una maniglia e uno zerbino con scritto benvenuti. - sbottò irritato l’altro continuando a cercare un acceso meno insidioso - Ho trovato le tracce di un sentiero. Ma sembra che nessuno passi da qui da anni.
- Andiamo. – disse Patricia prendendo il mago per mano.
Severus abbassò lo sguardo confuso, Patricia non lo prendeva per mano da anni.
La strana sensazione al cuore tornò a farsi sentire, questa volta accompagnata da un piccolo crampo allo stomaco.
Ignorò tutto.
- Paura?
- Un po’.
Severus sorrise appena e ricambiò la stretta. Quel crampo tornò a farsi sentire, ma lo ignorò di nuovo.
- Ci sono io qui.
- Lo so.
Fecero un profondo respiro e si addentrarono nel bosco.

* * * *



Camminarono a lungo e molto lentamente, le radici, i cespugli spinosi e anche solo la semplice erba bloccavano in continuazione la strada. Si trovarono a cambiare percorso un paio di volte e, ben presto, si persero nel fitto della scura vegetazione.
- Maledizione! – urlò Patricia furiosa – Possibile che questa foresta ce l’abbia con noi? Dici che in qualche modo non vogliono che raggiungiamo la capanna dei sette nani?
- Sono alla ricerca della capanna dei sette nani. – borbottò il mago mentre scansava un cespuglio con le mani, gli mancava la sua bacchetta e la facilità con cui faceva saltare i cespugli solo con un piccolo movimento del polso – Dovrei essere nel mio ufficio a decidere se licenziare Gazza o a trovare il modo di allontanare Pix. Invece sono alla ricerca della capanna dei sette nani! Probabilmente ucciderò Arthur quando tornerò a casa.
- Severus! - gridò Patricia bloccando ogni sua fantasia omicida verso il capofamiglia Weasley – Severus, veni a vedere!
Piton andò verso la sua amica, Patricia aveva trovato un sentiero abbastanza spazioso, un grande sentiero a scacchi verde che attraversava la foresta.
- E questo da dove diavolo salta fuori?- domandò il professore passandosi una mano tra i capelli perplesso – Sono certo che non ci fosse nulla del genere poco fa.
- Non lo so. – rispose la donna – Ma ora che siamo qui… siamo persi nella foresta… seguiamo il sentiero.
- E se fosse una trappola?
- Al massimo troviamo il lupo cattivo di Cappucetto Rosso!
- Sempre più spiritosa vedo. – sibilò cattivo l’altro – Va bene seguiamo il percorso, ma teniamo gli occhi aperti. Non mi piace per niente.
Incominciarono ad incamminarsi osservando la vegetazione che il circondava, la foresta era mutata quasi all’improvviso, prima era bassa, putrida e puzzolente; ora gli alberi erano alti e folti, le vegetazione era rigogliosa in fiore e molto colorata. Alcuni conigli passarono accanto ai due viaggiatori ignorandoli del tutto, gli uccelli avevano incominciato a cantare creando una dolce melodia come se stessero cantando per gli stranieri che li stavano osservando. Patricia aveva intonato una canzoncina con le labbra e i pennuti avevano subito seguito le sue note formando un piccolo coro di cinguettii.
Lentamente la donna incominciò a danzare nel sentiero seguendo le note degli uccellini, saltellava allegra con gli animaletti attorno che le danzavano tra i piedi.
Piton si fermò a fissare l’amica, incrociò le braccia e alzò un sopracciglio.
Tutto ciò era strano…
Quando anche un cervo con le grossa corna ramificate si avvicinò alla strega per leccarle una mano la pazienza del mago finì del tutto. La raggiunse con due grandi falcate e la prese per un braccio. La strattonò forte cercando di farle riprendere il senno che sembrava averla abbandonato del tutto.
- Ma che diavolo ti prende? – sbraitò il mago.
Patricia lo guardò confusa, sembrava quasi che non lo riconoscesse.
- Si può sapere lei chi è? – chiese liberandosi dalla presa dell’uomo con uno strattone.
- Patricia! Sono io! Severus!
La donna socchiuse gli occhi cercando di ricordare quel nome.
- Mi dispiace ma non conosco nessuno con un nome così orribile. – dichiarò tornando a saltellare e canticchiare con gli animali della foresta.
Il Preside rimase senza parole, si ritrovò a fissarla convinto che lo stesse prendendo in giro.
- E allora chi diavolo sei?
Patricia si fermò, si voltò verso il mago e lo guardò stralunata, come se le avesse posto la domanda più stupida al mondo.
- Io mi chiamo Alice.
Severus sgranò gli occhi.
- Alice…- mormorò incredulo – allora sai anche dirmi dove siamo?
- Ah non lo so! - rispose la strega sollevando le spalle – Io volevo solo trovare un posto sicuro per non studiare. Mia sorella è una lagna. Ho seguito il Coniglio Bianco, sono caduta in una buca e mi sono ritrovata qui.
Il mago si passò una mano sul svolto spazientito.
- Cos’ho fatto per meritarmi anche questa?- si domandò sapendo già che non avrebbe ricevuto alcuna risposta.
Quando era un mago decisamente più giovane e ancora convito di poter fare qualcosa di utile per il mondo nonostante le sue pessime scelte di vita, aveva chiesto aiuto a qualche entità soprannaturale. Chiedendogli la forza di uccidere quando non aveva altre possibilità. Oppure di indicargli la soluzione ad un problema.
A volte chiedeva la forza di dimenticare Lily.
Invece le sue preghiere erano sempre rimaste senza risposta, silenziose lamentele che cadevano nel silenzio della sua anima.
Ben presto aveva imparato che non c’erano entità sopra di lui che tiravano i fili del suo destino e che doveva trovare da solo la forza di andare avanti.
Il destino non è scritto, lo si scrive con le proprie mani ogni giorno e lui aveva scelto un futuro vuoto, scarlatto come il sangue che gli sporcava le mani. Doveva trovare da solo le soluzioni ai suoi problemi e la forza di togliere una vita quando non aveva altre possibilità.
- Se vuoi posso risponderti io…- echeggiò una voce sopra la testa del mago.
Piton alzò il capo basito da quella voce arrivata dal nulla. Non era un'entità soprannaturale, non era un uomo con barba e vestito di bianco, né un ciccione dorato a gambe incrociate o un divinità con la faccia da elefante e il corpo di donna.
Era un gatto con evidenti problemi di peso e il muso simile in modo quasi inquietante al gatto spelacchiato che la Granger si portava appresso dal suo terzo anno.
L'animale con il manto stranamente a strisce rosa e viola gli sorrideva in modo sinistro, con una dentatura somigliante molto di più a quella di un umano anziché di un gatto. Frustava l'aria con la grossa coda pelosa e lo fissava con due occhietti gialli spiritati.
- Merlino... - mormorò il mago – e tu cosa saresti?
- Io?- rispose l’animale scomparendo dal ramo dov'era appollaiato – Io sono uno Stregatto. – continuò apparendo su ramo più basso – E sono qui…- continuò di nuovo scomparendo – per aiutarti a trovare la strada.- proseguì comparendo tra i piedi del mago.
- Bene, - disse l’uomo osservando di sbieco Patricia mentre raccoglieva fiorellini per farne una ghirlanda – sono impazzito pure io. Se sapevo che nel mio futuro avrei cantato con degli animali e ballato in un bosco sconosciuto, avrei chiesto a Nagini di mordermi due volte per essere sicuro di finirmi.
- Tu non sei matto. - fece l'improbabile animale – Ma la tua amica è stata contagiata.
- Contagiata da cosa?
- Oooh ognuno la chiama in modo diverso. Qui viene chiamata la malattia di Alice. – esordì il gatto a cui erano spuntati degli occhiali con le lenti rotonde sul naso rosa e un grosso libro di medicina – Sintomi: alterazioni delle percezioni visive e uditive. Convinzione di essere Alice. Predisposizione nel cacciarsi nei guai e nell’incontrare le persone più strane di questa foresta.
- Ad esempio?- chiese il mago fissando l’amica che aveva ripreso a cantare con gli uccellini.
- Il Cappellaio Matto abita laggiù. – rispose l’animale allungando una zampa pelosa a destra – Il Tricheco e il Carpentiere sono al di là di quell’albero. Il Coniglio Bianco vive in una casetta dopo il lago vicino al castello della Regina di Cuori, ma non vi consiglio il castello. La Regina è molto suscettibile in questo periodo,- si mise una zampetta vicino alla bocca come se stesse per dirgli un grande segreto – colpa della menopausa – gli sussurrò - e taglia la testa a chiunque metta piede nel tuo territorio.
- Noi siamo diretti alla… alla…- Severus chiuse gli occhi e fece un profondo respiro – alla casetta dei sette nani.
- Allora dovete uscire della foresta. Continuate il sentiero e uscite dalla parte nord. Superate le sette cascate troverete la capanna, non è difficile.
- E come faccio a curare la mia amica?
- Di quello non preoccuparti! La malattia perde la sua efficacia usciti dal bosco, ma io mi preoccuperei di altro, se fossi in te.
- Perché?
- Perché in tutto il mondo esistono bolle di malattie di questo genere. Se la tua amica è stata contagiata dopo pochi metri può succedere di nuovo. Capita a chi si lascia trascinare da questo mondo, solitamente quando si tende a non vedere la realtà rifugiandosi in un mondo di fantasia.
- Bene…- sospirò il mago sconsolato – questa ci mancava. Quindi potrebbe impazzire ancora?
- E’ probabile… ma anche tu, manichino, potresti correre lo stesso rischio.
- Impossibile. – ribatté Piton – Io non mi lascio incantare da questo posto. Conosco molto bene la mia realtà e non sono un manichino.
- Io non ne sarei così sicuro… tutti scappano dalla realtà prima o poi. Non tutti lo ammettono con la stessa facilità però.
Il mago fece un cenno infastidito con la mano come se stesse scacciando un insetto estremamente fastidioso.
- Quando Patricia uscirà da questo bosco tutto tornerà come prima? – domandò.
- Assolutamente. – rispose l’animale sparendo dalle gambe del mago e comparendo su una roccia – La tua amica tornerà in sé solo se esce dal bosco di Alice.
- Fantastico. – mormorò – Sicuramente non sarà propensa a seguirmi con le buone. Non c'è problema, mi devo vendicare dello scherzetto che mi ha fatto al castello del Principe Giovanni. - fece un passo verso la strega che stava danzando attorno al cervo, poi si bloccò - Ah. Grazie gatto.
- Oh prego…- fece l'animale incantato cominciando a sparire un poco alla volta – ma ti devo avvertire, non sarà facile uscire. Siamo tutti matti!
La risata folle dello Stregatto echeggiava ancora della foresta, sembrava quasi che i tronchi degli alberi centenari facessero rimbalzare il suono da una corteccia all’altra facendo risuonare la risata ancora più folle alle orecchie del mago che stava si stava avvicinando all'amica cercando una scusa per convincerla a di uscire dal fitto della foresta. Optò per un approccio dolce. Poteva ricorrere alla maniere forti in un secondo momento.
- Patri… Alice… - la chiamò sollevando gli occhi cielo esasperato - cosa ti va di fare?
La strega si bloccò e fissò intensamente il mago:
- Beh io voglio sapere cosa fa il Coniglio Bianco!
- Che fortunata coincidenza, - fece Severus abbozzando un inquietate sorriso – l’ho appena visto che saltellava verso la fine del bosco.
- Davvero! - gridò la donna entusiasta battendo le mani – Andiamo! Andiamo!
Saltellando Patricia si incamminò sul sentiero seguita da un paio di conigli, uno stormo di uccellini canterini, delle farfalle e tre procioni.
Piton alzò gli occhi al cielo.
- Anche se non mi ascolti e probabilmente non esisti, ti prego fa che tutto vada bene. – borbottò seguendo l’amica impazzita e spostando con la mano gli uccellini che gli volavano davanti agli occhi.

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Capitolo 6
*** Un the non proprio sul soffitto ***


Capitolo 6: Un the non proprio sul soffitto

Seguivano il sentiero da parecchio tempo ormai, la sera stava scendendo e, dentro la foresta, si faceva sempre più buio e creature sempre più strane facevano capolino dalle rispettive tane. Severus era sicuro di aver visto un ombrello con gambe e occhi saltellare dietro un cespuglio, una scopa che spazzava le foglie secche dal terreno, una pala che scava buche da sola e un paio di animali assolutamente impossibili da descrivere.
Patricia continuava a cantarellare seguita dagli animali, alcuni era riuscito a scacciarli con un paio di calci ben piazzati, altri sembravano incollati alla strega con un incantesimo e, visto il luogo in cui si trovavano e tutto quello che avevano visto, la cosa non era da escludere del tutto. Improvvisamente la sua amica si era fermata, gli animali erano scappati, il buio aveva avvolto del tutto la foresta incantata e, attorno a loro, era sceso un silenzio spaventoso.
- Tutto bene?- chiese Severus titubante avvicinandosi alla finta Alice.
- Sono stanca. – disse sedendosi su una roccia sporgente – E ho paura del buio.
Severus alzò gli occhi al cielo esasperato e scosse la testa.
- Non possiamo restare nella foresta di notte!- disse sforzandosi ad essere gentile – Potrebbero uscire strane bestie feroci e potrebbe essere pericoloso.
La donna si coprì il viso con le mani scoppiando a piangere.
- E ora che c’è?- sbuffò il mago – Cos’hai ancora?
- Ho paura delle bestie feroci!- singhiozzò l’altra – Io voglio tornare a casa!
- Credimi non sei l’unica. – mormorò Severus guardandosi attorno, sospirò rassegnato a quella situazione e si inginocchiò accanto alla ragazza – Senti Alice, se piangi è peggio, ci sono qui io… io ti proteggo.
La finta Alice alzò il viso coperto di lacrime.
- Ve... veramente mi proteggi tu?- singhiozzò tirando su con il naso.
Severus annuì, la donna gli saltò al collo abbracciandolo forte.
- Grazie, il buio mi fa così paura!
Piton ricambiò l'improvviso abbraccio, sorrise lievemente quando lei strofinò il volto umido di lacrime sulla sua camicia.
Improvvisamente una musichetta attirò l’attenzione della fanciulla che lasciò il collo del mago e scattò in piedi.
- Cos’è questa musica così bella?
Senza pensarci due volte, iniziò a correre cercando l'origine di quella melodia.
- Ehi dove credi di andare?- urlò Piton balzando in piedi, fece qualche passo cercando di intravedere la ragazza nella boscaglia – Alice!- urlò, ma la ragazza non aveva nessuna intenzione di tornare indietro e continuò a seguire la musica.
Gli tornarono in mente le parole del gatto, alterazioni delle percezioni visive e uditive. Convinzione di essere Alice. Predisposizione nel cacciarsi nei guai e nell’incontrare le persone più strane di questa foresta.
- Ehi Alice!
Ormai era sparita tra i cespugli ed era certo che l’avrebbe più sentito.
… predisposizione nel cacciarsi nei guai e nell’incontrare le persone più strane di questa foresta.
Un brivido di terrore gli attraversò la spina dorsale.
- PATRICIA!

* * * *



- Giuro che quando torna in sé gliene dico quattro! Anzi la costringerò ad assistermi nella preparazione delle pozioni più complicate e noiose che conosco. – borbottò Severus mentre spostava con poca grazia i rami degli alberi che gli intralciavano il cammino.
Da perfetta spia era capace di riconoscere le tracce e per sua fortuna il terreno era abbastanza fangoso da permettergli di riconoscere le impronte di Patricia sul terreno limaccioso.
La musichetta sembrò aumentare di volume mano a mano che i passi aumentavano.
Era stranamente luminosa quella notte in mezzo a quella foresta, ma ormai non si stupiva più di nulla. Aveva capito che accettare quello che aveva davanti agli occhi, per quanto improbabile e del tutto assurdo, era più facile che accanirsi per cercare una soluzione logica che non sarebbe mai arrivata.
Per quel motivo quella strana luce notturna non lo disturbava più di tanto, anzi lo aiutava a cercare meglio quella pazza amica che era sfuggita alla ricerca di musichette strane e conigli bianchi.
Ma nonostante la consapevolezza che tutto quello che aveva davanti era ridicolo e al di fuori di ogni possibile logica rimase spiazzato quando si ritrovò davanti ad una giostra dei cavalli come quelle dei vecchi Luna Park.
Su quattro dei sei destrieri colorati con tenui colori pastello e rifiniture metalliche c’erano due bambini e due adulti che giravano allegri e ridevano come matti.
Patrica ancora convinta di essere Alice saltellò sul posto battendo le mani e, voltandosi verso Severus, gli indicò la giostra.
- Guarda che bella! – ridacchiò radiosa – Voglio farci un giro!
- Patrici… Alice, - si corresse con uno sforzo - non possiamo, dobbiamo andare a cercare il Coniglio Bianco. Ti ricordi di lui, vero?
- E chi se ne frega di quella bestiaccia puzzolente che mangia solo carote! - rispose seccata la ragazza - Io voglio salire sulla giostra!
Il pozionista si passò una mano sul volto iniziando ad elencare mentalmente gli ingredienti della pozione più complicata che conosceva.
Aveva deciso di essere paziente, calmo, di usare le buone maniere, ma il limite della sua pazienza stava per essere superato con un balzo.
- Avanti Alice…- si sforzò di dire con un sorriso tirato – dobbiamo proprio andare…
- No!- urlò lei pestando un piede a terra proprio come una bambina capricciosa.
- Per tutti i Gargoyle ubriachi! Lo sapevo che era tutto fin troppo semplice!- sbottò il mago alzando gli occhi al cielo – Dillo che è una punizione per i miei errori! Dillo che devo scontare questa pena per quello che ho fatto quando ero un Mangiamorte e per aver ucciso Albus! Sono pronto, fai di me quello che vuoi, ma lascia che lei riprenda coscienza di sé prima che quelli ci vedano. – continuò fissando il cielo stellato cercando la solita risposta dall’alto che non sarebbe arrivata.
A meno che non ci fosse lo Stregatto nelle vicinanze.
In quel preciso momento la giostra si fermò con un lento movimento e scesero i suoi quattro passeggeri. La prima che saltò già fu una bambina bionda vestita con un elegante vestitino rosa, la seguì un ragazzino poco più grande con un orribile vestito alla marinara e un enorme lecca-lecca variopinto che leccava ad intervalli regolari, poi toccò alla donna che indossava un vestito bianco e rosso con uno strano cappellino pieno di fiori, mentre l’uomo che scese dopo di lei aveva un aspetto del tutto normale se si trascurava il completo bianco che indossava e il volto completamente sporco di fuliggine.
- Abbiamo compagnia!- fece la donna sorridente avanzando verso i due stranieri con passo deciso stringendo nella mano coperta da un sottile guanto di pizzo bianco un ombrellino candido come il vestito – Bert, bambini, venite a salutare i nostri nuovi amici. Io sono Mary Poppins, piacere di fare la vostra conoscenza.
L’uomo che si chiamava Bert saltellò fino ai due e tese la mano.
- Piacere Bert! – disse stringendo energicamente la mano di Patricia e di Severus che si trovò la mano completamente sporca di fuliggine.
- Sapete che se stringete la mano ad uno spazzacamino avrete fortuna? – disse il bambino tra una leccata e l’altra.
- Sul seriooooo?- fece Alice con la bocca spalancata in una perfetta O che ricordò al mago le espressioni idiote degli studenti del settimo anno quando illustrava la Felix Felicis durante una delle ultime lezioni dell’anno.
Severus si sfregò le mani per togliere la cenere nera ragionando sul modo più veloce e meno indolore possibile per andarsene da lì e arrivare alla fine del bosco.
Ma i suoi piani furono interrotti sul nascere dall’intervento della donna.
- Gradite una tazza di the?
Tutti, esclusi il mago, apprezzarono l’idea, la donna aprì una strana valigia che sembrava fatta di tappeto e tirò fuori un tavolo rotondo interamente apparecchiato per sei persone completo di sedie pieghevoli. Dalle espressioni del tutto inesistenti dei due bambini e dello spazzacamino quella era una scena di ordinaria routine per loro.
Quando tutto fu pronto e in perfetto ordine, la donna si tolse il cappellino e si mise al tavolo assieme agli altri.
- Bene, - fece con un sorriso guardandosi attorno – ci siamo tutti?
Severus fu costretto a sedersi al tavolo spinto da una Patricia elettrizzata come non mai.
Inutile tentare di opporsi. Forse la tortura sarebbe durata poco.
- Quante zollette Signor…?
- Piton…- grugnì l’uomo – Severus Piton… una grazie.
- E tu cara?
- Due. – rispose la ragazza prendendo una grossa fetta di torta al cioccolato.
- Signorina Poppins…- iniziò Severus stranamente incuriosito – lei non lavorava per il Principe Giovanni?
- Solo tre giorni alla settimana e per qualche ora. Non è il lavoro che ho sempre desiderato, ma come bambinaia non guadagno più molto. – ripose la donna sorseggiando la bevanda ambrata.
- Serata incantevole vero Mary?- fece Bert allungando il braccio e facendo svolazzare un’altra nuvola di intossicante cenere intorno a loro.
- Certo caro, ma vorrei sapere qualcosa di più sui nostri ospiti. E’ così insolito trovare gente nuova in questo bosco incantato. Cosa vi porta qui?
La strega, che ormai aveva le labbra sporche di torta al cioccolato, stava per rispondere quando notò un cespuglio che si muoveva in modo alquanto strano.
- Il Coniglio Bianco!- urlò scattando in piedi – Severus il Coniglio Bianco!- continuò puntando il dito verso due orecchie bianche che spuntavano dal cespuglio.
- Quello è il bastardo che mi ha rubato il portafoglio!- urlò, a sua volta, Mary Poppins afferrando l’ombrellino e correndo minacciosamente verso il cespuglio.
Giunta in prossimità delle orecchie vi si buttò sopra con un urlo di guerra, tirando fortissime ombrellate al malcapitato cespuglio, facendolo finire in mille rametti.
Il Coniglio Bianco, dopo esser stato licenziato dalla Regina di Cuori durante una delle sue crisi causate dalla menopausa, si era dato al borseggio. Molti dicevano che voleva seguire la strada di Robin Hood, aveva anche scelto un nuovo nome e uno slogan tutto suo da mettere sui cartelloni pubblicitari: White Hood, una carota a me e due a te!
Stava sempre in quel bosco alla ricerca di qualcuno da derubare, il trucco che funzionava sempre era quello del finto coniglio in pensione zoppo, cieco e pure un po’ sordo... i bambini si commuovevano sempre e i genitori gli lasciavano qualche soldo e lui, fingendo di ringraziare i suoi benefattori, prendeva anche il resto del portafoglio. A volte, invece, preferiva il vero e proprio taccheggio, aveva comprato una vecchia motoretta verde, per mimetizzarsi meglio nel bosco, dal Tricheco e il Carpentiere, l’aveva sistemata in modo che andasse a the invece che benzina – il the del Cappellaio Matto era così forte che veniva venduto anche come combustibile - e sfrecciava per i sentieri strappando le borsette da mamme, Cappuccetti Rossi, zie e lupi travestiti.
Aveva trovato la borsa della Poppins appoggiata ad un tronco mentre lei stava finendo l’esercitazione di yoga con il maestro Shifu, non ci aveva pensato due volte ad aprirla. Era noto a tutto come Mary avesse paura dei ladri quindi metteva sempre tutto nella sua valigia, mobilia compresa.
Si era strofinato le zampe quando aveva visto tutto quello che conteneva, ma non aveva molto tempo, la lezione era quasi al termine, la Poppins stava eseguendo l’ultima, e difficilissima, posizione dell’ornitorinco affogato… così si accontentò solo del portafoglio e corse via.
La donna, esperta bambinaia di bambini irrequieti e spesso fuori controllo, aveva i sensi all’erta e vide il maldestro coniglio rubargli il portafoglio da sotto il naso. L’aveva rincorso per un po’, urlando e sbraitando agitando l’ombrello sulla testa, con addosso la sua tuta da yoga e il maestro Shifu che scuoteva sconsolato il capo, poi aveva ceduto e si era rassegnata all’idea di fare una lunga fila dalla Polizia della foresta per denunciare il furto.
Corse verso la sua valigia, l’aprì e vi si buttò dentro, ci fu qualche minuto di confusione e trambusto dove Mary buttava fuori dalla sua preziosa borsa ogni genere di vestito, mobili o soprammobile. Quando uscì aveva indossato una tuta mimetica completa di berretto da guerra con piante di plastica attaccate sopra, trucco nero e verde per mimetizzarsi meglio e coltello di trenta centimetri di lama seghettata e tagliente.
- Con la carne ci faccio lo stufato…- borbottò la donna fuori di sé accarezzando l’arma che aveva appesa alla cintura – e poi prendo altri cento conigli e ci faccio una pelliccia!
Batté un piede sulla giostra, i cavalli girarono su se stessi trasformandosi in sei piccoli carri armati. I due ragazzini e Bert si sistemarono nei rispettivi cingolati, la strega guardò tutti con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, poi si buttò dentro il quinto cingolato.
- Alice!- sbottò Piton vedendola sbucare dal buco sopra il cilindrato con un cappellino militare in testa – Vieni via da lì!
- No! – urlò la ragazza – Voglio il Coniglio Bianco.
Borbottando insulti a tutti quelli che conosceva Severus si incamminò verso l’ultimo carro armato e vi entrò sbuffando ed imprecando a voce bassa. Chiedendosi dove trovava la forza di andare avanti senza prendere a pugni qualcuno, segnò le sue guance pallide con due righe nere e s’infilò l’elmetto mimetico imitando gli altri.
- Benissimo!- urlò Mery Poppins sul piede di guerra – CARICA! – gridò allungando la mano indicando il percorso che aveva fatto il Coniglio Bianco.
Lentamente i cingolati presero a muoversi seguendo la pista e schiacciando tutto quello che si intrometteva sul loro cammino.

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Capitolo 7
*** Ballando coi pinguini ***


Capitolo 7: Ballando coi pinguini

- Eccola lì! – sbuffò seccato Piton osservando il terreno – Quella è la seconda lumaca che ci sorpassa. Possibile che questi… cosi… siano così lenti?
Orientandosi con le poche stelle che riusciva a vedere in quella foresta luminosa il mago calcolò che si stavano muovendo da un’ora abbondante, ma avevano percorso solo pochi metri in una lenta marcia.
- ORA BASTA! – urlò la Poppins al limite della sopportazione – Quel maledetto Coniglio è troppo veloce per i nostri super carri armati tecnologici.
Severus alzò un sopracciglio perplesso.
- Adesso gli faccio vedere io! – spense il suo mezzo e scese con la valigia in mano, l’aprì e iniziò frugarci dentro – Questo no… questo neppure… no… i miei calzini di lana… oh questo mi ero dimenticata di averlo! – in un batter d’occhio la foresta fu sommersa da mobilia di vario genere, vestiti e oggetti strani – Eccola! – esclamò vittoriosa la donna estraendo un tandem a quattro posti.
Senza che la donna disse nulla i quattro salirono sulle piccole selle e partirono, molto più velocemente, alla ricerca del coniglio ladro.
- Ehi! - urlò Severus alla indistinta figura della bicicletta infondo al sentiero - E noi cosa si fa?
In quel preciso istante la marcia del suo cingolato fu interrotta bruscamente da un comodino che Mary aveva tolto dalla borsa per cercare la bicicletta. Il carro armato emise lo stesso suono sinistro e metallico che risuonò nei vicoli di Spinner’s End durante un pomeriggio di primavera dopo un inverno gelido, quando aprì il piccolo cancello che portava al giardino davanti alla casa dopo essere stato abbandonato per un anno intero al proprio destino.
Il lento cingolato si ribaltò, Piton fu scaraventato fuori dal veicolo e precipitò dentro la valigia di tappeto lasciata aperta dalla Poppins.
Si trovò completamente circondato dall’oscurità, si rese immediatamente conto di non sentire un pavimento sotto i suoi piedi; se allungava le braccia non sentiva pareti né qualsiasi cosa di solido da toccare o dove aggrapparsi.
Era come galleggiare in un vuoto privo di peso, era buio e non vedeva cosa o, peggio, chi lo circondasse.
Improvvisamente qualcosa di duro lo colpì all’altezza dello stinco, imprecando a denti stretti allungò le mani incontrando un oggetto che aveva tutto l’aspetto di una lampada appoggiata ad un comodino. La esaminò con le mani fino a quando non incontrò la cordicella per accenderla. L’afferrò e chiuse un attimo gli occhi.
- Fa che funzioni…- mormorò tirandola leggermente.
Il famigliare click echeggiò nel vuoto che lo circondava, la luce ci impiegò qualche istante per accendersi, tremolò appena illuminando tutto quello che lo circondava.
Severus si ritrovò a desiderare ancora che le tenebre lo avvolgessero.
Quello che aveva davanti era come un enorme magazzino galleggiante. Mobili ovunque, di qualsiasi forma e colore, ammassati uno sopra l’altro oppure in perfetto ordine formando vere e proprie stanze fluttuanti. C’erano scarpe che camminavano da sole, specchi che ondeggiavano nel nulla, attaccapanni che ballavano con vecchi cappotti semi ammuffiti e guanti che li applaudivano come un silenzioso pubblico inquietante.
Tutto era avvolto nel silenzio più assoluto.
Il professore si guardò attorno esaminando il posto, come aveva già notato non era presente né soffitto né pavimento e neppure forza di gravità. Alzò lo sguardo cercando l’apertura della borsa, con un gemito disperato si ritrovò a fissare il nero del soffitto. Niente luci in fondo al tunnel, niente via d’uscita.
Doveva cavarsela da solo.
Prima cosa da fare era trovare il modo di muoversi in quel magazzino galleggiante.
Iniziò cercando di camminare come le persone normali ritrovandosi pietosamente a testa in giù.
Vergognandosi provò a nuotare e le cose migliorarono, era almeno riuscito a girarsi ma ora andava solo in tondo senza muoversi in nessuna direzione. Anzi alcune camicie da notte iniziarono a girargli intorno come bambini fastidiosi.
Fermò quel nauseante girotondo e incrociò le braccia cercando una soluzione a quel problema inaspettato. Era sempre stato bravo in questo.
Socchiuse gli occhi osservando attentamente la cassapanca blu che gli passava accanto valutando l’ultima possibilità che gli era venuta in mente, lentamente allungò la mano verso il mobile constatando con un sorriso soddisfatto che reggeva il suo peso senza precipitare in quel nulla oscillante. Sentendosi una scimmia nera, con un orrendo carattere e con l’umore decisamente pessimo, si spostò da un mobile all’altro cercando una via d’uscita.
L’odore di muffa, legno vecchio e aria stantia gli stavano facendo venire il voltastomaco e un acuto mal di testa. Quasi in preda al panico iniziò ad aprire cassetti e ante a caso cercando qualsiasi cosa che potesse aiutarlo. Senza sapere cosa poteva aiutarlo per uscire da quella situazione disastrosa.
Aprì il cassetto del primo comodino che gli passò accanto trovando all’interno una vecchia foto. Vi era ritratta Mary Poppins con addosso quel ridicolo vestito bianco e rosso, accanto a lei c’erano quattro pinguini vestiti da camerieri.
Un sopracciglio vibrò, ma non si sollevò verso l’alto.
Il mago scosse la testa e ripose la fotografia quando il suo sguardo fu attratto da quella che sembrava una porta, non c’erano muri in quel nulla, ma l’uscio, diversamente da tutto quello che lo circondava, era ferma. Non fluttuava, non si muoveva, non oscillava… era strano, più strano del resto.
Sempre ondeggiando e galleggiando, reggendosi a poltrone, appendiabiti, specchi enormi e vasi di fiori arrivò alla porta, afferrò con decisione la panciuta maniglia dorata e la spalancò con tutta la forza che aveva in corpo.
Soffocò un urlo di sorpresa e un’imprecazione che avrebbe inorridito perfino l’Oscuro Signore.
Quattro scheletri erano dietro quella porta, dopo la sorpresa iniziale, il mago si accorse che i quattro scheletri non erano altro che quello che restava dei pinguini che aveva visto nella fotografia.
I quattro mucchietti di ossa iniziarono a ballare e ad aprire e chiudere il becco; dopo pochi secondi Severus si rese conto che stavano cantando. O, almeno, ci stavano provando.
Appoggiandosi allo stipite della porta, il mago, si portò una mano alla radice del naso e la massaggiò.
- Non uscirò mai vivo da qui.
I quattro inquietanti pinguini iniziarono a ballargli intorno in un macabro tip-tap silenzioso. Continuarono in quel balletto nonostante le sue accese proteste. Riuscì a spingere via uno degli scheletri che sbatté contro una credenza cadendo in un mucchio di ossicini sparpagliati. Ma, sotto il suo sguardo stupito, le ossa si ricomposero da sole ricreando lo scheletro del volatile.
Quando il balletto finì il professore notò che le pinne degli animali indicavano una vecchia cassapanca.
Sapendo che, ormai, non aveva più nulla da perdere a parte la sanità mentale, si spostò verso il mobile e lo aprì trovandolo pieno di cianfrusaglie vecchie come Salazar.
In fondo alla cassapanca, stranamente più profonda di quello che sembrava dall’esterno, vide qualcosa luccicare. Curioso spostò vecchie ciabatte, camicie ingiallite dal tempo, foto in bianco e nero e vecchi gioielli rotti o ossidati.
Si ritrovò tra le mani uno specchio antico, con il manico in argento con piccole decorazioni dipinte. Sgranò gli occhi quando vide la pietra arancione incastonata sul retro di quell’oggetto.
Così come per la corona, estrarre la gemma dalla sua sede fu facile e, come l’altra volta, non appena la gemma toccò la sua pelle emise una debole luce ambrata.
La sensazione che provò subito dopo fu la stessa che si avverte quando si usa una Passaporta. Si sentì trascinare vero l’alto; la luce di quella notte misteriosa lo colse all’improvviso.
Si ritrovò seduto sull’erba, completamente senza fiato.
Accanto a lui c’era Patricia, ancora confusa e convinta di chiamarsi Alice. Lo aveva afferrato per una manica della camicia e l’aveva trascinato fuori. Ci aveva messo così tanta forza che il tessuto si era strappato e un lembo di stoffa era ancora stretto tra le sue mani.
- Grazie. – le disse solamente ancora frastornato.
- Prego…- rispose la strega con un sorriso dolce così simile a quello che ogni tanto gli rivolgeva la vera Patricia – mi stavo preoccupando.
Severus si ritrovò a sorridere di fronte a quella donna così strana che aveva riempito la sua vita monotona con frecciatine velenose e battibecchi infantili.
Abbassò improvvisamente lo sguardo sulla sua mano: stretta nel suo pugno c’era la seconda chiave che li avrebbe riportati a casa.
Si alzò di scatto e la donna lo imitò. Si voltò verso il sentiero cercando di calcolare quanto mancasse alla fine del bosco, poi fissò la sua compagna.
- Se tu fossi in te, - le disse – ti infurieresti. Ma, per fortuna, oggi sei Alice.
Senza pensarci troppo infilò la seconda pietra in un sacchetto insieme alla prima e si caricò Patricia sulle spalle.
Era ora di passare alle maniere forti.
Corse fino a quando non vide la luce in fondo alla foresta e la vegetazione diradarsi lasciandogli vedere il paesaggio oltre gli alberi e i cespugli.
Quando uscì dalla boscaglia e il buio di una notte più normale li accolse, tirò un sospiro di sollievo. Si voltò subito verso di lei.
- Chi sei tu?
Vide le sue guance imporporarsi e annullare la piccola distanza che li separava, gli mise una mano sul petto e un lieve formicolio lo fece rabbrividire, ma non sentiva freddo.
- Guardami, Severus.
Fu un attimo, un istante veloce come un lampo e le labbra morbide di Patricia si posarono sulle sue. Un bacio delicato, dolce come la frutta matura e fresco come le acque cristalline di un torrente.
Severus sgranò gli occhi, ma non riuscì a respingerla come avrebbe voluto.
In quel velocissimo istante si ritrovò a domandarsi se voleva veramente respingerla.
Non riuscì, comunque, a trovare una risposta che lei si staccò subito dalle sue labbra, le sue gambe cedettero e se i sensi del mago non si fossero allenati in tutti quegli anni di spionaggio sarebbe caduta pietosamente a terra.
- Patricia! – la chiamò scuotendola leggermente, era tra le sue braccia e, stranamente, era un peso dolce.
Fin troppo dolce.
La chiamò ancora, ma lei non sembrava sentirlo.
- Svegliati!
La donna si portò lentamente una mano alla fronte, le palpebre tremarono e si sollevarono lentamente.
- Severus perché urli in questo modo… - gemette lei – non avevo un mal di testa così forte da quando ho sfidato il Ministro russo ad una gara di bevute di vodka. E perché mi stai tenendo in braccio, vecchio noioso vampiro, so camminare da sola!
Patricia si divincolò dalla sua stretta e si guardò attorno evidentemente disorientata, notando l’insolito mutismo dell’amico gli sventolò una mano davanti al volto pallido.
- Sevvy stai bene? Hai una brutta cera. Beh molto più brutta del solito.
Un attimo, un frangente di secondo e Severus la strinse in un possessivo abbraccio.
- Salazar, grazie! Sei tornata normale! Non sai quanto sono felice di rivedere quel tuo brutto carattere! – la liberò dal suo abbraccio e la guardò – Ma questo non cambia il fatto che non devi chiamarmi mai più Sevvy.
- Inizi a farmi seriamente paura.
- Ora va tutto bene. - sospirò lui sereno- Il mio unico desiderio è andarmene da qui il più velocemente possibile. Ti racconterò dopo quello che è successo.
Patricia annuì curiosa, si incamminarono, ma non fecero che pochi metri quando un profumo attirò l’attenzione di entrambi.
- Sevvy senti anche tu profumo di coniglio arrosto?

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Capitolo 8
*** Un mago di nome Merlino ***


Capitolo 8: Un mago di nome Merlino

Il bagno dei Prefetti di Serpeverde era sempre stato il suo preferito. Anch’esso situato sotto il lago aveva le pareti totalmente di vetro, circondato dall’acqua del Lago Nero dava la sensazione di essere del tutto sommerso nelle sue acque cristalline e pure.
C’era sempre qualche sirena curiosa che ogni tanto andava a sbirciare gli ignari Prefetti intenti a farsi un bagno e non era raro vedere i tentacoli della piovra gigante che passava vicino alla stanza. A parte questi spiacevoli inconvenienti, era il posto più tranquillo dove riflettere, oltre alla biblioteca ovviamente.
Nonostante i suoi voti alti e l’ineccepibile comportamento che aveva a Hogwarts non era stato scelto come Prefetto né, tanto meno, come Caposcuola; ma a Severus dei titoli non era mai importato molto.
Sapeva che poteva avere una certa influenza sugli studenti del primo o del secondo anno, ma quelli più grandi non l’avrebbero mai preso troppo sul serio, non avrebbe mai trasmesso fierezza come Malfoy. Nessuno l’avrebbe seguito come lui aveva inseguito Lucius nei primi anni a Hogwarts.
Ma, nonostante tutto, riuscire a farsi dare la parola d’ordine dal Prefetto della sua Casa era sempre stato fin troppo facile e c’erano sere, anzi notti, dove si concedeva un lungo bagno profumato in quella bolla di silenzio immerso nelle acque del lago.
Non lo sapeva nessuno, ma ancora oggi, da professore e poi da Preside, lo faceva ancora.
Sempre di notte, quando nessuno poteva vederlo o scoprire la sua presenza in quella stanza e solo quando ne sentiva l’effettiva necessità.
Il mago aprì gli occhi trovandosi in quella stanza dalle pareti di vetro, appoggiato al bordo della vasca con la schiena e immerso nell’acqua fino alla vita. Le bolle volteggiavano attorno a lui, ogni tanto qualcuna scoppiava rilasciando il suo intenso profumo.
Severus sospirò rilassato poggiando la testa sulle piastrelle verdi chiaro che ricopriva il pavimento del bagno, l'acqua gli accarezzava il corpo in una morbida, calda carezza profumata di agrumi e cannella.
Chiuse gli occhi e per la prima volta nella sua vita riuscì a non pensare a nulla. Tutto sembrava lontano e dimenticato.
Tutto gli sembrava meraviglioso e un il futuro non era più un punto di domanda circondato dalla vita di tutti i giorni. Vedeva possibilità infinite, sogni realizzati e obbiettivi raggiunti.
Riuscì a sorridere mentre le bolle gli volteggiavano attorno.
- Oh… Mocciosus che sorride è una visione inquietante.
- Vedo che hai imparato una parola nuova, Black. - sibilò lui senza aprire gli occhi, stranamente a suo agio.
Il Preside sentì l'acqua muoversi attorno, avvertì una piccola onda calda colpirgli li petto e finire fuori dalla vasca, inondando il pavimento di schiuma.
- Black non sei neppure capace di entrare con grazia in una vasca.
Sentì le mani dell'uomo sul petto e sorrise sollevando le palpebre, alzò la testa incontrando gli occhi scuri di Sirius.
I suoi occhi di tenebra erano nulla in confronto allo sguardo di Black. Nei suoi occhi si vedeva tutta la sua vita di sofferenze, di odio e rancore che gli cresceva dentro come una pianta parassita.
Ne era attratto in modo quasi morboso.
- Ma so entrare in altri posti. Vero, Severus? E in quel caso non serve essere aggraziati.
- Volgare e del tutto inappropriato.
- Allora puniscimi, Preside.
Severus sollevò del tutto la testa, mise una mano dietro la nuca di Sirius intrecciando i suoi ricci scuri con le dita pallide, poi con uno scatto annullò la distanza che separava le loro bocche in un bacio famelico e possessivo.
Severus si svegliò di soprassalto ancora scosso, davanti a lui scoppiettava il fuoco, avevano rubato qualche verdura da un campo e un paio di panini dolci che erano stati appoggiati su un davanzale a far raffreddare.
Patricia stava facendo abbrustolire delle pannocchie infilzate con un bastone.
- Ben svegliato!- sorrise la strega ravvivando le ceneri del fuoco – La nostra sontuosa cena a base di verdure semi bruciacchiate è quasi pronta.
Il mago tirò un sospiro di sollievo e si appoggiò al tronco di un albero.
- Meno male… è stato solo un orribile sogno.
La strega lo guardò con sguardo interrogativo.
- Io e Black, - spiegò semplicemente – e ti risparmio i dettagli raccapriccianti.
- Un vero e proprio incubo allora.
Severus la guardò storto.
- Sbaglio o tu e Black avete avuto una storia?
- Siamo andati a letto insieme due volte. - minimizzò lanciando un rametto spezzato nel debole fuoco – Al settimo anno. A dire il vero ce ne sarebbe anche una terza, ma eravamo così ubriachi che non siamo neppure arrivati a toglierci la biancheria intima quindi...
- Ti prego. - si lamentò Severus con una smorfia disgustato – Non dirmi più queste cose.
Calò il silenzio interrotto solo dallo scoppiettare del fuoco dallo sfrigolare delle verdure.
- Perché...- iniziò a dire il mago non riuscendo a far tacere la sua curiosità – perché eravate ubriachi?
Patricia restò a fissare le fiamme qualche istante poi si voltò a guardarlo. Tirò e labbra in un triste sorriso, lo stesso che aveva quando gli aveva dato la notizia della morte del fratello.
- Festeggiavamo i geni malati della nostra famiglia.
- I tuoi geni non sono malati. Non posso garantire per Pulcioso.
- Lui ti chiamava bibliotecario.
Severus sollevò un sopracciglio perplesso.
- Credo che per Sirius fosse un grosso insulto. Ma non parlavamo di te, comunque, avevamo cose più urgenti da fare.
Piton scosse il capo trattenendo una smorfia disgustato.
- E, per quanto riguarda i miei geni, sono certa che ci sia qualcosa che non vada in me.
Il mago la fissò senza dire nulla, incapace di consolarla come faceva un tempo.
Patricia sostenne il suo sguardo per qualche secondo poi si alzò, si spolverò i semplici pantaloni che indossava e si allontanò di qualche passo.
- Patricia...
- Faccio una passeggiata, - spiegò tranquillamente lei – non mi allontano, tranquillo. Mangia un po', ti sei stancato parecchio e devi rimetterti in forza. Senza contare che sei troppo magro, un manico di scopa pesa più di te.
Severus la vide sparire tra i cespugli e si rimise a sedere, non gli era sfuggito l’alone di tristezza nella sua voce, neppure il suo sguardo malinconico, né il suo patetico tentativo di far finta che il passato non fosse più importante.
Non aveva mai saputo quanto fosse seria la storia con Black, non gli era mai interessato a dire il vero. Patricia si era sempre dimostrata più adulta degli anni che aveva, forse quello che aveva passato l'aveva fatta maturare più in fretta del necessario. A differenza di Lily non gli importava con chi si vedeva a Hogsmeade, con chi si incontrava di nascosto nelle aule vuote dopo il coprifuoco. Non ascoltava i pettegolezzi e non pretendeva che gli raccontasse tutto.
Era, però, convinto che fosse trasparente come un vetro, sapeva benissimo capire cosa passasse per la testa della sua amica in qualsiasi momento. Si riteneva così intelligente da capirla solo con una veloce occhiata.
Guardami, Severus.
Il mago chiuse gli occhi e mise la testa tra le mani.
Lui vedeva la sua amica, ma era sempre stato così concentrato sui suoi problemi, sulla sua vita miserabile che non l'aveva mai guardata pensando, stupidamente, che lei fosse semplice da capire.
Forse si era sbagliato.

* * * *



La mattina arrivò presto, così presto che al mago non sembrò di aver affatto dormito. Il cielo era limpido e di un azzurro così intenso da ricordare lo sguardo sereno di Albus nei giorni in cui non voleva ricordare quello che c'era fuori dalle mura di Hogwarts.
Patricia e Severus marciavano da un paio d’ore, sembrava tutto tranquillo, fin troppo tranquillo secondo Piton. Erano stati catapultati in un mondo ricco di insidie, di tranelli e personaggi inquietanti.
Si chiese cosa lo aspettava ancora.
Patricia camminava davanti a lui, seguiva ancora il sentiero a scacchi che li aveva condotti nella foresta di Alice ma, questa volta, il sentiero gli fece attraversare dei campi di grano, qualche frutteto, un paio di fattorie isolate e qualche campo di patate.
In modo poco elegante avevano rubato alcune provviste dai campi, un paio di vestiti di riserva appesi ad asciugare e due borse di stoffa con cui trasportare il tutto.
Non ne andavano fieri, ma avevano bisogno di vestiti puliti, di cibo e di qualcosa con cui trasportarli.
Ci volle, comunque, un'altra ora di buon passo per trovare un contadino che zappava.
- Mi scusi Signore! - urlò la strega.
L’uomo si alzò e si avvicinò.
- Mi dica bella signorina. – fece togliendosi il cappello e mostrando la testa pelata e luccicante.
- Siamo diretti alla casetta dei sette nani, - spiegò la strega con un sorriso – può indicaci la strada?
- Andate sempre dritto. – rispose indicando un punto non precisato dell’orizzonte.
Ripresero a camminare, ma marciavano a passo svelto da diverso tempo e avevano un disperato bisogno di riposare.
- Sevvy guarda!- urlò la donna correndo verso un fiume.
- Non chiamarmi Sevvy! – ribatté l’altro seguendola.
- E’ un fiume. – fece la strega osservando l’acqua cristallina.
- Che intuito. – rispose tagliente osservandola di sbieco – Come hai fatto ad indovinare?
- Il tuo inutile sarcasmo puoi infilartelo dritto nel...
- Mocciosa piagnucolante.
- Bibliotecario.

- Non vale utilizzare gli insulti altrui.
Patricia ridacchiò e armeggiò con le scarpe per poter bagnarsi i piedi stanchi.
Severus alzò gli occhi al cielo, si guardò attorno cercando un punto di riferimento, una casa, o un luogo abitato.
Avevano trovato altri contadini sulla strada e avevano fatto a tutti la medesima domanda ritrovandosi con la medesima risposta: andate sempre dritto.
Iniziava a pensare che gli avessero presi per il... i suoi occhi furono improvvisamente catturati da uno strano bagliore provenire dal pendio di una piccola collinetta poco distante.
Era il primo segno insolito da ore.
- Patricia...- chiamò l’amica cercandola alla cieca senza staccare gli occhi dallo strano bagliore – Patricia! – la chiamò di nuovo afferrandola per un braccio poco prima che lei entrasse nell'acqua.
- Ehi che modi!
- Guarda là! - ed indicò il pendio della colina.
- Cosa credi che sia?
- Non ne ho la minima idea, ma ho imparato che le gemme possono trovarsi praticamente ovunque. – rispose continuando a fissare il luccichio e pensando con orrore alla borsa di tappeto di Mary Poppins – Dobbiamo scoprire cos’è.
- Va bene, andiamo.
Camminarono per un'altra mezz’ora, o così parve a loro, e arrivarono ai piedi della piccola collina senza mai perdere di vista il luccichio che diventava sempre più intenso e frequente.
- Sai Severus ho come l’impressione che non sia una delle gemme a produrre quel luccichio.
- E sentiamo da cosa l’avresti capito. – rispose l’altro scettico.
- Puoi chiamarlo intuito femminile, - fece Patricia con un sorriso divertito - ma penso che sia quel vecchietto laggiù a fare quei riflessi con lo specchietto che ha in mano.
Severus guardò in nella direzione che indicava Patricia, effettivamente, in mezzo ad un campo pieno di cavoli, c’era un vecchietto con una lunga barba bianca, un paio di pantaloni hawaiani e una camicia azzurra. Ballava canticchiando una strana canzone e in mano teneva uno specchietto da viaggio con cui rifletteva la luce del sole in lontananza.
Il professore sgranò gli occhi incredulo.
- Andiamo via, abbiamo solo perso tempo.
Stavano per andarsene quando il vecchietto di bloccò con lo sguardo fisso di loro.
- Che mi possa cadere tutta la barba! - disse – Voi siete due maghi!
Entrambi sussultarono spaventati ed eccitati nello stesso momento.
- Come diavolo lo sa?
- Oh, io sono vecchio e non abito più nel vostro mondo da molti anni ma io riconoscerei un mago lontano un miglio.
- Lei chi è scusi?
- Come chi sono? – fece offeso il vecchietto – Sono Mago Merlino!

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Capitolo 9
*** Per informazioni tirare la leva ***


CAPITOLO 9: Per informazioni tirare la leva

- Merlino. - ripeté il mago con gli occhi sgranati.
Il vecchietto annuì.
- Il mago che ha istituito l'Ordine di Merlino.
- Viene assegnato ancora? - domandò euforico l'altro mago – Sono passati secoli! Ormai ho perso il conto degli anni, ma credo che nel vostro mondo io sia morto da un pezzo.
Severus e Patricia si ritrovarono ad annuire ammutoliti.
- Come... - iniziò a chiedere il pozionista – com'è finito qui?
- Stavo studiando con un amico un nuovo sistema di spostamento. Sapete non tutti sono in grado di smaterializzarsi e alcuni non possono volare, così abbiamo pensato ad una rete di comunicazione attraverso i camini dei maghi. Ogni mago ha un camino in casa! Pensavamo di chiamarla...
- Metropolvere. - dissero in coro la strega e il mago.
- Allora funziona! - Merlino rise contento – Benissimo! Io ho testato il primo viaggio con la Metropolvere e qualcosa deve esser andato storto perché mi sono ritrovato in questo strano posto. All'inizio era un regno piccolo, col passare degli anni i confini si sono allargati, il regno si è espanso e sono arrivati tipi davvero strani, ma con il tempo ci si abitua. - il vecchio mago si bloccò vedendo le loro espressioni stupite – Vi vedo stanchi. Venite, vi porto a casa mia.

* * * *


- Prego entrate. – fece Merlino aprendo la porta della piccola capanna di legno dove abitava poco distante dalla collina – Scusate il disordine.
Severus e Patricia si trovarono in una piccola capanna di legno e paglia, i mobili erano intagliati male e troppo numerosi per quel piccolo buco, le librerie erano troppo piccole per le cataste di libri che vi erano appoggiati, pure il letto sembrava troppo piccolo per quel vecchietto con la lunga barba bianca.
- E’ solo una sistemazione temporanea. – spiegò il mago notando l’espressione sorpresa dei suoi due ospiti – Vedete mi hanno sfrattato dalla mia casetta nel bosco. La Regina di Cuori non ha apprezzato uno dei miei numeri di magia. Dovevo far apparire la corona della regina dal nulla, ma devo aver sbagliato qualcosa perché ho fatto apparire un… altro oggetto.
- Cos’ha fatto comparire?
Merlino si voltò per togliere i vestiti dalle poltrone, lo videro arrossire dietro la lunga barba e borbottare qualcosa che assomigliava a i mutandoni di lana.
Patricia e Severus si guardarono qualche istante, poi si misero a sedere su due sgabelli traballanti di legno, non sapevano se essere felici di quell’incontro o spaventati. Era certo che quello che avevano davanti non era il Merlino che avevano conosciuto sui libri di scuola.
- Allora immagino che siete finiti qui per sbaglio, vero? – chiese Merlino sistemando la teiera sul fuoco.
- Sì. – rispose la donna.
- Ne deduco che state cercando le gemme per aprire il portale e tornare nel nostro… beh nel vostro mondo.
- Sì! – disse Severus con enfasi, vedeva un barlume di speranza da quando erano letteralmente piombati in quel posto ridicolo – Sa dove sono?
- Conosco l’ultima ubicazione, ma sono informazioni molto vecchie non so quanto possono esservi utili.
- E’ sempre un punto di partenza. – valutò il professore – Può darci maggiori indizi?
- Pazienza giovanotto pazienza! – rispose il vecchio controllando l’acqua sul fuoco – Prima di parlare delle pietre bisogna che vi proteggiate da questo mondo. Per i maghi può essere pericoloso.
Severus guardò di sbieco Patricia e fece un sorriso obliquo.
- Lo sappiamo.
La strega lo fulminò con lo sguardo e gli diede una leggera gomitata tra le costole.
- Vi darò una pozione. – continuò Merlino iniziando a frugare tra le sue boccette – Una pozione che non vi farà ammalare.
- Grazie. – mormorò Patricia arrossendo appena. Si sentiva molto in imbarazzo per quello che Severus le aveva raccontato, ma non lo avrebbe ammesso neppure se Albus fosse tornato dall’oltretomba per convincerla.
La teiera iniziò a fischiare facendola sussultare spaventata.
- Anacleto! – urlò il vecchio mago senza smettere di rovistare tra le ampolle – Prepara il the!
Da una piccola casetta per uccelli di legno uscì un vecchio gufo tutto grigio, si appoggiava ad un bastone nodoso di legno pallido e teneva un cornetto acustico nell’ala.
- COSA?- urlò l’uccello sistemando meglio l’oggetto nell’orecchietta piumosa.
- Prepara il the! – ripeté più forte il mago.
- E’ PRONTO IL SUFFLE? – ripeté il gufo confuso.
- No, prepara il the!
- VUOI FARE UN BAGNO NEL CAFFE'?
Merlino alzò gli occhi al cielo e scosse lievemente il capo, avvicinò la bocca al cornetto acustico e prese un bel respiro.
- HO DETTO…- urlò sperando che quel dannato uccello con la demenza senile capisse – PREPARA IL THE!
- Ho capito, ho capito! – borbottò infastidito l’altro zoppicando fino alla teiera – Non sono mica sordo! – si mise al lavoro reggendosi al bastone e stringendo il cornetto acustico sotto l’ala.
- Eccola! - esultò Merlino agitando una boccetta contenente un liquido verde smeraldo – La pozione che vi aiuterà a stare qui. – e ne versò due gocce nella tazza di Patricia – Non ce ne vuole molta.
- Per me no. – disse Severus risoluto.
Merlino lo guardò stupito.
- Ma questa è essenziale! Senza la pozione rischi di perdere del tutto il senno e di non tornare più a casa!
- Io non corro questi rischi.
- Come vuoi. – disse Merlino alzando le spalle – La mente è tua, ma vi darò ugualmente la ricetta di questa pozione è molto semplice e fatta con ingredienti naturali che trovate ovunque qui. Mi ci sono voluti anni per metterla appunto, ma vi avverto più tempo passate qui, più i suoi effetti svaniranno e non ci sarà nulla a proteggere la vostra mente. Io stesso non la prendo più da molto, molto tempo… quando mi avete trovato credevo si essere un indiano.
Anacleto riuscì a mettere le bustine del the nella tazza prima che il vecchio mago le riempisse di acqua bollente. L’uccello borbottò qualcosa di incomprensibile tornando nella sua casetta.
- Merlino, - fece Patricia prima di bere un sorso di the – sappiamo che una pietra è nelle mani dei sette nani.
- I nani hanno veduto la miniera delle gemme e con il ricavato hanno aperto un casinò. Dalle voci che mi sono arrivare Biancaneve prepara ottimi martini.
- CHI E’ CHE HA OTTO BAMBINI? – urlò il gufo allungando il cornetto acustico verso Merlino.
Severus e Patricia si cambiarono un’occhiata sorpresa e preoccupata.
- Comunque, - continuò Merlino all’improvviso riprendendo il filo del discorso e ignorando completamente l’animale – quando l’ho cercata io la pietra non era più nella loro mani. Le ultime tracce le ho perse alla Città di Smeraldo.
- Dove vive il Mago di Oz?
- Oh, mia cara! Il mago si è ritirano da decenni. Nessuno sa che fine abbia fatto, ora la città è indipendente, piena di vita e allegre canzoni. Uscite da questa casa e seguite il sentiero di mattoni gialli, alla fine la troverete. Impossibile non riconoscerla. Vi darò una mappa, - proseguì Merlino – e indicherò le ultime informazioni sulle gemme che ho trovato. E anche un po' di soldi. Io non me ne faccio molto, tutto quello che mi occorre lo trovo nel bosco.
- E per quanto riguarda la magia?
- Per quella non ho mai trovato un rimedio. Funziona solo qualche pozione e solo se distillata con ingredienti di questo posto.
Severus rabbrividì al pensiero del Principe Giovanni e a ricordo di quello che gli avrebbe fatto se la polvere di papavero non avesse avuto effetto.

* * * *



La Città di Smeraldo era veramente una grande città, la prima cosa che videro in lontananza fu il bagliore verde che illuminava l'aria che la circondava. Era come se l'intera città brillasse di un'intensa luce color smeraldo, entrambi sorrisero riconoscendo lo stesso verde della loro Casa.
- Lo stesso inteso verde degli occhi di Patricia. - si ritrovò a pensare il mago mentre osservava l'enorme castello nel centro della città.
Poco a poco che si avvicinarono videro le mura di un pallido verde che la circondavano, le persone aumentarono quasi all'improvviso, numerosi contadini stavano arando i campi fuori dalle mura, i rumori della città iniziavano a farsi sentire da lontano, perfino i profumi erano riconoscibili a metri di distanza.
Patricia e Severus varcarono le porte della città incuriositi, era veramente immensa, piena di negozi dalle vetrine colorate con il traffico tipico delle città, il rumore, a volte assordante, che si poteva trovare anche a Londra. Se non fosse stato per folletti, gnomi, fate, giganti, burattini e tantissime altre creature delle favole e il color verde che iniziava ad accecarli, i due avrebbero creduto di trovarsi in Inghilterra.
- Bene penso che il primo passo sia quello di trovare una locanda dove dormire. – rifletté Severus – Tu che ne pensi Patricia?
- Penso che questa città è enorme e che senza sapere dove andare ci metteremo ore per trovare un albergo. - rispose lei osservando con attenzione una fatina vestita di rosa che svolazzava poco distante.
- Guarda lì, – fece il mago indicando una scatola quadrata azzurra posta a lato della strada – Su quel cartello.
In effetti, c’era un cartello appeso ad una leva accanto alla scatola.
- Per informazioni tirare...- lesse Patricia – credi che sia pericoloso?
- Spero di no.
La strega fece un sorrisino e tirò la leva.
La musichetta allegra di un carosello partì, e fu come se alla città fosse sotto l'effetto di un incantesimo bloccante. Ogni rumore cessò di colpo, ogni persona si fermò al suo posto, tutto si congelò così com'era.
I due si guardarono attorno spaesati da quel cambio drastico di atmosfera.
Severus era pronto ad andarsene da quel posto, stava per afferrare l'amica quando un gruppo di folletti verdi uscì da una porticina laterale di una casa e iniziò a cantare mostrando ogni angolo della Città di Smeraldo. Cantavano e ballavano girando loro intorno come fastidiosi insetti, puntavano edifici e negozi salmodiando i rispettivi nomi e particolarità. La gente che si era fermata ballava sulle note di quell’irritante canzone, mentre alcuni facevano un allegro coro alla canzone dei folletti verdi.
Patricia ridacchiava mentre lui non vedeva l'ora che tutto finisse.
Quando la canzone raggiunse l'apice, o quello che le creature verdi credevano fosse l’apice, dalla scatola partirono fontane di coriandoli e alcuni fuochi d'artificio che avrebbero fatto invidia al negozio di scherzi dei Weasley.
Ancora con il rumore dei petardi in sottofondo i folletti tornarono in perfetta fila indiana dentro la porticina, mentre la vita tornava a popolare la strada verde.
Si sentì tirare per i pantaloni e abbassò lo sguardo. Uno dei folletti gli indicò con un dito di abbassarsi, in mano teneva un blocchetto di fogli.
Il mago li prese ancora incapace di dire una sola parola dopo quello che aveva visto.
Quando l'ultimo folletto sparì dentro il buco, la pota si chiuse da sola.
- Cosa sono? - domandò la strega quasi strappandogli i fogli di mano – Opuscoli...- disse leggendoli velocemente – di negozi e di locande! Leggi questo Sevvy: Ortofrutticolo La Matrigna Cattiva. Una mela al giorno toglie la più bella del reame di torno! - Patricia rise di gusto - Calzaturificio Cenerentola, la scarpa adatta ad ogni ballo.
- Non chiamarmi Sevvy! - quasi sbraitò prendendo gli ultimi fogli che lei teneva in mano – Ecco! - disse sventolando un opuscolo – Locanda le mille e una notte. Devo solo capire perché c'è scritto che questa locanda è gestita da un genio.

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Capitolo 10
*** A volte si è gelosi anche di una carota ***


Capitolo 10: A volte si è gelosi anche di una carota

Appena entrati nella locanda la prima cosa che capirono è che forse Severus aveva letto male il biglietto. Al bancone della reception c’era un genio, un genio vero, tutto azzurro che svolazzava di qua e di là accogliendo gli ospiti. Appena vide i nuovi clienti svolazzò subito nella loro direzione.
- Ben arrivati!- urlò gaio infilandogli delle collane di fiori al collo apparse dal nulla- E’ la prima volta che venite qui, vero?
I due annuirono sconcertati.
- Bene, bene! Clienti che hanno notato la nostra pubblicità! Io sono Genio e gestisco questo posto dopo esser stato liberato dal mio ultimo padrone.
Patricia e Severus si guardarono sbigottiti.
- Avete prenotato?- domandò non curante Genio spingendoli verso il bancone.
- Beh... noi... veramente... no. – balbettò Patricia.
Il genio assunse subito un’aria triste.
- Purtroppo si terrà la grande maratona di ballo tra un paio di giorni. E' una delle feste più importanti della città e le stanze sono prenotate da settimane.
- Non c’è proprio nessun tipo di sistemazione? – domandò Severus.
Il proprietario sfogliò il grande registro pensieroso, poi si illuminò come una lampadina.
- Avrei una camera matrimoniale. Ci è stata disdetta all'ultimo minuto. Era stata prenotata a nome Poppins, – Severus deglutì a vuoto – ma lei e il suo compagno hanno avuto una brutta intossicazione alimentare e non potranno venire. - il mago tirò un impercettibile sospiro di sollievo – Vi va bene?
- Dopo aver dormito in una capanna e nel bosco, un letto mi sembra un miraggio. - sospirò la strega annuendo soddisfatta.
- Fantastico! - Genio mise una chiave con un imbarazzante portachiavi a forma di pappagallo rosso sul bancone, poi fischiò così forte da costringere le persone a tapparsi le orecchie – Ehi Scendiletto!
Un tappeto volante arrivò a tutta velocità davanti al gestore, fece il saluto militare e poi rimase fermo in attesa di istruzioni.
- Porta questi nuovi ospiti nella camera 713.
Con una nappa prese la chiave, caricò i due passeggeri e sfrecciò lungo le scale cercando la stanza giusta.
- Ho bisogno di una doccia. - dichiarò il mago appena chiusa la porta alle loro spalle – Lunga e bollente, così mi toglierò di dosso l'orribile sensazione delle mani di Black sul corpo.
- Sirius era bravo con le mani. - lo punzecchiò la strega scostando la tenda per vedere fuori dalla finestra – E non solo con quelle. - sorrise osservando la gente che camminava sotto di loro.
- Ti ho già detto di risparmiarmi i dettagli. E' già abbastanza orribile pensare a te e Black avvinghiati in uno stanzino delle scope, non voglio aggiungere a questa orrida immagine anche i particolari.
Patricia lo guardò attraverso il vetro della finestra.
- Sei geloso, Sevvy?
Si fissarono silenziosamente negli occhi attraverso il vetro poi il pozionista si ritirò nel bagno senza risponderle.
- Strano. Non mi ha detto di non chiamarlo Sevvy. - mormorò la donna tornado a guardare le strade affollate.
- Non chiamarmi Sevvy! - urlò Piton dal bagno poco prima di aprire l'acqua della doccia.
Patricia appoggiò la fronte sul vetro freddo della finestra con un debole sospiro.
- Ho bisogno di bere.

* * * *



Il pianista, un fenicottero rosa, stava suonando una musica lenta e molto orecchiabile. Patricia si era cambiata per scendere, sembrava sempre una contadina, pulita e certamente curata, ma pur sempre una contadina. Non sembrava che la cosa preoccupasse qualcuno.
Il barista, un gorilla in smoking, le aveva versato un aperitivo color ambra in un bicchiere alto e ora lo stava sorseggiando guardandosi attorno.
- Una così bella donna non dovrebbe stare in un bar tutta sola. – fece una voce calda e suadente alle sue spalle.
Patricia sollevò gli occhi al soffitto trattenendo un sospiro esasperato, non era una novità che qualcuno la interrompeva mentre beveva tranquillamente. Inutile fingere che non attirasse l'attenzione quando era in una stanza in mezzo a politici grassi e pelati vestiti con orride tuniche fatte su misura o con vestiti Babbani mal abbinati, a cui non interessava nulla della popolazione magica, ma solo del proprio rendiconto. Sperava che in quel posto, la lasciassero stare, specialmente in quel momento, quando non riusciva a non pensare al passato e a tutto quello che provava, ma che ancora non era in grado di ammettere.
Si voltò piano, assumendo l'espressione più fredda ed indifferente del suo repertorio, la conosceva bene, l'aveva imparata dal migliore in indifferenza e freddezza. Lo stesso uomo che, in quel momento, si stava facendo una doccia, forse geloso di lei e Sirius.
Le fredde frasi intimidatorie erano già pronte nella sua mente, andavano solo scagliate contro lo scocciatore, ma le parolacce le si fermarono in gola. Quello che aveva davanti era un coniglio. Alto quasi come due elfi domestici, aveva lunghe orecchie bianche e indossava uno smoking con un curioso farfallino azzurro a pallini gialli.
Patricia sbatté le palpebre un paio di volte.
- Credo… credo di non conoscere il suo nome. – disse lei utilizzando tutta la diplomazia che possedeva.
- Rabbit, - si presentò l’altro baciandole delicatamente la mano – Roger Rabbit, al suo servizio signorina.
Il coniglio si sedette sullo sgabello accanto alla donna, si mise un sigaro in bocca e tirò fuori un bigliettino da visita dal taschino della sua giacca.
- Io sono un imprenditore di grande successo nella Città di Smeraldo. Lei può diventare una star.
Patricia alzò un sopracciglio - altra abilità che aveva imparato dal maestro del sopracciglio sollevato - e guardò il bigliettino: “Roger Rabbit imprenditore, manager, regista e produttore di successo.”
- Grazie, ma non mi interessa il mondo dello spettacolo. – rispose con garbo osservandolo mentre si accendeva il sigaro con un accendino d’oro a forma di carota – Ho già un lavoro.
- E che lavoro sarebbe?
- Sono una politica.
- La politica è così noiosa. Non ho mai visto nessun politico ridere. – fece il coniglio sbuffando fuori una densa nube di fumo dolciastra – Lo spettacolo, con la sua fama e i suoi soldi sono un’alternativa molto più allettante.
- Abbiamo due punti di vista differenti. – rispose la strega bevendo il suo drink e appoggiando il biglietto da visita sul bancone – Comunque, grazie per l’interessamento, ma, come le ho già detto, non mi interessa.
- Come vuole. – disse il coniglio saltando giù dallo sgabello – Ma la invito lo stesso al mio locale. – senza attendere nessuna risposta si allontanò - Troverà l’indirizzo sul retro del biglietto. – le urlò senza neppure voltarsi.
La strega afferrò di nuovo il rettangolo di carta e lo voltò.
- Va tutto bene?- fece Severus arrivando alle sue spalle.
Patricia non risposte, si limitò ad allungargli il foglietto sotto il naso adunco.
- La Tana. – lesse il mago con un ghigno – Non sapevo che i Weasley avessero una residenza estiva.
- Mi hanno inviato al club. – spiegò la donna finendo la bevanda.
- Perché? – domandò l’altro sospettoso – Hanno bisogno di una cameriera?
- Forse non te ne sei mai accorto signor i libri sono l’unica cosa che destano la mia attenzione, ma io sono una donna. A volte gli uomini tendono a trovarmi attraente.
- Perché non ti conoscono.
Severus voleva fare una battuta, Patricia l’aveva capito, ma quella frase riuscì lo stesso a ferirla più di quanto osasse ammettere.
- Sei un idiota Severus Piton. – gli disse con rabbia prima di andarsene lasciandolo solo e senza parole.

* * * *



L’entrata del locale era nella principale via della città, l’insegna luminosa era grande quanto un tabellone segna punti e rappresentava un’enorme carota luminosa. C’era una lunga fila di gente fuori ad aspettare; un buttafuori dalla pelle scura in smoking, con occhiali da sole e orecchino d’oro stava davanti alla porta con le braccia incrociate facendo entrare solo poche persone.
- Si può sapere perché sei arrabbiata con me? – chiese il mago domandandosi, per la milionesima volta, il perché fosse in fila davanti a quel locale.
- Se non lo capisci da solo Piton, io non posso farci niente.
Patricia lo chiamava in mille modi diversi. Sevvy era decisamente il nomignolo che usava per infastidirlo e provocarlo, ma quando lo chiamava Piton un brivido gli attraversava la spina dorsale e tutto prendeva un’altra piega. Doveva stare ben attento a quello che diceva.
- Sei una donna impossibile. – sbuffò – Questo lo sai, Patricia Kent?
Usare la sua stessa arma, spesso, si dimostrava una tattica efficace. Alte volte era la via più diretta all'autodistruzione.
A dire il vero c'era qualcosa che lo infastidiva nel profondo del suo animo. Era l'immagine fissa di lei e Black che si scambiavano effusioni nello sgabuzzino delle scope de quinto piano, il più gettonato per le coppiette in pieno scoppio ormonale. Da quando lei gli aveva raccontato quella tresca non riusciva a pensare ad altro e la cosa lo infastidiva immensamente.
Sei geloso, Sevvy?
Sì, era geloso. E questa improvvisa consapevolezza lo disorientava, spingendolo ad offenderla per equilibrare il loro rapporto fatto di bisticci e lacrime trattenute.
Non sapeva perché fosse così infastidito da quella consapevolezza, o forse lo sapeva benissimo, ma non era ancora pronto ad ammetterlo.
Fu una limousine bianca lunga almeno cinque metri a distrarlo dai sui pensieri, il lussuoso veicolo si fermò proprio davanti all’entrata, l’autista scese e aprì la portiera al suo capo nonché proprietario del locale.
Fu in quel momento che Severus vide per la prima volta Roger Rabbit.
Il coniglio scese dalla macchina con il solito sigaro in bocca e due donne a braccetto, indossava un completo marrone scuro, cappello bianco da cowboy e stivali con tanto di sperone sul tallone.
- E’ quello che ti ha trovato una bella donna? Forse ti ha scambiato per una carota.
Aveva deciso di percorrere la via dell'autodistruzione.
Il coniglio salutò alcune delle persone che urlavano il suo nome come se fosse una rock star, poi notò Patricia.
- E' venuta veramente. – biascicò con il sigaro in bocca – Ehi Grounf!- urlò al buttafuori – Fai entrare la signorina e il suo amico, - si voltò verso i due e si tolse il sigaro dalla bocca pelosa – siete miei ospiti.
- E' molto gentile signor Rabbit. - ringraziò la strega – Vero, Severus?
- Sì,- mormorò lui poco convinto – molto.

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Capitolo 11
*** Concorrenza sleale ***


Capitolo 11: Concorrenza sleale

Entrarono nel locale lasciandosi la rumorosa folla alle spalle.
Luci soffuse, tavolini di legno con poltroncine di velluto bordeaux, lo stile si avvicinava molto a quelle sale Babbane dove si ascolta la musica dal vivo o dove si fanno piccoli spettacoli; Severus ne conosceva un paio dove andava durante le vacanze estive per ascoltare della buona musica.
Al bancone del bar c’era una piovra vestita di rosso che stava servendo tre clienti nello stesso momento.
Si misero a sedere accanto alla pedana dove suonava un gruppo formato da corvi con addosso completi blu elettrico e ordinarono due drink alle cameriere che indossavano un vestito da coniglietta.
- Incantevole. - mormorò sarcastica Patricia osservando la coda a pon pon bianca attaccata al sedere di una delle ragazze che le passò accanto.
- C'è di peggio in giro. - valutò il mago guardandosi attorno – La Testa di Porco per esempio.
Una cameriera bionda, con un seno prosperoso, poco vestita e un rossetto color carota appoggiò i due drink sul tavolo.
- Offerti dalla casa. - disse con tono vellutato facendo poi l'occhiolino al mago.
Patricia aprì la bocca per dire qualcosa di velenoso, quando le luci si abbassarono gradualmente e gli uomini presenti nel locale si affollarono sotto il palco. Alcuni si passarono il profumo, altri controllavano che l’alito fosse fresco, c’era chi si pettinava e chi controllava che non fosse sudato sotto le ascelle.
La strega si guardò attorno disorientata.
- Questo è quello che accade quando canta Jessica. - rispose una delle cameriere notando lo sguardo interrogativo
- Chi?
- La moglie dei proprietario.
- Tutto questo per un coniglio femmina?- chiese lei senza ottenere risposta.
La musica partì e il sipario di spesso velluto rosso fu alzato mostrando la cantante.
La strega sgranò gli occhi e spalancò la bocca, quella donna con addosso l'attillato vestito rosso fuoco e paillettes non assomigliava per nulla ad un coniglio.
La donna camminava lentamente cantando e facendo girare la testa a tutti i presenti. Patricia si voltò verso Severus e per poco non cadde dalla sedia: era certa che il suo migliore amico fosse superiore a quelle cose, che ci volesse ben altro che un bel vestito, una voce melodiosa e due seni enormi per incantarlo.
Invece si era sbagliata!
Il suo intelligente e sempre distaccato amico fissava la donna con lo stesso sguardo degli altri uomini presenti, era perfino arrossito!
Sentendosi osservato il mago si voltò verso di lei e tornò in sé.
- Stai sbavando! – quasi urlò seccata la strega fulminandolo con lo sguardo – Hai finito di comportarti come una lumaca cornuta in calore?
Finito lo spettacolo Jessica Rabbit si ritirò, Severus non riuscì a trattenere il sospiro che uscì dalle sue labbra. Tornò a guardare Patricia con la netta sensazione di trovarsi in un grosso guaio. Era cupa in volto, teneva lo sguardo fisso sul bicchiere e quello sguardo faceva paura.
- Potrebbe essere una Veela...- mormorò lei meditativa, ignorandolo, girando la cannuccia del liquido rosso contenuto nel bicchiere – questo potrebbe spiegare come un uomo sensato sia diventato un perfetto maiale in pochi secondi.
- Il maiale sarei io? – domandò il mago alzando un sopracciglio sottile – Non sono cieco. Quando vedo una bella donna la guardo. Non sono il monaco che credi tu.
Patricia si morse un labbro e bevve avidamente il resto del drink senza dire una parola.
- Vi trovate bene?
I due maghi si voltarono, Roger Rabbit e consorte stavano dietro di loro, lui teneva in bocca il solito sigaro, lei aveva tra le mani un bicchiere di champagne, stringeva in modo quasi possessivo il braccio del marito.
- Ha un bel locale. – rispose pacata Patricia cercando di non guardare né Severus né la moglie del coniglio.
- Vi presento la mia consorte. – fece il proprietario – Cara questi sono due stranieri che ho conosciuto al Mille e una Notte.
- Piacere. – fece suadente la donna porgendo una mano.
- Severus Piton. – rispose il mago con un sorriso, baciando delicatamente la mano della donna – Un magnifico spettacolo, ha una bella voce.
Patricia iniziò a salmodiare tutti gli insulti che le venivano in mente.
- Io sono Patricia Kent. – disse ad alta voce strappando la mano dalle labbra di Severus – Ottima esibizione, Signora Rabbit. – continuò sottolineando il fatto che fosse una donna sposata.
- Dobbiamo andare cara. – fece Roger.
- Che peccato. – sibilò maligna la strega.
- Arrivederci Signor Piton. – fece la donna con un sorriso seducente.

* * * *



Rientrarono nella stanza che era mezzanotte passata, Patricia continuava un cocciuto ed ostinato mutismo.
- Dimmi cos’hai?- domandò per la centesima volta il mago.
- Sto bene. – rispose la strega piatta sedendosi sul letto.
- Mi stai rispondendo in questa maniera da venti minuti. – precisò Piton irritato – Dimmi qualcos’altro.
- Porco! – urlò la donna
- Preferivo sto bene. - pensò il mago andando dalla sua parte del letto.
Patricia scattò in piedi nel momento in cui lui si sdraiò stanco.
- Esco. - disse atona.
- Dove vai?
- Non sei mio padre, Piton. Mio padre è morto e anche il mago che mi ha cresciuto dopo di lui. Te lo ricordi? L’hai ucciso tu!
Patricia sbatté la porta alle sue spalle lasciandolo solo a fissare la parete della stanza.
Uscì dall’albergo infuriata.
Quando vedo una bella donna la guardo.
La strega sospirò e si sedette su una panchina, c'era un cartello pubblicitario appeso alle sue spalle ma non lo lesse, non lo guardò neppure, chiuse gli occhi e cercò di calmare il battito furioso del suo cuore.
- Mi sono comportata come una fidanzata gelosa. - borbottò passandosi una mano tra i capelli – Gli ho detto quello cose orribili… - si coprì la faccia con le mani emettendo un debole gemito – e quella frase su Albus! Ora cosa penserà di me?
- Andiamo tesoro…- echeggiò una voce femminile alle sue spalle – non essere triste.
- Chi parla?- domandò la ragazza guardandosi attorno – Vieni fuori!
- Dietro di te, cara.- mormorò la vocina.
Patricia balzò giù dalla panchina, con un movimento ormai naturale portò la mano alla tasca dove, solitamente, teneva la bacchetta ricordandosi solo dopo che la sua preziosa, nonché unica, arma di difesa era svanita.
Alle sue spalle però non c'era nessuno, l'unico sguardo che incontrò fu quello della pubblicità; sembrava che la stesse guardando negli occhi. Patricia pensò immediatamente ad un trucco fotografico, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dalla donna, si avvicinò un poco per analizzarla meglio quando la figura nel cartello le fece l'occhiolino facendola sussultare spaventata.
Con un pop che suonava famigliare, una nube scintillante apparve proprio sopra la panchina.
Una fata grassoccia, con un brutto vestito color melanzana, comparve quando la nube si dissolse in uno scintillio azzurrognolo. La strega poté vedere chiaramente il suo volto, accorgendosi immediatamente che la donna che aveva di fronte non aveva nulla a che vedere con quella rappresentata nel cartellone.
Quella che aveva davanti agli occhi sembrava la nonna di Cappuccetto Rosso, o di quello che ne restava dopo il passaggio del Lupo Cattivo.
- E tu chi sei?- le chiese.
- Io sono… - echeggiò con fare solenne la fata guardandosi attorno disorientata – … una panchina.
- Sei una panchina?
- Perché sono su una panchina? – il cappello a punta le cadde sugli occhi – Ehi! Chi ha spento la luce? Non ci vedo! Aiuto! – un piccolo piede inciampò nella sottana del vestito, la fata si sbilanciò e cadde pesantemente sul marciapiede.
- Tutto bene? Niente di rotto? – domandò Patricia aiutandola ad alzarsi
La fata si aggiustò il cappello sui capelli di uno spento color topo e guardò la strega.
- Tutto a posto, - sorrise alzandosi in piedi spazzolandosi il vestito – sono un po’ maldestra. Allora… - continuò con fare solenne prendendo un taccuino nero ed mettendosi sul naso un paio di occhialetti con le lenti rotondi che fecero apparire i suoi occhi più grandi del normale – Tu sei Gretel.
Patricia corrugò la fronte perplessa.
- … No.
- Pollicina?
- Neppure.
- Doroty?
La donna scosse la testa.
- Raperonzolo? O Riccioli d’Oro?
- Credo che tu sia un po’ confusa.
- Ma non importa! – esclamò la fata chiudendo con un colpo deciso il taccuino – Io sono la tua Fata Madrina e sono qui per aiutarti con i tuoi problemi… emmmh… come ti chiami?
- Sono... sono Patricia. – balbettò dubbiosa l’altra.
- Sì, ecco… sono qui per aiutarti con i tuoi problemi, Patricia.
- Io… non ho nessun problema.
- Allora perché te ne stavi seduta su una panchina tutta sola, da notte, sospirando il nome di tuo amato?
- Amato? Severus? NO! – quasi urlò la strega arrossendo.
- Ho ragione! - esclamò euforica la fata puntando un dito contro la sua guancia rossa – Tu hai un problema, vero? Sentiamo… non hai un vestito per il ballo? La matrigna vuole farti sposare un rospo? I pirati hanno rubato i tuoi gioielli? Gli orsi hanno mangiato la tua zuppa? Il lupo ha mangiato la tua nonna?
- Io e il mio amico abbiamo avuto solo un piccolo litigio. Io l’ho insultato… devo solo…
- Dimostrargli che avevi ragione tu! – finì per lei la frase la fata.
- Non devo chiedergli scusa? – domandò scettica Patricia.
- Oh, no no…- Fata Madrina scosse mestamente il capo come se avesse davanti una donna stupida – la donna ha sempre ragione. L’uomo deve solo capirlo… il motivo del vostro litigio?
Patricia masticò a denti stretti il nome della moglie di Roger Rabbit.
- Ah. Lei.
- Vedo che la sua fama la precede.
- Cara, Jessica è pericolosa, astuta e se vuole un uomo non c’è nulla che può fermarla. Rassegnati. Lui è suo, ora.
- Severus non è così. Sono stata io che ho esagerato. Lui non si fa ingannare, non è il tipo.
- Ne sei sicura, tesoro?

* * * *


Severus rientrò nella camera sospirando sconsolato.
Era uscito a cercare Patricia, ma non l’aveva trovata. Dopo aver girato per le strade senza una meta precisa ed essersi perso un paio di volte era rientrato in albergo deciso ad aspettarla.
Avrebbe dovuto essere arrabbiato per quello che gli aveva detto, ma non riusciva ad esserlo per davvero. Aveva iniziato lui la guerra degli insulti e, questa volta, non c’erano risa trattenute o stupidi nomignoli.
- Signor Piton, è un piacere rivederla. – l’accolse una voce calda e suadente non appena chiuse la porta.
Jessica Rabbit era in piedi davanti alla finestra, lo spacco vertiginoso del vestito si apriva fin sopra la metà coscia lasciando intravedere la giarrettiera viola e la scollatura provocante frenava a malapena i seni voluminosi che sembravano dovessero esplodere da un momento all’altro.
Severus deglutì a vuoto.
- Come... come ha fatto a trovarmi?- domandò con un filo di voce.
- Mio marito ha contatti ovunque alla Città di Smeraldo. – spiegò voltandosi verso di lui – E’ stato semplice rintracciarla.
- Posso fare qualcosa per lei?
- L’ho notata subito. – un sorriso malizioso comparve sulle labbra carnose, si avvicinò di un passo – Fin da quando ero sul palco... ho molti occhi che mi fissano ogni giorno, ma i suoi...
- I miei?
- I suoi sono due fiamme ardenti... – finì la donna raggiungendolo mentre il vestito frusciava melodioso sulle sue curve generose – nessuno mi aveva mai guardato così.
- Lei è una donna molo bella. – disse il mago lanciando un’occhiata furtiva alla porta della stanza – Sono certo che molti uomini l’hanno guardata nello stesso modo.
- Bramano solo il mio corpo… lei, invece, sembra guardarmi nell’anima. E mio marito non mi guarda così da anni... è preso dal lavoro e da tutte quelle sgualdrine che gli si strusciano addosso per un po’ di celebrità. – per un attimo Severus vide una scintilla d’odio negli occhi della donna.
- Allora qui si parla di vendetta.
- Io non sono cattiva... – disse con finto fare innocente. Gli cinse il collo con le braccia coperte dai guanti di seta viola e si avvicinò al suo orecchio - ma per te posso essere tutto quello che vuoi.
- Hem hem. – un secco colpo di tosse li fece voltare, Patricia era sulla soglia, aveva le braccia incrociate e uno sguardo che mandava scintille.
- Ops. – sussurrò Jessica allontanandosi con un sorriso – Arrivederci Severus, la mia offerta è sempre valida... pensaci un po’ su...- gli lanciò un bacio e poi uscì dalla stanza.
- Patricia…
La strega si avvicinò al letto, spostò con un movimento rapido le lenzuola, si tolse le scarpe e si sdraiò dandogli le spalle.
- Buonanotte, Piton.

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Capitolo 12
*** Non è tutto oro ciò che luccica ***


Capitolo 12: Non è tutto oro ciò che luccica


La notte aveva addormentato la Città di Smeraldo da un pezzo, ma Severus Piton non riusciva a chiudere occhio. Era sdraiato su quel comodo letto, stanco e affaticato, ma le palpebre non accennavano a chiudersi.
Voltò la testa di lato incontrando la schiena della sua amica. Non si era voltata, non aveva più parlato, aveva chiuso gli occhi e si era addormentata.
Cercò di trattenere un sospiro esasperato, ma con scarsi risultati. Non sapeva cosa fare, non sapeva come comportarsi con lei.
Allungò una mano sfiorandole i capelli sulla schiena, erano morbidi e lisci, le sue dita si muovevano con agilità tra quei fili scuri come la notte, come se non avessero fatto altro per tutta la vita.
- Perché con te diventa tutto più difficile? - borbottò alla stanza buia con un filo di voce per non farsi sentire – Vorrei capirti meglio... vorrei...
Non riuscì neppure lui a finire la frase.
Non sapeva cosa voleva.
Non voleva perderla di questo ne era certo, non voleva più stare solo in un mondo che non l'aveva mai veramente voluto. Non voleva di nuovo passare le sue serate avvolto nel silenzio con solo dei libri come amici.
Non voleva più vedere il suo sguardo adirato.
Non voleva ammettere che stare in quella stanza con lei, così vicina, così tranquilla, così calma gli scaldava il cuore, lo faceva stare bene nonostante la situazione irreale che stavano vivendo.
Alla fine lasciò i suoi capelli e si voltò dall'altra parte.
- Non so neppure io cosa voglio.
Quello che Severus non vide nell'oscurità di quella camera furono le palpebre serrate con forza della strega, non vide il pugno che stringeva le lenzuola e neppure i denti che torturavano le sue labbra.
Patricia restò immobile ed in silenzio mentre aspettava che lui si addormentasse, rimase con i sensi all'erta come in passato, quando i Mangiamorte la cercavano per ricattare in qualche modo Albus.
Era passato tanto tempo da allora, eppure ricordava perfettamente cosa aveva provato notte dopo notte, fino a quando Silente non era morto.
Aspettò il suo respiro regolare, e quando avvertì le sue dita tra i capelli riuscì a non rabbrividire o sussultare spaventata.
Sentirlo parlare e sospirare in quel modo le fece male, ma riuscì a non cedere.
Quando, finalmente, il sonno lo colpì, sgattaiolò fuori dal letto e dalla camera.
Tornò alla panchina e vi trovò la Fata Madrina che si guardava attorno spaventata, questa volta indossava un abito nero con tanto di veletta davanti agli occhi, come se dovesse andare ad un funerale.
- Allora, Fata Madrina, tu sai dove abita questa Jessica?
- Certo che lo so! Ma...- abbassò la voce guardandosi attorno spaventata - mettersi contro di lei... è... pericoloso.
- Non ho paura di una tettona che si trucca male. - dichiarò Patricia stringendo i pugni ricordando la scena che aveva visto in camera – Fammi strada.
Si incamminarono nella via principale della città, camminarono velocemente, evitando le luci dei lampioni o delle insegne troppo luminose, fino a quando non raggiunsero un palazzo di dieci piani dipinto di rosso ricoperto di brillantini.
- Un omaggio al cattivo gusto. - mormorò la strega inorridita esaminando il palazzo.
- Vive nell'attico. - la informò la fata – Roger Rabbit non è con lei.
- Perfetto. - fece un passo avanti poi si voltò verso l'altra – Non vieni?
La fata torturava la bacchetta magica.
- Beh... ecco... io.... Cosa vorresti fare?
- Non lo so. – ammise la strega – Tagliarle i reggiseni… sporcarle qualche vestito… magari sabotare i suoi trucchi.
- Nulla di.... doloroso, vero? Il Consiglio delle Fate Madrine non me lo perdonerebbe mai!
- Non ho nessuna intenzione di fare del male a quella donna! - dichiarò solennemente la strega.
- Quel sorriso non è rassicurante, Patricia.


* * * *



Appena entrata nel palazzo si ritrovarono in un grande atrio in marmo bianco con venature rosa. Tutto era avvolto nel buio e non c'era nessuno di guardia.
- Questo coniglio si sente così sicuro da non mettere nessuno a guardia della sua bella moglie?
- Nessuno ha mai avuto il coraggio di sfidare Roger Rabbit e nessuno con un po' di sale in zucca metterebbe la mani su sua moglie. - spiegò la Fata Madrina continuando a guardarsi attorno – Mi rende nervosa questo posto.
- Non preoccuparti. - la tranquillizzò Patricia – Andrà tutto bene. In fondo non abbiamo ancora fatto nulla di male.
- Ancora?
La strega si mise un dito sulle labbra intimando all'altra di fare silenzio.
Salirono sull’ascensore dalle porte dorate, i pulsanti erano placcati d'oro ed erano stati sagomati a forma di testa di coniglio con le orecchie che componevano i numeri. Con il pollice Patricia schiacciò il tasto del decimo piano, l’ascensore partì lentamente con un debole sussulto. La musica di sottofondo era la stessa cantata da Jessica Rabbit nel locale. La donna rabbrividì al ricordo dello sguardo di Severus.
L'ascensore fu più veloce del previsto, si fermò con un leggero suono e le porte di aprirono direttamente nel grande salotto di casa Rabbit.
La casa era fin troppo elegante, la ricchezza era evidente ed ostentata come se i padroni di casa volessero prendere in giro tutti gli ospiti. I muri erano tappezzati di quadri e fotografie che ritraevano il coniglio e la bella moglie in posa elegante.
- Credo che Villa Malfoy sia più o meno simile a questa. - mormorò la strega guardandosi attorno – Magari senza i tappeti a forma di carota.- finì fissando il pavimento.
- Ed ora? - domandò la Fata Madrina – Cosa vuoi fare?
- Cercare la sua stanza. Sai dov'è?
- Ala ovest, credo.
Ci vollero quasi venti minuti per capire dove fosse l'ala ovest, venti minuti di passi felpati e continue occhiate dietro le spalle per paura che qualcuno potesse scoprirle.
- Sei sicura che sia questa la porta della sua camera? - domandò dubbiosa la donna osservando una porta di legno chiaro.
- Quante persone hanno la maniglia dipinta con brillanti rossi?
- In effetti... ma senti questo rumore? E' come se lì dentro ci dormisse un drago con una motosega accesa sotto l'ala.
- Non dire sciocchezze, cara! I draghi sono spariti da secoli!
Aprirono di un solo spiraglio la porta e furono investite dal rumore più assordate che avessero mai udito. Con un smorfia infastidita Patricia e Fata Madrina fecero capolino nella stanza.
La camera di Jessica Rabbit era tutta sui toni del rosso e del viola. Appesi alle pareti c’erano decine di sue fotografie e quadri, dove in ognuna la donna aveva assunto una posizione diversa. Patricia valutò che l’armadio era grande almeno cinque volte il suo, lo specchio dove probabilmente si truccava ogni mattina era grande mezza parete e il ripiano sottostante era ricoperto da ogni genere di prodotti di bellezza, trucchi e creme.
Camminarono in modo silenzioso, cercando di non inciampare nelle numerose riviste patinate sparse sul pavimento o nelle scarpe abbandonate, spaiate, a loro stesse.
A dire il vero non era necessario fare piano, il forte rumore che avevano sentito proveniva dal letto matrimoniale dove Jessica russava.
La Fata Madrina si tappò la bocca con una mano mentre raccoglieva una scarpa rossa fuoco.
- Ha un piede gigante! - esclamò a bassa voce Patricia osservando la scarpa – Ma i piedi grandi non sono una gran scoperta. - si avvicinò al tavolo da toletta esaminando ogni cosmetico che le passava sotto mano – Scommetto che passa tutta la mattina qui seduta a truccarsi in quel modo osceno e a pettinarsi quel...
- Parrucca! - quasi urlò inorridita la Fata Madrina.
Patricia si voltò con uno scatto verso il letto, fortunatamente il sonno di Jessica era molto pesante e il suo russare copriva ogni altro rumore.
- Fata Madrina! - sibilò in tono di rimprovero – Non devi urlare!
- Mi... mi dispiace...- si scusò l'altra imbarazzata – ma in questo armadio c'è una parrucca identica ai suoi capelli.
La donna si avvicinò e guardò meglio la parrucca.
- Io credo che questi siano i suoi capelli.
- Perché Jessica dovrebbe portare una parrucca?
A piccoli passi si avvicinarono al letto e scostarono un poco le coperte.
Patricia per poco non scoppiò a ridere mentre la Fata Madrina si coprì la bocca inorridita.
- Questa è la vera Jessica? - bofonchiò con le mani premute sulle labbra – Philip mi ha lasciato per questa?
- Beh, mia cara Fata Madrina, credo che noi, in quanto donne, abbiamo la responsabilità di aiutare gli uomini di tutto il regno ad aprire gli occhi.
Negli occhi della piccola donna apparve una scintilla che Patricia riconobbe immediatamente.
Vendetta.
Quel lato improvvisamente così Serpeverde piacque molto alla strega.
- Ho un amico al Settimanale delle Fate, - la informò togliendosi le mani dalla bocca e prendendo la bacchetta – e guarda caso, - un colpo veloce, qualche scintilla dorata e apparve tra le mani della fata una vecchia macchina fotografica – sono un'amate della fotografia.
- Perfetto. - io cerco qualche altra prova.
Mentre la stanza era illuminata dai lampi del flash completamente ignorati dalla donna che continuava a russare nel suo comodo letto, Patricia aprì i cassetti alla ricerca di qualche vecchia foto. Quando aprì una delle ante dell'armadio si bloccò stupida, sotto gli innumerevoli vestiti tutti con le stesso taglio, ma di colore differente, c'era una grande cassaforte.
- Ehi fata! - la chiamò mentre questa faceva un primo piano a Jessica – Non è che con quella bacchetta puoi aprire questa?
Senza neppure voltarsi la Fata Madrina mosse la bacchetta e la cassaforte di aprì con un debole click.
Sorridendo soddisfatta la strega iniziò ad ispezionarla. C'erano diversi documenti e alcuni gioielli. Fu attratta da una piatta scatola quadrata blu, la prese tra e mani trovandolo abbastanza pesante da contenere un gioiello importante. L'aprì e sgranò gli occhi meravigliata. La scatola conteneva una collana, era ricoperta di piccoli diamanti perfetti, ma non furono quelli ad attirare la sua attenzione. Fu il grande pendente a forma di goccia, dove c'era incastonata un'ametista.
Severus le aveva detto cosa succedeva quando aveva toccato le prime due gemme.
Si voltò per controllare la fata, era così concentrata sulla sua vendetta che non l'avrebbe notata neppure se avesse iniziato a distruggere la stanza.
Armeggiò con il gioiello, la gemma quasi saltò via dall'incastonatura, cadde a terra e il suo suono fu attutito dalla moquette a pelo lungo color rosso sbiadito. La raccolse e, proprio come Severus le aveva raccontato, la gemma emanò un intenso bagliore viola. La strega strinse al petto la pietra per evitare che la Fata Madrina si accorgesse di qualcosa.
Rimise la scatola al suo posto, nascondendola meglio tra le banconote e altre scatole più piccole di gioielli; non controllò se ci fossero altre gemme tra i monili della cantante, aveva la sensazione che non avrebbe trovato altro in quella cassaforte.
Si alzò infilando la gemma in tasca e si avvicinò all'altra donna con una pila di fogli in mano.
- Ecco qui. – disse alla fata – Ti conviene fare delle foto anche a questi fogli così il tuo amico non crederà che sia una bufala.
La Fata Madrina quasi le strappò i documenti di mano, tra i flash delle fotografie e sentendo il peso della gemma in tasca Patricia sorrise vittoriosa.

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Capitolo 13
*** Non un principe ma un cavaliere ***


Capitolo 13: Non un principe ma un cavaliere


Severus osservava con attenzione il proprio riflesso storpiato nella pietra viola.
- Perché non vuoi dirmi come l’hai trovata? – chiese per la terza volta, osservando la donna che si stava asciugando i capelli con una salvietta seduta sulla sponda del letto.
- Cambierebbe qualcosa? – sbuffò Patricia strofinando forte.
Il mago non rispose, restò a fissare la pietra confuso. Non vi erano dubbi che fosse una delle gemme che serviva a loro, quando le aveva avvicinate avevano emesso tutte un leggero bagliore, come se si riconoscessero.
- Tu mi vuoi dire cos’è successo nella stanza del Principe Giovanni o nella borsa di Mary Poppins?
- No.
- Allora non ho intenzione di dirti come ho avuto la pietra.
- Allora spiegami perché sei uscita di notte dopo che mi ero addormentato.
- Volevo fare una passeggiata. – minimizzò la strega con un’alzata di spalle.
- In piena notte?
- Avevo bisogno di riflettere.
- Su cosa?
- Su come chiederti scusa.
Un sopracciglio sottile del Preside si incurvò verso l’alto sospettoso.
- Per cosa?
- Per quello che ti ho detto ieri sera su Albus.
Severus si sentì mancare improvvisamente l’aria nei polmoni, come se qualcuno gli avesse tirato improvvisamente un pugno. Si alzò di scatto dal letto e nascose le gemme nella borsa.
- Non importa. Avevi ragione.
- No, invece. Non avrei dovuto dirtelo. Ero… arrabbiata… volevo farti male. Severus… io...
- Hai ragione. – ripeté lui interrompendola - Non importa come hai trovato la pietra. L’importante è averla presa. Andiamo a fare colazione.

* * * *


C’era un insolito mormorio nell’atrio dell’albergo quella mattina, ed innumerevoli tristi volti maschili che si scambiavano parole di conforto e amichevoli pacche sulla schiena.
Le donne, invece, camminavano con un incredibile sorriso felice.
Patricia si era diretta a fare colazione non notando, o fingendo di non notare, quello strano comportamento. Severus, decisamente più sospettoso, decise di capire il motivo di quel trambusto.
La strega stava bevendo una grossa tazza di caffè, ringraziando mentalmente Salazar per aver inventato quella bevanda, quando un giornale le venne sventolato davanti al naso.
Sollevò lo sguardo incontrando gli occhi fiammeggianti dell’amico.
- Leggi. - le ordinò come se fosse una delle sue studentesse.
- Il Settimanale delle Fate. - lesse lei con la tazza sospesa tra il tavolo e le labbra.
- Continua a leggere.
Sbuffando, la donna appoggiò la tazza e prese il giornale, lesse velocemente la prima pagina mentre il mago si sedeva di fronte.
- Ma tu guarda. – mormorò Patricia fingendosi sorpresa – A quanto pare Jessica alla nascita si chiamava Nathan. - spostò lo sguardo sul suo amico e fece un lieve sorriso - Potrebbe essere uno scherzo.
- L’articolo continua a pagina sei, - spiegò Severus – c’è la copia del certificato di nascita.
Lei riuscì a nascondere la faccia dietro al giornale prima di scoppiare a ridere.
- Patricia…
La donna indossò con velocità sorprendete la sua maschera di indifferenza e chiuse il giornale.
- Dimmi, Severus.
- La tua passeggiata notturna non ha nulla a che vedere con questo, vero?
- Credi che possa fare una cosa del genere ad una don… ad un uo… ad una persona che conosco appena?
- Senza pensarci due volte. – rispose sicuro il mago.
Patricia assunse un’aria offesa.
- Non ho scattato io quelle fotografie, Severus.
Era una mezza bugia, Patricia lo sapeva bene, ma sapeva altrettanto bene che senza la sua fidata bacchetta Severus non poteva vedere nella sua mente. Era semplicemente un uomo comune come gli altri.
Severus alzò un sopracciglio scettico, era convinto che lei c’entrasse, ma senza una prova tangibile non avrebbe mai potuto averne la certezza. Lanciandole un'occhiata poco rassicurante si concentrò sulla sua colazione mentre la strega riapriva il giornale e leggeva le altre notizie.
Cose di poco conto, Porcellini spariti, bambini che mangiavano casette di marzapane altrui, burattini che andavano in giro pensando che la città fosse un enorme parco giochi.
- Che Nagini mi morda! - quasi urlò la donna appoggiando il quotidiano sul tavolo, poi lo guardò e fece un sorriso imbarazzato – Ops... scusa Sevvy. Ma guarda qui!
- Non devi chiamami Sevvy, Patricia. Come devo dirtelo? - la rimproverò il pozionista prendendo il giornale e leggendo l'articolo.
- Grande Maratona di Ballo della Città di Smeraldo. Le iscrizioni sono ancora aperte! Correte numerosi! Allora?
- Guarda la foto!
Il mago avvicinò il foglio agli occhi e per poco non si lasciò sfuggire la stessa imprecazione di Patricia. La fotografia raffigurava la coppa in palio per la maratona di ballo, sul sostegno bianco c’era incastonata una pietra di un intenso blu. Aveva imparato a riconoscere le pietre che gli servano per tornare a casa e quella sembrava proprio la quarta pietra che mancava.
Sollevò lo sguardo dal giornale incontrando il sorriso visibilmente divertito di Patricia e una luce negli occhi verdi che gli piacque poco.

* * * *

- Io lo ammazzo…- borbottava Severus da circa dieci minuti, camminando lento dietro Patricia. Si stavano dirigendo verso quello che sembrava l’auditorium della città, dovevano iscriversi a quella stramaledetta maratona di ballo e solo lui sapeva quando il suo orgoglio stesse gridando indignato in quel momento - quando torno indietro Arthur mi sentirà! Lui e la sua dannata passione per gli oggetti Babbani. Lui e i suoi oggetti incantati.
- Hai finito di preparare il tuo piano di smembramento? – fece Patricia senza voltarsi, era palese che si stava divertendo un mondo.
- Ti diverti vero? – sibilò il mago – Vuoi proprio vedermi ballare e rendermi ridicolo davanti a tutti?
Patricia si fermò in mezzo alla strada e lo guardò.
- Hai un’idea migliore per avvicinarci a quella coppa?
Piton ci rifletté qualche minuto.
- Senza rubarla! - specificò velocemente la donna riconoscendo il suo sguardo.
- No. - sbuffò l'altro.
Patricia fece un sorriso vittorioso.
- Allora muoviti. – riprese a camminare mentre Severus le lanciava silenziose maledizioni.
L’ippopotamo che prendeva le iscrizioni stava squadrando i due strani tipi che aveva davanti piuttosto curiosa, quella festa faceva arrivare persone da tutto il regno, ma quei due erano la coppia decisamente più strana che avesse mai visto.
E lei di coppie strane ne aveva viste tante.
- E’ qui che ci si iscrive per la maratona di ballo, vero?- chiese cordialmente la donna con un sorriso.
- Sì,- rispose lei prendendo gli occhiali e guardando la lista – siete giusto in tempo. Abbiamo ancora qualche posto libero.
- Si sono iscritti in molti?
- Una cinquantina di coppie.
- Che bellezza. – borbottò l’uomo pallido visibilmente scocciato.
L’ippopotamo non lo degnò neppure di uno sguardo e prese la penna.
- Bene, - fece prendo dei fogli – compilate questi moduli. Poi vi darà il numero d’iscrizione.
- Perfetto. – rispose la donna prendo i moduli e la penna.
L’ippopotamo guardò i due strani tizi seduti delle panchine a compilare i moduli per qualche minuto poi tornò sul suo lavoro.
- Allora dobbiamo scrivere i nostri nomi…- lesse Patricia ad alta voce – e…- le guance si accesero di un tenue color salmone - … chiedono se siamo fidanzati
- Che razza di questionario è?
- Penso che vogliano sapere quanto siamo affiatati.
- Metti che siamo divorziati…- ghignò il mago divertito – non avremmo resistito molto alla vita matrimoniale.
- Severus! – fece la donna sgranando gli occhi – Metterò che siamo sposati così si potrà anche spiegare la camera matrimoniale in albergo.
- La più grande disgrazia al mondo, – brontolò Piton – esser sposato con una rompi scatole come te!
- Ah tu dici? E io cosa dovrei dire? Vivere con un uomo che ama di più il calderone che me. Con addosso perennemente la puzza nauseante di qualche pozione. E in più che brontola in ogni situazione come un vecchio mago scorbutico.
- Io non brontolo.
- Sì, invece.
- E tu sei petulante.
- Vecchio eremita.
- Spaventapasseri.
- Gargoyle.
- Insolente.
- Ron Weasley.

Severus sgranò gli occhi inorridito.
- Questo è un colpo basso Patricia. Se io sono Ron Wealsey, tu diventi in automatico la Granger. E c’è una sola cosa peggiore che essere sposati con te!
- Essere sposato con Hermione Granger?
- No, essere sposati con te che fingi di essere Hermione Granger.
Patricia lo fissò per un attimo seria in volto, poi scoppiò a ridere continuando a compilare il modulo di iscrizione.
L’ippopotamo sollevò lo sguardo dal suo lavoro e lanciò un’occhiata ai due al di sopra delle lenti a forma di mezzaluna, poi scosse il grosso capo.

* * * *

Passarono il resto della giornata a visitare la città, avevano comprato qualcosa per il viaggio che avrebbero dovuto intraprendere una volta presa la quarta pietra e dei vestiti che non fossero abiti smessi da contadini.
Severus si sentiva più sicuro nell’abito scuro che aveva indossato, niente di paragonabile ai consueti vestiti neri, ma almeno non indossava più tessuti che prudevano ed irritavano. Patricia, invece, gli ricordava una giovane piratessa con quei pantaloni che aderivano alle lunghe gambe e la camicetta bianca con le maniche a sbuffo; le mancava solo una spada legata al fianco e un cappello nero.
Fu una giornata quasi piacevole, dove si sentirono veramente due turisti in una città straniera, ma il mago dovette fare i conti con la realtà molto in fretta e prima di quanto osasse sperare quando si ritrovò nell’auditorium della città, in mezzo ad altre coppie malamente assortite.
Il mago si guardò attorno, gli spettatori erano seduti sulle grandi scalinate attorno all’auditorium, mentre i giudici sedevano dietro un lungo tavolo posizionato a lato della pista da ballo.
Genio presentava la maratona, comparso al centro della pista con un microfono in mano. Alla sua apparizione, decisamente scenografica, la gente urlò eccitata.
- Benvenuti signori alla grande maratona che tutti noi aspettiamo ogni anno! – l’applauso fece quasi tremare i muri – Bene prima di dare il via alla maratona presentiamo i nostri giudici: direttamente dall’oceano il granchio Sebastian! Dal regno francese, appena lucidato abbiamo con noi Lumièr! Lui arriva dalla giungla più lontana, ama cantare e ballare tutto il giorno, signori l’orso Baloo.
- E quella sarebbe una giuria? – mormorò Piton alla sua compagna – Un granchio, un candelabro e un orso?
- Severus ti prego cerca di sforzarti un attimo, - gli sussurrò Patricia – dobbiamo vincere!
- Non canterei vittoria così facilmente, - le sussurrò una ragazza vestita di giallo al suo fianco – io e la Bestia ci siamo allenati tutto l’anno, siamo molto resistenti e nessuno ci può battere!
- Bene,- urlò Genio una volta che gli applausi furono scemati - ora lasciamo un’ora ai nostri concorrenti per prepararsi e poi possiamo dare il via alle danze!
C’erano due stanze attrezzate e ad uso dei concorrenti; Piton era stato catapultato in una stanza piena di altri uomini - e non uomini - intenti a cambiarsi e provare passi di danza.
Lui sapeva ballare, Albus l’aveva costretto per anni a partecipare alle stupide feste della scuola e, alla fine era stato quasi forzato ad imparare le basi del valzer da una Minerva che si rifiutava di vederlo sempre in disparte durante le danze.
Una cosa positiva della guerra era che non aveva più dovuto rispolverare le sue scarse doti da ballerino.
Dentro quella stanza, strattonato, spinto, urtato e scostato in malo modo dagli altri partecipanti, si era avvicinato ad un immenso guardaroba per cercare il vestito adatto a lui. Aveva, infine, indossato un completo nero, elegante, classico, forse noioso rispetto ai completi che indossavano gli altri, ma decisamente più attinente al suo carattere ed al suo attuale umore.
Cambiatosi in fretta, aveva quindi deciso di attendere la sua compagna fuori dalla stanza.
Quando la porta si aprì Severus spalancò la bocca per dire una battuta sarcastica, ma si ritrovò a corto di parole.
Patricia aveva indossato un ampio abito bianco e argento che sembrava brillare come una stella, mettendo in risalto il suo corpo e facendo spendere i suoi occhi verdi. Aveva acconciato i capelli in una lunga treccia adornata di fili di perle bianche, si era truccata leggermente rendendo la pelle candida e le labbra rosse come invitanti ciliegie mature.
Il mago si ritrovò a deglutire a vuoto, come uno scolaretto che vede per la prima volta una ragazza.
Una bella ragazza.
Guardami Severus.
La strega sorrise nella sua direzione, un sorriso così sincero e dolce da disarmarlo completamente.
Si ritrovò a pensare che non doveva esser poi una tortura essere sposati con lei.
Patricia si avvicinò in un fruscio di stoffa e profumo di fiori. A pochi metri fece una lieve piroetta mostrandogli il vestito in tutto il suo splendore, compresa la profonda scollatura sulla schiena.
- Come sto? – domandò candidamente avvicinandosi dal tutto.
Ci volle più tempo del necessario per trovare una risposta adeguata, alla fine sospirò con un lieve sorriso sulle labbra sottili.
- Sembri una principessa.
Il sorriso sul volto della donna si fece ancora più luminoso.
- Anche tu stai molto bene. – disse lei – Però…- allungò le mani e per una frazione di secondo Severus volle allontanarsi da lei, sentendosi inadeguato di fronte a tanta bellezza, ma le mani di Patricia sul suo cravattino lo bloccarono – hai cravattino storto.
Erano vicini, i loro corpi si sfioravano, le dita del mago si muovevano lente, come se volessero toccarla senza però farlo realmente. La osservava mentre gli sistemava il papillon, vedeva le sue lunghe ciglia nere e lo sguardo concentrato sulle mani che intrecciavano il tessuto, il suo profumo era quasi intossicante e stranamente più dolce di quanto ricordasse.
- Anche tu sembri un principe, Severus. – mormorò lei.
Il mago sollevò un sopracciglio scettico.
- Spero non il Principe Azzurro.
La strega ridacchiò lisciandogli il farfallino e sollevò lo sguardo.
- Facciamo un cavaliere nero.

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Capitolo 14
*** Come ti elimino gli altri ***


Capitolo 14: Come ti elimino gli altri


La maratona di Ballo si stava dimostrando lunga ed estenuante. Severus non sapeva più quanti giri avevano fatto della pista. Ormai era notte fonda, le stelle brillavano sopra le loro teste; si intravedeva il cielo attraverso il tetto di vetro dell'auditorium.
Molte coppie avevano ceduto durate il ballo, alcuni erano caduti vittima dei crampi alle gambe, in alcuni casi delle zampe.
Altri erano svenuti dalla troppa fatica, addirittura un paio si erano addormentati mentre ballavano ed erano stato squalificati.
Lui e Patricia reggevano il ritmo con invidiabile calma, restando abbracciati, forse un po' più vicini di quanto avessero immaginato all'inizio di quell'avventura, volteggiando con passo lento per la pista. Avevano superato i giramenti di testa e la conseguente nausea, avevano parlato per qualche minuto per poi decidere di non perdere fiato prezioso con inutili parole.
A volte si fissavano negli occhi e sembrava che non esistesse nulla al di fuori di loro.
C'era stato un tempo, all'inizio di quella strana ed inaspettata amicizia, in cui Severus vedeva Lily in quegli occhi verdi che lo scrutavano con attenzione. Un tempo in cui la ferita per la perdita dell'amata amica era ancora fresca ed ogni istante senza di lei era un'agonia.
Ora, invece, non c'era più traccia di quella malinconia mentre fissava Patricia nei suoi occhi. Certo Lily gli mancava, quando si era svegliato al San Mungo, vivo e con uno squarcio nel collo, aveva maledetto la Morte per non averlo voluto. Ma in quel preciso momento, con la sua amica tra le braccia, vestita come una principessa delle fiabe che lei tanto amava, forse quel destino, quel viaggio, quella vita non era poi così male.
- Stai sorridendo. - gli sussurrò Patrica.
- Non è vero. - rispose lui spostando lo sguardo oltre la spalla dell'amica e contando velocemente le altre coppie – Sono rimaste solo quattro coppie.
- Davvero? - domandò sorpresa lei – Non... non ci avevo fatto caso.- arrossì di nuovo e Severus dovette ammettere con se stesso che quando Patricia arrossiva era adorabile – Inizio ad essere stanca di questa gara. In principio era divertente, ma ora... dobbiamo trovare il modo di sbarazzarci di loro!
- Finalmente fai uscire il tuo lato Serpeverde, mia cara. - sorrise Severus.
La strega si guardò attorno e la prima coppia che notò era formata da due bambini vestiti in modo semplice; la bambina teneva appeso al braccio un piccolo cestino di vimini e lasciava cadere bricioline di pane. Si rese conto che i due percorrevano sempre lo stesso cerchio.
- Hansel e Gretel. - mormorò all'orecchio di Severus.
Aumentando l'andatura avvicinandosi a loro, non calpestarono le briciole, ma con il bordo del vestito di Patricia, che quasi sfiorava la pista, riuscirono a spostarne molte fuori dal bordo, per disorientarli. Ci vollero pochi minuti, Hansel e Gratel seguivano ciecamente il sentiero senza accorgersi che era stato leggermente spostato, cadendo così dalla pista.
Eliminati.
Mentre pensavano a come mettere fuori gioco la seconda coppia, che riconobbero come Pollicino e Pollicina, i due furono spazzati via una folata di aria uscita da un bocchettone a cui si erano azzardati ad avvicinarsi troppo.
Eliminati.
Severus osservò con interesse la terza coppia, lei aveva una lunga coda bionda, così lunga che toccava il pavimento.
- Raperonzolo.- spiegò al suo orecchio la donna seguendo il suo sguardo – Hai in mente qualcosa?
- Forse,- valutò Severus – tu seguimi.
In un paio di giri arrivarono alle spalle della coppia avversaria. Severus le fece fare una piroetta mettendo casualmente il piede sulla coda della donna di fronte. Voleva solo farle perdere l'equilibrio, farla inciampare per squalificarla, quello che non si aspettò fu la caduta completa dei capelli che si rivelarono una lunga parrucca bionda lasciando in bella mostra la testa completamente calva della donna.
Il compagno della principessa di fermò di colpo con gli occhi sgranati mentre il pubblico trattenne il respiro di fronte a quella sconcertante verità.
Patricia quasi scoppiò a ridere, si strinse al mago nascondendo il volto nel suo petto cercando di soffocare le risate, Severus, invece, riuscì a tenere un’espressione sobria e pacata e, stringendo l’amica, passò avanti a loro facendo finta di nulla.
Quando Raperonzolo si rese conto che il suo scandaloso segreto era stato svelato cacciò un urlo terrorizzato e, cercando di coprirsi come meglio poteva la testa pelata, scappò via in lacrime.
Eliminati anche loro.
- Restano solo due coppie! – urlò il Genio dal tavolo dei giudici.
- Sono la coppia più brava. – mormorò Patricia osservando la Bella e la Bestia mentre ballavano con grazia ed eleganza.
- Quello mi sembra pericoloso. – valutò il pozionista osservando la Bestia.
Lo sguardo di Patricia si illuminò e con un gesto che sembrò casuale si portò una mano ai capelli e riuscì a sfilare uno dei fili di perle.
- Ne basteranno un paio sotto i piedi della Bestia. – spiegò – Giusto per farlo inciampare, non mi sembra molto in equilibrio con quelle piccole zampe in proporzione al resto del massiccio corpo. Se qualcuno dovesse accorgersene sembrerà che le perle siano cadute dalla gonna di Belle e nessuno ci potrà accusare di nulla.
Con poco sforzo la strega riuscì a togliere due perle dal filo e nascondere il resto nella mano che teneva sulla spalla di Severus.
- Ora dobbiamo solo posizionarci davanti a loro.
La donna sentì la mano di Severus sulla sua schiena scendere in una leggera carezza, poi si sentì stringere di più al suo corpo.
Arrossì, non riuscì ad evitarlo.
- Tieniti. - le sussurrò all'orecchio l'amico facendola rabbrividire.
Approfittando dell’agitazione che ancora scombussolava il pubblico per colpa di Raperonzolo e la sua parrucca, fecero un veloce giro di pista posizionandosi davanti ai concorrenti.
Con un gesto del tutto casuale Patricia aprì la mano che teneva sulla spalla di Piton e lasciò cadere le perle bianche. Nessuno vi fece caso, nessuno udì rumori strani, lei e Severus ripresero a volteggiare come se nulla fosse, con i piedi ormai fin troppo doloranti e le braccia indolenzite per la continua, rigida posizione.
Accadde tutto in un lampo, si sentì un forte ruggito e uno strillo, le leonine zampe della Bestia scivolarono sulle perle, lui tentò di aggrapparsi a Belle, ma era troppo pesante per essere sostenuto da quel fragile corpo femminile. La trascinò rovinosamente a terra in un misto di stoffa gialla e crinoline rigide.
Eliminata anche la penultima coppia rimasta.
Nel momento in cui l'unica coppia rimasta in piedi furono Severus e Patricia il suono di una sirena invase l'auditorium.
- Abbiamo i vincitori! - urlò il Genio.
La coppia smise di ballare e gli applausi rimbombarono in tutta la Città di Smeraldo.

* * * *

Severus sedeva sul letto nella stanza dell’albero, aveva davanti le quattro gemme trovate fino a quel momento. I suoi pensieri andarono a Hogwarts e a quello che stava succedendo nel resto del mondo, nel mondo reale. Si domandò se fossero passati effettivamente solo pochi giorni o solo una manciata di secondi dalla loro sparizione.
Forse nessuno si era ancora accorto di quello che era successo.
Sistemò le gemme in un sacchetto di velluto scuro che aveva comprato quella mattina e aprì gli appunti di Merlino.
Patricia guardava fuori dalla finestra della stanza. Era brilla, al loro rientro avevano trovato una bottiglia di vino sulla scrivania e lei non aveva perso tempo prima di iniziare a brindare.
Fu tentato anche lui dalla bottiglia, ma aveva deciso che almeno uno di loro doveva essere lucido.
- Cosa cerchi? - gli domandò con la voce un po’ impastata, voltandosi verso di lui.
- Sto cercando di capire dove da dove ricominciare le ricerche. Abbiamo trovato la pietra verde, gialla, viola e blu. Secondo gli appunti di Merlino mancano la pietra azzurra, rossa e bianca. – rispose il mago continuando ad analizzare gli appunti – Qui c'è scritto che le ultime tracce della pietra azzurra si perdono nel deserto … in una caverna per la precisione.... La caverna delle meraviglie. - lesse il mago – Non ho la minima idea di cosa stia parlando.
La strega si sedette accanto a lui.
- Quindi ripartiamo.
- Direi domani. Qui non ci trattiene più nulla.
Patricia annuì e si avvicinò all'amico, aveva gli occhi lucidi e mordicchiava il labbro inferiore.
- Patricia...
- Sono un po' brilla Severus. - mormorò lei.
- Questo lo vedo.
- Allora puoi capire e perdonarmi.
Annullò la distanza che li separava e, per la seconda volta, Severus si ritrovò le sue morbide labbra che lo baciavano. Non fu veloce come nel Bosco Incantato di Alice e non fu un bacio casto. Quando avvertì la punta della lingua di Patricia accarezzargli un labbro, l'idea di respingerla gli sembrò improvvisamente assurda e rispose in modo impacciato e timido.
Si staccarono in fretta, ognuno con il sapore dell'altro sulle labbra.
Patricia fece un breve sorriso.
- Quello che sto per fare non dipende da te. - spiegò lei alzandosi di scatto dal letto.
Severus sollevò un sopracciglio mentre la strega correva in bagno a vomitare.
Non la sentì tornare a letto quella notte, era certo di essersi addormentato, ma si sentiva ugualmente spossato e stanco. Patricia era già pronta, aveva preparato la sua borsa, sembrava stranamente riposata e tranquilla. Quando lo vide sveglio sorrise.
- Buongiorno!
Lui la guardò confuso, avvertiva ancora il sapore di lei sulle labbra.
- Buongiorno...
- Sono stata male, vero? - domandò lei imbarazzata – Scusami. Devo aver bevuto più del necessario. Non si ripeterà più.
- Ricordi qualcosa?
Patricia alzò gli occhi al soffitto pensierosa.
- Mi parlavi di una caverna nel deserto...
- E poi?
Lei sollevò le spalle.
- Solo questo. Ho fatto o detto qualcosa per cui mi devo scusare?
- No.- rispose lui alzandosi dal letto dirigendosi al bagno – Nulla per cui di devi scusare.
Si chiuse la porta del bagno alle spalle e sospirò guardandosi allo specchio.
- Cosa ti aspettavi, Severus?
Il riflesso non gli rispose.

* * * *

Scesero nella hall con le borse pronte.
- State partendo? – chiese il genio svolazzando davanti a loro.
- Dobbiamo riprendere il viaggio per tornare a casa. – spiegò Patricia – Dovremmo lasciare qui la coppa della gara, è troppo ingombrate e il viaggio è molto lungo. Verremo a riprenderla ma, fino a quel momento, vorrei che la teneste voi.
- Certamente!- fece Genio poggiando la coppa in una bacheca – Dove siete diretti?
- Alla Caverna delle Meraviglie. – rispose Severus.
L’addetto alla reception fece cadere i fogli che stava leggendo, la coppa cadde dalle mani di Genio, Scendiletto frenò di colpo facendo sbalzare in avanti i due ospiti, mentre tutti i presenti in albergo ammutolirono all’istante guardandoli stralunati.
I due si lanciarono un’occhiata disorientati.
- Voi… voi non potete andare là…- mormorò l’addetto tremando– Quel posto è maledetto
- Come?- domandò Severus – Maledetto?
- Venite con me. – fece Genio serio spingendoli verso il suo ufficio.
I due lo seguirono nel suo piccolo ufficio.
- Perché siete diretti alla Caverna delle Meraviglie?- chiese chiudendo le tendine del suo ufficio.
I due si scambiarono un’occhiata poi iniziarono raccontare del loro viaggio e, piò o meno, le disavventure che avevano passato per recuperare quelle quattro gemme.
- Ho capito. – mormorò a fine spiegazione il genio dopo una pausa di riflessione – State cercando le pietre. Nelle profondità della caverna c’è una statua che raffigura il Principe Eric.
- Eric? Quello della Sirenetta?
- Proprio lui. – confermò Genio – Incastonata proprio all’altezza del cuore c’è una gemma identica a quella che mi avete decritto. E’ azzurra come l’oceano e la leggenda narra che quello sia un pezzo di oceano che racchiude l’amore di Ariel per il Principe.
- Perfetto. - fece Severus che non aveva capito nulla di quello che aveva appena udito – Dobbiamo recuperare quella pietra. – si alzò, ma Genio lo fece sedere di nuovo sulla sedia.
- Nessuno può entrare nel deserto e sperare di uscirne vivi. E’ denso di insidie ed è un vero e proprio labirinto… senza una guida ci si perde dopo un paio d’ore di cammino. In più la Caverna si trova nel centro del deserto, senza la chiave non puoi evocare il custode e, di conseguenza, non si può entrare.
Severus studiò intensamente Genio.
- Lei come sa tutte queste cose?
- Io e Scendiletto siamo stati rinchiusi in quella caverna per secoli e la conosciamo molto bene.
- Dove si trova la chiave?
- In un castello… poco fuori alla Città di Smeraldo. E’ un vecchio maniero, nessuno sa a chi sia appartenuto realmente, la leggenda più antica dice che sia il vecchio castello di Re Artù, lo stesso dove Ginevra conobbe il bel Lancilotto e la passione li consumò fino alla morte per mano dello stesso re. Pare che la gelosia del sovrano abbia come maledetto il castello. Chiunque sia entrato lì dentro narra di voci e orribili sensazioni che ti possono perseguitare anche per giorni. La chiave per entrare nella Caverna è in quel castello, la portava il re al collo, dicono che sia stata quella a farlo impazzire del tutto. Ma, come vi dicevo, è solo una leggenda... ci sono altre mille storie su quel castello e la sua fine, quella di Re Artù resta, comunque, la migliore.
- Abbiamo bisogno del vostro aiuto. – fece Severus deciso a partire – Potreste farci da guida? Siamo disposti a pagare.
Genio scosse la testa deciso.
- Non accetto soldi da due maghi che vogliono solo tornarsene a casa, ma come fate a sapere che dovete andare in quella caverna?
- Merlino ci ha donato i suoi appunti.
- Merlino? E come sta quel vecchio pazzo? Crede ancora di essere un principe trasformato in rospo?
- Emmh no…- mormorò Patricia – un indiano.
Genio scoppiò a ridere, poi batté le grandi mani blu.
- Bene! Io e Scendiletto saremo felici di farvi da guida!

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Capitolo 15
*** A volte tutto inizia con un bacio ***


Capitolo 15: A volte tutto inizia con un bacio

Patricia stava aggrappata a Severus con gli occhi chiusi, impedendosi di gridare come una ragazzina, ma era veramente terrorizzata.
L'aiuto di Genio e Scendiletto era gradito, ma nessuno le aveva detto che avrebbe dovuto viaggiare su un tappeto volante.
Erano troppo in alto, viaggiavano in modo troppo veloce, tutto era troppo spaventoso per i suoi gusti.
Severus, da parte sua, sembrava, per la prima volta da quando erano piombati in quel luogo, divertito dalla situazione.
Si beava del vento sul volto e della presenza di Patricia aggrappata alla sua schiena; gli piaceva vedere il mondo sotto i suoi piedi sfrecciare via veloce. Afferrò le nappe del tappeto e gli chiese di aumentare un po' la velocità.
- Severus! - strillò Patricia abbracciandolo ancora più forte, tenendo le palpebre serrate e la testa premuta contro la sua spina dorsale - Se non dici a questo maledetto tappeto di farmi scendere, giuro che quando torniamo a casa dirò a tutti come ti stava il vestito con cui ti sei presentato dal Principe Giovanni!
- Nessuno ti crederà Patricia.- urlò Severus con il vento che gli frustava il volto – Aggrappati forte a me e vedrai che non ti succederà nulla.
Sorrise compiaciuto quando la sentì aderire meglio al suo corpo, un formicolio partì dal punto in cui i seni di Patricia strusciavano, in modo del tutto casuale, sulla sua schiena e si propagò per tutto il corpo.
Mentre il vento gli scompigliava i capelli neri e il mondo scorreva sotto di loro si ricordò del passato, di quando erano solo due giovani studenti del sesto anno. Si conoscevano da poco eppure erano già molto affiatati. La loro amicizia era sbocciata in modo del tutto naturale e fin dal principio sembravano due ragazzi che si conoscevano da anni. Non era mai riuscito a spiegarselo, era capitato e basta.
Patricia era stata tante cose nella sua vita. Un'amica, una confidente, una rivale, a volte una fastidiosa spina del fianco, ed era stata anche il suo primo bacio.
Era stato il primo bacio per entrambi a dire il vero, non si erano baciati per amore, ma semplicemente per sapere cosa si provava. Avevano sedici anni, nessuno di loro aveva avuto esperienze precedenti ed erano solo curiosi.
Ricordava ancora quel giorno nonostante non ci pensasse da anni. Era un Sabato pomeriggio di un freddo Febbraio, San Valentino si avvicinava e le coppiette che amoreggiavano erano ovunque nel castello. Avevano deciso di saltare la gita ad Hogsmeade e sfruttare quel pomeriggio di tranquillità a finire il tema di Trasfigurazione.
Accanto a loro c’erano due studenti, forse più piccoli di un paio d'anni, che avevano scelto il reparto di Trasfigurazione come luogo per scambiarsi baci fin troppo infuocati.
Patricia era scattata in piedi e aveva chiuso il libro con uno tonfo: il rumore non distolse i due dalla loro attività, ma richiamò immediatamente Madama Prince che, quando li vide, si infuriò e li buttò fuori dalla biblioteca. Nonostante la soddisfazione che vedeva sul volto dell'amica, lei prese i suoi libri e, senza dire nulla, uscì biblioteca.
- Ma che ti prende?- le urlò dietro Severus rincorrendola, stupito da quell’esplosione improvvisa.
Erano arrivati nella Sala Comune in silenzio. Patricia intimò due ragazzini del primo anno di andarsene dal divano davanti al fuoco e di perdere tempo altrove; i due bambini erano scappati via intimoriti.
La storia della sua famiglia era ancora sulla bocca di tutti e la ferita nel cuore dell’amica fresca.
Aveva abbandonato i libri sul pavimento accanto al divano e si era seduta pesantemente, fissando le fiamme del camino.
- Avanti Patricia Kent…- disse sedendosi accanto a lei – sentiamo perché ti sei infuriata in quel modo.
- Il periodo degli accoppiamenti mi da sempre fastidio.
Era scoppiato a ridere, non era riuscito ad evitarlo ricevendo in cambio un'occhiata gelida.
- Ti danno fastidio le coppiette in corridoio?
- In corridoio, nelle classi prima che arrivi il professore, in Sala Grande e in quella Comune, ed ora anche in biblioteca! Possibile che ovunque mi giri ci sia qualcuno che si bacia! E io...
- Tu?
Patricia arrossì e da quando la conosceva, anche se da poco, non l'aveva mai vista arrossire.
- Sono invidiosa. - ammise lei guardandosi le mani in grembo – Io non ho più nessuno. Non ho più una famiglia, non ho più una casa e nessun ragazzo con cui scambiarmi il primo bacio. Mi sento sola, vuota, insignificante.
A volte la vedeva piangere in silenzio, le si avvicinava e non le diceva nulla, restavano solo seduti vicini fino a quando lei non si calmava. Solo allora lui si rialzava e tornava alle sue faccende.
- Hai me. - le disse lui con una sicurezza quasi disarmante.
Ricordava ancora la facilità con cui gli erano uscite quelle parole.
Patricia si era voltata stupita con gli occhi sgranati.
- Davvero?
Aveva solo annuito e allungato una mano per accarezzarle una guancia. Lei era arrossita ancora, anche quella volta l'aveva trovata bella.
L'aveva dimenticato, ma il dolore per la perdita di Lily, della sua amicizia e del suo sorriso aveva offuscato ogni altro ricordo di quel periodo.
E come lui le sedeva accanto quando ripensava alla sua famiglia, lei gli stava vicino quando i suoi ricordi erano persi in Lily, o quando vedeva Potter avvicinarsi sempre di più a lei.
L'amica aveva allungato il volto verso la sua mano chiudendo gli occhi.
- Sono proprio una sciocca. - mormorò allontanandosi dalla sua carezza – Ma ieri ho beccato Peter Minus che si stava scambiando la saliva con una ragazza di Tassorosso. E lui, di certo, non rientra nella categoria uomo.
- Non sei sola. - le disse serio – Non sei vuota e, di certo, non sei insignificante. Credo che non incontrerò un'altra spina nel fianco come te, Patricia Kent.
- Anch’io ti voglio bene Sevvy.
Storse la bocca in segno di disapprovazione, lei scoppiò a ridere.
- Sei adorabile quando fai quella smorfia!
- Odio quel soprannome… dovrai usarlo ancora per molto?
- Mi piace! E ti chiamerò Sevvy ogni volta che lo riterrò opportuno!
Restarono in silenzio a guardare il camino. Fu lei la prima a parlare.
- Tu... tu… mi baceresti, Severus?
- Come?
Ricordava ancora il calore che aveva invaso il suo giovane volto.
- Mi baceresti, Seveurs?
Questa volta la voce era più decisa, si era voltato a guardarlo e anche le sue guance erano arrossite in modo delizioso.
- Il primo bacio va dato a qualcuno di speciale, qualcuno che si ama.
- Tu sei speciale, Severus. - aveva risposto la giovane Patricia – Tu sei... tu... - sospirò e sorrise – sei speciale. Non ho altri modi per definirti. Ma posso comprendere che io non sia così speciale. Forse avresti preferito che fosse Lily a farti questa richiesta.
Non osò negare quell'affermazione. Aveva sognato di baciare Lily, aveva sognato di amarla e si essere amato da lei, non aveva senso negare l'evidenza. Non con Patricia.
- Non rovinerà la nostra amicizia?
- Vedila come un esperimento. Sono curiosa di sapere cosa si prova e sono certa che tu lo sia altrettanto.
Le aveva sorriso e aveva annuito perché nel suo cuore sapeva che Lily non l'avrebbe mai baciato, mai amato e se il primo bacio andava dato ad una persona speciale, Patricia era la persona giusta.
- Va bene. - acconsentì sentendosi in improvviso imbarazzo.
Le cinse la vita avvicinandola più al suo corpo, le accarezzò i capelli baciandole delicatamente una guancia dettato più dall’istinto che dall’esperienza. Le diede delicati baci che si avvicinavano piano piano alle sue labbra.
Il primo contatto fu delicato, timido, impacciato, ma ben presto, mano a mano che si abituava alla morbidezza delle sue labbra, osò approfondire il bacio sfiorandole il labbro inferiore con la punta della lingua. Lei si lasciò guidare, assecondava i suoi movimenti, quando gli aveva messo le mani tra i capelli, quegli stessi capelli che la gente sosteneva a dire che fossero unti nonostante li lavasse ogni giorno, qualcosa si ruppe dentro la sua anima. Fu come un fiume in piena che rompe gli argini, ricordava la scarica di adrenalina percorrergli il corpo e le loro lingue che danzavano seguendo uno schema tutto loro.
Si separò da lei controvoglia, desiderando baciarla di nuovo, sapendo che non sarebbe stato possibile.
- Wow…- mormorò piano Patricia tenendo ancora gli occhi chiusi.
Severus sentì Scendiletto rallentare e posarsi a terra delicatamente.
- Non salirò mai più su quel coso! – strillò la strega scattando giù dal tappeto non appena si fermò.
Il mago le fissò la schiena: fu come vederla per la prima volta.
Guardami, Severus.
- Wow… - mormorò.

* * * *


Il castello sembrava diroccato, abbandonato a se stesso da decenni, forse secoli.
Il parco che lo circondava era cresciuto selvaggio, accerchiando il maniero con erbacce e alberi dall’aspetto inquietante.
Più Severus lo guardava più si rendeva conto che un posto del genere poteva benissimo essere maledetto.
- Ha un aspetto da brividi. – disse la strega osservando una delle torri più alte, sembrava sul punto di crollare da un momento all’altro - Siamo sicuri che la chiave sia là dentro?
- Sicurissimi! – rispose Genio, che per l’occasione aveva fatto apparire sul suo corpo un’armatura scintillante, batté un pugno sul petto facendo cadere la visiera dell’elmo sul viso.
- Com’è fatta questa chiave?
- La riconoscerete. E’ un oggetto strano, molto diverso da tutto quello che avete visto fino a questo momento. Artù la portava al collo, dicono che sia stato quel medaglione a portarlo alla follia convincendolo a rinchiudere la sua sposa.
- Dobbiamo entrare e trovarla. Andiamo, Patricia?
La strega si voltò verso il genio.
- Voi non venite?
Genio scosse il capo azzurro sormontato dall'elmo di metallo brillante.
- Non possiamo varcare quella soglia, il castello è accessibile solo agli umani.
Si incamminarono verso il maniero, passarono sopra il ponte levatoio, lanciando veloci occhiate al fossato asciutto. Superarono le mura entrando nel cortile interno invaso dalle erbacce.
- Stiamo attenti. – mormorò il mago – Questo posto non mi piace.
L’interno era anche più deprimente e sporco dell’esterno. Le ragnatele avevano invaso il soffitto e le scalinate, la polvere ricopriva ogni mobile e soprammobile, rendendo l’aria così pesante e acre da pizzicare la gola.
- Dove sarà questa chiave? – la voce di Patricia, nonostante avesse parlato a bassa voce, echeggiò in tutto il maniero rimbalzando tra le pareti di roccia.
- Proviamo nelle stanze superiori. Cerchiamo quella del Re Artù. Magari siamo fortunati.
Iniziarono a salire le scale di marmo, le balaustre di legno intagliato scricchiolavano se, per errore, venivano sfiorate. Ruppero qualche ragnatela facendo infuriare i ragni; alcuni erano grossi come boccini d’oro.
- Mi sento osservata, Severus. – dichiarò Patricia guardandosi attorno.
- Anch’io. – ammise il mago senza staccare gli occhi dal corridoio che aveva di fronte.
- Dici che è pericoloso?
- Non lo so.
- Se voleva attaccarci l’avrebbe già fatto, no?
- Forse ci sta studiando, aspettando il momento migliore per farlo.
- Vedo che sei sempre ottimista.
Si incamminarono per il corridoio, tra arazzi mangiati dai tarli, torce spente, tappeti ammuffiti e armature arrugginite.
Alcune porte si rivelarono impossibili da aprire, l'umidità e il tempo avevano gonfiato troppo il legno; decisero che avrebbero controllato quelle stanze in un secondo momento, se non avessero trovato quello che cercavano.
Patricia si fermò davanti ad una porta dove del muschio era cresciuto tra le spaccature del legno. La strega allungò una mano e la toccò. Si ritrovò a trattenere il respiro.
- Cosa c'é?- le domandò Severus avvicinandosi.
- Io... io... non lo so... - ammise la strega allontanando la mano dalla porta con un gesto rapido – c'è qualcosa qui...
Il mago sollevò un sopracciglio scettico.
- Sei anche una veggente, ora?
Senza rispondere la donna gli prese una mano e la appoggiò sulla porta
il pozionista sgranò gli occhi neri.
- Lo senti? - gli domandò – Senti quella sensazione che ti nasce dal petto? E'...
- Dolore. - finì Severus, tolse la mano e fissò la porta – Hai ragione, c'è qualcosa.
La porta si aprì con un leggero cigolio. Alcuni pezzetti di legno marcio caddero su pavimento sporco. Si ritrovarono in una grande stanza da letto, un tempo doveva essere lussuosa e molto bella. Ora era solo ricoperta di polvere e muffa.
Le ampie vetrate, un tempo, dovevano illuminare tutta la stanza con una gradevole luce. Ora erano solo occhi accecati dalla sporcizia. Il tendaggio era di uno spento rosso, in alcuni punti c'erano buchi grandi quanto un pugno. I mobili erano scuri, intagliati con delle decorazioni ormai del tutto sbiadite. La specchiera avanti alle finestra era rotta, alcuni frammenti taglienti pendevano dalla struttura dello specchio come ingialliti denti aguzzi. Il camino era spento da così tanto tempo che era ricoperto da ragnatele.
- E’ la stanza di una donna.- constatò Patricia osservando le boccette vuote sul ripiano della specchiera – Da quello che vedo qui era anche una donna ricca. Chissà se la leggenda che ci ha detto Genio è vera.
- Se è vera la leggenda c'è la possibilità che sia vera anche la maledizione.
Fu in quel momento che entrambi avvertirono una forte sensazione, la stessa che avevano provato quando avevano toccato la porta. Patricia si appoggiò alla ripiano senza curarsi della polvere o dei frammenti di vetro: respirava lentamente, come se le fosse mancato d'un tratto l'ossigeno, si accorse di trattenere a stento le lacrime.
Severus si era appoggiato ad una delle colonne di legno del letto a baldacchino e aveva chiuso gli occhi. C'era qualcosa di strano in quello che avvertiva, sentiva chiaramente il dolore per la perdita della persona amata, ma era come se non provasse lui quelle emozioni. Come se qualcuno gliele stesse sussurrando ad un orecchio.
- Non dovresti esser qui.
La voce di Patricia così vicino gli fece aprire gli occhi. Si era avvicinata a lui senza che se ne accorgesse, lo fissava stupita perfino lei stessa di quelle parole.
Come se non fosse propriamente padrone del suo corpo, il mago sollevò una mano e le accarezzò una guancia. La strega arrossì in un modo che non le era proprio, ma continuò a fissarlo negli occhi; sorrise delicatamente e aderì la guancia alla sua mano come se aspettasse quel semplice contatto da molto, molto tempo.
- Dobbiamo andarcene. – disse Severus, ma non sapeva se era lui a parlare o quella presenza misteriosa che sentiva dentro di sé, non sapeva se stava parlando a Patricia o a qualcun altro.
La strega chiuse gli occhi, una solitaria lacrima scivolò sulla guancia pallida.
Il mago sentì il cuore spezzarsi dal dolore.
- Non… non posso… lo sai che sono prigioniera qui. – il volto era di Patricia, la voce era la sua, ma non era lei che stava parlando in quel momento – Io sono condannata a morire qui, tra queste mura. Ma tu… - gli mise le mani sul petto, rabbrividì e non capì se era stata lei a farlo rabbrividire con quel gesto o la sensazione che gli stava offuscando al mente – tu puoi scappare amore mio.
Amore mio...
Erano dolci quelle parole sulle sue labbra.
- Non senza di te.
Il passato, con quel loro primo ed unico bacio e con tutte le sue emozioni, si fuse con il presente. Con quello che provava l’entità, con quello che sentiva il suo corpo.
Severus non capì più chi stava parlando, chi si stava muovendo. Sapeva solo che Patricia era lì, che l’altra presenza era lì e lui le voleva.
Voleva entrambe.
Con due dita prese delicatamente il volto della ragazza, lo avvicinò al suo e la baciò.
Lei gli mise le mani dietro al collo, intrecciando le dita tra i suoi capelli avvicinandolo di più il suo corpo.
La strinse più forte aumentando l’intensità del bacio, affondando la lingua nella sua bocca come se non ci fosse un domani, come se dovessero morire da un momento all’altro.
- No… - mormorò poco convinta la strega mentre Severus scendeva a baciarle il collo – noi… noi…
- Basta parlare. Basta nascondersi. Lo affronteremo. Prenderemo quel ciondolo, lo faremo tornare in sé e capirà.
Tornò a torturarle le labbra e lei sembrò cedere a quella dolce tortura.
- NO! – si spostò da lei con un rapido gesto, forse più bruscamente di quanto Patricia meritasse, ma stava perdendo il controllo – Cosa… cosa diavolo sta succedendo? – ansimò continuando a fissarla mentre lei si allontanava rossa in volto.
Il suo sguardo fu catturato subito dalle sue labbra morbide, senza rendersene conto si passò la punta della lingua sul labbro inferiore per sentirne ancora il sapore.
- Qualsiasi cosa sia è pericoloso. – disse – E’ meglio uscire da qui.
Patricia annuì lo fissava senza parlare, con le guance rosse e le labbra gonfie. Entrambi fissarono la porta della stanza, ma non si mossero dalla loro posizione.

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Capitolo 16
*** Un fuoco che brucia dentro ***


Capitolo 16: Un fuoco che brucia dentro

- Dobbiamo uscire. – ripeté Patricia.
Severus annuì.
- Nessuno dei sue si sta muovendo però. – la strega sorrise per stemprare un po’ la tensione.
Il mago serrò con forza gli occhi.
- Non farlo.
- Non fare cosa?
- Non sorridere più. Ti prego. Io… io… non farlo più…
- Va bene. – ripose lei guardando altrove – Cosa facciamo?
- Dobbiamo andarcene. - il mago di guardò attorno, c'erano pochi metri tra lui e la porta, eppure sembrava troppo lontana, provò ad ordinare alle gambe di muoversi, ma sentiva, sapeva che si sarebbe mosso solo verso Patricia – Non... ci riesco.
- Neppure io. - ammise la strega – Se mi muovo so che potrei solo venire vero di te. Cosa ci sta succedendo?
- Deve essere successo qualcosa tra queste mura probabilmente molti, molti anni fa. Credo che si troviamo in una sacca di energia magica, forse la maledizione di cui tutti parlano è questa. Quando entri si è costretti a rivivere quello che è accaduto, forse ci sono degli spettri intrappolati qui a rivivere le ultime ore della loro vita.
- Come ce ne liberiamo?
C'era una parte di Severus che non era del tutto certa di volersene sbarazzare. Era bello desiderarla, era bello poter pensare di amarla, di essere suo in qualche modo.
Scoprire questa sua parte lo innervosiva e imbarazzava.
- Di solito... di solito queste bolle si esauriscono da sole. In altri casi...
- In altri casi?
Deglutì ritrovandosi la gola arida.
- Bisogna aiutare gli spiriti a finire quello che avevano iniziato.
- Oh.
Era arrossita fissando il pavimento, torturandosi un labbro con i denti. Il corpo di Severus si tendeva nella sua direzione. Poteva dirle di non sorridere, ma non poteva chiederle di non arrossire in quel modo così innocente e sensuale o di non torturarsi le labbra.
Quelle sue perfette, morbide, calde labbra...
Successe tutto in un lampo, in maniera così veloce che non se ne rese neppure conto. Un istante prima fissava la sua amica dall'altra parte della stanza lottando contro quel desiderio che non sapeva più se fosse proprio o di quella presenza, l'istante dopo assaporava ancora le sue labbra.
- Io non vado da nessuna parte. - mormorò Severus tra un bacio e l'altro – Non ti lascio sola qui, con lui. Tu sei mia.
Patricia sorrise mordicchiandogli un lobo dell'orecchio.
- Non possiamo... - mormorò al suo orecchio – non... - la frase fu interrotta dalle mani del mago che cercavano di sbottonargli la camicetta – Dobbiamo... fermarci.
- Non posso. – sibilò il mago slacciando l’ultimo bottone della camicetta. – Non voglio. – le disse fissandola negli occhi verdi.
Patricia sentì il corpo in fiamme, abbracciò Severus baciandolo con passione, si sentì sollevare da terra e non si fece più domande quando lui l’adagiò sul letto impolverato.
Le mani di entrambi si muovevano cercando di eliminare ogni ostacolo che si frapponeva tra loro. Il pozionista scese a baciarle un seno coperto solo dall’intimo.
- Severus…
- Patricia…
In quel preciso istante la porta della stanza si aprì da sola, con un colpo così forte che fece sussultare entrambi.
Sulla soglia c’era un’ombra.
Maestosa, imponente, terrificante.
I due si resero conto che non avvertivano più quella presenza che li faceva muovere contro la loro volontà. Si guardarono in faccia ed arrossirono mezzi nudi su un letto coperto di polvere. L’ombra sembrò prendere consistenza, avanzava verso di loro con passo deciso, si intravedevano degli abiti regali addosso a quella figura scura.
- SGUALDRINA!- quell’urlo improvviso, con quella voce profonda, fece tremare anche le pareti della stanza.
Patricia non riuscì a reprimere un grido.
Il mago vide l’ombra sguainare una spada fatta di oscurità e alzarla sopra la testa.
- Via! – urlò Severus spingendo via la donna.
Fecero appena in tempo a spostarsi che la lama divise in due il materasso.
Patricia si fece scappare un’imprecazione.
- Devono… devono essere stati scoperti… - disse lei mentre osservava l’ombra minacciosa voltarsi verso di lei.
- MI HAI INGANNATO STREGA! – gridò l’immensa voce possente – ORA MORIRETE ENTRABI!
- Ma veramente… - balbettò Patricia.
La lama d’ombra fu calata nuovamente e fu solo per un movimento veloce della strega se non le tranciò di netto la testa dal corpo.
Riuscirono entrambi ad uscire dalla stanza, ancora mezzi svestiti, mentre l’ombra malvagia li inseguiva calando la possente spada cercando di colpirli. Svoltarono l’angolo del corridoio e Severus entrò in una delle stanze che avevano precedentemente controllato, trascinò dentro Patricia e chiusero la porta alle loro spalle.
Severus appoggiò un orecchio alla porta e rimase in ascolto qualche secondo.
- Non dovrebbe averci visto. – sussurrò.
- Perché tu gli hai visto gli occhi?
Il mago aprì la bocca per ribattere quando la lama attraversò la porta di legno come se fosse fatta di burro sfiorandogli il naso. Entrambi si spostarono dalla porta con un urlo impaurito.
La porta cadde sotto i possenti colpi del re.
- ORA VI UCCIDO!- gridò l’ombra spostandosi verso Patricia che, terrorizzata, indietreggiava guardandosi attorno alla ricerca di qualsiasi cosa potesse servirle per salvarsi.
- Non è come pensa…- mormorò cercando ogni appiglio possibile – io… noi…
Senza accorgersi un piede si ingarbugliò con una tenda caduta anni prima e rimasta sul pavimento a prendere polvere. Cadde indietro finendo sul pavimento con un tonfo, alzando una nube di polvere maleodorante.
- TACI!- urlò il re alzando la spada sulla testa – ORA MUORI!
Patricia chiuse gli occhi pronta al dolore, sentì l’aria muoversi e il pavimento tremare a pochi centimetri dalla sua gamba. Sentì anche un rumore di cocci infranti ed immaginò che la lama d’ombra avesse infranto un vaso o una delle boccette sparse sul pavimento.
Quando si rese conto che non sarebbe arrivato il dolore e che non sentiva più nessun suono osò aprire gli occhi per controllare. L’ombra era a terra, a pochi centimetri da lei, la spada era finita lontano e la sua testa era cosparsa di cocci di ceramica bianca.
Severus aveva tra le mani un manico di ceramica dello stesso colore.
- Un vaso?
- Un pitale. – specificò il mago con un mezzo sorriso – Non ho trovato altro. Meglio trovare quella maledetta chiave, prima che si svegli.
- Vedi delle tasche Severus? – domandò lei alzandosi da terra; aveva ancora la camicetta sbottonata, ma non se ne rese conto.
Il mago socchiuse gli occhi inginocchiandosi davanti a quell’essere, era come se un incubo avesse preso forma. O forse era solo l’anima del re imprigionata in una spirale di gelosia e odio.
Improvvisamente dal petto del sovrano si intravide un bagliore.
Tenue e che pulsava come un cuore.
Seguendo l’istinto il pozionista infilò la mano nel petto di ombra fino al polso. Con le dita sfiorò qualcosa di duro e freddo come una roccia, la strinse nel pugno e tirò fuori la mano.
La luce pulsante filtrava tra le sue dita. Patricia trattenne il respiro mentre Severus apriva la mano mostrando un grosso ciondolo a forma di scarabeo.
Nel silenzio totale e sotto lo sguardo stupito dei maghi l’oggetto si divise in due parti, quando l’ultimo bagliore svanì, la figura d’ombra che un tempo doveva essere stata un Re divenne fumo e quella strana sensazione che si era impadronita dei due maghi sparì all’istante.
I due si guardarono e si rivestirono in tutta fretta.
- Andiamocene. – ordinò asciutto il mago finendo di allacciarsi la camicia.
Stando il più attenti possibile Severus e Patricia iniziarono a scendere le scale. Il castello sembrava più diroccato di quando erano entrati, il pavimento sembrava decisamente più viscido e non ricordavano tutte quelle macerie ad ostruire il passaggio. Severus si trovò costretto ad aiutare Patricia per gli ostacoli più grandi. Si erano guardati più volte negli occhi ma non si erano detti nulla.
Era in imbarazzo per quello che aveva fatto e detto.
Non voglio.
Non si sarebbe fermato, questo lo sapeva bene. Non avrebbe resistito e la presenza che si era impossessata di lui non aveva colpe.
Era riuscito a controllarla in qualche modo, ma non si era, comunque, fermato.
Ora non sapeva più cosa fare. O cosa dire.
- Severus…- lo chiamò lei alle sue spalle – quello… quello che ti ho detto dentro la stanza… io…
- Non c’è bisogno di spiegare, Patricia.- la interruppe lui senza voltarsi – Eravamo posseduti da due entità che si amavano. Non eravamo noi.
Suonava strano perfino alle sue orecchie quella frase.
Patricia non ci avrebbe mai creduto.
Dopo qualche secondo di silenzio la strega sospirò.
- Hai ragione. – gli disse – Non eravamo noi.
Non si sentì sollevato da quelle parole.

* * * *


Decisero di affrontare il deserto di mattina appena svegli, su consiglio di Genio.
Accesero un fuoco poco distante dal castello in rovina e si accamparono per la notte.
Patricia si addormentò subito dopo la cena. Era sdraiata dall’altra parte del fuoco, lontano, per una volta da lui. Usava Scendiletto come una coperta e non sembrava stesse facendo un bel sogno.
Piton non riusciva a chiudere occhio, la fissava attraverso le fiamme chiedendosi come doveva comportarsi, perché proprio in quel momento, in quel luogo, doveva iniziare a provare certi sentimenti.
Si chiese se non fosse quel luogo a farglieli provare.
- Allora... - fece Genio mettendosi accanto a lui; indossava un completo marrone e aveva un blocco in mano, assomigliando tanto ad un pessimo psicologo – vuoi parlarmi di lei?
- No. - rispose secco, non apprezzando il carattere impiccione di quel… coso blu.
- Non vi siete parlati da quando siete usciti dal castello, è successo qualcosa?
- Non voglio parlare di questo... non con te!
- Beh hai qualcun altro con cui parlare in questo posto?
Severus sbuffò sconsolato lanciandogli un’occhiata tagliente.
- Lei ti piace? – gli domandò imperterrito Genio.
- Cosa?- urlò Severus, guardando subito in direzione di Patricia, temendo di averla svegliata, ma la donna si girò mormorando qualcosa di incomprensibile – Tu sei tutto matto. E’ una spina nel fianco.
- Una spina nel fianco molto bella.
Severus sospirò ripensandola alla maratona di ballo, con quel vestito bianco che le faceva sembrare una principessa.
- ... bellissima…- mormorò addolcendo un attimo lo sguardo. Sbatté un paio di volte le palpebre tornando subito in sé - Non sono innamorato di lei…- specificò con foga, forse con troppa foga – non sono l’uomo giusto. Non sono l’uomo giusto per nessuna. Io non sono un principe.
- Molte delle persone che tu ritieni giuste non sono principi. – spiegò il genio - E molti principi che conosco non meritano la principessa che hanno poi sposato. E, comunque, neppure lei ha l’aria della principessa. E, forse, quello che lei cerca non è un principe.
- Basta blaterare Genio. Dobbiamo riposare, domani ci aspetta una lunga camminata.
Genio andò a coricarsi senza più dire una parola, Severus continuò a guardarla attraverso le fiamme.
Aveva sonno, ma non si addormentò.

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Capitolo 17
*** Un maiale, un topo e due giraffe ***


Capitolo 17: Un maiale, un topo e due giraffe

Il deserto, come prevedibile, era vastissimo e molto caldo.
Ma nonostante tutto procedevano velocemente, Severus su Scendiletto che volteggiava a mezz'aria come se fosse uno studente alla sua prima lezione di volo e Patricia su Genio che aveva assunto la forma di un curioso cammello blu.
In modo categorico si era rifiutata di salire ancora sul tappeto volante.
L'orizzonte tremolava per il caldo torrido, attorno a loro solo sabbia gialla e sole battente sulla testa.
Severus rischiava di addormentarsi su Scendiletto, sapendo bene che non avrebbe trovato giovamento da quel riposo. Erano giorni ormai che non gli sembrava di dormire, era come se il suo cervello non volesse riposare, restando sempre all'erta. Chiuse un attimo gli occhi cercando non far vincere il caldo e il sole che gli faceva scottare la testa protetta solo da un leggero fazzoletto bianco legato in malo modo.
- Genio, - fece Patricia sporgendosi in avanti vero il muso di quello strano cammello – quanto manca?
- Non molto.- rispose lui – La caverna è vicina.
Quando si fermò i due si guardarono attorno: c'era solo sabbia, un immenso oceano di sabbia. Non c'era traccia di caverne o anche solo montagne in lontananza. Temettero che il Genio li avesse ingannati.
- Dov’è la Caverna?- chiese Severus aguzzando la vista.
- Laggiù. – indicò Genio tornato normale, puntando un dito blu sulla distesa di sabbia davanti a loro.
- Laggiù dove? – domandò Patricia esasperata.
Severus avvertì una tasca dei pantaloni tremare, affondò la mano e prese le parti del ciondolo a forma di scarabeo.
Il ciondolo tremava tra le sue dita. Le parti si illuminarono e in un batter d'occhio saltarono via, unendosi sopra la sua testa mandando scintille dorate. Lo scarabeo che si era formato volò in circolo sulla distesa di sabbia e con forza affondò in una piccola collinetta. Il terreno tremò qualche secondo, nella sabbia si formò un vortice che si ingrandiva velocemente. Il pozionista stava per gridare a tutti di allontanarsi quando un’enorme testa di leone sbucò dal vortice aprendo le sue fauci di pietra.
Severus e Patricia si guardarono in faccia allibiti.
- Signori. – fece Genio sorridente – Ecco a voi la Caverna delle Meraviglie.
La testa del leone era veramente enorme, Severus calcolò che, più o meno, doveva essere alta almeno cinque piani. Le fauci spalancate costituivano una terrificante entrata.
Non era incoraggiante.
Si avvicinarono titubanti, e quando furono abbastanza vicini la bocca del leone iniziò a muoversi.
- Chi osa disturbare il mio riposo? – la voce era tonante ed echeggiava per tutto il deserto. Non si sarebbero stupiti se le città lontane avessero udito quella voce, una voce che assomigliava molto ad un ruggito.
- … Patricia e Severus.
Il sacchetto che conteneva le gemme recuperate fino a quel momento brillò di una luce colorata.
Il leone sgranò gli occhi privi di pupille.
- Potete entrare... potete toccare solo la statua.
- A noi sta bene. – disse Severus avvicinandosi all’entrata.
- Voi non venite?- domandò Patricia voltandosi verso il tappeto volante e Genio.
- Sei matta? Se entriamo là dentro torniamo schiavi di quel posto! Vi aspettiamo qui!
Si avvicinarono all’entrata, ma prima di metterci piede osservarono bene i denti aguzzi di pietra.
- Non è che appena entriamo diventiamo uno spuntino?
Il mago non rispose, si limitò ad allungare un piede per tastare la lingua di pietra dell'animale. Entrarono a piccoli passi ascoltando ogni rumore sospetto e pronti a scappare. Tirarono un lieve sospiro di sollievo quando si resero conto che non sarebbero stati mangiati da quell'enorme testa di pietra.
Scoprirono in fretta che la lingua non era altro che il principio di una lunga scala che scendeva nelle profondità della terra. Iniziarono a scendere gli scalini fino a quando persero del tutto la cognizione del tempo e della profondità. Sopra la loro testa c'erano solo scalini e buio. Sotto di loro altri scalini e altro buio.
Scesero per quelle che parvero ore, camminarono lungo sentieri stretti che costeggiavano burroni profondi, sorpassarono varie statue di persone pietrificate fino a quando non scorsero una luce in fondo ad un lungo corridoio.
- Forse abbiamo trovato la pietra. – mormorò Piton cauto – Stammi vicino, Patricia.
La strega annuì sistemandosi alle spalle dell’amico. Severus, in circostanze normali, avrebbe trovato quell’atteggiamento insolito. Patricia non si faceva comandare a piacimento, non potevi dirle cosa fare senza aspettarti una battuta acida come risposta.
Ma quella non era più una situazione normale e tra di loro c’era un forte imbarazzo per quello che era successo al castello. Nonostante avessero provato a minimizzare l’accaduto si rivolgevano a stento la parola e solo per il minimo indispensabile.
Era una situazione esasperante.
Improvvisamente un rumore grottesco rimbombò nella grotta, Patricia si lasciò scappare un urlo tappandosi immediatamente la bocca con le mani.
- Cos’è stato? – domandò la strega.
- Non lo so.
Un secondo rumore grottesco seguì il primo; questa volta, però, sembrava più vicino.
- Si sta avvicinando. – mormorò il mago.
Dal punto in cui arrivava la luce si allungarono due ombre. Una era lunga e magra con due enormi tentacoli al posto delle braccia, l’altra era molto più grossa con due enormi zanne.
Senza pensarci due volte Severus si parò davanti a Patricia per proteggerla. La donna osservò stupita l’amico.
Chiusero entrambi gli occhi aspettandosi il peggio, erano in un lungo tunnel scavano direttamente nella roccia e non c’erano punti in cui nascondersi.
I pozionista sentì la mano dell’amica appoggiata alla sua schiena, riuscì a resistere all’impulso di voltarsi e abbracciarla per proteggerla meglio con il suo corpo.
- Ehi Timon...- grugnì una voce – abbiamo compagnia!
- E chi sarebbe Pumba?– chiese un’altra voce, questa era più acuta – Simba? Le iene? Il fantasma di Mufasa? Quella scimmia impicciona che fa yoga?
- Non è Simba. – rispose la prima voce, quella che rispondeva al nome di Pumba – Non mi sembrano due fantasmi e una è più carina delle iene.
Severus e Patricia aprirono gli occhi, quelle due voci non sembravano appartenere a orripilanti mostri giganteschi.
Intorno a loro non videro nessuno.
- Ma dove sono?
- Siamo quaggiù. – grugnì la prima voce.
Il mago abbassò lo sguardo, ai suoi piedi c’erano due animali: un suino con grandi zanne e un topo alto venti centimetri, il pelo era marroncino a strisce più scure, stava in piedi sulle zampe posteriori mentre il maiale era seduto.
- Io so cosa sono. - disse il topo.
- Sul serio Timon? - domandò l'altro animale ammirato – E cosa sono?
- Due giraffe.
Pumba si voltò a guardarli poco convinto.
- A me non sembrano due giraffe. Non hanno lo stesso colore.
- Due giraffe pallide.
- Oh Timon come sei intelligente!
- Abbiamo qui davanti un topo troppo cresciuto e un maiale?- sbottò Piton alzando un sopracciglio.
- Ehi calmo giraffone!- fece Timon scocciato – Io sono un suricata e mi chiamo Timon e lui non è un maiale, ma un facocero e il suo nome è Pumba.
- Cosa ci fate nella Caverna delle Meraviglie?
- Stavamo vagando per il deserto alla ricerca di quegli insetti croccanti che vivono solo qui... quando siamo finiti nelle sabbie mobili. Siamo precipitati in questa stupida caverna. – spiegò stizzito il suricata tirando un sasso contro una parete.
- Siete intrappolati quindi.
- Esatto.
- Da quanto?
- Ma non saprei. – fece Pumba guardando il soffitto – Timon da quanto siamo in questa Caverna?
- Sei settimane. – rispose sconsolato l'altro – Sei lunghe ed infinite settimane. Ma, se voi siete entrati vuol dire che avete aperto la Caverna!
- Sì.
Il suricata esultò facendo due capriole all’indietro.
- Hai sentito Pumba? Siamo liberi!
- Ma Timon...- iniziò il facocero meditativo - ci sarà un motivo se sono scesi fino qua sotto, non trovi?
Il suricata si bloccò con il sorriso ancora stampato sul muso.
- Aspetta un attimo. – fece all’improvviso diventando pensieroso – Ci sarà un motivo se questi due sono venuti fin qua giù!
Pumba alzò gli occhi al cielo.
- Voi cosa ci fate qui?- chiese Timon puntando un dito peloso verso i due che ancora li guardavano stralunati.
- Stiamo cercando la statua del Principe Eric.
Pumba e Timon si scambiarono una lunga occhiata, poi scoppiarono in una fragorosa risata.
- Cos’ho detto di buffo?- domandò Patricia indispettita.
- Nulla... nulla...- fece Timon asciugandosi le lacrime – è solo che la statua è protetta da una strega e nessuno la può toccare o anche solo avvicinarsi.
- Una strega? E come si chiama?
- Malefica.
- Voi sapete dove si trova la statua e questa Malefica?- chiese Severus.
- Sì, lo sappiamo. – rispose Pumba entusiasta – Possiamo accompagnarvi!
- Aspetta, aspetta, aspetta, aspetta Pumba. - disse Timon prendo il facocero per una zanna e trascinandolo un po’ più lontano dai due – Non possiamo portare quei due da Malefica.
- E perché no? – domandò il suino – Facciamo una buona azione Timon!
- Mio innocente e fiducioso ammasso di ciccia, non sappiamo nulla di quelle giraffe.
- Non siamo giraffe! - gridò Severus.
- E' quello che dicono tutte le giraffe! - gli rispose il suricata.
- Lei mi sembra così gentile! – esclamò euforico il facocero scodinzolando come un cagnolino.
- Ma lui sembra una giraffa che mangia facoceri tutti i giorni con contorno di suricata alla diavola!
Pumba impallidì deglutendo spaventato.
- Ma Timon se noi gli aiutiamo ci possono portare fuori di qui!
Timon iniziò a pensare, dopo pochi istanti schioccò le piccole dita.
- Che idea geniale! – esultò guardando l’amico nei piccoli occhi neri – Se noi aiutiamo quelle due giraffe con Malefica potrebbero farci uscire da qui! Che ne dici Pumba?
Per tutta risposta Pumba grugnì qualcosa di incomprensibile.
- Bene amici!- dichiarò felice il suricata – Potete salutare le vostre guide!
- Perfetto!- fece Patricia – E’ meglio presentarsi però... io sono Patricia e lui è Severus.
- Posso chiamarti Sevvy?- chiese speranzoso Timon.
Patricia ridacchiò alle sue spalle.
- No!- ringhiò il mago che ancora non riusciva a credere a quello che aveva davanti agli occhi.
- In marcia nostri nuovi amici! – dichiarò Pumba – La stanza della statua è da quella parte.
- Timon, - fece Patricia camminando dietro le due nuove guide – prima si sentivano degli strani rumori... cos’era?
- Oh nulla di cui avere paura... gli insetti di questo posto riempiono la pancia del mio amico facocero d’aria. - spiegò picchiano una piccola mano sul ventre gonfio dell'amico - Avete solo sentito Pumba mentre...
- Abbiamo capito!- urlarono i due.

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Capitolo 18
*** Proposte di matrimonio inaspettate ***


Domani sarà una giornata lunga e pesante. Non so se avrò il tempo di aggiornare la storia, così, invece di postare Mercoledì, ho deciso di anticipare ad oggi!


Capitolo 18: Proposte di matrimonio inaspettate

Seguirono i due strani animali per un lungo percorso.
- Hakuna Matata... sembra quasi poesia... Hakuna Matata... tutta frenesia... - canticchiavano i due allegri.
Camminavano vicino in quel lungo corridoio largo appena per permettere a due persone di camminare l'uno accanto all'altra.
Le loro braccia si sfioravano, un paio di volte avevano incrociato i rispettivi sguardi, ma non si erano detti una sola parola.
- Sei silenziosa. – valutò Severus fissando i due animali che avevano davanti – Cosa ti turba?
- Nulla in particolare. – risposte la strega, ma il mago si rese conto che stava mentendo – Anche tu sei silenzioso. Qualcosa turba te, invece?
Severus fece un mezzo sorriso.
- Il sedere di quel facocero mi turba!
Patricia scoppiò in una fragorosa risata liberatoria. Anche Severus si ritrovò a sorridere di quella battuta. Si guardarono ancora negli occhi rendendosi conto che la tensione si era affievolita. La strega rise così tanto da doversi appoggiare alla parete con le lacrime che le bagnavano le guance.
- Ci voleva. – sospirò dopo qualche minuto asciugandosi gli occhi verdi – Non ridevo così tanto da un bel po’ di tempo.
- Non soni stati anni molto felici questi. – concordò Severus; il sorriso non aveva ancora abbandonato le sue labbra sottili.
- La guerra è finita da anni, Severus. Così tanti che alcuni iniziano a non ricordarla più. Ma io… non posso dimenticare. E neppure tu. Ci è stato portato via troppo per dimenticare.
Un velo di tristezza offuscò lo sguardo della donna. Severus le afferrò una mano stringendola con dolcezza.
- Io ti ho fatto perdere molto.
Patricia lo guardò.
- Albus mi ha fatto perdere tutto, Severus. E non ho più intenzione di scusarlo. Non voglio più giustificare quello che ha fatto, quello che ha voluto sacrificare per vincere una guerra.
- Non c’era altra soluzione.
- Oh si che c’era! – gridò la strega improvvisamente adirata – Ma era più facile far fare a te tutto il lavoro sporco e buttare sulle spalle di un ragazzino responsabilità più grandi di lui. Mentre eri ricoverato sono andata a Hogwarts, c'erano zone ancora ingombre di macerie, sono salita fino la presidenza e ho parlato con Albus. Diciamo che io ho urlato contro Albus, mentre lui si è limitato a scusarsi. E' così frustrante litigare con un pezzo di tela colorata.
Severus sospirò, la capiva, la capiva così bene che poteva sentire il suo dolore e la sua rabbia verso Silente.
Anche lui aveva litigato con quel quadro in più di un'occasione.
- Non voglio più parlare di lui. – dichiarò Patricia – Non… non voglio più…
- Va bene. – acconsentì lui – Ora non serve parlare di Albus.
La strega gli lanciò un’occhiata, il suo sguardo rabbioso mutò immediatamente regalandogli un sorriso che gli fece sciogliere il cuore.
- Ooooh non sono carini Timon? – domandò Pumba commosso.
- Sì… due giraffe innamorate… - sbuffò l’altro strofinandosi le unghie sulla pelliccia.
- Invece io vedo due esseri umani innamorati follemente l’uno dell’altra, ma che non hanno il coraggio di dirselo.
- Pumba, Pumba, Pumba…- il suricata scuoteva la piccola testa - possibile che tu veda amore ovunque?
- Ma l’amore è ovunque Timon!
Severus e Patricia guardarono i due animali, erano seduti qualche metro più avanti, Pumba teneva in mano un grande cartone di pop-corn pieno di insetti, mentre Timon aveva in mano una bibita. O quella che sembrava tale.
- Noi non siamo innamorati. – fece Patricia risoluta – Siamo solo amici.
- Sì, è quello che dicono tutte le giraffe. – ripeté nuovamente Timon.
- Timon non sei molto gentile con i nostri amici! –lo rimproverò il facocero.
- Pumba, sono due brutte giraffe!
- Ehi! – sbottò Piton – Attento a come parli topo troppo cresciuto!
In quel momento la terra tremò sotto i loro piedi. Timon e Pumba si alzarono.
- Siamo vicini…- sussurrò il suricata – ora facciamo piano.
In punta di piedi si avvicinarono a quella che sembrava una porta di pietra aperta; dall’interno arrivano lamenti e singhiozzi.
I quattro si affacciarono per osservare la scena; Malefica, una donna sulla quarantina, vestita completamente di nero, dalla pelle di un malsano color verde e le labbra di un insolito color viola acceso, era seduta su un trono di pietra. Piangeva fissando la cornice che aveva in mano. La statua era proprio dietro di lei, era alta ameno quanto Severus, aveva i lineamenti di un ragazzo giovane e forte, i capelli, nonostante fossero scolpiti nella roccia, sembrano morbidi e lo sguardo forte. La posa in cui l’aveva scolpito l’artista lo faceva sembrare fiero e risoluto.
Un degno futuro re.
La pietra a goccia azzurra era incastonata sul petto, all’altezza del cuore, come se volesse racchiudere nel suo corpo umano l’essenza del mare che tanto amava.
- Eric... - urlò la strega in lacrime - perché hai preferito quel mezzo pesce a me?
- Tutto qui? – mormorò Severus perplesso - Abbiamo paura di una donna che piange?
- Mai sottovalutare una donna quando è triste Severus. – lo rimproverò Patricia.
Come per dar conferma alle sue parole Malefica picchiò a terra il lungo bastone facendo tremare la Caverna, singhiozzò ancora una volta e si pulì il naso gocciolante con la manica del vestito nero.
- Non possiamo farci vedere. – fece Timon sparendo dietro l’amico facocero – Se ci vede si trasforma in drago e ci fa arrosto!
- Dobbiamo trovare il modo di distrarla mentre qualcuno prende la pietra dalla statua. – rifletté il mago fissando prima la statua, poi la strega – Cosa può cercare una donna come lei in questo momento?
- Un fazzolettino?- suggerì Timon ricordando la manica della sua tunica.
- Vuole solo essere amata e accetta per quello che è. – disse Patricia – Quando una donna è stata rifiutata vuole attenzioni…- si voltò a guardare l’amico - e qualcuno che la seduca.
- Non mi ci metto a sedurre di nuovo qualcuno! L’ultima volta stavo per esser ammanettato ad un letto!
- Era ovvio che non potevi esser tu!- esclamò Timon – Ci vuole qualcuno con fascino ed eleganza! Non una giraffa nera e pallida!
- Stai attento suricata o rischi di diventare una specie in via d’estinzione. – ringhiò Severus.
- Io dico solo la verità! Ci vuole qualcuno sicuro di sé, audace, temerario... – si bloccò notando che tutti lo guardavano stranamente – perché tutti mi guardate così?

* * * *


- Amore mio... - gemette la strega tirando su col naso – perché te ne sei andato? Potevo darti il potere, la vita eterna, un esercito di piccoli troll... invece lei cosa può darti? Una bella voce e una coda verde!
- Hai proprio ragione mia cara. – le rispose una voce profonda nella stanza.
- Chi parla? – urlò la strega saltando in piedi – Chi osa entrare nella mia dimora?
- Andiamo tesoro...- fece Timon tirando un lembo del vestito, aveva abbassato la voce facendola sembrare più calda e suadente – non esser sempre sulla difensiva. Anche se sei adorabile quando ti arrabbi.
- Cosa vuoi lurido, puzzolente topo?- strillò la donna guardando di sbieco l’animale pettinato e con un mazzo di fiori in mano.
- Mia dolce Malefica!- gridò Timon mettendosi in ginocchio – Non posso più nascondere quello che il mio cuore prova per te.
La strega sgranò gli occhi.
- Come?
Nel frattempo, Pumba, Severus e Patricia strisciavano contro il muro alle spalle della strega avvicinandosi sempre di più verso la statua.
- Oh mia giovane dama!- urlò teatralmente Timon guardando di sfuggita gli altri per assicurarsi che tutto andasse bene – Sei radiosa come il sole del deserto, accetta questo piccolo omaggio da un semplice, innocuo, suricata.
Malefica prese i fiori che le porgeva l’animale e sorrise.
- Come sei tenero. – sussurrò arrossendo e inginocchiandosi davanti a Timon.
- Hai stregato il mio cuore Malefica. – e così facendo prese la mano della strega e iniziò a baciarla.
- Che orrore... - mormorò Severus osservando la scena.
- Tinom che le bacia la mano o Malefica che lo lascia fare?- gli chiese Patricia.
- Entrambe le cose.
- Mia dea della bellezza...- continuò l’animale salendo sul suo braccio – sei splendente come la luna in una notte buia.
- Lo sai, - fece Malefica – mi ricordi tanto l’uomo che un tempo diceva di amarmi. Anche lui era così dolce.
- Mi chiedo come possa aver potuto rinunciare a tutto questo! – esordì Timon mentre con una mano incoraggiava gli altri a muoversi alle spalle della donna.
Arrivati alla statua del Principe Eric, Patricia esaminò meglio la gemma.
- Questa è ben incastrata. – constatò delineando il contorno con un dito.
- Come la togliamo?
- Ci vorrebbe qualcosa di appuntito. – rispose la strega guardandosi attorno.
- Facocero…- disse Severus – vuoi essere d’aiuto?
- Con vero piacere mio nuovo amico! – rispose raggiante il facocero.
Il mago lo prese in braccio e con una delle due zanne fece leva sulla gemma.
- E’ più dura del previsto. - mormorò facendo più pressione.
Con un ultimo sforzo la gemma saltò direttamente nelle mani della donna che, presa alla sprovvista, si sbilanciò e cadde a terra.
Malefica cercò di voltarsi attirata dall’insolito rumore, ma Timon le aveva preso il viso e l’aveva baciata sulle labbra.
I tre nascosti fecero una smorfia disgusta.
- Torniamocene indietro. – suggerì con un filo di voce Severus.
Camminando piano e attenti a dove mettevano piedi e zampe si avvicinarono all’uscita, ma poco prima di mettersi al sicuro la pietra brillò di un’intensa luce azzurra che catturò l’attenzione della strega.
Malefica provò a voltarsi, ma Timon le prese la mano e si mise in ginocchio.
- Mia adorata... mi concederesti la tua mano?
- Cosa?- urlò Malefica sconcertata.
Patricia e Severus si guardarono in faccia.
- Oooh Timon. – fece l’ingenuo facocero con le lacrime agli occhi camminando verso il suo amico – Posso farti da testimone?
Il suricata si coprì il muso con una mano, Malefica abbassò lo sguardo sul facocero poi si voltò di scatto verso la statua.
Notò immediatamente il buco sul torace di pietra di Eric, notò anche i due maghi vicino all’uscita che tentavano invano la fuga.
- Come avete osato? – urlò inferocita, il bastone mandava scintille e fiamme verdi ogni volta che la donna lo sbatteva sul terreno – Avete deturpato il mio Eric!
Timon, con un improvviso gesto coraggioso, saltò in faccia alla strega chiudendole gli occhi con le piccole mani.
- Scappa Pumba!
- Ma Timon!
- Ho detto scappa!
Patricia prese il facocero in braccio e iniziò a correre.
- Non voglio lasciare Timon!- urlò il maiale cercando di divincolarsi dalla stretta della strega.
Dalla stanza arrivò un terribile boato e fiamme verdi uscirono dalla porta.
- TIMON!!!- Pumba morsicò il braccio alla donna che mollò il facocero con un urlo.
- Severus fermati!
- Cosa c’è?
- Dobbiamo aiutarli!
- Ma…
- Niente ma! – urlò la strega – Loro ci hanno aiutato.
Tornarono indietro trovando Pumba tremante davanti alla porta.
- Cos’è successo? – domandò ansimante Patricia.
Con una zampa il facocero indicò l‘interno della stanza, Malefica si era trasformata in un enorme drago nero, sputava fiamme verdi verso un girarrosto dove era stato ben legato Timon.
- TIMON!- gridò il facocero correndo verso l’amico.
- Vattene odioso maiale! – urlò Malefica con voce rauca e molto profonda – Il tuo amico mi ha ingannato!
Gli lanciò una fiammata costringendo Pumba a tornare indietro verso gli altri due.
- Io l’avevo detto di non prendersela con una donna che soffre. - fece Patricia osservando il drago.
- Ma se è stata una tua idea. – ribatté prontamente Severus alzando un sopracciglio.
- Dobbiamo aiutare Timon! - urlò Pumba nervoso, così nervoso che si lasciò scappare un suono non molto elegante.
Severus e Patricia lo guardarono disgustati. Il maiale divenne rosso dalla vergogna.
- Ops... scusate... è che mi succedete sempre quando sono nervoso.
Timon piangeva legato sopra il fuoco, aveva due foglie di lattuga sotto le braccia, Malefica gli stava mettendo sopra del sale mentre continuava a farlo girare sullo spiedo.
- Guarda che la mia carne non è buona!- tentò di convincerla – E’ tutta filamentosa, pesante da digerire, dura e poi abbiamo le ossa piccole che ti si infilano tra i denti.
- Non preoccuparti bocconcino. – mormorò il drago prendendo il pepe – So bene come devo cucinarti e poi andrò a scovare gli altri tre che hanno avuto l’ardire di prendere ciò che è mio.
- Ehi tu brutta strega! – urlò alle sue spalle Pumba – Non mangiare il mio amico!
Il drago si voltò furioso.
- Sarai tu ad impedirmi di mangiarmi questo topo?
- Suricata!- gridò offeso Timon.
Mentre Pumba cercava di distrarre il grande drago, Severus e Patricia si avvicinarono di nascosto al suricata legato allo spiedo.
- Ora dobbiamo andare. – gli disse Patricia – Pumba sa quello che deve fare.
Timon, vedendo il suo amico dare le spalle alla strega e contemporaneamente sollevare la coda, rise di gusto, ignorando le proteste dei maghi, raggiunse il facocero salendogli in groppo.
- Maleficuccia ora sei nei guai!- rise Timon.
- Andiamo subito via di qui.- fece Severus prendendo per mano Patricia.
- Tu... piccolo stupido topo, - urlò il drago inferocito – ora ti faccio vedere io….
- Sono. Un. Suricata!
Successe tutto insieme, Malefica ancora nella forma di possente drago nero aprì le fauci per sputare fuoco. Nello stesso istante Timon schiacciò la pancia di Pumba. L’aria malsana si scontrò subito con le fiamme del drago ricacciandole indietro.
Patricia e Severus stavano correndo verso l’uscita.
Non sentirono altro che il rumore delle fiamme e l’odore delle flatulenze del facocero. Ci fu un rombo più forte che fece tremare le mura della caverna, e quello che accadde solo Timon e Pumba avrebbero potuto descriverlo.
Alle orecchie del mago e della strega sembrò un’esplosione.

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Capitolo 19
*** Quando meno te lo aspetti ***


Capitolo 19: Quando meno te lo aspetti

Genio e Scendiletto stavano fuori dalla grotta aspettando che i due maghi uscissero trionfanti. Ormai era notte da un pezzo, avevano acceso un fuoco e combattevano la noia giocando a carte.
- Scopa! – urlò il genio buttando sulla sabbia una carta.
Il tappeto, demoralizzato per aver perso l’ennesima partita, riprese a fare il mazzo.
Improvvisamente la terra tremò sotto i loro piedi, Genio si guardò attorno, Scendiletto, con una nappa, gli indicò l’entrata della Caverna.
Dalle fauci aperte del leone di pietra usciva un denso fumo verdognolo.
- Oddio!- esclamò Genio quando sentì l’odore– Che puzza mostruosa!
Una delle grandi narici del leone si dilatò sollecitato dal fetore nauseabondo che arrivava dal suo interno.
- Cosa diavolo state facendo là sotto!- urlò - Ora vi faccio vedere io a fare certe cose a casa degli altri! – e, detto questo, la Caverna sputò fuori Timon e Pumba.
- Hakuna Matataaaaaaaa!! - gridarono in coro mentre finivano in qualche posto sperduto.
Subito dopo furono sputati con poca grazia anche Severus e Patricia.
Genio li guardò sfrecciare in cielo come due stelle cadenti al contrario, e quando non furono altro che due puntini in lontananza tornò a guardare Scendiletto.
- Beh...- fece alzando le spalle – deduco che non abbiano più bisogno di noi. Torniamo in albergo, Scendiletto?

* * * *


Patricia aprì gli occhi ritrovandosi a fissare un cielo con poche, sbiadite stelle.
- Salazar che volo. - mormorò constatando d’esser precipitata su un cumulo di reti da pesca - Dove diavolo sono finita? – mormorò alzandosi e togliendosi dai vestiti alcuni resti puzzolenti di pesce.
Si tastò il corpo alla ricerca di qualcosa di rotto, fortunatamente a parte qualche dolore qua a là stava bene.
Si guardò attorno cercando l’amico.
- Severus?
Nessuno rispose al suo richiamo. Si incamminò spaventata, non aveva intenzione di stare in quel luogo da sola.
- SEVERUS!
Si ritrovò a fissare delle navi che galleggiavano pigre, ammainate in porto; alcuni mariani erano a bordo intenti a sistemare le cime o pulire i ponti. Da alcune taverne, dalle insegne sbiadite e di dubbio gusto, arrivava pessima musica suonata da un pianoforte mai accordato e grida di uomini ubriachi.
- Fantastico. – mormorò la donna continuando a guardarsi attorno – Se andrà tutto bene verrò scambiata per una buona mano a carte!
Mentre camminava lungo la strada in penombra intravide due grossi marinai camminare verso di lei. Spaventata si appiattì contro la parete nascondendosi nell’ombra di un balcone.
- Quello deve essersi preso una sbornia colossale.- disse il primo – Non ho mai visto un uomo dentro un barile a testa in giù!
- E hai visto che pantaloni portava? – continuò l’altro – Di sicuro veniva da qualche città ricca.
Patricia non sapeva se parlavano di Severus, ma decise comunque di dare un’occhiata più da vicino a questo tizio ubriaco nel barile.
Percorse la strada che avevano fatto i due energumeni, le ci volle poco per vedere un barile da cui spuntavano un paio di gambe.
La strega riconobbe immediatamente gli abiti. Corse verso di lui con un sorriso.
- Sevvy! - quasi gridò felice – Mi hai spaventato a morte!
- Fammi uscire! – la voce del mago uscì ovattata dal legno della botte - E non chiamarmi Sevvy!
- Sei pesante. - bofonchiò la strega cercando di far cadere il barile – Ma quanto sei ingrassato negli ultimi anni?
Esasperata Patricia sferrò un forte calcio alla botte, la quale oscillò per un paio di volte per poi cadere a terra, infrangendosi in mille pezzi. Severus si ritrovò seduto per terra ricoperto di schegge di legno e pesce di almeno due giorni.
- Stai bene? – gli domandò la donna.
Con una smorfia schifata, degna della casa di Salazar, il mago tolse il pesce dal suo corpo per poi annusarsi i vestiti umidi.
- Puzzo di pesce!
- Qua tutto puzza di pesce...- constatò l’altra – nessuno se ne accorgerà.
Seveurus si alzò e prese la borsa finita poco lontano.
- Hai un’idea di dove ci troviamo?
- No. Ma dato il mare, le navi e tutti i marinai ubriachi che ho visto direi che siamo in una città di mare.
Severus aprì lo zaino alla ricerca degli appunti di Merlino. Aveva anche la mappa, poteva provare a capirci qualcosa.
In quel momento si sentirono rumori provenienti dal mare. Era lo stesso suono che facevano i tentacoli della piovra gigante quando si divertiva a far spaventare gli studenti del primo anno durante il loro primo viaggio sulle barche incantate.
Mentre Severus controllava la mappa, Patricia si affacciò dal molo curiosa.
C’era una sirena, aveva lunghi capelli dorati e una bellissima coda azzurra con riflessi argentati; stava nuotando verso il mare aperto.
- Mi scusi?- fece la strega osservando il mezzo pesce.
La sirena si fermò e alzò lo sguardo.
- Desidera?
- Come si chiama questo posto?
- La Penisola che non c’è.
La donna corrugò la fronte poco convinta.
- Conosco quell'espressione, - ridacchiò la sirena - L’Isola che non c’è si trova in un mare dall'altra parte del regno. Anni e anni fa, alcuni bimbi sperduti ribelli, hanno lasciato l’Isola e hanno fondato questa città ribattezzandola la Penisola che non c’è. Praticamente qui ci sono tutti i nemici di Pater Pan e dei bimbi sperduti: i pirati approdano qui per i rifornimenti e per sistemare i vascelli.
- Un bel posto sicuro, - sentenziò Severus da dietro la mappa. Anche se concentrato su un altro lavoro aveva sentito la discussione con il mezzo pesce – proprio quello che ci mancava. Un covo pieno di pirati e delinquenti.
- Terrei gli occhi sulla tua ragazza. – echeggiò la sirena dal mare.
- Io non sono la sua ragazza!
- Qui girano solo marinai... - spiegò la creatura marina ignorando le proteste della strega - stanno in mare mesi... senza vedere una donna. Puoi ben immaginare cosa succede quando un bel visetto come il suo inizia a girare per le strade di questa piccola città.
Patricia si passò una mano sul volto, scappare da un branco di mariani ubriachi e allupati non era il suo sogno nel cassetto.
- Mi inventerò qualcosa. – fece lei.
- Allora vi saluto stranieri... divertitevi... – e, detto questo, la sirena si inabissò senza ritornare in superficie.
Severus e Patricia si guardarono per qualche minuto in silenzio, entrambi stavano pensando a come stare in quel posto senza attirare troppo l’attenzione.
- So cosa devi fare. - disse infine il mago chiudendo la mappa.

* * * *


Patricia si guardò per la centesima volta i vestiti che Severus le aveva dato. Erano suoi, più grandi di almeno una taglia, aveva dovuto fare il risvolto ai pantaloni verde bottiglia e la camicia era legata in vita visto che le arrivava fino alle ginocchia. Aveva indossato un cappello nascondendo i lunghi capelli neri, si era fasciata il torace cercando di appiattire il seno, e stava cercando si assumere un'aria maschile.
- Gli uomini non camminano così. - la rimproverò in un vicolo deserto – Meno impostata, meno... provocante...
- La mia camminata è provocante?
- Qui tutto di te è provocante, Patricia. E cerca di abbassare la voce.
- Va bene, Sevvy. - rispose lei cercando di imitare il suo timbro di voce.
- Anche da uomo non devi chiamarmi Sevvy.
Iniziarono a camminare per le vie di quella città, incrociando solo marinai di tutte le età, molti cantavano ubriachi, alcuni dormivano agli angoli delle strade. C'erano veri e propri combattimenti ai crocevia, dove alcuni duellavano in modi meglio non specificabili, altri scommettevano.
Riuscirono a trovare una locanda più silenziosa delle altre. Era semi deserta, il pianista, un vecchio pirata con una benda sull’occhio, una gamba di legno e un pappagallo sulla spalla vecchio quanto lui, stava strimpellando il piano emettendo strani versi. Probabilmente era la sua idea di canto.
Si misero a sedere ad un tavolo isolato. Severus prese due birre e ne porse una a Patricia.
- Non dobbiamo dare nell’occhio.
- Lo so. – rispose la strega guardando quel calice che, molto probabilmente, non veniva pulito da un paio di secoli – Cosa dicono gli appunti di Merlino?
- Dobbiamo trovare la Jolly Roger.
Patricia lo guardò come se fosse del tutto impazzito.
- Tu sai a chi appartiene quella nave, Severus?
- Per una volta so di chi stiamo parlando. Ma abbiamo comunque bisogno di una nave. L'ultima gemma dovrebbe trovarsi sull'Isola della Bella Addormentata.
- Mai sentita. - dichiarò Patricia facendosi coraggio e bevendo un sorso di birra – Come conosci la Jolly Roger?
Piton fece un sorriso obliquo.
- Tra cattivi ci si conosce.
Uscirono dalla locanda dopo aver discusso un nuovo piano d’attacco.
Camminarono per circa un’ora lungo il molo, ponendo semplici domande, senza mai chiedere apertamente del vascello che stavano cercando, senza trovare un indizio o solo un marinaio abbastanza ubriaco a cui porre domande con la consapevolezza che il giorno dopo non avrebbe ricordato nulla.
Con il morale a terra, Patricia e Severus iniziarono a cercare un posto per la notte.
- Aspettami qui. – fece il mago entrando in quella che sembrava una vecchia osteria – Chiedo se hanno una camera.
Mentre Severus rimediava una stanza, Patricia stava appoggiata al muro della casa guardandosi attorno come se, all’improvviso, dovesse sbucare qualcuno e farle del male. Era spaventata da quel posto... ed era la prima volta che aveva veramente paura di quell’insolito mondo.
Improvvisamente da un vicolo laterale sbucarono due marinai, visibilmente ubriachi: barcollavano reggendosi a vicenda, cantando a squarciagola vecchie canzoni piratesche e sbandierando la bottiglia di liquore come se fosse lo stemma di una bandiera.
Quando videro il giovane marinaio appoggiato al muro e al buio si fermarono e lo guardarono intensamente.
- Ehi tu mozzo!- urlò il primo dei due. Era grosso almeno quanto Hagrid, aveva i capelli lunghi, sporchi e cespugliosi, i vestiti logori e strappati e pochi denti in bocca – Cosa ci fai qui?
- Chi io?- chiese Patricia imitando la voce di un uomo come le aveva insegnato Severus.
- Quanti mozzi vedi in questo vicolo? – ringhiò l’altro. Era magro come un grissino e alto la metà di quell’omaccione che gli stava accanto. Anche i suoi vestiti erano luridi, era rasato e, in vita, aveva una decina di coltelli.
- Sto aspettando il mio compagno... stiamo cercando un buco dove dormire per stanotte. – Patricia si domandò se il linguaggio fosse appropriato. Aveva una vaga idea di come parlavano dei pirati, ma leggere i libri e trovarsi davanti un pirata in carne ed ossa era tutt’altra faccenda.
- Come ti chiami ragazzo?- fece il primo pirata.
- Il mio nome?
- Sì, sai quella cosa che ti ha dato tua madre appena ti ha scodellato fuori?
- Ovvio che ho un nome... ed è un nome di un vero pirata... emmmh io... mi chiamo... Bill!
I due si guardarono in faccia come se stessero valutando quel nome.
- Sei un pirata, Bill?
Patricia cercò di imitare la risata di un uomo.
- Se sono un pirata mi chiedete? Io e il mio compagno siamo temuti pirati appena sbarcati. L’ultima nave che ci ha ospitati non era degna di esser chiamata nave pirata così abbiamo abbandonato quel mediocre capitano e siamo alla ricerca di un vero Capitano da seguire.
- Come si chiamava questo capitano?
Patricia si ritrovò a corto di bugie, aprì la bocca dicendo il primo nome che le venne in mente tenendo le dita incrociate.
- Harry.
I due marinai sputarono a terra disgustati.
- Quello non è buono neppure per gli squali. – disse il pirata più grosso – Tu e il suo amico avete fatto bene ad andarvene.
In quel momento Severus uscì dalla locanda, lanciò un'occhiata prima ai due pirati, poi a Patricia.
- Questo è il tuo amico? - domandò il secondo pirata esaminando il mago con occhio critico.
- Sì,- rispose Patricia dandogli un piccolo pugno sul braccio – Lui è Sev... Sveglio! Lo chiamiamo così perché dorme con un occhio aperto per sorprendere i nemici.
I due lanciarono un fischio di approvazione.
- Se state cercando un nuovo capitano da seguire potete venire con noi! - esordì il primo marinaio – A lui farà piacere. Cerca sempre nuovi marinai.
- Noi dobbiamo raggiungere l'Isola della Bella Addormentata. - spiegò Severus. - Abbiamo una nave che ci aspetta là.
- Questo non è un problema. - disse il pirata.
- Andiamo. - continuò il secondo – La Jolly Roger non è lontana.
Non credendo a tanta fortuna Severus e Patricia li seguirono.
Il vascello era il più grande di tutta la baia, il legno era straordinariamente tirato a lucido, chiaro con intarsiati vari motivi orientali. Le vele erano di un bianco quasi accecante sotto la luna.
La bandiera nera spiccava di fronte a tutto quel bianco. Severus si ritrovò a guardare il teschio candido quasi aspettandosi di vedergli uscire dalla bocca un serpente.
I marinai stavano sistemando le ultime cose prima della partenza. Salirono lungo il traballante ponticello di corde e legno, seguirono i due pirati fino alla cabina del capitano.
Il pirata corpulento bussò con forza alla porta.
- Chi è? - gracchiò il capitano dall’altra parte.
- Capitano, abbiamo due nuovi uomini.
La porta si spalancò all’improvviso.
La prima cosa che Patricia notò fu l’uncino che l’uomo aveva al posto della mano destra. Capitano Uncino non doveva avere molti anni in più di lei e Severus, eppure sembrava molto più vecchio. Aveva i capelli più lunghi di Severus, folti, neri e ricci, in parte nascosti da un cappello di spesso velluto rosso. Il vestito sembrava pesante, anche questo rosso con preziosi ricami d’oro. I bottoni erano di madre perla, il viso era rigato da alcune rughe profonde, aveva un naso adunco e due occhi neri.
Socchiudendo gli occhi Patricia si rese conto che assomigliava molto a Severus.
Patricia lanciò una veloce occhiata al suo compagno: era stranamente taciturno.
- Capitano! - gracchiò il marinaio – Mentre eravamo in perlustrazione della zona abbiamo incontrato questi due compagni. Hanno abbandonato la nave di Capitan Harry, devono recarsi all'Isola della Bella Addormentata e il codice...
- Lo conosco il codice stupido ubriacone! – ringhiò il capitano sputazzando la saliva in faccia al marinaio – Aiuteremo questi due compagni, ma prima una domanda: cosa ne pensate di Peter Pan?
Patricia socchiuse gli occhi cercando di ricordare tutto quello che sapeva su Peter Pan e i suoi nemici.
- Quel marmocchio volante è solo la feccia dell’Isola che non c’è. – rispose Severus per entrambi con un tono che stupì la maga – L’unico posto per quel fetente è il fondo agli oceani, legato con una spessa catena e cosparso di sangue per far avvicinare gli squali.
La strega era ammirata e spaventata nello stesso tempo, aveva la netta impressione che quello fosse più un piano per eliminare Potter piuttosto che Peter Pan. E Severus era strano...
- Ben detto marinaio!- rispose felice Capitan Uncino sorridendo porgendo la mano al mago – Come ti chiami?
- Il mio nome è Spugna, Capitano! – urlò Severus a pieni polmoni.
Patricia sgranò gli occhi.

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Capitolo 20
*** Seguire le istruzioni ***


Capitolo 20: Seguire le istruzioni

- Sono Spugna e chiedo di esser accettato nella vostra ciurma, Capitano! – gridò Severus sull’attenti.
- Sveglio o Spugna... - gli mormorò la donna cercando di non perdere il controllo della voce da uomo che era riuscita a fatica ad impostare - Noi abbiamo già una nave che ci attende all'Isola della Balla Addormentata.
- Allora chiedo di unirvi a voi solo per il breve tragitto che ci unirà. Un giusto prezzo per ripagare la gentile ospitalità del Capitano.
Patricia alzò gli occhi al cielo.
- Permesso accordato marinaio. – fece Uncino – E in quanto a te mozzo, - continuò puntando l’uncino verso la strega – le brande dei mozzi sono sotto il secondo ponte. In qualche modo ci sarai d'aiuto. Sei gracilino, ma non occorre un fisico robusto per pulire i pavimenti.
Si fece strada tra i due. Severus stava sull'attenti, osservava il Capitano con occhi colmi di rispetto, Patricia si stava trattenendo dall'urlare.
Mentre il Capitano urlava qualcosa alla ciurma, la strega fece un passo verso l'amico.
- Ho capito...- gli mormorò – è una punizione per il bosco di Alice. Vero, Severus?
Il pozionista si voltò versi di lei.
- Non so di cosa stai parlando, Bill.
Patricia gemette sconsolata.
- Era la risposta che temevo.
- Bene, brutti pigri topi di fogna. - urlò Uncino – La nave è pronta. Levate l'ancora! Spiegate le vele! Si salpa!
Patricia si coprì il volto con le mani mentre Severus gridava euforico come un vero pirata.

* * * *

Sotto coperta l'aria era quasi irrespirabile.
I muri di legno erano umidi, le cuccette non erano altro che amache legate ai pali portanti della nave.
Negli angoli c'erano palle di cannone di scorta ben legati per non rotolare in giro, barili chiusi, sacchi di farina che presto si sarebbe deteriorata, oltre ad armi di riserva.
La strega aveva preso la borsa sua e di Severus e si era concessa qualche minuto per riflettere.
Severus aveva perso la testa, questo era lampante.
Ora capiva come doveva essersi sentito lui mentre lei canticchiava credendo di essere Alice.
Camminava in cerchio con le mani nei cappelli.
- Oh io non rischio di finire come te Patricia. - mormorò la strega a voce bassa – Io, non mi faccio ingannare da questo mondo. La mia mente è resistente. - pestò un piede a terra con fare stizzito – Eccoti servito Severus! Adesso ti credi un pirata! Anzi ti credi Spugna! Il braccio destro di Capitano Uncino. Ora inizio ad odiare pure io Arthur e quel suo stupido libro!
La nave oscillò e la strega dovette aggrapparsi ad un palo per non cader sul pavimento sporco.
Sbuffando, cercò di sedersi sull'amaca dove aveva appoggiato le borse. Le ci vollero quattro tentativi prima di restare in equilibrio.
- Io sono guarita uscita dal bosco. Per Severus basterà scendere dalla nave. - ragionò a voce alta – Ma se passiamo troppo tempo sul vascello c'è il rischio che non torni più in sé o che non voglia lasciare l'equipaggio. E poi c'è una gemma da cercare. - demoralizzata prese la borsa dell'amico e ci rovistò dentro.
Lasciò perdere i vestiti, ma trasferì nella sua borsa gli appunti di Merlino e la mappa. Il sacchetto delle gemme decise di tenerlo sempre con sé.
In mezzo ai pirati non si poteva mai sapere quello che sarebbe successo.
Quando trovò l'ultima cosa che stava cercando abbandonò la sacca per terra e aprì il foglietto.
Lesse attentamente ogni parola e ogni frase. Ne capiva il senso, ma non sapeva cosa fare.
- Non avrei mai creduto che mi sarebbe mancato il noioso Severus pozionista – mormorò rileggendo la formula che gli aveva dato Merlino.

* * * *

- Cinque galeoni sul gabbiano. – mormorò un pirata basso. Aveva braccia e gambe quasi sproporzionate al resto del corpo, muscolose e coperte da tatuaggi.
- Dieci sul mozzo. – rispose il compagno, seduto scomposto su un barile. Aveva una lunga barba nera, la pelle olivastra e pochi denti in bocca.
- Per me cade della nave e non lo rivediamo più.- echeggiò il terzo. Aveva un occhio coperto da una benda, stava a torso nudo mostrando una pancia tesa e una sciabola affilata infilata in vita.
Il mare era calmo, avevano lasciato il porto da qualche ora ormai e attorno a loro non si vedeva che una distesa blu scintillante sotto i raggi del sole.
Patricia, dopo aver riflettuto, aveva deciso di procedere con cautela e un passo alla volta.
La prima cosa era far tornare Severus in sé per cercare insieme la pietra. Ma per farlo tornare padrone della sua mente doveva distillare quella pozione che, per quanto semplice, per lei era una delle cose più complicate del mondo.
Lei che viveva in mezzo ai giochi politici da sempre, di faccende complicate ne conosceva tante, ma distillare una pozione... era oltre la sua comprensione.
Aveva preso una D nei GUFO e non era mai riuscita a recuperare per entrare nella classe di pozioni avanzate, Lumacorno l'aveva sempre considerata un'ottima studentessa, ma totalmente negata nella sua materia. Ogni volta che la vedeva entrare in aula sapeva già che il suo calderone sarebbe esploso, oppure fuso. Una volta la sua pozione era schizzata sul soffitto ed era così densa che c'erano voluti tre giorni prima che si staccassedalle pietre e l'alone era rimato per mesi.
Restava il fatto che, le piacesse o meno, doveva distillare quella roba, o Severus non avrebbe ripreso coscienza, avrebbe continuato a cantare quell'orrida canzone da pirati come stava facendo in quel momento con gli altri dell'equipaggio.

Ooooooooooooooooh
che bella vita che bella davver
la vita del bucanier
su e giù per il mare
io voglio andando a pirata
mi piace il mestier
Ooooooooooooooooh
mi piace nel mare vagar
Ooooooooooooooooh
che bel mestiere fa il filibustier
non bada al suo funeral
se tira le cuoia raggiunta la noia
finisce sul fondo del mar
Ooooooooooooooooh
a mollo per sempre nel mar! (*)


Patricia si asciugò la fronte con la manica della camicia, il gabbiano era più difficile da catturare di quanto immaginasse. Ferma sul ponte di poppa, con lo scopettone in mano, fissava il cocciuto uccello con aria di sfida.
L'aveva rincorso per tutto il ponte tra le risate sguaiate dei marinai e scommesse sul suo miserabile fallimento.
Il gabbiamo sembrava prenderla in giro, saltellava per tutto il ponte, incurante dei suoi attacchi, beccando tutto quello che gli capitava sotto tiro.
- Andiamo stupido volatile,- mormorò la strega – mi serve solo una tua piuma. Non credo di chiedere troppo.
Aveva imparato la ricetta di Merlino a memoria, aveva recuperato le alghe dall'ancora e anche qualche guscio di conchiglia. Lui precisava ostriche, ma non poteva essere così precisa visto il posto dove si trovava. Anche la piuma non andava propriamente bene, Merlino aveva precisato che la piuma doveva essere bianca, mentre quello del gabbiano erano di un debole grigino.
Continuava a ripetersi che, con quello che aveva a portata di mano, non poteva fare di meglio.
Dopo aver ripreso fiato tornò alla carica, reggendo lo scopettone sopra la testa come se fosse una clava.
I bucanieri scoppiarono a ridere quando l'uccello le saltò sopra il cappello.
- Bestiaccia!- gridò cercano di afferrarlo, ma l'uccello, burlandosi di lei, riprese a saltellare per il ponte.
Ormai i marinai si tenevano la pancia per le grandi risate. Alcuni rotolavano a terra, altri battevano le mani sulla balaustra di legno fino a farlo tremare.
- Bravi divertitevi, marinai da quattro soldi! – urlò il Capitano salendo la piccola scala che dal ponte maggiore portava a quello di poppa – Ora al lavoro sfaticati! Dobbiamo tracciare la nuova rotta. E tu, - continuò puntando l’uncino contro Patricia – mozzo da quattro soldi, farai bene a non creare scompiglio nella mia ciurma o andrai a cacciare i pesci direttamente dal fondo del mare la prossima volta.
- Sì, Capitano. – mormorò la strega – Stavo solo cercando di cacciare via quell’uccello. Probabilmente ha un’ala rotta e…
- Se ha un’ala rotta non può volare giusto? – valutò il capitano accarezzando una delle pistole che aveva alla cita.
- Beh sì ma…
L’uomo si mosse veloce, afferrò la pistola e sparò direttamente all’animale.
La strega si voltò a guadare il gabbiano morto, poi il capitano che ghignava soddisfatto.
- Ora non c’è più il problema. Pulisci quello schifo.
Patricia si chinò sull’animale morto.
- Mi dispiace. – gli disse – Io volevo solo una tua piuma.
Prese quello che le serviva e si sbarazzò della carcassa dell’animale gettandolo in acqua.
Infilando più di una piuma in tasca scese dal ponte a poppa, si accorse che quasi tutto l’equipaggio era circondato attorno al timone dove Uncino fissava le mappe per tracciare la nuova rotta.
Severus, ancora convinto di essere Spugna, lo seguiva come un fidato marinaio.
Si avvicinò anche lei, curiosa e, in qualche modo, spinta dal sacchetto delle gemme che aveva addosso. Sentiva quasi un richiamo verso il Capitano e non ne capiva il motivo.
- Capitano, abbiamo trovato una nuova rotta?
- Pazienza Spugna. I mari sono vasti, insidiosi, ogni rotta non va presa alla leggera. Ma conosco un’isola dove quel moccioso di Peter Pan aveva nascosto uno dei suoi tesori più grandi e io ho intenzione di prenderlo.
I marinai urlarono soddisfatti alzando i pugni al cielo.
- Bisogna solo…- continuò Uncino – trovare la strada giusta… - da una delle tasche della giacca estrasse una grossa bussola, aprì il coperchio e la mise sul tavolo dove erano state srotolate le mappe.
Patricia allungò il collo verso la bussola, sempre più curiosa, sempre più spinta da quella strana sensazione.
Sgranò gli occhi e si morse l’interno di una guancia per non lasciarsi sfuggire un’affermazione stupita.
Quella di Uncino non era una semplice bussola. L’ago che segnava la coordinate non era di semplice metallo, ma era un rubino, splendente con l’inconfondibile forma a goccia, la punta puntava dritto verso ovest.
- Ovest signori! – urlò il capitano al suo equipaggio – Issate tutte le vele! Abbiamo vento favorevole e il mare oggi è nostro allenato. Sfruttiamo questo vantaggio. Quanto a te mozzo, - disse voltandosi a guardare Patricia che continuava a fissare la bussola – qui non servi. Vai in cambusa e aiuta il cuoco a preparare un pasto decente.
La strega sollevò lo sguardo e annuì.
____________________________________
(*) Nota: la canzone è presa direttamente dal film d’animazione della Disney Peter Pan del 1953. Potete trovarla a questo indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=lkt00HHggpc

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Capitolo 21
*** Sei tu ***


Capitolo 21: Sei tu


Patricia osservò con preoccupazione la pozione che bolliva in un pentolino di rame. Ricordava molto bene il colore della pozione che Merlino le aveva fatto prendere, era di un bel verde, quasi trasparente. Il risultato che aveva ottenuto lei era un verde marcio, densa che a malapena si staccava dal cucchiaio.
Non era certa che facesse effetto, ma non poteva farne altra.
Era nella cambusa assieme al cuoco, aveva trovato gli ultimi ingredienti che le servivano tra i rifiuti della cucina e nella dispensa. Merlino parlava di ossa di animale, ma lei aveva solo trovato delle lische di pesce. Merlino aveva descritto anche un'erba aromatica, non era certa di aver trovato quella giusta, aveva aggiunto quello che più somigliava alla descrizione scritta.
Con una smorfia disgustata la mescolò mentre i vapori la facevano sudare e il cuoco le urlava di pelare altre patate.
Sapeva che la pozione doveva riposare almeno un'ora, chiuse il coperchio e mise la pentola dove il cuoco non l'avrebbe vista.
Aveva pensato ad un piano mentre pelava le patate nei giorni precedenti.
Viaggiavano da qualche giorno e il Capitano l'aveva affidata alle cure del cuoco in modo che non potesse fare pasticci sul ponte o sottocoperta.
Quella notte avevano trovato sul loro percorso una tempesta, la nave oscillava da ore, il vento frustava le vele così forte che aveva paura che potesse strapparle da un momento all’altro. La pioggia picchiava così forte che sul ponte sembrava di stare sotto una pioggia di sassi. I tuoni rimbombavano nel cielo scuro e i lampi illuminavano il mare nero.
Sapeva che si erano avvicinati molto all'Isola della Bella Addormentata, mancava una mezza giornata di navigazione.
Non poteva più aspettare o temporeggiare oltre.
Severus iniziava a peggiorare e le aveva detto che non era certo di voler scendere dalla nave, che la Jolly Roger poteva essere la sua nuova casa.
Avrebbe fatto bere la pozione a Severus, avrebbero rubato la bussola e nuotato fino a terra.
Non sapeva se la pozione avrebbe funzionato.
Non sapeva come rubare la bussola.
Non ricordava neppure se Severus sapeva nuotare. E con quella tempesta potevano morire.
Ma doveva rischiare o sarebbe impazzita anche lei su quella nave.
Dopo mezz’ora a sbucciare patate e tagliare cipolle, il grasso cuoco si era addormentato sullo sgabello davanti ai fuochi in attesa che lo stufato cuocesse nel modo giusto o, comunque, in modo commestibile.
Patricia ne approfittò per sgattaiolare all’amaca che usava come letto, aveva bisogno di una bottiglia vuota e ne aveva viste parecchie attorno alle cuccette degli altri marinai. Non osava rubarne una dalla cucina, il cuoco non era un intelligentone, ma poteva anche essere il tipo d’uomo con una memoria fotografica invidiabile. Non voleva correre rischi inutili.
Presa la bottiglia vuota, andò alla sua cuccetta solo per assicurarsi che le borse fossero ancora dove le aveva lasciate. Mentre verificava velocemente che tutto fosse in ordine notò nella sacca di Severus una piccola tasca esterna che non aveva notato prima, era quasi invisibile, dello stesso colore della borsa, con cuciture sottili che quasi sparivano tra la stoffa.
Velocemente l’aprì trovandosi mano un sacchetto di tessuto. Quando vi guardò dentro avrebbe voluto gridare dalla gioia.
- Non dirò mai più che la tua fissazione per le pozioni è noiosa, Sevvy.- mormorò mettendo il sacchetto in tasca.
Rientrando in cucina lanciò subito un’occhiata al cuoco che, fortunatamente, non si era mosso dalla sua posizione.
Prese un impolverato mortaio da una credenza sbilenca e aprì il sacchetto che aveva trovato nella tasca.
Due fiori di papavero caddero nel mortaio con delicatezza. La strega prese il pestello e iniziò a pestarli cercando di non svegliare il cuoco. Le ci volle più tempo di quanto avesse previsto, Severus era stato abile a tritarle con solo un sasso, lei non usava un mortaio e un pestello dal quinto anno di Hogwarts, durante l'esame dei G.U.F.O. dove la sua pozione non solo era del colore sbagliato, ma era schizzata sulla mano della sua compagna di banco facendole uscire sulla pelle orribili bolle viola.
La polvere era più grossa rispetto a quella che aveva preparato Severus, sicuramente lui avrebbe avuto molto da ridire sul suo operato, ma al momento il professor Piton stava sull'albero maestro di vedetta cantando a squarcia gola con il vento che si portava via le sue note stonate.
Avrebbe potuto pestare ancora un po' la polvere, ma aveva sentito il cuoco agitarsi e non poteva farsi vedere. Mise la polvere nel sacchetto che prima aveva contenuto i fiori e rimise a posto il pestello senza curarsi di pulirlo: sapeva che quel marinaio non l'avrebbe mai più usato.
Velocemente riprese la pozione, non aveva riposato l'ora necessaria ma, ormai, nulla di quello che c'era scritto nella ricetta di Merlino era stato rispettato.
Aiutandosi con un mestolo che, di certo, non veniva pulito da qualche decennio riempì la bottiglia e mise la pentola nell'acquario mentre il cuoco si stiracchiava sullo sgabello.
- Hai pelato le patate, stupido mozzo?
Era un po' stufa di esser chiamata solo come mozzo, ma lasciò perdere la questione. Non doveva dare troppo nell'occhio.
Annuì fingendo di fare altro.
Il marinaio si alzò, emise un rumoroso peto e controllò lo stufato.
- La sbobba è pronta, mozzo. – urlò levando il grosso pentolone dal fuoco – Prima di dar da mangiare agli altri dobbiamo portare la cena al Capitano. Prepara il vassoio.
Patricia eseguì l’ordine così come le era stato spiegato, o meglio urlato, il giorno prima. Prese il vassoio più bello che avevano, posizionò piatti e posate puliti e lucidati e riempì la caraffa di vino. Il cuoco servì lo stufato nel piatto, posizionò qualche fetta di pane riscaldato sulla pietra vulcanica sotto i fuochi e la fissò con astio.
- Porta il tutto a Capitano Uncino. E vedi non rovesciare nulla questa volta!
Con il vassoio in mano, cercando di mantenere l’equilibrio nonostante i continui rollii della nave, Patricia arrivò fino alla cabina del Capitano. Bussò pestando la punta dello stivale sulla porta senza ricevere risposta.
Cautamente resse il vassoio con una mano mentre con l’altra apriva l’uscio ed entrava.
Era la prima volta che vedeva l’interno della cabina, solitamente il capitano prendeva la sua cena e la sbatteva fuori senza troppi complimenti, ora, invece, era deserta. Si sentivano gli scricchiolii del legno durante la tempesta, dalle finestre vedeva il mare infuriare e le saette attraversare il cielo scuro. Appoggiò il vassoio sulla scrivania e si guardò attorno per assicurarsi che non ci fosse effettivamente nessuno. Estrasse con velocità il sacchetto e mischiò nello stufato la polvere di papavero, nella speranza che, anche sbriciolato in modo così grossolano, facesse ugualmente effetto.
Velocemente appallottolò il sacchetto dentro la tasca dei pantaloni e si guardò attorno. L'attenzione fu catturata da una fiala riposta su una mensola alle spalle della scrivania. Era piccola, sottile, sembrava contenere un liquido dorato.
Si avvicinò con cautela, senza staccare gli occhi dall'oggetto, sembrava la pozione della fortuna con quel colore, eppure non sembrava del tutto liquida.
Allungò la mano per prenderla ed esaminarla meglio.
- Io non lo farei se fossi in te, mozzo. - disse un'improvvisa voce maschile facendola sussultare.
Si voltò verso la porta, Capitano Uncino la fissava con sospetto, dritto in piedi ad occupare l'unica sua via di fuga.
- Io... io...- balbettò – mi scusi, Capitano. Non accadrà più. Non avevo mai visto nulla di simile.
- Posso crederti. - rispose il capitano entrando nella cabina e togliendosi il cappello, appoggiandolo poi su una logora poltrona dello stesso colore della casacca con i ricami dorati - Polvere di fata. - spiegò - Praticamente introvabile in tutto il regno. Le fate sono quasi del tutto sparite. Poca gente crede ancora in loro.
- Polvere di fata? Quella che fa volare?
- Esatto. Quella che vedi nella boccetta, - continuò indicando la mensola con l'uncino – mi è costata una fortuna. Quindi evita di metterci sopra le tue mani sporche, mozzo.
Capitano Uncino finì di sistemarsi, slacciò la cintura che teneva in vita e la appoggiò sulla spalliera della stessa poltrona dove aveva appoggiato il capello. Si svuotò le tasche sulla scrivania appoggiando nell'ordine una pipa, un vecchio orologio da taschino e la bussola.
- Me ne vado subito, Capitano. - disse la strega decisa ad aspettare fuori dalla porta il momento giusto per agire.
- Aspetta, mozzo. - lo bloccò l'altro sedendosi a tavola e fissando il cibo – Questa sera voglio che mi intrattieni.
- Co... cosa?
Il marinaio si portò una cucchiaiata di stufato alla bocca.
- Canta, suona, fai un ballo o narrami una tua storia. - biascicò con la bocca piena sputazzando cibo sul tavolo – Fai qualcosa per divertire il tuo Capitano.
Patricia si guardò attorno, aveva visto un pianoforte appena entrata, sua madre era stata un'insegnate di piano, aveva provato a darle qualche lezione quando era piccola. Non ricordava molto, ma qualche canzone riusciva ancora a suonarla.
- Cos'ha messo il cuoco nello stufato questa sera?- domandò Uncino mangiando avidamente - Sembra più buono.
- Non lo so, Capitano.- rispose la donna sedendosi al piano – Il cuoco non condivide le sue ricette con me.
Osservando i tasti cercò di ricordarsi qualche lezione di sua madre. Iniziò a suonare una canzone allegra, una delle prime che insegnano ai principianti. Una filastrocca che suonava molto da bambini.
Il capitano non disse nulla, continuò a mangiare a testa china, prendendo anche il pane da inzuppare nel sugo della carne.
Senza smettere di fissare i tasti Patricia suonò un'altra melodia, sempre allegra, sempre per i bambini che imparano le basi del pianoforte.
Stava per finire la prima strofa quando udì un forte rumore. Smise di suonare e voltò vero Uncino.
La pozione l'aveva fatto addormentare di colpo facendolo finire con la faccia nel piatto.
Sapeva che non poteva perdere tempo in cose inutili. Velocemente prese la bussola e sollevò il coperchio.
La gemma rossa fissava il nord sulla rosa dei venti dipinta sulla base, cercò un punto per togliere il vetro di protezione, provò a scuoterla, a picchiarla sulla mano, ma il vetro era ben fissato.
- A mali estremi... - mormorò.
Prese uno dei cuscini disposti sul letto poco distante, mise la bussola per terra e ci posizionò sopra il cuscino. Con forza pestò il cuscino sentendo la bussola sotto il tacco, l'imbottitura aveva attutito il suono, ma il vetro era andato, comunque, in mille pezzi.
Soddisfatta Patricia scostò i vetri e prese la gemma che emanò un bagliore rosso tra le sue mani. Si affrettò a metterla nel sacchetto che portava al collo e a nascondere la bussola distrutta sotto il letto.
Prima di uscire dalla cabina prese la boccetta con la polvere di fata.
Poco ferma sulle gambe per via della tempesta andò in cucina e prese la bottiglia con la pozione, i marinai cenavano sotto coperta quando il tempo non era dei migliori, quelli che non avevano nulla da fare mangiavano nelle cuccette, gli altri finivano in fretta, poi tornavano al lavoro.
- Dov'é Seve... Spugna? - domandò agli altri guardandosi attorno.
- Ancora di vedetta. Non vuole muoversi da lì. Dovrai potargli da mangiare direttamente sull'albero maestro.
La strega masticò un’imprecazione colorita. Uscì sul ponte con il vento che le fischiava nelle orecchie; la pioggia l’aveva inzuppata dopo una decina di passi e la nave rollava così forte da farle venire immediatamente la nausea.
- Me la pagherai, Severus. – mormorò arrivando a fatica alla base dall’albero maestro.
Si aggrappò alle corde e guardò in alto: Severus era solo un puntino indistinto in mezzo alla tempesta.
- Se muoio, giuro che vengo a perseguitarti come fantasma, Sevvy. Oh ti perseguiterò fino alla tua morte e anche oltre!
Facendosi coraggio ed imponendosi di non guadare mai giù, iniziò ad arrampicarsi sentendo la bottiglia incastrata nella cintura a diretto contatto con la schiena, il sacchetto con le gemme al collo, adagiato tra i seni e la fiala con la polvere di fata premuta sulla gamba dentro i pantaloni.
Si arrampicò piano, insultando l’amico, combattendo contro la sua paura più grande, fermandosi quando il vento la faceva ondeggiare troppo.
Arrivata alla vedetta si arrampicò sulla sponda di legno e si accasciò a terra. Piangeva silenziose lacrime di terrore che si mischiavano con la pioggia, tremava per il freddo e paura.
Severus si chinò su di lei.
- Ehi Bill stai bene?
- No, stupido. Non sto bene. E non mi chiamo Bill, mi chiamo Patricia!
Si alzò, il vento, a quell’altezza, era più forte che sul ponte in basso, il capello venne spazzato via e i suoi capelli neri si sciolsero nel vento.
Il mago sgranò gli occhi, sembrava inorridito.
- Una donna! – gridò puntando il dito contro di lei – Porta male una donna sulla nave!
- Sì, va bene.- borbottò lei prendendo la bottiglia che aveva dietro la schiena – Tieni, ti ho portato del rum. Bevi, Spugna.
- Ma…
- Non hai freddo? Questo ti aiuterà a scaldarti.
Severus la guardò storto, ma prese la bottiglia e buttò giù una lunga sorsata.
- Ma che schifo! – gridò disgustato – Questo deve essere andato a male.
Lo vide ondeggiare pericolosamente e reggersi all’albero maestro per non cadere di sotto.
- Cosa mi hai dato donna? – mormorò portandosi una mano alla gola.
- Credimi, - gli disse rovistando nella tasca per prendere la fiala con la polvere di fata – mi ringrazierai.
Severus quasi si accasciò a terra chiudendo gli occhi, Patricia fece una smorfia sperando non di averlo avvelenato.
Una piccola esplosione catturò la sua attenzione, abbassò lo sguardo trattenendo un urlo di terrore per la vertiginosa altezza ed intravide Capitano Uncino sul ponte, con il vento che gli spostava i capelli dal volto ancora sporco di cibo, la pistola, nell’unica mano a sua disposizione, fumava ancora. Sbraitava, ma non si capivano le parole.
- Ecco, - disse la donna – lo sapevo che la polvere non era tritata bene. – si voltò verso l’amico che si teneva la testa tra le mani – Andiamo Severus, riprenditi!
Il mago mormorò qualcosa di incomprensibile.
- Sevvy!
- Non… non chiamarmi… Sevvy…
Patricia sorrise.
- Stai tornando in te.
- La mia testa… io sono Spugna
- Oh maledizione!
Stappò la fiala e si versò tutta la polvere sul palmo della mano.
- Devi avere un pensiero felice. - gli disse avvicinandosi – Così voleremo all’isola. Hai capito?
Un altro colpo arrivò più vicino al ponte di vedetta. Patricia si sforzò di guardare giù e vide Uncino arrampicarsi sulle corde.
- Anche se non hai capito non c’è tempo.
Lanciò un po’ di polvere scintillante su di sé e il resto su Severus, con un urlo e una spinta si lanciò verso l’amico cogliendolo di sorpresa. Si sbilanciarono e caddero insieme oltre la balaustra di legno.
Precipitavano a grande velocità.
La strega sentì la polvere fare effetto, sentiva la loro caduta rallentare, ma il peso del mago era troppo per lei. Cadevano nonostante tutto nel mare freddo ed in tempesta.
- Severus un pensiero felice! – gridò la strega – Ti prego altrimenti cadremo in mare! Avrai pur dannato un pensiero felice!
Il Preside l’afferrò per le spalle e sollevò la testa fissandola.
- Sei tu.

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Capitolo 22
*** Basta ***


Capitolo 22: Basta

Severus uscì dall’acqua sputazzando, completamente fradicio, con un mal di testa che gli spaccava in due il cranio.
Quello che Patricia gli aveva dato per volare aveva esaurito il suo effetto a pochi metri dalla spiaggia, ed erano caduti nel mare in tempesta. Lottando contro le onde e la corrente, avevano nuotato per un po’ insieme, poi l’aveva persa di vista.
Era arrivato a toccare il fondale del mare con i piedi più per fortuna che per le sue abilità di nuotatore. Con fatica e lentamente era arrivato alla spiaggia e si era accasciato sulla sabbia bagnata a riprendere fiato.
Non ricordava nulla di quello che era successo. I suoi ultimi ricordi lucidi e precisi si interrompevano prima di salire sulla Jolly Roger. Poi aveva solo una vaga idea di quello che poteva essergli accaduto.
Ma ora non aveva tempo di pensarci troppo. Raccogliendo un po’ di forze si alzò, cercò di mettersi in piedi, ma le gambe cedettero sotto il suo peso. In ginocchio, fissando il mare in tempesta, con il veliero di Capitan Uncino che ormai era solo un puntino in lontananza, gridò il nome dell’amica.
La sua voce fu portata via dal vento; gridò ancora ricevendo solo in risposta un tuono sopra la sua testa che sembrò far tremare anche la spiaggia.
Si portò le mani alla testa, affondando le dita nei capelli bagnati, tentò di gridare ancora, ma il mondo girò attorno a lui.
Cadde in avanti, con la faccia nella sabbia e svenne.

* * * *


Un gabbiano volava tranquillo nel cielo azzurro beandosi delle correnti d'aria che lo aiutavano a volare. Fissava il mare blu, alla ricerca di qualche gustoso pesce da mangiare.
Volò in cerchio sopra un branco di piccoli pesci che nuotavano incuranti del pericolo, cade in picchiata e ne agguantò due con il becco.
Soddisfatto, sentendo ancora i pesci muoversi nel becco volò fino alla spiaggia a consumare il suo pasto.
I pesci morti furono buttati sulla sabbia, l'uccello diede la prima beccata strappando un grosso pezzo di carne quando la sua attenzione fu catturata da una grande figura adagiata a terra.
Conosceva gli uomini, sapeva starne lontano, ma quell'essere sembrava del tutto innocuo: forse era morto.
Saltellò fino al corpo curioso, fissando e le grandi mani e le lunghe braccia. Il volto era sporco di sabbia così come i vestiti.
Lo colpì sulla guancia con il becco cercando di capire se fosse vivo.
Non ricevendo risposta aprì le ali e gracchiò forte.
Il mago saltò su con un grido, spaventando il gabbiano che scappò via lasciando il pesce sulla sabbia.
Severus si guardò attorno disorientato.
Gli ci volle qualche secondo per ricordare dov'era e com’era arrivato su quella spiaggia. Si alzò dalla sabbia, aveva ancora un lieve mal di testa e un po' di vertigini, ma riusciva a sopportarli.
Si guardò attorno nella speranza di vedere Patricia svenuta poco distante da lui, invece non vide nulla.
- Patricia!
La sua voce echeggiò un paio di volte, ma nessuno rispose.
Il mago osservò il mare, era piatto, calmo, completamente diverso da quello che aveva visto quella notte. Fortunatamente la Jolly Roger non si vedeva più in lontananza, forse Capitano Uncino aveva dato per scontato che erano affogati.
Tornò a guardare la costa, ragionando su cosa fare.
Fu una luce rossa ad attirare la sua attenzione. Si avvicinò a grandi passi, trovando nella sabbia la gemma rossa.
Con un nodo alla gola la prese tra le mani, nonostante la tempesta e la notte sotto la pioggia battente era tiepida, come se fosse appena caduta dalle mani della sua amica.
- C'era veramente una pietra nel vascello, - mormorò fissando il rubino sotto i raggi del sole – Patricia deve averla presa e poi deciso di scappare dalla nave.
Strinse la pietra nella mano e tornò a guardandosi attorno.
- Patricia! - gridò – PATRICIA!
Girava quasi su se stesso per vedere ogni angolo di quell'isola all'apparenza deserta.
Fu un lieve tremore a bloccarlo, aprì la mano che stringeva la gemma e notò che la luce pulsava ad intervalli regolari. Sembrava un debole cuore tiepido che batteva tra le sue dita.
Spostò la mano e la luce, che sembrava arrivare direttamente dal centro dalla gemma, sembrò spegnersi, abbassarsi e anche quella lieve vibrazione sparì.
Mosse di nuovo la mano, riportandola nel punto cui aveva brillato. La gemma tornò a spendere e tremare nel suo palmo.
Rispondeva al richiamo delle sorelle. L'aveva già notato in precedenza, le pietre quando venivano riunite brillavano più forte, era come se fossero in sintonia tra di loro. Ogni volta che una delle pietre veniva unita al gruppo queste rafforzavano il loro potere. E se la gemma rossa rispondeva in quel modo voleva dire che tutte le altre gemme erano riunite.
Il mago alzò lo sguardo e puntò gli occhi nel punto in cui la gemma risplendeva.
- Nord. - valutò – Le altre pietre sono a nord.
Si guardò i pedi, aveva perso le scarpe mentre nuotava verso la riva, tornò a guardare la strada indicata dal rubino. Si incamminò a pieni nudi, puntando lo sguardo sulla pietra rossa che pulsava tra le sue mani, senza rendersi conto che seguiva lo stesso ritmo del suo cuore.

* * * *



Camminava già da un po'. Aveva abbandonato quasi immediatamente la spiaggia e si era avviato in quella che sembrava una strada di terra battuta.
Aveva cambiato percorso in un paio di punti, seguendo sempre la strada dove la gemma risplendeva più forte. Non ne era del tutto certo, ma gli sembrava che man a mano che camminava la luce aumentasse di intensità. Si era fermato solo quando aveva incrociato un fiume dove si era lavato tutta la sabbia che aveva in faccia.
Aveva comunque l’aspetto di un vecchio pirata senza scarpe che aveva visto la sua nave affondare durante la tempesta.
Sentiva, però, che era sulla strada giusta per trovare le altre pietre ed era altrettanto certo che avrebbe anche trovato Patricia.
Sapeva che, in qualche modo, le doveva la vita, ma non si ricordava il perché.
Si accorse di essere in un villaggio solo quando avvertì più confusione attorno a lui.
Si era abituato al rumore della natura, agli animali che scappavano al suo passaggio e a qualche marito che urlava contro la moglie e i figli.
Sollevò la testa trovandosi quasi all’improvviso in un modesto villaggio. Le case erano di pietra, dipinte di un accecante color avorio, con i tetti bassi, quasi piatti. Le porte erano dipinte con colori accesi e allegri.
Nella piazza principale, grande quanto un cortile di Hogwarts, c’era una folla di persone attorno ad un uomo vestito in modo ridicolo e sei uomini armati di trombe più lunghe del normale.
- Udite! Udite! – urlò l’uomo attirando l’attenzione delle persone che non si erano fermati attorno a lui, compresi di Severus – Siamo lieti di annunciare la lieta novella! – i sei uomini fecero squillare le trombe, molti si tapparono le orecchie per il rumore assordante – Dopo quasi cento anni l’Isola ha finalmente una nuova principessa! – altro acuto suono di trombe che tramortì i presenti – Arrivata dal mare, la sconosciuta è vittima dell’incantesimo del sonno che colpisce solo le future regine di questo regno! La nostra futura sovrana è in attesa del bacio del vero amore al castello incantato. Ogni principe è invitato a spezzare l’incantesimo.
Severus sgranò gli occhi, era Patricia!
Lo sentiva.
Lo sapeva.
Mentre la folla si disperdeva sotto gli ultimi squilli di tromba, il mago fermò un passante.
- In che direzione è il castello incantato?
L’uomo lo squadrò dalla testa ai piedi, di certo non poteva passare per una persona per bene, questo Severus lo sapeva bene. Era sporco, senza scarpe e con addosso abiti malconci pirateschi.
- E’ da quella parte. – gli rispose l’uomo con una smorfia mostrando solo qualche dente sano – Ma non ti faranno entrare.
Il professore non gli diede retta, senza dare nell’occhio spostò la gemma in quella direzione. Il rubino riconobbe subito la strada brillando più intensamente.
- Non importa. – borbottò – In qualche modo riuscirò ad entrare.
- Non conciato così. – gli rispose una voce gracchiante femminile.
Il mago abbassò lo sguardo, accanto a lui c’era una vecchietta che gli arrivava più o meno alla vita. Si reggeva in piedi con un vecchio bastone nodoso, aveva tratti orientali e capelli canditi legati insieme da un chignon.
La donnina gli sorrise con sguardo furbo e lo afferrò per il gomito, nonostante la veneranda età la presa era forte e sicura.
Anche Silente, nonostante l’età e la maledizione che lo stava consumando lentamente, aveva una presa del genere.
- Vieni con me, giovanotto. – gracchiò la donna trascinandolo – Se vuoi andare al castello devi sembrare degno di baciare la principessa.
- Un attimo! – gridò Severus liberandosi dalla ferrea presa della donna – Tu chi sei? E perché dovresti aiutarmi?
La vecchietta sbuffò indispettita picchiando il bastone a terra.
- Chiamami nonna Fa. – rispose – E la risposta alla tua seconda domanda è facile: mi sto annoiando. – gli riprese il gomito e cominciò a strattonarlo di nuovo – Andiamo forza. Ho qualche abito smesso. Qui passano sempre un sacco di principi e si lasciano dietro un sacco di roba. Questo posto un tempo era sereno a pacifico,- borbottava tra sé e sé – ora tutti sono impazziti per una principessa venuta dal nulla. O ma Zhou e Li mi sentiranno! In Cina dobbiamo tornare! Cricri prendi le misure.
Da una manica del vestito della donna uscì un piccolo grillo blu, che saltellando e fischiando, iniziò a misurare il mago con un minuscolo metro da sarta.
Severus sollevò lo sguardo rassegnato.
- Niente abiti azzurri!
- Non ti preoccupare. Io e Cricri sappiamo cosa fare.

* * * *


Lanciò nella boscaglia il cappello a tesa larga dorato con quell’orrida piuma rosso fuoco non appena mise piede fuori dal villaggio.
Il mantello dello stesso colore della piuma fu scaraventato in un fiume qualche metro dopo.
Avrebbe voluto togliersi anche il resto, ma voleva dire andare in giro nudo e non gli sembrò una buona idea.
Quella vecchia megera e il suo grillo salterino gli avevano infilato quei vestiti dagli imbarazzanti colori della Casa di Grifondoro, sbarazzandosi dei suoi abiti prima che lui potesse urlare la sua totale indignazione.
Così ora camminava con addosso un paio di pantaloni color oro, un paio di stivali color rosso fuoco e, fortunatamente, una camicia bianca.
Arrivò al castello che stava tramontando.
Il maniero era grande, in pietra bianca, il sole lo baciava con la sua luce ambrata e sembrava risplendere di polvere d'oro. Ricordava Hogwarts con le sue torri alte e le innumerevoli finestre. Il grande portone di quercia era aperto, una fila lunghissima di principi aspettavano il proprio turno per baciare la bella principessa misteriosa e svegliarla del suo sonno incantato.
Si mise in fila, cercando di guardare oltre i principi che aveva davanti, tentando, invano, di non provare paura all'idea di sentire la notizia che qualcuno l'aveva svegliata.
Restando lì in piedi, solo ed impaziente, Severus non poté evitare di pensare a quello che era Patricia per lui.
Lei c'era sempre stata. Era lì il giorno dopo la morte di Lily. Quando lui era nella sua casa solo, quasi impazzito per il dolore di averla condannata a morte.
Quando la sua vita era solo un susseguirsi di liquore di pessimo gusto e lacrime.
Di quel periodo aveva pochi ricordi lucidi, però sapeva che lei c’era. Silenziosa e quasi invisibile nella sua casa che puzzava di dolore e odio. Si era presa cura di lui, aveva pulito, aveva riordinato quello che lui distruggeva nei momenti di sconforto totale.
Quando piangeva sul pavimento del bagno, dopo aver rimesso l'alcool senza riuscire a sputare fuori il suo dolore, Patricia gli aveva dato una spalla su cui piangere, un abbraccio in cui sprofondare.
Era stata discreta e silenziosa, come quando erano solo dei ragazzi.
Non l'aveva mai ringraziata.
Non a parole almeno, ma nel loro rapporto non c'era mai stato spazio ai ringraziamenti, entrambi però sapevano che non potevano far a meno l'uno dall'altra.
E negli anni prima dell’arrivo del ragazzo lei era riuscita a colmare quel vuoto che sentiva nel cuore, aveva offuscato il ricordo del suo grande amore per Lily.
Per lei ci sarebbe sempre stato uno spazio, ma Patricia si stava facendo strada, piano, in punta di piedi, per prendersi quell’amore un tempo destinato ad un’altra.
Sì, c’era stato un momento, anni fa, una vita fa, in cui Patricia stava per diventare qualcosa di più della semplice amica con cui litigare.
Ed era passato così tanto tempo, così tante vite, che l’aveva scordato.
Guardami, Severus.
Lui l’aveva guardata, ma si era dimenticato di averlo fatto.
Era arrivato Potter, con i maledetti occhi di Lily e tutto era tornato a galla. Il ricordo del dolore, il rimpianto, l’amore per quegli occhi verdi odiati e amati nello stesso tempo e Silente che faceva di tutto per ricordargli la sua promessa.
Proteggere Harry.
Proteggere il figlio di Lily.
Proteggere quel figlio che non sarebbe mai stato suo.
Lui l’aveva protetto: dal mondo, dall’Oscuro, da se stesso. Aveva dato tutto per lui, per sua madre, annullando la sua anima, la sua vita. Era quasi morto per lui e per tutto il mondo magico.
Ma Patricia non l’aveva più aspettato, aveva cercato di farsi una vita, di essere felice con qualcun altro. Gli era rimasto vicino, non aveva mai negato quella spalla né quell’abbraccio, ma non vi era mai stato altro.
Perché c’era Lily con i suoi occhi di tenebra, lei lo vedeva e non voleva, non poteva, affrontare quel fantasma da sola.
Perché c’erano i sensi di colpa che lo facevano sentire sporco ed inadeguato.
Perché lui non era quello giusto. Non lo era mai stato, né per Lily né per lei.
Lui era il cattivo.
Lui era quello che odiare.
Ma Patricia non lo odiava. Tornava sempre.
Dopo un amore fallito, una delusione, un dolore. Lei tornava.
Anche dopo che aveva ucciso Albus.
Con quello sguardo che, anche se a volte non lo capiva, lo faceva sciogliere, lo faceva innamorare.
A quella consapevolezza sgranò gli occhi neri.
Innamorare.
Si era negato l’amore per così tanti anni che non si era reso conto di averlo sotto il grosso naso.
Aveva negato per tutti quegli anni di non provare nulla per lei, se non una forte amicizia, perché per lui non c’era un per sempre felici e contenti. Per lui non esisteva un lieto fine.
Non per il Severus fallito.
Non per il Severus assassino.
Non per il traditore e la spia.
Lui non era mai stato un principe.
… forse, quello che lei cerca non è un principe.
Sorrise amaramente.
Ci volevano le parole di un genio per fargli aprire gli occhi. Di solito quel compito era riservato a Silente.
E capì quello che doveva fare.
Basta principi e principesse. Basta lieti fine da favola. Basta tutto quanto.
C’erano solo loro due.
Con la loro amicizia nata dal nulla, ma forte fin dal primo giorno.
Con quel primo bacio dato per curiosità, con i loro litigi e i loro difetti. Con il fantasma di Lily e quello di Silente, con le loro scelte sbagliate, con i loro dolori e rimorsi.
Lui non era perfetto.
Lui non era un principe.
E lei non era una principessa.
Si fece strada tra la fila di pretendenti, passando davanti a tutti, senza fermarsi ad incassare gli insulti degli altri.
Basta aspettare. Basta restare a guadare.
Patricia era distesa in una teca di cristallo e oro. Indossava lo stesso vestito bianco e argento della maratona di ballo.
Bella come una principessa delle favole; non stonava con il luogo assurdo dove si trovava.
I capelli neri le incorniciavano il volto pallido e perfetto. Le mani congiunte sulla vita. La labbra che lo imploravano di chinarsi per baciarla.
La pietra rossa che aveva in tasca, ora, era così calda da bruciare; Severus vide le altre incastonate nella teca, ed ognuno era un pezzo di quell’avventura assurda che l’aveva portato lì.
Alla radice del suo cuore.
Al suo amore per lei.
Si avvicinò piano, sempre sentendosi sporco ed inadeguato per lei, ma pronto a gettarsi anche in quell’avventura.
Perché la vita e l’amore potevano essere avventure meravigliose con Patricia accanto.
Si stava chinando sulle sue labbra quando dieci soldati corsero nella sua direzione, le spade lucide sguainate nella sua direzione.
Urlarono qualcosa, ma non li sentì, aveva il cuore che batteva così forte che sentiva solo quello nelle orecchie.
Solo il battito incessante del suo cuore.
-… non è un principe!
Severus alzò lo sguardo. Uno dei tanti spasimanti, vestito come uno stupido pupazzetto color lilla, puntava il dito contro di lui; la rabbia deformava i lineamenti delicati del giovane principe.
- No, - disse Severus risoluto, la sua voce sembrò rimbombare nella sala – io non sono un principe. Sono quello giusto.
Senza aspettare oltre si chinò sulle sue labbra baciandole con tutto l’amore che aveva in corpo. La gemma che aveva in tasca e tutte le altre incastonate nella teca emanarono un’intensa luce facendo risplendere l’intera sala dei colori dell’arcobaleno.
Quando il mago si sollevò da lei, pregò che aprisse gli occhi, che desse conferma a tutta la sua vita.
Quella vita di odio e sensi di colpa, ma anche di incondizionato, eterno amore che voleva donarle.
Le palpebre di Patricia tremarono e si sollevarono lentamente, esattamente come veniva scritto nelle favole.
La principessa risvegliata dal bacio del Vero Amore.
Sorrise il mago perdendosi nei suoi occhi verdi, intensi e luminosi come stelle.
Lo sguardo di una donna che ama.
Le accarezzò il volto e si chinò di nuovo sulle sue labbra per un bacio delicato, semplice, ma pieno d’amore.
Quando le loro labbra si separarono di nuovo una gemma bianca, brillante come un raggio di luna si formò tre le loro bocche.
La settima gemma.
Severus vide le altre pietre saltare via dall’incastonatura sulla teca e posizionarsi in cerchio attorno alla pietra bianca. Entrambi fissarono le gemme risuonare tra di loro, pulsando come cuori colorati.
Fu un attimo: le sei pietre colorate cozzarono contemporaneamente sul diamante e tutto fu invaso da un’accecante, calda luce bianca.





Note:
Bene signore siamo arrivate alla fine del penultimo capitolo. Settimana prossima scopriremo tutto. Come sono finiti in quel posto strano, perché e, soprattutto se Severus e Patricia saranno per sempre felici e contenti.

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Capitolo 23
*** Gli scheletri nell'armadio di Silente ***


Capitolo 23: Gli scheletri nell'armadio di Silente

Severus aprì gli occhi lentamente.
Gli sembrava che ogni muscolo del suo corpo gli facesse male. Aveva la sensazione di esser precipitato dalla Torre di Astronomia.
Si sentiva la testa pesante e il corpo stanco.
La prima cosa che avvertì era il materasso morbido su cui era adagiato.
La seconda cosa che percepì fu un delicato profumo che riconobbe subito.
- Papaveri. - mormorò notando che la sua voce usciva roca e che la gola gli face male, come se non parlasse da giorni.
Si mise seduto e si rese conto di essere in infermeria, sdraiato in uno dei tanti letti, un vaso di papaveri era appoggiato sul comodino accanto ad una pila di libri.
- Ma cosa…
- Finalmente ti sei svegliato!
Il Preside voltò di scatto la testa. Dopo un lieve capogiro mise a fuoco l’intera infermeria e il quadro che aveva ai piedi del letto, posizionato su un cavalletto.
- Albus? Chi diavolo ti ha messo lì?
Il mago nel quadro sorrise nello stesso modo in cui faceva il vero Silente, Severus aveva da sempre maledetto la bravura di quel pittore.
Era seduto sulla sedia dipinta, le mani sui braccioli intagliati, gli occhiali sulla punta del naso… sembrava un re sul trono.
E Silente l’aveva sempre guardato come un re scruta i suoi sudditi: dall’alto verso il basso.
- Patricia. –rispose semplicemente il mago.
Al suono del suo nome lasciò perdere ogni rancore verso il vecchio.
- Dov’è? Come siamo tornati?
- Tornati?- domandò Albus stupito – Ragazzo mio, tu non sei mai uscito dal castello. Anzi sono quattro giorni che sei in quel letto privo di coscienza.
Il pozionista era disorientato.
- Cosa?
Silente sorrise ancora e si alzò dalla sedia.
- Severus sai cosa succede se si lascia bruciare l’Arnica?
Non capiva l’utilità di quella domanda, tuttavia il diligente studente che era in lui rispose senza rifletterci troppo.
- Rilascia fumi tossici.
- Quella notte, quando ti sei messo a fare il diligente pozionista con la febbre alta, non ti sei accorto che l’incantesimo che avevi lanciato sui tuoi strumenti ha funzionato solo per breve tempo. Sei svenuto e l’Arnica che c’era nel calderone si è bruciata. Quindi oltre ad una polmonite sei finito in infermeria anche con un’intossicazione da fumi di Arnica. E sappiamo entrambi quanto sia lungo e difficoltoso disintossicare il corpo da un avvelenamento del genere.
- Ho avuto veleni peggiori nel mio corpo. – rispose sarcastico lui tornando a sdraiarsi: improvvisamente la testa gli era diventata pesante – Chi mi ha trovato?
- Pix.
Severus fece una smorfia, ora non aveva neppure una scusa per liberarsi di quel maledetto Poltergeist.
- E’ corso a chiamare Minerva, ha urlato fino a quando non è uscita dalla sua stanza! – l’Albus dipinto ridacchiò – E’ stato uno spettacolo divertente, c’è stato un po’ di trambusto, ma gli studenti non ti hanno visto. In pochi sanno che sei qui, Minerva ha preferito che non si spargesse la voce del grande pozionista di Hogwarts avvelenato da una pozione distillata da lui.
Piton fece un’altra debole smorfia: Minerva avrebbe preteso un pagamento per il salvataggio anche della sua reputazione; ed erano settimane che continuava a ricordargli che, l’anno successivo, sarebbe stato un anniversario importante per la fondazione di Hogwarts. Soprattutto sottolineava, in continuazione, che l’evento richiedeva una festa in grande stile, coinvolgendo anche gli studenti.
- Un Medimago viene tutti i giorni per valutare ogni progresso. Iniziava a preoccuparsi a dire il vero, non sapeva per quanto potevi restare privo di conoscenza e stava valutando l’idea di spostarti al San Mungo. Ma Patricia era certa che ti saresti svegliato presto! E’ rimasta qui praticamente giorno e notte. Ha letto per te.
I libri sul comodino…
- Letto? – domandò Severus curioso – Cosa mi ha letto?
- Fiabe. – spiegò il vecchio mago – Fiabe Babbane per bambini. Molte non le ho capite a dire il vero, burattini… ladri gentiluomini… conigli e tappeti magici. In una favola ci sono pure un topo e un facocero parlante!
Con un sospiro e lottando contro la testa pesante, il professore provò ad alzarsi.
- Suricata. – disse poggiando i piedi nudi sul pavimento freddo e reprimendo un brivido di freddo. – Era un suricata parlante. Ora lei dov’è?
- E’ dovuta correre al Ministero, la sua assistente le ha inviato un gufo urgente. A quanto pare la signora Granger ha deciso di restare nell’ufficio di Patricia fino a quando non parleranno della legge internazionale sulle Creature Magiche. Ha minacciato di partorire sulla sua scrivania.
Severus si passò una mano sul volto.
- Quattro giorni… lei mi ha letto favole per quattro giorni?
Silente annuì.
- Diceva che le odi così tanto che, prima o poi, ti saresti svegliato per dirle di smetterla. Era molto preoccupata…
Aveva sognato tutto.
Il viaggio nel camino, ogni singola avventura che aveva vissuto in quel posto era solo frutto di un sogno. Molto dettagliato, quasi reale… ma solo un sogno. La sua mente doveva aver lavorato di fantasia mentre lei raccontava le sue storie.
Ora capiva molte cose… e altre le capiva meno.
- Ha parlato anche del passato, Albus? Di quando eravamo studenti…. – avvertì quella fastidiosa, ormai chiara, sensazione alla bocca dello stomaco – Ha parlato di Black?
- Ha parlato molto…- rispose Silente alzando gli occhi al… soffitto dipinto sulla tela – sì, ha detto qualcosa riguardo a quel periodo, ma io vengo qui solo quando sei solo. E Patricia raramente ti ha lasciato solo.
Era stato un sogno, ma quello che provava per lei era reale.
Sorrise e tentò di alzarsi. Sentiva che sarebbe caduto da un momento all’altro, ma lottò contro la spossatezza e restò in piedi sentendosi sempre più sicuro.
- Dove credi di andare?- gli domandò Albus.
- Da lei.
- No.
Il Preside sollevò un sopracciglio e si voltò lentamente verso il quadro che rappresentava il suo più grande amico e anche la sua ultima vittima.
- Come?
- Sei ancora debole. Ancora confuso. Io non so cosa ti sia successo in questi giorni, ma so cosa ti è successo poco prima che ti svegliassi. L’hai chiamata, quasi invocata. Hai sorriso come se lei ti guardasse, come se lei ti amasse. O come se tu l’amassi.
- E se fosse così, Albus? – domandò lui.
- Non posso permettere che Patricia soffra ancora per te.
- Ancora?
Silente chinò il capo tornando a sedersi sulla sedia dipinta. Sembrava addolorato, come se nascondesse qualcosa. E Severus non poteva sapere cosa nascondesse un quadro.
- Devi… capirmi, Severus. Amo quella ragazza come se fosse mia figlia. L’ho presa con me quando nessuno voleva averla accanto per via del fratello. Io voglio solo proteggerla.
- Proteggerla da me? Dai miei sentimenti per Lily?
- Sì.- sospirò il dipinto addolorato – Io… vi avevo visto… prima che Harry arrivasse a Hogwarts. Vi avevo visto avvicinarvi sempre di più… e non potevo… non potevo…
Piton sgranò gli occhi incredulo.
- Tu… tu non hai voluto Patricia nell’Ordine a causa mia…
Albus si coprì il volto con una mano.
- Avevo paura che fosse troppo in pena per te quando eri in missione. Così preoccupata da non accorgersi dei pericoli che la circondavano. E poi c’era Lily…
- Tu hai continuato a ricordamela per tenermi lontano da lei! – quasi urlò Severus colmo di rabbia – Hai alimentato i miei sensi di colpa perché temevi che l’avrei ferita! Perché credevi che non l’avrei resa felice!
Silente sollevò lo sguardo.
- Sempre, Severus. Ricordi questa parola?
- Ci sarà sempre una parte del mio cuore che batterà per Lily, Albus. Non posso evitarlo, non ci riuscirei. Patricia l’ha sempre saputo. Ma sono stanco di amare solo un fantasma.
- E basta quella parte del tuo cuore per amarla come merita, Severus? Per chi lo fai? Per te stesso o per lei?
- Lo faccio per noi.
Silente sospirò rassegnato.
Si infilò le scarpe e prese la sua bacchetta dal cassetto del comodino accanto al letto.
- Quanti scheletri nell’armadio tieni ancora nascosti, Silente? – domandò il mago – Quanti altri segreti ti sei portato in quella maledetta tomba dove io ci ti ho messo?
- Mi dispiace. – disse Silente a capo chino – Mi vergogno di molte scelte che ho fatto in vita.
- A volte la vergogna non basta. – mormorò il professore prima di uscire dall’infermeria.

* * * *



Percorreva i corridoi del Ministero a passo deciso nonostante la testa pulsasse e, ogni tanto, il mondo girava su se stesso. Poppy, non appena aveva notato la sua assenza in Infermeria, era andato a cercarlo come una furia. Era entrata nei suoi alloggi senza neppure bussare e senza imbarazzarsi quando aveva visto che indossava solo le mutande.
L’aveva convinta a lasciarlo andare, promettendo che non si sarebbe smaterializzato per nulla al mondo e prendendo una pozione ricostituente da lei preparata.
Aveva indossato i suoi comodi e usuali abiti neri e, dopo il sogno incredibile che aveva fatto con abiti sgargianti e vestiti da contadino, mai gli erano sembrati più belli e adatti a lui.
Avvertiva ancora quella sensazione nel petto. Era come nascere una seconda volta. Tutto era sotto una luce nuova, tutto sotto una prospettiva migliore.
Svoltò l’angolo che portava all’ufficio di Patricia e vide una vistosa, incinta Hermione Granger che usciva quasi in lacrime. Si incrociarono nel corridoio, lei gli lanciò un’occhiataccia, ma non gli disse nulla proseguendo per la sua strada.
Sollevando un sopracciglio incuriosito si avvicinò alla porta.
Udì la voce dell’amica ancora prima di affacciarsi. Il cuore iniziò a martellargli nel petto.
- Non farla più entrare qui dentro, Sue! – disse Patricia infastidita – Almeno fino a quando non avrà partorito. Non voglio più che venga qui a sfogare i suoi ormoni da donna incinta, che se la prenda con quel tonto di suo marito come fanno tutte le donne che stanno per partorire.
- Forse il tonto Weasley è andato a nascondersi.
La strega si voltò di scatto udendo la sua voce.
- Severus!
L’abbracciò quasi al volo con un sorriso così radioso che poteva sentirne il calore.
- Ma… tu… tu non puoi uscire dall’Infermeria!- lo rimproverò liberandolo da suo abbraccio soffocante – Sei ancora debole! Perché Madama Chips ti ha lasciato andare? Io lo sapevo che stava invecchiando! E il Medimago? E’ un povero incapace! Riceveranno una bella lettera con il sigillo del Ministero quelli del San Mungo!
Le posò un dito sulle labbra facendola tacere.
Lei arrossì, proprio come nel suo sogno.
- Devo parlarti. – disse lui seriamente – Possibilmente dove non ci vede, - lanciò un’occhiata all’assistente che sussultò colta in fragrante, fingendo di lavorare per sfuggire alla sua occhiata - e non ci sente nessuno.
- Vieni.
Lo portò nel suo ufficio, chiuse la porta dietro di loro e con un incantesimo isolò la stanza.
- Da quanto sei sveglio?
- Un paio d’ore.
- Allora perché sei qui? Dovresti riposare.
- Ho dormito quattro giorni, Patricia. Sono abbastanza riposato. Dovevo parlati.
- Di cosa?
- Di me.
Lei sembrò confusa.
- Ti conosco già, Severus.
- Allora ti parlerò di un uomo che guarda una donna e non si rende neppure conto di farlo.
La vide portarsi le mani alla bocca ed arrossire di nuovo.
La trovò bella. Più bella di qualsiasi sogno.
Patricia si allontanò da lui di qualche passo impaurita ed imbarazzata.
- Quello stupido Medimago mi aveva detto che tu non sentivi quando ti parlavo. – balbettò - Io non… se sapevo che mi sentivi non… non…
- Io non sentivo… - la rassicurò – eppure riuscivo a sentirti in qualche modo. E’ stato strano. – sorrise e anche quello gli sembrò strano – Assurdo e strano. Ma ho capito.
- Cosa?
- Che non sono il Principe Azzurro.
La strega trovò la forza di sorridere.
- Questo lo sapevo già, Severus.
- Ma c’è un'altra cosa. – Patricia gli lanciò un’occhiata curiosa e tentò di sollevare un sopracciglio come faceva lui. Non ci riuscì e il mago fece una debole risata - Neppure tu sei una principessa.
Patricia sorrise.

* * * *


La strega sorrideva stanca nella presidenza di Hogwarts. Si era seduta sulla sedia del Preside che aveva voltato verso la finestra.
Era primavera e c’era una bellissima vista da quella finestra.
Le era sempre piaciuto quell’ufficio. Le sembrava di sentire Albus più vicino.
Appoggiò la testa sul lungo schienale e sospirò.
- Sembri felice, bambina mia.
Il sorriso della donna aumentò voltandosi verso il quadro che rappresentava uno degli uomini più importanti della sua vita.
- Lo sono, Albus. - confermò lei alzandosi dalla sedia e posizionandosi di fronte al dipinto – Mi manchi. Tanto.
- Lo so, Patricia. Ma il mondo gira in questo modo. La gente muore prima o poi. Devi accettarlo.
Il sorriso della strega si intristì.
- E’ difficile.
- So anche questo, bambina.
La donna fece una piccola giravolta mostrando il vestito che la fasciava.
- Ti piace?
- Sei bellissima. - il sorriso di tessuto e colore di Silente si spense un po’ – Severus è ancora molto adirato con me?
- Gli passerà.
- Non mi parla da sei mesi.
- Gli passerà. – ripeté lei – Io ho capito, c’è voluto un po’ ma ho capito. Capirà anche lui. Sevvy è solo un po’ testone.
- Non chiamarmi Sevvy!
Patricia ridacchiò voltandosi verso la porta, Severus entrò nel suo ufficio e le lanciò un’occhiataccia.
- Perché sei qui? – le domandò.
- Sono stanca.
- Mi hai lasciato solo!
- Solo cinque minuti! Sei in grado di restare da solo per cinque minuti in mezzo alla gente.
- Metà delle persone in Sala Grande non le conosco e le altre vogliono solo brindare e abbracciarmi!
La donna gli volò tra le braccia e gli sfiorò le labbra con un tenero bacio.
- La verità, - gli sussurrò maliziosamente – è che non sei in grado di starmi lontano.
- La verità, - rispose lui usando il suo stesso tono – è che sono venuto a cercarti perché la tradizione vuole che siano gli sposi a fare il primo ballo.
- Ma a te non piace ballare in mezzo agli altri!
Il mago sorrise e si voltò verso uno dei quadri vicino alla porta.
- Venga pure Sir Cadogan.
Il cavaliere entrò nel quadro di uno dei più vecchi presidi della scuola ignorando le sue accese proteste, in un tumulto di ferraglia e nitriti del suo pony.
- Fate largo! – urlò ai presidi – Sono in missione per il Preside Piton! Fate spazio! Non ci sono solo io.
Dietro la figura di Sr Cadogan Patricia vide dei musicisti prendere posizione sullo sfondo sbiadito del quadro.
- Sono una piccola orchestra, - spiegò Severus – solitamente restano nella loro cornice al quarto piano. Hanno fatto un’eccezione per noi. – si voltò verso il quadro e fece un lieve cenno con la testa.
Una lieve musica di archi e flauti si levò nella stanza. Severus prese Patricia in vita, accarezzando il morbido tessuto color avorio che la fasciava rendendola bellissima e desiderabile.
Volteggiarono lentamente specchiandosi nei rispettivi sguardi luminosi.
Silente sorrideva della sua cornice, guardandoli felici e innamorati, spostò lo sguardo sulla scrivania di Severus e vide un vecchio libro di favole, lo stesso che Patricia leggeva quando era in quel letto privo di coscienza.
Non aveva detto a nessuno cosa aveva sognato in quei giorni, ma di una cosa era certo, qualsiasi cosa avesse sognato aveva aperto il suo cuore. Tornò a guardarli e sospirò sereno.
- E’ il momento di vivere per sempre felici e contenti.

FINE

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