I HATE U OR NOT?

di Non ti scordar di me
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I HATE U OR NOT? ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro. ***



Capitolo 1
*** I HATE U OR NOT? ***



E poi per dei motivi poco chiari ti ritrovavi in una località sciistica con i tuoi migliori amici e con Damon. Chi è Damon? Oh, Damon è quel ragazzo dai capelli corvini e occhi azzurri che si sentiva un Dio sceso in terra solamente perchè si era portato a letto più della metà della fauna femminile presente a Mystic Falls - cittadina dispersa nel mondo -.
E io, invece, sono una normale ragazza che sfortunatamente era rimasta implicata in questo progetto architettato da quella mentecatta di Caroline. Aveva già pensato a tutto quella stronzetta. Non aveva pensato a cosa implicasse avere me e Damon - due persone che si odiano a vicenda dai tempi più remoti - sotto uno stesso tetto.
Non aveva minimamente pensato che uno dei due avrebbe potuto fare una brutta fine. Quel qualcuno era Damon, perchè io, Elena Gilbert, non sarei mai uscita dai gangheri e non sarei mai sbottata apertamente davanti a quel bastardo. Era una questione di principio.
Fin'ora eravamo resistiti tanto: più di dodici ore di viaggio insieme - senza contare che il mio posto in aereo era C22 e il suo era C21 - e da più di quarantotto ore eravamo arrivati e nessuno dei due aveva ucciso l'altro.
Era un miracolo, un'eccezione. Forse saremo riusciti a ritornare integri dalla nostra 'gita'. Ancora insulto Caroline per la sua brillante idea di unire le nostre cerchia di amicizia. Oh, certo, perchè io credevo alla sua versione del 'ho voluto solamente ampliare le mie amicizie'. Più che altro io avevo interpretato le sue parole come un 'Da una vita volevo essere la scopa-amica di Klaus Mikealson'. E chi era Klaus Mikealson? Il migliore amico di Damon Salvatore, fratello di Stefan Salvatore - mio migliore amico -.
Tra noi c'era quel rapporto odio-odio che faceva uscire tutti fuori di testa. Non potevamo stare in uno stesso posto, nè stare troppo tempo uno accanto all'altro.
«Meglio per te che concluda qualcosa con Mikealson. Non dimenticherò facilmente questo colpo basso.» Le dissi fermandomi sulla neve. Courmayer era una bellissima località sciistica in Italia, ancora non riuscivo a credere che avevamo pagato così poco per un viaggio. All'inizio stentavo a credere che Caroline avesse trovato un'offerta del genere, poi mi disse che se decidevano di fare veramente quel viaggio dovevamo prenotare con un anticipo di circa sette mesi.
Perciò io ero rimasta all'oscuro della presenza di quell'idiota di Salvatore a quel viaggio per più di sei mesi. Ancora mi sembrava strano che questo piano di Caroline sia riuscito alla perfezione, era il primo che andava a buon fine ma non era il primo che metteva in  atto.
«Fidati! Siamo già a buon punto!» Trillò lei contenta. Mi sistemai meglio sugli sci. Da lontano vedevo Stefan sfrecciare sugli sci, seguito dietro dalla bionda Rebekah Mikaelson - sorella di Klaus che mi era piuttosto simpatica -.
«Pronti per la pista?» Intervenne Klaus sistemandosi meglio la mascherina. Eravamo un gruppo di otto persone di cui due oggi si erano defilate per perdere tempo in giro nella città.
«Scendiamo!» Concordai sistemando al meglio il casco. Oggi c'era il sole e non c'era niente di meglio che passare una giornata di sci col sole. La parte peggiore di quella giornata era una: Damon Salvatore respirava e la sua presenza si faceva sentire.
«Gilbert, sei troppo lenta. Non ho intenzione di aspettarti.» Ridacchiò il corvino mentre mi superava con lo snowboard e girava lentamente il corpo per compiere una curva.
Stefan con accanto Rebekah mi pregava, letteralmente, con lo sguardo di non sbottare. Sbuffai e senza dire una parola mi feci avanti con l'intenzione di fargli vedere chi dei due era quello lento.
Aumentai la velocità sugli scii facendo diverse curve larghe e a sci paralleli. La tuta rigorosamente nera - era Damon - era poco più avanti di me. Allargai la curva ancora di più e gli tagliai la strada indirizzando gli sci verso la funivia.
Dopotutto le piste italiane erano le migliori, ma quella era una delle più semplici.
Sorrisi vittoriosa e lo osservai venire verso di me con un cipiglio sul volto.
«Rimarrai sempre una stronza.» Sputò acido slacciandosi uno scarpone e trascinandosi verso la funivia. Strisciò in avanti con lo skipass e si mise in coda. Osservai dietro di me gli altri e di sicuro non avrei aspettato loro per mettermi in coda. Mi feci avanti e mi accodai accanto a lui senza rivolgergli la parola.
Non ero una bambina, potevo stare in una stupida seggiovia con una persona che odiavo.
All'ultimo momento, quando ormai eravamo lì e a breve saremo dovuti scendere sul nastro trasportatore per sederci sulla seggiovia pensai bene di farlo andare da solo.
O almeno questo era il piano, se una signora non mi avesse rivolto la parola.
«Può andare lei.» Dissi facendo un segno col capo alla donna - che aveva almeno quarant'anni -. Lei in tutta risposta ridacchiò. Mi capiva? Fin'ora avevamo incontrato molti francesi e italiani, anche qualche inglese. Ma di americani ce n'erano pochi.
«Gentile da parte tua! Tranquilla vai col tuo ragazzo. Prenderò la prossima.» Mi comunicò con un sorriso. Sgranai la bocca e gli occhi. Sinceramente non avevo mai sentito una cosa del genere, fin'ora nessuno aveva mai scambiato me e Damon per una coppia.
Era impossibile. L'odio era sempre palpabile tra noi.
Le sorrisi soltanto, provando ad essere convincente e mi feci avanti affiancando il corvino che mi rivolse un'occhiata interrogativa vedendomi lì accanto a lui.
Sbuffai e mi tolsi gli occhiali dal sole, incastrandoli nel capello bianco che indossavo. Mi sistemai al meglio i capelli che mi erano andati sugli occhi e non appena gli sportelli elettronici si aprirono scivolai con gli sci sul nastro.
«Strano vederti qui. Accanto a me.» Tuonò Damon con la voce carica d'ironia. Lo ignorai e iniziai a guardare altrove, i miei occhi caddero sul cartello posto lì vicino.
Durata seggiovia: 2 min.
Sospirai sollevata. L'avevo sopportato per dodici ore di viaggio, sopportarlo due minuti non era un problema.
Il viaggio fu silenzioso, nessuno dei due spiccicava parola. Anche se a volte lo beccavo a fissarmi con aria imperturbabile - cosa che mi fece innervosire sempre più -. Mancava scarso un minuto e deglutii, mai sentita aria così pensante in una stupida andata in seggiovia.
Ero rimasta così rigida che neanche mi ero accorta di dov'ero seduta. I posti in seggiovia erano quattro e noi due eravamo finiti ai due al centro. Eravamo uno vicino all'altro, la mia gamba sfiorava la sua e le nostre spalle si toccavano.
Cercai di far finta di non notare quella vicinanza non troppo fastidiosa e mi concentrai su alto. La mia attenzione fu catturata da un fastidioso rumore che proveniva da chissà dove tra quegli ingranaggi.
La seggiovia dopo un po' iniziò a rallentare la corsa.
Porca miseria, dimmi che non sta succedendo a me. Pensai sedendomi meglio su quell'aggeggio infernale che non si accennava a muoversi.
«Cosa succede? Perchè diavolo siamo ancora qui dopo più di cinque minuti?» Sbottai infastidita. Erano passati già diversi minuti e la seggiovia non si muoveva.
«Forse si sarà bloccata, non credi?» Alle orecchie mi raggiunse la voce fastidiosa di Damon. Meglio di così non poteva andare, bloccata su una seggiovia con la persona che più odiavo al mondo. Ovvio, tutte ad Elena Gilbert. Tutte a me.
«Fa' qualcosa, Salvatore!» Gli dissi dandogli una pacca sulla spalla e guardandolo con aria minacciosa. Dovevo scendere da quel coso al più presto e allontanarmi da quell'essere insopportabile.
«Secondo te, cosa posso fare? Sono bloccato su una stupida seggiovia con una psicopatica. Cosa ne pensi? C'è qualcosa che potrei fare, se non buttarti giù?» Mi chiese acido squadrandomi con aria da saputello. Sospirai pesantemente. Non saremo mai riusciti a comprenderci.
«Potresti farti venire qualche idea! Chiamare qualcuno! NON NE HO IDEA!» Tuonai. Non sapevo neanche perchè mi stavo agitando, o meglio lo sapevo ma evitavo di darlo a notare con quell'idiota davanti.
«Dio, ma sei così ottusa? COSA CAZZO POSSO FARE?» Gridò sbattendo la testa con fare drammatico sulla seggiovia.
«VOGLIO SCENDERE DA QUESTA COSA.» Sbottai. Mi metteva l'ansia l'altezza. Mi metteva ansia stare su una seggiovia, erano degli oggetti precari che sostenevano tante persone. Troppe persone. E ora - per motivi a me oscuri - questa seggiovia non si decideva a concludere il viaggio e mi stava salendo l'ansia.
«Chiudi la bocca. La tua voce è fastidiosa!» Mi disse. Non replicai più, sospirai ancora. Stare sull'oggetto che odio più al mondo con la persona che odio di più al mondo, era buffo.
A pensarci bene quella era la prima volta che rimanevo da sola con Damon senza i nostri amici attorno. L'ultima volta era stata più di un anno fa, ovviamente sempre per merito di Caroline. Aveva organizzato una serata insieme e sfortunatamente c'era anche Damon.
Come si era conclusa la serata? Mi ero dimenticata che il corvino era stato invitato, così avevo portato una torta di fragole ricoperta interamente di panna.
E per sbaglio ne avevo offerto un  pezzo a Damon. Alla fine della serata, era in ospedale per una intossicazione alimentare.
Risi un po' al ricordo.
«A cosa pensi?» Mi chiese. Mi girai verso di lui e inclinai il capo. Mi stava veramente chiedendo una cosa del genere? «Sorridevi come un ebete.» Continuò come sempre offensivo.
«Pensavo a quando ti ho avvelenato con le fragole.» Risi apertamente questa volta. Quando successe, Damon mi aveva urlato diverse bestemmie. Mi aveva persino giurato di rovinarmi l'esistenza e di cambiare città di residenza per scappare dalla sua furia.
«L'ho sempre detto che sei una bastarda, a mia discolpa.» Questa volta non era offensivo, l'aveva detto in tono più sciolto e con molta calma. Alzai le spalle e provai a togliermi dalla faccia quel ghigno che si era dipinto però era praticamente impossibile.
«Ti devo ricordare di quando hai appiccicato ai miei capelli una gomma?» Era successo mentre eravamo ad educazione fisica. Ero assonnata e mi ero leggermente appisolata. Mi sono risvegliata con una gomma da masticare tra i capelli.
«Ti sei vendicata bene, però.» Ridacchiò. Per sua sfortuna in quel periodo stavano ritinteggiando casa. Una parete della sua camera era diventata di una bel lilla.
«Ancora non capisco come tu abbia convinto il ragazzo a tingere veramente quella parete di lilla.» Commentò. Sorrisi malefica, io me lo ricordavo perfettamente. Mi ero spacciata per la sua ragazza, sottolineando il fatto che mi chiamassi Vicky Donovan - la ragazza che aveva a quei tempi - e che volevo quella parete lilla.
«Senti, per colpa tua, sono andata in giro con dei capelli orribili per più di un anno.» Per riparare al suo danno mi ero tagliata i miei capelli poco sotto le spalle. E pensare che avevo dei capelli magnifici.
«A me piacevano.» Disse con voce ferma. Mi aspettavo una battuta acida su qualcos'altro che non andava in me, invece stette zitto.
«Comunque non ricordavo che fossi allergico alle fragole. Non sono così cattiva.» Gli confessai mordendomi un labbro incerta.
«Mi è difficile crederlo.» Sbuffò ridendo apertamente.
«Senti, sei tu che per qualche motivo ignoto mi detesti.» Gli dissi alzando le spalle e stringendomi nel mio posto.
«Vuoi farmi credere che mi odi, perchè io ti odio? Oh, che scusa inutile.» Cantilenò. In effetti non era per quello che lo odiavo, semplicemente detestavo quello che aveva fatto. Era più grande di me di due anni. Quando avevo dodici anni mi aveva letteralmente scaricato per altre amicizie - alias quello stronzo di Klaus Mikealson - e semplicemente mi era venuto quasi spontaneo odiarlo.
«Tu, stronzo bastardo, hai preferito Klaus a me.» Proruppi dopo minuti di silenzio. Vidi i suoi occhi stringersi in due fessure.
«NO. Sei tu che non volevi più vedermi. Devo ricordarti quando mi hai esplicitamente detto di andarmene da casa tua perchè c'era Blondie con te?» Scattò sulle difensive.
«L'ho fatto perchè tu mi hai scaricato il giorno del mio compleanno la sera precedente per quello stupido film d'azione con il tuo nuovo amicone Klaus! Pensavi che ti avrei fatto entrare in casa mia per darmi gli auguri con tre ore di ritardo?» Quella me l'ero segnata al dito.
Quel grande stronzo il giorno del mio tredicesimo compleanno mi aveva dato buca per vedere uno stupido film al cinema con Klaus.
«Ero venuto per chiederti di fare una merda di passeggiata. Ti volevo fare una sorpresa, ma tu sei troppo idiota per capire.» Sbottò.
Ammutolii. Dopo quella festa non gli avevo più parlato, e se l'avevo fatto era stato solamente per offenderlo e per ricordargli che era il peggior essere umano presente sulla terra.
 «Sorpresa?»
«Stavo preparando una cosa con Klaus, gli avevo chiesto una mano. Ma tu, presuntuosa e orgogliosa, mi hai mandato esplicitamente al diavolo.» Ricordava tutto alla perfezione. «Ho perso tempo in quegli anni. Essere amico di una donna equivale a una grossa perdita di tempo!» Tuonò ancora.
«Perdita di tempo? Quando ti aiutavo con le ragazze che già allora ti interessavano era una perdita di tempo,eh?» Mi piaceva aiutarlo e per aiutarlo intendevo provare a mettere una buona parola con quella ragazzi più grandi che a volte mi presentava.
Molte di loro mi scambiavano per la sorella.
«E' stato tutta una stupida perdita di tempo. Perdita di tempo la volta in cui ti ho insegnato a nuotare, perdita di tempo la volta in cui siamo andanti in bicicletta. Ho speso sette anni della mia infanzia dietro una stupida presuntuosa.»
«SONO IO CHE HO PERSO SETTE ANNI DELLA MIA INFANZIA DIETRO UN CASCAMORTO ROMPIPALLE.» Grugnii in risposta distogliendo lo sguardo dai suoi occhi.
Il mio sguardo cadde automaticamente giù e persi più di dieci anni di vita quando vidi a che altezza ci trovavamo e che la seggiovia ancora non si muoveva.
Oh Dio, quanto eravamo in alto!
«Gilbert non credo che guardare...» Posò una mano sulla mia spalla. Repentinamente alzai lo sguardo e mi scrollai di dosso quella mano.
«Chiudi la bocca. Non ho bisogno dei tuoi consigli!» Lo attaccai con il respiro che aumentava. Litigare era una delle nostre specialità.
«So che hai paura delle altezze...»
«Ho detto di chiudere quella bocca. Non c'è bisogno di ricordare quando a sette anni ti confidavo i miei segreti, okay?» Lo colpii alla spalla senza un motivo preciso. Sapevo solo che avevo voglia di dargli anche un pugno in faccia senza un motivo preciso.
«Ti è passata?» Chiese ancora.
«Sembra che mi sia passata questa paura idiota?» Urlai infastidita, fronteggiando il suo sguardo. Dio, com'erano belli quegli occhi!
«Non vuoi neanche una mano! Ma che cazzo hai?» Ringhiò.
«Cos'ho? Semplicemente mi dai fastidio. Mi innervosisci tu, la tua presenza, mi infastidisce la tua esistenza. In più siamo qui, bloccati in questa seggiovia, chissà a quanti metri di altezza! Sono bloccata in questa cosa che odio con la persona che più odio sulla terra!» Continuai a urlare frasi del genere, sentendomi sempre più leggera.
Avrei potuto continuare così ancora per molto, ma Damon posò le sue mani sul mio volto e si avvicinò repentinamente alle mie labbra.
Le sue labbra erano morbide e stavano sfiorando le mie, non riuscii neanche a formulare un pensiero sensato perchè il bacio era già diventato qualcos'altro rispetto ad un semplice sfioramento.
Una sua mano si era spostata dietro la schiena e spingeva verso di sè per avvicinarmi, l'altra invece era rimasta vicino al volto si era solo spostata di poco andando a giocherellare con i capelli.
Le mie mani invece reggevano le bacchette per sciare e le stringevo talmente forte da far diventare le nocche bianche. Non credevo veramente che lo stessi baciando.
In quel momento però dimenticai ogni mio pensiero razionale e mi abbandonai al suo bacio, lasciando che la sua lingua esplorasse la mia bocca. Morse lentamente il mio labbro inferiore e mi ritrovai a gemere in silenzio.
Mi sedetti meglio sulla seggiovia e girai completamente il busto verso Damon. Non c'era un motivo particolare sapevo solamente che in quel momento quella distrazione mi serviva. Lì, su quella seggiovia, con la tetra paura di morire da un momento all'altro ci voleva qualcosa con cui sciogliermi.
E Damon...Be', non pensavo che Damon potesse fare una cosa del genere.
«Siamo quasi arrivati.» Ansimò. Alzò la barra protettiva della seggiovia e io mi ritrovai a bocca aperta: non mi ero neanche accorta che fosse ripartita.
Rimasi indispettita pochi istanti e lentamente scesi di là andando verso destra. Damon mi fu accanto con il suo snowboard e si risistemò lo scarpone.
«ELENA!» La voce di Caroline mi arrivò dritta alle orecchie. «Dio mio, non pensavo si bloccasse! Tu...tutto bene?» Ormai un po' tutti sapevano di questa paura, di sicuro però non credevo che Damon se ne ricordasse ancora.
«Sto benone.» Assicurai loro, aspettando che si muovessero.
Klaus, ovviamente, stava seguendo Caroline con un cagnolino e Stefan e Rebekah erano diversi metri dietro di noi (Stef cercava di aiutare la bionda a rialzarsi dalla neve).
Damon, nel frattempo, aveva finito di aggiustarsi lo scarpone e stava per muoversi. Sospirai e gli presi il polso bloccandolo.
Mi guardò leggermente confuso e aggrottò le sopraciglia.
«Grazie, Damon.» Dissi in imbarazzo. Era la prima volta dopo anni che mi rivolgevo a lui - ad alta voce - usando il nome e non il cognome.
Strano, ma il corvino non rispose acido e non mi ignorò. Sul suo volto non si formò quel ghigno idiota, si formò solamente uno dei suoi vecchi sorrisi.
«Quando vuoi, 'Lena
Aveva usato il vecchio sopranome.
Ora sì che la situazione stava cambiando.
 









Non ci credo di aver pubblicato questa OS - che giudico leggermente penosa - e credo che la cancellerò a breve sia perchè non mi convince sia perchè non è nel mio stile.
Non ho mai scritto di personaggi i cui loro problemi sono cose da veri adolescenti, così è uscito fuori questo obbrobrio. Magari se vi piace potrei rendere questa OS, una long su questo 'odio'.
Ci sentiamo alle recensioni (sperando che ce ne saranno).

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


48 ore prima.
 
Erano le quattro del mattino.
Cosa fanno le persone alle quattro del mattino? La maggior parte dormivano – le persone normali. –
Poi c’erano altre persone. E per ‘altre persone’ intendevo persone anormali – CAROLINE -, persone affette da megalomania – CAROLINE -, persone affette da perfezionismo – AVEVO GIA’ NOMINATO CAROLINE? – e infine c’erano persone sfigate che avevano come un’amica anormale megalomane e perfezionista – QUELLA SFIGATA ERO IO. –
Perché ero sfigata? Perché ero amica di Caroline, la stessa Caroline che mi sta urlando di salire in macchina perché stavamo già facendo ritardo sulla sua scaletta.
«ELENA! MUOVI IL CULO E SALI!» Stefan – quel povero succube – sorrideva dall’abitacolo e mi faceva segno di salire.
Ancora mi chiedo perché abbia accettato di partecipare a questa gita infernale in capo al mondo.
Velocemente carico nel bagagliaio la mia valigia che non pesa più di 15 kg e la mia borsa la porto con me.
Mi siedo dietro insieme a Bonnie e Jeremy. Feci segno a Stefan di partire e sospirai.
«Care, non sei felice?» Chiese Bon che si stringeva sempre più a Jeremy.
«Non la smette di rompere da settimane con la storia di Klaus.» Aggrottai le sopraciglia e mi concentrai maggiormente su quello che dicevano. Caroline non mi aveva assolutamente detto niente di progressi con Mikealson.
Sapevo solamente che tra i due da più di due anni la situazione era sempre la stessa, uscivano insieme ed erano diventati ‘amici’.
«Cosa non mi hai detto?» Chiesi divertita ammiccando. Stefan distolse un momento lo sguardo dalla strada per lanciare un’occhiata interrogativa alla bionda che iniziò a ridacchiare.
«Merda, non gliel’hai ancora detto?» Grugnì.
Cosa non mi aveva ancora detto?
«Caroline cosa non mi hai detto?» Diedi voce ai miei pensieri rivolgendo un’occhiata a Bonnie e Jeremy che non spiccicavano parola ed evitavano ogni mio sguardo.
«Elena non mi avevi detto di essere assonnata?» Provò a distogliere l’argomento. «Mancano ancora qualche kilometro a New Orleans, perché non riposi?» Continuò con uno sguardo da finta innocente.
«E se invece mi spiegassi cosa sta succedendo?» Replicai piccata.
«Non ti ha detto che Klaus verrà con noi?» Intervenne Bonnie mandando un’occhiatina alla bionda.
«Sapevo che era stato invitato con la sorella, Bekah.» Dissi incerta. Caroline mi aveva detto fin da subito che aveva organizzato questa gita – se così volevamo definirla – con la famiglia Mikealson.
«Allora è tutto okay!» Proruppe Caroline con un’alzata di spalle.
«Non intendevo…» Titubò Stefan. «Ouch…Ah, gliel’hai detto?» Cambiò argomento.
«Sapevo della presenza dei Mikealson da almeno sei mesi.» Dissi seria squadrandoli uno per uno. Mi ricordavo ancora quando Caroline era venuta da me urlando.
 
«ELENA! HO UN’IDEA GENIALE!» Mi urlò correndo verso me e Bonnie e sbracciandosi come se non ci vedesse da una vita.
«Fammi indovinare…» Feci finta di pensarci su prima di continuare. «Hai un’idea di come diventare scopa-amica di Klaus Mikealson?»
«NO.» Rispose secca.
«Hai un’idea di come uscire dalla Niklaus’ Friendzone?» Riprovai, scatenando le risa di Bonnie.
«NO.» Mi colpì con dei foglietti arrotolati e poi me li porse.
«Dimmi che questo piano non va contro le leggi americane?» Continuai a prenderla in giro, dando un’occhiatina ai fogli.
«Un viaggio? In Italia?» Commentai con la bocca spalancata.
«NON E’ UN’IDEA GENIALE?» Quasi urlò mentre io e Bonnie ci lanciavamo un’occhiata spaventata.
«Fammi capire…Ti ho chiesto, gentilmente, di non creare piani assurdi che vanno contro le leggi americane e tu crei un piano che si svolge fuori dal nostro continente?» Le chiesi con stizza.
 
«Elena! Cosa stai pensando?» Mi riscosse Jeremy. Scossi leggermente la testa prima di sbuffare e osservare la strada.
Il cartello ‘New Orleans’ era enorme e sulla strada non c’erano molte macchine, tranne il SUV nero che ci seguiva a ruote – probabilmente era la macchina dei Mikealson –.
«Sto pensando che sono le cinque meno un quarto del mattino e io sono una macchina con una maniaca che stamattina ha minacciato di – cito testualmente le sue parole – venire a prendermi a calci in culo se non mi fossi mossa.» Dissi ridacchiando.
Scoppiarono tutti a ridere e finalmente mi rilassai. Era una vacanza perfetta, due settimane in un magnifico chalet in una piccola cittadina italiana. Cosa c’era di meglio?
Stefan era appena entrato nell’aeroporto e per la prima volta mi venne un dubbio.
«Dove lasciamo la macchina?»
«Qui.» Disse Caroline con una scrollata di spalle e indicando due posti liberi nel parcheggio dell’aeroporto.
«Secondo te, possiamo sostare qui due settimane?» Le chiesi ironica.
«Esistono dei pacchetti all inclusive, sai? Abbiamo compreso il parcheggio e il volo andata e ritorno.» Mhm, aveva pensato proprio a tutto.
«Sarà un viaggio lungo.» Aprii lo sportello e mi stiracchiai leggermente.
Dal SUV uscì Klaus e notai che Rebekah non uscì dal posto passeggero principale. Perché si era seduta dietro?
Tutte le domande che mi vennero in mente in pochi istanti trovano risposta non appena vidi una terza persona uscire dalla macchina.
Un ragazzo di altezza media, dai capelli corvini era appena uscito e si stava avviando verso il bagagliaio dell’auto.
Rimasi momentaneamente senza parole. Incontrai il suo sguardo pochi istanti dopo e rimanemmo così, in silenzio, per diversi minuti.
Quando realizzammo che non era un sogno, a grandi passi ci avvicinammo uno all’altro. Eravamo a pochi centimetri l’uno dall’altra e nessuno dei due accennava a parlare.
«Cosa cazzo ci fai tu qui?» Urlammo contemporaneamente. Nel frattempo Stefan si avvicinava a Rebekah e Caroline si nascondeva dietro Klaus che a sua volta provava a nascondersi dietro la macchina.
«Cosa cazzo ci faccio io…» Perché stavamo parlando insieme?
«Non parlare mentre parlo io!» Lo interruppi bruscamente. «Perché sei qui?» Gli chiesi con un mezzo sorriso.
«Non è questa la domanda giusta. La domanda giusta è perché sei tu qui!?» Continuò.
«KLAUS!»
«CAROLINE!»
«SMETTILA DI PARLARE!»
Perché stavamo parlando contemporaneamente?
«Damon, calmo!» Intervenne Caroline.
«Senti, Blondie, devi dire grazie se non ho con me niente che possa ferire entrambi.» Grugnì Damon.
«Senti, Salvatore, non parlarle con questi toni! Qui siamo tutti tra amici, sei tu che scocchi!» Gli urlai con un sorrisetto da stronza in faccia.
«Fino a prova contraria, Klaus è il mio migliore amico, Stefan è mio fratello e Rebekah è una delle persone meno detestabili che conosca.» Replicò sarcastico.
«Il vostro è uno di quei rapporti strani e divertenti?» Intervenne Jeremy che poveretto non sapeva del mio odio sviscerato verso Damon Salvatore.
«Hai presente quei rapporti amore-odio?» Jer annuì. «Ecco il nostro è simile, però senza amore.» Continuai. Il sorriso del ragazzo scemò lentamente e dopo pochi secondi scoppiò a ridere divertito.
Io non stavo scherzando.
«E’ un rapporto odio-odio.» Si mise in mezzo il corvino con la sua voce insopportabile.
«Sei qui da pochi minuti e già mi stai rompendo le palle!» Gli feci notare sbuffando.
«Sei qui da pochi minuti e già stai parlando come una scaricatrice di porto. E’ una qualità naturale o sono io che tiro fuori questa parte di te?» Commentò ironico.
«Mi spiegate dove le prendete l’energie per litigare alle cinque del mattino?» Entrambi rivolgemmo una mezzo occhiata a Stefan che aveva tirato fuori i bagagli dalla macchina.
«Caroline, io e te dobbiamo parlare.» Proruppi afferrando la mia valigia. Con la mano libera afferrai la mia amica che goffamente trascinava la sua mega valigia azzurro pastello.
«Perché quel coso è qui?»
«Si chiama Damon.» Ridacchiò lei.
«E’ la stessa cosa.» Costatai scrollando le spalle.
«Allora, Klaus mi ha fatto intendere che non si sarebbe mosso senza Damon. Perciò visto che sai della mia sbandata colossale per lui non potresti…» Sbuffai vistosamente.
«Sopportarmi un coglione per più di due settimane?» Sbottai infastidita continuando la sua frase.
«Esatto.» Disse con un mega sorriso.
«Mi stai, veramente, chiedendo di sopportare Damon Salvatore per due settimane?» Le chiesi.
«Sì.» Mi liquidò tirandosi fuori da quella situazione scomoda. Si precipitò all’entrate dell’aeroporto e osservai i miei amici seguirla velocemente.
Mi inumidii le labbra e mi feci coraggio. Non devo per forza rivolgergli la parola. Mi feci coraggio.
Aprii la porta e nel momento in cui stavo per entrare qualcuno mi venne bruscamente addosso colpendo la mia valigia.
«Gilbert sei ingombrante.» Sbuffò cercando di liberare la sua valigia dalla mia. La sua rotella si era incastrata a quella del mio trolley.
«Disse il ragazzo che a dodici anni mi chiese di iscriverlo in palestra perché pensava di essere fuori forma.» Ancora devo capire come faceva un dodicenne ad essere fuori forma! Aggiunsi mentalmente.
«Dice questo la ragazza che sta bloccando l’entrata di un aeroporto!»
«Salvatore, posso continuare così per tutta la giornata. Chiudi quella bocca.»
Seriamente dovevo passare più di dodici ore con lui in uno stesso luogo? E soprattutto, seriamente, dovevo passare con lui due settimane?
«So di essere particolarmente affascinante anche alle cinque del mattino, ma ti dispiacerebbe aiutarmi con la tua stupida valigia?» Tuonò pochi minuti dopo. Già, non riusciva a disincastrare le nostre valigie.
«Tu mi sei venuto addosso. Tu ti arrangi.» Replicai. Damon stava per replicare ma il mio cellulare iniziò a squillare insistentemente per la terza volte nel giro di pochi istanti.
«RISPONDI A QUEL MALEDETTO CELLULARE!» Quasi gridò. Ci eravamo di poco spostati dall’entrata e Damon era ancora alle prese con le valigie.
«Chiudo la chiamata e ti aiuto, visto che è più che ovvio che non ce la farai.» Sbottai avvicinandomi e chiudendo seccamente la chiamata – ovviamente era di Caroline.
«Idiota, c’è un chewgum appiccicato alla tua valigia!» Notai accovacciandomi e prendendo dalla borsa un fazzoletto.
«Possibile che queste cose capitino solo a te?» Sbottai. Mentre toglievo il resto della gomma da masticare dalle ruote delle valigie – così sarebbe stato più semplice – un telefono iniziò a squillare.
Chi potrebbe mai chiamarlo alle cinque del mattino?
«Ehi…Dio, come sei petulante!» Alzai il viso e vidi il corvino porgermi il cellulare.
Vidi il numero che lampeggiava sul cellulare: Klaus.
«Klaus?» Chiesi incerta. Perché passarmi il cellulare se era il suo amico?
«NO. SONO LA TUA AMICA, STRONZA!» Oh Dio. Ora capivo perché si voleva sbarazzare velocemente del cellulare!
«Caroline ho avuto qualche contrattempo. Sai, un idiota ha incastrato la mia valigia nella sua.» Afferrai la valigia e alzai gli occhi al cielo.
«MUOVETEVI. NON HO INTENZIONE DI PERDERE IL VOLO. VI LASCIO QUI.»
Chiusi la chiamata e restituii il cellulare al corvino.
«Muoviti.»
«Sei una despota.»
«Zitto e cammina.»
«Sei una dittatrice.»
«Zitto e cammina.»
«Sei una tiranna.»
«E tu sei un bastardo dittatore rompipalle, ma non te lo ricordo ogni due secondi!» Tuonai, continuando a camminare dritto.
Un lungo viaggio. Sarà un lungo viaggio.
 
 




Strano ma ho deciso di continuare questa cosa e il merito è vostro e dei vostri gentili commenti. Spero che vi facciate vive e che, boh, mi convinciate ancora a continuare.
Grazie a tutte, ragazze.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre. ***


Capitolo Tre.
 
«Il tuo posto, ‘Lena?» Mi chiese Caroline che non osava mollarmi il braccio. Si era ancorata a me da quando li avevamo raggiunti all’imbarco dei bagagli.
Di una cosa ero certa: non avrei mai più messo piede in quell’aeroporto. Non dopo la figuraccia che mi avevano fatto fare.
 
«VOLETE FARMI PERDERE IL VOLO?» Aveva strillato quando aveva avvistato me e Damon da lontano avvicinarci. Sbuffai vistosamente e mi avviai verso la mia amica, sperando che non mi facesse una delle sue solite ramanzine.
Sfortunatamente – o per la stanchezza o per il fatto che erano le cinque del mattino e io ero già di cattivo umore – non prestai attenzione a dove mettere i piedi.
E questa fu la buona volta che quel rompipalle di Salvatore mi investì completamente. Caddi – detto gentilmente – di culo a terra e ad ammorbidire la caduta ci pensarono le mie mani.
«Potresti anche aiutarmi, eh?» Il corvino sbuffò e lasciò la presa sulla sua valigia. Mi rivolse uno sguardo interrogativo e non ci pensò due volte: per un momento mi stavo, persino, ricredendo su di lui.
Poi, avevo visto che non mi stava porgendo la mano per rialzarmi ma stava semplicemente prendendo il suo zaino che gli era caduto di spalla nella piccola collisione.
«Peggio di un uomo di Neanderthal.» Commentai alzandomi da sola e rifiutando categoricamente l’aiuto di Caroline e Bonnie.
«Disse la ragazza che a dodici anni mandò a cagare uno dei miei amici. Non voglio nemmeno ripetere quello che hai detto.» Disse sfoggiando uno dei suoi sorrisi innocenti. Ancora non capivo come le ragazze ci cascavano sempre. Solo con me era un essere freddo, stronzo e con dei modi di fare degni di un uomo preistorico? O forse questo comportamento affascinava tutta la fauna femminile di Mystic Falls?
«Fino a prova contraria quel ragazzo ti aveva pestato il giorno prima.» Risposi acida spostando meccanicamente le mani sui miei pantaloni.

I ragazzi intorno a me mormorarono qualcosa di incomprensibile, mentre Klaus aveva la bocca spalancata e tratteneva a stento le risate.
«Non ricordo di aver chiesto il tuo aiuto.» Replicò Damon incrociando le braccia al petto con fare saccente.
«Io ti volevo aiutare, infatti.»
«NON AVEVO BISOGNO DEL TUO AIUTO!» Urlò. Diverse persone si girarono per guardarlo e alzai gli occhi al cielo quando notai come un paio di ragazzine stavano ridacchiando a quella scenetta.
«Ah no? Ne sei sicuro? A me sembrava il contrario.» Sputai acida. A quei tempi avrei fatto di tutto per Damon, in fondo era il mio migliore amico – questo quando ero ancora una giovane ed infantile bambina – e mi infastidì parecchio che qualcuno lo avesse pestato.
«Non ti avevo chiesto di difendermi. Sei tu che dispotica come al solito hai fatto di testa tua. Ancora non capisci che non avevo bisogno di TE?»
«Senti, brutto bastardo, chiudi la bocca. Ti volevo aiutare perché non mi andò giù la scena a cui avevo assistito, okay? Non amo vedere tre ragazzi che pestano un ragazzo più piccolo okay?» Avevo iniziato anche io ad urlare.
«Se l’ho fatto ci sarà stato un motivo.» Costatò con uno stupido sorriso.
«Scusate…A noi non interessa sapere la vostra infanzia insieme, noi vogliamo solamente andare in Italia e passare una vacanza pacifica insieme.» Intervenne Jeremy con una voce calma e pacata.
Tutti – e quando dico tutti intendevo tutti tutti – si erano girati verso di lui con espressione schifata.
«Ehii, io voglio sapere perché lui è stato picchiato!» Un momento…Questa voce non era di Caroline, né di Bonnie e tantomeno di Rebekha.
Una ragazzina era seduta dietro di noi e sorrideva divertita.
«Ritorna a giocare con le barbie, piccola…» Non riuscii a completare la frase, Jeremy posò istantaneamente una mano sulla mia bocca e con un’occhiataccia m’intimò di stare zitta. Scrollai le spalle e mi liberai della sua presa.
«Mi spiace, siamo in ritardo per il volo.» Dissi gentilmente stringendo la valigia e dirigendomi verso Caroline che aveva un sopraciglio alzato e mi guardava con aria da saputella.
«Cosa c’è ancora?» Sbottai.
«Ora ESIGO di sapere il CONTINUO.» Sia io che Damon deglutimmo e avevamo la bocca spalancata.
«QUESTA NON E’ UNA FICTION! E’ LA MIA VITA. LA PARTE PIU’ OSCURA DELLA MIA VITA.» Mi resi conto solo dopo di aver attirato l’attenzione di troppe persone, però non ricevetti gli stessi sguardi che aveva ricevuto Damon. Questi mi guardano infastiditi.
«Allora diventerò produttrice della nuova fiction Elena’s Life.» Decretò alzando le spalle Caroline.
«Dio, Damon di’ qualcosa.» Dissi stizzita.
«Il giorno prima era a quel parco e uno di loro…» Lo guardai pochi istanti, non capendo cosa stava dicendo. «L’aveva infastidita, l’ho trovata in lacrime…E a quel tempo ci tenevo a lei. Fine della storia, ora Blondie puoi continuare a scrivere questo racconto autobiografico della tua migliore amica.» Continuò acido.
Ci stavano fissando tutti con circospezione. Era strano che Damon avesse detto…quello che aveva detto. Faceva strano anche a me sentirlo.
«Un momento…A te ha dato fastidio che è stato picchiato da quei tre? Hai detto che erano più grandi di lui, perciò tu eri ancora più piccola.» Considerò Rebekha ad alta voce.
«M’immagino un’Elena dodicenne che manda a cagare questi sedicenni.» Stefan rise ancora di più e io alzai gli occhi al cielo.
«I MIEI FEELS!» Tuonò un’altra voce. Quella ragazzina teneva in mano una rivista e gli occhi le si erano illuminate.
«I tuoi cosa?» Chiese Damon confuso.
«ODDIO, SALITE IN CIME ALLE MIE OTP!» Continuò con un enorme sorriso in volto.
Quel corpo era posseduto da qualcuno, senza ombra di dubbio. Non poteva essere normale quella ragazzina.
«Noi stiamo perdendo il volo.» Sollecitai gli altri a muoversi. E mentre camminavo notavo come le persone ci stessero fissando alcune con un mezzo sorriso in volto, altre con espressione disgustata.
Un’altra cosa certa? Non avrei rimesso piede in quell’aeroporto. Non dopo quello spettacolino.
 
«Elena, il tuo posto è C22.» Era un paio di posti dietro di lei che aveva scambiato il suo posto con quello di Stefan per sedere vicino a Klaus. Mi sedetti al posto – vicino al finestrino – e appoggiai la borsa sotto i miei piedi, ma prima estrassi un libro e il mio ipod. Avevo da fare più di dodici ore in quell’oggetto infernale tanto valeva mettersi comodi.
Infilai le cuffie e partì la prima canzone della mia playlist che contava più di duecento canzoni.
«SEI TU?» Una mano picchiettava gentilmente sulla mia spalla e senza pensarci mi girai e mi sfilai una cuffia. Spalancai la bocca quando vidi che la ragazza che sedeva accanto a me era la stessa ragazzina impazzita di mezz’ora fa.
Quella ragazzina fuori di testa che aveva iniziato a urlare frasi sconnesse tra loro quando aveva realizzato che Damon mi aveva aiutato – molto tempo fa –.
«Non hai una famiglia?» Brontolai sconsolata. I posti in quell’aereo erano a tre e speravo ardentemente di avere un terzo compagno di viaggio normale.
«OVVIO. Però siedono là – m’indicò una coppia di signori seduti diverse postazioni dietro di noi – e il mio posto è qua.» Mi spiegò calma.
«E non hai pensato di scambiare il posto con qualcuno che aveva i posti lì vicino? Potrebbe essere molto proficuo sai?» Proficuo per te che arriverai sana e salva a destinazione. Pensai con un mezzo sorriso, evitai comunque di dar voce ai miei pensieri.
«Sinceramente non ho intenzione di passare più di dodici ore in un aereo con i miei genitori accanto.» Mi rivelò ridacchiando.
Fa che il terzo compagno sia normale, fa che il terzo compagno sia normale. Pregai in silenzio. E tutte – tutte – le mie speranze si sgretolarono.
«E’ questo il C23?» DIO MIO, NO. NON POSSO AVERE QUESTA SFORTUNA. Damon Salvatore stringeva il suo zaino in spalla e sgranò gli occhi vedendomi lì.
«Uh, scu-scusami…Mi sono seduta qui ma il mio posto era C24. Vuoi sederti accanto a lei?»
«TU NON TI MUOVI DA QUI.» Urlammo contemporaneamente.
«Se vi infastidisco, posso cederti il mio…» Insistette la ragazzina con un sorriso in volto.
«NO. Tu RIMANI QUI.» Le presi repentinamente la mano e sforzai un enorme sorriso. Damon scrollò le spalle e si sedette – alla fine – al C25.
I primi minuti furono di completo silenzio: io sbuffavo spazientita, Damon alzava gli occhi al cielo e quella ragazzina ci guardava come se fossimo due cagnolini di labrador appena nati.
«Avvertiamo i signori passeggeri che il volo sta per cominciare. Allacciare le cinture, spegnere i vostri dispositivi elettronici, le hostess vi illustreranno le uscite di sicurezza.» Disse il comandante, mentre una hostess dai capelli scuri iniziò a parlare con voce dolce – sembrava una cantilena –.
«Buon viaggio, signori.» Riprese il discorso non appena quell’hostess si era allontanata dal centro dell’aereo e aveva finito la dimostrazione su come indossare le mascherine con ossigeno in caso di problemi.
Chiusi leggermente gli occhi e infilai nuovamente nelle orecchie gli auricolari, sperando che quel viaggio filasse tutto liscio.
«Posso farvi una domanda?» La voce incredibilmente fastidiosa della ragazzina arrivò alle mie orecchie come un fulmine a ciel sereno.
Non ero riuscita neanche a finire di sentire una stupida canzone!
«Chiedila a lui.» Risposi acida. Il corvino sgranò gli occhi e chiuse meccanicamente il libro – su chissà cosa – che stava leggendo.
«Posso?» Chiese la ragazzina sistemandosi i capelli ricci dietro le spalle.
«No.»
«Posso?» Insistette ancora.
«No.» Replicò ancora, e ancora e ancora. Erano andati avanti così per circa dieci minuti e passa.
«Dio mio, parla!» Sbottai togliendomi con stizza gli auricolari.
«Com’è nato tutto?» Aggrottai le sopraciglia e inclinai leggermente la testa. A giudicare dal volto di Damon, anche lui non aveva idea di cosa ci stesse chiedendo quella ragazzina di cui non sapevamo neanche il nome.
«Com’è nato cosa?» Chiesi con una risatina nervosa.
«La vostra storia!»
«Non c’è nessuna storia.» Intervenne il corvino inacidito.
«Sì, che c’è.» La mora si sistemò meglio sul sedile e si portò i capelli lunghi sulla spalla iniziando a giocare con qualche ciocca – era un tic nervoso. –
«No, non c’è.»
Ora ricominciano.
«Tutti hanno una storia!» Continuò prima ancora che potessi dire qualcosa.
Voleva una storia? Accontentiamola.
«La nostra storia incomincia con un brutto bambino scostumato che versò un frappè al cioccolato sul vestito di una bambina il giorno del suo decimo compleanno.» Ricordai con leggero astio.
«Che cosa carina!» Commentò con gli occhi quasi a cuoricino.
Carino? Io AMAVO quel vestitino azzurro pastello! Pensai con stizza.
«Non inizia così, non la devi ascoltare.» Sputò Salvatore incrociando le braccia al petto. «La storia inizia con una bambina antipatica che diede uno schiaffo a un bambino senza motivo.»
La mora si girò verso di me e mi rivolse uno sguardo interrogativo.
«Ti tirai uno schiaffo perché mi avevi sporcato il vestito!» Gli ricordai abbozzando un sorriso ironico.
«Non l’avevo fatto apposta.»
«Tu non fai niente apposta, eh?» Anche scaricarmi il giorno del mio compleanno non l’hai fatto apposta.
«Sto perdendo alcuni passaggi, sapete?» S’intromise la ragazza.
«E’ una storia lunga.» Convenni io con la speranza di non dover sentire ancora la vocetta stridula della mora.
«Abbiamo dodici ore, se non più, di volo a disposizione.»
 
[ - 9 ore ]
 
In quelle tre ore avevo imparato tanto.
La prima cosa che avevo imparato era che mai – MAI NELLA VITA – potevo cercare di intrattenere una ragazzina che amava farsi filmini mentale su tutte le coppie possibili immaginabili.
La seconda cosa che avevo imparato era che quello scherzo della natura – solo così potevo chiamare una persona che riusciva ad essere iperattiva anche alle cinque del mattino – si chiamava Alexandra, aveva sedici anni ed era affetta da qualche patologia grave che i medici ancora non avevano capito come curare.
La terza cosa che avevo imparato era che Damon Salvatore appioppato ad Alexandra era il doppio del fastidio che di solito mi procurava.
Sto stilando una lista di cose che ho imparato in un aereo insieme ad una pazza psicopatica e al mio acerrimo nemico da tempi memori.
Credo di aver fatto molto nella vita. Pensai con ironia.
«Perciò eravate migliori amici?» Dio Santo, erano più di due ore che le ripetevamo che – in tempi remoti – avevamo provato a stringere amicizia.
«Quale parte del eravamo amici ma ora vorrei tanto buttarlo giù da una macchina in corsa, non ti è chiara?» Le chiesi ironica.
Secondo il mio orologio – che si riferiva all’ora che avevo a casa in America – dovevano essere circa le nove del mattino, ma fuori era tutto incredibilmente scuro.
«Non mi è chiara la parte del vorrei buttarlo giù da una macchina in corsa. Potresti rispiegarla?» Mi chiese Alex con una faccia da prendere a schiaffi.
«E’ la quinta volta che me lo chiedi.» Sbottai alzando gli occhi al cielo.
«Mi chiedo perché siete così ottusi.» Replicò lei.
«Tesoro, riesci a parlarci di qualsiasi altra cosa che non sia il delena o qualche altra stronzata?»
In quelle tre ore aveva persino creato questa ship e ci aveva persino spiegato cosa significasse il termine ‘ship’ e ‘otp’.
Non ero così ottusa alla sua età.
«Il Delena non è una stronzata, capite?» Commentò spalancando gli occhi.
«Sai vero che sei in un aereo e noi ci conosciamo solo da poche ore e potresti impaurirci?» Chiesi io, pregando con lo sguardo Damon di fare qualcosa o di trovare un modo per liberarci di quella palla al piede.
«Ma è questo il mio compito!»
«Spaventare le persone?» Chiedemmo contemporaneamente io e Damon con due sguardi a dir poco comici.
«Una fangirl deve inquietare le persone, deve shippare più coppie possibili e credere in nella sua OTP.» Ci spiegò.
«Credo che tu ci stia riuscendo bene…» Commentò Damon abbozzando un sorriso che più che altro era un’espressione impaurita.
«Pensa che mancano solo nove ore…»
 
[ - 6 ore]
 
«CHIUDI QUELLA BOCCA CAZZO!» Sbottò il corvino dopo sei ore ininterrotte di quell’odiosa ragazza che non faceva altro che fangirlare e urlare frasi sconnesse tra di loro come un’ossessa.
«Forse dovrei prendere una bottiglietta d’acqua, ho la gola secca.» Proruppe ignorando il commento volgare di Damon che alzò gli occhi al cielo in risposta.
«Una anche per me, grazie.» Le dissi sperando che rimanga incastrata da qualche parte o che magari andasse in bagno e ci si perdesse dentro.
«Tu vuoi qualcosa?»
«Una cosa ci sarebbe.» Gli fa cenno di continuare a parlare. «Se ci facessi il favore di non ritornare, sarebbe più che gradito.» Damon sfoggiò uno di quei sorrisi insopportabili e in risposta Alexandra scrollò le spalle, si slanciò la cintura e si avviò a prendere queste stupide bottigliette.
Sospirai pesantemente e osservai Damon mentre ti slacciava la sua di cintura. Si sedette accanto a me e io automaticamente allontanai la mano dall’altro posto.
«Che stai facendo, Salvatore?» Chiesi curiosa. Non mi rispose e continuò a sistemare ciò che c’era sul sedile, spostando tutto quello di proprietà della ragazzina sul C25.
«Non ci arrivi da sola?» Chiese acido sfilandomi di mano il mio lettore mp3 e infilandosi un’auricolare nell’orecchio.
«Non credo di averti dato il permesso di toccare il mio mp3.» Gli feci notare alzando un sopraciglio con aria saccente.
Damon mi ignorò, prese l’altra cuffia e me la porse.
«Mettila, su.» Sbuffò. Per quanto odiassi seguire i suoi consigli – in realtà erano degli ordini – lo assecondai.
«E ora?» Chiesi curiosa di capire cosa stesse architettando.
«Ora tu mi assecondi.» Si stiracchiò leggermente e mi cinse le spalle con un braccio, facendo si che la mia testa poggiasse sulla sua spalla.
«Ti sembra un piano questo?» Preferirei essere in qualsiasi altro luogo ma non nelle braccia di Damon Salvatore. Pensai alzando gli occhi per guardarlo meglio.
«Scegli una canzone, Gilbert.» Lo odiavo quando usava quel tono saccente – o meglio lo odiavo ancora di più -, fin da piccolo aveva questi suoi scatti che io definivo di pura tirannia. Perché lui era solo un despota, un tiranno, una persona che voleva comandare tutti e tutto.
«Riproduzione casuale.» Esalai infine, partì una canzone a caso e presi una boccata d’aria.
«Socchiudi gli occhi, la pazza sta ritornando.» Non pensavo riuscisse ad elaborare un piano del genere.
Mi rilassai leggermente e chiusi gli occhi.
«Oh…Oh, mio Dio, siete…» La voce della ragazza era più alta, più stridula del solito.
«Si è appisolata…abbassa la voce…» Commentò il corvino iniziando a toccarmi i capelli. Dal mio stomaco partì un moto di disgusto: pensava fossi un cane da accarezzare?
«Non ti dispiace se…» Lasciò la frase in sospeso e m’immaginai il volto di Damon incresparsi in uno di quei sorrisi che facevano cadere tutte le ragazze nella trappola.
Patetico.
«O-ovvio…Troverò un altro posto…Io lo sapevo che voi…» Anche lei lasciò la frase incompleta.
Dopo di che non sentii più niente, continuai a tenere gli occhi chiusi sperando che Damon mi sussurrasse qualcosa o mi dicesse che quell’impicciona finalmente se n’era andata.
«Se n’è andata!» Sospirò sollevato, aprii prima un occhio e poi l’altro e non riuscii a trattenere un enorme sorriso.
«Ora puoi togliere il braccio dalle mie spalle, sai…» Lo provocai a bassa voce.
«Secondo te, quella sciroccata non ci sta osservando?» Ridacchiò.
Non risposi e mi sistemai meglio sul suo braccio, mi rivolse uno sguardo interrogativo inclinando leggermente il capo.
«Sto solo cercando di riposare, Salvatore. E tu sei un buon cuscino.» Non ti fare film, idiota. Non lo dissi ad alta voce solamente perché non volevo litigate – almeno, non volevo litigare su un aereo che stava volando -.
«Non russare, Gilbert.» Commentò acido.
Finì una canzone e ne partì un’altra.
Deglutii quando la riconobbi e m diedi della sciocca per non averla ancora eliminata a distanza di anni.
«La riconosci?» Mi chiese dopo pochi secondi che era partita. Deglutii e tenni gli occhi chiusi, sperando di non dovergli rispondere.
«Perché dovrei riconoscerla?» Gli risposi con un’altra domanda, usando un tono del tutto disinteressato.
«Per lo stesso motivo per cui non l’hai ancora cancellata, no?» Non era semplice mettere nel sacco quel ragazzo. In fondo, era lui il ragazzo che mi aveva insegnato a tenere testa a tutti e per quanto fossi stata una brava alunna lui rimaneva sempre il mio maestro.
Rimaneva sempre quel bambino stronzo che a quattordici anni si era fatto picchiare quasi a sangue per aiutarmi con dei coglioni che volevano sopraffarmi.
Damon Salvatore rimaneva sempre Damon Salvatore.
«E’ solo una disgustosa canzone che mi fa salire il vomito ogni volta che la ascolto.» La chiusi lì acida, premendo play e selezionandone un’altra.
«Disgustosa come la nostra amicizia.»
«Disgustosa come te.» Replicai alzando gli occhi al cielo.
«Realista come te.» Quella canzone, un tempo, l’avevo io stessa definita realistica per noi. Lo ricordava ancora?
«Egoista come te.»
«Narcisista come te.» Assottigliai gli occhi. Sapevamo perfettamente che ora non ci stavamo più riferendo a quella canzone, stavamo parlando di noi.
«Stiamo parlando ancora di quella canzone?» La capacità di capire cosa stessi pensando non la perdeva e mi innervosiva perché io non ci ero mai riuscita. Non riuscivo a capire cosa gli passasse per la mente ed era più che snervante.
«Ovvio.» Risposi pronta.
«Sei brava a mentire.» Costatò ovvio.
«Ho imparato dal migliore.»
Ho imparato da te.
 
 
 
Grazie le magnifiche ragazze che mi aiutano a continuare questa storiella.
E’ un capitolo più lungo del precedente, già notiamo qualche cambiamento è all’orizzonte. Cosa ne pensate?
Incrocio le dita sperando che non vi siate già dimenticati di questa storiella,
Non ti scordar di me.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro. ***


Al mio Damon.
Sarò sempre la tua Elena.
-A.


Capitolo quattro.
 
«Caroline, stai acquistando punti!» Le urlai non appena osservai quell’enorme chalet immerso in quella piccola cittadina italiana. Era la prima volta che mettevo piede in Italia ed effettivamente mi dispiaceva essere lì solo per due settimane e per giunta in un paesino sperduto – mi era difficile ricordare il nome, suonava alla francese.
«E’ stata un mega affare, fidatevi!» Disse entrando e sbattendo con foga la porta alle nostre spalle. Sobbalzai leggermente e mi guardai attorno.
Era tutta in legno, con un grande salotto e un corridoio che probabilmente portava verso le diverse stanze.
«Lo dicevi anche dell’idea del viaggio.» Sbottai inacidita. Il viaggio era stato uno strazio e il fusorario si faceva sentire troppo. Il mio orologio segnava circa le sei del pomeriggio, ma da New Orleans a qui c’erano circa sei ore di differenza.
«E’ solo il jet leg, vedrai ci vuole solo una dormitina!» Mi disse sballottando da qui e da lì le sue valigie, controllando lo chalet che lei aveva scelto.
«Quante stanze abbiamo a disposizione?» Chiesi curiosa, lasciando le valigie accanto al muro e avviandomi verso il salotto. Non avevo un briciolo di sonno – in fondo da me era ancora pomeriggio inoltrato.
«Come ci sistemeremo?» Mi affiancò Bonnie sedendosi accanto a me e realizzando che il divano era veramente comodo.
«No, un momento, seriamente questo posto ha tutti questi posti letto?» Chiesi io curiosa inclinando il capo incerta. Pochi istanti di silenzio e tutti quanti stavamo osservando Caroline che teneva in mano la brojour di quello chalet che aveva affittato chissà dove.
«Sono due piani, due stanze a letto matrimoniale, le altre due invece sono con due letti singoli.» Commentò con una scrollata di spalle, osservando con faccia stralunata quel piccolo foglietto che stringeva tra le mani.
Glielo sfilai dalle mani e ridacchiai.
«E’ scritto in una lingua strana.» Costatò con un’alzata di spalle la mia amica.
«Credo sia scritto in italiano?» Non avevo mai studiato lingue: solamente un po’ di francese – all’ultimo esame, che risaliva ai tempi andati, ero stata anche rimandata –.
«Come hai contattato il proprietario di questo loft, allora?» Intervenne Rebekha che era seduta sulle ginocchia di Niklaus che la abbracciava da dietro silenziosamente, mandando sguardi ammonitori a Salvatore Senior che indisturbato osservava la sorella.
«Il proprietario sapeva l’inglese!» Le rispose sventolando un paio di fazzoletti – sembrava stesse brandendo una spada, il che inquietava.
«Inizialmente parlava solo italiano, ho provato persino a segnarmi qualche parola per capirci in più…» Scoppiò a ridere, con una di quelle risate nervose.
«E cos’hai segnato?» Chiese curioso Jeremy che si stava togliendo il giubbotto per posarlo sull’altro divano quasi vuoto.
Avevamo lasciato la maggior parte dei bagagli all’entrata e i giubbotti li avevamo posati – io l’avevo gettato – un po’ ovunque.
«Alcune parole non le riusciva a dire in inglese, era divertente.» Prese dalla sua borsa un foglio bianco da cui spiccava il colore blu e la scrittura ordinata della bionda.
«Ha detto circa tre volte cazzo.» Arricciai leggermente il naso e guardai gli altri nella speranza che qualcuno di loro potesse capire l’italiano – tra l’altro l’accento di Caroline faceva pietà.
«Ha ripetuto cinque volte la frase singoli letto non presento?» Fece una faccia buffa, non riuscendo neanche lei a codificare la sua scrittura.
«Dovremo comprare un dizionario, non credete?» Intervenne Stefan ridendo e alzandosi dal divano.
«Cosa vogliamo fare?» Chiesi allora io, seguendo il mio amico e guardandomi attorno. Probabilmente domani avremo avuto una giornata piuttosto impegnata – Caroline aveva già la lista da cose da fare, tra cui comprare cibo, girare per la città e fare gli skipass per due settimane.
«Qui è mezzanotte!» Intervenne Bonnie indicando l’enorme orologio appeso sopra il camino spento.
Caroline fece finta di pensarci qualche istante, poi sparì velocemente lasciandoci basiti. Dopo pochi istanti l’aria fu interrotta da un’urletto insopportabile.
«ORA HA INIZIO LA FESTA!» Urlò a pieni polmoni Caroline ritornando con una bottiglia di liquore in mano.
«Seriamente vuoi perdere il senno già la prima serata? Anzi, nottata?» Chiese la sorella di Klaus togliendosi il maglione pesante che aveva indosso e rimanendo solamente con una maglietta in cotone a maniche lunghe.
«Oh, non ti ricordavo così pallosa Mikealson.» La provocò assottigliando gli occhi e alzando in aria la bottiglia.
«Forbes non ti conviene provocarmi.» Grugnì in risposta lei, facendole segno di seguirla.
«Niklaus non potevi sceglierne una normale?» Fece il finto esasperato Damon con un mezzo sorrisetto. Alzai gli occhi al cielo, anche solo sentire la sua voce mi infastidiva.
«Salvatore, non credo tu sia il più indicato per parlare.» Ridacchiò stiracchiandosi meglio sul divano.
«Lui non è mai il più indicato per parlare!» Intervenni io. Tutti gli occhi erano ora concentrati su di me e mi resi conto di averlo detto ad alta voce. Pensavo di essermi tenuta per me quel pensiero.
«Gilbert, perché esisti?» Si lamentò imitando la voce di un finto bambino lagnoso. O…no, quella era la sua voce naturale.
«Voi due mi dovete chiarire alcuni punti…» S’intromise Jeremy.
«Molti punti.» Lo corresse Bonnie, mentre si legava i lunghi capelli color mogano in una coda di cavallo.
«Del tipo?»
«Smettila di parlare quando parlo io.» Lo anticipai. Odiavo sentire con lui quella sensazione, dopo anni di separazione lui non dovrebbe pensare come pensavo io. E viceversa.
«Questo è uno dei tanti.» Mise in chiaro Jeremy. «Poi non capisco una cosa: perché litigare furiosamente in aeroporto e poi addormentarvi abbracciati durante il viaggio?» Si levarono diversi mormorii e fulminai Damon con un’occhiataccia – ero più che convinta che lui fosse rimasto sveglio e poi io mi ero solamente APPISOLATA. –
«Il soggetto! Chi dormiva abbracciato a chi?» Intervenne Rebakah che teneva in mano la bellezza di otto bicchierini non ancora colmi di liquori.
«Già chi?» Le diede man forte Caroline che la seguiva a ruota.
«Damon ed Elena.» Commentò con un sorrisetto da stronzo, in piena regola, Klaus. La mascella di Caroline quasi toccò terra, si fece spazio tra noi e posò la bottiglia di liquore sul tavolino in cristallo.
«Siediti qui, sweetheart.» Le consigliò docilmente Niklaus, indicandole il posto accanto a lui.
«Non avete ancora risposto, comunque.» Riprese il discorso la bionda non appena di accomodò.
«In realtà, io mi ero appisolata. Non pensavo che questo stupido cadesse in un sonno profondo.» Dissi ridendo e rimanendo sull’ironia.
«Guarda che russavi.» Disse sorseggiando un bicchierino.
«No, invece.» Replicai acida.
«Sta di fatto che non avete nessuna prova!» Continuò il corvino passandomi un bicchiere e alzandolo in alto a mo’ di brindisi.
«In realtà sull’aereo, ho fatto conoscenza di una certa…» Stefan rimase interdetto pochi istanti e poi continuò. «Alexandra? Possibile che si chiamasse così?»
Solo a quel nome mi venne un conato di vomito.
«Ragazzina bassina, mingherlina, capelli ricci e una fissazione morbosa verso le OTP?» Tentai io ridacchiando.
«Esattamente!» Mi rispose Stefan prendendo anche lui un bicchierino di liquore.
Sapevo che non era una grandiosa idea bere, soprattutto bere con i miei amici. L’ultima volta che avevo bevuto era andata a finire piuttosto male.
«Ora potremo sancire un accordo di pace per queste due settimane?» Propose Bonnie alzandosi da vicino a Jer per sedersi sul tavolino – probabilmente era già brilla, reggeva poco l’alcool -.
«Che tipo d’accordo?» Chiesi pensando che forse era meglio dividerci nelle camere e provare a chiudere occhio visto che il fusorario era di circa sei ore. Quell’idea si eclissò dalla mia mente, non appena arrivò sotto il mio naso un altro bicchiere di quel liquore delizioso.
«Del tipo…Io, Caroline Forbes, giuro solennemente di non provare ad incastrare nessuno di voi in una delle mie serate dedicate solo allo shopping!» Pronunciò con tono da finto militare, dopo di che ingurgitò tutt’un fiato il liquore e scrollò le spalle.
«Chi è il prossimo?» Ci incitò battendo le mani come una bambina di sei anni. Rebekah – intraprendente con o senza l’aiuto dell’alcool. – si schiarì la voce.
«Io, Rebekah Mikealson, giuro solennemente di baciare Stefan Salvatore entro la fine delle due settimane.» Concluse con un mezzo ghigno. Si levarono diversi mormorii divertito e Klaus sbiancò leggermente vedendo il sorriso languido che aveva assunto la sorella.
Stefan le ammiccò e prese un bicchiere anche lui, portandolo in alto a mo’ di brindisi.
«Io, Stefan Salvatore, giuro solennemente di rispondere al bacio della signorina Mikealson anche prima dell’ultimo giorno delle due settimane.»
Rebekah si accoccolò lentamente al petto del mio migliore amico, ricordava quasi un gatto che faceva le fusa – una scena alquanto imbarazzante.-
«Io, Klaus Mikealson, fratello di Rebekah Mikealson giuro solennemente di spezzare la mani alla prima persona che si avvicinerà troppo alla mia sorellina.»
Caroline inclinò leggermente la testa, poi si portò alla bocca direttamente la bottiglia guardando con aria quasi aggressiva il ragazzo che aveva le gambe accavallate.
«E tu Elena?» Nuovamente troppi occhi si girarono verso di me. Mi morsi l’interno guancia nervosa, non volevo ubriacarmi completamente già la prima serata che passavo in Italia – oltre il fatto che non avevo idea se quei liquori fosse di importazione nazionale o fossero tipici italiani -.
Niente stronzate, Elena. Mi raccomandai prima di rispondere.
 
*
Qual è l’ultima cosa che avevo detto?
Uh, mi ero raccomandata con me stessa di non fare stronzate – almeno per quella sera. Allora la domanda sorgeva naturale: perché stavo ballando sul tavolino del salotto come se fossi in una discoteca?
«Forbes!» Chiamai la mia amica cercando di trovarla. Quel tavolino mi sembrava persino troppo alto e avevo la sensazione di poter cadere a terra da un momento all’altro.
In casa eravamo solo otto persone…Come mai io ne vedevo più di una trentina?
Vedevo le cose più impossibili, probabilmente la sbornia era veramente eccessiva. Vedevo un Jeremy e una Bonnie che si strusciavano in modo alquanto indecente sul divano, vedevo una Rebekah particolarmente eccitata accanto a me e vedevo una Caroline e un Klaus baciarsi appassionatamente vicino il camino.
Cazzo, non ci vedo male? Mi chiesi strofinandomi leggermente gli occhi.
Non capendo neanche dove mettevo i piedi feci un passo in avanti avvertendo completamente la sensazione del vuoto.
«Gilbert, attenta a dove vai.» Grugnì una voce che riconobbi facilmente, l’avrei riconosciuto persino in mezzo a migliaia di persone.
«Vattene Salvatore.» Provai a muovermi ma era veramente difficile, la sala sembrava stesse girando e non riuscivo a vedere in modo delineato il corvino che se la rideva sotto i baffi.
«Sei tu che sei spalmata su di me.» Mi fece notare. Io invece cercavo di identificare quale dei tanti Damon – già, io vedevo circa sette Damon in quel momento – mi stava realmente parlando.
Mi resi conto che il vero Damon era quello centrale, quello che mi squadrava con i suoi occhioni blu notte e che stava sbuffando ripetutamente.
«Sei tu che mi stai tenendo in piedi, sai?» Gli chiesi ad un palmo dal suo viso. Gli diedi una spinta leggere e a tentoni raggiunsi Caroline.
Iniziai a picchiettare sulla spalla del ragazzo che stringeva possessivamente a sé il corpo della mia amica in preda ai gemiti.
«Cazzo…» Gemette la mia amica.
Non capisco cosa sta realmente accadendo.
Continuai così, imperterrita, ad infastidire Klaus a picchiettare il mio dito sulla sua spalla sperando che si rendesse conto della mia esistenza.
Solo dopo un tempo che mi parve interminabile, Klaus mi bloccò la mano.
«Cosa vuoi, porca miseria?» Disse a muso duro mettendosi davanti a Caroline che era probabilmente più ubriaca di me e lui messi insieme.
«MA COSA VUOI TU?» Replicai dandogli una spinta. Il ragazzo aggrottò le sopraciglia.
«Sei tu che mi stai rompendo l’anima mentre bacio una ragazza!» Provò a mantenere la calma.
«Vuoi sapere quanto me ne importa di aver interrotto una bella pomiciata? Non me ne importa un…» Non riuscii neanche a terminare la frase, due forti braccia mi circondarono la vita e mi sollevarono di peso da terra.
«Scusala, amico. E’ solo ubriaca e…» Damon si interruppe non sapendo neanche cosa dire vista la situazione piuttosto imbarazzante che si era creata.
«Tienila lontana da me. E da Caroline.» Lo avvertì Klaus sbuffando e prendendo da terra la maglietta che – casualmente – era finita a terra.
«E VOI PRENDETEVI UNA CAMERA! VEDERE LA MIA AMICA MENTRE SI DA DA FARE, NON E’ IL MIO SOGNO PIU’ GRANDE!» Sbraitai muovendo le gambe per far cedere la prese a Damon che scoppiò a ridere a gran voce.
«Fidati, non è neanche il mio più grande sogno.» Commentò dando le spalle a Klaus per portarmi altrove.
«Dove vai?» La voce di Klaus arrivò alle mie orecchie forte e chiara e continuai ad inveirci contro senza un vero motivo.
«L’idea era quella di affogarla nella vasca da bagno…» Non continuò non appena vide lo sguardo di ghiaccio che Caroline – nascosta dietro il suo ragazzo, o suo scopamico – gli rivolse.
«No, okay…Lasciarla congelare al freddo della notte?» Azzardò. «Sentite, sto scherzando.» Li tranquillizzò con una risata leggera.
«Continuiamo il nostro discorso, sweetheart?» Le chiese, prendendole la mano con un sorrisino malizioso.
«METTIMI GIU’!» Gli urlai allora, dimenandomi alla bella e meglio.
«Ehi, tesoro, rimani calma.» Mi fermai lentamente, realizzando che mi aveva chiamato tesoro. Non avevo neanche tempo – e soprattutto non avevo le facoltà mentali – per rispondergli acidamente.
«Un momento, dove sono andati?» Finalmente la situazione era più chiara: la stanza non stava più girando, finalmente vedevo solo sei persone in case e non più un centinaio…L’unica cosa che non era scomparsa era la musica.
«Oddio, sto diventando pazza. Sento della musica orrenda pompare a tutto volume.» Dissi a bassa voce.
«Per quanto mi piacerebbe assistere ad una Elena che si crede pazza, la musica c’è. Proviene da lì.» M’indicò uno stereo da cui proveniva musica house e metal remixata – gusti particolarmente orribili avevano gli ex proprietari di quel loft.-
«Ti scongiuro dimmi che Bonnie e Jeremy non si stanno strusciando uno sull’altro proprio davanti a me.» Gli chiesi buttandola sull’ironia.
«Bonnie e Jeremy non si stanno strusciando uno sull’altro. Loro stanno semplicemente in procinto di…» Gli diedi una gomitata evitando di farlo continuare.
«Salvatore ti conviene mettere apposto le zampe e lasciarmi andare, se non vuoi un calcio nel punto sbagliato al momento sbagliato.» Lo avvertii lasciandogli dei deboli pugni sulle braccia che mi circondavano in una morsa.
«Non ne avresti il coraggio, Gilbert.» Mi provocò.
«Vuoi correre il rischio, Salvatore?» Pochi secondi e caddi a terra di didietro. Urlai per il dolore e alzai il dito medio al corvino che rideva eccessivamente.
Era ubriaco anche lui?
«Che ore sono? Quanto tempo è passato?» Chiesi strofinandomi un occhio, andando ad abbassare quella musica insopportabile per i miei timpani.
«Più o meno l’una del mattino...Questo segna quell’orologio…» Me lo indicò sbadigliando leggermente. Non avevo sonno, avevo solamente un gran mal di testa. A grandi passi mi avviai verso l’entrata e afferrai la mia valigia.
Ricordando le parole di Caroline, sperai che le stanze singole si trovassero al piano inferiore – non era sicura di riuscire a salire le scale senza cadere o senza fare un ruzzolo a terra epico.
La prima porta che vidi, aprii. Era una stanza normale con un letto matrimoniale. Valutai le opzioni che avevo di cercare un’altra stanza con due letti singoli ma NON avevo proprio la voglia di salire al piano di sopra.
Estrassi il cellulare che – stranamente – si trovava ancora nella tasca del mio jeans e con fatica seleziona l’icona dei messaggi. Tecnicamente la promozione doveva attivarsi non appena avessi messo piede sul suolo italiano, perciò i messaggi e le chiamata erano in un pacchetto che avevo già comprato.
Piano terra, prima porta, quando finisci i tuoi lavoretti vieni da me.
Elena xx.
Premetti il tasto invia – pregando che Caroline leggesse quel messaggio – e buttai il cellulare sul letto.
Presi la valigia e la aprii. Mi sfilai velocemente il cardigan blu e la maglietta che indossavo. Il giubbotto l’avrei recuperato domani mattina – quando queste sbornia sarebbe passata -, seguirono gli anfibi e i jeans.
Tutto scaraventato per la stanza. Diedi un’occhiata alla mia valigia e realizzai che io non portavo assolutamente i boxer, tantomeno indossavo magliette così grandi.
«Cosa cazzo ci fai con la mia valigia?» Porca merda, perché proprio lui?
Damon Salvatore stringeva la mia valigia tra le mani e aveva aperto la porta senza neanche bussare, solo come un cafone sapeva fare.
Lo vidi deglutire e fissarmi leggermente con occhi sgranati.
Ero così ubriaca da non provare neanche vergogna, dopotutto essere in biancheria era come essere in costume o no?
«Non sai bussare?» Gli chiesi retorica incrociando le braccia al petto.
«Sei tu che mi hai mandato un messaggio.» Afferrai il cellulare e aprii la casella dei messaggi. Mi avvicinai a lui e gli indicai il cellulare.
«A chi è indirizzato il messaggio?» Lo vidi trattenere un sorriso e poi aguzzò gli occhi.
Pochi istanti e mi strappò il cellulare dalle mani.
«EHI, IL MIO CELLULARE!»
«Mi avevi memorizzato come coglione.» Disse con una punta di acidità nella voce. Anche se non capivo se si fosse realmente offeso o se mi stesse provocando come facesse sempre.
«In realtà fino a un’oretta fa era semplicemente Damon Salvatore, poi ho pensato perché non cambiarlo in un nome più azzeccato?» Cantilenai concludendo il tutto con una magnifica piroetta.
«Sei poco ubriaca, eh?» Mi sfottè. Mi avvicinai alla sua valigia ed estrassi una maglietta a maniche lunghe.
La indossai velocemente: era calda e in pile. Forse potevo fregargliela facilmente.
«Io? Ma cosa dici?» Risposi spavalda, non guardando dove poggiavo tanto che Damon si era avvicinato a me troppo repentinamente.
«Siamo entrambi ubriachi, tu più di me…» Ridacchiò poggiando il capo nell’incavo del mio collo. Si vedeva che non eravamo ubriachi, nessuno dei due sarebbe riuscito a mantenere una posizione così…così normale, quasi romantica da sobri.
«Sei pesante…» Mugugnai allacciando le mani alle sue spalle per farmi da sostegno.
«Tu hai fatto il giuramento?» Chiesi così, all’improvviso non sapendo cosa fare e volendo allontanarmi da lui.
«La trovo una stronzata.» Rispose schietto spostando con un movimento secco la sua valigia dal letto. Tolsi le coperte da lì e mi infilai sotto poggiando la testa sul morbido cuscino.
Damon, invece, si sedette sul letto poggiando la schiena alla tastiera del letto.
«Io non ricordo…» Dissi portandomi una mano sulla fronte, cercando di ricordare se avessi detto qualcosa del tipo ‘io giuro...’.
«Lo sospettavo…» Confermò stiracchiandosi.
«Probabilmente riguardava te, qualcosa sul non ucciderti per non turbare la tranquillità della nostra vacanza…» Avevo già iniziato a straparlare?
A giudicare del viso di Damon, sì. Ero entrata nella fase della sbornia chiamata delirio: durante questa fase tutto quello che mi capitava per la mente dicevo senza problemi, non che non avessi il coraggio di dire quello che pensavo quando ero sobria evitavo di dire tutto solo per non sembrare scostumata – anche se trattenermi con Damon risultava sempre troppo difficile –.
«Sei molto più simpatica quando sei sbronza, eh?» Mi provocò. Lo vidi togliere le scarpe e togliersi gli indumenti per poi avviarsi – solo in boxer – verso la sua valigia – che si trovava in un angolino remoto della stanza.
Non guardare Elena. Mi ripetevo. N O N GUARDARE.
Oh che me ne frega, è bello da morire. L’Elena ubriaca del mio subconscio vinceva anche sull’Elena razionale.
«Ti è piaciuto lo spettacolino?» Commentò riducendo la voce ad un flebile sussurro. Indossava una specie di pigiama – che poi un pigiama non era visto che era semplicemente una maglietta e un pantalone piuttosto largo –.
«Che cosa stai facendo?» Gli chiesi, notando che stava iniziando a tastare il cuscino. «Non pensavi che ti facessi rimanere qui, vero?» Lo schernii. Incontrai i suoi occhi azzurri e per la prima volta mi pentii di essere stata così schietta. Perché dovevo creare casini su casini con lui persino da ubriaca?
«Non sarei rimasto ugualmente.» Commentò, anche se la voce mi sembrava incerta – o forse me lo stavo immaginando. «Dormire con una psicopatica non è il mio più grande sogno.» Continuò: questa volta suonò più duro e sicuro di sé.
«E il tuo giuramento?» Farfugliai socchiudendo leggermente gli occhi volendo attutire quel mal di testa insostenibile.
«Non voglio rivelartelo, okay?» La sbornia iniziava a farmi troppo male: mi stava causando allucinazioni impossibile. Damon Salvatore mi stava parlando dolcemente? NON POTEVA ESSERE VERO. Devo ubriacarmi più spesso se era questo il risultato.
«Dimmelo e rimarrai qui con me.» Dissi con semplicità. Mi maledii mentalmente per quanto fossi stata stupida, seriamente gli avevo detto una cosa del genere? Quali problemi mi affiggevano?
«Altrimenti?» Mi chiese facendo comparire sul suo volto un cipiglio infastidito.
«Altrimenti tu ora vai nella camera in cui Caroline e Klaus si stanno dando da fare, li interrompi e mi riporti qui la bionda.» Aveva senso quello che avevo detto? Avevo pronunciato quelle parole velocemente, quasi come uno scioglilingua.
«Klaus mi castrerà.» La buttò sull’ironia.
«Nessuno ne risentirà, Salvatore.» Lo liquidai dandogli le spalle e sospirando pesantemente chiudendo gli occhi.
Sentii il suo peso sparire del letto e la porta della stanza si chiuse lentamente.
Se n’è andato.
 
[2.00 a.m]
 
Mi rigirai nuovamente nelle coperte chiudendo gli occhi nuovamente. Mi ero leggermente appisolata, chiusi gli occhi per riprendere sonno ma venni distratta da un cigolio.
I post sbornia sono i peggiori. Mi dissi, quelle allucinazioni non erano ancora sparite. Mi resi conto che, in realtà, quella non era un’allucinazione quando sentii la pressione sul letto intensificarsi.
Qualcuno mi sfiorò il viso, ma io continuai a tenere gli occhi serrati. Avvertii le coperte spostarsi leggermente permettendo ad un’altra persona di entrare nel letto matrimoniale.
Sarà Caroline. Comunque non mi mossi minimamente. La mano mi spostò una ciocca dal viso e un respiro caldo era sul mio collo.
«Io, Damon Salvatore, giuro solennemente di farti innamorare di me Elena Gilbert.»
Ero ubriaca, non c’era altra spiegazione.
 








Aumentate sempre e il supporto migliora, di conseguenza i capitoli si fanno più lunghi, io mi sento meglio e miglioro sempre più.
Perciò Grazie per il vostro sostegno che date a me e alle mie storie (sia questa che l’altra).
Spero di risentirvi e che questo capitolo vi abbia fatto ridere un po’,
Non ti scordar di me.

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