She Hasn't Been Caught

di cliffordsarms
(/viewuser.php?uid=477993)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Flied Away ***
Capitolo 2: *** Good Guys ***
Capitolo 3: *** Guardian Angel ***
Capitolo 4: *** Rejects ***
Capitolo 5: *** I'm Better Off On My Own ***
Capitolo 6: *** Cigarettes ***
Capitolo 7: *** Wrapped Around Her Finger ***
Capitolo 8: *** Revenge pt.1 ***
Capitolo 9: *** Revenge pt.2 ***
Capitolo 10: *** Lost ***
Capitolo 11: *** I Just Don't Know ***
Capitolo 12: *** Your Forgiveness ***
Capitolo 13: *** Bored ***
Capitolo 14: *** "Life's Not A Movie" ***
Capitolo 15: *** Maybe ***
Capitolo 16: *** Dye ***
Capitolo 17: *** Gotta Get Out ***
Capitolo 18: *** Walls ***
Capitolo 19: *** The Flavor of Your Lips is Enough to Keep Me Pressing ***
Capitolo 20: *** Never Before ***
Capitolo 21: *** Thanks For The Memories ***
Capitolo 22: *** A Love Like War ***
Capitolo 23: *** She Hasn't Been Caught ***
Capitolo 24: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Flied Away ***


She Hasn’t Been Caught

Image and video hosting by TinyPic
 

Flied Away
 
Partenza Sydney, arrivo Londra. Sul suo biglietto c’era scritto questo. Clary non si sentiva 
pronta neanche un po’. Lasciare tutti i suoi amici lì, no, non era parte dei suoi piani, non lo
era mai stato. Ogni anno si chiedeva se li avrebbe rivisti l’anno successivo. Sì, si erano
scambiati i numeri di telefono, avrebbero continuato a sentirsi, fino a che non si sarebbero
rivisti, l’estate successiva.
L’intera compagnia si comportò come se quella fosse stata una mattina normale, come le
altre: verso le 6.00 si sarebbero ritrovati al molo, tutti un po’ assonati, sarebbero andati
insieme a fare colazione e poi sarebbero andati in spiaggia, finché c’erano poche persone
avrebbero fatto surf e quando invece avrebbe iniziato a popolarsi si sarebbero rifugiati
sulla scogliera. Era tradizione fare un tuffo dall’alto di quella roccia, come un saluto a chi
partiva, un arrivederci che era solo loro, solo di quegli amici. E così fecero, anche quella
triste mattina di settembre. Verso le 10.00, quando il loro rituale era terminato, andarono
tutti a casa a farsi una doccia e poi si sarebbero ritrovati il pomeriggio, per accompagnare
Clary all’aeroporto.
Si salutarono all’ingresso del gate, erano stati tutto il tempo con lei, a cercare di farla
rilassare e ridere, ma ogni anno questo era sempre più inutile, erano tutti sempre più tristi.
Quando avrebbe finito le superiori si sarebbe trasferita definitivamente a Sydney, da suo
padre. Abbracciò tutti, allacciò la zip della felpa, prese la sua tracolla e avviandosi verso
l’imbarco si tirò su il cappuccio. Era tornata la Clary londinese, quella con il cappuccio
sempre alzato e le cuffie nelle orecchie a un volume esagerato; quella con lo sguardo basso
e i capelli a coprirle il viso; con le mani sempre nelle tasche delle enormi felpe e le sigarette
lì nascoste. Quando si trovava a Sydney era una persona completamente diversa: era
sempre sorridente, fiera di quello che era, si divertiva, non aveva mai le cuffie, non c’era
tempo anche per quelle, ma canticchiava sempre una qualche canzone di un gruppo rock,
conosciuto da lei e altre quattro persone nell’intero pianeta, che finiva per mettere in testa
anche agli altri ragazzi della compagnia, aveva sempre qualcosa da dire, gridava, si fumava
una sigaretta in compagnia e soprattutto non pensava ai problemi che avrebbe avuto
quando sarebbe tornata a Londra. Capitava a volte che si prendeva un po’ di tempo per se
stessa, magari per leggere qualche pagina di un libro, ma gli altri la capivano sempre e
nessuno le andava a dire nulla, semplicemente se scendevano a riva per farsi un bagno la
invitavano, più per cortesia, perché sapevano che avrebbe rifiutato con un sorriso: avevano
capito che per lei leggere significava evadere totalmente, anche quando stava bene aveva
bisogno di un po’ di tempo per se stessa, per rimettere a posto e riorganizzare, ma ciò non
capitava spesso, per questo erano tutti comprensivi con lei.
Prese posto sull’aereo, tirò fuori il cellulare e mandò l’ultimo messaggio ai suoi amici di
Sydney, segno che sarebbero potuti tornare alla loro vita quotidiana.
“Grazie ragazzi, di tutto. Mi mancherete infinitamente quando sarò a Londra. Siete i
migliori, all’anno prossimo.

Clary xx.” Scrisse e premette invio, così prese le cuffie e fece partire la riproduzione
casuale, respingendo le lacrime che volevano farsi strada sulle sue guance. Quel volo le
sarebbe servito per ritornare la Clary di Londra e questa Clary non si sarebbe mai
permessa di piangere. Perciò appoggiò la testa sul finestrino e guardò l’aereo decollare, la
sua Sydney farsi sempre più piccola e tutto l’accaduto diventare altri ricordi da aggiungere
alla lista. Quando presero quota si addormentò sulle note di Wonderwall degli Oasis.
Si svegliò a causa di una turbolenza dovuta a un leggero vuoto d’aria. Nelle sue orecchie
non sentiva alcun suono, eppure aveva ancora le cuffie. Cercò nella tasca della sua enorme
felpa il cellulare, ma trovò solo le sigarette e il cavo delle cuffie scollegato. Si raddrizzò sul
sedile con uno scatto e con la stessa velocità si tolse le cuffie, il cappuccio le scivolò dalla
testa. Si guardò intorno cercando di capire se il cellulare le fosse per caso scivolato sul
pavimento del velivolo. Il suo vicino si voltò verso di lei e «Cerchi per caso questo?» le
chiese con un sorriso beffardo indicando il cellulare della ragazza.

 
Notes
Salve a tutti!
Questa è la prima storia che carico qui su efp ed è anche la prima storia sui 5sos che scrivo.
Forse ora sembrerà monotona, ma ho già la trama in mente e vi posso assicurare che non lo è.
Non voglio darvi anteprime ma vi posso dire che m’ispirerò molto a testi di varie canzoni per
scrivere questa storia, non solo dei 5 Seconds of Summer, ma anche di altri artisti.
Parlando del capitolo: non ho dato una descrizione dettagliata degli amici di Sydney perché
per ora non saranno parte integrante della storia, quando sarà necessario descriverli lo farò.
E poi, chi sarà il misterioso vicino di posto?
Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo e se avete qualche idea su chi possa essere il
vicino di posto in una recensione magari, accetto anche le critiche. Al prossimo capitolo,
@cliffordsarms

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Good Guys ***



Image and video hosting by TinyPic
 
Good Guys
 
Si voltò di scatto verso la sorgente di quella voce. Non poteva crederci, non poteva essere
lui. Cercò di contenersi ma fu tutto inutile, e «Hemmings!» esclamò, buttando le braccia
attorno al collo del ragazzo, che ricambiò accarezzandole la schiena. Tutto l’aereo si era
voltato a guardarli, richiamato dall’urlo cacciato da Clary, che arrossì concludendo
l’abbraccio.
«Che ci fai tu su un volo Sydney-Londra?» domandò bisbigliando. Il ragazzo sorrise
compiaciuto.
«Eravamo in vacanza lì, in Austrialia, a trovare dei vecchi amici di famiglia. I famosi Calum
e Ashton, ricordi? Te ne parlo sempre.» ripose sicuro. Clary alzò lo sguardo, cercando di
associare qualche dettaglio a quei due nomi che le sembravano familiari. Poi qualcosa
le venne in mente, così annuì sorridendo. Avrebbe voluto sapere perché non l’aveva
informata del suo soggiorno nei pressi di Sydney, ma le tornarono alla mente tutte le volte
che aveva raccontato a Luke delle vacanze estive passate e ricordò di aver sempre detto
«Quando sono lì, non ne voglio sapere di Londra.», perciò capì che probabilmente il
biondo aveva pensato che se si fossero incontrati sarebbe stato come ricordare Londra, che
era quello che aveva sempre detto di non voler fare.
«Grazie per non avermi chiamata.» disse senza pensare, tirandosi di nuovo su il cappuccio.
Luke le sorrise di rimando. Calò un attimo di silenzio.
«Credo di dovermene andare ora, la signora che era seduta qui non ne potrà più di
ascoltare i racconti dei miei genitori.» entrambi i ragazzi scoppiarono a ridere, così il
biondo si alzò in piedi. «Oh, questo è tuo. Non mi sono fatto gli affari tuoi, tranquilla.
Volevo solo scoprire se avessi scaricato qualche nuova canzone con cui poi mi avresti
martellato all’inizio della scuola.» disse porgendole il telefono. Lei l’afferrò e lo infilò in
tasca, poi si sporse leggermente in avanti per vedere dove il suo amico stesse andando a
sedersi, così salutò i signori Hemmings con un gesto della mano, che ricambiarono allo
stesso modo, e si appoggiò nuovamente al finestrino. Mise le mani in tasca e cercando di
ricollegare il cavo delle cuffie senza guardare, si ricordò di avere delle sigarette. Tirò fuori
dalla tasca il pacchetto bianco e azzurro e lo fissò per qualche secondo, rigirandoselo fra le
mani. Per tutta la durata di quel volo non avrebbe potuto fumare: dodici ore erano
veramente tante senza poterlo mai fare. La signora seduta al suo fianco, una donna anziana
con un forte accento inglese probabilmente andata in Australia a trovare i suoi nipoti,
interruppe i suoi pensieri, dicendo «Non dovresti fumare alla tua età ragazza, ti rovini la
vita!» Clary si girò verso la donna e sorrise. Rinfilò il pacchetto in tasca e tirò invece fuori il
cellulare e le cuffie. Riattaccando il cavo e scegliendo la canzone, con un tono cordiale,
rispose «Non credo che siano affari suoi, signora.» Sorrise tra sé e sé e alzò al massimo il
volume. Si fece piccola piccola e tornò a dormire, cullata dalle note di I Wanna Be Yours
degli Arctic Monkeys. L’anziana la guardò isolarsi e sospirando tirò fuori dalla borsa i ferri
e la lana per mettersi a sferruzzare qualche nuovo maglione per il gatto.
Clary fu svegliata da quella stessa signora che continuava a scuoterle la spalla. «Che vuole
ancora questa?»
pensò. Si voltò e si tolse una cuffia. La signora un po’ spazientita la
guardò e le disse di allacciarsi la cintura perché l’atterraggio stava iniziando. La ragazza
ubbidì, tanto per non sentirla lamentarsi ancora una volta. Quando l’aereo finalmente fu a
terra aspettò che tutti scendessero e rimasero lei e il giovane Hemmings seduti ai loro posti.
Si alzarono e presero le loro borse dagli scomparti sopra i sedili. Si guardarono e Luke le
chiese se fosse dovuta andare immediatamente a casa o se avesse avuto il tempo per farsi
un giro e fumarsi una sigaretta. Clary rispose che di andare a casa non ne aveva proprio
voglia, perciò avrebbe lasciato i bagagli pesanti a sua madre e poi sarebbero potuti andare
a fare un giro insieme. Scesero perciò insieme dall’aereo e fuori dall’aeroporto trovarono i
loro genitori a ridere insieme e a parlare di quanto Sydney fosse bella. I ragazzi aiutarono i
rispettivi genitori a caricare i bagagli pesanti e mentre le due famiglie si salutavano Clary
interruppe gli schiamazzi dicendo «Io e Luke andiamo a farci un giro, torniamo per cena!»
Presero perciò ad allontanarsi e immediatamente la ragazza s’infilò una sigaretta tra le
labbra. Sapeva che sua madre non amasse particolarmente il fatto che lei fumasse, ma non
le importava affatto, non l’avrebbe mai obbligata a smettere: era una brava ragazza, bei
voti, sempre a casa puntuale, leggeva; l’unica cosa non esattamente da brava ragazza che
faceva era fumare, per questo sua madre non le diceva nulla. Offrì una sigaretta dal
pacchetto a Luke, anche lui era un bravo ragazzo, ma una sigaretta ogni tanto se la fumava
pure lui. Si guardarono negli occhi, dritti, fissi, come per leggersi nel pensiero. Si capirono
al volo: appena voltato l’angolo avrebbero iniziato a correre fino alla stazione che li avrebbe
portati appena fuori Londra, dove si trovava un parco con un lago. Andavano spesso lì,
soprattutto dopo le vacanze, quand’era tanto tempo che non si vedevano. O quando
volevano stare soli: se non si trovavano a casa, erano sempre là. Arrivati alla stazione,
entrambi stremati per la corsa e piegati a metà per riprendere fiato, Clary scoppiò a ridere,
così fece anche il giovane Hemmings.
«Luke, ma tu hai il costume?» disse tra le risate, squadrando i suoi jeans decisamente
troppo skinny. Il ragazzo indicò la propria borsa.
«Tu, invece? Farai il bagno in biancheria?» chiese con un sorrisetto perverso. Sapevano
entrambi che lui non era così, ma gli piaceva fingere di esserlo. Risero di nuovo, la ragazza
gli tirò un piccolo schiaffetto sul braccio.
«Non parto mai da Sydney senza il costume indosso, rassegnati Hemmings!» gridò per
farsi sentire dall’amico, facendo lo slalom tra le persone che scendevano dal treno, che nel
frattempo era arrivato. Il biondo fece finta di sbuffare e poi la raggiunse. Trovarono due
posti frontali e si sedettero.
«Allora Cooks, sempre la solita brava ragazza con la sigaretta tra le labbra?» chiese in tono
provocatorio il biondo. Clary lo fulminò con lo sguardo, odiava essere chiamata “brava
ragazza”, anche se alla fine lo era non sopportava sentirselo dire. Così decise di rispondere
al fuoco col fuoco.
«Finiscila Hemmings, per te vale lo stesso.» Appena conclusa quella frase, la ragazza scattò
in piedi e scese dal treno: era la loro fermata e avrebbe dovuto avere almeno un piccolo vantaggio
su Luke, che correva più veloce di lei. Così il ragazzo si precipitò fuori e iniziò a
rincorrerla. Riuscì quasi a raggiungerla, ma ormai erano sulla riva del lago. La ragazza si
stava già togliendo i vestiti mentre il biondo doveva ancora infilarsi il costume. Si
buttarono entrambi in acqua e iniziarono a schizzarsi. Risero tanto: Luke Hemmings era
l’unica cosa bella di Londra, era solo per lui che ogni volta che terminavano le vacanze
estive Clary trovava la forza di tornare a casa; e Luke lo sapeva, lo sapeva bene, per questo
appena smisero di schizzarsi la guardò dritta negli occhi e corse ad abbracciarla. Rimasero
così per un po’, lui le accarezzava i capelli bagnati e lei gli diceva che era tornata solo per
rivederlo. Purtroppo un tuono li interruppe e subito iniziò a diluviare. Così i ragazzi si
affrettarono a uscire dall’acqua e, entrambi con i cappucci tirati su, si diressero verso la
stazione a passo sostenuto. Arrivati sotto la tettoia si accesero un’altra sigaretta e
scoppiarono a ridere: quella stessa scena si ripeteva ogni anno al rientro dalle vacanze
estive, per questo li faceva ridere. Guardarono l‘orario sui cellulari: erano leggermente in
ritardo. Perciò salirono velocemente sul treno e scesero alla stazione di Londra più vicina
alle loro case.
«A domani Hemmings.» disse Clary guardandolo un’ultima volta.
«A domani Cooks.» rispose lui. Si allontanarono in direzioni opposte, infilandosi entrambi
le cuffie nelle orecchie e tirando su i cappucci.

 

Notes
Salve a tutti!
Volevo anticipare che non aggiornerò molto regolarmente, ci proverò, ma la
puntualità non fa per me, scusate in anticipo.
In questo nuovo capitolo si scopre chi sia il misterioso vicino di posto che è
proprio il nostro Luke. Sono migliori amici e sono entrambi dei bravi ragazzi,
con però la sigaretta tra le labbra. Si capisce anche quanto Clary tenga a
tenere separate la sua vita a Londra e quella a Sydney. I genitori di Clary
quindi sono separati, per questo la madre vive a Londra e il padre a Sydney.
Voglio specificare che non so se esista veramente un parco fuori Londra con un
lago, però io amo il lago e mi sembrava un’idea carina quella di identificarlo
come il loro nascondiglio.
Fatemi sapere cosa ne pensate in una recensione, accetto consigli, critiche e
anche idee.
Voglio ringraziare Helena02 e KarixSora1001 per aver messo la storia nelle
preferite
, e Helena02 e LONDONfan_ per averla messa nelle seguite.
Al prossimo capitolo,
@cliffordsarms

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Guardian Angel ***



Image and video hosting by TinyPic
 
Guardian Angel
 
Un raggio di sole gli illuminava il volto: non era decisamente pronto per il primo giorno di
scuola. Rivedere tutte quelle persone che non aveva nessuna voglia di incontrare, tutti quei
professori che l’avevano fatto penare per tutta la durata dell’anno scolastico. Ma avrebbe
visto Clary e questo gli bastava per avere la forza di alzarsi dal letto ed entrare in
quell’inferno. Sospirò e si sedette sul letto guardandosi intorno per trovare la sua divisa
scolastica per quel primo giorno del suo quarto anno di superiori, finalmente l’ultimo.
Indossati i pantaloni verde scuro della divisa e, sopra la camicia bianca obbligatoria, il suo
enorme felpone uscì di casa: cuffie nelle orecchie e cappuccio sulla testa. Prese il cellulare
per scrivere un messaggio alla sua migliore amica:
“Buongiorno, colazione da Henry?
Luke xx”
Camminava sulle note di Smells Like Teen Spirit dei Nirvana verso la stazione, il bar di
Henry si trovava lì. Guardava nervosamente il cellulare sperando di trovarci la risposta di
Clary, ma della ragazza non c’era nessuna traccia. Arrivato al bar domandò a Henry se per
caso fosse già passata di lì, il quale rispose negativamente. Luke sapeva perfettamente dove
lei fosse: al lago, ma ormai era tardi per raggiungerla. Anche se sapeva che dove la sua
migliore amica fosse, Luke restava preoccupato: se le fosse successo qualcosa? Un crampo
improvviso? Se l’avessero rapita? Poi però ci pensò: Clary, la sua Clary, sapeva sempre cosa
faceva, non c’era da preoccuparsi. Sorrise sorseggiando il suo cappuccino a quel pensiero.
Ripensò a tutte le avventure vissute insieme, tutti gli anni che avevano passato l’uno al
fianco dell’altra. Si conoscevano da quindici anni, erano amici dall’asilo, sempre insieme,
in ogni situazione. Quando Clary aveva perso il suo primo dentino lui c’era, così come
quando l’aveva perso Luke lei era lì. Erano sempre al telefono se non si vedevano, erano i
primi a scriversi il buongiorno e gli ultimi a darsi la buonanotte. Solo quando Clary aveva
deciso di dividere la sua vita a Sydney da quella a Londra smisero di scriversi per tutta la
durata delle vacanze estive. Perciò quando si erano incontrati sull’aereo, il giorno
precedente, erano incredibilmente felici. Quando i genitori di Clary si erano separati e suo
padre si era trasferito definitivamente a Sydney, lui era stato la prima persona a saperlo,
prima dei parenti della ragazza, prima del mondo, prima di tutti. Questo perché la ragazza
l’aveva chiamato in lacrime e con la voce spezzata gli aveva detto che suo padre andava a
vivere dall’altra parte del pianeta.
A scuola giravano voci, tante, troppe: si pensava stessero insieme. Ogni volta che quelle
voci giungevano all’orecchio dei due ragazzi tutto quello che facevano era scoppiare in una
fragorosa risata: loro due, fidanzati? Era la cosa più esilarante che potessero sentire. Luke
aveva solo il compito di proteggerla da qualunque cosa brutta potesse succederle. Lui, da
bravo migliore amico/angelo custode, l’accompagnava alle feste, l’andava a prendere a casa
e ce la riportava, sempre in perfetto orario. Per questo godeva della piena fiducia della
madre di Clary. Il padre della ragazza, invece, l’aveva sempre disprezzato, il motivo però
rimaneva sconosciuto a Luke, così come a Clary e a sua madre; tanto che la ragazza si era
dovuta inventare un’amica immaginaria, con cui andava alle feste, che la riaccompagnava a
casa: un Luke al femminile insomma. Perciò, nonostante fosse a terra perché la sua
migliore amica soffriva, quando il signor Cooks si era trasferito a Sydney, si sentiva un po’
sollevato, non avrebbe più dovuto nascondersi dietro la siepe in giardino per aspettare
Clary senza farsi scoprire dal genitore così disgustato dalla figura di quel ragazzo che
cercava di proteggere in ogni modo la sua migliore amica. Ma questa è storia vecchia e
Luke non vuole pensarci, ora è felice con la sua piccola Clary. Anche se “piccola” non era
un aggettivo propriamente corretto, Clary aveva diciassette anni, come lui e, in pochi mesi,
ne avrebbe compiuti diciotto, e sarebbe stata maggiorenne prima di lui, avrebbe dovuto
essere lei a chiamarlo piccolo, ma, data la diversa statura, il giovane Hemmings continuava
a chiamarla “la sua piccola Clary”.
Perdendosi tra tutti questi pensieri Luke era già arrivato a scuola e si era diretto verso il
suo armadietto, situato a fianco di quello della sua migliore amica. Mentre si voltava per
chiudere lo sportello la vide arrivare: i capelli castani mossi uscivano in due grosse ciocche
dal cappuccio della felpa viola della ragazza, che ricadeva molle sulla gonna verde della
divisa scolastica che tanto odiava indossare, le calze nere, semi trasparenti, che le
avvolgevano le gambe andavano a infilarsi nelle sue sneakers invernali; solito sguardo
basso per coprire il viso. Arrivata all’armadietto prese il cellulare per spegnere la musica
che usciva dalle cuffie e notò il messaggio del suo amico, che ora la stava osservando.
«Scusa se non ti ho risposto.» disse con un flebile tono di voce. Luke la squadrò, aveva
ancora i capelli leggermente umidi e due piccole occhiaie quasi invisibili: prove
inconfutabili che era stata al lago quella mattina.
«Tranquilla.» disse con un sorriso il ragazzo. «Sei stata ancora al lago stamattina, vero?»
aveva usato un tono che sembrava quasi accusatorio, come se si stesse lamentando che la
ragazza non l’aveva invitato. In realtà non era così, sapeva com’era fatta Clary, spesso
aveva bisogno di un po’ di tempo per stare sola e lui non si lamentava di questo, anche lui
era così: lei andava al lago per stare sola, mentre lui si chiudeva nella sua stanza e suonava
la chitarra.
«Sì, dovevo prepararmi psicologicamente per l’ultimo primo giorno di scuola della mia
vita.» disse quasi ridendo. Lui sogghignò. Così, si diressero verso la prima aula di corso,
senza dire una parola, come fossero in processione, come sempre.

 

Notes
Salve a tutti!
Il nostro Ashton non è più un teenager, non è giusto. :’(
Ieri sono andata a Milano e ho comprato finalmente il disco dei ragazzi, anche
se in realtà so già praticamente tutte le canzoni a memoria lol.
Ma comunque.
Questo capitolo è un po’ una presentazione di come sarà Luke in questa storia,
che poi è la descrizione di come me lo immagino io quando andava a scuola.
Sia Clary che Luke hanno 17 anni e sono all’ultimo anno di superiori, perché
secondo la scuola inglese funziona così: la High School, che sarebbero le
nostre superiori genericamente, durano solo quattro anni, beati. D:
Vi starete chiedendo se Luke non abbia per caso una segretissima cotta per la
sua migliore amica, beh lo scoprirete solo nei prossimi capitoli, sono cattiva lo
so, ma non voglio dare anticipazioni.
Quando Luke ricorda tutti i momenti passati con la sua migliore amica ho preso
come esempio la perdita del primo dentino perché credo sia il primo traguardo
importante per un bimbo piccolo, almeno per me lo è stato *sputtaniamoci*.
Credo di avervi spiegato tutto… sì, sì.
Voglio ringraziare tutte le persone che silenziosamente stanno leggendo
questa storia
e a questo proposito se lasciaste una recensione, anche piccolina, sarei
molto felice. Tengo un molto a questa storia e mi piacerebbe molto sapere
cosa ne pensate voi. (:
Passiamo a voi:
ringrazio Directionina e chicca99 per aver recensito;
ringrazio chicca99, Helen02 e KairixSora1001 per aver messo nelle preferite;
ringrazio xcxHemsxcx per aver messo nelle ricordate;
ringrazio Directionina, Helen02 e LONDON_fan per aver messo nelle seguite.
Ringrazio anche le 83 visite al primo capitolo e le 35 al secondo.
Mi sono dilungata davvero davvero troppo questa volta ahahah.
Mi dileguo, al prossimo capitolo
@cliffordsarms.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Rejects ***



Image and video hosting by TinyPic
 
Rejects
 
Finalmente l’intervallo, Luke e Clary non avevano aspettato altro per tutta la durata di
quelle tre interminabili ore di lezione. Parlavano come al solito del più e del meno
nell’atrio, davanti ai loro armadietti, sentivano gli schiamazzi dei giocatori di basket, le voci
da oche delle cheerleaders, i sussurri dei primini che, come ogni anno, rischiavano sempre
di perdersi in quell’enorme edificio e sussurravano tra loro se dovessero andare da questa
o da quella parte. E poi, tutto d’un tratto il silenzio più totale, le persone che si
schiacciavano ai lati del corridoio, i ragazzini di prima che non capivano cosa stesse
succedendo e andavano avanti a sussurrare mentre si spostavano sui lati come gli altri,
tutto quello che si sentiva erano dei passi e i sussurri di quelle pettegole delle cheerleaders.
Come ogni anno, come ogni primo giorno di scuola, era arrivato il ragazzo misterioso, il
ragazzo dai capelli di mille colori: Michael Gordon Clifford, diciotto anni, bocciato in prima,
frequentava il quarto anno di superiori. Clary era disgustata dalle altre persone che, ogni
volta che lo vedevano, lo evitavano, come se avesse avuto qualche strana malattia
contagiosa; e Luke era d’accordo con lei, non era giusto che quel povero ragazzo venisse
schifato da tutti solo per delle dicerie. Ma a loro non importava nulla di quel ragazzo, così,
mentre nel corridoio tornava gradualmente il solito rumore, loro si precipitavano fuori.
Vennero bloccati da una ragazza del primo anno che, con la sguardo totalmente perso e
implorante, aveva chiesto a Clary dove si trovasse l’aula di trigonometria. Dopo le
spiegazioni della diciassettenne, la ragazzina stava per ringraziarla, ma iniziò a balbettare,
bloccata dal sorriso di Luke. Il ragazzo arrossì notando che la primina lo stava fissando
quasi a bocca aperta, con lo sguardo estasiato. Il giovane Hemmings notò anche che la sua
amica passava lo sguardo dalla matricola a lui, poi lo prese per il polso e lo trascinò fuori,
sotto la tettoia. La ragazza si prese la sigaretta tra le labbra e l’accese.
«Mio caro Hemmings, dovresti smetterla di fare così, fai sempre lo stesso effetto alle
matricole che appena sorridi iniziano a boccheggiare.» disse imitando la ragazzina di
prima, per poi scoppiare a ridere. Luke proseguì con la risata, ma si bloccò tutt’un tratto,
fissando un punto preciso. Clary si voltò e vide un professore. «Cazzo!» esclamò a denti
stretti, per poi mettersi la sigaretta tra le labbra e trascinare di nuovo l’amico per un polso.
Arrivarono dietro l’edificio e, seduto s’un gradino a finire la sua sigaretta, videro proprio
Michael. Luke e Clary si guardarono dritti negli occhi, come per leggersi nel pensiero
un’altra volta. Ovviamente si capirono al volo e si palesarono davanti al ragazzo, il quale li
guardò interrogativo.
«Hai… hai una sigaretta?» chiese Luke, trovando una scusa. Clifford si alzò leggermente in
piedi per prendere il pacchetto, che nascondeva nella tasca posteriore dei pantaloni verdi, e
lo porse al biondo. Clary, che nel frattempo aveva finito la sigaretta e l’aveva spenta a terra
senza farsi vedere da nessuno, lanciò al suo migliore amico l’accendino, che l’afferrò al volo.
Luke si accese quella sigaretta e porgendo la mano al castano, disse «Luke Hemmings,
piacere, lei è Clary, Clary Cooks.» la ragazza sorrise. Michael non strinse la mano di Luke,
né ricambiò il sorriso di Clary.
«So perfettamente chi siete. Che volete?» disse senza nemmeno guardarli. Clary si fermò a
pensare, effettivamente cosa volevano da lui? Perché erano andati da lui? Era come se
provenissero da due mondi diversi: Luke e Clary erano bravi ragazzi, mentre di Clifford
non si sapeva nulla, se non che fumasse erba e non frequentasse buone compagnie. La
ragazza abbassò lo sguardo. Anche Luke nel frattempo si mise a riflettere: erano andati lì,
da lui, d’impulso, l’avevano visto solo, ma non c’era un vero perché. «Allora?» la voce del
castano interruppe i loro pensieri. Entrambi i ragazzi si misero a balbettare, borbottando
qualcosa d’incomprensibile. Fortunatamente la campanella che annunciava la fine
dell’intervallo li salvò. Si voltarono e corsero via, cercando di raggiungere i loro armadietti
il più velocemente possibile, altrimenti avrebbero fatto tardi alla lezione, non si
ricordavano nemmeno di quale materia. Arrivati si piegarono a metà per riprendere fiato e
scoppiarono a ridere.
«Luke, ma perché siamo andati da Clifford prima?» domandò Clary, mentre si dirigevano
alla lezione di storia della musica. Il ragazzo si mise a pensare, mettendosi una mano sulla
nuca facendo una buffa smorfia interrogativa con la bocca, alla quale la ragazza sorrise.
Erano ormai giunti davanti alla porta dell’aula, così il giovane Hemmings l’aprì facendo
passare prima la ragazza. Per loro fortuna il professore entrò subito dopo che si furono
seduti. Per tutta quell’ora il biondo rimase a pensare perché, durante l’intervallo, si fossero
palesati davanti al ragazzo più strano della scuola; rimase completamente distratto e non
ascoltò una parola di quello che il professor Carter stesse dicendo; per sua fortuna Clary
aveva annotato ogni parola uscita dalla bocca di quell’uomo. E Luke rimuginò su
quell’azione per tutta la durata delle successive tre ore. Usciti dall’edificio, mentre si
dirigevano verso la stazione, la ragazza bloccò il suo amico che stava per infilarsi le cuffie e
isolarsi. Era una cosa che Luke odiava, ma se lei non l’avesse fatto non avrebbe mai
ricevuto la risposta alla domanda che gli stava per porgere. Il biondo si voltò verso di lei e
la fulminò con uno sguardo omicida.
«Hemmo, eri distratto nelle ore dopo l’intervallo, sembravi perso nel tuo mondo. A che
pensavi? Non è da te.» disse seria. Lui si fermò cercando di trovare una scusa, non poteva
dirle che aveva ripensato per tutto il tempo a quello che avevano fatto durante l’intervallo.
Non poteva certo dirle che aveva rischiato che la sua piccolina s’infilasse in guai seri, non
poteva certo dirle che aveva fatto in modo che si avvicinassero ad un possibile pericolo.
Non poteva certo dirle che non aveva svolto bene il suo ruolo di migliore amico, non poteva
mica dirle che non l’aveva protetta. Stava iniziando a farsi influenzare anche lui da quelle
voci che giravano sul ragazzo dai capelli di mille colori. «Luke? Hey? Terra chiama
Lukelandia!» la mano della ragazza che si agitava davanti alla sua faccia e la voce della
stessa lo riportarono coi piedi per terra.
«Scusa, dicevi…?» disse scuotendo la testa e abbassando lo sguardo. Come poteva
spiegarle tutto ciò? No, non poteva e basta. Lei non doveva sapere che lui aveva deciso di
prendersi questa responsabilità, non doveva sapere che lui aveva deciso di proteggerla
dalle persone come Michael Clifford, quelle persone che avrebbero potuto farle del male.
«Luke cazzo! Si può sapere che hai? Continui a distrarti! Dimmi che sta succedendo!»
sbottò la ragazza. Si era fatto beccare perso nei pensieri e ora la pagava. Clary si era
preoccupata e non avrebbe smesso di esserlo finche lui non l’avrebbe rassicurata. Aveva
deciso che avrebbe optato per un “niente” secco e semplice, ma ora che la sua migliore
amica era andata in ansia non sarebbe bastato.
«Ma è tardissimo! Scusami devo scappare, rischio di perdere il treno altrimenti!» cercò di
sviare Luke, perciò l’abbracciò, nonostante lei fosse contrariata e cercasse di respingerlo, e
le lasciò un bacio sulla testa. Così si mise a correre verso la stazione senza voltarsi indietro,
si mise le cuffie e appena salito sul treno tirò un sospiro di sollievo. Era riuscito ad evitare
quella conversazione, almeno finche non fosse arrivato a casa e avesse ricevuto la fatidica
chiamata di Clary in cui gli avrebbe chiesto tutto per filo e per segno, senza accettare un
«Non stavo pensando a niente, tranquilla. Ero solo stanco perché non sono più abituato
ad alzarmi presto la mattina.»
e una risata come risposta. Ma almeno aveva un po’ di
tempo in più per pensare a una scusa credibile da usare, cosa che avrebbe fatto per tutta la
durata di quel viaggio in treno. Gli vennero in mente diverse opzioni, ma nessuna di esse
sarebbe risultata credibile agli occhi della sua migliore amica, che lo conosceva meglio di sé
stessa. Avrebbe dovuto trovare una scusa veramente buona e avrebbe dovuto dirla in una
maniera davvero convincente per far in modo che lei gli credesse. Non ne trovò nessuna,
per sua sfortuna. Arrivato a casa ricevette la tanto inattesa chiamata.
«Andiamo Hemmings! Sono la tua migliore amica da tempi indefinibili, dimmi a cosa
pensavi!» disse con insistenza e curiosità la ragazza al telefono, dopo vari tentativi del
ragazzo di sorvolare quell’argomento; e la risposta fu un altro dei tanti. «Non dirmi che
pensavi al perché siamo andati da Clifford all’intervallo!» esclamò quindi. Beccato con le
mani nel sacco; il giovane Hemmings non rispose. «Luke, stavo scherzando, non era
importante. Rasserenati ora, dai!» cercò di rassicurarlo. Perché era così: non le interessava
 davvero saperlo, era un’azione fatta d’impulso, nulla d’importante. Perciò si salutarono e
chiusero la chiamata. Il biondo tirò così un sospiro di sollievo e si lanciò sul letto, in attesa
che sua madre gli annunciasse che il pranzo era pronto.
 

Notes
Heilaaa!
Allora, quante di voi andranno al concerto dei ragazzi? Se sì, andrete a Milano
o a Torino? Mi dispiace per tutte quelle che non sono riuscite a prendere i
biglietti, arriverà il vostro turno, #believe. (: Io fortunatamente ce l’ho fatta,
non riesco a crederci. :’)
Prima di tutto voglio ringraziare la mia amica Elisa, che mi ha sopportata nella
stesura di questi capitoli, soprattutto il primo, e mi ha aiutata con la storia in
generale, quindi grazie Els!
Ammetto di aver fatto molta fatica a scrivere questo capitolo perché s’incentra
molto sul pensiero di Luke e volevo che tutte le riflessioni avessero un senso
inerente alla storia. Personalmente adoro questo Hemmo versione angelo
custode, spero che piaccia anche a voi. ;)
Finalmente è entrato in scena anche Mikey! Credo che da questo capitolo
s’intuisca qualcosa della sua personalità, ma scoprirete tutto nei prossimi
capitoli!
Clary ha messo in difficoltà il suo migliore amico! In realtà non era sua
intenzione, ve lo giuro, non volevo metterlo così in difficoltà! Ahaha
In questi capitoli Clary ride spesso nonostante io avessi scritto che è una cosa
che invece fa raramente. Questo perché con Luke ride, mentre se lui non c’è
non è così, ma scoprirete tutto seguendo la storia, non voglio darvi
anticipazioni!
Forse qualcuna si sta chiedendo perché il capitolo si chiama Rejects, allora vi
spiego subito subito quello che ho pensato, non è un ragionamento troppo
complesso ve lo assicuro. Allora ho interpretato l’aggettivo “reject” come lo
spiegano i ragazzi nell’omonima canzone, cioè come una persona che non fa
parte del sistema, che non è accettata diciamo. Perciò l’ho vista in questo
modo: Clary e Luke sono “rejects” perché sono dei bravi ragazzi, bravi a scuola
e tutto e questo tipo di persone normalmente fa fatica a inserirsi; invece
Michael è un “reject” perché tutti lo evitano per delle dicerie che scoprirete nel
proseguimento della storia.
Okay ora basta parlare perché mi sono davvero dilungata troppo troppo.
Ho invece una proposta da farvi: se all’inizio di ogni capitolo mettessi una
strofa o delle frasi della canzone che mi ha ispirata nella stesura del capitolo?
Non so, magari sarebbe carino, fatemi sapere dai.
Ho pubblicato una One Shot Cashton, se volete passare è lì che vi aspetta,
si chiama Tell Me This Is Not A Dream e anche una Muke, intitolata You And Me
Against The World
.

Mi sto dilungando davvero troppo!
Passiamo a voi:
grazie a chi legge silenziosamente questa storia, fatevi sentire ogni tanto eh, io
non mangio nessuno!
Grazie per aver recensito lo scorso capitolo a tomlinsonsshoes, ljamspooh e
Gre_R5fan.

Grazie per aver messo nelle preferite a chicchia99, Helen02 e KairixSora1001.
Grazie per aver messo nelle seguite a Directionina, Helen02, ljamspooh,
LONDON_fan e yellow_raven.

Grazie per aver messo nelle ricordate a xcxHemsxcx.
Grazie alle 47 visite nel secondo capitolo e alle 35 nello scorso.
Al prossimo capitolo,
@cliffordsarms

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** I'm Better Off On My Own ***



Image and video hosting by TinyPic
 
I’m Better Off On My Own
 
This place is so empty,
My thoughts are so tempting,
I don't know how it got so bad,
Sometimes it's so crazy,

That nothing can save me.

Finalmente era finito il primo giorno di scuola. «Uno in meno.» pensò Michael sospirando
e aprendo la porta di “casa”. Viveva da solo in una specie di magazzino sporco, umido e
ammuffito, infestato da topi e scarafaggi d’incredibili dimensioni. Sua madre era morta in
un incidente l’anno precedente e suo padre li aveva abbandonati quando aveva iniziato a
capire che le cose non andavano bene per la famiglia Clifford. Quando sua madre era
deceduta Michael non aveva pianto: si era chiuso in quella che era la sua vecchia stanza da
letto e aveva iniziato a fissare il soffitto, inerme. Poi un giorno la polizia aveva suonato il
campanello e l’aveva sfrattato. Dopo varie nottate a casa di “amici”, aveva trovato quel
magazzino e ci si era “sistemato”. Per quanto riguardava suo padre, Michael provava un
completo disprezzo, aveva lasciato sua madre a prendersi cura del ragazzino quando aveva
solo tre anni, e ora che quel ragazzino, ormai diventato un uomo, aveva bisogno di lui, non
si era nemmeno fatto sentire. Michael sosteneva che fosse meglio così, probabilmente se se
lo fosse ritrovato davanti non l’avrebbe preso a pugni, non ne avrebbe ricavato nulla,
l’avrebbe semplicemente evitato, non gli avrebbe nemmeno rivolto la parola, un saluto, un
gesto della mano, nulla. Per lui era come inesistente.
Perciò entrò e si accasciò sul divano, che era anche il suo letto. Poi si alzò e aprì il
frigorifero: vi trovò solo del latte. Per fortuna si ricordò di avere dei cereali in dispensa. Il
pranzo più abbondante che avesse mai fatto da un anno a quella parte. Quando ebbe finito
di mangiare decise di uscire a fare una passeggiata, più che per voglia lo fece perché in quel
magazzino la puzza di muffa era diventata insopportabile. Entrò nel primo supermercato
che trovò per strada e prese una birra, che pagò con i soldi della vendita del sabato
precedente. Per guadagnarsi da vivere Michael era costretto a spacciare dell’erba e della
cocaina nelle discoteche della periferia londinese. Non la preparava lui, aveva solo il
compito di rivenderla. Ogni sabato alle 17.01 precise, doveva trovarsi in un vicolo non
distante da casa sua e nel terzo cassonetto verde avrebbe trovato un sacchetto con il
rifornimento per quella serata. Di tutto quel ben di dio che trovava nei sacchetti, lui poteva
tenersi una busta di erba e il pacchetto di sigarette che chiunque lo rifornisse gli lasciava
dentro; mentre della vendita poteva tenere circa sessanta sterline, non era un gran che, ma
aveva imparato a gestire quei pochi soldi che aveva in tasca.
Nel corso della sua passeggiata andò a Hyde Park. Era lontano da dove viveva e non aveva i
soldi per pagarsi la metro, perciò vi si era recato a piedi. Era una lunga passeggiata, ma
non gli importava che avrebbe fatto “tardi” quella sera, non aveva nessuno ad aspettarlo a
casa, non c’erano i suoi i genitori a urlargli contro che sarebbe dovuto essere più
responsabile e più puntuale. Era completamente solo, non aveva neanche un amico. O
meglio, aveva degli “amici”, quelli con cui si ritrovava al vicolo e con cui poi collaborava
durante la serata, ma non aveva nessun amico vero. Uno di quelli che ti telefona, che ti
chiede come stai, che magari ascolta anche la risposta, uno di quelli con cui puoi parlare di
tutto. Ma del resto Michael non lo voleva un amico che si preoccupasse per lui, perché ci
sarebbe stato davvero troppo per cui preoccuparsi con lui, per questo respingeva tutti, per
questo era così dannatamente acido. Voleva stare solo, se la sarebbe cavata, l’aveva sempre
fatto. Ed era per questo stesso motivo che quel giorno, a scuola, aveva risposto così
sgarbatamente a quei due ragazzi. «Com’è che si chiamavano? Luke Cooks e Clary
Hemmings?»
pensò. Non era nulla d’importante per lui. Come già detto, lui non aveva
bisogno di amici. «Saranno venuti da me perché gli ho fatto pena, sicuramente.» pensò
ancora. Non aveva bisogno di essere compatito lui, lui non aveva bisogno della pena di
nessuno, Michael Gordon Clifford non aveva bisogno di nessuno e basta. Viveva bene con
la sua erba, le sue sigarette, i suoi alcolici e la sua musica. Amava la musica, era l’unica
cosa che riusciva a farlo sentire vivo, per questo aveva due chitarre a casa, un’acustica e
un’elettrica. Purtroppo non aveva abbastanza soldi per comprarsi un amplificatore, perciò
si doveva accontentare della sua amata chitarra acustica, finche le cose non fossero
cambiate. Mentre Michael sperava che le cose cambiassero, non faceva nulla perché questo
accadesse. Ma del resto, non cera nulla che potesse fare. Non si può mica uscire da un
circolo di droga, alcolici e spaccio da un giorno all’altro e non c’era altra soluzione che
aspettare che la polizia scoprisse chi fosse il capo di tutta l’organizzazione e arrestasse tutti,
lui compreso. Avrebbe scontato la pena che la giuria avrebbe scelto per lui e quando
sarebbe uscito dalla galera, sarebbe stato un uomo completamente diverso, migliore, ne
era sicuro. Ma per ora, restava Michael Clifford, il ragazzo dai capelli di mille colori, che
tutti evitavano e di cui tutti avevano paura.

 
Notes
Hi or heyy!!
Duunque, che vi posso dire? Nulla perché in questi giorni non è successo niente di che. A voi come procedono le vacanze?
Questo capitolo è un POV Michael ed è molto più corto rispetto agli altri capitoli, ma, come ho fatto per Clary e Luke, è una solo una presentazione del personaggio. Spero che questo Michael versione “bad boy” vi piaccia. Insomma è tutto incasinato e solo. È un drogato/alcolizzato/spacciatore, ma vedrete cosa accadrà nel corso della storia!
Quindi si spiegano tutti i motivi delle voci a scuola, perché le persone lo evitano eccetera.
Ho deciso di mettere qualche frase di una canzone in alto, visto che me l’hanno consigliato, questa per ora è una prova. Comunque la canzone di questo capitolo è “Pieces” dei Sum41 e anche il titolo del capitolo è preso da questa canzone. Se continuerò con questa cosa delle citazioni prese dalle canzoni vi scriverò sempre di che canzone si tratta, a meno che non sia qualcuna dei ragazzi.
Questo spazio autrice è veramente corto, non è normale per me :(
Ma visto che non ho nient’altro da dire, mi faccio altra pubblicità, come sempre ahaha. Ho scritto un’altra OS Muke, per chi volesse leggerla, s’intitola Bring Me Back To Life. Si è capito che sono una grande sostenitrice di Muke, vero? Beh shippo sia Muke che Cashton, ma anche Larry (One Direction) e Stydia (Teen Wolf), insomma amo le OTP. Spero che non mi odierete ora. :( In questa storia non ci saranno, anche perché come coppia ho segnalato Het e non Slash. :D
Passo a voi, che è meglio:
grazie a chi legge silenziosamente;
grazie per aver recensito lo scorso capitolo a IloveyouHoran, fedejonas4ever e tomlinsonsshoes;
grazie per aver messo nelle preferite a AshIrwin, chicchia99, Helen02 e KairixSora1001.
grazie per aver messo nelle seguite a Directionina, Helen02, ljamspooh, LONDON_fan e yellow_raven.
grazie per aver messo nelle ricordate a xcxHemsxcx.
grazie per le 61 visite nel terzo capitolo e alle 43 nello scorso.
Spero sempre nelle vostre recensioni,
al prossimo capitolo,
@cliffordsarms.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Cigarettes ***



Image and video hosting by TinyPic
 
Cigarettes
 
Well I've seen your eyes as they flicked on me,
“What is he doing? What on earth's the plan? Has he got one?”
You'd better give me some pointers,
Since you are the big rocket launcher and I'm just the shotgun.
Well I ain't got no dollar signs in my eyes,
That might be a surprise but it's true,
That I'm not like you and I don't want your advice,
Or your praise or to move in the ways you do,
And I never will.
 
Era passata una settimana da quando Luke e Clary erano andati a parlare con Michael e
non avevano più avuto modo di farlo, dato che il castano era stato assente tutta la
successiva settimana. Erano le 07.45 di martedì mattina e il giovane Clifford stava
chiudendo la porta del suo magazzino, pronto, se così si può dire, per l’ennesimo giorno di
scuola. Arrivato guardò il suo orario, alla prima ora avrebbe avuto matematica con “quella
strega della Bailey”, come gli piaceva definirla. Entrando era passato davanti ai quei due
ragazzi che gli erano andati a parlare sulle scale la settimana precedente, si fumavano una
sigaretta in pace, senza proferire verbo, ma insieme. Mentre si dirigeva verso l’aula di
matematica pensò che quella che aveva visto era Clary Cooks, brava ragazza per eccellenza,
con una sigaretta tra le labbra. Scrollò la testa e scacciò quel pensiero, non erano fatti suoi
e non gli interessava. Entrò nell’aula dove la professoressa si era già accomodata e stava
accendendo il suo portatile.
«Buongiorno anche a lei Clifford.» disse piatta, senza sollevare gli occhi dallo schermo. «È
stato assente la scorsa volta, perciò questo è il programma del semestre.» continuò più
piatta di prima, appoggiando un plico di almeno dieci pagine sulla cattedra e scrutando il
ragazzo da sopra la montatura degli occhiali. Michael, che era quasi giunto al suo posto in
fondo alla classe, si voltò e si avvicinò al tavolo. Prese il foglio e fece un sorriso strafottente
alla professoressa, che ricambiò con un altrettanto sorriso falso. «Questa diventa sempre
più odiosa ogni anno che passa.»
pensò. Erano ormai cinque anni, essendo stato bocciato,
che Michael vedeva quella professoressa alla prima ora del martedì mattina. Il castano si
guardò intorno e solo in quel momento notò che la classe era vuota, c’erano solo lui e la
“stregaccia”. Il ragazzo si mise a fissare fuori dalla finestra, quel giorno a Londra pioveva,
nulla di speciale, normale amministrazione per quella città. Improvvisamente si sentì il
rumore della maniglia che si abbassava bruscamente: una ragazza con lunghi capelli
castani nascosti nel cappuccio della felpa era caduta addosso alla porta, facendo abbassare 
la maniglia.
«Questa me la paghi, Hemmings!» gridò la ragazza, ridendo, a qualcuno fuori dall’aula. Poi
si voltò e, sistemandosi la gonna della divisa e la felpa, diede il buongiorno all’insegnante.
Solo quando la ragazza parlò, Michael si rese conto di chi fosse. Non poteva crederci,
quella ragazzina l’avrebbe perseguitato per tutto l’anno. Non era possibile che Clary Cooks
sarebbe stata nel suo corso di matematica fino alla fine dell’anno. «Non anche qui!» pensò.
Dato che era ancora presto, la lezione non sarebbe iniziata prima di un quarto d’ora, il
giovane Clifford decise di passare il suo tempo infastidendo la piccola Clary, sapeva già
che la professoressa non l’avrebbe sgridato, «Troppo impegnata a navigare sui siti d’incontri
per punirmi.»
pensò.
«Hey, Cooks! Sai che quello che hai fatto prima non è da “brava ragazza”?» disse. Clary si
voltò verso la fonte di quella voce. «Meraviglioso!» pensò «Quindi l’assente della scorsa
settimana era lui! Non poteva andare meglio!»
Quello di matematica era uno dei pochi
corsi che Clary non faceva con Luke, uno dei pochi corsi in cui si trovava “sola”, non
avrebbe mai voluto affrontare Michael Gordon Clifford da sola, ma l’avrebbe dovuto fare.
Non era una “brava ragazza” qualunque lei, anche se cordialmente, non si sarebbe certo
fatta mettere in testa i piedi da lui. Perciò lo squadrò da capo a piedi, ne osservò ogni
centimetro, ne scrutò ogni minimo movimento, ne fissò ogni singola piega o ombra.
«Hey, Clifford! Non credo che siano affari tuoi.» disse gentilmente, facendo dell’ironia. Si
voltò e ricominciò a scarabocchiare su un foglio, come prima che quel ragazzo così
sfacciato la interrompesse. Michael non riuscì a controbattere, pensava che si sarebbe
arrabbiata, si aspettava che gli sbraitasse addosso, e invece niente. Il castano fece un
sospiro e tornò a fissare fuori dalla finestra. Buttò la testa in dietro e fece un lungo respiro,
chiudendo gli occhi. Aveva bisogno di una sigaretta, decisamente. Perciò prese la sua
tracolla e si alzò facendo rumore con la sedia. Clary si voltò a guardarlo e lo seguì con la
testa finche non uscì dalla classe sbattendo la porta. La professoressa Bailey sussultò a quel
rumore, scrutò la classe, fissò qualche secondo la ragazza, che alzò le spalle per niente
sorpresa, e tornò a trafficare con il suo computer.
Uscito dalla scuola Michael prese le sue sigarette e uscì dal cancello, accendendone una.
Chiuse gli occhi sentendo il fumo riempirgli i polmoni e si sedette sullo scalino del
marciapiede. Cercava di pensare, ma non sapeva a cosa. Allora decise di non pensare, ma
pensò di non pensare e quindi a qualcosa stava pensando. Sentì la campanella suonare e
qualcuno gli si sedette a fianco. Non si voltò per controllare chi fosse, ma sentì lo scattare
di un accendino. Vide una nuvola di fumo aggiungersi a quella che lui aveva già creato, a
quel punto si voltò.
«Che ci fai qui fuori, ragazzina? Non perdi la lezione?» esclamò alla vista di Clary. Lei si
mise a ridere. Semplicemente rise. Michael la guardava con gli occhi fuori dalle orbite.
Credette di avere le allucinazioni. Cosa stava facendo quella santarellina, lì fuori, con lui,
a fumare? La lezione era appena iniziata e lei era fuori dal perimetro della scuola a fumare.
Non era possibile. La sua mente doveva avergli fatto qualche stupido scherzo.
«Guarda che ti cade la cenere sulle scarpe se non stai attento.» disse lei, voltandosi e
sorridendogli. Michael era sempre più sbalordito. Fece cadere la cenere a terra poi si voltò
a guadare la nuvola di fumo che la ragazza seduta al suo fianco aveva creato. Fece un tiro e
unì il fumo proveniente dai suoi polmoni a quello già presente nell’aria, prodotto dalla
ragazza. Sentirono il rumore del cancello che si chiudeva alle loro spalle, con qualche
cigolio, e qualcuno che correva. Michael si voltò a fissare Clary buttare la testa indietro,
lasciando che il fumo le riempisse i polmoni. Non espirò, non si lasciò uscire nessuna
nuvola di fumo dalle labbra. Ma la vista del ragazzo fu interrotta da qualcuno che si sedeva
al fianco della ragazza.
«Allora? Che si fa?» disse. Si voltarono entrambi verso il biondo che aveva parlato. Il
castano iniziò a passare lo sguardo da uno all’altro. Che diavolo ci facevano quei due lì?
Scrollò la testa e si rese conto che la sua sigaretta aveva finito di bruciarsi, arrivata ormai al
filtro. La cenere era rimasta attaccata, ma una leggera folata di vento l’aveva scossa
acendogliela cadere sui piedi. Per fortuna aveva smesso di piovere, altrimenti si sarebbe
appiccicata sulle sue scarpe.
«Te l’avevo detto.» disse la castana, sorridendogli. Si alzò in piedi sospirando e buttando
ciò che restava della sua sigaretta a terra. «Noi torniamo dentro,» disse aiutando Luke ad
alzarsi, «tu vieni con noi?» concluse porgendogli la mano. Michael scoppiò a ridere, gli era
sembrato troppo strano che quei saltassero qualche giorno di scuola. Ora il tutto si era
fatto chiaro ai suoi occhi. I due amici lo guardarono straniti e sorpresi. «Come vuoi.»
sospirò Clary, «Dirò alla Bailey che hai marinato la scuola e che ci hai costretti ad uscire
dal perimetro, facendoci fare ritardo, così avrà materiale a sufficienza per sospenderti e
dovrai per forza restare in questa scuola un altro anno.» si corrucciò la ragazza. Luke capì
che stava decisamente esagerando, quelli non erano affari loro e lei stava diventando
troppo testarda. Perciò la tirò per un braccio sussurrando un «Dai, Clary, torniamo
dentro.»
che la ragazza non ascoltò. Era fissa davanti a Clifford, con gli occhi putati in
quelli del ragazzo, con un’aria che voleva sembrasse minacciosa, ma che sembrava solo di
una bambina che vuole riavere il suo giocattolo indietro.
«Credo che tu debba ascoltare il tuo fidanzatino, ragazzina.» disse perciò Michael
distogliendo lo sguardo dalle iridi verde scuro della ragazza. Per lei era troppo, aspettò che
si alzasse in piedi e gli stampò una cinquina in piena guancia. «Che cazzo fai, ragazzina!»
strillò il castano, portandosi entrambe le mani sulla guancia colpita. La ragazza si voltò e
tornò verso la scuola, attraversando il cancello pedonale. Luke era rimasto immobile, era
esterrefatto dal comportamento della sua migliore amica.
«Io… io credo che ci convenga seguirla…» sussurrò abbassando lo sguardo il biondo. Così
attraversò anche lui il cancello pedonale, seguito dal più grande che era ancora intento a
massaggiarsi la guancia. Quando il castano entrò in classe trovò Clary già seduta al suo
banco. Fu costretto a passarle vicino, così lei gli sussurrò un «Sapevo che mi avresti
seguita.»
ridacchiando. Quando gli altri compagni si accorsero del rossore sulla guancia di
Michael scoppiarono in una fragorosa risata generale. Il castano si sedette al banco dove si
era già accomodato prima e sospirò. «La pagherai Cooks, la pagherai molto cara.» pensò
fissando la schiena della ragazza seduta al primo banco.
 
Notes
Hi or heyy!!
Il nostro Luke ha 18 anni, non ci posso credere!! Io sono ancora intenta ad ascoltare Try Hard e Unpredictable e lui ha fatto 18 anni! Piangiamo tutte insieme :’’((
Questo capitolo allora… non lo so che cos’è. È un capitolo che ho scritto mano a mano senza un’idea precisa in testa, le parole uscivano da sole. Spero che abbia almeno un senso. Sicuramente da qui in poi si entrerà di più nella storia, da qui inizia la trama vera e propria. Vedrete, vedrete!
Spero che questo Michael molto Out Of Character vi piaccia, forse è un po’ particolare o magari è del tutto scontato, non saprei…
Nelle recensioni ho letto che a molte fa pena la sua situazione, credo che andando avanti cambierete idea. ;D
In questo capitolo Clary fa la brava ragazza coraggiosa, ma non sa in cosa si è cacciata! Ehehehe non sa proprio a cosa è andata in contro!
Ho intitolato il capitolo Cigarettes perché ho amato a scrivere la parte sul fumo, la descrizione delle nuvole di fumo, insomma quello ahahah.
La canzone in alto è “Perhaps Vampire Is A Bit Strong But…” degli Arctic Monkeys.
In questi giorni sto cercando di aggiornare spesso perché presto partirò e per due settimane circa non potrò caricare nulla, sicuramente andrò avanti a scrivere e cercherò di rispondere a tutte le vostre recensioni. L’ultima volta che aggiornerò prima di partire vi avvertirò, tranquille. ;)
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, chi ha inserito la storia nelle preferite, nelle seguite e nelle ricordate, grazie anche a chi legge silenziosamente, mi piacerebbe sentire anche i vostri pareri eh!
Voglio dirvi che il primo capitolo ha raggiunto le 171 visite! Sono davvero contenta di questo!
Bene, vi lascio perché questo spazio autrice è davvero troppo lungo.
Al prossimo capitolo,
@cliffordsarms

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Wrapped Around Her Finger ***



Image and video hosting by TinyPic
 
Wrapped Around Her Finger
 
You called me strong, you called me weak,
But still your secrets I will keep,
You took for granted all the times,
I never let you down.
You stumbled in and bumped your head,
If not for me then you'd be dead,
I picked you up and put you back on solid ground.
 
Luke e Clary erano in treno, seduti uno di fronte all’altra, entrambi con la testa appoggiata
al finestrino, cappucci su e cuffiette nelle orecchie. Luke teneva il tempo della canzone che
stava ascoltando molleggiando la gamba, mentre Clary cantava impercettibilmente quella
che stava sentendo lei. Il ragazzo la guardava di sottecchi e osservava i movimenti delle sue
labbra, cercando di capire quale canzone uscisse dalle sue cuffie. Avrebbe voluto dirle tante
di quelle cose. Come il fatto che lui avesse paura di quel Clifford, era un tipo losco,
sicuramente uno da evitare. Voleva chiederle perché si era incaponita con lui, cosa ci
trovasse in quello. Era pericolo allo stato puro e a loro non piaceva cacciarsi nei guai,
affrontare i pericoli. Mentre era perso in questi pensieri, si accorse che la musica nelle sue
orecchie si era fermata e che la ragazza di fronte a lui lo stava fissando con aria
interrogativa.
«Luke, il cellulare.» gli disse, togliendosi una cuffietta. Era premurosa con lui, cercava
sempre di riuscire a dargli il meglio, perché se lo meritava davvero. O almeno, così diceva
lei. «Luke, ti suona il cellulare.» gli disse ancora, portandogli lo schermo del telefono a due
centimetri dal naso. Il biondo sbatté le palpebre un paio di volte, tornando con i piedi per
terra. La suoneria del suo cellulare si era fatta forte nelle sue cuffie, così lesse sullo
schermo “Mamma”. La voce di Clary gli era suonata ovattata e ora capiva anche perché.
Prese l’oggetto tra le mani e rispose. La ragazza sentì tutta la conversazione attraverso le
cuffie di Luke, come tutta la carrozza del resto, il volume era allucinante, non capiva come
facesse a non dargli fastidio. La signora Hemmings stava dicendo a suo figlio di riferire alla
sua amica che la madre di questa era a casa loro e che avrebbero pranzato insieme, di non
andare a casa perciò. Così, la castana sorrise e fece un cenno con la testa al ragazzo seduto
di fronte a lei, che riferì alla donna dall’altra parte del telefono. Perciò i due ragazzi scesero
alla fermata più vicina a casa di Luke e pranzarono a casa Hemmings. Mentre erano ancora
a tavola Clary sussurrò all’orecchio del biondo, senza farsi vedere, «Ho voglia di lago.». Il
ragazzo annuì e, senza farsi scorgere dai genitori, troppo impegnati nelle solite
conversazioni sul lavoro, sgattaiolarono fuori dalla cucina e salirono in camera di Luke.
Clary vi aveva lasciato un costume da bagno qualche tempo prima, per fortuna, così si
andò a cambiare in bagno mentre il biondo si cambiava invece in camera. Poi scesero di nuovo e
passando di corsa davanti alla porta della cucina gridarono in coro «Mamma, usciamo!» e
prima che le donne interpellate potessero ribattere i due ragazzi chiusero la porta di casa
Hemmings. Mentre si avviavano a passo sostenuto verso la stazione il telefono di Clary
trillò per l’arrivo di un messaggio. Così tirò fuori il cellulare e lesse “Megan”. Un sorriso si
fece largo sul suo volto: era una sua amica australiana. Lesse il messaggio:
“Hey, piccola Clary! Come va nella grigia Londra? Io sarò lì per tre giorni questa
settimana, ti va se ci vediamo?

Meg xx.”
Sul viso di Clary, che prima era felice per aver ricevuto un messaggio dalla sua amica
dall’Australia, si fece spazio un’aria totalmente preoccupata. Luke, che se ne accorse, cercò
di sbirciare il cellulare, ma la ragazza lo bloccò e lo rimise in tasca, per avere più tempo di
pensare a quale risposta dare. Aveva voglia di vedere Megan, le mancava molto, ma non a
Londra, non dove avrebbe potuto conoscere sua madre, dove avrebbe potuto conoscere
Luke, dove l’avrebbe vista per quella che non era. Non sapeva cosa rispondere a quel
messaggio, così decise di fumare una sigaretta, l’aiutava a pensare meglio e più in fretta.
Avrebbe potuto certamente chiedere consiglio al suo amico, ma non l’avrebbe fatto, mai.
Lui non doveva sapere di Megan. Lui era Londra, lei era Sydney, due cose che dovevano
restare separate, non solo dalle migliaia di kilometri che le separavano geograficamente,
ma anche letteralmente. Sydney era una cosa, Londra un’altra. A Sydney c’era una Clary, a
Londra un’altra. A Sydney c’era Megan, a Londra Luke. E così dovevano rimanere, non si
sarebbero mai dovute scontrare. Luke sapeva di questa fissa di Clary di tenere separate le
due vite, ma Megan no, e questa era un’altra cosa che teneva le due cose ancora più distanti.
Inoltre Megan era la tipica ragazza australiana, sapeva come conquistare un ragazzo e
la londinese conosceva i suoi standard di ragazzo ideale. Sapeva che Luke vi rientrava
perfettamente, ma Megan non doveva finire con Luke, assolutamente no. Non si sarebbero
dovuti sfiorare nemmeno con un dito. Ma Clary sapeva anche come fosse fatto il giovane
Hemmings, cadeva facilmente ai piedi delle ragazze, davvero molto facilmente. Bastava un
complimento e un minimo d’interessamento che subito pendeva dalle loro labbra, poteva
diventare quasi un cameriere, uno zerbino. E Luke non si meritava di essere trattato in
quel modo, soprattutto da una come Megan, che sapeva perfettamente come divertirsi con
i ragazzi. Anche se l’australiana era una delle amiche più care di Clary, non avrebbe mai
accettato che Luke si facesse abbindolare da lei. Anche perché poi Megan sarebbe tornata
in Australia e Luke sarebbe rimasto a Londra. Lui ci sarebbe rimasto troppo male e invece
lei se ne sarebbe infischiata. Sarebbe toccato a Clary rimettere insieme i pezzi del cuore di
Luke e non aveva di certo voglia di vederlo stare male per una come Megan. Doveva
pensare in fretta a una scusa per Megan e una per Luke, si era accorta che lui aveva capito
che era successo qualcosa. Diciamo però anche che la castana non si era impegnata per
nasconderlo.
La sua sigaretta era finita e il suo treno arrivato. Luke la guardava ancora un po’
interrogativo, quasi preoccupato, anche lui. Non voleva turbarla, però era curioso di sapere
cosa fosse successo, magari avrebbe potuto aiutarla a risolvere qualsiasi cosa fosse
accaduta. Salirono sulla carrozza in silenzio e Clary decise di isolarsi totalmente
mettendosi le cuffie: doveva pensare e anche in fretta.
«Clary, che sta succedendo?» chiese Luke, togliendole una cuffia. La ragazza lo fulminò
con lo sguardo, aveva fatto la cosa più sbagliata di questo mondo. Lei scrollò le spalle e tirò
via la cuffia dalle sue mani, tornando nel suo mondo di pensieri. «Non voglio che tu lo
sappia, Luke.»
pensò. Sapeva che questa fosse un’ingiustizia, insomma, il biondo aveva
tutti i diritti di sapere perché la sua migliore amica fosse turbata, perché da un
meraviglioso sorriso le sue labbra si erano trasformate in una smorfia di tristezza e
preoccupazione. Sì, ne aveva i diritti, ma non l’avrebbe comunque saputo. Avrebbe trovato
un’altra bugia, da dire a Luke. Mentre pensava a queste cose, il biondo le aveva infilato una
mano in tasca, le aveva staccato il cavo delle cuffie e rubato il telefono, un’altra volta. La
fissava preoccupato e lei ricambiava con uno sguardo omicida. «Dimmelo, Cooks. So che
c’è qualcosa che non va. Voglio saperlo, adesso.» insisté, serio, il ragazzo. Varie persone 
intorno a loro si erano voltate a guardarli, cosa che a Clary dava molto fastidio, odiava
essere osservata. «Pensa in fretta, Clary, pensa in fretta.» si disse tra sé e sé. Le serviva
una scusa credibile, e anche velocemente. Così prese un lembo della sua maglietta e l’attirò
a sé.
«Smettila, Luke, ci stanno fissando tutti.» gli sussurrò a denti stretti. Lui si scostò e prese il
polso di Clary tra due dita, come se ne fosse schifato. Scosse la testa e le diede il suo
cellulare indietro. Lei l’afferrò e riattaccò le cuffie. Si accorsero entrambi solo in quel
momento che il treno si era fermato, in quanto stavano per precipitare a terra una sopra
l’altro, infatti la castana fu costretta ad appoggiare entrambe le mani sul petto del giovane
Hemmings che, dopo aver controllato che fermata fosse, abbassò lo sguardo, le sorrise e si
spostò. Così scese e da davanti alle porte le gridò «Ti muovi?». La piccola Clary scese di
corsa, appena in tempo, perché le porte si chiusero proprio dietro di lei. La ragazza si
guardò intorno e scorse una pettinatura castana famigliare. Non ci diede troppo peso e
seguì Luke, che si era già allontanato per un pezzo. Arrivati al lago si accorsero che non era
esattamente aria di bagno: il cielo era di un grigio scuro, avrebbe piovuto di lì a poco e
avrebbero dovuto correre e tornare nella città. Decisero quindi di togliersi le scarpe e
sedersi sul bordo di quel piccolo pontile che c’era su quella sponda, le punte dei loro piedi
avrebbero toccato leggermente l’acqua, ma sarebbe bastato a farli rilassare. Il cellulare di
Clary trillò ancora per l’arrivo di un nuovo messaggio. Guardò il display e lesse ancora
“Megan”. Era indecisa se leggerlo o no, così fissò lo schermo per qualche secondo, poi lo
bloccò e lo mise in borsa. Si guardò intorno e, non vedendo nessuno, si lasciò uscire un
grido frustrato. Luke sussultò e poi si voltò verso di lei con aria interrogativa e con una
faccia che lasciava intendere «Sapevo che stava succedendo qualcosa.». Ma Clary era
sempre più decisa a inventarsi una scusa da dire al suo amico. «Sydney e Londra non si
devono incrociare. Sydney una cosa, Londra un’altra. Londra deve restare separata da
Sydney.»
continuava a ripetersi tra sé e sé. Più Luke la guardava con aria interrogativa, più
la piccola Cooks si decideva a non dirgli nulla. Così il biondo, decisamente arrabbiato,
sbatté le mani sul legno del pontile, gesto che fece sussultare la ragazza. Si voltò e vide
il suo amico asciugarsi i piedi e rimettersi le scarpe, per poi dirle «Vaffanculo, Clary,
vaffanculo.».
«Luke, dove vai? Luke, cazzo, dove stai andando? Luke!» strillò la ragazza sempre più forte,
cercando di farsi sentire dal biondo, che ormai si era allontanato verso la stazione. «Merda,
ma perché quel ragazzo è così complicato!»
pensò, mentre ripeteva la procedura compiuta
dal giovane Hemmings qualche secondo prima. Prese le sue cose e si mise a corrergli dietro.
Mentre lo seguiva si mise a diluviare «Oh, andiamo!» pensò rivolgendo al cielo lo sguardo
e le braccia, che poi si lasciò ricadere contro le gambe, procurando un suono sordo. Riprese
a correre mentre si tirava il cappuccio in testa e ci ficcava i capelli per evitare che si
gonfiassero e le facessero una pettinatura afro anni ’70. Arrivata alla stazione trovò il suo
amico seduto su una sedia, anche lui cappuccio tirato su, la borsa appoggiata tra i piedi, le
braccia incrociate davanti al petto. Non aveva le cuffie nelle orecchie, segno che stava
aspettando che Clary gli dicesse quello che lui voleva sapere. E la ragazza colse questo
segnale, anche dallo sguardo fulmineo che le lanciò appena la vide varcare la soglia
dell’edificio. Lei sospirò e si lasciò cadere sulla sedia di fianco a quella del suo amico. «E va
bene!» sbuffò «Megan, la mia amica dell’Australia, mi ha scritto che sarà qui a Londra
questa settimana.» concluse abbassando lo sguardo. A Luke scappò un sorrisetto, quasi
divertito, ma venne fulminato immediatamente dalla ragazza, che cercava conforto negli
occhi azzurro oceano del biondo.
«Ah… ti serve una scusa quindi?» tagliò corto il biondo, ripensando a tutti i discorsi della
sua amica sul tenere la vita a Londra separata da quella a Sydney. Luke si morse il labbro
in cerca di qualcosa di credibile. Intanto Clary osservava il suo profilo, come sperando che
le desse ispirazione. Decise poi di leggere l’altro messaggio che Megan le aveva inviato.
“Allora? Quando ci vediamo? Fammi sapere presto che muoio dalla voglia di rivederti!
Meg xx.” La castana sbuffò leggendo quel messaggio. Tornò a guardare Luke che le fece un
cenno con la testa, come per chiederle cosa dicesse. Lei gli passò il telefono, lui lesse
velocemente l’SMS e ridiede il cellulare alla proprietaria. «Ho trovato!» esclamò
all’improvviso. Clary lo guardò interrogativa. «Dille che sei malata! Tu non potrai uscire e
lei non verrà a casa tua per paura di essere contagiata. Sono geniale!» disse. Scoppiarono
entrambi in una risata, poi la ragazza prese il cellulare e buttò giù una bozza del possibile
messaggio che avrebbe poi inviato alla sua amica australiana.
“Hey, Meg! Qua va tutto bene, diciamo, come va là in Australia invece? Vorrei tanto
vederti, ma purtroppo sono malata ): Sarà per un’altra volta, scusa tanto.

Clary xx.” Scrisse velocemente, per poi far leggere a Luke che sorrise e tirò su un pollice
in segno di approvazione. Così la ragazza premette il tasto “Invia” sullo schermo e poi uscì
sotto la tettoia insieme al ragazzo, per fumarsi una sigaretta e tornare a Londra.
 
Notes
Heeeeyoooohh! (Fa molto sette nani lol)
So di essere in anticipo di un giorno, ma so già che domani non avrò tempo di caricare, così eccomi qua!
Perciò passiamo immediatamente al capitolo. Questo capitolo è veramente lunghissimo, non era mia intenzione farlo diventare così lungo. Avrei voluto interromperlo prima, in modo da continuarlo nel prossimo, ma ho pensato che fosse meglio concluderlo così.
Allora allora, Luke si sente in colpa nella prima parte, ahiahiahi. Lui e la sua fissa di dover fare da angelo custode a Clary ehehehe.
Poi c’è la parte dei pensieri di Clary su Megan, ed è anche il motivo per cui il capitolo si chiama Wrapped Around Her Finger, mi riferivo a Meg, sì. Perché lei avrebbe fatto cadere ai suoi piedi Luke e l’avrebbe fatto soffrire e nessuna di noi vorrebbe mai una cosa del genere, soprattutto Clary. E poi tutto il capitolo si basa sul pensiero di Clary, che deve trovare una scusa per non far incontrare quei due. Ma non vuole parlarne a Luke proprio perché deve rimanere tutto diviso. Alla fine però, siccome si è incazzato Luke, e ha fatto anche bene, poverino, mica lo può trattare così eh, la piccola Cooks si è decisa a farsi aiutare. E meno male che c’è il suo angioletto Luke ad aiutarla, se no sapete che disastro!
C’è un particolare di questo capitolo, che ho fatto in modo di non mettere in evidenza di proposito, sono cattiva, un po’, lo so lol. Ma comunque cercatelo e tenetelo bene a mente per il prossimo capitolo perché ne vedrete delle belle ehehe.
La canzone di questo capitolo è Kryptonite dei 3 Doors Down, conosco poche canzoni di questi gruppo (due in tutto lol), ma mi piacciono molto, e questa si ripresenterà in uno dei prossimi capitoli sicuramente!
Ringrazio tutti quelli che leggono questa storia, che recensiscono e che mettono tra le preferite/seguite/ricordate, davvero grazie mille.
Sarò felice di leggere le vostre recensioni e se avete qualche storia che state scrivendo e vorreste avere un parere in più sarò felice di leggere tutte le storie che volete, sui 5Sos e non!
Detto ciò, alla prossima,
@cliffordsarms

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Revenge pt.1 ***



Image and video hosting by TinyPic
 
Revenge pt.1
 
Cause all you people are vampires,
And all your stories are stale,
And though you pretend to stand by us,
I know you're certain we'll fail.
 
Quello stesso giorno Michael aveva deciso di saltare l’ultima ora, voleva pensare alla sua vendetta contro Clary Cooks. Così scese al bar della scuola per comprarsi un panino, che avrebbe mangiato più tardi tornando a casa. Non aveva davvero idee su come vendicarsi su di lei, non la conosceva affatto e non conosceva i suoi punti deboli. Passò un’ora seduto a quel tavolo, ma nulla, non aveva davvero nessuna idea. Forse perché non era abituato a vendicarsi delle persone, non l’aveva mai fatto, era sempre stato solo, l’avevano sempre ignorato tutti, non aveva mai dovuto vendicarsi di qualcuno e non sapeva perché avesse voluto vendicarsi di Clary. La campanella lo distrasse e si precipitò fuori, addentando il suo panino come se non mangiasse da mesi. Li vide, vide Clary e Luke uscire dall’edificio, sorridenti, scherzavano tra di loro, si prendevano un po’ in giro e si dirigevano alla stazione. Decise di seguirli, non aveva nulla di meglio da fare e magari avrebbe scoperto qualcosa in più su quella ragazza che ormai gli tormentava i pensieri. Li seguì fino a casa Hemmings e poi al laghetto. Scoprì di Megan e decise che fosse il modo migliore di vendicarsi. La sua vendetta sarebbe iniziata il giorno seguente e sarebbe stata veramente cattiva.
 
Si svegliò di buon umore quel giorno, la sua ripicca sarebbe iniziata alla seconda ora, durante la lezione di matematica. Si presentò a scuola con uno strano sorriso sul volto, un’espressione quasi maligna. Ovviamente nessuno ci fece caso, nessuno si accorse che Michael Clifford era allegro quella mattina, perché a nessuno importava di Michael. Quando oltrepassò l’ingresso e passò davanti a Luke e Clary però, una voce lo bloccò.
«Hey, Clifford! Tutta quest’allegria?» ancora lei, quella ragazzina lo stava tormentando. Dopo la sua vendetta sarebbe sicuramente tornata a ignorarlo o, ancora meglio, avrebbe iniziato a odiarlo. In qualunque caso, voleva liberarsi di lei.
«Cooks, fatti gli affari tuoi una volta tanto!» le urlò da sopra la spalla, senza nemmeno voltarsi, dirigendosi a passo spedito verso il suo armadietto. Nonostante quella ragazzina l’avesse tormentato ancora, la sua espressione maligna non era cambiata, era ancora sul suo volto, quell’allegria non sarebbe sparita tanto facilmente.
La prima ora passò normalmente, ricevette la verifica di storia con quella C scritta sopra, la sufficienza l’aveva presa. Quando suonò la campanella non passò nemmeno per il suo armadietto, corse diretto verso l’aula di matematica e benedisse mentalmente la Bailey per esistere. Si sedette nel suo posto in fondo alla stanza e aspettò con impazienza che la piccola Clary entrasse e lasciasse il suo cellulare nel contenitore sulla cattedra. Quando la castana entrò in classe non si sedette come suo solito al primo banco, ma lasciò giù solo la sua borsa e si diresse verso di lui. Michael sbuffò, cosa voleva ancora da lui? Non l’aveva già assillato abbastanza per oggi? Stava in piedi di fianco a lui senza dire una parola, con le mani intrecciate dietro la schiena e si dondolava sui piedi, sembrava una bimba piccola. «È proprio una bambina.» pensò lui. La ragazza sospirò, cosa stava aspettando? Che lui le dicesse qualcosa? Non aveva nulla da dirle.
«Se aspetti l’autobus, la fermata è fuori da cancello.» disse acidamente. La ragazza alzò lo sguardo e lui ricevette un’occhiata fulminante. Poi però lo guardò come se sapesse leggergli il pensiero, a quel punto il giovane Clifford iniziò a sudare freddo, che l’avesse scoperto, che avesse scoperto il suo piano malefico per farla allontanare da lui?
«Allora? Ti è piaciuto il nostro posto?» gli domandò. Lui deglutì a fatica, strabuzzando gli occhi. Ecco che l’aveva scoperto, l’aveva beccato il giorno precedente a pedinarli.
«C-cosa?» balbettò. Clary si sedette nella sedia di fianco e gli lanciò un’occhiata comprensiva.
«Ti ho visto ieri, seguirci. Se volevi venire, bastava chiederlo, sai? È dalla prima volta che ci siamo parlati che Luke ed io stiamo pensando che puoi uscire con noi qualche volta, se hai voglia. Volevo scusarmi per come mi sono comportata l’altro giorno, quindi se vuoi domani sera noi andiamo in un locale, fanno musica dal vivo.» gli disse sorridendo. L’aveva scoperto e ora lo stava invitando a uscire con loro? Non capiva il ragionamento. Se lui avesse scoperto che qualcuno l’aveva seguito, si sarebbe arrabbiato, e non poco. Invece loro gli stavano chiedendo di uscire, non aveva senso. Michael esitò, ora era indeciso, avrebbe dovuto vendicarsi comunque o lasciar stare? No, lui si sarebbe vendicato, doveva vederla soffrire, voleva. Si sentiva orribile, ma lei non ci aveva pensato due volte a cercare di metterlo nei casini, ora toccava a lui farlo con lei. Inoltre il giorno seguente sarebbe stato sabato, doveva lavorare quella sera.
«Cooks, non verrò, scordatelo, ho da fare. Le tue scuse puoi anche tenertele, io non ho bisogno di amici, vattene.» disse spostando lo sguardo. Era stato freddo, acido, maleducato. Avrebbe potuto essere più cortese, sua madre gli aveva insegnato le buone maniere, ma lui le aveva scordate quando lei era morta. Clary sussurrò qualcosa come un «Oh, okay…», sembrava delusa. Aveva davvero pensato che lui sarebbe uscito con loro? Non era così intelligente come tutti credevano. Quando la ragazza tornò al suo posto, Michael si alzò e uscì dalla classe, prendendo il suo cellulare e quello di Clary dalla cesta, aveva dato inizio alla sua vendetta. Per sua fortuna il cellulare della ragazzina non aveva un codice di sblocco, così fu semplice entrare nella sua rubrica e vedere i contatti. Trascrisse il numero di quella Megan sul suo cellulare e uscì a fumarsi una sigaretta. Era impaziente, avrebbe voluto chiamarla per dirle di incontrarsi, stupido fuso orario. Decise intanto di impostare la sveglia per le 4.00 della mattina successiva, in modo che a Sydney fossero le 14.00. quanto tempo che avrebbe dovuto aspettare, decisamente troppo, ma non voleva rischiare di chiamare questa Megan nel bel mezzo della notte o mentre era a scuola.
 
La sveglia suonava e lui non aveva nemmeno la forza per spegnerla, era troppo stanco, ma quando gli balenò in testa l’idea di dover chiamare la ragazza australiana e vendicarsi su Clary balzò in piedi dal letto e afferrò il cellulare. Compose il numero e si schiarì la voce, avrebbe speso un patrimonio per chiamare dall’altra parte del pianeta, ma ne sarebbe valsa la pena.
«Pronto?» disse una voce femminile con un marcatissimo accento australiano. Cosa le avrebbe detto ora? Non ci aveva proprio pensato.
«Ehm… sei Megan?» disse con la voce tremante. Come risposta ricevette un suono che interpretò come un’affermazione. «Sono un… un amico di Clary.» sentì un conato salirgli in gola, lui non era suo amico. «Quando arrivi a Londra? Penso che ci dovremmo incontrare.» un ghigno malefico si formò sul suo volto. La ragazza dall’altra parte disse che non avrebbe incontrato la sua amica, era malata. «Sì… ma potremmo incontrarci tu ed io lo stesso? Credo di doverti mostrare delle cose…» disse un po’ titubante. Sentiva una strana sensazione nello stomaco, sensi di colpa? Scacciò via quella sensazione e stette invece ad ascoltare la ragazza. Sarebbe andato a prenderla all’aeroporto il lunedì seguente e l’avrebbe portata da Clary. Per sua fortuna aveva la foto di Megan da WhatsApp.
 
Il lunedì seguente, alle 13.00 in punto Michael era lì, davanti al terminal, in attesa che la ragazza bionda scendesse. Quando la vide pensò che fosse davvero una bella ragazza, abbastanza alta, lunghi capelli biondi, occhi color del ghiaccio, «Davvero carina.» pensò mentre un sorriso si faceva spazio tra le sue labbra. La ragazza era un po’ spaesata, non ostante a fianco a lei ci fosse un uomo in giacca e cravatta che le somigliava molto, probabilmente il padre. Lui sembrava uno di quelli che sa sempre dove dovesse andare, cosa fare. Si avvicinò in fretta, perché si stavano già dirigendo verso l’uscita dell’aeroporto.
«Scusa, Megan?» chiese piazzandosi davanti a lei. Per risposta ricevette solo un cenno della testa, aveva capito che non fosse di molte parole quella ragazza. «Sono Michael, piacere, abbiamo parlato al telefono.» disse sfoggiando un sorriso e porgendole una mano. La ragazza la strinse e sorrise di rimando, per poi voltarsi verso il padre e comunicargli che sarebbe andata un po’ in giro con il castano. L’uomo acconsentì distrattamente, mentre cercava di capire dove dovesse andare. «Signore, se volete seguirmi, l’uscita è da questa parte.» disse sorridendo ancora.
«Quindi sei un amico di Clary?» gli chiese la bionda affiancandolo, più curiosa che mai.
«Diciamo di sì.» si coprì Michael, voltandosi verso di lei. Sembrava affaticata, dietro di lei si tirava un valigione enorme. «Vuoi che la porti io, quella? Sembra pesante.» chiese cortesemente. La ragazza gli passò il bagaglio e quando lui cercò di tirarlo per poco non gli si staccò un braccio. Arrivati fuori la bionda aiutò suo padre a caricare sul taxi l’enorme valigia e poi seguì Michael.
«Allora, dove si va?» chiese pimpante la ragazza. Lui biascicò semplicemente un «Seguimi.», abbastanza scortese. Anche se aveva risposto così maleducatamente, non aveva perso tutte le buone maniere, perciò prima di mettere in atto l’ultima parte del piano, la portò a fare un giro veloce nel centro di Londra, le mostrò il Big Ben, fecero un giro sul London Eye e si fermarono a prendere un frappuccino da Starbucks. Aveva speso quasi tutti i suoi risparmi, ma ne valeva la pena; per recuperare, sarebbe andato al “lavoro” anche mercoledì sera. Scambiarono qualche parola su Londra, per fortuna non aveva piovuto, almeno quello.
«Io dico che morirai prima del tempo.» disse ridacchiando la ragazza, quando Michael si accese la decima sigaretta del pacchetto davanti a lei. Lui rimase un po’ spaesato e la guardò con aria interrogativa. «Tutte quelle sigarette ti uccideranno, sono troppe!» esclamò spiegandosi. Lui ci pensò un attimo, non aveva mai fatto caso a quante sigarette fumasse al giorno, semplicemente quando ne aveva voglia fumava, anche se, ripensandoci, quel pomeriggio se n’era accese veramente troppe, non doveva avere fatto una buona impressione.
«Scusa, hai ragione. Prometto che questa è l’ultima.» disse arrossendo e sorridendo timidamente. Lei semplicemente rise, dicendogli di stare tranquillo. Quella ragazza gli era simpatica, era molto solare e socievole, ed era molto carina, si domandava come facesse a essere amica di Clary. Mentre finiva quell’ultima sigaretta Michael e Megan si dirigevano verso casa Hemmings, l’ultima fase del piano era ufficialmente iniziata.
 
Notes
Saaaalve a tuttiii!!
Sono qui, con questo nuovo capitolo!
Non sapete quanto sia stato difficile per me scriverlo, ho rischiato di non fare in tempo! Ma ce l’ho fatta, sono qui.
Allora, allora, tutte coloro che avevano pensato che Michael fosse uno stronzo antipatico, avevate ragione care mie! Ma vedrete cosa succederà nel prossimo capitolo, ci sarà da ridere!
Non mi dilungo molto oggi, devo andare.
La canzone è di nuovo “Perhaps Vampire Is A Bit Strong But…” degli Arctic Monkeys.
Nel titolo c’è scritto parte 1 perché il prossimo capitolo continuerà allo stesso modo e quindi ci sarà “Revenge pt.2” ma a parte questo non vi anticipo nulla!
Ci sono diversi salti temporali in questo capitolo, perché descrivere ogni minimo dettaglio sarebbe stato veramente inutile.
Volevo avvisarvi che ho aperto un nuovo account in cui pubblicherò la traduzione di una storia chiamata “99 Days Without You”, l’account è YayerNayer, c’è scritto anche nella mia Bio da ora (:
Ala prossima ragazze,
@cliffordsamrs
P.S. Grazie a tutte quelle che recensiscono e seguono la storia, non mi dimentico di voi!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Revenge pt.2 ***



Image and video hosting by TinyPic
 
Revenge pt.2
 
If you believe it's in my soul,
I'd say all the words that I know,
Just to see if it would show,
That I'm trying to let you know,
That I'm better off on my own.
 
Quel lunedì mattina cercò di captare ancora le conversazioni di Luke e Clary e scoprì che la ragazza sarebbe stata dal biondo quel pomeriggio, ovviamente sarebbero andati al lago, nessuno sapeva dove esso si trovasse perciò non avrebbero rischiato di incontrarci Megan e far saltare la copertura della castana. Nessuno, tranne Michael.
Adesso era con Megan, nascosti dietro l’angolo, protetti dalla siepe. Sul volto del castano si era dipinto un ghigno malefico e la bionda si domandava cosa stesse succedendo. Perché l’aveva portata davanti a quel palazzo? Perché stavano nascosti? Perché quel ragazzo aveva un ghigno malefico dipinto sul volto? Non credeva fosse davvero un amico di Clary, ma era gentile e non le era dispiaciuto passare quel pomeriggio con lui.
«Michael, perché siamo qui?» domandò impaziente. Lui le stava davanti, in punta di piedi per riuscire a vedere oltre la siepe. Ora era tornato malamente con i talloni appoggiati a terra e aveva voltato la testa leggermente, per riuscire a vederla con la coda dell’occhio.
«Hey biondina, silenzio.» disse sbuffando. Anche se Megan gli era simpatica, sarebbe dovuta stare in silenzio, altrimenti qualcuno li avrebbe scoperti. E proprio in quel momento sentirono il rumore del cancello. «Clary ti ha detto che è malata, giusto? Guarda chi sta uscendo dal cancello.» le disse dopo essersi accertato che fossero proprio i due amici a uscire. Quel suo ghigno malefico diventava sempre più inquietante agli occhi della bionda. Michael la prese per il polso e la trascinò verso i due ragazzi con lui, tenendola leggermente nascosta dietro la sua schiena. Diede un colpo di tosse per attirare l’attenzione dei due ragazzi, che si voltarono a guardarlo.
«Oh, ciao Mic… Megan! Che ci fai tu qui?» disse Clary, abbassando lo sguardo e mordendosi un labbro, gesto che Michael interpretò come simbolo di nervosismo. «Così impari a ricattarmi, Cooks.» pensò. Luke si sentiva in imbarazzo e anche lui si mordicchiava il labbro, il giovane Clifford si sentì un po’ in colpa per lui, gli stava simpatico e ora l’aveva messo in mezzo in una situazione che non gli riguardava.
«Clary Cooks! Non mi sembra che tu sia così malata!» urlò Megan correndo verso di lei e mettendosi in punta di piedi, per cercare di sembrare più alta. Sul volto di Michael si dipinse un sorriso soddisfatto, finalmente era riuscito a incasinare quella stupida ragazzina, ora, di certo, gli sarebbe stata lontana.  Luke fece un passo indietro, un po’ spaventato dalla reazione che la ragazza australiana aveva avuto.
«No, Meg… Non è come sembra, io posso spiegare…» disse Clary imbarazzata, continuando a mordersi il labbro. Ora il biondo dall’altra parte si stava davvero torturando il labbro, così Michael gli andò vicino, magari si sarebbe spaventato un po’ di meno. Era così soddisfatto del suo piano. Si sentiva felice. Era valsa la pena di tutto quella fatica, arrivare fino all’aeroporto, recuperare un’emerita sconosciuta, spendere tutti quei soldi per chiamare da Londra a Sydney, quel pomeriggio speso con questa tizia. Anche se, girare per Londra con Megan, non gli era dispiaciuto affatto, anzi tutt’altro, la trovava davvero carina e simpatica, si era anche preoccupata per lui quando l’aveva visto fumare troppe sigarette, l’unica sua pecca era che abitasse dall’altro lato del pianeta. Si distrasse dai suoi pensieri quando sentì Clary scoppiare in una sonora risata e Luke e Megan seguirla a ruota. Perché stava ridendo? Non doveva ridere, l’aveva messa nei casini con la bionda! Strabuzzò gli occhi e sul suo volto si dipinse un’espressione interrogativa. Non ci stava capendo nulla. Balbettò qualcosa come «Cosa sta succedendo?» ma nessuno gli diede ascolto, troppo impegnati a piegarsi a metà dalle risate, Clary addirittura piangeva. Anche quella Megan stava ridendo, insomma, lei sarebbe dovuta essere quella più arrabbiata di tutti!
«Qualcuno mi può spiegare cosa cazzo sta succedendo qui?» esclamò Michael sempre più irritato. Ancora una volta gli altri ragazzi andarono avanti a ridere, ma quando Luke vide la sua espressione seria smise quasi immediatamente e le due ragazze lo imitarono.
«Michael, lei è Hilary McSenior, viene a scuola con noi.» iniziò Luke, facendosi scappare un altro risolino. La bionda, che doveva chiamarsi Megan ma a quanto sembrava era Hilary, gli porse la mano; lui la strinse, ma quell’espressione interrogativa restava sul suo volto, poiché ancora non riusciva a capire. «Clifford, non esiste nessuna Megan dall’Australia.» precisò il biondo. Il castano iniziava a capire, forse. Credette di aver capito, ma voleva una conferma vera e propria, era ancora un po’ incredulo su quello che era successo. «Dio, Michael, ancora non hai capito? Era tutta una messa in scena!» disse esasperato Luke. La ragazza bionda, Hilary, gli sorrise, mentre Clary si lasciò uscire un’altra risata divertita, a cui mise immediatamente fine quando fu fulminata dallo sguardo serio di Michael. Il castano bofonchiò ancora qualcosa che nessuno riuscì a capire molto bene. Era ancora un po’ spaesato ed era rimasto senza parole.
«Quando ti abbiamo visto iniziare a seguirci fuori da scuola abbiamo pensato di farti uno scherzo, per farti capire la lezione.» disse Clary, facendo un passo avanti verso di lui. «Ma ci sentivamo troppo cattivi…» continuò, ma fu interrotta da un colpo di tosse da parte Luke, come se volesse attirare la sua attenzione per farle precisare qualcosa. La castana sbuffò, per poi correggersi, «Luke ha detto che era una cosa troppo cattiva da fare,» disse voltandosi verso il biondo, come per chiedere approvazione. Lui sorrise e annuii. «così abbiamo deciso di chiederti di uscire. Se avessi accettato, avremmo annullato lo scherzo, ma visto che non l’hai fatto e hai anche declinato l’invito con un “ho da fare” poco chiaro, abbiamo chiesto aiuto a Hilary.» disse tutta impettita e sorridente. Poi si voltò verso la ragazza e «Grazie, cara.» disse abbracciandola.
«Figurati, mi sono divertita un sacco! Ora devo andare, a domani ragazzi, a presto Michael.» rispose la bionda allontanandosi, rivolgendo un sorriso al castano. Ora il giovane Clifford era veramente arrabbiato con Clary, come si era permessa di prenderlo in giro? E si era arrabbiato anche con Luke, che le aveva dato corda. Il suo viso divenne rosso dalla rabbia, ma come diavolo si erano permessi? Aveva voglia di colpirli entrambi. Ai suoi occhi erano due stupidi, due bambini. E il biondo, che gli era sembrato così simpatico, ora gli stava antipatico quasi come la castana. Lei la odiava davvero, probabilmente non avrebbe mai odiato nessuno così tanto in tutta la sua vita.
Vedendo l’espressione di Michael, Clary iniziò a sentirsi un po’ colpa. Non avrebbe voluto farlo arrabbiare, anche se da un lato se l’era cercata, insomma li aveva pedinati! Si sentiva davvero molto in colpa, non avrebbe mai voluto farlo arrabbiare così tanto. Aveva pensato che il castano, scoperto dello scherzo, si sarebbe fatto una risata con loro, non gli sembrava il tipo da prendersela per un miserabile scherzo. Si sentiva una bambina. Così fece un altro passo avanti verso il giovane Clifford, allungando una mano per appoggiargliela su un braccio, come per consolarlo. Aveva sussurrato il suo nome, seguito da delle scuse, ma lui non si era lasciato sfiorare e aveva fatto un passo indietro.
«Lasciami stare, stupida ragazzina!» esclamò girandosi e facendo per andarsene, si fermò davanti a Luke, lo guardò dritto negli occhi e scosse la testa, per poi dargli una spallata e proseguire la sua uscita drammatica. Si accese una sigaretta e quando ebbe percorso abbastanza strada per i suoi gusti si sedette sul bordo del marciapiede per finire la sua sigaretta. Si prese la testa tra le mani e pensò a quanto potesse essere stato stupido per aver creduto a quello scherzo idiota.
 
Clary si avviò a passo svelto nella direzione in cui era andato Michael, ma Luke la fermò prendendole il braccio. Lei si voltò fulminandolo con lo sguardo, voleva solo andare a cercarlo per chiedergli scusa, ma al suo amico non era sembrata una buona idea, così scosse semplicemente la testa senza lasciarla.
«Luke, lasciami.» disse fredda. Guardò la mano del biondo che ancora stringeva il suo braccio. Lui la guardò dritta negli occhi. Quegli occhi verdi erano spenti ora, sembravano quelli di un cane bastonato, ma lui non capiva. Inoltre non voleva lasciarla, quel ragazzo era pericoloso e non voleva che le facesse del male, non voleva che facesse soffrire la sua piccola amica. «Luke.» lo richiamò ancora, alzando leggermente il tono di voce. Si dimenò un po’, sapendo che sarebbe stato inutile, infatti il ragazzo strinse la presa. «Luke!» esclamò infine la ragazza. Lui, che la stava ancora fissando negli occhi, che odiava vedere tristi, li chiuse un momento, per lo spavento.
«Non posso…» sussurrò infine, abbassando lo sguardo. La ragazza fece un passo verso di lui e gli mise l’altra mano sulla spalla. Finalmente lui lasciò la presa. «Perché vuoi andare da lui?» le chiese semplicemente. Clary non sapeva cosa dire. Rimase un po’ scioccata da quella domanda, non se la aspettava proprio. E poi, non ci aveva mai pensato, non aveva mai riflettuto sul perché, quell’anno, avesse deciso di fare amicizia con Michael. Poiché non parlava, Luke provò con un’altra domanda. «Che ci trovi in lui?» chiese. A questo la ragazza provò a dare una risposta, si aspettava che il suo amico le chiedesse ciò, perciò aveva già pensato a qualcosa da dirgli.
«Luke, non so perché ho deciso di voler diventare sua amica proprio quest’anno, ma mi è dispiaciuto troppo vedere tutti così spaventati da lui. Se hai paura che ti rimpiazzi, non lo farà, non preoccuparti.» gli disse sorridendo. Il biondo fece un sospiro di sollievo e l’abbracciò. Ora si sentiva un po’ meglio, aveva questa paura da qualche tempo, da dopo poco che Clary s’era incaponita su Michael. Ma ora che l’aveva rassicurato, si sentiva meglio. «Ora però andiamo, abbiamo delle scuse da fargli.» gli disse, concludendo l’abbraccio.
Michael era ancora seduto sul marciapiede, fumando l’ennesima sigaretta, quando i due lo videro da lontano e gli corsero incontro. Entrambi gli amici decisero di fumarsi una sigaretta, così la ragazza si sedette davanti al castano a gambe incrociate, non era una strada molto trafficata quella e non avrebbe rischiato di essere investita, mentre il biondo si accomodò accanto al castano. Non dissero nulla, semplicemente fecero unire le loro nuvole di fumo a quelle del giovane Clifford, il quale aveva fatto finta di non vederli, ignorandoli. Clary aveva iniziato a spazientirsi per quel suo comportamento, era davvero lunatico quel ragazzo. Si sarebbe aspettata che lui chiedesse loro con tono acido e retorico cosa volessero, come aveva fatto la prima volta che si erano incontrati. Invece era rimasto in silenzio, non li aveva nemmeno degnati di uno sguardo.
«Senti Mike, ci dispiace.» iniziò ma fu interrotta da castano che la fulminò e le disse non chiamarlo in quel modo. Lei sbuffò, la stava irritando ancora, quando lei voleva chiedergli scusa e finire il suo discorso, cercando di essere gentile come di solito. Ora il castano si era alzato in piedi.
«È così difficile per voi capire che dovete lasciarmi stare? Non ho bisogno di voi. Smettetela di tormentarmi, soprattutto tu, stupida ragazzina.» disse freddo e acido, guardando dritto negli occhi verde scuro della ragazza, ancora seduta a terra. Clary si era sentita un po’ sollevata, era tornato quel Michael con cui avevano parlato la prima volta. Ma quando lo vide andarsene e realizzò cosa avesse appena detto, rimase a bocca aperta, con gli occhi spalancati. Lei voleva solo essergli amica, voleva farlo sentire meno solo, ma aveva bisogno della sua collaborazione e, capì molto presto, che non sarebbe stato così semplice averla.
 
Notes
Ciao bellee!!
Eccoci qua, con questa parte seconda della vendetta di Michael che, indovinate un po’? Si è trasformata nella vendetta di Clary e Luke, ve lo sareste mai aspettato? Sinceramente nemmeno io, nel senso che era partita come una vera vendetta, ma ho pensato che fosse troppo ovvia come cosa, così ho deciso di trasformarla in uno scherzo. Clary ha pianificato male tutto quanto e Michael se l’è un po’ presa, mannaggia. Questo Mikey così vi piace? A me sinceramente sì, ma forse è perché so già come sarà il resto della storia eheheh.
La canzone è Pieces dei Sum 41, ancora una volta.
Spero di trovare le vostre recensioni, ci tengo un sacco a sapere cosa ne pensate!
Oggi sono stata molto breve perché voglio ringraziarvi una per una.
Ringrazio bluehemmings, sunshaz, chicchia99, fedejonasforever, ohwowlovely, IloveyouHoran, tomlinsonsshoes, Valentina_1D_98, ljamspoo, Gre_R5fan, Directionina che hanno recensito la storia dal primo capitolo fino adesso.
Ringrazio AshIrwin, chicchia99, Helen02, KairixSora1001 per aver messo la storia nelle preferite.
Ringrazio 5SOS_Family, alexaval34, Directionina, Helen02, ljamspoo, LONDON_fan, sunshaz, ValentinaKC, yellow_raven, _Demiismine_ per aver messo la storia nelle seguite.
Ringrazio alexaval34, Ilovepandacorni, xcxHemsxcx per aver messo la storia nelle ricordate.
Ringrazio le 260 visite al primo capitolo, le 135 al secondo, le 119 al terzo, le 95 al quinto, le 66 al sesto, le 58 al settimo e le 43 all’ottavo.
Siete davvero adorabili, vi amo tuttisisme! (: <3
Alla prossima,
@cliffordsarms
P.S. cliccate il nick per contattarmi su Twitter! (;

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Lost ***


Alla mia Ciambellina,
ti voglio bene,
il tuo Biscottino.
 

 

Image and video hosting by TinyPic
 
Lost
 
I took a walk around the world
To ease my troubled mind,
I left my body laying somewhere
In the sands of time,
I watched the world float
To the dark side of the moon,
I feel there is nothing I can do.
 
Camminò finche non capì più dove si trovasse, aveva anche quasi finito il pacchetto di sigarette, talmente tante ne aveva fumate. Lui camminava semplicemente per le strade di Londra, senza nemmeno sapere dove stesse andando. Era arrabbiato, frustrato, stufo, offeso. Non sopportava più quella ragazzina, non riusciva a capire perché lo stesse ancora tormentando. Era davvero insopportabile. Aveva messo su tutto quel teatrino, solo per dargli una stupida lezione, solo per fargli capire che le persone non si pedinano. Ma quanti anni pensava che lui avesse? Tre? Si comportava come una madre che deve far capire al figlio le cose che non vanno fatte. Lui aveva diciannove anni, in realtà diciotto, ne avrebbe fatti diciannove solo pochi mesi dopo, ma comunque era più grande di lei. Che diavolo le era saltato in mente? «Stupida ragazzina.» continuava a ripetersi in testa. Era così arrabbiato che prendeva a calci ogni cosa che si trovasse sul suo percorso, lattine, sacchetti della spazzatura abbandonati, anche i mozziconi delle sue stesse sigarette. Lui voleva solo essere lasciato in pace, lui voleva restare solo, com’era sempre stato. Lui se la cavava perfettamente, lui sopravviveva benissimo senza l’aiuto di nessuno. Lui era Michael Clifford, per la miseria! Lui era quello che aveva sostenuto sua madre quando suo padre li aveva abbandonati, nonostante avesse solo tre anni. Lui era quello che si era trovato un lavoro quando sua madre era morta in quell’incidente stradale. Lui non aveva bisogno di una piccola ragazzina e del suo fidanzatino inseparabile ad aiutarlo, a tirargli su il morale, a preoccuparsi per lui. Non si preoccupava nemmeno lui per sé stesso, di certo non avrebbero dovuto farlo loro, due emeriti sconosciuti. Si erano presentati da lui quel giorno, tutti sorridenti, tutti felici, con l’idea che subito dopo sarebbero diventati inseparabili, come se fossero dei bambini dell’asilo. Perché a Michael quei due sembravano solo quello, sembravano solo due bambini della scuola materna. «Che idioti.» si ripeteva ancora. Quella ragazzina era arrivata nella sua vita e pretendeva di stravolgerla come un uragano, come un terremoto, doveva darsi una calmata. Era arrivata, lei, un giorno, senza che nessuno le avesse chiesto nulla, aveva deciso che l’avrebbe trasformato in uno come lei, in un bravo ragazzo, ma cosa cavolo aveva nel cranio? Di certo non un cervello, pensava lui. E poi, aveva deciso di punirlo facendogli incontrare una bellissima ragazza dai tratti australiani, non le sarebbe potuto venire in mente uno scherzo più idiota. E lui ancora più idiota che ci era anche cascato, che non aveva fatto caso che il numero di quella ragazza non aveva il prefisso australiano ma inglese. Si sentiva anche in colpa ora, perché, pensando che vivesse in Australia, l’aveva chiamata alle tre del mattino e probabilmente l’aveva anche svegliata. Ora si considerava un emerito deficiente. Continuava a domandarsi come diamine avesse fatto a cadere in quello scherzo. Talmente accecato dall’odio per quella ragazzina, talmente infastidito dal suo comportamento, che non aveva fatto caso alle cose più ovvie. «Stupido idiota.» continuava a dirsi. Sicuramente più stupida di lui era quella ragazzina, quella Clary Cooks. Ma cosa credeva, che lui fosse uno come Luke? Uno che si fa comandare a bacchetta da lei? No, mai. Non lo era mai stato e mai lo sarebbe diventato. Lei era arrivata, tutta sorridente, quella mattina, a infastidirlo mentre cercava di passare l’intervallo solo, mentre cercava di fumare la sua sigaretta in pace, mentre si faceva i suoi programmi, mentre si faceva i grandissimi affari suoi. Questo a Michael non sarebbe mai andato giù. «Ficcanaso di una Cooks.» pensava. Per quella ragazza non aveva una parola di apprezzamento, non riusciva a trovarle un pregio. Per lei gli erano rimaste solo parolacce e insulti, in lei vedeva solo difetti. Era così presuntuosa, gli faceva venire l’orticaria talmente lo irritava. Era così ingenua da pensare che sarebbero bastate delle scuse per non farlo arrabbiare, dopo che gli aveva fatto fare la figura dell’idiota davanti a Hilary McSenior? Era davvero una bimba. Non solo era più piccola d’età, era più piccola anche di testa. La odiava così tanto. Aveva cercato di cambiarlo, voleva farlo diventare un bravo ragazzo come lei. Gli salivano i conati solo a pensarci. Lui, un bravo ragazzo? Scoppiò a ridere così forte che una signora in bicicletta che lo aveva appena superato si voltò a guardarlo come se fosse un pazzo. Non che i suoi capelli contribuissero a non far fare quel genere di pensieri alla gente, erano abbastanza in disordine, ma non era questo il punto. Il punto era che quella Clary era così odiosa, che avrebbe voluto picchiarla, talmente lo innervosiva, anche solo il pensiero. Doveva togliersi, doveva lasciarlo in pace. Lui non sarebbe diventato un bravo ragazzo, lui non sarebbe diventato suo amico, lui non sarebbe uscito con lei, lui non l’avrebbe più guardata, pensata. Quella ragazza doveva abbandonare la sua mente. La odiava così tanto che ormai pensava solo a quanto lo facesse arrabbiare. “Odiami e sarò sempre nei tuoi pensieri.” questa frase rispecchiava perfettamente quello che Michael sentiva nei confronti di Clary. Odio, allo stato puro. All’inizio non era stato così, all’inizio non aveva intenzione di odiarla, voleva semplicemente che lo lasciasse stare, che lo lasciasse in pace. Si era presentata da lui con la scusa che a Luke serviva una sigaretta e lui ci aveva creduto, aveva pensato che gliel’avessero chiesta perché era l’unico fuori a fumare, ma la realtà era un’altra. Loro volevano essere suoi amici perché provavano pena nei suoi confronti. Ma lui non aveva bisogno della pena di nessuno. «Non ho bisogno di nessuno.» si ripeteva per l’ennesima volta, cercando di convincere anche sé stesso.
Alzò finalmente la testa dall’asfalto, si era fatta notte ormai, non sapeva nemmeno dove si trovasse. Si guardò un po’ intorno, sperando che quell’ultima persona che rincasava potesse aiutarlo, ma doveva essere davvero molto tardi, perché in giro non c’era nessuno. C’erano diverse case, sembravano costose, doveva essere finito nei quartieri ricchi a nord di Londra. «Oh perfetto, guarda cos’ha combinato ancora quella ragazzina.» per colpa sua si era perso, per colpa di Clary, per colpa di tutti i pensieri che era arrivato a fare su di lei talmente si era innervosito. Tirò fuori il cellulare per controllare l’ora: 9.03 p.m. e non aveva nemmeno cenato. Rimettendo a posto il telefono sentì qualcos’altro in tasca, solo in quel momento si ricordò della bustina di erba che non aveva ancora fumato. Che altro aveva da perdere? Tirò fuori dalla tasca posteriore dei suoi jeans il portafogli, dove teneva le cartine e i filtri. Quando accese quella canna si sentì più leggero, più libero, ogni preoccupazione era sparita, ogni pensiero, che fosse su Clary o meno, aveva abbandonato la sua mente. Si sentiva calmo e in pace con sé stesso. Quella sensazione di vuoto che tanto amava si era fatta spazio nuovamente in lui. Sospirò, cacciando fuori quella nuvola spessa di fumo. Si sedette sul marciapiede e iniziò a ridere. Si stese lì, sull’asfalto freddo e un po’ umido, e iniziò a rotolarsi dalle risate, finì anche in mezzo all’aiuola che separava la pista ciclabile dalla strada. Si sentiva così felice, così fuori da tutto, così… bene. Anche se nel suo rotolare si era un po’ bruciato il braccio, finendo per sbaglio sopra alla parte che ancora ardeva; aveva sussultato un po’, fermando le sue risate, e si era controllato il braccio, come se non capisse perché gli facesse male. Poi era tornato a ridere, senza darci troppo peso. Gridava cose senza senso, urlava cose come «Sono il re del mondo!», o peggio «Clary Cooks è la mia migliore amica!». Cose che, se non fosse stato completamente fuori, non avrebbe mai detto, nemmeno sul letto di morte o sotto tortura. Era completamente andato, era del tutto fatto. Si era perso. Non solo nel senso che non sapeva dove fosse e come tornare a casa, aveva perso sé stesso. Non si sentiva più, non ricordava più quale fosse il suo nome, non sapeva più chi fosse, cosa fosse. Ormai gli era rimasto solo il filtro in mano, che aveva spento nella piccola aiuola che costeggiava il marciapiede. Se in quel momento qualcuno gli avesse chiesto come si sentisse, avrebbe risposto “unicorni”. Ne vedeva proprio uno davanti a lui. «Oh, un unicorno!» aveva esclamato con l’enfasi di un bambino, ma con la voce roca. Ma il mistico animale corse via subito dopo. Michael rimase un po’ confuso vedendo il suo amato amico unicorno andarsene così velocemente. Voleva piangere, ma tutto quello che riuscì a fare fu ridere ancora. Poi si addormentò lì, sul confine tra il marciapiede e l’aiuola.
Si svegliò la mattina seguente, grazie ai raggi del sole che gli battevano in pieno viso. Sentiva un forte mal di testa e si domandava ancora dove si trovasse. Com’era arrivato lì? Cos’era successo la sera precedente? Si mise seduto sullo scalino del marciapiede, tenendosi la testa con le mani: gli girava tutto. Iniziò a ricordare qualcosa: la sua vendetta, Clary e Luke che l’avevano preso in giro, la sua camminata lunghissima in cui si era fidato ciecamente del suo senso dell’orientamento, che l’aveva tradito, e infine, la canna che aveva fumato. Ora capiva tutto quanto, il mal di testa, i giramenti. Si diede dell’idiota e si maledisse mentalmente per non essere semplicemente andato a casa dopo quella litigata. Prese il cellulare e controllò l’orario: 05.22 a.m., «Quando si dice di essersi svegliati all’alba» pensò. Il display mostrava però la notifica di un messaggio, il mittente era “Megan”, ma non esisteva nessuna Megan, perciò si ricordò di Hilary.
“Hey, Michael, sono Hilary. Spero tu non sia troppo arrabbiato anche con me. Mi dispiace per lo scherzo. Sono stata comunque bene ieri pomeriggio con te, grazie mille.
Ci vediamo a scuola, Hilary xx.” Sorrise leggendo quelle parole, sarebbe stato carino invitarla a uscire qualche volta. Scosse immediatamente la testa a quel pensiero, lui non voleva uscire con nessuna, lui non aveva bisogno di una fidanzata, che razza di pensieri stava facendo? Doveva essere qualche rimasuglio dell’erba fumata la sera precedente. Contò gli spiccioli che gli restavano nel portafogli, erano abbastanza per un biglietto della metro, che l’avrebbe portato il più vicino a casa possibile. Non sarebbe sicuramente andato a scuola quella mattina, non dopo ciò che era successo il pomeriggio precedente e quello che aveva combinato poche ore prima. Si alzò e si diresse verso la prima fermata della metropolitana che incontrò. Quando arrivò al suo magazzino, ad accoglierlo c’era un topo di notevoli dimensioni, che lui ignorò bellamente, si lanciò sul suo divano-letto e cadde ancora in un sonno profondo.
 
Notes
Heeeeey thereee!!
Innanzitutto: so che vi state chiedendo chi diavolo è “la mia Ciambellina”, ma lei se che le sto parlando, basta questo. Ho deciso di dedicarle questo capitolo per due motivi principalmente: il primo è che, senza di lei, questo capitolo non sarebbe nemmeno esistito, e il secondo è perché la voglio ringraziare davvero davvero tanto, e penso che non lo farò mai abbastanza, per tutti i suoi consigli, o le sue “tips”, come le definisce lei. Ovviamente anche perché le voglio davvero un grandissimo bene, ma questo era scontato.
Passando invece al capitolo.
Michael si è incazzato un bel po’ con Clary e Luke, un po’ tanto, quante pensano che abbia fatto bene?
Ho cercato anche di spiegare un po’ perché lui odi così tanto la piccola Clary, spero di essere stata abbastanza chiara.
Per voi che mi avevate fatto notare il dettaglio della scheda, spero che sia un motivo che ha senso quello che ho dato lol.
Comunque vi vedo entusiaste di questo Michael "non-me-ne-frega-un-cazzo-e-sono-dannato" (per citare ohwowlovely, ciao cara (; ) e questo mi fa davvero molto piacere!
La canzone è ancora “Kryptonite” dei 3 Doors Down, ve l’avevo detto che l’avremmo ritrovata.
Voglio ringraziarvi veramente tutte, dalla prima all’ultima, ma siete diventate un po’ e vi ringrazierò un per una ancora in uno dei capitoli successivi, promesso!
Spero che mi lascerete comunque una recensioncina, tanto per sapere cosa ne pensate, se avete qualche consiglio, critica, tutto quello che volete, io sono pronta a ascoltare.
Perciò alla prossima,
@cliffordsarms
P.S. cliccate il nick@ per contattarmi su Twitter.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** I Just Don't Know ***



Image and video hosting by TinyPic
 
I Just Don’t Know
 
If I go crazy then will you still
Call me Superman?
If I’m alive and well, will you be
There a-holding my hand?
I’ll keep you by my side
With my superhuman might.
 
Il soffitto della sua stanza sembrava essere molto interessante agli occhi di Luke quella sera, sentiva come se ci fosse stato qualcosa che non andasse in lui. Non si sentiva più all’altezza, si sentiva abbandonato a sé stesso, si sentiva solo. Non riusciva a smettere di pensare a lui, a lei, a loro. Su quel soffitto bianco si creavano delle scene, come se fosse stato lo schermo di un cinema, ma quelle immagini non gli facevano piacere per niente. Erano un po’ sfuocate, come il resto intorno a lui, vedeva leggermente appannato e sentiva gli occhi umidicci, segno che avrebbe voluto piangere ma non l’avrebbe fatto. Non l’avrebbe fatto perché lui non piangeva, lui era un ragazzo forte e piangere avrebbe significato essere debole, cedere alle emozioni, cedere ai pensieri.
Quei pensieri lo spaventavano, sembravano così reali, così possibili. Erano pensieri brutti, pensieri di abbandono, pensieri di allontanamento. Si sentiva messo in disparte, usato, inutile. Sentiva di non aver portato a termine la sua missione, non aveva fatto quello che si era sempre ripromesso di fare. Lui l’aveva lasciata avvicinare a quel ragazzo così pericoloso. E lei stava soffrendo ed era solo colpa sua. Non aveva cercato di allontanarla da lui, non aveva cercato di avvertirla, non aveva fatto nulla per impedire che quello che era successo accadesse, non aveva fatto nulla e basta.
Eppure si sentiva usato, sentiva che lei lo stesse sfruttando solo come ripiego perché non riusciva a ottenere Michael, come ruota di scorta. Era lui che era andato a parlare con Hilary per convincerla a partecipare allo scherzo, in modo che se qualcuno fosse stato messo in ridicolo, quello sarebbe stato lui. Per fortuna questo non era successo, ma Clary l’aveva usato solo per esternare i suoi problemi, per lamentarsi. Perché lui non poteva fare lo stesso? Perché lui non poteva piangere sulla spalla di lei?
Lei non era più la stessa da quando nella sua vita era entrato quel Clifford, la realtà era che neanche lui lo era più. Scosse la testa, ma che pensieri stava facendo? Quel ragazzo doveva averlo influenzato con il suo comportamento antisociale. Non poteva aver pensato davvero quelle cose di Clary, la sua piccola Clary. Lei per lui c’era sempre stata, cosa diavolo gli era venuto in mente?
Prese il cuscino da sotto la sua testa e se lo spiaccicò in faccia, emettendo un gemito. Stava impazzendo, ne era certo. Tutto per colpa di quel ragazzo, cosa cavolo ci trovava Clary in lui? Perché si era incaponita così tanto? Forse era impazzita anche lei, non aveva mai voluto immischiarsi con gente di quel tipo, e adesso invece si trovava alle prese con Michael Gordon Clifford.
Sospirò a quel pensiero. Cosa aveva lui che Luke non avesse? Lui si sentiva molto meglio di Michael, era intelligente, ottimi voti, era biondo, alto, occhi azzurri, un bel fisico, suonava, cantava, non si drogava, se capitava, cosa che capitava, fumava una sigaretta, era capace di ascoltare e dare consigli, era gentile, razionale. Michael non era così, Michael era tutto l’opposto. Perché lei voleva qualcosa che non poteva avere, qualcosa che non aveva mai desiderato? Aveva Luke, quello che aveva sempre detto di volere.
Qualcuno bussò alla porta della sua camera, lui gridò un «Avanti!» tenendosi ancora il cuscino spiaccicato in faccia, pensando che fosse solo sua madre. Tirò su un lato della federa che avanzava per controllare la porta che si apriva, non era sua madre quella. Si tolse velocemente il cuscino dalla faccia e si mise a sedere sul letto nervosamente.
«Luke, che cosa stavi facendo?» disse ridendo Clary, mentre si sedeva dall’altra parte del letto. Lui balbettò qualcosa, che la fece solo ridere ancora, lui sorrise debolmente. La ragazza si lasciò uscire un sospiro. «Senti Luke… sei il mio migliore amico ed è giusto che tu sappia quello che ti sto per dire…» disse abbassando lo sguardo. Lui strabuzzò gli occhi, era forse troppo preoccupato, così si limitò ad annuire, cercando di non dar troppo a vedere quella sensazione che gli invadeva le vene. «È da un po’ che ci penso… Michael… io…» iniziò, cercando di mettere su un discorso. Si stava agitando, così Luke le toccò la spalla e cercò di rassicurarla con lo sguardo. Lei sospirò ancora. «Mi piace.» sputò fuori. Luke sembrava fare finta di non capire, invece era tutto il contrario. «Mi piace Michael. Sono una stupida, lo so. Lui non va bene per me, lui mi farà finire nei guai e soprattutto lui mi odia. Ma io voglio essergli almeno amica, direi che essere la sua ragazza è fuori discussione, perciò mi accontenterò.» concluse, facendo un risolino.
Luke sarebbe potuto svenire in quel momento, tutto ciò che aveva pensato, tutti quei pensieri che aveva sperato rimanessero tali, erano appena diventati realtà. Iniziò a pensare di avere doti di veggente.
Cosa le avrebbe detto ora? Forse avrebbe dovuto dirle ciò che pensava, ci sarebbe rimasta male, ma le sarebbe passata poi. No, non era quella la scelta migliore. L’avrebbe supportata, doveva.
«Ti aiuterò.» disse, senza avere il coraggio di guardarla in faccia. Lei invece alzò la testa, cercando di guardarlo negli occhi. Non aveva ben capito cosa lui intendesse. «Ti aiuterò a essere sua amica, a fare in modo che si fidi di te. Alla fine s’innamorerà, ne sono certo!» spiegò alzando la testa e sorridendo. Lo doveva fare per lei, voleva vederla felice e se per farlo avrebbe dovuto vederla con Michael, beh… l’avrebbe fatto. Si sentiva un idiota, ma che diavolo stava facendo? Avrebbe dovuto fare un video tutorial da mettere su YouTube: “Come perdere la fiducia della madre della tua migliore amica in pochi semplici passi”, sarebbe diventato famosissimo in poco tempo.
I suoi pensieri furono interrotti dalla stessa Clary, che lo stava abbracciando strettissimo, tanto da non fargli respirare, e continuava a ringraziarlo. Lui ricambiò timidamente quell’abbraccio e le propose di restare a dormire da lui, la mattina seguente sarebbero usciti prima e avrebbero preso le cose per la scuola a casa di lei.
Così si trovarono nello stesso letto, vicini, a fissare il soffitto al buio, come se stessero osservando le stelle. Sorridevano entrambi, rilassati, ma non senza pensieri. Clary si sentiva felice perché lei aveva Luke Hemmings, il migliore amico che tutte vorrebbero, ma ce n’era uno solo ed era di sua proprietà; e Luke pensava la stessa cosa nei confronti della ragazza: di Clary Cooks ce n’era una sola nel mondo ed era la sua migliore amica, non chiedeva di meglio.
«Clary?» chiamò Luke, senza spostare lo sguardo dal soffitto. La ragazza invece voltò il viso nella direzione dell’amico.
«Dimmi Lukey.» disse. Anche se lui non riusciva a vederla per il buio, si accorse, solo dal suono della sua voce, che lei stesse sorridendo.
«Come… come ti fa sentire? Michael, intendo.» disse deciso dopo una piccola esitazione. Voleva sapere come la facesse sentire, se sentisse quelle famose “farfalle nello stomaco” o se sentisse gli altrettanto famosi “fuochi d’artificio nella pancia”, se lui le facesse “battere forte il cuore”, insomma voleva sapere se tutte quelle cose che si leggono nei libri, tutte quelle emozioni, si potessero provare davvero o se fossero solo parole buttate al vento.
Clary rimase un po’ stupita di questa domanda, non sapeva esattamente cosa quel ragazzo le facesse provare, cosa sentisse, le emozioni che provasse. Non poteva però lasciare il biondino così, senza una risposta, decise di tentare perciò, decise di provare a dire qualcosa con un minimo di senso.
«Mi fa sentire una strana sensazione nello stomaco, come vuoto, e poi sento il solletico dentro la pancia. È strano, mi vengono i brividi quando c’è lui, mi sudano le mani. Sento che dovrei dire meno cose possibili, per evitare di fare una brutta figura, ma mi parte la parlantina a mille. Sento che dovrei essere timida e invece faccio la spavalda. Quel ragazzo m’irrita, mi fa venire l’orticaria, però quando si è arrabbiato per lo scherzo, io mi sono sentita in colpa. Volevo rimediare, ma è così ottuso! Lui mi affascina, Luke… non so, c’è qualcosa in lui che mi attrae, che mi prende così tanto da insistere con lui, quando è palese che lui non mi voglia nemmeno vedere. Diciamo anche che io non abbia fatto molto per farmi apprezzare da lui… lo scherzo non è stata una grande idea, vista la sua reazione, ma mi aspettavo che sarebbe scoppiato a ridere con noi davvero! Mi sento così stupida… lui mi piace sul serio ed io, da idiota che sono, lo sto solo facendo allontanare. Ma non posso farci nulla, è così acido che mi fa arrabbiare subito e allora fingo di odiarlo! Non so che fare… lui vuole essere lasciato in pace, forse dovrei capirlo e lasciar stare davvero…» disse piano, in un sussurro. Era incerta sulle cose che aveva detto, avrebbe voluto tenerle per sé, ma aveva anche bisogno di lasciare uscire quelle parole.
Strinse forte gli occhi, che si riempirono di lacrime. Il solo pensare a Michael le procurava tante sensazioni contrastanti, troppe emozioni diverse. Si ripeteva di non piangere, ma ormai era troppo tardi, anche se aveva ancora gli occhi chiusi, le lacrime strabordarono sulle sue guance. Tirò su col naso, cercando di piangere in silenzio ma sentì due braccia stringerla. «Pensava davvero che non me ne sarei accorto?» pensò Luke. Le disse di stare tranquilla, che tutto si sarebbe risolto e lui l’avrebbe aiutata, lui voleva solo vederla felice e l’avrebbe aiutata a esserlo. Le asciugò con la mano le lacrime e le diede un bacio sulla punta del naso. Le lasciò anche un bacio sulla testa e poi le sussurrò la buonanotte, mentre entrambi prendevano sonno abbracciati. Lui si mise a pensare a cosa avrebbero fatto il giorno seguente, ma il sonno sovrastò i suoi pensieri, così si lasciò cullare dal suono dei respiri, ancora un po’ affannati per il pianto, di Clary.
 
Notes
Heeey thereeee!!
Innanzitutto voglio avvisarvi che non avete la vista appannata o lo schermo sporco, ci sono delle parte scritte in questo colore, perché sono dei riadattamenti di cose scritte dalla mia Ciambellina, la cara bluemmings, quindi grazie tesoro. (:
Passando al capitolo, so che ho sganciato una bomba. Per tutte quelle che shippavano Luke e Clary insieme, mi dispiace tanto. Spero di avervi sorprese con questo capitolo e che vi sia piaciuto, perché ci ho messo davvero molto a scriverlo e ho fatto un po’ di fatica, perciò mi piacerebbe sapere se i miei sforzi sono stati ripagati, quindi se recensiste mi farebbe molto piacere. (:
Io non so davvero cosa dire su questo capitolo, perché credo che parli da sé, mi dispiace solo per quelle che erano convinte che tra Clary e Luke ci fosse qualcosa, spero di non avervi deluse :\
La canzone è sempre “Kryptonite” dei 3 Doors Down.
Passo invece a farmi un po’ di pubblicità (che novità u.u lol). Ho scritto una OS chiamata “Your Happily Ever After”, se volete passare è tutta vostra. È su Luke McChesney dei Forever Ends Here, se qualcuna di voi li conosce o è loro fan (:
Detto ciò mi dileguo, vi lascio alle recensioni.
Alla prossima,
@cliffordsarms

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Your Forgiveness ***


ATTENZIONE: LEGGERE SPAZIO AUTRICE SOTTO, AVVISO IMPORTANTE
 

Image and video hosting by TinyPic
 
Your Forgiveness
 
'Cause you watch me sink in

And I can't explain, oh this feeling,

And I call your name.

Just count your blessings,
Figure it out,
Just say what you mean.

Oh I sink in,
 
'Cause all I need now,

Is your forgiveness.
 
Lo vide passarle davanti a passo svelto, perciò lanciò a terra il mozzicone e prese per il braccio Luke. Iniziarono a seguirlo, finche non riuscirono più a sostenere il suo ritmo.
«Michael! Michael, ti prego, aspetta!» chiamò Clary. Era convinta di dovergli parlare, non gli avrebbe certamente confessato i suoi sentimenti, ma almeno avrebbe tentato ancora di farsi perdonare.
«Senti ragazzina, lo vuoi capire che mi devi lasciare in pace?» sbottò il ragazzo, voltandosi e avanzando verso di lei puntandole un dito contro. Tutto il corridoio si era voltato a guardarli, situazione imbarazzante solo per Luke, che osservava tutta quella scena da fuori. I diretti interessati, Michael e Clary, non si accorsero nemmeno di tutti gli sguardi puntati su di loro. Lui era troppo arrabbiato per dar peso a tutti quegli impiccioni e lei era troppo impegnata a concentrarsi per ascoltarlo e non perdersi in quegli occhi.
Secondo Clary, occhi spenti. Occhi che avevano bisogno di essere guardati in un certo modo, in quella certa maniera. Per lei era solo di questo che Michael necessitava, per lei era solo per questo che Michael cercava di allontanare tutti. Michael aveva solo bisogno di essere amato, a parer suo.
«Michael, io…» balbettò, cercando di dire qualcosa. Avrebbe solo voluto scusarsi, avrebbe solo voluto dirgli che le dispiaceva per tutto quanto. Perché glielo impediva? Non riusciva proprio a capirlo questo.
«Tu, un cazzo! Devi lasciarmi stare, porca puttana! Non voglio uscire con te, non voglio essere tuo amico, né tanto meno parlarti, cazzo! Non voglio neanche vederti, stupida ragazzina! Cosa pensi di fare, eh? Di entrare nella mia vita all’improvviso e sconvolgerla a tuo piacimento? No cara, non funziona così, non funziona così proprio per un cazzo! Adesso sparisci dalla mia vista.» le gridò contro. Lei non seppe cosa dire, era rimasta immobile, inerme, con la bocca leggermente spalancata e gli occhi che le pizzicavano. Ma non avrebbe pianto, Clary Cooks non avrebbe mai pianto davanti a lui, non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di vederla ferita. Così strinse i pugni.
«Smettila.» sussurrò. «Smettila.» disse un po’ più forte. Luke di fianco a lei scuoteva la testa, aveva capito cosa lei stesse per fare.
«Devi smetterla!» sbottò, Michael la guardò stupito. «Devi finirla, okay? Ho cercato di esserti amica, ho cercato di passare sopra a tutte le voci che girano su di te. Non volevo vederti così abbandonato a te stesso, come questi stronzi idioti qui intorno ti lasciano! Ma tu no, tu sei così stupido che non vuoi che nessuno ti si avvicini! Tu sei così stronzo da respingere malamente anche le persone che vogliono solo provare a volerti bene! Sei un coglione, ecco cosa sei. Non vuoi più vedermi? Perfetto. Ma ricordati che nessuno ti si avvicinerà mai più. Ciao Michael.» sputò fuori, per poi voltarsi e andare nel giardino posteriore della scuola.
Luke la raggiunse correndo, la trovò seduta su un sasso, la sua divisa macchiata da qualche goccia di pioggia, che fumava la sua sigaretta. Aveva le guance umide, si chiese se fosse stato per il tempo o per le lacrime. Si palesò davanti a lei, che alzò lo sguardo per metterlo a fuoco.
«Non sto piangendo.» si affrettò a dire lei, asciugandosi le guance con la mano che teneva la sigaretta. Tirò su col naso e il biondo le offrì una mano, per aiutarla ad alzarsi. Lei l’afferrò, ma lui l’attirò a sé e la strinse in un abbraccio. Lei continuò a fumare, ricambiando anche la stretta.
Clary cercò di non piangere, guardò verso l’alto, la sigaretta era ormai arrivata al filtro. Continuava a ripetersi di non piangere, non doveva mostrarsi debole. Non avrebbe voluto darla vinta ai suoi sentimenti, ai suoi pensieri, alle sue emozioni. Non l’avrebbe mai data vinta a Michael, non si sarebbe fatta vedere a pezzi. Non si sarebbe fatta sopraffare da tutto quello che lui le aveva detto, lei non l’avrebbe lasciato in pace, anche se gli aveva detto che l’avrebbe fatto. Forse non sarebbe stata la cosa migliore da fare, ma perché non provarci ancora? Lui l’aveva respinta e l’aveva fatta cadere, ma si sarebbe rialzata, più forte che prima, più convinta, ce l’avrebbe fatta. Non era più per lui che lo faceva, l’avrebbe fatto per sé stessa, l’avrebbe fatto per dimostrare quanto lei valesse. Lui non l’avrebbe messa a tacere così facilmente, mai.  E lei aveva Luke al suo fianco, che l’avrebbe aiutata, ne era certa.
Tutto quello che Michael le aveva detto, o meglio, gridato contro, le rimbombava in testa, ma non la feriva più così tanto. Aveva capito che non era sola e invece lui sì. Si sarebbe arreso, prima o poi. Le avrebbe dato la sua fiducia, la sua collaborazione. Non le importava di cosa pensassero gli altri, era certa che sotto quel ragazzo così acido e stronzo ci fosse in realtà un ragazzo solo che cercava di non affezionarsi alle persone, per paura di perderle. Era solo un ragazzo con la paura di soffrire, ne era sicura, al cento per cento.
Luke si staccò da lei quando la campanella trillò, le lezioni iniziavano e con loro anche un’altra noiosissima giornata di scuola. Anche se, forse, non sarebbe stata così tanto noiosa, Clary aveva diverse cose cui pensare, come un modo per entrare nella vita di Michael, che lui lo volesse o no.
 
Salì le scale di corsa, quella ragazzina lo innervosiva tanto di suo, con quelle cose che gli aveva appena urlato contro l’aveva davvero stancato, aveva oltrepassato tutti i limiti. Ma gli aveva anche detto che l’avrebbe finalmente lasciato in pace, sperò che lei fosse almeno coerente con le sue stesse parole e l’avrebbe fatto.
Ma aveva altro per la testa, doveva trovare Hilary, avrebbe voluto parlarle e, perché no in fin dei conti, chiederle di uscire. Un’uscita non avrebbe certo significato farla entrare nella sua vita. Non voleva chiederle un appuntamento, semplicemente un pomeriggio insieme, che più o meno erano la stessa cosa, ma lui avrebbe immediatamente messo in chiaro che sarebbe stata come un’uscita tra amici, con la differenza che loro non sarebbero diventati amici. Sarebbe stato un po’ difficile spiegarle tutte quelle cose, ma un modo l’avrebbe sicuramente trovato.
La vide chiudere il suo armadietto e spostarsi una ciocca di capelli dal volto, mentre iniziò a camminare dalla parte opposta. Affrettò così il passo, si mise quasi a correre e la raggiunse, parandosi davanti a lei. La bionda fece un piccolo sussulto e quasi inciampò sui suoi stessi piedi, per evitare di andare a sbattere contro Michael.
«Hey, Hilary! Tutto bene? Io… non volevo, scusa.» disse, abbassando lo sguardo. Lei gli sorrise e gli fece cenno di lasciar stare con la mano, mentre lo invitò ad accompagnarla verso la classe.
«Ho letto il tuo messaggio, scusa se non ti ho risposto…» iniziò affiancandola. «Non sono arrabbiato con te e mi spiace che tu l’abbia pensato…» continuò. La ragazza alzò gli occhi al cielo e si fermò, mettendogli una mano sul petto.
«Michael, se sei venuto qui solo per farmi delle scuse, puoi anche smetterla. Davvero, non importa.» disse seria. Non che fosse innervosita dalla sua compagnia, ma non voleva semplicemente che lui le chiedesse scusa per quelle piccole cose a cui lei non aveva dato poi così tanto peso.
«No, certo che no… scusa.» disse e lei lo fulminò con lo sguardo per quell’ultima parola. Lui sorrise imbarazzato e abbassò lo sguardo. «Ma comunque,» disse convinto, raddrizzando le spalle. «volevo chiederti se un pomeriggio di questi… sì, insomma… se ti andasse di rifare un giro per Londra… magari eviterei di spiegarti tutte quelle noiosissime cose che sai già.» disse, all’inizio imbarazzato, ma concludendo poi con una risatina.
«Volentieri.» disse lei, sorridendogli e fermandosi davanti alla porta chiusa di una classe. «Il mio numero lo hai, scrivimi così ci mettiamo d’accordo.» continuò allargando ancora di più il suo sorriso. Lui le sorrise e si accinse ad andarsene. «Michael?» lo chiamò ancora. Lui si voltò. «Questo significa che io e Mr. “Lasciatemi-solo-non-voglio-neanche-l’ombra-di-nessuno” siamo amici, ora?» chiese, ridacchiando.
All’inizio Michael sembrò non capire a chi si riferisse. Quando connetté, scappò anche lui una risata. «Certo che no.» rispose impettito. Hilary rise.
«Ci sentiamo, allora.» disse sorridendo e dondolandosi un po’. «Ciao Michael.» disse piano, spostandosi una ciocca di capelli dal volto e salutandolo con la mano. Lui le sorrise e ricambiò il saluto.
Riprese a camminare per il corridoio, sorridendo come un ebete e pensando che aveva ottenuto un appuntamento con Hilary McSenior, non era mica roba da tutti! «Calma i bollenti spiriti, idiota. Non è un appuntamento.» si disse, cercando di restare con i piedi per terra. Ad aiutarlo a rimanere sul pianeta Terra ci fu anche la campanella, che con il suo assordante e fastidioso trillo gli ricordò che si trovava a scuola e che doveva andare a lezione.
Affrettò il passo e, quando passò davanti alla finestra che dava sul giardino posteriore, vide l’abbraccio tra Luke e Clary. Gli tornò in mente quella ragazzina, gli riaffiorarono tra i pensieri le parole che gli aveva gridato. «Sei così stupido che non vuoi che nessuno ti si avvicini! Sei così stronzo da respingere malamente anche le persone che vogliono solo provare a volerti bene! Ricordati che nessuno ti si avvicinerà mai più.» Ora che ci ripensava, gli sembrò di ricevere un pugno nello stomaco. Era stato davvero così stronzo? Si era davvero comportato così male?
Scosse la testa, lui non aveva bisogno di nessuno, doveva metterselo in testa, sia lui stesso che quella ragazzina. Alla fine però, lei sembrava averlo capito, ma lui? Forse avrebbe dovuto convincere sé stesso prima degli altri. «Cazzo Michael, tu non hai bisogno di nessuno, capiscilo, stupido idiota.» si sgridò da solo.
Ma se davvero non aveva bisogno di nessuno, perché aveva chiesto a Hilary di uscire? Davvero solo per farsi perdonare per la scenata fatta davanti a lei il giorno dello scherzo? Non era più convinto neanche di ciò che aveva sempre pensato. Si arrabbiò ancora una volta con Clary, gli aveva di nuovo confuso le idee. L’odio per lei cresceva sempre di più, portava solo guai e se ora si fosse finalmente allontanata sarebbe tornato alla sua vita di ogni giorno. Senza lei a confonderlo, senza lei a tormentargli i pensieri, senza lei a rompere il suo equilibrio. Senza di lei, e basta. 
 
Notes
Hey theree!
Per prima cosa, l’avviso importante che ho da darvi è che verranno a casa mia i miei cugini e perciò non credo avrò molto tempo di scrivere, dopo di che partirò per le vacanze e starò via un po’, a quel punto non potrò davvero aggiornare.
Cercherò di aggiornare settimana prossima, ma sicuramente farò molti ritardi, mi dispiace davvero tantissimo, spero che continuerete a seguire comunque la storia quando sarò tornata.
Ma parliamo del capitolo!
Nella prima parte una bella litigata tra Mikey e Clary in corridoio, tanto le figure di merda non guastano mai, no? Ma, e dico ma, entrambi hanno avuto il coraggio di dire cosa pensavano davvero e direi che la piccola Clary ha messo a segno un colpo pesantuccio da digerire, di cui poi però si è subito pentita.
Nella seconda parte invece Michael è finalmente riuscito a ottenere un’uscita con Hilary, quanti li shippano? Io sì, confesso!
La canzone è “Your Forgiveness” degli An Honest Year.
Passo a farmi la solita pubblicità ehehe, ormai avete capito lol. Ho scritto un’altra OS su Luke McChesney dei Forever Ends Here, che caricherò adesso, intitolata “You’d Be The Anchor That Keeps My Feet On The Goround” se qualcuna li conosce o ha comunque voglia di passare, è lì che vi aspetta.
Perciò vado a caricarla.
Alla prossima,
@cliffordsarms

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Bored ***


Salve a tutti,
oggi pomeriggio partirò per le vacanze e non potrò caricare per circa due settimane, spero che continuerete a seguirmi lo stesso quando tornerò a caricare.
Ci vediamo nello spazio autrice sotto (;
 

Image and video hosting by TinyPic
 
Bored
 
I tried to be perfect,
But nothing was worth it,
I don't believe it makes me real.
I thought it'd be easy,
But no one believes me,
I meant all the things I said.
 
Era seduto sul muretto fuori casa McSenior, in attesa di Hilary. Fumava la sua sigaretta e ogni tanto si voltava verso la casa per controllare se lei stesse per arrivare. Quando sentì il rumore della porta, si affrettò a buttare il mozzicone a terra, nonostante fosse solo a metà, e si voltò, cercando di sembrare il più sorridente possibile. Agli occhi di Michael sembrava quasi una dea: i capelli biondi le ricadevano sul viso, leggermente puntato verso il basso, riusciva a intravedere una montatura nera a incorniciarle gli occhi azzurri, indossava una maglia bianca a tinta unita, molto semplice, dei jeans risvoltati in fondo e delle semplici converse grigio chiaro, reggeva con le braccia, stringendolo al petto, un cardigan della stessa tonalità di grigio delle scarpe. Era molto semplice, ma era bellissima.
Quando lo raggiunse, alzò lo sguardo e gli sorrise, il che lo fece arrossire leggermente, così la invitò a fare una passeggiata. Mentre camminavano per Londra parlavano del più e del meno e ridevano un sacco. Ma d’un tratto, Michael non riuscì più a sostenere l’astinenza dal fumo e fu costretto a tirare fuori il suo pacchetto di sigarette davanti a Hilary.
«Ti spiace? Sai, sono un po’ in astinenza…» disse passandosi una mano sulla nuca decisamente imbarazzato. Immaginava che le avrebbe dato fastidio, ma la sua risposta lo stupì.
«Oh no, fai pure. Anzi, posso scroccartene una? Te la restituisco domani mattina.» rispose sorridente lei. Non si sarebbe mai aspettato che lei fumasse, perciò le porse il pacchetto con un’espressione piuttosto interrogativa. Quando si fu accesa la sigaretta, le scappò una risatina, vedendo la faccia del ragazzo. «Sì Michael, fumo, so che te lo stai chiedendo.» gli sorrise.
«Ma l’altra volta…» cercò di dire lui, ma la ragazza rise ancora, interrompendolo.
«Hey, ne hai fumato quasi un pacchetto intero in due ore!» disse facendo uscire il fumo. Michael annuì, come per darle ragione, cosa che, effettivamente, aveva, era molto nervoso e si era lasciato prendere la mano, pensò. «Ti va di fare un giro sul London Eye? So che ci sarai stato mille volte, ma…» chiese. Lui le prese il braccio e la trascinò in coda, facendole cadere la sigaretta dalle dita.
Quando salirono Hilary si appiccicò al vetro, sembrava la figlia piccola di turisti che per la prima volta visita Londra. Michael, che si teneva a un po’ di distanza dietro di lei, rise a quell’immagine che gli si presentava davanti agli occhi, e infilò le mani in tasca. La bionda l’invitò ad avvicinarsi e lui acconsentì, appoggiandosi alla ringhiera al suo fianco.
«Non è meraviglioso?» chiese lei, sospirando. La vista di Londra al tramonto, da quell’altezza, doveva essere bellissima. Il Tamigi, che rifletteva il colore del cielo, era colorato delle più svariate sfumature d’arancione e il sole, che faceva capolino da dietro l’alta torre del Big Ben, faceva risultare il tutto molto romantico. La loro capsula era vuota, a quell’ora non c’era molta gente, perciò si erano ritrovati soli.
Michel si limitò a voltarsi verso di lei e sorriderle, incantandosi nelle sue iridi azzurre. Hilary si avvicinava sempre di più, ma lui era rimasto troppo preso da quegli occhi per accorgersi di ciò. Quando fu tanto vicina da appoggiare le sue labbra su quelle di lui, il ragazzo si spostò.
«Hilary, io…» disse allontanandosi ancora. Lei gli fece segno di lasciar stare con la mano, abbassando lo sguardo. In quel momento la loro cabina arrivò al punto di fine corsa, così lei si precipitò fuori, imbarazzata, e Michael la seguì.
Camminava molto veloce, ma lui riuscì a raggiungerla. Le appoggiò una mano sulla spalla e la fece voltare, lei lo guardò dritto negli occhi, così lui si accorse che qualche lacrima le aveva rigato il volto. Cercò di dire qualcosa, ma non sapeva cosa. Avrebbe voluto chiederle scusa, ma non si chiede scusa per i propri sentimenti, non era colpa sua, non si conoscevano nemmeno, se l’avesse baciata l’avrebbe soltanto illusa e non era quello che voleva, anche se ora si sentiva in colpa. Lui non voleva una ragazza nella sua vita, ne era quasi convinto.
«Michael, non importa, davvero. Non avrei dovuto cercare di baciarti, è chiaro che a te piace Clary, sono stata stupida. Ora devo andare, scusami, ci vediamo a scuola.» disse tutto d’un fiato, per poi voltarsi e camminare verso la direzione da cui erano arrivati.
Michael rimase un po’ spiazzato, a lui non piaceva certo Clary, perché gli aveva detto così? Probabilmente lei non si trovava in corridoio, qualche giorno prima, quando aveva avuto quella discussione con Clary, ma possibile che la voce non le fosse giunta all’orecchio?
Si sedette su una panchina e si mise a pensare. Lui odiava quella ragazzina, non gli sarebbe mai potuta piacere! Anche se, alla fin fine, a conti fatti, non si meritava tutto quell’odio. Aveva solo cercato di essergli amica perché l’aveva visto solo, cosa che realmente era. Forse aveva sbagliato a reagire così, aveva esagerato un po’. Avrebbe benissimo potuto dirle pacificamente che in quel momento non aveva bisogno di qualcuno che si preoccupasse per lui, senza gridarle addosso come invece aveva fatto. Avrebbe dovuto un po’ aprire gli occhi, doveva esserci un motivo, però, se lei aveva deciso di avvicinarsi così tanto a lui, a quello che veniva definito un pericolo. Forse avrebbe potuto lasciare un po’ da parte l’orgoglio, forse avrebbe potuto abbassare un po’ la cresta, forse avrebbe potuto evitare di essere così acido, per una volta, e andare a parlarle, chiederle scusa per come si era comportato e che una sera, una sola, sarebbero potuti uscire insieme.
Prese a camminare, fumando un’altra sigaretta. Teneva lo sguardo basso, quando andò a sbattere contro qualcuno. Alzò il viso e si trovò lo sguardo di Luke puntato addosso. Lo sentì penetrargli nella pelle, per poi passare la carne, le vene e le ossa, per raggelargliele. Normalmente era Michael che ghiacciava le persone con una sola occhiata e il biondo non era certo il tipo da lanciare sguardi del genere, qualcosa non tornava. Ma sul volto di Luke si dipinse un sorriso, che fece sciogliere un po’ il castano.
«Scusa Luke, ero un po’ assorto nei miei pensieri.» disse, cercando di sorridere e sembrare disinvolto, ma era rimasto ancora irrigidito da quello sguardo e la sua voce era uscita un po’ tremolante.
Luke si era limitato ad annuire, quando, da dietro la sua figura, aveva fatto capolino il viso di Clary che, da sorridente che era, appena lo vide, si convertì in uno sguardo annoiato. Lei arricciò il naso, come se fosse rimasta delusa di ciò che le si era presentato davanti, e fece un cenno con la testa per salutarlo.
«Oh, ciao Clary…» disse in un sussurro, come se avesse paura di offenderla. Stava proprio pensando a lei ed era comparsa, quando si dice “Parli del diavolo e spuntano e corna”.
Vide che la ragazza aveva iniziato a tirare Luke per la mano, intrecciata alla sua come due fidanzati, cercando di proseguire nella loro passeggiata. Non aveva stranamente spicciato parola, troppo insolito per Clary Cooks, che di solito attaccava a parlare con lui e non la finiva più, combinando guai e facendogli venire l’orticaria. E nemmeno Luke aveva detto nulla, neanche un «Non preoccuparti.» riferito alle sue scuse, ma quando si trattava di Hemmings non era mai strana questa cosa, era un ragazzo abbastanza timido, anche se si faceva convincere dalla sua amichetta per tutto.
Tornò con lo sguardo puntato sulla mano che teneva la sigaretta, che ormai aveva finito di bruciarsi. La buttò a terra e notò che qualche cosa non era del tutto reale. Credette di aver visto la sua mano avere sette dita, così prese a contarle, fermandosi. Chiuse la mano a pugno per poi tirare su il pollice: uno; l’indice: due; il medio: tre, forse, credette di vederci doppio; continuò a contare, tirando su l’anulare: quattro; aprì la mano e si accorse di vedere due mignoli. Aveva letto da qualche parte che nei sogni si hanno sempre delle dita in più, perciò doveva star sognando, ma cercò di approfondire un po’ di più, così alzò lo sguardo e cercò di leggere l’insegna di un bar. Aveva letto anche che nei sogni non si riesce a leggere: ora si spiegava tutto.
«Clifford! Non è l’ora del pisolino! Avanti si svegli!» sentì chiamare, ma non riuscì a capire chi lo stesse facendo, si guardò intorno. L’ora del pisolino? Ma se era in mezzo alla via che porta al London Eye!
«Michael? Hey, bell’addormentato?» sentì sussurrare da una voce conosciuta, mentre si sentì scuotere il braccio. Era la voce di… di… di Clary! Ma cosa voleva? Che odio quella ragazzina, non la sopportava più.
Aprì gli occhi, sbadigliando e stiracchiandosi un po’. Si guardò intorno e vide tutti i suoi compagni fissarlo, sentì qualcuno al suo fianco ridacchiare. Era la prima ora del martedì, cioè la lezione di matematica con la Bailey e quella che rideva al suo fianco era proprio Clary Cooks. Gli si spiegava quella specie d’incubo che aveva fatto: era talmente annoiato dalle spiegazioni di quella megera, che si era addormentato sul banco ed era in una posizione talmente scomoda che gli aveva procurato strani sogni, c’era da aggiungere anche l’ansia per l’appuntamento con Hilary e il nervoso che Clary gli faceva salire, ecco qui la formula magica.
Le sue guance si colorarono leggermente di rosso, una tonalità leggerissima, ma che non sfuggì agli occhi della castana al suo fianco, che gli sussurrò che sembrava quasi una persona con un cuore e dei sentimenti in quel momento. Così finalmente si decise a parlare, irritato anche da quella stupida ragazzina, iniziava a odiare le ore di matematica con la Bailey più di quanto già non facesse.
«Se magari lei non fosse così noiosa mentre spiega queste stupide cose, io non mi addormenterei.» disse con leggerezza, appoggiandosi allo schienale e incrociando le mani dietro la nuca. La professoressa aprì la bocca esterrefatta e nei suoi occhi si dipinse uno sguardo infuriato.
«Signor Clifford, un giro dal preside forse la annoierebbe di meno?» disse l’insegante facendo dell’ironia e tornando verso la cattedra. «La strada la conosce.» sputò poi acida. Michael sospirò e si alzò, prendendo la sua tracolla e dirigendosi verso la porta.
«Arrivederci streg… ehm cioè professoressa Bailey!» si lasciò sfuggire, per poi cercare di fare un sorriso convincente, che sperò venisse interpretato come delle scuse, e sbatté la porta.
Non sarebbe certo andato dal preside, o almeno, non subito. Aveva bisogno di una sigaretta per riordinare i pensieri e calmarsi, prima.
 
Notes
Heeey theeereeee!!
Scusatemi davvero per il ritardo, ma questa settimana sono arrivati i miei cugini e non ho praticamente avuto tempo di scrivere, vi avevo comunque avvisate che avrei fatto ritardi, ma mi scuso lo stesso.
Spero che questo capitolo vi abbia sorprese, ho una specie di fissazione con i sogni e ho quest’idea da un sacco e questo capitolo mi sembrava l’ideale.
Spero vi abbia procurato un po’ di confusione e che questo non renda la storia prevedibile, perché davvero non credo che lo sia.
Spero davvero che vi sia piaciuto, non ho molto da dire, spero solo che vi abbia incuriosite.
La canzone è “Pieces” dei Sum 41, che ci continua ad accompagnare.
Non so se avete notato il banner, che ho aggiunto anche nei capitoli precedenti, spero vi piaccia perché mi sono davvero impegnata per farlo, ma purtroppo non sono una maga della grafica.
Vorrei anche ringraziarvi perché orma tutti i capitoli precedenti sono arrivati a 100 visite all’incirca e il primo è addirittura arrivato a più di 400 visite, anzi quasi 500, siete tutte degli amori, aw.
Mi dispiace che non caricherò per due settimane e di avervi lasciate sulle spine, ma spero che in questo modo seguirete quando tornerò.
Mi scuso ancora per questo enorme ritardo.
Alla prossima,
@cliffordsarms

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** "Life's Not A Movie" ***


Image and video hosting by TinyPic
 
“Life’s Not A Movie”
 
And you tune me out and I key in,
And you don't treat me the same anymore,
Or so it seems.
So here it is,
I wanted to remind myself of the way it feels,
To be held onto but now...
 
Per sua fortuna il preside non gli aveva fatto nessuna predica infinita, non si era nemmeno arrabbiato. Probabilmente era andata così, Michael non era stato molto attento alle parole del dirigente, aveva per la testa Clary. Si sentiva in colpa nei suoi confronti e quel sogno gliel’aveva rivelato. Purtroppo fumare una sigaretta non l’aveva aiutato a scacciare quei pensieri, come di solito faceva. Aveva invece fatto il contrario, perché aveva pensato ancora di più a quella ragazzina e a quel sogno. Era giunto alla conclusione che doveva almeno provare a darle una chance, senza però farla avvicinare troppo, doveva tenere le dovute distanze. Aveva capito che un po’ di compagnia non avrebbe distrutto le sue convinzioni di farcela da solo e di non aver bisogno di nessuno e forse, avrebbe potuto fare “un’opera di bene”, facendo vedere a quella ragazzina e al suo fidanzatino come sia la vera vita, gli avrebbe fatto un po’ godere l’adolescenza che stava per concludersi.
Però doveva organizzarsi, perché essendo un maschio, non riusciva a fare due cose contemporaneamente, non riusciva a pensare a due cose insieme. Avendo prima concordato con Hilary che sarebbero usciti, doveva decidere il giorno, cos’avrebbero fatto e insomma, tutto ciò che riguardava quell’appuntamento. Accantonò perciò il pensiero di Clary e si concentrò su Hilary.
Per prima cosa doveva decidere il giorno, voleva essere originale, perciò niente venerdì o sabato sera, troppo scontato, poi lei era una ragazza con tanti amici, avrebbe sicuramente avuto qualcosa da fare in quelle due serate. Ripensò al sogno, lì era tardo pomeriggio, sarebbe andato bene, anzi, sarebbe stato perfetto. «Il pomeriggio, però, di che giorno?» Venerdì no, perché la mattina ci sarebbe stata scuola e sarebbe stato troppo stanco, voleva invece essere al meglio per lei. Perciò sabato. «A che ora?» Se lei avesse avuto qualcosa da fare poi la sera, sarebbe dovuta tornare a casa in tempo per prepararsi, perciò sarebbe potuto andare a prenderla alle 4.30 p.m. e l’avrebbe riportata per le 7.30 p.m.. Così sarebbe stato un orario decente per la cena e Hilary avrebbe fatto in tempo a prepararsi per uscire quella stessa sera. Sì, le cose potevano andare così.
«Dove la porto?» Aveva detto che l’avrebbe accompagnata in giro per Londra, doveva rimanere coerente. Sarebbero potuti andare da Starbucks per un frappuccino e con quello sarebbero andati a fare l’infinita fila per il LondonEye, come nel suo sogno. Sì, gli piaceva quest’idea.
Magari se lei non avesse avuto nulla da fare, avrebbe potuto invitarla a cena, «Un bel McDonald’s economico.». No, cosa diceva? Lui il sabato sera lavorava, non avrebbe potuto fare tardi, né saltare la serata e nemmeno portarsi Hilary, non voleva che lei sapesse del suo lavoro. Perciò sì, l’avrebbe riaccompagnata a casa e poi si sarebbe sbrigato per andare a prendere la scorta per quella sera e poi, via, filato in una discoteca a far sballare i ragazzini.
Era tutto deciso, mancava di pensare a cosa avrebbe indossato e… cos’altro? «Forse dovrei informare Hilary.» prese perciò il cellulare e scrisse il messaggio: “Ti passo a prendere alle 4.30 p.m. sabato?
-Michael”. No quel messaggio faceva schifo, doveva pensare a qualcosa di meglio. «Mi sento una quindicenne paranoica.» pensò Michael sospirando. “Sabato 4.30 p.m. sono sotto casa tua.
-Mike”. Questo messaggio faceva più schifo di quello di prima e, inoltre, se si fosse firmato così, sarebbe sembrato troppo amichevole e le avrebbe dato troppa confidenza. «Faccio schifo con queste cose.» sospirò ancora. Ci voleva qualcosa di meglio, qualcosa che facesse più colpo, qualcosa di più semplice e diretto, qualcosa più nel suo stile. Ma cosa? Michael non sapeva proprio che scriverci. «Oh coraggio idiota, è solo uno stupido messaggio, non le stai chiedendo di sposarti!».
Lanciò il cellulare sul divano e si lasciò cadere malamente su di esso, sbuffando. Riprese in mano il telefono, sul cui schermo c’era la notifica di un messaggio. Da Hilary. L’aveva fatta aspettare troppo, erano passati due giorni e non si era fatto sentire, si era meravigliato anche che lei gli avesse scritto. Nei film di solito questo non accade. “La vita non è un film.” si dice di solito, no? Ultimamente Michael si ritrovava spesso in queste frasi filosofiche famose.
“Hey Michael! Quando ci vediamo allora?
Hilary x.” Recitava il messaggio. A Michael sembrò quasi che la ragazza gli avesse letto nel pensiero. Ma in fin dei conti, perché aspettare? Perché far arrivare sabato pomeriggio? Sarebbe andato da lei ora. Cos’aveva da perdere? Al massimo l’autobus. Ma tanto non aveva i soldi per pagarlo, quindi restava esattamente nulla, non aveva nulla da perdere.
“Qual è il tuo indirizzo?
-Michael.” Scrisse velocemente e corse a cambiarsi. I soliti jeans neri così stretti da bloccare la circolazione e la maglietta bianca dei Sex Pistols con stampata la bandiera inglese. Passò davanti allo specchio e si spettinò un po’ i capelli.
Quando tornò a prendere il cellulare, che aveva lanciato senza nessuna delicatezza sul divano-letto, Hilary gli aveva già risposto. Non abitava così lontano come aveva pensato, la zona era più o meno quella in cui si era svegliato qualche giorno prima, quando aveva litigato con Clary. Eccola lì, quella ragazzina, che si presentava ancora tra i suoi pensieri. Scacciò quel pensiero e si allacciò velocemente le sue Converse nere come la pece che sembravano fare da seguito al pantalone, per poi uscire.
“Sto arrivando.” Digitò velocemente, senza nemmeno degnarsi di firmare. Era troppo preso dal momento, quello che stava facendo sembrava così romantico, proprio come in un film. Ma se la vita non è un film, significava che qualcosa sarebbe andato storto. Non era il momento di essere negativi quello.
Quando arrivò sotto casa McSenior si accorse che era esattamente quella che aveva immaginato nel suo sogno, che coincidenza strana. Citofonò dal cancello e una voce femminile lo fece sobbalzare, nonostante sapesse che qualcuno avrebbe sicuramente risposto.
«Chi è? Oh Michael, sei tu. Scendo!» quella voce metallica era Hilary e lui non aveva detto nulla, che figuraccia, non si era nemmeno accorto che ci fosse il videocitofono.
Come nel suo sogno si appoggiò al muretto con la schiena e si accese una sigaretta. Nei film, di solito, le ragazze quando dicono «Scendo» o «Arrivo» c’impiegano millenni, perciò avrebbe sicuramente fatto in tempo a fumare quella sigaretta, magari anche un’altra, nel frattempo. E infatti, riuscì a fumarne una e mezza, quando sentì dei passi alle sue spalle, provenienti dal vialetto sterrato che conduceva alla casa.
Lanciò la sigaretta a terra e la spense pestandola, per poi voltarsi nervosamente. Prima non aveva notato la maestosità di quella casa: era un’enorme villa di mattoncini sul giallo ocra, doveva avere almeno due piani e sul lato s’intravedeva una scala scendere, perciò doveva esserci anche una taverna, il tetto era a punta e di tegole, e sembrava che la casa avesse come due torri, le finestre sembravano costose e gli infissi erano color acciaio, all’interno di ognuna di esse al piano superiore si potevano intravedere delle tende bianche, mentre al piano di sotto ce n’era una piccola senza tende sulla destra, che doveva appartenere alla cucina, e una invece enorme, che sembrava più un vetro messo lì per far osservare da fuori l’interno, che doveva essere il soggiorno, perché dalle tende arancioni s’intravedeva un sofà; l’esterno era un gigantesco giardino verde, tutto d’erba tagliata perfettamente, al centro di esso, partiva una strada sterrata che giungeva dalla porta fino al cancello, e il viottolo, a pochi metri dalla porta, creava un bivio: se si continuava dritti si entrava in casa, mentre se si svoltava a destra si continuava verso una piccola costruzione che era il garage; era completamente recintato da un basso muretto di mattoni dello stesso colore della casa, sopra al quale si erigeva una cancellata nera come la pece. Michael era appoggiato al muretto che faceva da stipite al cancello d’ingresso per i pedoni al cui fianco si trovava invece il cancello per le auto.
Su quel vialetto sterrato ora stava camminando Hilary, che indossava un paio di Converse alte bianche, dei jeans blu risvoltati infondo, una maglietta rosa chiaro, tinta unita, molto semplice, e sopra un giubbetto di jeans della stessa tonalità di rosa della maglietta, a tracolla aveva una borsa nera, di pelle.
Michael si era incantato a osservare quel quadretto, così la ragazza gli sventolò una mano davanti al viso. Lui voltò lo sguardo verso di lei e le sorrise, facendo un cenno con la testa e avviandosi dalla parte da cui era venuto.
«Allora? Che facciamo?» chiese la bionda, saltellando un po’.
Agli occhi del ragazzo sembrava una bambina, ma era tenera. S’infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, senza sapere come facessero a entrarci data l’aderenza dei pantaloni alla sua carne, e le sorrise.
«Ti va un frappuccino da Starbucks?» come pronunciò il nome del caffè, gli occhi della bionda sembrarono trasformarsi in due cuoricini.
Sembrò però contenere tutta quell’euforia, perché si limitò ad annuire, anche se la scintilla nei suoi occhi rimaneva.
Quando vi arrivarono, Michael ordinò ciò che di meno costoso ci fosse in quel posto e fece scegliere a Hilary. Quando la cassiera comunicò l’importo lui mise le mani in tasca per prendere il portafogli e contò la cifra. Quando la ragazza capì che stava per pagare anche la sua parte, gli prese la mano.
«Michael, scordatelo. Non pagherai anche il mio.» disse lei diretta.
Il castano scostò la mano dalla sua presa e porse di nuovo i soldi alla cassiera. Hilary scosse la testa e, mentre aspettavano che i loro ordini fossero pronti, allungò a Michael il costo del suo frappuccino. Lui scosse la testa e spostò la mano con le monete da davanti alla sua faccia. La ragazza però insistette e spostò di nuovo la mano davanti al viso del castano.
«Hilary, smettila. Non ti farò pagare nulla oggi, sono un gentiluomo io.» disse, impettendosi, per poi scoppiare a ridere, facendo ridere anche la ragazza.
Quando entrambi gli ordini furono pronti, i ragazzi uscirono da Starbucks e si diressero verso la famosa ruota panoramica. Michael finì in fretta la sua bevanda e buttò il contenitore in un cestino sulla strada.
«Ti spiace?» chiese lui a Hilary, mentre tirava fuori il pacchetto di sigarette. La ragazza scosse la testa e l’osservò accendere lo stecchetto di carta.
«M’insegni?» chiese a testa bassa lei, con un filo di voce.
A Michael andò quasi di traverso il fumo che aveva aspirato, strabuzzò gli occhi. Insegnarle? Significava che non aveva mai provato a fumare? Aveva passato diciassette anni della sua vita senza mai fumare una sigaretta? Non era possibile. Prese un grande respiro.
«Vuoi dire che non hai mai…?» chiese quindi, indicando il così desiderato oggetto.
La ragazza lo guardò negli occhi e scosse la testa. Michael fece muovere un po’ il capo, sussurrando un «Okay». Le passò quindi la sigaretta.
«Aspira.» le disse, quando lei ebbe messo la sigaretta tra le labbra.
La ragazza ubbidì e il fumo le andò di traverso, così restituì la sigaretta al castano. Subito lui le mise una mano sulla spalla e si accertò che stesse bene. Quando Hilary ebbe finito di tossire scoppiarono entrambi a ridere.
«Com’è allora?» chiese Michael.
«Non fumerò mai più in vita mia!» esclamò lei, salendo nella capsula e provocando ancora la risata del ragazzo.
Quando scesero si era ormai fatta ora di riaccompagnare Hilary a casa, così lui si avviò nella direzione da cui erano venuti. Lei lo seguì e controllò l’orario sul telefono, erano solo le sette.
«È già ora di tornare a casa?» chiese così la bionda.
«Sì, scusa… è che io stasera devo lavorare… ti spiace?» si passò una mano sulla nuca, un po’ imbarazzato e sentendosi in colpa.
La ragazza scosse la testa e, notando che si stava facendo buio, si avvicinò a Michael e strinse il suo braccio. Lui si fermò di colpo e la guardò interrogativo.
«Ehm…» si fece scappare una risata nervosa. «Si sta facendo buio…» disse abbassando lo sguardo e lasciando un po’ la presa sul braccio del castano. Lui le sorrise e le mise il braccio intorno alle spalle. Camminarono così fino a casa McSenior, ridendo alle considerazioni idiote di Michael.
«Quindi ora sono tua amica?» chiese Hilary davanti al cancello.
Michael rimase colpito da quella domanda, sembrava che lei tenesse molto a essergli amica. Invece di rispondere si limitò ad abbassare lo sguardo.
«Non importa, capisco. Ci vediamo domani Michael.» gli disse, per poi alzarsi sulle punte e lasciargli un sonoro bacio sulla guancia.
Lui rimase pietrificato. «Che figura del cazzo!» pensò e si schiaffeggiò mentalmente. La salutò con la mano e lei rientrò in casa. Lui sospirò e si avviò verso casa sua.
 
Notes
SONO TORNATAAA!
Buongiorno a tutti! Mi scuso per questo infinito ritardo, ma come già detto, sono partita per le vacanze e non ho potuto mettermi a scrivere come si deve e di conseguenza nemmeno caricare, perciò perdonatemi.
Voi come avete passato le vacanze? Io così, così, mi sono annoiata che era una meraviglia ma almeno mi sono un po’ rilassata.
Vi dò una notizia: She Hasn’t Been Caught è approdata anche su Wattpad *partono stelle filanti e coriandoli*, se volete aggiungerla alla vostra biblioteca/votarla/leggerla/quello che vi pare, basta che scriviate il titolo e dovrebbe venirvi fuori, altrimenti la trovate sul mio profilo, sono sempre @cliffordsarms (lascio i recapiti sotto).
Volevo avvisarvi che da adesso in poi caricherò una volta a settimana, di mercoledì. Perché? Perché sono super indietro con i compiti e devo recuperare, inoltre anche quando ricomincerà la scuola avrò da studiare e il tempo per scrivere sarà quel che sarà. Non abbandonerò la storia di punto in bianco, almeno questa voglio finirla, anche perché sto già iniziando a scrivere la prossima storia (che non sarà il seguito di questa) e non vedo l’ora che la leggiate.
Ma parliamo del capitolo! So che fa schifo. Mi è uscito malissimo, perdonatemi. Non sono nemmeno sicura che abbia un senso, vi prego siate clementi e non uccidetemi.
Però dai, Hilary è tenera, no? Ci tiene tanto a essere amica di Michael, ve lo posso assicurare!
Questa Clary sempre nei pensieri di Mikey, quella ragazza è asfissiante.
Io che parlo male dei miei stessi personaggi, sono normale sì, sì.
La canzone di questo capitolo è
“Your Forgiveness” degli An Honest Year.
Detto questo, vi lascio alle recensioni. (:
Al prossimo mercoledì,
@cliffordsarms

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Maybe ***


 Image and video hosting by TinyPic

Maybe
 
I got a bulletproof heart,
You got a hollow-point smile,
Me and your runaway scars,
Got a photograph dream on the getaway mile.
 
La sveglia che trillava nel suo orecchio la riportò alla realtà. Contro voglia aprì gli occhi e sospirò: quel fastidioso suono aveva interrotto un sogno meraviglioso in cui riusciva a entrare nel backstage del concerto degli All Time Low, fare una foto con la band e abbracciare ogni membro.
«Scuola di merda.» sussurrò per poi alzarsi finalmente dal letto.
Mentre faceva colazione pensò a ciò che avrebbe fatto quel giorno: era quasi una settimana che non parlava con Michael, anche se forse dire che non litigava con lui sarebbe più adatto.
«Luke!» chiamò mentre correva per raggiungerlo. Lui non l’aveva sentita a causa degli auricolari perennemente conficcati nelle orecchie, così si maledisse mentalmente per avergli passato quell’abitudine.
Quando lo raggiunse picchiettò con il dito sulla sua spalla, lui si girò e si tolse una cuffietta, reggendola con le dita. Quando mise a fuoco che fosse Clary, le sorrise e l’abbracciò, dandole un bacio sulla testa. Lei non ricambiò l’abbraccio perché intenta a recuperare fiato per la precedente corsa: la reazione fisica, soprattutto di prima mattina, non faceva di certo per lei.
Mentre camminavano verso la stazione, lui le aveva messo un braccio intorno alle spalle, iniziando a raccontarle cosa avesse fatto durante quel weekend passato con i suoi genitori a Edimburgo. Lei intanto si accese una sigaretta e ne offrì una anche a lui, che rifiutò facendo un gesto con la mano, senza smettere neanche un momento di parlare.
«Praticamente, siamo andati di questi amici dei miei. Questi sono ricchi sfondati, hanno una casa enorme e una Lamborghini parcheggiata in garage, che mi hanno fatto vedere e mi ci hanno anche fatto fare un giro, cioè non guidavo io, ma ehi, ho fatto un giro su una Lamborghini!» raccontò tutto entusiasta. L’amore di Luke per le Lamborghini era qualcosa d’inspiegabile e Clary fu felice che finalmente avesse fatto un giro su uno di quegli affari, non ne poteva più di sentirlo raccontare come s’immaginava sarebbe stata la sua prima volta su una Lamborghini.
Arrivati a scuola la ragazza si affrettò a raccogliere i libri dal suo armadietto e poi si diresse alla ceca a cercare Michael.
«Clary, dove stai andando? L’aula di scienze è da questa parte!» la chiamò Luke, indicando la parte opposta rispetto a quella in cui lei si stava dirigendo.
«A cercare Michael!» strillò per sovrastare le voci di tutte le persone presenti nel corridoio e voltandosi. Avendo urlato, ogni singola persona si era zittita e quando aveva sentito cosa Clary avesse gridato erano volati degli «Oooh» di sorpresa.
Luke era arrossito, avvicinandosi alla sua amica, che invece aveva sbuffato e si era voltata per continuare la sua ricerca. Il biondo le afferrò il polso e la tirò vicino a lui.
«So dov’è il suo armadietto.» le aveva sussurrato all’orecchio e l’aveva trascinata con lui in un altro corridoio sulla destra. Come facesse a saperlo? Tutti sapevano dove fosse l’armadietto di Michael Clifford, solo per girarci alla larga in modo da non scontrarsi con il suddetto proprietario che ancora incuteva terrore. Perché Clary non lo sapesse? Perché non dava neanche un minimo di ascolto alle voci di corridoio.
La castana si fece condurre nel luogo in cui era sicura avrebbe trovato chi cercava, ma di lui nemmeno l’ombra. Così si misero dietro l’angolo ad aspettare che arrivasse e, quando non sentirono più nemmeno un sussurro provenire dal corridoio principale, capirono che Michael aveva messo piede nell’edificio.
Quando lo vide avvicinarsi all’armadietto, Clary si avviò a passo spedito verso di lui e Luke non poté fare nulla per impedirglielo, se non sbuffare e raggiungerla a passo lento: in questo modo se avesse dovuto correre via a gambe levate per un qualsiasi motivo, sarebbe stato vicino all’uscita. Inutile dire che era ancora un po’ spaventato dalla fama che Michael si era costruito, nonostante avesse passato un minimo di tempo con lui e sapesse che non era così tanta la paura che bisognava avere di lui.
La ragazza si piazzò alle spalle del castano e aspettò che lui si accorgesse della sua presenza. Era intento a sistemare i suoi libri, quando con la coda dell’occhio notò qualcuno alle sue spalle e si voltò. Quando vide che era proprio lei, non seppe cosa fare. Lei abbassò lo sguardo e fece strisciare un piede davanti a lei da destra a sinistra, da sinistra a destra, mentre si torturava le mani. Michael si mise le mani sui fianchi, attendendo che dicesse qualcosa. «Almeno non mi ha strillato addosso.» pensò lei.
«Michael, ehm… so che ti avevo detto che ti avrei lasciato in pace, ma… io… non... è che…» balbettò e il ragazzo davanti a lei scosse un po’ la testa sbuffando. Lei alzò lo il viso e notò che lo sguardo con cui la trapassava diceva di muoversi a dire qualcosa. Prese un grande respiro e guardandolo dritto negli occhi disse «Ti va di uscire con noi mercoledì pomeriggio?» Non seppe nemmeno lei da dove ebbe il coraggio di tirare fuori quelle parole.
Michael le rivolse un mezzo sorriso e fece ricadere le mani lungo i suoi fianchi. Non era deluso o infastidito da quella richiesta. Ci aveva pensato e aveva deciso che non darle nessuna possibilità era sbagliato, aveva anche lui un cuore, anche se un po’ congelato.
«Facciamo così,» iniziò il discorso «voi uscite con me.» disse indicando prima Clary e Luke, che ormai li aveva raggiunti, e poi premendosi lo stesso dito sul petto. I due ragazzi davanti a lui lo guardarono spaesati, dove stava la differenza? Il castano sbuffò.
«Significa che andiamo dove dico io e si fa come dico io, se riuscite a starmi dietro, allora, magari, forse, potrei uscire con voi, qualche volta.» concluse, voltandosi per finire di sistemare le cose nel suo armadietto. Sul volto di Clary si dipinse un sorriso enorme, mentre su quello di Luke un’espressione preoccupata.
«Cosa ci farà fare? Non mi sembra una grande idea.» pensava il biondo fissando la sua amica e sperando che lei captasse in qualche maniera i suoi pensieri e gli desse ragione. Ma quando tornò sul pianeta Terra si accorse che i due si stavano stringendo la mano, come per saldare un patto. Quindi Clary aveva accettato, quindi sarebbero usciti con Michael Clifford, si sarebbero cacciati in qualche guaio, ne era certo.
La ragazza si voltò e tornò, a passo quasi saltellante, verso il corridoio principale, un sorriso, che partiva da un orecchio e le faceva l’intero giro della testa, era dipinto sul suo volto. Sarebbe finalmente uscita con Michael Clifford, forse la stava lasciando avvicinare un po’, forse stava iniziando a fidarsi di lei, almeno un pochino. Ce la stava facendo, aveva iniziato a scalfire il cemento armato di quei muri che Michael si era costruito intorno.
Per Luke restava una pessima idea, decisamente un’idea idiota, ma ormai, a cose fatte, a patti stilati, non si poteva più rimediare. Sospirava mentre seguiva Clary, doveva dirle qualcosa, per forza, doveva almeno spiegarle che secondo lui era un’idea davvero stupida quella di uscire con Michael Clifford, doveva dirle che secondo lui andare in giro con quel ragazzo dai capelli di mille colori era uguale ad appendersi un cartello al collo con scritto a caratteri cubitali “CERCO PROBLEMI”.
Stava per raggiungere Clary, quando sentì i passi di qualcuno che corre alle sue spalle. Chiunque fosse, gli andò addosso, facendolo inciampare e quasi cadere a terra. La ragazza che gli aveva sbattuto contro stava per cadere al suolo, così lui l’afferrò per un braccio e cercò di evitare farle spiaccicare il naso sul ripugnante pavimento del corridoio.
«G-grazie…» disse piano la ragazza a testa bassa. Luke le sorrise e la squadrò un po’: capelli biondi, statura media, corpo esile, forme giuste, pelle chiara: Hilary!
«Hilary! Come stai?» chiese, mantenendo il suo sorriso. Lei alzò la testa ed ebbe finalmente il coraggio di incrociare le sue iridi con quelle azzurro oceano del biondo.
«Sicuramente meglio che se mi fossi schiantata al suolo.» disse facendo un sorriso imbarazzato e ridendo un po’. Il ragazzo si fece trascinare da quella risata e si scomodò da quella posizione retta i cui era, piegando un po’ in avanti il busto.
«Stavi correndo? Come mai?» chiese quando ebbero finito di ridere. Andando con un po’ di logica aveva capito che la ragazza gli era piombata addosso perché i passi di corsa che aveva sentito alle sue spalle erano suoi.
«Uh, ehm…» disse abbassando lo sguardo. «Io, ehm…» continuò facendosi scappare una risatina nervosa. «Ecco, sì, io vorrei… vorrei chiederti una cosa.» disse finalmente. I capelli le ricadevano davanti al viso e lo facevano solo scorgere a Luke, che avrebbe preferito guardarla in quei suoi occhi azzurri.
«Dimmi tutto!» esclamò. Pensò che se si fosse dimostrato curioso di sapere cosa volesse chiedergli, cosa che realmente era, forse lei si sarebbe un po’ sciolta. Gli era sembrata molto nervosa anche l’altra volta in cui avevano parlato, quando lui era andato a chiederle se avesse voluto partecipare allo scherzo per Michael. Sorrise al ricordo di quel momento esilarante in cui il castano aveva scoperto della messa in scena.
«M-mi chiedevo s-se, ehm, tua madre desse ancora qualche ripetizione di matematica. I miei voti sono calati molto e devo assolutamente recuperarli.» disse senza sollevare lo sguardo. Luke sorrise e le mise una mano sulla spalla, abbassandosi un po’ per avere il viso alla sua stessa altezza.
«Guarda che non ti mangio mica.» le disse amichevolmente e lei alzò finalmente il volto, sorridendogli. Sentì i muscoli della spalla di Hilary rilassarsi con quel sorriso e si sentì sollevato che lei si fosse un po’ sciolta. Tornò in posizione eretta e lei seguì il suo viso con lo sguardo, fu perciò costretta ad alzare la testa, data la differenza di altezza tra lei e Luke.
«Per le ripetizioni non so, sinceramente.» disse accarezzandosi il mento con il pollice e l’indice e guardando verso l’alto. «È da un po’ che non viene qualcuno a casa, ma sono sicuro che mamma sarà felice di darti qualche ripetizione!» disse sorridendole.
«Oh okay, grazie.» disse ricambiando il sorriso. «Ora vado, fammi sapere, ciao!» disse allungando la A, voltandosi e dirigendosi verso la sua aula. Lui le fece un cenno con la mano e si accorse di Clary, che aveva la schiena appoggiata agli armadietti, le braccia incrociate sul petto e una gamba piegata in modo da avere la suola della scarpa aderente al metallo verde.
Guardava la scena con un sorrisetto divertito stampato in volto e lui arrossì, avvicinandosi trascinando i piedi a ogni passo. La campanella suonò e i due si rivolsero uno sguardo annoiato, per poi entrare finalmente in classe.
«Clary, per me rimane un’idea del cazzo. Andiamo! Se ci scrivessimo in fronte “UCCIDETEMI” avremmo meno probabilità di venire assassinati.» le disse Luke mentre uscivano da scuola. Aveva cercato di spiegarle che quell’idea non gli piaceva per nulla e che sarebbe stato meglio rimanere a casa a fare i compiti, ma lei non volle sentire ragioni.
«Avanti Luke, non essere tragico! Secondo me non è così male come sembra, non ci chiederà certo di ammazzare una persona!» ribatté lei sicura, accennando a una risata. Gli occhi del biondo si spalancarono, non ci aveva pensato ma ragionandoci non si sarebbe stupito se il castano avesse fatto loro una richiesta del genere.
Clary scosse la testa accendendosi la sigaretta. Lui le prese il pacchetto mentre lo stava per rinfilare in borsa e si fece passare l’accendino. Si fece scrocchiare il collo mentre lasciava che il fumo uscisse dalle sue labbra, cercando di rilassarsi.
«Mh, Luke,» disse la ragazza, togliendosi la sigaretta dalla bocca e creando una nuvola di fumo davanti ai suoi occhi. «cosa ti ha chiesto oggi Hilary? Mi sembrava molto nervosa.» chiese. Aveva osservato tutta la scena di quella mattina da quegli armadietti e si era accorta di tutta l’ansia che la bionda aveva in corpo.
«Voleva sapere se mia madre desse ancora ripetizioni.» disse noncurante. Alla fine gli avrebbe fatto piacere avere Hilary in giro per casa, era una bella ragazza, sarebbe potuto anche scattare qualcosa. Non poteva negare che gli sarebbe piaciuto molto, davvero molto, se tra lui e la bionda ci fosse stato qualcosa. Ma in fin dei conti lei era pur sempre Hilary McSenior, non certo una qualunque, mentre lui era Luke Hemmings, la nullità dal sorriso conquistatore.
La mano di Clary che si muoveva convulsamente davanti al suo viso lo distrasse dai suoi pensieri poco casti sull’irraggiungibile Hilary. Sospirò e si accorse che la sua sigaretta era ormai bruciata fino al filtro.
«Secondo te a Hilary piaccio un po’?» chiese improvvisamente, buttando la sigaretta a terra e calpestandola. Ma cosa stava facendo? Ma cosa diceva? Sospirò e si schiaffeggiò mentalmente per aver dato voce ai suoi pensieri. La sua amica sbuffò esasperata.
«Mio caro Lucas “Sono-figo-ma-troppo-idiota-per-accorgermene” Robert Hemmings, non c’è una ragazza a cui tu non piaccia, lo capirai mai? Al di fuori di me ovviamente.» gli disse mettendogli le mani sulle spalle. Lo trapassò con lo sguardo, nonostante sul suo volto fosse dipinto un sorriso enorme e confortante.
 
Notes
Buon mercoledì a tutte, ragazze!
Bene, bene, bene. Sono felice perché domani arriva la mia felpa degli All Time Low e non vedo l’ora di indossarla jfhqghew. Inoltre ho finito i compiti di tedesco e inglese e mi sento molto genia per questa cosa!
Voglio darvi una notizia super importantissima: questa storia ha finalmente un trailer *stelle filanti e coriandoli* e lo potete trovare qui, se lo guardate, magari ditemi che ne pensate nella recensione. L’ho fatto io, se fa schifo potete anche dirmelo così magari la smetto di sognare di andare alla Film Accademy a Londra e vado a fare altro. Ho usato Lucy Hale per due motivi principalmente: perché secondo la mia mente perversa e contorta, lei si avvicina di più alla mia Clary, e perché la adoro come attrice, anche se non guardo Pretty Little Liars (ve lo dico, perché così non mi chiedete se lo seguo).
Parlando del capitolo, so di aver detto che sarebbe successo qualcosa d’importante ad alcune di voi, qui non è che sia successo qualcosa di chissà quanto importante, ma diciamo che ne è l’inizio.
Quanto sono carini Hilary e Luke? Dai, ammettetelo che sono carini wjfhwgj.
La canzone in alto è “Bulletproof Heart” dei My Chemical Romance.
Questa storia è anche su Wattpad, vi ricordo, se volete aggiungerla, stellinarla, commentarla, quello che vi pare, la trovate qui.
Mmmh, non ho nient’altro da dirvi, vi lascio alle recensioni.
Al prossimo mercoledì,
@cliffordsarms
P.S. se cliccate sulle parole scritte così (questa no (;) vi si aprono i vari link ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Dye ***


Image and video hosting by TinyPic

Dye
 
So get me out of my head,
Cause it's getting kind of cramped, you know,
Coming ready or not,
When the motor gets hot,
We can do it again.
 
 
Clary era davanti allo specchio dell’ingresso che si lisciava la camicia a quadri verde e nera, si osservava e poi riprendeva a sistemarsi i capelli castani. Avrebbe dovuto tenere qualche ciocca di capelli sulle spalle, a coprirle un po’ il viso, o avrebbe dovuto tenerli indietro? O forse una coda sarebbe stata meglio? Si guardava e faceva qualche smorfia davanti allo specchio, per controllare che il trucco non le si sbavasse in nessun caso.
Sussultò quando il cellulare nella sua borsa di pelle nera trillò. Mise le mani in quell’affare, che sembrava più un pozzo senza fondo per tutte le cose che ci teneva dentro, e riuscì a trovare il cellulare.
«Clary! Stavo per buttarti giù!» disse Luke dall’altra parte.
«Dove cazzo sei?» chiese ansiosa. Avrebbe dovuto passarla a prendere a casa per poi andare a scuola, dove avevano appuntamento con Michael per la tanto agognata uscita.
«Ehm, ecco, sì… volevo parlarti proprio di questo…» disse insicuro, lei riusciva a percepire l’imbarazzo nella sua voce, nonostante fosse leggermente metallica. «Non… non posso venire con te oggi…» concluse.
Il cellulare per poco non cadde dalle mani della castana. Come non sarebbe potuto andare con lei? Che voleva dire? Che intendeva? Cos’era successo di così grave da non farlo uscire con lei e Michael? Quale appuntamento improrogabile era diventato più importante?
«C-come n-non puoi venire?» chiese balbettante. Aveva iniziato a camminare avanti e indietro per l’ingesso di casa, si mangiucchiava le unghie e riusciva contemporaneamente a mordicchiarsi il labbro.
«Mamma ha deciso di dare le ripetizioni a Hilary proprio oggi e vuole che io stia in casa, nel caso avesse bisogno di qualcosa.» disse. Quella scusa non starebbe stata in piedi nemmeno con lo scotch o l’attack.
«Tua madre? Luke, non regge, dillo che ci vuoi provare con Hilary.» constatò scettica. Si diresse verso il soggiorno e si accasciò sopra al divano, tirandosi le gambe al petto.
«Dai, ti prego. Sono sicuro che riuscirai a sopportare Michael.» disse con tono ironico. «Solo, per favore, non cacciarti nei guai, non farti costringere a fare nulla che possa farti finire in galera o che possa nuocerti...» iniziò Luke il suo sproloquio infinito su tutte le accortezze che avrebbe dovuto avere, era peggio di sua madre. Ormai non lo ascoltava nemmeno più, le parole sfumavano nella sua mente. Ora stava solo pensando a sbrigarsi e andare a prendere il treno, altrimenti Michael avrebbe creduto che non avevano avuto il coraggio di presentarsi.
«Va bene, va bene. Ora devo andare, altrimenti faccio tardi. Non te la scopare. Ti racconto poi, ciao Luke.» disse velocemente e interrompendolo, senza nemmeno dar conto a cosa uscisse dalla sua bocca.
Chiuse la chiamata e s’infilò la sua felpa verde, prese la borsa e si precipitò a passo svelto verso la stazione. Se si fosse sbrigata sarebbe riuscita a prendere il treno che avrebbe evitato di farla arrivare in ritardo. Ma le sue gambe la tradirono, si affaticarono a pochi metri dalla stazione e fu costretta a rallentare il passo. Quando arrivò, il treno le chiuse letteralmente le porte in faccia. «Fanculo, fanculo!» pensò e maledisse le sue gambe poco atletiche.
Prese perciò il treno immediatamente successivo e iniziò a correre per riuscire ad arrivare a scuola in tempo. Vide Michael allontanarsi dal cancello principale e iniziò a chiamarlo. Non la sentì, probabilmente era anche lui un fissato delle cuffie infilate nelle orecchie.
«Michael!» gridò quando fu un po’ più vicina. Lui finalmente si voltò e la vide fermarsi piegandosi a metà per riprendere il fiato della corsa. Si avvicinò a lei e le appoggiò una mano sulla spalla.
«Stai bene?» le chiese. Nella sua voce non c’era un filo di preoccupazione, come se fosse una di quelle domande di routine che si pongono quando s’incontra qualcuno che non si vede da un po’. Lei annuì semplicemente.
«Sei in ritardo.» disse freddo, alzandosi gli occhiali da sole sulla testa. Piegò leggermente il viso in avanti per accendersi una sigaretta. Clary finalmente si era ripresa e si era rimessa in posizione eretta, ignorando quella constatazione, ora si metteva a fare anche il perfettino.
«Cazzo, le sigarette!» esclamò. «Ho scordato di ricomprarle, me ne offriresti una?» chiese con un sorriso che avrebbe dovuto sembrare amichevole.
«Ti accompagno a comprarle.» disse facendo uscire il fumo dalla sua bocca.
Si recarono perciò in tabaccheria e Clary si fermò davanti alla porta di vetro, osservando i clienti all’interno. Abbassò lo sguardo e strisciò un piede per terra, torturandosi le mani. Con la coda dell’occhio vide che Michael aveva lanciato il mozzicone a terra e l’aveva spento con il piede.
«Non entri?» le chiese. Lei alzò lo sguardo su di lui, per poi abbassarlo di nuovo. Non era la sua tabaccheria di fiducia e lei era minorenne, non le avrebbero venduto le sigarette.
«N-non posso…» sussurrò. Si era ridotta anche a balbettare, quel ragazzo la metteva troppo in soggezione, non era da lei comportarsi così.
«Perché, scusa?» chiese lui sbuffando. Quant’era ingenuo, Clary non se ne capacitava, ma il cervello ogni tanto lo usava? Però era così tenero mentre stava lì a guardarla, era così carino quando non capiva che stesse succedendo.
«Sono minorenne, io.» disse convinta, guardandolo negli occhi. Era ritornata sé stessa, forse. Lui sbuffò ed entrò a comprarle le sigarette.
Quando uscì le passò il pacchetto e aspettò che lei gli porgesse i soldi che gli doveva. «Proprio un precisino.» pensò, sbuffando mentalmente. Gli diede la somma e si accorse che quelle non erano le sue solite sigarette, erano quelle che fumava Michael, queste rischiavano di ucciderla con un solo tiro. Lo guardò un po’ storto, mentre lo vide accendersi un’altra stecchetta. Fece spallucce, alla fine avrebbe potuto provare, no? Era solo un pacchetto, se poi l’avesse diviso con Luke, non sarebbe di certo morta.
«Che facciamo quindi?» chiese allora, mentre erano ancora fermi davanti alla tabaccheria a fumare le loro sigarette, non erano poi così male quelle che le aveva preso lui.
«Devo andare in un posto, ci vorrà un po’, però.» disse sicuro. Lei si limitò ad annuire, mentre nella sua testa pensava a una di quelle frasi molto Tumblr che diceva tipo “Per te, aspetterei anche tutta la vita.”, o qualcosa del genere. Scacciò quel pensiero, lei non era per quelle frasi, le facevano venire le carie e alzare la glicemia.
Si limitò a seguirlo, fin quando non dovettero attraversare la strada. Avendo tenuto lo sguardo basso tutto il tempo, non si era accorta che proprio in quel momento la macchina di qualche maleducato pirata della strada non si sarebbe fermata alle strisce per farli passare. Continuò dritta, senza rendersi conto che Michael che si fosse fermato. Lui la tirò per il polso quando vide che la macchina stava per investirla. Lei sussultò, ma senza dare troppo peso a quella scena.
«Stai attenta, cazzo! Non voglio averti sulla coscienza.» le sbraitò addosso. Lei abbassò lo sguardo e sussurrò delle scuse. Quel ragazzo le faceva perdere completamente la testa.
Continuarono la loro passeggiata in silenzio, fin quando la castana non si decise ad aprire un discorso. Le solite domande di routine, come “Come ti chiami? Quanti anni hai? Di dove sei?”, erano inutili in quel momento, sapeva già tutto. Perciò optò per le sue domane di routine, quelle che rivolgeva ogni volta che conosceva qualcuno. Se voleva conoscere Michael, era il primo passo sapere qualcosa in più su di lui.
«Che musica ti piace?» chiese diretta, affiancandolo. Lui si voltò a guardarla, come allucinato.
Non le rispose ed entrò in un barbiere. Clary rimase un po’ sorpresa, che ci faceva da un parrucchiere? Lo seguì senza porsi troppi interrogativi. Lo vide accomodarsi su una poltrona vuota e si piazzò in quella appena di fianco. Lui ruotava sulla sedia come un bambino che aspetta che la mamma finisca di acconciarsi i capelli. Lei stava con lo sguardo basso, non osava parlargli dopo che l’aveva appesa così, probabilmente non aveva voglia di parlarle di lui.
«Che colore mi consigli?» chiese lui, interrompendo il silenzio. Lei alzò lo sguardo e ci pensò un po’.
«Uhm… che ne dici di verde?» disse ridendo. Lui però non si fece contagiare e chiamò invece la parrucchiera.
«Andata per il verde.» disse alla ragazza. Lei gli fece l’occhiolino e Clary rimase un po’ sconcertata. Davvero stava per tingersi i capelli di verde? Era forse impazzito?
«Come si vede che non mi conosci, ragazzina.» disse aspro. Lei non sapeva che dire, perché alla fine era la verità, non sapeva nulla su di lui. «Una volta li ho fatti fucsia fosforescente.» disse buttando la testa all’indietro e facendosi spuntare un sorriso.
Alla vista di quel sorriso così perfetto a Clary quasi non venne un infarto, come poteva avere un sorriso così… così… così perfetto? Le stava mandando a puttane il sistema nervoso. Rischiava di alzarsi di scatto da quella sedia e baciarlo. No, si doveva trattenere, così si limitò a sorridere.
Una ragazza chiamò il castano e l’invitò ad accomodarsi ai lavandini. Clary non fece una piega, decise che l’avrebbe aspettato lì. Nel frattempo avrebbe scritto qualche messaggio a Luke, tanto per sapere come stesse andando con Hilary.
“Allora, rubacuori? Hai conquistato la tua amata? (;
Clary xx.” Scrisse velocemente. Rise da sola per quella pessima battuta. Sapeva che quasi sicuramente Liz l’aveva spedito in camera sua per evitare che distraesse la bionda, che aveva da recuperare. La risposta non tardò ad arrivare e quando aprì il messaggio scoppiò a ridere.
“Vaffanculo, ma mi ha spedito in camera perché altrimenti “distraggo Hilary”, che stronza.
Luke.” ormai era prevedibile. Gli augurò comunque buona fortuna e in quel momento esatto arrivò Michael, con i capelli bagnati, seguito dalla parrucchiera. Quanto gli sarebbe saltata addosso in quel momento? Troppo. Non poteva presentarsi da lei così, era come invitarla a non seguire il cervello e cedere agli impulsi.
«Punk-rock.» le disse, guardandosi nello specchio mentre la ragazza gli sistemava i capelli.
«Cosa?» chiese Clary non capendo.
«Musica, mi piace il punk-rock.» disse ovvio, continuando a non guardarla. Ora capiva, e aveva anche trovato un motivo in più per cui quel ragazzo le piaceva: buoni gusti musicali, cosa poteva desiderare di più?
«A te?» chiese senza pensare. Poi però fece uno sguardo che le fece capire che, probabilmente, avrebbe preferito non farle quella domanda. «Ora penserà che t’interessa di lei.» si disse tra sé, maledicendosi.
«Pop-punk, principalmente.» rispose un po’ titubante. Aveva paura che quella non fosse la risposta corretta. Se lui avesse detestato il pop-punk? Sarebbe sprofondata volentieri nell’imbottitura di quella sedia.
«Ottimi gusti musicali. Non ti facevo il tipo.» rispose invece il ragazzo, mentre la parrucchiera gli sbatacchiava la testa da tutte le parti per poter applicare correttamente il colore.
Clary arrossì e abbassò lo sguardo. Le aveva fatto un complimento ma l’aveva messa in soggezione in qualunque caso. Il cellullare che le vibrava nella tasca la fece sussultare appena. Era un messaggio di Luke, chiedeva come stesse procedendo con Michael. Lei ignorò e ripose il cellulare da dove l’aveva tirato fuori. Il ragazzo al suo fianco si era accorto dell’SMS e la guardò un po’, finche lei non si accorse di quello che stava facendo. A quel punto distolse lo sguardo, guardando dallo specchio la parrucchiera e sorridendole leggermente quando gli aveva comunicato che aveva finito e ora avrebbe solo dovuto aspettare che la tinta facesse presa.
«Perché non ti fai anche tu qualcosa ai capelli?» chiese lui, interrompendo il silenzio abbastanza imbarazzante che si era creato tra di loro. La ragazza sussultò e gli rivolse uno sguardo allucinato.
«Io non lo so… dovrei chiedere a mia madre…» disse piano. Stava passando per quella che non può fare nulla senza il consenso dei suoi genitori nonostante avesse ormai quasi diciotto anni.
«Qualche meches di un colore contrastante, tipo bianco con i riflessi rosa chiaro! Dai, solo due ciocche, sono sicuro che tua madre non si arrabbierà per così poco.» le disse sorridendole. E ancora una volta quel sorriso le mandava a fanculo il sistema nervoso, ancora una volta dovette trattenersi, così si limitò a ricambiare il sorriso.
«Ma non ho i soldi…» disse sottovoce. L’idea era interessante, ma non era sicura che le piacesse. Rise nella sua testa, pensando alla faccia che avrebbe fatto Luke il giorno seguente se l’avesse vista con quelle meches.
Mentre lei si perdeva nei suoi pensieri, Michael aveva già chiamato la ragazza di prima e le aveva chiesto di preparare il colore, inoltre le aveva spiegato che se le avessero fatto credito, sarebbe andata il sabato stesso a saldare il debito. La ragazza aveva annuito ed era andata a prendere la tinta. Sul volto di Clary si dipinse un’espressione preoccupata.
«Rilassati.» le disse, accennando un sorriso, «Sono sicuro che starai benissimo.» aggiunse in un sussurro, che però la castana captò perfettamente.
«Michael, ma che cazzo fai? Ti metti anche a farle i complimenti? Sei impazzito? Dopo questa penserà che vuoi esserle amico! E tu non vuoi essere suo amico, giusto? Non hai cambiato idea, vero? Continui a credere di farcela da solo, sei convinto di ciò, Michael?» pensava mentre era rimasto solo perché la ragazza era andata a farsi lo shampoo. Forse stava impazzendo. Forse stava cedendo ai suoi impulsi sentimentalisti, generosi. Forse la stava lasciando entrare nella sua vita. No, non poteva essere così catastrofica la cosa. Le aveva fatto due complimenti, nulla di particolarmente importante, doveva calmarsi.
Quando la parrucchiera tornò, seguita da Clary, tornò con i pensieri a terra. Ancora una volta la ragazza sussultò alla vibrazione nella sua tasca, un altro messaggio di Luke, quasi uguale al precedente. Michael cercò di sbirciare, ma quando la ragazza alzò lo sguardo si voltò dall’altra parte.
«Come mai non ti sei portata dietro il tuo ragazzo? Pensavo foste inseparabili voi due.» disse freddo, quasi acido. Clary scoppiò a ridere, lui la guardò interrogativo.
«Luke ed io non stiamo insieme! È il mio migliore amico dai tempi dell’asilo!» disse sicura. Non poteva credere che anche Michael pensasse che lei e il suo migliore amico fossero fidanzati, era una cosa così esilarante il solo pensiero per lei.
«Davvero?» chiese lui stupito, lei annuì sorridendo. «Beh, ma comunque, come mai non è venuto con te?» si affrettò a chiedere, arrossendo un po’. Aveva fatto una figura poco carina, avrebbe dovuto informarsi meglio, ma era quello che si diceva su loro due a scuola!
«Aveva…» prese una pausa per pensare, sapeva che Hilary e Michael erano usciti insieme, probabilmente lui era interessato alla bionda, sapere che era a casa di Luke non gli sarebbe andata del tutto a genio, molto probabilmente. «un’ospite a casa.» disse ridacchiando un po’.
La parrucchiera arrivò per comunicare ai due ragazzi che sarebbero potuti andare a sciacquarsi, la tinta aveva fatto presa. Quando gli ebbero anche asciugato i capelli si guardarono. Clary rimase stupita dal colore di Michael: un verde acido fosforescente, si lasciò così sfuggire una risatina. Lui, invece, aveva un’espressione compiaciuta, il suo gusto per le tinte aveva fatto centro di nuovo.
«T-ti stanno bene, vedi?» disse sorridendole.
 
Notes
Buon mercoledì a tutti e benvenuti a un nuovo capitolo! (Sembra l’introduzione a una nuova rubrica, tipo oroscopo lol).
Vi dico una cosa importantissima: ho deciso che risponderò alle recensioni solo quando aggiornerò, in modo da avvisarvi dell’aggiornamento. Lo dico perché voglio dirvi che io le leggo tutte le vostre recensioni, perciò se non vi rispondo non è perché voglio essere antipatica, vi adoro uu.
Sono arrivate le mie felpe, quella degli All Time Low e anche quella dei 5SOS, so che non vi frega nulla, ma volevo dirvelo perché è una cosa che mi rende troppo felice weghwj
Ma comunque, finalmente la tanto attesa uscita con Michael!
Piccolo “imprevisto” per Luke, che si ritrova a casa una Hilary con cui non può provarci, poverino. :’)
Mentre Clary e Michael vanno dalla parrucchiera, ehehe. Ve lo sareste immaginato che l’avrebbe portata dal parrucchiere? :’D
L’uscita non è ancora finita, nel prossimo capitolo succederà altro sempre durante quest’uscita.
Sotto vi metto un manip (aka fotomontaggio) che la mia amata @bluemmings mi ha fatto (lo trovate anche nel trailer).
E lì vi lascio anche il link per Wattpad e quello del trailer.
La canzone di questo capitolo è Bulletproof Heart” dei My Chemical Romance.
È arrivato il momento di ringraziarvi UNA PER UNA, non sto scherzando uu.
Ringrazio le undici persone che hanno inserito questa storia nelle preferite:
afrinstyles, AshIrwin, Chia183, chicchia99, emblemthree, H O R A N, Helen02, KairixSora1001, kocchi94, Punkhemmo, Rossainlove <3

Ringrazio le cinque persone che l’hanno inserita nelle ricordate:
alexaval34, Ilovepizzand5sos, JuliChanny, neon_riot, xcxHemsxcx <3

Ringrazio le ventisette (VENTISETTE RAGAZZI IO VI AMO TROPPO) che l’hanno inserita nelle seguite:
14hearts, 5SOS_Family, alexaval34, bluemmings, Chia183, Directionina, fallenangel23, fedejonas4ever, Ginevra2010, Helen02, imnotperfect99, JellyBeans, ljamspooh, LONDON_fan, louvactually_, malec fire, maristella_armstrong, Punkhemmo, Rebbecoc, sunshazs, sunshzayn, sweet years, ValentinaKC, Wisemeawer, xblueocean yellow_raven, _Demiismine_ <3

Alla prossima,
@cliffordsarms
 
WattpadTrailerTwitter

 
Image and video hosting by TinyPic
 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Gotta Get Out ***


Image and video hosting by TinyPic

Gotta Get Out
 
Bite your face to spite your nose,
17 and a half years old,
Worrying about my brother finding out,
What's the fun in doing what you're told?

 
Inutile dire che, dopo l’affermazione di Michael, Clary era arrossita a vista d’occhio e lui lo stesso. Non si sarebbe mai aspettato di dire una cosa del genere a quella ragazzina che, tra le tante cattiverie che avrebbe potuto dire su di lei, trovava insopportabile, e questa forse le riassumeva tutte. Ma, dopo quelle poche ore passate insieme, forse avrebbe potuto ricredersi e, nella sua mente, Michael sottolineava quel forse. Alla fin fine, era una buona compagnia e, dettata da non si sa quale strana legge del suo cuore, Clary non l’avrebbe mai contraddetto. Sicuramente non si sarebbe mai immaginato che lei provasse qualcosa nei suoi confronti, qualcosa di superiore a una grande curiosità, e quel pensiero continuava a non sfiorargli nemmeno l’anticamera del cervello.
Usciti dal parrucchiere, appena davanti alla porta, entrambi si accesero una sigaretta. Lui per il vizio, lei perché davvero troppo nervosa; dopo quel complimento, nella sua testa si costruivano davvero troppi castelli: che, finalmente, trovasse almeno un pochino piacevole la sua compagnia? Ma scacciò immediatamente quel pensiero.
«Quindi ora» fece una pausa per far uscire il fumo dalle labbra, «che si fa?» chiese seguendolo. Era curiosa, che le avesse mostrato qualcosa di personale come la sua casa?
«Devo andare in un, uhm, posto…» disse vago. Nella mente di Michael si dipingevano diversi dubbi. Sarebbe dovuto andare a prendere il rifornimento per quella serata, aveva bisogno di qualche spiccio in più, di conseguenza doveva fare qualche straordinario.
Clary si limitò ad annuire e cercare di mantenere il passo sostenuto del ragazzo. Pensava a Luke che, sfortunatamente, non aveva potuto fare nulla con Hilary e, da una parte, le dispiaceva, perché avrebbe voluto che il ragazzo fosse felice, almeno lui, con una persona che gli piacesse. A pensare alla bionda, si domandò se Michael avesse qualche interesse nei suoi confronti. Sapeva che erano usciti quel venerdì, o qualcosa del genere.
«Mike… ehm, Michael?» chiamò, fingendo di tossire. Pensò che “Mike” fosse un appellativo da amici e loro non si potevano di certo considerare tali. Il ragazzo le lanciò un’occhiata, poi tornò a camminare con lo sguardo puntato sul marciapiede, voltando leggermente la mascella quando doveva far uscire il fumo. Fece una lunghissima pausa, avrebbe davvero dovuto porgli quella domanda?
«Qual è la tua band preferita?» sputò imbarazzata. Sbuffò mentalmente, non aveva avuto il coraggio di porre quella domanda, pensò che fosse troppo personale per lui e, di conseguenza, non le avrebbe risposto. Magari si sarebbe arrabbiato anche e, visti i passi avanti che avevano fatto, litigare non era sicuramente la cosa migliore.
«Ooh, che domanda difficile.» disse, grattandosi il mento. Aveva una così vasta scelta, ascoltava troppe band per sceglierne una che preferisse in assoluto. «Ehm, non saprei, ascolto un sacco di band... uhm…» disse facendo un sorriso imbarazzato e passandosi la mano sulla nuca. «Credo i Sex Pistols, ma vado molto a periodi.» concluse infine, dopo almeno un trilione di ragionamenti a raffica nella sua testa.
Ora nella sua mente c’era un’altra guerra: avrebbe dovuto chiederle quale fosse la sua? O lasciar perdere? Era come se un lui vestito da diavoletto e uno travestito da angioletto facessero a pugni sulle sue spalle, come accadeva a Kronk nel cartone animano “Le Follie dell’Imperatore”. Decise di dar retta all’angioletto, che stava ovviamente dalla parte dell’interessamento.
«La tua?» chiese senza guardarla. Non che per Clary quella fosse una domanda semplice, anche lei andava molto a periodi come Michael. Era molto indecisa e si domandò se anche lui avesse avuto una battaglia di ragionamenti nella testa per rispondere.
«Ehm… in questo periodo sono completamente innamorata degli All Time Low.» disse abbassando lo sguardo. Tirò un sospiro di sollievo, aveva trovato una risposta.
«Davvero? Sono grandiosi! Jack Barakat è fantastico!» esclamò, voltandosi a guardarla con un’espressione alienata. Quella ragazza lo sorprendeva molto, non avrebbe mai pensato di trovare qualcuno con cui condividere il suo interesse per la musica ma, soprattutto, non avrebbe mai immaginato di trovarlo in lei, in quella ragazzina che tanto detestava! Clary rise a quell’affermazione.
«Chi avrebbe mai detto che Michael Clifford, il ragazzo più temuto di tutta la scuola, fangirlasse su Jack Barakat!» esclamò ridendo, facendo una faccia che ricordava molto il famoso quadro di Munch. Lui ridacchiò un po’ imbarazzato. A quel dolce suono, Clary fu investita da un’ondata di brividi lungo la schiena e una schiera di farfalle le invase lo stomaco. Scrollò le spalle per scacciare quelle emozioni senza smettere di ridere.
«Però non c’è da sminuire Rian Dawson, è molto bravo come batterista!» aggiunse lei poi. Michael le rivolse ancora uno sguardo alienato, come poteva una come lei, così fastidiosa e piena di difetti, intendersi di una così soave e perfetta come la musica?
«Oh certo, e vogliamo parlare delle linee di basso di Zack Merrick?» esclamò tutto felice ed eccitato. Lei rise a vederlo comportarsi così, non avrebbe mai pensato che uno tanto riservato potesse davvero comportarsi in quel modo.
«Perché la voce di Alex Gaskarth?» disse lei e i suoi occhi diventarono a cuoricino. Iniziarono uno sproloquio, che poteva sembrare infinito, sulla band di Baltimora e le loro canzoni. Tanto che i passanti si voltavano a guardarli quando uno dei due alzava di un’ottava il tono di voce per esprimere la sua approvazione in proposito a una canzone o a un album.
Michael svoltò in un vicolo e, senza accorgersi di dove si trovasse, Clary lo seguì, ma lui interruppe la loro discussione non rispondendo a una sua domanda. Si voltò e la prese per il braccio, spingendola all’entrata. Lei non sembrò molto contrariata, più che altro si sentiva in balia degli eventi e non riusciva a seguirli. Insomma, un momento prima stavano sclerando sugli All Time Low come due ragazzine eccitate e quello dopo lui la trascinava fuori da un vicolo, dove lui stesso l’aveva condotta.
«Meglio se aspetti qui, ci metto un secondo.» le disse. Lei annuì, domandosi cosa dovesse mai fare o cosa le potesse accadere di così grave. Ma, come le aveva detto Luke, non doveva cacciarsi in “situazioni che avrebbero potuto nuocerle”. Si ripeté nella mente quelle parole, imitando la voce del suo amico e si morse il labbro per evitare di sorridere, non avrebbe avuto molto senso farlo lì, davanti a Michael, senza che lui avesse detto qualcosa per cui valesse la pena farlo.
Il ragazzo prese il cellulare dalla tasca e proprio in quel momento vide l’orologio scattare da 17.00 a 17.01. Le lanciò un’occhiata che sperò sembrasse rassicurante, che lei accolse sorridendo debolmente e annuendo, e si voltò per tornare in quella viuzza un po’ buia. Si avviò al solito cassonetto e prese il rifornimento. Mentre tornava verso l’uscita, pensò che, forse, a Clary non sarebbe dispiaciuto provare un po’ della sua roba, che lui sapeva essere di qualità e di conseguenza non avrebbe potuto nuocerle chissà quanto. Fece un sorrisetto sghembo e quando si avvicinò all’uscita vide un’ombra che sicuramente non poteva essere di Clary, nel punto in cui l’aveva lasciata. Affrettò il passo, temé il peggio. E quando arrivò lì, proprio il peggio si presentò davanti ai suoi occhi. L’ultima cosa che gli serviva era avere quella ragazzina sulla coscienza.
Clary, appoggiata al muro con la schiena e la testa bassa, con i capelli che le ricadevano davanti al viso nascondendoglielo, rispondeva a monosillabi alle domande che un ragazzo dal tono aggressivo le porgeva, mentre teneva il volto decisamente troppo vicino a quello della ragazza e teneva una mano sulla parete di mattoni per sostenersi. Michael sbuffò a quella vista, non aveva tutta questa voglia di mettersi contro uno come Josh, ma che altro avrebbe potuto fare?
«Sei pregato di lasciarla in pace.» disse deciso ma calmo, appoggiando la mano sulla spalla di quell’arrogante ragazzo. Lui si voltò e si fece scappare un risolino.
«Clifford, ma che pensi di fare? Il supereroe? Vai a casa e lasciami divertire con questa bella pupa.» disse squadrandolo più volte. Il ragazzo dai capelli verdi scosse un po’ la testa e sbuffò un pochino, non gli andava esattamente bene cacciarsi in quella situazione.
«Vai a prendere la tua scorta prima che torni io indietro e la prenda. Sa com’è, qualche soldo fa sempre comodo.» gli disse, sorridendo maligno. Forse se l’avesse minacciato in quel modo si sarebbe convinto e, in quel momento, lo sperava davvero.
«Se lei viene con me, ci vado molto più volentieri.» disse prendendo il polso di Clary e stringendolo deciso, facendo scappare un piccolo gemito di dolore alla diretta interessata. Per tutta quella discussione era rimasta lì, cercando di scomparire nel muro. Ora guardava Michael in un modo che sembrava gridasse aiuto.
«Ti ho detto di lasciarla stare, Josh.» disse, poggiando la sua mano intorno a quella che stringeva il braccio di Clary. Ma il bruto, invece di lasciarla, strinse ancora di più e con l’altra mano le alzò il volto.
«Avanti bel visino, non vorrai dirmi che te ne vai in giro con questo sfigato.» le chiese retoricamente, indicando nella direzione di Michael con la testa. Lei, per tutta risposta, a denti stretti gli disse un bel vaffanculo e gli sputò in piena faccia. Distratto a pulirsi il viso, allentò un po’ la presa e Michael l’afferrò iniziando a correre.
«Corri!» le gridò. E in quel momento le sue gambe fecero uno sprint che nemmeno lei si sarebbe mai aspettata di essere capace di fare.
Michael la condusse nel primo posto che pensò potesse essere sicuro, non che l’unico posto che gli venne in mente: il suo magazzino. Velocemente schiavò la porta, mentre la ragazza riprendeva un po’ fiato. Il ragazzo praticamente la sbatté dentro e si piegò a metà per riprendere il respiro. Ancora ansimante si accasciò sul divano. Lei rimase in piedi, rossa come un barattolo di salsa ketchup, mentre si guardava intorno. Anche se piccolo e sporco e molto minimale e puzzolente, sembrava accogliente.
«Guarda che puoi sederti, non mordo mica.» disse ancora con il fiatone. Lei, timidamente, si avvicinò al divano-letto e, titubante, si sedette accanto a Michael. Iniziò a fissarsi la pancia, senza avere il coraggio di dire qualcosa.
«Mi dispiace per quello che è successo prima, non avrei mai pensato che Josh potesse infastidirti, altrimenti ti avrei portata con me.» disse in un sussurro. Lei si voltò verso di lui e gli sorrise debolmente, sperando di rassicurarlo un po’.
«Non fa niente. Posso farti una domanda?» chiese. La curiosità la stava uccidendo, forse quella che stava per fare era una domanda un po’ personale ma voleva tentare. Lui si limitò ad annuire.
«A cosa ti riferivi quando parlavi di “scorta”?» andò sfumando verso la fine, come una canzone. Poi tornò a fissarsi la pancia, giocando con le dita. Michael si mordicchiò il labbro, non voleva fare lo scontroso, ma se lei l’avesse saputo avrebbero rischiato troppo entrambi.
«Non-» partì convinto, con un tono duro, volendo inizialmente dirle «Non sono affari tuoi.» ma dopo l’accaduto lei doveva essere un po’ scossa, non era il caso di trattarla male.
«Non posso dirtelo…» concluse in un sussurro. Lei sussurrò un «Non importa.» e, improvvisamente, la sua pancia si fece così interessante che non riusciva a staccare gli occhi.
«G-grazie per avermi, ehm… salvata.» disse in un soffio, tanto che ebbe paura che lui non l’avesse nemmeno sentita. Le sorrise e pensò che forse conosceva un modo per distrarla e non farle pensare a ciò che era appena successo.
«Forse conosco un modo per non fartici pensare!» disse convinto. Poi si mise una mano in tasca e tirò fuori la bustina che sapeva dover rimanere di sua proprietà. Clary inizialmente non capì di cosa si trattasse e piegò leggermente la testa da un lato.
Lui si alzò in piedi e si diresse verso il tavolo che c’era nell’angolo cottura. Tirò fuori il portafogli e si sedette. Prese l’occorrente per rollare una canna, mentre lei cercava di scorgere cosa lui stesse facendo rimanendo seduta sul divano. Quando ebbe finito la chiamò e quando si avvicinò al tavolo capì cosa avesse appena fatto lui.
«Hai mai provato?» le chiese. Lei scosse la testa, il suo sguardo era un misto tra lo spaventato e il preoccupato. Michael aveva pensato che se l’avessero condivisa non sarebbe di certo uscito fuori con una delle sue frasi sugli unicorni e lei non sarebbe stata male come di solito succede a chi ne fuma una per la prima volta.
«Servirà a non fartici pensare, almeno per adesso. Ma se non vuoi, la tengo da parte per me, non preoccuparti.» le disse dolcemente, stupendosi di tutto quello zucchero che era riuscito a tirare fuori. Pensò che fosse solo perché lei doveva essere rimasta molto spaventata e così magari sarebbe riuscita a distrarsi un po’.
Lei annuì leggermente e Michael accese lo stecchetto, facendo il primo tiro, intanto lei si sedette sul tavolo, in quanto il ragazzo non disponeva di un’altra sedia, e fece dondolare il piedi, guardando in basso. Lui le passò la canna e lei prese un tiro, stranamente senza strozzarsi, e piegò la testa indietro per far uscire il fumo. Il fatto che non le fosse scappato nemmeno un colpo di tosse, fece capire a Michael che doveva fumare da molto oppure tante sigarette, tanto da sapere perfettamente come fare.
L’effetto che ebbe su entrambi, avendola divisa, fu semplicemente quello di fargli scappare delle risate, che sembravano isteriche, e far diventare a entrambi gli occhi rossi.
«Mike,» iniziò senza pensare e facendosi scappare un’altra risata. «mi accompagni alla fermata della metro più vicina, sta facendo buio.» finì la frase facendo il labbruccio. Lui annuì e si alzò. L’ottobre londinese comportava giornate già non molto lunghe e un’arietta fresca, ma abbastanza piacevole.
«Mi offre l’onore questa passeggiata, donzella?» disse ridendo e offrendole una mano, per farla scendere da tavolo. Lei la prese e scoppiò a ridere. Uscirono da casa sottobraccio, proprio come se lui stesse scortando una dama dell’Ottocento.
«Milord, ma tra lei e la signorina Hilary McSenior c’è qualche sentimento superiore all’amicizia?» chiese Clary, cercando di imitare la parlata di un nobile. Sotto l’effetto della marijuana non aveva nemmeno pensato a quello che aveva detto.
«Oh, no, Milady. Ho deciso di passare un piacevole pomeriggio con lei, in quanto me ne sentivo in dovere, dopo la terrificante figura che ho fatto in sua presenza.» e a quel ricordo scoppiarono entrambi a ridere. Alla fine, anche Michael l’aveva presa come uno scherzo.
Arrivarono alla fermata e Clary si accorse di non avere abbastanza soldi per il biglietto. Si maledisse per non averci pensato. In realtà, lo aveva fatto, ma non aveva pensato alle sigarette ed era rimasta a corto di spicci. Sbuffò e, quando Michael la sentì, le domandò se ci fosse qualche problema.
«Non ho i soldi per il biglietto!» esclamò, in preda al panico. Lui le appoggiò una mano sulla spalla. Poi si avvicinò ai tornelli e, poggiando le mani su entrambe le torrette, si sollevò e scavalcò il ferro.
Lei lo guardò interrogativa, non aveva mica pensato che l’avrebbe fatto anche lei? Era fuori discussione, piuttosto se la sarebbe fatta a piedi fino a un luogo che sua madre avrebbe potuto raggiungere con la macchina senza destare troppi sospetti. Lui l’incoraggiò e, quando lei appoggiò i piedi a terra dopo il salto, quasi non cadde sul pavimento. Lui l’afferrò, quasi abbracciandola. Lei alzò la testa, immersa in quella presa, e si avvicinò al viso di Michael, scoccandogli un bacio sulla guancia e sussurrandogli all’orecchio un «Grazie.», per poi correre a prendere il primo treno che stava già per partire.

 
Notes
HEY HEY HEY!
Allora, come state mie belle lettrici? Come sapete è iniziata la scuola, come vi sta andando? Io ho già la prima verifica fissata, qualcuno mi aiuti.
Mi sto stupendo di me stessa, perché so perfettamente di essere sempre in ritardo per tutto, ma, nonostante abbia sempre paura di caricare in ritardo, sono sempre in perfetto orario, davvero sono colpita dal mio stesso comportamento!
Che ve ne pare di questo capitolo?
Io mi scuso con tutte coloro a cui non piacciono gli All Time Low, o che non sanno nemmeno chi siano, ma io sono innamorata persa di loro e ci doveva essere PER FORZA una parte di Michael che fangirla, cioè capite, io me li immagino troppo e mentre lo scrivevo fangirlavo pure io, davvero troppo wekjhqt.
Michael che fa il supereroe DOVEVA esserci uu.
Quella della metropolitana, non so da dove io l’abbia partorita, ma m’immaginavo troppo questo Michael che salta i tornelli, cioè lui è un bad boy uu.
Vi avviso già che il prossimo capitolo sarà un po’ di stop (?), nel senso che sarà una pausa da tutti gli avvenimenti, da tutte le cose, perché devo chiarire un po’ di concetti e.e
La canzone è Girls by The 1975, che io amo.
Noooon credo di avere più nulla da dire… uhm, nah.
Vi lascio sotto i soliti link vari aka la storia su Wattpad, il trailer e il mio Twitter.
Alla prossima,
@cliffordsarms

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Walls ***


Image and video hosting by TinyPic

Walls
 
And a best friend is someone who admits to who they are,
You try so hard and you come to be long forgotten,
And you push the pace and catch your breath,
I'll sing to you,
Now all I'll ask is for your forgiveness.
 
La faccia che Luke fece quando, quella mattina, vide Clary arrivare con i capelli colorati fu epica, a distanza di qualche giorno lei ancora rideva. Quel giorno erano andati al lago e, mentre lei stava seduta sulla passerella con le gambe penzoloni giù, Luke le aveva appoggiato la testa sulle cosce e si faceva accarezzare i capelli dalla sua amica. Le aveva già raccontato che con Hilary, alla fine, era riuscito a scambiare due parole mentre l’accompagnava sul vialetto del cancello, ma nulla di più, perché Liz si era intromessa. Ogni tanto rompeva il silenzio, sovrastato solo dalle onde del lago, con un “Mannaggia alla mamma”, che scatenava un risolino della castana. Lei aveva raccontato al suo migliore amico qualcosa dell’uscita con Michael, ma senza entrare nei particolari: aveva omesso l’accaduto con Josh, dicendo solo che l’aveva accompagnato a prendere una cosa in un vicolo, e aveva tralasciato di aver fumato con lui una canna, raccontando che erano andati a casa sua e avevano fumato qualche sigaretta. E il biondo ci credeva e si stupiva che il ragazzo dai capelli ormai verdi non avesse provato a farla finire in qualche casino, pensava di aver sbagliato a giudicarlo in quel modo.
 
Invece Michael stava steso sul suo divano-letto, massaggiandosi la pancia e tenendo la musica degli All Time Low a un volume troppo alto. Non stava ascoltando la band di Baltimora mentre pensava a Clary, ovviamente no. Scorrevano in sottofondo le note di “Remembering Sunday”, la canzone che rispecchiava l’ultimo giorno con sua madre, e le lacrime che gli bagnavano il viso. Ma lui non dava conto all’umidiccio che gli faceva risplendere le guance alla flebile luce che penetrava dalla finestrella in alto alla sua destra, e fumava le sue sigarette in pace.
A volte stringeva gli occhi e le immagini di quella domenica mattina, appunto, gli passavano davanti. Ricordava di essere andato con lei a fare colazione e poi di essere andato a farsi un giro con il suo amico Josh, sì, proprio quel Josh. E ricordava di essere tornato in quella che era la sua casa, sua e della sua mamma, e di essersi chiuso in camera, passando prima a salutare Karen che era stesa sul letto nella camera matrimoniale. Poi lei era uscita e mezz’ora dopo la polizia aveva fatto squillare il cordless.
«Michael Clifford?» aveva chiesto il poliziotto. Lui, non sapendo di chi si trattasse, era subito andato sulla difensiva, affermando freddamente e chiedendo immediatamente chi parlasse.
«Sono l’agente Holland, polizia di Londra, Signore. Mi spiace darle la terribile notizia, ma la Signora Karen Clifford è stata vista mentre sterzava terribilmente con la macchina su un ponte sul Tamigi. Non c’è stato nulla che potessimo fare per salvarla, le mie più sentite condoglianze.» aveva raccontato con voce dura l’agente. Michael aveva strabuzzato gli occhi, aveva ringraziato con le labbra tremanti e chiuso la chiamata.
Era tornato in camera e aveva alzato al massimo la musica, “Remembring Sunday” più alta che mai, i vicini che battevano sulla porta d’ingresso, che suonavano il campanello, il citofono, che facevano squillare il telefono di casa. Ma a lui non importava, si era sdraiato sul suo letto a luci spente e aveva fissato il soffitto per ore e ore, mentre gli All Time Low andavano in ripetizione continua nel featuring con Juliet Simms.
Aveva messo in pausa la musica solo un momento, quando Josh l’aveva chiamato, gli aveva detto di muoversi ad aprire la porta, che era corso appena aveva saputo. Con passo strascinato il ragazzo dai capelli ai tempi fucsia era andato ad aprire e aveva accolto il suo migliore amico con un debole sorriso. Lui l’aveva stretto in un abbraccio che, come un’ameba, non era stato ricambiato da Michael. Non parlava, non annuiva, semplicemente stava con gli occhi ancora strabuzzati, spenti ma asciutti.

Piangeva a distanza di un anno, su quel letto, quella domenica. Era l’anniversario della morte di sua madre, ma era rimasto solo e forse era per quello che stava piangendo. Da quando, dopo quel giorno, il suo “migliore amico” Josh non si era più ripresentato a fargli compagnia, da quando aveva sofferto, anche troppo per lui, aveva preso una decisione importante, che ora si rivelava la più brutta della sua vita: aveva deciso di tagliare i contatti con il mondo, aveva deciso di costruirsi muri tutt’intorno e non far avvicinare nessuno. Invece di fare come tutti gli adolescenti, che odiano i propri genitori, lui si era costruito un rapporto speciale con sua mamma e lei l’aveva lasciato, senza nemmeno un biglietto, era uscita e si era buttata da un ponte. Non la biasimava, non la incolpava, dopo tutto ciò che aveva patito, si era stupito che non l’avesse fatto prima. Ma l’aveva fatta entrare nella sua vita, si era affezionato e poi l’aveva persa e ci era rimasto male.
E Josh, che si era mostrato tanto suo amico, era il suo migliore amico, l’aveva abbandonato proprio quando aveva bisogno. Non l’aveva visto piangere e aveva pensato che stesse bene, come se non fosse a conoscenza del rapporto con sua madre. Era sparito, nemmeno più un messaggio, nemmeno più uno squillo, neanche un cenno del capo per salutarlo quando aveva scoperto che anche lui si era dato allo spaccio. Josh era entrato nella sua vita e poi puff, era sparito, come se niente fosse, come se non avessero avuto neanche un ricordo insieme.
Ma forse bisogna partire da prima, bisogna partire da quando Michael era piccolo, da quando aveva solo tre anni. Forse bisogna partire da quando sua madre era tornata a casa in lacrime e non l’aveva nemmeno salutato e un bimbo piccino non capisce le cose dei grandi, non capisce che i suoi gridavano in quella cucina, quella sera, perché Karen aveva detto al marito di aver perso il lavoro. E un bambino di tre anni non capisce che suo padre se n’era andato perché “Non riusciva più a stare in quelle condizioni” e s’incolpa, Michael aveva pensato che fosse stato per colpa sua che suo padre li aveva lasciati in mezzo a dei casini che lui aveva creato, in mezzo ai debiti che sua madre aveva dovuto saldare andando a pulire i gabinetti negli autogrill.
Aveva capito che le persone non restano mai, le persone vanno via sempre, perché quando trovano di meglio, quando trovano una via più semplice, scelgono quello, e non si è mai quello. Perché ci sono state persone cattive che hanno fatto in modo di portagli via tutto ciò che aveva di più caro.
Questo gli aveva insegnato che non bisogna mai affezionarsi alle persone, gli aveva insegnato che è “Meglio soli che male accompagnati.”. Aveva capito che il motto della sua vita sarebbe stato “Tratta come ti trattano”, perché se avesse fatto avvicinare qualcuno, se ne sarebbe andato e l’avrebbe fatto soffrire, di conseguenza lui doveva far soffrire le persone, “Insomma “Prevenire è meglio che curare”, no?” aveva iniziato a pensare.
Perciò stava da solo a piangere sul suo letto, anche se avrebbe voluto che ci fosse qualcuno a stringerlo, qualcuno a consolarlo, qualcuno a fargli capire che non era davvero così solo come credeva, che c’era qualcuno ad amarlo. Ma era lui che si era ridotto in queste condizioni, di certo non avrebbe potuto fare nulla per cambiare le cose, era troppo tardi.
Quando il suo stereo cambiò da “Remembering Sunday” a “Lost in Stereo”, spalancò gli occhi e si asciugò le lacrime con il dorso della mano che reggeva l’ennesima sigaretta. Quando erano usciti Clary gli aveva detto che quella era la sua canzone preferita degli All Time Low: le faceva venire voglia di ballare, le faceva venire voglia di vivere, le sarebbe piaciuto che qualcuno gliela dedicasse. Ecco, Clary Cooks, un’altra persona che cercava di entrare nella sua vita, insieme a Luke Hemmings e Hilary McSenior. Gli sarebbe piaciuto tornare a sentire qualcosa, tornare a sentirsi amato e tutte quelle cose che ormai non ricordava più, ma che gli sarebbe piaciuto tornare ad assaporare. E forse avrebbe dovuto lasciarli entrare, lasciare che abbattessero i suoi muri, infondo si erano tutti impegnati molto per cercare di entrare nelle sue grazie.
Quel pensiero gli affollava il cervello, non solo aveva i ricordi con sua madre che lo tormentavano, ora ci si mettevano anche quei tre ragazzini. Ma, almeno, se avesse pensato a loro non si sarebbe rattristato ancora di più pensando alla sua mamma, che da un anno non faceva più parte della sua vita.
In quel momento il suo cellulare squillò; sbuffò e spense la musica che proveniva dalla cassa sul tavolino davanti al divano. Cercò poi, un po’ alla cieca, il telefono al suo fianco e quando lo trovò non seppe se rispondere o meno: lo schermo era illuminato dalla scritta “Papà”. Avrebbe dovuto rispondere? Doveva cercare di ignorarlo, l’aveva promesso a sua madre quando quella fatidica mattina erano andati a fare colazione insieme. Decise di accettare la chiamata, avrebbe sentito cosa quello stronzo avesse da dire e avrebbe deciso se parlare o meno.
«Michael?» chiamò il signore. Lui non disse nulla, se l’aveva chiamato sapeva benissimo la risposta. L’adulto sospirò. «So che non vuoi parlarmi, ma oggi è passato un anno dalla morte della mamma. Credi che io non abbia sofferto? Beh, ti sbagli.» disse piano l’uomo. Michael si fece scappare una risata, si faceva vivo un anno dopo con una scusa che non stava in piedi nemmeno con l’attacca-tutto. Non si era fatto sentire per sedici anni, si meravigliò addirittura che sapesse che Karen si fosse suicidata.
Chiuse la chiamata con un sorriso sghembo sulle labbra, non aveva intenzione di ascoltare altre bugie provenienti dalla bocca di quell’uomo spregevole che non aveva fatto altro che far soffrire l’unica donna che avrebbe fatto di tutto per lui. Cercò di essere positivo, almeno per una volta, e pensò che almeno era riuscito a sorridere in un giorno in cui pensava non l’avrebbe mai fatto.
Riaccese lo stereo, che partì con “Do You Want Me (Dead)” sempre degli All Time Low, e andò a prendere una birra nel frigorifero, l’ultima per la precisone. L’appoggiò sul tavolo e tirò fuori dalla tasca una canna già pronta, aveva scoperto che rollare nelle ore della Bailey poteva essere un passatempo più utile che dormire e più divertente che infastidire qualcuno. La accese e iniziò subito a rilassarsi, benedisse la marijuana e chi l’aveva scoperta nella sua testa. Non avendo ancora avuto il suo effetto vero e proprio, gli tornò in mente qualche giorno prima, quando aveva fumato con Clary. Si erano divertiti e lei si era rivelata una ragazza tutta da scoprire, per quello che lo riguardava. Era una di quelle persone che si preoccupa un po’ per tutto, ma non del giudizio degli altri. Pensò a quando l’aveva convinta a tingersi i capelli e, doveva ammetterlo, le stavano proprio bene, era una bella ragazza e quel colore che aveva scelto per le sue meches le donava al massimo.
Ma ecco che l’erba aveva fatto il suo effetto e unicorni colorati presero a correre per casa sua, altri cavalli alati iniziarono a volteggiare sul suo soffitto. Si trascinò sul letto e vi si accasciò, fissando il soffitto con un sorriso ebete sulle labbra.
Finì per addormentarsi e fece un sogno al quanto strano. Erano nel soggiorno di un appartamento con le pareti arancioni e un freddo pavimento di marmo banco, su cui erano seduti lui, Clary, Luke e Hilary in cerchio. Ognuno aveva una birra al proprio fianco e lui aveva di fronte la ragazza castana, alla sua destra la bionda e alla sua sinistra l’altro ragazzo.
«Ragazzi, che ne dite di fare un gioco?» propose e gli altri annuirono, ridendo, probabilmente erano tutti ubriachi fradici. «Facciamo girare la bottiglia e chi capita dalla parte del collo deve dire una cosa che ama della persona dalla parte del fondo.» disse ridacchiando. Fecero quindi girare la bottiglia e toccò a lui dire qualcosa su Clary.
«Uhm, mi piacciono i suoi capelli, quelle meches sono perfette!» disse ridendo e prendendo un sorso dalla sua bottiglia. La ragazza si voltò e prese un cuscino dal divano, che gli lanciò addosso e lo colpì in piena faccia. Ripeterono lo stesso procedimento e toccò a Hilary dire qualcosa su Luke.
«Mi piacciono le sue labbra.» disse. Prese quindi un lungo sorso dalla bottiglia verde e chiuse gli occhi. Quando li riaprì si trovò Luke a pochi centimetri dal suo viso; gli mise una mano sulla nuca e lo attirò a sé. Lui iniziò a baciarla con foga e caddero entrambi stesi sul pavimento.
«Okay, okay, ragazzi. Un po’ do contegno, per favore!» li richiamò Michael, che fece girare di nuovo la bottiglia. Clary dovette dire qualcosa sul ragazzo dai capelli verdi e arrossì di colpo.
«Mi piace il modo in cui le sue labbra si posizionano intorno a qualcosa, come le sigarette o quella bottiglia.» disse, indicando con il vetro verde il ragazzo che stava bevendo, che per poco non sputò tutto quel liquido. Presero tutti a ridere e con quella scossa Michael si risvegliò dal suo sogno. Era completamente sudato, ma si girò dall’altro lato e continuò il suo pisolino.
 
Notes
MACCIAO BELLE BIMBE!
No okay, dopo questa devo ritirarmi lol. Come vi va la scuola? Io sopravvivo, eh.
Allora, per prima cosa, vorrei dire che questo capitolo non ha una canzone sola ma cinque (sì, sono un po’, lo so).
La prima è quella del titolo, che sarebbe “Walls” degli All Time Low, che trovo sia assolutamente adatta per Michael uu.
Poi abbiamo “Your Forgiveness” dei miei amati An Honest Year e non ha proprio un perché, diciamo.
Abbiamo “Remembering Sunday” ancora degli All Time Low, parla di un suicidio, perciò mi sembrava adatta per la storia della mamma di Michael, e spiego anche una cosa del capitolo, un piccolo dettaglio: avevo detto che era morta in un incidente stradale, questo mi sembrava la cosa più simile, perché in realtà avevo già in mente il suicidio, perciò era perfetta insomma.
Troviamo “Lost in Stereo” sempre degli All Time Low, che non parla di nulla in particolare, ma è una delle mie canzoni preferite di questa band e mi farebbe davvero piacere che qualcuno me la dedicasse, e visto che Clary sono io, è così uu.
Infine c’è “Do You Want Me (Dead)” di nuovo degli All Time Low (si è capito che li amo? No? Beh, li amo lol), ha un ritmo coinvolgente, perciò mi sembrava perfetta per quel pezzo di capitolo, lol.
Abbiamo dei piccoli flashback, che servivano a svelare il passato di Mikey ea far capire perché si è costruito questi muri e un po’ tutto alla fine, no?
Quanto mi sto dilungando, me ne vado, me ne vado!
Sotto lascio i soliti links uu.
Alla prossima,
@cliffordsarms

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** The Flavor of Your Lips is Enough to Keep Me Pressing ***


Image and video hosting by TinyPic

The Flavor of Your Lips is Enough to Keep Me Pressing
 
She said to me:
"Forget what you thought,
'Cause good girls are bad girls that haven't been caught.
So just turn around and forget what you saw,
'Cause good girls are bad girls that haven't been caught."
 
Ancora una volta era in piedi nell’ingresso di casa sua, continuando a fare avanti e indietro per cercare di capire se i tacchi alti neri le dessero fastidio. Si fermava poi davanti allo specchio e si lisciava il vestito del medesimo colore delle scarpe, si guardava un po’ e cercava di capire come le stessero i capelli, sistemava il cerchietto di perle banche che indossava sulla testa.
Il trillo del campanello la fece sussultare tanto che quasi cadde a terra; con il fiatone aprì la porta e vide Luke davanti a lei, con i suoi soliti jeans che gli facevano da seconda pelle e una camicia bianca, che contrastava il nero che ricompariva anche nella sua giacca di pelle. Si mordicchiò il labbro alla vista del suo migliore amico in quelle condizioni, era molto attraente, non poteva certo negarlo.
Il biondo buttò la sigaretta che stava fumando a terra, lasciando uscire il fumo dalle sue labbra, che creò una nuvoletta di un colore simile al bianco grigiastro, illuminata dal chiarore dei lampioni e della luna.
Lo squadrò ancora una volta e notò che indossava le sue solite All Stars nere, mentre lei chi voleva prendere in giro con quei vertiginosi tacchi su cui sapeva camminare a malapena nonostante avesse passato l’ultimo quarto d’ora a fare avanti e indietro nel suo ingresso? Aprì di più la porta, fuggendo poi su per le scale, lasciando l’amico con un’espressione abbastanza interrogativa stampata sul viso. Ricomparì pochi minuti dopo, ai piedi le sue Converse nere come la pece, si sentiva molto meglio.
Sorrise al biondo, che si avvicinò e le cinse la vita, lasciandole un bacio sulla testa. Clary afferrò la sua solita borsa nera e strillò alla madre che sarebbero andati a una festa. Appena fuori la porta si accese una sigaretta e cercò di rilassarsi.
Era in panico totale perché sapeva che quella non era il genere di feste alle quali andavano di solito, era una festa in una discoteca in periferia, dove Clary sapeva chi avrebbe potuto incontrare: Michael. C’era una buona percentuale di probabilità che lui sarebbe stato a quella festa a spacciare. Aveva capito di cosa parlasse il ragazzo da capelli verdi quando, il mercoledì appena passato, aveva detto a quel Josh di andare a prendere “la sua scorta”. Era così ovvio, perché non ci era arrivata prima? Non diciamo bugie, Michael le aveva rivelato del suo lavoro mentre era fatto, a intuito lei non ci sarebbe mai arrivata. Giustamente, quando l’aveva scoperto, si era detta di andare con Luke a una di quelle feste in periferia in cui, nonostante ci siano ubriaconi e fattoni, c’è da vestirsi bene, perché altrimenti non ti fanno entrare.
Presero perciò un treno che li portò a pochi passi da quella discoteca e, per loro fortuna – più di Clary che di Luke –, il buttafuori li giudicò abbastanza eleganti da farli entrare.
Appena dentro perciò lei si fiondò al bancone del bar, accaparrandosi uno sgabello su cui rimase immobile per una buona mezz’ora, cercando di finire il suo drink con tutta la calma possibile, nonostante l’ansia – che si era insediata dentro di lei – di non trovare il suo amato ragazzo dai capelli verdi. Intanto Luke cercava di fare colpo su qualche ragazza, strusciandosi a destra e a manca. Clary aveva perso il conto di quante ragazze il biondo avesse baciato nell’ultima mezz’ora. Le veniva da ridere, perché lui era sempre stato un ragazzo timido, di quelli che non riescono ad approcciare le ragazze con tutta quella nonchalance che stava adottando lui in quel momento.
Qualcuno le poggiò una mano sulla spalla e si avvicinò al suo orecchio, soffiandole sul collo. Rabbrividì al respiro caldo di quello sconosciuto e arrossì fortemente. Ringraziò le luci della discoteca che impedivano di vedere a quel qualcuno il color pomodoro che le sue guance avevano assunto. Chiunque fosse inspirò il suo odore fortemente, per poi soffiarle nuovamente sulla pelle, un po’ più vicino all’orecchio questa volta.
«Odori di nicotina, ti andrebbe di provare qualcosa di un po’ più forte?» le sussurrò nel padiglione auricolare lui. Lei si girò di scatto, riconoscendo quella voce.
«Michael!» esclamò, alzandosi dallo sgabello. Fu costretta a mordersi ancora il labbro, questa volta con la voglia di strapparselo alla vista di così tanta sensualità.
Il più grande indossava, anche lui, un paio di jeans neri skinny – dello stesso stile “seconda pelle” di Luke – e una camicia nera, con le maniche risvoltate al gomito. Portava anche lui le sue All Stars nere, che sembravano continuare i pantaloni, che gli abbracciavano le gambe, facendo risaltare quella magrezza che metteva un po’ in soggezione Clary, si sentiva quasi in competizione. Era un dettaglio che non aveva mai notato, ma che quella sera, avendolo squadrato per assicurarsi che si trattasse di lui, le era saltato all’occhio.
«Ma che ci fai tu qui, ragazzina?» esclamò quasi arrabbiato, voltandosi e camminando via, verso una porta che conduceva all’esterno. Era stupito, non si sarebbe mai aspettato di trovarsela lì, nonostante la sua compagnia ormai non gli desse alcun fastidio.
Lo seguì fuori e si richiuse la porta alle spalle, si sedettero sulla ringhiera del soppalco e lui le offrì una sigaretta. Poco dopo uscì anche Luke, che aveva seguito la sua amica, non avendo capito chi lei stesse seguendo e, quando vide Michael, rimase un po’ interdetto, senza sapere cosa fare, cosa dire, come comportarsi.
Sperò che non l’avessero sentito e stava per tornare dentro, lasciandoli soli, ma il rumore della porta che si chiudeva aveva ovviamente attirato l’attenzione dei due ragazzi seduti sulla ringhiera.
«Vieni, Luke, non ti mangio mica.» disse scherzosamente il ragazzo dai capelli verdi. Aveva pensato che il biondo potesse avere un po’ paura di lui, visti i precedenti avvenimenti.
Si avvicinò quindi alla ringhiera e vi appoggiò le braccia, piegandosi leggermente in avanti. Clary gli passò la sua sigaretta, che lui accettò e si passò una mano tra i capelli, per ravvivare il suo ciuffo che con l’umidità del sudore si era un po’ afflosciato.
«Non mi avete ancora detto cosa ci fate qui.» disse Michael, buttando il mozzicone a terra. La ragazza si strinse un po’ nelle spalle, mentre Luke voltò il capo verso di lei, aspettando anche lui una risposta. Lei non gli aveva detto nulla, l’aveva solo informato che sarebbero andati a una festa e che avrebbe dovuto vestirsi meglio del solito, tutto qui, nessun dettaglio particolare.
«Coincidenze.» disse piatta, abbassando lo sguardo sulla sua pancia. «Avevo sentito di questa festa e ho deciso di venire, per cambiare un po’.» chiarì vagamente. Michael le sorrise debolmente, Luke fece spallucce, spostando lo sguardo sul ragazzo dai capelli verdi.
Il più grande scese con un salto dalla ringhiera e si posizionò di fronte a Clary, mettendole le mani sulle ginocchia e facendosi spazio tra le sue gambe. Le fece segno con una mano di abbassarsi un po’ e lei ubbidì. Lui si mise in punta di piedi, per riuscire a raggiungere il suo orecchio.
«Che ne dici se offriamo a Luke qualcosa di meglio di una sigaretta?» le sussurrò, facendo poi un sorriso sghembo quando rimise i talloni a terra. Il biondo aveva osservato quella scena sentendosi di troppo, i due avevano agito come se tra loro non ci fosse mai stato quel rapporto di odio che invece li aveva caratterizzati per tutto il corso del precedente mese. Quando Michael si era avvicinato così pericolosamente alla sua amica aveva perciò voltato la testa dall’altra parte, cercando di lasciare ai due il loro spazio, ma quando aveva capito che non si sarebbero baciati era tornato a guardarli.
Il ragazzo dai capelli verdi si era allontanato dalla castana, mettendosi la mano in tasca e tirando fuori due canne già rollate e pronte all’uso. Ne passò una a Clary e l’altra la tenne tra le sue dita; entrambi accesero lo stecchetto sotto lo sguardo spaventato e preoccupato di Luke, che non capiva perché la sua migliore amica stesse facendo una cosa del genere, una cosa che lei non avrebbe mai fatto.
I due lasciarono entrambi uscire delle spesse nuvole di fumo, illuminate dalla luce attaccata alla parete del palazzo. Clary poi offrì la sua canna all’amico, che la prese tra le mani titubante.
«Dai Luke, non fare il santarellino!» esclamò lei, scendendo dalla ringhiera e avvicinandosi a Michael, che le sorrise complice. Il biondo mise lo stecchetto tra le labbra e guardò gli altri due con sguardo supplichevole. I due gli fecero segno di muoversi.
Mentre Clary prendeva dalle mani di Michael la sua canna, Luke era riuscito a fare qualche tiro e ora non si riconosceva più quale dei due stecchetti fosse appartenuto prima a chi.
Terminarono entrambi i cilindretti di marijuana e mentre questa faceva effetto, tornarono nel locale. Presero tutti e tre un alcolico che ampliò e velocizzò la diffusione dell’erba nel loro sangue. Bastò aggiungere la musica alta e le luci stroboscopiche e il gioco era fatto, letteralmente. Tutti e tre i ragazzi erano completamente fuori.
Si lanciarono in mezzo alla pista a ballare, o meglio a strusciarsi, con varie persone. Michael si attaccava a ogni ragazza che entrasse nel suo campo visivo, bella o brutta che fosse; Clary si avvicinava a ogni ragazzo almeno decente che riuscisse a individuare; Luke continuava quello che stava facendo prima, baciando un numero indefinito di ragazze.
In poco tempo i due maschi si trovarono a strusciarsi contro Clary e, tutti e tre insieme, si trovarono a formare un sandwich al centro della pista, con la castana in mezzo che non poteva certo negare di sentirsi perfettamente bene in quel momento.
Si voltò, in modo di essere di fronte a Luke. iniziò a fissarlo negli occhi e lui fece lo stesso. Michael li aveva lasciati soli, andando a impegnare le sue labbra con un’altra ragazza sconosciuta.
Lo sguardo di Clary compiva un tragitto più lungo che solo fino agli occhi del biondo, infatti oscillava tra le sue iridi e le sue labbra carnose. E lo stesso faceva lo sguardo di Luke, che si mordicchiava il labbro, cercando di trattenersi.
Le afferrò la vita, trascinandola ancora più vicina, se possibile, e iniziarono a danzare tenendo le loro fronti una contro l’altra. Lui si abbassò, lasciandole piccoli baci a fior di labbra, come per invogliarla a proseguire.
Clary decise di prendere il controllo della situazione: afferrò con una mano il colletto della camicia del biondo, facendolo avvicinare di più alle sue labbra, poi lo lasciò e, mettendo la stessa mano sulla sua nuca, lo spinse contro le sue labbra. Approfondirono sempre di più il bacio, lasciando che le loro lingue s’intrufolassero l’una nella bocca dell’altro.
Continuarono così finche Clary non sentì la vibrazione del telefono di Luke nella tasca dei suoi jeans. Si staccarono e, controvoglia, il biondo tirò fuori il cellulare e notò che era un messaggio di sua madre:
“Dove siete? Siete in ritardo, tornate immediatamente!” senza nemmeno la firma, questo significava che era davvero molto arrabbiata.
I due si guardarono e capirono che sarebbe stato meglio andarsene davvero, prima di beccarsi una sgridata di dimensioni colossali. Le loro mamme non sapevano nulla di dove si trovassero e, di certo, se avessero scoperto che avevano fumato qualcosa di più pesante delle sigarette, li avrebbero minacciati di non farli più vedere, o qualcosa del genere. In realtà non sapevano nemmeno cosa aspettarsi dalle prediche o dalle punizioni che i loro genitori avrebbero potuto dargli, non era mai capitato, erano sempre stati perfetti in questo.
Si guardarono intorno in cerca di Michael e quando lo guardarono, lo trovarono attaccato alle labbra di una ragazza riccia, troppo impegnato per andare a disturbarlo. Quando si staccò per un secondo gli fecero un saluto con la mano, che lui ricambiò con un cenno del capo, e andarono al guardaroba per riprendere la giacca e la borsa di Clary.
Salirono perciò in treno e Luke si avvicinò a lei pericolosamente, come se non ne avesse avuto abbastanza. La castana si lasciò dare un bacio a fior di labbra ma, quando il biondo stava per approfondire, lo spinse via.
«Luke… dimentichiamoci di questa cosa, okay? È stata tutta colpa della canna, noi… noi non vogliamo questo, lo sai, vero?» disse senza aver il coraggio di guardarlo in faccia, volgendo perciò la sua concentrazione al paesaggio scuro che scorreva veloce fuori dal finestrino, illuminato flebilmente solo dai lampioni che costeggiavano la ferrovia.
Il biondo annuì e si spostò nel sedile di fronte a lei, osservando anche lui fuori dal vetro. Clary aveva ragione, loro erano solo migliori amici, a lui piaceva Hilary e a lei piaceva Michael. Continuava a ripetersi questo nella sua mente, nonostante il sapore di nicotina mista a qualche alcolico delle labbra della ragazza gli scorreva ancora in bocca.
 
Notes
HEY HEY HEY
Finalmente i tanto attesi Cluke moments! Siete felici? Spero di sì, non erano previsti, ma volevo accontentare le mie lettrici. Non fatevi troppi film mentali, però! Dovete continuare a shippare Michael e Clary!
Come dice lei, è solo colpa dell’erba se si sono baciati, uu.
Io spero di non aver ucciso nessuno con le descrizioni di Michael e Luke, insomma capite, non è roba di tutti i giorni vedere MiCHAEL E LUKE CON LE CAMICIE, NO?
Il titolo è una frase di “Coffee Shop Soundtrack” degli All Time Low, ma in realtà la canzone non c’entra con la storia, era solo quel verso che combaciava perfettamente col capitolo lol.
E invece la canzone di questo capitolo è, finalmente, “Good Girls” dei nostri amati 5 Seconds of Summer! Ovviamente ci seguirà per qualche altro capitolo, la Fanfic è ispirata a quella!
Scappo, devo fare i compiti di latino, qualcuno che ha voglia di farlo al mio posto? Nessuno? No eh? No, okay.
Sotto ci sono i soliti linkssss (lol).
Alla prossima,
@cliffordsarms

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Never Before ***


Image and video hosting by TinyPic

Never Before
 
And I'm just like cellophane
'cause she sees right through me,
I know, she's glitter and gold.
 
Era passato ormai un mese, un mese in cui Michael e Clary avevano smesso di odiarsi, un mese in cui Luke e Hilary erano riusciti a uscire qualche volta e forse a baciarsi anche.
Di loro due non si sapeva nulla, il biondo non era riuscito a parlarne con la sua migliore amica, era sempre troppo impegnata a uscire con il ragazzo dai capelli verdi, quel ragazzo che ormai non faceva più paura all’intera scuola.
Michael era molto cambiato in questo mese, sorrideva spesso, non incuteva più terrore, era più socievole, non guardava più le persone dall’alto al basso. Ma non era l’unico a essere cambiato.
Clary, la dolce, piccola, indifesa Clary, non era più quella ragazzina che si chiudeva in biblioteca a studiare, sempre puntuale, sempre con il biglietto del treno, che non disubbidiva mai. Era diventata amica di Michael Clifford e questo l’aveva cambiata molto. Non fumava più solo sigarette, ma ogni volta che usciva con Michael, si dividevano una canna; non andava più alle feste solo con Luke, solo in centro, nei locali più fashion, ma andava tutti i sabati nelle feste di periferia dove il ragazzo dai capelli verdi spacciava.
Insomma, quella “good girl” che tutti prendevano in giro, era diventata una “bad girl” e le persone avevano quasi paura a rivolgerle la parola.
Ma non era l’unica a essere passata dalla parte dei “cattivi”, Luke, anche lui, uscendo spesso con Michael – non tanto quanto Clary – aveva iniziato a fumare qualche canna, a fare qualche sgarro alle regole, aveva iniziato a comportarsi di più come Michael, e questo, probabilmente, era il motivo per cui Hilary era caduta i suoi piedi.
Hilary, invece, si era rivelata tutto il contrario di quello che sembrava. Avevano sempre creduto che fosse una di quelle ragazze come la vecchia Clary, anzi ancora più precisina. In realtà era una ragazza con tanti amici, amava divertirsi, uscire, bere, fumare, ma non sigarette. Quando Michael le aveva fatto provare una delle sue sigarette era stata la prima volta con il tabacco, era più che abituata all’erba. Questo a Luke piaceva, molto. Gli piaceva quella vena di coraggio – o pazzia – che quella biondina dal viso angelico aveva in corpo: era sempre pronta a provare cose nuove, il biondo pensava che se avesse avuto la possibilità di fare bunjee jumping dal Big Ben l’avrebbe fatto. Lei finiva sempre per trascinarlo in cose di questo genere, tanto che una volta era riuscita a convincerlo ad andare a nuotare nel Tamigi.
Anche quella sera Hilary aveva deciso di sperimentare qualcosa di nuovo. Nonostante avesse avuto qualche fidanzato, nessuno l’aveva mai portata in un ristorante ed era riuscita, non si sa come, a convincere Luke a sperimentare. Perciò lei era seduta sul divano in un tubino nero senza spalline, lungo all’incirca fino a metà coscia, tacchi vertiginosamente alti neri, poshette del medesimo colore. Indossava delle calze color carne che era stata obbligata ad indossare, visto il gelido novembre londinese. Controllò l’orario sull’orologio a pendolo appoggiato sopra il mobile della tv: Luke sarebbe arrivato tra dieci minuti, si alzò perciò e mise il suo piumino grigio scuro e il beanie abbinato.
Anche Clary aveva un “appuntamento” con Mike quella sera. Più che un appuntamento, si potrebbe definire un’uscita a caccia di qualcuno cui vendere della roba. Ormai anche lei era praticamente entrata nel giro dello spaccio. Accompagnava il ragazzo nelle discoteche e, con un po’ di sensualità, riusciva a convincere anche i più bravi ragazzi a comprare un pacchetto di marijuana. In cambio prendeva una piccola percentuale dalla parte di Michael. Per quest’uscita aveva un piano per far cambiare alcune cose e, per l’occasione, aveva deciso di indossare i pantaloni di pelle neri che aveva comprato non si ricordava nemmeno quando, ma sicuramente in un momento di follia. Sopra aveva abbinato un corpetto nero abbastanza scollato – anche se “esageratamente scollato” forse sarebbe più chiaro – e, ovviamente, i suoi tacchi neri su cui ormai aveva imparato a camminare. Aveva chiuso il piumino e indossato il beanie, entrambi dello stesso colore del suo outfit. Si assicurò che la porta fosse chiusa a chiave e aprì la finestra.
Luke era davanti allo specchio nell’ingresso di casa sua, si sistemò il colletto della camicia un’ultima volta e si chiuse il cappotto. Uscì e s’incamminò per la via, passando davanti alla casa di Clary, davanti alla quale vide una figura conosciuta ma strana.
Si avvicinò, notando che la finestra della stanza della sua migliore amica era aperta e la luce all’interno accesa. Un’ombra iniziò a uscire da lì e lui riconobbe che quell’ombra era proprio Clary. Capii quindi che la “strana figura” era proprio Michael. Fece alcuni passi indietro, allontanandosi dalla luce del lampione, cercando di restare nell’ombra.
Quando la ragazza mise in piedi per terra per poco non cadde, ma il ragazzo dai capelli verdi la prese tra le sue braccia. Gli scappò un sorrisetto, sia per la goffaggine che la sua migliore amica assumeva in quei tacchi, sia per la scena materializzatasi davanti i suoi occhi.
«Clary.» chiamò avvicinandosi. La ragazza, che era presa a perdersi negli occhi del ragazzo tra le cui braccia stava, si staccò e si voltò, riconoscendo la voce del suo migliore amico.
«Luke, io… ehm, non dirlo a mamma e papà, ti prego.» disse stringendosi nel cappotto. Sapeva che quello che aveva fatto era sbagliato, ma aveva un piano in mente. Michael si avvicinò a loro e mise un braccio attorno alla vita di Clary.
«Dove state andando?» chiese freddo Luke, incrociando le braccia sul petto. A quel punto la ragazza stette per dire qualcosa, ma fu interrotta.
«Dove vai così elegante?» intervenne Michael. Sperò di riuscire a sviare il discorso, anche se sapeva che non era così stupido, il biondino.
«Ho fatto prima io una domanda, non impicciarti Clifford.» quello che disse provocò una reazione che Clary pensava non appartenesse più al ragazzo che le stringeva la vita.
Michael perse il contatto con la ragazza e si avvicinò pericolosamente a Luke. Gli intimò qualcosa che lei non riuscì a captare, ma il biondo le lanciò uno sguardo e si congedò, continuando per la sua strada verso casa McSenior.
Quando arrivò, inviò un messaggio a Hilary per avvertirla, così lei scese e percorse il vialetto che la portò tra le braccia di Luke. Lui, infatti, appena lei uscì dal cancello, l’abbracciò, lasciandole un bacio sulla testa. Poi le prese la mano e, a piedi, si avviarono verso il ristorante che lui aveva scelto per il loro appuntamento.
Arrivati, si fecero accompagnare al tavolo riservato a “Mister Hemmings”, come l’aveva definito il direttore di sala all’ingresso. Quest’espressione aveva fatto arrossire e sorridere imbarazzato il diretto interessato e questa sua reazione, a sua volta, aveva fatto scappare un risolino alla bionda con lui, che si era coperta la bocca, per non sembrare scomposta.
Giunti al tavolo il biondo l’aiutò a togliere il cappotto e le spostò la sedia, riavvicinandola poi al tavolo. Cercò poi di sedersi compostamente, senza sembrare goffo ma tutto ciò lo fece risultare ancora più imbranato, stette anche per cadere della sedia, avendola spostata troppo indietro. Guardando il lato positivo, almeno aveva fatto ridere Hilary. La ragazza infatti era scoppiata in una risata, che aveva contagiato anche il ragazzo alla fine, ma rimaneva composta ed elegante, come se fosse a suo agio a stare in quel luogo, nonostante avesse detto di non essere mai stata in posti del genere.
Quando il cameriere arrivò per fargli ordinare, Luke si rese conto di non aver dato nemmeno uno sguardo al menù. Per evitare di fare la figuraccia che nella sua mente si era proiettata, decise di aggrapparsi alle scuse dei film che aveva spesso visto con Clary.
«Prendo anch’io quello che prende lei.» disse, con la voce un po’ tremolante, e sorrise prima al cameriere e poi alla bionda di fronte a lui.
«Non pensavo fossi tipo da escargot, Luke.» disse lei, appoggiando il mento sulle mani e sporgendosi in avanti.
«Escargot?» esclamò, alzando di colpo la testa. «A-abbiamo preso escargot? C-cioè lumache?» balbettò in preda al panico. “Proprio come nei film, bravo idiota!” pensò passandosi una mano in viso, esasperato. Hilary rise di gusto.
«No, scemo, abbiamo preso una semplice tagliata di carne.» disse sorridendogli calorosamente. «Luke, rilassati.» cercò di rassicurarlo. Lui fece un sospiro di sollievo e le sorrise timidamente.
Quando finirono di cenare e il biondo dovette pagare il conto, per poco non ebbe un mancamento, perciò benedisse i suoi per avergli prestato la carta di credito per quell’”occasione importante”.
Uscirono con ancora la bottiglia di vino in mano: non avendola terminata durante il pasto, Hilary se l’era nascosta sotto il cappotto ed era riuscita a portarla fuori, «Con tutto quello che ti è costato, è uno spreco non portare via quello che è avanzato!» gli aveva detto.
Mentre erano seduti a quel tavolo avevano parlato del più e del meno, solite domande per conoscersi meglio, nonostante si frequentassero da ormai un mesetto abbondante. Nella mente di Luke, però, riecheggiavano i ricordi di una conversazione in particolare.
«Posso confessarti una cosa?» gli aveva chiesto lei, concludendo la risata di una precedente battuta e facendosi abbastanza seria da far allarmare un pochino il biondo, che si era limitato ad annuire.
«La prima volta che sono venuta a casa tua, per le ripetizioni, tua madre mi avrebbe voluta mandare via dopo dieci minuti.» disse lei, abbassando lo sguardo. Lui sbiancò in volto, come aveva potuto sua madre fare una cosa simile? Era stata così maleducata! Appena tornato a casa gliele avrebbe cantate, eccome se l’avrebbe fatto!
«Ma mi ha fatta restare lo stesso, perché “comprendeva il motivo per cui ero venuta a ripetizioni.”» disse ridendo. E Luke rimase confuso in quel momento, ma quando furono fuori dal ristorante e ci ripensò, capì cosa intendesse.
«Quindi hai voluto ripetizioni di matematica solo per stare con me?» le chiese quindi ridendo, prendendola sottobraccio, mentre passeggiavano per Covent Garden. Lei rispose affermativamente ridendo.
Passeggiando per le vie di Londra, passarono davanti a un negozio di piercing e tatuaggi con ancora le luci accese, nonostante l’ora di chiusura fosse ormai passata da un pezzo. Luke si soffermò davanti alla vetrina a osservare le foto di quei modelli di una di quelle cose che avrebbe voluto da sempre, mentre si masticava il labbro come fosse una gomma da masticare.
Hilary si accorse ed entrò nel negozio. Il biondo, da fuori, la sentì chiedere informazioni, addirittura pregare perché il proprietario, che stava facendo l’inventario, facesse un buco al suo amico. Alla fine riuscì a convincerlo e si affacciò dalla porta d’ingresso per invitarlo a entrare.
Lo prese in disparte, in un angolo della sala, mentre un ragazzo tatuato e palestrato, con piercing di vari tipi in faccia, preparava l’occorrente. Gli si avvicinò e gli lasciò un bacio all’angolo della bocca.
«Dove lo vuoi questo piercing allora?» gli sussurrò all’orecchio. Il proprietario fece finta di non vedere e li lasciò fare, sperando che si sarebbero sbrigati in fretta, perché lui sarebbe voluto andare a casa a riposarsi.
Luke si avventò sulle labbra della bionda e la baciò appassionatamente, trattenendo il suo labbro inferiore tra i denti. Il tutto fu interrotto dal ragazzo che fece un colpo di tosse, estremamente finto, che li richiamò all’ordine.
«Allora, rubacuori, dove vuoi che ti faccia un bel buco?» disse sorridendogli il proprietario del negozio, mentre lui si accomodava sulla poltrona verde sbiadito – che gli ricordava molto quella del dentista.
Si accordarono per un Labret con l’anellino nero sul lato del labbro inferiore. Quando ebbero finito ed ebbe pagato, prese per mano Hilary e uscirono dal negozio, ringraziando e scusandosi per l’orario.
«Ti ha fatto male?» chiese la ragazza, mentre si avviavano verso casa McSenior.
«Ora fa un po’ male, ma passa.» disse sorridendole. Lei si fermò e l’attirò a sé, baciandogli delicatamente le labbra.
«Ora va molto meglio.» disse lui, guardandola negli occhi e perdendocisi un po’. Lei gli sorrise sinceramente e lui non poté resistere a stare ancora lontano da quelle labbra che lo chiamavano.
Arrivati davanti al cancello di quell’enorme villa, Hilary citofonò e, mentre aspettava che i suoi le aprissero, si allontanò dal videocitofono. Luke la prese e le fece sbattere delicatamente la schiena contro il muro di mattoni gialli. Premette il suo forte corpo contro quello fragile della bionda, facendoli aderire. La baciò con tutta la passione che aveva in corpo, approfondendo lasciando che le loro lingue si cercassero.
Dimenticandosi del piercing che il ragazzo aveva appena fatto, Hilary gli morse il labbro e lui si lasciò uscire un gemito di dolore. Lei si allontanò di scatto, ripetendo la parola “scusa” circa un centinaio di volte nel giro di due secondi.
Ripreso da dolore le sorrise e le disse di non preoccuparsi, ma lei non ne voleva sapere di tacere. Così la baciò di nuovo, ma furono interrotti dalla Signora McSenior che reclamava sua figlia dall’uscio di casa.
Luke salutò Hilary con un bacio sulla guancia e si diedero appuntamento al lunedì successivo a scuola. Salutò perciò anche la madre della ragazza, urlando per farsi sentire dalla distanza che l’enorme giardino produceva tra loro.
Si avviò perciò verso casa sua, giocando con il suo nuovo piercing e avendo forse un po’ di paura di quello che i suoi genitori avrebbero potuto dirgli o fargli alla vista di esso. Ma quando arrivò, i suoi erano già andati a letto e perciò si mise anche lui sotto le coperte. Si addormentò pensando alla sua, ormai, ragazza Hilary, con un sorriso ebete stampato sulle labbra.
 
Notes
GUARDATE CHI E’ TORNATAAAA
Vi prego di scusarmi, per favore, vi scongiuro. Perdonatemi per queste due settimane di ritardo, sono in ginocchio sui ceci.
Dovete scusarmi, non solo per il ritardo, ma anche per questo capitolo estremamente schifoso, se volete mandarmi a fanculo nelle recensioni, potete, se volete dirmi che questo capitolo fa vomitare, fatelo, accetto tutte le critiche possibili e immaginabili.
Ho avuto mille cose per la testa che mi hanno fatto scordare tutte le idee che avevo per questa storia, per questo capitolo, tutto ciò mi ha procurato anche un blocco, mi credete se vi dico che aprivo il documento e lo richiudevo perché proprio non avevo nulla per la testa?
A questo proposito, voglio ringraziare la mia Wendy Donut, @bluemmings, che mi ha assistita e aiutata a ritrovare l’ispirazione, grazie amore mio <3
Paaarlando del capitolo! So che fa schifo, come dicevo sopra, perdonatemi.
All’inizio c’è diciamo un sommario, un riassuntino di un piccolo salto temporale. Poi abbiamo il pezzo di Clary e Michael, ispirato al testo di “Good Girls” dI CUI SONO USCITI EP E VIDEO E, OSSIGNUR, VOGLIAMO PARLARE DEL VIDEO? MEGLIO DI NO CIÀ.
Btw, Hilary e Luke, vi prego, ditemi che li shippate quanto me, sono troppo cariniwefgwe.
Quel piercing al labbro Luke, mannacc a te.
Io voglio anche ringraziarvi, molto velocemente, perché come solito mi dilungo troppo.
Voglio ringraziarvi per le 1065 visite al primo capitolo e per le 87 recensioni totali, voglio ringraziare le 14 preferite, le 8 ricordate e le 30 seguite, siete tutte degli amori, davvero, grazie infinite. <3
La canzone di questo capitolo è “Lost in Stereo” degli All Time Low.
Vi lascio, ho la cucina da sistemare, sotto i soliti linksss. (:
Alla prossima,
@cliffordsarms

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Thanks For The Memories ***


Image and video hosting by TinyPic

Thanks For The Memories
 
A pair of frozen hands to hold,
Oh, she's so southern so she feels the cold,
One moment I was tearing off your blouse,
Now you're living in my house,
What happened to just messing around?
 
Le luci stroboscopiche della discoteca facevano sembrare i movimenti delle persone come divisi in scatti, all’inizio le avevano fatto girare la testa, ma, quando si era abituata, aveva iniziato a ballare, cercando di attirare più persone possibili a lei, per riuscire a vendere loro qualcosa.
Si avvicinò al bancone del bar, dove Michael teneva nascosta la scorta. Prese un paio di sacchetti da mettere nel reggiseno e si accinse ad andare in bagno. Fu fermata dallo stesso ragazzo, che la prese per il braccio e la tirò indietro.
«Devo solo andare in bagno!» gli urlò – cercando di sovrastare il volume della musica – fulminandolo con lo sguardo; lui la guardò interrogativo, indicando con un cenno della testa il suo seno.
«Voglio provare a vendere qualcosa anche lì, è sempre pieno di gente.» si avvicinò al suo orecchio questa volta; lui scosse la testa, non l’avrebbe di certo lasciata andare in bagno da sola, non si sa mai chi si può trovare a quelle feste.
«Ti accompagno.» le mimò con le labbra, o forse lo disse a voce alta, ma il volume della musica era troppo alto e Clary non sentì nessuna voce.
Andarono perciò insieme e nell’anticamera si divisero. Michael l’aspettò lì, vendendo alcuni pacchetti a qualche ragazzo troppo ubriaco per capire quello che stesse facendo; sul suo volto si era stabilizzato un sorrisetto sghembo, quasi un ghigno. Trovava esilarante il fatto che certi ragazzi potessero ridursi così male con gli alcolici da non accorgersi nemmeno di star comprando della marijuana. Dentro di sé rideva – anche se, forse, in una parte piccola, minuscola e remota del suo cuore, era un po’ dispiaciuto –, e anche di gusto, per quei poveracci.
Si appoggiò al muro e aspettò pazientemente la ragazza, che stava iniziando a impiegarci troppo tempo. Guardò l’ora sul cellulare: la discoteca avrebbe chiuso di lì a poco e la stava aspettando fuori dal bagno delle signore da ormai venti minuti.
Una ragazza in quel momento si affacciò alla porta e si guardò un po’ intorno; quando il suo sguardo incontrò Michael, lo squadrò per qualche secondo da capo a piedi.
«Sei tu Michael?» chiese poi, con voce flebile ma abbastanza convinta. Lui si limitò ad annuire e la ragazza continuò «Clary ti vuole, dice che devi entrare perché non si sente molto bene.».
Lui strabuzzò gli occhi, entrare nel bagno delle donne? Se il proprietario della discoteca l’avesse scoperto non gli avrebbe più fatto mettere piede in quel posto. Ma chi diceva che l’avrebbe scoperto? Preso da un momento di coraggio estremo aprì la porta ed entrò.
«È chiusa in quel bagno da un quarto d’ora.» gli disse la ragazza indicandogli una porta. Lui fece un passo verso di essa e bussò, chiamando flebilmente la ragazza per nome. Lei non rispose, così lui ritentò con un volume di voce più alto.
Sentì la porta sbattere e non vide più l’altra ragazza dietro di lui, scrollò le spalle e fece un passo indietro.
«Clary, rispondi, ti prego. È tutto okay? Stai bene?» chiese preoccupato. «Guarda che entro, fai almeno un suono per farmi capire che ci sei, per favore.». E stava per avvicinarsi alla porta per aprirla, ma si aprì da sola e Michael venne trascinato dentro la toilet per un braccio.
Si sentì un po’ intontito, ma vide Clary che ancora gli teneva il braccio e gli respirava contro il petto. “Troppo stretto per due.” Pensò lui.
«Mi hai fatto preoccupare, ragazzina! Non mi sembra nemmeno che tu stia così male come diceva l’altra ragazza! Che stai-» alzò lui la voce. Lei gli premette un dito contro le labbra e lo zittì, facendolo rimanere inetto per un momento.
«Abbassa la voce, idiota!» gli intimò, per poi ridacchiare. «Se ci scoprono, siamo fottuti.» e gli si avvicinò ancora di più. Lui le prese il braccio e le spostò delicatamente la mano dalla sua bocca, tenendola sospesa in aria.
«Che hai fatto dentro questo fottuto bagno per venti fottutissimi minuti, si può sapere?» le disse sotto voce, ma la sua rabbia e preoccupazione trapelavano da ogni poro della sua pelle.
Clary gli si avvicinò ancora di più, mettendosi in punta di piedi per riuscire ad arrivare al suo orecchio.
«Secondo te?» sussurrò, cercando di avere un tono almeno un po’ sensuale. Si strusciò pii contro il suo collo. Michael era sorpreso, ma sarà stato il momento, sarà stata la musica troppo alta, gli alcolici, la canna che avevano fumato prima insieme o forse un miscuglio di tutto quanto, ma spostò le mani sul sedere di Clary e la prese in braccio, spingendola contro il muro alle spalle di lei.
Prese a baciarle il collo, per passare piano piano alla sua mascella, arrivando infine alla sua bocca, sulla quale indugiò un po’. Si fermò a pochi centimetri dalle sue labbra e passò lo sguardo freneticamente e nervosamente su e giù dagli occhi rossi della castana per poi ritornare a fissare l’oggetto del suo pensiero. Ma lei era impaziente, spostò quindi la mano dal collo di lui alla sua nuca, sulla quale esercitò una leggera pressione, facendo in modo che le loro bocche fossero a una distanza ancora più inferiore.
Lui si decise, finalmente, e la baciò, approfondendo lasciando che le loro lingue s’intrecciassero. Iniziò a spingere leggermente con il bacino, contro quello di lei, che lasciò un gemito soffocare nella gola, per non  fare troppo rumore.
Lui si allontanò e lasciò che un ghigno soddisfatto si dipingesse sulle sue labbra. L’appoggiò con delicatezza a terra e sbirciò fuori dalla porta per vedere se ci fosse qualcuno, ma nemmeno l’ombra. Sgattaiolarono perciò fuori e corsero al magazzino del ragazzo, scambiandosi spesso baci estremamente passionali e sicuramente poco casti.
Michael chiuse la porta alle sue spalle e ci fece sbattere Clary, che incrociò le gambe intorno alla sua schiena, ripresero così a baciarsi passionalmente. L’appoggiò poi e iniziò a levarsi le scarpe mentre si avviava verso il suo letto e lei fece lo stesso. Si lasciò cadere su di lui, che si era già sdraiato e tolto i pantaloni rimanendo in boxer. Lei iniziò a baciargli il collo, per poi scendere e iniziare a sbottonargli la camicia.
Lui approfittò per sbottonarle i pantaloni e indugiò sull’elastico di essi, prima di abbassarglieli fino alle ginocchia con un movimento secco. Lei invece, quando arrivò all’ultimo bottone della camicia, sfiorò con la mano l’erezione che già si percepiva e poi iniziò a giocare con l’elastico dei boxer.
Si abbassò poi sul suo petto, sfiorandolo con la punta del naso, per poi partire dall’alto e passare veloci baci fino ad arrivare all’ombelico. Infilò poi la mano all’interno della stoffa, ma lui le prese la mano e la fermò, baciandole le nocche.
Le sfilò il top con un movimento convinto e aspettò che si sfilasse completamente i pantaloni. Ma Michael era stufo di tutti questi preliminari e decise di togliersi i boxer e fece stendere Clary sul letto, per poi stendersi su di lei e stuzzicare un po’ l’intimità con le dita attraverso le mutandine. Lei gemette, così lui capì di aver fatto pieno centro e prese a giocare con l’orlo di pizzo dell’ultimo indumento che ormai lo separava dall’apice.
Si scambiarono poi uno sguardo d’intesa e mentre lui cercava il preservativo nel portafogli lei si sfilò le mutandine. Quando furono pronti, lui entrò dentro di lei e fu probabilmente la sensazione migliore che lei avesse mai provato.
 
La mattina seguente quando la castana si svegliò, trovò Michael di fianco a lei steso a pancia in giù. Dormiva con la faccia spiaccicata contro il cuscino, i capelli verdi arruffati che si spargevano disordinatamente sulla federa bianca. Aveva la bocca leggermente aperta da cui proveniva un respiro pesante, gli occhi erano serrati e si domandò cosa stesse sognando.
Sorrise e gli accarezzò delicatamente la guancia, per poi alzarsi e prendere la camicia bianca che il ragazzo indossava la sera precedente. L’infilò e lasciò slacciati i primi bottoni – in modo da creare una scollatura provocatoria – e l’ultimo infondo – creando un effetto vedo-non-vedo che sperò servisse a provocarlo un po’ ancora. Vi si strinse e si godette tutta la fragranza di Michael.
Andò verso il piano della cucina e si preparò un bicchiere di latte. Mentre lo beveva si guardò intorno in quell’enorme open-space e sorrise, ricordando l’accaduto della precedente notte.
Notò una chitarra acustica e decise di prenderla, per provare a strimpellare qualche accordo, non che ne fosse capace, ma tentare non le sarebbe costato sulla. Si sedette quindi su una sedia e provò a far suonare qualche corda: ne uscì un suono orribile che svegliò Michael che, tutto assonnato, si infilò i boxer della sera precedente e la raggiunse in cucina.
Si piegò per essere con il viso circa alla sua altezza e le lasciò un bacio a fior di labbra, che lei però non volle lasciar sfuggire, perciò prese la nuca di lui e la spinse di nuovo contro le sue labbra.
«Che stai facendo, ragazzina?» le chiese in modo dolce. Lei arrossì leggermente e sorrise. Così lui decise di farla sedere sulle sue ginocchia e aiutarla a cercare di imparare qualche accordo.
Lei si mosse leggermente, perché stava scivolando, e Michael strabuzzò di colpo gli occhi.
«N-non porti le mutandine.» le sussurrò ancora all’orecchio, sfilandole la chitarra dalle braccia e appoggiandola per terra di fianco alla sedia. Clary gli si sedette ancora in braccio, questa volta girata verso di lui e prese a baciargli il collo, strusciando il suo ventre con quello di lui.
«Pensavi avessimo finito?» gli domandò ironica. Lui la spinse ancora un po’, fino a farle uscire un gemito.
Le solleticò l’intimità e la sentì fermare per un secondo la scia di baci che gli stava lasciando sul collo. Con delicatezza poi, v’inserì le dita e la sentì gemere forte – non di certo quanto la sera precedente. Cercò di soffocare quegli urli baciandola e approfondendo sempre di più con la lingua.
 
Erano stesi sul letto, quando Clary decise di controllare che ore fossero sul suo cellulare, che segnava mezzogiorno passato. “Cazzo! Forse dovrei tornare a casa!”, pensò. Poi abbassò lo sguardo su tutte le notifiche che aveva ricevuto. Otto chiamate perse e quindici messaggi da Luke. Ignorò tutti i messaggi, prevedendo già il testo in essi contenuto: “Clary Cooks, dove sei finita? Rispondimi alle telefonate! Almeno ai messaggi! Mi ha chiamato tua madre, ha detto che stanotte non sei tornata a casa, ho dovuto dirle che ti eri fermata da Hilary a dormire! Ma si può sapere che stai combinando? Cazzo, razza d’idiota, rispondi!” e così a andare.
Si voltò verso Michael, che la teneva abbracciata da dietro. Gli lasciò un bacio a fior di labbra, che lui si decise ad approfondire. Nessuno de due smise di sorridere per almeno i tre minuti successivi, costellati di baci e nient’altro.
«Mikey, devo andare.» disse tra un bacio all’altro. Lui la strinse ancora di più.
«Non puoi restare ancora? Potremmo continuare a fare quello che abbiamo fatto stanotte…» disse in tono malizioso, facendo strusciare i loro bacini. Lei rise per il solletico che le aveva provocato e poi si voltò e raccattò le sue cose, mentre si rivestiva.
Lui la osservava rinfilarsi gli indumenti, mentre nella sua mente si succedevano le immagini della notte precedente quando glieli aveva sfilati.
Lei si abbassò all’altezza del suo viso e gli lasciò un altro bacio.
«Ci vediamo domani?» gli chiese e Michael si limitò ad annuire.
Così Clary uscì dalla porta del magazzino e, mentre si avviava alla fermata della metro, decise di chiamare Luke.
 
Notes
Io… io lo so che mi odiate. Me lo sento. Ammettetelo che mi odiate, avanti, forza, su. Tanto lo so già.
Sono una piccola merdina, lo so. Ci ho messo due settimane a caricare questo capitolo. Mi sento in colpissima, mi potete perdonare? Infondo è un gran bel capitolo, no?
Parliamoci seriamente ora. A questo punto, che la scuola è iniziata, è già iniziato il periodo delle verifiche, purtroppo. Il problema è che quando trovo il tempo di scrivere, non mi viene in mente nulla e non butto giù un fico secco. Direi che aggiornerò ogni due settimane d’ora in avanti, perché con questi tempi dovrei riuscire a far uscire dei capitoli almeno decenti.
Mi dispiace dirvelo ora, insomma sono una brutta notizia dopo l’altra, ma questa storia è quasi giunta alla fine. Mancano non tantissimi capitoli, secondo la tabella che mi sono fatta io nella mia testolina bacata.
La buona notizia è che ho già in mente la prossima storia e quello che è successo in questo capitolo! Quante di voi aspettavano questo momento? Spero che qualcuno lo aspettasse almeno quanto me e, per costoro(?), mi dispiace tantissimo di aver fatto attendere così tanto!
Qui sotto vi lascio un bellissimo manip fatto dalla mia @bluemmings, grazie sempre tantissimo milza. <3
La canzone di questo capitolo è “Girls” dei The 1975.
Vi posso chiedere un favorino? Ho finito di vedere la quarta stagione di Teen Wolf *piange disperatamente* e ho iniziato The Big Bang Theory, sotto consiglio di una persona speciale, questa stessa mi ha detto di vederla in inglese con i sotto-titoli, ma io non riesco proprio a trovarla. Se qualcuna di voi conosce un sito dove poter spulciare per trovarla, o ha un link, o qualcosa del genere, me lo dite in una recensioncina? O su Twitter, Wattpad, nella bio ci sono anche il mio Tumblr, Instagram e Vine, insomma, fatemelo sapere in qualche modo, vi ringrazio un sacco se lo farete.
Prometto che nel prossimo capitolo vi ringrazio tutte, una per una!
Ora vado che mi sono dilungata anche troppo, ew.
Alla prossima,
@cliffordsarms

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** A Love Like War ***


Image and video hosting by TinyPic

A Love Like War
 
So honey now,
Take me into your loving arms,
Kiss me under the light of a thousand stars,
Place your head on my beating heart,
I'm thinking out loud,
That maybe we found love right where we are.
 
Stranamente quel giorno non pioveva. Stranamente quel giorno a Londra non c’era quasi nessuno per le strade. Stranamente Clary aveva un sorriso sul viso che le andava da un orecchio all’altro, fino a farle tutto il giro della testa. Stranamente anche Luke aveva un sorriso enorme stampato sulle labbra. E, ancora più stranamente, anche Michael ne sfoggiava uno.
Clary era stesa al molo, con la testa appoggiata sulle cosce di Luke, che le accarezzava i capelli mentre teneva le gambe penzoloni, con i piedi che sfioravano la superficie dell’acqua. Le stava raccontando della sera precedente, dell’appuntamento con Hilary, le diceva che si erano messi insieme, che si trovava davvero bene con lei, che aveva trovato quella giusta, che lo rendeva veramente felice. La castana sorrideva anche per questo: era felice che il suo migliore amico avesse trovato anche lui qualcuna che lo rendesse felice come Michael faceva con lei.
Pensava quindi alla sera precedente, pensava a Michael, alle sensazioni che le aveva fatto provare. Credeva che lui fosse veramente cambiato, che avessero davvero trovato un punto d’incontro. Entrambi avevano avuto una certa influenza sull’altro.
Michael l’aveva resa un po’ più sicura di sé, un po’ più libera, spensierata, un po’ più impulsiva; l’aveva resa un po’ meno fissata con le regole, l’aveva resa un po’ più ribelle, forse l’aveva resa un po’ più viva.
Mentre lei aveva fatto l’opposto: lo aveva fatto rigare un po’ più dritto, lo aveva reso un po’ meno ribelle, un po’ meno egoista e un po’ meno meschino. Le persone non avevano più paura di lui, mentre avevano iniziato a rispettare di più Clary e Luke.
E mentre i due migliori amici erano al loro laghetto a fumare qualche sigaretta, Michael stava steso sul suo letto a pensare alla sera precedente. Aveva fatto l’amore con Clary, non aveva fumato e non era ubriaco, eppure l’aveva fatto. Si sentiva strano, ma si sentiva bene. Non sentiva di aver fatto un errore, era la cosa giusta, perché si era accorto di provare qualcosa per quella ragazzina che all’inizio tanto detestava.
“È quella giusta, sono sicuro.” pensava. E mentre faceva l’ultimo tiro dalla sigaretta, ripensava a quella canzone che avevano ascoltato sul treno mentre andavano in discoteca. Era della loro band preferita, o meglio, una delle tante, la musica era sicuramente una cosa su cui si erano trovati veramente d’accordo.
Michael decise che quella sarebbe stata la loro canzone, perché li rispecchiava veramente, sembrava che gli All Time Low e Vic Fuentes dei Pierce The Veil l’avessero scritta appositamente per loro, perché “A Love Like War” erano effettivamente loro, il loro era “un amore come una guerra” perché nonostante si fossero ormai trovati, nonostante non si odiassero più, si trovavano spesso a discutere per poi concludere il tutto con un abbraccio sincero, che ora si sarebbe sicuramente trasformato in un bacio.
Aveva le cuffie e assaporava strofa per strofa la loro storia e ritrovava loro due in ognuna.
Make a wish on our sorry little hearts,
Have a smoke, pour a drink, steal a kiss in the dark,
Fingernails on my skin like the teeth of a shark,
I'm intoxicated by the lie.
Come quella sera precedente, in cui l’aveva attirato in bagno e l’aveva baciato, lui l’aveva spinta contro la parete e lei gli aveva stretto la maglietta. Come lui che era riuscito a convincerla a bere e a fumare. Come loro due che avevano fatto una specie di giuramento dopo quella sera. E all’inizio a lui era sembrato puro divertimento, poi però aveva capito che non era solo quello, non era stato solo sesso.
In the chill of your stare I am painfully lost
Like a deer in the lights of an oncoming bus,
For the thrill of your touch I will shamefully lust,
As you tell me we're nothing but trouble.
Perché quella sera, lei lo aveva guardato maliziosamente e non se n’era nemmeno accorto, se n’era reso conto solo in quel momento, mentre tutte le immagini gli passavano davanti agli occhi. E lei gliel’aveva sussurrato, gliel’aveva detto nell’orecchio, mentre erano in bagno. Gli aveva soffiato nell’orecchio «Siamo un casino.». Ma l’aveva capito solo in quel momento cosa volesse veramente dire. Lei intendeva che erano uno splendido “casino”, perché lei era il “casino” più splendido che a Michael potesse mai capitare e viceversa.
Heart's on fire tonight,
Feel my bones ignite,
Feels like war, war,
We go together or we don't go down at all.
E proprio quella sera i loro cuori si erano infiammati. O meglio, quello di Michael aveva iniziato a bruciargli nel petto e aveva potuto sentire lo scricchiolare delle fiamme che si avvolgevano attorno alle sue ossa. Mentre Clary lo doveva sentire da chissà quanto tempo e lui se lo chiedeva da quando andasse avanti quella storia per lei. Ormai sarebbero stati insieme sempre, ormai lui aveva capito che se avesse mai avuto bisogno di qualcuno che lo consolasse, qualcuno con cui sfogarsi, lei ci sarebbe stata, non l’avrebbe mai lasciato affondare da solo. E lui si sarebbe sforzato, come in quell’ultimo mese, di fare lo stesso per lei.
Fail-safe trigger, lock-down call,
Wipe the dry clean-slate, quick, sound the alarm,
No escape from the truth and the weight of it all,
I am caught in the web of a lie.
Lei gli aveva come sparato e l’aveva colpito dritto nel petto. Aveva scoperto tutte le sue carte, gli aveva fatto quasi confessare, quella sera, di essere innamorato di lei anche se non se n’era mai accorto. “Innamorato…” pensava Michael. Gli sembrava quasi esagerato, gli faceva quasi paura. Si sentiva parte di una bugia, ma ormai era finita. La bugia l’aveva vissuta per un mese, la bugia era che lui la odiasse, perché “Quando la volpe non arriva all’uva, dice che è acerba.”. Perché lui credeva di essere troppo poco per lei, perciò dire di odiarla era l’unico modo, forse, per non sentire quel dolore che avrebbe preferito non provare, ma che, infatti, non aveva provato.
And the bitch of it all is that I'm running from
The desire of the people to whom I belong,
At the end of the day you can tell me I'm wrong,
'Cause you went to all of this trouble.
Lui all’inizio, effettivamente – e più ci pensava e più ne era sicuro –, aveva cercato di scappare da tutto quello. Sembrava che volesse fuggire da lei, quando aveva iniziato ad allontanarla, quando aveva cercato di autoconvincersi che la odiasse. Si era ricordato di quella volta che le aveva detto che avrebbe preferito essere solo alle volte, che lei era troppo per lui e non capiva come potesse essergli amica; lei con tutta la calma del mondo, si era avvicinata, l’aveva abbracciato e gli aveva detto – testuali parole – «Ti sbagli, – e aveva sorriso, facendogli perdere un battito – se fosse stato davvero così, non mi sarei infilata in mezzo a tutto il casino che sei, non credi?» e gli aveva scoccato un bacio sulla guancia.
Is this the end of us or just it means to start again?
E quell’ultima frase l’aveva definitivamente convinto che, qualunque cosa fosse successa, avrebbero anche potuto litigare a morte, sarebbero sempre tornati indietro, si sarebbero sempre tornati a prendere, avrebbero ricominciato come dall’inizio. Conoscendo Clary la scena che si sarebbe potuta presentare sarebbe stata lui che fuma una sigaretta e lei che si avvicina, porgendogli la mano e dicendogli «Io sono Clary.» con un sorriso, come la prima volta che si erano conosciuti, come quella volta sulle scale.
Aveva capito che lei, la piccola, dolce e ingenua Clary ci era già arrivata al fatto che quella potesse essere la loro canzone. “E brava la mia ragazzina!” pensava. Decise quindi di imparare a suonarla e, quel pomeriggio, quando si sarebbero visti, gliel’avrebbe suonata. Si mise perciò d’impegno e cercò gli accordi, rinfrescando un po’ la sua memoria e ricominciando a sciogliere le dita lungo il manico della chitarra.
D’un tratto qualcuno bussò alla porta e, mentre Michael si domandava chi potesse essere, guardò l’ora sul cellulare. Perciò aprì e Clary gli si parò davanti. Collegò poi le due cose: lei sarebbe dovuta andare da lui per poi uscire e lui… beh, lui era ancora in mutande.
Lei rise, squadrandolo, poi gli si avvicinò e gli lasciò un bacio sulle labbra. Entrò quindi in casa e si sedette sul letto sfatto.
«V-vado a vestirmi, scusami, ho perso la cognizione del tempo. Sai stavo suonando e-» iniziò a giustificarsi, passandosi la mano sulla nuca come tutte le volte che s’imbarazzava.
«Cosa suonavi?» lo interruppe lei, con un enorme sorriso stampato sul viso. Lui arrossì leggermente e le fece segno che le avrebbe fatto sentire dopo.
Si andò perciò a preparare, mentre Clary rifece quel letto che sembrava non venisse rifatto da millenni, non era nemmeno sicura che nell’ultimo anno lui avesse cambiato le lenzuola. Quando si voltò per risedersi sul materasso notò la quantità infinita di stoviglie sporche nel lavandino e per poco non ebbe un mancamento.
“Possibile che sia messo così male?” pensava. Perciò iniziò a sistemare anche i piatti sporchi, li lavò, li asciugò e cercò di mettere un po’ d’ordine in tutto quel disastro che era casa di Michael.
Mentre metteva a posto le ultime cose nell’angolo cottura si accorse del ragazzo dai capelli verdi, che si era appoggiato allo stipite della porta del bagno e la osservava, con le braccia conserte e un’espressione divertita in volto.
«Sei proprio la migliore.» disse avvicinandosi a lei, per poi stringerla in un abbraccio e lasciarle un bacio sulla testa. Lei si mise in punta di piedi e gli lasciò un bacio sulle labbra. Lui avrebbe voluto approfondire quel bacio ma Clary si allontanò e poggiò le mani sulle sue spalle.
«Allora, che stavi suonando prima?» la curiosità la stava uccidendo. Chissà che avesse capito che, quella canzone che gli aveva fatto ascoltare sul treno, sarebbe stata perfetta come loro canzone.
Michael la prese per mano e le chiese di sedersi comoda sul letto. Prese quindi la chitarra e iniziò a suonare i primi accordi della loro canzone. Subito lei la riconobbe e sorrise enormemente, mentre gli occhi le si facevano leggermente lucidi e le si creava un rossore sulle guance. L’accompagnò nell’intonare le parole della canzone, nonostante non fosse tutto questo gran che nel canto.
Quando terminarono, aspettò che lui appoggiasse lo strumento al lato del letto e poi gli lanciò le braccia al collo, facendolo stendere sul letto e baciandolo ripetutamente. Rimasero fermi a guardare il soffitto per un po’, lei con la testa sul suo petto, mentre sentiva il suo cuore palpitare nella gabbia toracica, mentre lui le accarezzava i capelli.
Ogni tanto le sussurrava cose dolci all’orecchio, cose che Clary non si sarebbe mai aspettata di sentire uscire dalla bocca di Michael. Non poteva davvero credere che Michael Gordon Clifford, quel ragazzo scorbutico e asociale che faceva paura a tutti, potesse davvero avere del romanticismo in corpo.
«Clary?» chiamò lui d’un tratto, smettendo di accarezzarle i capelli e abbassando un po’ la testa, cercando di guardarla negli occhi.
«Michael?» rispose lei ironica, alzando la testa e notando l’espressione seria sul viso del ragazzo dai capelli verdi.
«Ma… quindi… cioè… io e te… noi, insomma… s-stiamo insieme? Non ho idea di come funzionino queste cose io, non vorrei aver frainteso, non vorrei aver pensato a tutto troppo in fretta, non vorrei che magari tu non la pensi così, che mi sia immaginato tutto. Perché, sai, non sono abituato a questo tipo di cose e poi all’inizio, insomma, sembrava ci odiassimo e ora, beh ora siamo fidanzati, giusto? Cioè la nostra storia è un po’ come la canzone, sai no, il nostro è un po’ un amore come una guerra e magari sono saltato a conclusioni affrettate. Insomma, tu mi piaci davvero, non vorrei dire cazzate ma credo di essermi innamorato di te e, non lo so, ho paura di perderti o che tu un giorno te ne vada ed io rimanga da solo con i topi di questo magazzino grigio e puzzolente. Insomma, non lasciarmi, okay? Te lo chiedo per favore, perché io senza di te non so come fare, mi hai cambiato, in meglio, s’intende, mi ha reso migliore perché ormai la parte migliore di me sei tu e non smetterò mai di ringraziarti per questo.» si fermò per riprendere fiato, tutte quelle cose dette senza mai prendere un respiro, mentre le sue guance si facevano più rosse che mai. Clary si lasciò sfuggire un risolino, non aveva mai visto Michael così tanto in imbarazzo.
«Mikey, non me ne vado, lo prometto. Non potrei mai lasciarti da solo, okay? Anch’io credo di essermi innamorata di te ormai e non potrei andare avanti senza di te al mio fianco.» concluse piano, per poi baciarlo.
Tornarono poi entrambi a fissare il soffitto, con due enormi sorrisi stampati in volto.

 
Notes
I’M BAAAAAACK, BITCHEEESSSS
Salve tutti! Come state? Sono stata estremamente puntuale questa settimana, visto? Come sono brava!
Se qualcuno mi segue su Twitter/Instagram/Tumblr saprà già ciò che sto per dire, ma per chi non lo sapesse, la cara cliffordsarms – aka io, lol – andrà al concerto degli All Time Low a marzo. Sono super contenta, anche se ancora non realizzo, davvero! Il 2015 sarà un anno meraviglioso per me, a gennaio andrò al concerto di Ed Sheeran qui a Milano, a marzo dagli All Time Low e a maggio dai nostri amati 5 Seconds of Summer. Se qualcuna di voi va a uno di questi concerti, o anche a tutti perché no, sarò felice di incontrare chiunque abbia voglia! Fatemi sapere in una recensioncina tanto carina, che amo leggere i vostri pareri e, ultimamente, non recensite in molte, vi pregherei di farlo perché ci tengo davvero un sacco a sapere cosa pensate di questa storia.
Secondo la mia mente bacata, mancano solo due capitoli per la fine di questa FanFic. Eh già, anche She Hasn’t Been Caught giungerà a una fine. Ma non preoccupatevi perché mi metterò subito a lavorare alla prossima storia che sarà su Calum e Ashton, visto che questa era su Michael e Luke. Non vi anticipo nulla, perché prima di caricarla ho una OS in sospeso che vorrei finire, è sugli All Time Low, ma spero che le mie lettrici più fedeli passino anche di lì!
Parlando di questo capitolo: troviamo un Michael super dolce qui, ve lo sareste mai aspettato? Spero vivamente di avervi sorpreso!
Non c’è molto da dire, se non che il testo della canzone è A Love Like War” degli All Time Low, che è una delle canzoni di questo capitolo. L’altra è invece Thinking Out Loud” di Ed Sheeran.
Queste canzoni sono tutte in una playlist di Spotify che ho aggiornato mano a mano durante il corso della storia, ci sono tutte le canzoni, capitolo per capitolo, vi lascio sotto il link (che se poi mi ricorderò metterò anche nella descrizione della storia lol) e comunque alla fine di questo sproloquio infinito vi lascio la tracklist, così se avete voglia di ascoltarla e non avete Spotify saprete tutte le canzoni che mi hanno accompagnata nella stesura di questa storia e che hanno accompagnato i protagonisti nella storia stessa. V’invito comunque a seguirla, o a darci un’occhiata ;)
Credo di aver detto tutto… sì, dai!
Lasciatemi qualche recensione, mi raccomando!
Alla prossima,
@cliffordsarms
 
She Hasn’t Been Caught Soundtrack Tracklist
  • Pieces – Sum 41
  • Perhaps Vampires Is A Bit Strong But – Arctic Monkeys
  • Kryptonite – 3 Doors Down
  • Your Forgiveness – An Honest Year
  • Girls – The 1975
  • Bulletproof Heart – My Chemical Romance
  • Walls – All Time Low
  • Remembering Sunday – All Time Low
  • Lost In Stereo – All Time Low
  • Do You Want Me (Dead?) – All Time Low
  • Good Girls – 5 Seconds of Summer
  • Thinking Out Loud – Ed Sheeran
  • A Love Like War – All Time Low feat. Vic Fuentes (Pierce the Veil)

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** She Hasn't Been Caught ***


Image and video hosting by TinyPic
 
She Hasn’t Been Caught

She’s a good girl, hasn’t been caught.
She’s a good girl, hasn’t been caught.
 
Erano passati due anni. Due anni da quando tutto quel casino con quella matta della sua ragazza era cominciato. Due anni che la conosceva, due anni che conosceva quello che ormai era il suo migliore amico.
E ora, chi l’avrebbe mai detto, stava per diventare padre. Sentirsi pronto? Neanche per sbaglio, aveva fatto troppi errori nella sua adolescenza per considerarsi un buon padre. Non credeva di essere in grado di educare da zero un figlio, o una figlia – che in realtà avrebbe preferito –, non credeva davvero che avesse avuto qualcosa da insegnargli. Più che fissargli le cose giuste che avrebbe potuto fare nella sua vita, avrebbe sicuramente potuto dirgli le cose che non avrebbe dovuto fare.
Camminava per la strada e fumava ancora le sue solite sigarette. Si vide una testolina bionda correre verso di lui, l’avrebbe riconosciuto tra mille: Luke, sempre il solito. Due anni dopo indossava ancora i soliti jeans neri attillati e una canotta con un orlo delel maniche talmente largo che persino da quella distanza Michael poteva intravedere la pelle del suo petto.
Sembrava arrabbiato, camminava a passo di marcia, era quasi sorpreso di vederlo lì così. Normalmente quando lo vedeva uscire da casa di Hilary aveva una faccia sognante, uno sguardo colmo d’amore, e quelle solite smancerie che Michael non poteva nemmeno lontanamente pensare. Nonostante Clary, che l’aveva comunque addolcito, tutto quel romanticismo continuava a non fare per lui.
Ma, ultimamente, le cose non andavano un granché bene tra Luke e Hilary. Spesso sentiva Clary rispondere alle chiamate della bionda – che era diventata ormai la sua migliore amica – sentendola gridare cattiverie nei confronti del biondo – che era invece ormai diventato il migliore amico di Michael –. «Purtroppo, non tutte le relazioni sono destinate a durare per sempre» pensava, riferendosi ovviamente alla sua relazione con la castana.
Quando ormai Luke era giunto vicino a lui, l’aveva afferrato per un braccio e trascinato dalla parte opposta. Lui, ormai troppo assorto nei suoi pensieri, non aveva fiatato, assumendo semplicemente uno sguardo misto tra il confuso e l’interrogativo.
«Io quella la odio!» aveva cominciato a dire Luke, digrignando i denti, tra una cattiveria e l’altra nei confronti della sua ragazza. «Come? Come ho fatto a stare con lei per questi due anni! Io, davvero, non lo concepisco!» continuava a dire a denti stretti, senza fermarsi e tirando Michael per il polso.
Perciò, decise lui di fermarsi. Non ci stava capendo nulla e sentiva di dover aiutare il suo amico. L’aveva visto spesso dopo i loro litigi, l’aveva spesso sentito dire cattiverie su Hilary, ma mai così arrabbiato, non era mai arrivato a vederlo così incazzato.
«Luke.» aveva detto, ma il biondo non si era girato, lasciandogli però il polso. E aveva dovuto chiamarlo un’altra volta per farlo girare e notare i suoi occhi chiusi strettissimi per cercare di tenere indietro le lacrime.
«È… è finita, Mike…» aveva sussurrato, asciugandosi con il dorso della mano quella lacrima birichina che non aveva voluto restare al suo posto. Michael non capiva di cosa stesse parlando. Aveva perciò lanciato la sigaretta per terra e poggiato una mano sulla spalla del suo amico.
«Luke, cosa sta succedendo?» gli aveva chiesto, quasi spaventato di conoscere la risposta.
«Dio, Mike, tra me e Hilary è finita, ci siamo lasciati davvero questa volta.» aveva detto tutto d’un fiato. E Michael avrebbe voluto fare qualcosa, dire qualcosa che potesse confortarlo.
Non aveva fatto in tempo, non era neanche riuscito a prendere fiato per iniziare la frase, perché una macchina della polizia con le sirene a tutto volume era passata accanto a loro, per poi fermarsi poco più avanti.
Si erano entrambi voltati a fissare quell’auto e l’agente che scendeva da essa. Michael aveva cominciato ad andare in panico, Luke rimaneva semplicemente confuso.
Ma Michael sapeva cosa sarebbe successo di lì a breve e la sua previsione non tardò ad avverarsi. Infatti, il poliziotto si era spostato alle sue spalle e aveva tirato fuori le manette. Lui stesso era rimasto interdetto, non parliamo di quanto ci fosse rimasto Luke.
«Michael Gordon Clifford, la dichiaro in arresto per spaccio di droga. Tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei durante un processo in aula. Le sono chiari i suoi diritti?» aveva detto l’uomo, freddo, piatto, come stesse ripetendo la solita tiritera, cosa che effettivamente stava facendo. Michael si era limitato ad annuire flebilmente, senza dire una parola.
«Ha diritto a un avvocato e una telefonata. Mi spiace ragazzo, davvero, sembri un tipo apposto.» aveva detto ancora, mentre lo accompagnava alla macchina.
«Mike…» aveva detto Luke, che ancora non realizzava cosa stesse accadendo. Il castano si era limitato a scuotere la testa e abbassare lo sguardo.
Il biondo aveva perciò guardato la macchina andare via, le sirene spente, il silenzio totale per la strada. Cos’avrebbe dovuto fare?
Si era voltato e aveva iniziato a correre verso casa di Hilary, tirando fuori il telefono e digitando il numero di Clary. Aveva citofonato e la bionda si era affacciata alla finestra, gridandogli di andarsene.
«Hilary, fammi entrare un attimo! Ho bisogno che mi presti la macchina, Michael è stato arrestato!» aveva urlato, giusto prima che la sua migliore amica rispondesse al telefono.
«Clary! Come stai, cara? Senti, mi serve che tu ti prepari immediatamente e scendi, io e Hilary ti passiamo a prendere tra qualche min-» aveva iniziato, ma l’urlo della ragazza dall’altro lato del telefono l’aveva fermato.
«Luke, m-mi si… mi si sono rotte le acque!» aveva detto per poi cacciare un altro strillo. Il biondo era sbiancato.
Nel frattempo Hilary era scesa e aveva già portato fuori la macchina dal garage.
«Abbiamo anche un altro problema.» aveva detto fissando la strada, con uno sguardo completamente vuoto. «A Clary si sono rotte le acque.» aveva aggiunto.
Anche la bionda al suo fianco era sbiancata. Aveva premuto sull’acceleratore, iniziando a dare istruzioni a raffica. L’avrebbe accompagnato a casa, cosicché lui sarebbe andato da Michael alla centrale e lei avrebbe preso la povera ragazza in travaglio e portata all’ospedale.
 
Nel frattempo Michael era arrivato alla stazione di polizia e, dopo aver firmato un miliardo di carte senza nemmeno leggerle, aveva finalmente potuto telefonare. Ovviamente, aveva fatto il numero di Clary, senza sapere cosa stesse succedendo.
«Michael!» aveva strillato quella dall’altra parte, nel pieno delle contrazioni.
«Clary! Che sta succedendo?» aveva esclamato lui, balzando in piedi, tanto che gli agenti lo avevano accerchiato e si era dovuto sedere, fulminato dagli sguardi di quelli.
Poi aveva sentito Hilary, dall’altra parte, che aveva preso il telefono e gli aveva detto che la sua ragazza stava partorendo, lì al suo fianco. Così lui se l’era fatta passare di nuovo, cercando di tranquillizzarla. Le diceva cose come “respira” o “andrà tutto bene”, ma più che calmare lei, sembrava stesse facendo training autogeno.
Le ragazze erano arrivate in ospedale e così Michael era rimasto al telefono con la bionda, che gli aveva comunicato che a breve sarebbe arrivato Luke, per cercare di capirci qualcosa.
E, infatti, pochi minuti dopo, il biondo aveva fatto il suo ingresso in commissariato, tutto trafelato e talmente bianco in volto che il camice di un chimico sarebbe stato invidioso del suo colorito così candido.
«Ehi, Luke, quaggiù!» aveva chiamato Michael, cercando di farsi notare. Intento realizzato: Luke si stava dirigendo verso di lui.
«Agente, mi scusi, potrei parlare in privato con lui?» aveva chiesto ingenuamente, sedendosi sulla sedia al fianco dell’inputato.
«Ragazzo, ma dove pensi di essere? In un film americano?» aveva domandato ironicamente l’uomo seduto dall’altro lato della scrivania, facendo arrossire il biondo, ridonandogli un minimo di colore. «Giovani.» aveva aggiunto sbuffando, tornando a scrutare centimetro per centimetro lo schermo del computer.
«Michael, puoi spiegarmi cosa succede?» si era rivolto quindi al suo amico, che aveva abbassato la testa.
«Luke… ricordi quando ci siamo conosciuti? Ti ricordi che come unico modo per pagare l’affitto del magazzino dovevo spacciare per conto di… ehm… del boss, insomma…» aveva detto piano. Aveva confessato, e Luke non riusciva a capire se fosse stupido o cosa.
Avrebbe potuto mentire, avrebbe potuto inventarsi una qualunque scusa. Ma no, lui aveva voluto dire la verità, perché Michael era stanco di nascondersi. Michael non ne poteva più di andare solo nei posti in cui sapeva che la polizia non l’avrebbe notato poi così tanto da identificarlo e portarlo dentro, come del resto stava succedendo.
«Michael, ma che cazzo fai?!» aveva sussurrato Luke bruscamente, tanto da riceversi uno sguardo congelante da parte dell’agente, che stava mettendo a verbale ogni cosa.
«Signor Clifford, le nostre fonti, di cui non posso riferirle i nomi, ci dicono che è stato spesso visto spacciare con l’aiuto di una ragazza. Di chi si trattava?» chiese l’uomo davanti a loro. Dire che Michael era sbiancato sarebbe poco, la sua pelle aveva totalmente perso colore, era diventata trasparente, le sue vene e arterie si potevano perfettamente distinguere.
«Beh, agente, sinceramente non ricordo. Probabilmente ero ubriaco o fatto, ma non ricordo di esser mai stato aiutato da qualcuno.» la stava salvando. Stava salvando Clary. Perché lo sapevano che era lei. Lo sapeva Michael, lo sapeva Luke e lo sapeva anche l’agente. Ma Michael non era stupido, era solo innamorato. Sin dall’inizio sapeva che l’agente che lo stava interrogando sarebbe arrivato anche a parlare di Clary, della sua dolce, piccola Clary, che stava dando alla luce suo figlio proprio in quel momento.
Anche Luke aveva capito, non aveva infatti proferito parola. Era stato zitto, pensando a quanto Michael potesse essere innamorato di lei. E pensava, Luke pensava – anche se forse non era esattamente il momento adatto – a Hilary. Pensava a come si fossero lasciati bruscamente, nonostante fosse un po’ preannunciata come cosa. Ma questo non significava che non potessero restare amici. Magari non esattamente migliori amici, ma qualche volta si poteva sicuramente uscire insieme.
«Signor… scusi, lei come si chiama?» l’agente richiamò Luke alla realtà.
«Eh? Oh, Hemmings, Luke Hemmings.» rispose, affrettandosi.
«Signor Hemmings, mi sembra di capire che lei fosse a conoscenza dall’attività, se così vogliamo definirla, del Signor Clifford. Sa se, effettivamente, qualcuno lo aiutasse nel suo… ehm… impiego? Se così vogliamo chiamarlo, ancora una volta.» Merda. E adesso? Cos’avrebbe detto Luke? Certamente doveva difendere Clary, su questo non c’erano dubbi, ma come? Quale bugia avrebbe potuto inventarsi?
«Beh, signor agente, il mio amico qui, non è certo il tipo di persona che si fa aiutare da qualcuno nei suoi impieghi. A lui piace fare le cose da solo. Quindi no, non si faceva aiutare proprio da nessuno.» disse Luke, sentendosi dentro un poliziesco. Ma, purtroppo, quella situazione era reale. Il commissario fece un grosso sospiro.
«Signor Clifford, le va bene che oggi sono buono, mi trova di ottimo umore. Comunque la pena per spaccio è un anno di lavori socialmente utili, perciò devo attenermi alla legge, su questo non posso certo darle una mano. Ma, dato che mi sembra di capire che la sua ragazza stia partorendo quello che deve essere suo figlio, questa notte non dovrà rimanere qui. Ora se ne vada, prima che cambi idea, vada ad assisterla!» disse quell’uomo, forse fin troppo gentile, mentre apriva le manette di Michael.
«Almeno lei non è stata beccata pensava il castano, mentre si dirigeva con Luke all’ospedale.
Arrivatovi corse immediatamente al reparto maternità e, individuata la stanza, spalancò la porta, trovandosi Clary in pieno travaglio. Hilary le stava di fianco, le stringeva la mano e le accarezzava la testa, sussurrandole che sarebbe andato tutto bene.
«Michael!» esclamò la nuova mamma, aprendo gli occhi tra una spinta e un’altra. Lui le corse di fianco, stringendole l’altra mano e baciandole la testa, la fronte, le guance.
«Andrà tutto bene, piccola. Ci sono io con te. Va tutto bene, resisti. Pensa che tra poco stringerai il nostro bimbo tra le braccia. O bimba, chi lo sa.» le sussurrava, tra un bacio e l’altro.
Poi un’ultima spinta, un ultimo strillo assordante e poi un sospiro di sollievo, il fiatone.
«È una femminuccia!» aveva poi esclamato il ginecologo, consegnando un bebè all’ostetrica, che l’aveva sculacciato – anzi, sculacciata – per l’apertura delle vie respiratorie.
«Come volete chiamarla?» aveva chiesto il dottore, mentre l’infermiera consegnava la bambina in fasce nelle braccia della sua mamma.
«Indy, come il genere musicale.» aveva detto Michael, scambiandosi uno sguardo d’intesa con la sua ragazza, facendosi scappare entrambi un risolino.
 
Notes
SONO UN’AUTRICE PESSIMA, SCUSATEMI, VI PREGO.
Lo so che mi odiate. Quanto vi ho fatto aspettare per questo capitolo? Quattro mesi? Forse di più, anzi sicuramente. Vi chiedo umilmente perdono. Siete tutte dolcissime con le vostre recensioni e io non aggiorno e sparisco per quattro mesi. Perdonatemi, se potete.
Allora, non so a chi interessa (chi mi segue su Twitter già lo sa), ma sono andata al concerto di Ed Sheeran a Milano, quasi un mese fa ormai (quanto mi manca *lacrime*). Non ci sono parole per descrivere quell’uomo in live davvero, se anche voi eravate lì sapete di cosa sto parlando, se non c’eravate mi dispiace davvero tanto, vi siete perse qualcosa di meraviglioso.
Tra meno di due settimane invece vado a sentire gli All Time Low, la fase sclero è già ovviamente cominciata, come non potrebbe. Dio, quanto amo quei ragazzi.
Ma quindi parliamo del capitolo. Sparisco per quattro mesi e quando torno sgancio una bomba del genere, sono meschina, lo so D:
Una piccola spiegazione: ho messo la frase “lei non è stata beccata” in grassetto perché è la traduzione che ho voluto dare (sperando che sia corretta) a “she hasn’t been caught”.
Sono curiosissima di sapere cosa ne pensate, davvero, e nelle recensioni potete anche insultarmi se volete. Anzi, fatelo, così magari imparo a non sparire.
Anyway, come aveva già accennato, questo è l’ultimo capitolo. Scriverò un epilogo, che prometto, anzi GIURO, caricherò prima di quattro mesi, spero di riuscire a caricarlo tra due settimane anzi.
La canzone di questo capitolo è ovviamente “Good Girls” dei 5 Seconds of Summer (perché dico le cose ovvie?).
Prometto di non scomparire nel nulla di nuovo prima di caricare l’epilogo.
Alla prossima,
@cliffordsarms

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Epilogue ***


Image and video hosting by TinyPic

Epilogue
 
Chiudo il libro e guardo mia madre, che mi fissa, sorridendomi fiera. I ragazzi davanti a me chiedono di leggere ancora la storia, come fossero dei bimbi, eppure hanno tutti sedici anni. Sono seduta dietro una cattedra, a ventisei anni, a leggere la storia di mio padre agli alunni di mia madre. Ma ora devo andare, non credo che riuscirò a trattenere le lacrime. Infatti, una scende sulla mia guancia e mi ci passo il dorso della mano per scacciarla, sperando che altre non facciano lo stesso.
Prima di uscire dall’aula però, passo di fianco alla mamma e l’abbraccio. La stringo forte, come a farle capire che papà c’è ancora, anche se noi non lo vediamo.
Oh, scusate, mi presento: sono Indy Clifford. Sì, sono quella Indy. Sono quella della storia che ho appena concluso di leggere a dei sedicenni dipendenti dalle droghe, a dei ragazzi di sedici anni che spacciano, e ora forse capiscono cosa può accadere quando ti infili nei guai.
Mio padre non c’è più, già. Aveva ventun anni quando sono nata, la mamma diciannove, ma voi, questo, lo sapete già.
Ora Clary Cooks, insegnante di letteratura inglese al liceo, ha quarantacinque anni e mentre diventava professoressa è riuscita a crescere una figlia, educarla e a scrivere un libro, che ha deciso di chiamare “She Hasn’t Been Caught”, proprio perché è quello che papà aveva pensato.
Papà, invece, è morto da cinque anni. Mi manca da morire, eravamo molto legati. Cancro. L’ha ucciso lentamente senza che noi potessimo fare qualcosa per salvarlo, se non stargli vicino fino all’ultimo respiro che ha esalato. Michael Gordon Clifford è morto, già.
La mamma è stata forte, mi ha aiutato molto a superare la cosa, ma anche lo zio Luke ha aiutato lei. Credo che sia stata più una cosa reciproca.
Ultimamente, la mamma e lo zio Luke si vedono spesso, più spesso del solito. Non me la raccontano tanto giusta. Ma anche se qualcosa stesse accadendo tra di loro, a me andrebbe bene, anche se non chiamerei lo zio Luke papà. Però so che vuole bene alla mamma, e si conoscono da tutta la vita, forse per lei sarebbe la volta buona di essere felice per più di ventotto anni, che, se ci pensate, sono veramente pochi.
Io ho appena concluso l’università di psicologia, per questo sono andata a scuola da mamma a leggere il suo libro ai suoi alunni. Domani tornerò per analizzare cosa ne pensano e se qualcosa in loro è cambiato, se hanno capito il messaggio del libro che la mamma ha scritto.
Ora però, andrò al cimitero, voglio andare a trovare papà. È stato strano, in realtà, leggere la loro storia. Non che non avessi letto il libro di mamma prima, ma forse, con il fatto che ora papà non c’è più, lo vedo sotto un’altra prospettiva.
Appena esco dalla scuola, il mio ragazzo, Jack, è lì che mi aspetta, in macchina. Lo saluto e mi siedo di fianco  al lui. Mi da un bacio sulla testa e mi chiede com’è andata la sessione di lettura. Lo bacio sulle labbra e faccio un piccolo sorriso, cercando di scacciare via le lacrime.
«Bene…» sussurro, non voglio che si preoccupi troppo. «Jack, potresti accompagnarmi al cimitero? Ho voglia di andare a salutare papà.» gli dico, con lo sguardo basso.
La realtà è che da quando è morto papà non ho mai avuto la forza di andare a trovarlo. O meglio, ci ho provato, ma ogni volta che arrivavo davanti alla lapide scoppiavo in un pianto troppo grosso per resistere e restare lì. Jack, infatti, mi guarda perplesso e mi prende la mano.
«Sicura, piccola?» mi sorride rassicurante. Io annuisco, cercando di sforzare un sorriso.
Per tutto il tragitto non riesco a dire nulla, cerco solo di prepararmi mentalmente per quando sarò lì. E sono una psicologa, sto praticamente esercitando la mia professione su me stessa.
Fisso la strada e, quando la macchina si ferma nel parcheggio, sento Jack prendermi la mano. Mi bacia la fronte e mi chiede se voglio che mi accompagni. Annuisco e sorrido, come per ringraziarlo del sostegno.
Entriamo perciò, lui non mi lascia la mano per un secondo e quando arriviamo davanti alla sua tomba me la stringe più forte. Mi guarda, mentre fisso l’iscrizione sulla pietra grigia: “Michel Gordon Clifford, 1995 - 2037, marito, padre, ma soprattutto uomo di musica.”
Sorrido lievemente. Mamma aveva scelto quella frase perché lui diceva sempre di essere “un uomo di musica”. Infatti, ha deciso di chiamarmi Indy, come il genere musicale. Sorrido a questo pensiero, parlava sempre di musica. Ricordo che quando ero piccola, se non riuscivo a dormire prendeva la chitarra e mi suonava sempre qualcosa, anche se erano le due del mattino e i vicino sbattevano sui muri.
Mi stringo al braccio di Jack, cercando di reprimere le lacrime che tentano di imperversare sul mio volto.
“Mi manchi, papà.”
 

Notes
HEY PPL!
Questo epilogo ve lo sareste mai aspettato? Ditemi di no pls, fatemi sentire un piccolo genio almeno una nella vita.
Non so che dire, davvero. Cioè veramente, è stata un po’ come un viaggio questa ff. un faticoso e assurdamente lungo viaggio.
Vi ringrazio tutte, davvero. Chi segue questa storia da sempre, chi ha cominciato a seguirla lo scorso capitolo. Siete state davvero dei cuoricini di liquirizia e cioccolato (wtf?!)
Ringrazio tutte le 96 recensioni, le 19 preferite, le 11 ricordate, le 33 seguite <3
Ci sono delle persone che voglio ringraziare particolarmente, che sono Alessia e Lucrezia, che mi accompagnano dai primi capitoli di questa storia, e anche EyesOfHeaven e IloveyouHoran, che non hanno mancato la recensione di nemmeno un capitolo.
Uh, ringrazio anche Ilaria, la mia piccina che è sempre esaltata quando aggiorno.
VoleVO INFORMARVI CHE IO DOMANI SERA VADO AL CONCERTO DEGLI ALL TIME LOW, STO PER MORIRE DALL’ENTUSIASMO.
Grazie davvero a tutte/i (perché chi lo sa che qualche essere dotato di pene non stia leggendo (;).
Ci vediamo nello spazio autrice di qualche altra storia,
@cliffordsarms

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2693101