Insomnia

di Midnight the mad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Redundant - Green Day ***
Capitolo 2: *** Basket case - Green Day ***
Capitolo 3: *** She's a rebel - Green Day ***
Capitolo 4: *** Uptight - Green Day ***
Capitolo 5: *** Die young - Ke$ha ***
Capitolo 6: *** Pompeii - Bastille ***
Capitolo 7: *** St. Jimmy - Green Day ***
Capitolo 8: *** Gli anni - 883 ***
Capitolo 9: *** X-Kid - Green Day ***
Capitolo 10: *** Show must go on - Queen ***
Capitolo 11: *** Cry to heaven - Elton John ***
Capitolo 12: *** '74-'75 - The Connells ***
Capitolo 13: *** Knockin' on heaven's door - Guns n' roses ***
Capitolo 14: *** The forgotten - Green Day ***



Capitolo 1
*** Redundant - Green Day ***


Questa non sono io, non più. è una vecchia me stessa, la me stessa di anni fa, quella che non sputava in faccia alla gente. La me stessa buona, la me stessa calma.
La me stessa che è fottutamente morta.

 
REDUNDANT

We’re living in repetition,
content in the same old shit again...
 
Suono di sveglia.
Occhi stropicciati. Sbadiglio.
Coperte scostate. Piedi sul pavimento. Passi barcollanti.
Armadio. Vestiti presi a caso, tanto chi se ne frega.
Bagno. Acqua fredda.
Scale.
Cucina. Nessun odore di colazione. Non c’è, quando sei la prima a scendere e nessuno te la prepara.
Una manciata di cereali mangiata a casaccio da una scatola.
Di nuovo bagno. Denti lavati. Spazzola.
Scarpe. Giacca. “Arrivederci” gridato.
Porta.
Aria fredda sulla pelle, aria viva. Passi rapidi. Autobus che arriva. Corsa. Fiatone.
Sedile. Duro, sporco. Tanto chi se ne importa. Quando nessuno ti nota, puoi anche essere sporca.
Porte automatiche che si aprono. Strada. Passi veloci.
Campanella. Scuola.
Schifo.
 
...Now the routine’s turning to contention...
 
Brusio.
Professoressa. Voce più alta. Appello.
Di nuovo brusio, più basso.
Legno del banco. Quaderno. Penna che si muove su e giù senza logica, senza prendere appunti.
Orologio. Lancette che girano. Tempo, tempo, tempo.
Campanella. Passi. Rumore.
Di nuovo passi. Silenzio. Brusio.
- Ho riportato i compiti -. Silenzio.
Nomi. Passi verso la cattedra.
Foglio. Penna blu. Penna rossa.
“7 ½”.
Lamentele. Fischi. Sbuffi.
Sospiro. Niente soddisfazione. Perché, poi?
Silenzio. Parole. Brusio.
Campanella. Passi. Rumore.
Di nuovo passi. Silenzio. Brusio.
Spiegazione. Infinita. Tempo, tempo, tempo.
Campanella.
Solitudine.
 
...like a production line going over and over
and over roller coaster...
 
Ricreazione. Sospiro. Banco.
Merenda. Sapore di merendina. Conservante.
Fazzoletto.
Porta.
Corridoio. Passi che risuonano. Schiamazzi.
Bagno.
Silenzio. Porta chiusa. Sospiro.
Lacrima. Neanche senza un perché.
Fazzoletto passato sul viso. Porta aperta.
Corridoio. Passi che risuonano. Schiamazzi.
Porta. Aula.
Banco. Silenzio.
Parole.
Paura.
 
...Now I cannot speak, I lost my voice,
I’m speechless and redundant...
 
Occhi.
Sguardo.
Espressione che non vedi.
Bisbigli.
Cuore in gola.
Parole, parole, parole su di te ma mai tue.
Incomprensione.
Pugni stretti. Lacrime che premono per uscire.
Campanella.
Passi. Sedie spostate.
Morsa in gola.
Freddo.
 
...‘cause “I love you” is not enough...
 
 
Campanella.
Sedie spostate. Passi. Parole. Sorrisi.
Passi svelti, tuoi. Porta, scale. Giù, giù, giù. Portone.
Fuori.
Tragitto, già fatto mille volte.
Casa.
Casa.
Un momento. Un pensiero vago, perché c’è qualcosa di strano in quella parola.
Di sbagliato.
Battito di ciglia. Pensiero cancellato. Ingresso.
Tua madre pronta per uscire. Sguardo.
- Mi dispiace, tesoro, non ci sarò per pranzo. Devo andare a lavoro -.
Altro battito di ciglia. Solitudine, ancora, quindi.
Sorriso. Finto. – Ok -.
- Ti voglio bene, tesoro -.
Porta aperta. Porta richiusa.
Ti voglio bene, tesoro.
Bruciore in gola. Lacrima.
E se non fosse abbastanza?
 
...I’m lost for words...
 
 
Compiti.
Matematica. Equazioni.
Pausa. Cuffie. Musica.
MP3 sbattuto sulla scrivania.
Concentrati.
Italiano. Tema.
Foglio bianco.
Bianco.
Bianco.
Ho perso le parole.
 
...Choreographed and lack of passion,
prototypes of what we were...
 
 
Porta aperta.
Giù per le scale, giù, giù.
Fino all’inferno.
Pensiero cancellato. Respiro.
Braccia aperte. Abbraccio.
- Ciao -.
Coreografia. Gioco. Della madre e figlia che si vogliono bene.
Stupida coreografia.
Però la coreografia ha vinto. Non gliela dici, la verità.
Perché sei stupida. Perché sei codarda.
Pensiero cancellato.
è più facile.
Scale. Su, su, su, ma non fino al paradiso.
Fino al niente.
Pensiero cancellato.
Abitudine. Coreografia.
Segui i passi e andrà tutto bene.
Prima era diverso. Non ci pensare. Fa solo male.
Segui lo schema.
Non pensare.
 
...Went full circle ‘til I’m nauseous,
taken for granted now...
 
Cena.
Cibo. Discorsi. Sorrisi.
Pensieri, loro. Pensano che stai bene.
è scontato che stai bene.
Come tutti i giorni. Come tutte le sere.
Come tutti i domani uguali agli oggi e gli oggi uguali ai domani.
Nausea.
 
...Now I waste it, faked it, ate it...
 
Vita. Nascosta.
Vita nascosta.
Dove non lo sai.
Circolo vizioso.
Vita buttata. Vita sprecata.
Vita falsificata. Da te stessa. Sempre di più.
Vita ingoiata, masticata, uccisa. Ingoiata dal mostro che è il mondo.
Vita odiata. Da te. Adesso.
Basta.
 
...Now I hate it.
 
Vento. Tra i capelli, negli occhi.
Freddo. Fuori. Dentro.
Vento. Freddo. Vento. Freddo.
Alto. Alto. Alto.
Passo avanti. Vuoto.
E giù fino al paradiso

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Capitolo 2
*** Basket case - Green Day ***


Questa è per le persone che ascoltano... 
BASKET CASE

Do you have the time
to listen to me whine...
 
(1:01) è tardi. Lo so.
(1:02) Non dovrei romperti a quest’ora.
(1:02) Però direi che ormai l’ho fatto.
(1:02) Insomma, tanto vale che parli, ora, no?
(1:03) Tanto non risponderai.
(1:03) Non li sentirai nemmeno arrivare, questi messaggi. Ti sveglierai domattina con il cellulare impazzito e mi manderai a quel paese, lo so. Ma forse oggi ho voglia di farmi mandare a quel paese.
 
...About nothing and everything
all at once?...
 
(1:04) Non so neanche perché ti ho scritto.
(1:04) Avevo bisogno di parlare, penso.
(1:05) Non so di cosa.
 
(1:07) Ok, sto provando a pensare a qualcosa da dire.
 
 
(1:10) Non mi viene in mente niente.
(1:11) Forse è normale. In realtà, io sono così. Dico tutto e non dico niente, sempre.
(1:12) Che testa di cazzo che sono.
 
...I am one of those
melodramatic fools,
neurotic to the bones,
no doubt about it...
 
(1:13) Già, proprio una testa di cazzo.
(1:13) Una testa di cazzo un bel po’ melodrammatica. Teatrale, insomma.
 
(1:15) Una testa di cazzo pensierosa.
(1:16) Sì, decisamente, penso troppo.
(1:16) Penso sempre.
 
 
(1:18) Anche ora, sai.
(1:18) Mi sa che è per questo che ho deciso di scrivere a te.
(1:19) Se penso troppo devo scrivere. Sennò impazzisco.
(1:19) Lo sai, no? Mi conosci.
 
...Sometimes I give myself the creeps,
sometimes my mind plays tricks on me...
 
(1:21) Cioè, no, non mi conosci, forse.
(1:22) Non benissimo.
(1:23) Cioè, tu potresti dire di sì.
(1:23) Sei la mia migliore amica.
(1:24) Forse conosci parti di me che non conosco neanche io.
 
 
(1:27) Però forse una cosa non la sai. O almeno non davvero.
(1:28) Non lo sai che mi sento così pazza.
(1:29) Non lo sembro, questo di sicuro.
(1:29) Almeno credo.
 
(1:31) Però dentro la mia testa è come se ci fossero troppe cose.
(1:31) Sono una specie di nevrotica.
(1:32) A volte mi spavento anche da sola per quello che penso.
 
(1:34) Ma non credo che ti dirò quello che penso.
(1:34) Non voglio spaventare anche te, oltre che a me stessa.
(1:34) Non voglio perderti.
 
 
 
(1:38) Però forse farei una cosa buona a dirtelo.
(1:38) Sarebbe meglio se lo sapessi.
(1:39) Sarebbe meglio se stessi lontana da me. Non impazziresti anche tu, non ti farei impazzire.
 
(1:41) Ma sono così egoista che non ho neanche la forza di cercare di salvarti da questa pazzia del cazzo.
 
...It all keeps adding up,
I think I’m cracking up...
Am I just paranoid?
Or am I just stoned?...
 
(1:43) Sì, accidenti. Sono dannatamente una stronza.
(1:43) Una pazza.
(1:43) Una pazza isterica.
 
(1:45) Beh, vedi, alla fine forse non sono così cattiva.
(1:45) Alla fine ho deciso di dirtelo, il problema.
 
 
(1:48) Sono paranoica.
(1:49) Da morire.
(1:49) Tu non ne hai idea, di quanto lo sia.
(1:50) è solo che mi ossessionano.
 
(1:52) Le cose, intendo.
 
 
(1:55) La realtà.
(1:55) Il mondo.
(1:55) Lo schifo.
 
(1:57) Mi entrano nel cervello e mi fanno incazzare.
(1:58) Non riesco a buttarli fuori. Mi devo fare male, mi devo crepare per farli uscire.
 
(2:00) No, non è come stai pensando.
(2:01) Non mi taglio. No, niente affatto. Mi fanno impressione i tagli sui polsi, lo sai benissimo.
(2:01) Non ho nessun mostro da buttare fuori che sia nel mio sangue.
(2:01) L’unico mostro che conosco è nel mio cervello.
 
(2:03) Sono io.
 
(2:05) Adesso hai paura di me?
 
(2:07) No, ti prego. Non avere paura.
(2:07) Ho bisogno di te. Di te che mi ascolti.
 
(2:09) Comunque, non credo che tu debba preoccuparti.
(2:10) Probabilmente questi sono solo i problemi di una rompipalle fuori di testa.
 
...I went to a shrink
to analyse my dreams;
she sayd it’s lack of sex
that’s bringing me down...
 
(2:12) Sai, io ci ho provato, a farmi curare.
(2:12) Anche per te, forse. Perché volevo che tu avessi un’amica normale.
 
(2:14) Lo sai che li odio, gli psicologi, no? Li odio perché cercano sempre di entrarti in testa.
(2:15) O meglio, adesso direi che mi dispiace per loro. Dopo quello che è successo con l’ultima tizia.
 
(2:17) Insomma, sono andata da questa. Ci ho parlato.
(2:17) Lei aveva paura.
 
(2:18) Pensavo che per farmi curare avrei dovuto mostrarle il caos che c’è in questa cazzo di testa.
(2:19) Non ha funzionato.
(2:20) Credo che volesse mandarmi via il più in fretta possibile. Mi ha detto le classiche cazzate. In pratica, scopa di più.
(2:21) Anche se a me sembra stupido.
(2:22) Cioè, tu hai mai letto quella frase di Oscar Wilde? Beh, lui lo dice. “Everything in the world is about sex, except sex, sex is about power.”
(2:23) E penso che sia meglio per il mondo se non inizio ad infilarmi in stupidi giochi di potere.
(2:24) No, decisamente, meglio di no. Tendo a prendere tutto troppo sul serio.
(2:24) Alla fine qualcuno si farebbe male.
 
...I went to a whore,
she said my life’s a bore
so quit my whining ‘cause
it’s bringing her down...
 
(2:26) Già, prendo tutto troppo sul serio.
(2:27) Anche le cose che non andrebbero prese sul serio.
(2:28) Tipo la psicologa.
 
(2:30) Ci ho provato davvero, a fare sesso.
 
 
(2:33) Sono andata da una puttana.
 
(2:35) Ehi, non guardarmi così.
(2:36) Cioè, lo so che non mi stai guardando, però mi immagino la tua faccia.
(2:37) Lo so che sei contro queste cose, ma insomma. Tu non avresti mai accettato di fare sesso con me, no? Quindi con chi potevo farlo?
 
(2:39) Beh, insomma, ci sono andata.
(2:39) Solo che credo di aver preso troppo sul serio anche lei.
 
(2:41) Ho provato a parlarle.
(2:41) Per un po’.
 
(2:43) Se n’è andata. Ridandomi i soldi. Ha detto che la facevo deprimere.
 
 
(2:46) Beh, dopo mi sono sentita ancora di più uno schifo.
 
...Grasping to control,
so I better hold on…
 
(2:49) Sì, insomma, mi sa che non c’è una soluzione.
(2:50) Mi sa che devo tenere duro e basta.
(2:51) Che palle.
(2:51) Mi sono un po’ rotta di tenere duro.
(2:51) Non è più facile un colpo di pistola?
 
 
(2:53) In testa a me, s’intende.
 
 
(2:55) Forse se lo dessi in testa a tutti il mondo sarebbe un mondo migliore, ma chi sono io per rompere la felicità di quelli che si sono lasciati ingannare e fottere dal sistema e a cui va benissimo così?
 
(2:57) Sono idioti.
(2:58) Però li invidio. Lo ammetto.
(2:59) Deve essere facile non avere problemi tipo i miei per la testa. Deve essere facile spegnersi.
 
(3:01) Però io non voglio.
 
(3:03) Sono una fottuta pazza, tanto. A chi importa di me? Prima o poi mi spegnerò da sola senza neanche accorgermene, come tutti. Tanto vale che per ora viva.
(3:04) Finché c’è aria e testa.
(3:04) Finché c’è qualcuno con cui parlare. Qualcuno che ascolta.
 
(3:06) Sì, alla fin fine penso che la gente si spenga quando si stanca di urlare senza essere ascoltata.
 
(3:08) Perciò grazie di esserci stata, almeno fino a questo momento. Anche se adesso te ne andrai, mi hai permesso di vivere fino ad ora.
(3:09) Io sono così egoista che non so neanche se l’avrei fatto, se fossi stata in te.
 
...Sometimes I give myself the creeps,
sometimes my mind plays tricks on me.
It all keeps adding up,
I think I’m cracking up...
Am I just paranoid?
Or am I just stoned?
 
(3:11) Fottiti.
(3:12) Lo sai che stai facendo impazzire anche me, vero?
 
(3:14) Beh, però, dopotutto, forse voglio impazzire del tutto. Per bene.
(3:15) Mi insegni come si fa?

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Capitolo 3
*** She's a rebel - Green Day ***


Un altro pezzo della mia storia... per la persona che mi ha tolto il nome e mi ha dato la possibilità di vivere.
SHE’S A REBEL

She’s a rebel...
 
Where is the pride?” recita la scritta sullo specchio, subito sotto l’immagine della bandiera italiana in fiamme. L’ha dipinta lei, anni prima, in una domenica pomeriggio di quelle da buttare. Si aspettava una bella ripassata per questo, sua madre andava sempre fuori di testa quando usava le tempere in camera, prima. Ma, questa volta, non aveva avuto niente da ridire. Chissà se perché ormai si era arresa, oppure perché era perfettamente d’accordo. Dove cazzo è finito l’orgoglio? Quello della gente, quello della sua nazione, del mondo intero. Dove cazzo l’hanno buttato?
Magari l’hanno perso. Magari se lo sono dimenticato. O magari sapevano benissimo cosa stavano facendo quando l’hanno gettato nel cesso e hanno tirato lo sciacquone, ma pensavano che non ci fosse nient’altro da fare.

...she’s a saint...
 
Lei non sa perché tutti abbiano deciso di buttarlo via, l’orgoglio. Non lo sa, sa solo che è una reazione a catena e lei non ha idea di come sia iniziata. Magari con la crisi: si sa che la disperazione porta le persone ad abbassarsi a qualsiasi cosa. Ma non è stata proprio la mancanza di orgoglio che ha trasformato la società in un mondo piatto e basato sui soldi?
Forse, quindi, non è una reazione a catena. è solo un circolo vizioso.
Che però, anche quello, chissà da cosa è cominciato.
Forse era destino che le cose finissero così. Forse non è colpa di nessuno, forse tutti loro – tutte le persone – hanno solo avuto la sfortuna di nascere proprio in questo momento e tutta la colpa di quel crollo verrà addossata a loro dai fantasmi e da chi verrà dopo, sempre che dopo venga qualcuno e che il mondo non finisca qui, così e ora.
Ma in realtà lei non ci credere. Non esiste il destino, perché dovrebbe? Per quale motivo qualcuno si dovrebbe scomodare a fare un progetto della vita di ogni persona del mondo? è molto più semplice lasciare tutto al caso; tanto poi a chiunque sarebbe stato capace di scrivere il destino fregherà poco, lui non verrà mai toccato da tutto questo.
Chissà se quel qualcuno è Dio. Non esiste Dio, ma magari potrebbe essere lui. Magari le persone ci hanno creduto così tanto da farlo comparire, alla fine. Dopotutto, le cose esistono finché la gente ci crede, finché le considera. La realtà, se non è guardata, è solo realtà.
Chissà se Dio è crudele, menefreghista o semplicemente stupido, per lasciare tutto così com’è.
Forse tutte e tre le cose. Dopotutto, Dio è Dio. Può permettersi di essere come vuole.
Mentre sembra che, secondo lui, al mondo debbano essere tutti dei fottuti santi.
Un’ultima occhiata allo specchio. Sguardo a se stessa, sfuggente. Tanto la vera se stessa è quella che lo specchio non può mostrare.
E poi via.
 
...she’s salt of the Earth...
 
Siamo la sorpresa dietro ai vetri scuri,
siamo la risata dentro il tunnel degli orrori...
 
La musica le brucia nelle orecchie mentre guarda dritta davanti a sé. Qualcuno sta spiegando, qualcosa di importante, magari, ma lei non sta ascoltando. Non sa nemmeno che cazzo c’è andata a fare, in quella stupida scuola. Avrebbe potuto smettere di studiare un bel po’ di tempo fa. Tanto quello che le insegnano qui è totalmente inutile, almeno per la vita vera. Tutto è inutile per la vita vera. E, se anche fosse utile, lei non ce l’ha neanche, una vita vera. C’è molta più vita nella sua testa che nella realtà. Anche molta più morte, probabilmente, ma chi se ne frega. Magari tutte quelle cazzate che ti dicono ai funerali tipo: “La morte fa parte della vita” non sono poi così false.
Si passa una mano tra i capelli. Rossi. Rossi come il sangue. Ha cambiato colore un sacco di volte, ma alla fine è sempre tornata lì. Al rosso che è la vita che le scorre nelle vene. Una vita che lei non ha intenzione di lasciar prosciugare, non ancora. Probabilmente non sarà mai pronta a lasciarla andare via, a lasciar andare via se stessa. Probabilmente finirà pazza.
Oppure finirà geniale, chi lo sa. La pazzia e la genialità sono esattamente la stessa cosa. Tutti i pensieri sono uguali, sono le persone che li valutano in modi diversi.
Ridacchia, la risata dentro il tunnel degli orrori che è la realtà. Qualcuno la guarda male. Lei si limita a sorridere con freddezza. Sa di essere sale, sale sulla ferita aperta che è per tutti la realtà.
E le va bene così, alla fin fine. Basta gentilezze, ne ha le scatole piene da un bel po’.
L’unica cosa che vuole è urlare come una stronzetta scotennata.
Per questo alza ancora di più il volume. Inizia a pensare che sia una cazzata che la musica può capirti. La musica di per sé non è niente, è lei che ci mette le idee dentro, ce le ficca a forza anche quando non ci stanno bene.
Ma vaffanculo. Tanto prima o poi si muore tutti, tanto alla fin fine non si paga, per niente, e neanche si merita. Alla fine non ce n’è per nessuno, proprio di niente.
 
...and she’s dangerous...
 
Crocefisso.
Non sa neanche perché c’è entrata, nella chiesa. L’unica cosa che sa è che adesso non riesce a smettere di fissare l’immagine di Gesù attaccato a quella cazzo di croce. Chiunque abbia inventato quella storia deve essere un vero coglione. E se la storia è vera, allora Gesù è più coglione di tutti. Ma che cazzo ti sacrifichi per un mondo così di merda? vorrebbe chiedergli.
E glielo chiede. Così, tanto per sapere. Anche perché lei non lo farebbe mai. Si sacrificherebbe per quello in cui crede, sì, ma per il mondo e basta? Nessuno che non crede nel mondo si sacrificherebbe per il mondo. Siamo tutti egoisti.
Sente qualcuno che ride, mentre i bigotti sparsi sulle panche la guardano con orrore. Si gira, squadrando quel tipo da capo a piedi.
Capelli scompigliati piuttosto corti, con un rasta lungo a un lato della testa. Stupido maglione rosso e nero, un quintale di quegli stupidi braccialettini che ti vendono illegalmente a ogni angolo della strada per un euro l’uno ma che nessuno paga mai, alla fine praticamente te li tirano dietro.
E poi occhi. Occhi marrone scuro, occhi quasi luccicanti. Un ghigno dai denti un po’ storti. Una risposta.      
- Perché è un enorme idiota. –
Lei sbuffa. – Che cazzo vuol dire “idiota”? – domanda. – Siamo tutti idioti. –
Altro ghigno. Il ragazzo scrolla le spalle. – Allora è esattamente come tutti noi. E questi qua sono davvero patetici ad adorarlo come una specie di dio. –
Stavolta, lei sorride.
 
...She’s a rebel,
vigilante...
 
Dita che volano sulle corde di una chitarra. Una soffitta tutto intorno. Una stupida festa al piano di sotto.
Lei osserva quelle mani così dannatamente maldestre, e il rasta che quasi si impiglia nelle corde. Non sa che ci faccia lui qui, ma dopotutto è contenta di averlo trovato. Adesso può smettere di fingere e stare ad ascoltare quegli accordi distorti e stonati.
Lui le lancia un’occhiata. Si fissano, uno sguardo lunghissimo.
 
Musica seria, luce che varia,
pioggia che cade, vita che scorre...
 
canta lui. è stonato, terribilmente stonato, ma chi se ne frega, va bene così. è questa la musica vera, la musica bella. è la musica cantata ad alta voce per sovrastare il casino di una festa. Musica in cui si crede.
Per questo anche lei si mette a cantare. All’inizio cerca di tenere il tono giusto, poi lascia perdere e canta e basta. Il risultato fa schifo, ma per lei non potrebbe essere più bello.
 
Cani randagi, cammelli, re Magi...
Forse fa male, eppure mi va
di stare collegato,
di vivere d’un fiato,
di stendersi sopra al burrone e di guardare giù.
La vertigine non è
la paura di cadere
ma la voglia di volare...
 
Si guardano. Lei sente qualcosa di strano, qualcosa che non sentiva da un sacco. E poi la canzone continua.
 
Mi fido di te.
Mi fido di te.
Mi fido di te.
Cosa sei disposto a perdere?
 
- Proprio niente. – rispondi, senza pensarci. All’inizio pensava che non gliene fregasse niente di niente, che avrebbe potuto mollare qualsiasi cosa e basta. Invece no. Invece non è disposta a rinunciare proprio a nulla, perché ha finito di essere una brava ragazza. Adesso è soltanto una ribelle stronza egoista.
Lui sorride, di nuovo quello strano ghigno. – Sai, tu mi sai tanto di una che non ha paura. –
- No che non ho paura. Tanto lo so già che finirà male, e tanto lo so già che non rinuncerò proprio a niente di me stessa. Mi porterò tutto nella tomba e andrò a rompere i coglioni agli angeli, se esistono. –
- Allora hai davvero voglia di volare. – osserva lui.
- Sì, cazzo. Voglio togliermi anche il resto di queste stupide catene di dosso e andare via da questa merda di vita, ecco cosa voglio. Voglio cambiarla, la vita. E sarò un’idealista, ma personalmente non me ne frega proprio nulla. Adesso sto volando, ma sono sempre legata a terra, in qualche modo. –
- Non so quanto ci si possa slegare del tutto, sai. Siamo troppo umani. –
- Certo che si può. – ribatte lei. – Basta impazzire. –
 
...missing link on the brink
of destruction...
 
Lui la guarda. Lei si lascia guardare. Anche dentro, perché tanto ormai non gliene frega più nulla di quello che pensano. Da piccola aveva paura a far vedere i propri pensieri, adesso li urla. Li urla perché così, magari, qualcuno prima o poi la sentirà.
Il ragazzo allunga una mano. Prende in mano il plettro che lei tiene al collo. Ce l’ha da anni, da quando ha deciso che bisognava cambiare le cose.
Lui legge ad alta voce quello che c’è scritto.
- The show mustn’t go on.
Già, è ora di smettere di recitare. Di fingere.
è ora di spaccare un paio di musi a pugni, è ora di impazzire sul serio. Tanto alla fine non ci sarà più nulla. Né questo mondo che continua a subire gli esseri umani, né questi stupidi umani che si autodistruggono, imperterriti, e neanche quei poveri pazzi rinchiusi in una soffitta, che finiranno bruciati tra i loro stessi pensieri.
Ormai è scoccata l’ora della distruzione.
 
...From Chicago
to Toronto,
she’s the one that they call Old Whatsername...
 
- Serena? – domanda. Sembra quasi sconvolto.
Lo guarda. Non commenta. Anche a lei il suo nome sembra estremamente stupido, e inadatto.
- Non sei una da Serena. –
- Già. – ammette la ragazza. – Mi faccio chiamare “Sere”. – aggiunge. Sere. La sera. Molto più vicina a lei di quanto lo sia la serenità.
- Sì, ma non va bene neanche quello. Tu sei più complicata. –
Ah, davvero? Non si sapeva, guarda.
Dalla sua espressione, lui capisce subito di aver detto una cosa ovvia. – Te ne devo trovare un altro. – decide.
- D’accordo. – risponde lei, tranquillamente. è bello fare queste conversazioni da pazzi in perfetta calma.
Il ragazzo ci pensa. Poi alla fine scrolla le spalle. – Beh, sei troppo per rinchiuderti in un solo nome. Non voglio bollarti, non te lo voglio dare, un nome. Facciamo che da adesso per me tu sei Whatsername. –
 
...She’s the symbol
of resistance...
 
- Li odio! – sbotta, dando un calcio a una lattina sul marciapiede. – Come fanno a pretendere di piegarci così? Credono davvero che imponendosi riusciranno a farci cambiare? Ma sono idioti? –
Sono appena usciti da una nottata in cella. Di certo la ragazza non ha facilitato le cose, quando ha riso in faccia al poliziotto, ma davvero non è riuscita a impedirselo. Stupidi, sono tutti così stupidi. Tutti così convinti di poterla far ingoiare dal sistema. Lo pensavano i suoi genitori, lo pensavano i professori, lo pensavano tutti. Ma adesso lei ha cambiato casa. Ha lasciato perdere le vecchie compagnie false e si è tenuta solo gli amici veri. Ha mollato l’università. Ha mollato il mondo, e adesso vive e basta. Fa quello che vuole. Anche se “quello che vuole” è scrivere un enorme Bullet in a bible sul muro di una chiesa a bomboletta.
Perché non farlo, poi? Per rispetto? Ridacchia di nuovo tra sé al pensiero del discorso che le ha fatto il poliziotto sull’”avere rispetto”. Ma nessuno rispetta nessuno, non in realtà. In realtà non c’è proprio niente da rispettare. è solo un’idea che è stata inculcata con la forza in generazioni e generazioni, ma è estremamente stupida. Il rispetto non esiste. Esiste l’amore, forse, questo sì. Ed è l’amore che ti spinge a comportarti bene, a non tradire, a capire. Non il rispetto. Il rispetto è una cazzata. Può durare fino a un certo punto, ma alla fine no. Alla fine ti rendi conto che ragionare a mente fredda è impossibile, che sarai sempre condizionato da quello che provi.
E lei, in questo momento, prova rabbia. O euforia. O entrambe. Non lo sa neanche.
L’unica cosa che sa è che in questo momento vorrebbe che succedesse qualcosa.
Per esempio la fine del mondo.
 
...and she’s holding on my heart
like an hand grenade...
 
Il ragazzo la guarda. Lui è sempre lì, sempre con lei, anche a fare cose stupide. è convinto che niente sia veramente stupido, che tutto abbia un senso, alla fin fine.
Soprattutto, a quanto pare, pensa che lei abbia un senso. E che valga la pena di starle accanto.
Non ne vale la pena, e la ragazza lo sa, però non ha il coraggio di mandarlo via. Ha bisogno di lui. Gliel’ha detto mesi prima, in quella soffitta.
Mi fido di te.
Non è innamorata di lui. No, questo no. Non sono neanche amici, forse. Però sicuramente non sono niente. Sono qualcosa, e qualcosa di grande.
Perché forse lui è l’unica cosa che può davvero far esplodere la granata che adesso la ragazza ha al posto del suo cuore.
 
...Is she dreaming
what I’m thinking?
Is she the mother of all bombs
gonna detonate?...
 
- Tu hai mai pensato di cambiare il mondo? –
La ragazza solleva la testa, sentendo quella domanda. Sospira. – No. Perché, credevi che era questo che volevo fare? –
Lui scrolla le spalle. – No. Non l’ho mai pensato. Era solo per... essere sicuro. –
Lei raccoglie le ginocchia al petto. – Non ho mai voluto essere un’eroina, una rivoluzionaria. Non ho mai voluto cambiare le cose. Ho solo voluto vivere. – Si attorciglia una ciocca di capelli attorno al dito. Rossi, sono sempre rossi. è passato più di un anno da quando li tiene tinti di questo colore, ma da quando ha incontrato lui non li ha mai cambiati. Perché lui la sa far sentire viva, davvero senza limiti. Forse questo trasforma automaticamente lui in un limite, però non le importa poi così tanto. Alla fine, comunque, un limite c’è per tutti. E per quanti limiti tu possa oltrepassare, te ne troverai sempre un altro davanti. – Tanto non credo che le cose si possano davvero cambiare. Non davvero, non a questo punto della storia. E poi non sarebbe giusto. Perché le cose devono cambiare come voglio io e non come vuole chiunque altro? – Si blocca. Dopotutto, alla fin fine, non è poi davvero così egoista. Oppure sì. Già, perché sa benissimo che, comunque, cambiare le cose sarebbe inutile. Quando si fanno cambiamenti, alla fine si ritorna sempre al punto di partenza.
Sorride. – è assurdo pensare a quante cose non so ancora di te. –
- Eppure la vera me stessa l’hai vista. La vedono tutti quelli che vogliono vedere. –
- Sì, ma è difficile imparare a vedere. –
Già, ha ragione. è difficile, lo è sempre stato. Anche lei ci ha messo anni, per farlo. E guarda com’è finita. Ad aspettare che tutto questo mondo esploda, portandosi dietro l’ipocrisia e i limiti.
Sì, decisamente, a conti fatti è davvero un’egoista.
 
...Is she trouble
like I’m trouble?...
 
- Me la spieghi una cosa? –
- Dimmi. –
- Se davvero pensi di non voler cambiare nulla, perché urli? Perché pensi che ne valga la pena? –
- Me lo sento, più o meno. E poi, perché no? –
- Perché quelli come me si fanno un sacco di problemi. E anche tu sei così. Scommetto che te lo chiedi, ogni tanto. –
- Ok, d’accordo, hai ragione. –
- E quindi... cosa ti sei risposta? –
- Solo che una parte di me forse spera ancora che ci sia qualcosa da salvare. Ed è una parte estremamente stupida, lo so. Però c’è, e non voglio cambiarla, alla fin fine. La speranza era l’unica cosa che mancava al puzzle della felicità. –
- Quindi tu sei felice? –
- Sì, alla fin fine penso di sì. Anche perché sarebbe stupido non esserlo, visto come finirà. –
- Come finirà? –
- Già. Finirà e basta, e poi non ci sarà più nulla. Non proverò dolore per aver perso qualcosa, quindi. Né essere infelice mi faciliterà più di tanto le cose. Se fossi infelice sarebbe peggio, in effetti. Sentirei di non stare vivendo, e avrei paura. Io invece non ho paura. –
- Mi stupisco sempre di come sei... sicura di quello che dici. Come fai a sapere che andrà così? –
- Perché lo penso. E la realtà non è davvero la realtà, ma il modo in cui la vediamo noi. –
 
...Make it double,
twist of fate...
 
- Sono felice anche per un altro motive, sai? – dice la ragazza, all’improvviso.
Lui la guarda. – Quale? –
- Beh, si parla tanto di... metà. E io ho trovato la metà che mi mancava. Quella meno macabra, quella meno... sera. Meno sera e più giorno. Meno nascosta. Più leggera. – Prende un respiro. – E sei tu. – Batte le palpebre, poi continua prima di permettergli di parlare. – Sai qual è la cosa più bella, secondo me? –
- No, dimmi. –
- è che... tu non cerchi di salvarmi. Di proteggermi. Sai... quando ero più piccola, una volta litigai con mio padre. Gli dissi che mi teneva troppo... al guinzaglio, e che era un idiota. Non capivo perché lo facesse. Poi però mi sono ritrovata a portare a spasso il mio cane, e quando lo slegavo lui correva via e rischiava di finire sotto le macchine... e continuava a farlo ogni volta. Non si rendeva conto che era pericoloso. In quel momento pensai che magari neanche io mi rendevo conto che c’era qualcosa di pericoloso nella vita, ma che era per quel rischio che lui non voleva lasciarmi andare. – Prende un respiro. – Tu però non lo fai. Tu ti fidi di me. Non è che te ne freghi, perché alla fin fine inizio a pensare che tu a me ci tenga, almeno un po’. Ed è bello quando la gente ha fiducia, no? –
Lui si morde il labbro. – Il fatto è che... hai detto la verità. Io mi sento un po’... il tuo doppio. E non rinchiuderei mai me da nessuna parte per proteggermi, forse perché sono stupido, o forse perché non sono stupido, non lo so. Comunque, non lo farò nemmeno con te. Perché penso che tu abbia già calcolato la possibilità che tutto questo potrebbe finire male, e non hai paura. E se non hai paura allora puoi anche morire, ma alla fine sei felice. Ecco qual è il problema: io ti voglio felice, non al sicuro. Forse sono un pazzo che vede il mondo all’incontrario, ma la felicità mi sembra più importante della sicurezza. Tanto... prima o poi si muore tutti, no? – chiede, quasi ironico.
La ragazza sorride. Ha ragione, anche per lei è esattamente così, anche lei non l’ha mai fermato, non l’ha allontanato pur sapendo che a volte le situazioni in cui lo infilava erano pericolosi. E non l’ha fatto perché voleva che lui fosse felice.
E magari lui ha ragione quando dice che è una visione del mondo distorta e sbagliata. In questo mondo in cui gli ideali della massa fanno le regole, lei è uno scherzo della natura, un mostro.
Ma è bello essere un mostro se c’è qualcuno che lo è con te.
 
...or a melody that...
She sings the revolution,
the dawning of our lives;
she brings the liberation
that I just can’t define:
nothing comes to mind...
 
- Pensi che dovremmo distruggerlo? –
Sente lo sguardo di lui addosso. – Cosa? –
- Il mondo. Pensi che dovremmo distruggerlo noi? Fare il primo passo? Tanto succederà comunque. –
Esita. – Non lo so. Non sono sicuro che valga la pena neanche di questo. E poi... tu non avevi detto di non essere una rivoluzionaria? –
- Rivoluzionaria della distruzione, del tramonto del mondo. Non sarei una rivoluzionaria normale. –
Sorride, quel sorriso che è sempre stata la cosa più bella di lui. – Tu sarai sempre una rivoluzionaria, anche se non te ne accorgi. Rivoluzioni la tua realtà. Ed è... fantastico. –
- Ma non mi basta più rivoluzionare la mia realtà, forse. –
- Distruggere il mondo ti renderebbe felice? –
Silenzio.
- Forse. – ammetti. – Non lo so bene. Non credo di aver mai valutato davvero l’idea. Solo che adesso mi sento in un modo... strano. Non so come definirlo, però... questa è l’unica liberazione vera che mi viene in mente. –
- Sarebbe una liberazione piuttosto egoista. La gente è felice di vivere in catene. –
- Solo perché si è fatta inglobare da questo cazzo di stile di pensiero. – Prende un respiro. Sa che potrebbe sembrare sadica, ma la verità è solo che lei ha capito. Non c’è scampo, per nessuno. Finirà tutto questo, prima o poi.
Già, ma se non c’è scampo per nessuno, se succederà comunque, tanto vale aspettare. Tanto vale vederla, questa fine del mondo. Tanto ormai siamo al tramonto della vita. Fra poco sarà notte.
Un’ultima emozione, prima del nulla.
 
...She’s a rebel,
she’s a saint,
she’s salt of the Earth
and she’s dangerous.
She’s a rebel,
vigilante,
missing link on the brink
of destruction...
 
Non sapeva come se l’era aspettato.
Sicuramente, non così.
Magari si era aspettata di vedere il sole esplodere.
Fuoco, tanto fuoco, e morte.
Ma, in realtà, non è proprio questo che sta succedendo?
Fuoco, tanto fuoco, quello che c’è nella voce della gente che urla di disperazione. Quello che c’è nei colpi di pistola che volano ovunque.
Stringe la mano di lui. Non ha paura. Se deve finire così, finirà così. In uno stupido bar di periferia dove è scoppiato il caos, dove la morte è arrivata sotto forma di esseri umani.
Ora che ci pensa, non sa come sarebbe potuta andare diversamente.
è sparito tutto, anche l’illusione di pietà. Già, è sparita quando il primo colpo ha fatto esplodere di rosso la testa di un bambino, quando tutti hanno iniziato a morire.
Lei continua a stare a testa alta, immobile.
Non la colpiscono, mai.
Ed è allora che capisce che quegli uomini sono come lei. Che hanno deciso di fare a pezzi il mondo come aveva pensato mesi prima. Che il suo piano l’hanno messo in atto.
Poi però vede i loro occhi.
E capisce di nuovo.
No, non è così che deve andare. è sbagliato, perché loro non vogliono fare a pezzi il mondo. Vogliono farlo loro.
Le viene a ridere. Una risata isterica, disperata. Davvero le persone non capiscono anche ora che il sole è definitivamente tramontato?
Uno degli uomini la guarda.
E poi viene verso di lei.
 
...She’s a rebel,
she’s a rebel,
she’s a rebel...
 
Si guardano.
- Perché ridi? – domanda lui, gelido.
- Perché tu se esattamente come tutti. Non hai capito nulla. – Le scappa un’altra risata. – Non hai capito proprio nulla. –
Silenzio. Gelido. Venato di rabbia.
Lei continua. Tanto, nessuno le ha detto di fermarsi. – Pensavi di essere diverso, un rivoluzionario, un ribelle. Non lo sei, se pensi di poter cambiare il mondo così. Il mondo cambia a seconda di come lo vedi. Il mondo non esiste, se non c’è nessuno a guardarlo, ed è come vuole chi lo guarda. Ma davvero pensi che questo... – Allarga le braccia, indicando la distruzione attorno a loro. - ...servirà a qualcosa? No, certo che no. Farà solo ricominciare tutto da capo. –
- Sai, amico... – adesso è stato il ragazzo con il sorriso bello a parlare. Si rende conto che, in tutto questo tempo, non ha mai saputo il suo nome. Anche lui per lei, come lei per lui, alla fine è sempre stato solo il vecchio Whatsisname.
Ma forse è meglio così. Almeno rimarrà per sempre qualcuno che non sarà limitato da un nome, mai.
Lo pensa con una nota definitiva nella testa. Sì, perché questa è la fine, e lei lo sa.
- ...Tu non sei affatto un ribelle. – conclude lui, quasi con aria di sfida. Poi indica te con un cenno della testa. – è lei che è una ribelle. –
La ragazza si muove prima di pensare. Un attimo dopo, c’è un coltello affondato nello stomaco dello sconosciuto.
E poi uno sparo, uno sparo che le entra in testa, e poi nulla.
Ma, per un secondo, nell’aria fa in tempo a risuonare una sua frase. Piena di scherno, di schifo, di soddisfazione.
- ...and she’s dangerous. -

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Capitolo 4
*** Uptight - Green Day ***


Questa storia è un po' ispirata all'omonima fanfiction di Brat, "Uptight", che vi consiglio davvero di leggere. Non so quanto senso possa avere questa storia, ma non l'ho scritta per qualcuno, solo per me, e per me significa qualcosa, eccome. Le citazioni nella storia sono (nell'ordine): di una storia che, per quello che ne so, non è mai stata pubblicata, ma che mi è stata letta e che adoro; da "Il diario del vampiro"; dalla "Metamorfosi" di Ovidio; dal film "La febbre del sabato sera".

UPTIGHT

I woke up on the wrong side of the floor...
 
Luce forte. Bianca. In faccia. Cazzo, con tutta questa luce potrei anche essere in paradiso.
Ma non lo sono, penso subito dopo, aprendo gli occhi e trovandomi a fissare le pareti immacolate, bianche. E buttando per terra le lenzuola, così dannatamente fredde. Bianche.
No, questo non è il paradiso, è solo la rivisitazione in bianco dell’inferno.
 
...Made, made my way through the front door...
 
Ci sono arrivato qualche mese fa, qui.
Troppi mesi fa.
è stato relativamente semplice.
Mi viene quasi da ridere, mentre ci ripenso. Mentre ripenso a quando ho cercato di buttarmi di sotto dalla finestra della mia stanza. Pensavo che fosse una fuga dal mondo, e in effetti lo è stata.
Ed è stato anche un ingresso all’inferno dalla porta principale.
Sono stato in ospedale per un po’. Poi, quando si sono resi conto che non sarei morto, mi hanno sbattuto qui. Evidentemente, la mia stanza ha turbato parecchio la polizia, o chiunque ci sia entrato. Beh, non è colpa mia. Io sui miei muri ci faccio quello che mi pare, anche se è scrivere all’infinito parole e parole e parole. A rileggerle dopo non avevano senso, ma mentre le scrivevo ce l’avevano, eccome.
Sì, magari hanno fatto bene a portarmi in questa specie di manicomio. Magari sono davvero pazzo.
Ma sai, non è colpa mia.
è il mondo che fa impazzire, tutti.
 
...Broke my engagement with myself...
 
Non so quando ho iniziato a pensare di volermi ammazzare.
Credo sia stata una cosa un po’ progressiva, dopotutto.
è un po’ alla volta che il mondo normale non ti basta più, che inizi a scrivere sui muri.
è un po’ alla volta che le cose sensate non ti bastano più, che inizi a farne di insensate.
è un po’ alla volta che pensare non ti basta più, che ti metti a urlare.
è un po’ alla volta che vivere non ti basta più, e ti metti a pretendere.
Ma ci vuole poco a rendersi conto che pretendere è inutile. Il mondo non darà niente di più a te della merda con cui nutre tutti. Perciò quando te ne rendi conto smetti di amarlo, il mondo. Anche quello un po’ alla volta, perché dopo tutto sei umano, e ti senti attaccato a quello che ti circonda. Però alla fine ci riesci, e ti rintani in te stesso. Ma anche lì la gioia è breve, sempre che ci sia. Perché poi ti rendi conto che la merda non è solo fuori, è anche in te; anzi, forse quella in te è pure peggio. Tu sei solo il patetico tra i patetici. E ti fai talmente schifo che smetti di amare pure te stesso.
E poi ti chiedono perché hai deciso di ammazzarti.
Idioti.
 
...Perfect picture of bad health...
 
Sto qui. Seduto sul letto, e basta. Non faccio niente, non ho voglia di fare niente. Ci vogliono ore prima che il brontolio del mio stomaco diventi abbastanza fastidioso da costringermi ad alzarmi e andarmi a cercare qualcosa da mangiare.
Non sono chiuso in camera. Non per forza. Dicono che sono “stabile”, quindi posso anche andare in giro. Tanto non ci sono finestre da cui io possa buttarmi, né ho modi di uccidermi. Il loro lavoro almeno per metà lo fanno. Mi tengono in vita.
Dell’altra metà però sembra che se ne sbattano altamente. Curarmi. Mi viene quasi da ridere all’idea. La mia non è una malattia che si può curare, la pazzia è pazzia, e quando c’è ormai ce l’hai nel cervello non se ne va più. Ma personalmente non è che mi dispiaccia, la pazzia. Non la amo, ma ehi, questa c’è. E non credo che la presunta “normalità” a cui vorrebbero riportarmi sarebbe particolarmente diversa, alla fin fine. Anzi, forse sarebbe persino più noiosa.
Entro nella mensa. Non c’è praticamente nessuno, solo tavoli di un verde squallido e un paio dei cosiddetti “psichiatri”, che però per quanto mi riguarda non sono buoni a fare nulla.
Mi guardano tutti e due mentre vado a prendermi qualcosa da mangiare. Una tizia mi scodella davanti una tazza di latte tiepido e dei cornflakes dall’aria molliccia. Non hanno neanche paura che rompa la tazza e cerchi di tagliarmi le vene, tanto ci sono le telecamere e arriverebbe qualcuno in neanche un minuto. Sono controllato, continuamente, siamo tutti controllati. Loro sono dappertutto, nelle nostre vite, nei nostri cervelli. Anche se sinceramente non è che mi diano particolarmente fastidio. Quello che penso lo penso, non ho mai avuto intenzione di nasconderlo. Sono cazzi loro se vogliono impazzire a osservarlo e a ragionarci sopra.
Mentre ingoio i cereali senza neanche sentirne il sapore, penso che dopotutto ormai non è che io abbia più tanta voglia di morire. è un posto malsano, questo, l’esatta immagine della malattia mentale, ma la mia situazione dopotutto è quasi migliore di quella di prima. Sono una persona di sfondo come al solito, faccio cazzate come al solito, tutti mi guardano male come al solito. L’unica cosa diversa è Ally.
Già, Ally. Ora che ci penso, magari dopo la vado a trovare.
 
...Another notch scratched on my belt.
The future just ain’t what it used to be...
 
Ally l’ho conosciuta qui.
Non so se si chiami davvero Ally, a dire la verità. Lei si è presentata così, e quindi è così che la chiamo. Non sono cavoli miei il suo nome, alla fin fine. Mi basta che sia pronunciabile, e questo lo è alla grande, perciò è ok. A me sembra un nome un po’ insensato, che sa più di soprannome, ma dopotutto mi piace. I nomi per intero o che hanno un senso sono sempre i nomi più limitanti, idioti. Quando un nome non ha nessun significato particolare puoi essere quello che cazzo ti pare e nessuno potrà mai dirti nulla.
Cammino rapidamente per i corridoi fino alla sua stanza. Magari non c’è, anche se dopotutto lei non esce tanto spesso. Dice che non ha voglia di stare a guardare quelle illusioni di libertà che sono i corridoi e il cortile spappolandosi il cervello. Meglio la realtà di una prigione. Ecco, solo per queste parole, io la metterei sul trono al posto di Dio, cazzo. E invece dov’è che l’ha gettata il mondo? In uno stupido manicomio. è sempre così, sempre così, sempre così. Le persone davvero geniali non le capisce nessuno.
Oppure a me sembra di capirle solo perché sono pazzo, non so. Sta di fatto che quella dannata ragazza è la cosa più vera del mondo, la più viva. Sì, esplode di vita, sempre, anche quando se ne sta a fissare il soffitto. Pensa, ed è questo che mi piace. Lei dice che a volte le da fastidio non riuscire mai a smettere di pensare se non quando si fa. Ha trovato qualcuno che le vende roba anche qui dentro. So come lo paga, e non mi piace granché. Non so quanto mi va che una così si sprechi a fare la puttana. Ma magari si diverte, e comunque non sono fatti miei quello che fa, non se voglio cambiarlo. Lei non si farà cambiare comunque, da nessuno. Una volta le ho chiesto se non le dava fastidio l’idea di fottersi il cervello così, e lei ha risposto che preferisce fotterselo da sola, il cervello, piuttosto che lasciarselo fottere dal sistema.
Dopo questo, lo ammetto, un paio di pasticche di MD me le sono prese pure io. Poi Ally mi ha detto di smettere, di non essere così fottutamente fatalista; ha detto che comunque è stupido lasciar vincere il sistema così, e che lei la roba la tiene soprattutto per le “emergenze”, ma comunque non si fa quasi mai. Quello che vuole, dopotutto, è continuare a pensare, perché se pensa andrà sempre contro la realtà. Io le ho chiesto che senso ha, e lei ha risposto che non ne ha assolutamente nessuno, ma tutti sono umani, cazzo, e tutti hanno degli impulsi stupidi.
Dio, quella prima o poi mi farà impazzire davvero. O ancora di più, mettila come ti pare.
Entro nella sua stanza. Non busso, tanto per lei è lo stesso, non risponde mai comunque. La trovo che dipinge, seduta per terra con il piatto con i colori in una mano e il pennello nell’altra. Brava è brava, anche se non nel senso comune del termine. Non è una di quelli che riproducono la realtà esattamente uguale, no, proprio per nulla. Lei è una di quelli che la realtà la riproducono molto più vera.
Guardo quello che sta dipingendo adesso. è una faccia, la faccia di una ragazza, con una bandana colorata come una bandiera sulla bocca. Sembra tanto quella di 21st Century Breakdown, almeno se non la guardi bene. Se lo fai, invece, ti rendi cono che è completamente diversa. La ragazza del disco ha quell’espressione fiera negli occhi, decisa, e la bandiera è quello che lei sta urlando: l’orgoglio di una nazione. Invece in questo disegno l’unica cosa che sta facendo la bandiera è tappare la bocca della ragazza, impedendole di parlare. No, non esistono più i sogni di una volta. Già, perché prima una nazione era qualcosa da proteggere, ora è qualcosa che ti soffoca.
Sollevo la testa e guardo una scritta sul muro. L’ho fatta io, l’ho scritta un po’ ovunque in uno dei miei periodacci. è ancora su tutte le pareti dei corridoi e nella mia stanza. Già, quel posto sembra davvero la cella di un pazzo. Forse in quel periodo lo ero proprio, pazzo.
 
Dov’è finito tutto il futuro che c’era quando eravamo giovani?
 
Già, dove cazzo è? Ok, non è che io sia vecchio, no, per nulla. Però sicuramente non sono giovane. Già, perché io per “giovane” intendo qualcuno con dei sogni. Il futuro è i sogni. Sì, solo che in questo cazzo di posto non ci sono neanche quelli.
Ally si gira a guardarmi. – Ciao. – dice.
- Ciao. – rispondo. – A che punto siamo? –
Lei lancia un’occhiata al muro. Ci sono delle X sulla parete di destra, una per ogni giorno passato qui. Ormai sono davvero un bel po’.
- Centoventisette. – dice. Poi scrolla le spalle. – Non so perché ti ostini a contare. –
- Beh, se non te ne fregasse avresti smesso di segnarti queste cose per me. –
Le scappa un sorriso. – Touché. Che ci fai qui? –
- Non lo so. Avevo voglia di venire. –
- E allora stai pure. Tanto non fa differenza essere pazzi da soli o in due, alla fin fine. –
 
...I got a new start on a dead end road...
 
- Sai, a volte ci penso. E sembra assurdo. Però è vero. –
Ally mi guarda. – Cosa? – chiede.
- Il fatto che... ho iniziato una specie di nuova vita in un vicolo cieco. Ho iniziato qualcosa alla fine. –
- Fine. – sbuffa lei. – Ma quanti anni hai? Venticinque? Meno? Pensi sul serio di essere alla fine? –
- So che non c’è niente, dopo. –
- Oh, beh, non c’è mai niente dopo, se è per questo. – ribatte, poi si rimette a dipingere. Dipinge proprio come io scrivo sul muro, seguendo i pensieri. Le lasciano le tempere perché qualcuno ha detto che fa parte della sua “terapia”. Ma che cazzo, non c’è nessuna terapia. Comunque, in realtà, meglio così.
Adesso sta dipingendo... non lo so cosa, in realtà. Provo a indovinarlo, e solo dopo un po’ mi rendo conto che è un paesaggio, ma è tutto nero. è quasi l’ombra di un paesaggio, e poi è dipinto all’incontrario. Mi giro a pancia in su sul letto e rovescio la testa all’indietro per vedere meglio.
C’è una specie di muraglia, da cui spicca una torre piuttosto alta e... strana. Sulla cima si allarga e poi si chiude in un tetto.
- Che posto è? – chiedo.
Scrolla le spalle. – Un posto dove sono stata un sacco di volte. Mi chiedevo sempre perché la cima della torre non crollasse, visto che è così larga. è bello. Si appoggia sul vuoto, insomma. Vuol dire che anche sul vuoto si possono costruire delle fondamenta, basta volerlo. – Mi guarda. – Forse non è così assurdo iniziare una nuova vita in un vicolo cieco. –
 
...peaked, peaked out on a reaching new lows...
 
- E perché è al contrario? –
Lo chiedo anche se non so se mi risponderà. Non sempre lo fa, a volte non ne ha voglia, oppure semplicemente la risposta non la sa neppure lei.
Questa volta, però, me lo dice subito. – Beh, perché è più realistico così, no? Il mondo si sta scrollando di dosso le persone che non sono abbastanza forti o abbastanza interessate da starci attaccate, un po’ come noi. Noi siamo caduti. – Dipinge rapidamente un paio di figure che precipitano verso il vuoto. Poi, una che si aggrappa alla torre. – Però eccoci qui. – aggiunge, indicando la figura. – Noi nel mondo ci possiamo ancora tornare. Sarà complicato, ma se vogliamo ce la possiamo fare. Dopotutto, non siamo ancora morti. Basta arrampicarsi. – Non si preoccupa a fare questi discorsi, nonostante sappia benissimo che siamo sorvegliati, tanto sa che nessuno la prende mai sul serio. – Ti va di ascoltare un po’ di musica? –
- Ah, beh... ok. – rispondo. Lei si avvicina al giradischi che c’è sulla scrivania, accanto al quale c’è una pila di LP. Ce ne sono anche parecchi altri nella libreria. Ally legge e ascolta un sacco di musica, e la sua stanza è una delle più piene. è qui da chissà quanto tempo, e ai sorveglianti lei dopotutto piace. Non fa mai niente di male, e qui quando ti comporti bene ti premiano. è un po’ come essere animali da circo: se fai quello che vogliono loro ti danno degli zuccherini.
Il disco parte. Si chiama Nimrod, e sulla copertina c’è un disegno fantastico: due persone con la faccia coperta, come se fosse stata censurata, da un cerchio giallo. E nel mezzo del cerchio c’è scritto proprio Nimrod. Mi chiedo cosa voglia dire. So un bel po’ di inglese, ma questa parola non l’ho mai sentita.
- è ebraico. – dice Ally, prima che glielo chieda. – Significa “cacciatore”. –
Io per un secondo ci penso. Non sono come quelle persone che riescono a passare sopra le informazioni semplicemente calpestandole, io almeno per un secondo mi ci scontro, anzi, mi ci schianto proprio di faccia. Probabilmente sono un idiota, ma insomma, penso di potermelo permettere, visto che sono rinchiuso in un manicomio.
Alla fine decido che l’unica possibilità è ascoltarlo un po’, questo disco, per capire perché si chiama così.
Ally sceglie una traccia, poi si siede sul letto.
- Si chiama Uptight. – dice.
Io la ascolto. è un ritmo un po’ duro, graffiato dal disco. Ally canticchia insieme alla voce del cantante una frase sola. – I’m a nag with a gun.
Io mi trovo a fissarla, mentre spegne il giradischi una volta che la canzone è finita. – We are nags. – dice, sovrappensiero.
Sì, probabilmente ha ragione. Siamo dei rompipalle del cavolo sputati fuori da un mondo che non ci voleva più.
E io quel mondo lo detesto, ma mai quanto questo cazzo. Quello che vorrei sarebbe andare nel mondo e spaccare la faccia a tutti.
 
...Owe, I paid off all my debts to myself...
 
Sospiro, lanciando in aria una palla e riprendendola al volo. è quasi ora, fra poco c’è il mio incontro giornaliero con il mio psichiatra.
Cazzo, che palle.
Sì, insomma, capisco tutto, ma vorrei vedere chiunque altro costretto a stare seduto in una stanza davanti a un vecchietto dall’aria terrorizzata. Penso che tutti andrebbero fuori di testa, il loro cervello esploderebbe dalla noia. Il mio non esplode solo perché ormai è già completamente a brandelli.
Sento bussare alla porta e mi metto seduto sul letto mentre quella si apre. Solo che, invece del vecchio Ian che viene di solito a rompere i coglioni, sulla porta vedo una ragazzetta con una spruzzata di lentiggini sulla faccia e l’aria strana. Non l’ho mai vista qui, ma ha una cartelletta in mano. La mia. Quindi, a quanto pare, non è una paziente ma una psichiatra. Cazzo, ma siamo seri? Dimostra massimo diciassette anni, con quello stupido golfino giallo canarino.
- Ciao. – fa, tranquillissima. – Tu sei Marco? –
- Jonathan. – ribatto. Mi faccio chiamare così da quando sono piccolo, da quando ho letto Il gabbiano Jonathan Livingston. Mi sembrava un nome molto più bello del mio.
- Marco. – inizia. – Senti, so che è complicato, ma devi renderti conto che è questo il tuo nome. Non puoi ignorare la realtà. –
La guardo, e mi viene voglia di sputarle in faccia. – Cazzo, mi chiudete in uno stupido manicomio, mi togliete la vita e non ho neanche il diritto di chiamarmi come mi pare? Porco Dio, io ho finito di pagare per qualsiasi colpa io abbia commesso e anche per quelle di tutto il resto del mondo passando tutto il resto di questa merda di vita che ho davanti qui. Adesso basta. Non ho altri debiti, e adesso voglio anche dare qualcosa a me stesso. è chiedere troppo? Come faccio a non ignorare la realtà se la realtà fa così schifo? Tu non sei chiusa da mesi e mesi in un manicomio, ma io sì, cazzo! E io la realtà adesso la odio ancora più di prima. Sai quanto è servita la vostra terapia? Io adesso lo rifarei, accidenti! Mi ributterei miliardi di volte da quel fottuto balcone, anzi, mi sparerei in testa per essere più sicuro di morire! – Non è vero, o meglio, non ne sono sicuro. Non ho voglia di morire, nonostante questa realtà. Non è che l’idea di farlo mi faccia paura, siamo intesi. Sarei perfettamente capace di ammazzarmi in tutta tranquillità. Inizio a pensare che non ci sia differenza tra la vita e la morte, che l’esistenza e la non esistenza siano entrambe solo una grande noia. Però ho voglia di rinfacciarle tutto, e quindi perché non farlo? Cosa ho da perdere?
Mi fissa. Resta immobile sulla porta, poi entra e si siede come se non avessi detto assolutamente nulla e apre la mia cartella.
Io rido. Una risata amara, isterica. – Ah, sì, adesso capisco. I pazzi li curate ignorando la loro pazzia, così potete fare finta che prima o poi scomparirà. – Rido di nuovo. – Patetici. Siamo tutti così schifosamente patetici. E lo so che tu pensi che l’unico patetico della situazione sia io, ma tanto che me ne frega? Sei venuta qui per farmi parlare? Beh, parlerò. Non servirà a niente, ma se quello che volete è vedere cosa c’è nella mia testa allora fate pure. La porta è sempre aperta, tanto, sul serio, chi se ne frega di chi vede i miei pensieri? Io non mi vergogno di quello che penso, anche se sono cose così di merda. è per questo che mi definite “pazzo”? –
I suoi occhi hanno un guizzo, mi osservano per un secondo e poi si posano di nuovo sulla cartella. Scribacchia qualcosa, poi lo cancella.
- Come ti senti? – domanda.
Io non mi do neanche la pena di rispondere. “Come ti senti” è una domanda estremamente stupida da fare a uno come me, e anche totalmente inutile, visto che io non lo so, come mi sento. Trovo un pennarello abbandonato sul letto e mi metto a scrivere sul lenzuolo, colorando quell’orribile bianco.
 
Credo di aver detto "Sto bene, grazie" almeno trentasette volte, e non era vero neanche una volta, ma non se n'è accorto nessuno. Quando qualcuno ti chiede "Come stai?" non vuole una vera risposta.
 
Viene da Il diario del vampiro, un libro che mi ha prestato Ally. Mi sembra verissima, come frase. Quando la gente ti chiede come stai, si aspetta la classica risposta ovvia. è una cosa che si chiede quasi senza pensare, quasi di riflesso. Il che mi fa parecchio incazzare perché in teoria dovrebbe essere un modo di interessarsi degli altri e in realtà non è proprio nulla, non più.
Oppure, in questo posto, si aspettano solo che io confermi le loro opinioni. Qui si interessano a me, sì, ma non in modo normale, non perché ci tengono a me o roba del genere, ma perché e il loro lavoro. Lavoro che oltretutto svolgono davvero di merda, con disinteresse, tanto per loro sono già andato e non uscirò mai da questo posto, quindi in effetti anche loro non sono interessati a me. Non c’è nessuno che lo sia.
O forse sì. Magari ad Ally interessa di me. Non in modo normale, però. Penso che se mi ammazzassi non le darebbe più di tanto fastidio. Penserebbe che sia stato giusto, visto che la mia vita è affar mio, è l’unica cosa che mi appartiene, ormai, e posso farci quello che mi pare.
Cazzo, questi qui mi hanno tolto pure la vita. E l’unico modo di riappropriarmene sarebbe, appunto, uccidermi. Anche se più che un riappropiarsene sarebbe un toglierla a loro. E non ho voglia di perdere tempo a escogitare un piano per riuscire a conficcarmi una pallottola nel cervello solo per fare un dispetto a loro. Non si meritano neanche questo. Mi ammazzerò quando sentirò il bisogno di morire.
Magari però adesso potrei ammazzare questa troietta. Sento un gran bisogno di ammazzarla.
 
...perfect picture of bad health...
 
- Ehi. –
La ignoro, ancora. Inizio a pensare e pensare e pensare. Non dovrei farlo e lo so, quando penso vado fuori di testa tutte le volte, ma chi se ne importa.
Penso a me. Penso ad Ally. Penso a quanto questo posto faccia schifo. Non è che ci si sta male, ma sicuramente non ci si sta bene. è l’esatta immagine della mancanza di salute, mentale e non. Sto male anche fisicamente, in un certo senso; mi sento fiacco, imprigionato. Mi manca un sacco correre e urlare e piangere e fare casino e suonare fino alle tre del mattino con i vicini che sbraitano. Mi manca essere libero. E pensare che quando ho  cercato di ammazzarmi credevo che non mi sarebbe mai mancato nulla. Ma adesso la libertà mi manca, e come. Non è un paragone da fare, lo so. Nella mia testa non sarebbe finita così.
E neanche ora nella mia testa deve finire così. No, no, no. Non riesco accettarlo, e non so perché. Probabilmente perché sono davvero pazzo, visto che questo è l’unico futuro che ho davanti.
Poi, però, mi viene in mente una cosa. A volte le cose possono essere costruite sul nulla. E ci sono un sacco di modi di costruire. Prima di rendermene conto, mi ritrovo di nuovo a scrivere.
 
Si narra che i Giganti, aspirando al regno celeste,
ammassassero i monti gli uni sugli altri fino alle stelle...
 
Già. Sarei disposto anche a sforzi più grandi per andare via da qui. Ma a cosa aspiro io? Al mondo? No, no, certo che no. Aspiro a qualcosa di molto più grande, un regno celeste che sia mio e di chi voglio io.
Aspiro alla mia vita.
E non credo affatto che sia chiedere troppo.
 
...Another notch scratched on my belt...
 
- Ovidio. – dice una voce, sopra di me.
Sollevo la testa, e incrocio gli occhi della troietta. Sono marroni, anzi, nocciola. Odio quel colore. Un sacco di gente dice che è caldo, ma per me sa semplicemente di schifosa frutta secca tostata. Sa di finto.
Scrollo le spalle. Non c’era bisogno che mi dicesse lei che la cosa che ho scritto è di Ovidio, lo so benissimo da solo.
- Mi puoi dire una cosa? –
La guardo. Se mi sta chiedendo questo significa che, qualsiasi cosa sia, è così stupida da non averla ancora capita da sola. E sì che io tutto quello che so di me stesso lo sbandiero allegramente ai quattro venti. Cazzo, la gente sa essere stupida in modo impressionante.
Comunque, annuisco. Tanto, ormai...
- Perché scrivi tutte queste cose? –
Domanda ovvia. Alzo gli occhi al cielo. – Secondo te perché? –
Sguardo vuoto. Dubbio. Non ne ha idea. – Non lo so. – ammette.
- Perché scrivo quello che ho dentro la testa. E visto che sono così pigro o così incapace che non riesco a trovare parole mie, uso quelle degli altri. Tutto qui. –
Sembra stupita da quella risposta. Mi sento rivoltare lo stomaco. – Pensavi sul serio che scrivessi cose a caso? –
Esita. Ho fatto centro. – Perché dovrei essere così idiota da farlo? – la incalzo. – Lo so che sono pazzo, ma anche i pazzi hanno una logica, no? – Mi giro a pancia in su e sbuffo. – Cazzo, perché qui dentro tutto riesce ad essere così terribilmente noioso? E non dire che sono io che vedo le cose in modo distorto. Sono mesi che non esco da qui. Sai che cos’ho in testa? Noianoianoianoianoia. E non so neanche perché te lo sto dicendo, visto che qualunque idiota lo capirebbe benissimo da solo. –
C’è qualche secondo di silenzio. Poi... – Non pensi mai quando ti annoi? –
Mi giro di nuovo a guardarla. Questa è una domanda strana. – Beh, quando mi annoio è perché non solo non ho un cazzo da fare, ma neanche niente a cui pensare. Sennò non sarei annoiato. – rispondo, poi mi rimetto a pancia in su. Dopo qualche secondo, però, mi giro di nuovo. – Sai, lo so cosa stai pensando. Che non vedi l’ora di riuscire a entrare nel mio cervello e di fare a pezzi un bel po’ di roba, così potrai dire di aver curato un pazzo. Ma sai, è tutto così stupido. Non ci vuole proprio niente a entrare nel mio cervello, ma le cose che stanno là dentro sono lì e ci stanno bene, e senza di loro il mio cervello non esiste. Ammazza quelle cose, e ammazzerai anche me. – è la verità. Se qualcuno – in qualche modo, modi che non riesco neanche a immaginarmi – riuscisse a strapparmi i miei pensieri veri, quelli importanti, di me non rimarrebbe nulla. Diventerei solo qualcosa di piatto e stupido e inesistente. Forse è come morire, no, anzi, peggio. Non potrei sopportarlo.
- Ti sembriamo stupidi? – domanda lei.
- Siete stupidi. Perché non capite il punto. O, se lo capite, siete ancora più stupidi, perché credete sul serio che io non l’abbia capito. Quello che volete fare è trasformarmi in una “persona normale”, ma non si trasforma qualcosa in qualcos’altro con la forza, e soprattutto non si trasforma qualcosa in qualcos’altro con la volontà. Quello che mi state facendo mi sta cambiando, ovviamente. Ma non nel modo che volete voi. I cambiamenti sono sempre fuori controllo. –
Mi guarda, resta in silenzio. Sembra quasi spaventata. Dopo qualche secondo, se ne va sbattendo la porta.
Sì, bene, scappa da me. Tanto lo so che hai solo paura che io ti contagi con la mia follia.
Fisso la finestra. è sera, quasi notte.
E l’unica cosa che ho ottenuto è stata passare un altro giorno, e far scrivere ad Ally un’altra X sul muro.
 
...The future is in my living room...
 
- Ally? –
- Sì? –
- Voglio un futuro. –
Mi ritrovo a confessarlo come una colpa. Cazzo, per un suicida questa è eccome una colpa. Significa che effettivamente qui mi hanno cambiato, mi hanno convinto a vivere.
Sì, ma sto andando fuori controllo. Fuori da qualsiasi controllo, anche dal mio, e questo mi spaventa. è per questo che ho deciso di parlare con lei solo in questo sgabuzzino, l’unico posto senza telecamere che lei è riuscita a scovare dopo anni che sta qui e dove andiamo a farci.
Ally mi guarda, e qualcosa nei suoi occhi mi spaventa. è la rassegnazione. – Il futuro non c’è, cazzo, è finito tutto. Il futuro non c’è da nessuna parte. –
Io stringo i pugni. Lo so che ha ragione, ma non riesco a resistere all’impulso di cercarlo, quel futuro. – Non è vero. – mormoro. – Il futuro è qui, qui e ora, e noi riusciremo a portarlo da qualche altra parte. Via, via da questo schifo di posto. Via da tutto. Sarà soltanto il nostro fottuto futuro, e sarà come pare a noi. –
- Sono discorsi da idealista. E sono tutte cazzate. –
- Sì, forse. Ma che ci costa provare? Davvero ti mancherà, questo posto? Oppure vuoi provare ad arrampicarti? Non resterai appesa per sempre. O sali o cadi giù, Ally. Cosa vuoi? –
Lei mi guarda. Mi guarda e piange. So che ha paura, so che non vuole sperare per non dover perdere di nuovo qualcosa.
Eppure stringe i pugni. – Allora d’accordo. Saliamo. Tanto al massimo cadremo. E succederà comunque, ma almeno così sapremo di averci provato. Non vale un cazzo, ma forse nelle nostri menti malate cambierà qualcosa. –
 
...Uptight, I’m a nag with a gun...
 
- Allora? –
Guardo Ally. Prendo un respiro. Sono passati mesi da quando abbiamo deciso di scappare, e non siamo ancora arrivati a nulla. Solo che ho paura di dirglielo.
Ma lei capisce. Guarda il disegno sul muro, che ormai inizia a sbiadirsi, poi le troppe croci sull’altra parete.
- Beh... – fa. – Mi sa che ci vuole un po’ più forza del previsto per arrampicarsi. –
Poi scrolla tranquillamente le spalle e se ne va.
Come fa ad essere così calma, cazzo? Io mi sento esplodere. Mi ritrovo a starmene seduto sul mio letto a fissare il muro. Tanto, fra poco arriverà il mio psichiatra. è cambiato, la ragazzina non è più venuta dopo quella volta. Adesso ce n’è uno dei soliti, disinteressato e che fa solo quello che deve, cioè farmi domande. Io gli rispondo. Dopotutto, non ho neanche più voglia di rendere la vita impossibile alla gente. Voglio solo andarmene da qui.
Quando la porta si apre, però, c’è una sorpresa. La ragazzina. Mi fissa addosso quegli occhi nocciola e mi dice: - Ciao. –
La fisso. – Che ci fai qui? –
- Sono la tua psichiatra. –
- Avevo capito che te n’eri andata. –
- Beh, ora sono tornata. –
Non so cosa rispondere, perciò resto in silenzio mentre lei appoggia un barattolo di pennarelli nuovi per me sulla scrivania e si siede con la mia cartella in mano. – Come va? – domanda.
- Come al solito. –
Non ribatte. Si scrive qualcosa, poi alza la testa. – Sei ancora convinto di chiamarti Jonathan? –
Sbuffo.
Lei si scrive di nuovo qualcosa.
- Possibile che tu debba prendere tutti quei cazzo di appunti? – chiedo, alzando gli occhi al cielo. – Sei così brava che riesci ad analizzare i miei pensieri sentendo tre parole? –
Le sue labbra si serrano in una linea gelida. – Quello che faccio lo faccio per il tuo bene. –
- Sì, certo. è tutto fatto per il mio bene. – sibilo, sarcastico. Accidenti, stasera ho voglia di litigare. – Cosa c’è di così interessante nella mia testa? –
Lei mi guarda con freddezza e mi sbatte davanti la cartella. Io le lancio un’occhiata distratta, poi mi blocco.
La chiave è nella scatola. Fai quello che ti pare. Se ti sparano non prendertela con me, se ti prendono non prendertela con me. Dopotutto, comunque otterrai quello che vuoi. Morirai e io pagherò per qualsiasi cosa tu pensi che io abbia fatto. Fottiti, stronzo, e fatti una cazzo di vita.
P.S. Sì, me l’ha chiesto la tua ragazza.
Deglutisco, poi mi ricordo delle telecamere e fingo di nuovo rabbia. – Ma per favore. – dico, sbuffando, eppure cerco di guardarla, cerco di dirle “grazie” con gli occhi per quello che sta facendo, qualsiasi siano le sue ragioni. Magari è uno stupido test, magari gliel’ha detto qualcuno di farlo per vedere cosa farò; e non farò neanche in tempo a uscire che mi ributteranno dentro. Oppure spera davvero che mi sparino, così si libererà di me. Non importa, comunque, io la ringrazio lo stesso, o almeno ci provo. Ma gli occhi parlano solo nei libri, nella realtà sono solo occhi, piatti dischi vuoti che hanno dentro solo quello che assorbono dal mondo.
Lei se ne va, la porta sbatte. Io penso che Ally forse ha fatto davvero una cosa stupida, parlando con lei, ma che in effetti ha deciso di crederci davvero, in quello che stiamo facendo. Sta rischiando di cadere per riuscire a salire. E sono felice, perché lei è l’unica cosa voglio che ci sia nella mia nuova vita, o qualsiasi cosa ci sarà dopo. Non so se questo è amore, so solo che adesso ho una possibilità. Sono un fottuto rompipalle, e adesso qualcuno mi ha messo in mano una pistola.
 
...All night, suicide’s last call...
 
Silenzio. Cuore in gola. Battito, battito, battito.
Ancora cinque minuti. Poi c’è il cambio della guardia. E allora saremo fuori da qui.
- Ally... – bisbiglio.
- Sì? –
- Tu perché sei finita qui? –
Non so perché gliel’ho chiesto proprio ora che stiamo per andarcene, non so perché ora per me sia così importante mentre in tutti questi mesi non lo è mai stato. In realtà, non so niente di niente. Non so neanche che cosa succederà stanotte. “Il futuro è stanotte.” penso. Sì, stanotte si decide il nostro futuro.
Ma, per qualche motivo, non riesco a non pensare al passato. A farmi domande. Chissà perché a ogni passaggio bisogna sempre farsi domande su quello precedente. Non lo so, so solo che succede sempre così.
Ally guarda verso il pavimento. – Non sono normale. – dice.
- Non ti ho mai vista fare cose... troppo strane. – ribatto. Qui ce n’è di gente strana, ma Ally è solo geniale. Ma non credo che l’abbiano rinchiusa solo per i suoi pensieri, se non c’è stata una causa scatenante. Questo ancora non possono farlo.
- Beh... a volte penso troppo. E quello che ho in testa esce da solo. Non me ne rendo conto, però a volte parlo da sola e dico quello che ho in testa. E poi quel pensiero mi occupa tutta la testa e cresce e cresce e cresce, e io parlo e... sembro pazza. Forse lo sono. –
La guardo. Non mi sembra che le sia mai successa una cosa del genere, da quando la conosco. – Quanto spesso ti capita? – chiedo.
- Non tanto. Ormai è da un sacco che non succede. –
Vorrei chiederle altro, capire di più, ma è il momento di andare. Passi lontani, silenzio.
Le stringo la mano.
E poi corriamo.
Per l’ultima speranza di un povero suicida.
 
...I’ve been uptight all night...
 
Passi. Urla. Corro, corro, corro, la mano di Ally nella mia. Caos. Sbatto contro la porta di metallo prima di vederla. Cado a terra.
Altri passi. Mi sento afferrare. Ally urla.
La tensione che ho avuto dentro la testa per tutto questo tempo esplode. Afferro la guardia per il collo e la guardo morire. Ally sembra sconvolta, resta inginocchiata per terra mentre mi alzo. Cerco di infilare la chiave nella serratura, ma mi tremano le mani. Altri passi. Devo sbrigarmi, devo sbrigarmi.
La chiave gira, la Ally non si muove. Ha lo sguardo fisso, perso. – I’m a nag. – balbetta.
Non capisco perché si stia comportando così, non ho tempo per capirlo. Le do uno strattone e corriamo di nuovo, fuori. Non ci sono recinzioni, la ragazzina ha scelto bene la porta.
Però ci sono le guardie. Le sento, e sono più veloci di noi. Sento l’adrenalina che mi pulsa nelle vene mentre corriamo su questo campo scoperto. Ci sono degli alberi, poco lontano. Possiamo raggiungerli. Lì dentro sarà più difficile trovarli.
I passi si avvicinano. Gli occhi di Ally si assottigliano. – I’m a nag. – dice, con decisione, poi stringe la presa sulla mia mano e ora è lei a tirare me, correndo più veloce di quanto avevo mai immaginato che potesse correre.
Dopo poco, siamo tra gli alberi, ma il sollievo non dura. Riesco solo a riprendere fiato, poi sento qualcosa. Dei latrati.
Arriva il panico. Ally serra le palpebre e stringe i pugni, restando in piedi immobile. – I’m a nag.
Non capisco, non capisco, non capisco. Che cosa diavolo sta dicendo?
A volte penso troppo. E quello che ho in testa esce da solo. Non me ne rendo conto, però a volte parlo da sola e dico quello che ho in testa.
Mi esce una specie di ringhio mentre mi chiedo perché cazzo è dovuta andare fuori di testa proprio ora. La guardo. Sarei più veloce se non mi trascinassi dietro una pazza, ma non posso lasciare Ally qui. Non posso.
Perciò la prendo per mano, la strattono. Lei mi segue senza troppe storie, ma continua a parlare e parlare e parlare. – I’m a nag. – continua a ripetere.
Io dopo un po’ vedo qualcosa davanti a noi. Una strada. Ci sono delle auto parcheggiate. Potremmo prenderne una. So rubare un’auto, l’ho già fatto. Accelero ancora.
Siamo quasi arrivati quando risento la voce di Ally, fino ad ora spezzata dal fiatone. – I’m a nag.
E poi mi ritrovo con un fucile puntato alla testa.
 
...I’m a son of a gun...
 
Mi blocco di colpo, sentendomi attraversare dal terrore.
- I’m a nag. – balbetta Ally, gli occhioni spalancati.
Io però quasi non la sento neanche.
è finita. Ci hanno presi. Si ritorna all’inferno.
No, no, no.
I passi dietro di noi sembrano scomparsi, ma so che presto li risentiremo. E che oltre all’uomo che mi sta puntando ce ne saranno altri, demoni pronti a riportarci lì. Senza nessuna via di fuga, stavolta.
- I’m a nag. – singhiozza Ally. Io vorrei girarmi a guardarla, ma non posso. Riesco solo a stringere più forte la sua mano, mentre aspetto di vedere la mia vita che mi viene portata via ancora una volta.
 
...Uptight, I’m a nag with a gun.
 
Avevamo una sola possibilità.
L’abbiamo persa.
Le auto sono così vicine. Basterebbero tre passi e saremmo lì. E invece non posso fare nulla, mentre l’uomo chiama qualcun altro grazie all’auricolare che ha all’orecchio.
Magari posso farmi ammazzare. Uno sparo e basta. Meglio cadere nel nulla che cadere nell’inferno.
L’uomo davanti a me mi fissa con un ghigno. – Lo sai, mi avete stupito. Non pensavo che poteste essere abbastanza intelligenti da riuscire a fare una cosa del genere. – Mi sputa in faccia. – Sai, non ho ancora capito perché non vi ammazzano tutti. Scherzi di natura, ecco cosa siete. Con voi non bisognerebbe averla, pietà. Tanto non siete neanche capaci di capirla. –
Non ribatto. Sono solo pronto a farmi sparare. Sto per fare un passo, quando sento la voce indignata di Ally. – I’m a nag! – sbotta, e sembra quasi arrabbiata.
- Sì, esatto, troietta. – risponde l’uomo. – Sei una rompipalle. E forse ti farò esplodere il cervello prima che arrivino. Dirò che hai provato a scappare, che ne dici? –
- I’m a nag. – ribatte Ally, e ridacchia. Una specie di risata isterica. – I’m a nag, I’m a nag, I’m a nag. –
Lo dice quasi in tono canzonatorio. L’uomo le da uno schiaffo che la fa volare per terra. Lei sputa sangue, ma poi torna a fissarlo, con un’aria di sfida che mi fa attraversare da un brivido.
- I’m a nag... – ripete.
E io capisco. E faccio un passo, un passo indietro, impercettibile, mentre lui non mi guarda. Perché è vero. è vero. è vero. She’s a nag. Già. Immagini mi passano davanti agli occhi. La porta, la guardia, lei in ginocchio.
Sollevo la testa proprio nel momento in cui vedo Ally sollevare qualcosa tra le mani e la guardia aprire la bocca in un urlo muto, prima che uno sparo faccia schizzare via la sua testa in un’esplosione di sangue.
Afferro Ally per un polso e corro verso le macchine, le sue parole che non si sono ancora estinte, che sembrano bruciare nell’aria.
- ...WITH A GUN.

 

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Capitolo 5
*** Die young - Ke$ha ***


A quelli che muoiono giovani perché è così che vogliono morire.
DIE YOUNG
 
I hear your heartbeat to the beat of the drums...
 
Buio. Si insinua ovunque, in ogni spazio libero. Negli angoli, tra le pieghe dei vestiti. Le ombre danzano sotto le palpebre, si muovono a ritmo con i capelli, danzano seguendo i piedi della gente in pista.
Luci stroboscopiche. Danzano tra la folla insieme alle ombre, è un gioco mortale tra luce e buio, ognuno in fuga e a caccia dell’altro.
Persone. Si scatenano in pista, volano tra le note. Stanotte nessuno è fuori luogo o sgraziato, siamo tutti un’unica massa, un’unica folla che si muove come una cosa sola.
Sudore. Ne senti l’odore acre nelle narici, che ti risale dentro fino al cervello e ti da alla testa. Ne senti il sapore in bocca, come il retrogusto di una droga, e ti fa solo scatenare ancora di più.
Musica. Musica così forte che pulsa, pulsa, pulsa a ritmo del tuo cuore. A ogni basso ti senti afferrare il petto e poi lanciare in aria, i tamburi che scandiscono i secondi. Tutto sembra pulsare, in questo momento.
Siete tutti un unico cuore fatto di sconosciuti venuti qui a passare una serata.
 
...Oh, what a shame that you came here with someone...
 
Ti senti completamente inebriata dalla folla, incredibilmente viva. Non sai dire che sia bello, ma una cosa la sai: non hai intenzione di smettere.
Eppure, qualcuno non è del tuo stesso parere.
Ti senti afferrare per un braccio. è quasi difficile fermarti, la musica che ti trascina impietosa con il suo ritmo tra la folla, nella pista, a muoverti con gli altri. Quando lo fai, incroci un paio di occhi dal colore distorto dalle luci, che ti fissano impazienti. – Cazzo, è l’una. – urla lui, rompendo ancora di più il ritmo. Quasi non senti la sua voce, eppure fa male alle orecchie. – Andiamo a casa! –
Lo guardi. Non sai cosa dire, eppure non vuoi affatto andartene. Vuoi solo continuare a farti trascinare dal caos. Dannazione, perché sei venuta con lui?
- No, io resto qui. –
- Oh, insomma! – sbuffa. Vi fissate. Sta per scoppiare l’ennesimo litigio, lo sai, lo senti. Ce ne sono stati così tanti che ormai hai imparato a riconoscerli ancora prima che arrivino.
Però non succede. C’è uno scatto nei suoi occhi, poi una frase gelida. – D’accordo. Io me ne vado. E, tra parentesi, con te ho chiuso. –
Lo guardi girarsi e sparire tra la folla con una calma quasi irreale. La musica non ti tocca più, ti senti come sospesa in mezzo al nulla, persa nel vuoto.
Poi, con un battito di ciglia, torna tutto. Il rumore, il caos, le sensazioni. Sensazioni molto più intense di quelle che hai provato con lui negli ultimi tempi. Adesso, a distanza di mesi, è difficile capire perché lo trovassi così fantastico, all’inizio. Non te la senti di darti della stupida, tutti cambiano, te compresa. Non sei stata un’idiota, sei solo... cresciuta? Si può dire una cosa del genere di te? Cresce davvero una come te?
Non lo sai, decidi. No, non lo sai, e non te ne importa nemmeno.
No, adesso ti importa solo dell’adesso, del qui e dell’ora.
Di tutto.
 
...so, while you’re here in my arms…
 
Sosta al banco. La musica continua a esplodere, ti fa pensare che questa tua personale fine del mondo fatta di suoni si sia cristallizzata nel tempo e che durerà per sempre.
Un bicchiere. Acqua, pensi, poi alla fine prendi qualcos’altro. Brucia in gola, e va bene, va bene perché non vuoi spegnere il fuoco che c’è nell’aria e in te. No, proprio per niente.
Non lo sai cosa ti è preso, stasera. Forse volevi solo sfogarti, non riesci a capirlo. Sai solo che adesso non sai più fermarti. No, non più.
Bevi rapidamente e ti alzi. Non senti la stanchezza, ma all’improvviso senti lui. Il suo sguardo. Ricambi. Non sai cosa dire, non c’è niente da dire.
C’è solo uno sguardo verso le scale che portano alle camere del piano di sopra.
Non c’è un pensiero. I tuoi pensieri li ha bruciati il fuoco della musica.
No, adesso c’è solo una corsa su per le scale.
 
...let’s make the most of the night like we’re gonna die young...
 
Silenzio. Dei passi. Uno sguardo, una chiave che penzola da un dito.
- Sembri piuttosto sicura. – osserva lui.
- Dovrei non esserlo? –
- Non ne ho idea. Non ti conosco. –
Di nuovo silenzio.
- Allora perché sei qui? – domandi. Ti esce spontaneo, una domanda radicata nell’ovvietà che c’era in te fino a prima di stanotte. Già, stanotte quella te stessa, quella con marchiato addosso il mondo, con marchiati addosso i modi di fare, sembra bruciata sulla pista da ballo.
Lui ti guarda negli occhi. Sembra che anche lui sappia che tu ti sei resa conto che è una domanda stupida, ma risponde lo stesso. – Sai, mi piace fare le cose senza pensare. Credo che bisognerebbe sempre vivere come se dovessimo morire giovani. –
 
...We’re gonna die young...
 
- Perché dovremmo morire giovani? –
- Beh, perché no? Dopotutto, non si sa mai. E poi, sei davvero sicura di non voler morire giovane? –
 
...We’re gonna die young...
 
L’ennesimo silenzio, scandito dal pulsare del tuo cuore. Perché quella domanda non è ironica, e neanche stupida, e la risposta non è affatto scontata.
Prima avresti detto di no. Prima di stanotte, avresti voluto vivere anche per sempre.
Ma ora...
 
...We’re gonna die young...
 
Ma ora non lo sai più. Perché il fuoco della musica ti ha bruciata, i marchi del mondo non ci sono più, ci sei solo tu in piedi in mezzo alle fiamme che guardi uno sconosciuto negli occhi e non capisci, non capisci, non capisci.
Ma forse, capire per non capire, allora tanto vale giocarsela tutta, perché alla fin fine potresti anche voler morire giovane.
 
...Let’s make the most of the night like we’re gonna die young...
 
Tendi la mano. Afferri la chiave.
- Andiamo. –
 
...Young hearts, out our minds...
 
Senti le urla che ti sfuggono dalle labbra, le sue spinte quasi brutali che ti scuotono il corpo. Fa male, fa male più di qualsiasi altra cosa, eppure non vuoi che si fermi, non vuoi. Sei qui, il cuore a mille, e sai benissimo che tutto questo è stupido ma non ti importa, non ti importa, non ti importa. La tua testa non ha alcun potere, qui, l’hai relegata da qualche parte e neanche tu sai dov’è finita.
Non sai neanche se la ritroverai mai.
 
...Runnin’ till we outta time...
 
Avete finito in un quarto d’ora neanche. Resti sdraiata sul letto, ansimante. – Perché tutta questa fretta? – chiedi, guardandolo. –
Scrolla le spalle. – Beh, chissà quando si muore. Meglio sbrigarsi a fare le cose. –
- Sì, però così non ne fai bene neanche una. –
Ti fissa, quasi sarcastico. – Non mi dire che sei venuta qui per fare altro che scopare, ragazzina. Non starò a sussurrarti paroline dolci come un idiota, nessuno dei due è qui per questo. –
Già, è ovvio che non sei venuta qui per questo. Che non potevi aspettarti niente. Eppure.
Cuore. Testa. Cuore. Testa. Cuore.
Già, perché la tua testa ormai non esiste più.
- Baciami. –
 
...Wild childs, lookin’ good...
 
Ti fissa. Per la prima volta da quando è iniziata la serata, ti rendi conto che non hai neanche idea di che aspetto abbia la persona con cui hai appena fatto sesso. Ti concentri sui suoi capelli neri, neri come la notte, neri come il buio, mentre lui continua a guardarti. – Lo sai che non ti amo. –
- Lo sai che non esiste l’amore. –
 
...Livin’ hard just like we should.
Don’t care who’s watchin’ when we tearin’ it up – you know...
That magic that we got nobody can touch – for sure...
 
Sorride. Un sorriso più simile a un ghigno. E poi ti bacia. – Sai penso di essermi appena innamorato di te. –
- Perché sei d’accordo sul fatto che non esista l’amore? –
- Eh già. –
- è una contraddizione un po’ grossa, sai? –
- Beh, chi se ne frega delle contraddizioni? L’unica cosa che voglio fare è vivere alla grande finché non vorrò morire. E poi, tanto, non c’è un cazzo di nessuno a giudicare. Siamo solo noi e quello che vogliamo, nelle notti come questa. Essere noi stessi in questi momenti è qualcosa che nessuno può toccarci.
 
...Lookin’ for some trouble tonight,
take my hand, I’ll show you the wild side...
 
- Hai voglia di un po’ di casino, stanotte? –
- Penso che sia l’unica cosa di cui ho bisogno. – rispondi. Già, quel casino che ti ha risvegliato dentro il cuore, che ha mandato la mente a farsi fottere. Mentre te ne stai seduta sul letto, tutto, fino a qualche ora prima, sembra un’altra vita.
- Allora vieni con me. –
 
...Like it’s the last night of our lives,
we’ll keep dancing’ till we die...
 
E sei di nuovo in pista. Fuoco, fuoco e fuoco nelle vene, con la gente che ti balla attorno perché dopotutto questa potrebbe essere davvero l’ultima notte della tua vita, e allora non hai niente da perdere, nessun prezzo da pagare. L’unica cosa che puoi fare, che farai, è ballare ancora e ancora e ancora tra le braccia di uno sconosciuto che per qualche motivo ti sta chiamando “amore”, nonostante l’amore non esista.
 
...I hear your heartbeat to the beat of the drums,
oh, what a shame that you came here with someone,
so, while you’re here in my arms,
let’s make the most of the night like we’re gonna die young...
 
Nonostante l’amore non esista.
Sì, adesso capisci, capisci tutto.
Tu non esisti. Non più.
Adesso non sei più nessuno, sei solo un qualcosa in mezzo a un qualcosa di più grande.
Ma, dopotutto, non è sempre stato così?
Beh, forse sì. Ma chi se ne frega delle contraddizioni.
Adesso sei qui, e vuoi vivere come se dovessi morire giovane.
 
...We’re gonna die young...
 
è così, allora. è così che funziona. Sei una contraddizione, lo sei sempre stata, tutto lo è. Solo che nessuno se ne rende conto, perché i cuori di tutti sono morti, sono morti giovani schiacciati dalle contraddizioni stesse. Ce ne sono troppe, troppe per resistere e continuare a vivere. Perciò ci si illude di stare smettendo di contraddirsi da soli e si muore, si muore dentro, perché quel cazzo di cuore che hai nel petto non ce l’ha, una giustizia, non ce l’ha una logica. Lui è fatto di contraddizioni, e per questo viene schiacciato. E allora si piomba nella contraddizione più grande di tutti, si uccide se stessi.
La tua è solo una rianimazione rapida che durerà solo qualche ora, e lo sai. Durerà solo per stanotte.
Sì, ma, per qualche motivo, ti senti come se stanotte non dovesse finire mai.
 
...We’re gonna die young...
 
Eppure, ti viene da pensare, è strano. è strano perché, effettivamente, è tutto così semplice. Basterebbe accettarlo, tutto qui. Non sai perché non ci hai pensato prima. Forse perché ti è sempre sembrato terribilmente illogico.
Ma adesso sai che la logica non esiste. La logica ti tiene in vita fuori, ma ti ammazza dentro.
Sei davvero sicura di non voler morire giovane?
 
...We’re gonna die young...
 
“Voglio morire quando finisce stanotte.”
 
...Let’s make the most of the night like we’re gonna die young...
 
Guardi lui. Ti guarda. Senti l’alcol che ti scorre nelle vene insieme alla musica, che pulsa nella testa che ormai è andata a farsi fottere da un po’.
Basta quell’occhiata per capirvi. E di capire come vivrete quella notte.
Come se doveste morire giovani.
 
Young punks, takin’ shots,
strippin’ down to dirty socks.
Music up, gettin’ hot,
kiss me, gimme all you got...
 
Senti le sue mani addosso, il suo fiato sul collo. La musica sale e sale e sale. I tuoi pensieri bruciano ancora, brucia quello che ne resta. Le tue labbra mimano parole che non capisci, che potrebbero voler dire qualsiasi cosa. Tanto, per te, significano soltanto che questa è l’ultima notte del mondo.
Ti giri verso di lui. – Che cos’è stanotte? – domandi.
- Stanotte è noi. – risponde, semplicemente.
Capisci che è la verità. E non solo. Questo è tutto quello che avete, tutto quello che vi resta.
Stanotte, e voi.
 
...It’s pretty obvious that you got a crush – you know...
That magic in your pants, it’s making me blush – for sure...
 
- Pensi davvero di amarmi? –
- Non è così difficile amare, se questa è l’ultima notte del mondo. Sai, penso che noi esseri umani siamo totalmente incapaci di stare senza amore. Perciò eccoci qui. Se è l’ultima notte del mondo ami chi capita, ami d’istinto. Ami per amare e basta, non importa chi, cosa e come. Fai quello che ti senti. Tanto, non hai niente da perdere. – risponde, fissandoti dritto negli occhi.
Un attimo dopo, siete di nuovo sulle scale.
 
...Lookin’ for some trouble tonight,
take my hand, I’ll show you the wild side.
Like it’s the last night of our lives,
we’ll keep dancing till we die...
 
Respiri rapidi nella notte fredda. Mano nella mano, siete lì, immobili sul tetto. La musica vi arriva ancora addosso e la inseguite. Non dovete fare altro, solo vivere finché resta il tempo. Solo amare finché resta il tempo.
- Pensi davvero che non ci sia nessun’altra possibilità? – chiedi.
Ti guarda. – Non l’ho mai trovata. Ma ho ricominciato a vivere stanotte, quindi non ho avuto tanto tempo. Ma il fatto è che... –
- ...che comunque dopo non avremo più tempo. No, il nostro tempo è già quasi finito. – concludi, guardando l’orizzonte. Magari l’alba sta già arrivando, insieme alla vostra fine, eppure non riesci a vederla. è ancora notte, questa strana e fantastica e infinita notte così viva.
 
...I hear your heartbeato to the beat of the drums...
Oh, what a shame that you came here with someone.
So, while you’re here in my arms,
let’s make the most of the night like we’re gonna die young...
 
Occhi chiusi, corpi che si muovono rapidi. Sei tu, siete voi, tra le vostre braccia. State ballando o facendo l’amore? E, soprattutto, tra le due cose c’è davvero differenza? Siete sempre voi due, voi due che sfogate tutto quello che avete dentro, che non siete nient’altro e che non lo volete diventare, mai.
 
...I hear your heartbeat to the beat of the drums...
 
Silenzio. Silenzio, mentre qualcosa, una sfumatura più chiara si alza nel cielo. La musica è finita, e così la tua notte.
Così, sei finita tu.
Te ne stai lì, seduta immobile, sapendo che scappare è inutile, che comunque non sapresti dove andare.
Però hai ancora una canzone da ascoltare, in effetti. Una sola, prima della fine.
Serri le palpebre e appoggi l’orecchio sul suo petto. Su quel cuore che è il tuo personale rullo di tamburi.
 
...Oh, what a shame that you came here with someone...
 
- Avrei voluto conoscerti prima. – mormori.
Lui scuote piano la testa. – Sarebbe stato inutile. Probabilmente mi avresti detestato. Te l’ho detto, ci amiamo solo perché è stanotte, è la nostra ultima notte. Prima, e dopo, quell’amore non c’è. –
 
...So, while you’re here in my arms...
 
- E se la notte non finisse mai? Se fossimo per sempre noi? – Te lo senti, quasi, che potrebbe andare così. Che potresti restare sempre lì, a fissare quegli occhi che non sai neanche di che colore siano, ad aspettare la tua mattina che non arriverà mai.
- La notte sta finendo. – dice lui, la voce davvero triste. Una tristezza che non ci sarà mai più, perché lui non ci sarà mai più.
- Solo fuori. Che ce ne importa del fuori? –
 
...let’s make the most of the night like we’re gonna die young...
 
- Noi siamo il fuori. è per questo che viviamo come se dovessimo morire giovani, no? Perché moriremo giovani. –
 
...We’re gonna die young...
 
- Beh, ma se restassimo giovani per sempre alla fine moriremmo comunque giovani. –
Ti guarda. Sembra che persino il sole ti stia guardando, salendo lentamente su per il cielo.
- Non si può morire giovani. –
- Magari ci possiamo provare. –
 
...We’re gonna die young...
 
- è stupido. – ribatte, quasi con freddezza. – Non funzionerà. –
Ridi. – Chi se ne frega se è stupido? La logica l’abbiamo mandata a farsi fottere da un po’, mi sembra. –
Vi fissate. E capisci che in quel momento qualcosa è cambiato. Ti tiri su di scatto, prendi un respiro. Sì, perché tu morirai giovane, morirai giovane e quando lo vorrà il mondo, ma fino ad allora sarai sempre tu.
- E quindi... è così che dovremmo continuare a vivere? Come se dovessimo morire giovani? – chiede lui.
Sorridi. Non sai neanche tu a che cosa, se a te stessa, a lui o al mondo che ancora non è riuscito a ucciderti.
- Io penso che dovremmo vivere come se fossimo semplicemente noi. –
 
...Let’s make the most of the night like we’re gonna die young.

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Capitolo 6
*** Pompeii - Bastille ***


Questa è una specie di diario. Pensieri scaricati a caso qui, un po' come al solito. 

POMPEII

I was left to my own devices.
Many days fell away with nothing to show...

 
Ennesimo giorno tra tanti
 
E quindi, beh, eccomi qui. Non so con chi sto parlando, con nessuno, probabilmente. Chi mai vuoi che leggerà un diario del cazzo come questo? Se anche lo troveranno (se non lo brucerò io prima), penso che lo butteranno nel cesso non appena capiranno che mente bacata l’ha scritto.
Non ho intenzione di raccontare granché. Dopotutto, i giorni qui sono tutti uguali, e poi a chi dovrei dire qualcosa? Non c’è niente di così interessante nella mia vita. Sempre la solita, inutile, noiosa merda. I giorni sono tutti così dannatamente uguali (Sì, lo so che l’ho già detto, ma volevo ribadire. E poi, tanto, è il MIO diario, chi se ne frega se faccio ripetizioni?). Non so neanche che giorno è oggi, e a dire il vero neanche mi importa. Dubito che a qualcuno freghi, comunque. Anche perché l’unica a cui potrebbe fregare, qui, sono io, e ho già detto che per me non significa assolutamente nulla la data. Questo, tanto, è solo lo stesso stupido film che si ripete all’infinito. Ed è un film bruttino, lasciamocelo dire. Niente allegro sogno americano, no, proprio per niente. O meglio, forse sì, ma è un sogno, appunto. Sogni che ci infilano continuamente in gola per farci stare zitti, ma la verità è che non abbiamo niente, per realizzare quei sogni. Ci siamo solo noi, solo che visto che non siamo in un film non basta essere se stessi e provarci per avere quello che si vuole. No, proprio per niente.
O forse sono solo io che non ci riesco perché non capisco cosa voglio. Beh, però sai che difficoltà realizzare sogni classici e predefiniti. Cazzo, i sogni sono tutti gratis, ma sono tutti usati e riusati mille volte. è più facile percorrere una strada già battuta, dire parole già dette (e, in effetti, quando ho detto quella cosa dei sogni ho ripetuto praticamente pari pari una frase di Ligabue), tanto tutto è stato già detto (anche questa è copiata. Da Kurt Cobain. No, solo per ricordarmi che non è che io sia poi questo grande genio. Lui invece lo era, un genio, e si è sparato. Chissà, perché, eh? Cazzo, che schifo).
 
...And the walls kept tumbling down
in the city that we love...
 
Ennesimo giorno tra tanti
 
Adoro il video di Another brick in the wall. Cazzo, è semplicemente GENIALE. Fa quasi paura, anzi, no, fa proprio paura. Cioè, tu vedi le persone che si gettano in quel modo in quella specie di enorme tritacarne, che lo fanno di propria volontà perché è stato loro insegnato che è così che è giusto.
E questo mi fa sinceramente incazzare, più o meno come mi ha fatto sempre incazzare la parola “educazione”. Perché che cos’è “educare” se non sopprimere qualsiasi istinto e inculcare nei cervelli rimasti vuoti cazzate tipo la responsabilità, la decenza e il rispetto? Queste cose sono solo modi di controllare le persone, di tenerle a freno per evitare il caos totale. Ma sono fittizie, eccome se lo sono. Puoi inculcare tutta la responsabilità, la decenza e il rispetto che ti pare nella classe lavorante, perché tanto ci sarà sempre qualcuno che va oltre, e con un mucchio di scuse rigira i discorsi e controlla tutto e tutti. Ecco, io queste persone le detesto (anche se a dire il vero nemmeno più di tanto. Cioè, chi sono loro, se non le ennesime persone uguali a tutte le altre che hanno avuto solo un po’ di fortuna in più? Alla fine sono anche loro vittime del sistema, lo siamo tutti, persino il sistema stesso. Marionette, ecco cosa siamo, e il burattinaio è tutti e nessuno. Non ce n’è uno in particolare, non c’è nessuno che abbia il completo controllo di tutto. Ognuno controlla quello che può e tutto agisce di conseguenza, persino la cosa che controlla il qualcuno che fa partire tutto. è un circolo vizioso e ci si può scommettere che non finirà tanto presto).
Il fatto è che ormai tutti i muri sono stati buttati giù. Anche quelli che sarebbero serviti a proteggerci. Adesso il mondo lo vedo, il nostro amato mondo che prima era così protetto adesso si scopre solo un posto fatto a pezzi e cattivo. Mi prendo il vento in faccia, ed è un vento che fa piuttosto male. Probabilmente mi trascinerà via, come ha trascinato via un sacco di persone e continua a trascinarne. Ma finché sto qui, io continuo a parlare.
 
...Grey clouds roll over the hills
bringing darkness from above...
 
Ennesimo giorno tra tanti
 
Piove.
Beh, niente, così per dirlo. So che avevo detto di non voler raccontare di avvenimenti, ma insomma, questo è piuttosto importante per me.
Già, perché sta piovendo giù il mondo. Questo mondo che non si limita a soffiarci addosso, ci crolla anche in testa. E ancora e ancora. Fino a farci vomitare l’anima e piangere e morire nella nostra stessa merda.

 
...But if you close your eyes,
does it almost feel
like nothing changed at all?...
 
Ennesimo giorno tra tanti
 
La gente mi fa incazzare. Ed è stupido, perché effettivamente a mente fredda si capisce benissimo che ha perfettamente ragione. Cioè, è molto più facile chiudere gli occhi e fare finta di nulla. Tutti lo fanno. è tutta una recita, soltanto questo. La nostra vita è una recita. Il mondo ormai è solo un enorme teatro. Fingiamo, fingiamo che vada tutto bene. Poi ogni tanto se ne parla, si capisce che in realtà nessuno ci crede, a questa recita, che tutti sanno come stanno le cose in realtà. Ma poi ci si rende conto che non c’è niente che si possa fare, comunque, e allora si ricomincia a fingere.
è questo che odio. Il fatto che le persone pensino che davvero fingere serva. Ma io ho deciso di piantarla, cazzo.
L’altro giorno ho litigato per l’ennesima volta con mia madre. Lei a un certo punto mi ha urlato contro che non ho rispetto per nessuno, e io ho risposto che aveva perfettamente ragione. è rimasta sconvolta, lei e mio padre.
Beh, cari miei, aprite gli occhi. La vostra piccola bambina fatta con un vecchio stampino non esiste più. Adesso è fatta con un altro stampino, quello degli stronzi menefreghisti. Tanto meglio così, credo. Troppe regole mi fanno ibernare il cervello, e io invece preferisco che si spappoli, che finisca allegramente come una patacca di materia grigia e sangue spiaccicata su una distesa di vetri rotti. Non servirà comunque a niente, ma almeno farà più male. E il dolore fa sentire più vivi, e io voglio essere viva. Non so perché, visto che anche questo è totalmente inutile, però mi piace. E, sinceramente, se non faccio quello che mi piace finché sono ancora viva, quando mai lo farò?

 
...And if you close your eyes,
does it almost feel
like you’ve been here before?...
 
Ennesimo giorno tra tanti
 
Mi chiedo se una situazione del genere ci sia mai stata prima. Cioè, le cose succedono e risuccedono di continuo (Cit. Kurt Kobain) però io non ne ho mai sentito parlare, di una situazione come questa. Chissà perché è l’unica cosa al mondo che non era ancora mai successa prima o se è stata dimenticata. Boh, non so. So solo che, in entrambi i casi, nessuno hai dea di come sistemarla.
Beh, comunque, in un modo o nell’altro, finirà pure, questa fine del mondo.
Per i miei gusti, è già durata un po’ troppo.

 
...How am I gonna be an optimist about this?
How am I gonna be an optimist about this?...
 
Ennesimo giorno tra tanti
 
Mi chiedo come facciano le persone ad essere ottimiste, cazzo.
Io credo che mentano. Magari senza rendersi conto di mentire, ma quelle che dicono sono tutte stupide bugie. Le stesse che hanno infilato in testa a me per una vita. E, a dire il vero, non so nemmeno se quelle che sto dicendo io adesso non lo siano comunque, bugie.
Eppure, io ad essere ottimista non ci riesco. Cioè, non in senso normale, credo.
Desiderare di vedere il mondo esplodere è essere ottimisti?

 
...We were caught up and lost in all of our vices,
in your pose as the dust settles around us...
 
Ennesimo giorno tra tanti
 
Penso che in realtà il problema siamo noi. Cioè. è ovvio che il problema siamo noi, io però intendo... insomma, il fatto è che tutto sta crollando, e siamo noi a farlo crollare perché ci siamo immersi così tanto in vizi che ci creiamo da soli che ormai ci frega solo di quello.
Insomma, i vizi. è ovvio che ce li creiamo da soli. A nessun animale importa del denaro o cose del genere, a noi sì. Pretendiamo, pretendiamo, pretendiamo e ci facciamo del male. Tutto quello per cui soffriamo ce lo creiamo da soli. Necessità, qualsiasi cosa. Persino i sentimenti, penso. Sono così strani, cazzo. Sarebbe meglio pensare che non esistano, ma a dire il vero io non ci credo. Perché lo senti, l’amore, nello stomaco, quando guardi lei. Non so se sia solo una stupida reazione chimica del mio cervello malato, non so quanto senso possa avere, ma io sono fatta così, e che cazzo, sono umana pure io. Non ho intenzione di togliermi dai miei vizi perché, dopotutto, l’ho detto, sono una menefreghista. Prendo quello che viene e pretendo solo quando penso che ne valga la pena, e farsi un sacco di seghe mentali riflettendo sul se i sentimenti siano sbagliati o no non è la mia priorità. Ci sono, punto. Certo, uno facendo questo discorso potrebbe anche tranquillamente dire cose tipo: “La mafia c’è, punto”; però immagino che quando si parla di cose dentro la propria testa si abbia un po’ più di libertà dal giudizio altrui, e non credo che farò danno a nessuno se eviterò di farmi problemi. Non che mi dia fastidio rompere le scatole alle persone.
 
...And the walls kept tumbling down
in the city that we love...
grey clouds roll over the hills,
bringing darkness from above...
 
Ennesimo giorno tra tanti
 
Muri che crollano, di continuo. Ed altri che se ne creano, che però non proteggono, danno solo l’illusione di protezione. Un po’ come se i muri fossero solo davanti agli occhi.
“Le finestre sono dipinte di nero” (Kurt Cobain).
Già, ma quel nero da dove è arrivato? Chi ce l’ha portato, qui?
Prima pensavo che fossero altri, per impedirci di vedere. Adesso inizio a credere che siamo stati noi stessi per lo stesso identico motivo.
 
... But if you close your eyes, 
does it almost feel
like nothing changed at all? 
And if you close your eyes, 
does it almost feel

like you've been here before?... 
 
Ennesimo giorno tra tanti
 
“Sono come un pianoforte, indecisa sin dal nome”. Classica frase strappalacrime proveniente da Facebook, ma direi che mi rappresenta abbastanza. Insomma, è vero, sono esattamente così. Indecisa. Perché, effettivamente, non è più facile chiudere gli occhi? A volte mi viene da pensare che tutto questo sia sbagliato, che io sia sbagliata, ed è strano. Non perché io pensi di essere migliore di tutti e di essere sempre nel giusto, ma semplicemente perché trovo stupida l’idea di pensare di stare pensando una cosa che potrebbe non essere vera... Insomma, se formuli un pensiero, è perché pensi che sia vero, nella tua testa. Puoi raccontare tutte le cazzate che ti pare, ma è così, dannazione.
Dopotutto, però, non penso che cambierò. Non le vale la pena.
O meglio, sì, cambierò, però non volontariamente. Tanto, cambiare volontariamente è impossibile. L’unico modo per farlo è farsi condizionare dal mondo, ma quando succede non te ne accorgi mai. Te ne rendi conto solo quando ti guardi indietro e pensi: “Io non ero così, prima”.
Già, appunto.
Io non ero così, prima.

 
...How am I gonna bea n optimist about this?
How am I gonna be an optimist about this?...
 
Ennesimo giorno tra tanti
 
Boh, non so, continuo a pensare che andrà tutto bene perché tanto prima o poi moriremo tutti, e visto che non ci sarà mai giustizia né per i “buoni” né per i “cattivi” alla fine staremo tutti senza troppi problemi.
Chissà se esiste un aldilà. Non so, penso che lo vedrò quando ci arriverò.
Ah, e, tra parentesi, non sono pessimista. Sono solo realista. è diverso. Anche se magari si potrebbe pensare che questa che per me è la realtà io la vedo “male” e quindi sono sul serio pessimista e non me ne rendo conto. Ma tutti questi discorsi sono tipo le dimostrazioni di geometria: alla fine non portano a nulla, spiegano solo cose che sai già benissimo ma che non sai dire. Ma tanto, se io so cosa intendo, che bisogno c’è di spiegare?
 
...Oh, where do we begin?
The rubble or our sins?
Oh, where do we begin?
The rubble or our sins?...
 
Ennesimo giorno tra tanti
 
Non so quanto serva lamentarsi. Non molto, ma decisamente quasi tutte le cose che facciamo alla fine sono totalmente inutili, perciò non credo che farlo cambierà qualcosa nell’equilibrio del mondo. A parte che il mondo un equilibrio, se mai l’ha avuto, l’ha perso da un bel po’.
Credo che essenzialmente io mi stia lamentando senza fare niente, giustificandomi dicendo che tanto non c’è niente da fare. Immagino di essere un’idiota esattamente come tutte le altre persone di questo mondo. Sì, esatto, anche questa è una giustificazione. Non so con chi mi dovrei giustificare, visto che è un diario e solo io lo leggo. Magari è per ricordare a me stessa che non ho mai pensato di essere una brava persona. Ma non credo che sia sbagliato non essere una brava persona, ecco tutto. Sì, lo so, suona strano, ma chi se ne importa. Lo stereotipo di “brava ragazza” mi è sempre stato stretto. Ho iniziato a sbandierarli in giro, i miei “peccati”. Già, non so neanche se si possano chiamare così. I peccati sono una cosa definita da noi, in realtà. Come tutto. Siamo imprigionati in un mondo che ci siamo fatti da soli.
E intanto nei detriti ci affondiamo, e non sapremmo neanche da dove cominciare per rimettere insieme i pezzi del mondo, se anche qualcuno ne avesse voglia. Ormai ci hanno camminato sopra così tante persone che restano solo bricioli, e se qualcuno si mettesse a riattaccarli verrebbe semplicemente calpestato insieme ai detriti e diventerebbe parte di loro. Il mondo è in pezzi, e anche le persone stanno iniziando sul serio ad andare in pezzi. Spero che, quando crolleranno davvero, si vedrà tutta la merda che hanno dentro. Non che speri che qualcuno si ribelli, ehi, le ribellioni sono idiote e portano a una situazione esattamente uguale a quella di prima. Ma almeno avrei la soddisfazione di sapere che avevo sempre avuto ragione.

 
...And the walls kept tumbling down 
in the city that we love. 
Grey clouds roll over the hills 
bringing darkness from above... 
But if you close your eyes, 
does it almost feel 

like nothing changed at all? 
And if you close your eyes, 
does it almost feel 
like you've been here before? 
How am I gonna be an optimist about this? 
How am I gonna be an optimist about this?...
 
Ennesimo giorno tra tanti
 
Siamo tutti congelati, e in rovina. Il mondo lo è. Un po’ come Pompei. Già. Siamo tutti immobili, sempre uguali nel tempo, e non ci rendiamo conto che a poco a poco stiamo venendo giù perché abbiamo gli occhi incrostati di lava. La stessa lava che ci ha soffocato, che ha soffocato noi e i nostri pensieri.

...But if you close your eyes,
does it almost feel
like nothing changed at all?...
 
Ennesimo giorno tra tanti
 
E se, per una volta, non fosse tutto così uguale?

 

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Capitolo 7
*** St. Jimmy - Green Day ***


ST. JIMMY
 
St. Jimmy’s coming down
across the alleyway,
up on the boulevard
like a zipgun on parade...
 
Il freddo ti penetra direttamente nelle ossa, facendoti rabbrividire. Ti stringi inutilmente nel vestito leggero, pregando che questa notte finisca presto, che arrivi qualcuno. Sì, sei persino disposta a sperare questo, piuttosto che rimanere lì da sola, illuminata soltanto dalla luce gelida dei lampioni.
Ormai ci sono anche poche macchine. è tardi, eppure a casa non puoi tornarci, non se non riesci a guadagnare qualcosa, altrimenti saranno guai seri un’altra volta. Ripensi alle mani di lui, cattive e fredde addosso, e ti vengono le lacrime agli occhi.
“Dannazione, per favore, deve arrivare qualcuno!”
E poi, eccoli lì. All’improvviso. I fari di una macchina.
 
...Light of a silhouette,
he’s insubordinate,
coming at you on account of wonder
1, 2, 3, 4...
 
L’auto si ferma accanto a te. Per un secondo tu rimani immobile, poi ti avvicini lentamente. Non riesci a vedere che aspetto abbia chi c’è dentro, la luce si riflette sul vetro e lascia intravedere solo una sagoma. Poi, però, il finestrino si abbassa.
La prima cosa che ti colpisce è la musica. A volume altissimo, spaccatimpani. è una vecchia canzone, di quelle che pensavi che non ascoltasse nessuno a parte te. Per un secondo ne insegui le parole, poi vieni investita dal calore. Ti spingi in avanti quasi involontariamente, poi ti rendi conto di quanto sembri patetica. Ingoi la paura, e guardi lui.
No, anzi, non lui. Lei. Quella seduta al volante è una donna, una donna dall’espressione impassibile e una cascata di riccioli scuri, di un colore che a te sembra viola, che le ricade sulla schiena.
Per un secondo ti chiedi cosa possa volere da te, poi ti rispondi da sola. Non sono solo gli uomini ad andare a puttane. Perciò prendi un respiro. Beh, comunque, ti pagherà. Non sei mai andata a letto con una donna, ma c’è sempre una prima volta, e la teoria la sai. Metti in chiaro rapidamente i prezzi. Lei solleva lentamente un sopracciglio. – Una notte. – dice.
Tu annuisci rapidamente prima di riuscire a pensare. L’unica cosa che vuoi è sentire di nuovo quel fantastico calore sulla pelle.
Lei sblocca lo sportello, tu sali. Dopo neanche due secondi, state percorrendo rapidamente la strada verso chissà dove.
 
...My name is Jimmy
and you better not wear it out...
 
- Vuole che le consigli un hotel? – domandi, dopo qualche minuto di viaggio.
Lei scuote rapidamente la testa. – Ho già un posto dove vado di solito. Grazie lo stesso, comunque. –
Non ti ha corretta, quando le hai dato del “lei”. Chissà quanti anni ha. La osservi, cercando di non farti notare, ma è impossibile capirlo. Potrebbe avere un’età qualsiasi tra i venti e i trenta, per quello che ne sai.
- Da quanto tempo è che lo fai? – chiede, all’improvviso.
Deglutisci. – Ehm... un paio di mesi. – ammetti. Forse dovresti mentire, dire che è di più, ma chi vuoi prendere in giro? Si vedono perfettamente, i tuoi sedici anni – anzi, forse sembrano anche di meno, bassa e piatta come sei –, esattamente come si vede la tua inesperienza. Nessuno ci crederebbe se dicessi che lo fai da tanto.
- E sei brava? –
Rimani bloccata. Cosa si risponde a una domanda del genere?
- Non l’hai mai fatto con una donna, vero? –
Batti le palpebre, quasi disperata. Adesso ti mollerà per strada, riesci quasi a vederlo. Ingoi le lacrime. Ti viene quasi da metterti a supplicare, ma sai benissimo che non puoi farlo, sembreresti ancora più patetica.
Ti guarda. Sbuffa. – Era solo un’informazione, cazzo. – Torna a fissare la strada, senza fermarsi. A quanto pare, non ti vuole lasciare lì.
- Come ti chiami? – domanda, dopo un po’.
- Natalie. –
- Mh. –
Vorresti sapere il suo, di nome. Non è che sia importante, però almeno quella conversazione sembrerebbe più normale. Potresti fingere di essere con una persona che conosci e di non stare andando chissà dove a fare un lavoro da puttana che detesti. Ma, visto che sai benissimo che non puoi chiederglielo, ti limiti a restare in silenzio e a goderti il riscaldamento.
All’improvviso, ti rendi conto che ti sta guardando. è come se ti stesse valutando, e ti fa paura. Deglutisci di nuovo a vuoto.
Lei sbuffa un’altra volta. – Datti una calmata, ragazzina. Comunque, mi chiamo Jimmy. –
Ti ritrovi a fissarla, e non riesci a evitarti di ripetere: - Jimmy? –
Un attimo dopo te ne penti, ma è troppo tardi. Lei ti lancia un’occhiata di sbieco. – Sì, esatto, Jimmy. Qualche problema? –
- No. – ti affretti a rispondere. Non capisci ancora perché te l’abbia detto, non capisci nemmeno perché abbia un nome da uomo. La guardi meglio. Non è che magari...
Sembra quasi leggerti nel pensiero e ridacchia. – No, non sono un trans, ragazzina. Quella del mio nome è una storia un po’ lunga, e non credo che te ne possa fregare più di tanto. Comunque, non usarlo troppo, il mio nome. Alla fine, usando un nome, si consuma sempre. E, in effetti, il mio è già un po’ consumato. –
Tu non capisci cosa voglia dire, ma non chiedi, e stavolta lei non si spiega. Continuate semplicemente ad andare avanti nella notte, la strada che si srotola sotto le ruote dell’auto.
 
...Suicide commando
that your momma talked about.
King of the forty thieves
and I’m here to represent
the needle in the vein of the establishment…
 
L’auto si ferma all’improvviso, e solo in quel momento ti rendi conto di esserti addormentata. Batti le palpebre più volte, cercando di capire dove ti trovi, e a un certo punto riesci a vedere una serie di edifici e la luce che indica l’insegna di un hotel. Siete arrivate in città, quindi.
La donna – Jimmy – scende e ti fa cenno di fare lo stesso. Obbedisci rapidamente. Lei entra nell’albergo, non proprio di lusso ma neanche brutto, e si avvicina al ragazzo semiaddormentato seduto dietro il bancone. Non appena la vede, lui si riscuote. – Needle. – fa, con un mezzo sorriso. – La camera? –
- Grazie. – risponde lei. Prende quella che il ragazzo gli porge, senza pagare né mostrare documenti, e si dirige verso l’ascensore. Tu la segui, senza sapere che altro fare. Quando siete dentro, ti ritrovi a guardarla di nuovo e poi ad abbassare gli occhi.
- Sì, esatto, hai capito benissimo. – dice, dopo un po’, quando le porte dell’ascensore si aprono. Imbocca il corridoio, e tu le vai dietro, mentre continua a parlare. – Needle. Sono l’ago nella vena dello spacciatore. –
 
...I’m the patron saint of the denial
with and angel face and a taste for suicidal...
 
Jimmy – o Needle – continua tranquillamente a camminare lungo tutto il corridoio. Tu ti guardi intorno. Le luci sono soffuse, quasi piacevoli. Le porte delle stanze sono di un bel legno scuro. I numeri delle camere continuano a scorrerti accanto, e da quelli capisci che sei al settimo piano, ma lei non si ferma. Sale qualche gradino di una scaletta. La segui fino a quando lei non apre un’unica porta in cima alla scala. Sulla porta c’è una targa d’ottone uguale a tutte le altre, con sopra il numero 711.
Jimmy apre la porta.
E poi tu resti di sasso.
Quella che hai davanti non sembra affatto una camera d’albergo. è una stanza con il soffitto spiovente di legno che si vede appena per via di tutti i poster che ci sono appesi. Resti a fissarli per un secondo a naso all’insù. Ne riconosci due dei Pink Floyd e uno di Kurt Cobain che suona la chitarra su sfondo azzurro. Un altro ha la scritta identica a quella che si trova a volte nei film o sui CD: Parental Advisory. Contro c’è stato tirato qualcosa, qualcosa che sembra vernice rossa, e sotto c’è una scritta a pennarello fatta direttamente sul legno con una grafia illeggibile.
Vedi altri poster, tutti piuttosto belli, poi abbassi gli occhi sulla stanza. C’è una grande portafinestra con balcone, e fuori vedi il vento che infuria trasportando i primi fiocchi di neve che iniziano a cadere. Per terra c’è un parquet chiaro, le pareti sono prive di quadri e dipinte: su una c’è un graffito che rappresenta il profilo nero di una città su sfondo rosso, arancio e giallo – fiamme, probabilmente – con la scritta: This dirty town is burning down in my dreams.
Il secondo rappresenta una... rimani di sasso. Quella sembra... la croce di Gesù sulla collina dove è stato crocefisso, ma... ma la collina è ricoperta di rifiuti, la croce è terribilmente storta e con il legno mangiato dalle tarme, e dietro si estende una distesa di palazzi grigi tutti uguali. Il cielo e qualcosa a metà tra l’azzurro e il viola, e lì galleggiano le parole JESUS OF SUBURBIA.
Abbassi lo sguardo, mezza sconvolta. Che accidenti vuol dire quel graffito?
All’improvviso, senti una risata. La risata di Jimmy. Sollevi la testa di scatto, e lei ti guarda divertita. – Di’ la verità. Hai voglia di scappare? –
Sì. Sì, ne hai voglia. Ma, per qualche motivo, scuoti la testa prima di pensarci.
Ti osserva, come se ti stesse valutando per capire se stai dicendo la verità. – Beh, siediti, se vuoi. – dice, indicandoti dei pouf colorati sul pavimento, ammassati contro una parete su cui è dipinta una siringa nera su uno sfondo fatto di macchie colorate e la scritta: Give me Novacaine. Tu annusci e ti metti lì rapidamente, senza sapere che dire. Jimmy, invece, si lascia cadere sul letto. è a due piazze, e ha un baldacchino di veli che nasconde per metà quello che c’è sulla parete. Tu lo guardi rapidamente, e ti stupisci quando ti rendi conto che il muro è ricoperto di parole. Parole, parole e parole, tutte in nero, scritti a caratteri simili a quelli di una macchina da scrivere, che si accavallano le une sulle altre. E poi, simile a uno schizzo di sangue sul muro, c’è un’altra scritta, in carattere diverso. Le parole fanno schifo. Voglio dire, tutto è già stato detto.
Lei ridacchia. – Scommetto che stai iniziando a pensare che io sia pazza. – osserva. – Mh. Forse. Dicono che St. Jimmy è il santo patrono del rifiuto. è per questo che mi chiamano così, sai. –
La guardi. – Non... non capisco. –
Scrolla le spalle. – Certo che no. Ma è meglio lasciar stare. Allora, sinceramente, cosa pensi di me per ora? –
Ingoi aria. Non sai che dire, non perché hai paura di offenderla, ma perché davvero non sai cosa pensare di lei.
E poi succede una cosa strana. Ti guarda, con l’espressione più calma, sorridente e innocente del mondo, un’espressione da segretaria appena laureata che è felice del suo lavoro e accoglie i clienti con estrema tranquillità. Senza perdere quell’espressione così diversa, ma contemporaneamente così normale, lancia un’occhiata al graffito che rappresenta la siringa. – Una tossica? – chiede.
Scuoti lievemente la testa. No, non lo è, potresti giurarci. Ne hai visti tanti, di tossicodipendenti, nella tua vita, e lei decisamente non è una di loro.
- Allora... una satanista? Una pazza? Un serial killer? –
- No. – rispondi.
- E che cosa sono, allora? –
E, improvvisamente, capisci. Capisci cosa significano quelle parole, e le ripeti. – Tu sei... sei il santo patrono del rifiuto. Il rifiuto di tutto, di qualsiasi realtà, perché la realtà... la realtà non ti piace. E le daresti fuoco. –
Sorride, e quella faccia, quel viso così rassicurante, sparisce distorto in un ghigno. – Sì, esatto. Sono il santo patrono del rifiuto, con una faccia da angelo e... – si interrompe.
- E...? – chiedi, prima di riuscire a fermarti.
Sorride di nuovo. – Dimmelo tu. –
Tu guardi quei muri, quel soffitto, che in effetti di pazzia un po’ ne parlano. Guardi la città in fiamme, guardi la siringa, guardi tutte quelle parole e la croce. E capisci di nuovo.
- ...E, decisamente... – conclude Jimmy al posto tuo. – ...un gusto malsano per il suicidio. –
 
...Cigarettes and raman and a little bag of dope...
 
Jimmy sospira. Poi tende la mano e la infila in un cassetto del comodino, tirandone fuori un accendino e un pacchetto di sigarette. Te ne offre una con un gesto.
- No, grazie. –
Lei non risponde e si accende la sua, infilandosela in bocca, poi ripone tutto il resto. – Sai, penso che una sigaretta ogni tanto non faccia così male. –
Esiti. Non conosci nessuno che sia capace di fumare solo una sigaretta ogni tanto. O fumi o non fumi, no?
Jimmy ti guarda. Sembra aver intuito quello che stai pensando per l’ennesima volta. – Niente è per sempre, ragazzina. Basta volere o non volere. Cazzo, tutto in questo mondo viene dalla volontà. Quello che io voglio vedere, vedo. E quello che vedo del mondo è il mio mondo. –
Quell’affermazione ti stupisce. Batti le palpebre, nervosa. Ancora lei non ha accennato al sesso, ma sai benissimo che prima o poi dovrete farlo. Eppure, non riesci a convincerti a metterle fretta. Non solo perché hai paura, ma forse anche perché, tutto sommato, parlare con lei ti piace.
Per l’ennesima volta, Jimmy sorride. Di nuovo quello strano leggerti nel pensiero. Poi prende una tirata dalla sigaretta. – Beh, allora, parlami un po’ di te. –
 
...I am the son of a bitch and Edgar Allan Poe,
raised in the city under a halo of lights...
 
Istintivamente, ti chiudi a riccio. Il tuo lavoro non comprende il parlare di te stessa. Se mai, ascoltare gli altri, ma parlare no. Tu non sei nessuno, sei solo una puttana. E Jimmy lo sa benissimo.
Ma lei non è una cliente normale, decisamente no.
Non sai cosa rispondere, ma qualcosa in te scatta, e le rispondi con il suo stesso tono acido. – Sono la figlia di una puttana, e sono qui a fare la puttana. Non c’è molto altro da sapere di me. –
Ride. – Quanto ti sbagli, cara mia. – ribatte. Dopo qualche secondo, aggiunge: - Ti piacciono i Ramones, i Sex Pistols e i REM. Giusto? –
Tu la fissi, stupita. Come fa a saperlo?
Jimmy ti guarda di rimando, semplicemente. Poi porta la sigaretta alle labbra. – Hai mai letto I delitti della Rue Morgue? –
Sei così stupita da quel cambio di discorso che annuisci prima di pensarci.
- Un libro decisamente di merda, oserei dire. Per nulla soddisfacente. – sbuffa, e una voluta di fumo le si arriccia sopra la testa. – Eppure, a quanto pare Edgar Allan Poe era un buon osservatore. E aveva un gusto particolare per i finali a sorpresa. Potrei essere sua figlia, cazzo. – ridacchia. – Già, figlia di una puttana immaginaria e di uno scrittore strafatto con una passione per il noir. Sembra figo. – Fa un ultimo tiro e spegne la sigaretta nel posacenere, poi si rimette a guardarti. – Non credi in Dio, tu, vero? Eppure hai paura di lui. –
- Come fai a sapere tutte queste cose? –
- Beh, per la musica è facile, è quella che sembrava che ti piacesse quando la mettevo, in macchina. E quella cosa di Dio, beh... quello. – Indica il graffito con sopra la croce. – Lo guardi come se ti piacesse e ti facesse paura. –
- è realistico. – ti esce.
Jimmy fa un mezzo sorriso. – Già, anche secondo me. Ecco come si è ridotto Gesù adesso... in questo mondo di santi peccatori. Ormai ce l’hanno tutti l’aureola, anche quelli che non se la meritano. Ma poi, in realtà, chi è che decide chi se la merita e chi no? –
A questo non sai rispondere.
 
...the product of war and fear that
we’ve been victimized...
 
- Posso fartela, una domanda? – chiede, poi continua senza aspettare una risposta. – Tu di cosa hai veramente paura? –
Non rispondi subito, ma nella tua testa lo sai benissimo, di cosa hai paura. Hai paura di lui.
Jimmy te lo legge negli occhi. Sospira. – Hai mai pensato di smettere di fare la vittima? –
La fissi. – Che vuoi dire? –
Scrolla le spalle. – Beh, non ha importanza. Se non sei capace di capirlo da sola, allora non vale neanche la pena che te lo spieghi. –
 
...Are you talking to me?
I’ll give you something to cry about!...
 
Senti qualcosa nascerti nel petto, simile alla rabbia. Perché quella donna ti prende in giro da tutto il tempo, sta giocando con te. – Sono troppo stupida per te? – sibili.
La sua espressione diventa gelida, e per un secondo torna la paura. La paura di aver parlato troppo, la paura e basta, anche, quella che regna sempre nella tua testa e che in quello scatto di rabbia eri riuscita a dimenticare.
Jimmy ti ride in faccia. – Sì, lo sei. Sei talmente terrorizzata che non riesci neanche ad aprire bocca, ragazzina. Eccotela, la verità. Adesso ti va bene? –
Rimani paralizzata. Perché ha ragione, ha terribilmente ragione. Una lacrima ti scivola sulla guancia prima che tu riesca a fermarla e lei ti fissa con amarezza. – è questo che sei. Una codarda. Sai, non è con me che devi parlare se vuoi paroline dolci, troietta. Anzi, tu non puoi parlare proprio con nessuno che te le dia. Il massimo che otterrai sarà la verità. Se non ti va bene, allora ti conviene un bel colpo in testa. –
 
...St. Jimmy!
My name is St. Jimmy!...
 
Il silenzio regna della stanza da chissà quanto, ormai. Jimmy guarda il soffitto, e tu te ne stai raggomitolata sul pouf. Silenzio, silenzio, silenzio. Riesci a sentire i battiti del tuo cuore che rimbombano. Eppure, ti sembra di stare sempre meglio. Cioè, le lacrime se ne sono andate, e sei più calma di quanto avresti potuto pensare.
- Jimmy... – mormori, all’improvviso.
Non risponde, ma tu continui a parlare lo stesso. – Come... si fa a non avere paura? –
Lei ridacchia di nuovo. – Beh, non è così semplice, ragazzina. –
- Potresti darmi una mano? –
- Non faccio miracoli. Sono una peccatrice con l’aureola, non una santa. –
- E chi te l’ha messa, l’aureola? –
Per la prima volta da quando è cominciata la conversazione, Jimmy sembra vacillare. C’è un guizzo, nei suoi occhi, qualcosa di diverso. Qualcosa di umano.
Ma, un attimo dopo, è già sparito, e lei resta in silenzio.
- Rispondimi. – dici.
- Perché dovrei? –
- Perché no? –
Ti fissa, gelida, eppure alla fine risponde. Una risposta che non capisci del tutto, ma pur sempre una risposta. – Sono una santa di periferia. Mi ha fatta santa la periferia, direi. –
- Perché santa? –
Ride. – Perché no? Dopotutto, nessuno è santo. Questo titolo si potrebbe dare a chiunque, visto il valore che ha. Non significa assolutamente niente. –
- E... Jimmy? – chiedi. – Perché ti chiamano Jimmy? –
Esita. Per la seconda volta in meno di cinque minuti. – Perché il mio nome l’hanno già consumato un po’, te l’ho detto prima. All’inizio era St. Jimmy. Ora... si è consumato. –
Tu non capisci. Ti limiti a fissarla.
- Lui si chiamava Jimmy. – dice, all’improvviso. – Il mio Gesù di Periferia. Quello che pensava di poter salvare tutti. Ma... te l’ho detto, questa è una storia lunga. E non credo che ti interesserà. –
- Perché non dovrebbe interessarmi? –
Lei ti guarda, e nei suoi occhi c’è come una consapevolezza dolorosa. – Perché è inutile parlare dei morti, vero? Sì, adesso decisamente puoi dirlo, che Dio è morto. E non si è neanche sacrificato, per nessuno. è morto e basta. è così che va il mondo, ragazzina. –
 
...I’m a son of a gun,
I’m the one that’s from the way outside...
 
- Ed è così che vai anche tu? –
Ti è uscito prima che potessi pensare. Quella domanda resta sospesa nell’aria tra voi due per qualche attimo.
Jimmy – No, anzi, St. Jimmy – stringe i pugni. – Non sono affari tuoi. E poi, se tu avessi davvero voluto capire, ci saresti già riuscita. –
Tu la fissi per un secondo, e poi ci arrivi. – Needle. – sussurri.
 
...A teenage assassin executing some fun
in the cult of the life of crime now...
 
- Tu non sei solo una povera pazza. – mormori. – L’hai detto anche tu. Hai detto di essere qualcos’altro. Di essere l’ago nella vena dello spacciatore. –
St. Jimmy ti guarda in silenzio, in attesa che tu continui a parlare.
- Sei... un’infiltrata dall’interno. – aggiungi. – Ma... in che cosa? –
Nei suoi occhi si accende una scintilla. Una scintilla di divertimento. Stai giocando con fuoco, e lo sai. Eppure, sembra che lei abbia deciso di ascoltare fino in fondo quello che hai da dire.
- Sei... un’infiltrata dall’interno nelle teste delle persone. –
St. Jimmy sorride. – Esatto. –
- E... – continui, senza riuscire a fermarti.
- Ferma. – ti blocca. – è meglio che tu ti fermi, sul serio. Non sei la persona giusta per sapere troppo di me. –
- Sei una santa di periferia. Vuol dire che sei... una peccatrice nel mondo reale. – concludi.
Ti guarda, e stavolta ti fa paura davvero. – E che peccatrice. – ghigna.
 
...I’d really hate to say it,
but I told you so,
so shot your mouth before
I shoot you down, ol’ boy...
 
- Però, come ho detto... – continua. – Non sono fatti tuoi. E adesso dovrò ucciderti. –
Rimani di sasso. Cosa? Ma perché?
Ti fissa. – Continui a non capire, eh? Hai detto che sono una peccatrice. Tu non hai idea del modo in cui lo sia. Nessuno che non stia dalla mia parte deve vedere la mia faccia se non voglio che la veda il mondo intero. E, ancora, non è il momento, lo capisci? –
Ingoi aria. – E se io volessi essere dalla tua parte? –
 
...Welcome to the club,
and give me some blood,
I’m the resident leader of the lost and found...

- Non sai neanche qual è, la mia parte. –
- Oh, sì che lo so. Tu vuoi vendicare un Gesù della Periferia ammazzato dalla società. –
Non sai come hai fatto a capirlo. Sa solo che, in questo momento, quello che vuoi è essere... lei. Essere St. Jimmy.
- Anche se io sto per dare fuoco a una città intera? Perché i miei sogni sono più reali di quello che pensi. –
- Ero su una strada a fare la puttana perché un uomo mi minacciava. –
Sbuffa, ma sembra divertita. – Sì, adesso decisamente sono una santa che raccoglie pecorelle smarrite. Sai, a volte è un bel rompimento di coglioni essere umani. –
Poi ti guarda. – Benvenuta nel club. –
 
...It’s comedy
and tragedy,
it’s St. Jimmy
and that’s my name...
 
Apri gli occhi di scatto, il freddo che ti colpisce come uno schiaffo in pieno viso. Batti le palpebre, e ti rendi conto che sei immersa nel buio dell’autostrada, un buio appena segnato dalle prime luci dell’alba.
Ti guardi intorno, sconvolta. è stato tutto un sogno? No, non è possibile. Non riesci a...
Ti blocchi. C’è qualcosa, per terra, davanti a te. Un biglietto. Lo tiri su. Sopra c’è una scritta.
 
711
 
Rimani di sasso. Ma quindi, questo significa che...
Volti il foglietto, ma non c’è niente, a parte un plettro di plastica gialla attaccato con lo scotch con una scritta. Prima di riuscire a leggerla, intravedi l’ora sul tuo orologio da polso.
7:11
In quel momento, un rumore ti fa alzare la testa. Musica, Sex Pistols a tutto volume.
Un’auto che si avvicina.
Sorridi, mentre fissi la scritta sul plettro.
 
...and don’t wear it out!

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Capitolo 8
*** Gli anni - 883 ***


Questa storia è un po' diversa dalle altre, come vedrete. è stata scritta prima, molto prima, qualche anno fa, in realtà. L'ho ritrovata in un vecchio diario e ho voluto pubblicarla.
Me lo ricordo ancora alla perfezione, di quando l'ho scritta. Era piena notte, e io ero a letto con una lampada accesa che illuminava la pagina e gli 883 a mille nelle orecchie. Ha significato molto per me scriverla, spero che significhi altrettanto per voi leggerla.

GLI ANNI
 
Le ultime note di Non sono una signora di Loredana Berté si spensero insieme alla sua voce, dando vita all’applauso della folla.
Sorrise a quella miriade di volti, sentendosi ancora di più una ladra. Di canzoni, di cuori, di vite. Questo era sempre stata, ed era in questo modo che voleva essere ricordata. Per quella capacità di fare sue le parole, persino le emozioni, e di dare loro nuova vita e significato. Dopotutto, non era questo che voleva dire fare musica?
Con un lieve inchino, voltò le spalle alla folla e sparì dietro le quinte. Mentre scendeva le scale di legno, vide l’espressione esultante del suo staff, e sentì la paura distruggere la sua volontà ferrea. Loro credevano in lei.
Anzi, no, non era vero. Credevano nel suo talento, nella sua capacità, nel suo successo.
E questo non le bastava, non più.
Si diresse decisa verso il camerino. Un veloce cambio d’abito, di volto. E di destino. Troppo veloce perché qualcuno potesse sospettare qualcosa.
Troppo veloce perché qualcuno potesse fermarla.
Si chiuse la porta alle spalle e inspirò l’aria profumata di vaniglia e cipria. Avanzò lentamente verso la toeletta, e aprì la trousse.
L’ago penetrò la pelle senza esitazioni, senza rammarico. Spinse lo stantuffo e il liquido le entrò in vena. Bruciava, sembrava fuoco.
Gettò la siringa sul pavimento e uscì a passo svelto. Non voleva perdere un secondo. Perché, lo sapeva, se l’avesse fatto sarebbe tornata indietro.
Raggiunse il centro del palco e salutò la folla con un cenno della mano. Era il momento di entrare in scena per davvero. E per l’ultima volta.
Il silenzio calò, carico di attesa. Avvicinò il microfono alle labbra e iniziò a cantare.
 
Stessa storia, stesso posto, stesso bar,
stessa gente che vien dentro, consuma, poi va...
Non lo so
che faccio qui...
Esco un po’
e vedo i fari delle auto che mi
guardano e sembrano chiedermi
chi cerchiamo noi...
 
Quelle parole le aveva appena sussurrate, la gola stretta nella morsa del fuoco, ma il ritornello lo gridò con tutto il fiato che aveva, fissando negli occhi gli spettatori uno per uno, fissando lui.
 
Gli anni d’oro del grande Real,
gli anni di Happy Days e di Ralph Malph,
gli anni delle immense compagnie,
gli anni in motorino sempre in due,
gli anni di che belli erano i film,
gli anni dei Roy Rogers come jeans,
gli anni di qualsiasi cosa fai,
gli anni del tranquillo “siam qui noi”,
siamo qui noi...
 
Prese un respiro, mentre lo stacco musicale si esauriva. Fino a quel momento aveva camminato per il palco, ma adesso fu costretta a fermarsi.
La seconda strofa partì sottovoce come la prima.
 
Stessa storia, stesso posto, stesso bar...
 
Il fuoco le percorse le braccia, violento. La mano destra tremò, rischiò di far cadere il microfono.
 
Una coppia che conosco, c’avran la mia età...
 
Forse poteva ancora salvarsi, pensò. Forse, se avesse chiamato subito aiuto, avrebbe potuto farcela...
Una stoccata di dolore troncò quella speranza sul nascere. No, era troppo tardi, ormai, lo era da quando si era infilata quell’ago nella vena.
Lo era da quando gli aveva detto addio.
Strinse la mano attorno al microfono come a un’ancora, e continuò.
 
“Come va?”
salutano...
Così io
vedo le fedi alle dita dei due...
Che porco Giuda, potrei essere io
qualche anno fa...
 
Già. Ci sarebbe potuta essere lei, lì, al posto di quella sconosciuta. A tenerlo per mano, a sorridergli, ad amarlo.
E invece non era andata così. La vita si era presa anche quell’unico barlume di felicità, lasciandola sola nel vuoto.
O forse no. Forse era stata lei a non volerlo, a mandarlo via. Perché sapeva di non meritarselo.
 
Gli anni d’oro del grande Real,
gli anni di Happy Days e di Ralph Malph,
gli anni delle immense compagnie,
gli anni in motorino sempre in due,
gli anni di che belli erano i film,
gli anni dei Roy Rogers come jeans,
gli anni di qualsiasi cosa fai,
gli anni del tranquillo “siam qui noi”,
siamo qui noi...
 
Le lacrime che le rigarono le guance non la sorpresero, e tuttavia non le asciugò. Non ne aveva la forza, e forse non voleva neppure farlo. No, era stata forte per una vita intera, ora basta. Quella debolezza era sua, adesso, era l’unica cosa che fosse capace di farle fissare quella platea senza vederla, mostrandole solo lui.
Mostrandole l’unico vero motivo per cui doveva andarsene.
La terza strofa la dedicò a se stessa. Perché pensava di meritarsela, dopotutto, perché forse, in tutto quel male, una crepa era riuscita a farla.
Sorrise tra sé, e intonò quelle parole.
 
Stessa storia, stesso posto, stesso bar,
stan quasi chiudendo, poi me ne andrò a casa mia...
Solo lei
davanti a me...
Cosa vuoi?
Il tempo passa per tutti, lo sai;
nessuno indietro lo riporterà,
neppure noi...
 
Già, casa sua. Ormai erano anni che non aveva più una casa in cui tornare. Oppure sì? Il buio la attirava con un richiamo irresistibile, ma lei non poteva seguirlo. Aveva un’ultima cosa da fare.
Le ginocchia le cedettero mentre per l’ultima volta urlava il ritornello. Mentre la musica le esplodeva nelle orecchie. Mentre, per l’ultima volta, lo guardava con occhi di fuoco.
 
Gli anni d’oro del grande Real...
 
La sua voce sembrò sparire per poi tornare, forte e roca, a incendiarle l’aria nei polmoni.
 
Gli anni di Happy Days e di Ralph Malph...
 
Chiuse gli occhi, e per un secondo il mondo sembrò scomparire. Li riaprì di scatto. No, non poteva cedere. Doveva farla finita, lì e ora, e poi basta. Per sempre.
 
Gli anni delle immense compagnie...
 
Risentì nel cuore le grida della folla, e sollevò la testa, quasi trionfante. A suo modo, quella era una vittoria. Una vittoria semplicemente sua.
 
Gli anni in motorino, sempre in due...
 
Mani immaginarie la sfiorarono, labbra inesistenti baciarono le sue. Le scacciò con un gesto deciso del capo.
 
Gli anni di che belli erano i film...
 
Crollò di nuovo, la testa contro il petto, le mani appoggiate al legno gelido del palco.
 
Gli anni dei Roy Rogers come jeans...
 
La sua voce, pur senza microfono, risuonò potente nella sala, sfiorando i cuori, stringendo le anime.
Per l’ultima volta.
 
Gli anni di qualsiasi cosa fai...
 
Non riusciva più a muoversi, neanche a sollevare la testa. Ma non aveva importanza. Sapeva già cosa avrebbe visto, se l’avesse fatto.
 
Gli anni del tranquillo “siam qui noi”...
 
La coltre nera le scivolò addosso come un abbraccio. E lei si lasciò andare, mentre l’eco delle sue ultime parole si spargeva nel buio.
 
Siamo qui noi...

 

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Capitolo 9
*** X-Kid - Green Day ***


X-KID
 
Hey, little kid,
did you wake up late one day and...
 
La luce del sole estivo filtra dalle persiane ed entra pigra dalla finestra. Pigra, esattamente come te. Sbadigli, osservando i giochi di ombre che crea sul muro. Sarebbe una bella giornata, questa. è domenica, e finalmente, dopo settimane di pioggia e cielo nuvoloso e pesante, c’è il sole. Sarebbe la giornata perfetta per andare a fare un giro da qualche parte, magari con un amico. è da un po’ che Marta ti chiede se vuoi andare a fare un giretto all’Ikea che hanno aperto qui vicino, per esempio. Oppure potresti cedere alle insistenze di Al e andare in mountain bike con lui al parco naturale.
Sì, sarebbe una giornata perfetta per fare un sacco di cose, se non fosse che oggi è oggi. Che oggi è quel giorno. Che oggi è il suo compleanno.
E che lei non è lì con te.
 
...you’re not so young, but you’re still dumb...
 
Il rumore della macchinetta del caffè che macina i grani con una lentezza esasperante ti sveglia del tutto, riportandoti alla realtà. Eppure, in qualche modo, continui a sentirti ancora stordito, stordito dentro.
Butti giù il caffè, che ti scende in gola neanche fosse fuoco. Tossisci. Ormai non sei più la stessa ragazza capace di ingurgitarne una decina in quel modo per andare avanti fino alle cinque del mattino a lavorare da Gianni per guadagnare qualche soldo per comprare quella fottuta macchina che non è mai arrivata nel tuo garage, ma che piuttosto è stata sostituita da viaggi ai concerti e bottiglie, un mucchio di bottiglie.
Come eri giovane, cazzo. Immersa nel mondo così tanto da non sentirti neanche più nemmeno lievemente stordita da quella vita. Immagini che fosse perché, alla fin fine, ti sentivi giovane.
Ora no, però. Ora nel mondo non ci sei più immerso, cammini sulla superficie come tutti gli altri, e grazie tante. Peccato che, come per il caffè, quando si perde l’abitudine l’impatto poi è sempre piuttosto pesante. Ti torna in mente qualche parola di una canzone, una canzone che, in qualche modo, è stata capace di svegliarti un po’, quando l’hai sentita per la prima volta. Non sono molte le cose capaci di farlo, in realtà. Cazzo, quella canzone dovrebbe sentirsi fiera di se stessa.
Quasi senza pensarci, inizi a tracciare i contorni di quelle parole con il dito.
 
L’impatto con il mondo è sempre forte
per chi vorrebbe solo farne parte...
 
Già. Quello che hai sempre voluto tu, almeno da anni, è fare parte del mondo. Eppure, non ci sei mai riuscita. Non davvero, non del tutto, non credendoci.
E questo per un solo motivo. Non puoi riuscirci, non da sola. Perché non vuoi.
 
...and you’re numb to your old glory, but now it’s gone...
 
Come ti sentivi viva.
Sì, proprio così. Viva, ecco com’eri. Eri viva, e non facevi parte del mondo, non facevi parte della massa. Non facevi parte di niente, eppure non ti sentivi sola. Ti sentivi semplicemente felice.
Ma ora non è più così. No, non lo è più.
E tutto, in questa cazzo di giornata, sembra deciso a costringerti a tornare indietro e a chiederti perché, adesso, di quello che eri non resta che un ricordo perso in una giornata che sa di luce di sole e caffè bollente.
 
...I fell in love, but it didn’t catch your fall
Then I crashed into a wall,
then I fell to pieces on the floor...
 
Sali lentamente le scale, un passo dopo l’altro. Scricchiolano. Proprio come te, in questo momento. Ti senti scricchiolante, così fragile, quasi sul punto di romperti. E non sai perché.
O meglio, sì, lo sai benissimo il perché. Solo che pensarci fa fottutamente male.
La soffitta ti accoglie, polverosa come i tuoi ricordi, come tutto quello che c’è lì dentro e nella tua testa. In effetti, quella soffitta potrebbe essere la tua testa, così piena di cose com’è.
Così piena di cose nascoste com’è.
Ti avvicini agli scatoloni ammucchiati in un angolo e ti lasci cadere seduta per terra. Ci torni tutti gli anni, lì, e ci passi una giornata intera, senza mai riuscire ad aprirne neanche uno. Ormai neanche ti ricordi più cosa c’è, lì dentro.
Ti ricordi solo cosa significava per te quella roba. Sì, te lo ricordi, e per questo non riesci a buttarla via. Perché sarebbe come buttare via un pezzo di lei.
E tu lei la amavi.
Sì, ecco cosa. La amavi, anche se nell’amore non credi più. Anche se quella parola, “amore”, per te non significa più nulla.
Lei è morta, lei era l’amore. L’amore è morto.
E tu sei morta con lui.
No, ti correggi. No, non sei affatto morta con lui. Non ci sei riuscita, per qualche motivo, forse per paura, sei rimasta lì a cercare di raccogliere i pezzi. Come se non fosse stato chiaro sin dall’inizio che non ci saresti mai riuscita.
Stupida, stupida idiota. Sarebbe bastata una pallottola in testa, in quel momento. O delle vene tagliate. O un salto dal tetto di un palazzo.
E invece non hai fatto proprio niente, e adesso sei qui.
A fissare dei vecchi scatoloni aspettando chissà cosa.
Già, te lo chiedi proprio, che cosa. Tanto lo sai, lei non tornerà.
 
...Now you’re sick to death.
Bombs away, here goes nothing,
the shouting’s over...
 
Non appena lo pensi, ti aspetti che il mondo ti crolli addosso. Che qualcosa ti esploda nel petto come tutte le altre volte.
Eppure, non succede niente. Nel tuo cuore, nella tua testa, ormai c’è solo silenzio.
Un orribile silenzio che fa più paura del caos che ti regna di solito dentro.
Batti le palpebre, le lacrime agli occhi. è così che funziona, quindi. Ci si abitua, alla fine. Dopo un po’ smette di fare rumore, fa solo male, un dolore silenzioso e pungente, ma quasi lontano. Non che la sofferenza se ne vada. Diventa solo diversa. Non senti più esplodere bombe di disperazione nella tua testa.
Ti sembra semplicemente di affogare in un lago fatto di ricordi.
 
...Hey, X-Kid, bombs away,
here goes nothing,
the southing’s over and out,
over and out again...
 
è quel pensiero che ti fa avvicinare agli scatoloni. Perché sai che non esploderà più nessuna bomba arrivata per spaventarti. Perché sai che, qualsiasi cosa farai, continuerai ad affondare in quell’acqua che sa di lei e di gelo.
Quello che stai facendo è solo aiutarti ad affogare più in fretta.
 
...I once was old enough
to know better, man I was too young to care...
 
Lo scatolone è più pesante di quanto pensassi. Quando lo apri, il perché è subito chiaro. Senti una stretta al petto, gelida e dolorosa.
Vinili. è piena di dischi di vinile da 33 e 45, i vostri dischi. Tutte le canzoni che non sei più riuscita ad ascoltare dopo che lei è morta. In pratica, pensi, ormai non ascolti più musica. Li tiri fuori una alla volta, tutti. C’è qualsiasi cosa, lì dentro. Europe, Green Day, Guns n’ roses, Nirvana, Sex Pistols, Ramones, Survivor, Dire Straits. Ti blocchi su un disco degli Spandau Ballet. Il suo gruppo preferito. E, su quel disco, c’è anche la sua canzone preferita.
Pensi a quando ascoltavate insieme quella canzone, tenendovi la mano. A quanto vi sentivate grandi, capaci di tutto. E a quanto foste ingenue. Sì, perché in quel momento pensavate davvero di potervi proteggere a vicenda da tutto, e non ve ne fregava del mondo, non ve ne fregava di niente.
Già, proprio di niente.
Sollevi la testa di scatto e afferri un altro scatolone. è qui da qualche parte, lo sai che c’è. Dopo poco, riesci finalmente a trovare un vecchio giradischi aggiustato chissà quante volte con lo scotch. Il suo vecchio giradischi di seconda mano, che sparava la musica nel modo più bello che tu abbia mai sentito.
Prendi un respiro e afferri l’amplificatore.
 
...many cares, probably would but
Harvey Wood is dead and gone...
 
Il vecchio vinile polveroso gira lentamente nel giradischi, i graffi che si fanno sentire tutti stridendo nell’amplificatore. Tu te ne stai immobile, ad occhi chiusi, stravaccata sulla poltrona sbrindellata appoggiata alla parete, e ascolti. Ascolti quelle parole che sono come schiaffi, godendoti lo stridore dei graffi come attimi di respiro all’inferno.
 
Because I’ve nothing else here for you,
and just because it’s easier than the truth,
oh, if there’s nothing else that I can do,
I’ll fly for you…
 
Volare per lei. Sì, certo, l’avresti fatto, avresti fatto anche altro. Ma non sarebbe servito.
Oddio, eri così stupida.
Eri così stupida quando pensavi ancora di poter cambiare il mondo.
 
...You fell in love but then you just fell apart
like a kick in the head...
 
Forse era solo perché vi amavate.
Già, forse.
Ma l’amore non serve a un cazzo, proprio a un cazzo.
Con rabbia, ti avvicini al giradischi e strappi il vinile da sotto il braccio, spezzandolo in due.
Non serve volare per qualcuno, non serve amare, se poi non sei neanche capace di salvare una cazzo di vita.
 
...You’re an x-kid and you never even got started again...
 
Ricominciare.
Che parola strana.
Tu non hai mai saputo ricominciare.
Eppure, ci hai provato. Sì, certo che l’hai fatto. Basta guardare dove sei ora. Con una nuova vita, nuovi amici, nuovo lavoro.
Solo che una nuova testa non sei riuscita a procurartela.
Forse è proprio questo il problema.
Già. Dentro, tu sei sempre quella stupida ragazzina che nell’amore ci crede.
Stupida, stupida, stupida.
“Cresci, idiota, cresci!”
Ma tu non puoi crescere. Il futuro te lo sei bruciato, perché l’hai deciso da quando hai conosciuto lei che il tuo futuro le sarebbe appartenuto.
E adesso lei è morta.
 
...Bombs away, here goes nothing,
the shouting’s over.
Hey, x-kid, bombs away,
here goes nothing,
the shouting’s over and out,
over and out...
 
Vorresti urlare.
Sì, sarebbe meglio.
Sarebbe meglio sentirsi travolti da questo dolore invece che subire in silenzio, che affogare in silenzio.
Ma, nella tua anima, non c’è rumore. Non ci sono bombe. La guerra è finita, e tu ti sei arresa.
E non sai nemmeno perché, per tutto questo tempo, hai continuato a combattere.
 
...And you were such a young soul,
and you got lost and out of control,
you went over the edge of joking
an I have a broken heart...
 
Fuori.
Non sai perché sei uscita, in realtà. Non sai neanche dove stai andando. Segui semplicemente i tuoi piedi, perché sei troppo stanca per fermarli. E sei troppo stanca per fermare anche i ricordi, ricordi che ti affogano ancora di più. Ricordi di quello che eri, di quello che eravate, e di come adesso tutto quello che c’è nella tua testa sia fuori controllo. Sì, perché quando si è metà di un intero e l’altra metà muore non si può andare avanti come se si fosse una cosa sola. No, resti semplicemente metà di qualcosa, una metà incompleta.
Avresti dovuto mettere in conto che sarebbe potuta finire così. Magari l’avevi fatto, e avevi deciso di rischiare comunque. Non te lo ricordi più. La tua parte coraggiosa è andata a farsi fottere da anni, e neanche sai com’eri, ormai. Non sai nulla di te stessa, l’hai nascosta al mondo per così tanto tempo che ormai neanche tu riesci più a vederla.
I tuoi passi salgono lenti una scala.
E poi arrivi.
 
...Hey, little kid,
did you wake up late one day and
you’re not so young, but you’re still dumb,
you’re an x-kid and you never even got started again...
 
L’aria fresca sul viso è come uno schiaffo, uno schiaffo che ti sveglia davvero e ti fa barcollare. Il tetto, quel tetto. Quello è il vostro posto. Il posto dove andavate sempre, il tetto di un palazzo abbandonato. Il tetto da cui vi sembrava di poter vedere tutto il mondo, da cui credevate che quel mondo fosse vostro e che voi foste più forti di lui.
Non è mai stato vero. Il mondo vi ha schiacciate. Ha ucciso lei, e tu non hai neanche la forza di rialzarti. Perché non lo vuoi, capisci. Non l’hai mai voluto. Dentro la tua testa, sei sempre quella ragazzina stupida e sognatrice.
Un’ex-ragazzina, ecco cosa sei. L’ombra di qualcosa che eri, che non sa diventare nient’altro.
 
...Bombs away, here goes nothing,
the shouting’s over.
Hey, x-kid, bombs away,
here goes nothing,
the shouting’s over...
 
Batti le palpebre, il vento che ti sbatacchia qua e là. E intanto affondi, affondi e affondi nel buio, e non combatti più.
 
...Hey, x-kid, bombs away,
here goes nothing,
the shouting’s over...
 
Perché non ne è neanche mai valsa la pena, di combattere.
 
...Hey, x-kid,bombs away,
here goes nothing,
the shouting’s over...
 
Perché in quella battaglia non ci hai mai creduto.
 
...over and out...
 
Perché hai sempre combattuto per la cosa sbagliata.
E, adesso, anche se è tutto finito, vuoi cambiare parte in quella guerra.
Fai un passo, fissando il cielo, e questa è l’ultima volta. è finita. Finita, e tu sei fuori, fuori dai giochi.
 
...over and out again.
 
E smetti di affondare, e tocchi il fondo. Un fondo che sa di dolore, di asfalto e di lacrime.
Un fondo che sa di lei.

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Capitolo 10
*** Show must go on - Queen ***


SHOW MUST GO ON
 
Empty spaces... What are we living for?
Abandoned places... I guess we know the score...
On and on, does anybody know
what we are looking for?...
 
Vai a una notte di inizio estate. Non di quelle passate a ridere e scherzare con gli amici attorno a un falò sulla spiaggia, non di quelle in cui ti scateni in una discoteca imbottendoti di vodka lemon. Vai in uno sputo che ha il coraggio di farsi chiamare città. Vai nelle piazze che di giorno sono piene di gente e turisti, e guarda come sono ridotte adesso. Guarda gli studenti che fingono di divertirsi bevendo birra ghiacciata venduta a un euro a bottiglia da senegalesi che vanno in giro con secchielli pieni di ghiaccio. Osserva i loro occhi mai illuminati dai loro sorrisi finti, semmai solo dalla luce dei lampioni. Perditi nella loro finzione. Guarda come sono patetici, loro che non vedono l’ora di andare a casa, loro che non sanno cosa cazzo faranno nella vita, non sanno neanche cosa ci fanno qui perché se ne fregano dell’università che frequentano solo per fare contenti i loro genitori, che così continuano a pagare loro vitto e alloggio in una città che di metropoli non ha proprio un cazzo. Però devi ammetterlo, un fascino perverso ce l’ha. E lo capirai ancora di più quando andrai avanti.
 
...Another hero, another mindless crime
behind the curtain, in the pantomime...
Hold the line, does anybody want to take it anymore?...
 
Abbandona le piazze. Non è lì che devi arrivare, ma più avanti. Cammina, arriva fino al cinema, entraci. Paga quel cazzo di biglietto, tanto che ti costa. In qualcosa bisogna pur spenderli, i soldi. Entra nella sala, siediti. Fissa quello schermo enorme su cui scorrono le pubblicità, e poi goditi il film. Guarda come ti rigirano quel fottuto bel sogno americano, con storie di supereroi e cattivi sconfitti. Ridici, sputaci sopra, perché tu lo sai benissimo che non è vero. Dietro le quinte è tutto mosso da mani esperte, mani che tengono i fili di tutti i burattini che popolano questo mondo. E tu non lo sai di chi sono quelle mani, e a dire il vero non te ne frega niente. Che cosa cambia, tanto? C’è davvero differenza tra il governo, Dio e la mafia? No. Tutti potenti, tutti stronzi, tutti che fanno i comodi proprio quando gli gira. Non c’è nessuno che si salva da loro, non sarai tu la prima a farlo, rassegnati.
 
...The show must go on!
The show must go on!
Inside my heart is breaking,
my make up may be flaking
but my smile still stays on…
 
Continua a camminare. Osserva questo piccolo palco che è una città, che il mondo intero. Con tutti questi attori che continuano a recitare le loro vite. E chi se ne frega se il trucco sta iniziando a sciogliersi sotto le luci dei riflettori dopo esserci rimasto troppo tempo, a nessuno importa. Sotto i riflettori ci si resta, e se si è bravi attori basta un bel sorriso e si resta lì, e la folla ti acclamerà sempre.
“E se è il cuore che si rompe?” pensi.
Povera stupida. Il cuore è all’interno, idiota. Chi se ne frega se si rompe? Tanto non si vede.
Dovresti averlo capito, no?, che l’apparenza è tutto.
 
...Whatever happens, I’ll leave all to chance.
Another heartache, another failed romance.
On and on, does anybody know
what are we living for?...
 
Ecco, brava, continua a camminare. Che tanto in una notte come questa è meglio lasciare tutto al caso. Che tanto, anche se non ti dico dove andare, prima o poi ci arriverai, nel posto dove volevo portarti.
Passa davanti a quei due innamoratini che litigano. Osserva gli schiaffi che gli molla lei, povera patetica. Ridi, perché davanti a queste cose è meglio ridere che piangere.
E continua ad andare avanti. Tanto non lo sanno neanche loro per cosa cazzo stai vagando per la città.
 
...I guess I’m learning, I must be warmer now...
 
Credo che tu stia pensando di sare iniziando a capire.
Povera illusa.
Non hai capito proprio un cazzo, nessuno nella sua vita è mai riuscito a capire. Chi sei tu?
Te la insegno io, una cosa. Non cercare di capire il mondo, non essere cordiale con lui. Sputagli in faccia e basta.
 
...I’ll soon be turning, round the corner now.
Outside the dawn is breaking
but inside in the dark I’m aching to be free...
 
Ed eccoti qui. Dalla via centrale, svolta a sinistra. Una strada più stretta. E poi di nuovo a sinistra. L’alba sta arrivando, ma non è mai troppo tardi, qui. Qui è sempre notte, al buio dell’ombra delle case e al buio dei pensieri di chi sta qui, perso sul lastricato sporco e umido, una siringa nel braccio e una bottiglia in mano. Guardali. Guardali, loro che non fanno finta. Loro che non mentono neanche a loro stessi, che ammettono quello che sono. Loro che forse la realtà l’hanno capita e ne hanno paura, e quindi si nascondono qui ad annullare se stessi. Loro sanno la verità, e guarda come soffrono. Guarda come sono, i meno patetici di tutti, che però agli occhi di chiunque non sono che sputi in uno sputo più grande.
Non piangere per loro, decidi. Decidi chi vuoi essere. Se vedere o non vedere.
Sì, ma decidilo ora. Perché la notte finisce, e così gli attimi.
Decidi e basta, non pensarci.
Tanto, durerà solo per tutta la vita.
 
...The show must go on!
The show must go on!
Inside my heart in breaking,
my make-up may be flaking
but my smile still stays on...
 
Sì, ecco, brava. Vattene. Tanto nessuno ha il diritto di criticarti. Tanto non te ne deve importare, di niente, e a te non deve importare di quei drogati del cazzo.
 
...My soul is painted like the wings of butterflies,
fairytales of yesterday will grow but never die.
I can fly, my friends!...
 
Non c’è bisogno che vada a finire così, stai pensando. Stai pensando che la realtà puoi vederla anche senza farti schiacciare da lei.
Mi fai ridere. Cosa pensi? Pensi di essere migliore?
No, cerchi di giustificarti. Menti. Ovvio che pensi di essere migliore. Tutti lo pensano.
Per questo sono tutti fottuti.
Tu credi di poterci provare. Credi di poterti alzare in volo su tutto questo e sistemare le cose. 
Ma lo sai, tu non hai le ali. Hai solo un’anima dipinta a forma di ali, che però non serve a niente. No, non serve a niente, l’anima. Sputala, vomitala. Fai prima. L’anima non ti serve, è inutile.
Riesce solo a farti continuare a credere di essere capace di volare quando invece, se ci proverai, ti schianterai al suolo.
L’anima è un’assassina. Imparalo.
 
...The show must go on!
The show must go on!...
 
Non mi credi, vero? No, ovvio che non mi credi. Tu, che pensi di essere una fottuta ribelle. E invece te lo dico io che cosa sei. Sei soltanto una ragazzina che non sa che cosa farsene della sua vita, che per questo ha deciso di darsi uno scopo e di salvare il mondo. E non sei neanche la prima che lo fa, sai? No, proprio. Lo fanno tutti. Lo fanno tutte le marionette di un governo che è Dio e di un Dio che è mafia e di una mafia che è governo. Hai visto tutto quello che c’era da vedere in questa città, eppure continui ad andare in giro con quel cazzo di plettro al collo. “The show mustn’t go on”, ci scrivi, e continui a riscrivercelo tutte le volte che si cancella ma non lo fermi mai, lo show, lo show sei tu e ti va bene che vada avanti così, renditene conto. Se va avanti il tuo show personale, tu puoi continuare a credere di avere una speranza.
E, automaticamente, ti fotti da sola.
 
...I’ll face with a grin,
I’m never giving in,
oh, with the show...
I’ll top the bill, I’ll overkill,
I have to find a way to carry on,
oh, with the...
 
Sì, d’accordo. Sarai un’attrice provetta, la più brava, costantemente sotto I riflettori. Perché nel tuo ruolo ci crederai. Arriverai anche a dimenticarti che questo è un teatro, che stai recitando.
Eppure, sappilo. Questo è soltanto...
 
...Oh, with the show...
 
...uno show.
E lo show continuerà. Con o senza di te. Per sempre.
Perché...
 
...The show must go on!

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Capitolo 11
*** Cry to heaven - Elton John ***


CRY TO HEAVEN
 
I found a black beret on the street today,
it was lying in the gutter all torn...
 
è un basco. Nero, da pittore. Lo fissi. Chi è che va in giro con un basco così in testa?, ti chiedi. E poi, chi è che lo lascia lì, per strada? Probabilmente gli è volato via, con questo vento.
Il cappello rotola, accartocciandosi ancora di più su se stesso. Sporco e strappato com’è, fa quasi pena. Per un secondo ti viene in mente di raccoglierlo, ma poi ti chiedi cosa cavolo ci faresti con un basco nero in quelle condizioni. Niente, ovviamente. Sospiri e passi avanti.
Intanto, il vento autunnale solleva le foglie, spazzandole via dalla strada e facendole volare. Il basco rotola ancora, come per inseguirle, ma è troppo pesante per sollevarsi da terra. Alla fine, sbatte contro la parete di una casa e resta lì. Ed eccolo, abbandonato a terra come una foglia, che però non è neanche in grado di farsi portare via dal vento.
Sospiri di nuovo. Non pensarlo, ti dici, perché lo conosci, il tuo cervello. Lo sai benissimo che giochetti farà entro poco, se non te ne vai.
Guardi di nuovo il basco. Strappato e macchiato, lasciato lì da qualcuno, troppo diverso per essere portato via da chi salva gli abbandonati dal marciapiede, da chi per lo meno ha la pietà di portarli a morire e putrefarsi su un prato in collina in pace.
Un po’ come te.
Ecco, l’hai pensato. Accidenti.
Torni indietro e raccogli il basco, poi ti incammini lungo la via.
 
...There’s a white flag flying on a tall building
but the kids just watching the storm...
 
Il vento continua a soffiare, sempre più forte. Bum, bum, bum, fa una bandiera che pende da una finestra, sbattendo al vento. La guardi. Probabilmente prima era una bandiera della pace, visto che le strisce si intravedono ancora, ma è così vecchia e sbiadita che ormai sembra soltanto di un bianco sporco. Il vento soffia sempre più forte, e le nuvole si accumulano in cielo. La bandiera si strappa, e un pezzo di quel drappo che ha perso il suo significato inizia a volare sospeso sopra le chiome degli alberi del parco lì vicino. Ci sono un sacco di bambini fuori a giocare, ma nessuno la nota. Sono tutti a osservare il vento che fa suonare le ultime foglie rimaste appese agli alberi di una melodia che sa di autunno e temporale. E non un temporale di quelli estivi, un temporale di quando fa freddo e ogni goccia di pioggia è come un pugno alla terra, e poi la
pioggia diventa così forte che sui tetti dove atterra si forma una nebbiolina di gocce minuscole e bianche.
Tu fissi la bandiera, però. La fissi, e ti chiedi se sia morta, se la sua vita è finita dopo che si è consumata così tanto, o se invece è semplicemente scappata, si è lasciata andare al vento per avere un’ultima avventura prima di scomparire del tutto.
La bandiera sale e sale nell’aria. Il vento è sempre più forte. Le madri stanno iniziando a portare via i bambini dal parco.
Un lampo squarcia il cielo, e tu acceleri il passo.
Non vuoi perderti l’inizio dello spettacolo.
 
...Their dirty faces pressed on the windows
shattered glass before their eyes...
 
Continui a camminare, il basco stretto in una mano. A camminare per una via neanche tanto stretta, ma deserta. è l’immagine stessa dell’abbandono, quella via, eppure un tempo dev’essere stata bella. Quando le vetrine non erano ancora in pezzi sul lastricato, quando la vernice delle pareti non era scrostata, bruciata dall’incendio che c’è stato. Quando al posto dei buchi nei muri c’erano porte di negozi. Sì, dev’essere stato un bel posto, tanto tempo fa. Peccato che il tempo sia capace di sfasciare qualsiasi cosa, alla fine.
Senti degli occhi addosso, ma non alzi la testa. Sai già benissimo chi è che ti sta guardando, e non ti importa. Sono i bambini, i ragazzini rinchiusi ai piani alti delle costruzioni abbandonate, immobili con i visi premuti contro le finestre, ad aspettare il temporale. Soli, perché i loro genitori o sono morti o sono in carcere, e loro se la cavano come possono. Non li hai mai aiutati, perché loro il tuo aiuto non lo vogliono. No, non vogliono aiuto, vogliono solo essere lasciati in pace. O almeno è quello che pensano. E invece stanno male, stanno male perché la possibilità che potrebbero avere se la stanno distruggendo da soli davanti agli occhi. Ma sono troppo orgogliosi, troppo stupidi, perché nessuno ha insegnato loro a non esserlo. Non provi pietà per loro, no, ti stai costringendo a non farlo, perché se tu fossi al loro posto la pietà la odieresti.
Eppure, quando vedi la bambina di circa quattro anni col viso sporco e i vestiti strappati seduta sul marciapiede, tu fermi. Ti fermi e la guardi, e lei guarda te. In silenzio, in attesa. Di cosa?
Fai un passo avanti. Lei si alza, ma non va via. Fai un altro passo, e anche lei ne fa uno, verso di te.
Lei alza gli occhi al cielo, fissando le nuvole. E poi fa quell’espressione. Non è un sorriso, ma ci assomiglia abbastanza. Anche lei sta aspettando il temporale.
E tu lo fai. Non sai perché, lo fai e basta. Le prendi la mano. Non la porterai con te per sempre, solo a guardare quella vostra personale fine del mondo.
La bambina sorride.
E ricominciate a camminare.
 
...There’s a mad dog barking in a burned out subway
where the sniper sleeps at night.
No birthday songs to sing again,
just bricks and stones to give them...
 
L’ingresso della metropolitana è lì, davanti a te. Prima era bloccato, visto che il soffitto là sotto è pericolante, ma col tempo la polizia se n’è dimenticata, e quel posto è diventata la casa di chissà quanti senzatetto. Ti chiedi cosa succederà quanto crollerà il soffitto. Beh, potrebbe essere divertente. Vedere una voragine aprirsi sotto la strada e travolgere tutto. Sì, decisamente interessante.
Un cane randagio sporco e spelacchiato è accovacciato all’ingresso. Ti lancia un’occhiata annoiata, poi si alza e se ne va, probabilmente a cercare un riparo. Sicuramente anche lui l’ha sentito, che sta per arrivare un temporale. Anche se oggi non c’è bisogno di chissà che istinto per capirlo. Sembra che il cielo lo stia urlando.
Scendi le scale. è la via più veloce, forse l’unica, per arrivare dove vuoi arrivare. Proprio perché, in teoria, dovrebbe essere chiusa. Perché posta in un posto proibito, porta nel tuo paradiso privato.
Un posto che potrebbe davvero trovarsi in paradiso, per quanto ti riguarda. Ma non vuoi pensarci. Vuoi goderti lo spettacolo quando arriverai, come sempre.
Sorridi lievemente, e la bambina se ne accorge. Non capisce, ma non fa domande. Iniziate a passare davanti alle persone che dormono per terra, tra scatole di cartone e coperte luride. Ci sono ragazzini anche lì. Ragazzini dall’aria seria, con gli occhi vuoti. Occhi affamati. Ucciderebbero, eccola la verità. Se ne valesse la pena, ucciderebbero. L’innocenza non sanno neanche che cos’è, e tu ti ritrovi a chiederti se sia meglio così oppure no. Perché il mondo pietà non ce l’ha, non per gli innocenti. Ma c’è un non so che di inquietante nel pensare che non ci sono giochi, per loro, che l’unico divertimento è lanciare pietre contro le vetrine e tormentare i cani randagi, che se mettessi loro in mano una pistola sparerebbero senza pensarci due volte. Hai sempre pensato che è innaturale che un bambino sia crudele, così come è innaturale che un adulto non lo sia. Perché il mondo ti cambia, ti indurisce col tempo. E il fatto che siano già diventati adulti così giovani significa che il mondo con loro si è dato parecchio da fare. Una botta tutta insieme, invece che un po’ alla volta. è meglio o peggio, così? Già, perché in quel modo loro non hanno avuto la minima possibilità di non accorgersi di quello che stava succedendo ai loro cuori e alle loro teste, si sono resi perfettamente conto che il mondo ha ucciso la loro umanità. Quando succede un po’ alla volta, invece, la gente non se ne accorge.
Di queste cose è meglio essere consapevoli o no?
Non lo sai, decidi, non c’è modo di saperlo. Forse è meglio così. Forse.
E se anche non lo fosse, non credi che avresti modo di cambiarlo.
 
...Wrap them up in your father’s flags
and let them cry to heaven...
 
Il palazzo si innalza sopra tutti gli altri edifici, alto, incredibilmente alto. Non è un grattacielo, è molto più basso di quello che potrebbe sembrare guardandolo a confronto con le case attorno. Ma, per te, è alto fino al paradiso.
Da quando siete uscite dalla metropolitana e avete raggiunto quella zona disabitata, la bambina ha un motivo in più per stare con il naso all’insù. Tu la trascini, le sue dita sottili strette in una mano e il basco nell’altra, e ti avvicini alla porta. La apri. Non ci entra mai nessuno, lì, forse perché nessuno si da la pena di arrivarci, forse perché l’ascensore non funziona e undici piani di scale ve li dovete fare a piedi.
Ma poi.
Poi che fottuto spettacolo.
Guardi giù, e sei davvero in paradiso. Sei davvero in cima al mondo, cazzo. E da qui guardi il mondo, guardi il mondo e il cielo che presto verrà giù, e il mondo che urla al cielo e il cielo che urla al mondo.
Chiudi gli occhi. In quel momento, senti uno schianto. Una bandiera, un pezzo di stoffa strappata che ha sbattuto contro il vetro della finestra ed è rimasta impigliata.
Sorridi. Alla fine, sembra che sia quella la meta di tutti quelli che se ne sono andati, di tutti quelli soli.
Guardi la bambina, e poi c’è il primo tuono.
è cominciata.
 
...There are many graves by a cold lake
as the beds were when your babies are born
and your rag doll sits with a permanent grin
but the kids just watch the storm…
 
Una goccia. Due gocce. Tre. E poi ancora e ancora e ancora, sempre di più, sempre di più fino a quando il cielo sembra davvero rovesciarsi sulla terra, e ce n’è tanto di cielo, perché continua a cadere e cadere e cadere. E tu guardi la pioggia, ascolti il vento, e senti come forza pura che ti scorre nelle vene, viva, meravigliosamente viva. Guardi quella città che hai davanti, cimitero di cuori morti e sepolti in corpi che continuano a muoversi. E per un secondo te ne senti estranea, tu che ti sei infilata nella merda della vita così a fondo che quasi non riuscivi a riconoscere te stessa da ciò che avevi attorno.
Ma un basco non diventa una fottuta foglia, per quanto tempo passi a terra.
Stringi più forte la mano della bambina, uno strano ghigno sulla faccia, un ghigno pazzo. Sì, è così che ti senti, pazza. Ma non ti importa. Quando cade il cielo ci si può anche permettere di essere pazzi.
La bambina guarda. Guarda in silenzio. E per un secondo pensi a quanto lei sia simile alla bandiera, a quel pezzo di stoffa che si è staccato da casa sua e si è fatto portare via per venire a vedere la tua personale fine del mondo.
Sorridi.
 
...I saw a black cat tease a white mouse
until he killed it with his claves;
seems a lot of countries do the same thing
before they go to war...
 
Probabilmente in questo momento potrebbe anche scoppiare il pianeta, e non te ne accorgeresti. Il caos è tale che anche nella tua testa non c’è altro che acqua e rumore. Hai quasi paura di quando dovrai tornare giù. Di quando dovrai ricominciare a vedere le persone schiacciate da altre persone. Per qualche motivo, è molto meglio vedere il cielo schiacciare il mondo. Più teatrale, forse. Meno vicino a te. Fa più paura vedere un gatto torturare un topo prima di mangiarlo che sapere due Paesi in guerra.
 
...No birthday songs to sing again,
just bricks and stones to give them.
Wrap them up in your father’s flags
and let them cry to heaven...
 
Ti chiedi perché. Ti chiedi perché le cose vadano così, anche.
Ti chiedi che senso abbia. Tutto, intendi. Che senso abbia la vita, che senso abbia tu.
La risposta è facile. Non hai nessun senso, quando i mondi si crollano addosso, quando le persone si sbranano.
Eppure, quella a guardare sei tu.
Perché?
 
...No birthday songs to sing again,
just bricks and stones to give them.
Wrap them up in your father’s flags
and let them cry to heaven.
 
La bambina ti guarda.
Le sorridi, e non ti importa del perché.
Sai solo che sei qui.
Qui, a guardare il mondo che cade mentre urla al cielo. E non puoi fermare l’orrore del mondo più di quanto potresti fermare il temporale.
Ma puoi avere il coraggio di guardare, senza tapparti gli occhi o fingere.
Puoi avere il coraggio di guardare senza diventare indifferente.
Puoi avere il coraggio di non ammazzare il tuo cuore.
Puoi avere il coraggio di vivere.

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Capitolo 12
*** '74-'75 - The Connells ***


’74-’75

Got no reason for coming to me and the rain running down,
there’s no reason...
 
E’ cominciata così. Un accordo di chitarra da toccata e fuga, e un brivido lungo la schiena. E poi la musica che fluisce lenta dalle cuffie, e si ferma tutto.
Stavi leggendo, prima, anche una cosa piuttosto interessante, con la vita che sapeva di cioccolata Lindtt che si scioglie in bocca e di onde sonore vaghe provenienti dalle cuffie nelle tue orecchie. Una cosa interessante, già, di quelle che sono capaci di catturare la tua attenzione come calamite.
E poi è successo, e non c’è stato niente da fare. Un accordo, un altro e un altro ancora. Ci hai provato, a continuare a leggere, perché effettivamente quello che è capace di farti fare quella canzone ti da fastidio. Riesce ad assorbirti sempre, completamente, qualsiasi cosa tu stia facendo, e non è che ti piaccia granché. Va bene catturare la tua attenzione, ma questa canzone la tua attenzione la brucia, la fa esplodere e tutto è solo una vaga stretta allo stomaco e un dito che preme il tasto del volume per cercare di alzarlo ancora anche se non ci sono più tacche a disposizione.
Ci provi, a restare concentrata sul testo. Inutile. Leggi delle frasi e non hai idea di che cosa dicano, tu che sei capace di leggere qualsiasi cosa a una velocità impossibile e di ricordarti tutto.
Tutta colpa sua, cazzo. Di quel ritmo lento e così bello e così malinconico. E così vero. Non sono tante le cose che sanno catturarti, e lo sai. A parte quella canzone ci sarà qualche parola, la pioggia che viene giù dal cielo quando c’è il temporale e il cielo stesso si schianta sulle cose, e qualche sguardo, questione di secondi che sembrano anni da quanto il cuore ti brucia nel petto. Già, il cuore che sta bruciando anche ora. Anche se in nessuno di questi casi c’è una fottuta ragione perché lo faccia.
 
...and the same voice coming to me like it’s all slowin down;
and believe me...
 
La voce. E’ sempre la solita voce, rassegnata e strana, malinconica, una di quelle voci di quando canti sulla spiaggia alla fine dell’estate, a fissare l’ultimo raggio di sole che scompare nell’acqua sempre più scura portandosi via un altro pezzo della tua vita. Una voce, quella che ti sa catturare. Una volta ti hanno detto di acchiappare i tuoi sogni con un retino per farfalle, e invece adesso nel retino ci sei finita tu, anche se dubiti sul serio di poter essere il sogno di qualcuno.
 
...I was the one who let you know,
I was your sorry-ever-after ’74-’75...
 
Te ne stai immobile davanti allo schermo del computer per un po’ e poi ti alzi, che tanto quella storia che stavi leggendo ormai è andata. Sono sei passi fino allo specchio e un’occhiata prima dello sparo. Dritto dentro la tua testa, il colpo di una pistola dipinta sul vetro puntata contro la tempia del tuo riflesso. E quel colpo ti risuona dentro come un ritornello senza senso. Una voce che ti parla di sé con te come se tu potessi davvero capire, ma non capisci affatto perché in quella storia non ci sei dentro, quella è la storia di qualcun altro e tu hai aperto il libro a metà e stai leggendo una pagina a caso cercando inutilmente di raccapezzarti. E’ quello il problema, forse. Non c’è un senso in una vita se non la conosci dall’inizio.
Eppure tu sei sempre quella capace di amare una storia anche senza conoscerla. Ti innamori degli sguardi, sai. E la storia non importa più.
Forse è così anche quella canzone. Non ha sguardi, la musica, però gli sguardi sono come note, qualcosa che esprime parole senza dirne nemmeno una.
 
...Giving me more and I’ll defy
‘cause you’re really only after ’74-’75...
 
Dammi di più, dice, e le parole sono ancora sguardi, un altro sguardo che con la canzone non c’entra niente ma che brucia e brucia e brucia quel poco di cuore che ti è rimasto nel petto. A forza di battere, a forza di bruciare, forze non ne resterà più neanche un po’. Ma chi se ne importa, alla fine. Quando il tuo cuore non ci sarà più avrai già la pistola pronta. E’ lì ad aspettarti. Che tanto non ci vivi senza cuore, ti conosci troppo bene. Ci hai già provato a vivere così, hai ucciso il tuo cuore, e dopo le notti insonni e i soffitti guardati così tanto da consumarli hai iniziato a riportarlo su, in vita. Avevi deciso di non provare nulla per salvarti, ma forse, sai, non vali la pena di essere salvata.
 
...It’s not easy, nothing to say ‘cause it’s already said.
It’s never easy...
 
No, non è per niente facile, niente lo è, e lo sapevi già. Perché le parole fanno schifo e tutto è già stato detto, ed ecco questa frase a ripetersi anche in una canzone. Ti perseguita, è uno stato di Whatsapp e una foto a un libro e delle parole scritte alle due del mattino sulla home di uno social network. Ti perseguita perché sei tu che ti fai perseguitare da lei. E’ la tua droga e questa canzone anche, sono tutte e due di quelle cose che ti lasciano annichilita con quella strana sensazione dentro, a bruciare e a cuocere nel tuo brodo perché in quei momenti ti senti come se potessi fare qualsiasi cosa ma non c’è niente che tu voglia davvero fare.
E allora sollevi lo sguardo e fissi il tuo riflesso negli occhi, e una goccia di sangue vuoto che schizza sul vetro e si cancella in un battito di ciglia.
 
...When I look on your eyes then I find that I’ll do fine,
when I look on your eyes then I’ll do better...
 
E allora c’è quell’occhiata, quell’occhiata di fuoco e tu che vuoi essere per sempre così, perché è una cosa che fa sia bene che male, ma per un secondo potrebbe anche essere lo stesso. Non c’è differenza tra dolore e piacere, un po’ come a fare l’amore, solo che stai facendo l’amore con una canzone e te stessa allo specchio.
Ma non può durare per sempre e lo sai, perché quei momenti sono una cosa che non li puoi passare da soli, perché l’amore non lo fai solo con te stesso, perché per sfogarti masturbarti così non serve a nulla, ti servono delle labbra da baciare e delle mani addosso e qualcosa dentro.
E quindi c’è la mano che si allunga e afferra il telefono, e chi se ne frega se sono le dieci di sera o le tre del mattino o se non è neanche un’ora, se è un momento fuori dal tempo che esiste solo nella tua testa, che tanto lei c’è, c’è e basta, per quei momenti di amore a distanza.
 
...I was the one who let you know,
I was your sorry-ever-after ’74-’75...
 
Brucio. le scrivi, che tanto lei capirà perché magari non ha letto tutta la tua storia, ma quasi tutta, insomma, e per lei sei stata disposta a fare un riassunto delle parti che mancavano. Che intanto la canzone è da un pezzo che è finita, ma tu l’hai fatta ripartire, e ancora e ancora, e adesso le parole hanno perso senso e tu sei ancora lì, con solo quello dentro la testa.
 
...Giving me more and I’ll defy
‘cause you’re really only after ’74-’75.
 
E allora urla. dice, e tu sorridi mentre la canzone finisce di nuovo e tu non la fermi, la lasci scorrere e lasci scorrere altre note e altri momenti.
Che tanto tu sei lì in quel momento d’amore senza amore a gridare senza dire una parola.

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Capitolo 13
*** Knockin' on heaven's door - Guns n' roses ***


KNOCKIN’ ON HEAVEN’S DOOR
 
Mama, take this badge from me,
I can’t use it anymore...
 
Occhi puntati in altri occhi riflessi in uno specchio.
Dei vestiti strappati di dosso con furia.
Un pensiero che urla: “Basta, questo non sono io! Toglietemi tutto questo di dosso! Non voglio più fingere!”
 
...It’s getting dark, too dark to see...
 
E l’alba che arriva fuori dalla finestra, ma c’è un’ombra molto più grande, ed è nel petto e oscura tutto, e non c’è più niente.
E’ così buio che si potrebbe pensare di essere morti.
 
...Feels like I’m knockin’ on heaven’s door...
 
E forse l’unico vantaggio di essere morti è che si può provare a bussare alle porte del paradiso.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Esitando prima di farlo.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Con un po’ di paura nel petto.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Con lo stomaco attorcigliato.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Un colpo, una volta sola, quasi troppo piano, tanto per non disturbare.
 
...Mama, put my guns in the ground,
I can’t shoot them anymore...
 
E intanto si pensa.
Si pensa che basta, che forse è finita sul serio, che con la morte è finita lì, con la morte si può andare in paradiso e smettere di vivere nell’inferno che è il mondo.
Ci si può chiedere perché si è morti, anche.
E la risposta è facile.
All’inferno si uccide o si muore e quando si scaricano le pistole è finita.
Ma a volte si è troppo stanchi per sparare.
A volte le pistole si gettano via, e allora ti arriva un colpo in testa.
 
...That cold black cloud is comin’ down...
 
E arriva il buio, e arriva il silenzio. Arriva la morte.
 
...Feels like I’m knockin’ on heaven’s door...
 
E si può provare a bussare alle porte del paradiso.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Con le dita incrociate.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Con le mani che tremano per l’attesa.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Con gli occhi puntati sui battenti.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Col buio che uccide tutte le stelle.
 
...You better start sniffin’ your own rank subjugation...
 
E ci si chiede se sia solo un sogno. Se questo sia solo un rifiuto disperato della mente della realtà, una sniffata di pazzia per non impazzire ancora di più.
 
...Jack, ‘cause it’s just you against your tattered libido...
 
E lo si fa perché il mondo si riduce solo alla mente che combatte contro gli istinti primordiali mentre cerca di uccidere il corpo.
 
...The bank and the mortician, forever man...
 
Dopotutto, si è pur sempre uomini in un sistema troppo grande.
 
...and it wouldn’t be luck if you could get out of life alive...
 
E meno male che si ha la fortuna di questa sniffata di pazzia.
Certo, non servirebbe se si potesse uscire vivi dalla vita.
Senza impazzire.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Aspettando.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Sperando che aprano.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Ripensando a tutto.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Rendendosi conto che non ci sono altre possibilità.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Pregando, perché ormai la morte è arrivata, e se no dove si può andare?
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Bussando di nuovo perché non arriva nessuno.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Sentendo dei passi che si avvicinano.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
 
Sorridendo per un secondo perché la speranza è l’ultima a morire.
 
...Knock-knock-knockin’ on heaven’s door.
 
Sentendosi sbattere la porta in faccia e cadendo di nuovo all’inferno.

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Capitolo 14
*** The forgotten - Green Day ***


THE FORGOTTEN
 
 Where in the world’s the forgotten?
They’re lost inside your memory...


Tutte le volte che guardava quelle cornici si domandava che fine avessero fatto le foto. Sì, beh, teoricamente erano ancora tutte lì, ma ci sarebbe voluto un bel coraggio per chiamare “fotografie” quei pezzi di carta scolorita. Su ognuna era caduto un velo di polvere, anzi, si sarebbe potuto dire un fiume di polvere, perché i fiumi passano e scorrono e consumano, ed era quello che era successo a quelle foto.
Sospirò. Non c’era niente da fare ormai. Non si sentì in colpa quando decise di buttarle via: dopotutto, ormai si erano rovinate. Non ne restava assolutamente nulla.
“Colpa tua che le hai lasciate qui senza metterci un vetro sopra.” si disse, raccogliendo le prime quattro cornici e guardandosi intorno per cercare una pattumiera, che ovviamente in quella soffitta non c’era. Chi avrebbe voluto buttare via qualcosa, in una soffitta? Le soffitte erano i luoghi degli oggetti che non si aveva il coraggio di buttare via.
E, in effetti, per chissà quanto tempo non aveva avuto il coraggio di buttare via quelle cornici mangiate dai tarli. “Sono della nonna.” si diceva, oppure “sono antiche”, o un sacco di altre cose, ma la verità era che facevano semplicemente schifo e che la casa sarebbe stata molto meglio senza. Così come sarebbe stata meglio senza una buona metà di tutto quello che c’era là sopra. Sì, avrebbe proprio dovuto dare una bella ripulita già da un po’, solo che tutte le volte vedeva le foto e si bloccava.
Ma stavolta non sarebbe successo. Le avrebbe gettate via, punto. Quando addirittura le foto si consumano allora significa che è il momento di cambiare strada. Com’era quel modo di dire che tutte le ragazzine citavano su Facebook sotto le loro foto con la Reflex del padre? “Amo le foto perché non cambiano mai, anche quando le persone lo fanno.” Le foto restavano, ma ora queste avevano deciso di andarsene. Perciò, decisamente, era il momento di dimenticare.
Trovò una vecchia scatola di cartone vuota e gettò le prime quattro cornici. A una si staccò un listello. Si bloccò e le guardò per qualche secondo. In effetti, a pensarci bene, avrebbe saputo benissimo dire che cosa era rappresentato su ognuna di quelle fotografie prima che sbiadissero. Le aveva guardate così tante volte...
Tirò su quella a cui si era rotta la cornice e la osservò meglio. In realtà qualche ombra era rimasta impressa sulla carta. Già, qualche ombra sulla carta, e un paio di granelli nella memoria. Ecco cosa restava dei ricordi. Nella sua testa, e nelle foto. Ma ormai le foto non c’erano più.

...You’re dragging on, your heart’s been broken
as we all go down in history...
 
E la memoria? Dov’era finita, la memoria? Sì, insomma, ogni tanto le cose dovevano essere dimenticate. I ricordi che dovevano essere dimenticati. Che cosa contraddittoria. Fece un mezzo sorriso. Nessuna di quelle storie sarebbero mai passate alla storia, quindi se se le fosse dimenticate lei non ci sarebbe più stato nessuno a ricordarle, senza le foto. E quindi? Si chiese. Dopotutto, anche la storia prima o poi sarebbe stata dimenticata. Era tutta una questione di tempo. Di durare di più. Ma era così stupido voler durare di più, costringersi ad andare avanti, a sopportare di tutto, a stare male?
“L’importante è avere una vita favolosa, non importa che sia lunga, basta che sia favolosa.”
Già. concordò. Guardò di nuovo la foto. Un’ultimo ripasso, e poi basta. Poi avrebbe chiuso.
 
...Where in the world did the time go?
It’s where your spirit seems to roam
like losing faith to our abandon
or an empty hallway from a broken home...
 
Guardò la foto che teneva in mano. Sì, indubbiamente si ricordava. Lei sulle spalle di suo padre. Una giornata in spiaggia, quando era ancora piccola. Nella foto sorridevano tutti e due, se lo ricordava benissimo.
Pescò dalla scatola la seconda fotografia. Il matrimonio dei suoi genitori. Anche lì, sorrisi. Tutti a sorridere, sempre. Nessuno piange, nelle foto. Perché quando si ricordano i momenti si vogliono sempre ricordare belli. E’ un po’ un prendersi in giro, confondere in questo modo i ricordi con la fantasia. Ma tanto, comunque, tutto alla fine va nel dimenticatoio, il tempo se lo porta via e nessuno sa dove lo nasconde.
Terza foto, un compleanno di non si ricordava quanti anni prima. Lei con un orrendo maglione rosa addosso che soffiava sulle candeline. Non aveva mai contato le candeline, in effetti. Ci provò ora, ma era tutto troppo rovinato. Il tempo si porta via anche gli anni.
Quarta foto. Una foto di famiglia, stavolta. Sorrisi, sorrisi, sorrisi.
Chi l’avrebbe mai detto che poi tutto si sarebbe sgretolato così.

...Well don’t look away from the arms of a bad dream;
don’t look away, sometimes you’re better lost than to be seen...
 
Certo, ormai era tutto finito. Insomma, a un certo punto la montagna è stata completamente rosa dalla pioggia e non resta più niente da sgretolare.
Ma per qualche motivo sentiva di dover ricordare almeno per l’ultima volta. Fece un mezzo sorriso. Era praticamente sicura che avrebbe avuto incubi per tutta la notte, poi, ma una notte di incubi in più non avrebbe cambiato niente. Ce n’erano già state così tante...
Prese un’altra cornice. La foto della sua laurea. Lei circondata dai suoi amici, insieme a suo padre. Sua madre non c’era.
Era morta.
Deglutì. Forse era meglio così, pensò. Era quasi felice che sua madre non fosse stata costretta a vedere cosa era successo dopo.
 
...I don’t feel strange, it’s more like haunted.
Another moment trapped in time...
I can’t quite, put my finger on it
but it’s like a child that was left behind...
 
Si costrinse a ripensarci mentre osservava la foto di lei e suo marito nella loro nuova casa. Non si sentiva strana a ricordare quelle cose, l’aveva già fatto così tante volte che ormai erano diventate una specie di abituale ossessione.
Sentì le lacrime riempirle gli occhi. Suo padre aveva odiato quell’uomo sin dall’inizio, ma lei non pensava che fosse solo colpa sua, in fondo. Dopotutto, erano stati in due a distruggersi a vicenda. Entrambi avrebbero dovuto capire da subito che non avrebbe funzionato.
E invece era andata a finire nel peggiore dei modi. Era rimasta incinta, e aveva abortito senza neanche dirglielo. Erano sposati, eppure si era resa conto che non voleva niente che la legasse così tanto a lui.
Quando lui l’aveva scoperto, era finita apparentemente senza particolari problemi. Ma suo padre non le aveva più parlato. “Hai sposato un uomo e anche se non approvo adesso è tuo dovere essere una buona moglie.”
Figurarsi quando aveva saputo dell’aborto.
“Maschilista tradizionalista di merda.” pensò, sentendo riaffiorare la rabbia che però subito dopo sparì.
Perché lei gli aveva voluto bene. Non sapeva come, ma aveva davvero voluto bene a suo padre, prima.
E ora era finito tutto.

...So where in the world’s the forgotten?
Like soldiers from a long lost war
we share the scars from our abandon
and what we remember becomes folklore...
 
Non si erano più rivisti. Quando era morto, non era andata al suo funerale. Non sapeva neanche dove fosse seppellito.
Aveva agito di impulso, inizialmente, poi si era ostinata a mantenere quella rabbia e quell’odio vivi dentro di sé. Una guerra, perché ogni tanto avrebbe voluto riabbracciarlo, riabbracciare un’intera famiglia che la considerava come una pecora nera.
Ma non l’aveva fatto. E forse era stato giusto così.
Aveva cercato ovunque una persona con cui parlare. Le era sembrato che nessuno volesse ascoltarla, all’inizio.
E poi un giorno, in un bar semivuoto, mentre suonava la chitarra per qualche dollaro, si erano incontrate.
 
...Well, don’t look away from the arms of a bad dream,
don’t look away, sometimes you’re better lost than to be seen.
Don’t look away from the arms of a moment,
don’t look away from the arms of tomorrow,
don’t look away from the arms of a moment,
don’t look away from the arms of love.
 
Non era amore, oppure sì.
Era un vivere restando se stessi, guardando ogni secondo. Era un vivere guardando avanti.
Ma ogni tanto bisognava chiedersi dove finivano quelle contraddizioni che erano i ricordi dimenticati, no?
Fece un sorriso triste e raccolse la scatola quasi piena di cornici, uscendo dalla soffitta. Non era più lì che dovevano stare. Non con lei.
Mentre scendeva, non si accorse che una cornice era caduta dallo scaffale e che non l’aveva raccolta.
Era caduta a faccia in giù, quasi a voler nascondere quello che c’era nella foto. Ma non aveva importanza.
 
 
Oppure sì?

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