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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** LEGGIMI! ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Guardai
la mia immagine riflessa nello specchio con aria
estremamente contrariata: ero più brutta del solito, quel
giorno.
Non
che in genere fossi di una bellezza sconvolgente,
comunque. Non ero il tipo di ragazza che faceva voltare gli uomini al
suo
passaggio; spesso nemmeno mi notavano.
Non
avevo un fisico perfetto, né un seno formoso. Niente
occhi azzurri, naso alla francese e bocca a cuore. Tantomeno avevo dei
bei
capelli, di quelli lunghi e lucenti, come le modelle che si vedevano
nelle pubblicità.
Anzi,
i miei capelli erano di media lunghezza, lisci come
spaghetti e tinti di un castano così scuro da sembrare nero.
Avevo anche la ricrescita
e probabilmente sarei dovuta andare da un parrucchiere, ma non avevo
poi tutti
quei soldi da spendere.
E
comunque, ero abbastanza soddisfatta di me stessa, e i
miei occhi marroni - di un banalissimo color castagna - non erano un
problema.
L'aspetto fisico non era tutto, in fin dei conti. C'erano cose
più importanti e
un chilo in più non rientrava nella mia lista di
priorità.
Avevo
ben altro a cui pensare: mia zia Kate, che lavorava
come manager presso una rinomata agenzia di Londra, mi aveva chiesto di
raggiungerla quella mattina, per fare colazione insieme e discutere di
un'offerta che, a suo dire, avrei senz'altro trovato interessante.
Detestavo
zia Kate. Aveva quell'atteggiamento da donna
d'affari che proprio non riuscivo a sopportare e in più
sembrava sempre che
tramasse qualcosa, con quell’aria furba e calcolatrice.
Tuttavia,
ero troppo incasinata per poter rifiutare
un'offerta di lavoro: l'affitto non si pagava da solo e di certo non
morivo dalla
voglia di dormire su una panchina in Hyde Park. Tantomeno volevo
tornare da mia
sorella e dirle che la mia indipendenza era stata uccisa da cause di
forza maggiore.
La madre del piccolo Joshua era stata licenziata e, di conseguenza, non
aveva
più bisogno di una baby-sitter, per il momento. Coleen,
invece, si era presa la
varicella e i suoi genitori avevano ritenuto opportuno lasciarmi a casa
senza
pagarmi l’ultimo mese.
Un
fallimento su tutta la linea. Andy avrebbe gongolato
per mesi e mi avrebbe riempito di “te l’avevo
detto”. Perciò, zia Kate era la
mia ultima chance.
Con
un sospiro, sistemai il colletto della camicia bianca
e controllai di averla infilata bene nella gonna. Odiavo i tailleur, ma
zia Kate
era stata piuttosto chiara: dovevo indossare il completo che lei stessa
mi aveva
regalato il Natale dell'anno prima.
In
tutta sincerità, ero piuttosto contrariata: non era
concepibile che fossero ancora in commercio abiti tanto tristi e,
sopratutto,
non era possibile che qualcuno spendesse soldi per comprarli. Quante
storie,
poi, per una semplice colazione.
Sconsolata,
allisciai le pieghe sulla gonna - di un
deprimente grigio antracite - e indossai la giacca.
«Poteva
regalarmi anche le scarpe, accidenti a lei. E ora
che mi metto?» brontolai, mentre aprivo la scarpiera alla
ricerca di qualcosa
di appropriato. Non che avessi chissà quanta scelta, poi.
L'ultimo paio di
scarpe eleganti che avevo acquistato risalivano a... be', nemmeno me lo
ricordavo. Il vantaggio di essere una baby-sitter a tempo pieno era che
non
avevo bisogno di un tacco quindici. E comunque, il mio stipendio era a
malapena
sufficiente per fare la spesa, figurarsi per comprare scarpe a
volontà.
«Come
cavolo faccio, adesso?» mi sarei messa le mani tra i
capelli, se solo non avessi rischiato di sciogliere lo chignon: mi ci
era
voluta quasi un'ora, per intrappolare tutti i ciuffi che andavano per
fatti
loro.
«Zia
Kate mi ucciderà.» piagnucolai, mentre afferravo
gli
anfibi neri e li calzavo velocemente. Ero già in ritardo,
tanto per cambiare, e
in tutta probabilità mi sarei beccata una lavata di capo non
indifferente.
Controllai il trucco un'ultima volta, sperando che l'eye-liner non mi
avesse
impiastricciato tutto l'occhio, passai il burrocacao sulle labbra
screpolate ed
afferrai cappotto, sciarpa e borsa.
La
macchina mi aspettava sotto casa, puntuale come un
orologio svizzero. Era un'elegante berlina nera, di quelle che non mi
sarei potuta
permettere nemmeno dopo quarant'anni di lavoro.
L'autista,
un uomo sulla cinquantina, con un paio di folti
baffi grigi e gli occhi azzurri, mi rivolse un sorriso gentile e un po'
divertito.
«Buongiorno,
signorina Morrigan.» salutò, aprendo la
portiera.
«Buongiorno
anche a lei.» sorrisi, un po' agitata. In che
guaio mi stavo cacciando?
Mi
accomodai sul sedile posteriore, certa che sarei stata
sola. Dopotutto, chi mai si sarebbe scomodato, solo per me? Invece, per
mia enorme
(e spiacevole) sorpresa, l’abitacolo era occupato da un
secondo passeggero.
«Zia
Kate!»
«Ciao,
Evangeline. Belle scarpe.»
Arrossii
immediatamente e farfugliai una serie di scuse e
giustificazioni, che zia Kate accolse con un'espressione contrariata e
un
sopracciglio inarcato. La detestavo.
«Le
cose cambieranno.» si limitò a replicare, stoica.
La
guardai confusa, ma non dissi una parola. Spesso,
quando Zia Kate parlava, faticavo a capire cosa stesse dicendo. Ogni
parola che
usciva dalla sua bocca sembrava avere un significato ben preciso. Non
diceva
mai niente a caso e, il più delle volte, non avevo la
più pallida idea di che
cosa stesse parlando, né mi interessava, in effetti.
Perciò
rimasi zitta, con lo sguardo fisso sulla punta
degli anfibi, un po' rovinati per l'uso - non per niente, infatti,
erano i miei
preferiti - e sentendomi più inadeguata che mai.
Trascorremmo
in completo silenzio il resto del viaggio, io
perché tormentata dall'idea di aver appena preso la
decisione peggiore di tutta
la mia esistenza, zia Kate perché troppo occupata a
controllare le e-mail sul
suo inseparabile iPad.
Non
era mai una buona idea stringere i rapporti con lei,
ne ero consapevole. Era una persona subdola, ma probabilmente la colpa
era del
suo lavoro: avere continuamente a che fare con persone famose,
arriviste e
false, probabilmente non era il massimo e non era neanche
così strano che ne
fosse rimasta influenzata.
Per
quanto riuscissi a ricordare, ero certa che un tempo
zia Kate fosse molto meno rigida.
Mi
aveva persino abbracciata, anni prima.
«Non
riesco a credere che tu ti sia messa queste scarpe.»
ripeté, mentre camminavamo lungo il corridoio.
La
macchina ci aveva lasciate esattamente di fronte ad un
imponente edificio grigio e avevo avuto a malapena il tempo di capire
dove ci
trovassimo, prima che zia Kate mi intimasse di accelerare il passo,
visto che
eravamo in ritardo e lei non aveva assolutamente intenzione di fare una
brutta
figura.
Così
l'avevo seguita in silenzio ed avevo tenuto la testa
bassa anche quando ci eravamo fermate davanti alla reception. La
segretaria mi aveva
squadrata dalla testa ai piedi e aveva storto il naso, mezza
disgustata.
Anche
il quel caso ero stata zitta, nonostante mi sarebbe
piaciuto dirle di farsi i cavoli suoi e di pensare alla scollatura
eccessiva
della sua camicia. Orribile, e poco elegante.
«Stanno
aspettando solo voi, signora Morrigan.» cinguettò
la ragazza, con un cenno d'intesa.
Zia
Kate annuì bruscamente, mi posò una mano sulla
schiena
e mi accompagnò con gentilezza fino ad una porta di legno
chiaro.
Dall'altro
lato, riuscii a sentire solo un coro di voci
infuriate, poi zia Kate aprì la porta e calò il
silenzio.
«Zayn, ti presento
Evangeline, la tua fidanzata.»
***
Caterina Margherita Giulia, grazie.
(Metto tutti e tre i nomi, sperando di non sbagliare, tanto per farti
capire che sto parlando proprio di te <3)
Buonasera a tutte (e a
tutti, se ce ne sono)!
Okay, per chi non mi
conoscesse, mi chiamo Federica e questa NON è la prima
storia che pubblico sui One Direction. E' l'ennesima, e probabilmente
ne avrete piene le scatole, ma la cosa non mi interessa.
AHAHAH
Non la smetterò
mai di intasare questo fandom, credo, nonostante a volte mi vergogni da
pazzi. Cioè, avete visto l'avviso che c'è
all'inizio di ogni pagina? Vergogna.
Ecco. Comunque, non
è questo il punto.
Il punto è che
questa è un'altra storia, decisamente diversa dalle altre
altre che ho scritto e che sto scrivendo. Non è niente di
che, in effetti, e non mi aspetto che abbia chissà quale
successo, ma mi piace scriverla e sono già innamorata dei
personaggi.
E poi ho la tristissima tendenza a fangirlare per quello che scrivo, a
volte, perciò ho pensato che anche voi potreste fangirlare
con me (?)
Basta, ho finito.
Spero che il prologo vi sia piaciuto e non vedo l'ora di sapere che ne
pensate, ci tengo tanto a questa storia!
Ora passiamo alle cose tecniche. Vi lascio qui sotto un paio di
contatti, nel caso in cui voleste dirmi qualcosa, mandarmi a cagare,
parlare un po' e cose del genere e vi mollo anche i banner delle altre
storie che sto scrivendo, magari avete voglia di leggerle :)
Vi abbraccio fortissimissimo,
Fede.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Capitolo 1
Astio.
Mi raggiunse ad ondate ed
era così evidente che la mia presenza
nella stanza non fosse gradita, che mi bloccai dopo aver compiuto
neanche un
passo.
Zia Kate si
voltò a guardarmi, estremamente seria e scosse
il capo. Con la mano, mi fece cenno di accomodarmi e andò a
sedersi dietro la
sua scrivania.
Mi guardai intorno,
cercando una poltrona o una sedia o
qualunque cosa, ma le uniche due sedie disponibili erano occupate da
Zayn Malik
e da Liam Payne.
Sul divanetto posto contro
la parete opposta, invece,
c’era i restanti tre quinti dei One Direction e tutti e tre
(più i due seduti
davanti a zia Kate) mi guardavano decisamente male.
Arrossii e ciondolai sul
posto, in difficoltà. Forse
potevo ancora battere in ritirata senza sembrare una stupida.
«Evangeline, non
restare lì impalata come uno stoccafisso.
Siediti.»
Grazie tante, ma dove? Non
c’era posto e nessuno sembrava
intenzionato a cedermi il suo.
Poi, dopo un minuto che
parve interminabile e in cui
desiderai morire in almeno diciotto modi diversi, Liam
sbuffò e lasciò la
sedia.
Lo ringraziai con un
sorriso tirato, al quale non rispose.
Lo osservai, perplessa, mentre andava a sedersi sul bracciolo del
divano. Avevo
fatto qualcosa di male? Era improbabile, ancora non avevo aperto bocca.
Che
poi, fondamentalmente, ero innocua. Non ero una persona aggressiva,
né cinica,
né troppo orgogliosa. Forse un po’ sarcastica, ma
nessuno è perfetto.
«Questo»
zia Kate mi porse un plico di fogli «è il tuo
contratto.»
Confusa, inclinai la testa
da un lato e gettai un’occhiata
breve alla prima pagina. Era scritto in caratteri microscopici e, senza
gli
occhiali, non sarei riuscita a leggere nemmeno una parola.
Intanto, intorno a me,
c’era solo il più completo
silenzio.
Imbarazzata mi schiarii la
voce.
«Non ho gli
occhiali, non riesco a leggere.» borbottai,
con le guance in fiamme. Ma perché dovevo sempre fare certe
figure?
Zayn, seduto accanto a me,
emise uno sbuffo sprezzante. Lo
guardai con la coda dell’occhio, stupita da tutto quel
risentimento. Non gli
avevo fatto niente, allora per quale motivo mi guardava come se gli
avessi
appena accoltellato la madre?
Zia Kate sospirò.
«In poche parole,
sarai la fidanzata di Zayn. Il contratto
ha la durata di un anno e ti sarà garantito uno stipendio
sostanzioso e regolare.»
spiegò, con indifferenza.
Impallidii, con la speranza
di aver sentito male. Quello,
avrebbe giustificato senza ombra
di dubbio tutto l’astio che stavo ricevendo.
«Pensavo si
trattasse di un lavoro d’ufficio.» pigolai, in
difficoltà.
Ecco. Ancora una volta,
avevo avuto la conferma che
mettersi in affari con zia Kate non fosse mai una buona idea.
Ma come le era venuto in
mente di fare una cosa del
genere? Come potevano pilotare la vita delle persone fino a quel punto?
Capivo alla perfezione che
i One Direction fossero
celebrità - avevano conquistato il mondo musicale ed erano
famosi dappertutto –
e che, di conseguenza, avessero un’immagine da mantenere. Ma,
ingenuamente,
avevo sempre pensato che fosse più semplice. Una
truccatrice, magari qualcuno
che stabiliva il loro stile nel vestiario, o qualcuno che controllava
ciò che
avrebbero dovuto dire, ma non avevo mai sospettato che anche la loro
vita
amorosa potesse essere messa così sotto controllo.
Grazie al cavolo, che mi
odiavano tutti. Ero la stronza
pagata per fingere di stare con uno di loro.
«Io non ho mai
parlato di lavoro d’ufficio.»
puntualizzò
zia Kate, infastidita.
Probabilmente, si aspettava
che mi sarei prostrata ai suoi
piedi per ringraziarla della sua offerta.
«Zia, non credo
di poterlo fare.» sostenni, sincera.
Alla parola
“zia” si scatenò il putiferio.
Louis, seduto sul divano
accanto ad Harry, scattò in piedi
e cominciò ad urlare.
«Una
raccomandata! Dovevamo aspettarcelo! È
inconcepibile!» mi guardò con odio, poi
tornò a sedersi sotto richiesta di
Harry, che gli aveva afferrato il braccio per trattenerlo.
«Sai cosa
è inconcepibile, Louis? Che il tuo collega sia
stato fotografato sette volte, ubriaco, sempre in compagnia di una
ragazza
diversa: questo è
inconcepibile. E la
vostra immagine ne risente, ogni volta che esce fuori uno scandalo
simile.»
sibilò zia Kate, infastidita.
«Per quanto
riguarda te, Evangeline, ti conviene firmare
il contratto. Ho già contattato il tuo padrone di casa, ha
detto che non paghi
l’affitto regolarmente e che ha tutta l’intenzione
di sfrattarti alla fine di
questo mese.»
Arrossii fino alla radice
dei capelli, umiliata. Perché mi
faceva questo? Mi stava facendo passare per una morta di fame
– cosa che forse
potevo anche essere, ma non c’era bisogno di farlo presente
in quel modo –
davanti a cinque quasi coetanei che probabilmente avevano tanti soldi
da
potersi comprare dieci palazzine come quelle in cui vivevo.
Tuttavia, aveva detto la
verità. Non avevo pagato
l’affitto dello scorso mese, ma non era colpa mia se i
signori Jackson non mi
avevano pagato come d’accordo. Cosa avrei dovuto fare?
Prostituirmi?
Zia Kate mi
allungò una penna e aprì il plico di fogli,
fermandosi sulla pagina in cui avrei dovuto lasciare la firma.
Deglutii, in
difficoltà. Cosa dovevo fare? Firmare, oppure
no? Mi sentivo quasi una prostituta e la cosa non mi piaceva. Non
volevo essere
scorretta e non volevo neanche costringere Zayn a sopportarmi. Forse,
però,
avrei potuto essergli d’aiuto, in qualche modo. Non sapevo
come, ma ci avrei pensato.
Cosa fare?
Pensai un’altra
volta all’affitto, a Andy – che anche se
mi avrebbe accolto, sarebbe senz’altro rimasta delusa per il
mio fallimento – a
mamma e papà, che erano così fieri di me e
raccontavano a tutti quanti che la
loro bambina era cresciuta ed era indipendente.
«Mi
dispiace.» mormorai, rivolta a Zayn.
Firmai, con mano tremante e
con la sensazione di aver
appena commesso un terribile sbaglio.
Zia Kate si
sfregò le mani, soddisfatta dalla vittoria
appena conseguita. Io mi limitai a fissare la scrivania con aria
assente. Non
avrei dovuto firmare. Ero una persona orribile.
«Ora, mentre
aspettiamo Suzanne con la colazione, sarà il
caso di chiarire un paio di punti.» zia Kate si
sistemò gli occhiali sulla
punta del naso e fece cenno ai One Direction di avvicinarsi alla
scrivania.
Con aria svogliata, tutti e
quattro si posizionarono
dietro la sedia di Zayn, che continuava a rimanere stoicamente in
silenzio. Io,
stretta in un angolo, mi sentivo piccola e infame.
Mi detestavo per quello che
avevo fatto, ma avevo scelta?
In realtà sì, avrei potuto non firmare, ma non
volevo proprio tornare a casa e
ripetere a tutti che non ero stata capace di cavarmela da sola.
«Punto primo:
nessuno, ovviamente, deve venire a
conoscenza di questo accordo. Vale per tutti voi. Evangeline, tieni la
bocca
chiusa.»
Certo, perché
proprio non vedevo l’ora di dire che ero una
persona di merda. Quel contratto sarebbe stato il primo dei miei
scheletri
nell’armadio.
«Punto secondo:
vi comunicherò le date delle uscite
ufficiali, per tutto il resto, sarebbe meglio che non vi faceste vedere
in giro
senza avvisarmi. Punto terzo: per ogni cosa, dovrete fare riferimento a
me. La
vostra immagine è tutto, mettetevelo bene in testa. E,
ultima cosa, quando
siete insieme, sorridete, fate finta di divertirvi, parlate come se
foste
davvero innamorati. Se qualcuno sospettasse qualcosa, decideremo come
agire. Oh,
ecco il caffè!» cinguettò,
improvvisamente entusiasta.
Non avevo neanche il
coraggio di guardare Zayn negli
occhi, certa che vi avrei trovato solo il disprezzo. Non avrebbe mai
funzionato, nessuno ci avrebbe scambiato per una coppia di innamorati.
Era
impossibile. E poi, io ero una pessima attrice.
«Caffè?»
Suzanne – la segretaria che poco prima mi aveva
guardato con disgusto – mi porse il bicchiere di Starbucks
con un sorriso
maligno.
Non capii il motivo del suo
divertimento, fino a che non
finse di inciampare e mi rovesciò il contenuto del bicchiere
sulla camicia
bianca.
Balzai in piedi,
perché il caffè scottava e la camicia mi
si era appiccicata addosso.
«Sono
mortificata.» sibilò Suzanne.
Come no, era il ritratto
della desolazione. Agitai una
mano, per dirle di lasciar perdere.
«Non importa.
Potresti darmene un altro, per cortesia?»
stupita dal mio tono tranquillo, mi porse un altro bicchiere.
Avrei sarebbe piaciuto
rovesciarglielo addosso, ma non
volevo abbassarmi ai suoi livelli. Perciò mi sedetti, la
ringraziai e cominciai
a bere.
Che giornata del cavolo.
Era cominciata male, ma avevo la
sensazione che le cose sarebbero peggiorate ulteriormente.
«Suzanne, porta
una delle mie camicie di scorta. E fa in
modo che non succeda più, o la prossima volta ti licenzio in
tronco.» berciò
Kate.
Suzanne arrossì
e annuì, rivolse un’occhiata ai ragazzi ed
uscì dalla stanza.
«Tutto
okay?»
Era la prima domanda
gentile che mi veniva posta e mi
colse decisamente in contropiede.
Guardai Liam con
gratitudine, ma lui sembrava già essersi
pentito di avermi parlato. Probabilmente, era una persona gentile e gli
era
uscito spontaneo chiedere, ma non significava che mi avrebbe accolto a
braccia
aperte o che si sarebbe mostrato disposto a conoscermi.
«Sì,
grazie.» mormorai, imbarazzata. Zayn mi rivolse
un’occhiata risentita – l’ennesima
– e si voltò dall’altra parte. Perfetto,
già
non mi sopportava.
Cadde di nuovo il silenzio,
finché Suzanne rientrò con la
camicia di zia Kate. Me la porse con un sorriso gelido, poi mi
indicò il bagno
con un cenno del capo.
Ringraziai e corsi a
cambiarmi. In tutta probabilità,
l’aria del bagno sarebbe stata più respirabile di
quella dentro la stanza.
Non appena chiusi la porta,
mi sentii libera di tirare un
sospiro di sollievo. Non mi ero nemmeno accorta di essere rimasta
praticamente
in apnea, fino a che non avevo sentito la necessità di
prendere fiato.
Mi cambiai lentamente,
cercando di ritardare il più
possibile il momento in cui avrei incontrato di nuovo lo sguardo di
cinque
quasi sconosciuti che mi odiavano.
«Stupida,
stupida, stupida.» mi insultai.
Mi cadde lo sguardo sullo
specchio. Rifletteva esattamente
ciò che non avrei mai voluto vedere: una brutta copia di zia
Kate.
Quella camicia,
all’improvviso, mi sembrava troppo
stretta, i capelli troppo ordinati e la mia faccia non era
più la mia faccia.
Era una sconosciuta
dall’aria familiare e non mi piaceva.
La vera Eve non avrebbe mai firmato quel contratto e non sarebbe mai
caduta in
quel subdolo tranello.
Perciò, in quel
momento, decisi che sarei stata dalla
parte di Zayn, anche se lui mi avrebbe disprezzata, anche se non mi
avrebbe mai
accettata.
Doveva essere rimasto un
po’ di me stessa, sotto quella
camicia bianca.
Un po’
più serena, tornai in ufficio.
La situazione non era
cambiata poi tanto, se non per il
fatto che la mia sedia era stata occupata di nuovo da Liam: non avrei
mai avuto
il coraggio di chiedergli di alzarsi e, dopotutto, pensavo che la
“riunione” –
se così poteva chiamarsi quello schifo di incontro
– fosse finita.
Perciò sorrisi a
zia Kate, afferrai il mio contratto,
ripromettendomi che l’avrei letto molto meglio una volta
arrivata a casa e agitai
la mano verso Liam, che si stava alzando per cedermi il posto.
«Non ti
preoccupare, rimani pure. Tanto sto andando via.»
gli sorrisi, tranquilla e mi avviai verso la porta. Una volta superato
lo choc
iniziale e presa una decisione più o meno intelligente, mi
sentivo più a mio
agio.
Dopotutto, ero una persona
pratica.
«Evangeline?»
mi richiamò zia Kate, stupita dal fatto che
me ne stessi andando di mia iniziativa. Chissà, forse
cominciava a pensare che
non fossi dotata di un cervello funzionante.
«Sì,
zia?»
«Ti
accompagnerà Zayn. L’autista è a vostra
disposizione.
Fate conoscenza, ti contatterò io per decidere le date delle
prossime uscite.»
sostenne.
«Potete
andare.»
E fu in quel momento, che
Zayn Malik mi guardò negli occhi
per la prima volta. Quello che vide, però, non gli piacque
per niente.
***
Buonaseeera,
fanciulle! Ecco qua il primo capitolo, in cui si comincia a capire
qualcosa di più su Eve, sul suo modo di pensare, sulla
bastardaggine di zia Kate e... be', vi dico solo che questo Zayn lo
amo, don't know why. O, meglio, lo so perchè, ma non posso
dirlo anche a voi, o spoilero troppo e non và bene.
E niente, spero che
il capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio per le recensioni al
prologo, per aver inserito la storia tra le seguite e blablabla e vi
adoro. Punto.
Se vi
và, fatemi sapere che ne pensate :):)
Baci,
Fede!
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Capitolo 2
Zayn
non sembrava particolarmente entusiasta di accompagnarmi
a casa, questo sarebbe stato evidente anche a un cieco. Tuttavia,
disobbedire a
zia Kate era fuori discussione – almeno per il momento
– e, oltretutto, non
credevo nemmeno che avrebbe accettato un rifiuto con tanta
serenità. Era una
persona vendicativa, cinica e molto rancorosa.
Una
gran bastarda, in parole povere.
Perciò
annuii e salutai i presenti con un cenno del capo e
un sorriso tirato e di circostanza. Non osavo neanche immaginare quante
me ne
stessero tirando dietro al momento.
Zayn,
invece, sibilò un “ci vediamo dopo” agli
amici e si
incamminò dietro di me lungo il corridoio.
Forse
avrei dovuto rallentare il passo, per ridurre la
distanza tra di noi e potergli camminare a fianco. Ma, al contrario,
accelerai
lievemente, nervosa: avevo come l’impressione che trovarsi
ancor più vicino a
me non gli sarebbe piaciuto per niente.
Come
avremmo fatto a tenerci per mano? Io avevo anche solo
paura di sfiorarlo. Chissà come avrebbe reagito.
Probabilmente gli avrei fatto
ribrezzo.
«Buona
giornata.» Suzanne, seduta di nuovo alla sua
scrivania, rivolse un sorriso smielato a Zayn che la salutò
con un cenno del
capo.
«Mi
dispiace per il caffè.» mormorò, quando
le passai
davanti. Sembrava stranamente sincera, così le sorrisi e
feci spallucce.
«Non
importa, sono sicura che non l’hai fatto apposta.
Buona giornata.» le augurai, serena.
Zayn,
che nel frattempo mi aveva sorpassata senza troppi
problemi, era quasi arrivato all’uscita.
Lo
vidi aprire la porta e uscire senza degnarmi di
un’occhiata. Ci rimasi un po’ male, in
realtà, perché – chissà per
quale motivo
– credevo che mi avrebbe fatto uscire per prima, come voleva
l’educazione.
Pochi
istanti dopo sbuffò, alzò gli occhi al cielo e
tornò
indietro per aprirmi la porta. Stupita, farfugliai un ringraziamento.
«Tua
zia ci sta guardando dalla finestra. L’ho fatto solo
per quello.» rispose, con tono incolore. Arrossii, un
po’ umiliata: avevo
davvero pensato che l’avesse fatto spontaneamente, ma a
quanto pareva non aveva
alcuna intenzione di essere gentile con me.
Non
lo biasimavo, ma nemmeno lo giustificavo. Non era
autorizzato a trattarmi come se fossi feccia. Questo era un punto che
avrei
chiarito quanto prima.
Improvvisamente
infastidita, mi diressi verso la macchina
– la stessa che mi aveva “scortato” fino
a lì – e salutai l’autista con un
cenno del capo.
«Tutto
bene, signorina?» domandò, cortese. Gettai uno
sguardo a Zayn, che si stava avvicinando con espressione stizzita e
scossi
impercettibilmente la testa.
«No,
non proprio.»
Mi
sedetti con l’aria di un condannato al patibolo e mi
rannicchiai in un angolo, mentre osservavo Zayn accomodarsi dal lato
opposto,
senza dire una parola.
“Conoscetevi”,
aveva detto zia Kate. Come se fosse così
semplice. Come potevo conoscere qualcuno che mi odiava?
C’erano
una marea di modi in cui avrei potuto prendere la
parola, ma non me ne veniva in mente nemmeno uno e, oltretutto, sentivo
che
dall’altro lato non c’era poi tutta questa grande
volontà di conversare.
Perciò
feci l’unica cosa che mi venne in mente e che, in
tutta probabilità, stabilì definitivamente la
prima, pessima impressione che
Zayn aveva di me: presi il contratto.
Lo
estrassi dalla cartellina in cui zia Kate l’aveva
riposto e lo sfogliai distrattamente, sforzando la vista nel tentativo
inutile
di leggere qualcosa. Mi fermai in corrispondenza della pagina in cui
avevo
firmato e sospirai.
Zayn,
che per tutto il tempo mi aveva fissato come se
volesse uccidermi, inarcò un sopracciglio e fermò
lo sguardo sulla mia pessima
calligrafia.
«Non
prenderà fuoco, se lo guardi così. E io
nemmeno.»
rivelai, infastidita dalla sua espressione supponente. Quando
posò gli occhi su
di me, mi sentii arrossire: nessuno mi aveva mai guardato in quel modo.
Certo,
sembrava piuttosto scontroso e avevo come
l’impressione che gli sarebbe piaciuto trucidarmi, ma era
comunque molto… intenso.
Ed io non ero abituata ad avere
a che fare con ragazzi così, perciò mi fece
piuttosto effetto e mi pentii
immediatamente della mia uscita.
«Chiariamo
il concetto, ragazzina...» cominciò,
infastidito.
Sussultai,
impreparata a tanto astio ed arrossi
nuovamente.
«Mi
chiamo Eve, non ragazzina.» lo interruppi.
D’accordo,
lo capivo e comprendevo quanto fosse arrabbiato, ma non aveva nessun
diritto di
parlarmi con quel tono.
Se
solo avessi immaginato, però, che parlare con Zayn
sarebbe stata una battaglia persa in partenza, mi sarei stata zitta e
gli avrei
fatto esprimere il suo “concetto” in santa pace.
«Come
vuoi, non mi interessa. Quello che voglio che tu
capisca, ragazzina, è
che io non ho
alcuna intenzione di parlare con te, di conoscerti o di fingere di
amarti. Non
succederà mai una cosa simile, è abbastanza
chiaro? Ti bacerò se sarà
necessario, ti prenderò per mano. Ma di te, non me ne
fregherà mai niente. Sei
solo uno strumento per riabilitare la mia immagine.»
Uno
strumento. Era così che mi vedeva. Non credevo che mi
avrebbe fatto così male, sapere la verità. Ero
una persona comprensiva ed anche
piuttosto intelligente e, seppure avessi sospettato che prima o poi
Zayn
avrebbe potuto dirmi qualcosa di simile, non ero preparata
all’umiliazione che
avrebbero comportato.
Mi
sentivo veramente insignificante e avevo anche voglia
di piangere. Speravo solo di essere abbastanza cocciuta da non dargli
quella
soddisfazione.
Non
sapevo perché, ma avevo l’impressione che fosse
esattamente
ciò che Zayn voleva ottenere ed io non ero tanto stupida da
dargliela vinta
così facilmente.
«Lo
so, che mi odi. Lo capisco.» mormorai infine, dopo
parecchi minuti di completo silenzio.
Zayn
rimase ostinatamente muto, con lo sguardo perso fuori
dal finestrino e l’aria estremamente seccata, nemmeno gli
stessi chiedendo di
camminare in ginocchio sui ceci.
«Ma
non sapevo che l’offerta di zia Kate riguardasse una
cosa simile, devi credermi. Mi ha colto di sorpresa, e non è
mai prudente
mettersi contro di lei. E, comunque, devo pagare
l’affitto.» persino a me
sembravano una marea di giustificazioni inutili, ma non potevo farci
niente. Il
dado ormai era tratto ed io mi ero invischiata in qualcosa di
più grande di me.
Speravo solo di riuscire a gestire la situazione senza impazzire.
«Ti
ho forse dato l’impressione che mi interessi?»
replicò
Zayn, indispettito. Spalancai la bocca, senza sapere cosa dire. Alla
fine la
richiusi, anche perché se sua maestà non era
intenzionato ad ascoltarmi, era
inutile che pensassi ad un modo per fargli capire che sarei stata dalla
sua
parte.
Tuttavia,
per quanto mi ritenessi una persona comprensiva,
non ero affatto disposta ad accettare il suo atteggiamento offensivo,
né
tantomeno tutta quella supponenza che mi stava riversando addosso senza
il
minimo riguardo.
Gli
avrei dato qualche giorno per abituarsi all’idea di
rivolgermi la parola, dopodiché avrei messo in chiaro un
paio di punti,
affinché la superstar si facesse un’idea di chi
avrebbe avuto al suo fianco per
il prossimo anno.
Dopo
aver rivolto a Zayn un’occhiata che sperai risultasse
indifferente e non offesa come mi sentivo in realtà, tornai
a sfogliare il
contratto.
Maledissi
chiunque avesse scelto di utilizzare un
carattere tanto microscopico e mi sforzai il più possibile
di leggerci
qualcosa.
Preoccupata,
mi chiesi se fosse davvero “denuncia”, la
parola che mi stavo sforzando di leggere. Mi morsi il labbro. Non
potevo
aspettare di arrivare a casa – non eravamo nemmeno a
metà strada – perché la
curiosità era davvero troppa. Avevo bisogno di sapere.
«Senti…»
cominciai, ma Zayn si voltò verso di me con uno
scatto così improvviso da farmi sussultare.
«Non
parlarmi.»
Inarcai
un sopracciglio, indispettita. Per come la vedevo,
stava leggermente passando il segno. Non sapeva nemmeno cosa volevo
dire, che
accidenti di motivo c’era, di scattare così?
Maledizione, avevamo passato
insieme nemmeno dieci minuti, e già mi detestava.
Cosa
avrebbe fatto, quando sarebbe giunto il momento di
baciarmi? Probabilmente si sarebbe sparso un po’ di cianuro
sulle labbra, così
da avvelenarmi. Mi appuntai mentalmente di non parlarne mai ad alta
voce, per
evitare di fornirgli un’idea del genere. Non sapevo nemmeno
se fosse realizzabile
una cosa simile, ma era meglio non correre il rischio.
«Si
dà il caso che io sia dotata di corde vocali.»
Silenzio.
Sarebbe davvero andata così? Io avrei parlato e
lui si sarebbe limitato ad ascoltare, senza rivolgermi nemmeno una
parola? Per
un attimo fui tentata dall’idea di farlo spazientire ancora
di più, per il
semplice gusto di trascorrere il tempo in maniera produttiva, ma
rinunciai
quasi subito, quando mi resi conto che Zayn l’avrebbe colto
come un altro
tentativo di dargli contro.
«D’accordo,
per oggi ti lascio perdere. Solo che mi era
sembrato di aver letto la parola denuncia e volevo capire se ci avevo
visto
giusto.» spiegai, velocemente.
Magari
continuare a ricordargli che la sua vita privata
era appena stata messa sotto contratto non era propriamente
un’idea geniale, ma
non sapevo che altro fare.
Non
avevamo niente che ci accomunasse, se non quelle
stupide pagine colme di frasi illeggibili ed incomprensibili.
Zayn
non rispose, ma mi sembrò di cogliere una scintilla
di curiosità nel suo sguardo scuro.
«Non
riesco a credere di aver dimenticato gli occhiali a
casa. Sono una tale imbranata, certe volte. Non lo faccio apposta, solo
che
sono un po’ distratta e…»
«Dammi
qua e sta’ un po’ zitta, maledizione. Sei
fastidiosa.»
Cielo,
che simpatico. Sarebbe stato davvero più difficile
del previsto, per me, relazionarmi con una persona del genere.
Allungò
la mano con un gesto secco e piuttosto perentorio
e mi strappò il contratto di mano con stizza.
Con
le labbra fini serrate per la rabbia e gli occhi
socchiusi – per un attimo, rimasi incantata a guardare le
ciglia lunghe, che
sfioravano quasi le gote, ora che aveva il viso chinato verso il basso
– scorse
la pagina alla ricerca di quanto gli avevo chiesto.
«Se
parli del contratto con qualcuno di esterno, sei
passabile di denuncia.»
Un
altro gesto rigido per porgermi il contratto, poi tornò
in silenzio. Costernata, cominciai a rendermi conto che stavo
cacciandomi –
anzi, mi ci ero già cacciata – in qualcosa
decisamente fuori dalla mia portata.
«A
nessuno? Nemmeno a mia sorella?» farfugliai, presa
contropiede. Non potevo tenere un segreto così, sarei
impazzita. Era un affare
troppo grosso affinché potessi farcela da sola.
Però,
ripensandoci bene, se l’avessi raccontato, non ci
avrei fatto per niente una bella figura. Forse avrei fatto meglio a
mantenere
il silenzio.
Ma
cosa avrei detto ai miei genitori, quando mi avessero
chiesto di conoscere Zayn? Perché se la notizia della nuova
fidanzata di Malik
fosse stata resa pubblica, di certo anche loro l’avrebbero
saputo. Santo cielo,
non riuscivo nemmeno a pensare.
E
Zayn – nonostante fossimo sulla stessa barca – non
era
affatto d’aiuto.
«Vuoi
tapparti quella bocca? Cazzo.» sbottò.
«Non
c’è bisogno di fare lo stronzo,
però.» replicai,
prima di riuscire a trattenermi. Per mia fortuna (e per fortuna di
Zayn,
probabilmente.) l’autista fermò la macchina
esattamente di fronte alla
palazzina in cui abitavo.
Mi
aprì la portiera e mi sorrise, gentile.
«Siamo
arrivati, signorina Morrigan.»
Sospirai
di sollievo, afferrai il contratto e la borsa e
scivolai sul sedile, fino a posare i piedi sul marciapiede.
Mi
voltai per salutare Zayn, ma lui era troppo impegnato a
scrivere furiosamente al telefono e non mi degnò di
un’occhiata.
«Ciao.»
salutai, anche se ero certa che non mi avrebbe
risposto.
Non
diede cenno di avermi sentita, così lo lasciai
lì, a
crogiolare nel suo brodo di rabbia e astio, nella speranza che il
viaggio di
ritorno in completa solitudine gli potesse portare un po’
più di serenità e,
magari, una piccola dose di gentilezza.
Quando
la macchina fu lontana, pestai il piede sul
marciapiede, nervosa.
«Stronzo.»
***
Be', se siete
arrivate fin qui e non odiate Zayn, complimenti.
Io lo detesto, al
momento, ma lo capisco. E capisco Eve. E non so che cacchio dire,
perché devo andare a preparare la cena ma volevo aggiornare
prima che mi passasse completamente la voglia.
Quindi, ecco qui.
E' arrivato il
banner! TA-DAAAAAN! (Grazie, Jas <3)
E niente, fatemi
sapere che ne pensate, dai :)
Vi adoro,
Fede <3
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3
Quella notte non chiusi
occhio nemmeno per un istante.
Rimasi a letto, con gli occhi sbarrati, le labbra strette e i muscoli
doloranti
per l’immobilità.
I pensieri erano tanto
schiaccianti da impedirmi persino
di muovermi. Fui più volte tentata di afferrare il telefono,
telefonare a zia
Kate (sebbene la sola idea mi disgustasse) e supplicarla di annullare
il
contratto.
Mi sentivo una persona
orribile, insensibile e malvagia. E
non lo ero mai stata in tutta la mia vita, perciò i sensi di
colpa erano tanto
assillanti da togliermi il fiato.
Non osavo nemmeno
immaginare cosa stesse passando Zayn, ma
ero piuttosto certa che nei suoi sogni – sempre se fosse
riuscito a dormire –
mi avesse ucciso in almeno un migliaio di modi diversi, uno
più doloroso dell’altro.
Dopo un po’, mi
resi conto che rinunciare sarebbe stata
solo l’ennesima sconfitta da aggiungere alla mia lunghissima
lista, perciò
conclusi che avrei portato avanti quella farsa nel modo migliore
possibile.
Quando finalmente riuscii
ad addormentarmi, erano già le
sette e le strade cominciavano a riempirsi di macchine – con
annessi clacson,
passanti che sbraitavano e motori su di giri – e il rumore
era così fastidioso
che mi svegliò dopo appena mezz’ora.
Così,
sull’orlo della depressione più totale, mi
trascinai
in bagno per concedermi una lunga doccia calda, nella speranza di
affogarmi o,
in alternativa, di sparire inghiottita dallo scarico.
Ovviamente niente di tutto
ciò accadde, così fui costretta
a terminare la doccia piuttosto presto – meglio evitare
sprechi di acqua che si
sarebbero accumulati sulla mia bolletta – e mi dedicai alla
colazione.
Odiavo fare colazione,
davvero, perché la maggior parte
delle volte mi rimaneva tutto sullo stomaco, ma quella mattina avevo
come
l’impressione che ben presto avrei avuto bisogno di molte
energie, così mi
costrinsi a mangiare un paio di biscotti al cioccolato.
Mi sarebbe piaciuto bere un
po’ di succo di frutta, ma
ovviamente non avevo ancora fatto la spesa e il frigo era
pressoché vuoto, così
rinunciai e me ne tornai a letto, con tutta l’intenzione di
trascorrere il
resto della mattinata a crogiolarmi nella disperazione.
Naturalmente, le cose non
andavano mai come io progettavo,
perciò non mi stupii affatto, quando il telefono
cominciò a suonare.
Leggere il nome di zia Kate
sul display mi fece
letteralmente rabbrividire, ma dovevo rispondere, o avrebbe pensato che
le cose
con Zayn fossero andate davvero male. Certo, avrebbe avuto ragione, ma
era
meglio evitare che lo sapesse.
«Zayn
passerà a prenderti tra mezz’ora, fai in modo di
essere pronta e sorridente, chiaro?» ordinò, senza
nemmeno lasciarmi il tempo
di rispondere. Soppressi un commento sarcastico e sospirai.
«Sì.
È tutto?»
«Sì.»
zia Kate interruppe bruscamente la conversazione ed
io mi ritrovai nel panico più totale. Zayn sarebbe arrivato
presto ed io avevo
ancora i capelli in disordine, le occhiaie in bella vista e niente da
mettermi.
Presa dal panico, cominciai
a frugare nell’armadio,
sperando che ci fossero almeno i miei jeans preferiti, quelli che mi
aveva
regalato Andy per il compleanno e che erano l’unico paio
ancora vagamente
decente che possedevo.
Un po’ di
shopping mi avrebbe fatto bene, meditai, mentre
li estraevo da un mucchio di roba piegata male. Sì, avevo
decisamente bisogno
di rinnovare il mio guardaroba.
Afferrata la felpa gialla e
gli anfibi neri, mi catapultai
in bagno per vestirmi. Erano già passati quindici minuti e
sembrava che il
tempo scorresse più veloce apposta per farmi un dispetto. Ci
mancava solo che
anche le forze della natura si alleassero per farmi capire quanto fossi
una
persona orribile.
Poco dopo, qualcuno
suonò al citofono. Ero ancora presa
dal mio patetico tentativo di sistemarmi i capelli, perciò
ottenni due
risultati: mi bruciai con la piastra e inciampai nel cavo elettrico,
mentre
correvo per aprire la porta.
«Chi
è?» domandai nella cornetta, sentendomi
– tra l’altro
– molto stupida. Non aspettavo ospiti e l’unico che
sarebbe dovuto arrivare era
schifosamente puntuale.
«Noi.»
Un po’ perplessa,
mi resi conto che la voce non
apparteneva a Zayn, ma me ne fregai altamente e aprii il cancello.
«Secondo piano,
appartamento B.» spiegai, prima di
riagganciare la cornetta e correre in bagno. Afferrai un elastico al
volo e
raccolsi i capelli in una coda disordinata, rinunciai al trucco
– anche perché
probabilmente avrei combinato un disastro – e, rassegnata
all’idea di fare una
pessima figura, tornai in salotto nel momento esatto in cui
“noi” bussava alla
porta con decisione.
Un sospiro e aprii,
facendomi da parte per permettere
all’allegra combriccola (che, detto tra noi, di allegro non
aveva un bel
niente) di entrare.
Erano solo in tre, Liam,
Louis e Zayn, e nessuno di loro
aveva propriamente l’aria entusiasta di trovarsi nel covo del
nemico.
«Entrate pure, e
scusate per il disordine.» mormorai,
imbarazzata. Che figuraccia. Sul divano c’era ancora la
coperta delle
Principesse Disney, messa lì in bella mostra, i telecomandi
erano buttati sul
tappeto e un paio di cuscini erano volati per terra.
Il tavolino era ingombro di
fogli bianchi e penne dai vari
colori e una copia sgualcita di Harry Potter e i Doni della Morte
troneggiava
su tutto come uno sgangherato trofeo. Per fortuna avevo chiuso la porta
della
cucina, perché la sera prima non avevo avuto nemmeno la
forza – e tantomeno la
voglia – di lavare i piatti e li avevo lasciati
lì, come ennesima dimostrazione
di quanto fossi incapace di badare a me stessa.
Liam mi sorrise brevemente,
prima di muovere un passo
incerto nel salotto. Louis e “il mio fidanzato”,
invece, rimasero immobili
davanti all’ingresso, con le braccia incrociate e lo sguardo
truce.
«Pensavo sareste
arrivati un po’ più tardi.» mi
giustificai, afferrando la coperta e cominciando a piegarla malamente.
Feci
cenno di accomodarsi sul divano ma, a parte Liam, nessuno sembrava
intenzionato
a trattarmi come un essere umano.
«C’era
meno traffico del previsto.» spiegò, con tono
incolore. Annuii, lievemente in panico. Come avrei dovuto comportarmi?
Non
potevo certo parlare con loro come se li conoscessi da una vita,
perciò l’unica
soluzione era che li trattassi come degli sconosciuti che per caso si
ritrovavano in casa mia.
«Posso offrirvi
qualcosa da bere? O da mangiare?» proposi,
timidamente. Liam scosse la testa, Zayn e Louis non risposero nemmeno,
ma si
scambiarono un’occhiata piuttosto eloquente.
«Mi dispiace,
okay! Non volevo che andasse in questo
modo!» sbottai, all’improvviso. Mi dispiaceva
davvero per come stavano andando
le cose, ma io mi stavo sforzando di essere gentile e loro, invece, mi
trattavano come se fossi feccia.
Louis sorrise amaramente.
«Potevi pensarci
prima.» celiò, incrociando le braccia al
petto. Boccheggiai, in difficoltà.
«Non sapevo si
trattasse di questo! Dovete credermi!» mi
resi perfettamente conto di quanto sembrassi patetica, ma era la
verità. Non
sapevo nemmeno che fosse possibile fidanzarsi sotto contratto,
figurarsi se
avessi mai immaginato che zia Kate avrebbe potuto proporlo proprio a me.
«Certo, come
no.» sibilò Louis, scettico.
Non potevo dargli torto, lo
sapevo, ma stavo dicendo la
verità e in qualche modo dovevo provarglielo.
«Dico sul serio,
pensavo si trattasse di un lavoro
d’ufficio. Non avevo idea…» mormorai,
senza sapere bene cos’altro dire.
Fu allora che Zayn
scattò. Mi afferrò per un braccio,
strattonandomi con forza.
«Potevi non
firmare, stronza! Potevi non firmare!» urlò.
Mi divincolai, spaventata
dalla sua reazione e dalla forza
con cui mi aveva stretto, e feci un passo indietro, andando a
scontrarmi contro
il petto di Liam, che si era alzato in piedi e si era avvicinato.
«Scusa.»
farfugliai, lievemente in panico. Mi veniva da
piangere, ma non volevo farlo lì davanti a loro. Zayn era
immobile, con i pugni
stretti e le labbra serrate e Louis sembrava imperturbabile, per niente
colpito.
Tutto, nel suo sguardo,
indicava che mi meritavo ogni
singola reazione di Zayn. Anzi, probabilmente sarebbe stato felice se
l’amico
mi avesse preso a schiaffi.
Mi sorsi il labbro
inferiore, mentre sentivo gli angoli
degli occhi pizzicare sempre di più, come segno del fatto
che il poco autocontrollo
che possedevo mi stava letteralmente abbandonato.
«Ho –
ho lasciato la piastra attaccata. Scusate.»
farfugliai, correndo a ripararmi in bagno. Mi ci chiusi dentro, girando
la
chiave per ben due volte, come se questo potesse tenere lontano Zayn e
le brutte
sensazioni che aveva portato con sé.
Non riuscivo a credere a
quanto era appena successo. Non
sarei mai riuscita ad essere amica di una persona come Zayn, non se
avevo paura
di lui.
Strinsi la radice del naso
tra pollice e indice, cercando
di calmarmi un po’. Dovevo smetterla di comportarmi come una
ragazzina
impressionabile e far capire a Zayn che i suoi scatti e la sua rabbia
non mi
facevano alcun effetto.
Presi un respiro profondo,
mi strinsi il braccio nello
stesso punto in cui mi aveva afferrato Zayn e scossi la testa con aria
risoluta.
Da quel momento in poi,
basta fare la stupida. Mi sarei
comportata da persona matura e responsabile, fino a che Zayn non avesse
capito
che ero dalla sua parte e che non avevo alcuna intenzione di mettergli
i bastoni
tra le ruote.
Un altro respiro e mi
sentii pronta.
In salotto, la situazione
non era cambiata di una virgola,
se non per il fatto che Zayn e Louis si erano accomodati sul divano
accanto a
Liam, che fu l’unico – ancora una volta –
a degnarmi di un minimo di
attenzione.
Fece per aprire bocca, ma
lo interruppi con un gesto secco
della mano.
«Mettiamo in
chiaro un paio di cose. Tu.» puntai il dito
verso Zayn, che mi rivolse uno sguardo irato e rabbioso. Mi sforzai di
mantenere la calma, anche se mi tremavano le ginocchia. Sperai che il
mio tono
di voce non mi tradisse e continuai a parlare.
«Non toccarmi mai
più, chiaro? Se sei tanto nervoso,
quello è il muro. Sbattici la testa, ma non mi mettere le
mani addosso. E tu.»
guardai Louis, che sorrise con aria supponente ed estremamente
fastidiosa.
«Piantala di
trattarmi come se fossi una nullità. Quanto a
te…» guardai Liam, che sorrise serafico e sereno.
«Niente, fai un po’ quello
che ti pare.» conclusi, sfinita. Non immaginavo che buttare
fuori un po’ di
rabbia sarebbe potuto essermi così d’aiuto.
Liam,
all’improvviso, scoppiò a ridere.
«Bene, ora che
abbiamo capito che non sei vuota come
pensavamo, che ne dite di andare a prendere un
caffè?»
***
Eccomi qua!
Sinceramente, mi ero completamente dimenticata che dovevo aggiornare,
ed ecco spiegata l'ora.
Come avete letto,
le cose cominciano ad avviarsi. Zayn è un personaggio un po'
particolare, è difficile e... be', è pure un po'
stronzo, ma a tutto c'è una spiegazione, perciò
abbiate fiducia ;)
Detto questo, spero
che il capitolo vi sia piaciuto! Fatemi sapere <3
Per chi volesse, su Twitter sono @FTheOnlyWay
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
Capitolo 4
«Vuota? Che
significa?» domandai, mentre scendevamo le
scale.
Liam mi si
affiancò, con le mani in tasca e un’espressione
tranquilla. Continuavo a vedere un po’ di diffidenza, nel suo
sguardo, ma per
lo meno l’astio sembrava essersi placato un po’.
Parlare con qualcuno senza
aver paura di dire la cosa
sbagliata era decisamente un passo avanti.
«Pure
stupida.» commentò Zayn, avanti a me. Camminava
svogliato, al fianco di Louis e sembrava stesse meditando se buttarsi
in mezzo
alla strada o, in alternativa, buttarci me.
«Non stavo
parlando con te, non intrometterti.» sbottai,
infastidita. In genere non ero una persona così aggressiva,
anzi. Io ero quella
che cercava il lato positivo di ogni situazione, ma Zayn –
chissà come –
riusciva a tirare fuori il mio lato acido.
Liam ridacchiò.
«Ieri eri tutta
un “Sì, zia. Certo, zia. Come desideri,
zia.” e, ovviamente, l’impressione non è
stata delle migliori.» spiegò, con
semplicità.
Annuii, perché
di certo non potevo dargli torto ma
probabilmente non conoscevano zia Kate quanto me. Oppure sì,
e questo avrebbe
spiegato alla perfezione l’incazzatura di Zayn, anche se
ciò non l’autorizzava
a mettermi un solo dito addosso.
«Non so se
conosci zia Kate, Liam, ma quella donna
è…»
cominciai, ma mi interruppi
di fronte
agli appellativi che avrei voluto usare per descriverla.
«Una gran
bastarda, lo sappiamo già.» si intromise Louis.
Forse sperava che partissi
in una filippica in difesa di
zia Kate, ma “gran bastarda” esprimeva quasi alla
perfezione l’idea che avevo di
lei.
«Esattamente.
Perciò capirete perché ho dovuto
accettare.»
conclusi, soddisfatta. Se anche loro si rendevano conto della
situazione, che
motivo c’era di comportarsi come acerrimi nemici?
«Io non lo
capisco, sinceramente.» continuò Louis. Non
lessi alcuna cattiveria nella sua voce, ma semplice
curiosità, così feci
spallucce.
«Tu,
evidentemente, non hai un affitto da pagare e dei
genitori che ti credono in carriera. Né una sorella incinta,
che ovviamente non
ti può ospitare. Se ce li avessi, credo che capiresti anche
tu.» spiegai,
brevemente.
Così stavano le
cose. O le accettavano, oppure niente. Io
non avrei rinunciato a quel contratto, quella era l’unica
cosa di cui ero
fermamente sicura.
Zayn mi sembrò
in procinto di rispondermi – qualcosa di
cattivo, a giudicare dalla sua espressione – ma venne
interrotto dal suo
telefono, che iniziò a squillare con insistenza.
Curiosa, lo osservai mentre
parlava, gesticolando
animatamente. Ogni secondo che passava, la furia nel suo sguardo
aumentava,
così come il tono di voce. Poi, dopo un paio di minuti,
attaccò bruscamente e
infilò di nuovo il telefono nella tasca dei jeans chiari che
indossava.
Si voltò verso
di me, con un’espressione rabbiosa e
vagamente omicida.
«Ci stanno
guardando.» sibilò, seccato. Inclinai la testa
da un lato, confusa. E allora? Quando si accorse che non riuscivo a
seguirlo,
sbuffò, borbottò una serie di improperi e mi si
avvicinò con passo svelto.
In meno di un paio di
secondi, mi ritrovai stretta tra le
sue braccia. Aveva una presa talmente ferma, che temetti volesse
strangolarmi.
«Stai cercando di
uccidermi?» boccheggiai, in cerca di
fiato.
Zayn sorrise, falso come
Giuda, e si abbassò fino a
sfiorare il mio orecchio con le labbra. Improvvisamente mi resi conto
che zia
Kate doveva aver avvertito qualcuno della nostra presenza lì
e capii cosa
sarebbe sembrato agli occhi di chiunque: il famoso Zayn Malik che
abbracciava
una ragazza e si intratteneva con lei e gli amici alla luce del sole.
Con la
piccola differenza che, più che abbracciarmi, sembrava
volesse uccidermi.
«Sorridi,
stupida.»
«La vuoi smettere
di insultarmi, pezzo d’idiota che non
sei altro?» con un sorriso che sperai sembrasse convincente,
gli tirai una
gomitata nello stomaco. Potevamo sembrare una coppia di innamorati che
giocavano
tra loro, ma la verità era che volevo fargli male.
Non ero affatto disposta a
lasciarmi trattare come una
deficiente, né tantomeno avrei subito in silenzio tutti gli
insulti Zayn e il
suo odio (giustificato, ma eccessivo).
D’accordo, avevo
un’indole pacifica – la maggior parte
delle volte – ma se provocata ero in grado di reagire. E
l’avrei fatto.
Zayn mi sorrise di nuovo,
facendomi vedere per un attimo
come sarebbe stato ricevere un po’ di dolcezza da parte sua,
anziché un
insulto. Restai incantata per un momento, fino a quando mi ricordai che
stava
solo recitando e che (testuali parole) per lui sarei stata solo un
mezzo per
riabilitare la sua immagine.
Mi prese per mano, con un
gesto talmente spontaneo che mi
ritrovai ad arrossire. Lasciai che intrecciasse le nostre dita, poi mi
accostai
un po’ di più, continuando a sorridere come se
fossi realmente felice.
«Sei
un’attrice penosa.» commentò Zayn,
stringendo gli
occhi. Stizzita, strinsi con forza la sua mano, facendolo mugugnare per
il
fastidio. Di certo non sarei stata in grado di fargli male.
«E tu non sei per
niente gentile.» replicai.
Liam, dietro di noi,
tossicchiò.
Mi voltai, perplessa.
«Che
c’è?»
«Non siete
affatto convincenti.» ridacchiò, divertito.
Louis annuì, per darne conferma.
«Ma lui vuole
uccidermi! E continua ad insultarmi.» mi
lagnai, consapevole di sembrare una ragazzina di undici anni.
Ma che si aspettavano da
me? Non ero un’attrice e di certo
non ero in grado di programmare i miei sentimenti. La vicinanza con
Zayn mi
imbarazzava e, se fossi stata nella mia vita di tutti i giorni, mi
sarei
ritenuta fortunata a passeggiare mano nella mano con un ragazzo
così bello, ma
in quel momento la sua rabbia mi spaventava. Avevo ancora in mente la
sua mano
stretta attorno al mio braccio ed era un ricordo che avrei volentieri
fatto a
meno di evocare.
«Non è
colpa mia, se sei inutile.»
Ancora. Ed eccolo che
ricominciava ad insultare. Ma sul
contratto c’era per caso scritto che lui aveva tutti i
diritti di dare aria
alla bocca? Ero sicura di no, perciò perché non
mi lasciava in pace e basta?
Doveva semplicemente tenermi la mano – possibilmente senza
spezzarmi tutte le
falangi – e fingersi contento. Non era poi così
difficile.
«Sai, per essere
uno che nelle sue canzoni afferma che
tutte le ragazze sono bellissime e meritano di essere trattate come
principesse, sei davvero un grandissimo stronzo.»
Sorrisi, amabile, come se
gli avessi appena detto che
adoravo trascorrere il tempo in sua compagnia. Louis
ridacchiò, seguito a ruota
da Liam, Zayn sorrise a sua volta, risultando parecchio convincente.
«Potevo anche
darti della puttana, ma ancora non mi sono
permesso di farlo. Perciò non lamentarti.» mi
stampò un bacio sulla guancia, in
un punto pericolosamente vicino alle labbra.
Non dovetti fingere di
arrossire, perché era piuttosto
evidente che il mio imbarazzo fosse sincero. Spinta da un impeto di
coraggio,
mi alzai sulle punte dei piedi – Zayn era più alto
di me, quasi venti
centimetri – e lo baciai sulla guancia. Era pungente,
perché non si era rasato,
ma la pelle era calda e lui profumava di buono. Tuttavia, quello non
era il
momento più adatto per perdermi alla ricerca degli aspetti
positivi di Zayn.
«Prova a darmi
della puttana.» gli sussurrai all’orecchio
«Ed io farò in modo che tutto il mondo sappia che
quella di Zayn Malik è solo
una facciata.»
Voleva passare alle maniere
forti? Perfetto, eccolo
accontentato.
Non rispose,
perciò interpretai il suo silenzio come un
tacito accordo. Sentii Liam e Louis confabulare qualcosa di
incomprensibile,
dietro di noi, ma non ci feci caso.
Ero troppo impegnata a
pensare che il momento tanto
temuto, quello in cui io e Zayn avremmo avuto il primo contatto fisico,
era
arrivato così improvvisamente che non me ne ero neanche
accorta. Non era stato
terribile quanto avevo immaginato all’inizio. Se le cose
fossero continuate
così, avrei accettato di buon grado il mio arduo compito.
Nella speranza che anche
Zayn, prima o poi, mi concedesse
la possibilità di parlare con lui senza insultarmi.
Mi lasciai trasportare per
le strade di Londra in una
sorta di stato confusionale. Continuavo a pensare a Zayn, a cosa
potessi dirgli
per convincerlo della mia buona fede. Mi chiesi cosa avrei detto a
papà e
mamma, quando avrebbero scoperto che frequentavo una star
internazionale, mi chiesi
cosa avrei raccontato ad Andrea. Lei, incinta e preda di sbalzi
ormonali,
avrebbe preteso tutti i dettagli romantici della nostra storia.
Dettagli che
non sarei stata in grado di darle, per il semplice fatto che tra me e
Zayn, di
romanticismo, non ce n’era affatto.
In compenso, avrei potuto
fornirle i dettagli sul suo tono
di voce e sulla cadenza che assumeva quando era arrabbiato. Oppure
avrei potuto
raccontarle di quanto fosse forte la sua presa.
Ma niente romanticismo.
Però,
be’, non potei fare a meno di pensare a quanto la
sua presa fosse ferma, delicata e per niente fastidiosa. Nella mia
immaginazione, mi ero convinta che le sue mani fossero sudate, gelide e
callose. Ero certa che toccarlo mi avrebbe disgustata e invece non era
così.
Nonostante tutto,
sembravamo davvero due ragazzi
qualunque.
«Ci stanno
davvero fotografando?» domandai poco dopo, per
spezzare il silenzio.
«Credi che
altrimenti ti avrei sfiorata?» fu la simpatica
risposta di Zayn. Ecco, probabilmente sarebbe stato molto meglio se mi
fossi
stata zitta. Ma prima o poi avrebbe dovuto abituarsi alla mia voce e a
rivolgermi la parola, perciò prima era, meglio sarebbe stato
per tutti e,
soprattutto, per i miei poveri nervi.
«Non
c’è bisogno di essere sempre così
simpatico, sai?»
«Ma tu non stai
mai zitta?»
«Non si risponde
ad una domanda con una domanda.» lo
rimbeccai, per il semplice gusto di farlo arrabbiare. Se voleva
metterla su
quel piano, l’avrei accontentato.
«Guarda che tu
l’hai fatto per prima, stupida.» mi
ricordò. Mi zittii per un attimo, perché in
effetti aveva ragione. Poi mi
fermai di colpo, causando una specie di tamponamento a catena. Liam si
scontrò
con Louis, Louis con Zayn e tutti e tre mi guardarono come se fossi
pazza.
Con un sorriso –
ormai mi facevano male tutti i muscoli
facciali – lasciai la mano di Zayn e gli pestai il piede con
forza.
Avevo adocchiato un
paparazzo dietro l’angolo, e volevo
dare l’impressione che io e Zayn fossimo davvero una
coppietta felice, di
quelle che bisticciano con affetto, per il solo gusto di sfiorarsi un
po’.
Anche se il concetto di “sfioramento” aveva assunto
un significato piuttosto
relativo.
«Ma sei
impazzita? Razza di deficiente, mi hai fatto
male.» ringhiò Zayn, facendo un passo verso di me,
con tutta l’intenzione di…
fare che cosa? Ero stata piuttosto chiara, quando gli avevo detto di
non
sfiorarmi.
«Quanto mi piace
stare con te!» cinguettai, andandogli
incontro e anticipandolo. Gli cinsi il collo con le braccia e sorrisi.
«Non prenderti
troppa confidenza, ragazzina.» mormorò
Zayn, affondando le mani nei miei fianchi con più forza del
necessario. Strinsi
i denti, perché mi sarebbe piaciuto tirargli una ginocchiata
sui gioielli di
famiglia, ma rimasi lì, in silenzio e con il sorriso, alla
disperata ricerca di
un motivo per non mollare tutto all’istante.
***
Ed ecco qua a
grande richiesta, il capitolo 4! Come avete visto, le cose tra Zayn e
Eve non vanno proprio alla stragrande. Bisticciano e basta, ma piano
piano comincieranno a conoscersi. Ed Eve non è tanto debole
come sembra, perciò... niente, o finisce che spoilero.
Fatemi sapere che
ne pensate, per favore :)
Vi adoro,
Fede.
Per quanto riguarda
gli aggiornamenti, non so se saranno puntuali come al solito,
perciò non stupitevi se salterò qualche giorno e
non saranno tutti i lunedì. In ogni caso, prima o poi
aggiorno!
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
Capitolo 5
«Devo
proprio tornare a casa, mi dispiace.» sostenni, dopo
quasi un’ora.
Era
stata praticamente l’uscita più lunga e complicata
di
tutta la mia vita. Sapevo di avere gli occhi di tutti puntati addosso e
mi
sentivo talmente a disagio, all’idea che ben presto la mia
storia con Zayn
sarebbe stata resa pubblica, che non riuscivo nemmeno a muovermi con
naturalezza. Un gufo impagliato avrebbe saputo fare di meglio e sarebbe
stato
più di compagnia.
Zayn,
d’altro canto, non era stato affatto d’aiuto. Aveva
parlato poco e niente e, ogni volta, mi aveva rivolto qualche insulto
non
troppo velato, sempre con un sorriso angelico. Sotto invito di Liam mi
aveva
circondato le spalle con il braccio destro, borbottando qualcosa che
fortunatamente non ero riuscita a comprendere.
Poi,
finalmente, era arrivata l’ora di andarmene. La cena
non si cucinava da sola, ed io avevo davvero bisogno di un
po’ di tempo per
riflettere in santa pace sulle mie prossime mosse.
Dovevo
assolutamente stabilire un piano
d’azione. Non avevo intenzione di trascorrere troppo tempo a
comportarmi come
una sprovveduta ed era veramente il caso che dessi
un’immagine di me migliore
di quanto fossi realmente.
Nessuno
avrebbe creduto, altrimenti, che Zayn Malik fosse
innamorato di una come me. Io sarei stata la prima a non farlo.
Mi
divincolai leggermente da Zayn, che lasciò ricadere il
braccio sulla spalliera della mia sedia, con indifferenza.
Certo,
che grande coppia di innamorati.
Liam
– che sembrava essersi preso l’ingrato compito di
controllare la veridicità delle nostre interazioni da
coppietta felice –
tossicchiò.
«Che
palle.» biascicai, allungandomi verso Zayn. Posai le
labbra sulla sua guancia senza metterci nemmeno un po’ di
entusiasmo, poi
sorrisi, afferrai la borsa e salutai con un cenno della mano.
«Non
puoi andare da sola.» commentò Louis, con
noncuranza.
Sia io che Zayn ci voltammo verso di lui come se avesse appena
bestemmiato, o
sgozzato un cucciolo di delfino davanti ai nostri occhi.
«Ti
stupirà, ma sono in grado di camminare senza
l’accompagnamento.» replicai, con le dita
segretamente incrociate dietro la
schiena. Essere sicuri di sé era il trucco, pensai. Se fossi
stata abbastanza
convinta di quello che dicevo – come in quel caso –
nessuno avrebbe contestato.
Louis
alzò gli occhi al cielo.
«Sentite,
a me questa storia non piace. Lo sai, no? Trovo
che tu sia stata una gran stronza, a firmare, ma non sei
così male.» commentò,
sorseggiando il suo qualunque cosa avesse
preso con aria assorta.
Inarcai
un sopracciglio, indecisa se ridere od offendermi
a morte per la noncuranza con cui mi aveva sputato in faccia la sua
opinione.
«Ma
io e Liam sembriamo più fidanzati di voi.
Perciò…»
insinuò, mortalmente serio. Mi morsi il labbro inferiore,
senza potergli dare
torto. In fondo, era vero che lui e Liam erano molto più
affiatati. Ma non si
odiavano, erano migliori amici e la cosa, pertanto, era perfettamente
comprensibile.
«Stai
dicendo che ci vuole un bacio con la lingua, Louis?»
sibilò Zayn, disgustato al solo pensiero. Cielo, che
esagerazione. Nemmeno a me
andava di baciarlo, ma non gli avevano mica chiesto di mangiare
lombrichi!
«Io
non lo bacio.» sostenni, risoluta. Dopo tutte le cose
che mi aveva detto quel giorno, baciarlo era all’ultimo posto
nei miei contorti
pensieri.
«Non
sto dicendo quello. Sto dicendo che, se fossi la mia
fidanzata, mi prenderei il disturbo di riaccompagnarti a casa. Da solo,
senza
di noi.» spiegò, pazientemente, indicando se
stesso e Liam con il dito.
Ancora
una volta, Zayn lo guardò vagamente oltraggiato e,
forse, offeso dal fatto che Louis – che fino a quel momento
si era schierato
apertamente dalla sua parte – avesse espresso in qualche modo
un’opinione
neutra ed obiettiva.
Guardai
Liam in cerca di conferma – chissà
perché, lui era
quello di cui mi fidavo maggiormente, se di fiducia poteva parlarsi
– e quando
lo vidi annuire, capii che avrei dovuto fare il primo passo.
Zayn
non si sarebbe mai mosso da lì di sua spontanea
volontà.
«Mi
accompagni a casa, per piacere?» domandai, sforzandomi
di sorridere nel modo più sincero possibile.
Zayn
si voltò così repentinamente che sussultai. Ma
aveva
sempre certi scatti, oppure ero solo io a fargli questo brutto effetto?
«No,
vacci da sola.»
Come
non detto. Brutto pezzo di idiota, facesse un po’
come gli pareva. Io non avevo davvero nessuna intenzione di stare
dietro al suo
pessimo umore né, tantomeno, alle sue rispostine del cavolo.
Poteva
tranquillamente ficcarsi la sua rabbia su per il… poteva
farci quello che
voleva, ecco.
«Bene.»
sbottai, secca.
Voltai
le spalle a tutti quanti e mi allontanai
velocemente, sperando di arrivare a casa senza alcun intoppo e,
soprattutto,
senza che cominciasse a diluviare.
Il
cielo non prometteva affatto bene e il vento si era
fatto gelido e dispettoso. Portai dietro le orecchie una ciocca di
capelli
sfuggita all’elastico e sbuffai, voltando l’angolo.
Stupido,
stupido, stupido. Avrei voluto prenderlo a calci
in quel cavolo di sedere stretto. Non era nessuno per trattarmi
così.
Ma
gli conveniva stare attento, prima che perdessi davvero
la pazienza e decidessi di fare la stronza. Io, in un certo senso,
avevo la sua
carriera e il suo futuro in pugno.
Un
passo falso e… no, non avrei fatto niente che potesse
danneggiarlo, lo sapevo.
E
questo perché, nonostante la sua stronzaggine, avevo deciso
di aiutarlo. Maledetta me e il mio cuore tenero.
«Aspetta!
Ragazzina,
aspetta!» la voce di Zayn mi raggiunse da poco lontano, ma lo
ignorai.
Non
mi interessava un bel niente, fino a che non avesse
cominciato a comportarsi decentemente, avrebbe avuto pan per focaccia.
O,
almeno, ci avrei provato. Perché c’era qualcosa,
in lui, che mi suggeriva che
avesse davvero bisogno di una persona che si prendesse cura di lui.
«Cazzo,
ti fermi o no?» sibilò, afferrandomi il polso con
forza. Lo strattonai, perché quella era la seconda
– o terza? – volta che mi
sfiorava con poca delicatezza e mi stava facendo perdere la pazienza.
«Mi
sembra di averti già detto di non toccarmi. Capisci? O
fare lo stronzo ti ha fottuto il cervello completamente?» mi
incamminai,
piantandolo lì, in mezzo al marciapiede, senza dargli
nemmeno la possibilità di
replicare.
E
cosa avrebbe potuto rispondere, d’altra parte?
“Scusa,
ma sono un coglione che non si rende conto che può farti
male se stringe troppo
forte?” certo che no, non era mica così
intelligente.
E
okay, forse i miei pensieri erano un po’ storpiati dalla
rabbia, ma davvero non capivo cos’avessi fatto di male.
Mi
stavo sforzando di essere il meno molesta possibile, di
lasciargli il tempo di realizzare che gli sarebbe toccato sopportarmi
per un
anno intero, ma lui non era affatto d’aiuto.
Perciò che andasse al diavolo. Per
quel giorno, io ne avevo avuto abbastanza.
«Piccola,
aspetta!» urlò di nuovo, più
delicatamente.
Ed
ecco come cambiavano le parole quando si rendeva conto
che lo stavano osservando. Be’, lui forse era un ottimo
attore, ma io non ero
altrettanto brava.
Perciò
lo ignorai e accelerai volutamente il passo, anche
perché ormai aveva cominciato a piovigginare e, da un
momento all’altro,
probabilmente si sarebbe scatenato un temporale coi controfiocchi.
Sentii
i passi di Zayn rincorrere i miei, poi la sua mano
fermò la mia, con delicatezza, questa volta e mi costrinse a
rallentare un po’.
Mi
incantai un istante a guardare una goccia di pioggia
ferma sulle sue ciglia lunghe, poi scossi la testa per ritornare coi
piedi per
terra.
Ripresi
a camminare, in completo silenzio, stringendo la
mano di Zayn con una presa debole e praticamente inesistente. Sembrava
non
importargli che ci stessimo inzuppando, ma probabilmente una bella
camminata
sotto la pioggia, con la ragazza di cui era innamorato gli avrebbero
fatto fare
un’ottima figura.
«Non
parli più?» domandò, pochi minuti dopo.
La sua voce
era tornata normale, per niente sdolcinata come poco prima e,
soprattutto,
molto meno accondiscendente.
Tuttavia,
il fatto che mi avesse rivolto la parola per
primo, mi lasciò decisamente spiazzata. Perciò
non risposi, tanto per fargli
capire come ci si sentiva a parlare da soli come dei deficienti, visto
che era
esattamente ciò che avevo fatto io il giorno prima, in
macchina.
Di
fronte al mio rifiuto ostinato di parlare, Zayn serrò
la presa sulla mia mano.
«Ma
stai davvero rompendo, con questa violenza.» ringhiai,
stringendo a mia volta. Lottammo per un po’, in completo
silenzio, stritolandoci
le mani a vicenda, fino a che mi arresi con un mugugno dolorante.
«Sei
un bastardo.» conclusi, massaggiandomi la mano.
Lui
ghignò, evidentemente soddisfatto, poi alzò gli
occhi
al cielo.
«Per
colpa tua mi sto anche facendo il bagno.»
«Non
ti fa male, lavarti.» berciai, risentita. Avrei
voluto farlo cadere in una pozzanghera, affinché si
infangassero tutti i suoi
preziosi vestiti firmati.
«Era
meglio quando stavi zitta.» continuò, tranquillo.
«Perché
non te ne torni al caffè, allora? Non mi pare di
averti chiesto niente.» replicai. Cielo, mi stava facendo
incazzare sempre di
più, ad ogni secondo che passava.
«E
perdermi una passeggiata sotto la pioggia, con la mia
fidanzata?» celiò, evidentemente sarcastico.
Perfetto. Oltre ad essere cinico,
indisponente e stronzo, era anche sarcastico.
Davvero
niente male. Zia Kate non poteva proprio scegliere
nessun’altro, per svolgere questo compito ingrato? No, era
giusto far ricadere
la pena sulla sua innocente nipote.
Non
gli risposi di nuovo, per il solo gusto di farlo
innervosire: avevo capito che essere ignorato era una delle cose che
sopportava
di meno, oltre che la mia voce, la mia presenza e, probabilmente, la
mia
esistenza nel mondo.
«Be’?»
incalzò, spazientito.
Mi
voltai a guardarlo, poi sorrisi, gelida.
«Com’è
che ti è tornata la voglia di conversare, Zayn?»
Fu il
suo turno di rimanere in silenzio, così ne
approfittai per accelerare ulteriormente il passo – ormai
mancava davvero poco,
per arrivare a casa – e distanziarlo.
Mi
lasciò fare, perché evidentemente non gli
interessava
poi così tanto portare avanti la messinscena. Pioveva a tal
punto che nemmeno
un malato di mente sarebbe uscito. Per fotografare Zayn Malik, poi,
figuriamoci.
Non
potei fare a meno, ancora un volta, di domandarmi come
sarebbe stato essere davvero amica di Zayn, parlare e scherzare con lui
senza
il timore che volesse uccidermi e, ancora di più, come
sarebbe stato essere la
sua fidanzata. Era un ragazzo gentile? Uno di quelli che ti riempivano
di
attenzioni e che ti facevano sentire sempre bellissima e amata? Non lo
sapevo,
ma di certo non avrei mai avuto il coraggio di chiederglielo
né, tantomeno,
l’avrei vissuto sulla mia stessa pelle.
Zayn
era, mentalmente parlando, a chilometri di distanza
da me.
Quando
intravidi il portone del palazzo, feci una piccola
corsa per mettermi al riparo dalla pioggia battente. Zayn mi
seguì con tutta
calma, anche perché, in effetti, più inzuppati di
così non potevamo essere e
tanto valeva prendersela con tranquillità.
Trafficai
per qualche istante alla ricerca delle chiavi,
dopodiché mi resi conto che non sapevo proprio cosa fare:
far salire Zayn,
oppure mandarlo al diavolo?
Nonostante
la seconda opzione mi sembrasse vagamente
allettante, gli feci cenno di seguirmi.
«Entra,
dai. Finché smette di piovere.» lo invitai,
incerta.
Scosse
la testa, negativamente. Cosa credeva, che l’avrei
violentato sul pianerottolo? Se mai ero io, quella che doveva aver
paura e non
il contrario.
«Senti,
non farti pregare. Sto morendo di freddo, e non
vedo l’ora di piantarmi davanti alla stufa.
Perciò, o sali, o tanti saluti.»
farfugliai, con i denti che battevano per il freddo. Zayn ci
rifletté su per
qualche secondo, poi sbuffò.
«Solo
per la stufa. Ma questo non significa che tu mi
piaccia.»
«Non
ci sarei mai arrivata, grazie per avermelo fatto
presente.» dovevo solo pregare che non avesse manie omicide.
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
Capitolo 6
L’appartamento
vuoto mi aveva sempre fatto uno strano
effetto. Qualcosa di molto simile all’angoscia, per
intenderci.
Forse la colpa era del
silenzio, sempre così pesante e
fitto, tanto da spaventarmi. Per questo motivo, ogni volta che
rientravo a casa
accendevo la televisione, o collegavo l’iPod alle casse, in
modo che il vuoto
non sembrasse più tanto opprimente.
Questo, almeno, era
ciò che avevo fatto fino a quel
momento, quando la mia routine aveva ancora una parvenza di
normalità e la mia
vita non era stata trasformata in una sorta di schifosa soap opera in
cui il
mio ruolo era quello della stronza.
Feci cenno a Zayn di
accomodarsi, incurante del fatto che,
grondante com’era, mi avrebbe senz’altro inzuppato
mezzo appartamento. Anche
perché gliel’avevo proposto io, di salire,
perciò non dovevo proprio
lamentarmi.
Mi sfilai velocemente la
felpa – che sembrava pesare
cinque chili in più del solito – e la lanciai
sulla spalliera della sedia. Zayn
rimase in silenzio, osservandomi come se fossi un animale in via
d’estinzione.
Mi diressi verso il
ripostiglio, cercando di ignorare il
rumore imbarazzante delle scarpe bagnate contro il parquet, poi cercai
la stufa
– certa di averla accantonata in un angolo recondito
– e la trascinai fino al
salotto, dove Zayn era rimasto immobile, come se temesse che qualcuno
potesse
saltargli addosso se solo avesse osato compiere un passo.
Azionai la stufa, beandomi
per un momento del soffio di
aria calda, poi mi sfilai le scarpe e le lanciai in un angolo.
«Vado a
cambiarmi, torno subito.» annunciai, imbarazzata.
Zayn nemmeno mi rispose,
come al solito, ma almeno si
degnò di fare un cenno col capo. Non era un
granché, ma sempre meglio di
niente.
Passai in camera a
recuperare un paio di pantaloni della
tuta e una felpa comoda, poi mi chiusi in bagno. Era tutto come
l’avevo
lasciato quel pomeriggio. La piastra riversa sul piano di marmo del
lavandino,
i trucchi sparsi lì accanto e le casse ancora attaccate alla
presa.
Agitai i capelli per
scrollarmi un po’ d’acqua di dosso,
poi afferrai un asciugamano e feci un turbante. Mi cambiai velocemente,
buttando nella vasca i vestiti inzuppati, presi un altro asciugamano da
portare
a Zayn, sciolsi il turbante – meglio evitare di mostrarsi in
modo troppo
imbarazzante – e tornai in salotto.
Ero convinta che avrei
trovato Zayn nella stessa identica
posizione, anche perché ormai mi ero quasi abituata alla sua
immobilità
perenne, ma le cose erano cambiate.
Tanto per iniziare, si era
tolto scarpe e calze e le aveva
disposte ordinatamente davanti al calorifero, in modo che si
asciugassero
velocemente. E, in quel momento esatto, si stava togliendo la maglietta.
Come se fosse normale
spogliarsi in casa di una persona
che odi. Rimasi a guardarlo, mentre stendeva la maglietta e la felpa
sul calorifero,
poi mi schiarii la voce e mi avvicinai.
Non volevo guardarlo,
perché era mezzo nudo ed io ero
parecchio in imbarazzo, così gli porsi
l’asciugamano con lo sguardo puntato
verso lo schermo vuoto del televisore.
Mi sedetti sul tappeto,
davanti alla stufa, ma fui attenta
a non prendermi tutto lo spazio, nel caso in cui Zayn avesse voglia di
sedersi ed
evitare di beccarsi una broncopolmonite.
Dopo qualche istante lo
sentii sbuffare. Rimasi parecchio
sorpresa, poi, nel vederlo piazzarsi accanto a me, con tutta la
naturalezza del
mondo. Sembrava davvero che per lui fossi invisibile o, peggio ancora,
innocua
come un cucciolo di cane.
Non si sentiva minimamente
minacciato, questo l’avevo
capito. Cercai di non soffermarmi troppo sulle nostre spalle a contatto
e mi
concentrai, invece, sui tatuaggi che Zayn aveva sul braccio destro. Mi
sarebbe
piaciuto chiedergli che significato avessero (dovevano averne uno per
forza.)
ma temevo che mi avrebbe risposto al suo solito modo e, sinceramente,
per quel
giorno ne avevo piene le scatole: avevo ricevuto tanta
acidità da essere a
posto per una settimana.
«Questo non
cambia niente.» sostenne Zayn, poco dopo.
Aveva disteso le gambe in avanti, con i piedi puntati contro il getto
di aria
calda. Era serio, ma abbastanza rilassato.
«Tu non hai
fame?» domandai, intelligentemente. Zayn si
voltò a guardarmi con aria un po’ stralunata,
nemmeno gli avessi chiesto di
ballare la samba o correre nudo in tangenziale.
Okay, avevo – non
troppo abilmente – glissato la sua
precedente affermazione, ma volevo davvero provare a parlare con lui,
cominciando dalle cose essenziali e non, invece, con un litigio coi
controfiocchi. Sapevo che se gli avessi risposto avremmo litigato di
sicuro. A
quanto pareva, nessuno dei due aveva un carattere tanto docile.
Zayn rimase qualche istante
in silenzio, poi fece
spallucce. Lo interpretai come un “sì, ho molta
fame” e mi alzai in piedi.
Non sapevo nemmeno
perché gli stessi offrendo la cena, ma
da qualche parte dovevamo pur cominciare, no?
«Scongelo due
pizze, ti và?» proposi, ormai in cucina.
Quando fui certa che non potesse vedermi, sospirai, passandomi una mano
sulla
fronte. A quanto pareva, ero destinata a dire una cavolata dietro
l’altra.
Lo sentii biascicare
qualcosa e, di nuovo, lo interpretai
con un “sarebbe fantastico.” Frugai nel freezer
alla ricerca delle due pizze
pronte e accesi il forno a 180°, sperando che ci mettesse
più tempo del solito
a scaldarsi: non avevo nessuna fretta di tornare in salotto e sapevo
che,
dall’altra parte, Zayn era completamente d’accordo.
Cercai di accantonare il
pensiero del suo petto nudo e mi
concentrai sulla pioggia, che continuava a scrosciare imperterrita.
Ormai, lì
fuori, c’era un vero e proprio temporale. Come se
l’avessi progettato, un lampo
squarciò il cielo e, subito dopo, venne seguito da un tuono.
Mi lasciai sfuggire un
gemito di terrore, poi mi spostai
al centro esatto della cucina, portandomi lontano dalla finestra. Il bip del forno mi annunciò che
la
temperatura era stata raggiunta, così, con mano tremante,
disposi le pizze su
due teglie e le infornai.
Tuonò di nuovo
e, ancora, sussultai. Forse, se mi fossi
infilata sotto il tavolo, il rumore sarebbe arrivato meno forte.
Okay, d’accordo,
ero spaventata. Ma che potevo farci? Sin
da piccola, i tuoni avevano avuto un brutto effetto su di me. Nessun
evento
traumatico a cui associarli, semplicemente mi terrorizzavano. Ogni
volta, avevo
come l’impressione che il boato facesse tremare le finestre e
l’idea che un
fulmine potesse mandarne una in frantumi, mi impediva di gestire
lucidamente la
situazione.
Ovviamente, era il caso che
la tempesta infuriasse proprio
mentre ero in presenza dell’ultima persona che avrebbe dovuto
vedere la mia
debolezza e la mia patetica paura.
Al terzo tuono,
però, non potei trattenere un urletto
stridulo, di quelli imbarazzanti e da liceale sfigata: il vetro della
finestra
della cucina, aveva tremato per qualche secondo e il panico si era
impossessato
del mio stupido cervello.
Mi accasciai sotto il
tavolo, con le ginocchia raccolte al
petto e la testa nascosta tra le braccia. Sperai solo che Zayn non
avesse la
pessima idea di venire a controllare, ma naturalmente avrei dovuto
immaginare
che lo fortuna non era dalla mia parte.
«Ma che
cosa…?» Zayn si guardò intorno,
perplesso, cercando
di individuarmi.
Venni tradita da un
singhiozzo, che scappò incontrollato.
Lì fuori continuava a tuonare ed io non ce la facevo davvero
più.
Zayn si fletté
sulle ginocchia, per controllare sotto il
tavolo. Quando mi individuò, scoppiò a ridere,
con un po’ di malizia. Avrei
voluto dirgli di andare a quel paese ma un altro lampo
illuminò il cielo e, un
attimo dopo, l’appartamento si fece buio.
Gemetti, sempre
più in panico. Potevo piangere? Perché era
esattamente quello che avevo intenzione di fare.
«Porca
puttana.» sbottò Zayn, seccato. Com’era
evidente,
lui era padrone della situazione molto più di quanto lo
fossi io.
«Ragazzina…»
mormorò, pochi secondi dopo. Scossi la testa,
anche se lui non poteva vedermi, ma intuii – a giudicare dal
suo sbuffo – che
aveva compreso la situazione.
«Ehi, Eve.
Andiamo, non puoi avere paura di un temporale.»
se cercava di consolarmi, be’, non ci era riuscito affatto.
In ogni caso, non mi
sfuggì che mi aveva chiamato per
nome, né che il suo tono si era fatto un po’
più gentile.
«A quanto pare
invece sì.» balbettai, in seria
difficoltà.
Se avessi saputo che le cose si sarebbero evolute in questo modo, non
avrei mai
chiesto a Zayn di salire in casa.
Questa era una delle cose
imbarazzanti che nessuno avrebbe
mai dovuto sapere.
L’ennesimo tuono,
l’ennesimo gemito.
Alla fine, Zayn decise di
prendere in mano la situazione.
Mi raggiunse sotto il
tavolo, mi si sedette accanto e mi
circondò le spalle con un braccio.
«Vuoi
strangolarmi?» domandai, un po’ titubante. Sarebbe
stata un’occasione perfetta per farmi fuori, se
l’avesse voluto.
«No. Voglio che
ti calmi e che la smetti di comportarti
come una stupida.» sostenne, fermo. Mi strinsi un
po’ contro il suo fianco,
consapevole del fatto che fosse nudo dalla cintola in su.
«Non lo faccio
mica apposta.» mi lagnai, con le lacrime
agli occhi. Cielo, che giornata del cazzo.
«Sei proprio una
ragazzina.» affermò Zayn, prima di
sospirare. Gli tirai un pugno sullo stomaco, ma mi resi conto che la
forza che
ci avevo impiegato era così patetica che probabilmente non
l’aveva nemmeno
sentito.
«Non fare lo
stronzo, per piacere. Stavi andando così
bene.» mormorai.
«Questo non
cambia niente, Eve.»
«È la
terza volta che lo dici, Zayn. Ho capito. Mi odi e
blablabla, da domani sarà tutto come prima. Faremo finta che
questa cosa non
sia mai successa.» venni interrotta da un altro tuono, ancora
più forte dei
precedenti.
Mi scappò un
altro singhiozzo, così, senza pensare che mi
odiasse e che mi avrebbe volentieri trucidata, gettai le braccia al
collo di
Zayn e nascosi il viso nell’incavo tra il suo collo e la sua
spalla.
«Voglio
morire.» bofonchiai.
Zayn ridacchiò.
«Non riesco a crederci, davvero. Lo sai,
che è una cosa ridicola?»
«Zitto. Tu cambi
ragazza una volta ogni tre giorni, non
sei in diritto di giudicarmi.»
Pessima mossa. Tirare in
ballo il contratto era
esattamente l’ultima cosa che avrei dovuto fare, ma come al
solito avevo
parlato senza riflettere. E non potevo nemmeno dare la colpa al panico,
visto
che quanto avevo appena detto, era un pensiero che mi tormentava dal
giorno in
cui era cominciato tutto quanto.
Sentii la presa sul mio
fianco rafforzarsi un po’, così ne
dedussi che Zayn si stesse spazientendo. Già che
c’ero, però, avrei potuto
cogliere l’occasione per parlargli apertamente.
«Zayn,
senti…»
«Zitta. Non ho
voglia di parlare del contratto.» mi
bloccò, serio. Nel suo tono, mancava un po’ del
solito astio, così decisi di
provarci lo stesso. Magari, se gli avessi parlato apertamente, avremmo
potuto
trovare un accordo.
«No,
ascoltami.»
«Non starai mai
zitta, vero?»
«No.»
«Sei una persona
molesta.»
«E tu sei un
idiota aggressivo, perciò ascoltami per un
momento e metti da parte l’odio che provi per me.»
sostenni, decisa.
Zayn sbuffò.
Sentii il suo respiro scompigliarmi i capelli
e rabbrividii. Stare a contatto con lui mi faceva un certo effetto, per
quanto
mi sforzassi di ignorare qualsiasi sensazione positiva potessi provare
nei suoi
confronti.
«Lo so che mi
odi. Ti capisco. E mi dispiace, perché
potrei essere una buona amica, se tu me lo permettessi. Voglio
aiutarti,
davvero. Permettimi di stare dalla tua parte, lascia che ti renda le
cose un
po’ più semplici. Basterebbe così poco,
per ingannare zia Kate: lei crede di
essere un genio, ma è solo un’arrivista con la
mania del controllo. Io le dirò
che và tutto bene, ovviamente, ma se tu mi aiutassi, sarebbe
molto più facile,
capisci? Pensaci, per favore.»
Zayn sospirò, ma
rimase in silenzio.
Restammo così,
al buio. Io tremante per i tuoni e per la
sua vicinanza, e lui immobile, ma con una presa ferma e rassicurante.
***
Ta-daaaan!
Che ne pensate? Questo è uno dei miei capitoli preferiti,
per la cronaca. Si vede un lato di Zayn un po' più umano e a
me non dispiace. Voglio dire, è sempre stronzo, ma per lo
meno sa comportarsi. Più o meno.
Cooomunque,
ditemi che ne pensate, okay? Cioè, detto così
pare un ordine, ma non lo è. Se vi và, fatemi
sapere :)
E
niente, colgo l'occasione per augurare in bocca al lupo a chi di voi
(sempre se c'è qualcuno) domani comincerà gli
esami di maturità! Essendoci già passata, vi
garantisco che non sono terribili come sembra!
Vi
adoro,
Fede.
P.s. Per chi volesse, su
twitter sono @FTheOnlyWay
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
Capitolo 7
«Cos’è
questa roba?»
Zia Kate sbatté
sul tavolo un plico di fotografie, che
ancora non ero ben riuscita ad inquadrare e che, tutt’ora,
teneva coperte con
la sua mano.
La guardai, sperando di
sembrare indifferente. Zia Kate
era come un segugio: fiutava la paura, e scattava. Perciò,
mostrarmi
terrorizzata era all’ultimo posto nell’infinita
lista di propositi per l’anno
nuovo.
E, comunque, avevo fatto
credere a Zayn che sarei stata in
grado di tenerle testa e, considerato il fatto che lui fosse
lì presente,
supplicarla di salvarmi la vita non era un’opzione
contemplabile.
Zayn, seduto al mio fianco,
era davvero imperturbabile.
Teneva le braccia incrociate sulla felpa nera e la visiera del
cappellino
metteva in ombra buona parte del viso. Avrei voluto guardarlo negli
occhi, ma
non ero certa che vi avrei trovato appoggio.
Dopotutto, non aveva mai
risposto in modo affermativo alla
mia proposta, e mi aveva lasciata nel dubbio più totale.
Fare tutto da sola
sarebbe stato molto più difficile, ma non impossibile.
Confidavo nelle mie
misere capacità di attrice e nel mio ancor più
scadente autocontrollo.
Ero una che faticava
davvero a contenere le emozioni: ero
arrabbiata? Urlavo. Ero triste? Piangevo. Non mostrare il mio
disappunto – o
terrore, a seconda dei punti di vista – risultava davvero
difficile.
Stavo giusto pensando ad
una risposta abbastanza
intelligente, quando Zayn mi precedette.
«Se non toglie la
mano, signora Morrigan, difficilmente
riuscirò a capire di cosa sta parlando.»
sibilò, con ironia.
Sgranai gli occhi,
perché non mi sarei rivolta con quel
tono a zia Kate nemmeno in un’altra vita. Nemmeno se la
situazione fosse stata
inversa, e cioè se io avessi avuto il diritto di comandare e
lei avesse dovuto
obbedire. Be’, in quel caso forse sì.
Comunque, zia Kate
lanciò un’occhiata in tralice a Zayn e
spostò la mano dalla scrivania. Zayn si allungò
in avanti per afferrare le foto
e se le portò praticamente sotto il naso. Tesi il collo, per
poter sbirciare
senza chiedere niente ma, incredibilmente, mi venne incontro e le
spostò tra di
noi, in modo che anche io potessi osservare. Di fronte alla mia
espressione
stupefatta, sbuffò di fastidio.
Che si aspettava? Non ero
ancora abituata a ricevere certe
“gentilezze” da parte sua.
«Cosa
c’è che non và?» domandai,
ingenua.
Le foto ritraevano me e
Zayn, mano nella mano, il giorno
precedente. Io sorridevo, lui un po’ meno, ma sembravamo una
coppia, bene o
male.
L’unica cosa che
non andava, era il mio essere niente
affatto fotogenica. Tutto il resto era perfetto.
«Questi…»
cominciò zia Kate, con tono mellifluo «Non sono
due ventunenni innamorati. Sono due ragazzini di dieci anni che
dividono una
merendina!» sbraitò, senza riuscire a trattenersi.
«“Zayn
Malik, voce dei One Direction, ha incontrato una
nuova fiamma: chi è la misteriosa brunetta che
l’accompagna?”» recitò, mentre
scorreva una pagina web sullo schermo del suo computer.
Storsi il naso al termine
“misteriosa brunetta”, perché mi
sembrava un po’ stupido e quasi denigrante.
“Ragazza” era molto meglio, secondo
il mio punto di vista. Che poi, a ben pensarci, nemmeno
“nuova fiamma” mi
piaceva un granché, lasciava intendere che tra me e Zayn ci
fosse qualcosa che
andava oltre i baci sulla guancia e le passeggiate (una sola, al
momento) mano
nella mano.
«“Quanto
ci vorrà, questa volta, affinché Zayn si accorga
che non è quella giusta?”, “Mano nella
mano e baci sulle guance, i nuovi
fidanzatini sembrano felici e in sintonia”»
proseguì zia Kate, riportando le
numerose voci che vedevano me e Zayn come una coppia felice e
innamorata.
«“Se
quei due stanno davvero insieme, allora io sono un
pappagallo del Portorico.”» l’ultima
frase fu accolta da un silenzio tombale.
Il che non era affatto positivo, perché significava che zia
Kate sarebbe
esplosa da un momento all’altro.
Si schiarì la
voce, chiuse la schermata con un clic secco
e furioso e intrecciò le lunghe dita sopra la scrivania.
«Evangeline, sai
bene cosa ti succederebbe nel caso in cui
questa storia venisse fuori. E tu, Zayn, collabora. La tua immagine
è a pezzi,
e la tua carriera seguirà un rapido declino, se non cambi.
In quanto
responsabile della tua visibilità-»
Zia Kate venne interrotta
da uno scatto di Zayn, che si
alzò in piedi talmente velocemente che la sedia si
rovesciò all’indietro e si
schiantò a terra con un colpo sordo e vagamente inquietante.
Sobbalzai sul posto,
spaventata, poi mi resi conto che se
non fossi intervenuta, probabilmente Zayn avrebbe ucciso zia Kate ed io
sarei
stata coinvolta in un caso di omicidio che mi sarei trascinata avanti
per tutta
la vita.
«È ora
di andare! Si è fatto tardissimo! Scusa, zia, ma io
e Zayn abbiamo un appuntamento importante.» lo interruppi
prima ancora che
cominciasse a parlare, consapevole che qualunque cosa fosse uscita
dalla sua
bocca l’avrebbe solo fatto precipitare ancora di
più nei guai.
E, se volevo davvero
convincerlo del fatto che potessi
diventare una buona amica, impedirgli di commettere un errore rientrava
nei
miei compiti.
«Andiamo.»
gli sussurrai, prendendolo per mano con
delicatezza. Ero un po’ timorosa, a dire la
verità, e avevo paura che potesse
rifiutarmi, spingermi e buttarmi giù dal balcone (okay,
questo era esagerato).
Ma non lo fece. Si
limitò a fissarmi con uno sguardo
assolutamente disarmante, che ricambiai decisa. Poi sbuffò
– di nuovo – e si
lasciò trascinare fuori dalla stanza.
Il corridoio era deserto e
zia Kate sembrava non avere
alcuna intenzione di seguirci.
Presi qualche respiro
profondo, sollevata dall’aver appena
scongiurato un pericolo, poi mi voltai verso Zayn, che continuava a
fissare la
porta con aria truce. Sembrava avesse intenzione di irrompere da un
momento
all’altro. Chissà se zia Kate avrebbe fatto in
tempo a mettersi in salvo.
Gli lasciai la mano con
deliberata lentezza, per evitare
che un movimento brusco lo mettesse in allarme. Zayn era un
po’ come un cane
selvatico.
«Non ho bisogno
del tuo aiuto.» sibilò, dopo qualche
secondo.
Inclinai la testa da un
lato, perplessa e anche un po’
offesa. Possibile che ancora non capisse?
«Un grazie
sarebbe stato sufficiente.» replicai, quindi,
infastidita. Se avevo pensato di aver fatto un passo in avanti, dovetti
cambiare idea quando Zayn mi spinse contro il muro con ben poca
delicatezza. Mi
bloccò ogni via di fuga, intrappolandomi con il suo corpo.
Come poteva essere
capace di cambiamenti tanto repentini? Non me ne capacitavo, eppure ero
certa
che a questo suo atteggiamento un po’ bipolare dovesse
esserci una risposta. Lo
spintonai all’indietro, mettendoci tutta la forza di cui ero
in possesso.
Ottenni un risultato
piuttosto scarso, ma per lo meno ebbi
di nuovo la facoltà di muovermi. Massaggiandomi un gomito,
che avevo sbattuto
contro il muro, mi incamminai lungo il corridoio.
«Devi smetterla
di farmi male, Zayn. Chiaro? Stai
cominciando a stancarmi. La prossima volta ti prendo a
sprangate.» berciai,
infastidita.
Probabilmente quella sera
mi sarei barricata in camera e
avrei pianto, ma in quel momento non potevo certo dargli soddisfazione.
«E tu smettila di
impicciarti. Fatti i cazzi tuoi.»
rispose Zayn, seguendomi. Mi voltai, con tutto l’intento di
mandarlo al quel
paese, ma rinunciai: cominciare un altro litigio non avrebbe portato a
niente
di nuovo.
«Non mi inganni,
Zayn. Fattene una ragione. Mi sono messa
in testa di aiutarti e tu puoi fare lo stronzo quanto vuoi, ma non
cambierò
idea.» sostenni, sperando che il mio tono risultasse
abbastanza deciso.
«Ma
vaffanculo.» sbottò Zayn, in risposta.
«Anche tu, caro.
Se vuoi mostrarmi la strada… scommetto
che ti ci hanno già mandato un sacco di volte.»
Non disse più
niente fino a che non uscimmo dall’edificio,
entrambi di pessimo umore e per niente inclini a fingerci due
innamorati.
Come la volta prima, Byron
(l’autista gentile) mi aprì la
portiera e mi chiese come stessi. E, siccome mi ero convinta che tra di
noi ci
fosse una certa intesa, risposi in tutta sincerità.
«Uno schifo, e
sai perché? Perché il mio fidanzato è
un
gran bastardo.» con un cenno del dito indicai Zayn, che si
era già accomodato
in macchina, senza nemmeno preoccuparsi di rispondere al saluto di
Byron, che
non si mostrò per niente sorpreso.
«Sai, questa tua
messinscena da superstar viziata è una
vera merdata.» gli rivelai, in completa
tranquillità.
Zayn non si
voltò nemmeno, continuando a fare il gioco del
silenzio – per il quale era molto più portato di
me, lo ammetto – e a guardare
fuori dal finestrino.
C’era una cosa di
cui non era a conoscenza, però. La mia
dote migliore, quella che tutti mi invidiavano e che mi aveva spinto a
lavorare
con i bambini, era la pazienza.
E, anche se nel suo caso me
ne sarebbe servita davvero
molta, prima o poi avrei ottenuto una risposta.
«No, davvero.
Ieri sera sei stato quasi gentile.»
continuai, imperterrita «E poi, non capisco davvero
perché hai questi scatti.
Sono spaventosi e non ti si addicono. Non puoi essere davvero
così, non ci
credo.»
«Vuoi starti
zitta, per l’amor del cielo?»
Non era propriamente la
risposta in cui avevo sperato, ma
era già qualcosa. Per lo meno, avevo ricevuto una prova del
fatto che mi stesse
ascoltando.
Sempre meglio di niente.
«Ho appena
cominciato. A meno che tu non la pianti di
comportarti come un coglione – cosa che ti riesce benissimo,
te lo concedo – e
ti decidi ad affrontare le cose così come stanno.»
«E
cioè?»
«Sei costretto a
sopportarmi, perché hai firmato un
contratto, e io pure. Perciò, o collabori, oppure mi
costringi a fare tutto da
sola, rendendo le cose più difficili. Per il bene di
entrambi, sarebbe meglio
se la piantassi di fare lo stronzo, ti mettessi l’anima in
pace e cominciassi a
riabilitare la tua cazzo di immagine. Se sei in questa situazione,
dopotutto,
non è certo colpa mia.» soddisfatta del monologo
appena concluso, incrociai le
braccia in attesa di un riscontro da parte della superstar.
Zayn si tolse il cappello
dalla testa, si passò una mano
tra i capelli con rassegnazione, poi sospirò, sconfitto.
«Cosa proponi,
quindi?»
Ci riflettei attentamente,
perché dalla mia risposta
sarebbe dipeso, poi, il nostro intero rapporto, oltre che la mia
sanità mentale
(e la sua, e quella di chi ci stava intorno).
«Tregua. Io aiuto
te, e tu aiuti me.» spiegai, spiccia.
Era semplice, in fin dei conti. Io lo aiutavo fingendomi la sua
fidanzata e lui
mi aiutava a non essere cacciata di casa.
Non volevo proprio tornare
da Andy, non ora che mancavano
giusto un paio di mesi alla nascita del bambino – o della
bambina – né
tantomeno volevo tornare a Birmingham da mamma e papà. Stavo
bene dov’ero e se
sopportare uno pseudo-fidanzato con eccessi d’ira degni di
una donna mestruata era
il mio prezzo da pagare, be’, l’avrei accettato
senza battere ciglio. Più o
meno.
Nel frattempo, Byron
fermò l’auto e scese per aprirmi la
portiera.
«Non sono una
principessa, Byron. La prossima volta faccio
da sola.» gli ricordai. Lui fece spallucce e sorrise.
«È il
mio compito, signorina.»
«Sì,
ma chi se ne frega. Davvero, faccio da sola.»
ripetei. Mi accorsi a malapena che anche Zayn era sceso dalla macchina,
perché
ero troppo intenta ad osservare Byron che si rimetteva alla guida e si
allontanava con una manovra fluida ed esperta.
«E tu che ci fai,
qui?» domandai, rivolta a Zayn, che
inarcò un sopracciglio – nonostante il cappello,
me ne accorsi perfettamente –
e indicò un’abitazione a circa venti metri da noi.
«Ci
vivo?» domandò, ironico. Sbuffai, sconsolata,
perché
abitava a chissà quanti chilometri da casa mia e percorrere
la strada a piedi
mi avrebbe richiesto un’infinità di tempo e di
energie che non avevo di sicuro.
Sull’orlo della
disperazione e in piena crisi da camminata
lunghissima, mi avviai verso la direzione opposta, sperando che fosse
quella
giusta. Non avevo nemmeno i soldi per pagare un taxi, perciò
muovere le gambe
era l’unica ipotesi da prendere in considerazione.
«Ci
vediamo.» salutai Zayn con un cenno del capo, senza
nemmeno rendermi conto del fatto che non mi avesse – di nuovo
– dato risposta.
Restò in
silenzio (abitudine fastidiosa, che mi ripromisi
di fargli perdere al più presto), poi borbottò
qualcosa.
«Maledizione.
Dai, ragazzina, entra. Ti accompagno io, più
tardi.»
Interruppi la mia camminata
di colpo e mi voltai per
essere certa di aver sentito bene. Quando mi resi conto che le mie
orecchie non
mi avevano affatto giocato un brutto scherzo e che Zayn era davvero in
attesa
che lo seguissi, sorrisi.
«Non farci
l’abitudine.» borbottò, aprendo la porta.
«Lo sapevo, che
non sei tanto stronzo.»
«Fastidiosa. Sei
decisamente fastidiosa.»
Eppure, nonostante il tono
non fosse per niente dolce, ero
piuttosto certa di aver visto gli angoli della sua bocca inclinarsi
verso
l’alto, nella pallida imitazione di un sorriso.
***
Pensavate che le cose si fossero sistemate, eh? E invece no.
Perché Zayn è un idiota testardo e ci
vorrà un po', ancora, prima che capisca che Eve è
dalla sua parte per davvero. Però ci sono dei piccoli passi
avanti, spero che abbiate apprezzato :)
E niente!
Fatemi sapere :)
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 8 ***
Capitolo 8
La prima cosa di cui mi
resi conto mettendo piede in casa
di Zayn, fu che la definizione “casa” era la meno
adatta che esistesse.
“Casa”
era il posto in cui vivevo io: piccolo, accogliente
e pieno di cianfrusaglie. Era il luogo in cui mi sentivo al sicuro,
protetta e
capita. Anche se vivevo da sola, il mio minuscolo appartamento mi
faceva
sentire davvero a mio agio.
Casa di Zayn, invece,
assomigliava ad una di quelle
abitazioni che si vedono nei cataloghi: luminose, enormi, arredate
perfettamente,
ma vuote. Niente lasciava intendere che ci fosse un po’ di
gioia, d’amore, di
qualsiasi sentimento positivo. Era tutto così freddo e
inospitale che per un
attimo rimpiansi di non essermene andata direttamente a casa.
«Non ho
parole.» mormorai, osservando il gigantesco divano
di pelle bianca e il televisore al plasma grande – centimetro
più, centimetro
meno – come la porta di casa mia.
«Sarà
la volta buona che ti stai zitta, allora.» berciò
Zayn, facendomi segno di lasciare la giacca sul divano.
«Sei simpatico,
davvero. Tu sì che sai mettere gli ospiti
a proprio agio.» replicai, lanciando malamente il cappotto e
affrettandomi a
seguirlo.
Era entrato in cucina e si
era diretto senza esitazione
verso il frigo.
«Vuoi
qualcosa?» domandò, mentre estraeva una ciotola di
quella che mi sembrava insalata di riso e un po’ di frutta.
Ci riflettei per qualche
secondo: non poteva avvelenarmi,
vero? Cioè, anche lui avrebbe mangiato la stessa cosa,
perciò non avrei dovuto
correre alcun rischio. O, almeno, era ciò che speravo.
«Quello che mangi
tu. Non ho pranzato, oggi.»
Ero piuttosto certa che
avrebbe voluto rispondermi con un
“nessuno te l’ha chiesto” ma
chissà perché si trattenne.
Mi allungò una
forchetta, spinse la ciotola in mezzo al
tavolo, e cominciò a mangiare, tranquillamente. Seguii il
suo esempio,
affondando la forchetta nel riso. Mi sentivo in imbarazzo,
perché mangiare
nello stesso piatto presupponeva una certa intimità che, di
sicuro, io e Zayn
non avevamo. Tuttavia, lui sembrava rilassato come non mai –
forse in casa sua
(sebbene a me sembrasse tanto fredda) si sentiva più libero
– e il suo volto
non era contratto in nessuna smorfia, come succedeva ogni volta che io
entravo
nel suo raggio visivo.
«Stavo
pensando…» mormorai, mente mi impegnavo ad
infilzare un funghetto.
«Ti prego, non
farlo.» mi bloccò Zayn, rivolgendomi uno
sguardo a metà tra il supplichevole e l’esasperato.
«Cosa?»
domandai, perplessa. Lui alzò gli occhi al cielo.
Lo faceva spesso, come se sperasse che qualcuno più in alto
di noi potesse
dargli la forza di sopportarmi.
«Pensare.
È meglio che non lo fai. Poi cominci a parlare e
non la finisci più.» rivelò, con un
sorriso serafico.
Aprii e richiusi la bocca
più volte, oltraggiata. Non
sapevo cosa rispondere a quel colpo basso. Perché mai doveva
essere così
stronzo, ogni volta?
Cioè, non che
avesse poi tutti i torti, ma che potevo
farci, io? Ero fatta così e parlare era l’unico
modo che conoscevo per
togliermi dall’imbarazzo.
E lui non era per niente
d’aiuto, se sabotava ogni mio
tentativo.
«Sei una rottura,
Zayn Malik.»
«Mai quanto te,
ragazzina.»
Sbuffai, risentita, e
continuai a mangiare, mettendoci più
foga del normale. La rabbia aveva un brutto effetto, su di me. Se fossi
stata a
casa mia, mi sarei cucinata un bel po’ di biscotti e li avrei
affogati nella
cioccolata calda.
Certo, l’unica a
rimetterci sarei stata io, ma per lo meno
il dolce avrebbe avuto una funzione antidepressiva non indifferente.
Tornai a guardare Zayn e lo
scoprii ad osservarmi con
attenzione, senza la minima traccia di risentimento. Mi stava guardando
come un
ragazzo guarda una sconosciuta dall’aria familiare. Abbassai
lo sguardo sul
tavolo, certa di essere arrossita. Quando sbirciai con la coda
dell’occhio,
Zayn si era voltato dall’altra parte, ma stava sorridendo.
Poco, certo, ma era
già qualcosa.
«Mi dai uno pezzo
di mela?» domandai, qualche minuto dopo.
Zayn, che si stava
sbucciando la mela con aria
estremamente concentrata, inarcò un sopracciglio.
«Ce ne sono
altre, in frigo. Serviti pure.»
Mugugnai qualcosa che
risultò incomprensibile anche per me
e cominciai a torturarmi le mani con aria imbarazzata.
«Cosa
c’è adesso?» domandò Zayn,
suo malgrado curioso. Mi
guardava come se temesse che da un momento all’altro potessi
rivelargli di
essere un marziano. Non era una buona idea, dirgli quello che mi
passava per la
testa e probabilmente sarei sembrata una bambina e…
«Non so
sbucciarla. Ogni volta ne tiro via metà
e…»
Inaspettatamente, Zayn
scoppiò a ridere di gusto,
lasciandomi interdetta e con le guance rosse per la vergogna di aver
ammesso ad
alta voce qualcosa che sarebbe dovuto rimanere solo nella mia testa.
Mi presi qualche secondo
per ascoltare la sua risata. Era
dolce, un po’ profonda e rassicurante. Era quel tipo di
risata che non ti
stancheresti mai di ascoltare.
«Tieni.»
terminò di sbucciare la mela velocemente, poi me
ne porse metà. Gli rivolsi un sorriso gigante, facendolo
ridere ancora di più.
«Sei proprio una
bambina…» mormorò, con –
cos’era? –
tenerezza.
Continuai a sorridere,
mentre addentavo quella mela che,
un po’, sapeva di vittoria, fiducia e di buoni propositi.
Tregua, speranza e
fiducia.
Forse non era troppo tardi,
forse eravamo partiti entrambi
col piede sbagliato. Lui di più, ma nessuno è
perfetto.
«Me lo dice
sempre anche papà. Secondo lui vivo ancora nel
mondo delle favole.» Zayn annuì, stranamente
concentrato sulle mie parole. Si
alzò, aprì il frigo e prese un’altra
mela. Osservai la linea della sua schiena,
le spalle – non troppo ampie – ma forti, i fianchi
stretti, le gambe lunghe.
Aveva una bella figura e, ancora una volta, mi ritrovai a pensare a
cosa
sarebbe successo, se non fosse stato un cantante di fama
internazionale, ma un
semplice ragazzo. Magari ci saremmo incontrati, saremmo diventati amici
e…
basta. La sua amicizia era l’unica cosa che desideravo
ottenere. Nulla più.
Mentre io ero impegnata con
le mie riflessioni, Zayn tornò
a sedersi al tavolo e cominciò a pulire la seconda mela.
Restai incantata a
fissarlo, anche se lui diede segno di
non accorgersene. Le sue mani sembravano forti – anzi, lo
erano, come avevo
avuto possibilità di notare – e maneggiava il
coltello con una destrezza
vagamente inquietante. Se avesse voluto uccidermi, non ci avrebbe
impiegato poi
molto.
Certo, potevo sempre
contare sull’affetto che nutriva per
me e… sarei morta.
Mi allungò un
quarto di mela perfettamente sbucciato con
un’espressione talmente serena che cominciai a dubitare di
trovarmi in un
sogno. In un bel sogno, per la precisione. Perché solo
lì, in un’altra
dimensione, Zayn avrebbe potuto offrirmi una mela, sorridermi come se
non mi
detestasse e guardarmi con curiosità.
Come stava facendo in quel
preciso momento.
Mi resi conto di essermi
bloccata con la mela a metà
strada tra il tavolo e la bocca e arrossii.
«Scusa, stavo
pensando.» mi giustificai, con un sorrisino
imbarazzato.
«A
cosa?»
Boccheggiai, in
difficoltà. Non sapevo se fossi più
stupita dal fatto che avesse dimostrato interesse e
curiosità nei miei
confronti, oppure se l’idea di rivelargli cosa pensassi sul
serio fosse un
suicidio bello e buono.
Però, forte
delle mie convinzioni – e cioè che dire la
verità era un mio sacrosanto dovere – gli
sciorinai velocemente il mio timore
di essere accoltellata.
«Tu non sei
normale, lo sai? Credi davvero che ti
accoltellerei con questo? A malapena ci tagli l’acqua. Ne ho
uno in quel
cassetto, che farebbe più al caso mio.»
Dovevo essere impallidita
parecchio, perché Zayn mi guardò
come se temesse che potessi collassare da un momento
all’altro.
«Sto scherzando,
Eve. Rilassati.» si affrettò ad
aggiungere. Annuii, frastornata e lievemente in panico.
«Non mi
uccideresti mai, vero?» domandai, con un tono di
voce stridulo. Zayn inarcò un sopracciglio poi
sbuffò.
«E rischiare che
mi accollino un’altra rottura come te?
No, grazie. Una basta e avanza.»
«Tu sì
che sai come far arrossire una donna.» celiai, più
tranquilla. Lui sorrise tra sé e sé
perché, in effetti, sapeva farlo alla
perfezione. Sperai solo che non gli venisse la pessima idea di
raccontarmi
qualcosa a proposito delle sue avventure, perché ero certa
che non avrei retto
il colpo.
«Dai, ragazzina,
non mi dire che nessuno ti ha mai fatto
arrossire.» insinuò, malizioso. Ovviamente, le mie
guance andarono a fuoco e mi
costrinsi a rivolgergli un’occhiata minacciosa, nonostante
sostenere il suo
sguardo fosse diventato improvvisamente difficile.
Accidenti a lui e a quella
sua lingua biforcuta.
«Non
rispondi?»
«Fatti i cazzi
tuoi.» berciai, sprofondando sempre di più
nell’abisso della vergogna.
«Dai,
dimmelo.» intimò, sempre più divertito.
Bene, ero
contenta che dalla fase di odio totale fosse passato a quella di
“prendiamo Eve
per il culo”, per lo meno avrebbe raccontato ai suoi figli
che era stato
fintamente fidanzato con una che aveva avuto un solo, bastardissimo
ragazzo in
ventuno anni di vita.
«Da
quand’è che ti sei eletto a mio amichetto del
cuore?»
ignorai la sua precedente affermazione con nonchalance e addentai la
mela con
furia.
«Non eri tu
quella che voleva che ci conoscessimo?»
«Sì!
Ma non intendevo in questo senso!» poi, di fronte al
suo sguardo sornione, scoppiai a ridere.
Non lo credevo capace di
conversare in modo così
spontaneo, soprattutto non con me. Cominciavo a capire che il vero
problema di
Zayn era mostrarsi per quello che era realmente: un ragazzo normale,
scorbutico, ma simpatico (quando voleva).
Da una parte, lo riuscivo a
capire perfettamente. Essere
sé stessi, e rimanere coerenti alle proprie idee e alla
propria identità in un
mondo come il suo – in cui ogni aspetto della vita veniva
tenuto sotto
controllo – non era di certo facile.
E Zayn ci era cascato in
pieno e si era ritrovato vittima
di un meccanismo perverso in cui la notorietà era tutto
ciò che contava.
La differenza tra lui e i
suoi compagni, stava nei
contenuti. Se Harry spendeva i soldi in auto, Liam e Louis in serate al
Funky
Buddha e Niall in chitarre, Zayn preferiva ubriacarsi, farsi tatuaggi
che a
mezzo mondo apparivano insensati e farsi paparazzare in compagnia di
aitanti
modelle, che puntualmente scaricava dopo un paio di giorni.
Le mie riflessioni vennero
interrotte dal telefono di
Zayn, che cominciò a suonare con una certa insistenza.
«È
Harry.» comunicò, prima di portare il telefono
all’orecchio e cominciare una fitta conversazione con
l’amico.
Mi piaceva, la voce di
Zayn. Era calda, melodiosa e un po’
strascicata, ed era impossibile non rimanerne affascinati. O, per lo
meno, su
di me aveva questo strano effetto.
Finii di mangiucchiare la
mela, cercando di non prestare
troppa attenzione alle parole di Zayn, che stava –
incredibile, ma vero –
discutendo con Harry.
«Ti ho detto
che… Ma che cazzo…? Oh, senti, fai come vuoi.
Ti aspettiamo qui. Sì, ho detto aspettiamo. Sì,
c’è anche la ragazzina. No, non
l’ho uccisa. Muoviti.» attaccò
bruscamente la telefonata e mi rivolse uno
sguardo improvvisamente astioso.
«Che
c’è? Che ho fatto?» domandai, colta in
contropiede.
Non avevo nemmeno fiatato. E, anzi, ero piuttosto offesa per quel
ragazzina che
aveva sputato quasi con disprezzo. Che fine aveva fatto tutto il buon
umore di
poco prima?
«Harry e gli
altri stanno venendo qui. Mangiamo la pizza,
poi ti accompagno.»
«Sembri di nuovo
arrabbiato. Ho detto qualcosa che non và?»
chiesi, con un po’ di timore. Non mi sembrava di aver
sbagliato in niente.
Zayn si morse il labbro
inferiore, combattuto. Avevo come
l’impressione che stesse decidendo se mandarmi al diavolo o
se rispondermi con
sincerità.
«Io non voglio
che tu entri nella mia vita.» sostenne
infine.
Aveva optato per la
sincerità e, sebbene dovessi esserne
felice, sapere che non mi voleva tra i piedi mi ferì
parecchio. Quando
cominciai a sentire gli angoli degli occhi pizzicare, decisi che la
serata
sarebbe finita in quell’esatto momento.
«Penso che
chiamerò un taxi.» mormorai, abbattuta.
Un passo avanti, tre
indietro.
***
Sappiate che questo è uno dei capitoli che preferisco in
assoluto. Ve lo dico così, a titolo informativo AHAHAHAH
niente, sono piuttosto di fretta in realtà,
perchè sto per uscire, ma volevo postare il capitolo prima
che mi passasse del tutto la voglia.
Anche perchè venerdì parto e sarò
assente per due/tre settimane, credo. Vivrò fuori dal mondo,
senza internet (triste, ma vero) e non volevo lasciarvi completamente a
bocca asciutta!
Perciò... ta-daaan!
Che ne pensate? Fatemi sapere, ci tengo :)
E buone vacanze!
Un bacio,
Fede.
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 9 ***
Capitolo 9
Scesi
dal taxi con un balzo poco atletico e salii le scale
sforzandomi di trattenere il groppo che avevo in gola.
Ci
ero rimasta davvero male per le parole di Zayn e mi
sentivo stupida e ingenua, per aver anche solo potuto pensare che la
sua fosse
una maschera.
Non
potevo trovare una ragione per il suo comportamento,
semplicemente perché di ragioni non ce n’erano.
Era
solo un ragazzino viziato, arrogante e con un pessimo
carattere ed io non mi sarei illusa mai più che le cose tra
di noi potessero
essere diverse da un rapporto stipulato per contratto.
Avrei
continuato a difenderlo di fronte alle domande di
zia Kate, perché in fin dei conti lo biasimavo e mi
dispiaceva per lui, ma non
potevo permettergli di confondermi fino a quel punto. Io non piangevo
per un
ragazzo di cui non sapevo niente, non l’avrei mai fatto e non
avrei lasciato a
Zayn tutto quel potere. Lui e i suoi sbalzi d’umore potevano
tranquillamente
andarsene al diavolo.
Mi
era passata anche la voglia di mangiare, cosa che mi
succedeva spesso: il nervoso mi chiudeva lo stomaco e mi trasformava in
una
specie di liceale isterica che perdeva il controllo per qualsiasi cosa.
E,
tutto questo, era solo colpa di Zayn e del suo essere così
altalenante e
indeciso ed egocentrico e… stronzo! Perché si
comportava così?
Affondai
la faccia nel cuscino, reprimendo un ringhio
furioso ed esasperato. Zayn Malik rientrava, senza ombra di dubbio,
nella
categoria degli uomini più stupidi ed incomprensibili di
tutto il pianeta
terra. Sua madre, beata donna, aveva messo al mondo una creatura
dall’aspetto
bellissimo e dal carattere insopportabile. La sua stronzaggine
– di Zayn, non
di sua madre – rovinava il perfetto connubio.
Eppure,
quel pomeriggio, mi era sembrato così diverso che
non riuscivo a non pensare a cosa dovesse passare nella sua stupida
testa.
Perché un attimo prima sembrava interessato –
quasi amichevole – e quello dopo
tornava scorbutico ed aggressivo?
Non
conoscevo nessuno a cui poter chiedere spiegazioni,
semplicemente perché non esisteva anima viva in grado di
comprendere la
mentalità assurda di Zayn. Strinsi i pugni,
perché se ce l’avessi avuto
davanti, probabilmente gli avrei tirato un cazzotto su quel naso
perfettamente
dritto.
E,
sempre probabilmente, l’unica che si sarebbe fatta male
sarei stata io. Digrignai i denti per un po’, fino a rendermi
conto che stare
lì a commiserarmi e a piangermi addosso come una deficiente
non era esattamente
la cosa migliore da fare, né tantomeno, quella che
preferivo.
Ero
una persona attiva, fondamentalmente ottimista, e se
Zayn Malik aveva deciso di tirare fuori il suo lato peggiore, avrebbe
trovato
pane per i suoi denti. Questo fino al momento in cui non avessi perso
la
pazienza, perché in quel caso non sapevo cosa sarebbe
successo, anche se le
ipotesi che preferivo contemplavano un sacco di violenza e di sangue.
E, di
mio, non ne veniva versato nemmeno una doccia.
Mi
alzai un po’ controvoglia, perché il divano era
incredibilmente accogliente, caldo e completamente diverso da quel
mostro di
pelle bianca che il Signor Bipolare aveva in salotto.
Checché ne pensasse lui,
casa mia era molto più bella.
Che
la serata non sarebbe stata delle migliori, l’avevo
già capito da un bel pezzo, ma non credevo fosse possibile
che le cose
peggiorassero ancora di più.
Comunque,
siccome ero sconfortata e preda di
un’incazzatura non indifferente, decisi di mettermi qualcosa
di comodo – alias
il mio pigiama verde smeraldo – e di trascorrere la nottata
sul divano, nella
speranza che in televisione dessero qualcosa di abbastanza noioso da
conciliarmi il sonno.
Il
peggioramento cominciò circa mezz’ora dopo, nel
seguente ordine: telefono, citofono.
Balzai
in piedi, cercando di ricordare dove avessi
lasciato il telefono e lo ritrovai dentro la tasca dei jeans che avevo
indossato quel pomeriggio.
Il
nome di mia sorella Andrea (perché a lei fosse toccato
un nome migliore del mio continuava a rimanere un mistero)
lampeggiò sullo
schermo: mi sentii improvvisamente minacciata. Che voleva? Aveva
già saputo di
Zayn ed era in cerca di dettagli?
Sperai
solo che non avesse detto niente a papà, perché
in
quel caso ero più che certa che ben presto avrei ricevuto un
invito a
trascorrere il weekend a Birmingham e presentare così la mia
non troppo dolce
metà.
Prima
di rispondere, presi un respiro profondo e mi
concentrai mentalmente su cosa avrei detto e su cosa, invece, era
meglio
tacere.
«Sai
cos’ho visto oggi su internet?» fu la prima frase
pronunciata da Andrea, con il suo tono morbido e conciliante. Lo usava
sempre,
quando voleva raccogliere informazioni.
«No,
cosa?» replicai, ingenuamente. La sentii sbuffare e
me la immaginai mentre si portava la mano sul pancione già
prominente e alzava
gli occhi al cielo.
«Tu.
Meno nella mano con un figo da paura.»
L’espressione
“figa da paura” non era esattamente la
migliore, per descrivere Zayn. Io avrei detto anche misterioso,
bellissimo,
accattivante e stronzo. Ma Andy non poteva sapere tutte queste cose,
perciò le
avrei lasciato il “figo da paura” come bonus.
«Sì.»
«Sì? Tu esci con
uno così e l’unica cosa che riesci a dire
è “sì”? Voglio i dettagli,
sorellina.» ignorai il tono intimidatorio – che in
genere funzionava alla
perfezione – e spostai la conversazione su un argomento meno
spinoso.
«Come
stai, Andy?» domandai, dunque, nella speranza che il
pensiero della vita che portava in grembo la distraesse o, in
alternativa, la
facesse piangere. Da quando era incinta, i suoi ormoni le giocavano
brutti
scherzi, ed ogni occasione era buona per far scorrere un fiume di
lacrime.
«Con
me non funziona, Eve. Non cambiare discorso.»
«Io?
Ma figurati, quando mai l’ho fatto?»
«Eve.»
«Scusa,
suonano il campanello. Ci possiamo sentire domani?
Giuro che ti richiamo io!» le mandai un bacio frettoloso e
mollai il telefono
sul divano, chiudendo la conversazione prima ancora che Andrea avesse
il tempo
di replicare.
Ciò
che nemmeno sospettavo, era che la prima disgrazia
venisse interrotta da una seconda – di gran lunga peggiore,
ma quello l’avrei
scoperto in seguito.
Non
aspettavo visite, perciò ero piuttosto stupita del
fatto che qualcuno potesse cercarmi a quell’ora,
così mi sorse il dubbio che
potesse trattarsi di zia Kate o del signor Clint, il mio affittuario.
Tenendo
le dita incrociate, mi diressi al citofono e sollevai la cornetta con
mano
tremante.
«Chi
è?»
«Noi.»
«Non
aspetto nessun “noi”, perciò andatevene.
Tanto non
apro.» berciai.
Inutile
dire che due minuti dopo facevo entrare gli One
Direction nel mio appartamento. Mi domandai per un attimo se ci saremmo
stati
tutti quanti, ma decisi di fregarmene. Non li avevo invitati e sarebbe
stato
meglio se se ne fossero andati il prima possibile. Non ero propriamente
dell’umore giusto per essere una buona padrona di casa: il
risentimento nei
confronti di Zayn mi avrebbe lasciato di pessimo umore per almeno un
paio di giorni.
Aprii
la porta con riluttanza, poi li osservai sfilare in
soggiorno, uno dietro l’altro come dei bambini
dell’asilo durante la prova
d’evacuazione. L’ultimo ad entrare fu Zayn, che non
mi rivolse neanche
un’occhiata e andò dritto al divano, sul quale
Louis si era già accomodato.
«Oh,
certo, fai pure come se fossi a casa tua, Louis.»
borbottai, infastidita ma non abbastanza, visto che Louis
annuì e si sistemò
più comodamente.
«Grazie,
Eve.»
Inarcai
un sopracciglio e mi voltai verso Niall, che era
rimasto immobile accanto a Liam, decisamente in imbarazzo. Harry,
invece, era
sparito in cucina. E, considerato che in casa mia non c’era
mai stato e che non
ci eravamo mai scambiati nemmeno una parola, la cosa aveva del
preoccupante e
dell’assurdo.
Quando
tornò in salotto, mi rivolse un gran sorriso, che
mise in mostra due fossette adorabili.
«Le
pizze erano pesanti.» sostenne, lasciandomi parecchio
interdetta. Perché avevo la sensazione che casa mia si fosse
appena trasformata
in un covo di matti?
«Pizze?»
«Non
ti piace la pizza?» domandò Harry, mortificato.
«Qualcuno
mi spiega?» chiesi, un po’ agitata: qual era il
loro problema? Non era normale che si presentassero a casa di una
persona che
odiavano, con le pizze.
«Zayn
ha detto che stavi poco bene, così abbiamo pensato
di farti compagnia.» spiegò Liam, un po’
titubante: non era affatto convinto.
Sgranai
gli occhi, voltandomi di scatto verso Zayn, con
aria oltraggiata. Lui mi guardò per un istante, poi si
strinse nelle spalle
come a dire che non era colpa sua e che lui non c’entrava
niente.
Non
volevo parlargli, perché avrei finito col tirargli
addosso il mobilio del salotto, così mi rivolsi a Liam,
cercando di mantenere
un tono più calmo possibile.
«Io
sto benissimo. Semplicemente, non avevo voglia di
stare con voi.» in risposta, ottenni un sopracciglio inarcato
e un’espressione
scettica.
«E
va bene. Non volevo rovinarvi la serata.» confessai, un
po’ in imbarazzo. Sapevo che continuare a difendere Zayn
– nonostante si fosso
comportato in quel modo odioso – non era una cosa da persone
normali di mente,
ma che potevo farci? Ero di animo buono, e detestavo l’idea
che qualcuno
potesse litigare a causa mia.
Zayn
sbuffò.
«Puoi
dirglielo, ragazzina. Ti ho già detto che non ho
bisogno di te, né tantomeno mi serve che tu mi pari il
culo.» parlò lentamente,
come per assicurarsi che riuscissi a cogliere il significato di ogni
parola e non
avessi alcun dubbio sul suo intento.
«Che
testa di cazzo.» sbottai.
Nella
stanza calò il silenzio.
«Prego?»
Zayn si alzò lentamente dal divano, tanto simile
ad un felino in procinto di attaccare la sua preda. Ma cominciavo a
capire che
la sua era tutta facciata e che quell’aria minacciosa era una
sorta di
meccanismo difensivo. Voleva tenermi lontana e non c’erano
dubbi. Ma perché?
Ormai
avrebbe dovuto accettare il contratto. Anzi, ero
certa che l’avesse già fatto. Che poi, pensandoci,
l’aveva firmato anche lui –
seppur di malavoglia – perciò tanto valeva che la
smettesse di comportarsi come
se la colpa fosse solo mia. Era sua al cinquanta percento ed era giunta
l’ora
che lo capisse.
Lo
osservai, mentre si avvicinava così tanto che mi
ritrovai a cinque centimetri dal suo corpo. Mi imposi di non arrossire,
sollevai lo sguardo fino ad incrociare il suo e ripetei quanto avevo
appena
detto.
«Sei
una testa di cazzo, Zayn. Cosa c’è di
così
complicato? Anzi, ti va bene che non ho voglia di litigare,
perché stai certo
che non l’avresti vinta. Ah, per la cronaca, l’aria
minacciosa non funziona
più. Datti una calmata.» lo spinsi
all’indietro, poi mi diressi in cucina e
gridai che se qualcuno aveva fame, doveva quantomeno degnarsi di
aiutarmi a
preparare la tavola.
Niall
ed Harry furono i primi ad arrivare, entrambi
sorridenti e sghignazzanti.
«Be’,
che c’è di così divertente?»
ringhiai, acida e sull’orlo
di un esaurimento nervoso.
«La
faccia di Zayn. Tu non hai idea di quanto lo fai
incazzare.» spiegò Harry, entusiasta. A quanto
pareva, la cosa sembrava
divertirlo un mondo.
Niall
annuì, allungando una mano affinché gli porgessi
i
bicchieri.
«Sì,
continua a dire che sei una rottura, ma secondo me
gli piaci.»
Fu il
mio turno di ridere, perché che piacessi a Zayn era
assolutamente fuori discussione. Era un pensiero che non mi aveva mai
nemmeno
sfiorato.
«Non
dire cazzate, per piacere. Non ci siamo ancora
presentati, comunque. Io sono Eve.» strinsi la mano ad
entrambi, dopodiché mi
scansai di lato, perché Zayn era appena entrato e aveva
l’aria di essere
incazzato nero.
«Piega
i tovaglioli, e stai zitto.» gli intimai. Spalancò
la bocca, indignato, poi cominciò a mugugnare qualcosa di
incomprensibile.
«Questo…»
cominciò, mentre disponeva i tovaglioli sul
tavolo.
«Non
cambia niente, lo so.»
E
come dimenticarlo? Non faceva altro che ripetermi che
non mi avrebbe mai accettata. Ma prima o poi l’avrebbe fatto,
parola mia. Che
gli piacesse o no, che fosse d’accordo o meno, sarei
diventata parte della sua
vita.
***
Finalmente
ci sono! Ta-daaan (?) siete contente? Come
procedono le vostre vacanze? Le mie sono andate abbastanza bene, mi
sono
abbronzata, anche se non ve ne frega di certo e non ho scritto nemmeno
una
riga, perché non ho avuto tempo.
Anyway,
spero che il capitolo via sia piaciuto e, come
avete visto, le cose tra Zayn e Eve sono ancora ben lungi dal
decollare. Per un
miglioramento sostanziale dovrete aspettare il capitolo 12!
Fatemi
sapere <3
Un
bacio, vi adoro!
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 10 ***
Capitolo 10
Trascorsi le prime ora
della mattinata successiva a
rimuginare su quanto accaduto durante la cena. Avevo scoperto un paio
di cose:
Harry era un sacco gentile e non mi era affatto ostile, Niall
apprezzava che
fossi disposta ad aiutare il suo amico e Liam e Louis si erano auto
incaricati
di fare in modo che durante le uscite “programmate”
io e Zayn sembrassimo
davvero due innamorati. Zayn era rimasto in silenzio per la maggior
parte del
tempo, rivolgendomi la parola lo stretto necessario (“Passami
l’acqua.”,
“Allungami un tovagliolo e smettila di parlare tanto per dare
aria alla bocca”,
insomma, cose di questo genere.) e rimuginando tra sé e
sé sul fatto che anche
i suoi amici fossero passati al lato oscuro.
Una cosa di lui
l’avevo capita: non gli interessava di
niente e di nessuno, ma odiava che le persone più importanti
della sua vita – e
non avevo dubbio che gli One Direction ne fossero parte integrante
– gli dessero
contro, anche se a ragione.
Un’altra cosa che
odiava, erano le persone che facevano
troppe domande, quelle come me, quelle che si prendevano confidenza e
quelle
che gli dicevano le cose come stavano, e cioè che era un
grandissimo idiota e
che era il caso che cambiasse atteggiamento.
Avevo provato ad essere il
meno molesta possibile, durante
la cena, perché non volevo davvero farlo incavolare
più di quanto fosse già e
la cosa aveva funzionato per un po’, fino a che mi era
scappato di bocca che
era davvero impossibile che lui avesse quel caratteraccio dispotico,
intrattabile e borioso.
Nella cucina era
improvvisamente calato il silenzio,
dopodiché Zayn aveva sbuffato e mi aveva rivolto –
di nuovo – un’occhiata colma
d’astio. Ancora un po’, e avrei potuto farci una
bella collezione.
«Tu non mi
conosci, ragazzina. E non mi conoscerai mai. Te
lo ripeto un’altra volta: per me sei solo un mezzo. Non
esisti nemmeno.»
Era stato il mio turno di
odiarlo e mi ero improvvisamente
resa conto che era esattamente ciò che Zayn voleva: se
l’avessi odiato, non
avrei provato a conoscerlo, e gli sarei stata il più lontana
possibile,
spaventata da lui e dalle sue parole.
Così avevo
sorriso e avevo ripreso a mangiare la pizza,
sotto lo sguardo perplesso di tutti quanti.
«Vai
così, Zayn. Sei davvero convincente.» era stata la
mia risposta. Ancora, mi aveva guardata male, ma non aveva replicato.
Quando se n’erano
andati tutti a casa – non senza che
Harry si complimentasse per il mio pigiama – mi ero buttata
sul divano, avevo
collegato l’iPod alle casse e avevo cominciato a riflettere.
L’unico modo per
farmi accettare da Zayn (anche se ci
sarebbe voluto un bel po’) era costringerlo a conoscermi. Se
gli avessi
raccontato qualcosa di me, forse anche lui avrebbe fatto altrettanto.
In più,
avevo già avuto dimostrazione che quando eravamo da soli
sembravamo quasi
normali. Quanto poteva essere complicato, in fin dei conti?
Decisi che avrei colto al
volo l’occasione della prossima
uscita per cominciare con il mio semplice piano, nella speranza che non
facesse
acqua da tutte le parti.
A ben pensarci,
c’erano un sacco di cose che potevano
andare storte. Prima fra tutti, l’intolleranza di Zayn nei
miei confronti:
probabilmente gli avrebbe fatto passare qualsiasi voglia – se
mai ne avesse avuta
– di conoscermi per quella che ero e l’avrebbe
fornito di un astio non indifferente
(non che non l’avesse già dimostrato) che avrebbe
portato alla rovina di
entrambi, visto che io non gli avrei mai più permesso di
trattarmi come se
fossi la persona peggiore del mondo.
Perciò accolsi
con meno panico del solito la chiamata di
zia Kate. Fu più acida che mai e mi sgridò
nemmeno fossi una bambina di tre
anni beccata con le mani nel vasetto della Nutella. La lasciai sfogare,
conscia
del fatto che ribattere avrebbe solo prolungato la mia tortura.
E non avevo nessuna voglia
di starla a sentire più dello
stretto necessario. Dopo che ebbe finito la sua filippica, prese un
respiro
profondo e mi fornì dettagli più
“tecnici”.
«C’è
un tavolo prenotato per due al 1880 del Bentley Kempinski,
questa sera. È uno dei ristoranti più esclusivi e
raffinati di Londra, perciò
mi aspetto che tu e Zayn vi comportiate come una coppia affiatata. Non
puoi
metterti gli anfibi, né quell’orribile felpa
gialla che avevi indosso l’altro
giorno, perciò tra circa un’ora arriveranno la
truccatrice, la parrucchiera e la
stylist. Non mettermi in imbarazzo e non comportarti come una ragazzina
stupida. Il taxi sarà da te alle sette e trenta, Zayn ti
aspetterà subito fuori
dal Bentley. È necessario che vi vedano insieme. Ah,
Evangeline?»
«Sì,
zia?»
«Mi aspetto un
resoconto completo, domani. Mandami un’e-mail.»
«Certo.»
acconsentii. Il lato positivo dell’e-mail, era
che avrei potuto inventare tutto ciò che volevo, senza
correre il rischio di
essere scoperta. Dopotutto, come poteva accorgersi del mio stato
d’animo solo
attraverso qualche parola? Era impossibile, vero? Ero piuttosto sicura
che zia
Kate non fosse intelligente fino a quel punto.
Poi venni presa dal panico:
non ero una ragazza raffinata,
né colta, né sofisticata, né un bel
cavolo di niente. Io non ero adatta a mangiare
al 1880. Ero una tipa da Nando’s o da ristorante cinese, al
massimo. Sarei
sembrata solamente una stupida, inserita in quell’ambiente.
Mi buttai sul divano,
disperata, e feci l’unica cosa che
mi venne in mente: chiamai Zayn. Era stato Liam a salvare il suo numero
sul mio
telefono perché, a suo dire, non esisteva nessuna coppia al
mondo che non
avesse i reciproci numeri. Ed io ero assolutamente d’accordo,
se non per il
fatto che io e Zayn non eravamo una coppia e non lo saremmo mai stati.
Il telefono
squillò a vuoto un paio di volte, dopodiché
Zayn rispose e, a giudicare dal tono sereno con cui disse
“Pronto, chi parla?”
ne dedussi che non aveva il mio numero. La mia ipotesi venne confermata
un
secondo dopo.
«Sono Eve, ti
disturbo?»
Dall’altro capo,
ci fu un silenzio tombale e vagamente
angosciante, dopodiché Zayn sospirò.
«Sì,
sono impegnato.» sentii una risata di sottofondo e
riconobbi il timbro inconfondibile di Harry.
«Ti
ruberò solo un istante, promesso.» sforzarmi di
essere
gentile non era tanto difficile, in fondo. Probabilmente non avere Zayn
davanti
agli occhi mi era di inestimabile aiuto.
«Che rottura.
Cosa vuoi?» domandò, acido. Bloccai sul
nascere la rispostaccia e la inghiottii insieme a un po’
della mia pazienza: ci
eravamo scambiati sì e no venti parole e già
morivo dalla voglia di mandarlo al
diavolo, nonostante l’idea – stupida – di
chiamarlo, fosse venuta a me.
«Mi chiedevo...
dobbiamo per forza andare al 1880, questa
sera?» dal mio tono, risultò evidente persino a me
la mia insicurezza e mi
aspettai che Zayn cogliesse l’occasione al volo, tanto per
ricordarmi quanto
fossi inadatta a stargli accanto e blablabla, sempre le solite storie.
«È un
ottimo ristorante.» ero piuttosto certa che Zayn
avesse fatto spallucce, ma apprezzai parecchio che non avesse
infierito. Anzi,
a giudicare dalla lieve gentilezza nella sua voce, immaginai che si
trovasse a
casa e non in giro.
«Sì,
ma non penso che vada bene, per me.»
«Non devi pagare
tu. Il lato positivo delle uscite
organizzate da quegli stronzi, è che non sborsiamo un
centesimo. Perciò ti godi
la cena e non mi scocci con le tue paranoie.» sostenne, quasi
sereno.
Era una delle frasi
più lunghe che mi avesse mai rivolto e
mi riscoprii piuttosto sorpresa di non trovare nemmeno un insulto
rivolto alla
mia persona.
«È un
tuo modo carino di dirmi di non preoccuparmi?»
domandai quindi, sforzandomi di trattenere un sorriso di
felicità. Poteva Zayn
essere gentile nei miei confronti?
«No, era un modo
carino di dirti di non rompere, Eve.»
Alzai gli occhi al cielo,
per niente sorpresa.
«Emozionante. Ci
vediamo stasera, simpaticone.»
riagganciai, senza dargli il tempo di rispondere. Tuttavia non mi aveva
ingannato: per un misero secondo, Zayn era stato di conforto,
nonostante subito
dopo avesse cercato il modo di ritrattare.
Trascorsi l’ora
seguente a domandarmi se quell’invasata di
zia Kate avrebbe davvero mandato la brigata di professioniste del
mestiere per
restaurare la mia immagine. Mi ero quasi convinta che non
l’avrebbe mai fatto,
quando suonarono al campanello.
In men che non si dica, la
mia microscopica casa venne
invasa da tre donne. La prima disse di chiamarsi Lou e mi
sventolò sotto il
naso un borsone pieno di pennelli, palette di ombretti e altri trucchi
non bene
identificati. La seconda si chiamava Carole, ed era la parrucchiera:
occhi
contornati di nero, capelli arancioni e fisico longilineo, mi
terrorizzò
parecchio quando cacciò un urlo dopo essersi accorta della
ricrescita lunga tre
metri. La terza, invece, si chiamava Lauren ed aveva l’aria
annoiata e
spazientita. Mi squadrò per un momento da capo a piedi,
prima di storcere il
naso con aria critica.
«Accomodatevi.»
mormorai, ormai rassegnata all’invasione.
Non c’era verso, ormai, che la mia vita mantenesse una minima
parvenza di
normalità. Tra un finto fidanzato, boy band per adolescenti,
stylist,
parrucchiere e truccatrici, avrei finito per impazzire entro i prossimi
tre
giorni.
Scoprii poco dopo che tutte
e tre lavoravano per i One
Direction e che, quindi conoscevano Zayn abbastanza bene. Ovviamente,
non
resistetti alla sensazione di chiedere qualche informazione in
più su di lui.
«Che tipo
è?» domandai, mentre Lauren mi porgeva un
vestito color borgogna, con un ampio scollo a cuore e una gonna corta e
un po’
svolazzante. La guardai come se fosse pazza, ma una sua occhiata
perentoria mi
costrinse ad indossare l’abito.
Quando vide come mi stava,
scosse il capo con aria
contrariata e mi allungò un secondo vestito, più
lungo e di un delicato azzurro
pastello.
«È un
ragazzo strano. Va saputo prendere nel verso giusto,
ed ha un carattere un po’ particolare. È
silenzioso, sarcastico e ogni tanto scontroso,
ma ha un cuore buono, ed è gentile.»
«Scontroso, dici?
Non me n’ero mai accorta.» borbottai,
ironica. Lou rise, cominciando a disporre sul tavolino del salotto una
sfilza
pressoché infinita di pennelli professionali.
«Cerca di
capirlo, questa situazione non è per niente
semplice, per lui.» sostenne, serena. Inarcai un
sopracciglio, mentre allungavo
una mano per afferrare quello che sperai fosse l’ultimo
vestito.
«Pensi che per me
lo sia? Oh, povero miliardario ragazzo,
costretto a firmare un contratto a causa della sua vita sregolata.
Nessuno si è
mai domandato perché io abbia accettato, però,
vero? Sono solo la stronza che
ha rovinato la vita della povera celebrità. Poi chi se ne
frega se mi scade
l’affitto, se resto sotto i ponti e se non ho soldi per fare
la spesa. Cosa
vuoi che sia al confronto?» sciorinai, risentita.
Mi dava piuttosto fastidio
che stessero tutti quanti dalla
parte di Zayn, a priori. Capivo che lo conoscevano, che gli volevano
bene e che
erano preoccupati per lui, ma la sua situazione, a confronto con la
mia, era
una vera e propria vacanza alle Hawaii. Ero io, quella che veniva
trattata
male, quella che si era fatta la reputazione della bastarda rovina
tutto, senza
che mi venisse data nemmeno l’opportunità di
spiegare perché l’avevo fatto.
Perciò tutta
quella comprensione nei confronti di Zayn
stava davvero cominciando a darmi ai nervi. Restai quasi in completo
silenzio
per il resto della preparazione, sebbene le tre donne cercassero di
coinvolgermi in una conversazione che verteva su argomenti abbastanza
neutrali.
Nessuno nominò più Zayn, né il
contratto.
Come se non bastasse, mi
sentii anche in colpa per aver
avuto quello scatto. In genere ero una persona pacata, diplomatica e
niente
affatto ostile. Ma la situazione in cui ero finita mi stava davvero
logorando i
nervi.
Se poi pensavo a tutto
quello che ancora doveva accadere,
molto probabilmente avrei detto addio alla mia salute mentale.
«Comunque, se
può esserti di consolazione, credo che tu
piaccia ai ragazzi.» sostenne Lauren, annuendo con aria
soddisfatta quando
ritornai in salotto con il vestito nero.
«E
perché dovrebbe essermi di consolazione, scusa?
L’unico
a cui vorrei piacere un po’ mi odia.» mi
scappò di bocca prima ancora che
potessi rendermene conto, così mi affrettai a spiegare, onde
evitare
fraintendimenti di alcun genere.
«Nel senso che
vorrei essere amica di Zayn, ma lui non me
lo permette.» aggiunsi. Annuirono tutte e tre con aria grave,
ma nessuna di
loro disse altro, lasciandomi nel dubbio di aver appena fatto il passo
più
lungo della gamba: avrebbero riferito tutto quanto? Cosa avrei fatto,
se
avessero raccontato a zia Kate che le cose in realtà non
stavano andando a
gonfie vele come avevo detto io?
«Quello che ho
detto… resterà tra di noi, vero? Non lo
direte a zia Kate?» domandai, quindi. Lou, Carole e Lauren si
scambiarono un
sorriso complice, dopodiché scoppiarono a ridere.
«Parlare a
quell’arpia? Spero tu stia scherzando.»
Tirai un sospiro di
sollievo e mi rilassai sotto il tocco
delicato di Lou. Dovevo solo sperare che non mi facesse sembrare un
pagliaccio,
o Zayn avrebbe avuto un altro motivo per ridere di me, come se
già non lo
facesse abbastanza.
***
Questo capitolo è, evidentemente, di passaggio. Ma si
comincia a capire qualcosa in più, credo. Eve comincia a
rendersi conto di non essere l'unica responsabile, Zayn è a
modo suo intenerito dalla sua insicurezza e il team mandato da zia Kate
mi fa morire dal ridere, non so perchè.
Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto, nonostante non succeda
niente di che...
Ah, il ristorante 1880 del Bentley Kempinski esiste davvero ed
è davvero uno dei più prestigiosi ristoranti di
Londra, mi sono informata :)
Fatemi sapere, se vi va!
Un bacione,
Fede.
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Capitolo 12 *** Capitolo 11 ***
Capitolo 11
Il
tragitto in taxi mi era sembrato il peggiore della mia
vita. Non che avessi viaggiato chissà quante altre volte, ma
sapere che stavo
per cenare in uno dei ristoranti più raffinati (e costosi)
di Londra mi
lasciava addosso una sensazione di disagio assolutamente fastidiosa e
il taxi
che mi stava conducendo al mio destino (che aveva nome 1880) non era
per niente
d’aiuto.
L’autista
fu così silenzioso e scontroso da farmi passare
anche la voglia di conversare, perciò rimasi completamente
in silenzio,
distratta solamente dalle auto che percorrevano la strada sulla corsia
opposta.
Pensai a Zayn, che probabilmente era già arrivato e doveva
essere di pessimo
umore: aspettare fuori significava essere visto da tutti e non mi
sembrava
proprio felice di firmare autografi e scattare foto. Non
nell’ultimo periodo,
almeno.
Cominciavo
a capire il suo punto di vista e se la cosa da
un lato mi affascinava, dall’altro mi terrorizzava. Sarei
cambiata, per entrare
a far parte del suo mondo? Non era quello che volevo. Mi sarebbe
piaciuto
rimanere me stessa, nonostante tutto.
Ero
abbastanza soddisfatta della persona che ero, e non
avrei permesso a nessuno – soprattutto a Zayn, o a zia Kate
– di plagiarmi per
farmi diventare qualcuno che non mi assomigliava per niente.
D’accordo cambiare
vestito, ma non ero disposta ad accettare qualcosa in più.
«Siamo
arrivati.» il tassista inchiodò bruscamente,
esattamente di fronte all’ingresso del Bentley. Strisciai sul
sedile per
avvicinarmi alla portiera, ma qualcuno la aprì prima di me.
Qualcuno
che sembrava sulla buona strada per prendersi un
esaurimento bello e buono, a giudicare dallo sguardo che mi rivolse.
«Sei
in ritardo.» mi accusò Zayn, con tono quasi
disperato.
Non
capii il motivo della sua stizza, fino a quando non
sentii le acclamazioni delle fan.
«Colpa
del traffico.» spiegai, brevemente. Uscii dal taxi
cercando di essere il più aggraziata possibile, nella
speranza che il vestito
non si sollevasse facendo vedere le tristissime mutandine azzurre che
indossavo. Niente a che vedere con la biancheria di
Victoria’s Secret, per
intenderci.
Qualcuno
scattò una foto, accecandomi con il flash: fui
presa dal panico. Non mi ero mai sentita così sotto
controllo e in generale
faticavo a gestire le troppe attenzioni. Zayn sembrò
accorgersi del mio
nervosismo – e probabilmente se ne sarebbe accorto chiunque,
nel raggio di un
miglio – e mi prese per mano. Lo guardai, stupita e parecchio
incredula. Da
quando era così gentile? Poi ricordai di nuovo che eravamo
in mezzo alla folla
e che il nostro compito, sebbene avessi la stupida tendenza a
dimenticarlo, era
sembrare innamorati.
Mi
sforzai di sorridergli e mi accostai un po’ di
più,
tenendo lo sguardo basso ed esibendo un sorriso timido e un
po’ imbarazzato: le
guance rosse non erano frutto di una messinscena, per mio grande
disappunto.
Ero davvero emozionata, nonostante Zayn mi detestasse e continuasse a
vedermi
come un nemico mortale. Speravo che quella sera avremmo potuto parlare
e,
magari, raggiungere definitivamente un accordo, senza che si sentisse
in dovere
di cambiare umore ogni dodici secondi.
«Zayn!
Zayn possiamo fare una foto, per favore?» la voce
proveniva dalla nostra destra ed apparteneva ad una ragazzina minuta,
con un
paio di occhiali dalla montatura celeste e con una massa
incredibilmente lunga
di capelli scuri. Era visibilmente emozionata e quando Zayn le sorrise
arrossì
violentemente.
«Dai
a me il telefono, ve la scatto io.» proposi,
prendendo un po’ di coraggio. Sebbene non capissi –
e non condividessi – tutto
quell’entusiasmo e l’ossessione per le persone
famose, mi immaginai al posto di
quella ragazzina.
Probabilmente
quella notte non avrebbe dormito, pensando
al fatto di essersi ritrovata tanto vicina al ragazzo di cui era
platonicamente
innamorata. Avrebbe conservato quel sorriso nella sua memoria, magari
per tutta
la vita. Magari avrebbe raccontato alle sue amiche che si era avverato
un suo
sogno e, sempre magari, in un futuro lontano avrebbe incoraggiato le
sue figlie
o i suoi figli a non demordere, perché niente era
impossibile. Ed io volevo
che, quel giorno, potesse guardare una foto scattata decentemente, in
cui
entrambe le sue mani erano a contatto con Zayn. Una foto in cui poteva
abbracciarlo. Non volevo essere la stronza che metteva fretta al
fidanzato per
la gran voglia di cenare con caviale e champagne.
La
ragazzina mi sorrise, riconoscente e mi passò il
telefono con mano tremante. Zayn le fece cenno di avvicinarsi e lei si
fiondò
letteralmente tra le sue braccia, con le lacrime agli occhi. Mi
incantai per un
attimo a guardarli: zia Kate aveva detto che Zayn si era montato la
testa e che
il suo era un comportamento scorretto, scontroso e assolutamente
inadeguato
alla sua fama. Eppure sembrava sincero, mentre circondava le spalle
della
ragazza con un braccio e le sussurrava qualche parola gentile
all’orecchio.
Scattai
la foto e le allungai il telefono.
«Grazie,
sei stata molto gentile.» mi disse, con voce
flebile.
Zayn
si avvicinò di nuovo e mi circondò i fianchi con
un
braccio. La sua presa era ferma e decisa, come al solito e non potei
fare a
meno di sentirmi più tranquilla. Alzai il volto per
sorridergli, sincera, poi
tornai a guardare la ragazzina.
«Figurati,
per così poco.» le sorrisi un’ultima
volta,
dopodiché Zayn disse che avremmo perso la prenotazione, ma
che era molto felice
di aver passato un po’ di tempo con tutte loro.
Quando
entrammo nella hall del Bentley, il silenzio era
tanto fitto e pesante da lasciarmi quasi frastornata. Barcollai un
po’ sui
tacchi, poi tirai un sospiro di sollievo.
«Cielo,
è tutto così intenso.» mormorai,
incredula. Fuori
di lì, si sentiva ancora una gran confusione e il solo
pensiero che all’uscita
sarebbe stata la stessa cosa, mi fece venire una gran voglia di
scappare a
gambe levate. Ma perché era tutto così complicato?
«Ancora
è niente, ragazzina. Cosa pensavi, che fosse tutto
rose e fiori?» domandò Zayn, con un tono che
lasciava sottintendere che la mia
sorpresa e la mia ingenuità lo divertivano parecchio.
«No,
ma…»
«Non
hai la minima idea, vero? Non sai cosa significa
essere famosi. Tu sei invisibile, anonima e codarda, come tutti. Non
capisci,
non puoi capire.» strinsi i pugni, combattendo contro
l’istinto di tirarglieli
in faccia, poi scossi la testa. Non gliel’avrei data vinta
così facilmente, mi
rifiutavo di concedergli tutto il potere che pensava di avere e,
soprattutto,
ero decisa a conoscerlo. E se Lauren, Lou, Carole, i One Direction, la
Regina e
tutti i santi vedevano in Zayn qualcosa di buono, be’,
l’avrei visto anche io.
Poteva fingere quanto voleva, ma non mi avrebbe ingannata.
Perciò
decisi di non rispondergli, fino a quando la sua
espressione supponente non si fosse trasformata in
qualcos’altro. Non chiedevo
tanto, ma mi sarebbe piaciuto parlare con il vero Zayn,
anziché con il coglione
montato.
Rimasi
in silenzio fino a che ci sedemmo al tavolo del
ristorante e, anche allora, impiegai un po’ di tempo a
racimolare le parole
migliori. Ora che non sentivo più la pressione delle fan, mi
sentivo più a mio
agio. E sembrava valere lo stesso anche per Zayn, visto che
gradualmente la sua
espressione si distese e tornò rilassata.
Mi
concessi di osservarlo con un po’ di attenzione: era
vestito elegante, con una camicia bianca e dei pantaloni stretti e
neri, che
gli stavano perfettamente. All’orecchio sinistro portava il
suo solito
cerchietto argentato e i capelli erano arruffati in una cresta un
po’
disordinata. Era bello, Zayn. Odioso, cinico, fondamentalmente stronzo,
ma
bello. Ed io non ero abituata ad avere a che fare con ragazzi come lui,
perciò
la mia concentrazione era completamente spaccata in due: una parte
cercava di
ricordarmi di non farmelo piacere per nessuna ragione,
l’altra, invece, voleva
parlargli e capirlo fino in fondo.
«Ti
sei offesa, per caso?» Zayn mi distolse dai miei
pensieri, riportandomi alla realtà con la sua voce
strascicata e bassa.
Scossi
la testa.
«No,
non mi sono offesa. Non ne avrei motivo, visto che
l’insulto viene da te e, perdona la schiettezza, non sei
così tanto importante.»
non volevo litigare, dico davvero.
Così
mi costrinsi a moderare i toni, a non usare parolacce
e a sforzarmi nel tentativo di andargli incontro. Dopotutto ero
testarda, ce
l’avrei fatta. Zayn strinse lo sguardo, scettico. Si
aspettava che scoppiassi a
piangere, forse, ogni volta che mi diceva qualcosa di poco carino?
L’avessi
fatto sul serio, a quell’ora avrei già esaurito
tutte le mie lacrime.
«Questo
è un colpo basso, ragazzina.»
ridacchiò,
divertito. Gli sorrisi lievemente e stavo per rispondergli che
– se voleva –
sapeva essere anche simpatico, ma venni interrotta
dall’arrivo del cameriere,
pronto a prendere le nostre ordinazioni. Mi resi conto che, persa
nell’osservazione di Zayn, non avevo dato nemmeno
un’occhiata al menù.
Stupendomi
non poco, Zayn ordinò per tutti e due, con la
padronanza di chi è stato nel posto già un sacco
di volte e conosce alla
perfezione la cucina. Il cameriere appuntò tutto
velocemente, poi si allontanò.
«Sai
che è davvero presuntuoso, da parte tua, avere
ordinato anche per me?» gli feci notare, indispettita.
Credeva
forse di conoscermi abbastanza da poter azzeccare?
Scossi la testa, un po’ contrariata e, mio malgrado, un
po’ lusingata.
«Scommetto
che non conosci nemmeno la metà dei piatti sul
menù. Volevo evitarti di mangiare qualcosa che non ti
sarebbe piaciuto.»
mugugnò Zayn, improvvisamente in difficoltà.
C’era sempre un insulto velato,
nelle sue parole, ma l’intento, almeno, era buono.
«Oh…»
sussurrai, positivamente colpita. «Grazie, sei stato
gentile.»
«Non
abituartici, Eve.»
«No,
certo. Allora, dimmi un po’, a cosa devo tutta
questa… tolleranza?» era il termine migliore che
mi fosse venuto in mente ed
ebbe lo straordinario effetto di far sorridere Zayn. Non me
l’aspettavo, anzi.
Ero convinta che mi avrebbe insultato di nuovo (cominciavo a farci il
callo)
per poi ripiombare in un silenzio torbido e colmo di rancore.
Invece
cominciò a giocherellare con uno degli anelli che
portava – un cerchietto d’argento, sottile e
delicato – passandolo di mano in
mano con aria pensierosa. Poi sollevò lo sguardo e
puntò i suoi occhi nei miei.
Ricambiai, serena, in attesa che dicesse qualcosa.
Io
avevo parlato fin troppo ed ora era il suo turno.
«Quando
mi hai chiamato, questo pomeriggio, stavo
litigando con Harry.» cominciò, concentrato.
Inclinai la testa da un lato,
senza capire dove volesse andare a parare, ma poi ricordai che sentirlo
parlare
spontaneamente era un evento più unico che raro,
così mi tappai la bocca e
annuii, curiosa e un po’ dispiaciuta: non volevo che
litigasse con i suoi amici
per causa mia.
«Lui…
be’, anche gli altri, in effetti, pensano che tu non
sia così male, Eve. Dicono che non sei come tua zia e che
potresti aiutarmi
davvero. Ma io non mi fido. Ne ho conosciute, di ragazze come te, so
già come
andrà a finire.» c’era un po’
di delusione, nelle sue parole, e anche un po’ di
rabbia. Così cominciai a capire che non ero proprio io, a
stargli sulle
scatole, era quello che gli ricordavo. Chi?
Chi aveva avuto tanto potere su di lui, in passato?
«Le
persone non sono tutte uguali, Zayn. Tu non mi
conosci, non sai niente di me. Chi ti dice che io non sia una brava
persona?
Sei davvero così pronto ad odiarmi, senza darmi nemmeno una
possibilità?»
«Non
si tratta di possibilità, Eve. Si tratta di
fiducia.»
«E
tu non ti fidi. D’accordo, lo capisco. Non posso
costringerti a credermi, ma ti assicuro che non ho cattive intenzioni.
Non
sapevo a cosa stessi andando incontro quando ho firmato il contratto,
ma sto
cominciando a capirlo. Potrò essere invisibile, anonima e
codarda, ma se prendo
un impegno lo rispetto. Ed ho deciso di farlo stando dalla tua parte.
Non ti
dico di fidarti, ma concedimi almeno il beneficio del
dubbio.» conclusi,
lentamente. Era stato in assoluto il discorso più lungo e
più interessante che
avessimo mai avuto e mi sentivo quasi spossata.
Zayn
era molto più di quanto appariva: non era solo un bel
ragazzo, con un sacco di soldi, una voce meravigliosa e
un’orda di fan. Era una
persona sola, diffidente e spaventata dall’idea di fidarsi.
La
mia presenza nella sua vita non era nient’altro che
un’invasione poco gradita, qualcosa che intaccava la sua
precaria serenità e la
sua routine fatta di sconosciute che non gli avrebbero creato problemi
ma che
gli avrebbero fatto compagnia.
«Un
passo alla volta, Eve. Non sono ancora sicuro che sia
una buona idea.»
Però
mi sorrise, sincero, e senza alcuna traccia di
antagonismo. Potevamo davvero ripartire da zero. Conoscerci, e aiutarci
l’uno
l’altro per quanto fosse possibile.
«Un
passo alla volta, okay. Allora partiamo da capo. Ciao,
io sono Eve.» gli porsi la mano e Zayn la scrutò
per qualche secondo, dubbioso.
Poi sospirò, si strinse nelle spalle e sorrise lievemente.
«Ciao,
Eve. Io sono Zayn.»
Un
passo alla volta.
Oggi
è una giornata traumatica: ho fatto pulizia del mio profilo,
ho eliminato CINQUE storie e sono in lutto, ma mi sembravano dei
fallimenti e, visto che non mi piace lasciare le cose a
metà, mi sono decisa a cancellarle.
Perciò
sono di poche parole, mi dispiace.
Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto! Fatemi sapere che ne pensate, vi
adoro :) <3
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Capitolo 13 *** Capitolo 12 ***
Capitolo 12
Da quando io e Zayn avevamo
raggiunto un accordo, le cose
andavano decisamente meglio. Cominciava a tollerare la mia presenza e
sembrava
aver accantonato – almeno un po’ – tutto
l’odio che mi aveva riversato addosso
agli inizi della nostra conoscenza. Mi ero riscoperta a pensare a lui
più
spesso di quanto fosse lecito, probabilmente perché, ora che
lo conoscevo un
po’ meglio, mi rendevo conto che era il tipo di ragazzo per
cui avrei
senz’altro potuto perdere la testa.
A volte era gentile,
soprattutto quando eravamo da soli e
poteva lasciarsi andare un po’ di più. Certo,
rimaneva sempre sulle sue, come
un animale selvatico, ma cominciava ad accettarmi ed io ne ero
più che felice.
Non sapevo quanto avrei potuto reggere ancora, se non mi fosse venuto
incontro;
ero forte, ma non invincibile. E, per quanto avessi un’ottima
capacità di
sopportazione, sapere di essere detestata per qualcosa di cui avevo
colpa solo
in parte, non era per niente un pensiero allegro.
«Mi stai dicendo
che hai davvero letto Harry
Potter?»
Zayn mi lanciò
un’occhiata in tralice da sopra gli
occhiali da vista, poi sbuffò.
«Cosa
c’è di strano, sentiamo.» mi
invitò a parlare con un
cenno della mano destra, un sorriso lieve a increspargli le labbra.
Ci eravamo dati
appuntamento in un pub a poca distanza da
casa sua; frequentandolo piuttosto spesso, i proprietari e i camerieri
erano
abituati alla sua presenza, perciò saremmo passati quasi
inosservati o, almeno,
era quello che speravamo entrambi.
Era incredibile che
finalmente avessimo trovato un punto
d’incontro, qualcosa su cui entrambi eravamo
d’accordo: dovevamo farci vedere
insieme più spesso e in atteggiamenti affettuosi ma non
volgari, in modo che la
stampa – e soprattutto le fan – si abituasse alla
nostra storia e capisse che,
ormai, eravamo una coppia di fatto. La reputazione di Zayn e
l’idea che tutti
avevano di lui sarebbe cambiata, una volta fosse stato evidente che era
in
grado di mantenere una relazione stabile e, per il momento, duratura.
Ma cosa avrebbe fatto Zayn,
una volta scaduto il
contratto? Sospirai, rendendomi conto – con un po’
di tristezza – che a quel
punto non sarebbe più stato un mio problema.
Dovevo solo sperare che
ciò che provavo per lui e cioè
quello strano misto di attrazione e terrore, non si tramutasse in
un’infatuazione
perché, se fosse successo, non sarei mai riuscita a fingere.
Per Zayn, ovviamente, non
avrebbe fatto alcuna differenza.
Anzi, mi avrebbe detestata ancora di più. Di certo
c’era che non mi sarei mai
fatta umiliare in quel modo, non finché la mia (esigua, ma
ancora presente)
sanità mentale avrebbe resistito.
«Ragazzina?
Pronto?»
Zayn mi sventolò
la mano davanti agli occhi, poi schioccò
le dita un paio di volte; quando si accorse che non gli avrei risposto,
picchiettò con l’indice sulla mia fronte.
«Che?»
riemersi dalle mie riflessioni con un tono di voce
più acuto di qualche decibel. Zayn si accigliò.
«Non mi piace
essere ignorato.» borbottò, un po’
risentito.
«E a me non piace
l’origano sui pomodori, come la
mettiamo?» replicai, con un sorriso che sapevo
l’avrebbe fatto infuriare. Va
bene andare d’accordo, ma un po’ di allegria doveva
pur esserci. E visto e
considerato che Zayn era la persona meno allegra che conoscessi, era
gioco
forza che l’arduo compito di mantenere attiva la vita di
coppia spettasse a me.
«Sai che la
metà delle cose che dici sono assolutamente
assurde?» mi fece notare, con un sopracciglio lievemente
inarcato. Lo faceva
spesso, avevo notato, quando qualcosa lo lasciava interdetto.
Perciò annuii,
poi gli rubai una patatina fritta dal
piatto.
«“Posso
prendere una patatina, per favore?” “Certo, Eve,
fa’ pure.”» sibilò Zayn,
sarcastico. Ridacchiai divertita e, in risposta, ne
presi un’altra.
«Oh, andiamo. Lo
so che ormai non ti do più tanto
fastidio.» sostenni, spostando il suo piatto in modo che
fosse al centro del
tavolo. Di fronte alla sua occhiata torva, sorrisi.
«Che vuoi? Ho
ancora fame!» protestai. A pranzo avevo
mangiato solo un po’ di lattuga e dei cracker: avevo la
dispensa e il
frigorifero vuoti e nessuna voglia di andare a fare la spesa.
Oltretutto, il
signor Clint – il mio affittuario – mi aveva fatto
presente che il mese stava
ormai giungendo al termine e che non avrebbe accettato un mio ritardo
nel
pagamento dell’affitto.
«Cosa ti fa
pensare che non mi dai più fastidio?»
Zayn voleva essere serio,
glielo leggevo in faccia. Aveva
di nuovo quell’espressione da “sei solo una stupida
ragazzina”, ma c’era
qualcosa di diverso. Ero certa che si stesse sforzando di non
sorridere, perché
gli angoli delle sue labbra erano lievemente inclinati
all’insù e i suoi occhi
erano sereni, per quanto possibile.
Sentii una stretta
piacevole da qualche parte tra la
pancia e lo stomaco e, prima che potessi frenarmi, mi ritrovai a
sorridere con
dolcezza. Certo, probabilmente Zayn si sarebbe incazzato, dato che si
arrabbiava per tutto, ma a chi importava? Tutto ciò che
volevo sapere era che
non mi odiava, e il suo sorriso sghembo me l’aveva appena
confermato.
«Ti ho rubato le
patatine e sono ancora viva.» spiegai,
quindi, con una risposta che non avrebbe condannato nessuno dei due ad
un
silenzio imbarazzante. Non ero mica tanto stupida da sperare che mi
avrebbe
confessato così su due piedi che in fondo non ero tanto male.
«Be’,
ragazzina, forse mi sbagliavo su di te.»
Cosa? Avevo sentito bene
oppure le mie orecchie mi stavano
tirando un brutto scherzo? Aveva davvero
detto quello che credevo di aver sentito?
«Non fare quella
faccia. Non ti sto dicendo che siamo
amici.»
Ed eccolo che si tirava di
nuovo indietro. Era mai
possibile che quel benedetto ragazzo non avesse il coraggio di darmi un
po’ di
fiducia? Dopotutto, avevo dimostrato di essere una persona affidabile.
Per
quanto possa esserlo una che ti da dello stronzo, dell’idiota
e del cretino, ma
d’altronde nessuno è perfetto.
«Mi concedi
almeno il titolo di conoscente?» gli sventolai
una patatina sotto il naso, facendolo ridere di gusto. Era la prima
volta che
si comportava in maniera tanto spontanea in mia presenza e ne rimasi
piacevolmente colpita. Questa versione di Zayn, un po’
ombrosa ma tutto sommato
dolce, era quella che in tutta probabilità avrebbe potuto
farmi perdere la
testa.
Speravo con tutto il cuore
di non innamorarmi di lui,
perché si trattava senz’altro di un disastro
annunciato. Voglio dire, quale
idiota si innamorerebbe mai del cantante famoso a cui deve fare da
babysitter?
Non sarei stata tanto stupida da commettere uno sbaglio simile. Eppure,
quando
ero in compagnia di Zayn, non potevo fare a meno di dimenticarmi tutti
quei
pensieri e concentrarmi solo su di lui.
Scontroso o no, era una
ragazzo complesso, con un
carattere complicato e un sacco di segreti. Sotto quell’aria
da duro, c’era
molto più di quanto dava a vedere. Ed io, che ero nata
testarda, avrei fatto
tutto il possibile per scavare a fondo e scoprire il vero Zayn, quello
che la
vita mondana non aveva ancora contagiato.
«Direi di
sì.» concesse infine, dopo qualche minuto di
riflessione. Sapevo quanto gli stesse costando venirmi incontro e il
suo sforzo
era molto più che apprezzato. Perché è
così che funzionano le tregue, no? Ci
dev’essere collaborazione da entrambe le parti e, comunque,
io non potevo
sempre fare tutto da sola.
«Perciò…
be’, se avessi qualcosa da chiederti, potrei
farlo senza correre il rischio di essere uccisa?» azzardai,
una volta certa che
la conversazione non stesse per prendere pieghe pericolose.
«Eve…»
«Dai, Zayn.
Facciamo così: io faccio una domanda a te, e
tu ne fai una a me, se vuoi. Così saremo pari. Altrimenti io
chiedo e basta e
tu sarai costretto a rispondere, perché ti
stresserò talmente tanto che»
«Per
l’amor del cielo, tappa la bocca, Eve. Quando parli
così in fretta mi fai venire il mal di testa.»
Ridacchiai, perfettamente
consapevole di quanto aveva
appena detto. La mia era una tecnica comprovata, di quelle infallibili,
che
avevano lo scopo di portare il soggetto all’esasperazione. E
Zayn, che di
pazienza non ne aveva nemmeno un centesimo, aveva ceduto al primo
attacco.
Le cose cominciavano a
farsi interessanti.
«Chi
comincia?» domandai, sperando che non avesse cambiato
idea. Anche se in realtà non mi aveva proprio detto di
sì, ma cominciavo ad
interpretare bene i suoi modi di fare. Zayn aveva un sacco di modi di
dire no
e, la maggior parte delle volte, era tanto categorico da essere
irritante.
Era stato così
nei primi periodi della nostra
“conoscenza”, ma ultimamente le cose andavano
meglio. Ora, quando diceva di no,
c’era sempre la possibilità che si trattasse di un
sì mascherato quasi alla
perfezione.
«Visto che hai
tanta voglia di parlare, comincio io.»
Annuii, colta di sorpresa e
attesi con impazienza la sua
prima domanda. Cosa mi avrebbe chiesto? Lo osservai mentre rifletteva
e, come
mi succedeva ormai fin troppo spesso, mi ritrovai a pensare che fosse
bello. E
mi maledissi un secondo dopo perché, maledizione, io non
potevo prendermi una
cotta per Zayn. Anche se non mi odiava più – o
almeno lo speravo – non gli
sarei mai potuta piacere, non dopo quello che gli avevo causato con la
firma di
quell’accidenti di contratto. Ignorai con stoicismo la vocina
nella mia testa
che continuava a ripetere che ormai era troppo tardi e che Zayn prima o
poi si
sarebbe accorto del modo in cui lo guardavo (difficile non farlo,
comunque) e
mi concentrai su di lui.
«Ti muovi? Mi
stai facendo venire l’angoscia.» lo
rimbeccai. Lui sorrise enigmatico ed io arrossii.
«Volevi che ci
conoscessimo, no? Sto pensando ad una
domanda che mi permetta di sapere qualcosa di te.»
«Te
l’ho già detto, vero, che non sei il mio amichetto
del
cuore?»
«Tu hai problemi,
Eve. Davvero, non sei tanto normale. Ma,
comunque, ecco qua la tua domanda: perché insisti
così tanto, con me?»
Ahi. Quello era un colpo basso. Di
certo non potevo dirgli che lo facevo per i soldi, perché
sarebbe stata una
bugia, né che il motivo fosse la sua bellezza, anche se
quello non era proprio
un fattore da sottovalutare.
«Ed io che
pensavo mi avresti chiesto qual è il mio colore
preferito.» borbottai, torcendomi le dita con aria nervosa.
«Rispondimi, per
favore.»
Per favore. Zayn Malik,
alias “Zitta, scocciatura, mi stai
sulle palle e vorrei affogarti nel Tamigi” mi aveva chiesto
per favore. E come
facevo a dirgli di no?
«Penso di avere
un debole per i ragazzi difficili.» no,
così non andava. Non era esattamente quello che avrei voluto
dire e fece
sogghignare Zayn per diversi secondi. Certo, ci mancava solo che mi
prendesse
per il culo, e tanti saluti alla mia poca dignità.
«Non nel senso
che mi piaci, Zayn.» non era propriamente
la verità ma, come si suol dire “Bocca non parla,
Zayn non s’incazza”.
«Quello che
intendo dire è che sono curiosa, ecco.
C’è
qualcosa in te, che mi fa pensare che sei molto più di
quanto dai a vedere.
Anche perché, diciamocelo, se fossi davvero
uno stronzo scorbutico, non sarebbe un granché. Ed io non
penso che tu lo sia:
ho la sensazione che tu sia solo spaventato, ma non capisco
perché. Perciò ecco
qui la mia domanda: cos’è che ti
spaventa?»
Ci guardammo per qualche
istante, ognuno ben attento alla
prossima mossa dell’altro. Zayn cominciò a
giocherellare con uno dei suoi
anelli e, poco dopo, sospirò.
«Pensavo sarebbe
stato più semplice, gestire tutto
questo.» indicò qualcosa di non bene identificato
con un gesto vago della mano,
ma capii comunque che si stava riferendo alla sua carriera, e non lo
fermai.
«La fama, le
donne, i soldi, i concerti. Ma mi sono reso
conto che ci hanno trasformato in burattini: facciamo quello che
dicono,
suoniamo quello che dicono, diciamo ciò che vogliono. Io non
so più chi sono,
Eve, ed è una cosa che mi spaventa.»
Meditai per qualche
secondo, estremamente colpita dalle
sue parole. Quello decisamente spiegava tutto. Perché fosse
così scontroso,
così diffidente, così arrabbiato con tutto e
tutti, escluse le persone che
condividevano la sua medesima situazione. Aveva smarrito la sua
identità e non
sapeva da dove cominciare, per ritrovarla.
«Io posso
aiutarti.»
«Come?»
nella sua voce colsi un po’ di desolazione e anche
un po’ di speranza.
«Posso ricordarti
chi sei, tutte le volte che ti sembrerà
di essere qualcun altro.» mormorai, sforzandomi di non
arrossire.
E poi li vidi: i muri che
crollavano a terra, distrutti
dalla speranza. Tutte le barriere abbattute, la polvere spazzata via
dal vento,
insieme all’astio, alla diffidenza e all’odio. Un
nuovo inizio, un passo
avanti, nessuno all’indietro.
Zayn sorrise, si
alzò in piedi, mi tese la mano e mi tirò
su.
«Andiamo!»
sostenne.
«Dove?»
«Voglio farti
vedere chi sono, Eve. E voglio cominciare
dal principio.»
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Capitolo 14 *** Capitolo 13 ***
Capitolo 13
Zayn mi stava tenendo per
mano. E non perché qualcuno
gliel’avesse imposto, né perché ci
fosse un paparazzo dietro l’angolo, pronto a
immortalare l’ennesimo finto momento della nostra altrettanto
finta vita di
coppia.
La sua presa era delicata,
ma ferma e io non trovai la
forza – o la voglia – di opporvi resistenza,
nemmeno quando mi spinse con fin
troppo entusiasmo nel primo taxi libero.
«Sei
impazzito?» gracchiai, stupita. Zayn mi ignorò,
diede
l’indirizzo all’autista e poi si rilassò
con le spalle contro il sedile. La sua
mano, intanto continuava a stringere la mia.
«Voglio farti
vedere una cosa.» sostenne, sereno. Non
disse più altro, perciò decisi di rispettare il
suo silenzio e ne approfittai
per imprimere nella mia mente ogni singolo istante. Sapere che la sua
ritrosia
era quasi del tutto scomparsa, mi fece tremare per la
felicità. Era quello che
aspettavo, l’occasione di far capire a Zayn che non avrei mai
potuto fargli del
male, che in me avrebbe trovato una valida alleata e che poteva
fidarsi, perché
i suoi segreti sarebbero stati al sicuro.
«Che
cosa?»
«Tra poco lo
vedrai.»
Cielo, se avesse continuato
a mantenere quell’espressione
rilassata, mi sarei innamorata di lui ancora prima del previsto. Non
era
normale, vero, che sentissi il cuore battere in gola, o che…
«Stai
tremando.» ecco, appunto.
«Davvero?
Probabilmente ho solo freddo.»
«Come fai a non
sapere se hai freddo?»
«Sai che ti
preferivo quando stavi zitto?»
Zayn ridacchiò,
poi lascio la presa sulla mia mano e si
sfilò il chiodo di pelle nera che indossava.
«Tieni, ma lo rivoglio indietro.»
precisò, adagiandomelo sulle spalle. Stavo per rispondergli
che non avevo
nessuna intenzione di appropriarmi di niente che gli appartenesse,
soprattutto
di qualcosa che conservasse il suo calore, ma l’autista del
taxi scelse quel
preciso momento per dichiarare che la corsa era finita e che in tutto
facevano
trentacinque sterline. Zayn pagò per entrambi, poi mi
riprese per mano e scese
dall’auto.
Eravamo nel pieno centro di
Londra, a Piccadilly Circus.
C’era così tanta gente che
l’eventualità che qualcuno si accorgesse di noi
era
quanto mai remota: sarebbe bastato qualche passo, per confondersi tra
la folla.
Il cielo si era ormai tinto
di blu e la notte aveva
cominciato a calare: la piazza era illuminata a festa, i cartelloni
pubblicitari rischiaravano la zona e regalavano mille colori. Le ombre
si
fecero più intense e le figure un po’
più sfocate, ma ogni cosa aveva un
fascino tutto suo e, di nuovo, mi resi conto di essere innamorata di
Londra e
del suo caos, delle strade trafficate, dei pub ad ogni angolo e dei
ristoranti
d’alta classe.
Zayn mi condusse in un
angolo, dal quale era possibile
avere una visuale quasi completa dell’intera piazza.
«La vedi,
Eve?» chiese, sereno come non l’avevo mai visto.
Mi guardò per un attimo, con un sorriso accennato sul volto
magro e gli occhi
lievemente socchiusi. Quando mi resi conto di essere sul punto di
arrossire,
puntai lo sguardo altrove e mi concentrai su ciò che ci
circondava, anche se si
rivelò essere un’impresa piuttosto difficile.
Pensavo solo a Zayn e al modo in
cui mi stava guardando. E al suo giubbotto. E… cielo, mi ero
presa una cotta
pazzesca per qualcuno che fino a un’ora prima non voleva
vedermi nemmeno in
cartolina.
«Cosa dovrei
vedere?»
Si posizionò
dietro di me e mi mise le mani sulle spalle.
Rabbrividii di nuovo, ma questa volta sembrò non
accorgersene.
«La vita. La
gente che corre, che non si accorge di essere
speciale, che ha talenti nascosti. Persone che si incontrano per la
prima
volta, che si innamorano, che hanno progetti. Vedi quel signore? Quello
nell’angolo, che vende le cartoline. Lui suonava il violino,
prima, faceva
concerti, faceva piangere le persone con la sua musica. L’ho
incontrato un
giorno, tanti anni fa. Era una delle prime volte che venivo a Londra,
da solo.
Bradford non è propriamente dietro l’angolo e
mamma è sempre stata molto
protettiva nei miei confronti.»
Non mi girai a guardarlo,
ma immaginai la sua espressione
assorta, gli occhi velati da un’ombra di nostalgia e il
sorriso un po’ triste
di chi ricorda un momento che oramai è passato e che non
tornerà più.
La presa sulle mie spalle
era gentile, ferma e delicata e
per un attimo mi sentii come se non potesse succedermi niente, come se
il tempo
si fosse fermato in quell’attimo magico in cui Zayn
finalmente metteva a nudo
un lato di sé che di sicuro teneva nascosto a tanti. E lo
rivelava proprio a
me, la sua peggior nemica, ma più sincera alleata.
«Comunque, mi
sono avvicinato per comprarle una calamita,
sai, di quelle che si attaccano sul frigorifero: le piacciono tanto. E
in un
angolo della bancarella ho visto il violino. Così ho
aspettato che si riducesse
la fila e ho chiesto a quell’uomo cosa ci facesse con il
violino, se
trascorreva l’intera giornata a vendere souvenir. E sai lui
cosa mi ha detto?»
Scossi la testa.
«Che si sentiva a
casa, avendo il violino vicino. Ed io ho
pensato che mi sarebbe piaciuto sentirmi a casa in qualunque posto, un
giorno.
Ed ho pensato anche che se un uomo qualsiasi era riuscito a suonare per
intere
platee ed era felice vendendo cartoline, forse anche un ragazzino come
me, che
cantava in camera sua di nascosto, avrebbe potuto fare qualcosa nella
vita.
L’anno dopo mi sono presentato ai provini di X Factor e
quando siamo diventati gli
One Direction, sono tornato a ringraziare quell’uomo e lui mi
ha regalato
questa.» mi sventolò davanti al naso un
portachiavi a forma di chiave di
violino e me lo adagiò nel palmo della mano, con una
delicatezza tale da farmi
salire le lacrime agli occhi.
Non sapevo
perché mi venisse da piangere in quel modo, ma
la storia di Zayn mi aveva commossa e morivo dalla voglia di
abbracciarlo,
anche se non l’avrei mai fatto. Non era ancora pronto e, di
certo, non lo ero
nemmeno io.
«Eve,
è tutto okay?»
Zayn mi si parò
davanti e si inchinò per guardarmi dritta
negli occhi.
«Perché
stai piangendo? Ho detto qualcosa che non va?»
«No! No, per una
volta no.» tirai su col naso e sorrisi
debolmente di fronte all’espressione oltraggiata di Zayn.
Come se non sapesse perfettamente
di essere stato un’arrogante, acido e stronzo senza speranza.
E dolce. A volte
sapeva essere tanto dolce.
«E allora cosa
c’è?»
«Non lo so,
sarà la storia del violino e dei sogni che si
avverano e… che vuoi che ti dica? Mi hai fatto venire da
piangere. Non lo
credevo possibile.»
«Che avessi un
cuore?»
«No, quello
l’ho sempre sospettato, o non sarei qui.»
Zayn rimase in silenzio per
qualche istante, poi sospirò e
mi lasciò una carezza sulla testa. Volevo davvero
abbracciarlo, sentivo il mio
corpo fremere per la voglia di stringersi a lui, ma non credevo che
avrebbe
preso di buon grado uno slancio di affetto da parte mia. Come ci si
doveva
comportare con lui?
«Mi sono proprio
sbagliato su di te, Eve, devo ammetterlo.
Avrei dovuto ascoltare gli altri, quando mi hanno detto di fidarmi da
subito.»
«Mi stai
chiedendo scusa?»
«Non allargarti,
ragazzina. Sto solo facendo delle
considerazioni. Ora finiscila di frignare, ti porto in un altro
posto.» mi
prese di nuovo per mano e si immerse tra la folla. Ero ancora
così sorpresa dal
fatto che fosse così gentile e ben disposto nei miei
confronti, che non feci
una piega nemmeno quando una ragazzina mi urlò di essere una
“stronza sfascia
famiglie”. Zayn la ignorò allo stesso modo e
continuò a camminare, imperterrito,
fino a raggiungere un piccolo bar in un angolo. Aveva
l’insegna nera, con la
scritta “Barry’s” in corsivo elegante e
la luce al neon azzurra. Una volta
dentro, si accomodò nel tavolo più lontano
dall’ingresso e mi trascinò accanto
a sé sulla panca.
«Questo»
cominciò «è il posto in cui sono venuto
il giorno
in cui abbiamo firmato quel maledetto contratto. Il proprietario
è un vecchio
amico di mio padre e molto probabilmente, se non avessi fatto carriera
con i
ragazzi, avrei finito per il lavorare qui. Ci vengo spesso, quando non
mi
sembra di avere alcuna via d’uscita.»
Mi sentii inevitabilmente
in colpa sebbene, per una volta,
l’intento di Zayn non fosse quello di farmi rimpiangere la
firma del contratto.
Gli avevo chiesto di aprirsi e avrei dovuto immaginare che non avrei
sentito
solo cose belle. Dopotutto, esisteva al mondo una persona che aveva
unicamente
esperienze positive da raccontare? Credevo di no e comunque, se anche
fosse
esistita davvero, io non l’avevo mai incontrata.
«Mi dispiace
tanto per questa storia, Zayn. Credimi, non
l’avrei fatto se non fossi stata costretta. È che
le cose non vanno tanto bene,
nell’ultimo periodo, e in tutta sincerità non mi
è stata data la possibilità di
scegliere. Avrei potuto dire di no, ovviamente, ma non ero pronta a
perdere e
ho pensato che non sarebbe stato poi così terribile fingere
di stare con
qualcuno. Pensavo che sarebbe stata una passeggiata, ma quando ho
capito come
stavano le cose era troppo tardi per tirarmi indietro. Tu mi odiavi, ma
io non
avevo scelta.»
«C’è
sempre una scelta, Eve. Si tratta solo di prendere la
decisione giusta, o quella più facile. Tu quale hai
preso?» domandò Zayn,
estremamente serio. Ci riflettei su per qualche istante: firmare il
contratto
non era stata la scelta migliore della mia vita, questo era vero, ma
non era
stata nemmeno la più semplice. C’erano un sacco di
cose in gioco ed io avevo
imparato ad accettare qualsiasi cosa si mettesse sulla mia strada.
Anche se si
trattava di zia Kate e di un fidanzamento fasullo.
«Nessuna delle
due. Solo che non ero pronta a tornare a
casa, Zayn. Come avrei spiegato ai miei genitori che avevo fallito su
tutta la
linea? Non hai idea di quanto mi ci è voluto per convincerli
a farmi andare via
da Birmingham. È stato difficile, complicato ed io mi sono
ritrovata da sola in
una città enorme e caotica, con un paio di valige e la
speranza di diventare
indipendente. Non potevo tornare indietro e dire che mi avevano
cacciata di
casa perché ero in ritardo coi pagamenti. Avrei deluso tutti
e mi sarei
vergognata. Per non parlare, poi, di quanto sarei stata ingrata. I miei
genitori hanno sacrificato tanto per me, non voglio dire loro che in
realtà
hanno una figlia bugiarda e incapace, capisci?»
Passai rabbiosamente i
pugni sotto gli occhi: mi ero messa
a piangere un’altra volta e proprio non capivo cosa mi stesse
succedendo. Che
fine aveva fatto la mia indifferenza ad ogni cosa? Avevo sopportato
settimane
di insulti da parte di Zayn, di inchieste e domande fin troppo
indelicate da
parte di zia Kate ed ora scoppiavo a piangere come
un’adolescente in piena
crisi isterica. Dovevo davvero avere qualcosa che non andava.
Sentii Zayn sospirare, poi
il suo braccio mi cinse con
delicatezza le spalle. Sentii il suo respiro tra i capelli e mi
accoccolai un
po’ di più contro di lui, per godermi
quell’abbraccio che avevo cercato per
tutta la sera.
«Io non so che
rapporto hai con i tuoi genitori, Eve, ma
non credo che sarebbero delusi da te. Per quanto mi costi ammetterlo,
sei una
brava ragazza. Fastidiosa, dispotica e impertinente, ma sei generosa. E
sono
sicuro che loro lo sanno, perciò niente paranoie. Se sono
riuscito ad
accettarti io, loro non avranno alcuna difficoltà: faranno
la scelta giusta.»
Fu in quel preciso momento,
stretta tra le braccia di
Zayn, che capii che cosa dovevo fare. Finalmente, dopo settimane in cui
avevo
inutilmente cercato di venire a capo del problema che mi faceva perdere
il
sonno e la pazienza, mi ero resa conto che il problema stava proprio
nelle mie
scelte. Erano quelle sbagliate.
Presto avrei risolto tutto;
dovevo solo mandare un’e-mail
a zia Kate e chiederle di annullare il contratto, promettendo che avrei
portato
avanti la farsa fino a che fosse stato necessario. Ma non avrei
più preso un
centesimo da loro, a costo di tornare a Birmingham da mamma e
papà e
supplicarli in ginocchio di darmi asilo.
Io, Evengeline Morrigan,
avrei fatto la cosa giusta.
***
Capitolo
nuovo!
In
straritardo, lo so, e mi dispiace. Ma avevo
completamente perso l’ispirazione per questa storia. Ora, con
l’aiuto di Elena,
ho stabilito per bene i dettagli e spero di riuscire a concludere
presto!
Spero che vi sia piaciuto,
perché è uno dei miei preferiti
di tutta la storia.
Fatemi sapere, se vi va, vi adoro <3
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 14 ***
Capitolo 14
La mattina seguente mi
svegliai di ottimo umore e mi
sentivo così piena di energie che avrei anche potuto
prendere in considerazione
l’idea di darmi alle pulizie di primavera, cosa che rimandavo
da fin troppo
tempo. Non che la casa fosse lurida, ma una bella pulita non avrebbe
certo
fatto male.
Per prima cosa,
però, dovevo portare a compimento il mio
piano, sul quale avevo riflettuto per l’intera notte. La
prima fase, ossia
quella principale, consisteva nel contattare zia Kate e proporle la mia
vantaggiosa offerta, che prevedeva la scissione di quel malefico
contratto e il
mio solenne impegno a mandare avanti la messa in scena completamente
gratis. Se
non avesse accettato subito, le avrei messo in luce i benefici che
avrebbe
comportato: un risparmio per la società, la buona
reputazione di Zayn e la
rinascita degli One Direction. Ovvio, non pensavo davvero che
dipendesse da me,
ma meglio ingigantire le cose anziché sminuirle.
La seconda fase, invece, si
concentrava unicamente su
Zayn: gli avrei spiegato ogni dettaglio e l’avrei convinto ad
aspettare un po’
di tempo prima di scaricarmi su due piedi. In tutta
sincerità, non mi sentivo
propriamente entusiasta all’idea di non rivederlo
più, ma era inevitabile che
prima o poi ognuno sarebbe tornato alla propria vita.
La terza fase riguardava me
stessa e il mio futuro: avrei
cercato un altro impiego, abbandonato il mio appartamento microscopico
e il mio
odioso affittuario e mi sarei trasferita altrove, magari un
po’ più lontana dal
centro, in una zona tranquilla in cui avrei potuto conoscere gente
simpatica e
a modo. Potevo farcela, se mi fossi impegnata davvero.
Feci colazione con calma,
gustandomi il caffè e i biscotti
al cioccolato, poi mi lavai, mi vestii e mi truccai anche,
perché per le cose
importanti bisogna sempre prepararsi per bene. Anche se fisicamente non
avrei
messo piede fuori di casa, ma quelli erano solo dettagli.
Afferrai il cellulare e mi
sedetti sul divano, con le
gambe accavallate. Cercai il numero di zia Kate e feci partire la
chiamata;
sentii un brivido di aspettativa all’idea di esporle la mia
magnifica idee e,
per una volta, avevo la certezza assoluta di stare compiendo la scelta
migliore. Era una sensazione fantastica: non mi ero mai sentita
così in pace
con me stessa come in quel momento e non avrei permesso a nessuno,
tantomeno a
quella bisbetica della zia di rovinare il mio entusiasmo.
«Evangeline.»
zia Kate non era una donna di molte parole. Era rigida come un manico
di scopa
e antipatica come poche persone al mondo. Tuttavia, il suo saluto poco
gentile
non mi scalfì minimamente. Ero troppo di buon umore per
permetterle di
abbattermi.
«Ciao, zia Kate.
Hai un minuto? Avrei bisogno di
parlarti.»
Di zia Kate
c’è da sapere una cosa: lei non bofonchia. Non
la sentirete mai farfugliare qualcosa di incomprensibile ma di
vagamente
offensivo. Si limita a dire “Magnifico” con una
sfumatura così gelida da far
venire voglia di scappare. Lo fece anche quella volta, ma la ignorai
con
stoicismo e mi affrettai a esporle il mio progetto, tenendo le dita
incrociate.
Rimase in silenzio per
qualche minuto, poi la sentii
sospirare. Il che era anche meglio di quanto mi aspettassi: non aprii
bocca,
per evitare di infastidirla e attesi, trepidante che prendesse una
decisione.
«Mh.
Ti farò sapere
tra un paio di giorni, Evangeline. È una richiesta idiota,
da parte tua, ma la
cosa non mi sorprende affatto. Sabato mattina vi aspetto entrambi nel
mio
ufficio, per la riunione con il management. Ci sono alcuni eventi ai
quali è
necessario che partecipiate. Alle nove, sii puntuale.»
Oh, no. Non avevo la minima
intenzione di farmi rovinare
il sabato da quegli idioti della casa discografica, tantomeno avrei
permesso
loro di distruggere ogni traguardo che avevo faticosamente conquistato.
Perché,
ne ero certa, avrebbero stravolto il fragile equilibrio che io e Zayn
avevamo
trovato.
«Non saremo a
Londra, questo weekend. Mi dispiace, zia, ma
mamma e papà ci hanno invitato a Birmingham: vogliono
conoscere Zayn e ho
pensato che fosse una buona idea accettare.»
Seguì un
lunghissimo minuto di silenzio, in cui sperai con
tutto il mio cuore che zia Kate non cominciasse a dare di matto,
perché proprio
non avrei saputo cos’altro inventarmi.
«Uhm.
La prossima
volta avverti prima, Evangeline. Non posso credere che tu sia sempre
così
distratta. Voglio delle prove della vostra uscita. Fotografie,
qualsiasi cosa
possa esserci utile con la stampa. Ti manderò una mail con
la mia risposta alla
tua richiesta, al massimo entro settimana prossima.»
detto questo,
riattaccò, senza nessun saluto, né un accenno di
umanità. Niente. L’apatia più
totale.
Mi accasciai sul divano,
sollevata. In fondo non era
andata così male. Avrebbe potuto troncare sul nascere ogni
mia proposta e
impormi di disdire il weekend, ma non l’aveva fatto. Forse
aveva un cuore anche
lei o forse, semplicemente, trovava il fine settimana
un’occasione imperdibile
per un po’ di pubblicità.
Poi mi venne in mente che
aveva parlato di prove e caddi
nel panico. Che prove avrei potuto darle? Ovviamente non saremmo mai
andati insieme
a Birmingham, non mi era nemmeno passato per la testa di proporlo a
Zayn.
Semplicemente, l’avrei avvertito di non farsi vedere in giro
il sabato e la
domenica per non destare sospetti. Come avrei fatto? Balzai in piedi e
cominciai a fare avanti e indietro per tutta la casa, alla ricerca di
un’idea
intelligente che potesse salvarmi dal disastro annunciato. Quando mi
resi conto
che il mio cervello non era sufficiente, afferrai il cappotto,
raccattai le
chiavi di casa e mi precipitai fuori casa, diretta alla fermata del
pullman più
vicina. Meta: casa di Zayn.
Suonai il suo campanello
circa un’ora dopo, quando ormai
si erano fatte le undici. La porta, però, venne aperta da un
Louis Tomlinson
particolarmente infastidito, che mi rivolse un sorrisino seccato e uno
sbadiglio in piena faccia.
«Dormivamo.»
comunicò, imbronciato.
Mi strinsi nelle spalle,
perché non potevo certo saperlo –
anche se in effetti avrei potuto fare almeno una telefonata prima di
precipitarmi lì – e lo seguii fino alla cucina,
dove un assonnato Liam faceva
bella mostra di un pigiama verde acido coi quadri azzurri.
«Ciao,
Eve.»
«Ciao, Liam. Mi
dispiace averti svegliato.» gli sorrisi e
mi offrii di preparare la colazione, per farmi perdonare.
Accettò con uno
sbadiglio e con un cenno della mano e si sedette al tavolo, con la
testa
affondata tra le braccia incrociate. Louis, intanto,
annunciò che andava a
chiamare Zayn ed ebbe la premura di precisare che mi avrebbe
senz’altro uccisa
in maniera molto violenta, per averlo svegliato a quell’ora.
«Guarda che sono
le undici passate, mica le sei del
mattino.» borbottai, mentre infilavo le fette di pane tostato
nel tostapane.
Come facevano a dormire, quando io ero così in
difficoltà? Era inammissibile.
Sentii i passi pesanti di
Zayn e Louis lungo le scale e
dopo qualche istante apparvero entrambi in cucina. Zayn, con il volto
assonnato
e gli occhi ancora mezzi chiusi, si trascinò fino al tavolo
e si lasciò andare
accanto a Liam, che nel frattempo aveva ripreso a russare.
«Non ti sembra un
po’ presto, Eve?» mormorò, con la voce
impastata dal sonno. Temetti che si sarebbe addormentato da un momento
all’altro, così gli spinsi sotto il naso una tazza
fumante di tè caldo e un
piattino con dei biscotti.
«Ho combinato un
macello, Zayn. Sono idiota, certe volte.
Solo che adesso non so più cosa fare e qui
c’è il rischio che vada a finire
male, sai? Voglio dire, si parla di zia Kate e lei è
così bastarda che-»
«Mi sono appena
svegliato, ragazzina. Anzi, probabilmente
sto ancora dormendo e non ho capito un accidenti di quello che hai
detto.
Ripeti con calma. E sii concisa, che voglio tornarmene a
letto.»
Affondò un
biscotto nel tè e mi incitò a proseguire con un
cenno della mano.
«Ho detto a zia
Kate che questo weekend saremo dai miei
genitori.»
«E
perché mai l’avresti fatto?»
«Perché
voleva che partecipassimo ad una riunione del
management ed io non ne avevo per niente voglia e ho immaginato che
nemmeno tu
morissi dalla smania di andarci. Perciò ho cacciato la prima
balla che mi è
venuta in mente.»
«Hai fatto bene.
Grazie, Eve, lo apprezzo molto.» Zayn si
alzò in piedi, mi scompigliò i capelli e
mollò la tazza nel lavandino.
«Me ne rivado a
letto. Tu fai pure come sei fossi a casa
tua.» biascicò.
Alzai gli occhi al cielo,
perché forse ancora non era
abbastanza chiaro quanto la situazione fosse grave.
«Vuole delle
prove, Zayn. Foto, cose così.»
E Zayn finalmente si
svegliò.
«Cazzo.»
«Già.»
Una volta compreso che non
avrebbe più potuto tornarsene a
letto, Zayn mi condusse in salotto e si accomodò sul divano
bianco, facendomi
poi cenno di sedermi di fianco a lui.
«Mi dispiace, non
volevo combinare un altro disastro.»
«È
tutto okay, Eve. Ormai comincio a farci
l’abitudine.»
Sorrisi, perché
sentire certe parole da Zayn – era
incredibile come fosse molto più rilassato, ora che avevamo
chiarito le
reciproche posizioni – faceva un certo effetto. Abituarsi
alle persone è
complicato, in genere. Significa dar loro fiducia, permettergli di
entrare
nella nostra vita e consentirgli di influenzarla in qualche modo.
Sapere che
potevo avere un po’ di ascendente sulla vita di Zayn, in tal
senso, mi
emozionava parecchio. Era più di quanto mi aspettassi e
rendeva difficile e
doloroso accettare che presto sarebbe finito.
«Perciò
che facciamo?» domandai, passandomi una mano tra i
capelli e cercando di trovare una soluzione che consentisse ad entrambi
di non
finire nei guai. Perché se zia Kate avesse scoperto che si
trattava di una
messa in scena – il che faceva piuttosto ridere, visto e
considerato che aveva
imbastito un finto fidanzamento – mi avrebbe fatto lo scalpo.
«E se andassimo
davvero a Birmingham?» proposi, infine. Era
passata quasi un’ora e sia io che Zayn non avevamo fatto
altro che inventarci
una scusa sopra l’altra,
nell’eventualità che ci venisse in mente qualcosa
di
abbastanza credibile per giustificare l’assenza di prove.
Louis, che si era divertito
per tutto il tempo a smontare
ogni nostra affermazione, finalmente tacque.
«Ve
l’ho detto due ore fa, idioti.» berciò,
alzando gli
occhi al cielo. Gli rivolsi uno sguardo irato e pieno di stizza, che lo
fece ridacchiare
fastidiosamente per qualche minuto. Quando ebbe finito – e,
credetemi, non
aveva alcuna fretta – tornò a sedersi accanto a me
e si sporse in avanti per
guardare Zayn.
«Sei in
catalessi?» domandò, con un sopracciglio scuro
inarcato. Zayn lo considerò appena e si voltò
verso di me tanto velocemente che
non feci in tempo a spostarmi e mi ritrovai con il suo viso a pochi
centimetri
dal mio. Ovviamente, arrossii come una liceale di fronte al suo
cantante
preferito. Il che era piuttosto plausibile, visto che Zayn era davvero
un
cantante. Ma io non ero una liceale, pertanto avrei dovuto smetterla di
comportarmi come tale e decidermi a dare un taglio a questa sottospecie
di cosa.
«Tu non hai detto
niente ai tuoi genitori, vero?»
Repressi
l’impulso di colpire Zayn con un pugno sul suo
naso perfettamente dritto e mi limitai a sbuffare.
«Dì,
sei impazzito? Sanno solo che sto frequentando un
ragazzo famoso, non gli ho certo detto che sono sotto contratto come
una
sottospecie di squillo.»
Louis ridacchiò
di nuovo. «Ti fa ridere, per caso?»
ringhiai, sull’orlo di una crisi di nervi.
«Problemi?»
«No, figurati.
Sei tu la principessa, tra di noi.» cinguettai,
innocente. Louis arrossì e fu uno dei momenti migliori di
tutta la mia vita. Non
era uno che cadeva facilmente nell’imbarazzo, ma da quando
una sera era
capitato in una pagina di Facebook dedicata agli One Direction e aveva
letto
che le sue fan lo quotavano come “quello
che senz’altro sta sotto, la nostra Princess Louis. Harry
è il dominante” era
diventato molto sensibile sull’argomento. E, visto che lui
godeva nel mettermi
in difficoltà, trovavo divertente ricordargli che era
apparentemente invischiato
in una storia torbida con Harry.
«Stronza.»
«Quando avete
finito, vi dispiace tornare alla questione
principale?» ci riprese Zayn, spazientito. Poteva fare il
serio quanto gli
pareva, ma gli veniva da ridere ed era così evidente che si
stesse trattenendo
che Louis sbuffò e se ne andò, offeso come solo
una principessa poteva essere.
Evitai di infierire, perché poteva diventare davvero acido,
e tornai a
concentrarmi su Zayn.
«Scusa, ci sono.
Potrei chiedere ai miei di ospitarci il
fine settimana. So che l’idea non ti piace e ti fa ribrezzo,
ma penso sia l’unico
modo. O questo, o una riunione con il management.»
Zayn sospirò,
alzò gli occhi al cielo e mi rivolse un
sorriso rassegnato.
«E sia.
Presentami la famiglia Morrigan.»
No, non è un
miraggio e sì, sono proprio io e questo è un
nuovo capitolo. Sono schifosamente in ritardo, chiedo perdono. La
verità è che sono stanca di scrivere degli One
Direction - questa infatti sarà la mia ultima storia su di
loro - e mi fa un po' di fatica andare
avanti. Sono stata parecchie volte sul punto di cancellare questa
storia, poi però ho pensato a voi che ancora a spettate e mi
sono proibita di essere così stronza. Perciò ho
deciso che in questa settimana mi concentrerò esclusivamente
su questa storia in modo da finirla e poter essere regolare con gli
aggiornamenti. Non vi prometto niente, comunque.
Personalmente, il
capitolo non mi dispiace, anche se credo avrei potuto fare di meglio.
Dal prossimo le cose si complicheranno un po' e niente, ci
avviciniamo alla fine, mie care.
Vi ringrazio per la
pazienza, davvero!
Con affetto,
Fede.
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Capitolo 16 *** LEGGIMI! ***
Non fatevi prendere un infarto, non sto per dire che cancellerò la storia.
A distanza di un anno dall'ultimo capitolo, mi sono resa conto grazie alla recensione di Giulia__Styles, che sono un'ignorante.
Insomma, avrei potuto dire subito questa cosa e probabilmente ci avrei fatto una figura migliore, piuttosto che sparire all'improvviso.
La verità è che One Step Forward mi aveva stancata. Più che la storia, in realtà, mi avevano stancata i One Direction ed ogni cosa legata a loro, di conseguenza anche scrivere la storia è diventata una faticaccia.
Ho iniziato a lavorare, ho passato un po' di periodi no e qualche periodo sì e quindi la scrittura è stata accantonata.
Perchè lo dico adesso? Perchè recentemente ho scritto un capitolo nuovo di One Step, ma ho deciso di non pubblicarlo.
Voglio prima finire la storia sul mio computer e poi, quando sarà conclusa, la pubblicherò.
Non voglio correre il rischio di deludere ancora le aspettative.
Quindi, la storia avrà una conclusione, ma non posso darvi tempi certi.
Parola di Scout che arriverò alla fine.
Sentitevi libere di mandarmi a quel paese, me lo merito! Vi adoro ancora, anche se sono sparita.
A presto,
Fede.
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