One step forward

di TheOnlyWay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** LEGGIMI! ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 



Guardai la mia immagine riflessa nello specchio con aria estremamente contrariata: ero più brutta del solito, quel giorno.
Non che in genere fossi di una bellezza sconvolgente, comunque. Non ero il tipo di ragazza che faceva voltare gli uomini al suo passaggio; spesso nemmeno mi notavano.
Non avevo un fisico perfetto, né un seno formoso. Niente occhi azzurri, naso alla francese e bocca a cuore. Tantomeno avevo dei bei capelli, di quelli lunghi e lucenti, come le modelle che si vedevano nelle pubblicità.
Anzi, i miei capelli erano di media lunghezza, lisci come spaghetti e tinti di un castano così scuro da sembrare nero. Avevo anche la ricrescita e probabilmente sarei dovuta andare da un parrucchiere, ma non avevo poi tutti quei soldi da spendere.
E comunque, ero abbastanza soddisfatta di me stessa, e i miei occhi marroni - di un banalissimo color castagna - non erano un problema. L'aspetto fisico non era tutto, in fin dei conti. C'erano cose più importanti e un chilo in più non rientrava nella mia lista di priorità.
Avevo ben altro a cui pensare: mia zia Kate, che lavorava come manager presso una rinomata agenzia di Londra, mi aveva chiesto di raggiungerla quella mattina, per fare colazione insieme e discutere di un'offerta che, a suo dire, avrei senz'altro trovato interessante.
Detestavo zia Kate. Aveva quell'atteggiamento da donna d'affari che proprio non riuscivo a sopportare e in più sembrava sempre che tramasse qualcosa, con quell’aria furba e calcolatrice.
Tuttavia, ero troppo incasinata per poter rifiutare un'offerta di lavoro: l'affitto non si pagava da solo e di certo non morivo dalla voglia di dormire su una panchina in Hyde Park. Tantomeno volevo tornare da mia sorella e dirle che la mia indipendenza era stata uccisa da cause di forza maggiore. La madre del piccolo Joshua era stata licenziata e, di conseguenza, non aveva più bisogno di una baby-sitter, per il momento. Coleen, invece, si era presa la varicella e i suoi genitori avevano ritenuto opportuno lasciarmi a casa senza pagarmi l’ultimo mese.
Un fallimento su tutta la linea. Andy avrebbe gongolato per mesi e mi avrebbe riempito di “te l’avevo detto”. Perciò, zia Kate era la mia ultima chance.
Con un sospiro, sistemai il colletto della camicia bianca e controllai di averla infilata bene nella gonna. Odiavo i tailleur, ma zia Kate era stata piuttosto chiara: dovevo indossare il completo che lei stessa mi aveva regalato il Natale dell'anno prima.
In tutta sincerità, ero piuttosto contrariata: non era concepibile che fossero ancora in commercio abiti tanto tristi e, sopratutto, non era possibile che qualcuno spendesse soldi per comprarli. Quante storie, poi, per una semplice colazione.
Sconsolata, allisciai le pieghe sulla gonna - di un deprimente grigio antracite - e indossai la giacca. 
«Poteva regalarmi anche le scarpe, accidenti a lei. E ora che mi metto?» brontolai, mentre aprivo la scarpiera alla ricerca di qualcosa di appropriato. Non che avessi chissà quanta scelta, poi. L'ultimo paio di scarpe eleganti che avevo acquistato risalivano a... be', nemmeno me lo ricordavo. Il vantaggio di essere una baby-sitter a tempo pieno era che non avevo bisogno di un tacco quindici. E comunque, il mio stipendio era a malapena sufficiente per fare la spesa, figurarsi per comprare scarpe a volontà.
«Come cavolo faccio, adesso?» mi sarei messa le mani tra i capelli, se solo non avessi rischiato di sciogliere lo chignon: mi ci era voluta quasi un'ora, per intrappolare tutti i ciuffi che andavano per fatti loro.
«Zia Kate mi ucciderà.» piagnucolai, mentre afferravo gli anfibi neri e li calzavo velocemente. Ero già in ritardo, tanto per cambiare, e in tutta probabilità mi sarei beccata una lavata di capo non indifferente. Controllai il trucco un'ultima volta, sperando che l'eye-liner non mi avesse impiastricciato tutto l'occhio, passai il burrocacao sulle labbra screpolate ed afferrai cappotto, sciarpa e borsa.
La macchina mi aspettava sotto casa, puntuale come un orologio svizzero. Era un'elegante berlina nera, di quelle che non mi sarei potuta permettere nemmeno dopo quarant'anni di lavoro.
L'autista, un uomo sulla cinquantina, con un paio di folti baffi grigi e gli occhi azzurri, mi rivolse un sorriso gentile e un po' divertito.
«Buongiorno, signorina Morrigan.» salutò, aprendo la portiera.
«Buongiorno anche a lei.» sorrisi, un po' agitata. In che guaio mi stavo cacciando?
Mi accomodai sul sedile posteriore, certa che sarei stata sola. Dopotutto, chi mai si sarebbe scomodato, solo per me? Invece, per mia enorme (e spiacevole) sorpresa, l’abitacolo era occupato da un secondo passeggero.
«Zia Kate!»
«Ciao, Evangeline. Belle scarpe.»
Arrossii immediatamente e farfugliai una serie di scuse e giustificazioni, che zia Kate accolse con un'espressione contrariata e un sopracciglio inarcato. La detestavo.
«Le cose cambieranno.» si limitò a replicare, stoica.
La guardai confusa, ma non dissi una parola. Spesso, quando Zia Kate parlava, faticavo a capire cosa stesse dicendo. Ogni parola che usciva dalla sua bocca sembrava avere un significato ben preciso. Non diceva mai niente a caso e, il più delle volte, non avevo la più pallida idea di che cosa stesse parlando, né mi interessava, in effetti.
Perciò rimasi zitta, con lo sguardo fisso sulla punta degli anfibi, un po' rovinati per l'uso - non per niente, infatti, erano i miei preferiti - e sentendomi più inadeguata che mai.
Trascorremmo in completo silenzio il resto del viaggio, io perché tormentata dall'idea di aver appena preso la decisione peggiore di tutta la mia esistenza, zia Kate perché troppo occupata a controllare le e-mail sul suo inseparabile iPad.
Non era mai una buona idea stringere i rapporti con lei, ne ero consapevole. Era una persona subdola, ma probabilmente la colpa era del suo lavoro: avere continuamente a che fare con persone famose, arriviste e false, probabilmente non era il massimo e non era neanche così strano che ne fosse rimasta influenzata.
Per quanto riuscissi a ricordare, ero certa che un tempo zia Kate fosse molto meno rigida.
Mi aveva persino abbracciata, anni prima.
«Non riesco a credere che tu ti sia messa queste scarpe.» ripeté, mentre camminavamo lungo il corridoio.
La macchina ci aveva lasciate esattamente di fronte ad un imponente edificio grigio e avevo avuto a malapena il tempo di capire dove ci trovassimo, prima che zia Kate mi intimasse di accelerare il passo, visto che eravamo in ritardo e lei non aveva assolutamente intenzione di fare una brutta figura.
Così l'avevo seguita in silenzio ed avevo tenuto la testa bassa anche quando ci eravamo fermate davanti alla reception. La segretaria mi aveva squadrata dalla testa ai piedi e aveva storto il naso, mezza disgustata.
Anche il quel caso ero stata zitta, nonostante mi sarebbe piaciuto dirle di farsi i cavoli suoi e di pensare alla scollatura eccessiva della sua camicia. Orribile, e poco elegante.
«Stanno aspettando solo voi, signora Morrigan.» cinguettò la ragazza, con un cenno d'intesa.
Zia Kate annuì bruscamente, mi posò una mano sulla schiena e mi accompagnò con gentilezza fino ad una porta di legno chiaro.
Dall'altro lato, riuscii a sentire solo un coro di voci infuriate, poi zia Kate aprì la porta e calò il silenzio.
«Zayn, ti presento Evangeline, la tua fidanzata.»








***



Caterina Margherita Giulia, grazie.
(Metto tutti e tre i nomi, sperando di non sbagliare, tanto per farti capire che sto parlando proprio di te <3)





Buonasera a tutte (e a tutti, se ce ne sono)!

Okay, per chi non mi conoscesse, mi chiamo Federica e questa NON è la prima storia che pubblico sui One Direction. E' l'ennesima, e probabilmente ne avrete piene le scatole, ma la cosa non mi  interessa. AHAHAH
Non la smetterò mai di intasare questo fandom, credo, nonostante a volte mi vergogni da pazzi. Cioè, avete visto l'avviso che c'è all'inizio di ogni pagina? Vergogna.
Ecco. Comunque, non è questo il punto.
Il punto è che questa è un'altra storia, decisamente diversa dalle altre altre che ho scritto e che sto scrivendo. Non è niente di che, in effetti, e non mi aspetto che abbia chissà quale successo, ma mi piace scriverla e sono già innamorata dei personaggi.
E poi ho la tristissima tendenza a fangirlare per quello che scrivo, a volte, perciò ho pensato che anche voi potreste fangirlare con me (?)
Basta, ho finito.
Spero che il prologo vi sia piaciuto e non vedo l'ora di sapere che ne pensate, ci tengo tanto a questa storia!

Ora passiamo alle cose tecniche. Vi lascio qui sotto un paio di contatti, nel caso in cui voleste dirmi qualcosa, mandarmi a cagare, parlare un po' e cose del genere e vi mollo anche i banner delle altre storie che sto scrivendo, magari avete voglia di leggerle :)

Vi abbraccio fortissimissimo,
Fede.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 



 
Astio.
Mi raggiunse ad ondate ed era così evidente che la mia presenza nella stanza non fosse gradita, che mi bloccai dopo aver compiuto neanche un passo.
Zia Kate si voltò a guardarmi, estremamente seria e scosse il capo. Con la mano, mi fece cenno di accomodarmi e andò a sedersi dietro la sua scrivania.
Mi guardai intorno, cercando una poltrona o una sedia o qualunque cosa, ma le uniche due sedie disponibili erano occupate da Zayn Malik e da Liam Payne.
Sul divanetto posto contro la parete opposta, invece, c’era i restanti tre quinti dei One Direction e tutti e tre (più i due seduti davanti a zia Kate) mi guardavano decisamente male.
Arrossii e ciondolai sul posto, in difficoltà. Forse potevo ancora battere in ritirata senza sembrare una stupida.
«Evangeline, non restare lì impalata come uno stoccafisso. Siediti.»
Grazie tante, ma dove? Non c’era posto e nessuno sembrava intenzionato a cedermi il suo.
Poi, dopo un minuto che parve interminabile e in cui desiderai morire in almeno diciotto modi diversi, Liam sbuffò e lasciò la sedia.
Lo ringraziai con un sorriso tirato, al quale non rispose. Lo osservai, perplessa, mentre andava a sedersi sul bracciolo del divano. Avevo fatto qualcosa di male? Era improbabile, ancora non avevo aperto bocca. Che poi, fondamentalmente, ero innocua. Non ero una persona aggressiva, né cinica, né troppo orgogliosa. Forse un po’ sarcastica, ma nessuno è perfetto.
«Questo» zia Kate mi porse un plico di fogli «è il tuo contratto.» 
Confusa, inclinai la testa da un lato e gettai un’occhiata breve alla prima pagina. Era scritto in caratteri microscopici e, senza gli occhiali, non sarei riuscita a leggere nemmeno una parola.
Intanto, intorno a me, c’era solo il più completo silenzio.
Imbarazzata mi schiarii la voce.
«Non ho gli occhiali, non riesco a leggere.» borbottai, con le guance in fiamme. Ma perché dovevo sempre fare certe figure?
Zayn, seduto accanto a me, emise uno sbuffo sprezzante. Lo guardai con la coda dell’occhio, stupita da tutto quel risentimento. Non gli avevo fatto niente, allora per quale motivo mi guardava come se gli avessi appena accoltellato la madre?
Zia Kate sospirò.
«In poche parole, sarai la fidanzata di Zayn. Il contratto ha la durata di un anno e ti sarà garantito uno stipendio sostanzioso e regolare.» spiegò, con indifferenza.
Impallidii, con la speranza di aver sentito male. Quello, avrebbe giustificato senza ombra di dubbio tutto l’astio che stavo ricevendo.
«Pensavo si trattasse di un lavoro d’ufficio.» pigolai, in difficoltà.
Ecco. Ancora una volta, avevo avuto la conferma che mettersi in affari con zia Kate non fosse mai una buona idea.
Ma come le era venuto in mente di fare una cosa del genere? Come potevano pilotare la vita delle persone fino a quel punto?
Capivo alla perfezione che i One Direction fossero celebrità - avevano conquistato il mondo musicale ed erano famosi dappertutto – e che, di conseguenza, avessero un’immagine da mantenere. Ma, ingenuamente, avevo sempre pensato che fosse più semplice. Una truccatrice, magari qualcuno che stabiliva il loro stile nel vestiario, o qualcuno che controllava ciò che avrebbero dovuto dire, ma non avevo mai sospettato che anche la loro vita amorosa potesse essere messa così sotto controllo.
Grazie al cavolo, che mi odiavano tutti. Ero la stronza pagata per fingere di stare con uno di loro.
«Io non ho mai parlato di lavoro d’ufficio.» puntualizzò zia Kate, infastidita.
Probabilmente, si aspettava che mi sarei prostrata ai suoi piedi per ringraziarla della sua offerta.
«Zia, non credo di poterlo fare.» sostenni, sincera.
Alla parola “zia” si scatenò il putiferio.
Louis, seduto sul divano accanto ad Harry, scattò in piedi e cominciò ad urlare.
«Una raccomandata! Dovevamo aspettarcelo! È inconcepibile!» mi guardò con odio, poi tornò a sedersi sotto richiesta di Harry, che gli aveva afferrato il braccio per trattenerlo.
«Sai cosa è inconcepibile, Louis? Che il tuo collega sia stato fotografato sette volte, ubriaco, sempre in compagnia di una ragazza diversa: questo è inconcepibile. E la vostra immagine ne risente, ogni volta che esce fuori uno scandalo simile.» sibilò zia Kate, infastidita.
«Per quanto riguarda te, Evangeline, ti conviene firmare il contratto. Ho già contattato il tuo padrone di casa, ha detto che non paghi l’affitto regolarmente e che ha tutta l’intenzione di sfrattarti alla fine di questo mese.»
Arrossii fino alla radice dei capelli, umiliata. Perché mi faceva questo? Mi stava facendo passare per una morta di fame – cosa che forse potevo anche essere, ma non c’era bisogno di farlo presente in quel modo – davanti a cinque quasi coetanei che probabilmente avevano tanti soldi da potersi comprare dieci palazzine come quelle in cui vivevo.
Tuttavia, aveva detto la verità. Non avevo pagato l’affitto dello scorso mese, ma non era colpa mia se i signori Jackson non mi avevano pagato come d’accordo. Cosa avrei dovuto fare? Prostituirmi?
Zia Kate mi allungò una penna e aprì il plico di fogli, fermandosi sulla pagina in cui avrei dovuto lasciare la firma.
Deglutii, in difficoltà. Cosa dovevo fare? Firmare, oppure no? Mi sentivo quasi una prostituta e la cosa non mi piaceva. Non volevo essere scorretta e non volevo neanche costringere Zayn a sopportarmi. Forse, però, avrei potuto essergli d’aiuto, in qualche modo. Non sapevo come, ma ci avrei pensato.
Cosa fare?
Pensai un’altra volta all’affitto, a Andy – che anche se mi avrebbe accolto, sarebbe senz’altro rimasta delusa per il mio fallimento – a mamma e papà, che erano così fieri di me e raccontavano a tutti quanti che la loro bambina era cresciuta ed era indipendente.
«Mi dispiace.» mormorai, rivolta a Zayn.
Firmai, con mano tremante e con la sensazione di aver appena commesso un terribile sbaglio.
Zia Kate si sfregò le mani, soddisfatta dalla vittoria appena conseguita. Io mi limitai a fissare la scrivania con aria assente. Non avrei dovuto firmare. Ero una persona orribile.
«Ora, mentre aspettiamo Suzanne con la colazione, sarà il caso di chiarire un paio di punti.» zia Kate si sistemò gli occhiali sulla punta del naso e fece cenno ai One Direction di avvicinarsi alla scrivania.
Con aria svogliata, tutti e quattro si posizionarono dietro la sedia di Zayn, che continuava a rimanere stoicamente in silenzio. Io, stretta in un angolo, mi sentivo piccola e infame.
Mi detestavo per quello che avevo fatto, ma avevo scelta? In realtà sì, avrei potuto non firmare, ma non volevo proprio tornare a casa e ripetere a tutti che non ero stata capace di cavarmela da sola.
«Punto primo: nessuno, ovviamente, deve venire a conoscenza di questo accordo. Vale per tutti voi. Evangeline, tieni la bocca chiusa.»
Certo, perché proprio non vedevo l’ora di dire che ero una persona di merda. Quel contratto sarebbe stato il primo dei miei scheletri nell’armadio.
«Punto secondo: vi comunicherò le date delle uscite ufficiali, per tutto il resto, sarebbe meglio che non vi faceste vedere in giro senza avvisarmi. Punto terzo: per ogni cosa, dovrete fare riferimento a me. La vostra immagine è tutto, mettetevelo bene in testa. E, ultima cosa, quando siete insieme, sorridete, fate finta di divertirvi, parlate come se foste davvero innamorati. Se qualcuno sospettasse qualcosa, decideremo come agire. Oh, ecco il caffè!» cinguettò, improvvisamente entusiasta.
Non avevo neanche il coraggio di guardare Zayn negli occhi, certa che vi avrei trovato solo il disprezzo. Non avrebbe mai funzionato, nessuno ci avrebbe scambiato per una coppia di innamorati. Era impossibile. E poi, io ero una pessima attrice.
«Caffè?» Suzanne – la segretaria che poco prima mi aveva guardato con disgusto – mi porse il bicchiere di Starbucks con un sorriso maligno.
Non capii il motivo del suo divertimento, fino a che non finse di inciampare e mi rovesciò il contenuto del bicchiere sulla camicia bianca.
Balzai in piedi, perché il caffè scottava e la camicia mi si era appiccicata addosso.
«Sono mortificata.» sibilò Suzanne.
Come no, era il ritratto della desolazione. Agitai una mano, per dirle di lasciar perdere.
«Non importa. Potresti darmene un altro, per cortesia?» stupita dal mio tono tranquillo, mi porse un altro bicchiere.
Avrei sarebbe piaciuto rovesciarglielo addosso, ma non volevo abbassarmi ai suoi livelli. Perciò mi sedetti, la ringraziai e cominciai a bere.
Che giornata del cavolo. Era cominciata male, ma avevo la sensazione che le cose sarebbero peggiorate ulteriormente.
«Suzanne, porta una delle mie camicie di scorta. E fa in modo che non succeda più, o la prossima volta ti licenzio in tronco.» berciò Kate.
Suzanne arrossì e annuì, rivolse un’occhiata ai ragazzi ed uscì dalla stanza.
«Tutto okay?»
Era la prima domanda gentile che mi veniva posta e mi colse decisamente in contropiede.
Guardai Liam con gratitudine, ma lui sembrava già essersi pentito di avermi parlato. Probabilmente, era una persona gentile e gli era uscito spontaneo chiedere, ma non significava che mi avrebbe accolto a braccia aperte o che si sarebbe mostrato disposto a conoscermi.
«Sì, grazie.» mormorai, imbarazzata. Zayn mi rivolse un’occhiata risentita – l’ennesima – e si voltò dall’altra parte. Perfetto, già non mi sopportava.
Cadde di nuovo il silenzio, finché Suzanne rientrò con la camicia di zia Kate. Me la porse con un sorriso gelido, poi mi indicò il bagno con un cenno del capo.
Ringraziai e corsi a cambiarmi. In tutta probabilità, l’aria del bagno sarebbe stata più respirabile di quella dentro la stanza.
Non appena chiusi la porta, mi sentii libera di tirare un sospiro di sollievo. Non mi ero nemmeno accorta di essere rimasta praticamente in apnea, fino a che non avevo sentito la necessità di prendere fiato.
Mi cambiai lentamente, cercando di ritardare il più possibile il momento in cui avrei incontrato di nuovo lo sguardo di cinque quasi sconosciuti che mi odiavano.
«Stupida, stupida, stupida.» mi insultai.
Mi cadde lo sguardo sullo specchio. Rifletteva esattamente ciò che non avrei mai voluto vedere: una brutta copia di zia Kate.
Quella camicia, all’improvviso, mi sembrava troppo stretta, i capelli troppo ordinati e la mia faccia non era più la mia faccia.
Era una sconosciuta dall’aria familiare e non mi piaceva. La vera Eve non avrebbe mai firmato quel contratto e non sarebbe mai caduta in quel subdolo tranello.
Perciò, in quel momento, decisi che sarei stata dalla parte di Zayn, anche se lui mi avrebbe disprezzata, anche se non mi avrebbe mai accettata.
Doveva essere rimasto un po’ di me stessa, sotto quella camicia bianca.
Un po’ più serena, tornai in ufficio.
La situazione non era cambiata poi tanto, se non per il fatto che la mia sedia era stata occupata di nuovo da Liam: non avrei mai avuto il coraggio di chiedergli di alzarsi e, dopotutto, pensavo che la “riunione” – se così poteva chiamarsi quello schifo di incontro – fosse finita.
Perciò sorrisi a zia Kate, afferrai il mio contratto, ripromettendomi che l’avrei letto molto meglio una volta arrivata a casa e agitai la mano verso Liam, che si stava alzando per cedermi il posto.
«Non ti preoccupare, rimani pure. Tanto sto andando via.» gli sorrisi, tranquilla e mi avviai verso la porta. Una volta superato lo choc iniziale e presa una decisione più o meno intelligente, mi sentivo più a mio agio.
Dopotutto, ero una persona pratica.
«Evangeline?» mi richiamò zia Kate, stupita dal fatto che me ne stessi andando di mia iniziativa. Chissà, forse cominciava a pensare che non fossi dotata di un cervello funzionante.
«Sì, zia?»
«Ti accompagnerà Zayn. L’autista è a vostra disposizione. Fate conoscenza, ti contatterò io per decidere le date delle prossime uscite.» sostenne.
«Potete andare.»
E fu in quel momento, che Zayn Malik mi guardò negli occhi per la prima volta. Quello che vide, però, non gli piacque per niente.
 
 

***



Buonaseeera, fanciulle! Ecco qua il primo capitolo, in cui si comincia a capire qualcosa di più su Eve, sul suo modo di pensare, sulla bastardaggine di zia Kate e... be', vi dico solo che questo Zayn lo amo, don't know why. O, meglio, lo so perchè, ma non posso dirlo anche a voi, o spoilero troppo e non và bene.
E niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio per le recensioni al prologo, per aver inserito la storia tra le seguite e blablabla e vi adoro. Punto.
Se vi và, fatemi sapere che ne pensate :):)

Baci,
Fede!
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***









Capitolo 2

 





Zayn non sembrava particolarmente entusiasta di accompagnarmi a casa, questo sarebbe stato evidente anche a un cieco. Tuttavia, disobbedire a zia Kate era fuori discussione – almeno per il momento – e, oltretutto, non credevo nemmeno che avrebbe accettato un rifiuto con tanta serenità. Era una persona vendicativa, cinica e molto rancorosa.
Una gran bastarda, in parole povere.
Perciò annuii e salutai i presenti con un cenno del capo e un sorriso tirato e di circostanza. Non osavo neanche immaginare quante me ne stessero tirando dietro al momento.
Zayn, invece, sibilò un “ci vediamo dopo” agli amici e si incamminò dietro di me lungo il corridoio.
Forse avrei dovuto rallentare il passo, per ridurre la distanza tra di noi e potergli camminare a fianco. Ma, al contrario, accelerai lievemente, nervosa: avevo come l’impressione che trovarsi ancor più vicino a me non gli sarebbe piaciuto per niente.
Come avremmo fatto a tenerci per mano? Io avevo anche solo paura di sfiorarlo. Chissà come avrebbe reagito. Probabilmente gli avrei fatto ribrezzo.
«Buona giornata.» Suzanne, seduta di nuovo alla sua scrivania, rivolse un sorriso smielato a Zayn che la salutò con un cenno del capo.
«Mi dispiace per il caffè.» mormorò, quando le passai davanti. Sembrava stranamente sincera, così le sorrisi e feci spallucce.
«Non importa, sono sicura che non l’hai fatto apposta. Buona giornata.» le augurai, serena.
Zayn, che nel frattempo mi aveva sorpassata senza troppi problemi, era quasi arrivato all’uscita.
Lo vidi aprire la porta e uscire senza degnarmi di un’occhiata. Ci rimasi un po’ male, in realtà, perché – chissà per quale motivo – credevo che mi avrebbe fatto uscire per prima, come voleva l’educazione.
Pochi istanti dopo sbuffò, alzò gli occhi al cielo e tornò indietro per aprirmi la porta. Stupita, farfugliai un ringraziamento.
«Tua zia ci sta guardando dalla finestra. L’ho fatto solo per quello.» rispose, con tono incolore. Arrossii, un po’ umiliata: avevo davvero pensato che l’avesse fatto spontaneamente, ma a quanto pareva non aveva alcuna intenzione di essere gentile con me.
Non lo biasimavo, ma nemmeno lo giustificavo. Non era autorizzato a trattarmi come se fossi feccia. Questo era un punto che avrei chiarito quanto prima.
Improvvisamente infastidita, mi diressi verso la macchina – la stessa che mi aveva “scortato” fino a lì – e salutai l’autista con un cenno del capo.
«Tutto bene, signorina?» domandò, cortese. Gettai uno sguardo a Zayn, che si stava avvicinando con espressione stizzita e scossi impercettibilmente la testa.
«No, non proprio.»
Mi sedetti con l’aria di un condannato al patibolo e mi rannicchiai in un angolo, mentre osservavo Zayn accomodarsi dal lato opposto, senza dire una parola.
“Conoscetevi”, aveva detto zia Kate. Come se fosse così semplice. Come potevo conoscere qualcuno che mi odiava?
C’erano una marea di modi in cui avrei potuto prendere la parola, ma non me ne veniva in mente nemmeno uno e, oltretutto, sentivo che dall’altro lato non c’era poi tutta questa grande volontà di conversare.
Perciò feci l’unica cosa che mi venne in mente e che, in tutta probabilità, stabilì definitivamente la prima, pessima impressione che Zayn aveva di me: presi il contratto.
Lo estrassi dalla cartellina in cui zia Kate l’aveva riposto e lo sfogliai distrattamente, sforzando la vista nel tentativo inutile di leggere qualcosa. Mi fermai in corrispondenza della pagina in cui avevo firmato e sospirai.
Zayn, che per tutto il tempo mi aveva fissato come se volesse uccidermi, inarcò un sopracciglio e fermò lo sguardo sulla mia pessima calligrafia.
«Non prenderà fuoco, se lo guardi così. E io nemmeno.» rivelai, infastidita dalla sua espressione supponente. Quando posò gli occhi su di me, mi sentii arrossire: nessuno mi aveva mai guardato in quel modo.
Certo, sembrava piuttosto scontroso e avevo come l’impressione che gli sarebbe piaciuto trucidarmi, ma era comunque molto… intenso. Ed io non ero abituata ad avere a che fare con ragazzi così, perciò mi fece piuttosto effetto e mi pentii immediatamente della mia uscita.
«Chiariamo il concetto, ragazzina...» cominciò, infastidito.
Sussultai, impreparata a tanto astio ed arrossi nuovamente.
«Mi chiamo Eve, non ragazzina.» lo interruppi. D’accordo, lo capivo e comprendevo quanto fosse arrabbiato, ma non aveva nessun diritto di parlarmi con quel tono.
Se solo avessi immaginato, però, che parlare con Zayn sarebbe stata una battaglia persa in partenza, mi sarei stata zitta e gli avrei fatto esprimere il suo “concetto” in santa pace.
«Come vuoi, non mi interessa. Quello che voglio che tu capisca, ragazzina, è che io non ho alcuna intenzione di parlare con te, di conoscerti o di fingere di amarti. Non succederà mai una cosa simile, è abbastanza chiaro? Ti bacerò se sarà necessario, ti prenderò per mano. Ma di te, non me ne fregherà mai niente. Sei solo uno strumento per riabilitare la mia immagine.»
Uno strumento. Era così che mi vedeva. Non credevo che mi avrebbe fatto così male, sapere la verità. Ero una persona comprensiva ed anche piuttosto intelligente e, seppure avessi sospettato che prima o poi Zayn avrebbe potuto dirmi qualcosa di simile, non ero preparata all’umiliazione che avrebbero comportato.
Mi sentivo veramente insignificante e avevo anche voglia di piangere. Speravo solo di essere abbastanza cocciuta da non dargli quella soddisfazione.
Non sapevo perché, ma avevo l’impressione che fosse esattamente ciò che Zayn voleva ottenere ed io non ero tanto stupida da dargliela vinta così facilmente.
«Lo so, che mi odi. Lo capisco.» mormorai infine, dopo parecchi minuti di completo silenzio.
Zayn rimase ostinatamente muto, con lo sguardo perso fuori dal finestrino e l’aria estremamente seccata, nemmeno gli stessi chiedendo di camminare in ginocchio sui ceci.
«Ma non sapevo che l’offerta di zia Kate riguardasse una cosa simile, devi credermi. Mi ha colto di sorpresa, e non è mai prudente mettersi contro di lei. E, comunque, devo pagare l’affitto.» persino a me sembravano una marea di giustificazioni inutili, ma non potevo farci niente. Il dado ormai era tratto ed io mi ero invischiata in qualcosa di più grande di me. Speravo solo di riuscire a gestire la situazione senza impazzire.
«Ti ho forse dato l’impressione che mi interessi?» replicò Zayn, indispettito. Spalancai la bocca, senza sapere cosa dire. Alla fine la richiusi, anche perché se sua maestà non era intenzionato ad ascoltarmi, era inutile che pensassi ad un modo per fargli capire che sarei stata dalla sua parte.
Tuttavia, per quanto mi ritenessi una persona comprensiva, non ero affatto disposta ad accettare il suo atteggiamento offensivo, né tantomeno tutta quella supponenza che mi stava riversando addosso senza il minimo riguardo.
Gli avrei dato qualche giorno per abituarsi all’idea di rivolgermi la parola, dopodiché avrei messo in chiaro un paio di punti, affinché la superstar si facesse un’idea di chi avrebbe avuto al suo fianco per il prossimo anno.
Dopo aver rivolto a Zayn un’occhiata che sperai risultasse indifferente e non offesa come mi sentivo in realtà, tornai a sfogliare il contratto.
Maledissi chiunque avesse scelto di utilizzare un carattere tanto microscopico e mi sforzai il più possibile di leggerci qualcosa.
Preoccupata, mi chiesi se fosse davvero “denuncia”, la parola che mi stavo sforzando di leggere. Mi morsi il labbro. Non potevo aspettare di arrivare a casa – non eravamo nemmeno a metà strada – perché la curiosità era davvero troppa. Avevo bisogno di sapere.
«Senti…» cominciai, ma Zayn si voltò verso di me con uno scatto così improvviso da farmi sussultare.
«Non parlarmi.»
Inarcai un sopracciglio, indispettita. Per come la vedevo, stava leggermente passando il segno. Non sapeva nemmeno cosa volevo dire, che accidenti di motivo c’era, di scattare così? Maledizione, avevamo passato insieme nemmeno dieci minuti, e già mi detestava.
Cosa avrebbe fatto, quando sarebbe giunto il momento di baciarmi? Probabilmente si sarebbe sparso un po’ di cianuro sulle labbra, così da avvelenarmi. Mi appuntai mentalmente di non parlarne mai ad alta voce, per evitare di fornirgli un’idea del genere. Non sapevo nemmeno se fosse realizzabile una cosa simile, ma era meglio non correre il rischio.
«Si dà il caso che io sia dotata di corde vocali.»
Silenzio. Sarebbe davvero andata così? Io avrei parlato e lui si sarebbe limitato ad ascoltare, senza rivolgermi nemmeno una parola? Per un attimo fui tentata dall’idea di farlo spazientire ancora di più, per il semplice gusto di trascorrere il tempo in maniera produttiva, ma rinunciai quasi subito, quando mi resi conto che Zayn l’avrebbe colto come un altro tentativo di dargli contro.
«D’accordo, per oggi ti lascio perdere. Solo che mi era sembrato di aver letto la parola denuncia e volevo capire se ci avevo visto giusto.» spiegai, velocemente.
Magari continuare a ricordargli che la sua vita privata era appena stata messa sotto contratto non era propriamente un’idea geniale, ma non sapevo che altro fare.
Non avevamo niente che ci accomunasse, se non quelle stupide pagine colme di frasi illeggibili ed incomprensibili.
Zayn non rispose, ma mi sembrò di cogliere una scintilla di curiosità nel suo sguardo scuro.
«Non riesco a credere di aver dimenticato gli occhiali a casa. Sono una tale imbranata, certe volte. Non lo faccio apposta, solo che sono un po’ distratta e…»
«Dammi qua e sta’ un po’ zitta, maledizione. Sei fastidiosa.»
Cielo, che simpatico. Sarebbe stato davvero più difficile del previsto, per me, relazionarmi con una persona del genere.
Allungò la mano con un gesto secco e piuttosto perentorio e mi strappò il contratto di mano con stizza.
Con le labbra fini serrate per la rabbia e gli occhi socchiusi – per un attimo, rimasi incantata a guardare le ciglia lunghe, che sfioravano quasi le gote, ora che aveva il viso chinato verso il basso – scorse la pagina alla ricerca di quanto gli avevo chiesto.
«Se parli del contratto con qualcuno di esterno, sei passabile di denuncia.»
Un altro gesto rigido per porgermi il contratto, poi tornò in silenzio. Costernata, cominciai a rendermi conto che stavo cacciandomi – anzi, mi ci ero già cacciata – in qualcosa decisamente fuori dalla mia portata.
«A nessuno? Nemmeno a mia sorella?» farfugliai, presa contropiede. Non potevo tenere un segreto così, sarei impazzita. Era un affare troppo grosso affinché potessi farcela da sola.
Però, ripensandoci bene, se l’avessi raccontato, non ci avrei fatto per niente una bella figura. Forse avrei fatto meglio a mantenere il silenzio.
Ma cosa avrei detto ai miei genitori, quando mi avessero chiesto di conoscere Zayn? Perché se la notizia della nuova fidanzata di Malik fosse stata resa pubblica, di certo anche loro l’avrebbero saputo. Santo cielo, non riuscivo nemmeno a pensare.
E Zayn – nonostante fossimo sulla stessa barca – non era affatto d’aiuto.
«Vuoi tapparti quella bocca? Cazzo.» sbottò.
«Non c’è bisogno di fare lo stronzo, però.» replicai, prima di riuscire a trattenermi. Per mia fortuna (e per fortuna di Zayn, probabilmente.) l’autista fermò la macchina esattamente di fronte alla palazzina in cui abitavo.
Mi aprì la portiera e mi sorrise, gentile.
«Siamo arrivati, signorina Morrigan.»
Sospirai di sollievo, afferrai il contratto e la borsa e scivolai sul sedile, fino a posare i piedi sul marciapiede.
Mi voltai per salutare Zayn, ma lui era troppo impegnato a scrivere furiosamente al telefono e non mi degnò di un’occhiata.
«Ciao.» salutai, anche se ero certa che non mi avrebbe risposto.
Non diede cenno di avermi sentita, così lo lasciai lì, a crogiolare nel suo brodo di rabbia e astio, nella speranza che il viaggio di ritorno in completa solitudine gli potesse portare un po’ più di serenità e, magari, una piccola dose di gentilezza.
Quando la macchina fu lontana, pestai il piede sul marciapiede, nervosa.
«Stronzo.»



***



Be', se siete arrivate fin qui e non odiate Zayn, complimenti.
Io lo detesto, al momento, ma lo capisco. E capisco Eve. E non so che cacchio dire, perché devo andare a preparare la cena ma volevo aggiornare prima che mi passasse completamente la voglia.
Quindi, ecco qui.
E' arrivato il banner! TA-DAAAAAN! (Grazie, Jas <3)
E niente, fatemi sapere che ne pensate, dai :)
Vi adoro,
Fede <3

 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 





Capitolo 3

 




Quella notte non chiusi occhio nemmeno per un istante. Rimasi a letto, con gli occhi sbarrati, le labbra strette e i muscoli doloranti per l’immobilità.
I pensieri erano tanto schiaccianti da impedirmi persino di muovermi. Fui più volte tentata di afferrare il telefono, telefonare a zia Kate (sebbene la sola idea mi disgustasse) e supplicarla di annullare il contratto.
Mi sentivo una persona orribile, insensibile e malvagia. E non lo ero mai stata in tutta la mia vita, perciò i sensi di colpa erano tanto assillanti da togliermi il fiato.
Non osavo nemmeno immaginare cosa stesse passando Zayn, ma ero piuttosto certa che nei suoi sogni – sempre se fosse riuscito a dormire – mi avesse ucciso in almeno un migliaio di modi diversi, uno più doloroso dell’altro.
Dopo un po’, mi resi conto che rinunciare sarebbe stata solo l’ennesima sconfitta da aggiungere alla mia lunghissima lista, perciò conclusi che avrei portato avanti quella farsa nel modo migliore possibile.
Quando finalmente riuscii ad addormentarmi, erano già le sette e le strade cominciavano a riempirsi di macchine – con annessi clacson, passanti che sbraitavano e motori su di giri – e il rumore era così fastidioso che mi svegliò dopo appena mezz’ora.
Così, sull’orlo della depressione più totale, mi trascinai in bagno per concedermi una lunga doccia calda, nella speranza di affogarmi o, in alternativa, di sparire inghiottita dallo scarico.
Ovviamente niente di tutto ciò accadde, così fui costretta a terminare la doccia piuttosto presto – meglio evitare sprechi di acqua che si sarebbero accumulati sulla mia bolletta – e mi dedicai alla colazione.
Odiavo fare colazione, davvero, perché la maggior parte delle volte mi rimaneva tutto sullo stomaco, ma quella mattina avevo come l’impressione che ben presto avrei avuto bisogno di molte energie, così mi costrinsi a mangiare un paio di biscotti al cioccolato.
Mi sarebbe piaciuto bere un po’ di succo di frutta, ma ovviamente non avevo ancora fatto la spesa e il frigo era pressoché vuoto, così rinunciai e me ne tornai a letto, con tutta l’intenzione di trascorrere il resto della mattinata a crogiolarmi nella disperazione.
Naturalmente, le cose non andavano mai come io progettavo, perciò non mi stupii affatto, quando il telefono cominciò a suonare.
Leggere il nome di zia Kate sul display mi fece letteralmente rabbrividire, ma dovevo rispondere, o avrebbe pensato che le cose con Zayn fossero andate davvero male. Certo, avrebbe avuto ragione, ma era meglio evitare che lo sapesse.
«Zayn passerà a prenderti tra mezz’ora, fai in modo di essere pronta e sorridente, chiaro?» ordinò, senza nemmeno lasciarmi il tempo di rispondere. Soppressi un commento sarcastico e sospirai.
«Sì. È tutto?»
«Sì.» zia Kate interruppe bruscamente la conversazione ed io mi ritrovai nel panico più totale. Zayn sarebbe arrivato presto ed io avevo ancora i capelli in disordine, le occhiaie in bella vista e niente da mettermi.
Presa dal panico, cominciai a frugare nell’armadio, sperando che ci fossero almeno i miei jeans preferiti, quelli che mi aveva regalato Andy per il compleanno e che erano l’unico paio ancora vagamente decente che possedevo.
Un po’ di shopping mi avrebbe fatto bene, meditai, mentre li estraevo da un mucchio di roba piegata male. Sì, avevo decisamente bisogno di rinnovare il mio guardaroba.
Afferrata la felpa gialla e gli anfibi neri, mi catapultai in bagno per vestirmi. Erano già passati quindici minuti e sembrava che il tempo scorresse più veloce apposta per farmi un dispetto. Ci mancava solo che anche le forze della natura si alleassero per farmi capire quanto fossi una persona orribile.
Poco dopo, qualcuno suonò al citofono. Ero ancora presa dal mio patetico tentativo di sistemarmi i capelli, perciò ottenni due risultati: mi bruciai con la piastra e inciampai nel cavo elettrico, mentre correvo per aprire la porta.
«Chi è?» domandai nella cornetta, sentendomi – tra l’altro – molto stupida. Non aspettavo ospiti e l’unico che sarebbe dovuto arrivare era schifosamente puntuale.
«Noi.»
Un po’ perplessa, mi resi conto che la voce non apparteneva a Zayn, ma me ne fregai altamente e aprii il cancello.
«Secondo piano, appartamento B.» spiegai, prima di riagganciare la cornetta e correre in bagno. Afferrai un elastico al volo e raccolsi i capelli in una coda disordinata, rinunciai al trucco – anche perché probabilmente avrei combinato un disastro – e, rassegnata all’idea di fare una pessima figura, tornai in salotto nel momento esatto in cui “noi” bussava alla porta con decisione.
Un sospiro e aprii, facendomi da parte per permettere all’allegra combriccola (che, detto tra noi, di allegro non aveva un bel niente) di entrare.
Erano solo in tre, Liam, Louis e Zayn, e nessuno di loro aveva propriamente l’aria entusiasta di trovarsi nel covo del nemico.
«Entrate pure, e scusate per il disordine.» mormorai, imbarazzata. Che figuraccia. Sul divano c’era ancora la coperta delle Principesse Disney, messa lì in bella mostra, i telecomandi erano buttati sul tappeto e un paio di cuscini erano volati per terra.
Il tavolino era ingombro di fogli bianchi e penne dai vari colori e una copia sgualcita di Harry Potter e i Doni della Morte troneggiava su tutto come uno sgangherato trofeo. Per fortuna avevo chiuso la porta della cucina, perché la sera prima non avevo avuto nemmeno la forza – e tantomeno la voglia – di lavare i piatti e li avevo lasciati lì, come ennesima dimostrazione di quanto fossi incapace di badare a me stessa.
Liam mi sorrise brevemente, prima di muovere un passo incerto nel salotto. Louis e “il mio fidanzato”, invece, rimasero immobili davanti all’ingresso, con le braccia incrociate e lo sguardo truce.
«Pensavo sareste arrivati un po’ più tardi.» mi giustificai, afferrando la coperta e cominciando a piegarla malamente. Feci cenno di accomodarsi sul divano ma, a parte Liam, nessuno sembrava intenzionato a trattarmi come un essere umano.
«C’era meno traffico del previsto.» spiegò, con tono incolore. Annuii, lievemente in panico. Come avrei dovuto comportarmi? Non potevo certo parlare con loro come se li conoscessi da una vita, perciò l’unica soluzione era che li trattassi come degli sconosciuti che per caso si ritrovavano in casa mia.
«Posso offrirvi qualcosa da bere? O da mangiare?» proposi, timidamente. Liam scosse la testa, Zayn e Louis non risposero nemmeno, ma si scambiarono un’occhiata piuttosto eloquente.
«Mi dispiace, okay! Non volevo che andasse in questo modo!» sbottai, all’improvviso. Mi dispiaceva davvero per come stavano andando le cose, ma io mi stavo sforzando di essere gentile e loro, invece, mi trattavano come se fossi feccia.
Louis sorrise amaramente.
«Potevi pensarci prima.» celiò, incrociando le braccia al petto. Boccheggiai, in difficoltà.
«Non sapevo si trattasse di questo! Dovete credermi!» mi resi perfettamente conto di quanto sembrassi patetica, ma era la verità. Non sapevo nemmeno che fosse possibile fidanzarsi sotto contratto, figurarsi se avessi mai immaginato che zia Kate avrebbe potuto proporlo proprio a me.
«Certo, come no.» sibilò Louis, scettico.
Non potevo dargli torto, lo sapevo, ma stavo dicendo la verità e in qualche modo dovevo provarglielo.
«Dico sul serio, pensavo si trattasse di un lavoro d’ufficio. Non avevo idea…» mormorai, senza sapere bene cos’altro dire.
Fu allora che Zayn scattò. Mi afferrò per un braccio, strattonandomi con forza.
«Potevi non firmare, stronza! Potevi non firmare!» urlò.
Mi divincolai, spaventata dalla sua reazione e dalla forza con cui mi aveva stretto, e feci un passo indietro, andando a scontrarmi contro il petto di Liam, che si era alzato in piedi e si era avvicinato.
«Scusa.» farfugliai, lievemente in panico. Mi veniva da piangere, ma non volevo farlo lì davanti a loro. Zayn era immobile, con i pugni stretti e le labbra serrate e Louis sembrava imperturbabile, per niente colpito.
Tutto, nel suo sguardo, indicava che mi meritavo ogni singola reazione di Zayn. Anzi, probabilmente sarebbe stato felice se l’amico mi avesse preso a schiaffi.
Mi sorsi il labbro inferiore, mentre sentivo gli angoli degli occhi pizzicare sempre di più, come segno del fatto che il poco autocontrollo che possedevo mi stava letteralmente abbandonato.
«Ho – ho lasciato la piastra attaccata. Scusate.» farfugliai, correndo a ripararmi in bagno. Mi ci chiusi dentro, girando la chiave per ben due volte, come se questo potesse tenere lontano Zayn e le brutte sensazioni che aveva portato con sé.
Non riuscivo a credere a quanto era appena successo. Non sarei mai riuscita ad essere amica di una persona come Zayn, non se avevo paura di lui.
Strinsi la radice del naso tra pollice e indice, cercando di calmarmi un po’. Dovevo smetterla di comportarmi come una ragazzina impressionabile e far capire a Zayn che i suoi scatti e la sua rabbia non mi facevano alcun effetto.
Presi un respiro profondo, mi strinsi il braccio nello stesso punto in cui mi aveva afferrato Zayn e scossi la testa con aria risoluta.
Da quel momento in poi, basta fare la stupida. Mi sarei comportata da persona matura e responsabile, fino a che Zayn non avesse capito che ero dalla sua parte e che non avevo alcuna intenzione di mettergli i bastoni tra le ruote.
Un altro respiro e mi sentii pronta.
In salotto, la situazione non era cambiata di una virgola, se non per il fatto che Zayn e Louis si erano accomodati sul divano accanto a Liam, che fu l’unico – ancora una volta – a degnarmi di un minimo di attenzione.
Fece per aprire bocca, ma lo interruppi con un gesto secco della mano.
«Mettiamo in chiaro un paio di cose. Tu.» puntai il dito verso Zayn, che mi rivolse uno sguardo irato e rabbioso. Mi sforzai di mantenere la calma, anche se mi tremavano le ginocchia. Sperai che il mio tono di voce non mi tradisse e continuai a parlare.
«Non toccarmi mai più, chiaro? Se sei tanto nervoso, quello è il muro. Sbattici la testa, ma non mi mettere le mani addosso. E tu.» guardai Louis, che sorrise con aria supponente ed estremamente fastidiosa.
«Piantala di trattarmi come se fossi una nullità. Quanto a te…» guardai Liam, che sorrise serafico e sereno. «Niente, fai un po’ quello che ti pare.» conclusi, sfinita. Non immaginavo che buttare fuori un po’ di rabbia sarebbe potuto essermi così d’aiuto.
Liam, all’improvviso, scoppiò a ridere.
«Bene, ora che abbiamo capito che non sei vuota come pensavamo, che ne dite di andare a prendere un caffè?»



***



Eccomi qua! Sinceramente, mi ero completamente dimenticata che dovevo aggiornare, ed ecco spiegata l'ora.
Come avete letto, le cose cominciano ad avviarsi. Zayn è un personaggio un po' particolare, è difficile e... be', è pure un po' stronzo, ma a tutto c'è una spiegazione, perciò abbiate fiducia ;)
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Fatemi sapere <3

Per chi volesse, su Twitter sono @FTheOnlyWay


 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***









Capitolo 4

 




«Vuota? Che significa?» domandai, mentre scendevamo le scale.
Liam mi si affiancò, con le mani in tasca e un’espressione tranquilla. Continuavo a vedere un po’ di diffidenza, nel suo sguardo, ma per lo meno l’astio sembrava essersi placato un po’.
Parlare con qualcuno senza aver paura di dire la cosa sbagliata era decisamente un passo avanti.
«Pure stupida.» commentò Zayn, avanti a me. Camminava svogliato, al fianco di Louis e sembrava stesse meditando se buttarsi in mezzo alla strada o, in alternativa, buttarci me.
«Non stavo parlando con te, non intrometterti.» sbottai, infastidita. In genere non ero una persona così aggressiva, anzi. Io ero quella che cercava il lato positivo di ogni situazione, ma Zayn – chissà come – riusciva a tirare fuori il mio lato acido.
Liam ridacchiò.
«Ieri eri tutta un “Sì, zia. Certo, zia. Come desideri, zia.” e, ovviamente, l’impressione non è stata delle migliori.» spiegò, con semplicità.
Annuii, perché di certo non potevo dargli torto ma probabilmente non conoscevano zia Kate quanto me. Oppure sì, e questo avrebbe spiegato alla perfezione l’incazzatura di Zayn, anche se ciò non l’autorizzava a mettermi un solo dito addosso.
«Non so se conosci zia Kate, Liam, ma quella donna è…» cominciai, ma mi  interruppi di fronte agli appellativi che avrei voluto usare per descriverla.
«Una gran bastarda, lo sappiamo già.» si intromise Louis.
Forse sperava che partissi in una filippica in difesa di zia Kate, ma “gran bastarda” esprimeva quasi alla perfezione l’idea che avevo di lei.
«Esattamente. Perciò capirete perché ho dovuto accettare.» conclusi, soddisfatta. Se anche loro si rendevano conto della situazione, che motivo c’era di comportarsi come acerrimi nemici?
«Io non lo capisco, sinceramente.» continuò Louis. Non lessi alcuna cattiveria nella sua voce, ma semplice curiosità, così feci spallucce.
«Tu, evidentemente, non hai un affitto da pagare e dei genitori che ti credono in carriera. Né una sorella incinta, che ovviamente non ti può ospitare. Se ce li avessi, credo che capiresti anche tu.» spiegai, brevemente.
Così stavano le cose. O le accettavano, oppure niente. Io non avrei rinunciato a quel contratto, quella era l’unica cosa di cui ero fermamente sicura.
Zayn mi sembrò in procinto di rispondermi – qualcosa di cattivo, a giudicare dalla sua espressione – ma venne interrotto dal suo telefono, che iniziò a squillare con insistenza.
Curiosa, lo osservai mentre parlava, gesticolando animatamente. Ogni secondo che passava, la furia nel suo sguardo aumentava, così come il tono di voce. Poi, dopo un paio di minuti, attaccò bruscamente e infilò di nuovo il telefono nella tasca dei jeans chiari che indossava.
Si voltò verso di me, con un’espressione rabbiosa e vagamente omicida.
«Ci stanno guardando.» sibilò, seccato. Inclinai la testa da un lato, confusa. E allora? Quando si accorse che non riuscivo a seguirlo, sbuffò, borbottò una serie di improperi e mi si avvicinò con passo svelto.
In meno di un paio di secondi, mi ritrovai stretta tra le sue braccia. Aveva una presa talmente ferma, che temetti volesse strangolarmi.
«Stai cercando di uccidermi?» boccheggiai, in cerca di fiato.
Zayn sorrise, falso come Giuda, e si abbassò fino a sfiorare il mio orecchio con le labbra. Improvvisamente mi resi conto che zia Kate doveva aver avvertito qualcuno della nostra presenza lì e capii cosa sarebbe sembrato agli occhi di chiunque: il famoso Zayn Malik che abbracciava una ragazza e si intratteneva con lei e gli amici alla luce del sole. Con la piccola differenza che, più che abbracciarmi, sembrava volesse uccidermi.
«Sorridi, stupida.»
«La vuoi smettere di insultarmi, pezzo d’idiota che non sei altro?» con un sorriso che sperai sembrasse convincente, gli tirai una gomitata nello stomaco. Potevamo sembrare una coppia di innamorati che giocavano tra loro, ma la verità era che volevo fargli male.
Non ero affatto disposta a lasciarmi trattare come una deficiente, né tantomeno avrei subito in silenzio tutti gli insulti Zayn e il suo odio (giustificato, ma eccessivo).
D’accordo, avevo un’indole pacifica – la maggior parte delle volte – ma se provocata ero in grado di reagire. E l’avrei fatto.
Zayn mi sorrise di nuovo, facendomi vedere per un attimo come sarebbe stato ricevere un po’ di dolcezza da parte sua, anziché un insulto. Restai incantata per un momento, fino a quando mi ricordai che stava solo recitando e che (testuali parole) per lui sarei stata solo un mezzo per riabilitare la sua immagine.
Mi prese per mano, con un gesto talmente spontaneo che mi ritrovai ad arrossire. Lasciai che intrecciasse le nostre dita, poi mi accostai un po’ di più, continuando a sorridere come se fossi realmente felice.
«Sei un’attrice penosa.» commentò Zayn, stringendo gli occhi. Stizzita, strinsi con forza la sua mano, facendolo mugugnare per il fastidio. Di certo non sarei stata in grado di fargli male.
«E tu non sei per niente gentile.» replicai.
Liam, dietro di noi, tossicchiò.
Mi voltai, perplessa.
«Che c’è?»
«Non siete affatto convincenti.» ridacchiò, divertito. Louis annuì, per darne conferma.
«Ma lui vuole uccidermi! E continua ad insultarmi.» mi lagnai, consapevole di sembrare una ragazzina di undici anni.
Ma che si aspettavano da me? Non ero un’attrice e di certo non ero in grado di programmare i miei sentimenti. La vicinanza con Zayn mi imbarazzava e, se fossi stata nella mia vita di tutti i giorni, mi sarei ritenuta fortunata a passeggiare mano nella mano con un ragazzo così bello, ma in quel momento la sua rabbia mi spaventava. Avevo ancora in mente la sua mano stretta attorno al mio braccio ed era un ricordo che avrei volentieri fatto a meno di evocare.
«Non è colpa mia, se sei inutile.»
Ancora. Ed eccolo che ricominciava ad insultare. Ma sul contratto c’era per caso scritto che lui aveva tutti i diritti di dare aria alla bocca? Ero sicura di no, perciò perché non mi lasciava in pace e basta? Doveva semplicemente tenermi la mano – possibilmente senza spezzarmi tutte le falangi – e fingersi contento. Non era poi così difficile.
«Sai, per essere uno che nelle sue canzoni afferma che tutte le ragazze sono bellissime e meritano di essere trattate come principesse, sei davvero un grandissimo stronzo.»
Sorrisi, amabile, come se gli avessi appena detto che adoravo trascorrere il tempo in sua compagnia. Louis ridacchiò, seguito a ruota da Liam, Zayn sorrise a sua volta, risultando parecchio convincente.
«Potevo anche darti della puttana, ma ancora non mi sono permesso di farlo. Perciò non lamentarti.» mi stampò un bacio sulla guancia, in un punto pericolosamente vicino alle labbra.
Non dovetti fingere di arrossire, perché era piuttosto evidente che il mio imbarazzo fosse sincero. Spinta da un impeto di coraggio, mi alzai sulle punte dei piedi – Zayn era più alto di me, quasi venti centimetri – e lo baciai sulla guancia. Era pungente, perché non si era rasato, ma la pelle era calda e lui profumava di buono. Tuttavia, quello non era il momento più adatto per perdermi alla ricerca degli aspetti positivi di Zayn.
«Prova a darmi della puttana.» gli sussurrai all’orecchio «Ed io farò in modo che tutto il mondo sappia che quella di Zayn Malik è solo una facciata.»
Voleva passare alle maniere forti? Perfetto, eccolo accontentato.
Non rispose, perciò interpretai il suo silenzio come un tacito accordo. Sentii Liam e Louis confabulare qualcosa di incomprensibile, dietro di noi, ma non ci feci caso.
Ero troppo impegnata a pensare che il momento tanto temuto, quello in cui io e Zayn avremmo avuto il primo contatto fisico, era arrivato così improvvisamente che non me ne ero neanche accorta. Non era stato terribile quanto avevo immaginato all’inizio. Se le cose fossero continuate così, avrei accettato di buon grado il mio arduo compito.
Nella speranza che anche Zayn, prima o poi, mi concedesse la possibilità di parlare con lui senza insultarmi.
Mi lasciai trasportare per le strade di Londra in una sorta di stato confusionale. Continuavo a pensare a Zayn, a cosa potessi dirgli per convincerlo della mia buona fede. Mi chiesi cosa avrei detto a papà e mamma, quando avrebbero scoperto che frequentavo una star internazionale, mi chiesi cosa avrei raccontato ad Andrea. Lei, incinta e preda di sbalzi ormonali, avrebbe preteso tutti i dettagli romantici della nostra storia. Dettagli che non sarei stata in grado di darle, per il semplice fatto che tra me e Zayn, di romanticismo, non ce n’era affatto.
In compenso, avrei potuto fornirle i dettagli sul suo tono di voce e sulla cadenza che assumeva quando era arrabbiato. Oppure avrei potuto raccontarle di quanto fosse forte la sua presa.
Ma niente romanticismo.
Però, be’, non potei fare a meno di pensare a quanto la sua presa fosse ferma, delicata e per niente fastidiosa. Nella mia immaginazione, mi ero convinta che le sue mani fossero sudate, gelide e callose. Ero certa che toccarlo mi avrebbe disgustata e invece non era così.
Nonostante tutto, sembravamo davvero due ragazzi qualunque.
«Ci stanno davvero fotografando?» domandai poco dopo, per spezzare il silenzio.
«Credi che altrimenti ti avrei sfiorata?» fu la simpatica risposta di Zayn. Ecco, probabilmente sarebbe stato molto meglio se mi fossi stata zitta. Ma prima o poi avrebbe dovuto abituarsi alla mia voce e a rivolgermi la parola, perciò prima era, meglio sarebbe stato per tutti e, soprattutto, per i miei poveri nervi.
«Non c’è bisogno di essere sempre così simpatico, sai?»
«Ma tu non stai mai zitta?»
«Non si risponde ad una domanda con una domanda.» lo rimbeccai, per il semplice gusto di farlo arrabbiare. Se voleva metterla su quel piano, l’avrei accontentato.
«Guarda che tu l’hai fatto per prima, stupida.» mi ricordò. Mi zittii per un attimo, perché in effetti aveva ragione. Poi mi fermai di colpo, causando una specie di tamponamento a catena. Liam si scontrò con Louis, Louis con Zayn e tutti e tre mi guardarono come se fossi pazza.
Con un sorriso – ormai mi facevano male tutti i muscoli facciali – lasciai la mano di Zayn e gli pestai il piede con forza.
Avevo adocchiato un paparazzo dietro l’angolo, e volevo dare l’impressione che io e Zayn fossimo davvero una coppietta felice, di quelle che bisticciano con affetto, per il solo gusto di sfiorarsi un po’. Anche se il concetto di “sfioramento” aveva assunto un significato piuttosto relativo.
«Ma sei impazzita? Razza di deficiente, mi hai fatto male.» ringhiò Zayn, facendo un passo verso di me, con tutta l’intenzione di… fare che cosa? Ero stata piuttosto chiara, quando gli avevo detto di non sfiorarmi.
«Quanto mi piace stare con te!» cinguettai, andandogli incontro e anticipandolo. Gli cinsi il collo con le braccia e sorrisi.
«Non prenderti troppa confidenza, ragazzina.» mormorò Zayn, affondando le mani nei miei fianchi con più forza del necessario. Strinsi i denti, perché mi sarebbe piaciuto tirargli una ginocchiata sui gioielli di famiglia, ma rimasi lì, in silenzio e con il sorriso, alla disperata ricerca di un motivo per non mollare tutto all’istante.




***




Ed ecco qua a grande richiesta, il capitolo 4! Come avete visto, le cose tra Zayn e Eve non vanno proprio alla stragrande. Bisticciano e basta, ma piano piano comincieranno a conoscersi. Ed Eve non è tanto debole come sembra, perciò... niente, o finisce che spoilero.
Fatemi sapere che ne pensate, per favore :)
Vi adoro,
Fede.

Per quanto riguarda gli aggiornamenti, non so se saranno puntuali come al solito, perciò non stupitevi se salterò qualche giorno e non saranno tutti i lunedì. In ogni caso, prima o poi aggiorno!

 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***









Capitolo 5

 






«Devo proprio tornare a casa, mi dispiace.» sostenni, dopo quasi un’ora.
Era stata praticamente l’uscita più lunga e complicata di tutta la mia vita. Sapevo di avere gli occhi di tutti puntati addosso e mi sentivo talmente a disagio, all’idea che ben presto la mia storia con Zayn sarebbe stata resa pubblica, che non riuscivo nemmeno a muovermi con naturalezza. Un gufo impagliato avrebbe saputo fare di meglio e sarebbe stato più di compagnia.
Zayn, d’altro canto, non era stato affatto d’aiuto. Aveva parlato poco e niente e, ogni volta, mi aveva rivolto qualche insulto non troppo velato, sempre con un sorriso angelico. Sotto invito di Liam mi aveva circondato le spalle con il braccio destro, borbottando qualcosa che fortunatamente non ero riuscita a comprendere.
Poi, finalmente, era arrivata l’ora di andarmene. La cena non si cucinava da sola, ed io avevo davvero bisogno di un po’ di tempo per riflettere in santa pace sulle mie prossime mosse.
Dovevo assolutamente stabilire un piano d’azione. Non avevo intenzione di trascorrere troppo tempo a comportarmi come una sprovveduta ed era veramente il caso che dessi un’immagine di me migliore di quanto fossi realmente.
Nessuno avrebbe creduto, altrimenti, che Zayn Malik fosse innamorato di una come me. Io sarei stata la prima a non farlo.
Mi divincolai leggermente da Zayn, che lasciò ricadere il braccio sulla spalliera della mia sedia, con indifferenza.
Certo, che grande coppia di innamorati.
Liam – che sembrava essersi preso l’ingrato compito di controllare la veridicità delle nostre interazioni da coppietta felice – tossicchiò.
«Che palle.» biascicai, allungandomi verso Zayn. Posai le labbra sulla sua guancia senza metterci nemmeno un po’ di entusiasmo, poi sorrisi, afferrai la borsa e salutai con un cenno della mano.
«Non puoi andare da sola.» commentò Louis, con noncuranza. Sia io che Zayn ci voltammo verso di lui come se avesse appena bestemmiato, o sgozzato un cucciolo di delfino davanti ai nostri occhi.
«Ti stupirà, ma sono in grado di camminare senza l’accompagnamento.» replicai, con le dita segretamente incrociate dietro la schiena. Essere sicuri di sé era il trucco, pensai. Se fossi stata abbastanza convinta di quello che dicevo – come in quel caso – nessuno avrebbe contestato.
Louis alzò gli occhi al cielo.
«Sentite, a me questa storia non piace. Lo sai, no? Trovo che tu sia stata una gran stronza, a firmare, ma non sei così male.» commentò, sorseggiando il suo qualunque cosa avesse preso con aria assorta.
Inarcai un sopracciglio, indecisa se ridere od offendermi a morte per la noncuranza con cui mi aveva sputato in faccia la sua opinione.
«Ma io e Liam sembriamo più fidanzati di voi. Perciò…» insinuò, mortalmente serio. Mi morsi il labbro inferiore, senza potergli dare torto. In fondo, era vero che lui e Liam erano molto più affiatati. Ma non si odiavano, erano migliori amici e la cosa, pertanto, era perfettamente comprensibile.
«Stai dicendo che ci vuole un bacio con la lingua, Louis?» sibilò Zayn, disgustato al solo pensiero. Cielo, che esagerazione. Nemmeno a me andava di baciarlo, ma non gli avevano mica chiesto di mangiare lombrichi!
«Io non lo bacio.» sostenni, risoluta. Dopo tutte le cose che mi aveva detto quel giorno, baciarlo era all’ultimo posto nei miei contorti pensieri.
«Non sto dicendo quello. Sto dicendo che, se fossi la mia fidanzata, mi prenderei il disturbo di riaccompagnarti a casa. Da solo, senza di noi.» spiegò, pazientemente, indicando se stesso e Liam con il dito.
Ancora una volta, Zayn lo guardò vagamente oltraggiato e, forse, offeso dal fatto che Louis – che fino a quel momento si era schierato apertamente dalla sua parte – avesse espresso in qualche modo un’opinione neutra ed obiettiva.
Guardai Liam in cerca di conferma – chissà perché, lui era quello di cui mi fidavo maggiormente, se di fiducia poteva parlarsi – e quando lo vidi annuire, capii che avrei dovuto fare il primo passo.
Zayn non si sarebbe mai mosso da lì di sua spontanea volontà.
«Mi accompagni a casa, per piacere?» domandai, sforzandomi di sorridere nel modo più sincero possibile.
Zayn si voltò così repentinamente che sussultai. Ma aveva sempre certi scatti, oppure ero solo io a fargli questo brutto effetto?
«No, vacci da sola.»
Come non detto. Brutto pezzo di idiota, facesse un po’ come gli pareva. Io non avevo davvero nessuna intenzione di stare dietro al suo pessimo umore né, tantomeno, alle sue rispostine del cavolo. Poteva tranquillamente ficcarsi la sua rabbia su per il… poteva farci quello che voleva, ecco.
«Bene.» sbottai, secca.
Voltai le spalle a tutti quanti e mi allontanai velocemente, sperando di arrivare a casa senza alcun intoppo e, soprattutto, senza che cominciasse a diluviare.
Il cielo non prometteva affatto bene e il vento si era fatto gelido e dispettoso. Portai dietro le orecchie una ciocca di capelli sfuggita all’elastico e sbuffai, voltando l’angolo.
Stupido, stupido, stupido. Avrei voluto prenderlo a calci in quel cavolo di sedere stretto. Non era nessuno per trattarmi così.
Ma gli conveniva stare attento, prima che perdessi davvero la pazienza e decidessi di fare la stronza. Io, in un certo senso, avevo la sua carriera e il suo futuro in pugno.
Un passo falso e… no, non avrei fatto niente che potesse danneggiarlo, lo sapevo.
E questo perché, nonostante la sua stronzaggine, avevo deciso di aiutarlo. Maledetta me e il mio cuore tenero.
«Aspetta! Ragazzina, aspetta!» la voce di Zayn mi raggiunse da poco lontano, ma lo ignorai.
Non mi interessava un bel niente, fino a che non avesse cominciato a comportarsi decentemente, avrebbe avuto pan per focaccia. O, almeno, ci avrei provato. Perché c’era qualcosa, in lui, che mi suggeriva che avesse davvero bisogno di una persona che si prendesse cura di lui.
«Cazzo, ti fermi o no?» sibilò, afferrandomi il polso con forza. Lo strattonai, perché quella era la seconda – o terza? – volta che mi sfiorava con poca delicatezza e mi stava facendo perdere la pazienza.
«Mi sembra di averti già detto di non toccarmi. Capisci? O fare lo stronzo ti ha fottuto il cervello completamente?» mi incamminai, piantandolo lì, in mezzo al marciapiede, senza dargli nemmeno la possibilità di replicare.
E cosa avrebbe potuto rispondere, d’altra parte? “Scusa, ma sono un coglione che non si rende conto che può farti male se stringe troppo forte?” certo che no, non era mica così intelligente.
E okay, forse i miei pensieri erano un po’ storpiati dalla rabbia, ma davvero non capivo cos’avessi fatto di male.
Mi stavo sforzando di essere il meno molesta possibile, di lasciargli il tempo di realizzare che gli sarebbe toccato sopportarmi per un anno intero, ma lui non era affatto d’aiuto. Perciò che andasse al diavolo. Per quel giorno, io ne avevo avuto abbastanza.
«Piccola, aspetta!» urlò di nuovo, più delicatamente.
Ed ecco come cambiavano le parole quando si rendeva conto che lo stavano osservando. Be’, lui forse era un ottimo attore, ma io non ero altrettanto brava.
Perciò lo ignorai e accelerai volutamente il passo, anche perché ormai aveva cominciato a piovigginare e, da un momento all’altro, probabilmente si sarebbe scatenato un temporale coi controfiocchi.
Sentii i passi di Zayn rincorrere i miei, poi la sua mano fermò la mia, con delicatezza, questa volta e mi costrinse a rallentare un po’.
Mi incantai un istante a guardare una goccia di pioggia ferma sulle sue ciglia lunghe, poi scossi la testa per ritornare coi piedi per terra.
Ripresi a camminare, in completo silenzio, stringendo la mano di Zayn con una presa debole e praticamente inesistente. Sembrava non importargli che ci stessimo inzuppando, ma probabilmente una bella camminata sotto la pioggia, con la ragazza di cui era innamorato gli avrebbero fatto fare un’ottima figura.
«Non parli più?» domandò, pochi minuti dopo. La sua voce era tornata normale, per niente sdolcinata come poco prima e, soprattutto, molto meno accondiscendente.
Tuttavia, il fatto che mi avesse rivolto la parola per primo, mi lasciò decisamente spiazzata. Perciò non risposi, tanto per fargli capire come ci si sentiva a parlare da soli come dei deficienti, visto che era esattamente ciò che avevo fatto io il giorno prima, in macchina.
Di fronte al mio rifiuto ostinato di parlare, Zayn serrò la presa sulla mia mano.
«Ma stai davvero rompendo, con questa violenza.» ringhiai, stringendo a mia volta. Lottammo per un po’, in completo silenzio, stritolandoci le mani a vicenda, fino a che mi arresi con un mugugno dolorante.
«Sei un bastardo.» conclusi, massaggiandomi la mano.
Lui ghignò, evidentemente soddisfatto, poi alzò gli occhi al cielo.
«Per colpa tua mi sto anche facendo il bagno.»
«Non ti fa male, lavarti.» berciai, risentita. Avrei voluto farlo cadere in una pozzanghera, affinché si infangassero tutti i suoi preziosi vestiti firmati.
«Era meglio quando stavi zitta.» continuò, tranquillo.
«Perché non te ne torni al caffè, allora? Non mi pare di averti chiesto niente.» replicai. Cielo, mi stava facendo incazzare sempre di più, ad ogni secondo che passava.
«E perdermi una passeggiata sotto la pioggia, con la mia fidanzata?» celiò, evidentemente sarcastico. Perfetto. Oltre ad essere cinico, indisponente e stronzo, era anche sarcastico.
Davvero niente male. Zia Kate non poteva proprio scegliere nessun’altro, per svolgere questo compito ingrato? No, era giusto far ricadere la pena sulla sua innocente nipote.
Non gli risposi di nuovo, per il solo gusto di farlo innervosire: avevo capito che essere ignorato era una delle cose che sopportava di meno, oltre che la mia voce, la mia presenza e, probabilmente, la mia esistenza nel mondo.
«Be’?» incalzò, spazientito.
Mi voltai a guardarlo, poi sorrisi, gelida.
«Com’è che ti è tornata la voglia di conversare, Zayn?»
Fu il suo turno di rimanere in silenzio, così ne approfittai per accelerare ulteriormente il passo – ormai mancava davvero poco, per arrivare a casa – e distanziarlo.
Mi lasciò fare, perché evidentemente non gli interessava poi così tanto portare avanti la messinscena. Pioveva a tal punto che nemmeno un malato di mente sarebbe uscito. Per fotografare Zayn Malik, poi, figuriamoci.
Non potei fare a meno, ancora un volta, di domandarmi come sarebbe stato essere davvero amica di Zayn, parlare e scherzare con lui senza il timore che volesse uccidermi e, ancora di più, come sarebbe stato essere la sua fidanzata. Era un ragazzo gentile? Uno di quelli che ti riempivano di attenzioni e che ti facevano sentire sempre bellissima e amata? Non lo sapevo, ma di certo non avrei mai avuto il coraggio di chiederglielo né, tantomeno, l’avrei vissuto sulla mia stessa pelle.
Zayn era, mentalmente parlando, a chilometri di distanza da me.
Quando intravidi il portone del palazzo, feci una piccola corsa per mettermi al riparo dalla pioggia battente. Zayn mi seguì con tutta calma, anche perché, in effetti, più inzuppati di così non potevamo essere e tanto valeva prendersela con tranquillità.
Trafficai per qualche istante alla ricerca delle chiavi, dopodiché mi resi conto che non sapevo proprio cosa fare: far salire Zayn, oppure mandarlo al diavolo?
Nonostante la seconda opzione mi sembrasse vagamente allettante, gli feci cenno di seguirmi.
«Entra, dai. Finché smette di piovere.» lo invitai, incerta.
Scosse la testa, negativamente. Cosa credeva, che l’avrei violentato sul pianerottolo? Se mai ero io, quella che doveva aver paura e non il contrario.
«Senti, non farti pregare. Sto morendo di freddo, e non vedo l’ora di piantarmi davanti alla stufa. Perciò, o sali, o tanti saluti.» farfugliai, con i denti che battevano per il freddo. Zayn ci rifletté su per qualche secondo, poi sbuffò.
«Solo per la stufa. Ma questo non significa che tu mi piaccia.»
«Non ci sarei mai arrivata, grazie per avermelo fatto presente.» dovevo solo pregare che non avesse manie omicide.  
 
 
 



 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***








Capitolo 6

 





L’appartamento vuoto mi aveva sempre fatto uno strano effetto. Qualcosa di molto simile all’angoscia, per intenderci.
Forse la colpa era del silenzio, sempre così pesante e fitto, tanto da spaventarmi. Per questo motivo, ogni volta che rientravo a casa accendevo la televisione, o collegavo l’iPod alle casse, in modo che il vuoto non sembrasse più tanto opprimente.
Questo, almeno, era ciò che avevo fatto fino a quel momento, quando la mia routine aveva ancora una parvenza di normalità e la mia vita non era stata trasformata in una sorta di schifosa soap opera in cui il mio ruolo era quello della stronza.
Feci cenno a Zayn di accomodarsi, incurante del fatto che, grondante com’era, mi avrebbe senz’altro inzuppato mezzo appartamento. Anche perché gliel’avevo proposto io, di salire, perciò non dovevo proprio lamentarmi.
Mi sfilai velocemente la felpa – che sembrava pesare cinque chili in più del solito – e la lanciai sulla spalliera della sedia. Zayn rimase in silenzio, osservandomi come se fossi un animale in via d’estinzione.
Mi diressi verso il ripostiglio, cercando di ignorare il rumore imbarazzante delle scarpe bagnate contro il parquet, poi cercai la stufa – certa di averla accantonata in un angolo recondito – e la trascinai fino al salotto, dove Zayn era rimasto immobile, come se temesse che qualcuno potesse saltargli addosso se solo avesse osato compiere un passo.
Azionai la stufa, beandomi per un momento del soffio di aria calda, poi mi sfilai le scarpe e le lanciai in un angolo.
«Vado a cambiarmi, torno subito.» annunciai, imbarazzata.
Zayn nemmeno mi rispose, come al solito, ma almeno si degnò di fare un cenno col capo. Non era un granché, ma sempre meglio di niente.
Passai in camera a recuperare un paio di pantaloni della tuta e una felpa comoda, poi mi chiusi in bagno. Era tutto come l’avevo lasciato quel pomeriggio. La piastra riversa sul piano di marmo del lavandino, i trucchi sparsi lì accanto e le casse ancora attaccate alla presa.
Agitai i capelli per scrollarmi un po’ d’acqua di dosso, poi afferrai un asciugamano e feci un turbante. Mi cambiai velocemente, buttando nella vasca i vestiti inzuppati, presi un altro asciugamano da portare a Zayn, sciolsi il turbante – meglio evitare di mostrarsi in modo troppo imbarazzante – e tornai in salotto.
Ero convinta che avrei trovato Zayn nella stessa identica posizione, anche perché ormai mi ero quasi abituata alla sua immobilità perenne, ma le cose erano cambiate.
Tanto per iniziare, si era tolto scarpe e calze e le aveva disposte ordinatamente davanti al calorifero, in modo che si asciugassero velocemente. E, in quel momento esatto, si stava togliendo la maglietta.
Come se fosse normale spogliarsi in casa di una persona che odi. Rimasi a guardarlo, mentre stendeva la maglietta e la felpa sul calorifero, poi mi schiarii la voce e mi avvicinai.
Non volevo guardarlo, perché era mezzo nudo ed io ero parecchio in imbarazzo, così gli porsi l’asciugamano con lo sguardo puntato verso lo schermo vuoto del televisore.
Mi sedetti sul tappeto, davanti alla stufa, ma fui attenta a non prendermi tutto lo spazio, nel caso in cui Zayn avesse voglia di sedersi ed evitare di beccarsi una broncopolmonite.
Dopo qualche istante lo sentii sbuffare. Rimasi parecchio sorpresa, poi, nel vederlo piazzarsi accanto a me, con tutta la naturalezza del mondo. Sembrava davvero che per lui fossi invisibile o, peggio ancora, innocua come un cucciolo di cane.
Non si sentiva minimamente minacciato, questo l’avevo capito. Cercai di non soffermarmi troppo sulle nostre spalle a contatto e mi concentrai, invece, sui tatuaggi che Zayn aveva sul braccio destro. Mi sarebbe piaciuto chiedergli che significato avessero (dovevano averne uno per forza.) ma temevo che mi avrebbe risposto al suo solito modo e, sinceramente, per quel giorno ne avevo piene le scatole: avevo ricevuto tanta acidità da essere a posto per una settimana.
«Questo non cambia niente.» sostenne Zayn, poco dopo. Aveva disteso le gambe in avanti, con i piedi puntati contro il getto di aria calda. Era serio, ma abbastanza rilassato.
«Tu non hai fame?» domandai, intelligentemente. Zayn si voltò a guardarmi con aria un po’ stralunata, nemmeno gli avessi chiesto di ballare la samba o correre nudo in tangenziale.
Okay, avevo – non troppo abilmente – glissato la sua precedente affermazione, ma volevo davvero provare a parlare con lui, cominciando dalle cose essenziali e non, invece, con un litigio coi controfiocchi. Sapevo che se gli avessi risposto avremmo litigato di sicuro. A quanto pareva, nessuno dei due aveva un carattere tanto docile.
Zayn rimase qualche istante in silenzio, poi fece spallucce. Lo interpretai come un “sì, ho molta fame” e mi alzai in piedi.
Non sapevo nemmeno perché gli stessi offrendo la cena, ma da qualche parte dovevamo pur cominciare, no?
«Scongelo due pizze, ti và?» proposi, ormai in cucina. Quando fui certa che non potesse vedermi, sospirai, passandomi una mano sulla fronte. A quanto pareva, ero destinata a dire una cavolata dietro l’altra.
Lo sentii biascicare qualcosa e, di nuovo, lo interpretai con un “sarebbe fantastico.” Frugai nel freezer alla ricerca delle due pizze pronte e accesi il forno a 180°, sperando che ci mettesse più tempo del solito a scaldarsi: non avevo nessuna fretta di tornare in salotto e sapevo che, dall’altra parte, Zayn era completamente d’accordo.
Cercai di accantonare il pensiero del suo petto nudo e mi concentrai sulla pioggia, che continuava a scrosciare imperterrita. Ormai, lì fuori, c’era un vero e proprio temporale. Come se l’avessi progettato, un lampo squarciò il cielo e, subito dopo, venne seguito da un tuono.
Mi lasciai sfuggire un gemito di terrore, poi mi spostai al centro esatto della cucina, portandomi lontano dalla finestra. Il bip del forno mi annunciò che la temperatura era stata raggiunta, così, con mano tremante, disposi le pizze su due teglie e le infornai.
Tuonò di nuovo e, ancora, sussultai. Forse, se mi fossi infilata sotto il tavolo, il rumore sarebbe arrivato meno forte.
Okay, d’accordo, ero spaventata. Ma che potevo farci? Sin da piccola, i tuoni avevano avuto un brutto effetto su di me. Nessun evento traumatico a cui associarli, semplicemente mi terrorizzavano. Ogni volta, avevo come l’impressione che il boato facesse tremare le finestre e l’idea che un fulmine potesse mandarne una in frantumi, mi impediva di gestire lucidamente la situazione.
Ovviamente, era il caso che la tempesta infuriasse proprio mentre ero in presenza dell’ultima persona che avrebbe dovuto vedere la mia debolezza e la mia patetica paura.
Al terzo tuono, però, non potei trattenere un urletto stridulo, di quelli imbarazzanti e da liceale sfigata: il vetro della finestra della cucina, aveva tremato per qualche secondo e il panico si era impossessato del mio stupido cervello.
Mi accasciai sotto il tavolo, con le ginocchia raccolte al petto e la testa nascosta tra le braccia. Sperai solo che Zayn non avesse la pessima idea di venire a controllare, ma naturalmente avrei dovuto immaginare che lo fortuna non era dalla mia parte.
«Ma che cosa…?» Zayn si guardò intorno, perplesso, cercando di individuarmi.
Venni tradita da un singhiozzo, che scappò incontrollato. Lì fuori continuava a tuonare ed io non ce la facevo davvero più.
Zayn si fletté sulle ginocchia, per controllare sotto il tavolo. Quando mi individuò, scoppiò a ridere, con un po’ di malizia. Avrei voluto dirgli di andare a quel paese ma un altro lampo illuminò il cielo e, un attimo dopo, l’appartamento si fece buio.
Gemetti, sempre più in panico. Potevo piangere? Perché era esattamente quello che avevo intenzione di fare.
«Porca puttana.» sbottò Zayn, seccato. Com’era evidente, lui era padrone della situazione molto più di quanto lo fossi io.
«Ragazzina…» mormorò, pochi secondi dopo. Scossi la testa, anche se lui non poteva vedermi, ma intuii – a giudicare dal suo sbuffo – che aveva compreso la situazione.
«Ehi, Eve. Andiamo, non puoi avere paura di un temporale.» se cercava di consolarmi, be’, non ci era riuscito affatto.
In ogni caso, non mi sfuggì che mi aveva chiamato per nome, né che il suo tono si era fatto un po’ più gentile.
«A quanto pare invece sì.» balbettai, in seria difficoltà. Se avessi saputo che le cose si sarebbero evolute in questo modo, non avrei mai chiesto a Zayn di salire in casa.
Questa era una delle cose imbarazzanti che nessuno avrebbe mai dovuto sapere.
L’ennesimo tuono, l’ennesimo gemito.
Alla fine, Zayn decise di prendere in mano la situazione.
Mi raggiunse sotto il tavolo, mi si sedette accanto e mi circondò le spalle con un braccio.
«Vuoi strangolarmi?» domandai, un po’ titubante. Sarebbe stata un’occasione perfetta per farmi fuori, se l’avesse voluto.
«No. Voglio che ti calmi e che la smetti di comportarti come una stupida.» sostenne, fermo. Mi strinsi un po’ contro il suo fianco, consapevole del fatto che fosse nudo dalla cintola in su.
«Non lo faccio mica apposta.» mi lagnai, con le lacrime agli occhi. Cielo, che giornata del cazzo.
«Sei proprio una ragazzina.» affermò Zayn, prima di sospirare. Gli tirai un pugno sullo stomaco, ma mi resi conto che la forza che ci avevo impiegato era così patetica che probabilmente non l’aveva nemmeno sentito.
«Non fare lo stronzo, per piacere. Stavi andando così bene.» mormorai.
«Questo non cambia niente, Eve.»
«È la terza volta che lo dici, Zayn. Ho capito. Mi odi e blablabla, da domani sarà tutto come prima. Faremo finta che questa cosa non sia mai successa.» venni interrotta da un altro tuono, ancora più forte dei precedenti.
Mi scappò un altro singhiozzo, così, senza pensare che mi odiasse e che mi avrebbe volentieri trucidata, gettai le braccia al collo di Zayn e nascosi il viso nell’incavo tra il suo collo e la sua spalla.
«Voglio morire.» bofonchiai.
Zayn ridacchiò. «Non riesco a crederci, davvero. Lo sai, che è una cosa ridicola?»
«Zitto. Tu cambi ragazza una volta ogni tre giorni, non sei in diritto di giudicarmi.»
Pessima mossa. Tirare in ballo il contratto era esattamente l’ultima cosa che avrei dovuto fare, ma come al solito avevo parlato senza riflettere. E non potevo nemmeno dare la colpa al panico, visto che quanto avevo appena detto, era un pensiero che mi tormentava dal giorno in cui era cominciato tutto quanto.
Sentii la presa sul mio fianco rafforzarsi un po’, così ne dedussi che Zayn si stesse spazientendo. Già che c’ero, però, avrei potuto cogliere l’occasione per parlargli apertamente.
«Zayn, senti…»
«Zitta. Non ho voglia di parlare del contratto.» mi bloccò, serio. Nel suo tono, mancava un po’ del solito astio, così decisi di provarci lo stesso. Magari, se gli avessi parlato apertamente, avremmo potuto trovare un accordo.
«No, ascoltami.»
«Non starai mai zitta, vero?»
«No.»
«Sei una persona molesta.»
«E tu sei un idiota aggressivo, perciò ascoltami per un momento e metti da parte l’odio che provi per me.» sostenni, decisa.
Zayn sbuffò. Sentii il suo respiro scompigliarmi i capelli e rabbrividii. Stare a contatto con lui mi faceva un certo effetto, per quanto mi sforzassi di ignorare qualsiasi sensazione positiva potessi provare nei suoi confronti.
«Lo so che mi odi. Ti capisco. E mi dispiace, perché potrei essere una buona amica, se tu me lo permettessi. Voglio aiutarti, davvero. Permettimi di stare dalla tua parte, lascia che ti renda le cose un po’ più semplici. Basterebbe così poco, per ingannare zia Kate: lei crede di essere un genio, ma è solo un’arrivista con la mania del controllo. Io le dirò che và tutto bene, ovviamente, ma se tu mi aiutassi, sarebbe molto più facile, capisci? Pensaci, per favore.»
Zayn sospirò, ma rimase in silenzio.
Restammo così, al buio. Io tremante per i tuoni e per la sua vicinanza, e lui immobile, ma con una presa ferma e rassicurante.





***




Ta-daaaan! Che ne pensate? Questo è uno dei miei capitoli preferiti, per la cronaca. Si vede un lato di Zayn un po' più umano e a me non dispiace. Voglio dire, è sempre stronzo, ma per lo meno sa comportarsi. Più o meno.
Cooomunque, ditemi che ne pensate, okay? Cioè, detto così pare un ordine, ma non lo è. Se vi và, fatemi sapere :)
E niente, colgo l'occasione per augurare in bocca al lupo a chi di voi (sempre se c'è qualcuno) domani comincerà gli esami di maturità! Essendoci già passata, vi garantisco che non sono terribili come sembra!
Vi adoro,
Fede.


P.s. Per chi volesse, su twitter sono @FTheOnlyWay

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***









Capitolo 7

 




«Cos’è questa roba?»
Zia Kate sbatté sul tavolo un plico di fotografie, che ancora non ero ben riuscita ad inquadrare e che, tutt’ora, teneva coperte con la sua mano.
La guardai, sperando di sembrare indifferente. Zia Kate era come un segugio: fiutava la paura, e scattava. Perciò, mostrarmi terrorizzata era all’ultimo posto nell’infinita lista di propositi per l’anno nuovo.
E, comunque, avevo fatto credere a Zayn che sarei stata in grado di tenerle testa e, considerato il fatto che lui fosse lì presente, supplicarla di salvarmi la vita non era un’opzione contemplabile.
Zayn, seduto al mio fianco, era davvero imperturbabile. Teneva le braccia incrociate sulla felpa nera e la visiera del cappellino metteva in ombra buona parte del viso. Avrei voluto guardarlo negli occhi, ma non ero certa che vi avrei trovato appoggio.
Dopotutto, non aveva mai risposto in modo affermativo alla mia proposta, e mi aveva lasciata nel dubbio più totale. Fare tutto da sola sarebbe stato molto più difficile, ma non impossibile. Confidavo nelle mie misere capacità di attrice e nel mio ancor più scadente autocontrollo.
Ero una che faticava davvero a contenere le emozioni: ero arrabbiata? Urlavo. Ero triste? Piangevo. Non mostrare il mio disappunto – o terrore, a seconda dei punti di vista – risultava davvero difficile.
Stavo giusto pensando ad una risposta abbastanza intelligente, quando Zayn mi precedette.
«Se non toglie la mano, signora Morrigan, difficilmente riuscirò a capire di cosa sta parlando.» sibilò, con ironia.
Sgranai gli occhi, perché non mi sarei rivolta con quel tono a zia Kate nemmeno in un’altra vita. Nemmeno se la situazione fosse stata inversa, e cioè se io avessi avuto il diritto di comandare e lei avesse dovuto obbedire. Be’, in quel caso forse sì.
Comunque, zia Kate lanciò un’occhiata in tralice a Zayn e spostò la mano dalla scrivania. Zayn si allungò in avanti per afferrare le foto e se le portò praticamente sotto il naso. Tesi il collo, per poter sbirciare senza chiedere niente ma, incredibilmente, mi venne incontro e le spostò tra di noi, in modo che anche io potessi osservare. Di fronte alla mia espressione stupefatta, sbuffò di fastidio.
Che si aspettava? Non ero ancora abituata a ricevere certe “gentilezze” da parte sua.
«Cosa c’è che non và?» domandai, ingenua.
Le foto ritraevano me e Zayn, mano nella mano, il giorno precedente. Io sorridevo, lui un po’ meno, ma sembravamo una coppia, bene o male.
L’unica cosa che non andava, era il mio essere niente affatto fotogenica. Tutto il resto era perfetto.
«Questi…» cominciò zia Kate, con tono mellifluo «Non sono due ventunenni innamorati. Sono due ragazzini di dieci anni che dividono una merendina!» sbraitò, senza riuscire a trattenersi.
«“Zayn Malik, voce dei One Direction, ha incontrato una nuova fiamma: chi è la misteriosa brunetta che l’accompagna?”» recitò, mentre scorreva una pagina web sullo schermo del suo computer.
Storsi il naso al termine “misteriosa brunetta”, perché mi sembrava un po’ stupido e quasi denigrante. “Ragazza” era molto meglio, secondo il mio punto di vista. Che poi, a ben pensarci, nemmeno “nuova fiamma” mi piaceva un granché, lasciava intendere che tra me e Zayn ci fosse qualcosa che andava oltre i baci sulla guancia e le passeggiate (una sola, al momento) mano nella mano.
«“Quanto ci vorrà, questa volta, affinché Zayn si accorga che non è quella giusta?”, “Mano nella mano e baci sulle guance, i nuovi fidanzatini sembrano felici e in sintonia”» proseguì zia Kate, riportando le numerose voci che vedevano me e Zayn come una coppia felice e innamorata.
«“Se quei due stanno davvero insieme, allora io sono un pappagallo del Portorico.”» l’ultima frase fu accolta da un silenzio tombale. Il che non era affatto positivo, perché significava che zia Kate sarebbe esplosa da un momento all’altro.
Si schiarì la voce, chiuse la schermata con un clic secco e furioso e intrecciò le lunghe dita sopra la scrivania.
«Evangeline, sai bene cosa ti succederebbe nel caso in cui questa storia venisse fuori. E tu, Zayn, collabora. La tua immagine è a pezzi, e la tua carriera seguirà un rapido declino, se non cambi. In quanto responsabile della tua visibilità-»
Zia Kate venne interrotta da uno scatto di Zayn, che si alzò in piedi talmente velocemente che la sedia si rovesciò all’indietro e si schiantò a terra con un colpo sordo e vagamente inquietante.
Sobbalzai sul posto, spaventata, poi mi resi conto che se non fossi intervenuta, probabilmente Zayn avrebbe ucciso zia Kate ed io sarei stata coinvolta in un caso di omicidio che mi sarei trascinata avanti per tutta la vita.
«È ora di andare! Si è fatto tardissimo! Scusa, zia, ma io e Zayn abbiamo un appuntamento importante.» lo interruppi prima ancora che cominciasse a parlare, consapevole che qualunque cosa fosse uscita dalla sua bocca l’avrebbe solo fatto precipitare ancora di più nei guai.
E, se volevo davvero convincerlo del fatto che potessi diventare una buona amica, impedirgli di commettere un errore rientrava nei miei compiti.
«Andiamo.» gli sussurrai, prendendolo per mano con delicatezza. Ero un po’ timorosa, a dire la verità, e avevo paura che potesse rifiutarmi, spingermi e buttarmi giù dal balcone (okay, questo era esagerato).
Ma non lo fece. Si limitò a fissarmi con uno sguardo assolutamente disarmante, che ricambiai decisa. Poi sbuffò – di nuovo – e si lasciò trascinare fuori dalla stanza.
Il corridoio era deserto e zia Kate sembrava non avere alcuna intenzione di seguirci.
Presi qualche respiro profondo, sollevata dall’aver appena scongiurato un pericolo, poi mi voltai verso Zayn, che continuava a fissare la porta con aria truce. Sembrava avesse intenzione di irrompere da un momento all’altro. Chissà se zia Kate avrebbe fatto in tempo a mettersi in salvo.
Gli lasciai la mano con deliberata lentezza, per evitare che un movimento brusco lo mettesse in allarme. Zayn era un po’ come un cane selvatico.
«Non ho bisogno del tuo aiuto.» sibilò, dopo qualche secondo.
Inclinai la testa da un lato, perplessa e anche un po’ offesa. Possibile che ancora non capisse?
«Un grazie sarebbe stato sufficiente.» replicai, quindi, infastidita. Se avevo pensato di aver fatto un passo in avanti, dovetti cambiare idea quando Zayn mi spinse contro il muro con ben poca delicatezza. Mi bloccò ogni via di fuga, intrappolandomi con il suo corpo. Come poteva essere capace di cambiamenti tanto repentini? Non me ne capacitavo, eppure ero certa che a questo suo atteggiamento un po’ bipolare dovesse esserci una risposta. Lo spintonai all’indietro, mettendoci tutta la forza di cui ero in possesso.
Ottenni un risultato piuttosto scarso, ma per lo meno ebbi di nuovo la facoltà di muovermi. Massaggiandomi un gomito, che avevo sbattuto contro il muro, mi incamminai lungo il corridoio.
«Devi smetterla di farmi male, Zayn. Chiaro? Stai cominciando a stancarmi. La prossima volta ti prendo a sprangate.» berciai, infastidita.
Probabilmente quella sera mi sarei barricata in camera e avrei pianto, ma in quel momento non potevo certo dargli soddisfazione.
«E tu smettila di impicciarti. Fatti i cazzi tuoi.» rispose Zayn, seguendomi. Mi voltai, con tutto l’intento di mandarlo al quel paese, ma rinunciai: cominciare un altro litigio non avrebbe portato a niente di nuovo.
«Non mi inganni, Zayn. Fattene una ragione. Mi sono messa in testa di aiutarti e tu puoi fare lo stronzo quanto vuoi, ma non cambierò idea.» sostenni, sperando che il mio tono risultasse abbastanza deciso.
«Ma vaffanculo.» sbottò Zayn, in risposta.
«Anche tu, caro. Se vuoi mostrarmi la strada… scommetto che ti ci hanno già mandato un sacco di volte.»
Non disse più niente fino a che non uscimmo dall’edificio, entrambi di pessimo umore e per niente inclini a fingerci due innamorati.
Come la volta prima, Byron (l’autista gentile) mi aprì la portiera e mi chiese come stessi. E, siccome mi ero convinta che tra di noi ci fosse una certa intesa, risposi in tutta sincerità.
«Uno schifo, e sai perché? Perché il mio fidanzato è un gran bastardo.» con un cenno del dito indicai Zayn, che si era già accomodato in macchina, senza nemmeno preoccuparsi di rispondere al saluto di Byron, che non si mostrò per niente sorpreso.
«Sai, questa tua messinscena da superstar viziata è una vera merdata.» gli rivelai, in completa tranquillità.
Zayn non si voltò nemmeno, continuando a fare il gioco del silenzio – per il quale era molto più portato di me, lo ammetto – e a guardare fuori dal finestrino.
C’era una cosa di cui non era a conoscenza, però. La mia dote migliore, quella che tutti mi invidiavano e che mi aveva spinto a lavorare con i bambini, era la pazienza.
E, anche se nel suo caso me ne sarebbe servita davvero molta, prima o poi avrei ottenuto una risposta.
«No, davvero. Ieri sera sei stato quasi gentile.» continuai, imperterrita «E poi, non capisco davvero perché hai questi scatti. Sono spaventosi e non ti si addicono. Non puoi essere davvero così, non ci credo.»
«Vuoi starti zitta, per l’amor del cielo?»
Non era propriamente la risposta in cui avevo sperato, ma era già qualcosa. Per lo meno, avevo ricevuto una prova del fatto che mi stesse ascoltando.
Sempre meglio di niente.
«Ho appena cominciato. A meno che tu non la pianti di comportarti come un coglione – cosa che ti riesce benissimo, te lo concedo – e ti decidi ad affrontare le cose così come stanno.»
«E cioè?»
«Sei costretto a sopportarmi, perché hai firmato un contratto, e io pure. Perciò, o collabori, oppure mi costringi a fare tutto da sola, rendendo le cose più difficili. Per il bene di entrambi, sarebbe meglio se la piantassi di fare lo stronzo, ti mettessi l’anima in pace e cominciassi a riabilitare la tua cazzo di immagine. Se sei in questa situazione, dopotutto, non è certo colpa mia.» soddisfatta del monologo appena concluso, incrociai le braccia in attesa di un riscontro da parte della superstar.
Zayn si tolse il cappello dalla testa, si passò una mano tra i capelli con rassegnazione, poi sospirò, sconfitto.
«Cosa proponi, quindi?»
Ci riflettei attentamente, perché dalla mia risposta sarebbe dipeso, poi, il nostro intero rapporto, oltre che la mia sanità mentale (e la sua, e quella di chi ci stava intorno).
«Tregua. Io aiuto te, e tu aiuti me.» spiegai, spiccia. Era semplice, in fin dei conti. Io lo aiutavo fingendomi la sua fidanzata e lui mi aiutava a non essere cacciata di casa.
Non volevo proprio tornare da Andy, non ora che mancavano giusto un paio di mesi alla nascita del bambino – o della bambina – né tantomeno volevo tornare a Birmingham da mamma e papà. Stavo bene dov’ero e se sopportare uno pseudo-fidanzato con eccessi d’ira degni di una donna mestruata era il mio prezzo da pagare, be’, l’avrei accettato senza battere ciglio. Più o meno.
Nel frattempo, Byron fermò l’auto e scese per aprirmi la portiera.
«Non sono una principessa, Byron. La prossima volta faccio da sola.» gli ricordai. Lui fece spallucce e sorrise.
«È il mio compito, signorina.»
«Sì, ma chi se ne frega. Davvero, faccio da sola.» ripetei. Mi accorsi a malapena che anche Zayn era sceso dalla macchina, perché ero troppo intenta ad osservare Byron che si rimetteva alla guida e si allontanava con una manovra fluida ed esperta.
«E tu che ci fai, qui?» domandai, rivolta a Zayn, che inarcò un sopracciglio – nonostante il cappello, me ne accorsi perfettamente – e indicò un’abitazione a circa venti metri da noi.
«Ci vivo?» domandò, ironico. Sbuffai, sconsolata, perché abitava a chissà quanti chilometri da casa mia e percorrere la strada a piedi mi avrebbe richiesto un’infinità di tempo e di energie che non avevo di sicuro.
Sull’orlo della disperazione e in piena crisi da camminata lunghissima, mi avviai verso la direzione opposta, sperando che fosse quella giusta. Non avevo nemmeno i soldi per pagare un taxi, perciò muovere le gambe era l’unica ipotesi da prendere in considerazione.
«Ci vediamo.» salutai Zayn con un cenno del capo, senza nemmeno rendermi conto del fatto che non mi avesse – di nuovo – dato risposta.
Restò in silenzio (abitudine fastidiosa, che mi ripromisi di fargli perdere al più presto), poi borbottò qualcosa.
«Maledizione. Dai, ragazzina, entra. Ti accompagno io, più tardi.»
Interruppi la mia camminata di colpo e mi voltai per essere certa di aver sentito bene. Quando mi resi conto che le mie orecchie non mi avevano affatto giocato un brutto scherzo e che Zayn era davvero in attesa che lo seguissi, sorrisi.
«Non farci l’abitudine.» borbottò, aprendo la porta.
«Lo sapevo, che non sei tanto stronzo.»
«Fastidiosa. Sei decisamente fastidiosa.»
Eppure, nonostante il tono non fosse per niente dolce, ero piuttosto certa di aver visto gli angoli della sua bocca inclinarsi verso l’alto, nella pallida imitazione di un sorriso.





***




Pensavate che le cose si fossero sistemate, eh? E invece no. Perché Zayn è un idiota testardo e ci vorrà un po', ancora, prima che capisca che Eve è dalla sua parte per davvero. Però ci sono dei piccoli passi avanti, spero che abbiate apprezzato :)
E niente!
Fatemi sapere :)
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***









Capitolo 8

 






La prima cosa di cui mi resi conto mettendo piede in casa di Zayn, fu che la definizione “casa” era la meno adatta che esistesse.
“Casa” era il posto in cui vivevo io: piccolo, accogliente e pieno di cianfrusaglie. Era il luogo in cui mi sentivo al sicuro, protetta e capita. Anche se vivevo da sola, il mio minuscolo appartamento mi faceva sentire davvero a mio agio.
Casa di Zayn, invece, assomigliava ad una di quelle abitazioni che si vedono nei cataloghi: luminose, enormi, arredate perfettamente, ma vuote. Niente lasciava intendere che ci fosse un po’ di gioia, d’amore, di qualsiasi sentimento positivo. Era tutto così freddo e inospitale che per un attimo rimpiansi di non essermene andata direttamente a casa.
«Non ho parole.» mormorai, osservando il gigantesco divano di pelle bianca e il televisore al plasma grande – centimetro più, centimetro meno – come la porta di casa mia.
«Sarà la volta buona che ti stai zitta, allora.» berciò Zayn, facendomi segno di lasciare la giacca sul divano.
«Sei simpatico, davvero. Tu sì che sai mettere gli ospiti a proprio agio.» replicai, lanciando malamente il cappotto e affrettandomi a seguirlo.
Era entrato in cucina e si era diretto senza esitazione verso il frigo.
«Vuoi qualcosa?» domandò, mentre estraeva una ciotola di quella che mi sembrava insalata di riso e un po’ di frutta.
Ci riflettei per qualche secondo: non poteva avvelenarmi, vero? Cioè, anche lui avrebbe mangiato la stessa cosa, perciò non avrei dovuto correre alcun rischio. O, almeno, era ciò che speravo.
«Quello che mangi tu. Non ho pranzato, oggi.»
Ero piuttosto certa che avrebbe voluto rispondermi con un “nessuno te l’ha chiesto” ma chissà perché si trattenne.
Mi allungò una forchetta, spinse la ciotola in mezzo al tavolo, e cominciò a mangiare, tranquillamente. Seguii il suo esempio, affondando la forchetta nel riso. Mi sentivo in imbarazzo, perché mangiare nello stesso piatto presupponeva una certa intimità che, di sicuro, io e Zayn non avevamo. Tuttavia, lui sembrava rilassato come non mai – forse in casa sua (sebbene a me sembrasse tanto fredda) si sentiva più libero – e il suo volto non era contratto in nessuna smorfia, come succedeva ogni volta che io entravo nel suo raggio visivo.
«Stavo pensando…» mormorai, mente mi impegnavo ad infilzare un funghetto.
«Ti prego, non farlo.» mi bloccò Zayn, rivolgendomi uno sguardo a metà tra il supplichevole e l’esasperato.
«Cosa?» domandai, perplessa. Lui alzò gli occhi al cielo. Lo faceva spesso, come se sperasse che qualcuno più in alto di noi potesse dargli la forza di sopportarmi.
«Pensare. È meglio che non lo fai. Poi cominci a parlare e non la finisci più.» rivelò, con un sorriso serafico.
Aprii e richiusi la bocca più volte, oltraggiata. Non sapevo cosa rispondere a quel colpo basso. Perché mai doveva essere così stronzo, ogni volta?
Cioè, non che avesse poi tutti i torti, ma che potevo farci, io? Ero fatta così e parlare era l’unico modo che conoscevo per togliermi dall’imbarazzo.
E lui non era per niente d’aiuto, se sabotava ogni mio tentativo.
«Sei una rottura, Zayn Malik.»
«Mai quanto te, ragazzina.»
Sbuffai, risentita, e continuai a mangiare, mettendoci più foga del normale. La rabbia aveva un brutto effetto, su di me. Se fossi stata a casa mia, mi sarei cucinata un bel po’ di biscotti e li avrei affogati nella cioccolata calda.
Certo, l’unica a rimetterci sarei stata io, ma per lo meno il dolce avrebbe avuto una funzione antidepressiva non indifferente.
Tornai a guardare Zayn e lo scoprii ad osservarmi con attenzione, senza la minima traccia di risentimento. Mi stava guardando come un ragazzo guarda una sconosciuta dall’aria familiare. Abbassai lo sguardo sul tavolo, certa di essere arrossita. Quando sbirciai con la coda dell’occhio, Zayn si era voltato dall’altra parte, ma stava sorridendo. Poco, certo, ma era già qualcosa.
«Mi dai uno pezzo di mela?» domandai, qualche minuto dopo.
Zayn, che si stava sbucciando la mela con aria estremamente concentrata, inarcò un sopracciglio.
«Ce ne sono altre, in frigo. Serviti pure.»
Mugugnai qualcosa che risultò incomprensibile anche per me e cominciai a torturarmi le mani con aria imbarazzata.
«Cosa c’è adesso?» domandò Zayn, suo malgrado curioso. Mi guardava come se temesse che da un momento all’altro potessi rivelargli di essere un marziano. Non era una buona idea, dirgli quello che mi passava per la testa e probabilmente sarei sembrata una bambina e…
«Non so sbucciarla. Ogni volta ne tiro via metà e…»
Inaspettatamente, Zayn scoppiò a ridere di gusto, lasciandomi interdetta e con le guance rosse per la vergogna di aver ammesso ad alta voce qualcosa che sarebbe dovuto rimanere solo nella mia testa.
Mi presi qualche secondo per ascoltare la sua risata. Era dolce, un po’ profonda e rassicurante. Era quel tipo di risata che non ti stancheresti mai di ascoltare.
«Tieni.» terminò di sbucciare la mela velocemente, poi me ne porse metà. Gli rivolsi un sorriso gigante, facendolo ridere ancora di più.
«Sei proprio una bambina…» mormorò, con – cos’era? – tenerezza.
Continuai a sorridere, mentre addentavo quella mela che, un po’, sapeva di vittoria, fiducia e di buoni propositi. Tregua, speranza e fiducia.
Forse non era troppo tardi, forse eravamo partiti entrambi col piede sbagliato. Lui di più, ma nessuno è perfetto.
«Me lo dice sempre anche papà. Secondo lui vivo ancora nel mondo delle favole.» Zayn annuì, stranamente concentrato sulle mie parole. Si alzò, aprì il frigo e prese un’altra mela. Osservai la linea della sua schiena, le spalle – non troppo ampie – ma forti, i fianchi stretti, le gambe lunghe. Aveva una bella figura e, ancora una volta, mi ritrovai a pensare a cosa sarebbe successo, se non fosse stato un cantante di fama internazionale, ma un semplice ragazzo. Magari ci saremmo incontrati, saremmo diventati amici e… basta. La sua amicizia era l’unica cosa che desideravo ottenere. Nulla più.
Mentre io ero impegnata con le mie riflessioni, Zayn tornò a sedersi al tavolo e cominciò a pulire la seconda mela.
Restai incantata a fissarlo, anche se lui diede segno di non accorgersene. Le sue mani sembravano forti – anzi, lo erano, come avevo avuto possibilità di notare – e maneggiava il coltello con una destrezza vagamente inquietante. Se avesse voluto uccidermi, non ci avrebbe impiegato poi molto.
Certo, potevo sempre contare sull’affetto che nutriva per me e… sarei morta.
Mi allungò un quarto di mela perfettamente sbucciato con un’espressione talmente serena che cominciai a dubitare di trovarmi in un sogno. In un bel sogno, per la precisione. Perché solo lì, in un’altra dimensione, Zayn avrebbe potuto offrirmi una mela, sorridermi come se non mi detestasse e guardarmi con curiosità.
Come stava facendo in quel preciso momento.
Mi resi conto di essermi bloccata con la mela a metà strada tra il tavolo e la bocca e arrossii.
«Scusa, stavo pensando.» mi giustificai, con un sorrisino imbarazzato.
«A cosa?»
Boccheggiai, in difficoltà. Non sapevo se fossi più stupita dal fatto che avesse dimostrato interesse e curiosità nei miei confronti, oppure se l’idea di rivelargli cosa pensassi sul serio fosse un suicidio bello e buono.
Però, forte delle mie convinzioni – e cioè che dire la verità era un mio sacrosanto dovere – gli sciorinai velocemente il mio timore di essere accoltellata.
«Tu non sei normale, lo sai? Credi davvero che ti accoltellerei con questo? A malapena ci tagli l’acqua. Ne ho uno in quel cassetto, che farebbe più al caso mio.»
Dovevo essere impallidita parecchio, perché Zayn mi guardò come se temesse che potessi collassare da un momento all’altro.
«Sto scherzando, Eve. Rilassati.» si affrettò ad aggiungere. Annuii, frastornata e lievemente in panico.
«Non mi uccideresti mai, vero?» domandai, con un tono di voce stridulo. Zayn inarcò un sopracciglio poi sbuffò.
«E rischiare che mi accollino un’altra rottura come te? No, grazie. Una basta e avanza.»
«Tu sì che sai come far arrossire una donna.» celiai, più tranquilla. Lui sorrise tra sé e sé perché, in effetti, sapeva farlo alla perfezione. Sperai solo che non gli venisse la pessima idea di raccontarmi qualcosa a proposito delle sue avventure, perché ero certa che non avrei retto il colpo.
«Dai, ragazzina, non mi dire che nessuno ti ha mai fatto arrossire.» insinuò, malizioso. Ovviamente, le mie guance andarono a fuoco e mi costrinsi a rivolgergli un’occhiata minacciosa, nonostante sostenere il suo sguardo fosse diventato improvvisamente difficile.
Accidenti a lui e a quella sua lingua biforcuta.
«Non rispondi?»
«Fatti i cazzi tuoi.» berciai, sprofondando sempre di più nell’abisso della vergogna.
«Dai, dimmelo.» intimò, sempre più divertito. Bene, ero contenta che dalla fase di odio totale fosse passato a quella di “prendiamo Eve per il culo”, per lo meno avrebbe raccontato ai suoi figli che era stato fintamente fidanzato con una che aveva avuto un solo, bastardissimo ragazzo in ventuno anni di vita.
«Da quand’è che ti sei eletto a mio amichetto del cuore?» ignorai la sua precedente affermazione con nonchalance e addentai la mela con furia.
«Non eri tu quella che voleva che ci conoscessimo?»
«Sì! Ma non intendevo in questo senso!» poi, di fronte al suo sguardo sornione, scoppiai a ridere.
Non lo credevo capace di conversare in modo così spontaneo, soprattutto non con me. Cominciavo a capire che il vero problema di Zayn era mostrarsi per quello che era realmente: un ragazzo normale, scorbutico, ma simpatico (quando voleva).
Da una parte, lo riuscivo a capire perfettamente. Essere sé stessi, e rimanere coerenti alle proprie idee e alla propria identità in un mondo come il suo – in cui ogni aspetto della vita veniva tenuto sotto controllo – non era di certo facile.
E Zayn ci era cascato in pieno e si era ritrovato vittima di un meccanismo perverso in cui la notorietà era tutto ciò che contava.
La differenza tra lui e i suoi compagni, stava nei contenuti. Se Harry spendeva i soldi in auto, Liam e Louis in serate al Funky Buddha e Niall in chitarre, Zayn preferiva ubriacarsi, farsi tatuaggi che a mezzo mondo apparivano insensati e farsi paparazzare in compagnia di aitanti modelle, che puntualmente scaricava dopo un paio di giorni.
Le mie riflessioni vennero interrotte dal telefono di Zayn, che cominciò a suonare con una certa insistenza.
«È Harry.» comunicò, prima di portare il telefono all’orecchio e cominciare una fitta conversazione con l’amico.
Mi piaceva, la voce di Zayn. Era calda, melodiosa e un po’ strascicata, ed era impossibile non rimanerne affascinati. O, per lo meno, su di me aveva questo strano effetto.
Finii di mangiucchiare la mela, cercando di non prestare troppa attenzione alle parole di Zayn, che stava – incredibile, ma vero – discutendo con Harry.
«Ti ho detto che… Ma che cazzo…? Oh, senti, fai come vuoi. Ti aspettiamo qui. Sì, ho detto aspettiamo. Sì, c’è anche la ragazzina. No, non l’ho uccisa. Muoviti.» attaccò bruscamente la telefonata e mi rivolse uno sguardo improvvisamente astioso.
«Che c’è? Che ho fatto?» domandai, colta in contropiede. Non avevo nemmeno fiatato. E, anzi, ero piuttosto offesa per quel ragazzina che aveva sputato quasi con disprezzo. Che fine aveva fatto tutto il buon umore di poco prima?
«Harry e gli altri stanno venendo qui. Mangiamo la pizza, poi ti accompagno.»
«Sembri di nuovo arrabbiato. Ho detto qualcosa che non và?» chiesi, con un po’ di timore. Non mi sembrava di aver sbagliato in niente.
Zayn si morse il labbro inferiore, combattuto. Avevo come l’impressione che stesse decidendo se mandarmi al diavolo o se rispondermi con sincerità.
«Io non voglio che tu entri nella mia vita.» sostenne infine.
Aveva optato per la sincerità e, sebbene dovessi esserne felice, sapere che non mi voleva tra i piedi mi ferì parecchio. Quando cominciai a sentire gli angoli degli occhi pizzicare, decisi che la serata sarebbe finita in quell’esatto momento.
«Penso che chiamerò un taxi.» mormorai, abbattuta.
Un passo avanti, tre indietro.





***




Sappiate che questo è uno dei capitoli che preferisco in assoluto. Ve lo dico così, a titolo informativo AHAHAHAH niente, sono piuttosto di fretta in realtà, perchè sto per uscire, ma volevo postare il capitolo prima che mi passasse del tutto la voglia.
Anche perchè venerdì parto e sarò assente per due/tre settimane, credo. Vivrò fuori dal mondo, senza internet (triste, ma vero) e non volevo lasciarvi completamente a bocca asciutta!
Perciò... ta-daaan!
Che ne pensate? Fatemi sapere, ci tengo :)
E buone vacanze!
Un bacio,
Fede.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***








Capitolo 9

 




Scesi dal taxi con un balzo poco atletico e salii le scale sforzandomi di trattenere il groppo che avevo in gola.
Ci ero rimasta davvero male per le parole di Zayn e mi sentivo stupida e ingenua, per aver anche solo potuto pensare che la sua fosse una maschera.
Non potevo trovare una ragione per il suo comportamento, semplicemente perché di ragioni non ce n’erano.
Era solo un ragazzino viziato, arrogante e con un pessimo carattere ed io non mi sarei illusa mai più che le cose tra di noi potessero essere diverse da un rapporto stipulato per contratto.
Avrei continuato a difenderlo di fronte alle domande di zia Kate, perché in fin dei conti lo biasimavo e mi dispiaceva per lui, ma non potevo permettergli di confondermi fino a quel punto. Io non piangevo per un ragazzo di cui non sapevo niente, non l’avrei mai fatto e non avrei lasciato a Zayn tutto quel potere. Lui e i suoi sbalzi d’umore potevano tranquillamente andarsene al diavolo.
Mi era passata anche la voglia di mangiare, cosa che mi succedeva spesso: il nervoso mi chiudeva lo stomaco e mi trasformava in una specie di liceale isterica che perdeva il controllo per qualsiasi cosa. E, tutto questo, era solo colpa di Zayn e del suo essere così altalenante e indeciso ed egocentrico e… stronzo! Perché si comportava così?
Affondai la faccia nel cuscino, reprimendo un ringhio furioso ed esasperato. Zayn Malik rientrava, senza ombra di dubbio, nella categoria degli uomini più stupidi ed incomprensibili di tutto il pianeta terra. Sua madre, beata donna, aveva messo al mondo una creatura dall’aspetto bellissimo e dal carattere insopportabile. La sua stronzaggine – di Zayn, non di sua madre – rovinava il perfetto connubio.
Eppure, quel pomeriggio, mi era sembrato così diverso che non riuscivo a non pensare a cosa dovesse passare nella sua stupida testa. Perché un attimo prima sembrava interessato – quasi amichevole – e quello dopo tornava scorbutico ed aggressivo?
Non conoscevo nessuno a cui poter chiedere spiegazioni, semplicemente perché non esisteva anima viva in grado di comprendere la mentalità assurda di Zayn. Strinsi i pugni, perché se ce l’avessi avuto davanti, probabilmente gli avrei tirato un cazzotto su quel naso perfettamente dritto.
E, sempre probabilmente, l’unica che si sarebbe fatta male sarei stata io. Digrignai i denti per un po’, fino a rendermi conto che stare lì a commiserarmi e a piangermi addosso come una deficiente non era esattamente la cosa migliore da fare, né tantomeno, quella che preferivo.
Ero una persona attiva, fondamentalmente ottimista, e se Zayn Malik aveva deciso di tirare fuori il suo lato peggiore, avrebbe trovato pane per i suoi denti. Questo fino al momento in cui non avessi perso la pazienza, perché in quel caso non sapevo cosa sarebbe successo, anche se le ipotesi che preferivo contemplavano un sacco di violenza e di sangue. E, di mio, non ne veniva versato nemmeno una doccia.
Mi alzai un po’ controvoglia, perché il divano era incredibilmente accogliente, caldo e completamente diverso da quel mostro di pelle bianca che il Signor Bipolare aveva in salotto. Checché ne pensasse lui, casa mia era molto più bella.
Che la serata non sarebbe stata delle migliori, l’avevo già capito da un bel pezzo, ma non credevo fosse possibile che le cose peggiorassero ancora di più.
Comunque, siccome ero sconfortata e preda di un’incazzatura non indifferente, decisi di mettermi qualcosa di comodo – alias il mio pigiama verde smeraldo – e di trascorrere la nottata sul divano, nella speranza che in televisione dessero qualcosa di abbastanza noioso da conciliarmi il sonno.
Il peggioramento cominciò circa mezz’ora dopo, nel seguente ordine: telefono, citofono.
Balzai in piedi, cercando di ricordare dove avessi lasciato il telefono e lo ritrovai dentro la tasca dei jeans che avevo indossato quel pomeriggio.
Il nome di mia sorella Andrea (perché a lei fosse toccato un nome migliore del mio continuava a rimanere un mistero) lampeggiò sullo schermo: mi sentii improvvisamente minacciata. Che voleva? Aveva già saputo di Zayn ed era in cerca di dettagli?
Sperai solo che non avesse detto niente a papà, perché in quel caso ero più che certa che ben presto avrei ricevuto un invito a trascorrere il weekend a Birmingham e presentare così la mia non troppo dolce metà.
Prima di rispondere, presi un respiro profondo e mi concentrai mentalmente su cosa avrei detto e su cosa, invece, era meglio tacere.
«Sai cos’ho visto oggi su internet?» fu la prima frase pronunciata da Andrea, con il suo tono morbido e conciliante. Lo usava sempre, quando voleva raccogliere informazioni.
«No, cosa?» replicai, ingenuamente. La sentii sbuffare e me la immaginai mentre si portava la mano sul pancione già prominente e alzava gli occhi al cielo.
«Tu. Meno nella mano con un figo da paura.»
L’espressione “figa da paura” non era esattamente la migliore, per descrivere Zayn. Io avrei detto anche misterioso, bellissimo, accattivante e stronzo. Ma Andy non poteva sapere tutte queste cose, perciò le avrei lasciato il “figo da paura” come bonus.
«Sì.»
«Sì? Tu esci con uno così e l’unica cosa che riesci a dire è “sì”? Voglio i dettagli, sorellina.» ignorai il tono intimidatorio – che in genere funzionava alla perfezione – e spostai la conversazione su un argomento meno spinoso.
«Come stai, Andy?» domandai, dunque, nella speranza che il pensiero della vita che portava in grembo la distraesse o, in alternativa, la facesse piangere. Da quando era incinta, i suoi ormoni le giocavano brutti scherzi, ed ogni occasione era buona per far scorrere un fiume di lacrime.
«Con me non funziona, Eve. Non cambiare discorso.»
«Io? Ma figurati, quando mai l’ho fatto?»
«Eve.»
«Scusa, suonano il campanello. Ci possiamo sentire domani? Giuro che ti richiamo io!» le mandai un bacio frettoloso e mollai il telefono sul divano, chiudendo la conversazione prima ancora che Andrea avesse il tempo di replicare.
Ciò che nemmeno sospettavo, era che la prima disgrazia venisse interrotta da una seconda – di gran lunga peggiore, ma quello l’avrei scoperto in seguito.
Non aspettavo visite, perciò ero piuttosto stupita del fatto che qualcuno potesse cercarmi a quell’ora, così mi sorse il dubbio che potesse trattarsi di zia Kate o del signor Clint, il mio affittuario. Tenendo le dita incrociate, mi diressi al citofono e sollevai la cornetta con mano tremante.
«Chi è?»
«Noi.»
«Non aspetto nessun “noi”, perciò andatevene. Tanto non apro.» berciai.
Inutile dire che due minuti dopo facevo entrare gli One Direction nel mio appartamento. Mi domandai per un attimo se ci saremmo stati tutti quanti, ma decisi di fregarmene. Non li avevo invitati e sarebbe stato meglio se se ne fossero andati il prima possibile. Non ero propriamente dell’umore giusto per essere una buona padrona di casa: il risentimento nei confronti di Zayn mi avrebbe lasciato di pessimo umore per almeno un paio di giorni.
Aprii la porta con riluttanza, poi li osservai sfilare in soggiorno, uno dietro l’altro come dei bambini dell’asilo durante la prova d’evacuazione. L’ultimo ad entrare fu Zayn, che non mi rivolse neanche un’occhiata e andò dritto al divano, sul quale Louis si era già accomodato.
«Oh, certo, fai pure come se fossi a casa tua, Louis.» borbottai, infastidita ma non abbastanza, visto che Louis annuì e si sistemò più comodamente.
«Grazie, Eve.»
Inarcai un sopracciglio e mi voltai verso Niall, che era rimasto immobile accanto a Liam, decisamente in imbarazzo. Harry, invece, era sparito in cucina. E, considerato che in casa mia non c’era mai stato e che non ci eravamo mai scambiati nemmeno una parola, la cosa aveva del preoccupante e dell’assurdo.
Quando tornò in salotto, mi rivolse un gran sorriso, che mise in mostra due fossette adorabili.
«Le pizze erano pesanti.» sostenne, lasciandomi parecchio interdetta. Perché avevo la sensazione che casa mia si fosse appena trasformata in un covo di matti?
«Pizze?»
«Non ti piace la pizza?» domandò Harry, mortificato.
«Qualcuno mi spiega?» chiesi, un po’ agitata: qual era il loro problema? Non era normale che si presentassero a casa di una persona che odiavano, con le pizze.
«Zayn ha detto che stavi poco bene, così abbiamo pensato di farti compagnia.» spiegò Liam, un po’ titubante: non era affatto convinto.
Sgranai gli occhi, voltandomi di scatto verso Zayn, con aria oltraggiata. Lui mi guardò per un istante, poi si strinse nelle spalle come a dire che non era colpa sua e che lui non c’entrava niente.
Non volevo parlargli, perché avrei finito col tirargli addosso il mobilio del salotto, così mi rivolsi a Liam, cercando di mantenere un tono più calmo possibile.
«Io sto benissimo. Semplicemente, non avevo voglia di stare con voi.» in risposta, ottenni un sopracciglio inarcato e un’espressione scettica.
«E va bene. Non volevo rovinarvi la serata.» confessai, un po’ in imbarazzo. Sapevo che continuare a difendere Zayn – nonostante si fosso comportato in quel modo odioso – non era una cosa da persone normali di mente, ma che potevo farci? Ero di animo buono, e detestavo l’idea che qualcuno potesse litigare a causa mia.
Zayn sbuffò.
«Puoi dirglielo, ragazzina. Ti ho già detto che non ho bisogno di te, né tantomeno mi serve che tu mi pari il culo.» parlò lentamente, come per assicurarsi che riuscissi a cogliere il significato di ogni parola e non avessi alcun dubbio sul suo intento.
«Che testa di cazzo.» sbottai.
Nella stanza calò il silenzio.
«Prego?» Zayn si alzò lentamente dal divano, tanto simile ad un felino in procinto di attaccare la sua preda. Ma cominciavo a capire che la sua era tutta facciata e che quell’aria minacciosa era una sorta di meccanismo difensivo. Voleva tenermi lontana e non c’erano dubbi. Ma perché?
Ormai avrebbe dovuto accettare il contratto. Anzi, ero certa che l’avesse già fatto. Che poi, pensandoci, l’aveva firmato anche lui – seppur di malavoglia – perciò tanto valeva che la smettesse di comportarsi come se la colpa fosse solo mia. Era sua al cinquanta percento ed era giunta l’ora che lo capisse.
Lo osservai, mentre si avvicinava così tanto che mi ritrovai a cinque centimetri dal suo corpo. Mi imposi di non arrossire, sollevai lo sguardo fino ad incrociare il suo e ripetei quanto avevo appena detto.
«Sei una testa di cazzo, Zayn. Cosa c’è di così complicato? Anzi, ti va bene che non ho voglia di litigare, perché stai certo che non l’avresti vinta. Ah, per la cronaca, l’aria minacciosa non funziona più. Datti una calmata.» lo spinsi all’indietro, poi mi diressi in cucina e gridai che se qualcuno aveva fame, doveva quantomeno degnarsi di aiutarmi a preparare la tavola.
Niall ed Harry furono i primi ad arrivare, entrambi sorridenti e sghignazzanti.
«Be’, che c’è di così divertente?» ringhiai, acida e sull’orlo di un esaurimento nervoso.
«La faccia di Zayn. Tu non hai idea di quanto lo fai incazzare.» spiegò Harry, entusiasta. A quanto pareva, la cosa sembrava divertirlo un mondo.
Niall annuì, allungando una mano affinché gli porgessi i bicchieri.
«Sì, continua a dire che sei una rottura, ma secondo me gli piaci.»
Fu il mio turno di ridere, perché che piacessi a Zayn era assolutamente fuori discussione. Era un pensiero che non mi aveva mai nemmeno sfiorato.
«Non dire cazzate, per piacere. Non ci siamo ancora presentati, comunque. Io sono Eve.» strinsi la mano ad entrambi, dopodiché mi scansai di lato, perché Zayn era appena entrato e aveva l’aria di essere incazzato nero.
«Piega i tovaglioli, e stai zitto.» gli intimai. Spalancò la bocca, indignato, poi cominciò a mugugnare qualcosa di incomprensibile.
«Questo…» cominciò, mentre disponeva i tovaglioli sul tavolo.
«Non cambia niente, lo so.»
E come dimenticarlo? Non faceva altro che ripetermi che non mi avrebbe mai accettata. Ma prima o poi l’avrebbe fatto, parola mia. Che gli piacesse o no, che fosse d’accordo o meno, sarei diventata parte della sua vita.
 
 
 
  ***



 
Finalmente ci sono! Ta-daaan (?) siete contente? Come procedono le vostre vacanze? Le mie sono andate abbastanza bene, mi sono abbronzata, anche se non ve ne frega di certo e non ho scritto nemmeno una riga, perché non ho avuto tempo.
Anyway, spero che il capitolo via sia piaciuto e, come avete visto, le cose tra Zayn e Eve sono ancora ben lungi dal decollare. Per un miglioramento sostanziale dovrete aspettare il capitolo 12!
Fatemi sapere <3
Un bacio, vi adoro!
 
 
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***







Capitolo 10

 



Trascorsi le prime ora della mattinata successiva a rimuginare su quanto accaduto durante la cena. Avevo scoperto un paio di cose: Harry era un sacco gentile e non mi era affatto ostile, Niall apprezzava che fossi disposta ad aiutare il suo amico e Liam e Louis si erano auto incaricati di fare in modo che durante le uscite “programmate” io e Zayn sembrassimo davvero due innamorati. Zayn era rimasto in silenzio per la maggior parte del tempo, rivolgendomi la parola lo stretto necessario (“Passami l’acqua.”, “Allungami un tovagliolo e smettila di parlare tanto per dare aria alla bocca”, insomma, cose di questo genere.) e rimuginando tra sé e sé sul fatto che anche i suoi amici fossero passati al lato oscuro.
Una cosa di lui l’avevo capita: non gli interessava di niente e di nessuno, ma odiava che le persone più importanti della sua vita – e non avevo dubbio che gli One Direction ne fossero parte integrante – gli dessero contro, anche se a ragione. 
Un’altra cosa che odiava, erano le persone che facevano troppe domande, quelle come me, quelle che si prendevano confidenza e quelle che gli dicevano le cose come stavano, e cioè che era un grandissimo idiota e che era il caso che cambiasse atteggiamento.
Avevo provato ad essere il meno molesta possibile, durante la cena, perché non volevo davvero farlo incavolare più di quanto fosse già e la cosa aveva funzionato per un po’, fino a che mi era scappato di bocca che era davvero impossibile che lui avesse quel caratteraccio dispotico, intrattabile e borioso.
Nella cucina era improvvisamente calato il silenzio, dopodiché Zayn aveva sbuffato e mi aveva rivolto – di nuovo – un’occhiata colma d’astio. Ancora un po’, e avrei potuto farci una bella collezione.
«Tu non mi conosci, ragazzina. E non mi conoscerai mai. Te lo ripeto un’altra volta: per me sei solo un mezzo. Non esisti nemmeno.»
Era stato il mio turno di odiarlo e mi ero improvvisamente resa conto che era esattamente ciò che Zayn voleva: se l’avessi odiato, non avrei provato a conoscerlo, e gli sarei stata il più lontana possibile, spaventata da lui e dalle sue parole.
Così avevo sorriso e avevo ripreso a mangiare la pizza, sotto lo sguardo perplesso di tutti quanti.
«Vai così, Zayn. Sei davvero convincente.» era stata la mia risposta. Ancora, mi aveva guardata male, ma non aveva replicato.
Quando se n’erano andati tutti a casa – non senza che Harry si complimentasse per il mio pigiama – mi ero buttata sul divano, avevo collegato l’iPod alle casse e avevo cominciato a riflettere.
L’unico modo per farmi accettare da Zayn (anche se ci sarebbe voluto un bel po’) era costringerlo a conoscermi. Se gli avessi raccontato qualcosa di me, forse anche lui avrebbe fatto altrettanto. In più, avevo già avuto dimostrazione che quando eravamo da soli sembravamo quasi normali. Quanto poteva essere complicato, in fin dei conti?
Decisi che avrei colto al volo l’occasione della prossima uscita per cominciare con il mio semplice piano, nella speranza che non facesse acqua da tutte le parti.
A ben pensarci, c’erano un sacco di cose che potevano andare storte. Prima fra tutti, l’intolleranza di Zayn nei miei confronti: probabilmente gli avrebbe fatto passare qualsiasi voglia – se mai ne avesse avuta – di conoscermi per quella che ero e l’avrebbe fornito di un astio non indifferente (non che non l’avesse già dimostrato) che avrebbe portato alla rovina di entrambi, visto che io non gli avrei mai più permesso di trattarmi come se fossi la persona peggiore del mondo.
Perciò accolsi con meno panico del solito la chiamata di zia Kate. Fu più acida che mai e mi sgridò nemmeno fossi una bambina di tre anni beccata con le mani nel vasetto della Nutella. La lasciai sfogare, conscia del fatto che ribattere avrebbe solo prolungato la mia tortura.
E non avevo nessuna voglia di starla a sentire più dello stretto necessario. Dopo che ebbe finito la sua filippica, prese un respiro profondo e mi fornì dettagli più “tecnici”.
«C’è un tavolo prenotato per due al 1880 del Bentley Kempinski, questa sera. È uno dei ristoranti più esclusivi e raffinati di Londra, perciò mi aspetto che tu e Zayn vi comportiate come una coppia affiatata. Non puoi metterti gli anfibi, né quell’orribile felpa gialla che avevi indosso l’altro giorno, perciò tra circa un’ora arriveranno la truccatrice, la parrucchiera e la stylist. Non mettermi in imbarazzo e non comportarti come una ragazzina stupida. Il taxi sarà da te alle sette e trenta, Zayn ti aspetterà subito fuori dal Bentley. È necessario che vi vedano insieme. Ah, Evangeline?»
«Sì, zia?»
«Mi aspetto un resoconto completo, domani. Mandami un’e-mail.»
«Certo.» acconsentii. Il lato positivo dell’e-mail, era che avrei potuto inventare tutto ciò che volevo, senza correre il rischio di essere scoperta. Dopotutto, come poteva accorgersi del mio stato d’animo solo attraverso qualche parola? Era impossibile, vero? Ero piuttosto sicura che zia Kate non fosse intelligente fino a quel punto.
Poi venni presa dal panico: non ero una ragazza raffinata, né colta, né sofisticata, né un bel cavolo di niente. Io non ero adatta a mangiare al 1880. Ero una tipa da Nando’s o da ristorante cinese, al massimo. Sarei sembrata solamente una stupida, inserita in quell’ambiente.
Mi buttai sul divano, disperata, e feci l’unica cosa che mi venne in mente: chiamai Zayn. Era stato Liam a salvare il suo numero sul mio telefono perché, a suo dire, non esisteva nessuna coppia al mondo che non avesse i reciproci numeri. Ed io ero assolutamente d’accordo, se non per il fatto che io e Zayn non eravamo una coppia e non lo saremmo mai stati.
Il telefono squillò a vuoto un paio di volte, dopodiché Zayn rispose e, a giudicare dal tono sereno con cui disse “Pronto, chi parla?” ne dedussi che non aveva il mio numero. La mia ipotesi venne confermata un secondo dopo.
«Sono Eve, ti disturbo?»
Dall’altro capo, ci fu un silenzio tombale e vagamente angosciante, dopodiché Zayn sospirò.
«Sì, sono impegnato.» sentii una risata di sottofondo e riconobbi il timbro inconfondibile di Harry.
«Ti ruberò solo un istante, promesso.» sforzarmi di essere gentile non era tanto difficile, in fondo. Probabilmente non avere Zayn davanti agli occhi mi era di inestimabile aiuto.
«Che rottura. Cosa vuoi?» domandò, acido. Bloccai sul nascere la rispostaccia e la inghiottii insieme a un po’ della mia pazienza: ci eravamo scambiati sì e no venti parole e già morivo dalla voglia di mandarlo al diavolo, nonostante l’idea – stupida – di chiamarlo, fosse venuta a me.
«Mi chiedevo... dobbiamo per forza andare al 1880, questa sera?» dal mio tono, risultò evidente persino a me la mia insicurezza e mi aspettai che Zayn cogliesse l’occasione al volo, tanto per ricordarmi quanto fossi inadatta a stargli accanto e blablabla, sempre le solite storie.
«È un ottimo ristorante.» ero piuttosto certa che Zayn avesse fatto spallucce, ma apprezzai parecchio che non avesse infierito. Anzi, a giudicare dalla lieve gentilezza nella sua voce, immaginai che si trovasse a casa e non in giro.
«Sì, ma non penso che vada bene, per me.»
«Non devi pagare tu. Il lato positivo delle uscite organizzate da quegli stronzi, è che non sborsiamo un centesimo. Perciò ti godi la cena e non mi scocci con le tue paranoie.» sostenne, quasi sereno.
Era una delle frasi più lunghe che mi avesse mai rivolto e mi riscoprii piuttosto sorpresa di non trovare nemmeno un insulto rivolto alla mia persona.
«È un tuo modo carino di dirmi di non preoccuparmi?» domandai quindi, sforzandomi di trattenere un sorriso di felicità. Poteva Zayn essere gentile nei miei confronti?
«No, era un modo carino di dirti di non rompere, Eve.»
Alzai gli occhi al cielo, per niente sorpresa.
«Emozionante. Ci vediamo stasera, simpaticone.» riagganciai, senza dargli il tempo di rispondere. Tuttavia non mi aveva ingannato: per un misero secondo, Zayn era stato di conforto, nonostante subito dopo avesse cercato il modo di ritrattare.
Trascorsi l’ora seguente a domandarmi se quell’invasata di zia Kate avrebbe davvero mandato la brigata di professioniste del mestiere per restaurare la mia immagine. Mi ero quasi convinta che non l’avrebbe mai fatto, quando suonarono al campanello.
In men che non si dica, la mia microscopica casa venne invasa da tre donne. La prima disse di chiamarsi Lou e mi sventolò sotto il naso un borsone pieno di pennelli, palette di ombretti e altri trucchi non bene identificati. La seconda si chiamava Carole, ed era la parrucchiera: occhi contornati di nero, capelli arancioni e fisico longilineo, mi terrorizzò parecchio quando cacciò un urlo dopo essersi accorta della ricrescita lunga tre metri. La terza, invece, si chiamava Lauren ed aveva l’aria annoiata e spazientita. Mi squadrò per un momento da capo a piedi, prima di storcere il naso con aria critica.
«Accomodatevi.» mormorai, ormai rassegnata all’invasione. Non c’era verso, ormai, che la mia vita mantenesse una minima parvenza di normalità. Tra un finto fidanzato, boy band per adolescenti, stylist, parrucchiere e truccatrici, avrei finito per impazzire entro i prossimi tre giorni.
Scoprii poco dopo che tutte e tre lavoravano per i One Direction e che, quindi conoscevano Zayn abbastanza bene. Ovviamente, non resistetti alla sensazione di chiedere qualche informazione in più su di lui.
«Che tipo è?» domandai, mentre Lauren mi porgeva un vestito color borgogna, con un ampio scollo a cuore e una gonna corta e un po’ svolazzante. La guardai come se fosse pazza, ma una sua occhiata perentoria mi costrinse ad indossare l’abito.
Quando vide come mi stava, scosse il capo con aria contrariata e mi allungò un secondo vestito, più lungo e di un delicato azzurro pastello.
«È un ragazzo strano. Va saputo prendere nel verso giusto, ed ha un carattere un po’ particolare. È silenzioso, sarcastico e ogni tanto scontroso, ma ha un cuore buono, ed è gentile.»
«Scontroso, dici? Non me n’ero mai accorta.» borbottai, ironica. Lou rise, cominciando a disporre sul tavolino del salotto una sfilza pressoché infinita di pennelli professionali.
«Cerca di capirlo, questa situazione non è per niente semplice, per lui.» sostenne, serena. Inarcai un sopracciglio, mentre allungavo una mano per afferrare quello che sperai fosse l’ultimo vestito.
«Pensi che per me lo sia? Oh, povero miliardario ragazzo, costretto a firmare un contratto a causa della sua vita sregolata. Nessuno si è mai domandato perché io abbia accettato, però, vero? Sono solo la stronza che ha rovinato la vita della povera celebrità. Poi chi se ne frega se mi scade l’affitto, se resto sotto i ponti e se non ho soldi per fare la spesa. Cosa vuoi che sia al confronto?» sciorinai, risentita.
Mi dava piuttosto fastidio che stessero tutti quanti dalla parte di Zayn, a priori. Capivo che lo conoscevano, che gli volevano bene e che erano preoccupati per lui, ma la sua situazione, a confronto con la mia, era una vera e propria vacanza alle Hawaii. Ero io, quella che veniva trattata male, quella che si era fatta la reputazione della bastarda rovina tutto, senza che mi venisse data nemmeno l’opportunità di spiegare perché l’avevo fatto.
Perciò tutta quella comprensione nei confronti di Zayn stava davvero cominciando a darmi ai nervi. Restai quasi in completo silenzio per il resto della preparazione, sebbene le tre donne cercassero di coinvolgermi in una conversazione che verteva su argomenti abbastanza neutrali. Nessuno nominò più Zayn, né il contratto.
Come se non bastasse, mi sentii anche in colpa per aver avuto quello scatto. In genere ero una persona pacata, diplomatica e niente affatto ostile. Ma la situazione in cui ero finita mi stava davvero logorando i nervi.
Se poi pensavo a tutto quello che ancora doveva accadere, molto probabilmente avrei detto addio alla mia salute mentale.
«Comunque, se può esserti di consolazione, credo che tu piaccia ai ragazzi.» sostenne Lauren, annuendo con aria soddisfatta quando ritornai in salotto con il vestito nero.
«E perché dovrebbe essermi di consolazione, scusa? L’unico a cui vorrei piacere un po’ mi odia.» mi scappò di bocca prima ancora che potessi rendermene conto, così mi affrettai a spiegare, onde evitare fraintendimenti di alcun genere.
«Nel senso che vorrei essere amica di Zayn, ma lui non me lo permette.» aggiunsi. Annuirono tutte e tre con aria grave, ma nessuna di loro disse altro, lasciandomi nel dubbio di aver appena fatto il passo più lungo della gamba: avrebbero riferito tutto quanto? Cosa avrei fatto, se avessero raccontato a zia Kate che le cose in realtà non stavano andando a gonfie vele come avevo detto io?
«Quello che ho detto… resterà tra di noi, vero? Non lo direte a zia Kate?» domandai, quindi. Lou, Carole e Lauren si scambiarono un sorriso complice, dopodiché scoppiarono a ridere.
«Parlare a quell’arpia? Spero tu stia scherzando.»
Tirai un sospiro di sollievo e mi rilassai sotto il tocco delicato di Lou. Dovevo solo sperare che non mi facesse sembrare un pagliaccio, o Zayn avrebbe avuto un altro motivo per ridere di me, come se già non lo facesse abbastanza.




***




Questo capitolo è, evidentemente, di passaggio. Ma si comincia a capire qualcosa in più, credo. Eve comincia a rendersi conto di non essere l'unica responsabile, Zayn è a modo suo intenerito dalla sua insicurezza e il team mandato da zia Kate mi fa morire dal ridere, non so perchè.
Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto, nonostante non succeda niente di che...
Ah, il ristorante 1880 del Bentley Kempinski esiste davvero ed è davvero uno dei più prestigiosi ristoranti di Londra, mi sono informata :)
Fatemi sapere, se vi va!
Un bacione,
Fede.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***







Capitolo 11
 





Il tragitto in taxi mi era sembrato il peggiore della mia vita. Non che avessi viaggiato chissà quante altre volte, ma sapere che stavo per cenare in uno dei ristoranti più raffinati (e costosi) di Londra mi lasciava addosso una sensazione di disagio assolutamente fastidiosa e il taxi che mi stava conducendo al mio destino (che aveva nome 1880) non era per niente d’aiuto.
L’autista fu così silenzioso e scontroso da farmi passare anche la voglia di conversare, perciò rimasi completamente in silenzio, distratta solamente dalle auto che percorrevano la strada sulla corsia opposta. Pensai a Zayn, che probabilmente era già arrivato e doveva essere di pessimo umore: aspettare fuori significava essere visto da tutti e non mi sembrava proprio felice di firmare autografi e scattare foto. Non nell’ultimo periodo, almeno.
Cominciavo a capire il suo punto di vista e se la cosa da un lato mi affascinava, dall’altro mi terrorizzava. Sarei cambiata, per entrare a far parte del suo mondo? Non era quello che volevo. Mi sarebbe piaciuto rimanere me stessa, nonostante tutto.
Ero abbastanza soddisfatta della persona che ero, e non avrei permesso a nessuno – soprattutto a Zayn, o a zia Kate – di plagiarmi per farmi diventare qualcuno che non mi assomigliava per niente. D’accordo cambiare vestito, ma non ero disposta ad accettare qualcosa in più.
«Siamo arrivati.» il tassista inchiodò bruscamente, esattamente di fronte all’ingresso del Bentley. Strisciai sul sedile per avvicinarmi alla portiera, ma qualcuno la aprì prima di me.
Qualcuno che sembrava sulla buona strada per prendersi un esaurimento bello e buono, a giudicare dallo sguardo che mi rivolse.
«Sei in ritardo.» mi accusò Zayn, con tono quasi disperato.
Non capii il motivo della sua stizza, fino a quando non sentii le acclamazioni delle fan.
«Colpa del traffico.» spiegai, brevemente. Uscii dal taxi cercando di essere il più aggraziata possibile, nella speranza che il vestito non si sollevasse facendo vedere le tristissime mutandine azzurre che indossavo. Niente a che vedere con la biancheria di Victoria’s Secret, per intenderci.
Qualcuno scattò una foto, accecandomi con il flash: fui presa dal panico. Non mi ero mai sentita così sotto controllo e in generale faticavo a gestire le troppe attenzioni. Zayn sembrò accorgersi del mio nervosismo – e probabilmente se ne sarebbe accorto chiunque, nel raggio di un miglio – e mi prese per mano. Lo guardai, stupita e parecchio incredula. Da quando era così gentile? Poi ricordai di nuovo che eravamo in mezzo alla folla e che il nostro compito, sebbene avessi la stupida tendenza a dimenticarlo, era sembrare innamorati.
Mi sforzai di sorridergli e mi accostai un po’ di più, tenendo lo sguardo basso ed esibendo un sorriso timido e un po’ imbarazzato: le guance rosse non erano frutto di una messinscena, per mio grande disappunto. Ero davvero emozionata, nonostante Zayn mi detestasse e continuasse a vedermi come un nemico mortale. Speravo che quella sera avremmo potuto parlare e, magari, raggiungere definitivamente un accordo, senza che si sentisse in dovere di cambiare umore ogni dodici secondi.
«Zayn! Zayn possiamo fare una foto, per favore?» la voce proveniva dalla nostra destra ed apparteneva ad una ragazzina minuta, con un paio di occhiali dalla montatura celeste e con una massa incredibilmente lunga di capelli scuri. Era visibilmente emozionata e quando Zayn le sorrise arrossì violentemente.
«Dai a me il telefono, ve la scatto io.» proposi, prendendo un po’ di coraggio. Sebbene non capissi – e non condividessi – tutto quell’entusiasmo e l’ossessione per le persone famose, mi immaginai al posto di quella ragazzina.
Probabilmente quella notte non avrebbe dormito, pensando al fatto di essersi ritrovata tanto vicina al ragazzo di cui era platonicamente innamorata. Avrebbe conservato quel sorriso nella sua memoria, magari per tutta la vita. Magari avrebbe raccontato alle sue amiche che si era avverato un suo sogno e, sempre magari, in un futuro lontano avrebbe incoraggiato le sue figlie o i suoi figli a non demordere, perché niente era impossibile. Ed io volevo che, quel giorno, potesse guardare una foto scattata decentemente, in cui entrambe le sue mani erano a contatto con Zayn. Una foto in cui poteva abbracciarlo. Non volevo essere la stronza che metteva fretta al fidanzato per la gran voglia di cenare con caviale e champagne.
La ragazzina mi sorrise, riconoscente e mi passò il telefono con mano tremante. Zayn le fece cenno di avvicinarsi e lei si fiondò letteralmente tra le sue braccia, con le lacrime agli occhi. Mi incantai per un attimo a guardarli: zia Kate aveva detto che Zayn si era montato la testa e che il suo era un comportamento scorretto, scontroso e assolutamente inadeguato alla sua fama. Eppure sembrava sincero, mentre circondava le spalle della ragazza con un braccio e le sussurrava qualche parola gentile all’orecchio.
Scattai la foto e le allungai il telefono.
«Grazie, sei stata molto gentile.» mi disse, con voce flebile.
Zayn si avvicinò di nuovo e mi circondò i fianchi con un braccio. La sua presa era ferma e decisa, come al solito e non potei fare a meno di sentirmi più tranquilla. Alzai il volto per sorridergli, sincera, poi tornai a guardare la ragazzina.
«Figurati, per così poco.» le sorrisi un’ultima volta, dopodiché Zayn disse che avremmo perso la prenotazione, ma che era molto felice di aver passato un po’ di tempo con tutte loro.
Quando entrammo nella hall del Bentley, il silenzio era tanto fitto e pesante da lasciarmi quasi frastornata. Barcollai un po’ sui tacchi, poi tirai un sospiro di sollievo.
«Cielo, è tutto così intenso.» mormorai, incredula. Fuori di lì, si sentiva ancora una gran confusione e il solo pensiero che all’uscita sarebbe stata la stessa cosa, mi fece venire una gran voglia di scappare a gambe levate. Ma perché era tutto così complicato?
«Ancora è niente, ragazzina. Cosa pensavi, che fosse tutto rose e fiori?» domandò Zayn, con un tono che lasciava sottintendere che la mia sorpresa e la mia ingenuità lo divertivano parecchio.
«No, ma…»
«Non hai la minima idea, vero? Non sai cosa significa essere famosi. Tu sei invisibile, anonima e codarda, come tutti. Non capisci, non puoi capire.» strinsi i pugni, combattendo contro l’istinto di tirarglieli in faccia, poi scossi la testa. Non gliel’avrei data vinta così facilmente, mi rifiutavo di concedergli tutto il potere che pensava di avere e, soprattutto, ero decisa a conoscerlo. E se Lauren, Lou, Carole, i One Direction, la Regina e tutti i santi vedevano in Zayn qualcosa di buono, be’, l’avrei visto anche io. Poteva fingere quanto voleva, ma non mi avrebbe ingannata.
Perciò decisi di non rispondergli, fino a quando la sua espressione supponente non si fosse trasformata in qualcos’altro. Non chiedevo tanto, ma mi sarebbe piaciuto parlare con il vero Zayn, anziché con il coglione montato.
Rimasi in silenzio fino a che ci sedemmo al tavolo del ristorante e, anche allora, impiegai un po’ di tempo a racimolare le parole migliori. Ora che non sentivo più la pressione delle fan, mi sentivo più a mio agio. E sembrava valere lo stesso anche per Zayn, visto che gradualmente la sua espressione si distese e tornò rilassata.
Mi concessi di osservarlo con un po’ di attenzione: era vestito elegante, con una camicia bianca e dei pantaloni stretti e neri, che gli stavano perfettamente. All’orecchio sinistro portava il suo solito cerchietto argentato e i capelli erano arruffati in una cresta un po’ disordinata. Era bello, Zayn. Odioso, cinico, fondamentalmente stronzo, ma bello. Ed io non ero abituata ad avere a che fare con ragazzi come lui, perciò la mia concentrazione era completamente spaccata in due: una parte cercava di ricordarmi di non farmelo piacere per nessuna ragione, l’altra, invece, voleva parlargli e capirlo fino in fondo.
«Ti sei offesa, per caso?» Zayn mi distolse dai miei pensieri, riportandomi alla realtà con la sua voce strascicata e bassa.
Scossi la testa.
«No, non mi sono offesa. Non ne avrei motivo, visto che l’insulto viene da te e, perdona la schiettezza, non sei così tanto importante.» non volevo litigare, dico davvero.
Così mi costrinsi a moderare i toni, a non usare parolacce e a sforzarmi nel tentativo di andargli incontro. Dopotutto ero testarda, ce l’avrei fatta. Zayn strinse lo sguardo, scettico. Si aspettava che scoppiassi a piangere, forse, ogni volta che mi diceva qualcosa di poco carino? L’avessi fatto sul serio, a quell’ora avrei già esaurito tutte le mie lacrime.
«Questo è un colpo basso, ragazzina.» ridacchiò, divertito. Gli sorrisi lievemente e stavo per rispondergli che – se voleva – sapeva essere anche simpatico, ma venni interrotta dall’arrivo del cameriere, pronto a prendere le nostre ordinazioni. Mi resi conto che, persa nell’osservazione di Zayn, non avevo dato nemmeno un’occhiata al menù.
Stupendomi non poco, Zayn ordinò per tutti e due, con la padronanza di chi è stato nel posto già un sacco di volte e conosce alla perfezione la cucina. Il cameriere appuntò tutto velocemente, poi si allontanò.
«Sai che è davvero presuntuoso, da parte tua, avere ordinato anche per me?» gli feci notare, indispettita.
Credeva forse di conoscermi abbastanza da poter azzeccare? Scossi la testa, un po’ contrariata e, mio malgrado, un po’ lusingata.
«Scommetto che non conosci nemmeno la metà dei piatti sul menù. Volevo evitarti di mangiare qualcosa che non ti sarebbe piaciuto.» mugugnò Zayn, improvvisamente in difficoltà. C’era sempre un insulto velato, nelle sue parole, ma l’intento, almeno, era buono.
«Oh…» sussurrai, positivamente colpita. «Grazie, sei stato gentile.»
«Non abituartici, Eve.»
«No, certo. Allora, dimmi un po’, a cosa devo tutta questa… tolleranza?» era il termine migliore che mi fosse venuto in mente ed ebbe lo straordinario effetto di far sorridere Zayn. Non me l’aspettavo, anzi. Ero convinta che mi avrebbe insultato di nuovo (cominciavo a farci il callo) per poi ripiombare in un silenzio torbido e colmo di rancore.
Invece cominciò a giocherellare con uno degli anelli che portava – un cerchietto d’argento, sottile e delicato – passandolo di mano in mano con aria pensierosa. Poi sollevò lo sguardo e puntò i suoi occhi nei miei. Ricambiai, serena, in attesa che dicesse qualcosa.
Io avevo parlato fin troppo ed ora era il suo turno.
«Quando mi hai chiamato, questo pomeriggio, stavo litigando con Harry.» cominciò, concentrato. Inclinai la testa da un lato, senza capire dove volesse andare a parare, ma poi ricordai che sentirlo parlare spontaneamente era un evento più unico che raro, così mi tappai la bocca e annuii, curiosa e un po’ dispiaciuta: non volevo che litigasse con i suoi amici per causa mia.
«Lui… be’, anche gli altri, in effetti, pensano che tu non sia così male, Eve. Dicono che non sei come tua zia e che potresti aiutarmi davvero. Ma io non mi fido. Ne ho conosciute, di ragazze come te, so già come andrà a finire.» c’era un po’ di delusione, nelle sue parole, e anche un po’ di rabbia. Così cominciai a capire che non ero proprio io, a stargli sulle scatole, era quello che gli ricordavo. Chi? Chi aveva avuto tanto potere su di lui, in passato?
«Le persone non sono tutte uguali, Zayn. Tu non mi conosci, non sai niente di me. Chi ti dice che io non sia una brava persona? Sei davvero così pronto ad odiarmi, senza darmi nemmeno una possibilità?»
«Non si tratta di possibilità, Eve. Si tratta di fiducia.»
«E tu non ti fidi. D’accordo, lo capisco. Non posso costringerti a credermi, ma ti assicuro che non ho cattive intenzioni. Non sapevo a cosa stessi andando incontro quando ho firmato il contratto, ma sto cominciando a capirlo. Potrò essere invisibile, anonima e codarda, ma se prendo un impegno lo rispetto. Ed ho deciso di farlo stando dalla tua parte. Non ti dico di fidarti, ma concedimi almeno il beneficio del dubbio.» conclusi, lentamente. Era stato in assoluto il discorso più lungo e più interessante che avessimo mai avuto e mi sentivo quasi spossata.
Zayn era molto più di quanto appariva: non era solo un bel ragazzo, con un sacco di soldi, una voce meravigliosa e un’orda di fan. Era una persona sola, diffidente e spaventata dall’idea di fidarsi.
La mia presenza nella sua vita non era nient’altro che un’invasione poco gradita, qualcosa che intaccava la sua precaria serenità e la sua routine fatta di sconosciute che non gli avrebbero creato problemi ma che gli avrebbero fatto compagnia.
«Un passo alla volta, Eve. Non sono ancora sicuro che sia una buona idea.»
Però mi sorrise, sincero, e senza alcuna traccia di antagonismo. Potevamo davvero ripartire da zero. Conoscerci, e aiutarci l’uno l’altro per quanto fosse possibile.
«Un passo alla volta, okay. Allora partiamo da capo. Ciao, io sono Eve.» gli porsi la mano e Zayn la scrutò per qualche secondo, dubbioso. Poi sospirò, si strinse nelle spalle e sorrise lievemente.
«Ciao, Eve. Io sono Zayn.»
Un passo alla volta.







Oggi è una giornata traumatica: ho fatto pulizia del mio profilo, ho eliminato CINQUE storie e sono in lutto, ma mi sembravano dei fallimenti e, visto che non mi piace lasciare le cose a metà, mi sono decisa a cancellarle.
Perciò sono di poche parole, mi dispiace.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Fatemi sapere che ne pensate, vi adoro :) <3

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***








Capitolo 12

 




Da quando io e Zayn avevamo raggiunto un accordo, le cose andavano decisamente meglio. Cominciava a tollerare la mia presenza e sembrava aver accantonato – almeno un po’ – tutto l’odio che mi aveva riversato addosso agli inizi della nostra conoscenza. Mi ero riscoperta a pensare a lui più spesso di quanto fosse lecito, probabilmente perché, ora che lo conoscevo un po’ meglio, mi rendevo conto che era il tipo di ragazzo per cui avrei senz’altro potuto perdere la testa.
A volte era gentile, soprattutto quando eravamo da soli e poteva lasciarsi andare un po’ di più. Certo, rimaneva sempre sulle sue, come un animale selvatico, ma cominciava ad accettarmi ed io ne ero più che felice. Non sapevo quanto avrei potuto reggere ancora, se non mi fosse venuto incontro; ero forte, ma non invincibile. E, per quanto avessi un’ottima capacità di sopportazione, sapere di essere detestata per qualcosa di cui avevo colpa solo in parte, non era per niente un pensiero allegro.
«Mi stai dicendo che hai davvero letto Harry Potter?»
Zayn mi lanciò un’occhiata in tralice da sopra gli occhiali da vista, poi sbuffò.
«Cosa c’è di strano, sentiamo.» mi invitò a parlare con un cenno della mano destra, un sorriso lieve a increspargli le labbra.
Ci eravamo dati appuntamento in un pub a poca distanza da casa sua; frequentandolo piuttosto spesso, i proprietari e i camerieri erano abituati alla sua presenza, perciò saremmo passati quasi inosservati o, almeno, era quello che speravamo entrambi.
Era incredibile che finalmente avessimo trovato un punto d’incontro, qualcosa su cui entrambi eravamo d’accordo: dovevamo farci vedere insieme più spesso e in atteggiamenti affettuosi ma non volgari, in modo che la stampa – e soprattutto le fan – si abituasse alla nostra storia e capisse che, ormai, eravamo una coppia di fatto. La reputazione di Zayn e l’idea che tutti avevano di lui sarebbe cambiata, una volta fosse stato evidente che era in grado di mantenere una relazione stabile e, per il momento, duratura.
Ma cosa avrebbe fatto Zayn, una volta scaduto il contratto? Sospirai, rendendomi conto – con un po’ di tristezza – che a quel punto non sarebbe più stato un mio problema.
Dovevo solo sperare che ciò che provavo per lui e cioè quello strano misto di attrazione e terrore, non si tramutasse in un’infatuazione perché, se fosse successo, non sarei mai riuscita a fingere.
Per Zayn, ovviamente, non avrebbe fatto alcuna differenza. Anzi, mi avrebbe detestata ancora di più. Di certo c’era che non mi sarei mai fatta umiliare in quel modo, non finché la mia (esigua, ma ancora presente) sanità mentale avrebbe resistito.
«Ragazzina? Pronto?»
Zayn mi sventolò la mano davanti agli occhi, poi schioccò le dita un paio di volte; quando si accorse che non gli avrei risposto, picchiettò con l’indice sulla mia fronte.
«Che?» riemersi dalle mie riflessioni con un tono di voce più acuto di qualche decibel. Zayn si accigliò.
«Non mi piace essere ignorato.» borbottò, un po’ risentito.
«E a me non piace l’origano sui pomodori, come la mettiamo?» replicai, con un sorriso che sapevo l’avrebbe fatto infuriare. Va bene andare d’accordo, ma un po’ di allegria doveva pur esserci. E visto e considerato che Zayn era la persona meno allegra che conoscessi, era gioco forza che l’arduo compito di mantenere attiva la vita di coppia spettasse a me.
«Sai che la metà delle cose che dici sono assolutamente assurde?» mi fece notare, con un sopracciglio lievemente inarcato. Lo faceva spesso, avevo notato, quando qualcosa lo lasciava interdetto.
Perciò annuii, poi gli rubai una patatina fritta dal piatto.
«“Posso prendere una patatina, per favore?” “Certo, Eve, fa’ pure.”» sibilò Zayn, sarcastico. Ridacchiai divertita e, in risposta, ne presi un’altra.
«Oh, andiamo. Lo so che ormai non ti do più tanto fastidio.» sostenni, spostando il suo piatto in modo che fosse al centro del tavolo. Di fronte alla sua occhiata torva, sorrisi.
«Che vuoi? Ho ancora fame!» protestai. A pranzo avevo mangiato solo un po’ di lattuga e dei cracker: avevo la dispensa e il frigorifero vuoti e nessuna voglia di andare a fare la spesa. Oltretutto, il signor Clint – il mio affittuario – mi aveva fatto presente che il mese stava ormai giungendo al termine e che non avrebbe accettato un mio ritardo nel pagamento dell’affitto.
«Cosa ti fa pensare che non mi dai più fastidio?»
Zayn voleva essere serio, glielo leggevo in faccia. Aveva di nuovo quell’espressione da “sei solo una stupida ragazzina”, ma c’era qualcosa di diverso. Ero certa che si stesse sforzando di non sorridere, perché gli angoli delle sue labbra erano lievemente inclinati all’insù e i suoi occhi erano sereni, per quanto possibile.
Sentii una stretta piacevole da qualche parte tra la pancia e lo stomaco e, prima che potessi frenarmi, mi ritrovai a sorridere con dolcezza. Certo, probabilmente Zayn si sarebbe incazzato, dato che si arrabbiava per tutto, ma a chi importava? Tutto ciò che volevo sapere era che non mi odiava, e il suo sorriso sghembo me l’aveva appena confermato.
«Ti ho rubato le patatine e sono ancora viva.» spiegai, quindi, con una risposta che non avrebbe condannato nessuno dei due ad un silenzio imbarazzante. Non ero mica tanto stupida da sperare che mi avrebbe confessato così su due piedi che in fondo non ero tanto male.
«Be’, ragazzina, forse mi sbagliavo su di te.»
Cosa? Avevo sentito bene oppure le mie orecchie mi stavano tirando un brutto scherzo? Aveva davvero detto quello che credevo di aver sentito?
«Non fare quella faccia. Non ti sto dicendo che siamo amici.»
Ed eccolo che si tirava di nuovo indietro. Era mai possibile che quel benedetto ragazzo non avesse il coraggio di darmi un po’ di fiducia? Dopotutto, avevo dimostrato di essere una persona affidabile. Per quanto possa esserlo una che ti da dello stronzo, dell’idiota e del cretino, ma d’altronde nessuno è perfetto.
«Mi concedi almeno il titolo di conoscente?» gli sventolai una patatina sotto il naso, facendolo ridere di gusto. Era la prima volta che si comportava in maniera tanto spontanea in mia presenza e ne rimasi piacevolmente colpita. Questa versione di Zayn, un po’ ombrosa ma tutto sommato dolce, era quella che in tutta probabilità avrebbe potuto farmi perdere la testa.
Speravo con tutto il cuore di non innamorarmi di lui, perché si trattava senz’altro di un disastro annunciato. Voglio dire, quale idiota si innamorerebbe mai del cantante famoso a cui deve fare da babysitter? Non sarei stata tanto stupida da commettere uno sbaglio simile. Eppure, quando ero in compagnia di Zayn, non potevo fare a meno di dimenticarmi tutti quei pensieri e concentrarmi solo su di lui.
Scontroso o no, era una ragazzo complesso, con un carattere complicato e un sacco di segreti. Sotto quell’aria da duro, c’era molto più di quanto dava a vedere. Ed io, che ero nata testarda, avrei fatto tutto il possibile per scavare a fondo e scoprire il vero Zayn, quello che la vita mondana non aveva ancora contagiato.
«Direi di sì.» concesse infine, dopo qualche minuto di riflessione. Sapevo quanto gli stesse costando venirmi incontro e il suo sforzo era molto più che apprezzato. Perché è così che funzionano le tregue, no? Ci dev’essere collaborazione da entrambe le parti e, comunque, io non potevo sempre fare tutto da sola.
«Perciò… be’, se avessi qualcosa da chiederti, potrei farlo senza correre il rischio di essere uccisa?» azzardai, una volta certa che la conversazione non stesse per prendere pieghe pericolose.
«Eve…»
«Dai, Zayn. Facciamo così: io faccio una domanda a te, e tu ne fai una a me, se vuoi. Così saremo pari. Altrimenti io chiedo e basta e tu sarai costretto a rispondere, perché ti stresserò talmente tanto che»
«Per l’amor del cielo, tappa la bocca, Eve. Quando parli così in fretta mi fai venire il mal di testa.»
Ridacchiai, perfettamente consapevole di quanto aveva appena detto. La mia era una tecnica comprovata, di quelle infallibili, che avevano lo scopo di portare il soggetto all’esasperazione. E Zayn, che di pazienza non ne aveva nemmeno un centesimo, aveva ceduto al primo attacco.
Le cose cominciavano a farsi interessanti.
«Chi comincia?» domandai, sperando che non avesse cambiato idea. Anche se in realtà non mi aveva proprio detto di sì, ma cominciavo ad interpretare bene i suoi modi di fare. Zayn aveva un sacco di modi di dire no e, la maggior parte delle volte, era tanto categorico da essere irritante.
Era stato così nei primi periodi della nostra “conoscenza”, ma ultimamente le cose andavano meglio. Ora, quando diceva di no, c’era sempre la possibilità che si trattasse di un sì mascherato quasi alla perfezione.
«Visto che hai tanta voglia di parlare, comincio io.»
Annuii, colta di sorpresa e attesi con impazienza la sua prima domanda. Cosa mi avrebbe chiesto? Lo osservai mentre rifletteva e, come mi succedeva ormai fin troppo spesso, mi ritrovai a pensare che fosse bello. E mi maledissi un secondo dopo perché, maledizione, io non potevo prendermi una cotta per Zayn. Anche se non mi odiava più – o almeno lo speravo – non gli sarei mai potuta piacere, non dopo quello che gli avevo causato con la firma di quell’accidenti di contratto. Ignorai con stoicismo la vocina nella mia testa che continuava a ripetere che ormai era troppo tardi e che Zayn prima o poi si sarebbe accorto del modo in cui lo guardavo (difficile non farlo, comunque) e mi concentrai su di lui.
«Ti muovi? Mi stai facendo venire l’angoscia.» lo rimbeccai. Lui sorrise enigmatico ed io arrossii.
«Volevi che ci conoscessimo, no? Sto pensando ad una domanda che mi permetta di sapere qualcosa di te.»
«Te l’ho già detto, vero, che non sei il mio amichetto del cuore?»
«Tu hai problemi, Eve. Davvero, non sei tanto normale. Ma, comunque, ecco qua la tua domanda: perché insisti così tanto, con me?»
Ahi. Quello era un colpo basso. Di certo non potevo dirgli che lo facevo per i soldi, perché sarebbe stata una bugia, né che il motivo fosse la sua bellezza, anche se quello non era proprio un fattore da sottovalutare.
«Ed io che pensavo mi avresti chiesto qual è il mio colore preferito.» borbottai, torcendomi le dita con aria nervosa.
«Rispondimi, per favore.»
Per favore. Zayn Malik, alias “Zitta, scocciatura, mi stai sulle palle e vorrei affogarti nel Tamigi” mi aveva chiesto per favore. E come facevo a dirgli di no?
«Penso di avere un debole per i ragazzi difficili.» no, così non andava. Non era esattamente quello che avrei voluto dire e fece sogghignare Zayn per diversi secondi. Certo, ci mancava solo che mi prendesse per il culo, e tanti saluti alla mia poca dignità.
«Non nel senso che mi piaci, Zayn.» non era propriamente la verità ma, come si suol dire “Bocca non parla, Zayn non s’incazza”.
«Quello che intendo dire è che sono curiosa, ecco. C’è qualcosa in te, che mi fa pensare che sei molto più di quanto dai a vedere. Anche perché, diciamocelo, se fossi davvero uno stronzo scorbutico, non sarebbe un granché. Ed io non penso che tu lo sia: ho la sensazione che tu sia solo spaventato, ma non capisco perché. Perciò ecco qui la mia domanda: cos’è che ti spaventa?»
Ci guardammo per qualche istante, ognuno ben attento alla prossima mossa dell’altro. Zayn cominciò a giocherellare con uno dei suoi anelli e, poco dopo, sospirò.
«Pensavo sarebbe stato più semplice, gestire tutto questo.» indicò qualcosa di non bene identificato con un gesto vago della mano, ma capii comunque che si stava riferendo alla sua carriera, e non lo fermai.
«La fama, le donne, i soldi, i concerti. Ma mi sono reso conto che ci hanno trasformato in burattini: facciamo quello che dicono, suoniamo quello che dicono, diciamo ciò che vogliono. Io non so più chi sono, Eve, ed è una cosa che mi spaventa.»
Meditai per qualche secondo, estremamente colpita dalle sue parole. Quello decisamente spiegava tutto. Perché fosse così scontroso, così diffidente, così arrabbiato con tutto e tutti, escluse le persone che condividevano la sua medesima situazione. Aveva smarrito la sua identità e non sapeva da dove cominciare, per ritrovarla.
«Io posso aiutarti.»
«Come?» nella sua voce colsi un po’ di desolazione e anche un po’ di speranza.
«Posso ricordarti chi sei, tutte le volte che ti sembrerà di essere qualcun altro.» mormorai, sforzandomi di non arrossire.
E poi li vidi: i muri che crollavano a terra, distrutti dalla speranza. Tutte le barriere abbattute, la polvere spazzata via dal vento, insieme all’astio, alla diffidenza e all’odio. Un nuovo inizio, un passo avanti, nessuno all’indietro.
Zayn sorrise, si alzò in piedi, mi tese la mano e mi tirò su.
«Andiamo!» sostenne.
«Dove?»
«Voglio farti vedere chi sono, Eve. E voglio cominciare dal principio.»
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***







Capitolo 13

 



Zayn mi stava tenendo per mano. E non perché qualcuno gliel’avesse imposto, né perché ci fosse un paparazzo dietro l’angolo, pronto a immortalare l’ennesimo finto momento della nostra altrettanto finta vita di coppia.
La sua presa era delicata, ma ferma e io non trovai la forza – o la voglia – di opporvi resistenza, nemmeno quando mi spinse con fin troppo entusiasmo nel primo taxi libero.
«Sei impazzito?» gracchiai, stupita. Zayn mi ignorò, diede l’indirizzo all’autista e poi si rilassò con le spalle contro il sedile. La sua mano, intanto continuava a stringere la mia.
«Voglio farti vedere una cosa.» sostenne, sereno. Non disse più altro, perciò decisi di rispettare il suo silenzio e ne approfittai per imprimere nella mia mente ogni singolo istante. Sapere che la sua ritrosia era quasi del tutto scomparsa, mi fece tremare per la felicità. Era quello che aspettavo, l’occasione di far capire a Zayn che non avrei mai potuto fargli del male, che in me avrebbe trovato una valida alleata e che poteva fidarsi, perché i suoi segreti sarebbero stati al sicuro.
«Che cosa?»
«Tra poco lo vedrai.»
Cielo, se avesse continuato a mantenere quell’espressione rilassata, mi sarei innamorata di lui ancora prima del previsto. Non era normale, vero, che sentissi il cuore battere in gola, o che…
«Stai tremando.» ecco, appunto.
«Davvero? Probabilmente ho solo freddo.»
«Come fai a non sapere se hai freddo?»
«Sai che ti preferivo quando stavi zitto?»
Zayn ridacchiò, poi lascio la presa sulla mia mano e si sfilò il chiodo di pelle nera che indossava. «Tieni, ma lo rivoglio indietro.» precisò, adagiandomelo sulle spalle. Stavo per rispondergli che non avevo nessuna intenzione di appropriarmi di niente che gli appartenesse, soprattutto di qualcosa che conservasse il suo calore, ma l’autista del taxi scelse quel preciso momento per dichiarare che la corsa era finita e che in tutto facevano trentacinque sterline. Zayn pagò per entrambi, poi mi riprese per mano e scese dall’auto.
Eravamo nel pieno centro di Londra, a Piccadilly Circus. C’era così tanta gente che l’eventualità che qualcuno si accorgesse di noi era quanto mai remota: sarebbe bastato qualche passo, per confondersi tra la folla.
Il cielo si era ormai tinto di blu e la notte aveva cominciato a calare: la piazza era illuminata a festa, i cartelloni pubblicitari rischiaravano la zona e regalavano mille colori. Le ombre si fecero più intense e le figure un po’ più sfocate, ma ogni cosa aveva un fascino tutto suo e, di nuovo, mi resi conto di essere innamorata di Londra e del suo caos, delle strade trafficate, dei pub ad ogni angolo e dei ristoranti d’alta classe.
Zayn mi condusse in un angolo, dal quale era possibile avere una visuale quasi completa dell’intera piazza.
«La vedi, Eve?» chiese, sereno come non l’avevo mai visto. Mi guardò per un attimo, con un sorriso accennato sul volto magro e gli occhi lievemente socchiusi. Quando mi resi conto di essere sul punto di arrossire, puntai lo sguardo altrove e mi concentrai su ciò che ci circondava, anche se si rivelò essere un’impresa piuttosto difficile. Pensavo solo a Zayn e al modo in cui mi stava guardando. E al suo giubbotto. E… cielo, mi ero presa una cotta pazzesca per qualcuno che fino a un’ora prima non voleva vedermi nemmeno in cartolina.
«Cosa dovrei vedere?»
Si posizionò dietro di me e mi mise le mani sulle spalle. Rabbrividii di nuovo, ma questa volta sembrò non accorgersene.
«La vita. La gente che corre, che non si accorge di essere speciale, che ha talenti nascosti. Persone che si incontrano per la prima volta, che si innamorano, che hanno progetti. Vedi quel signore? Quello nell’angolo, che vende le cartoline. Lui suonava il violino, prima, faceva concerti, faceva piangere le persone con la sua musica. L’ho incontrato un giorno, tanti anni fa. Era una delle prime volte che venivo a Londra, da solo. Bradford non è propriamente dietro l’angolo e mamma è sempre stata molto protettiva nei miei confronti.»
Non mi girai a guardarlo, ma immaginai la sua espressione assorta, gli occhi velati da un’ombra di nostalgia e il sorriso un po’ triste di chi ricorda un momento che oramai è passato e che non tornerà più.
La presa sulle mie spalle era gentile, ferma e delicata e per un attimo mi sentii come se non potesse succedermi niente, come se il tempo si fosse fermato in quell’attimo magico in cui Zayn finalmente metteva a nudo un lato di sé che di sicuro teneva nascosto a tanti. E lo rivelava proprio a me, la sua peggior nemica, ma più sincera alleata.
«Comunque, mi sono avvicinato per comprarle una calamita, sai, di quelle che si attaccano sul frigorifero: le piacciono tanto. E in un angolo della bancarella ho visto il violino. Così ho aspettato che si riducesse la fila e ho chiesto a quell’uomo cosa ci facesse con il violino, se trascorreva l’intera giornata a vendere souvenir. E sai lui cosa mi ha detto?»
Scossi la testa.
«Che si sentiva a casa, avendo il violino vicino. Ed io ho pensato che mi sarebbe piaciuto sentirmi a casa in qualunque posto, un giorno. Ed ho pensato anche che se un uomo qualsiasi era riuscito a suonare per intere platee ed era felice vendendo cartoline, forse anche un ragazzino come me, che cantava in camera sua di nascosto, avrebbe potuto fare qualcosa nella vita. L’anno dopo mi sono presentato ai provini di X Factor e quando siamo diventati gli One Direction, sono tornato a ringraziare quell’uomo e lui mi ha regalato questa.» mi sventolò davanti al naso un portachiavi a forma di chiave di violino e me lo adagiò nel palmo della mano, con una delicatezza tale da farmi salire le lacrime agli occhi.
Non sapevo perché mi venisse da piangere in quel modo, ma la storia di Zayn mi aveva commossa e morivo dalla voglia di abbracciarlo, anche se non l’avrei mai fatto. Non era ancora pronto e, di certo, non lo ero nemmeno io.
«Eve, è tutto okay?»
Zayn mi si parò davanti e si inchinò per guardarmi dritta negli occhi.
«Perché stai piangendo? Ho detto qualcosa che non va?»
«No! No, per una volta no.» tirai su col naso e sorrisi debolmente di fronte all’espressione oltraggiata di Zayn. Come se non sapesse perfettamente di essere stato un’arrogante, acido e stronzo senza speranza. E dolce. A volte sapeva essere tanto dolce.
«E allora cosa c’è?»
«Non lo so, sarà la storia del violino e dei sogni che si avverano e… che vuoi che ti dica? Mi hai fatto venire da piangere. Non lo credevo possibile.»
«Che avessi un cuore?»
«No, quello l’ho sempre sospettato, o non sarei qui.»
Zayn rimase in silenzio per qualche istante, poi sospirò e mi lasciò una carezza sulla testa. Volevo davvero abbracciarlo, sentivo il mio corpo fremere per la voglia di stringersi a lui, ma non credevo che avrebbe preso di buon grado uno slancio di affetto da parte mia. Come ci si doveva comportare con lui?
«Mi sono proprio sbagliato su di te, Eve, devo ammetterlo. Avrei dovuto ascoltare gli altri, quando mi hanno detto di fidarmi da subito.»
«Mi stai chiedendo scusa?»
«Non allargarti, ragazzina. Sto solo facendo delle considerazioni. Ora finiscila di frignare, ti porto in un altro posto.» mi prese di nuovo per mano e si immerse tra la folla. Ero ancora così sorpresa dal fatto che fosse così gentile e ben disposto nei miei confronti, che non feci una piega nemmeno quando una ragazzina mi urlò di essere una “stronza sfascia famiglie”. Zayn la ignorò allo stesso modo e continuò a camminare, imperterrito, fino a raggiungere un piccolo bar in un angolo. Aveva l’insegna nera, con la scritta “Barry’s” in corsivo elegante e la luce al neon azzurra. Una volta dentro, si accomodò nel tavolo più lontano dall’ingresso e mi trascinò accanto a sé sulla panca.
«Questo» cominciò «è il posto in cui sono venuto il giorno in cui abbiamo firmato quel maledetto contratto. Il proprietario è un vecchio amico di mio padre e molto probabilmente, se non avessi fatto carriera con i ragazzi, avrei finito per il lavorare qui. Ci vengo spesso, quando non mi sembra di avere alcuna via d’uscita.»
Mi sentii inevitabilmente in colpa sebbene, per una volta, l’intento di Zayn non fosse quello di farmi rimpiangere la firma del contratto. Gli avevo chiesto di aprirsi e avrei dovuto immaginare che non avrei sentito solo cose belle. Dopotutto, esisteva al mondo una persona che aveva unicamente esperienze positive da raccontare? Credevo di no e comunque, se anche fosse esistita davvero, io non l’avevo mai incontrata.
«Mi dispiace tanto per questa storia, Zayn. Credimi, non l’avrei fatto se non fossi stata costretta. È che le cose non vanno tanto bene, nell’ultimo periodo, e in tutta sincerità non mi è stata data la possibilità di scegliere. Avrei potuto dire di no, ovviamente, ma non ero pronta a perdere e ho pensato che non sarebbe stato poi così terribile fingere di stare con qualcuno. Pensavo che sarebbe stata una passeggiata, ma quando ho capito come stavano le cose era troppo tardi per tirarmi indietro. Tu mi odiavi, ma io non avevo scelta.»
«C’è sempre una scelta, Eve. Si tratta solo di prendere la decisione giusta, o quella più facile. Tu quale hai preso?» domandò Zayn, estremamente serio. Ci riflettei su per qualche istante: firmare il contratto non era stata la scelta migliore della mia vita, questo era vero, ma non era stata nemmeno la più semplice. C’erano un sacco di cose in gioco ed io avevo imparato ad accettare qualsiasi cosa si mettesse sulla mia strada. Anche se si trattava di zia Kate e di un fidanzamento fasullo.
«Nessuna delle due. Solo che non ero pronta a tornare a casa, Zayn. Come avrei spiegato ai miei genitori che avevo fallito su tutta la linea? Non hai idea di quanto mi ci è voluto per convincerli a farmi andare via da Birmingham. È stato difficile, complicato ed io mi sono ritrovata da sola in una città enorme e caotica, con un paio di valige e la speranza di diventare indipendente. Non potevo tornare indietro e dire che mi avevano cacciata di casa perché ero in ritardo coi pagamenti. Avrei deluso tutti e mi sarei vergognata. Per non parlare, poi, di quanto sarei stata ingrata. I miei genitori hanno sacrificato tanto per me, non voglio dire loro che in realtà hanno una figlia bugiarda e incapace, capisci?»  
Passai rabbiosamente i pugni sotto gli occhi: mi ero messa a piangere un’altra volta e proprio non capivo cosa mi stesse succedendo. Che fine aveva fatto la mia indifferenza ad ogni cosa? Avevo sopportato settimane di insulti da parte di Zayn, di inchieste e domande fin troppo indelicate da parte di zia Kate ed ora scoppiavo a piangere come un’adolescente in piena crisi isterica. Dovevo davvero avere qualcosa che non andava.
Sentii Zayn sospirare, poi il suo braccio mi cinse con delicatezza le spalle. Sentii il suo respiro tra i capelli e mi accoccolai un po’ di più contro di lui, per godermi quell’abbraccio che avevo cercato per tutta la sera.
«Io non so che rapporto hai con i tuoi genitori, Eve, ma non credo che sarebbero delusi da te. Per quanto mi costi ammetterlo, sei una brava ragazza. Fastidiosa, dispotica e impertinente, ma sei generosa. E sono sicuro che loro lo sanno, perciò niente paranoie. Se sono riuscito ad accettarti io, loro non avranno alcuna difficoltà: faranno la scelta giusta.»
Fu in quel preciso momento, stretta tra le braccia di Zayn, che capii che cosa dovevo fare. Finalmente, dopo settimane in cui avevo inutilmente cercato di venire a capo del problema che mi faceva perdere il sonno e la pazienza, mi ero resa conto che il problema stava proprio nelle mie scelte. Erano quelle sbagliate.
Presto avrei risolto tutto; dovevo solo mandare un’e-mail a zia Kate e chiederle di annullare il contratto, promettendo che avrei portato avanti la farsa fino a che fosse stato necessario. Ma non avrei più preso un centesimo da loro, a costo di tornare a Birmingham da mamma e papà e supplicarli in ginocchio di darmi asilo.
Io, Evengeline Morrigan, avrei fatto la cosa giusta.
 
 
 

***

 
 
Capitolo nuovo!
In straritardo, lo so, e mi dispiace. Ma avevo completamente perso l’ispirazione per questa storia. Ora, con l’aiuto di Elena, ho stabilito per bene i dettagli e spero di riuscire a concludere presto!
Spero che vi sia piaciuto, perché è uno dei miei preferiti di tutta la storia.
Fatemi sapere, se vi va, vi adoro <3

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***









Capitolo 14

 



La mattina seguente mi svegliai di ottimo umore e mi sentivo così piena di energie che avrei anche potuto prendere in considerazione l’idea di darmi alle pulizie di primavera, cosa che rimandavo da fin troppo tempo. Non che la casa fosse lurida, ma una bella pulita non avrebbe certo fatto male.
Per prima cosa, però, dovevo portare a compimento il mio piano, sul quale avevo riflettuto per l’intera notte. La prima fase, ossia quella principale, consisteva nel contattare zia Kate e proporle la mia vantaggiosa offerta, che prevedeva la scissione di quel malefico contratto e il mio solenne impegno a mandare avanti la messa in scena completamente gratis. Se non avesse accettato subito, le avrei messo in luce i benefici che avrebbe comportato: un risparmio per la società, la buona reputazione di Zayn e la rinascita degli One Direction. Ovvio, non pensavo davvero che dipendesse da me, ma meglio ingigantire le cose anziché sminuirle.
La seconda fase, invece, si concentrava unicamente su Zayn: gli avrei spiegato ogni dettaglio e l’avrei convinto ad aspettare un po’ di tempo prima di scaricarmi su due piedi. In tutta sincerità, non mi sentivo propriamente entusiasta all’idea di non rivederlo più, ma era inevitabile che prima o poi ognuno sarebbe tornato alla propria vita.
La terza fase riguardava me stessa e il mio futuro: avrei cercato un altro impiego, abbandonato il mio appartamento microscopico e il mio odioso affittuario e mi sarei trasferita altrove, magari un po’ più lontana dal centro, in una zona tranquilla in cui avrei potuto conoscere gente simpatica e a modo. Potevo farcela, se mi fossi impegnata davvero.
Feci colazione con calma, gustandomi il caffè e i biscotti al cioccolato, poi mi lavai, mi vestii e mi truccai anche, perché per le cose importanti bisogna sempre prepararsi per bene. Anche se fisicamente non avrei messo piede fuori di casa, ma quelli erano solo dettagli.
Afferrai il cellulare e mi sedetti sul divano, con le gambe accavallate. Cercai il numero di zia Kate e feci partire la chiamata; sentii un brivido di aspettativa all’idea di esporle la mia magnifica idee e, per una volta, avevo la certezza assoluta di stare compiendo la scelta migliore. Era una sensazione fantastica: non mi ero mai sentita così in pace con me stessa come in quel momento e non avrei permesso a nessuno, tantomeno a quella bisbetica della zia di rovinare il mio entusiasmo.
«Evangeline.» zia Kate non era una donna di molte parole. Era rigida come un manico di scopa e antipatica come poche persone al mondo. Tuttavia, il suo saluto poco gentile non mi scalfì minimamente. Ero troppo di buon umore per permetterle di abbattermi.
«Ciao, zia Kate. Hai un minuto? Avrei bisogno di parlarti.»
Di zia Kate c’è da sapere una cosa: lei non bofonchia. Non la sentirete mai farfugliare qualcosa di incomprensibile ma di vagamente offensivo. Si limita a dire “Magnifico” con una sfumatura così gelida da far venire voglia di scappare. Lo fece anche quella volta, ma la ignorai con stoicismo e mi affrettai a esporle il mio progetto, tenendo le dita incrociate.
Rimase in silenzio per qualche minuto, poi la sentii sospirare. Il che era anche meglio di quanto mi aspettassi: non aprii bocca, per evitare di infastidirla e attesi, trepidante che prendesse una decisione.
«Mh. Ti farò sapere tra un paio di giorni, Evangeline. È una richiesta idiota, da parte tua, ma la cosa non mi sorprende affatto. Sabato mattina vi aspetto entrambi nel mio ufficio, per la riunione con il management. Ci sono alcuni eventi ai quali è necessario che partecipiate. Alle nove, sii puntuale.»
Oh, no. Non avevo la minima intenzione di farmi rovinare il sabato da quegli idioti della casa discografica, tantomeno avrei permesso loro di distruggere ogni traguardo che avevo faticosamente conquistato. Perché, ne ero certa, avrebbero stravolto il fragile equilibrio che io e Zayn avevamo trovato.
«Non saremo a Londra, questo weekend. Mi dispiace, zia, ma mamma e papà ci hanno invitato a Birmingham: vogliono conoscere Zayn e ho pensato che fosse una buona idea accettare.»
Seguì un lunghissimo minuto di silenzio, in cui sperai con tutto il mio cuore che zia Kate non cominciasse a dare di matto, perché proprio non avrei saputo cos’altro inventarmi.
«Uhm. La prossima volta avverti prima, Evangeline. Non posso credere che tu sia sempre così distratta. Voglio delle prove della vostra uscita. Fotografie, qualsiasi cosa possa esserci utile con la stampa. Ti manderò una mail con la mia risposta alla tua richiesta, al massimo entro settimana prossima.» detto questo, riattaccò, senza nessun saluto, né un accenno di umanità. Niente. L’apatia più totale.
Mi accasciai sul divano, sollevata. In fondo non era andata così male. Avrebbe potuto troncare sul nascere ogni mia proposta e impormi di disdire il weekend, ma non l’aveva fatto. Forse aveva un cuore anche lei o forse, semplicemente, trovava il fine settimana un’occasione imperdibile per un po’ di pubblicità.
Poi mi venne in mente che aveva parlato di prove e caddi nel panico. Che prove avrei potuto darle? Ovviamente non saremmo mai andati insieme a Birmingham, non mi era nemmeno passato per la testa di proporlo a Zayn. Semplicemente, l’avrei avvertito di non farsi vedere in giro il sabato e la domenica per non destare sospetti. Come avrei fatto? Balzai in piedi e cominciai a fare avanti e indietro per tutta la casa, alla ricerca di un’idea intelligente che potesse salvarmi dal disastro annunciato. Quando mi resi conto che il mio cervello non era sufficiente, afferrai il cappotto, raccattai le chiavi di casa e mi precipitai fuori casa, diretta alla fermata del pullman più vicina. Meta: casa di Zayn.
Suonai il suo campanello circa un’ora dopo, quando ormai si erano fatte le undici. La porta, però, venne aperta da un Louis Tomlinson particolarmente infastidito, che mi rivolse un sorrisino seccato e uno sbadiglio in piena faccia.
«Dormivamo.» comunicò, imbronciato.
Mi strinsi nelle spalle, perché non potevo certo saperlo – anche se in effetti avrei potuto fare almeno una telefonata prima di precipitarmi lì – e lo seguii fino alla cucina, dove un assonnato Liam faceva bella mostra di un pigiama verde acido coi quadri azzurri.
«Ciao, Eve.»
«Ciao, Liam. Mi dispiace averti svegliato.» gli sorrisi e mi offrii di preparare la colazione, per farmi perdonare. Accettò con uno sbadiglio e con un cenno della mano e si sedette al tavolo, con la testa affondata tra le braccia incrociate. Louis, intanto, annunciò che andava a chiamare Zayn ed ebbe la premura di precisare che mi avrebbe senz’altro uccisa in maniera molto violenta, per averlo svegliato a quell’ora.
«Guarda che sono le undici passate, mica le sei del mattino.» borbottai, mentre infilavo le fette di pane tostato nel tostapane. Come facevano a dormire, quando io ero così in difficoltà? Era inammissibile.
Sentii i passi pesanti di Zayn e Louis lungo le scale e dopo qualche istante apparvero entrambi in cucina. Zayn, con il volto assonnato e gli occhi ancora mezzi chiusi, si trascinò fino al tavolo e si lasciò andare accanto a Liam, che nel frattempo aveva ripreso a russare.
«Non ti sembra un po’ presto, Eve?» mormorò, con la voce impastata dal sonno. Temetti che si sarebbe addormentato da un momento all’altro, così gli spinsi sotto il naso una tazza fumante di tè caldo e un piattino con dei biscotti.
«Ho combinato un macello, Zayn. Sono idiota, certe volte. Solo che adesso non so più cosa fare e qui c’è il rischio che vada a finire male, sai? Voglio dire, si parla di zia Kate e lei è così bastarda che-»
«Mi sono appena svegliato, ragazzina. Anzi, probabilmente sto ancora dormendo e non ho capito un accidenti di quello che hai detto. Ripeti con calma. E sii concisa, che voglio tornarmene a letto.»
Affondò un biscotto nel tè e mi incitò a proseguire con un cenno della mano.
«Ho detto a zia Kate che questo weekend saremo dai miei genitori.»
«E perché mai l’avresti fatto?»
«Perché voleva che partecipassimo ad una riunione del management ed io non ne avevo per niente voglia e ho immaginato che nemmeno tu morissi dalla smania di andarci. Perciò ho cacciato la prima balla che mi è venuta in mente.»
«Hai fatto bene. Grazie, Eve, lo apprezzo molto.» Zayn si alzò in piedi, mi scompigliò i capelli e mollò la tazza nel lavandino.
«Me ne rivado a letto. Tu fai pure come sei fossi a casa tua.» biascicò.
Alzai gli occhi al cielo, perché forse ancora non era abbastanza chiaro quanto la situazione fosse grave.
«Vuole delle prove, Zayn. Foto, cose così.»
E Zayn finalmente si svegliò.
«Cazzo.»
«Già.»  
 
Una volta compreso che non avrebbe più potuto tornarsene a letto, Zayn mi condusse in salotto e si accomodò sul divano bianco, facendomi poi cenno di sedermi di fianco a lui.
«Mi dispiace, non volevo combinare un altro disastro.»
«È tutto okay, Eve. Ormai comincio a farci l’abitudine.»
Sorrisi, perché sentire certe parole da Zayn – era incredibile come fosse molto più rilassato, ora che avevamo chiarito le reciproche posizioni – faceva un certo effetto. Abituarsi alle persone è complicato, in genere. Significa dar loro fiducia, permettergli di entrare nella nostra vita e consentirgli di influenzarla in qualche modo. Sapere che potevo avere un po’ di ascendente sulla vita di Zayn, in tal senso, mi emozionava parecchio. Era più di quanto mi aspettassi e rendeva difficile e doloroso accettare che presto sarebbe finito.  
«Perciò che facciamo?» domandai, passandomi una mano tra i capelli e cercando di trovare una soluzione che consentisse ad entrambi di non finire nei guai. Perché se zia Kate avesse scoperto che si trattava di una messa in scena – il che faceva piuttosto ridere, visto e considerato che aveva imbastito un finto fidanzamento – mi avrebbe fatto lo scalpo.
«E se andassimo davvero a Birmingham?» proposi, infine. Era passata quasi un’ora e sia io che Zayn non avevamo fatto altro che inventarci una scusa sopra l’altra, nell’eventualità che ci venisse in mente qualcosa di abbastanza credibile per giustificare l’assenza di prove.
Louis, che si era divertito per tutto il tempo a smontare ogni nostra affermazione, finalmente tacque.
«Ve l’ho detto due ore fa, idioti.» berciò, alzando gli occhi al cielo. Gli rivolsi uno sguardo irato e pieno di stizza, che lo fece ridacchiare fastidiosamente per qualche minuto. Quando ebbe finito – e, credetemi, non aveva alcuna fretta – tornò a sedersi accanto a me e si sporse in avanti per guardare Zayn.
«Sei in catalessi?» domandò, con un sopracciglio scuro inarcato. Zayn lo considerò appena e si voltò verso di me tanto velocemente che non feci in tempo a spostarmi e mi ritrovai con il suo viso a pochi centimetri dal mio. Ovviamente, arrossii come una liceale di fronte al suo cantante preferito. Il che era piuttosto plausibile, visto che Zayn era davvero un cantante. Ma io non ero una liceale, pertanto avrei dovuto smetterla di comportarmi come tale e decidermi a dare un taglio a questa sottospecie di cosa.
«Tu non hai detto niente ai tuoi genitori, vero?»
Repressi l’impulso di colpire Zayn con un pugno sul suo naso perfettamente dritto e mi limitai a sbuffare.
«Dì, sei impazzito? Sanno solo che sto frequentando un ragazzo famoso, non gli ho certo detto che sono sotto contratto come una sottospecie di squillo.»
Louis ridacchiò di nuovo. «Ti fa ridere, per caso?» ringhiai, sull’orlo di una crisi di nervi.
«Problemi?»
«No, figurati. Sei tu la principessa, tra di noi.» cinguettai, innocente. Louis arrossì e fu uno dei momenti migliori di tutta la mia vita. Non era uno che cadeva facilmente nell’imbarazzo, ma da quando una sera era capitato in una pagina di Facebook dedicata agli One Direction e aveva letto che le sue fan lo quotavano come “quello che senz’altro sta sotto, la nostra Princess Louis. Harry è il dominante” era diventato molto sensibile sull’argomento. E, visto che lui godeva nel mettermi in difficoltà, trovavo divertente ricordargli che era apparentemente invischiato in una storia torbida con Harry.
«Stronza.»
«Quando avete finito, vi dispiace tornare alla questione principale?» ci riprese Zayn, spazientito. Poteva fare il serio quanto gli pareva, ma gli veniva da ridere ed era così evidente che si stesse trattenendo che Louis sbuffò e se ne andò, offeso come solo una principessa poteva essere. Evitai di infierire, perché poteva diventare davvero acido, e tornai a concentrarmi su Zayn.
«Scusa, ci sono. Potrei chiedere ai miei di ospitarci il fine settimana. So che l’idea non ti piace e ti fa ribrezzo, ma penso sia l’unico modo. O questo, o una riunione con il management.»
Zayn sospirò, alzò gli occhi al cielo e mi rivolse un sorriso rassegnato.
«E sia. Presentami la famiglia Morrigan.»






No, non è un miraggio e sì, sono proprio io e questo è un nuovo capitolo. Sono schifosamente in ritardo, chiedo perdono. La verità è che sono stanca di scrivere degli One Direction - questa infatti sarà la mia ultima storia su di loro - 
e mi fa un po' di fatica andare avanti. Sono stata parecchie volte sul punto di cancellare questa storia, poi però ho pensato a voi che ancora a spettate e mi sono proibita di essere così stronza. Perciò ho deciso che in questa settimana mi concentrerò esclusivamente su questa storia in modo da finirla e poter essere regolare con gli aggiornamenti. Non vi prometto niente, comunque.
Personalmente, il capitolo non mi dispiace, anche se credo avrei potuto fare di meglio. Dal prossimo le cose si complicheranno un po'  e niente, ci avviciniamo alla fine, mie care.
Vi ringrazio per la pazienza, davvero!
Con affetto,
Fede.
 
 
 
 

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Capitolo 16
*** LEGGIMI! ***


Non fatevi prendere un infarto, non sto per dire che cancellerò la storia.

A distanza di un anno dall'ultimo capitolo, mi sono resa conto grazie alla recensione di Giulia__Styles, che sono un'ignorante.
Insomma, avrei potuto dire subito questa cosa e probabilmente ci avrei fatto una figura migliore, piuttosto che sparire all'improvviso.
La verità è che One Step Forward mi aveva stancata. Più che la storia, in realtà, mi avevano stancata i One Direction ed ogni cosa legata a loro, di conseguenza anche scrivere la storia è diventata una faticaccia.
Ho iniziato a lavorare, ho passato un po' di periodi no e qualche periodo sì e quindi la scrittura è stata accantonata.

Perchè lo dico adesso? Perchè recentemente ho scritto un capitolo nuovo di One Step, ma ho deciso di non pubblicarlo.
Voglio prima finire la storia sul mio computer e poi, quando sarà conclusa, la pubblicherò.
Non voglio correre il rischio di deludere ancora le aspettative.
Quindi, la storia avrà una conclusione, ma non posso darvi tempi certi.
Parola di Scout che arriverò alla fine.

Sentitevi libere di mandarmi a quel paese, me lo merito! Vi adoro ancora, anche se sono sparita.


A presto,
Fede.

 

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