The Dark Mirror of Water

di AbaddonDemon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ombra che sorge ***
Capitolo 2: *** Evocazione ***



Capitolo 1
*** L'ombra che sorge ***


La notte.
La luna piena che distrugge le stelle.
Lo specchio oscuro di acqua gelida che apre le porte al Male.
Dalla nebbia sorge.
Lui sorge.
E' giunto per seguirla ancora.
 
Era calata la notte precoce dell'inverno scandinavo. Il giardino era ridotto ad una vera e propria ghiacciaia. Non si vedeva null'altro che il bianco offuscato di quella coltre inestinguibile. Il vento trascinava i fiocchi di neve che stavano ancora cadendo dalle ultime nubi. Lei sedeva di fronte la vetrata gelata dall'aria . Il respiro si condensava sul vetro lasciando un pallido alone che andava sempre a restringersi. La fronte era poggiata alla superficie gelida e gli occhi semichiusi. Era apatica come nella maggioranza di quelle sere. Aveva scritto a lungo sul suo diario il racconto di una giornata sprecata a vivere una vita come quella di tutti. Lavoro, un inutile lavoro ad un dannatissimo fast food. Poco remunerato e tutelato; tutto il contrario di quello che dettavano i suoi sogni di bambina. A quest'ora avrebbe dovuto trovarsi nell'Est Europa per analizzare le vie percorse dai crociati e dai templari al tempo delle crociate e magari chissà, a cercare tracce del sacro Graal. Ma così non era stato . Non aveva potuto intraprendere una benchè minima carriera universitaria e aveva dovuto mollare gli studi a metà corsa. Dopotutto era così che doveva essere . Aveva lasciato casa sua da ragazzina,casa sua per modo di dire. Non aveva mai conosciuto i suoi genitori ed era cresciuta alle spese di due zii che per lei non nutrivano un profondo affetto, anzi. Non nutrivano nemmeno un minimo di stima.
Allontanò la testa dal vetro e si alzò in piedi. Si avviò verso il televisore e lo accese. Lo sintonizzò su un canale di musica metal e iniziò a sbirciare la classifica, ciancicando il contenuto unto di una bustina di patatine. Intanto camminava e dava un'occhiata alla roba da risistemare. Accese il pc e aspettò che si avviasse.
Tutto ad un tratto voleva riempirsi la mente per evitare di pensare alle persone che con il loro contributo avevano aiutando a rendere la sua vita un vero e proprio inferno, una parentesi da dimenticare.
Le note di una canzone la immobilizzarono. Richiamarono la sua attenzione e la costrinsero a voltarsi verso lo schermo. I capelli scuri frustarono l'aria velocemente e gli occhi azzurri si puntarono sullo sguardo pieno d'ira di un giovane cantante chitarrista. La sua voce carica d'ira era disarmonica ma allo stesso tempo magnetica. Osservò ogni minimo movimento delle labbra rosse di lui. La pelle bianca meravigliosam,ente perfetta era in contrasto antitetico con i suoi capelli biondo scuro . Tanta rabbia, oppure rassegnazione e dolore. Si fermò ad ascoltare le parole confuse dalle grida .
 
"I'll paint roses black and show you heaven
just to see your skin for one more second
It's all I want that's what I do
Love me one more time and I'll let you kill me too."
 
Parole bellissime a suo avviso, che provocarono in lei una stranissima reazione, come se le avesse già sentite. Un flash, un velocissimo guizzo di un'immagine. Un uomo dai lunghi capelli biondi, lunghissimi capelli biondi e gli occhi azzurri, chiari come il ghiaccio e trasparenti come il vetro. Le sue vesti, vesti fuori dal tempo come quelle dei principi delle favole ma nere.Un lungo mantello nero e un sorriso, un sorriso sognante sulle labbra scarlatte. Durò poco quell'immagine ma si impresse facilmente nella sua mente.
Chiuse gli occhi.
 
-Astrid, dovresti dormire un pò.-
 
Se lo disse da sola e mantenendo gli occhi chiusi attraversò la piccola e disordinata stanza per poi lasciarsi cadere sul divano.
Una voce interruppe il video del fascinoso cantante e annunciò la maratona speciale di Black Metal a stampo satanico dedicata alla Notte di Valpurga.
 
-Walpurgis Nacht!! Walpurgis Nacht!!-
 
Gridò Astrid, tingendo le labbra di un sorriso ironico.Era una citazione de "l'Invitato di Dracula" , antefatto al suo romanzo preferito : Dracula. Nonostante le piacessero molto le storie gotiche, lei non credeva in quelle stronzate. Non sopportava proprio l'idiozia delle vecchie credenze religiose. Da bambina, nonna Hilde le aveva raccontato che cosa accadeva nella famigerata notte di Valpurga.
Gli spiriti maligni : streghe, vampiri e demoni erano liberi dai vincoli della segretezza solo per una notte. La notte del Diavolo, proprio come quella di Halloween. Dicono che il Diavolo abbia moltissime facce e spesso si mostra per la sua vera natura, bellissimo tentatore avvelenato a chi desidera i suoi favori.Favori a pagamento dicono.
Riaprì gli occhi e per un attimo vide una strana immagine riflessa sulla vetrata : il volto di un uomo dai lunghi capelli in piedi alle sue spalle. Chiuse ancora gli occhi e li spalancò di nuovo. L'immagine era sparita.
La stanchezza cominciava davvero a giocarle dei brutti scherzi. Si adagiò sul divano e decise di abbandonarsi al sonno dopo un leggero massaggio alle palpebre.
Tuttavia il sonno non durò molto. No,ancora quella canzone che passava alla tv. Ancora quella voce, ancora quella frase. Si voltò verso l'orologio mentre gli occhi venivano leggermente feriti dalla luce del televisore. Sentì un rumore sordo nella stanza da letto vicino al suo pseudo salotto. Si alzò in piedi e si diresse a vedere che cosa fosse successo. Sbuffò annoiata come se quell'interruzione del sonno non fosse colpa soltanto della sua insonnia.Accese la luce mentre una gelida folata di vento si introdusse all'interno della stanza.Alcuni fiocchi di neve si posarono sulle coperte, sulla scrivania. Astrid chiuse velocemente la finestra e fece attenzione a serrarla per bene. Continuò a guardarla, convinta di averla chiusa bene anche in precedenza. Si strinse forte all'interno della felpa che indossava. Era freddo lì dentro. Un freddo gelido.
 
 
-Child Of Decadence. E' questo il nome che si sono dati?-
-Sì. E' proprio questo.-
-Sono diventati una vera e propria rivelazione. In un solo anno sono arrivati alla vetta di tutte le più importanti classifiche di musica metal di tutta la penisola scandinava. Sembra che il loro successo non sia nemmeno reale. Chissà, dicono che Latvila abbia fatto un patto col Diavolo per raggiungere tutta quella fama.-
-Sta zitto, Mika. Per favore. Non sparare questa merda mentre io ti sto ascoltando. Sinceramente non mi frega come abbia fatto quel coglione ad avere tutta questa fortuna, so solo che Angela sta passando più tempo a fare la zoccoletta ansiosa sotto il palco  a spasimare per quello là che con me. Per esempio ora sta al suo concerto.-
-E ti ha lasciato a casa? Che sfigato,Anssi!-
 
Mika scoppiò in una sonora risata.
 
-Fanculo, stronzo.-
 
Anssi si aggiustò il berretto di lana sulla testa in modo da coprirsi le orecchie che stavano gelando.La primavera finlandese non era poi così mite. Era soltanto un prolungamento dell'inverno.
 
-Hai sbagliato a pelarti, piccolo NaziSkin. -
-E tu che mi dici, Red Head del cazzo? mh? Credi che sia gradevole quella chioma riccioluta e inguardabile?-
-Fregati della tua ragazza che si farebbe scopare da Aleksandr Latvila.-
-Guarda che è al Tavastia. Non ci metto niente a raggiungerli.-
-Ma lo show è già finito.-
-Tsk..-
 
La porta del locale dove i due erano andati per passare il tempo e prendersi una birra, si spalancò. Entrò il vento gelido accompagnato da un uomo dai lunghi capelli biondo scuro. Le sue scarpe pesanti e borchiate colpirono il pavimento, producendo un rumore metallico, il tintinnio delle catene legate alla sua cinta richiamò l'attenzione degli avventori del pub.
 
-Un bicchiere di Whiskey, grazie. -
 
Disse pacato, con una calda voce di bassa tonalità, mentre si spostava i capelli dal volto con un rapido gesto del capo.
 
-Signor Latvila, buonasera. Pensavo fosse al Tavastia.-
-Lo ero, ma dato che sono le due della notte, è un po' improbabile che io passi ulteriore tempo ad attardarmi in un aftershow  all'interno di un locale così ampio e confusionario. Jarvi, per favore. Il mio Jack Daniel's.-
-Subito, signor Latvila.-
 
Aleksandr si sedette composto sullo sgabello. Si sistemò i capelli dei quali sembrava avere una cura maniacale. Lisci, perfettamente simmetrici, innaturalmente al loro posto. Qualcosa di lui fece rabbrividire sia Mika che Anssi. Qualcosa in quell'uomo era terribilmente sbagliato, innaturale. Lentamente si voltò verso di loro che non poterono fare a meno di incrociare il suo sguardo. Gli occhi azzurri come il ghiaccio si posarono prima sullo sguardo di Mika e poi su quello di Anssi. Anssi notò uno strano bagliore nello sguardo di Latvila. Un bagliore che sfidava la penombra, il buio della notte in quel locale poco illuminato. Un guizzo di luce azzurra, quasi bianca. Non riuscì a spiccicare una parola. Prima di incrociare quello sguardo aveva in mente di dirgli "Chi cazzo ti credi di essere?" o "Giù le mani dalla mia donna!" ma dopo averlo visto, qualcosa lo ammutolì,quasi lo incantò.
Mika sussurrò qualcosa alle orecchie dell'amico.
 
-Non è normale, hai visto i suoi occhi? Non è normale!-
 
Anssi lo fulminò con lo sguardo, per poi spostare di nuovo gli occhi su Aleksandr. Quello si era già voltato e girava fra le dita il bicchierino di Whiskey. Lo vide avvicinarlo alle labbra, ma quando lo poggiò esso continuava ad avere sempre lo stesso contenuto. Sembrava non avesse proprio bevuto nulla. Ma per Jarvi fu quasi normale, infatti il biondo barista versò il contenuto del bicchiere nel lavabo e aprì il rubinetto per lavare il piccolo vetro.
 
-Grazie mille, Jarvi. E' sempre un piacere passare al tuo locale. Riesco sempre a bere qualcosa di ottima qualità.-
 
Aleksandr sorrise all'uomo, lasciò sul banco sei euro e cinquanta e si diresse verso l'uscita.
 
-Ehi,Mika, io vado a pisciare. Preparati , che appena ho fatto torniamo a casa. E' davvero troppo tardi.-
-O-Ok. -
 
Anssi si diresse verso il bagno. Jarvi nel frattempo iniziò a chiudere le luci, noncurante dei due ragazzi ancora presenti e della giovane seduta ad un tavolo. Le prime luci che si spensero furono proprio quelle del corridoio del bagno. All'interno della toilette però i neon erano ancora accesi, ma si spensero non appena Anssi entrò. Andarono in funzione le luci d'emergenza che sarebbero rimaste accese per tutta la notte con il loro tenue bagliore rossastro.
 
-Quel vecchio lappone di merda potrebbe tenerle accese almeno per il tempo necessario che mi serve per pisciare!-
 
Si slacciò la patta dei pantaloni e iniziò a liberare la vescica. Un sussurrò però attirò la sua attenzione. Sollevò le spalle e dopo aver finito di espletare il suo bisogno si risistemò e si diresse all'uscita. La porta non si aprì nonostante la sua insistente veemenza nel premere la maniglia.
 
-Cazzo!! Perché non si apre! Ehi!!!-
 
Iniziò a colpire la porta, ma essa non si aprì. Le sue urla sembravano non essere sentite da nessuno. La paura, il terrore di quella prigionia lo possedettero, scuotendolo fin nel profondo dell'anima. Freddo...e nebbia.
 
 
"I'll paint roses black and show you heaven!"
 
Scrisse quella frase di getto sul block notes mentre una cliente si decideva ancora sul cibo da ordinare per pranzo. Stranamente era distratta. Ripensava alla mattina, al suo risveglio. Ad una fredda carezza, un piccolo alito di vento mentre le finestre erano ancora saldamente serrate.
 
-Signorina, vorrei un Double Burger, contornato da patatine e una Cola Maxi. Signorina?-
-Oh, scusi, mi può ripetere?-
-Certo! Un Double Burger, patatine e Cola Maxi.-
-Arrivano subito.-
-Grazie!-
 
Astrid portò le ordinazioni al banco dove le sue colleghe armeggiavano per accontentare gli altri avventori. Nonostante fosse il primo maggio era ancora abbastanza freddo, troppo freddo. I riscaldamenti altissimi non riuscivano a riscaldarle le ossa. Il cammino fu lento e distratto , tanto che non notò nemmeno lontanamente la presenza del responsabile tra le due ragazze addette al riscaldare hamburger e a friggere panini.
 
-Hekkinen, Astrid Hekkinen, vedi di badare a dove cammini, o finirai per spaccarti la testa.-
-Lo stavo già facendo, Tuomas.-
-Spaccarti la testa?-
-No, guardavo dove stavo camminando senza che tu mi dessi quel necessario input. Problemi?-
 
Era abituata a parlare chiaramente, andando diritta al sodo seppur fosse ben consapevole della sua posizione precaria. Lei non badava mai alle conseguenze , pensava solo ed unicamente ad essere se stessa, senza lasciarsi sopraffare dai compromessi di chi stava in una posizione più alta della sua. Controbilanciava con una condotta lavorativa irreprensibile : nessun permesso, nessun giorno di ferie se non quelle comandate e nessuna malattia. Sempre puntuale e seria.
 
-Non mi sembra visto che quella donna ti ha chiesto ben due volte di servirle il pranzo. Ti sembra normale che la gente aspetti così tanto prima che tu riesca a recepire quello che devi fare? -
-E' umano distrarsi per qualche secondo. Non si ripeterà. Mi attrezzerò per l'impossibile.-
-Dovresti fare meno la sostenuta, Hekkinen.-
-Ci proverò.-
 
Ogni rimprovero le entrava da un orecchio e le usciva dall'altro con tanta facilità da impressionare anche le colleghe che reagivano con una risatina. Anche loro avrebbero fatto la stessa cosa se si fossero trovate in quella situazione, se solo avessero avuto un briciolo di coraggio in più. Erano più grandi di Astrid e avevano anche una famiglia sulle spalle.Le resposabilità ti cambiano la vita e la concezione di pericolo. Le persone crescono e aggiungono al novero delle cose da fare anche lo scendere a compromessi, per lo meno nella maggior parte di casi. Poi ci sono le eccezioni: le persone che non vogliono assolutamente crescere e che vivono la loro vita al massimo anche con il rischio di sbagliare più e più volte. Alcuni li chiamano scavezzacollo, altri immaturi, irresponsabili, ma la definizione che si può dare tranquillamente senza pregiudicare nulla o nessuno è il termine : pure. Sono persone pure, non contaminate nè dal tempo nè dalla paura.Sono quelli che mantengono l'immacolata condizione dei bambini. Non sempre è un male rifiutarsi di crescere, poichè in quel caso si riescono a vivere molte cose non concesse dalla razionalità che il Tempo costringe gli uomini ad acquistare.
 
La piccola lista delle ordinazioni passò in mano a Joanna, la più anziana delle colleghe di Astrid, la quale era addetta alla frittura delle patatine. Tuomas era sconcertato dalle risposte a tono di Astrid  e non seppe controbattere. La ragazza tornò ad camminare fra i tavoli, raccogliendo stavolta le ordinazione di un signore accompagnato da due bambini.Alzò lo sguardo per una frazione di secondo e incrociò due occhi azzurri familiari, puntati su di lei. Lunghi capelli biondo scuro , le labbra scarlatte. Per un momento si raggelò e rispose a quello sguardo con un tenue sorriso. Un sorriso? Non era proprio da lei. Tuttavia fu un attimo che quella figura così gradevole scomparve oltre il marciapiede e lei fu richiamata al suo lavoro.
 
Le ore più calde erano quelle del pranzo, dopodichè la situazione si faceva molto più calma, tuttavia l'orario lavorativo era abbastanza lungo da coprire le ore di luce. La neve lentamente si scioglieva e l'asfalto del marciapiede tornava evidente grazie ai caldi raggi di sole. Il ghiaccio però continuava ad essere il solito flagello per i pedoni. Non appena superò l'uscio del locale e si diresse alla macchina, perse per un attimo l'equilibrio. Il tacco consumato degli stivali neri non era più efficace come un tempo, purtroppo. Riuscì comunque a raccapezzarsi e a compiere quella manciata di passi fino alla sua Volkswagen blu. Salì velocemente e girata la chiave accese i riscaldamenti, si fregò le mani e mise in moto. L'illuminazione ai lati della strada era come coperta da una fitta coltre di nebbia. Era raro che dopo giornate di nevicate ci fosse tutta quella nebbia, un vero e proprio muro lattiginoso sul quale si infrangeva la luce dei fari. Accese lo stereo tanto per smorzare quella tediosa atmosfera di silenzio ovattato. Una canzone abbastanza orecchiabile ma sconosciuta passava alla radio. Lei si lasciò trasportare dal ritmo, solo per qualche secondo socchiuse gli occhi e abbassò la testa. Quando li riaprì però, si ritrovò a pochi metri la figura di una persona che le attraversava la strada. Inchiodò di botto, ma non fece in tempo. Lo aveva travolto. La paura di aver causato la morte di un essere umano la assalì e febbrilmente scese dall'auto. Arrivò di fronte ad essa e guardò a terra in quel poco che i suoi occhi potevano vedere, ma non c'era nessuno. Niente. Eppure il botto lo aveva sentito.Intorno a lei la non c'era nulla, se non neve e terra umida. Le abitazioni erano lontane dalla strada e i lampioni svolgevano male il loro compito essendo molto distanti l'uno dall'altro. Risalì in macchina, ancora non convinta di quello che era accaduto. Riaccese il motore e dopo aver chiuso la portiera ripartì. Con la coda dell'occhio però, notò sul lato sinistro della strada, l'allontanarsi di una figura dai lunghi capelli.Un uomo? Una donna? Non poteva saperlo perché riuscì a vederla solo per qualche frazione di secondo.Che fosse un folle che si aggirava con la speranza di trovare qualche vittima? La paura la assalì ancora e la costrinse a premere a fondo l'acceleratore, staccando presto la frizione in modo da dare così una spinta in velocità non proprio prudente.
Una volta giunta a destinazione, corse in casa e si chiuse dentro a chiave. L'evento l'aveva scossa tanto da costringerla a chiamare la sua migliore amica del liceo, che non sentiva da anni per sostituire i ricordi di quella sera.
 
-Non ho mai visto una cosa del genere Signore.Sembra che sia stato sbranato da un animale di dimensioni abbastanza grandi. Un grosso lupo.-
-Un lupo? Al centro della città? Non diciamo idiozie Laitinen. -
-E allora?-
-Beh? Che ti devo dire? Non ne ho idea. Ci penserà l'anatomo patologo a capire che diavolo hanno fatto a questo ragazzo. -
-Se solo l'altro ragazzo riuscisse a dire cose diverse da quelle farneticazioni senza senso saremmo già più avanti.-
-Quello continua a sparare cavolate su vampiri e demoni. Secondo me era totalmente ubriaco quando questo disgraziato è stato ammazzato.-
 
La polizia non sapeva spiegarsi come qualcuno avrebbe potuto uccidere in maniera così feroce. L'unico che poteva veramente parlare non riusciva ad esprimersi se non usando semplici parole sconnesse come : "Lui verrà." o "Vampiro." "Demone." Era come se qualcosa gli impedisse di parlare, di rivelare altro. Gli occhi fissi puntavano in una direzione non definita. Tentarono di farlo parlare ma nemmeno a distanza di giorni riuscirono a cavargli fuori le parole necessarie per svelare chi fosse l'artefice di quell'efferato assassinio. Fu affidato al reparto psichiatrico dell'ospedale centrale che lo tenne in costante osservazione. Passava giorni interi ad osservare la finestra ripetendo di continuo : "Sta arrivando, sta arrivando!" non appena il crepuscolo si faceva evidente. C'era qualcosa di particolare nella sua pazzia che sempre più spesso allentava il tiro, lasciando un minimo spazio ad una lucidità che permetteva a Mika di riconoscere parenti e amici e ricordare perfettamente il suo passato.
Era curioso come il suo carattere mutasse con l'avvento delle ombre. Durante il giorno le sue condizioni erano stabili, normali, tuttavia serbava sempre uno strano comportamento quando si tentava di far riferimento alla fine del suo caro amico Anssi. Si chiudeva in se stesso e non parlava per ore intere. Era impossibile che follia e lucidità coesistessero nello stesso soggetto e si alternassero così spesso con decisi tagli netti. Un giovane laureando che si trovò a seguire il caso facendo da assistente al primario di psichiatria prese molto a cuore il caso del giovane Mika, ma non per un eccesso di zelo. Eirik Niemi era un giovane curioso fin troppo propenso a strane considerazioni che poco avevano a che spartire con l'ortodossia della scienza medica. Da sempre seguiva i casi più strani, dove secondo lui la malattia mentale era una scusa per spiegare qualcosa che la scienza non riusciva a dimostrare in nessun modo. In pratica secondo il pensiero di Eirik, alcuni casi archiviati come schizofrenia o disturbi della personalità, erano da attribuire ad una sfera decisamente diversa rispetto a quella scientifica : l'esoterismo. Aveva provato ad esporre pubblicamente le sue idee ma non aveva mai riscosso successo, poichè nel DuemilaTredici non era poi così facile avvalorare una tesi che contemplasse l'esistenza di spettri, possessioni demoniche o stregoneria. Nessuno credeva ormai negli ectoplasmi, nella vera esistenza dei poltergeist e soprattutto nessuno pensava che potesse esistere qualcosa che rendesse possibile all'uomo di superare il limite dei limiti alla condizione umana : la morte. Aveva però ricevuto un unico consenso che lo aveva spinto a continuare la sua ricerca in un campo spinoso come quello: Un professore americano di nome Mattew Nashbridges aveva letto la sua relazione relativamente un vecchio caso di cronaca locale. Eirik aveva analizzato la mente dell'assassino di tre ragazzini, uccisi durante una notte passata in tenda sulle rive del lago. L'uomo aveva sempre affermato di non aver agito secondo la sua volontà, ma condizionato da una forza superiore ad essa che inspiegabilmente aveva preso possesso delle sue membra. Ovviamente nessuno credeva a quell'assurdo tentativo di discolparsi, tutti pensarono che l'uomo lo avesse agito seguendo un istinto accomunabile con una libido pedofila, ma Eirik era convinto che le parole di lui non fossero farneticazioni. Non mentiva quando si difendeva e molte cose lo attestavano. C'è una mimica sia facciale che gestuale che evidenzia la differenza tra verità e menzogna. Le opzioni erano due in quel caso : o l'assassino era un bravissimo attore e aveva un enorme autocontrollo su di se -fatto che escludeva quindi i lapsus della follia- ,oppure quello che diceva era completamente vero. Tutti i professori che presero in esame quella tesi furono scettici sulle sue affermazioni, tranne Nashbridges. Per quest'ultimo, le osservazioni di Eirik erano un elemento probatorio di teorie che aveva sostenuto per decenni.
"Il confine tra umano e disumano, è labile. L'occhio di noi semplici mortali non riesce ad andare oltre certi confini, ragazzo."
Furono queste le parole che Nashbridges rivolse al giovane e bizzarro ricercatore. Fu nella memoria di quel ricordo che Eirik decise di inviare i dettagli e le supposizioni sul caso del giovane Mika fino a Los Angeles. Era sicuro che avrebbe ricevuto una risposta utile in breve tempo.
 
 
Il disgelo era quasi completo. La neve aveva lasciato finalmente spazio all'erba e all'asfalto umido.Iniziava ad essere gradevole passeggiare sotto il sole decisamente più caldo della tardiva primavera. Sole che in quel momento volgeva al crepuscolo. Astrid osservava distrattamente l'orizzonte come se cercasse di vedere qualcosa che sapeva di non trovare. Era distratta dal un ricordo che non sentiva nemmeno suo. Si trascinava seguendo una volontà indefinita , lungo il sentiero che costeggiava il freddo lago. Il debole vento le spostava i lunghissimi capelli scuri.  
Osservò il pelo dell'acqua leggermente increspato dal vento e si strinse fra le sue stesse braccia come se un brivido insensato la percorresse dalla testa ai piedi, una folata di vento decisamente più rigida.
Un lontano rumore di passi la risvegliò da quello strano torpore. Passi che volgevano in direzione di lei. Si voltò lentamente e i suoi occhi incontrarono il ghiaccio di uno sguardo oramai diventato familiare. In quelle settimane non vi era giorno che non incontrasse accidentalmente la vista di quegli occhi, nei momenti più svariati. Era davvero qualcosa di casuale, o quello sguardo la cercava costantemente, in silenzio?
 
-Non dovrebbe rimanere fino a quest'ora nei pressi di questo sentiero, signorina. L'aria diventa fredda quando la notte incombe.-
-So come proteggermene...Signor...-
-Latvila. Aleksandr Latvila.-
-Una celebrità come lei che passa del tempo in una cittadina umile come questa?-
-Io sono nato qui, vivo qui e qui traggo ispirazione per ogni cosa. Le acque di questo lago mi hanno dettato spesso strofe  meravigliose. La poesia racchiusa nel testo di una canzone non nasce solo dalla mente dell'autore, ma anzi, viene a lui dettata dalla realtà che vive. Le immagini sono fotografie create dall'esperienza che trovano espressione solo nei versi.-
-Lei esprime ogni cosa in poesia. Ha un linguaggio a dir poco obsoleto per questa generazione. Non se ne abbia a male, ma a vederla sul palco, tutto si direbbe tranne che fosse capace di esprimersi in questo modo. -
-Il palco inganna. Per piacere alle masse, le persone sono costrette a modificare il proprio atteggiamento in modo da costruirsi una maschera giusta. Parolacce, imprecazioni e frasi fatte , idiomatiche per un genere di musica e uno stile di vita caratteristico sono doverose per chi deve farsi ascoltare. Crede che se io salissi sul palco con la calma e la pacatezza con cui mi rivolgo a lei in questo momento, mi ascolterebbero?..Signorina...-
-Astrid, Astrid Hekkinen.-
-Bellissimo nome. Astrid significa "Divinità meravigliosa" viene dall'antica lingua norrena parlata dai vichinghi che abitavano queste terre. E' strano e sorprendente allo stesso tempo come un popolo così barbaro e indelicato potesse creare qualcosa di così gradevole.-
-E quindi lei sa fare anche l'etimologia dei nomi?-
-E' un campo che mi ha sempre divertito. Trovare la radice delle parole e analizzarne la nascita.-
-Interessante davvero. Anche a me interessa molto. -
 
Latvila accennò un lieve sorriso e Astrid non fece che rispondergli rimandandone uno decisamente più convinto.
 
-Io la apprezzerei anche se fosse se stesso sul palco.-
-Non avevo dubbi.Si comprende facilmente che non riesce a soffermarsi alla superficialità dell'aspetto esteriore. Da come guarda il pelo dell'acqua si direbbe che passa molto tempo a pensare.-
-Anche troppo. Le giornate scorrono nella melanconia prima ancora che me ne accorga.-
-Anche lei, come me ama la solitudine, non è così?-
-Non che la ami, ma a lei sono costretta. Non mi ritrovo con tutta quella marmaglia di gente che mi sta intorno. Quelli con la mentalità come la mia non hanno molto spazio nella società di oggi. Sono troppo all'antica, dicono.-
-Non è un male. In passato le cose erano molto diverse e non di certo peggiori, almeno per certi versi.-
-Lei parla come un vecchio, ma a guardarla si direbbe che abbia una trentina di anni al massimo.-
-Il tempo influisce sull'anima attraverso l'esperienza.E' per questo motivo che si vedono ragazzi già vecchi e anziani ancora bambini.-
-I disillusi cosa sono?Vecchi o ragazzini?-
-Dipende da quanto vogliono rischiare per provare ad essere felici.-
-Ogni cosa.-
-Allora lei è fuori dal tempo. Sarà giovane per sempre.Anche quando le rughe le solcheranno il viso. -
 
Gli occhi di Aleksandr si posarono sullo specchio d'acqua increspato dal vento. Il silenzio cadde assieme alla luce. Le mura del vecchio maniero, sull'altra riva del lago, schermavano ormai i raggi di quel sole morente. Assottigliò lo sguardo, socchiudendo leggermente le palpebre come se dovesse focalizzare l'attenzione su qualcosa all'orizzonte.
 
-Mi dispiace dover interrompere la nostra conversazione, ma devo raggiungere un mio amico dall'altra parte della città.Spero di poterla incontrare ancora sulle rive di questo meraviglioso lago.-
-E' una mia meta fissa. Adoro i laghi.-
-Allora sarà piacevole incontrarla ancora. Arrivederci e buona serata, Astrid.-
-Anche a lei, Signor Lativla.-
-Aleksandr.-
-Anche a lei Aleksandr.-
 
Corresse la frase con un sorriso sulle labbra e lo osservò allontanarsi a passo abbastanza sostenuto. Gli ultimi raggi del sole colpivano i suoi lunghi capelli biondo scuro. Qualcosa in lui l'aveva colpita. Forse la voce, forse lo sguardo : non sapeva identificare bene che cosa la spingesse a continuare a seguirlo con gli occhi finchè non superò il suo campo visivo.Con lui scomparve definitivamente l'ultima luce di quel pomeriggio che lentamente lasciava spazio alla sera. Il buio dilagava con estrema velocità e le acque del lago divennero presto uno specchio incapace di riflettere. Una strana sensazione la assalì, simile alla paura.Un flash, un ricordo, le tornò alla mente.
Accelerò il passo e si allontanò dalle rive del lago in modo da raggiungere presto la strada illuminata dai lampioni.
 
"Caro Eirik. Ho appena analizzato la tua relazione sul caso al quale hai preso parte. I disturbi del soggetto in questione non sono attribuibili a nessuna forma di malattia mentale, anzi, le reazioni esagerate sono collegate ad un evento in particolare. Un evento che forse il nostro giovane paziente non vuole ricordare. Un evento che ha lasciato in lui una macchia indelebile che ama proteggere e custodire gelosamente. Continua a osservarlo, non lo perdere mai di vista e soprattutto non perdere mai di vista coloro che gli stanno attorno. Se la mia teoria è vera , teoria che non mi sento ancora di svelarti, saranno  proprio queste persone ad essere in pericolo. Tieni gli occhi aperti e mi raccomando, utilizza ogni strumento per non perderlo mai di vista."
 
Assieme al plico contenente la lettera di Mattew Nashbridges, vi era anche un'altra piccola bustina. Eirik la aprì ansioso e in essa trovò lo strumento di cui il bizzarro professore parlava. Una microcamera.
La rigirò fra le dita non sapendo se usarla o meno. Ovviamente era un metodo non proprio legale di reperire prove. Se fosse stato scoperto sarebbe finito davvero male: allontanato per sempre dall'esercizio delle attività mediche. Dall'altro lato però vi era il fatto che avere una prova tangibile di qualcosa inspiegabile per la scienza medica poteva significare il raggiungimento di una fama e di una posizione nettamente superiore a qualsiasi medico avrebbe potuto farlo radiare. Nascose il congegno in tasca ed iniziò a calcolare i tempi giusti per ritrovarsi solo con il ragazzo. Durante il tardo pomeriggio avrebbe fatto irruzione nella stanza con qualche scusa assurda e avrebbe sistemato quella piccola cimice in un nascondiglio insospettabile.
 
 
Una strana nebbia scura si era addensata all'interno della stanza dove Mika sedeva tranquillo. Non faceva nulla da giorni e iniziava ad annoiarsi seriamente. Avrebbe voluto riprendere a vivere come un tempo ma purtroppo sembrava che gli strizzacervelli non fossero pronti a lasciarlo tornare a casa. Non si accorse subito di quella nebula. Realizzò di esserne circondato solo dopo aver visto la luce artificiale diventare decisamente più fioca.
 
-Ma che diavolo....-
-Hai detto bene...-
 
Un sussurro, una voce della quale non riusciva ad identificarne la provenienza.Credette che fosse un'allucinazione, un'impressione, ma il buio prendeva sempre più campo ad ogni secondo che passava.
 
-Dannazione, questi farmaci del cazzo!-
 
Disse quella frase piagnucolando, spaventato a morte. Lui non voleva crederci, voleva attribuire a quell'evento una natura differente da quella sembrava essere. Non era la prima volta che accadeva, anzi avveniva sempre più spesso, quasi ogni giorno. Era l'ombra, l'oscurità che veniva a cercarlo con tanta veemenza e puntualità. La sera al calare delle ombre era come se quelle scheletriche dita scure si spingessero fino al suo cuore.
 
-Non sei vero! Non sei vero!!-
-Sono vero come la tua anima.-
 
La voce sussurrò in quella bassa tonalità disumana. Il pianto di Mika divenne ancora più sonoro,mentre si raggomitolò su se stesso. Strinse le ginocchia fra le braccia e serrò gli occhi ermeticamente.
 
-Vattene! Vattene! Lasciami in pace!-
-No, sai bene che ho una cosa da chiederti. Qualcosa che non puoi rifiutare in nessun modo.-
-No. Non posso fare niente.Non posso fare niente! Non posso farlo! Io sono chiuso qui!-
 
Come una poderosa mano, le ombre si infittirono attorno al collo del giovane stringendolo in una morsa impalpabile. Il respiro già affannoso divenne oltremodo difficoltoso. Il ragazzo tentò di divincolarsi ma fu tutto inutile. La presa non allentava in nessun modo. Fu l'ombra ad allontanarsi e a diradarsi, diffondendosi di nuovo nella stanza chiusa.
 
-Posso ucciderti e anche molto facilmente.Posso utilizzare qualsiasi mezzo, qualsiasi elemento e qualsiasi oggetto per ammazzarti, anche te stesso. Quindi farai quello che ti dico, no, ti ordino.-
 
L'ombra si infittì formando una figura di uomo. Una figura indefinita, nebulosa, oscura dalla quale capeggiavano solo due punti azzurri, incredibilmente luminosi.Dall'ombra fuoriuscì una mano dalle lunghe dita ossute che terminavano con veri e propri lunghi artigli.Il dito indice si tese verso di lui. Mika lanciò un grido di terrore che finalmente fu udito dagli infermieri. Uno di loro corse verso la stanza del ragazzo.
 
-Non urlare. E' stato il primo ordine che ti diedi. E' semplice eppure lo hai disatteso!-
 
Il braccio si allungò su di lui e le  unghie acuminate iniziarono a premere contro la tenera carne del collo del giovane. Nel frattempo la porta della stanza di Mika si spalancò ed entrò di corsa l'infermiere. Notò il particolare spettacolo e rimase basito di fronte a qualcosa che mai avrebbe aspettato di veder accadere di fronte ai suoi occhi.
 
-Odio essere disturbato.-
 
La voce agghiacciante che l'infermiere fu costretto a sentire, lo paralizzò all'istante con il potere del terrore. Rapido come la falce della Morte fu un fendente non precisato a colpire la gola del nuovo arrivato che crollò a terra mentre sotto di lui si diffondeva una macchia di sangue. Sangue che lambì anche i piedi del giovane Mika.Sangue che risalì lungo le sue gambe sfidando la forza di gravità e giungendo sulle sue mani , sporcandole. Mika tentò disperatamente di pulirsi le mani sul lenzuolo del letto, sulla maglietta bianca, ma nulla. Il sangue rimaneva lì sulle sue mani.
 
-Non puoi lavarlo via. Non puoi privarti della colpa. Hai disobbedito e ora devi pagare. Non ho molto da chiederti tranne il silenzio. Conviene più a te che a me stare zitto. Nessuno potrà mai credere in qualcosa di impalpabile e inspiegabile come la mia presenza. Che cosa racconterai? Che un'ombra nella notte si è abbattuta su un infermiere? -
 
Una risata spettrale si diffuse nella stanza mentre le scheletriche mani fuoriuscite dall'ombra si avviavano verso il viso del ragazzo.Lo strinsero in una raggelante carezza. Dall'ombra si delineò anche un volto ossuto ma nel contempo fascinoso. Le labbra violacee e gli occhi azzurri quasi bianchi. Il naso leggermente aquilino e i lunghi capelli che coprivano in parte quegli zigomi spigolosi rendevano quella figura spettrale ancora più agghiacciante. Il sorriso, quel sorriso sadico che si diffondeva su quella bocca orribile lo terrorizzò così tanto che lo fece ammutolire, questa volta per sempre.
 
-Ti ordino di tacere una volta per tutte. No, stavolta non ti opporrai. Non importa quanto tu voglia farlo, la tua mente cede alla mia lusinga. La mente cede alla mia lusinga. Sei stato toccato dalla morte e non durerà molto la tua esistenza.-
 
Il rumore dei passi degli altri infermieri e del medico d'emergenza si avvicinarono. L'innaturale creatura divenne di nuovo nebbia e si diradò ed uscì velocemente dall'alta finestra socchiusa la quale si serrò al suo passaggio.Il vetro si infranse e alcuni frammenti caddero a terra.
Quando il personale medico ebbe accesso alla stanza si trovarono di fronte al macabro spettacolo dell'infermiere quasi decapitato,immerso nel suo stesso sangue.Videro le mani del giovane completamente intrise di sangue e i vetri caduti dall'alto cosparse del liquido scarlatto. Non fu difficile per loro e per la polizia, nei giorni successivi, tirare le conclusioni di entrambi i delitti. Mika Laine era l'assassino materiale di entrambe le vittime. Aveva ammazzato suo amico Anssi e anche l'infermiere che lo aveva in cura.Tutto portava a fare di lui l'unico sospettato e l'unico esecutore plausibile, tuttavia le modalità degli assassini presumevano una forza che Mika non aveva di certo, dato il suo esile corpo.
Quando però non c'è spiegazione plausibile, bisogna in qualche modo trovarla e creare una giustificazione a tutto. Ci si arrampica sugli specchi, si ingigantiscono i dettagli ma non si dice mai : non ne ho idea. Mai. Nemmeno quando si brancola nel buio e quando tutto risulta decisamente incongruente. E' la caratteristica propria del presuntuoso essere umano : anche quando non ha più frecce al suo arco, non si arrende all'evidenza. Preferisce giustificare cose che non conosce con tesi realistiche , concrete che sa essere false già in partenza. E' per questo motivo che i grandi interrogativi non vengono mai risolti.
 
I lunghi capelli rossi le davano fastidio. L'aria si era scaldata parecchio e Taina non sopportava più quelle lunghe ciocche che le coprivano le spalle.Le legò impietosamente in una coda raccolta alla rinfusa. Fissò la sveglia digitale posta fra le mille cianfrusaglie del comodino. Era davvero tardissimo! Le tre del pomeriggio! Una mezz'ora prima si sarebbe dovuta incontrare con Jaska, il suo ragazzo, al parco giochi vicino al lago. Si fiondò giù dalle scale in modo da raggiungere in fretta l'uscita della casa ma la voce di suo padre la fermò.
 
-Dove stai andando, Taina?-
-Da Helina ovviamente! Ho un appuntamento con lei e sono già in ritardo, papà!-
-Dove la devi incontrare?-
-A casa sua ovviamente. Se non ti fidi puoi chiamarla!-
 
Jarvi non era uno sciocco. Sapeva benissimo che le amiche a diciassette anni si coprono a vicenda. Era più che convinto che sua figlia non andasse ad incontrare la sua amica ma avesse tutto un altro programma. Lo sapeva, non era la prima volta che gli giungevano voci sul fatto che lei frequentasse un ragazzo della capitale. Ovviamente Jarvi, come tutti i padri, non era contento che già a quell'età, la propria figlia conoscesse l'amore in tutti i suoi aspetti, tuttavia era obbligato a fare i conti con quella realtà. Aveva conosciuto la sua defunta moglie quando lei aveva solo sedici anni durante un campeggio e di certo in quel periodo non stava a guardarla. Ma quando si è genitori è diverso. Entra in gioco quell'istinto di protezione in base al quale si teme che ogni cosa possa danneggiare la felicità del proprio figlio che si continua a considerare un bambino nonostante il tempo scorra. Era proprio quell'istinto a spingerlo a frenare Taina. Ma non solo perché temesse che quel ragazzotto di città potesse spezzarle il cuore dopo averla usata, ma anche per...
Interruppe il pensiero persino, quando un brivido gelido gli percorse la schiena. Era lì. Da qualche parte , in casa sua. Doveva far allontanare sua figlia al più presto. Non voleva che anche lei fosse coinvolta di nuovo in questa storia.

-E va bene. Esci pure. Ma tieni acceso il telefono.  Se non risponderai alle mie chiamate verrò a cercarti di persona e te la farò vedere io, Taina. Siamo intesi?-
-Ma certo, papà!-

Lo abbracciò soddisfatta. I ragazzi fanno così quando ottengono qualcosa in cui non hanno sperato pienamente.
Uscì trotterellando di casa e si incamminò verso il marciapiede. Avrebbe sicuramente preso l’autobus per dirigersi in città. Jarvi lo sapeva. Sorrise un po’ scuotendo la testa.  La figlia era sicuramente più al sicuro la fuori che in quella casa dove il gelido brivido del tocco della morte si stava diffondendo come aria putrida.
Jarvi osservò con la coda dell’occhio il tavolino di legno di pino grezzo sistemato quasi al centro della cucina. Su di esso sedeva un bambino bellissimo dai lunghi capelli biondo scuro. Gli abiti non erano usuali. Vestiva una lunga tunica di velluto blu scuro con decorazioni dorate . Ai piedi calzava piccole scarpine anch’esse  di velluto dello stesso colore delle vesti. Le piccole gambe erano fasciate da una calzamaglia bianca. Il piccolo sorrideva fissando gli occhi di Jarvi con i suoi , azzurri come il vetro e luminescenti di un riflesso quasi bianco.

-Jarvi! Tua figlia sta diventando una donna.-

La piccola voce aveva  la sicurezza delle parole di un adulto.

-Sì, lo so. Oramai è cresciuta e mi è difficile controllare tutti i suoi movimenti. -
-Sei un bravo padre. Vedrai un giorno ti ringrazierà. -

Il bambino scese dalla sua posizione con un sicuro balzo ed iniziò ad aggirarsi per la casa del barista osservando ogni cosa con molta attenzione. Senza sentirlo parlare sembrava che fosse davvero un bambino innocente come sottolineava il suo aspetto.

-L’hai mandata via, non è vero? Temevi che le facessi del male? Sei davvero un uomo di poca fede,Jarvi. Eppure io mi sono fidato tanto di te.-
-No, l’ho solo lasciata uscire. Proibirle ogni cosa non avrebbe senso alla sua età.-
-Sai bene che quella ragazza sta andando a concedersi ad un burbero ragazzetto di città eppure non la fermi. Un comportamento strano per un padre.I padri sono gelosi delle proprie figlie. Sai,parlo per esperienza. Solo che io ho vissuto la cosa dal punto di vista del burbero ragazzetto.Non mi imbrogli. So che cosa pensi, leggo ogni tua ipotesi e pensiero.E’ per questo che hai tentato di interromperne il corso poco fa. Mi dispiace. Pensavo che avessi una minima stima nelle mie parole. -

Jarvi rimase in silenzio, distogliendo lo sguardo dagli occhi azzurri del bambino che intanto, in punta di piedi, fissava gli oggetti sulla superficie di un mobiletto.

-Lo hai nascosto bene eh?-
-Cosa?-
-Come cosa? Il Grimorio di mia Madre. Il Libro delle evocazioni! Ti piaceva molto quel libro eppure…lo hai seppellito sotto metri di terra. -
-Avevo paura che Taina lo trovasse.-
-Non si fa trovare dalle persone sbagliate. Lo hai seppellito perché io non lo trovassi. Potevi stare tranquillo. Non sono mica una strega io. Sono solo un Bambino della Decadenza.-

Il piccolo rise dopo aver detto quella frase, chiara allusione al famoso gruppo death Metal.

-Non puoi immaginare quanto mi piaccia esserlo. Tutte quelle anime unite all’unisono della mia musica. Che urlano quello che dico, che perdono la testa al suono vorticoso di una chitarra torturata dalle mie dita. Non immagini  quanto piaccia loro seguirmi, desiderarmi, amarmi da lontano.Tutti, senza distinzione, vengono affascinati da quello che io ho da offrire. Un corpo perfetto e incorrotto, una voce che non si esaurisce , e soprattutto il fatto che io conosca ogni cosa loro vogliano. Non immagini che folla di pensieri si conglomera quando tutta quella gente si riunisce per ascoltarmi. Peccato io non riesca a leggerli tutti con precisione. Posso avere ogni cosa, Jarvi. Ogni cosa e ora ho trovato anche lei.-

Jarvi rimase sconcertato dalla sua ultima rivelazione. Un’altra anima sarebbe stata coinvolta in tutta quella vicenda. Vicenda innescata da lui stesso. 

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Capitolo 2
*** Evocazione ***


Correva l’estate dell’anno 1989. I mitici anni Ottanta stavano per terminare. Come sempre quando si abbandona una decade si tende sempre a fare il riassunto delle sue tappe migliori, e Jarvi già aveva iniziato a farlo. Aveva ben segnato tutte le tappe migliori raggiunte dalla sua vita in una sola decade. Ce ne erano tante , tantissime di date da ricordare, ma come sempre : ubi maior minor cessat : Dove giunge qualcosa di migliore , quello che c’era prima perde di significato. E che cosa può esserci di migliore nella vita di una persona se non la possibilità di trovare il vero amore? Lui l’aveva trovato, poco prima dell’inizio di quell’anno di transizione da una decade all’altra. Non  si sarebbe mai aspettato che quell’incontro /scontro imbarazzante sulle rive del lago, fosse l’incipit di una storia d’amore intensa come quella che stava vivendo in quel momento. Aveva conosciuto Anja per caso, scivolando sul ghiaccio lungo il sentiero che costeggiava il lago. L’aveva urtata fino a farla cadere sotto il suo peso. Lei si era arrabbiata moltissimo con lui. Le donne odiano cadere e sporcarsi, soprattutto se sono vestite di bianco. Fu dopo quel giorno, non avendo la capacità di dimenticare quei capelli rossi e quegli occhi verdi, che Jarvi iniziò a percorrere sempre più spesso quel tragitto. A lui non interessavano i bei panorami. Era sempre stato un ragazzo che andava di fretta, patito di motori e casino. Sì , casino inteso in senso lato, dalla musica Heavy Metal alle scorribande con quelli della sua età che si prodigavano in atti di vandalismo e affini. Insomma, quello che Jarvi era fino all’inverno del 1989 si poteva riassumere nella parola : teppista. Aveva solo 19 anni, era normale dopotutto. 
Incontrandola ogni giorno al lago, Jarvi iniziò a parlare a lungo con Anja, quella studentessa modello che stava cercando a tutti i costi di portare avanti l’università di architettura in modo da poter rincorrere il suo sogno.  Voleva andarsene da quella nazione così poco calcolata a livello internazionale. Voleva scendere nella capitale del desing : Milano. Voleva fare carriera ed essere riconosciuta da coloro che estasiati avrebbero ammirato le sue opere costruite nelle più grandi e prestigiose città del mondo. Per le sue capacità le sarebbe stato più che possibile, se non fosse stato per l’effetto collaterale dell’amore. Tutto passa in secondo piano. Anche gli studi, le ambizioni. Diviene importante solo quel legame che via via si va intensificando sempre di più fino a diventare la droga più dannosa, il veleno più dolce per l’anima e la mente . Nel 1992 Jarvi e Anja si sposarono e andarono a vivere in una casetta piccola e modesta sempre all’interno del paese che grazie  allo sviluppo industriale stava crescendo sempre più fino ad essere inglobato completamente nella capitale come sua parte integrante.
Nel frattempo Jarvi era riuscito a rilevare un piccolo bar, un pub per la precisione. Era vecchiotto, da adeguare e ci vollero mesi per dargli un contegno. Però non era male. La posizione era buona e c’era davvero molta clientela disposta a valutare la novità. Ma le novità hanno poca durata. La gente perde presto l’entusiasmo quando la visione di un qualcosa si fa abituale. Tutto col tempo diventa normale, dicono. Fu così quindi che lo spirito di intraprendenza del giovane Jarvi venne meno. Il suo lavoro non diventò che un susseguirsi di gesti automatici, proprio come qualsiasi impiego produttivo. Osservandosi bene attorno, Jarvi valutò un concetto importantissimo : il tempo spegne il fuoco della gioventù, quell’entusiasmo sfrenato che rende ogni cosa un’avventura. L’esperienza lascia il campo alla prudenza e da spade si diventa scudi. Già con il tempo che passa si tende sempre meno a voler assaporare la conquista e si punta sempre più a difendere ciò che si è ottenuto. Ma questo non è necessariamente un male. La vita non va bruciata ma vissuta perché anche in quella routine che gli scapestrati detestano, anche in quel ripetersi di piccoli gesti e azioni , può nascere quella gioia infinita e continuata che si esprime in un sorriso, in una frase d’affetto o semplicemente in quella sensazione di protezione che ci fa addormentare convinti di essere invincibili, accanto a quella meravigliosa fonte di felicità riassunta in abbracci e baci, negli sguardi complici , nelle rapide intese, nei sussurri . A volte basta un abbraccio per sentirsi difesi da tutto il male che lacera il mondo. E per Jarvi era così. Non aveva bisogno di altre soddisfazioni :  a lui bastava essere amato. 
La felicità più grande gli fu data dalla nascita della piccola Taina, nel 1996. Jarvi non si sentiva adatto a fare il padre.Era giovane e inesperto. Non aveva mai cambiato pannolini, né cantato una ninna nanna.  Era schiavo di quel complesso di inadeguatezza che prima o poi ogni uomo sposato passa.  Un complesso però che si diradò non appena gli portarono la bambina appena lavata e vestita . Non appena quella creaturina fu tra le sue braccia , tutti i dubbi e le perplessità sul fatto stesso di essere padre persero di valore totalmente. Piccola, indifesa e incapace di badare a se stessa . Taina era così e lo sarebbe stata per diversi anni. 
Fino a quel momento la vita di Jarvi non poteva essere migliore. Nonostante il suo lavoro non lo gratificasse più così tanto, la sua famiglia risplendeva di meravigliosa felicità. Tutto era magnificamente ordinato al suo posto. Ma si sa, il mondo, l’universo stesso sono governati dall’entropia, la tendenza dell’ordine a divenire disordine. Non tardò ad arrivare la prima grande sfida della vita dei due ragazzi. Quando Taina aveva solo sei anni, Anja si ammalò gravemente.  La sua vita non sarebbe durata che una manciata di mesi qualche centinaio di giorni. Nessuno poteva fare nulla nonostante le preghiere del povero ragazzotto disperato. Nessuno poteva aiutarla. Nessuno aveva pietà di lei , nemmeno quel Dio in cui Anja credeva fermamente.  
Ed è dunque in momenti come questo che la disperazione apre le porte all’irrazionalità, alla follia e all’oscurità anche degli animi più buoni e incorrotti.

Una sera in quel freddo Aprile, Jarvi si trovò solo ad osservare lo schermo della tv che passava immagini alle quali da tempo non prestava la benché minima attenzione. Una di  esse però rapì i suoi occhi : una famiglia felice che lentamente incede lungo il bagnasciuga della spiaggia. I sorrisi e la serenità gli fecero davvero male. In quel momento desiderò di conoscere un modo per barattare ogni cosa solo per viverne una minima parte.Iniziò a parlare da solo. Non aveva nessuno con cui piangere. Non aveva nessuno che potesse regalargli una parola di sostegno. I genitori riuscivano a dargli solo la mera consolazione di frasi di circostanza. Da sempre non avevano mai accettato che quella ragazza sognatrice fosse divenuta la compagna della vita di loro figlio. Non la sopportavano. Lei era una di quelle cresciute nella bambagia di una famiglia benestante, una con la puzza sotto il naso, come la vedevano loro. Non si erano mai impegnati a conoscerla. 
D’altro canto , anche i genitori di lei non avevano mai fatto un passo in direzione di Jarvi, per il motivo opposto : lui era un ragazzo di periferia, un contadino , grezzo e poco colto. Non era adatto per la loro piccola principessa. 
Avevano compromesso anche la felicità di un’altra giovane vita : quella della piccola Taina, la quale era costretta a crescere  contesa tra i nonni come un trofeo.  Si erano messi d’impegno, calcolando tutte le possibili mosse subdole per prevalere gli uni sugli altri.
Tuttavia , il fattore che né i genitori di Jarvi, né quelli di Anja avevano calcolato era il più importante di tutti: la felicità dei loro figli. Avevano preferito condannarli alle spine del rovo del pregiudizio, privandoli di quell’amore che avevano dedicato loro nel crescerli, per una futile questione di preconcetto. L’essere umano è stupido e con la sua ignoranza ferisce troppo quello che in realtà dovrebbe continuare a difendere. Si oppone troppo a quello che dovrebbero sostenere in silenzio, perché intanto l’amore non può essere fermato. Non si sceglie di chi innamorarsi ma lo si fa senza smettere mai. Si può sbagliare, si può mentire a se stessi cercando di troncare tutto per sentirsi più sicuri, ma nel cuore rimane sempre. Rimane sempre quella sensazione di vivere a metà, quel senso di sbagliato. L’amore non muore mai, lega due anime in vita e in morte,supera ogni distanza e abbatte ogni confine. Può far vivere o far morire ma è l’unica cosa che rende la vita degna di essere vissuta. E Jarvi questo lo sapeva bene. Sapeva benissimo che il suo cuore sarebbe vissuto o morto con Anja

-Farei qualsiasi cosa per lei.Cederei tutti me stesso affinché possa veder crescere la nostra bambina, possa sostenermi nel futuro della mia vecchiaia,possa ancora riempire le mie giornate con i suoi sorrisi.. Venderei la mia stessa esistenza pur di farla guarire e vederla alzarsi dal suo letto, scendere le scale e preparare la colazione per tutta la famiglia  mentre io l’aiuto sistemando il tavolo. Darei ogni cosa pur di poter uscire con lei ancora una volta, farle vedere quei luoghi che le avevo promesso da ragazzo. Sì, le ho tanto promesso e poi non ho mai potuto mantenere i miei propositi. Voglio mantenerne uno almeno, uno che non costa soldi : voglio invecchiare con lei , giorno dopo giorno, ruga dopo ruga, ricordo dopo ricordo. Non portarmela via , ti prego . 
Lo so, non sono uno che prega, Signore. Non ti ho mai creduto più di tanto e sì, sembra opportunista il fatto che io mi ricordi di te solo quando c’è qualcosa da chiedere. Però dicono che tu sia il Sommo creatore di ogni vita, che tu riesca a compiere miracoli curando chi crede in te anche se sono vicini alla morte. Puoi fare ogni cosa , creare e distruggere. Ti prego Dio, non lasciare che lei si spenga. Non lasciare che il suo respiro si fermi , non lasciare che continui a soffrire. Salvala ti prego ! Riportala da me!-

Dopo soltanto venti giorni , Jarvi comprese che quel Dio sordo aveva completamente ignorato le sue preghiere , o forse le aveva accolte solo in parte. Guardando il volto di Anja oramai privo di vita si accorse che la sua espressione era  come sollevata. Sì, le labbra erano tese , come in un sorriso. Forse era stata felice di liberarsi di tutta quella sofferenza. Sì lo era.  Prima di morire infatti, impossibilitata a parlare, si voltò verso Jarvi e tentò di allungare una debolissima mano verso il volto di lui. Lui accolse quel gesto , e come sempre capì al volo le intensioni di lei.Prese quella mano gelida fra le sue, grandi e calde e la avvicinò al suo volto. Lei aprì le dita e lentamente carezzò le guance di lui , rigate da lacrime sempre calde. La corsa di quelle deboli dita si fermò sulle labbra di lui. Jarvi non riuscì a distogliere lo sguardo da quel volto ancora di ragazzina, consumato dal dolore e dalla fatica che si illuminava in quel momento di un sorriso felice e sollevato. Sentì quel profondo sospiro, il suo calore accarezzargli le labbra. Fu come un ultimo bacio di quell’anima meravigliosa che in quell’istante ben preciso abbandonò quel corpo. Gli occhi di lei, dapprima brillanti si spenserò ma rimasero aperti a fissarlo. 
Glielo aveva detto lei, poco prima che si sposassero : 
“Tu sarai la prima cosa che vedrò svegliandomi e l’ultima che desidero vedere prima di addormentarmi.” 
Infatti era sempre stato così. Ogni mattina , prima di andare a lavorare,nonostante fosse molto presto, Jarvi svegliava Anja con un bacio. Lei lo osservava per qualche minuto . Era un modo per iniziare la giornata in modo perfetto, diceva.  E ogni notte , prima di addormentarsi, si attardava ad accarezzargli il volto , a percorrere il suo profilo con le dita , fino ad addormentarsi con il viso rivolto verso quello di lui. Nonostante il tempo passasse, quei piccoli e meravigliosi gesti, non venivano mai omessi da Anja. E nemmeno alla fine lei lo aveva dimenticato, nonostante la morfina e il suo stato di semi incoscienza. Fu proprio un grande amore , un amore che nessuno mai conobbe , al quale nessuno attribuì mai il vero valore, tranne ovviamente Jarvi e la piccola Taina che così bambina era già costretta a dover fare a meno di sua mamma.Nessuno voleva dare valore nemmeno al dolore del povero Jarvi che fu subito assalito dai genitori di lei che lo utilizzavano come capro espiatorio del loro dolore. A lui andò la colpa dell’impossibilità di Anja di realizzare i suoi sogni in quella troppo breve vita. A lui ogni accusa , persino quella di averla fatta ammalare. Lo avevano messo al posto del Diavolo, lo avevano messo al posto della cattiveria della Natura, perché intanto Jarvi era stato solo una disgrazia per la loro famiglia. Se solo Anja avesse potuto sentirli, li avrebbe uccisi all’istante. Se solo Anja avesse potuto sentirli lo avrebbe protetto con tutte le sue forze anche non avendo più vita. E molto probabilmente lo faceva già senza che Jarvi se ne accorgesse. 
Nelle settimane successive alla morte della moglie, Jarvi decise di rimodernare tutta casa. Aveva bisogno di modificare quello spazio che oramai non poteva essere più lo stesso visto che la sua famiglia non esisteva più. Avrebbe cambiato i colori delle pareti e allargato la stanza della piccola Taina in sfavore della propria. Ora era un uomo solo, e non aveva più bisogno dello spazio di una coppia. I lavori cominciarono dopo qualche mese, in estate. L’estate del  1999. Sì, ancora la fine di una decade e ancora il riassunto da fare. Un arco di vita meraviglioso ma allo stesso tempo orribile. La parabola della sua vita chiusa in dieci anni precisi. A lui era toccato un solo decennio di felicità, così intensa però da valere per quella di due o tre vite intere. Aveva smesso di vivere come uomo ma aveva deciso di dedicarsi ad un'altra esistenza esageratamente impegnativa : quella di padre. La sua famiglia ora era costituita solo da lui e la piccola Taina che cresceva sempre più bella. Si abituò in fretta a ricoprire sia il ruolo di padre e di madre. Era dura badare al lavoro, alla casa senza trascurare un po’ entrambi. Era pur sempre un uomo e le faccende di casa non gli riuscivano granchè, nonostante si impegnasse oltremodo a portarle avanti. Era ostinato a non far entrare in quella casa una terza persona. Non avrebbe mai lasciato che la soglia fosse superata dai passi di una colf . Solo lui e Taina potevano vivere quel luogo. 
Scattabellò persino la cantina e ritrovò vecchie cose che nemmeno sapeva di possedere. Quello che però lo colpì, fra tutta quella roba rovinata e polverosa furono delle pagine strappate, scritte su carta pesante con una grafia decisamente molto particolare, antica. Le parole erano nell’antica lingua norrena dalla quale origina il suomeksi e tutte le lingue scandinave. Era il linguaggio dei Vichinghi. Era una sera mite di primavera. Taina ormai ragazzina era rimasta in camera sua. Molto probabilmente si stava attardando con qualche sua amica al telefono.  Aprì la cornetta del cordless per qualche secondo. Sì era al telefono. Lei stizzita gridò “Papà!!” e lui chiese scusa, chiudendo il collegamento. Sorrise e scosse la testa , per poi risollevarla e tornare a leggere quelle antiche parole impresse su quei pesanti fogli antichi. Per un attimo gli balenò in mente l’idea di assemblare tutti i fogli ridando vita all’ipotetico libro antico, per poi portarlo direttamente al museo di storia e cultura della capitale. Tuttavia furono i minuti successivi a fargli cambiare idea. Qualcosa fra quei fogli incise velocemente la pelle di un suo dito. Una goccia di sangue cadde su quei fogli. Le scritte sbiadite e quasi cancellate dal tempo divennero evidenti, scarlatte. Era il suo sangue che si diffondeva proprio su quei righi. Si alzò un vento forte e gelido che spalancò la porta della cantina che dava sulle scale e quindi sull’entrata della casa, anche essa spalancata. Un bisbigliare di voce femminile lo guidò ad uscire. Quella voce, sembrava così tanto familiare.Una voce che tanto voleva sentire ancora! Anja! Era lei! Doveva essere lei. Varcò la porta della cantina, mentre il vento obbligava i suoi capelli biondi a frustargli il volto. Seguiva quel bisbigliare come un tacito e voluttuoso ordine. Si chiese come mai le sue gambe si muovessero da sole verso quella voce eterea , alla quale non sapeva dare nemmeno una provenienza. 
Un richiamo brusco di Taina lo fermò, lo risvegliò da quella gradevole sudditanza a quel dolce suono. Si voltò velocemente , interdetto. Non sapeva come spiegare alla ragazzina infreddolita  quello strano comportamento. 

-Chiudi subito la porta papà! E’ freddissimo! Entra!-
Veloce tornò in casa e chiuse la porta, per poi avvicinarsi a Taina e abbracciarla per qualche secondo.
-Torna, torna in camera, piccola. Provvedo ad accendere i riscaldamenti! Vai sotto le coperte.-
-Che facevi là fuori!?-
-Preparavo la spazzatura da gettare domani. Di sotto ho trovato moltissime cose vecchie, ormai inutilizzabili e ho deciso di buttarne parecchie.-

Taina strinse ancora un po’ tra le braccia il busto di suo padre e lentamente si avviò verso la sua camera. Jarvi fece lo stesso e seppur scosso da quello che era accaduto, si preparò per la notte. Da allora , ogni sera al calare delle ombre, quella voce di donna tornava  a bisbigliare e a richiamarlo in un luogo ben preciso:  Bodomjarvi. Era il nome del lago dove la storia d’amore tra lui e Anja aveva avuto inizio. 
Jarvi credeva pochissimo ai fantasmi e alle manifestazioni paranormali. Pensava che chi si appellasse a certi credi non sapesse affrontare la realtà delle cose e lui non voleva aggregarsi alla nutrita schiera di creduloni. Cercò dunque di ignorare quello strano richiamo in modo da dare adito alla sola razionalità. Non c’era nessuno quando questo accadeva, magari era l’effetto del vento , magari la pura immaginazione data dall’astrazione, da quel desiderio incessante di risentire la voce di Anja. La mente gioca brutti scherzi quando è in preda alla disperazione. 
Passarono anni da quella sera e quello strano sussurro continuò a ripresentarsi sempre più raramente. Jarvi non era più andato al lago, ma non perché temesse ciò che la voce lo invitava ad osservare , ma per un motivo decisamente più reale e comprensibile. Non si era più presentato per non dover soffrire del dolore dei ricordi. Non voleva più pensare a quel primo incontro e rivederlo precisamente sulla riva dello specchio d’acqua.  Fu in una sera di tardo autunno, il 31 Ottobre dell’anno 2009, che fu convinto a tornarci.
Era già tardi. Taina ormai adolescente aveva deciso di passare la notte da una sua amica e lui era rimasto completamente solo in casa. Aveva acceso la tv su un canale sportivo per seguire una partita di Hockey su ghiaccio. Spense le luci e si sedette sulla morbida seppur consunta poltrona in salotto. Appoggiò la schiena e la testa sullo schienale. Per qualche secondo chiuse gli occhi. La giornata era stata davvero pesante e quella sera il sonno sembrava volersi imporre a tutti i costi su di lui. Gli occhi socchiusi seguivano a malapena le immagini che scorrevano veloci sul televisore. 

-Jarvi…-

Un sussurro, il solito che iniziava a comunicare con lui con un sussurro, il suo stesso nome.

-Jarvi…destati… Devi raggiungermi. -

Il biondo barista chiuse gli occhi e serrò le labbra. Avrebbe fatto come sempre , l’avrebbe ignorato e dopo un po’ quella voce avrebbe smesso di torturarlo. Invece no. Lei non smetteva. Questa volta sembrava non voler demordere.

-Ascoltami Jarvi!-
La voce cambiò di tonalità. Ora non era più un sussurro ma una tonalità ben decisa.

-SVEGLIATI!!-
A quell’urlo acuto e innaturale i vetri della casa vennero ridotti in mille pezzi uno dopo l’altro con una velocità quasi istantanea. Jarvi quasi saltò in piedi e con gli occhi sgranati fissò l’immane danno provocato alla sua abitazione. Il fuoco del camino che ardeva sommessamente si tramutò in  una fiammata dalla quale si poteva distinguere un volto. Un atroce volto di donna. Gli zigomi disegnati dalle fiamme stesse e gli occhi d’ombra, neri come il buio. La bocca si muoveva lasciando uscire dei sibili decisamente contrari alla dolcezza dell’invito del sussurro che in tutti quegli anni lo aveva accompagnato.

-Vai al lago.Presto!-
-Chi diavolo sei?-
-Diavolo?-
Una risata sinistra, spaventosa e disgustosa uscì da quelle labbra di fiamma.
-Non sono il Diavolo sono una semplice madre che da secoli cerca suo figlio. Tu puoi riportarmelo, Jarvi. Ridammi il mio bambino… e io ti darò ciò che più desideri.-
-No, tu non sei reale. Non esisti! Non puoi esistere. Sei solo un’illusione, questo è un mio sogno. Non esiste nessuna forza….-

Non riuscì a finire la frase che  l’aria si compattò su di lui con un peso immenso. Una presa invisibile si avviluppò attorno al suo collo fino a rendergli quasi impossibile la respirazione. Dal fuoco un ultimo monito.

-Non puoi opporti. Hai siglato il patto col sangue e hai ridato vita alle scritture. Dieci sono i Libri e uno è tuo. Non puoi sottrarti al tuo destino, lo hai già scritto! Alzati e dirigiti ora alle dissacrate acque che scorrono sotto le rovine. Non le vedrai subito ma le troverai . Il fuoco non si spegne dove un’anima viva è rinchiusa.-
-Non farò nulla per te, chiunque tu sia…-

Disse Jarvi con un filo di voce, tentando di liberare il collo da quella presa invisibile, dimenandosi.
-Per me? Non per me, Jarvi . Se realizzerai quello che ti dico lo farai solo per te stesso!Libera il suo corpo che giace chiuso sotto metri di terra e pietra e io ti darò la persona che tanto ami. Ridammi il mio bambino e io ti darò lei. -
-No. Non è vero. -
-Fallo o perderai ogni cosa! La tua bella figlia è una preda meravigliosa per noi. Non dimenticare che io so ogni tuo punto debole.Io  conosco tutte le tue paure, Jarvi. Sei venuto nella mia casa che ha assorbito  pezzo per pezzo la tua vita. Mi sono cibata della tua disgrazia e ora ho un modo per pagarti l’anima. -
-Se io farò quello che mi dirai….-
-Tu lo farai.-
La forte stretta si strinse e poi si allentò liberando Jarvi dal suo giogo. L’uomo una volta a terra tentò di rialzarsi in piedi puntando le mani al pavimento. Il fuoco era tornato di nuovo ad ardere fiocamente all’interno del caminetto.  Il povero barista si guardò intorno. Aveva il fiato corto e freddo sudore gli imperlava la fronte. Si chiedeva se quello strano incontro fosse davvero terminato o se quella terribile figura si celasse in un altro insolito nascondiglio. 
Il bagliore di un tuono illuminò l’ombra in uno spigolo della stanza, proprio dove gli occhi di Jarvi erano puntati. Per quella frazione di secondo vide una donna vestita da un lungo abito nero. Il suo volto ossuto  era coronato da lunghissimi capelli scuri e bagnati . Gli occhi due profonde pozze di buio. 

-Non ho più tempo!-

La voce di lei si sparse in tutta la stanza.Sembrava ora provenire da tutti e quattro gli spigoli del salotto. 

-Questa è la notte in cui lui dovrà essere risvegliato! Ora alzati e conduci il libro al lago.Non attendere oltre!-

Ancora un altro lampo che illuminò l’ambiente alle spalle di Jarvi. Lui posò lo sguardo sullo specchio e la vide ancora. I suoi occhi neri privi di iride e pupilla lo spaventarono ancora di più.Tremò balbettando qualcosa privo di senso compiuto.

-Sbrigati Jarvi. Guadagnerai anche tu da quello che sta per accadere. Lei tornerà da te. Potrai amarla ancora in tutta la sua bellezza. I suoi capelli rossi e gli occhi verdi…tutto tornerà ad essere tuo, Jarvi. Dio non ti ha ascoltato, ma qualcuno lo ha fatto al suo posto.Avevi promesso che avresti fatto ogni cosa per lei. Qualsiasi. Lo vedi? Io ti ho ascoltato! Ti sto dando l’occasione che hai chiesto in lacrime! Ora porta con te il Grimorio,il Libro che ti ho lasciato, conducilo al luogo in cui è stato maledetto. E’ semplice. Io ti seguirò e ti illuminerò il cammino.- 

Jarvi si diresse verso il tavolo del soggiorno dove il libro lentamente si stava impaginando  mosso dal vento che insistente piombava in casa dalle finestre distrutte. Le lettere scritte nell’antica lingua norrena brillarono ancora del rosso bagliore di sangue e fuoco mutando radicalmente. Quello non era norreno, ma una lingua totalmente diversa. L’uomo poggiò le mani sul libro, accarezzandone la copertina grezza e incisa. Uno strano sorriso gli si dipinse sul volto indice di quell’euforia che senza motivo stava prendendo campo all’interno del suo corpo.  Era attratto da quelle pagine che iniziò a sfogliare. Le lettere erano come rialzate sulla pergamena indice di un denso inchiostro. Sì. Sangue, era proprio sangue , sangue che sembrava ancora vivo così tanto da tingergli le dita. Quelle scritte sembravano leggersi da sole all’interno della sua mente. Le labbra le ripetevano sommessamente. Il grosso libro si chiuse su se stesso.

-Tu non devi ascoltare la loro voce! Non ora!  Se non sai tenerli a freno saranno loro ad usare te e non il contrario! Tu mi servi vivo e libero!-
-Che cosa sono?-
-Spiriti maligni asserviti alla volontà di Lucifero, nostro Signore.Sono i tuoi futuri servi. Potrai usarli solo quando avrai compreso. Ora vai. Il sole non tarderà a sorgere! Questa notte è l’ultima!-

Jarvi strinse fermamente il libro fra le mani e senza esitazione si diresse all’esterno della sua abitazione. Non si curò minimamente del fatto che essa sarebbe rimasta in balia di quel vento gelido e di qualsiasi malintenzionato fosse stato nei paraggi. Aveva un crescente senso di potenza in se. Si sentiva forte oltre ogni limite. Quel libro aveva come potere superficiale quello di fare dell’uomo un essere superbo, di sottrargli la modestia e la bontà d’animo, controllandolo fino a trasformarlo in un  suo strumento. Poteva togliere importanza a qualsiasi ricordo , sostituendolo con la brama di piegare ogni cosa al proprio potere.
Il lago non era molto lontano e sarebbero bastati venti minuti di passo sostenuto per raggiungerlo. Jarvi si avviò verso quella direzione ignorando il divieto che aveva posto a se stesso di non calpestare più quel suolo. Ora quel senso incolmabile di mancanza era stato spento dalla prospettiva, no, dalla sicurezza di poter riavere tutto indietro.
I suoi passi però non erano nemmeno guidati dalla sua volontà. I suoi sensi erano ottenebrati dalla strana influenza di quella forza immane che poco prima aveva cercato di ammazzarlo. Era come muovere i propri passi in un sogno, niente sembra essere definito da contorni precisi. Più il lago si avvicinava più si faceva strada nella sua mente un canto corale di parecchie voci che si esprimevano in una lingua differente dalla sua, differente ma comunque resa famosa da film e canzoni. Indubbiamente era latino,l’antica lingua morta nata nel centro Europa. La lingua dei dominatori, la lingua della cultura antica, il veicolo con cui gli ecclesiastici si erano spinti in ogni angolo del mondo per portale la parola di Dio decisamente rimaneggiata a loro uso e consumo. 
Li avevano uccisi, tutti! 
Pensò quelle parole dopo aver visto di fronte a se una schiera figure emergere dalla notte. Dei contorni bianchi ed  evanescenti di sagome umane che si muovevano nelle tenebre senza nessuna destinazione. Erano loro a cantare quel coro.

“Dies Irae, dies illa
solvet saeclum in favilla:
teste David cum Sybilla.

Quantus tremor est futurus,
Quando judex est venturus,
Cuncta stricte discussurus.

Tuba, mirum spargens sonum
per sepulcra regionum
coget omnes ante thronum.

Mors stupebit et natura,
cum resurget creatura,
judicanti responsura.” 

Veloci immagini passarono di fronte al suo sguardo. Uno sterminio di massa di  donne e bambini. Le urla e i gemiti di dolore. I disperati vagiti. Tutto scorreva nella sua mente come un ricordo lacerante. Sentiva quel dolore e quel lamento crescere dentro di lui come se lui stesso lo subisse. I cavalieri dalla tunica bianca e la croce nera o scarlatta dipinta su di essa affondavano le pesanti spade nella carne di gente indifesa che tremante accettava la morte.
Il canto incessante delle figure eteree che camminavano attorno al lago si mescolava con i lamenti e le immagini delle persone uccise si fondevano con quelle sagome bianche che sfidavano il buio. 

-Ascolta il lamento di chi ha patito. Il sangue di innocenti avvelena queste acque dissacrate. E’ qui che ogni cosa dovrà essere fatta. E’ qui che lui vivrà ancora. -

Jarvi non riusciva a controllare più nulla di se stesso. Un gelido brivido pervase tutto il suo corpo. I suoi occhi. I suoi occhi non riuscivano a vedere altro che quelle nere acque tingersi di rosso. Le sue orecchie non riuscivano ad udire altro che quei lamenti. La sua pelle sentiva il tocco freddo di lunghe dita leggerissime sulle gambe, sulle braccia, come se esse si insinuassero sotto la pesante stoffa dei suoi vestiti.
Aprì il pesante libro col la spinta di due dita. Esso venne spaginato da uno strano vento e si aprì su una precisa pagina.
La voce di Jarvi iniziò a pronunciare quelle parole senza che lui nemmeno sapesse leggerle. Era lei a parlare per lui. Lei ad ordinargli ogni cosa . Non poteva opporsi. Continuava a parlare a voce alta recitando  quell’antica formula incomprensibile quando le acque iniziarono a turbinare. Erano pesanti, quasi fluide come vero e proprio sangue. Si conglomeravano in maniera decisamente particolare quasi volessero dare forma a qualcosa. 

-Lui è l’Abaddon che sorge dal sangue dei pozzi senza fondo degli inferi! Il degno erede del Male! Sarà il mio più potente servo!-

Fu le ultime parole che fu costretto a dire per conto di quell’orrenda creatura. Cadde a terra come svuotato da ogni forma di energia. 
-Rilassati Jarvi! Il tuo compito è quasi finito. Presto non sentirai più dolore. Lo vedi? La rivedrai molto presto. -

“Il Diavolo non mantiene mai le promesse”. Era un vecchio proverbio popolare che tante volte aveva sentito dire. Non pensava di doverlo verificare di persona.  Alla fine che cos’è il Diavolo se non la parte malvagia delle persone esasperata dall’incapacità di morire? Che cos’è quello spettro simile ad una donna atroce  se non il protrarsi dell’odio e del desiderio di morte che sopravvive alla vita stessa?  Sangue. Era quello che gli uomini volevano assolutamente veder scorrere per soddisfare quel desiderio selvaggio , quell’istinto bestiale di imposizione sugli altri.  Solo la legge del sangue e della morte regge a questo mondo. La sottomissione basata sul rischio di morire. Tanti pensieri inutili affollano la mente di una persona che sente la fine avvicinarsi inesorabile. Le illazioni più futili.
Il gelo che percorreva il suo corpo si fece bollente, come una fiamma che lo ardeva dall’interno. Un forte dolore lo pervase. Si dimenava come a volersene liberare ma non gli fu possibile. Era forse in quel momento che la sua esistenza sarebbe finita. Quella fiamma avrebbe bruciato ogni singola parte di lui. Il respiro si fece sempre più difficoltoso. Gli occhi non riuscivano a vedere nient’altro che buio, tutto scolorava velocemente.  Soltanto  una luce dapprima fioca si fece strada nel buio di quella notte che sembrava infinita.  Una luce che lo accarezzò come a volergli dare sollievo con il suo fresco tocco. Era come prendere un leggero sorso d’acqua fresca dopo una lunga camminata sotto il sole cocente. Quel bagliore quasi lo abbracciò liberandolo da quel peso opprimente che incatenava le sue membra. Gli occhi si fecero pesanti nonostante fossero ritornati a vedere quel poco che a loro era possibile in quella notte senza luna. Tutto poi divenne nero. Perse i sensi abbandonandosi completamente all’oscurità. 

Il sole gli ferì gli occhi con insistenza. Fu costretto ad aprirli e a lasciar trapelare la luce sulle sue iridi. Premette le mani sulla superficie dove era adagiato. Il morbido velluto consunto della poltrona? Fu stupito nel trovarsi lì. Alzò la schiena e diede  un veloce sguardo al vetro della finestra. Intatto.Era intatto! Era come se nulla fosse accaduto.  Il caminetto era oramai spento e rimanevano al suo interno soltanto i ceppi riarsi e ridotti a grossi cumuli di carbone. Sentì il rumore della chiave che girava all’interno della toppa  e si voltò a guardare Taina che lentamente apriva l’uscio e ne entrava. 

-Papà! Buongiorno! Pensavo fossi andato a lavorare! E’ una sorpresa vederti qui! Stai bene?-
-I-Io veramente…-

Si guardò intorno ancora stranito. Non riusciva a capacitarsi di quello che fosse accaduto. 

-Eppure erano completamente distrutte….-
-Papà, ora mi stai veramente facendo preoccupare. Non solo ti trovo qui in salotto a dormire alle nove della mattina ma ti ascolto mentre stai facendo discorsi totalmente sconnessi. Sicuro di stare bene?-
-Sì, non ti preoccupare, Taina. Va tutto bene. Ho solo passato una brutta nottata. Ho dormito e sognato veramente male.-
-Dovresti prenderti un po’ di pausa papà. Oggi lascia fare a Ingrid no?-
-No , assolutamente! Ingrid non può sobbarcarsi tutti i miei impegni. Devo andare ad aiutarla e soprattutto chiederle scusa per il fatto di non essermi presentato.-
-Andiamo papà, lei è la tua dipendente, è pagata per quello.-
-Lo so, ma anche io ho dei doveri. -

Jarvi abbozzò un sorriso, per poi avvicinarsi a sua figlia, abbracciarla e darle un bacio sulla fronte.

-Sei troppo piccola per capire le mie responsabilità. Tu piuttosto, hai dormito bene? Tutto bene da Helina?-
-Sempre le stesse cose papà. Abbiamo visto un po’ di tv, abbiamo ascoltato un po’ di musica e, beh, abbiamo parlato delle ultime avventure di Helina e il ragazzo che le piace, ma non lo sa. A me piace stare con lei, davvero. Ma a volte diventa pesante! -
-Sii tollerante figliola. Capiterà anche a te di doverle riferire le stesse cose che ora lei ti dice.-
-No. Io non mi innamorerò mai! Non mi piace l’effetto che fa.-
-Perché non lo vivi.-
-Ma poi quando finisce fa stare male. Mi ricordo ancora quanto hai pianto per la morte della mamma.-
-Ma prima che lei si ammalasse ero  la persona più felice della terra. -
-E questo ti basta?-
-Sì. Avrei preferito che fosse andata diversamente ma ci sono cose che non puoi cambiare. Tuttavia non posso dire che la mia vita non sia stata bella e felice. -
-Sei stranamente positivo questa mattina, papà. Sì , non sono più preoccupata adesso sono sconvolta.-
-Il brutto sogno di questa notte mi ha sconvolto, ma allo stesso tempo mi ha fatto pensare.-
-Allora deve essere stato proprio pessimo. Racconta.-
-Non ora, devo correre al bar, Taina. -
Stava per uscire di casa quando ripensò alle parole dello spettro. “La mia casa.” Sì, quello era stato solo un sogno però era ancora così vivido nella sua mente da fargli paura. Era una sciocchezza, ma voleva evitare di lasciare sola la sua bambina in quel luogo. Ritornò sui suoi passi e raggiunse Taina.

-Vieni con me, tesoro.-
-Perché?-
-Vieni a darmi una mano. Oggi è sabato e ci sarà un casino.-
-Papà sono appena tornata.-
-Andiamo!Almeno abbiamo un po’ di tempo da passare insieme. Ultimamente non riusciamo a parlare con te come vorrei. Dai.-
-E va bene. Ma mi lascerai il pc del retro bottega.-
-Affare fatto. Andiamo! -

Un ampio sorriso prese campo sul volto di Jarvi che aspettò che la ragazza uscisse per poi seguirla e chiudere la porta a chiave. Si allontanò con lei verso l’auto.
Prima di perdere di vista le finestre della sua abitazione gettò un ultimo sguardo. Gli parve di notare una tenda spostarsi come se qualcuno fino a poco prima stesse a guardare dietro di essa. Scosse la testa e sorrise ancora della sua stupidità. Si ripetè : Jarvi, sei uno scemo. E’ stato solo uno stupidissimo sogno!
Quando entrambi arrivarono al bar , Jarvi notò subito il malumore di Ingrid che era stata costretta a gestire tutte le colazioni da sola. 

-Alla buonora Jarvi!-
-Buongiorno anche a te,Ingrid.-
-Non fare lo spiritoso.  Qui c’è da spezzarsi la schiena, mica da ridere! Mi hai lasciata in balia di quei bifolchi della prima mattina. Non hai idea di quanto io abbia dovuto sforzarmi a non mandarli al diavolo. -
-Calma , adesso ci siamo noi. -
-Ah e poi un ragazzo mi ha chiesto di te.-
-Chi?-
-Un ragazzo non molto alto, un capellone anche abbastanza carino. Avrà poco più di trent’anni.-
-Non è facile identificare un ragazzo per la lunghezza dei suoi capelli da queste parti, Ingrid.-

Ingrid sbuffò, lanciando lo strofinaccio bianco nel lavello e allontanandosi di colpo dal banco. 

-Senti non sono in vena di scherzi. Non ho idea di chi sia quel tizio ma comunque ripasserà in serata. Ora se non ti dispiace mi prendo cinque minuti per andare alla toilette. -

Taina e Jarvi si guardarono con un sorriso esterrefatto dipinto su entrambi i loro volti. 

-E’ davvero incazzata, papà!-
-Stavolta gliel’ho fatta grossa. La conosco bene, fa sempre così. Le passerà.-

Jarvi riprese il suo lavoro con entusiasmo, aiutato anche da quel buonumore che di solito si ha quando un problema è stato risolto. Quando si è temuto il peggio ma grazie al cielo non lo si è dovuto vivere. Aveva avuto da fare parecchio con tutte le persone uscite in occasione della festa di Ognissanti.Nonostante il freddo e la neve si era mossa diversa gente. La sera tuttavia, era come sempre molto più tranquilla. Taina iniziava ad annoiarsi e sbadigliava sonoramente fissando lo schermo del pc che da un bel pezzo era fisso sull’home page di Facebook. 

-Che noia stasera però. Mi manca Ingrid e le sue sfuriate, sai papà?-
-Tieni duro. Abbiamo quasi finito. Un’altra oretta e ce ne andremo a casa.-
-Sì. Non vedo l’ora.-

Il biondo barista si sedette ad un tavolo e iniziò a fissare l’entrata oramai chiusa da tempo.  Non ebbe molto tempo per riposare, poiché dopo qualche minuto la porta si aprì ed entrò da essa un giovane uomo non molto alto con lunghi capelli biondo scuro perfettamente lisci e pettinati. Vestiva completamente di nero e denim scuro. Ai piedi portava un paio di leggerissime calzature quasi estive : un paio di sneakers.  Si avvicinò al tavolo e si rivolse direttamente a Jarvi.

-E’ lei Jarvi Raatinen?-
-Sì , sono io. Deve essere lei l’uomo che mi cercava questa mattina.-
-Sono io. Mi perdoni per la scortesia. Non mi sono presentato.  Mi chiamo Aleksandr Latvila.-
-Molto piacere Aleksandr. Prego, si sieda. -
-Grazie.-

Il barista con un cenno della mano invitò Aleksandr a sedersi nella sedia di fronte alla sua , accanto al suo stesso tavolo.  Il ragazzo si sedette composto e con un gesto del capo fece in modo che i lunghi capelli ritornassero a cadere perfettamente sulle sue spalle. Aveva dipinto sulle labbra rosse un sorriso simpatico.

-Posso sapere come mai mi cerca? -
-Niente di strettamente personale. Sono nuovo del luogo e sto cercando una sistemazione. Di solito nei luoghi pubblici è facile trovare buone indicazioni e notando la mal disposizione della signora presente questa mattina, ho preferito parlare direttamente con lei.-
-Sarei potuto essere antipatico anche io.-
-No, di solito i titolari di esercizi commerciali sono simpatici. Conviene loro esserlo. Il cliente è denaro no?-
-E’ vero. -
Jarvi sorrise rivolgendo lo sguardo a quei grandi occhi azzurri. Erano immensamente profondi e infusi di una calda dolcezza. Non lo conosceva, eppure quello gli sembrava un bravo ragazzo. 

-Allora sa darmi qualche indicazione?-
-Al momento non saprei, signor Latvila. Provvisoriamente potrebbe provare a chiedere una stanza negli hotel della zona. Di solito non ci sono tante prenotazioni in questo periodo. Non siamo ancora a Natale.-
-Capisco. Vedrò di fare un giro a controllare.-

Il ragazzo si strinse fra le sue stesse braccia e si strofinò gli avambracci in modo da riscaldarsi. Effettivamente rispetto al freddo che faceva era vestito con abiti poco pesanti e bizzarramente fuori moda. Il suo vestiario sarebbe potuto risalire agli anni sessanta. I pantaloni a vita alta che terminavano a zampa e coprivano quasi totalmente un paio di sneakers nere. Per non parlare poi del leggero giubbino di denim  posizionato sopra una maglietta nera , il quale faceva rabbrividire dal freddo solo a guardarlo in quella stagione.  

-Come mai è capitato qui a Espoo?-
-Vengo da Mikkeli. E’ parecchio lontano da qui. Ho voluto allontanarmi da casa mia in modo da poter costruirmi una vita senza rimpianti.-
-Hai litigato con i tuoi , vero? Oh scusi.-
-No, stia tranquillo. E’ meglio così. Non mi piacciono le formalità. Infondo sono più giovane di lei. Ho solo mia madre e con lei ho un bruttissimo rapporto. Ho deciso di voler smettere di soffrire e sono venuto qui.Sono una persona molto creativa soprattutto in ambito pittorico e musicale.-
-Un salto nel buio?-
-Sì. Qualcosa di simile.Ora cerco soltanto una sistemazione a poco prezzo e quindi un modo per ricominciare da capo e iniziare a sviluppare almeno una delle mie doti.-
-Sei qui da molto tempo?-
-No. Sono arrivato questa mattina.-
Jarvi riflettè un po’ e riuscì a trovare una soluzione per il giovane. Sorrise leggermente pensando alle conseguenze di quella proposta decisamente azzardata. 

-Senti, Aleksandr, giusto? Ho una sistemazione a basso costo in termini di soldi, ma che necessita di alta sopportazione. Hai presente la signora che ti ha accolto qui stamattina? Lei affitta delle stanze. Di solito sono destinate agli studenti del politecnico della capitale. Per questa notte potresti fermarti lì, che ne dici?-
-Per me va benissimo! Sono un tipo molto paziente.-

Il sorriso di Aleksandr prese campo sul suo volto divenendo ancora più dolce e simpatico. Jarvi non poteva lasciare in balia del freddo quel povero ragazzo : era troppo gradevole per soffrire e soprattutto gli ricordava troppo quello che era lui in passato. Un ribelle, scavezzacollo che piuttosto che cedere ai compromessi da fare con i genitori avrebbe preferito dieci, cento, mille volte morire di freddo per strada. Anche lui era scappato un paio di volte durante i primi tempi con Anja e se avesse potuto ritornare indietro lo avrebbe rifatto , esattamente come in precedenza.

-Le faccio uno squillo. Dovrebbe averne almeno una libera. Un suo inquilino se ne è andato dalla disperazione la settimana scorsa.-

Il sorriso di Aleksandr si trasformò in una sonora risata spontanea. 

-Beh, signor Raatinen, non creda di spaventarmi in questo modo. Lei non sa veramente cosa vuol dire vivere da una strega! Dovrebbe conoscere mia madre!-
-Povero ragazzo. Non voglio tornare ad essere nei tuoi panni. La mia era terribile, ma ti dirò, mai quanto Ingrid. -

Jarvi si diresse verso il retro bottega e avvicinatosi al telefono compose il numero di cellulare di Ingrid. Attese ben cinque squilli prima di ricevere una risposta da lei. 

-Pronto. Che c’è adesso Jarvi?-
-Parti prevenuta?-
-Con te è d’obbligo. So che sarà una grana.-
-Hai una stanza libera?-
-Vuoi trasferirti da me adesso?-
-Nemmeno morto. Però qui c’è un ragazzo che ha bisogno di una sistemazione per la notte. So che tu hai appena perso un inquilino e quindi mi sono rivolto a te. Allora? Hai posto per lui?-
-Se paga sì.-
-Quanto vuoi?-
-Settecento cinquanta euro al mese oppure duecento per una settimana.-
-Non ti sembra di esagerare? E’ un ragazzo solo senza ancora un lavoro.-
-Non mi interesso di casi umani, Jarvi. Se affitto una casa voglio essere pagata e non faccio sconti, quindi se gli sta bene , la cifra è quella, altrimenti non se ne fa nulla. -
-Lasciagli libera una stanza. Lo accompagno lì tra poco.-
-Ma gli sta bene il prezzo?-
-Sì, non ti preoccupare.-
-Se non mi paga…-
-Pago io. Basta che stai zitta.-
-Libero la stanza per stasera allora. Non farlo tardare tanto, che tra poco vado a dormire.-
-Va bene. Chiudo tra poco e lo accompagno.-

Jarvi chiuse il collegamento telefonico e sospirò rumorosamente. 

-Qualche problema?-
-No no, non ti preoccupare. Tutto nella norma. Taina, inizia a spegnere tutto. Chiudiamo e ti accompagno da Ingrid, ragazzo. -
Taina scese dalla seggiola posta nel retro bottega dopo aver avviato lo spegnimento del pc e iniziò a spegnere le luci. Aleksandr seguì i movimenti della giovane con lo sguardo , ma abbastanza distrattamente. Posò poi gli occhi su quelli di Jarvi .

-Grazie.Io pensavo che lei fosse gentile, ma non credevo così tanto.-
-No,non sono gentile, anzi: sono solo un vecchio che fa il suo dovere ossia dà una mano a chi è più giovane di lui. Mi sono trovato nella tua stessa situazione e fu difficile trovare qualcuno disposto a darmi una mano . Ho patito davvero tanto e se posso cerco di evitare ad altri quello che è toccato a me. Sei una brava persona figliolo.-

Il giovane rispose con un sorriso e abbassò gli occhi. Sembrava molto timido in quel momento, molto più di quanto pensava Jarvi mentre ci aveva appena parlato. Aveva qualcosa di dolce e infantile in quello sguardo caldo e leggermente triste, nonostante gli occhi azzurri come il vetro.  Jarvi si alzò dalla seggiola e andò a sistemare le ultime cose prima di chiudere. Dopo essersi accertato che tutto fosse pronto per la chiusura, prese dall’attaccapanni il suo pesante giaccone imbottito e lo indossò. Tornò un attimo alla cassa, doveva prendere qualche soldo. 
Anche Aleksandr si alzò dalla sua seduta e si avviò alla porta. Non aveva nemmeno un giaccone ma sembrava non interessarsi di quel freddo che una volta uscito gli avrebbe congelato le ossa.
Taina era già pronta davanti alla porta. Non ne poteva più di aspettare immersa in quella noia mortale.  Rivolse un breve sguardo  ad Aleksandr accompagnato da un sorriso imbarazzato. Non lo conosceva per niente e quindi quello fu un sorrisetto tipico di circostanza. Le avevano insegnato così. Però divenne più sincero non appena l’altro la ricambiò. C’era qualcosa di veramente bello in quel ragazzo di Mikkeli. Erano gli occhi forse , o il sorriso, o la timidezza non proprio tipica degli uomini di quel tipo. Taina aveva un sacco di amici simili a quel ragazzo con uno stile ribelle ed aggressivo che spiccava al primo contatto visivo, ma nessuno con quei modi di fare. Era convinta che ad un certo punto della vita l’uomo di si deve distinguere dalla donna adottando dei modi di fare bruschi e nettamente più diretti rispetto alle parole velate e graziose delle femmine, però  quell’atteggiamento dolce non le dispiaceva proprio. 

-Siete pronti ragazzi? -
Chiese Jarvi spegnendo l’ultimo interruttore  che attivò di conseguenza le luci notturne. Aleksandr annuì delicatamente mentre Taina si voltò ad aprire la porta. Aveva fretta come un detenuto che dopo anni si avvicina alla porta del carcere ed esce verso la libertà, difatti corse fuori fino alla macchina. Aprì lo sportello posteriore destro e fissando Aleksandr con un bel sorriso stampato in fronte lo invitò a salire con un gesto della mano. 

-Prego!-
-Grazie.-
Il giovane si sedette sul sedile ,come sempre attento alla compostezza e Taina chiuse lo sportello per poi aprire quello anteriore dedicato al passeggero e fiondarsi all’interno a corpo morto. Iniziò a premere i tasti dello stereo  facendo partire un pezzo di musica Death, prossima al Brutal estremo.

-Taina! Che casino!-
-E dai papà, che ti piace!-
-Aleksandr, perdonala.-
-No no, non si preoccupi. E’ il mio genere. -
-Meglio così allora.-
-L’ho visto subito che hai l’aspetto di un metallaro, Aleksandr.  Gruppi preferiti?-
-Tanti, troppi che non mi basterebbe la notte per dirteli.-
-Ottimo! Ho un sacco di amici che suonano e cantano! Se vuoi te li faccio conoscere! -

Jarvi rimase in silenzio ascoltando discutere gli altri due. Taina era inarrestabile quando si parlava di musica e sembrava che anche l’altro interlocutore ne fosse perfettamente informato. Accese l’auto e si diresse verso casa di Ingrid . Era già preparato all’oscena accoglienza che poi verificò essere tale. I modi bruschi della donna invece di migliorare, peggioravano quando si allontanava dal pubblico e in quell’occasione sembrava quasi che anche Aleksandr fosse diverso. Si rivolse a lei con un tono decisamente più freddo e distaccato rispetto a quello che aveva usato con Jarvi e sua figlia.

-Sarebbe questo il ragazzo di cui mi parlavi?-
-Sì…-
-Sono io. Mi presento : sono Aleksandr Latvila. Ho trent’anni e provengo da Mikkeli. Sono venuto presso di lei su indicazione di Jarvi Raatinen che ha segnalato i suoi alloggi come disponibili. Ho deciso dunque di sottostare alle sue convinzioni. Sono in un momento di evidente difficoltà soprattutto da un punto di vista logistico. Mi ritrovo senza un tetto sulla testa e in nome di questa mia necessità  sono disponibile a sottostare a tutte le sue disposizioni.-
-Ragazzo, ti hanno ingessato la lingua? Parli come se ti rivolgessi al Presidente del Consiglio. Non mi piacciono molto quelli artefatti come te, ma vedremo di andare d’accordo . L’unica maniera per non scontrarti con me è pagare sempre e regolarmente. Sono stata chiara? Non mi interessa conoscerti né tantomeno fare amicizia con te.  Abiterai nella stanza semi interrata. Porta con te la tua roba. Faccio strada. Sono stanca e voglio spicciarmi per poi andare a dormire.-
-Io non sono una persona artefatta. Non ci guadagno nulla ad esserlo. Amo il mio modo di esprimermi e di certo non lo cambierò per un suo consiglio espresso in maniera decisamente indelicata. Non sono nemmeno io interessato a conoscerla, anzi , se non avessi bisogno assoluto della sistemazione che mi offre , anche se molto cortesemente, l’avrei evitata indubbiamente. -
-Vuoi sfidarmi?-
-No, sono solo sincero.-

Taina e Jarvi osservarono la scena esterrefatti. Mai si sarebbero aspettati che qualcuno parlasse così chiaramente con Ingrid. Aleksandr era totalmente diverso da come Taina aveva immaginato che fosse, forse perché si era sentito oltraggiato o semplicemente perché oltre a non sopportare Ingrid, come era normale per ogni essere umano , non aveva peli sulla lingua. Più tempo passava e più quel ragazzo le piaceva. 
Jarvi dal canto suo, riusciva a stento a trattenere una risata. Era ora che qualcuno la sfidasse senza ironia ma con la pacatezza di un vero e proprio oratore. Il lessico di quel giovane lo aveva impressionato. Era di un livello decisamente più alto del suo e molto probabilmente indicava uno studio molto approfondito delle lettere unito ad una buona dose di retorica naturale. Però vi fu un gesto che colpì il barista : quando Aleksandr fece per varcare l’uscio della casa di Ingrid, i suoi movimenti si bloccarono. Non riuscì ad incedere come se ci fosse un muro tra lui e l’interno della casa. Lo vide alzare lo sguardo sull’architrave della porta. La domanda che fece dopo rese il tutto ancora più strano.

-Posso entrare in casa sua?-
-E me lo chiedi anche? Sei tanto intelligente ma non comprendi la lingua corrente? Entra, altrimenti per cosa mi paghi? Avanti.-
Dopo l’ultima parola di Ingrid, Aleksandr entrò all’interno della casa senza problemi. Eppure Mikkeli non era poi così lontana. Jarvi non pensava che esistesse quello strano uso da quelle parti. Allontanò quel pensiero inutile e si diresse all’interno anche lui seguito da Taina. 
Aleksandr fu accompagnato presso l’umido seminterrato. Era un monolocale dotato di una sola finestra minuscola posta ad almeno un metro e mezzo da terra. Le pareti erano ammuffite e l’intonaco si era scrostato vistosamente da esse. Il letto era da allestire e le lenzuola erano piegate alla meno peggio e poggiate sul materasso che aveva tutta l’aria di essere sfondato. 

-Fa come fossi a casa tua. Domani voglio essere pagata. Per stanotte dormi gratis. Non accetto ritardi però, ricordati.-

Aleksandr non parlò e si limitò a rivolgerle uno sguardo torvo, abbastanza eloquente di per se. Anche Taina scese le scale , curiosa di vedere la sistemazione che quella vecchia strega aveva rifilato al povero malcapitato. Si incrociò con Ingrid che saliva le strette scale per tornare nel suo appartamento. 

-E tu che ci fai qui, marmocchia. Tornatene a casa con quel lavativo di tuo padre.-

Taina fece finta di non sentirla e proseguì fino al monolocale. Trovò Aleksandr che si rifaceva il letto, lentamente e con maniacale precisione.

-Ehi, sei bravo anche a fare le faccendine . -

Il volto del giovane di Mikkeli era tornato ad essere dolce e delicato come prima. Rise sommessamente alla frase di Taina e per pochi secondi le dedicò uno sguardo.

-E’ una stronza vero?-
-Sì, è odiosa, ma tuttavia il mondo pullula di queste persone. -
-E’ sempre stata così , sai? Da quando lavora per mio padre ha sempre avuto questi modi di fare. Non so come abbia fatto lui ad assumerla.-
-Forse è brava nel suo lavoro.-
-No, credo lo abbia fatto solo perché è la cugina di mia madre.-
-E non la chiami “zia”?-

Taina sgranò gli occhi e sorrise sorpresa a quella domanda. 

-Zia? Quell’arpia? Assolutamente no. Preferirei chiamare “zia” la mia professoressa di letteratura- Dovresti sentire che stronza che è- ,che è di gran lunga più cordiale di Ingrid. Io l’ho sempre odiata. Andava d’accordo solo con mia madre che era più dolce dello zucchero. Lei e Ingrid si volevano molto bene. Mia madre era amata da tutti d’altronde. La cugina accettò di venire a lavorare qui da papà perché voleva avvicinarsi alla capitale. Con mio padre non è mai andata d’accordo, ma io sono dell’idea che un po’ lui le piaccia.-
-E manifesta il suo affetto in quel modo?-
-E’ solo un’ipotesi.-
Aleksandr puntò le lenzuola sotto il materasso e stese la pesante coperta di lana,  mentre un silenzio assoluto scese tra i due per qualche secondo. Fu proprio lui a riprendere la conversazione.
-Parlavi al passato di tua madre..-
-Sì, è morta.-
-Ti chiedo scusa. Non volevo portarti alla mente certi ricordi dolorosi.-
-No, tranquillo. Non è successo niente. E’ la realtà delle cose e devo farci i conti tutti i giorni. -

Taina si sedette su una vecchia poltrona consunta che stava a poca distanza dal letto oramai quasi pronto . Si sfregò le manine esili e vi soffiò un po’ del suo caldo respiro. Era freddo, un freddo gelido là sotto.

-Tu come sei messo con i parenti?-
-Ho solo mia madre e preferirei non averla affatto vicina.Anzi preferirei non averla mai conosciuta. Per il resto non ho idea di chi sia mio padre e i miei nonni non mi hanno mai apprezzato. Ora che mi sono allontanato credo di aver fatto un piacere a molti. Sono sempre stato indesiderato e fonte di disperazione in quella famiglia. Mia madre ha sempre cercato di comandarmi ma io non sono semplice da gestire. Voleva che facessi ogni cosa a modo suo senza donarmi in cambio nemmeno una carezza. Sono stato ubbidiente per qualche anno, sperando di ricevere almeno una vaga dimostrazione di affetto, ma non è mai avvenuto niente. -
-Nemmeno un abbraccio, una carezza?-
-No. Nulla. E’ per questo che spesso mi trovo a rimanere incantato di fronte all’affetto che i genitori normali nutrono per i loro figli, per esempio tuo padre mi ha colpito molto.-
-Sì, papà è molto dolce con me. E’ strano a volte e spesso non capisco che cosa ha in mente o che cosa gli succeda, però gli voglio bene esattamente così com’è.-

Si udì un rumore di passi che scendevano lentamente le scale.

-Andiamo a casa, Taina?-
-Oddio papà! Sono le due!! Domani ho la verifica!!-
-Colpa mia, ti ho trattenuta a chiacchierare.-
-No, ma che dici Alex? Va benissimo così! La prova è di letteratura e non prenderò comunque un voto buono, visto che la professoressa mi odia.-
-Io ti auguro buona fortuna comunque.-
-Grazie! Ah, è tanta buona fortuna anche a te! Non vorrei essere nei tuoi panni e dover convivere con quella strega.-
-Ho un alto tasso di sopportazione. Non ti preoccupare per me, Taina. Resisterò. -

Jarvi nel frattempo aveva segnato il suo numero di telefono su un foglietto bianco, mezzo strappato , raccattato  dalle scartoffie di Ingrid. Porse il piccolo pezzo di carta ad Aleksandr che lo prese e lentamente lo rigirò tra le mani.

-Se dovessi avere qualsiasi problema, non preoccuparti  a chiamare. Rispondo sempre, tranne alla notte che potrei eventualmente dormire.-
-Grazie ancora per la sua disponibilità. Vedrò di non disturbarla laddove sia possibile.-
-Facci sapere come stai, ogni tanto però.-
-Va bene. Mi farò vivo.Vi auguro una buona notte.-
-Buonanotte anche a te, ragazzo.-

Il sorriso dolce di Aleksandr si palesò di nuovo su quelle gradevoli labbra rosse . Gli occhi azzurri erano socchiusi mentre salutava padre e figlia. Gli altri due uscirono e si congedarono frettolosamente da quella belva di Ingrid  per poi ritornare a casa e godersi una notte finalmente tranquilla.
I giorni che trascorsero da quella sera furono relativamente calmi. Non ci furono grandi stravolgimenti. Jarvi si stupì persino del fatto che Ingrid non si lamentasse nemmeno un po’ della presenza di Aleksandr in casa sua. Il ragazzo di Mikkeli invece contattava spesso il barista e spesso lo incontrava anche per le scuse più sciocche. Tra loro si andava instaurando un rapporto sempre più forte, simile a quello che c’è tra un fratello maggiore e quello minore quando l’affetto dei genitori viene a mancare. Il grande inizia a proteggere il piccolo abbozzando un attaccamento simile a quello genitoriale. Non correvano molti anni di differenza tra i due. Jarvi aveva soltanto dieci anni più di Aleksandr ed era bello sentirsi almeno un pochino più giovane rispetto all’età che la routine quotidiana gli aveva fatto pesare e anzi accresciuto, divagando , tirando fuori argomenti classici dei ragazzotti che hanno tanto tempo da perdere: motori, musica e eventi, film d’azione che piacciono solo agli uomini e altre sciocchezze che lo facevano pensare in maniera ancora leggera. 
Aleksandr iniziava a farsi un nome dopo essere entrato a far parte di una piccola cover band . Era dotato di un talento naturale per la chitarra e sembrava averlo coltivato per anni. Era veloce e preciso e cosa ancora più bella, riusciva a reinterpretare ogni canzone attraverso un suo stile personale. Fu Jarvi stesso a consigliargli di scrivere musica. Aleksandr gli aveva raccontato di aver affrontato qualche anno di conservatorio e quindi non sarebbe stato difficile inventare qualche riff da accompagnare alle ottime rime che era in grado di scrivere. Sì , era  abile anche nello scrivere. Era abile in tutto quello in cui si cimentava e Jarvi era sicuro che avrebbe fatto strada . E fu così. Il suo primo componimento fu una canzone di stampo Death Metal che poi accompagnò ad altre tre tracce formando un vero e proprio EP che presentò ad una piccola casa discografica locale. Venne pubblicato e inaspettatamente ebbe un successo mai registrato da quel marchio di poco conto. Aveva scelto un nome che ben suonava per il gruppo formato da lui e  altri quattro ragazzi di Espoo : Child of Decadence. Il primo locale in cui Aleksandr si esibì assieme alla band esordiente fu proprio  quello di Jarvi che per l’evenienza era stato leggermente modificato in modo che assumesse le sembianze di un pub. Quella sera non si aspettavano così tante presenze  e furono colti impreparati. Fu una serata  come Jarvi non ne viveva da poco dopo che si era sposato. Non aveva rimpianti ovviamente. La sua famiglia era stata la cosa più bella che avesse potuto creare , però quegli eventi lo facevano tornare ragazzino.  Aleksandr aveva deciso di suonare una canzone molto amata da Jarvi : Raining Blood degli Slayer, per chiudere l’evento. Era un omaggio, come disse lui dal piccolo palco, alla persona che lo aveva motivato ad intraprendere quel percorso.
L’uomo fu commosso da quelle parole. Nessuno da anni aveva scelto di dedicargli qualcosa e soprattutto non di fronte a tutte quelle persone. Quando la musica si zittì e i riflettori si spensero, Aleksandr si avvicinò al bancone per consumare il suo solito bicchierino di Jack Deniel’s.  Fu in quel momento che pronunciò una frase che Jarvi comprese soltanto settimane dopo.

-Grazie del tuo aiuto, Jarvi.-
Sì, Aleksandr aveva iniziato a dargli del “tu” da diverso tempo ormai.
-Senza di te non mi avrebbe notato nessuno e starei ancora a morire di freddo in quella sudicia cantina.-
Entrambi scoppiarono a ridere e dopo qualche secondo Jarvi prese parola.
-Sono felice di averti aiutato. Lo rifarei cento volte. Sai non ho mai avuto un fratello e vedendo te , credo proprio che mi sarebbe piaciuto. -
-Jarvi… Nemmeno io ho mai avuto quella fortuna. Mi hanno detto che i fratelli si vogliono bene per tutta una vita indiscriminatamente. -
-Lo hanno raccontato anche a me e credo sia vero.-
-Ma tu , saresti capace di supportare una persona che non è  come credi?-
-Perché questa domanda?-
-Sono solo curioso.-
-Dipende in che cosa è diversa rispetto a quello che mi aspetto.-
-Se avesse sbagliato tanto da risultare una persona orribile per tutto il resto del mondo?-
-Cercherei di capire. Devi dirmi qualcosa?-

Aleksandr sorrise con la sua solita dolcezza e poi tornò ad abbassare lo sguardo, quasi si sforzasse di trattenere l’espressione degli occhi per non far capire qualcosa che si agitava in lui così tanto da voler fuoriuscire attraverso sguardi e parole. Jarvi rimase stupito e allo stesso tempo incuriosito da quella domanda che sicuramente non era fatta a caso.

-No. Tranquillo Jarvi. La mia era solo una curiosità.-

I suoi grandi occhi azzurri erano tristi. Sembravano quasi lucidati dalle lacrime. Sì, era palese che stava per mettersi a piangere da un momento all’altro. 

-Sei sicuro di stare bene?-
-Sì. Ne sono sicuro. Non c’è nulla che possa uccidermi.-

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