Les aristorates, on les pendra!

di compulsive_thinker
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 - Vita di palazzo ***
Capitolo 3: *** 2 - Paris canaille! ***
Capitolo 4: *** 3 - Di nuovo a cavallo ***
Capitolo 5: *** Parole ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ciao!!
Eccomi di nuovo qui, con una storia originale questa volta... Ambientata a cavallo e durante la Rivoluzione francese, tra la povertà di Parigi e il lusso di Versailles. Ho fatto ricerche per renderla il più fedele possibile alla storia, ma se dovesse essermi sfuggito qualcosa, segnalatelo pure!
Aggiornamenti ogni 10 giorni circa!
Ben accette le recensioni (positive e negative)...
:*
C.


Prologo
 
La folla festante si accalcava lungo le strade, cercando di vedere passare il corteo. Vecchi raggrinziti, donne con bambini in fasce, ragazzini che si aggiravano qua e là nella speranza di arraffare qualche moneta a passanti ignari. In questa moltitudine un occhio attento avrebbe potuto notare una figura incappucciata che tentava disperatamente di passare inosservata.
Una lunga mantella nera copriva interamente la figura; solo gli stivali di pelle stretti intorno a caviglie sottili permettevano di capire che si trattava di una donna.  La lana grezza le pizzicava le bianche braccia, facendola imprecare sommessamente, ma le nascondeva perfettamente il volto. Si muoveva cautamente tra la folla accalcata disordinatamente, cercando di spingersi fino alle prime file. Riuscì ad aprirsi un piccolo varco, arrivando in tempo per vedere i borghesi sfilare seri e ordinati, come se andassero a un funerale. Subito dopo uno scoppio di luci colorate annunciò l’arrivo dei nobili, nei loro completi sgargianti. Lei si coprì ancora di più il viso, non riuscendo a evitare di sorridere per quanto fossero pomposi. Poi fu la volta del clero: poveri preti di provincia, seguiti da cardinali e vescovi coperti di anelli. Tutto o niente, povertà più completa o ricchezza ostentata. Sbuffò sonoramente: in medio stat virtus, così leggeva da bambina, quando con suo padre muoveva i primi passi verso il latino. Eppure intorno a lei vedeva sempre e solo eccessi. Pregò fervidamente che Dio illuminasse le menti di quegli uomini, ultima speranza di salvezza per la Francia, ma nel profondo disperava che persino l’Onnipotente avrebbe potuto fare qualcosa.
Si voltò di scatto e si allontanò velocemente dalla calca di persone che stavano in silenzio, quasi percependo una sacralità in quell’evento. Si voltò un ultimo istante e si sentì fiera di essere lì, in quel preciso momento: sentiva nelle vene un formicolio d’immortalità, sapeva che quel momento sarebbe stato ricordato nei secoli a venire. Corse verso la Senna e si fermò davanti ad un ragazzetto cencioso, seduto a terra su un mucchio di stracci. Vicino a lui, un bellissimo cavallo baio attendeva con calma ieratica il momento in cui avrebbe potuto lanciarsi di nuovo in una folle gara con il vento. La figura incappucciata prese le redini e le fece scivolare sul collo muscoloso dell’animale. Poi con la grazia di una rondine gettò il mantello al ragazzo, come si getta una monetina a un mendicante, e montò in sella. Il giovanotto rimase come inebetito nel vedere il ricco vestito di seta rossa che avvolgeva il corpo di una ragazza come non ne aveva mai viste in città, dalla pelle bianca e liscia come marmo. Lei rise del suo stupore e si lanciò al galoppo verso la campagna: Versailles la aspettava.

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Capitolo 2
*** 1 - Vita di palazzo ***


Ciao a tutti!

Eccomi qui, con un nuovo capitolo.. Ringrazio innanzitutto MamW e Victoria93 che hanno recensito e che seguono questa storia: spero che continuerete a "tenermi compagnia" e recensire con i vostri consigli/suggerimenti/ecc.

Allora, preciso che qui iniziano ad entrare in scena nuovi personaggi inventati (le damigelle di corte, gli stallieri) e reali, in particolare Talleyrand: sono particolarmente legata a questa figura, mi ha sempra affascinata e ho deciso di dargli il mio piccolo omaggio inserendolo in questa storia e reinterpretandolo a mio modo. Spero di non aver stravolto troppo la sua personalità, cercherò di attenermi il più fedelmente possibile alla sua biografia.

Vi lascio al capitolo, un bacione!!!

C.

 

1 – Vita di palazzo

 

Il sole splendeva alto nel cielo limpido, filtrando attraverso le cortine chiuse e Charlotte strizzava gli occhi per abituarsi alla luce. Si era appena svegliata e osservava i delicati affreschi sul soffitto, illuminati dai raggi dorati, i cui colori splendevano vividi in quel timido principio d’estate: era il 20 maggio e la ragazza era incredibilmente preoccupata per il turbine di avvenimenti che si erano succeduti negli ultimi giorni. Solo due settimane prima, gli Stati Generali avevano iniziato il loro lavoro: non giungevano notizie incoraggianti. Anzi, non giungevano notizie: nonostante si riunissero a palazzo, non si sapeva quasi nulla di come procedessero i lavori. Il re era costantemente indeciso, non si schierava apertamente, forse perché il ministro Necker, richiamato l’anno precedente per sostenere il sovrano in quella difficile situazione, gli impediva di radicalizzare le sue posizioni.

Charlotte adorava la politica, non riusciva a immaginare nulla di più interessante, a parte la letteratura, forse. Aveva così tante idee e progetti che spesso si sentiva scoppiare la testa, aveva assolutamente bisogno di parlarne a qualcuno. E proprio in quei momenti c’era suo padre, il generale de Linage, capo della Guardia Reale. Lo andava a trovare nei suoi appartamenti e, poiché lui trovava sempre del tempo per l’adorata figlia tra un impegno e l’altro, gli raccontava in maniera concitata, quasi senza riprendere fiato, tutto quello che avrebbe voluto fare. Lui ascoltava, annuendo di tanto in tanto con un sorriso ma senza mai essere accondiscendente e, quando la figlia smetteva di parlare e lo guardava con quell’espressione ansiosa di conoscere la sua opinione, rispondeva immancabilmente con rammarico: “Tesoro mio, il tuo unico difetto è essere nata donna!”.

Charlotte smise di fantasticare, si alzò con un sospiro e chiamò le cameriere perché la aiutassero a vestirsi.

Certo, suo padre non pensava davvero che essere donna fosse un difetto, ma era sicuramente vero che il suo sesso le pregiudicava tutto, tranne il matrimonio. Quando era più piccola si era sentita frustrata e umiliata da questa condizione, ma ora aveva capito che non avrebbe cambiato secoli di mentalità maschilista nemmeno nel tempo di tutta la sua vita. Avrebbe dovuto pazientemente aspettare di poter far valere il suo pensiero con qualche escamotage, ottenendo così una vittoria ancora più schiacciante contro la presunta superiorità maschile.

Passò davanti ad uno specchio e interruppe le sue elucubrazioni per osservarsi con un pizzico di apprensiva vanità. La fredda lastra le rimandò l’immagine di una ragazza alta e in salute. Il suo viso pallido era illuminato da due occhi quasi neri e incorniciato da una massa di splendidi capelli color del legno, con magnifiche venature rossicce, di cui andava molto fiera e che legò con grazia con un fermaglio in madreperla.

Non appena fu pronta, uscì dalla sua stanza, percorrendo il lungo corridoio riccamente decorato dell’ala del palazzo dove erano alloggiate le damigelle della regina, fino a giungere alla stanza della sua amica Marie de Sâle. Bussò delicatamente e, non avuta risposta, entrò. Appena i suoi occhi si furono abituati alla penombra, si avvicinò al letto, ancora occupato da una splendida ragazza: i lunghi capelli biondi come il grano in estate erano sciolti sui cuscini dalle federe azzurre e le lenzuola ammonticchiate disordinatamente per terra scoprivano il suo corpo perfetto, vestito solo di una sottile camicia da notte in mussola blu.

Con un risolino, Charlotte si avvicinò alle tende e le spalancò, dicendo:

“Buongiorno Marie! Avanti, svegliati! La giornata è troppo bella per restare in camera a poltrire.”

Bruscamente svegliata, l’altra si tirò la coperta sugli occhi e mugugnò infastidita:

“Cosa c’è? Ho bisogno dormire…”

“Dormire? Con una giornata come questa? Mi auguro che tu non dica sul serio!”

“Ti prego, ho sonno!”

  “Va bene. Non ti vuoi alzare? Dovrò alzarti con la forza!”

Rispose Charlotte ridendo e si buttò nel letto, facendole il solletico. Pur non andando pazza per la monotona vita di corte, la ragazza adorava quei piccoli momenti di semplice divertimento con delle sue coetanee, cosa a cui non era certo abituata quando viveva in campagna con i suoi genitori.

“Basta, ti prego!”

Diceva Marie singhiozzando dal ridere, ma Charlotte non smise finché lei non aggiunse, tossicchiando e aggiustandosi i capelli scarmigliati.

“Mi alzo, mi alzo! Come fai a essere già in piedi a quest’ora?”

“Semplice, non perdo tempo nel salone a chiacchierare come fai tu!”

“Ieri sono andata a dormire subito dopo di te, ma con questo caldo non sono riuscita quasi a chiudere occhio!”

“Forse ti sarebbe stato più utile rimanere a chiacchierare nel salone, sai?”

Intervenne a quel punto una ragazza che era appena entrata senza un rumore dalla porta spalancata. Le due si voltarono verso di lei e le sorrisero, riconoscendo Juliette de Montrausseaux, figlia primogenita di una famiglia di ministri. Quell’ambiziosa ragazza dai capelli corvini e dallo sguardo di fuoco veniva guardata con disprezzo da molte dame - perché appartenente a quella nobiltà di toga, considerata dai nobili di più antica data come semplice borghesia arricchita - e con apprezzamento da molti gentiluomini per le sue forme perfette e la sua proverbiale generosità nel concederne un assaggio a chi poteva ricambiare con qualche favore.

“Juliette, come stai?”

Le domandò Marie, alzandosi finalmente dalle coperte e gettandole le braccia al collo.

“Bene, grazie cara.”

Rispose quella, chinandosi in avanti a salutare Charlotte con un bacio e accomodandosi poi con grazia su una poltroncina.

“Cosa dicevi a proposito del chiacchierare nel salone?”

Chiese allora Charlotte, naturalmente incuriosita.

“Dovete sapere che è arrivato un nuovo stalliere. E le voci dicono che sia molto bello!”

Marie emise un gridolino eccitato e cominciò a confabulare con Juliette, progettando come e quando avrebbero potuto vederlo.

“Che ne pensi Charlotte, cara?”

“Cosa?”

Rispose la ragazza che stava guardando fuori dalla finestra, mentre tentava di individuare la sagoma del nuovo palafreniere intorno alle stalle.

“Insomma, vuoi prestarci attenzione? Ti chiedevo se dopo avessi voglia di venire con noi a cavalcare per, come dire, saggiare il territorio!”

“D’accordo, ma verrò solo per tenervi d’occhio e per impedirvi di fare sciocchezze!”

“Grazie, che cosa faremmo senza di te…mamma?”

Rispose l’altra con una linguaccia. Si diedero appuntamento all’imboccatura del viale che portava alle scuderie di lì a un’ora e tornarono ognuna nella propria stanza.

Appena arrivata, la ragazza si chiuse alle spalle la porta e si sedette al suo scrittoio, prendendo penna e calamaio e apprestandosi a scrivere a casa.

Cara madre,

è passato molto tempo dall’ultima vostra lettera, mi chiedo se tutto vada bene. Louis come sta? Henri è ancora in seminario? E voi, madre, sentite la mancanza di vostro marito e della vostra unica figlia? Perdonate queste mille domande, ma sento la vostra mancanza e sono preoccupata per voi tutti. Qui a palazzo tutto procede come al solito, non immaginate neanche quanto sia noiosa la corte in questo periodo. Da quando la regina è a Meudon per assistere suo figlio, ci manca ogni occasione mondana e il Trianon è triste e deserto. Non pensavo che l’avrei mai ammesso, ma mi mancano quelle deliziose caprette, anche se certo non mi manca il loro odore! Spero di ricevere al più presto vostre notizie, che calmino i miei timori e mi rassicurino sulla vostra salute.

Con amore,

La vostra devotissima figlia Charlotte.

Dopo molte cancellature e correzioni fu soddisfatta del risultato e fece chiamare una cameriera, dicendo:

“Fate recapitare al generale de Linage questa lettera, con la preghiera di spedirla tramite un suo uomo di fiducia.”

Guardò la ragazza uscire con un inchino e chiuse gli occhi, coprendosi il volto con le mani: sapeva che la sua famiglia era ben più al sicuro di lei, in campagna e lontana da Parigi, ma era preoccupata per loro. Voci di sporadiche insurrezioni di contadini esasperati giungevano anche nel cuore della corte e Charlotte temeva per la salute dei suoi cari. Alzò gli occhi verso il grazioso orologio d’oro che troneggiava sopra il caminetto e realizzò in un attimo di essere in ritardo, quindi uscì e raggiunse le amiche, avviandosi con loro verso le scuderie del palazzo.

Attraversarono la reggia fino a giungere all’ingresso principale, incontrando solo pochi nobili intenti a parlottare tra loro, che quasi non si accorsero del passaggio di tre damigelle impegnate nelle loro frivolezze. Uscirono nella piazza d’armi e subito furono investite da un tourbillon[1] di soldati affaccendati che, invece, ben si accorsero di loro al punto che non pochi fischi salirono da un angolo all’altro dello spiazzo. Ridendo, le amiche si avviarono verso le scuderie della regina, in cui avevano il privilegio di poter tenere anche i loro cavalli, affinché fossero sempre pronte ad accompagnare la loro sovrana ovunque avesse richiesto.

Arrivate davanti ai portoni della stlla, Marie chiese, improvvisamente nervosa:

“Trovate che questo vestito mi doni? E l’acconciatura?”

“Stai tranquilla, sei bellissima, i capelli sono perfetti e non questo vestito non potrebbe esaltare meglio la tua figura!”

La rassicurò Juliette. Charlotte notò che le sue amiche avevano curato il loro abbigliamento molto più di lei: Marie indossava una tunica celeste con una sopravveste bianca ricamata e aveva i capelli legati intorno alla testa con alcuni splendidi fermagli d’oro; Juliette invece indossava un abito rosa con sottogonna di tulle che spuntava dalla gonna bordata d’oro. Charlotte trovava assolutamente superfluo quell’abbigliamento per una cavalcata, per non parlare di quell’ossessione di apparire perfette! Stava quasi per esternare i suoi pensieri, ma preferì non interrompere quel mieloso scambio di convenevoli.

“Sei veramente splendida anche tu!”

Disse Marie a Juliette, poi aggiunse, rivolta a Charlotte:

“Mi dispiace dovertelo dire, ma avresti potuto curare un po’ di più la tua toilette: avresti dovuto indossare un vestito un po’ più ricco. Non ne avevi uno molto bello che ti aveva mandato tua zia da Lyon? Mi sembra di ricordare che stesse bene con i tuoi capelli, avresti anche potuto metterlo!”

La ragazza pensò all’orrendo abito di pesante velluto color amaranto con tanto di scarpette coordinate e rispose:

“L’ho cercato, ma proprio non ho idea di dove posso averlo messo! Sarà finito per sbaglio in campagna dalla mamma.”

“Ma…”

Marie stava per ribattere, quando Juliette disse:

“Non vorrei disturbarvi, ma siamo venute per un motivo preciso!”

“Hai ragione!”

Rispose Marie, lanciando all’amica un’occhiata, come per dirle che avevano un discorso in sospeso, e aprì la porta con noncuranza.

Pur ritenendole un po’ superficiali, Charlotte ammirava molto le sue amiche e in cuor suo ne era invidiosa, perché erano capaci di controllare le proprie emozioni e di non scomporsi mai. Passavano con frivolezza dalla corte di un ragazzo a quella di un altro, si divertivano a civettare con chiunque, fredde e distaccate con il malcapitato che, puntualmente, cadeva ai loro piedi nel giro di pochi giorni.

Lei aveva provato tante volte a seguire i loro consigli, ma con scarso risultato: non riusciva proprio a non conversare con curiosità, parlando spesso di cose che il ragazzo in questione non sapeva, con il risultato di annoiarlo. Per di più, non aveva ancora trovato nessuno che condividesse appieno i suoi interessi, anzi, spesso trovava decisamente vuoti e mediocri i nobilotti che ronzavano attorno alle sue amiche. Avrebbe quasi preferito tentare di parlare con qualcuno della sua servitù, ma Juliette le aveva spiegato che “quelli servono solo per certe necessità, come dire, fisiologiche, se proprio non puoi farne a meno” e aveva riso come se parlare con loro anziché andarci a letto fosse un’idea sciocca e insensata quanto parlare con un cavallo.

Non appena entrate, notarono subito il giovane stalliere affaccendato; doveva avere una ventina d’anni. Alzò la testa per vedere chi fosse, rivelando un viso sporco di polvere, così come sporchi e spettinati erano i capelli neri. Aveva però un’espressione familiare che colpì profondamente la ragazza.

“Cosa desiderate, mesdemoiselles[2]?”

Domandò con impeccabile garbo, continuando però a strigliare i cavalli con noncuranza.

“Vorremmo che sellaste i nostri cavalli.”

Rispose Marie con la sua voce melodiosa che faceva girare la testa. Lui lasciò un attimo l’animale di cui si stava occupando e, guardando le nuove arrivate con un mezzo sorriso di compatimento, si avvicinò al ripostiglio delle selle, ne prese tre e sellò i cavalli che le ragazze gli indicarono. Marie fu la prima a essere issata in sella, seguita da Juliette e da Charlotte.

“Tenete salde le redini e fate attenzione ai cinghiali, ce ne sono due che gironzolano nel parco, in attesa che il re li cacci.”

Si raccomandò meccanicamente prima di aprire il portone della stalla.

“Non ci accompagnate? Dopotutto sarebbe colpa vostra se ci accadesse qualcosa.”

Domandò Juliette sbattendo le ciglia, e rigirandosi tra le dita una ciocca di capelli che era sfuggita alla treccia.

“Se lo comandate, non ho altra scelta.”

Rispose lui con tono piatto, quasi avesse ben altre cose per la testa, prima di avviarsi dietro alle ragazze, partite al trotto.

Trottarono per l’Avenue du Trianon fino ad incrociare l’Allée d’Apollon, dove ridussero l’andatura per godere della vista del parco, incantevole più che mai. La giornata era calda senza essere afosa e il sole riverberava sul Grand Canal creando meravigliosi giochi di luce, brillanti pozze candide che quasi impedivano di vedere i numerosi cigni che vi nuotavano pigramente.

Mentre Marie e Juliette ciarlavano dei balli della settimana, Charlotte si voltò a guardare lo stalliere: appariva esausto e accaldato, la camicia chiazzata di sudore e le guance paonazze per lo sforzo di seguirle. Le si strinse il cuore: mai avrebbe desiderato di trattare un uomo come una bestia da soma per un suo capriccio, quindi sospirò:

“Sono davvero stanca! Che ne direste di tornare un’altra volta e di andare a palazzo a riposarci ora?”

“Mi sembra un’idea splendida! Sono sfinita anch’io.”

Acconsentì Juliette e Marie disse al giovane:

“Potete riportare i cavalli!”

Smontarono e tornarono a piedi verso il palazzo.

“Questi alberi sono tremendamente incolti, non trovate? Insomma, dove hanno la testa i giardinieri?”.

Marie osservava le grandi piante che ombreggiavano pigramente i viali, mentre Charlotte cercava di seguire con lo sguardo lo stalliere: chissà se era già arrivato alle scuderie, dove avrebbe potuto riposare dalle fatiche di quella sciocca cavalcata.

“Marie, la vegetazione non m’interessa!”

Replicò Juliette con uno sbuffo, poi aggiunse con voce annoiata:

“Decisamente deludente! Non capisco come possano definirlo bello è così sporco! Non vale assolutamente la pena se non, ovviamente, per un paio d’ore di divertimento!”

Charlotte considerò la possibilità di stare zitta, per una volta in vita sua, ma come sempre non resistette e ribatté, con malcelato sarcasmo:

“Perdonami, cara, ma a te per due ore di divertimento andrebbe bene quasi chiunque!”

Marie scoppiò a ridere, e aggiunse:

“Hai perfettamente ragione! In ogni caso sono d’accordo con Juliette, non è niente di speciale, abbiamo solo sprecato tempo.”

“Siete veramente spiritose oggi, me ne compiaccio. Non starò certo qui a sentire lezioni di morale da chi ha accettato nel suo letto persino un uomo di chiesa[3]!”

Charlotte tacque: Juliette aveva colpito nel segno. Si sentì una stupida ad aver raccontato loro di Charles, come avrebbero potuto capire? Per la prima volta aveva avuto qualcuno con cui parlare di tutto, qualcuno che la capisse veramente e che avesse i suoi stessi interessi. Ma che, purtroppo, aveva già consacrato se stesso a un altro tipo di amore, che non ammetteva ripensamenti. Si erano amati completamente, ma quell’idillio aveva dovuto finire. E ora lui era prigioniero di un consesso senza imminente soluzione e lei era prigioniera della monotonia della reggia dorata.

“Per favore, adesso basta.”

Mugolò Marie, che detestava veder discutere le altre due: sapevano entrambe essere pungenti e sarcastiche, al contrario di lei che nelle discussioni aveva sempre la peggio ed era costretta al silenzio.

“Marie ha ragione, nessun rancore.”

Replicò Charlotte, senza neanche un accenno sul viso del dolore provocato da quei ricordi. Poi aggiunse, sorridendo a Juliette

“Sono d’accordo, lo stalliere non è un granché…”

Mentire sapendo di mentire. Spregevole, certo, ma vitale in un mondo come quello. Charlotte non avrebbe potuto essere meno convinta di ciò che aveva detto: trovava quel ragazzo molto bello, e non solo. Era sicura di averlo già visto, le ricordava vagamente qualcuno. Cercava di visualizzare tutte le persone che aveva conosciuto, tutti i domestici del palazzo, quelli dei suoi genitori in campagna, ma non riusciva a vederlo. Si concentrò al massimo, corrugando la fronte, ma proprio quando le sembrava di aver capito chi era, il ricordo le sfuggì, come se provasse ad afferrare il fumo.




[1] Turbinio (ma mi piaceva decisamente di più il suono in francese!)

[2] Signorine

[3] Charles-Maurice Talleyrand Périgord, agente generale del clero di Francia e rappresentante del clero agli Stati Generali.

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Capitolo 3
*** 2 - Paris canaille! ***


2 – Paris canaille!

Il Faubourg Saint Marcel1 era stranamente silenzioso, in quella calda notte di maggio sotto un cielo limpido, a malapena rischiarato da una falce di luna crescente.

Qualche debole schiamazzo di ubriaco si perdeva nella brezza e volteggiava da una taverna all’altra, dove gli ultimi avventori si attardavano per il bicchiere della staffa, per mitigare ancora un po’ la durezza della loro vita con l’aspro intontimento dell’alcool. Molti di loro avevano perso il lavoro, molti non l’avevano neanche mai avuto, tutti si arrangiavano a vivere di espedienti, covando nel profondo dei loro cuori una sorda rabbia verso tutti coloro che avevano permesso al popolo francese di cadere così in basso.

“Schifosi porci!”

Biascicò un omaccione tirando un pugno al bancone di legno tarlato che cigolò sotto la sua mano.

“Sono solo un branco di schifosi porci!”

Cristophe, il locandiere lo guardò quasi con tenerezza: Paul aveva trent’anni appena, un figlio malato di tisi e vicino alla morte, nemmeno una crosta di pane per nutrirlo. Gli ricordava tanto il suo, di figlio, partito per cercare fortuna chissà dove e mai più tornato. Gli si parò davanti, passando distrattamente uno strofinaccio sul bancone prima di riempirgli di nuovo il boccale di birra, dicendo:

“Sono tempi duri, caro mio, ma passeranno. Come sono sempre passati.”

“No, stupido vecchio, non questa volta!”

Il giovane sembrava più cupo e malinconico che mai. Altri attorno a lui annuirono, come se condividessero tutti il medesimo pensiero, che Paul espresse in una sola, lapidaria considerazione:

“Questa volta qualcuno dovrà pagare con il sangue il dolore che noi abbiamo sopportato!”

“Taci, stupido! Questi discorsi non possono che portare guai.”

Lo rimproverò il locandiere, guardandosi nervosamente attorno. Incontrò lo sguardo acceso di un avventore dai limpidi occhi azzurri che ribatté:

“Verranno, i guai, e non potrete impedirlo!”

Poi lanciò qualche moneta a Cristophe e si allontanò nella notte, avvolgendosi stretto nel mantello che portava.

A un angolo di strada, una prostituta mostrava meccanicamente la sua mercanzia a chiunque volesse pagare quelques sous2 per averla: due seni avvizziti e penduli, malamente coperti da un logoro scialle mangiucchiato dai ratti, una gamba magra e deturpata dai morsi delle cimici, denti anneriti e guasti in una bocca storta, con cui prometteva di far raggiungere il paradiso. Un cliente si avvicinò ed allungò una monetina alla poveretta, che lo prese per mano e lo condusse nel vicolo alle sue spalle: con un po’ di fortuna in quella buona nottata, avrebbe guadagnato abbastanza da permettersi un tozzo di pane all’apertura delle boulangeries3.

Il viandante nascose ancor di più il volto nel colletto del mantello e avanzò a passo veloce nel dedalo di stradine della città spostandosi verso il più elegante Faubourg Saint Germain. Qui le lussuose case erano silenziose, le finestre sbarrate: da quando il re aveva richiesto ai nobili di abitare il palazzo, quasi tutti avevano abbandonato le loro dimore cittadine per trasferirsi a Versailles, e ora quei palazzi erano utilizzati solo sporadicamente per fastosi balli in maschera, teatro di ogni sorta di libertinaggio.

Il mantello frusciava sul selciato, rompendo il silenzio innaturale di quel quartiere. L’uomo arrivò davanti alla piccola e antica abbazia di Saint Germain e spinse il massiccio portone in legno, che si aprì cigolando. L’interno della chiesa era solo debolmente illuminato dalle candele votive, che si consumavano lentamente, innalzando al cielo le più intime richieste di coloro che le avevano accese. Si potevano a malapena scorgere l’altare di pietra e le vetrate illustrate, da cui non filtrava alcun raggio di luna.

L’incappucciato percorse una parte della navata centrale, i suoi stivali rimbombavano sul pavimento di pietra. Svoltò in una delle cappelle laterali e si trovò in una piccola rientranza dominata da un mezzo busto in marmo del grande Descartes.

“Eccellente luogo per il nostro incontro, me ne compiaccio.”

Esordì, ridacchiando, rivolto all’angolo più lontano e buio, da cui emersero altri due uomini. Dopotutto, il grande filosofo francese, accanito sostenitore della Ragione avrebbe certamente deplorato gli eccessi di quella società, ormai troppo avvezza a vivere “con la pancia” più che con la testa. I due si avvicinarono e uno rispose:

“Ci serviva un posto sicuro, qui certamente non ci disturberà nessuno.”

“Non ne dubito affatto!”

Il terzo uomo si schiarì la voce e disse:

“Perché hai voluto vederci, Marcel? Sai quanto è rischioso!”

“Certo, Jacques, ma volevo sapere a che punto sono le tue, ehm, indagini, se così si possono chiamare!”

“Nulla di buono, temo. Il popolo è ogni giorno più insoddisfatto, la ribellione sembra sempre più alle porte.”

Marcel sorrise, scuotendo la zazzera di ricci biondi che gli incorniciavano il volto ancora ombreggiato d’infanzia nei suoi appena vent’anni:

“Queste sono ottime notizie, amico mio!”

L’altro uomo fece un passo avanti e intervenne, veemente:

“Ottime notizie, dici? E allora il mio lavoro a cosa serve, se è la Rivoluzione che vuoi?”

“Suvvia, André, non mi sembra che il tuo sia il lavoro peggiore, no? Tutto il giorno a palazzo, a sollazzarti con tutte quelle gallinelle di nobile piumaggio!”

“Va’ al diavolo!”

Fece per andarsene, ma fu trattenuto da Jacques, che cercò di rabbonirlo:

“Sono certo che Marcel non intendeva sminuirti, vero?”

“Certo che no, ma la tua spiccata sensibilità quasi femminea mi diverte e non poco!”

Replicò il biondo con una risata, poi aggiunse:

“Maximilien ci porta brutte notizie, ancora non l’hanno spuntata sul voto pro capite[4]. Temo che non andranno avanti per molto!”

“Motivo in più per continuare la mia missione, non credi?”

Ribatté André infervorato, zittito però subito da Marcel che disse:

“Per il momento continua così, Maximilien mi ha detto che farà in modo di contattarti personalmente.”

“Spero che sia più ragionevole di te, Marcel!”

Con questa secca replica, il ragazzo uscì senza voltarsi indietro dall’abbazia. Chi credeva di essere, quello spocchioso? Non era costretto a vivere lontano dalla città, lontano dalla famiglia come lo era lui e per cosa, poi? Se tutti volevano quella maledetta Rivoluzione, si sarebbe fatta, anche in barba al suo delicato tentativo di mediare.

Svoltò un angolo e si trovò davanti a quattro ragazzi, dovevano avere una quindicina d’anni a testa. Uno gli si avvicinò, mentre altri due gli scivolarono alle spalle, rapidi e silenziosi. Poi cominciò. Il primo pugno arrivò di sorpresa, sulla guancia e lo fece vacillare annebbiandogli la vista, quindi ci fu una gragnuola di colpi, ripetuti, incessanti, che lo fecero cadere a terra, il volto nascosto dalle mani per proteggersi. Fulminea com’era iniziata, quella tortura finì con i ragazzi che frugarono lesti nelle sue tasche, prendendo quel po’ di denaro che aveva portato con sé per fermarsi a bere un bicchiere con gli amici.

Il silenzio tornò ad abitare il vicoletto, rotto solo dal rumoroso respiro di André, che si alzò lentamente da terra, sputando sangue sul selciato. Si appoggiò un istante al muro dietro di lui, cercando di alleviare le vertigini che lo tormentavano. Ricominciò a camminare con passo malfermo, un sorriso amaro sulle labbra: mai come in quel momento il suo duro lavoro gli sembrava inutile e sciocco. Trattare con qualche nobile per una soluzione pacifica: quale mediazione avrebbe mai potuto appianare tutto quell’odio e quella disperazione?


Ciao!

Eccomi di ritorno, nuovo capitolo..scusatemi, ma è vergognosamente breve! Volevo dare uno spaccato della vita di città prima di tornare nel nostro luccicante palazzo..quindi eccovi qui nuovi personaggi e un pizzico di "mistero": quale sarà la misteriosa missione di cui si sta occupando il povero André? Chi saranno lui, Maximilien, Jacques e Marcel? Alla prossima...

Baci!

C.

PS. Grazie a MamW e Victoria93 per le recensioni!!


1 Quartiere operaio di Parigi

2 Qualche soldo

3 Panetterie

[4] Il clero e la nobiltà volevano votare per Stato, in modo da tenere sempre in minoranza i borghesi che, essendo più numerosi, volevano invece che fosse conteggiato il voto di ogni singolo membro

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Capitolo 4
*** 3 - Di nuovo a cavallo ***


3 – Di nuovo a cavallo

 

Ignare di tutto ciò che accadeva nella vicina città, a Versailles le damigelle della regina trascorrevano le giornate tra pasticcini e chiacchiere.

Sedute nella stanza di Juliette, che rispecchiava in pieno la personalità di chi la occupava con al centro un letto a baldacchino con ricche coperte di broccato rosso e cortine di velluto scarlatto, le ragazze sorseggiavano calici di un ottimo vino di Borgogna e Marie iniziò a raccontare gli ultimi pettegolezzi:

 “Sembra che stia arrivando a Versailles un conte inglese. Dicono che venga per studiare il francese, ma secondo me ha già sentito parlare della nostra bellezza.”

“In questo caso gliene daremo un assaggio e non rimarrà affatto deluso!”

Commentò Juliette ammiccante. Charlotte alzò gli occhi al cielo: erano sempre state così, ma ogni volta riuscivano a sorprenderla per quanto si dimostravano civette! Disse quindi che non si sentiva bene e scappò nella sua camera, fece portare una poltroncina sul balconcino e si sedette a pensare, straordinariamente inquieta.

Era preoccupata per quello che le stava succedendo intorno, odiava starsene con le mani in mano proprio mentre gli Stati Generali decidevano le sorti del suo paese. Come se non bastasse, non parlava da giorni con suo padre, sempre pieno di lavoro, e iniziava ad annoiarsi terribilmente della vita di corte. Desiderava con tutto il cuore parlare con Charles, ma non aveva ancora avuto modo di incontrarlo. Era sempre così sfuggevole da quando erano iniziate le riunioni, lo aveva scorso qualche volta, a tarda sera, camminare nei corridoi del palazzo come uno spettro: un’ombra di barba incolta sulle guance, gli occhi celesti nascosti da un velo di stanchezza e angoscia, come se grandi e terribili pensieri ne tormentassero il sonno. Tuttavia non era ancora riuscita ad avvicinarlo in separata sede e sperava di avere presto l’occasione di sentire di nuovo la sua voce.

Come se non bastasse, le mancava sua madre. Non la vedeva da due anni ormai, aspettava con ansia la risposta alla sua lettera: anelava a ricevere notizie sulla salute dei suoi cari fratelli. Ripensando alla sua infanzia, non riusciva a non sentire una tristezza profonda perché era stato il periodo più felice della sua vita. Tutte le ragazze di famiglia nobile, però, erano destinate a quella vita e non avrebbe potuto farci niente, era un onore e un dovere. La sua prospettiva, sua come di tante altre, era quella di sposare prima possibile un nobile ricco e spocchioso e passare il resto della propria vita a invecchiare tra feste, balli e figli da vegliare.

Rimase a guardare il sole che scendeva e, quasi senza accorgersene, il suo pensiero corse allo stalliere. Forse la sua aria familiare era stata solo un’impressione?

Rientrò continuando a rimuginare su questi pensieri, che le tennero compagnia finché non cadde preda di un sonno profondo.

L’indomani mattina fu svegliata da una cameriera che le disse che la contessina De Sâle e la signorina Montrausseaux la aspettavano alle scuderie per andare a cavalcare. Alzò gli occhi al cielo al pensiero della tranquilla mattinata di lettura che vedeva sfumare davanti ai suoi occhi. Si preparò in fretta, indossando un abito di lino celeste semplice e pratico prima di raggiungere le amiche, questa volta meno eleganti ma più determinate a togliersi questo sfizio per potersi rivolgere altrove.

La stalla brulicava d’inservienti che si muovevano febbrilmente intorno agli animali, lucidavano finimenti e spazzavano la paglia sporca. Charlotte divorò lo spazio con lo sguardo, provando una strana apprensione non vedendo il ragazzo. Poi però lo scorse, intento a strigliare con cura quasi ossessiva i cavalli. Le ragazze gli si avvicinarono tra i mormorii sommessi degli altri e alcuni deboli fischi di ammirazione, cercando di attirare la sua attenzione, ma questa volta non le degnò di uno sguardo.

“Gradireste sellarci i cavalli, perché vorremmo fare un’altra cavalcata?”

Domandò Juliette coprendosi il naso con un fazzolettino di pizzo per non sentire l’acre odore dei cavalli. Il ragazzo continuò a non guardarle, ma prese tre selle da uno scaffale e le appoggiò a terra, con un secco:

“Eccovi le selle. Chiedete a qualcun altro di accompagnarvi!”

Charlotte ammirò molto quel ragazzo e la sua aria di sfida, così chiamò il garzone più vicino, un corpulento giovane dai capelli rossicci, chiedendogli gentilmente di preparare gli animali per la passeggiata.

“Ferma! Sarà questo pezzente a sellarci i cavalli, altrimenti lo faremo sbattere fuori dal palazzo a pedate!”

La interruppe Juliette con voce stridula e sprezzante.

“Non mi sembra il caso di prendersela in questo modo, dopotutto è pieno d’inservienti qui! Basterà chiedere a un altro…”

Ribatté calma la ragazza. Marie, che era stata in silenzio fino a quel momento e aveva continuato a guardare per terra tentando disperatamente di non piangere, sbottò:

“È assolutamente oltraggioso! Non intendo subire quest’umiliazione un minuto di più!”

E corse via in lacrime. Juliette la rincorse fuori, sibilando:

“Non finirà qui! Vi faremo cacciare, se sarete fortunato!”

Charlotte era dispiaciuta per Marie, anche se ancora non riusciva a capire cosa fosse successo di così grave, e stava per seguirle, quando una voce dietro di lei disse:

“Non capisco perché vi preoccupiate tanto, sono solo due oche!”

Si voltò di scatto, domandandosi come mai il ragazzo, prima calmo, quasi assente fosse ora così aggressivo. Gli stava per rispondere a tono, quando lui alzò la testa e la ragazza rimase senza parole: aveva un livido giallastro su una guancia e il labbro pendeva da una parte, con un grumo di sangue rappreso da qualche giorno. Doveva senz’altro essere stato picchiato. Nonostante fosse conciato male, Charlotte rimase sbalordita da quanto era bello: aveva un viso perfetto con un naso identico a quello delle statue romane che la ragazza aveva ammirato in Italia, splendidi occhi azzurri come il cielo d’estate, labbra sottili e capelli ondulati e neri, puliti questa volta.

“Chi vi ha ridotto così?”

“Non è affar vostro! Per il poco che si guadagna qui, in città c’è chi ucciderebbe.”

Rispose evasivo, sfiorandosi il volto tumefatto, e la ragazza, che colse una sfumatura di rassegnazione nella voce, realizzò in un attimo quanto quella situazione fosse triste.

“Ma è terrificante! Qualcuno deve fare qualcosa, tutto questo è orribile!”

“Credete davvero che a qualcuno interessi cambiare? A chi potrebbe fare qualcosa interessa solo il proprio denaro, il proprio potere, non muoverebbero un dito per aiutare gli altri!”

“Non è vero! Ci sono molte persone a cui interessano le sorti del nostro paese, sicuramente qualcuno disposto a cambiare le cose c’è!”

Replicò Charlotte e, dato che il ragazzo non rispondeva, aggiunse:

“Anzi, proprio in questo momento gli Stati Generali staranno prendendo dei provvedimenti.”

“Non so se cercate di prendermi per stupido o se ci credete davvero! Sapete benissimo che nobili e prelati vogliono usare l’assemblea solamente per accrescere i loro guadagni continuando a tenere in disparte i borghesi!”

“Perché dite questo? Solo perché i borghesi non vivono a palazzo? O solo perché voi non siete nobile e dovete lavorare?”

Attorno a loro era calato il silenzio. Tutti si erano allontanati e si fingevano troppo impegnati per guardare o ascoltare: nessuno voleva essere immischiato nella lite tra un garzone da nulla e una damigella della regina. Il ragazzo scoppiò in una risata dura e sprezzante, prima di replicare:

“Esattamente quello che volevo dimostrare! Non siete diversa dagli altri, pensate anche voi di essere migliore semplicemente perché siete nata voi stessa! Vivete in questo bel palazzo, senza sapere che per tutti quelli che ci lavorano, palazzo vuol dire lavoro continuo in questa scuderia o nelle cucine o chissà dove, avanzi della tavola come cibo e un pagliericcio sporco in una stanza con altri venti servi. Non ve ne importa niente di chi non è come voi!”

La ragazza rimase a bocca aperta, sentendosi ferita e allo stesso tempo sorpresa: davvero non aveva idea che i domestici e i servi di Versailles vivessero così, nella sua casa in campagna erano trattati decisamente meglio. Ma perché quello sconosciuto doveva prendersela proprio con lei? Forse aveva ragione, ma non era colpa sua se lui era in quella situazione! Era troppo orgogliosa per ammettere di essere in torto, quindi rispose, fingendo di credere in ciò che stava per dire:

“Sentite, non so perché sto qui a parlare con voi, ma non è colpa mia se sono nobile e voi no!”

“Ah è così? Dunque non è colpa vostra se esistono persone più povere? Non è colpa del re e della regina, che tutti disprezzate ma tentate comunque d’ingraziarvi, se le casse dello stato sono vuote, se le guerre continuano e se il popolo mangia topi morti mentre voi vi abbuffate come animali di ogni sorta di prelibatezze? Basterebbero gli avanzi di un vostro banchetto a sfamare ogni bambino della città!”

Si fermò un attimo, ansante, guardandola in cagnesco. Poi tornò repentinamente a quell’atteggiamento noncurante, come una marionetta a cui vengano tagliati i fili che la legano al burattinaio. Prese una pala e iniziò a spalare la paglia sporca, dicendo:

“Ora, per favore, andatevene. Andate a raccontare alle guardie quello che vi ho detto, almeno così sarò cacciato fuori da qui e, se sarò fortunato, mi avranno giustiziato prima di domani!”

Charlotte era sempre più sbalordita, ma se ne andò silenziosamente e si mise alla ricerca delle sue amiche, quasi correndo attraverso il grande parco.

Era a dir poco furiosa: come si permetteva quel ragazzo? Non la conosceva nemmeno e pretendeva di sapere tutto di lei, semplicemente perché conosceva la maggior parte dei nobili. Ripensò alla folla ammutolita al passaggio del corteo: probabilmente avevano tutti quel pensiero fisso nella mente, ritenevano di poter definire una persona solo in base alla sua classe sociale.

Sferrò un calcio a un sasso, senza curarsi delle morbide scarpette di raso. Avrebbe dovuto farlo mandare via… Ma non voleva. Perché non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che lui aveva ragione, che a palazzo si viveva davvero troppo bene rispetto agli altri. Ne era perfettamente consapevole, ma non avrebbe potuto farci niente, o almeno così aveva sempre creduto. La discussione con quel ragazzo le aveva fatto venire dei dubbi sulla sua effettiva possibilità di cambiare le cose, la aveva fatta sentire in colpa e non sapeva nemmeno lei perché.

Cercò di non pensare a lui, alle sue parole e si mise a correre. Attraversò senza fermarsi l’Avenue de Trianon, dirigendosi verso il palazzo del Trianon, sperando di trovare conforto in quel luogo dove si era tanto divertita. Si addentrò nella vegetazione lungo uno dei vialetti, perfettamente tenuti, finché non raggiunse una piccola radura con una fontanella. Si sedette un attimo e immerse le dita nell’acqua fresca, chiudendo gli occhi e ascoltando il cinguettio degli uccelli. Ma a un tratto quella piacevole melodia cessò, sostituita da una specie di rantolo, un mugolio sordo e continuo. Aprì gli occhi di scatto e si trovò di fronte una sagoma nera che ansimava, pronta a lanciarsi alla carica. Uno dei cinghiali scappati! Non avrebbe dovuto avventurarsi fino lì e ora era sola, in serio pericolo di vita. Cercò di appiattirsi contro la fontana, stringendo le ginocchia contro il petto, senza fare movimenti troppo bruschi. L’animale intanto la scrutava, misurando ogni suo movimento. Era terrorizzata e avrebbe voluto gridare, ma la paura di aizzarlo ancora di più la bloccava. Rimase per un tempo indefinito immobile, come se il tempo si fosse fermato poi improvvisamente il cinghiale si lanciò contro di lei con un grugnito. Si rannicchiò il più possibile, fino a entrare nella piccola vasca che però non poteva offrirle protezione; attendeva il colpo, il dolore, sentì solo un grugnito acuto e penetrante, poi più nulla.

Ciao a tutti!!

Scusate il ritardo, ma sono impegnatissima con la sessione esami... :( Eccoci qui, torniamo a Versailles e vediamo come procedono le lunghe e pigre giornate delle nostre damigelle.

Spero di poter aggiornare di nuovo presto, un abbraccio a chi segue e recensisce questa storia, soprattutto la fedelissima MamW :)

C.

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Capitolo 5
*** Parole ***


Ciao!

Scusate per l'imperdonabile ritardo, ma tra esami e tirocini sono stata lontana dalla scrittura per un bel po'...Spero di ricompensare la vostra attesa con questo capitolo, in cui, finalmente, assistiamo a un nuovo incontro tra i nostri due protagonisti! ;)

Buona lettura

C.

 

Aprì lentamente gli occhi e vide il cinghiale a terra, con una lancia da caccia nel ventre, immobile. In piedi poco dietro di lui c’era lo stalliere che la guardava con aria di rimprovero.

“Mi sembrava di avervi detto che il bosco era pericoloso…”

“Pensavo di essere al sicuro!”

“Adesso non state lì impalata, tornate a palazzo, prima che arrivi anche l’altro.”

Charlotte scese, strizzando l’orlo del vestito, e fece per ringraziare il ragazzo, ma vide che si era già allontanato verso le scuderie. Lo raggiunse di corsa e gli si affiancò dicendo:

“Grazie per avermi salvata. Non so davvero cosa avrei fatto senza di voi!”

La risposta giunse sprezzante come poco prima:

“Di niente! E ora, se non vi dispiace, torno al lavoro! Andate pure a farvi confezionare qualche vestito o a fare merenda. Sono quasi le cinque in fondo!”

La ragazza era esterrefatta per quella risposta. Lei lo ringraziava sinceramente e lui le rispondeva trattandola come una bambina viziata! Questa volta, però, non gliel’avrebbe data vinta, non sarebbe stata ad ascoltarlo mentre la umiliava.

“Non so bene per quale motivo continuiate a trattarmi in questa maniera, ma voglio che la smettiate immediatamente! Non sono qui per ascoltare i lamenti di uno stupido che non riesce a trovare nessun modo per migliorare la sua situazione. E per sottolineare questa vostra totale mancanza di importanza, vi annuncio che ho intenzione di lasciar correre su queste risposte, ricordandovi semplicemente che non tutti farebbero come me e che, forse, i pugni che avete ricevuto, li avete meritati!”

Detto questo accelerò il passo con un sorrisetto compiaciuto, lasciandolo fermo in mezzo al sentiero, troppo stupito per muoversi.

Il ragazzo rimase a guardare la sagoma che si allontanava, il vestito che ondeggiava ad ogni passo. Una strana sensazione di déjà vu l’attraversò: gli ricordava qualcuna, forse… No, non poteva essere! Erano passati sei anni, avrebbe potuto essere dovunque, ma non lì a Versailles. Per come aveva risposto, però, avrebbe potuto anche essere lei, non conosceva molte ragazze che gli avrebbero tenuto testa in quel modo. Non sembrava affatto una creatura fragile ed evanescente, alla disperata ricerca di protezione. Meglio per lei, pensò, chiunque fosse; non avrebbe avuto troppi problemi a sopravvivere nella giungla della corte.

Charlotte era arrivata alla sua stanza e si era seduta vicino alla finestra aperta a leggere.

Era piacevolmente compiaciuta di sé, aveva saputo rimetter al suo posto quell’impertinente con una calma imperturbabile. Alle volte si sorprendeva a pensare all’incredibile valore che aveva la parola: parlare, discutere, le davano una sensazione di potere inebriante, la facevano sentire padrona del mondo intero. Certo, spesso la portavano a sopravvalutarsi, ma era un rischio che avrebbe continuato a correre pur di sentirsi così soddisfatta delle sue capacità.

Si recò da Marie, sperando di chiarire il malinteso. Sfortunatamente la cameriera della ragazza le disse che questa era impegnata e, a giudicare dai gemiti che provenivano dalla stanza da letto, Charlotte le credette in pieno. Non aveva voglia di vedere Juliette, era arrabbiata per la durezza con cui aveva trattato lo stalliere. Stava per tornare, demoralizzata, alla propria stanza, quando decise di andare a parlare proprio con lui, dicendo a se stessa che era per convincerlo a scusarsi con le sue amiche. In realtà, nonostante non volesse ammetterlo, era singolarmente attratta da lui ed era curiosa di rivederlo, per capire se le sue parole avessero avuto un qualche effetto.

Quando arrivò alle stalle, sentì dei rumori confusi, quindi rimase ad aspettare, convinta che lo stalliere non fosse solo. Attese nascosta dietro un albero poco lontano finché non sentì cessare ogni suono e spinse la porta. Il grande ambiente era completamente deserto, eccezion fatta per gli animali irrequieti e per il ragazzo, appoggiato a un pilastro di legno, che ansimava e tossiva. Alzò la testa per vedere chi era entrato e lei vide che doveva essere appena stato picchiato di nuovo: era paonazzo, il naso gli sanguinava e si stava formando un cerchio violaceo intorno all’occhio destro.

“Che diavolo ci fate qui?”

Sbraitò lui alzandosi di scatto e portandosi una mano ai reni, con una smorfia di dolore.

“Cosa vi è successo? Dovete immediatamente metterci qualcosa di freddo!”

Disse lei, eludendo la sua domanda perché davvero non avrebbe saputo dare una risposta razionale.

“Me la caverò benissimo da solo… Se proprio volete saperlo, stavo civilmente conversando con delle guardie che mi stavano cortesemente chiedendo se sapessi qualcosa a proposito del cinghiale morto.”

“Mi dispiace davvero, ma adesso lasciate che vi aiuti!”

Rispose prendendo un fazzolettino di stoffa che aveva con sé e tamponando il sangue che colava dal naso del ragazzo. Lui fece per ritrarsi, poi però si lasciò medicare e bofonchiò un ringraziamento.

“Dovete mettere dell’acqua sull’occhio o si gonfierà! Il naso non è rotto, ma sanguinerà ancora per un po’. Fate attenzione a non chinarvi troppo e a non prendere altre botte…”

“Per le botte, raccomandatelo ad altri, non a me! Quanto al chinarsi, dubito che le stalle si pulirebbero da sole.”

“E allora fate pure! Non chiedete aiuto a nessuno! Chinatevi, pulite tutte le scuderie e quando non riuscirete più a respirare dall’emorragia, mandatemi a chiamare, non vorrei perdermi lo spettacolo!”

Si voltò e fece per andarsene, sempre più irritata dallo strano comportamento di quello scontroso, ma si arrestò quando lui le disse:

“Non sarei di certo in questa condizione se qualcuno non facesse tutte queste storie per un cinghiale ucciso.”

“Il cinghiale era del re e voi l’avete ucciso! Hanno ragione a volervi punire!”

Il ragazzo strabuzzò gli occhi e quasi tirò un pugno al pilastro di legno a cui era appoggiato.

“È così che la pensate? Sono io che ho sbagliato a uccidere uno dei preziosissimi cinghiali del re per salvarvi la vita? Scusate tanto, la prossima volta sarò meno sciocco e lascerò che tra i due non sia il cinghiale a morire!”

Charlotte si morse il labbro, realizzando di aver appena dimostrato di essere solo un’egoista e ammise:

“Avete ragione. Se non fossi andata nel boschetto non sarebbe successo niente! Vi prego, scusatemi per le botte che avete preso e sappiate che non ho intenzione di dire niente.”

Si girò e uscì in fretta, camminando verso il palazzo. Pochi soldati marciavano nella piazza d’armi, qualcuno le rivolse persino un cenno di saluto. Stava per raggiungere le porte del palazzo, quando sentì una voce.

“Perché?”

Si girò, stupita di vedere il giovane che camminava silenziosamente a pochi passi da lei, e chiese:

“Perché cosa?”

“Perché siete venuta qui, perché mi avete aiutato? Dopo quello che ho detto sui nobili, dovete aver capito che non mi andate a genio.”

“Sì, l’ho capito benissimo…”

“E allora perché?”

“Bisogna per forza avere un motivo per fare una passeggiata? E bisogna forse andarsene indifferenti quando si vede qualcuno in difficoltà?”

“Siete incredibile, rispondete alle domande con altre domande!”

“Mettiamola così, l’ho fatto per farvi cambiare idea, almeno in parte. Certo, non l’ho fatto per qualche tornaconto personale, altrimenti, credete che sarei ancora qui a cercare di spiegarmi?”

Rimase un momento pensieroso, poi sorrise. Un sorriso sincero, diverso dalla sua solita espressione arrogante.

“Sapete, mi ricordate una persona che ho lasciato tanto tempo fa.”

Charlotte sorrise, stupita che anche lui provasse nei suoi confronti quella fastidiosa sensazione che la accompagnava da quando lo aveva visto la prima volta.

“Pensavo che tutte le ragazze nobili fossero conservate sotto vetro! – Scherzò lui schiarendosi la voce – Voi, invece, v’interessate di politica…”

“In verità sono un po’ un’eccezione, la maggior parte delle ragazze pensa solo ai vestiti, alle feste, a divertirsi sfrenatamente e a trovarsi un marito prima possibile.”

“E voi? Vi sposerete presto?”

Charlotte si sentì leggermente in imbarazzo per quella domanda così diretta e personale, ma rispose naturalmente, come se parlasse con una persona che conosceva da sempre.

“Non credo… Almeno, mio padre non me ne ha ancora parlato. Sapete, lui è diverso dagli altri, non vuole forzarmi a fare qualcosa che non voglio. Certo, sarebbe davvero felice se trovassi qualcuno che soddisfi le mie e le sue aspettative… Per quanto mi riguarda, sono ben contenta di aspettare, sposarmi significherebbe solo limitare la mia libertà. Voi avete una famiglia?”

“No, per carità! In questo momento voglio solo aiutare mio padre, ci sarà tempo per pensarci.”

Erano quasi arrivati al castello, troppo vicini per essere visti parlare. Le malelingue si sarebbero scatenate, ci sarebbero state ripercussioni anche su suo padre così Charlotte, seppur a malincuore, disse:

“Sarà meglio che vada, è piuttosto tardi. Buonanotte!”

Si allontanò di corsa; il ragazzo rimase a guardarla finché non fu solo un puntino scuro contro le finestre piene di luce. Poi se ne tornò alle stalle, riflettendo con un sorriso che non sapeva nemmeno il nome di quell’incredibile ragazza.

Charlotte corse fino alla sua stanza, entrò e si chiuse la porta alle spalle. Si buttò sul letto e scoppiò a ridere: era felice di essere riuscita a parlare con quel ragazzo, felice che avessero qualcosa da dirsi. Era sicura che avrebbe presto dato un senso a quella strana sensazione che provava quando gli era vicina, quel déjà vu inspiegabile.

In quel momento irruppe nella sua stanza Marie, vestita di tutto punto. Sembrava così seria, quell’espressione proprio non le si addiceva. Si sedette ai piedi del letto ed esordì:

“Ti sei forse dimenticata della funzione di oggi, cara? Era domenica. C’era il tuo caro Tayllerand a celebrare

“Devo parlarti di una cosa importante: i miei genitori mi hanno trovato un marito!”

“Cosa?”

“Un conte, o qualcosa del genere. Dicono che sono già vecchia, che ormai il mio posto come damigella della regina deve essere preso da mia sorella e che la mia è un’occasione unica!”

“E tu cosa ne pensi?”

“A me va bene… Tanto tra qualche mese o tra qualche anno, cosa può cambiare?”

“Dio, Marie, mi sembra un po’ difficile scegliere la persona con cui passare una vita senza nemmeno averla mai incontrata.”

“Come la fai lunga! Dovrò solo mettere al mondo dei figli e farmi viziare come una regina… Non mi sembra così male come prospettiva! E poi potrò continuare a fare ciò che voglio, l’importante è che lui non lo sappia!”

Charlotte avrebbe voluto dire qualcosa, farle mille domande, ma l’abbracciò soltanto, congratulandosi vivamente con lei. Rimasero a chiacchierare allegramente fino a tardi, ricordando quanto fossero stati divertenti quegli anni a Versailles e quando Marie se ne andò, Charlotte si mise a letto oppressa da ciò che suonava tanto come un addio.

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