Lontano da casa

di lapoetastra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una speranza ***
Capitolo 2: *** Una promessa ***
Capitolo 3: *** Un rimpianto ***
Capitolo 4: *** Un nuovo inizio ***



Capitolo 1
*** Una speranza ***


Gwen pensava a lui ogni giorno.
Gli anni erano passati, la vita era trascorsa portandosi con sé le sue esperienze, eppure era come se il tempo per la donna si fosse fermato a quel felice 10 marzo del 1945, quando lo aveva conosciuto.
 
Gwen sta preparando il caffè per un cliente, il quale non le stacca gli occhi di dosso.
La ragazza sa di essere bella, con i suoi lunghi capelli castano chiaro che le ricadono in morbidi boccoli lungo le esili spalle, circondandole il viso a cuore come una cascata di miele, e gli occhi vivaci e verdi come l’erba d’estate.
Eppure, nonostante gli infiniti inviti a cena dei clienti che ogni giorno si affollano nel locale dove lavora come cameriera, ella non ha mai accettato di uscire con loro.
Non vuole impegnarsi, ama la sua libertà come poche cose al mondo e non ha intenzione di perdere tale privilegio per nessun uomo, benché meno per quelli, sempre così invadenti ed eccessivamente stucchevoli.
Il campanello suona d’improvviso con il suo stridore acuto, segno che un nuovo cliente ha appena varcato la soglia del cafè.
Entra un gruppo di soldati, facilmente riconoscibili grazie alla divisa militare ed al passo sicuro di chi non ha paura di niente e si crede già un eroe, nonostante la guerra sia solo appena iniziata.
Gwen giunge al tavolo dove i quattro uomini sono seduti, per prendere le ordinazioni.
Non ne guarda neanche uno in faccia, ma riesce a percepire i loro occhi puntati sulle morbide forme del suo corpo, come se le volessero strappare il vestito dalla scollatura generosa di dosso.
Ma lei è abituata a questo genere di apprezzamenti, ed ormai non ci fa neanche più caso.
Prepara il caffè e, sempre senza dire una parola e con lo sguardo duro ed impenetrabile, sistema le tazze di fronte ai soldati che parlottano sottovoce tra loro e si lanciano occhiate furtive.
< Siediti qui a bere con noi >, la invita di colpo uno, il più spavaldo del gruppo.
Gwen trattiene a malapena un sospiro infastidito. < Non posso, devo lavorare. >
< Un minuto solo non ti costerà nulla, e poi non c’è molta gente oggi. Non vuoi dare un po’ di sollievo a quattro soldati che rischiano la vita tutti i giorni? >
La donna fissa uno ad uno gli uomini che ricambiano con sguardi eccitati e carichi di aspettativa.
< No! >, quasi urla Gwen, accennando a tornare dietro al bancone, lontana dalla loro voglia indomabile.
Il soldato che ha parlato, però, la trattiene rudemente per un braccio, costringendola a girarsi su se stessa ed a sedersi sulle sue ginocchia.
Gwen prova a divincolarsi, ma la presa dell’uomo è troppo forte, e quasi le fa mancare il respiro.
Sente le sue mani sul suo seno, il suo respiro caldo leggermente affannato sul proprio collo, e la paura inizia a dilagare nel suo cuore.
Vorrebbe gridare, chiamare aiuto, ma tanto sa che non accorrerebbe nessuno.
Molti sono infatti i clienti del locale che hanno visto ciò che sta accadendo, ma tutti hanno distolto lo sguardo e fatto finta che non stia capitando nulla.
Hanno timore di mettersi contro soldati armati ed addestrati, loro che sono solo semplici contadini.
Gwen spera allora unicamente che, se proprio non può evitare l’inevitabile, che almeno tutto accada velocemente.
Chiude gli occhi, ed aspetta.
< Che cosa state facendo? >, ode urlare d’improvviso, a pochi passi da lei.
Non ha neanche il tempo di voltarsi che sente le mani del soldato venirle tolte di dosso, rendendola libera di muoversi e facendole ritornare l’ossigeno nei polmoni.
Si alza in piedi per capire la causa di quel repentino mutamento di situazione, e lo vede.
Un altro soldato, grande e grosso, sta picchiando con ferocia quelli che fino ad un attimo prima la stavano molestando, i quali sembrano aver perso ora tutta la propria baldanzosità.
< Così ci pensate due volte a toccare una donna indifesa >, ansima ruggendo il militare appena sopraggiunto, facendo alzare malamente in piedi gli altri quattro soldati, che, con i volti tumefatti e ricoperti di sangue, lasciano traballanti il locale senza voltarsi indietro.
Gwen rimane ferma, immobile.
Il militare si pulisce le mani su un tovagliolo candido e le si avvicina.
La scruta con occhi preoccupati, cercando su di lei qualche ferita, e quando non ne trova sorride.
Un sorriso dolce, caldo, sincero.
Un sorriso di come Gwen non ha mai visto uguali, prima d’allora.
La donna sa che dovrebbe ringraziarlo, ma non riesce ad emettere alcuna parola, e non sa se la causa di ciò sia perché  è ancora in stato di shock per quanto accaduto, oppure perché si è completamente persa negli occhi di quell’uomo, blu come il cielo e profondi come l’oceano.
Il soldato non parla, e sempre con quel sorriso incantevole sulle labbra carnose le mette in mano quattro monete.
Al contatto del metallo freddo sulla pelle bollente, Gwen sobbalza e ritorna in sé.
< Per che cosa sono? >, domanda, e si stupisce di quanto la sua voce suoni stridula, facendola vergognare di aver parlato.
Il militare però non ci fa caso,  e sorride ancora di più.
< Quei quattro… uomini non hanno pagato ciò che hanno ordinato >, spiega allora, distorcendo la bocca nel pronunciare la parola “uomini”, come se chiamandoli così avesse concesso loro un privilegio non meritato.
< Io… grazie >, mormora Gwen, sinceramente, e non intende ringraziarlo solo per i soldati, ma anche e soprattutto per averla difesa e salvata.
< Ci mancherebbe >, esclama l’uomo, apprestandosi ad uscire.
Così, senza nemmeno chiederle il nome e presentarsi.
< Aspetta! >, sente Gwen urlare alle proprie labbra.
Il soldato si gira, e la ragazza capisce dal suo sguardo che in fondo era quello che sperava.
< Fermati a bere qualcosa >, gli dice, iniziando già a preparare un caffè.
Il militare si siede davanti a lei, ma la ferma con un gesto repentino della mano.
< Aspetta >, esordisce.
< Non mi va niente da bere, non adesso. Per favore, siediti qui vicino a me >, le sussurra poi, sempre con quel sorriso stampato sul volto.
Gwen percepisce il gelo invaderla.
Anche lui, come tutti gli altri uomini, vuole la sua compagnia solo in quel senso, quel senso che lei odia e che le fa odiare tutto il genere maschile.
Probabilmente è per questo che l’ha liberata dalle grinfie degli altri soldati: per averla tutta per sé.
Il militare vede la freddezza calata improvvisamente sul viso della ragazza, ed allarga ancora di più il proprio sorriso.
< Ehi, non pensare male! >, esclama, agitando in aria le mani. < Non sono come quelli di prima, io. Vorrei solo che tu mi informassi di cosa sta accadendo nel mondo negli ultimi giorni. Non ascolto molto le notizie, combattendo per salvarmi la vita, sai com’è… Ma se non vuoi, non importa. >
Gwen sente le proprie labbra curvarsi involontariamente all’insù, ed il suo cuore viene invaso per la prima volta da un sentimento nuovo, sconosciuto, strano.
Stupendo.
Si siede accanto a lui, felice come mai è stata.
Parlano, discutono, ridono insieme, e man mano che i minuti trascorrono veloci e sereni, Gwen si rende conto che quell’uomo è davvero diverso da tutti gli altri.
E non solo perché è bello da mozzare il fiato, con il suo viso da angelo ed il suo corpo perfetto, ma soprattutto perché la rispetta: non la guarda mai se non negli occhi ed è sempre attento a far sì che le sue mani non si avvicinino troppo a ciò che non dovrebbe toccare.
Quel soldato piace davvero a Gwen, tanto.
E quando lui la invita ad andare insieme a cena, quella sera stessa, lei accetta senza pensarci.
È l’inizio di un sogno.

 
Gwen sorrise a quei ricordi della sua gioventù, quando era bella, quando era felice.
Quando era con lui.
Ancora adesso le bastava chiudere gli occhi per poter ammirare il suo viso paradisiaco di fronte a sé, come se il soldato fosse davvero lì.
Dalla cena di quella sera di tanti anni prima era nata tra loro una storia meravigliosa, fatta di amore e complicità, la più bella che Gwen avesse mai avuto in tutta la sua vita.
Lei amava davvero quel soldato dolce e gentile, e per entrambi era stato incredibilmente difficile separarsi.
Il loro idillio si era infatti rapidamente spezzato quando il militare era stato richiamato alle armi, per andare a combattere quella guerra infinita ed assurda in un’altra parte dell’Europa, lontano da lei.
E da allora il tempo era passato, Gwen era cresciuta, diventata una donna, un’anziana, e non lo aveva mai più rivisto.
Non c’era però giorno in cui non sperasse con tutta se stessa di vederlo entrare dalla porta di casa, per abbracciarlo e baciarlo come una volta, come se fossero sempre stati insieme.
Ma niente di tutto ciò era mai successo.

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Capitolo 2
*** Una promessa ***


Sidney controllò che tutto ciò di cui avesse bisogno fosse stipato nella pesante e capiente valigia.
Sì.
Si sedette sul letto, in attesa del taxi che lo avrebbe condotto all’aeroporto.
Era emozionato, e non riusciva a nascondere l’agitazione che lo scuoteva all’interno come una tempesta, manifestata all’esterno mediante il tremore delle sue mani callose.
Non era più giovane, ed a volte si domandava come gli fosse venuto in mente di prenotare un viaggio e partire per Melbourne, lui che abitava a centinaia di miglia di distanza da quella città.
Eppure ogni singola volta trovava una risposta: lo faceva per lei.
Lei, l’unica donna che avesse mai amato e che se solo avesse conosciuto in un momento diverso – e non durante la Seconda guerra Mondiale – sarebbe rimasta accanto a lui per sempre.
Ma Sidney, una volta tornata la pace, non era ritornato da lei, come le aveva promesso.
Non si biasimava di questo, però.
La guerra lo aveva scavato profondamente dentro, lasciandogli un vuoto incolmabile al posto del cuore, ed anche una volta terminata, velocemente come era iniziata, lui non si sentiva più come prima.
Era come il fantasma di se stesso, sempre pronto a scattare al minimo rumore e terrorizzato dal buio, il quale gli faceva rimembrare l’orrore cui aveva assistito sul campo di battaglia.
Per tale motivo aveva preferito tornare a casa e vivere da solo con il proprio dolore e la propria rabbia nei confronti delle vite dei suoi commilitoni strappate crudelmente dal mondo a causa della furia dei nemici davanti a lui.
Non poteva dare a lei il peso di aver accanto una sincope, un guscio svuotato che era il suo corpo privo di anima, ed era convinto che con il trascorrere del tempo l’avrebbe dimenticata.
Ma erano passati sessanti anni, e ciò non era mai successo.
Lui la amava ancora come il giorno in cui aveva incrociato gli occhi neri di quella donna – Gwen, o Ginevre, non ricordava con precisione il suo nome – che gli faceva ardere di passione il sangue al solo pensiero del suo viso angelico.
Ed adesso sarebbe andato da lei.
Certo, sapeva che sicuramente l’avrebbe trovata sposata e con una splendida famiglia, ma il suo obiettivo non era quello di riconquistarla e diventare il suo compagno.
Voleva solo rivederla, almeno una volta, almeno prima della fine.
Poi sarebbe scomparso di nuovo dalla sua vita, come il fumo nel vento, e non le avrebbe più imposto la propria presenza.
Pensando al suo dolcissimo sguardo, Sidney strinse forte il  biglietto sgualcito sul quale lei aveva scritto il proprio indirizzo, tanti anni indietro, cosicché lui potesse andarla a trovare prima di ripartire per la guerra.
L’aveva sempre tenuto con sé, sapendo che gli sarebbe tornato nuovamente utile, un giorno.
Ed infatti era stato così.
Lo accarezzò delicatamente con le dita, quasi con paura di romperlo, e come tutte le volte non poté evitare alla propria mente di ritornare a quella notte, la più bella della sua vita.
 
 
Sidney guarda il biglietto ove lei ha scritto il suo indirizzo.
Il soldato non ha perso un secondo e, appena calata la sera, si è recato a casa della ragazza.
Ora è fermo sotto la sua finestra, timoroso e quasi vergognoso, indeciso se suonare il campanello o lanciare sassolini contro il vetro.
Lei però lo distoglie subito dai suoi dubbi e spalanca la finestra con un sorriso più brillante di tutte le stelle che ci sono nel cielo.
Gli fa cenno di salire, e Sidney, incoraggiato, si arrampica senza alcuna  fatica sul piccolo terrazzino ed entra nella sua stanza.
Si guarda intorno, riscaldato dal calore dell’ambiente e si rende conto che la camera è esattamente come se l’era aspettata: dolce, proprio come la ragazza che, al suo fianco, lo ammira con gli occhi lucidi e che è già diventata la persona più importante della sua vita.
Ma non c’è tempo per festeggiare, e Sidney lo sa bene.
< Devo ripartire per la guerra >, dice semplicemente, come se fosse la cosa più ovvia del mondo e non un colpo al cuore di entrambi.
Non la vede, ma sente la fanciulla trattenere il respiro, incredula.
Vorrebbe consolarla, abbracciarla, ma la disperazione lo ha invaso completamente con le sue spire assolutizzanti di dolore.
Sidney si volta piano, la guarda, e con sua estrema sorpresa nota che non sta piangendo.
È seria, ma non vi è traccia di lacrime sul suo viso di porcellana.
< Tornerai da me? >, domanda con voce flebile.
Sidney non sa cosa rispondere.
Forse però il suo vero problema è che ha la gola talmente secca che non riesce ad emettere alcuna parola di senso compiuto.
< Non so… non so quando finirà la guerra. Potrebbero volerci anni >, mormora infine.
Non accenna al fatto che molto probabilmente lui non uscirà mai vivo da quella battaglia senza fine in cui non crede e che ha già strappato la vita a centinaia di suoi compagni.
< Non importa >, sussurra la ragazza, ed adesso una nota di speranza vibra nella sua voce. < Io vivrò sempre qui, anche quando diventerò vecchia. I miei genitori hanno comprato questa casa con tanta fatica e tanti sacrifici, quindi non riuscirei mai a venderla quando loro… Resterò sempre qui, te lo prometto. >
Sidney la guarda: il suo viso da bambina è ora acceso di una nuova luce, che si riflette anche nei suoi occhi di notte facendoli brillare come due tizzoni ardenti.
Il soldato pensa che solo per quella vista valga la pena vivere e sa che affronterà la guerra e la vincerà unicamente per rivederla.
< Tornerò, lo giuro >, afferma allora solennemente, ed al sorriso felice che si apre sul volto della ragazza, come l’arcobaleno dopo una tempesta, non può più trattenersi e la bacia.
Con dolcezza, con passione.
Con amore.
Come se potesse ricavare dalle sue labbra morbide e zuccherine il nettare di cui ha bisogno per sopravvivere.
Come se volesse sugellare con le loro lingue che si intrecciano il loro giuramento.
La ragazza risponde teneramente al bacio e si abbandona completamente tra le braccia di Sidney, le quali non esitano a stringerla con forza e possesso.
La notte avvolge entrambi gli innamorati con la loro coperta di stelle, proteggendoli da tutto il dolore che li coglierà con il sorgere del Sole, a sole poche ore di distanza.
 
 
Sidney, ancora seduto sul letto, si passò una mano tra i capelli bianchi e radi e sospirò.
Quella ragazza, con il suo viso dolce e delicato, era stata l’unica donna che avesse mai amato, nonostante avessero trascorso insieme unicamente una singola notte.
Non era mai riuscito a dimenticarla, ed adesso finalmente era arrivato il momento che non avrebbe dovuto rimandare così a lungo.
Prese la valigia ed uscì.
Stava andando da lei, diretto a quella casa che ricordava ancora come fosse la propria, dove la ragazza gli aveva promesso che sarebbe sempre vissuta aspettando il suo ritorno.
Adesso era giunto il suo turno di rispettare il giuramento fattole – quello di tornare – e Sidney, a tale pensiero, si lasciò invadere da una gioia ed un senso di speranza assolutizzanti, sentimenti celestiali che per così tanti anni si erano negati al suo animo tormentato.
< Sto arrivando >, mormorò una volta accomodato sul morbido sedile del taxi, fermo sotto la finestra del suo piccolo appartamento.
E quando l’auto partì, un sorriso si fece strada sul volto dell’ex soldato.
 
 

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Capitolo 3
*** Un rimpianto ***


Sidney arrivò di fronte alla casa di lei nel primo pomeriggio.
La valigia che teneva in mano, contenente i pochi averi che gli erano davvero cari, gli cadde di mano improvvisamente, aprendosi sul duro asfalto con un tonfo sordo e disperdendo il suo contenuto tutto attorno sulla strada.
Sidney non se ne curò.
Non gli importava niente di nulla, adesso.
I suoi occhi erano puntati sulla casa di lei, e qualcosa si stava inevitabilmente spezzando dentro di lui, con una lentezza estenuante.
Perché l’edificio non era come quello di una volta.
Bello, monumentale, vivace.
Pieno di vita.
No, ora era in rovine.
Cadeva a pezzi, e quasi era un miracolo che alcune parti fossero ancora in piedi.
Era chiaro che ormai non vi abitava più nessuno ed una pesante transenna lo confermava vietando l’ingresso per pericolo crolli.
Sidney guardò quella catapecchia e gli sembrò di sgretolarsi in mille pezzi lui stesso.
Lei non c’era.
Non viveva più lì da anni.
Non aveva rispettato la promessa.
Con gli occhi soffocati dal dolore, vide un uomo camminare lentamente a pochi passi da dove si trovava.
< Mi scusi, sa per caso se questa era la casa di una ragazza bionda? Si chiamava Gwen, o Ginevre, adesso non riesco esattamente a ricordare… Viveva con i genitori. >, gli chiese, tremante.
< Oh, certo >, rispose lo sconosciuto affabile, con un sorriso. < Tutti in città conoscevano la famiglia Shelton. Davvero brave persone. Ed anche quando i genitori sono morti, la loro unica figlia ha continuato ad abitare qui. >
Poi l’uomo si fece improvvisamente serio. < Era proprio una brava donna >, mormorò, con gli occhi rivolti verso terra.
< Era? Cosa…? >, chiese Sidney, con il cuore a pezzi.
Non voleva sapere la risposta, ma era consapevole di non poterne fare a meno.
< È morta quindici anni fa, per un brutto male. Era così giovane e bella che… >
Ma Sidney non ascoltava più, ormai.
Come poteva?
Le sue orecchie erano completamente ovattate dall’agonia che lo dilaniava fin nel profondo con la sua morsa inallentabile di dolore soffocante.
< Dov’è… dov’è..? >, balbettò, incapace di formulare una domanda di senso compiuto.
< È sepolta al cimitero che si trova dietro quel palazzo >, rispose l’uomo accanto a lui, che fortunatamente aveva capito ciò che voleva dire, indicando un enorme edificio che si stagliava con la sua maestosa imponenza di fronte alla misera casa diroccata, quasi per scherno.
Sidney ringraziò il signore e si diresse con passo malfermo verso il cimitero.
Trovò immediatamente la tomba di lei.
Era la più bella e la più ricoperta di fiori di tutte le altre, segno che la dolcezza di quella ragazza dai capelli di Sole e gli occhi di notte non aveva conquistato solamente lui, una vita prima.
Si inginocchiò lentamente accanto alla bianca lapide e, tra le lacrime che gli rigavano copiose il volto magro, lesse l’elegia.
Qui giace Ginevre Shelton, teneramente amata e compianta dal marito e dai due figli.”
Sidney improvvisamente sentì una rabbia dirompente dilagare dentro il suo cuore.
Era irato con se stesso perché aveva dimenticato il nome di lei, quel nome dolce e melodioso che un vero innamorato non avrebbe mai dovuto scordare o confondere con un altro.
Era irato con lei, perché si era creata una famiglia ed aveva sposato un uomo che l’aveva amata come lui non era mai stato in grado di fare.
E piangeva, Sidney.
Piangeva perché sapeva che in fondo era stata solo colpa sua se Ginevre si era unita ad un altro uomo, ed era consapevole del fatto che era davvero da stupidi ed egoisti biasimarla.
Sarebbe dovuto tornare da lei prima, appena finita la guerra, e non lasciare passare tutti quegli infiniti anni.
Ma erano solo rimorsi, appartenenti ad un tempo che mai sarebbe tornato.
Ed ora Ginevre non era più niente, solo polvere tra la polvere, e lui non aveva avuto neanche l’occasione di rivederla.
Almeno una volta, almeno prima della fine.
Rimase lì, accovacciato sulla fredda e dura tomba che era l’unico legame che lo univa a lei.
< Non hai rispettato la promessa >, singhiozzò tra le lacrime incessanti, spezzando il silenzio irreale del cimitero.
Era vero.
Ginevre non era rimasta ad aspettarlo in quella casa dove aveva assicurato sarebbe sempre vissuta attendendo il suo ritorno.
Se n’era andata, lasciandolo solo con il suo ricordo ed il suo rimpianto.
< Non ho rispettato la promessa >, sussurrò ancora Sidney.
Era vero anche questo.
Non era mai ritornato da lei.
Ed adesso che si era deciso a farlo, era troppo tardi.
 

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Capitolo 4
*** Un nuovo inizio ***


Non c’era giorno in cui Gwen non sperasse con tutta se stessa di veder l’unico uomo che avesse mai amato, quel soldato conosciuto tanti anni prima, varcare la soglia della sua casa, per poterlo abbracciare e baciare come una volta, come se fossero sempre stati insieme.
Ma niente di ciò era mai successo.
Perché William –così si chiamava -era morto in battaglia.
Una granata era caduta esattamente nella buca dove aveva cercato invano di nascondersi, distruggendolo e spezzandolo come un burattino in balia di un uragano.
Quando aveva appreso la notizia, Gwen non ne era rimasta sorpresa.
Qualcosa dentro di sé le diceva infatti che sarebbe andata così, ed anche se aveva continuamente cercato di non dare ascolto a quella crudele voce, era consapevole del fatto che il suo amato soldato non sarebbe mai tornato da lei.
Ancora adesso, però, piangeva per lui.
Gli mancava terribilmente ogni parte del suo corpo, dai suoi occhi di mare ad i suoi capelli biondi brillanti come se fossero illuminati dai caldi raggi del Sole estivo.
Ma lui non c’era più, ora, ed a lei non rimaneva che il suo doloroso e dolce ricordo.
Ogni giorno continuava ad amarlo.
Ed ogni giorno andava al cimitero dove lui era sepolto.
 
 
< Mi dispiace molto per la sua perdita. >
Una voce distolse Sidney dalla sua assolutizzante agonia.
Si voltò di scatto e vide che accanto a sé c’era una donna, la cui mano delicata era poggiata gentilmente sulla propria spalla in segno di conforto.
Sidney non poté non notare la bellezza di quella signora che doveva avere più o meno la sua stessa età.
Gli ricordava quasi…
< Io mi chiamo Gwen >, si presentò lei, sorridendo dolcemente.
< Io… Sidney >, rispose l’ex soldato, fissandola con occhi sbarrati.
La donna, intanto, ricambiava il suo sguardo incredulo.
Perché quell’uomo incontrato per caso sembrava tantissimo William.
Aveva gli stessi occhi azzurri e profondi, gli stessi capelli boccolati, la stessa bocca a cuore.
< Lei è qui a visitare un parente? >, le domandò d’improvviso Sidney, distogliendola dalle mille emozioni che le si agitavano dentro come una tempesta.
< Io…no. Un mio… vecchio amico >, mormorò Gwen, socchiudendo gli occhi nella speranza di trattenere le lacrime.
Sidney stava per parlare quando entrambi udirono il segnale che indicava la chiusura del cimitero per la notte.
< Vuole… vuole venire a cena con me, stasera? >
Gwen trasalì a quelle parole, le stesse che le aveva rivolto William una vita prima.
Sidney, intanto, sussultò nell’udire la domanda che la sua bocca aveva pronunciato senza interpellare prima il cervello, e subito si pentì di averla posta.
In fondo, lui e Gwen erano due sconosciuti, come gli era venuto in mente di invitarla a cena?
Non sapeva niente di lei e della sua vita.
Ma forse era perché quella donna davvero gli ricordava Ginevre, ed il suo viso dolce e delicato gli aveva subito ispirato fiducia.
Di certo però non l’avrebbe biasimata se avesse rifiutato quell’invito così impudente.
< Io… mi farebbe molto piacere >, rispose invece Gwen, arrossendo leggermente e diventando ancora più bella agli occhi dell’uomo.
< Stasera però non posso, ma se vuole domani sera sono libera >, disse poi.
Di fronte all’assenso di Sidney, la donna prese dalla borsetta una penna ed un pezzo di carta tutto stropicciato.
< Ecco, le lascio il mio indirizzo di casa, così può passare a prendermi, domani >, sussurrò dopo un attimo, porgendo il foglietto sgualcito all’uomo che lo prese con mani tremanti ed il cuore in subbuglio.
Poi entrambi se ne andarono, in direzioni diverse, ciascuno con le proprie emozioni e riflessioni.
Gwen pensava.
Pensava al fatto che in quei pochi minuti in cui era stata in compagnia di Sidney le era sembrato di essere tornata ragazzina, poco più che una bambina, e si era sentita davvero felice e serena, come non le capitava da quando aveva perso William.
Forse significava questo, ricominciare a vivere.
Forse questo significava ricominciare ad amare.
Anche Sidney, diretto all’albergo di poco costo nel quale soggiornava – il direttore era un suo vecchio commilitone e gli aveva lasciato liberamente a disposizione la camera senza che dovesse pagare nulla - , pensava.
Una strana sensazione gli stava bruciando nelle vene, una sensazione dirompente ed assolutizzante che non lo invadeva da anni.
Pensava al fatto che forse la sua amata Ginevre, ovunque lei fosse stata nell’alto dei cieli, non era poi così arrabbiata con lui per non aver rispettato il giuramento come credeva.
Perché gli aveva appena inviato un regalo.
Gwen.
Gwen, che così tanto gli ricordava lei ma che allo stesso tempo era lì, con lui, fatta di carne ed ossa e non soltanto dai contorni sbiaditi di un ricordo lontano.
E l’indomani sera sarebbero andati insieme a cena, e l’avrebbe conosciuta meglio per vedere se aveva anche lo stesso carattere dolce e gentile di Ginevre.
Con una nuova ed inaspettata speranza nel cuore, Sidney strinse forte contro il proprio petto il biglietto con scritto l’indirizzo di Gwen.
Non si era accorto, preso com’era da quella neonata ed inaspettata felicità, che aveva perso qualcosa.
Qualcosa che era scivolato inavvertitamente dal suo pesante giaccone come se non facesse più parte di lui e della sua vita.
Un foglietto di carta.
Sgualcito, stropicciato, con l’inchiostro sbavato a causa delle lacrime che in tanti anni vi erano cadute sopra come gocce di dolore.
Su di esso, però, era ancora chiaramente leggibile l’indirizzo di una casa che ora era completamente in rovina ed a cui nessun soldato avrebbe mai più fatto visita.

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