Queen Bee.

di echois
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trovare un lavoro soddisfacente. ***
Capitolo 2: *** Mettersi all'opera. ***
Capitolo 3: *** Modelle e maglie dei Fall Out Boy. ***
Capitolo 4: *** Il Signor Klein. ***
Capitolo 5: *** Chiusi dentro. ***
Capitolo 6: *** Una giornata diversa. ***
Capitolo 7: *** Visite inaspettate. ***
Capitolo 8: *** Malintesi. ***
Capitolo 9: *** In viaggio. ***
Capitolo 10: *** Tentazioni. ***
Capitolo 11: *** Debolezza. ***
Capitolo 12: *** Assunti! ***
Capitolo 13: *** Parlare di sè. ***
Capitolo 14: *** La madre degli altri. ***
Capitolo 15: *** Parigi. ***
Capitolo 16: *** Luna, stelle e torre Eiffel. ***
Capitolo 17: *** Chiarimenti. ***
Capitolo 18: *** Le dovute presentazioni. ***
Capitolo 19: *** Perché c'è un cavallo? ***
Capitolo 20: *** Seconda speranza. ***
Capitolo 21: *** Stare in famiglia. ***
Capitolo 22: *** Riunione generale. ***
Capitolo 23: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Trovare un lavoro soddisfacente. ***



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Capitolo 1.

Trovare un lavoro soddisfacente.

 

 

 

 

 

Tom sospirò e prese il giornale, tracciò una grande x sul penultimo annuncio di lavoro. Aveva appena fatto un colloquio per lavorare in un pub come barista, ma doveva lavorare fino a notte fonda e poi avrebbe dovuto svegliarsi presto per andare a scuola. Non ce l'avrebbe mai fatta. “Sembra che non mi rimanga altra scelta” disse e guardò l'ultimo annuncio cerchiato sul giornale; una rivista di moda cercava un tuttofare. Sospirò e chiamò un taxi per raggiungere il luogo.

 

*

 

Il grattacielo che era di fronte a lui era alto ed imponente, tanto che si sentì un po' timoroso ad entrare. Le persone che entravano erano donne con vestiti eleganti e tacchi alti oppure uomini con giacca e cravatta. Si guardò da capo a piedi e pensò che forse con i suoi jeans larghi e la sua t-shirt di tre taglie in più non andava bene. Alzò le spalle ed entrò, ignorando tutte le occhiate che stava ricevendo da quei signori e da quelle donne. Si avvicinò alla segretaria che sostava dietro un'enorme scrivania e tossì per richiamare la sua attenzione, la donna lo guardò. Era alta e magra, i suoi capelli erano castani e raccolti in uno chignon ordinato, Indossava una giacca dorata sopra un sobrio vestito nero e dei tacchi neri. “Salve, mi chiamo Tom Trümper. Vorrei sapere a che piano si trova la redazione di Elle” disse e la segretaria lo guardò da capo a piedi inarcando un sopracciglio.

 

“Perchè?” chiese e Tom corrugò la fronte.

 

“Come, scusi?” chiese e la segretaria lo guardò di nuovo dall'alto verso il basso.

 

“Perchè vuole sapere a che piano si trova la redazione di Elle?” chiese e si sedette sulla sedia in pelle nera.

 

“Perchè non me lo dice e basta?” chiese iniziando ad innervosirsi.

 

La donna sbuffò e alzò gli occhi al cielo. “Tredicesimo piano” disse annoiata e Tom fece una smorfia. “L'ho vista” disse acida e Tom sbuffò, si girò e si avviò verso gli ascensori. Gli ascensori erano laccati in oro ed erano davvero enormi, Tom non ne aveva mai visto di così grandi. Entrò e pigiò il pulsante sul tredicesimo piano. Attorno a lui c'erano uomini in giacca e cravatta con la loro ventiquattore in mano e si chiese come non facessero a soffocare con la cravatta così stretta. Lui non sopportava tutto quello che era elegante e conforme alle regole. Non sopportava le giacche, non sopportava le cravatte, non sopportava le camicie. Lui stava comodo nel suo abbigliamento enorme e con le sue sneakers. Arrivò a destinazione e si fece spazio per uscire.

 

Quello che si ritrovò di fronte andava contro ogni sua più fervida immaginazione. Le pareti erano di un rosa tenue, così come il pavimento. Vi erano delle scrivanie di un bianco candido e ragazze con tacchi vertiginosamente alti e vestiti corti camminavano avanti e indietro con mille fogli in mano. Tom sorrise, se avesse avuto quel lavoro si sarebbe divertito molto. Gli uffici erano arredati con diverse piante in vasi colorati. Mentre Tom era intento a contemplare quell'ufficio – ora che ci pensava, sembrava un po' l'ufficio di Barbie – una ragazza si avvicinò a lui. “Ciao!” esclamò felice e Tom sussultò, si girò a guardarla. Era una bella ragazza che non avrà avuto più di venticinque anni. Era alta e aveva i capelli lisci e biondi che le ricadevano sulle spalle, indossava un vestito giallo con disegni neri e dei tacchi neri, sulle labbra aveva applicato un rossetto rosso molto acceso. “Sono Marina, come posso aiutarti?” sorrise e incrociò le mani e Tom la guardò da capo a piedi. Era più alta di lui e arrossì quando dovette guardare in alto per rispondere.

 

“Uhm, sono venuto per il colloquio di lavoro” borbottò e Marina gli sorrise ancora di più.

 

“Oh, certo! Lascia che ti faccia visitare un po' l'ambiente” disse e prese Tom sottobraccio. “Come ti chiami, cara?”

 

“S-Sono Tom” disse mentre attraversavano un corridoio rosa e bianco. Era come vivere in un marshmallow.

 

“Tom? Nome curioso per una ragazza” disse lei senza perdere il sorriso.

 

“In realtà sono un ragazzo” disse e la ragazza si fermò, Tom si guardò intorno e notò che tutte le ragazze avevano smesso di fare il loro lavoro per guardarlo ad occhi sbarrati. “C-Cosa c'è?” borbottò sentendosi molto in imbarazzo.

 

Marina gli mise una mano sul petto e poi la ritirò come se Tom scottasse. “Non ha le tette!” urlò e in pochi secondi Tom era circondato da centinaia di ragazze accorse a vederlo come se fosse un fenomeno da baraccone.

 

“Non ha le tette?”

 

“È un ragazzo?”

 

“Perchè è qui se è un ragazzo?”

 

“Non gli credo, abbassiamogli i pantaloni!”

 

“Non possiamo definirli pantaloni. Forse sono tende!”

 

“Oh, sì, devono assolutamente essere tende”
 

“Abbassiamoglieli lo stesso!”

 

“N-Non toccate i miei pantaloni” borbottò Tom e si toccò i pantaloni. Non glieli avrebbero sfilati solamente per ammirare il suo coso.

 

“Ragazze, smettetela! È qui per il lavoro, così lo farete scappare via” disse Marina interrompendo quel vociare che si era creato alla vista di un ragazzo. Guardò Tom e gli sorrise. “Vieni, tesoro, ti stavo facendo fare un giro degli uffici. Voi ragazze tornate a lavoro” disse e in pochi secondi le ragazze tornarono ognuna dietro la propria scrivania. Tom le guardò andare via come se non fosse successo nulla, come se non avessero cercato di strappargli via i pantaloni. Marina lo riprese sottobraccio e riprese a camminare. “Scusami, Tom, ma è raro vedere un ragazzo da queste parti”

 

“L'avevo capito” borbottò guardandosi intorno. Vi era una grande vetrata alla sua destra dove riusciva a vedere un lungo tavolo bianco circondato da sedie nere, Marina entrò. Vi erano delle finestre enormi che occupavano tutte le pareti e Tom si avvicinò, riusciva a vedere tutta New York da lì. Tutto era piccolo e insignificante mentre lui era il capo che guardava la vita di New York scorrere monotona come al solito.

 

“Qui organizziamo una volta al mese le riunioni per discutere della rivista, come ad esempio il tema o il colore del mese. Organizziamo riunioni anche se c'è qualcosa d'urgente che il capo ha da dire a tutti” disse e Tom si guardò in giro. Sembrava una stanza normale. Non c'era traccia di rosa, le pareti erano bianche e il pavimento di linoleum grigio. C'erano alcune piante ma non era nulla di che.

 

“Verrò qui se voglio rifugiarmi dal troppo rosa” disse e Marina rise, ritornarono nel corridoio e continuarono a camminare.

 

“Qui ci sono alcuni uffici, come ad esempio quelli del viceredattore e del caporedattore” disse indicando una stanza e Tom sbirciò, c'erano due ragazze sui trent'anni. Avevano entrambe i capelli castani sciolti e indossavano una un vestito marrone chiaro e l'altra un vestito nero. “E qui c'è l'ufficio dell'Ape Regina” indicò un ufficio con la porta chiusa e sorrise.

 

“Ape Regina?” chiese e guardò prima la ragazza e poi la porta bianca.

 

“Sì, qui chiamiamo così il nostro direttore responsabile. Devo abbandonarti, ora. Io devo ritornare al lavoro e tu devi avere un colloquio. Buona fortuna, e spero di rivederti. Sei simpatico” disse e fece l'occhiolino, Tom sorrise e poi Marina se ne andò.

 

Tom prese un lungo e profondo respiro e poi bussò. Non ricevette risposta ma decise di entrare lo stesso. Si aspettava di vedere una donna sui quarant'anni con un tailleur color pistacchio e i capelli legati in un ordinato chignon, ma non sapeva che stava sbagliando di grosso. Un ragazzo era in piedi dietro la sua scrivania che controllava alcune carte mentre aveva il telefono tra la spalla e l'orecchio. Era alto e molto magro, aveva i capelli corvini che gli ricadevano sulle spalle ed indossava una giacca blu da sopra una camicia bianca. Tom strabuzzò gli occhi quando vide del trucco sul suo viso e dell'eyeliner sulle sue palpebre. “No, Andreas, ora tu dici a Kendall che non m'importa se deve andare al matrimonio di sua sorella domani, prima viene a fare il photo shoot con noi” disse e guardò in giro soffermandosi poi su Tom, quando aprì bocca per salutare, il moro iniziò a parlare di nuovo. “Andreas, non so se realizzi, ma tra due settimane dobbiamo pubblicare il nuovo numero e siamo ancora in alto mare, non abbiamo fatto ancora niente! Non ho scelto un tema, nemmeno il colore del mese, e la maggior parte delle modelle che avevo chiamato per alcuni photo shoot hanno disdetto tutto!” rimase in silenzio ascoltando l'altra persona parlare dall'altro capo del telefono. “Non m'importa, Andreas! Chiama Kendall e dille che domani mattina deve essere qui alle otto puntuale. Se si sbriga magari riesce ad arrivare anche puntuale al matrimonio di sua sorella. Okay, okay, non mi incazzo. Okay, ciao Andreas” staccò e buttò il telefono sulla scrivania, si buttò sulla sedia e sbuffò, accavallò le gambe. “Dio, che stress” si massaggiò le tempie e chiuse gli occhi. Quando li riaprì guardò Tom sulla porta. Lo guardò da capo a piede con un sopracciglio inarcato. “E tu chi diavolo sei? L'ultimo dei barboni?”

 

“Ugh, sono Tom Trümper, signore” disse ignorando il commento acido sul suo stile.

 

“E cosa vuoi da me, Thomas Trümper?” chiese dondolando i piedi e posò le carte sulla scrivania, le guardò una ad una.

 

“I-Il mio nome è Tom, signore” lo corresse Tom.

 

“Tom è un nome davvero volgare, non credi, Thomas?” disse e lo guardò gelido, Tom rimase immobile. “Ripeto, cosa vuoi da me?”

 

“Sono venuto per il colloquio, signore” mormorò e Bill lo guardò da capo a piede facendo una smorfia.

 

“Non sei stato assunto. E non chiamarmi signore” disse e Tom strabuzzò gli occhi, spalancò la bocca.

 

“M-Ma...”

 

“Ma un corno, fuori dal mio ufficio” disse e Tom lo guardò a lungo prima di sospirare, girare i tacchi ed uscire chiudendosi la porta alle spalle.

 

Attraversò il corridoio e subito Marina gli corse incontro. “Com'è andata, tesoro? Sei uno dei nostri?” chiese sorridente e Tom la guardò a lungo. Dal suo silenzio, la ragazza capì che non era stato assunto. “Oh, no! Perchè diamine non ti ha dato quel lavoro?”

 

“Non mi ha fatto nemmeno una domanda. Mi ha guardato semplicemente e mi ha detto che non ero stato assunto” borbottò e poi scosse il capo. Tutte le ragazze da dietro le loro scrivanie lo stavano guardando ma non si sentiva più così imbarazzato. Si sentiva come a casa, come in un ambiente protetto, ed era strano dato che lì non aveva passato nemmeno un'ora. “Sono stato stupido a pensare che qui mi avrebbero accettato, non è il mio genere, non sarei io” abbassò il capo e Marina lo guardò a lungo.

 

“Tom, tu avrai quel lavoro!” disse ma Tom scosse il capo.

 

“No, Marina, è finita”

 

Marina si girò verso le ragazze. “Ragazze? Siete con me?” disse e si sentì un coro di sì, Tom guardò tutte strabuzzando gli occhi.

 

“C-Cosa avete intenzione di fare?” chiese e Marina gli sorrise. Corse verso la sua scrivania e ci salì sopra, si sedette a gambe incrociate e tutte le altre ragazze la imitarono. Era strano vedere tutte quelle ragazze sedute sulla scrivania a gambe e braccia incrociate e un'espressione di sfida sul volto. “No, ragazze! Siete in alto mare, t-tra due settimane dovete pubblicare il prossimo numero e— dovete tornare a lavoro e—” deglutì ritrovandosi a corto di parole. “Quel ragazzo vi ucciderà” borbottò e sentì la porta del suo ufficio aprirsi e la sua voce echeggiare per i corridoi, si girò. Il ragazzo camminava spedito per il corridoio con il telefono attaccato all'orecchio.

 

“Luke, chiama Josh e confermagli l'appuntamento per domani mattina alle otto. Sì, sì” borbottò il moro e staccò la chiamata senza aver nemmeno salutato. Guardò Tom che sostava in mezzo al corridoio. “Sei ancora qui? Smamma!” disse con un tono di voce alto.

 

“No, lui non se ne va!” urlò Marina e l'Ape Regina la guardò, strabuzzò gli occhi quando notò che tutte le sue impiegate erano sedute sulla scrivania e non stavano svolgendo il loro lavoro.

 

“Ragazze, tornate a lavoro” disse un po' preoccupato. “Dobbiamo finire ancora gli articoli, per non parlare poi della copertina! Finitela di scherzare e tornate a lavoro”

 

“Noi non ci muoviamo di qui finchè non assumi Tom” urlò una biondina sul fondo.

 

Bill guardò prima le sue ragazze e poi quello sciattone di Tom, si spiaccicò una mano contro il viso. “Lo avete visto? Vi sembra il modo di vestirsi, quello? Che figura ci farei?” disse cercando di far ragionare le sue impiegate, ma loro non volevano sentire ragioni.

 

“Non torniamo a lavoro finchè non assumi Tom” disse un'altra ragazza mora e incrociò le braccia.

 

Bill strinse le mani a pugno e ringhiò. “E va bene! Thomas, sei assunto. Domani mattina voglio il caffè nel mio ufficio e poi ritorni nel pomeriggio. Tornate a lavorare, subito!!” esclamò e se ne andò e le ragazze esultarono, scesero dalle loro scrivanie e andarono ad abbracciare un Tom stordito ma felice. Non ci poteva credere, aveva ottenuto il lavoro! 


[Non so cosa sia questa cosa, è una specie di 'Il diavolo veste Prada' ma molto più scadente e soprattutto twincest! Non abbiate paura di dirmi cosa ne pensate (anche opinioni negative, lo so che è una stronzata ahaha), quindi confido nel vostro aiuto. Alla prossima♥]

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Capitolo 2
*** Mettersi all'opera. ***



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Capitolo 2.

Mettersi all'opera.

 

 

 

 

 

Le porte dell'ascensore si aprirono e Tom entrò in quel paradiso rosa, un caffè freddo nella mano destra. Le ragazze correvano da una parte all'altra ed erano così veloci che il biondo a malapena le riconosceva. “Ragazze” chiamò ma nessuno si fermò, nemmeno per dargli l'accoglienza che aveva ricevuto ieri. “Ragazze!” disse ad alta voce e tutte si fermarono, lo guardarono. “A cosa devo questo via vai?” chiese e guardò i loro piedi, avevano tutte ai piedi dei tacchi vertiginosamente alti. “E come fate a correre su quei cosi?” indicò i tacchi e le ragazze si guardarono i piedi.

 

“L'Ape Regina è piuttosto furiosa, oggi” disse una di loro. Era alta e aveva il viso pallido, aveva i capelli neri mossi semi raccolti.

 

“L'Ape Regina? E perchè?” chiese corrugando la fronte.

 

“Il modello usato anche da Calvin Klein ha l'influenza e si rifiuta di venire a fare il photo shoot, la Regina lo ha chiamato personalmente e lui ha affermato di essere sul letto di morte” disse a voce bassa come se Bill potesse sentire e Tom strabuzzò gli occhi, la ragazza guardò il caffè tra le sue mani. “Va da lui e porta il suo caffè, esci velocemente e ritorna domani mattina!” Tom deglutì e pensò che avrebbe fatto così, non voleva avere conseguenze.

 

Annuì e sospirò, si girò e si avviò lentamente verso l'ufficio di Bill, riusciva a sentirlo urlare da lì. Avvicinò l'orecchio alla porta e origliò. “Dio, Jack, non può prendersi un'influenza proprio oggi! Se ho fatto annullare il matrimonio della sorella di Kendall per farle fare questo photo shoot lui verrà anche con una misera influenza! Come non potete farlo venire qui con la forza? Certo che potete!” ci fu un inquietante silenzio e poi Bill iniziò ad urlare. “Dove lo trovo un altro modello che sia alla sua altezza in un'ora? Non posso, il fotografo sarà qui tra poco! Oh, vaffanculo, Jack, fa quello che poi. Entro un'ora devi trovarmi un modello, sbrigati! Al lavoro!” Bill finì di urlare e Tom deglutì, bussò. Se non lo avesse sentito, se ne sarebbe andato. Ma sfortunatamente l'Ape Regina aveva un udito troppo sviluppato. “Chi cazzo è?!” urlò e Tom prese un lungo sospiro, aprì la porta e guardò in ufficio. Era tutto maniacalmente pulito e in ordine, Bill era dietro la sua scrivania che si passava la mano tra i capelli.

 

“S-Signor Bill, signore, le ho portato il caffè, signore” borbottò e Bill gli mandò un'occhiataccia, Tom si fece più piccolo. Si sentiva sempre intimorito dalla figura di Bill.

 

“Era ora! Portamelo qui” si sedette sulla sua imponente sedia marrone e Tom entrò lentamente nella stanza e posò il caffè freddo sulla sua scrivania. Bill lo prese e poi lo sputò su Tom, il ragazzo corrugò la fronte e guardò la sua enorme t-shirt macchiata di caffè freddo sputato dal suo capo. “Questo è semplice caffè freddo, io lo voglio caramellato, okay? Col caramello! Come hai osato dimenticarlo!”

 

“N-Non sapevo come lo preferisse, signore, non me l'ha detto, quindi le ho preso un s-semplice caffè freddo” mormorò Tom e Bill buttò a terra la tazza col caffè freddo, il liquido si sparse velocemente sul pavimento.

 

Bill incrociò le mani e guardò il pavimento. “Puoi andare, se domani ti presenti dinanzi a me con questo caffè di merda sei licenziato!” disse e Tom annuì, si girò per andarsene. “Aspetta!” disse Bill e il biondo si fermò, si girò a guardarlo. “Hai impegni per—” si guardò l'orologio al polso e poi ritornò a guardare Bill. “Hai qualcosa da fare tra mezz'ora?”

 

“D-Devo andare all'università, signore” disse e portò le mani dietro la schiena, Bill annuì.

 

“Bene, verrai a fare il photo shoot con me” disse calmo e Tom strabuzzò gli occhi.

 

“C-Cosa? Ma io devo andare all'università, tra una settimana ho un esame, non posso permettermi di saltare un corso!” disse e Bill lo guardò gesticolare nervosamente.

 

“Thomas, seguire i corsi è davvero stressante. Tu hai bisogno di rilassarti in vista dell'esame della settimana prossima, quindi vieni con me. Staccare un po' la spina ti farà bene” disse calmo, Tom aprì la bocca per ribattere quando parlò di nuovo. “Non si discute, vieni a farmi da modello per il photo shoot o perdi il posto” Tom fece ricadere le braccia molli lungo i fianchi. “Ah, ovviamente non ti pago gli straordinari” fece un sorriso falso in direzione di Tom. “Ora va, le ragazze ti devono spiegare un po' di cose.” lo guardò da capo a piede con un sopracciglio inarcato. “E dici ad Emily di venire a pulire. Immediatamente” e poi lo cacciò fuori.

 

 

*

 

 

Bill lo guardò a lungo e poi inclinò il capo. “Beh, Jacqueline, togligli quel cappello e quella fascia orribile e raccogligli i capelli in una coda alta e—”

 

“Quelli non si possono definire capelli, tesoro” disse una donna bassa e grassa di colore, aveva i capelli castani a caschetto e indossava un'orribile maglietta blu sopra dei pantaloni eleganti neri.

 

“Giusto, raccogligli qualsiasi cosa siano quei cosi in una coda alta e ordinata, per quanto riguarda il trucco—”

 

“Trucco?!” esclamò Tom e guardò Bill. Il suo capo non aveva mica intenzione di farlo truccare? Mai!

 

“Sì, trucco, Thomas, hai qualcosa in contrario?” Bill si mise le mani in vita e gli mandò un'occhiataccia.

 

“I ragazzi non si truccano” disse deciso Tom e poi guardò Bill, deglutì. “I-Intendo, io non sono solito truccarmi, ma alcuni ragazzi lo fanno e-e stanno bene”

 

Bill si avvicinò a lui e gli mise una mano sotto il mento, gli alzò il capo e lo girò prima a destra e poi a sinistra. “Ricoprilo di fondotinta e di correttore finchè non si vedranno più quelle Louis Vuitton che ha sotto gli occhi” disse e Tom sussultò.

 

“Louis Vuitton?” disse e si toccò il viso con una mano.

 

“Era una battuta, Thomas, Louis Vuitton non farebbe sfiorare le sue borse da te nemmeno se lo pagassi oro” disse e poi si allontanò, incrociò le braccia. “Per quanto riguarda le labbra, vorrei che sembrassero naturalmente pallide. Magari potresti mettergli un po' di rossetto e ricoprirlo con della cipria”

 

“Rossetto? Cipria?!” chiese Tom e sbattè le palpebre.

 

“Dio, Thomas, la cipria serve a far durare di più il rossetto” disse e guardò l'orologio. “Kendall è pronta?” chiese alla donna.

 

“Anne si sta occupando di lei” disse Jacqueline e si avvicinò a Tom.

 

“Bene. Ragazzi, sbrighiamoci! Siamo tremendamente in ritardo!” urlò e scappò via.

 

Bill aveva scelto come location per il photo shoot Central Park, Tom era sempre stato incantato dalla sua bellezza. Erano vicino al lago e Tom era seduto su una di quelle sedie per registi mentre Jacqueline cercava qualcosa in una pochette nera. “Mi farà male?” chiese Tom insicuro e Jacqueline ridacchiò.

 

“Tesoro, se il trucco facesse male le donne non si truccherebbero, non pensi?” chiese e Tom alzò le spalle, Jacqueline si mise un po' di fondotinta sulla mano e prese un pennello dai tanti che aveva. Si avvicinò al ragazzo e gli fece alzare il viso, iniziò a mettere il fondotinta.


“Anche i tacchi fanno male ma voi donne li indossate lo stesso” disse e la donna si fermò per guardarlo.

 

“Vero, probabilmente se il trucco ci facesse male continueremmo ad applicarlo, ma fidati, non ti farà nulla, ragazzo” disse e Tom lasciò che la donna gli mettesse quella cosa. La pelle non gli bruciava né tantomento stava venendo corrosa, quindi forse Jacqueline stava dicendo la verità. “Sei il nuovo segretario di Bill?”

 

“Lui preferisce definirmi tuttofare” disse e Jacqueline ridacchiò.

 

“Se avessi bisogno di una mano o di qualcuno con cui sfogarti sarò qui, tesoro” disse ironica e Tom sorrise.

 

“Cos'è successo all'altro tuttofare?” chiese incuriosito e la donna ridacchiò.

 

“È scappato in lacrime” rispose e Tom strabuzzò gli occhi.

 

“Oh, Dio! Bill è così cattivo?” chiese e la donna fece spallucce.

 

“Bill non è cattivo, è solo che vuole svolgere in maniera ottima il suo lavoro e non si accorge che a volte ferisce le persone. Ma non è una cattiva persona, è semplicemente uno stacanovista. Ha bisogno di qualcuno che gli faccia staccare la spina dal suo lavoro” disse e si avvicinò alla trousse, cacciò un piccolo tubetto ovale e si avvicinò a Tom di nuovo. “È da un sacco che non ha un ragazzo, poverino”

 

“Riesco a capire perchè” disse e lasciò che Jacqueline gli mettesse un po' di correttore sotto gli occhi. Chissà perchè la notizia di Bill gay non lo aveva stupito granchè.

 

“Tom! Oh, Tom, finalmente ti ho trovato!” disse una voce familiare e improvvisamente vide Marina al suo fianco. “Non ci posso credere, Bill ti ha chiesto di fargli da modello?”

 

“Uhm, sì” disse e la guardò. Aveva un vestito corto viola chiaro e degli stiletto bianchi. “So che non ne sarò in grado”

 

“Tom, fare il modello non è difficile! Basta metterti nella posa che ti chiede il fotografo e fare una faccia misteriosa, ed il gioco è fatto” disse e gli sorrise. Jacqueline si allontanò da lui per guardarlo e Marina inarcò le sopracciglia. “Beh, già con quei cosi sciolti sulle spalle e il fondotinta sembri un'altra persona” gli sorrise e alzò il pollice.

 

“Rasta, si chiamano rasta, è così difficile per voi capirlo?” chiese e Marina e Jacqueline lo guardarono a lungo. “Siete così esperti di moda e poi non sapete cosa sono questi”

 

“Uhg, già, peccato che noi non ci occupiamo della moda dei punkabbestia” disse e Tom alzò lo sguardo al cielo. Jacqueline gli mise un rossetto color carne e poi gli mise un fazzoletto sulle labbra.

 

“Apri la bocca ad o” disse e Tom fece come detto, Jacqueline, con l'aiuto di un pennello, gli mese un po' di cipria. Gli tolse il fazzoletto e lo guardò. “Sei perfetto, tesoro, ora mi occupo di quei cosi che hai al posto dei capelli” Tom roteò gli occhi.

 

Marina lo guardò da capo a piede e poi sorrise. “Wow, ti sta bene questo completo!” disse e Tom inclinò il capo all'indietro quando Jacqueline gli chiese di farlo.

 

“Non sono abituato alle cose strette, è come se mi stesse opprimendo” disse e fece una smorfia.

 

“Sei carino quando non indossi tende da campeggio, Tom. Fallo di meno” disse senza preoccuparsi di offenderlo e Tom sbuffò.

 

“Jacqueline, Kendall è pronta quasi da mezz'ora, quanto ci metti a truccare quest'essere?!” disse Bill correndo verso di loro e indicò Tom.

 

“Ho fatto, tesoro, ora puoi andare” disse e Tom si alzò. Aveva una coda alta ordinata e sentiva il suo viso strano, ma aveva ragione Marina, i pantaloni stretti ed eleganti neri insieme alla camicia a mezze maniche bianca gli stavano benissimo, anche Bill rimase a bocca aperta nel guardarlo. Tom era davvero bellissimo, le lettrici l'avrebbero semplicemente adorato.

 

Bill scosse il capo e tossì. “Bene, va dal fotografo e lui ti dirà cosa fare” disse indicando un punto non preciso e Tom andò verso l'uomo con una grossa telecamera in mano.

 

“Oh, signori, finalmente Miss Mondo ce l'ha fatta a prepararsi!” disse ironico e Tom sbuffò mettendosi davanti all'obbiettivo come indicato dall'uomo alto e dai capelli scuri e la barba folta. “Fate entrare Kendall” disse e Tom sospirò incrociando le braccia. Quando si girò vide una dea camminare verso di lui, spalancò la bocca. Una ragazza alta, magra e dalla pelle color caffellatte stava camminando verso di lui, i suoi lunghi e lisci capelli neri che venivano leggermente scossi dal vento. Indossava un pantaloncino a vita alta nero e un crop top a giro collo, ai piedi aveva degli stivali con il tacco aperti davanti. Quella era la ragazza più bella che avesse mai visto. Improvvisamente quel lavoro gli piacque davvero molto. “Kendall, mettiti vicino a quell'essere con i capelli strani”

 

“Sono rasta!” protestò Tom.

 

“Sì, sì, sono quello che vuoi” disse il fotografo e Tom sbuffò.

 

La ragazza si avvicinò a lui e gli fece quello che doveva essere il più bel sorriso del mondo. “Ciao, essere con i capelli strani” disse sicura di sé e Tom la guardò inarcando le sopracciglia.

 

“C-Ciao” borbottò. Fortunatamente era riuscito a non dire 'ciao, creatura divina'. Era la prima cosa che gli era venuta in mente.

 

“Okay, Kendall metti il gomito sulla sua spalla e guardalo. Tu invece metti le mani nelle tasche e guarda in terra” disse e fecero come detto. “Facciamo due scatti così, okay?”

 

“No, aspettate!” urlò Bill da dietro al fotografo e corse sul set verso Tom, gli sbottonò ogni singolo bottone della camicia. Osservò il suo petto muscoloso e poi lo guardò negli occhi, non si aspettava che un ragazzo come Tom nascondesse dei muscoli. Indietreggiò e poi ritornò al suo posto. “Okay, iniziamo”

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Capitolo 3
*** Modelle e maglie dei Fall Out Boy. ***



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Capitolo 3.

Modelle e maglie dei Fall Out Boys.

 

 

 

 

 

“E così non sei un modello?” chiese Kendall e prese un sorso del suo frappè al cioccolato. Tom aveva sempre immaginato le modelle come ragazze magrissime costantemente a dieta, ma Kendall aveva ordinato un frappè al cioccolato e un dolce ripieno di crema e non sembrava fregarsene molto della linea, in più era simpatica e Tom con qualsiasi altra modella si sarebbe sentito a disagio, ma non con lei.

 

“Uhm, no. A dire la verità ho saputo mezz'ora prima che avrei dovuto fare da modello per Elle” disse e Kendall rise.

 

“Beh, fattelo dire, te la sei cavata bene. Sei il segretario di Bill Kaulitz?” chiese e diede un generoso morso al suo dolce, Tom alzò le spalle. Aveva invitato Kendall a mangiare qualcosa dato che non aveva ancora fatto colazione e non avrebbe mai immaginato che avesse detto di sì, ma lei lo aveva fatto.

 

“Lui preferisce tuttofare” disse e prese un sorso dal frappè alla vaniglia.

 

“Mi dispiace per te. Bill è una vipera, spezza milioni di cuori solo per divertimento” disse e alzò gli occhi al cielo. Erano in un bar di New York davvero molto chic dove i prezzi erano ridicolosamente alti, ma Tom era stato felice di pagare anche per Kendall come un gentiluomo. Sfortunatamente la sua t-shirt era macchiata di caffè a causa di Bill e quindi il suo capo gli aveva dato il permesso di portare a casa gli abiti del photo shoot a patto li riportasse il giorno dopo lavati e stirati. Anche Kendall indossava ancora il pantaloncino e il crop top, ma ora aveva indosso l'enorme cappotto di Tom – il biondo gliel'aveva gentilmente ceduto quando la ragazza gli aveva detto che sentiva leggermente freddo.

 

“Pensi che non lo sappia?” disse facendo una faccia affranta e la ragazza rise, per un po' ci fu silenzio. “Sai, immaginavo le modelle davvero molto diverse. Intendo caratterialmente”

 

Kendall finì il suo frappè e gli sorrise. “Tutti hanno dei pregiudizi sulle modelle. Quali sono i tuoi?” chiese e diede un morso al suo dolce alla crema.

 

“Pensavo foste tutte facilmente irritabili e noiose, con una voce fastidiosamente alta e uno sguardo di superiorità” disse e Kendall ridacchiò.

 

“Stai descrivendo il tuo capo, non me” disse e Tom rise gettando la testa in avanti. “Non tutte siamo così. Voglio dire, ci sono modelle che come me amano divertirsi e colgono ogni occasione che gli si presenta davanti. Le sfilate sono davvero stressanti, ma lo saranno ancora di più se metti il muso. Ma ho conosciuto alcune modelle che sono davvero come le hai descritte tu, soprattutto le russe” sorrise e incrociò le braccia sul tavolo.

 

“Inoltre pensavo che fossero costantemente a dieta” disse e guardò il dolce alla crema quasi finito di Kendall, la modella rise.

 

“Amo il cibo, se potessi mangerei ogni minuto, ma poi mi ricordo che se mangio troppo ingrasso e allora divento molto triste” mise un broncio e Tom sbuffò una risata.

 

“Ho sentito dire da Bill che oggi si sposava tua sorella” disse inclinando il capo e Kendall annuì, finì il suo dolce alla crema.

 

“Fortunatamente lo ha spostato a mezzogiorno, altrimenti non so come avrei fatto” disse e Kendall guardò il suo orologio da polso Chanel. “Oh, Dio, sono le dieci! Sarà meglio che vada, Tom, grazie mille per il frappè e il dolce, è stato piacevole chiacchierare con te” si alzò e si mise la borsa in spalla. “Per quanto riguarda il tuo cappotto—”

 

“Tienilo, me lo restituirai un altro giorno” disse e Kendall sorrise, si avvicinò a lui e gli diede un bacio sulla guancia.

 

“Okay, spero di sentirti presto. Ci conto!” esclamò alzando un pollice e Tom annuì e le sorrise, lei corse alla ricerca di un taxi. Tom si appoggiò allo schienale della sedia e sorrise. Magari avrebbe potuto chiedere a Bill il suo numero.

 

 

*

 

 

“Chi è?” chiese una voce familiare.

 

“Georg, sono io” disse Tom al citofono.

 

“Amico, era ora! Entra pure” disse l'amico e aprì il piccolo cancello in ferro battuto, Tom entrò. Il palazzo dove abitava Georg non era enorme ma era davvero carino. Era uno di quel palazzi con le mura dipinte di bianco e alcune piccole fontane a decorare il giardino. Entrò dentro e prese l'ascensore, quando arrivò al quarto piano uscì e vide Georg aspettarlo fuori dalla porta. “Tom!” disse e gli corse incontro, Tom si lasciò abbracciare senza poter fare nulla. Quando Georg si staccò gli prese il polso e lo trascinò dentro casa. Gustav era seduto sul divano con un libro aperto sulle gambe e quando il biondo entrò alzò lo sguardo su di lui.

 

“Oh, Tom, è da un sacco di tempo che non ti vediamo” disse e chiuse il libro, si alzò per abbracciarlo.

 

“Ragazzi, non ci vediamo da due giorni” disse cercando di scostarsi di dosso Gustav.

 

“Sì, ma vedi, Tom, noi prima eravamo abituati ad averti sempre tra le palle. È strano non vederti più girare per casa” disse Georg e lo fece accomodare sul divano.

 

“Beh, questi due giorni sono stati i più strani della mia fottuta vita” disse e subito catturò l'attenzione di Georg e Gustav.

 

“Hai partecipato ad un'orgia?” chiese Georg strabuzzando gli occhi.

 

“Hai incontrato il barboncino di Madonna mentre camminavi per strada?” chiese Gustav e Tom guardò entrambi con la fronte corrugata.

 

“Madonna non ha un barboncino” disse Tom scuotendo il capo.

 

“Certo che ce l'ha” disse Gustav annuendo e Tom alzò gli occhi al cielo.

 

“Nulla di tutto ciò. Ho trovato un lavoro” disse e i suo amici fecero un verso di disapprovazione. “Ora sono il tuttofare di Bill Kaulitz, il direttore di Elle” le mascelle dei suoi amici quasi toccarono terra.


“Lavori in una rivista di moda?” chiese Gustav guardandolo con gli occhi fuori dalle orbite.

 

“Sì” disse Tom e improvvisamente calò il silenzio. Fece passare lo sguardo da Georg a Gustav che non si decidevano a proferire parola e poi scoppiarono a ridere, letteralmente si piegarono in due dalle risate.

 

“Ma quanto sei gay?!” esclamò Georg e riprese a ridere, Tom ghignò e incrociò le braccia mentre li guardava scompisciarsi dalle risate. Cinque minuti dopo avevano finito e si stavano lentamente riprendendo dalle troppe risate, si asciugarono le lacrime.

 

“L'ufficio è pieno di ragazze bellissime con i loro vestiti corti e i loro tacchi alti che stanno attorno a me perchè sono l'unico ragazzo, in più oggi mi hanno ingaggiato all'ultimo minuti per fare il modello e ho conosciuto una certa Kendall, una modella strafiga con cui sono uscito per fare colazione” disse e inarcò le sopracciglia. “Chi è il gay?” guardò i suoi amici che avevano spalancato di nuovo le bocche ma stavolta non si sarebbero messi a ridere.

 

“Voglio il tuo lavoro!” urlò Gustav e gli scosse la spalle, Tom rise.

 

“Mi dispiace, ma temo che dovrete trovarvi un altro lavoro. Non ci sono più posti” disse gnignando. “Beh, diciamo che questa è la parte che preferisco del mio lavoro” si grattò una guancia guardando in alto.

 

“Perchè? C'è anche una parte brutta?” mormorò Georg profondamente ferito dal fatto che non ci siano più posti liberi nella rivista.

 

“Sì, il mio capo” disse e i ragazzi inclinarono il capo all'unisono. “È davvero irritante ed antipatico e mi tratta come se fossi un verme! Stare con lui mi fa venire voglia di scappare dal suo ufficio e di non ritornare mai più. Mi intimidisce davvero tanto”

 

“Deve essere un'arpia” disse Gustav inarcando un sopracciglio.

 

“Lo è, diamine!” disse facendo spallucce e Georg gli diede una pacca sulla schiena, si alzò dal divano.

 

“Beh, ora non pensiamoci. A chi va una birra?” Gustav e Tom alzarono la mano e Georg andò in cucina.

 

 

*

 

 

Le porte dell'ascensore si spalancarono e la maggior parte delle ragazze si girarono a guardare prima lui e poi il caffè caramellato che aveva in mano. “Tom, sei tremendamente in ritardo! Sbrigati!” esclamò una di loro, Marie. Aveva i capelli biondo platino che le ricadevano lisci sulle spalle, sembravano morbidi al tatto. Indossava un vestito nero accollato e delle Mary Jene con il tacco doppio.

 

“Sì, sì, sono in ritardo” borbottò Tom e corse lungo il corridoio rosa e bianco attento a non far cadere il caffè freddo caramellato. Davanti la porta del suo capo, bussò ed entrò. Bill era seduto alla sua scrivania e stava guardando lo schermo del suo Mac, Tom corse verso la scrivania e posò il caffè.

 

“Sei in ritardo, Thomas” disse con tono freddo e calmo il suo capo e Tom deglutì.

 

“M-Mi perdoni, signore” disse e portò le braccia dietro la schiena. Bill prese in mano il cartone del caffè e ne bevve un sorso, fortunatamente non lo sputò di nuovo addosso a Tom. Aveva passato il pomeriggio a casa di Georg e Gustav a studiare, avevano ordinato una pizza e alla fine – dopo aver passato troppe ore a divertirsi insieme onorando i vecchi tempi – si erano addormentati tutti e tre sul letto matrimoniale di Georg. Bill prese un altro sorso del suo caffè e poi lo guardò da capo a piedi con un sopracciglio inarcato come al solito, ma questa volta era diverso. Tom non aveva avuto il tempo di ritornare a casa sua per farsi una doccia, vestirsi e correre al lavoro perchè si era svegliato tardi, quindi aveva fatto una doccia veloce a casa dei suoi amici e poi aveva aperto l'armadio di Georg. Indossava dei jeans skinny a vita bassa strappati sulle ginocchia e una maglia nera dei Fall Out Boy.

 

“Dio, Thomas, quando Dio distribuiva l'eleganza eri ad un concerto dei Fall Out Boy?” disse e posò il cartone del caffè sul tavolo e Tom si guardò la maglia. Era la meno brutta che aveva trovato.

 

“N-Non è mia, signore, è di un mio amico che—”

 

“Basta, non voglio sentire di questi scambi di indumenti sudici” disse con faccia schifata e scrisse qualcosa al computer. “Puoi andare, Thomas, ma ricorda che alle tre devi essere qui. Ho un incarico per te”

 

“Che tipo di incarico?” chiese curioso ma Bill gli mandò un'occhiataccia prima di continuare a scrivere qualcosa sul Mac.

 

“Ho detto che puoi andare” disse e Tom si astenne dallo sbuffare e alzare gli occhi al cielo e uscì fuori dall'ufficio dell'Ape Regina.

 

 

*

 

 

Tom guardò l'indirizzo scritto su un pezzo di carta e poi guardò l'hotel di fronte a sé. Era un hotel enorme e imponente, si vedeva che era un hotel per ricchi sfondati. Entrò a testa bassa e si avvicinò alla reception. Aveva avuto brutte esperienze con le segretarie di posti di lusso, mettevano sempre in discussione il vero motivo per cui era lì. “Scusi?” chiamò la donna dai capelli biondi legati in due trecce che le ricadevano sulla spalla, lei alzò lo sguardo su di lui e gli fece un sorriso luminoso.

 

“Salve, benvenuto all'hotel Viceroy, come posso aiutarla?” chiese con tono gentile e Tom fu felice che non gli avesse mandato un'occhiataccia.

 

“Sto cercando Andreas Klein” chiese e la donna annuì.

 

“Il Signor Klein è nel salotto a sorseggiare del tè, di lì” indicò un punto alla sua destra e Tom ringraziò, si avviò verso il punto indicato dalla signorina. Aveva ancora addosso i panni di Georg dato che dopo essere uscito dall'ufficio di Bill era andato subito all'università, e quando era ritornato alla redazione Bill gli aveva ricordato che aveva un incarico per lui. Tom entrò in una grande sala decorata con i colori oro e rame e con molti divani di raso messi l'uno di fronte all'altra, i tappeti erano così costosi che Tom quasi si sentiva male a calpestarli. Guardò in giro mentre alcuni signori fumavano sigari o bevevano the e trovò un ragazzo che corrispondesse alla descrizione di Bill, si avvicinò a lui.

 

“Uhm, salve” borbottò e il ragazzo biondo platino alzò lo sguardo, posò sul tavolo la tazza di ceramica con decori in oro. “Lei è Andreas Klein?”

 

“Sì, tu devi essere Thomas Trümper, vero?” disse con tono calmo gentile e Tom annuì, Andreas sorrise. “Oh, ma prego, siediti. Sarai stanco” gli fece cenno col viso del divano di fronte a sé e Tom sapeva che probabilmente non doveva fidarsi, che doveva svolgere l'incarico che gli aveva dato Bill e andarsene, ma lo guardò a lungo e alla fine decise di sedersi. 


Chapter End Notes:
Oddio, guardate il mio banner, il banner di questa storia. È semplicemente perfetto, da qualsiasi angolazione lo guardi rimane perfetto comunque! È davvero stupendo, perfetto, l'ho già detto e lo ripeto: è stupendo.
Grazie mille a Bill Kaulitz per averlo realizzato, piccola maga di photoshop! ahahha
Sarà noiosa e te l'avrò ripetuto mille volte ma sei stata bravissima e ti ringrazio infinitamente, questa storia è perfetta con il banner che tu hai realizzato.
Alla prossima♥,
echois xx

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Capitolo 4
*** Il Signor Klein. ***



Banner bellissimo fatto da Bill Kaulitz (passate da lei, assolutamente!). Grazie ancora, tesoro! xx

 



 

 

 

Capitolo 4.

Il Signor Klein.

 

 

 

 

 

“Gradisci un po' di tè, Thomas?” chiese Andreas e prese la teiera di porcellana, servì del tè in un'altra tazza di porcellana e Tom si grattò una guancia.

 

“In realtà non sono un amante del tè” mormorò, Andreas gli sorrise e gli allungò la tazza.

 

“Allora devi assolutamente provare questo. È sencha, pai mu tan, pezzi di fragola, mango, ananas e fette di arancia, delizioso” disse e Tom prese in mano la tazza con la paura di farla cadere a terra e dover pagare miliardi per risarcire il danno. Prese un sorso e si astenne dal fare una faccia dispiaciuta. Quella era acqua calda con un retrogusto strano. Posò la tazza sul tavolino laccato di oro. “Allora, com'è?”

 

“Delizioso” mentì e Andreas gli sorrise.

 

“Sapevo che ti sarebbe piaciuto” disse e accavallò le gambe. “Il tuo vero nome non è Thomas, vero?” Tom scosse il capo. Si sentiva stranamente a suo agio a parlare con quel ragazzo. Perchè era un ragazzo, non avrà avuto più di trent'anni. “E come ti chiami?”

 

“Tom” disse e si chiese come avesse fatto a sapere che il suo nome non era Thomas quando Bill al telefono gli aveva detto che sarebbe arrivato un certo Thomas Trümper a ritirare il pacco.

 

“Tipico di Bill, ti avrà detto che il tuo nome è volgare, vero?” gli chiese e Tom annuì. “Ci ha impiegato mesi, ma alla fine ha smesso di chiamarmi Andrew e iniziare a chiamarmi Andreas. Diceva che il mio nome suonava volgare e stupido” pensò per un po' a ciò che aveva appena detto e alzò le spalle.

 

“Tu sei—”

 

“Sì, sono il suo precedente tuttofare” disse e sorrise, prese la tazza, soffiò sul suo tè e poi bevve.

 

“M-Ma Jacqueline mi ha detto che sei scappato via in lacrime” chiese e si mise una mano sulla guancia. Sinceramente quando Bill gli aveva detto che avrebbe dovuto ritirare un pacco da una persona importante non si aspettava di vedere il suo precedente tuttofare.

 

“Sono scappato, sì, ma non in lacrime” disse e posò sul tavolo la tazza di porcellana. Tom lo guardò a lungo non capendo una sola parola di ciò che aveva detto e Andreas ridacchiò. “Il mio sogno non era diventare un tuttofare, Tom, come non credo sia il tuo. Volevo diventare uno scrittore, uno di quei scrittori che occasionalmente scrivono articoli per giornali di moda tipo Elle, capisci?” vide Tom annuire e proseguire il suo racconto. “Quindi ho deciso di abbandonare il mio lavoro per intraprendere questo, molto più ambizioso e certamente meno sicuro, ma è andato bene e ora sono quello che sono” prese la tazza e la avvicinò alle labbra, soffiò e prese un piccolo sorso. “Ovviamente l'aiuto di Bill è stato fondamentale per me”

 

“Oh, capisco” borbottò. Bill l'aveva aiutato? Quindi esisteva la possibilità che avesse un cuore?”

 

“Sai, prima di diventare così ero come te” disse guardando Tom da capo a piede e anche il ragazzo lo fece, in effetti il suo stile era molto bizzarro, Tom lo sapeva. “Indossavo la prima cosa che mi capitava, non mi curavo affatto, Bill e Elle mi hanno cambiato molto da quel punto di vista. Ma tu non farlo mai, non cambiare stile, semplicemente non cambiare per loro, non ne vale la pena” Tom non sapeva perchè Andreas gli stesse dicendo quelle cose, perchè avrebbe dovuto cambiare stile? Perchè avrebbe dovuto cambiare e basta? “Forse ora non capisci, ma col tempo vedrai. Inizierai a guardarti intorno e a sentirti molto inadeguato, con tutte quelle belle ragazze vestite elegantemente e con Bill e i suoi completi sempre perfetti. Pian piano inizierai ad indossare camicie, poi giacche e cravatte e poi diventerai come me” Tom inarcò le sopracciglia guardando Andreas, era vestito con una camicia di lino bianca a mezze maniche e un jeans casual. “Più in là, quando ormai tutti i miei vestiti vecchi e comodi erano finiti nella pattumiera, ho scoperto che cambiando avevo commesso un grosso errore. Non solo ero ceduto al volere di Bill, ma avevo anche perso me stesso” bevve un sorso del suo tè e Tom si guardò intorno nervosamente.

 

“Uhm, okay, ma perchè mi stai dicendo questo?” chiese Tom e si grattò una guancia.

 

Andreas sospirò e posò la tazza di porcellana sul costoso tavolino. “Perchè non voglio che tu faccia i miei stessi errori” disse e guardò il ragazzo di fronte a sé.

 

“Io non cambierò” disse convinto, Andreas alzò le spalle.

 

“Lo spero” disse e si alzò. “Ho qualcosa per te, ti prego di aspettarmi qui” Tom annuì e guardò andare via Andreas. Che tizio davvero strano, era difficile immaginare che una volta avesse avuto lo stesso stile di Tom. Successivamente il biondo si immaginò se stesso con la stessa camicia di lino e gli stessi jeans casual, fece una faccia schifata. “Eccomi” disse Andreas e si avvicinò a lui, reggeva una cartella rossa e gliela porse. “Porta questo a Bill, per favore, digli che ho fatto del mio meglio” Tom si alzò e prese la cartella, la mise sotto il braccio.

 

“Glielo riferirò di sicuro. Grazie mille per, sai, il tè e le chiacchiere. Credo che seguirò il tuo consiglio. Scommetto che quella camicia non mi starebbe bene” disse grattandosi la guancia e Andreas corrugò la fronte. “Uhm, sì, è tempo che io vada” disse e finalmente uscì da quella stanza e da quell'hotel.

 

 

*

 

 

“Come sta Andi?” Tom sussultò non appena le porte dell'ascensore si aprirono e di fronte a lui si ritrovò il personale di Elle a completo.

 

“Eh?” borbottò e le porte dell'ascensore si chiusero di nuovo, le aprì.

 

“Come sta Andi?” ripetè Angela, una ragazza alta e mora. I suoi capelli ondulati le ricadevano sulle spalle e indossava un vestito corto fucsia con dei tacchi alti neri.

 

“Bene, credo. Non so” borbottò Tom grattandosi la guancia e si incamminò verso il corridoio con il caffè freddo del suo capo in una mano e la cartella rossa in un'altra.

 

“Come non lo sai? Era troppo pallido? Troppo magro? I suoi capelli erano a posto?” chiese Marina inseguendolo e Tom si fermò, si girò a guardare lei e tutte le ragazze.

 

“Sì, i suoi capelli erano a posto” tutte tirarono un respiro di sollievo e Tom corrugò la fronte.

 

“Cosa ti ha detto? Di che avete parlato? Che avete fatto?” chiese una ragazza bassina e bionda, il ragazzo la guardò.

 

“Uhm, abbiamo sorseggiato del tè a pane mutani e senna e pezzi di frutta che ora non ricordo, poi mi ha parlato del suo lavoro qui e di altre cose” disse generico e alzò le spalle.

 

“Vorrai dire sencha e pai mu tan” lo corresse Marina, Tom corrugò la fronte.

 

“E io che ho detto?” chiese e Marina alzò le spalle.

 

“Tè a sencha, pai mu tan, pezzi di fragola, mango, ananas e fette di arancia, è il suo preferito” disse e unì le mani, sospirò teatralmente. “Quanto mi manca Andi” tutte le ragazze dietro di lei sospirarono guardando in alto. “Non che tu, Tom, non mi stia simpatico, è che— beh, sai”

 

“Oh, tranquilla, non mi offendo per così poco” la tranquillizzò Tom e lei sorrise. “Sarà meglio che vada a portare il caffè all'Ape Regina prima che me lo sputi di nuovo addosso” disse e si girò di nuovo, camminò verso la porta del suo capo e sospirò quando vi fu davanti. Era come entrare all'inferno ogni volta. Si mise la cartella sottobraccio e bussò, non ricevette alcuna risposta. Bussò di nuovo e alla fine Bill gli rispose di entrare, quindi entrò e si richiuse la porta alle spalle. Bill era seduto alla sua scrivania, davanti a sé aveva il suo Mac e si stava scrocchiando le dita, Tom lo osservò in silenzio. Bill non era così brutto, pensò, anzi, era molto carino – poteva benissimo definirlo bellissimo – allora perchè non aveva qualcuno accanto a sé come una ragazza? O un ragazzo? Poi si ricordò che Bill era la persona più acida e cattiva di questo mondo e che nessuno voleva stare accanto a lui proprio per questo. Ma Jacqueline gli aveva detto che Bill era così solo a lavoro perchè voleva svolgerlo in maniera ottimale. Forse il suo capo era simpatico fuori da lavoro, forse gli sarebbe piaciuto di più.

 

“Vuoi una foto così ti rimane nel tempo, Thomas?” chiese e Tom strabuzzò gli occhi.

 

“Oh, n-no” borbottò Tom.

 

“Era una domanda retorica, Thomas, non ti darei una mia foto nemmeno se mi pagassi” disse e abbassò lo schermo del Mac, alzò lo sguardo sul suo tuttofare. “Cos'hai per me?” Tom si avvicinò a lui e posò la cartella e il caffè freddo sulla scrivania.

 

“Caffè freddo caramellato e una cartella rossa dal contenuto misterioso” disse allontanandosi e portando le mani unite dietro la schiena, Bill prese un sorso dal suo caffè e poi prese la cartella, la aprì e prese dei fogli dal suo interno.

 

“Come stava Andreas?” chiese guardando Tom e lui alzò le spalle.

 

“Bene, suppongo” disse e si chiese perchè tutti tenessero così tanto a quell'Andreas. Anche a Bill importava di sapere come stesse!

 

“Bene, puoi andare Thomas” disse e ritornò a leggere i fogli tra le sue mani, Tom non si mosse di un centimetro. Alzò di nuovo lo sguardo su di lui. “Ho detto che puoi andare” ripetè ma quando di nuovo non si mosse inarcò un sopracciglio. “Posso fare qualcosa per la tua sordità?”

 

“S-Senta, s-signore, stavo pensando—”

 

“Il tuo cervello è in grado di pensare?” Tom alzò gli occhi al cielo ma fortunatamente Bill non lo vide.

 

“S-Sì, e stavo pensando — Uhm, insomma, lei potrebbe darmi il numero di Kendall? Ho dimenticato di chiederglielo” chiese e le sue orecchie fischiarono a causa del silenzio che calò. Bill posò i fogli sulla scrivania e alzò lentamente il capo, guardò Tom dritto negli occhi.

 

“Thomas, guardami” disse e Tom inclinò leggermente il capo. “Ora guarda il mio ufficio” Tom si guardò intorno. “E hai visto questo palazzo?” chiese picchiettando il dito sulla scrivania in legno.

 

“S-Sì” borbottò non capendo cosa volesse dire.

 

“E ora dimmi, ti sembra un'agenzia di incontri?!” disse alzando il tono di voce e Tom abbassò il capo.

 

“N-No, s-signore m-ma—“ borbottò timidamente.

 

“E allora perchè mi stai chiedendo il numero di Kendall? Esci fuori, Thomas, non ti sputo addosso solo perchè, da quanto vedo, sei allergico allo Chanel! Esci fuori!” urlò alzandosi e Tom strabuzzò gli occhi, indietreggiò lentamente e poi corse fuori dall'ufficio di Bill chiudendo la porta. Una volta fuori, lasciò andare un sospiro che non seppe di aver trattenuto e guardò il muro di colore rosa di fronte a sé. Improvvisamente la porta alle sue spalle si aprì di nuovo e sussultò, si girò per vedere Bill. “E dici a tutti che sono nel mio momento C!” urlò e sbattè la porta, Tom sbattè le palpebre più volte e guardò la porta chiusa.

 

“Momento C?” sussurrò e pensò che Bill fosse molto strano. Alzò le spalle decidendo che in fondo non gliene importava granchè e camminò per il corridoio con le mani nelle tasche, quando arrivò nella sala principale guardò le ragazze e si schiarì la voce. “Uhm, ragazze, mi ha detto Bill di riferirvi che è nel suo momento C” disse e tutte strabuzzarono gli occhi, si guardarono l'un l'altra e lanciarono un urlo.

 

“È nel suo momento C!” urlò Marie e Tom inclinò il capo.

 

“C sta per ciclo?” chiese e le ragazze si fermarono per guardarlo in completo silenzio. “N-Non fraintendetemi, s-so che noi ragazzi non abbiamo il ciclo, il fatto è che Bill a volte sembra una donna con mestruazioni e-e pensavo — Uhm, era una battuta” disse e si coprì il viso con le mani, le ragazze esclamarono un 'aah!'.

 

“Per quanto sembri strano, Tom, Bill è un ragazzo e di conseguenza non ha il ciclo. Momento C sta per momento creativo” disse Marina picchiettando una penna sulla sua scrivania.

 

“Oh” disse Tom e poi guardò Marina, un po' imbarazzato di non sapere ancora il gergo dell'ufficio. “E cosa sarebbe?”
 

“Ogni mese Bill—” Tom la guardò in silenzio, lei sbuffò e alzò gli occhi al cielo. “Tom, Bill non ha il ciclo!”

 

“Sì, sì, ho capito. Continua pure”
 

“Ogni mese Bill è costretto a scrivere un pezzo per il nostro giornale, l'editoriale, quindi si rintana nel suo ufficio e noi non possiamo disturbarlo in alcun modo, questo è il cosiddetto momento C” disse sospirando e guardò il computer di fronte a lei. “In momenti come questi noi entriamo in panico perchè sappiamo che le date di scadenza sono vicine e dobbiamo cavarcela da sole!”

 

“E quanto dura un momento C?” chiese interessato Tom.

 

“Da un'ora a quarantotto” disse Marina e si passò le mani tra i capelli. “Non ce la faremo!”

 

“Ragazze, ce la farete” disse Tom e tutte puntarono lo sguardo su di lui, deglutì. “Siete brave e in gamba e io credo in voi, non avete bisogno di Bill, potete contare su voi stesse. Ce la fate ogni mese, ce la farete anche questo” disse con un tono di voce un po' più alto del solito per farsi sentire da tutte, loro lo guardarono e poi esultarono all'unisono.

 

“Ragazze, ha ragione Tom!” disse una ragazza mora con i capelli a caschetto, Perrie. “Non dobbiamo arrenderci o darci per vinte, dobbiamo continuare ad andare avanti e ce la faremo. Non dobbiamo perderci d'animo, su, mettiamoci a lavoro!” esclamò lanciando un pugno in aria e le ragazze urlarono di nuovo, si alzarono e iniziarono a correre per tutta la sala per prendere i documenti a loro necessari. Tom si sentì tirare la manica e si girò verso destra; una ragazza bassa con i capelli castani lunghi e lucenti raccolti in una coda alta aveva preso la manica della sua maglietta enorme e gliela stava tirando.

 

“Sì?” chiese debolmente e lei gli fece un meraviglioso sorriso.

 

“Ciao, Tom, il mio nome è Jade” disse e gli porse la mano con delle unghie perfettamente curate, Tom gliela strinse.

 

“Piacere di conoscerti” disse sorridendole e lei si schiarì la voce.

 

“Posso chiederti un favore?” chiese e non aspettò che Tom le rispondesse. “Ora devo immediatamente tornare a casa, il mio bambino è a casa da solo. Dato che ho finito il mio articolo e l'ho anche stampato, potresti rimanere tu per darlo a Bill? Mi faresti un grande favore”

 

“Ma—”

 

“In fondo sei il suo tuttofare. Ti prego!” unì le mani a mo' di preghiera e Tom sospirò.

 

“Va bene, in fondo non avevo piani per stasera” disse e la ragazza sorrise, gli circondò il collo con le braccia e lo strinse a sé.

 

“Grazie, grazie! Grazie mille!” borbottò mentre si avvicinava alla sua scrivania, prendeva il suo cappotto beige e lo infilava velocemente. Prese dei fogli e li porse a Tom. “Ecco, non appena esce dal suo ufficio daglieli, grazie!” corse verso l'ascensore per chiamarlo e Tom guardò il suo articolo. 'Come avere dei capelli lisci e lucenti in due settimane!' fece una smorfia, a chi diamine importava di avere capelli lisci e lucenti?


Chapter End Notes:
Scusate per l'immenso ritardo! Ho pensato di concludere le mie due FF e poi di dedicarmi a questa, ma c'è voluto più tempo del previsto. Alla prossima!♥
echois xx

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Capitolo 5
*** Chiusi dentro. ***



Banner bellissimo fatto da Bill Kaulitz (passate da lei, assolutamente!). Grazie ancora, tesoro! xx

 

 

Capitolo 5.

Chiusi dentro.

 

 

 

 

 

“Thomas? Thomas!” Tom aprì gli occhi lentamente e ciò che vide fu una parziale oscurità, alzò il capo e vide, di fronte a lui, Bill con le braccia incrociate che lo guardava con un sopracciglio inarcato. “Non mi dire che ti hanno sfrattato e che ora sei costretto a dormire qui perchè non hai un luogo dove farlo. Se stai cercando di impietosirmi non ci stai riuscendo, non ti aumenterò la busta paga”

 

“Ugh, no” disse mettendosi seduto in modo composto e si stropicciò un occhio, Bill sospirò guardandolo. “Jade mi ha chiesto di darle il suo articolo, lei non poteva” spiegò e aprì un cassetto della scrivania, cacciò dei fogli e li porse a Bill.

 

“Oh” disse Bill e prese i fogli tra le mani, lesse le prime righe. “Lo controllerò domani mattina, è ora di tornare a casa, Tom” guardò Tom che aveva le braccia incrociate sulla scrivania e la testa su di loro, gli occhi chiusi. “Thomas!”

 

“Oh, sì, sì, sono sveglio” disse mettendosi a sedere e si alzò, seguì Bill verso l'ascensore. Il moro premette il pulsante ma non successe nulla.

 

“No, no” disse e premette di nuovo il pulsante. “Cazzo!”

 

“Cosa è successo?” chiese con un tono di voce assonnato.

 

“Siamo rimasti bloccati!” disse e posò la testa contro le porte dell'ascensore, guardò Tom. “Che ore sono?”

 

Tom l'orologio che aveva al polso e cercò di metterlo a fuoco. “Le tre e mezza” gli rispose e corrugò la fronte, si era addormentato aspettando Bill che aveva finito di scrivere l'editoriale solo cinque minuti fa.

 

Bill sospirò e scivolò a terra, si sedette con la schiena contro le porte dell'ascensore, guardò Tom. “Staremo qui a lungo, quindi è meglio che ti siedi” disse e Tom si sedette accanto a lui.

 

“Mi spieghi perchè saremmo rimasti bloccati?” chiese e Bill incrociò le braccia sulle sue ginocchia e poi lo guardò.

 

“Ora mi dai del tu?” chiese e Tom strabuzzò gli occhi.

 

“O-Oh, m-mi scusi, n-non—”

 

“Non preoccuparti, ti dico continuamente che non devi chiamarmi signore” disse alzando le spalle e poggiò la fronte sulle proprie braccia. “Questo palazzo è dedicato agli uffici, Thomas, dunque ad un certo orario chiude. Che stupido, avrei dovuto guardare l'orario” disse passandosi una mano tra i capelli, Tom lo guardò; Bill sembrava più umano ora.

 

“Non ci sono altri modi per uscire?” chiese Tom e si morse le labbra.

 

“Puoi provare ad uscire dalla finestra” gli rispose Bill guardandolo.

 

“Non sembra una buona idea”

 

“Evidentemente no” Tom ridacchiò e poi sospirò. Non gli piaceva proprio l'idea di passare una nottata con Bill, magari avrebbe potuto mettersi a dormire e aspettare che riaprissero le porte. Inclinò il capo e chiuse lentamente gli occhi. “Mi manca il mio gatto” disse Bill e Tom aprì gli occhi, alzò lo sguardo al cielo. “Si chiama Chanel e ha il pelo nero, gli occhi azzurri e non lo vedo da stamattina” Tom lo guardò.

 

“Hai un gatto?” chiese e Bill annuì. Chissà perchè in qualche modo se l'era immaginato.

 

“Sì, è lui che mi sveglia la mattina leccandomi la faccia e mi accoglie quando rientro da lavoro” Tom si astenne dal fare una faccia schifata. “Mi manca tanto” Improvvisamente realizzò che Bill era immensamente solo: non aveva nessuno, non aveva nulla a parte il suo lavoro. Anche lui abitava da solo, ma lui aveva i suoi amici e la sua famiglia e non era poco. Non sapeva nemmeno se Bill avesse una famiglia.

 

“Quanti anni ha?” chiese Tom cercando di essere gentile nei confronti del suo capo.

 

“Quattro. Era un giorno di pioggia quando l'ho trovato e lo stavo quasi per investire, poverino. Sono sceso e l'ho visto, aveva tutto il pelo bagnato. Mi ha fatto tenerezza e così l'ho portato a casa con me” disse sistemandosi i pantaloni. “È solo a casa e non ha nessuno che gli dia i croccantini al gusto di pesce”

 

Tom strabuzzò gli occhi guardando Bill quasi in lacrime. “Okay, hum, questo è strano”

 

“Tu sei strano!”

 

“Tu nemmeno scherzi, però”

 

“Smettila di mancarmi di rispetto!” disse indicandolo e Tom sospirò, roteò gli occhi.

 

“Scusa” sussurrò e si grattò il collo in modo imbarazzato.

 

“Ecco. Ora, stavamo parlando di Chanel—”

 

“Perchè sei così cattivo con le ragazze che lavorano qui?” chiese all'improvviso e lo guardò, si morse le labbra. Davvero non voleva più sentir parlare di Chanel e di tutto ciò che ruota intorno alla sua lussuosa e sfavillante vita, in più era curioso da morire, era curioso di scoprire cosa avesse reso Bill così stronzo.

 

“Non sono cattivo con loro” mormorò e Tom lo guardò con un sopracciglio inarcato. “Oh, Thomas, lo faresti anche tu se fossi me. Continuo a ripetere loro che devono trovare i temi e iniziare a fare le loro ricerche subito dopo la pubblicazione del nostro mensile, ma puntualmente iniziano sempre troppo tardi e si crea caos e disordine. Io, poi, sono un maniaco del controllo e mi piace tenere le cose in ordine e pronte per essere pubblicate almeno una settimana prima della stampa ma questo succede raramente”

 

“Donne, in ritardo in tutto. Sarebbero capaci di arrivare in ritardo anche al loro stesso funerale” commentò ironico Tom ma il ragazzo non lo ascoltò.

 

“Ho gli articoli solo due giorni prima della stampa, e ovviamente devo passare questi due giorni controllando che non ci siano errori, che abbiano citato la fonte delle immagini, che abbiamo scritto il nome dei giusti prodotti insieme al giusto prezzo” disse gesticolando e Tom inarcò le sopracciglia. “È un lavoro davvero duro, in quei due giorni mi vengono le occhiaie, i capelli bianchi e le mie unghie si accorciano notevolmente”

 

“Oh, mi dispiace per— per il lavoro duro che fai, le tue occhiaie, i tuoi capelli bianchi e le unghie” mormorò dispiaciuto al ragazzo accanto a lui. Bill faceva un lavoro davvero pesante e stressante, in più era un maniaco della perfezione e questo rendeva il carico ancora più pesante. Tom se fosse stato in lui si sarebbe ucciso in meno di una settimana. “Sei cattivo anche con tutti i tuoi collabolatori, però”

 

“Sono cattivo con loro solo quando serve” borbottò e poggiò la testa all'ascensore, chiuse gli occhi. Sentiva il peso della sua pesante giornata addosso, voleva solamente farsi una doccia calda, infilare il pigiama e trovare riparo sotto le coperte.

 

“Sei sempre cattivo con me” disse e Bill aprì gli occhi e girò il capo per guardarlo.

 

“Nah, non è vero” disse e Tom strabuzzò gli occhi.

 

“Non è vero? Mi tratti male dal primo giorno in cui mi hai visto, non mi hai dato nemmeno il tempo di mostrarti il mio curriculum che subito mi hai detto che non ero idoneo. E poi mi hai sputato il caffè addosso, mi hai ingaggiato come modello all'ultimo minuto senza pagarmi e non fai altro che criticarmi in ogni cosa che faccio” disse ricordandogli tutte le cose cattive che aveva fatto nei suoi confronti.

 

“Ma tu— tu—”

 

“Io cosa?” chiese guardandolo, Bill scosse il capo.

 

“Mi dispiace. Non so relazionarmi con le persone, e comandarle a bacchetta è l'unico modo che conosco” disse e Tom si rilassò, Bill non sapeva trattare con le persone e forse per questo non aveva amici.

 

“Cerca di essere gentile con loro” gli suggerì Tom e Bill alzò lo sguardo su di lui.

 

“Uhm?”

 

“Sii gentile con le persone, usa le parole 'scusa' e 'per favore' più spesso. È questo il segreto” mormorò Tom gesticolando e Bill inarcò un sopracciglio.

 

“Mi metteranno i piedi in testa” disse e girò il viso, Tom sbuffò: non c'era modo di far cambiare idea a Bill.

 

“Secondo me avverrà il contrario ma non importa” sussurrò e sentì che la conversazione era finita, si portò le gambe al petto e le abbracciò, pronto ad addomentarsi. Chiuse gli occhi e sentì Bill sospirare, aprì un occhio e lo guardò.

 

Bill si era sporto un po' in avanti e aveva il capo girato, stava guardando la luna e le stelle che illuminavano New York ed era completamente incantato da loro. Era come un bambino che non aveva mai alzato lo sguardo al cielo e solo ora aveva scoperto che la luna e le stesse esistessero. Forse Bill il giorno era troppo impegnato e – quindi – la notte troppo stanco per farci semplicemente caso. “Che bella notte” sussurrò e Tom chiuse di nuovo gli occhi. “Oh, come avrei potuto godermela! Cos'ho fatto di così cattivo nella mia vita per meritare di rimanere chiuso in quest'ufficio con questo scimmione?” si lamentò e Tom aprì di nuovo gli occhi, Bill si alzò da terra. “Ho bisogno di aria, sta diminuendo, sta scarseggiando, Tom, non rubarti la mia aria!” disse con un tono di voce leggermente alto e il ragazzo a terra gli lanciò un'occhiataccia prima di realizzarre che Bill fosse claustrofobico.

 

“Questa ci mancava” sussurrò Tom sospirando e si alzò, si avvicinò alla finestra alla fine del corridoio e la aprì, Bill la guardò e sospirò, la mano sul petto. Era salvo. “Ti senti meglio?”

 

“E se qualcuno dei due si sentisse improvvisamente male? Chi dovremmo chiamare? Cosa dovrei fare? Non voglio averti sulla coscienza!” mormorò e Tom roteò gli occhi, il ragazzo sapeva essere paranoico quando voleva. “Il mio cuore batte così velocemente, lo sento. Non voglio morire qui, cavolo, sapevo che sarebbe successo. Non voglio fare questa fine” abbassò lo sguardo e si coprì il capo con le mani, Tom sospirò e si avvicinò a lui. Gli prese il polso destro e lasciò che la mano ricadesse molle lungo i fianchi, così fece anche con l'altra mano. Alzò il viso di Bill posizionando due dita sotto il suo mento e lo guardò, i suoi occhi erano fuori dalle orbite e lucidi, Tom deglutì.

 

“Non ci succederà nulla, Bill, sta tranquillo. Io mi sento bene, tu mi sembri intero, stasera nessuno morirà qui” gli sussurrò dolcemente e poi alzò una mano per accarezzargli i capelli mori e Bill strabuzzò gli occhi. I capelli di Bill erano morbidi e lisci al tatto e Tom stesso fu stupito del suo gesto. “Ora ci mettiamo a dormire così le ore passeranno più velocemente, e vedrai che qualcuno domani verrà e ci libererà” Bill annuì e Tom sospirò, finalmente poteva dormire. Si sedette e successivamente si sdraiò poggiando un braccio sotto la propria nuca, Bill lo guardò a lungo prima di inginocchiarsi e camminare carponi fino a lui, poggiò la testa sul suo saldo torace e Tom lo guardò corrugando la fronte.

 

“Che c'è? Mi si sporcheranno i capelli!” disse e Tom sbuffò una risata, chiuse finalmente gli occhi.

 

 

*

 

 

Le porte dell'ascensore si aprirono e il suono di tacchi risuonò per tutti gli uffici vuoti, Marina camminava per il solito corridoio con una ciambella al cioccolato in bocca e un caffè nella mano destra. Era sempre la prima ad arrivare e questo le dava il tempo di fare colazione in santa pace senza che nessuno la riprendesse per non aver rispettato la dieta. Appena entrò nella sala debita ad ufficio, sussultò. “Cosa ci fate voi qui?” disse a voce alta; a terra c'erano Tom che aveva accolto tra le braccia Bill e stavano dormendo profondamente, entrambi aprirono lentamente gli occhi. Le porte dell'ascensore si aprirono di nuovo e subito dopo un gruppo di ragazze entrò nella sala, sussultando alla visione come aveva fatto anche Marina.

 

Bill si mise a sedere accarezzando il petto di Tom che si stropicciò gli occhi con entrambe le mani. Lo guardò e poi guardò le sue mani, le allontanò velocemente. “Non è come sembra, ragazze, siamo rimasti bloccati stanotte e— e—” bisbigliò e si alzò completamente pulendosi i vestiti. “Andate a lavoro, avete degli articoli da darmi! Ritorno a casa un attimo, tra cinque minuti sarò di ritorno” si girò a guardare Tom che aveva aperto gli occhi e stava guardando la scenata. “Thomas, voglio vederti tra dieci minuti nel mio ufficio con il mio caffè caramellato in mano, quindi alza il culo e datti una mossa!” disse e poi rimase in silenzio guardando Tom. “Per favore” sussurrò infine e tutte le ragazze strabuzzarono gli occhi, Bill se ne andò e passò di fronte a Marina. “E dammi qua!” gli prese la ciambella da bocca e diede un morso.


Chapter End Notes:
Scusate il ritardo, ma ho avuto una congiuntivite virale, la febbre alta (raggiungeva anche i 40), un raffreddore e il mal di gola. Tutto in una settimana! È stato fantastico!
Ironia a parte, sono felice di ritornare a scrivere e di non aver perso la vista a causa della mia congiuntivite acuta (cosa che, essendo ipocondriaca, temevo), spero che questo capitolo vi piaccia e mi dispiace se è corto, ma sapete, avevo urgenza di aggiornare. Alla prossima,
echois xx

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Capitolo 6
*** Una giornata diversa. ***



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Capitolo 6.

Una giornata diversa.

 

 

 

 

 

La sveglia suonò e Tom mugugnò qualcosa, si girò e la cercò a tastoni sul comodino. La spense e ritornò a dormire, ma mentre stava per entrare nel mondo dei sogni, il suo cellulare squillò. Mugugnò di nuovo e lo prese, accettò la chiamata. “Pronto?” chiese con la voce ancora piena di sonno.

 

“Tom? Sono la mamma” disse e Tom alzò gli occhi al cielo.

 

“Sì, mamma, lo so. Mi chiami ogni mattina” disse e si passò una mano sul viso e poi nei dread, si mise a sedere.

 

“E allora perchè mi chiedi chi sono?”

 

“Mamma, non l'ho fatto”

 

“Sì che lo hai fatto!”

 

“No, mamma—”

 

“Tom, questa è un'offesa alla mia intelligenza!” Tom alzò lo sguardo al cielo e sospirò. “Tom, stai alzando lo sguardo al cielo?”

 

“No, no, mamma” mentì Tom e si alzò, si infilò le pantofole e si avviò verso la cucina.

 

“Tom, la mia intelligenza!” Tom alzò lo sguardo al cielo di nuovo ed entrò in cucina.

 

 

*

 

 

La stanza era immersa nel silenzio, i raggi del sole la illuminavano leggermente. Bill era sotto le coperte del suo letto matrimoniale alla francese, immerso in un sonno profondo. Chanel entrò nella stanza e saltò sul letto, miagolò e salì sul cuscino, proprio vicino la testa di Bill. Miagolò di nuovo e Bill strinse gli occhi prima di aprirli completamente; la prima cosa che vide fu la testolina pelosa di Chanel e sorrise. “Ciao, tesoro” disse e le accarezzò il pelo. “Buongiorno anche a te. È ora di alzarsi, vero?” il gatto iniziò a fare le fusa e Bill sorrise di nuovo. “Okay, andiamo” si mise a sedere e si scostò le coperte di dosso, si alzò ed uscì dalla stanza per entrare nella cucina.

 

 

*

 

 

“Dove stai andando?” chiese Simone, la mamma di Tom, attraverso la cornetta.

 

“Uhm, da nessuna parte” mentì Tom e iniziò a correre. Amava correre la mattina, il sole non era tanto caldo e l'aria era abbastanza fredda, gli dava una bella sensazione sulla pelle.

 

“Tom, non avrai mica ricominciato a correre la mattina? Fa troppo freddo perchè tu corra, ti potrebbe venire una bronchite cronica o acuta!” si lamentò sua madre. Tom avrebbe potuto semplicemente riattaccare, ma poi sua madre si sarebbe lamentata ulteriormente e non ne valeva la pena.

 

“Non è vero! E poi non è mai morto nessuno di bronchite” cercò di difendersi Tom, ma sapeva che le lotte contro la madre erano una battaglia persa in partenza.

 

“Hai indossato il giubbino?” chiese Simone, troppo premurosa come al solito.

 

“No—”

 

“Oh, Dio, Tom! Sei un irresponsabile! Perchè mai ti ho dato il permesso di vivere all'estero da solo? Cosa mi è passato per la testa?”
 

“Mamma, viviamo a 45 kilometri di distanza”

 

“Non importa!” urlò Simone nella cornetta e Tom fu costretto ad allontanare il telefono dall'orecchio. “Quando avrai la tosse e la febbre e il mal di gola non chiamarmi per dirmi di fare quel mio famoso sciroppo che cura ogni dolore!”

 

“Quello sciroppo è acqua di bollitura di cavoli con un po' di miele! E poi fa schifo” disse Tom scuotendo il capo ed entrò correndo nel parco.

 

“Beh, ma il mal di gola ti è passato ogni volta che l'hai preso!” ribattè la madre, sicura di sé.

 

“Sì, è vero, ma—”

 

“Scusa?” Tom si fermò improvvisamente e poi si guardò intorno, qualcuno l'aveva chiamato ma non vedeva nessuno intorno a lui, solo bambini che giocavano e mamme che, stanche, si erano sedute sulle panchine. “Ehi?” si girò e vide due ragazze, erano di bassa statura e molto magre, erano entrambe bionde. “Tu sei Tom Trümper?”
 

“Uhm, sì” disse insicuro Tom, stava pensando a cosa quelle due ragazze potessero volere da lui. Una delle due si lasciò sfuggire un urletto eccitato.

 

“Chi è che ha urlato? Tom? Stai stuprando qualcuna? Va contro la nostra religione!” disse sua madre a telefono.

 

“No, mamma, cavolo, non sto stuprando nessuna” disse con tono infastidito e poi ruotò gli occhi, si girò completamente verso le due ragazze. “Posso fare qualcosa per voi?” disse cambiando completamente tono, usando uno più gentile.

 

“Possiamo farci una foto con te?” chiese una delle due, aveva il viso arancione a causa del fondotinta troppo scuro e i capelli quasi biondo platino.

 

“Vo-Volete una foto con me?” chiese sbattendo più volte le palbebre e le ragazze annuirono. “E perchè?”

 

“Sei un modello!” disse l'altra e Tom strabuzzò gli occhi.

 

“Tom, chi sono queste ragazze? Perchè ti stanno rivolgendo la parola? Cosa vogliono? Non accettare le loro caramelle!” disse Simone nella cornetta e Tom le guardò.

 

“Sono un modello?” chiese corrugando la fronte e la ragazza gli allungò una rivista di moda. Tom lo prese e guardò la copertina, era Elle. Sulla copertina c'erano lui e Kendall, bellissima come sempre, su uno sfondo di color rosa cipria, mentre le lettere di Elle erano state colorate in argento. “Oh, sì, questo”

 

“Tom, non dirmi che hai iniziato a fare da modello per scatti erotici!”

 

“No, mamma, non ho iniziato a fare il modello per scatti erotici!” urlò nella cornetta e le ragazze lo guardarono in modo strano, Tom tossì. “Uhm, volevate una foto?”

 

“S-Sì, se possiamo” disse la prima ragazza e Tom si avvicinò a loro, la ragazza coi capelli biondi chiese ad un passante di fare una foto. Dieci secondi dopo le ragazze avevano la loro foto, quindi ringraziarono Tom e se ne andarono lanciando urletti eccitati.

 

 

“Okay, questo è strano” disse più a se stesso che a qualcun altro.

 

“Cosa?” rispose prontamente la madre.

 

“Mamma, sei ancora a telefono?” chiese Tom e riniziò a correre. Vide un'edicola e si avvicinò di corsa, schivando alcuni passanti. “Può darmi una copia di Elle?” chiese all'edicolante e quello lo guardò a lungo prima di dargli una copia della rivista.

 

“Ehi, ma tu sei il tizio qui sopra!” disse l'edicolante con la sua voce profonda. “Puoi fare un autografo a mia figlia?”

 

“Io— Cosa?” chiese Tom e l'uomo si girò per cercare carta e penna.

 

“Si chiama Eliza” disse e porse il foglio e il pennarello nero che aveva trovato a Tom, quest'ultimo mise il telefono tra la spalla e l'orecchio e lo prese.

 

“Tom, ma che diamine sta succedendo oggi?!” chiese la madre e Tom alzò gli occhi al cielo.

 

“Mamma, possiamo sentirci più tardi?” chiese guardando il foglio bianco. Aprì il pennarello coi denti e guardò l'edicolante. “Dovrei scrivere il mio nome e cognome, giusto?”

 

“Così pare” disse guardandolo dall'alto verso il basso e Tom sospirò.

 

“Tom, stai firmando qualche carta? Non adottare nessun bambino asiatico!” urlò Simone nella cornetta.

 

“Ti chiamo stasera, mamma. Ciao, ti voglio bene” disse velocemente e chiuse la chiamata. Sospirò, ora che non c'era sua madre ad assillarlo si sentiva più leggero. “Come ha detto che si chiama sua figlia?”

 

 

*

 

 

Bill si posizionò davanti allo specchio e iniziò ad abbottonarsi la camicia bianca. La sua enorme e vuota stanza era in un disordine tremendo, così come il letto dove Chanel dormiva beata tra le coperte. La sua stanza era arredata con buon gusto e con mobili costosi, ma Bill l'avrebbe sempre considerata vuota senza qualcuno con cui condividere il suo letto alla francese. Suonò il telefono e alzò lo sguardo al cielo, si avvicinò comunque al telefono. “Pronto?” chiese accettando la chiamata.

 

“Buongiorno, Bill!” disse una voce allegra e squillante che riconobbe come quella di Kendall. “Come stai?”

 

“Kendall, so che non mi hai chiamato per chiedermi come sto, cosa c'è che non va?” chiese e si avvicinò all'armadio per prendere la giacca. Sbuffò cercando una giacca giusta al suo outfit per quel giorno, nonostante avesse voluto indossare tutto eccetto una giacca.

 

“Stavo pensando, mica hai il numero di Tom? Sai, l'ultima volta ho dimenticato di chiederglielo” disse e Bill alzò gli occhi al cielo.


“Dimmi, ti sembro un organizzatore di incontri?” chiese prendendo una giacca marrone e chiuse l'armadio.

 

“Ugh, no—”

 

“Bene, arrivederci allora” disse e chiuse la chiamata, buttò il telefono sul letto. Si avvicinò allo specchio ed indossò la giacca marrone, squillò di nuovo il telefono. “Ugh, ma perchè oggi?” cercò il telefono tra le lenzuola e lo prese, accettò la chiamata. “Pronto?”

 

“Ciao, Bill, sono la mamma” disse la voce calma e tranquilla di sua madre, Bill strabuzzò gli occhi. Sua madre Alex non lo chiamava mai, solo raramente, e non era mai nemmeno venuta a trovarlo a casa.

 

“Oh, ciao mamma” disse e si sedette sul letto, cominciò ad accarezzare il pelo di Chanel che iniziò a scodinzolare felice.

 

“Volevo complimentarmi con te perchè— sai, oggi è uscito Elle e— Hai scritto un bel pezzo” disse in imbarazzo e Bill spalancò la bocca. Alex non gli aveva mai fatto i complimenti per la sua rivista, anzi, lei la detestava!

 

“G-Grazie” borbottò e la donna sospirò.

 

“Come stai?” chiese e Bill si grattò una guancia.

 

“B-Bene, mamma, come state tu e papà?”

 

“Ce la caviamo” disse e poi calò il silenzio. “Ecco, ho chiamato per dirti questo. Spero che tu abbia una buona giornata” disse in modo freddo e riattaccò, Bill rimase immobile al suo posto.

 

 

*

 

 

“Tom, non so se sia la crisi di mezz'età o cosa, ma tuo padre ha avuto un'idea troppo scema” disse Simone al telefono e Tom entrò nel palazzo dove si trovava la redazione di Elle, il telefono nella mano sinistra e un caffè caramellato nella mano destra.

 

“Che tipo di idea scema?” chiese Tom e si avviò verso gli ascensori. Dopo che l'edicolante gli aveva regalato la copia della rivista Elle era tornato a casa a farsi una doccia prima di andare a lavoro, appena era uscito di casa sua madre l'aveva chiamato. Come al solito. Chiamò l'ascensore e appena arrivò entrò, si strinse tra quegli uomini in giacca e cravatta.

 

“Vuole aprire un bed and breakfast, e sai dove? A casa nostra!” disse e Tom strabuzzò gli occhi.

 

“Cosa? Un bed and breakfast? A casa nostra?” chiese corrugando la fronte. “Ma è un'idea di merda!”

 

“È quello che gli ho detto! Gli ho detto:'Gordon, noi semplicemente non apriremo un bed and breakfast' e lui:'Non preoccuparti Simone, potremmo sistemare la camera degli ospiti e quella di Tom e far dormire i nostri clienti lì!'” disse Simone realmente infuriata e Tom spalancò la bocca.

 

“Voi non toccherete la mia stanza!” disse alzando il tono di voce. “È lì che ho perso la mia verginità!” gli uomini d'affari si girarono a guardarlo e Tom arrossì.

 

“Tu cosa?!”

 

“È lì che ho perso il— il dipinto della Vergine che ho fatto al liceo e devo ancora trovarlo” disse sapendo che la madre era troppo infuriata con il padre per pensare alla sua verginità o al dipinto della Vergine.

 

“Sai qual è la parte più brutta?” chiese Simone e Tom si massaggiò la fronte.

 

“C'è una parte più brutta del fatto che mio padre vuole invadere la mia camera?”

 

“Sì!”

 

“Oh, Dio, e qual è?”

 

“Io devo preparare la colazione!” esclamò Simone e Tom alzò gli occhi al cielo.

 

“Mamma, ne riparliamo più tardi, sono arrivato a lavoro” disse Tom e sospirò.

 

“Va bene tesoro, buona giornata” chiuse la chiamata e ripose il cellulare nella tasca posteriore, quando si aprirono le porte dell'ascensore, oramai arrivato al tredicesimo piano, entrò.

 

“Buongiorno Tom!” lo salutarono le ragazze in coro, gentili e amichevoli come sempre.

 

“Buongiorno ragazze” disse ricambiando il saluto.

 

“Hai visto la copertina del nuovo Elle?” chiese Marina con un sorriso a trentadue denti. “Sei davvero sexy e tenebroso”

 

“Sì, l'ho vista. Alcune ragazze mi hanno chiesto una foto” ammise grattandosi la guancia e le ragazze urlarono soddisfatte.

 

“Dopo ci racconti tutto, è meglio che porti il caffè all'Ape Regina. Oggi è molto strana” disse Marina sistemandosi i capelli dietro l'orecchio.

 

“Strana in che senso?” chiese Tom e pensò che oggi era la giornata delle stranezze.

 

“È silenzioso, non parla, se ne sta nel suo ufficio e non esce” disse Jade intromettendosi nella conversazione e Tom sospirò.

 

“Okay, magari sta aspettando il suo caffè per rimettersi in moto” disse e andò nel corridoio, camminò fino a ritrovarsi di fronte la porta dell'Ape Regina, bussò. Bill gli rispose di entrare e Tom aprì la porta, entrò. L'ufficio era in ordine come al solito, solo che il capo non era seduto alla sua scrivania. Bill era in piedi e stava cercando qualcosa in un armadietto grigio.


“Sei in ritardo, Thomas” disse con tono calmo e pacato e prese in mano alcuni fogli, li guardò e poi li posò. Ciò che colpì Tom era il fatto che Bill non aveva la giacca, era sulla sedia, e in più aveva le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti. Bill non si era mai mostrato così, ci teneva ad essere sempre elegante e perfetto.

 

“Scusi, signore, ho avuto dei contrattempi” disse pensando a tutto quello che gli era successo oggi e posò il caffè sul tavolo. “Posso andare? Devo andare all'università” disse allotanandosi poco dalla scrivania.

 

“Aspetta” disse Bill e si avvicinò alla scrivania, aprì un cassetto e prese un foglio con su scritto qualcosa, lo allungò verso Tom. Probabilmente era uno dei suoi soliti lavori stupidi che Tom doveva svolgere perdendo così un altro giorno di università. “Questo è il numero di Kendall, mi hai detto che lo volevi”

 

“C-Cosa? Il numero di Kendall?” chiese e prese immediatamente il foglio guardando quelle cifre scritte. “Non è uno scherzo, vero? Questo non è il numero di un transessuale?”

 

Bill ruotò gli occhi. “No, idiota! Me lo hai chiesto e io te l'ho dato. Ora va o farai tardi all'università” Tom pensò che il vero Bill fosse stato rapito da un alieno e che quello fosse solo un robot, ma fu felice lo stesso e non obiettò nulla.

 

“Okay, grazie mille! Buona giornata!” disse mentre un sorriso compariva lentamente sul suo viso e corse fuori, chiuse la porta. Bill guardò la porta chiusa e sospirò, si passò una mano tra i lunghi capelli corvini.


Chapter End Notes:
Scusate per il ritardo ma, come ho detto, sono stata occupata. Sono le ultime interrogazioni e gli ultimi compiti, quindi non ho avuto proprio tempo, perdonatemi xx
echois xx

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Capitolo 7
*** Visite inaspettate. ***



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Capitolo 7.

Visite inaspettate.

 

 

 

 

 

Tom guardò per l'ennesima volta il foglio bianco con scritto il numero di Kendall che gli aveva dato Bill. Erano le nove e mezza di sera e aveva appena finito di studiare, la sua scrivania era un campo di battaglia, i libri e i quaderni dove aveva preso appunti erano le vittime e lui era il vincitore, il sopravvissuto, colui che ne era uscito vittorioso. Poggiò i piedi sulla scrivania e prese il telefono, prese un lungo e profondo respiro e poi compose il numero. Premette il pulsate e avvicinò il telefono all'orecchio, lo sentì squillare. Voleva che rispondesse ma allo stesso tempo voleva che non lo facesse. Perse un battito quando sentì la voce cristallina di Kendall. “Pronto?” disse la ragazza e Tom boccheggiò a lungo.

 

“Ciao, Kendall, sono Tom” disse e ci fu un secondo molto silenzioso.
 

“Tom! Oh, Tom! Come hai fatto ad avere il mio numero?” chiese e Tom lasciò andare un sospiro di sollievo, sorrise.

 

“Bill me lo ha dato, alla fine” disse e guardò in terra.

 

“Anche tu glielo hai chiesto?”

 

“Hai chiesto al mio capo il mio numero?” chiese Tom inarcando le sopracciglia.

 

“Sì, è strano, mi ha risposto—”

 

“Che non era un organizzatore d'incontri” dissero all'unisono, Tom sorrise e Kendall scoppiò a ridere.

 

“Che fai?” chiese Kendall e Tom guardò la sua scrivania in disordine.

 

“Ugh, ho appena finito di studiare. Tu?” chiese il ragazzo e si alzò, posizionò i libri uno sopra l'altro e li posò sullo scaffale della libreria.

 

“Ho appena finito di mettermi lo smalto alla mano sinistra. Ora per colpa tua avrò una mano smaltata e l'altra no” disse e Tom sbuffò una risata.

 

“Perdonami”
 

“Non credo ci riuscirò” Tom ridacchiò.

 

“Allora, quando ci vediamo?” chiese Tom appoggiandosi con la spalla alla libreria.

 

“Ho la settimana piena” disse e il ragazzo mise su il muso. “Ma per te posso sempre trovare un po' di tempo”

 

 

*

 

 

Suonarono alla porta e Tom alzò lo sguardo dal libro di analisi, lo richiuse e lo posò sul divano dove era seduto. Si alzò per raggiungere la porta domandandosi chi potesse essere alle dieci di sera. Aprì la porta e trovò Georg e Gustav con sei lattine di birra e dei bicchieri di vetro in mano. “Woah, chi è il ragazzaccio che ha passato un esame?!” disse Georg e Tom lo guardò.

 

“Io no” disse e Georg sorrise amabilmente.

 

“Non essere modesto!” disse Georg e Gustav si spiaccicò una mano sul viso.

 

“Davvero, Georg, non ho dato nessun esame” disse e Georg spalancò la bocca.

 

“Ma io pensavo—”

 

“È quello il problema, a volte tu pensi” disse Tom e guardò i suoi amici da capo a piede. “Beh, volete rimanere lì fuori o volete entrare?”

 

 

*

 

 

Bill aprì la porta della sua enorme casa e poi la richiuse. Guardò l'orologio e sospirò, erano le dieci di sera e lui aveva appena finito di lavorare. Aveva urlato a squarciagola e si era infuriato un sacco con le sue collaboratrici, ma ora finalmente era a casa. Si sarebbe fatto un bagno, avrebbe mangiato qualcosa e poi sarebbe andato subito a letto. Accese la luce e si tolse il cappotto, lo posò sull'attaccapanni. Il telefono squillò e lui alzò gli occhi al cielo, lo cacciò fuori dalla tasca e rispose. “Pronto?!” disse con un tono di voce acido.

 

“Bill, sono la mamma” rispose Alex e Bill spalancò la bocca. Ultimamente sua madre lo stava chiamando troppo spesso.

 

“Oh, io—”

 

“L'altra volta non ti ho chiamato per farti i complimenti per la tua rivista, Bill, sai che la odio” disse e Bill alzò lo sguardo al cielo. “Devo dirti una cosa molto più importante”

 

“Dimmi” disse e aprì il frigorifero per vedere cosa potesse mangiare quella sera.

 

 

*

 

 

“Te l'ho detto mille volte, Georg, Tom non ha ancora dato nessun esame! Tu capisci sempre male. Come quella volta in cui ti ho chiesto di prendermi un filetto di merluzzo e ti sei presentato a casa con un filetto di salmone. A me neanche piace il salmone!” si lamentò Gustav e Tom aprì la sua seconda lattina di birra.

 

“Per fortuna che vivo da solo” bisbigliò mentre guardava i suoi due amici litigare.

 

“Scusami, principessa, pensavo ti andasse bene qualsiasi tipo di pesce!” disse Georg e girò la faccia, incrociò le braccia.

 

“Il fatto è che tu ti dimentichi le cose e a volte le confondi!” si lamentò Gustav e il suo amico, nonché coinquilino, alzò gli occhi al cielo.

 

“Non ne parliamo più” disse e si girò di nuovo verso di Gustav. “Tom, va a prendere il cognac”

 

“E il vino” aggiunse Gustav e Georg ridacchiò.

 

“Tu sì che mi capisci”

 

“Ti voglio bene”

 

“Anche io” i due si abbracciarono e Tom si alzò dal divano.

 

“Okay, se volete un po' di privacy io—” gli amici si staccarono da quell'abbraccio maldestro e Georg lo indicò.

 

“Tu semplicemente prendi ciò che ti abbiamo ordinato di prendere” disse e Tom sbuffò.

 

“Ai suoi ordini” disse e andò in cucina mentre i suoi amici riprendevano la discussione su che tipo di filetto prendere. Aprì il frigo e prese una bottiglia di vino rosso, lo richiuse e prese tre bicchieri. Ritornò in salone e li posò sul tavolino davanti il divano.

 

“Tom, è vero che il merluzzo è più salutare del salmone perchè contiene omega 3?” chiese Gustav e incrociò le braccia, Tom sospirò.

 

“Entrambi contengono omega 3” disse Tom e si avviò verso la cucina.

 

“Vedi! Non lamentarti, quindi!” ribattè Georg.

 

“Il merluzzo non mi piace!” si lamentò Gustav. Tom aprì una mensola e prese il cognac, entrò nel salotto e i suoi amici si zittirono. Aprì la bottiglia e riempì il bicchiere di cognac, mettendo successivamente il vino.

 

“Chi di voi due merluzzi vuole assaggiare?” chiese prendendo in mano il bicchiere e i due amici lo guardarono a lungo.

 

“Li hai mischiati?” chiese Gustav e guardò il liquido marrone scuro.

 

“Uhm, sì” disse Tom e Georg afferrò il bicchiere.

 

“Lo assaggio solo perchè sono in vena di bere” disse Georg e avvicinò le labbra al bicchiere, bevve un piccolo sorso, Tom e Gustav lo guardavano in attesa del verdetto. “È schifosamente buono” disse e Tom sorrise.

 

“Ho appena inventato un nuovo cocktail” disse Tom e riempì gli altri due bicchieri di cognac e poi di vino.

 

“Ora non esagerare” disse Gustav e prese il suo bicchiere. “Okay, facciamo un brindisi. Avvicinatevi” Tom strusciò vicino a loro sul divano e Georg si avvicinò all'amico. “Alla nostra amicizia che non avrà mai fine”

 

“Che depressione!” disse Georg e scosse il capo. “A noi due che domani andremo a trovare Tom a lavoro solo per vedere le ragazze coi loro abiti corti e i loro tacchi alti!”


“Cosa?! Andate via!” disse Tom e i due amici lo abbracciarono.

 

“Ti vogliamo bene anche noi” disse Georg accarezzandogli la spalla e Tom alzò gli occhi al cielo.

 

 

*

 

 

Una bottiglia di cognac e mezza bottiglia di vino dopo, Georg era steso sul divano di Tom: la testa sul bracciolo, il braccio penzolava fuori dal divano e aveva il bicchiere vuoto in mano. Tom si mise di fronte il suo amico e incrociò le braccia, si morse un labbro. “Credo che dovresti portarlo a casa” disse e Georg mugugnò qualcosa nel sonno.

 

“Odio farlo” disse Gustav e alzò lo sguardo al cielo, comunque si avvicinò all'amico. “Dai, Georg, è tardi, andiamo a casa” gli scosse la spalla e il ragazzo aprì gli occhi.

 

“Che ore sono?” chiese mentre si alzava, aiutato da Gustav.. Tom guardò l'orologio appeso alla parete.

 

“Le due e un quarto” disse Tom e scosse il capo. “È proprio ora che voi due mi lasciate in pace”

 

“Ehi” sussurrò Georg guardandolo e Tom alzò lo sguardo al cielo. “Ehi, bella, dico a te” gli sorrise malizioso e il rasta sbuffò. “Che ne dici di continuare la serata a casa mia?”

 

“Ciao Tom” disse Gustav e accompagnò Georg fino alla porta.

 

“Ciao Gustav, ciao Georg! Riprenditi, amico” disse aprendo loro la porta. Li guardò andare via mentre Georg borbottava cose senza senso e poi la richiuse. Si passò una mano tra i rasta e guardò tutto il disordine che domani avrebbe dovuto pulire. Lanciò un'altra occhiata all'orologio. Anzi, tra poche ore. Si avviò verso la sua camera da letto quando suonarono di nuovo alla porta. Alzò gli occhi al cielo perchè sapeva che Georg si era dimenticato qualcosa, si avvicinò alla porta guardandosi intorno ma non sembrava esserci nulla che appartenesse all'amico, quindi aprì la porta. “Georg, ti ho detto che non avremo rapporti sessuali stasera— Oh” inaspettatamente di fronte a lui c'era Bill. Ma non era il solito Bill. Non aveva i capelli lisci e in ordine, non era truccato con cura e non era nemmeno vestito elegantemente. Bill aveva indossato un maglione bordeux che gli arrivava a metà coscia, degli skinny neri e delle Vans nere. Era davvero strano vedere Bill conciato in quel modo, ma era ancora più strano vederlo di fronte casa sua a quell'ora. In effetti, sarebbe stato strano vederlo di fronte a casa sua a qualsiasi ora. Tom strabuzzò gli occhi e arrossì. “B-Bill, c-che—”

 

“Posso entrare?” chiese e la sua voce sembrava rotta dal pianto. Tom guardò Bill e i suoi occhi sembravano arrossati dal pianto. Sì, Bill aveva definivamente appena finito di piangere. “Per favore” sussurrò e abbassò il capo.

 

“Oh, sì, scusami, sono un idiota. Entra pure” disse e si fece da parte per far entrare il suo capo. “Scusami per il disordine, ma sono venuti i miei amici a farmi visita e hanno messo un po' in disordine” si affrettò a togliere via le bottiglie di cognac e di vino. “Un po' di cognac e vino?”

 

“No, grazie, non bevo” disse e si guardò intorno. La casa di Tom era davvero in disordine, ma in compenso era carina. Anche se lui non avrebbe mai dipinto le pareti di giallo senape quando il pavimento era color tortora.

 

“Uhm, okay” disse ed entrò in cucina, posò i bicchieri nel lavandino. “Vuoi un po' d'acqua?” chiese Tom cordialmente ma Bill scosse il capo. “Okay” ripetè.

 

Quasi non voleva uscire dalla cucina tanto s'imbarazzava. Che diamine ci faceva Bill lì? Cosa voleva da lui? Il suo capo sembrava molto scosso, non sembrava lui. Tom deglutì, okay, se Bill era venuto a casa sua c'era un perchè. Uscì finalmente dalla cucina e attraversò il salone, Bill era in piedi in mezzo alla stanza. “Accomodati” gli disse e si sedette sul divano, il moro si sedette accanto a lui.

 

“Scusami se sono qui” mormorò e Tom inclinò il capo. “Non sapevo dove andare. Stavi dormendo?”

 

“Pft, non potrei. Quegli idioti dei miei amici se ne sono andati ora” si lamentò e Bill abbozzò un sorriso, abbassò il capo e iniziò a torturarsi le mani. In quel momento sembrava così carino e tenero e debole e indifeso che lo avrebbe volentieri accolto tra le sue braccia, ma semplicemente non lo fece. Quello era il suo capo, per l'amor di Dio. “Hai detto che non sapevi dove andare” disse per incitarlo a continuare e Bill annuì senza alzare lo sguardo.

 

“A casa non c'è nessuno, non c'è mai nessuno, semplicemente non mi andava di stare da solo” mormorò e Tom annuì, mentalmente si chiese perchè avesse scelto di andare proprio da lui. Forse la sua visita era un po' inopportuna, se avesse voluto un po' di compagnia l'avrebbe trovata anche domani mattina.

 

“Oh, va bene” disse e si guardò intorno. “Ti va di giocare a Monopoli?” chiese e Bill finalmente alzò lo sguardo.

 

“Monopoli?”

 

“Sì, ti va? Insomma, da quello che ho capito aspettiamo l'alba insieme, no?”

 

“Cosa stai farfugliando?”
 

“Giochiamo o no?” Bill inclinò il capo e sospirò, guardò in terra di nuovo e Tom corrugò la fronte. Quella sera era davvero strano. “Hai paura di perdere o cosa?” Bill singhiozzò e Tom strabuzzò gli occhi. Cercò di vedergli il viso ma non riusciva, era coperto dai suoi capelli mori. “Bill?” Bill alzò il capo per guardare Tom. Aveva una mano sotto il naso, le sue guance era di un colore rosa tenue, i suoi occhi troppo rossi e sulle sue guance scorrevano delle lacrime trasparenti. “Bill” sussurrò Tom che, a quella vista, si ritrovò spiazzato. “Non sapevo che la parola Monopoli ti facesse piangere”

 

“Stupido, stupidissimo Tom!” esclamò e scoppiò a piangere coprendosi il viso con entrambe le mani. Le sue spalle erano scosse da violenti singhiozzi mentre continuava a piangere. Tom si coprì la bocca con le mani non sapendo cosa diamine fare. All'improvviso allungò una mano verso di lui e gli accarezzò con la punta delle dita la spalla, era una carezza impercettibile quanto dolce, ma Bill se ne accorse, come se la sua mano fosse stata di fuoco. Alzò il capo smettendo per un momento di piangere e guardò prima Tom e poi la sua mano, tesa verso di lui, pronta ad accarezzarlo, ad abbracciarlo, semplicemente a confortarlo e cosolarlo. Immediatamente circondò il suo collo con le braccia e si avvicinò a lui, poggiò la testa contro la sua. Quando sentì le braccia di Tom circondare la sua vita, ricominciò a piangere, perchè quell'abbraccio era così bello ed era così caldo e confortevole. “Non mi ha mai voluto bene, non so perchè sto piangendo” disse e cercò di asciugarsi le lacrime sul suo maglione, la prima cosa che aveva trovato nell'armadio. “Questa non è la maniera in cui ci si deve sentire”

 

“Uh?” chiese Tom, completamente a corto di parole.

 

“Non sono nemmeno andato a trovarlo, mamma mi odierà ancora di più”

 

“Di chi stai parlando, Bill?”

 

“Di papà” disse semplicemente e lo strinse di più. “Tutta questa situazione mi fa impazzire, lui e mamma hanno sempre cercato di ostacolarmi in qualche modo. Hanno sempre voluto che fossi un avvocato sposato con una donna bellissima e con due figli altrettanto belli, ma i loro piani sono andati a rotoli quando gli ho detto che ero gay e che volevo dirigere una rivista di moda, e tutto è cambiato. Sono dovuto scappare di casa, davvero, non li sopportavo più. E ora sono quello che vedi” disse e si staccò, si guardò intorno. Tom sospirò e si grattò una guancia, Bill aveva una situazione familiare alle spalle orribile. Quasi non riusciva a capirlo, dato che i suoi genitori lo avevano supportato fino allo sfinimento – forse lo avevano supportato fin troppo.

 

“Beh, ora saranno felici, no? Hai realizzato il tuo sogno, e non è cosa da poco” disse abbozzandogli un sorriso e Bill scosse il capo. “No?” chiese e Bill scosse nuovamente il capo.

 

Il moro si coprì la bocca con la mano destra e i suoi occhi si appannarono di nuovo. “E non so perchè ora non riesco a non piangere dato che lui non mi ha mai amato e non ha mai mosso un dito per aiutarmi, semplicemente piango e non riesco a fermarmi. Nonostante non mi abbia mai voluto bene e non mi abbia mai accettato è comunque mio padre, e non posso non piangere la sua morte”
 

Tom strabuzzò gli occhi. “Morte?” Bill annuì e si lasciò sfuggire un singhiozzo. “Oh, m-mi dispiace”

 

“Non mi ha mai abbracciato, non mi ha mai nemmeno dato un bacio. Non è mai venuto vicino a me a dirmi semplicemente 'ti voglio bene' o 'sono fiero di te'. Ma capisco che certe cose magari sono difficili da dire, un abbraccio bastav—”

 

Tom non ce la fece più a vederlo piangere e soffrire quindi semplicemente ascoltò il suo cuore ignorando tutte le altre cose e lo abbracciò, lo strinse così forte che aveva paura di spezzarlo in due, ma era un abbraccio bello e riparatore. Bill strabuzzò gli occhi e posò le mani sulle sue spalle. Strinse gli occhi e lasciò scappare altre lacrime calde.

 

“Mi dispiace di essere così” sussurrò nel suo orecchio e Tom scosse il capo, gli andò ad accarezzare i capelli.

 

“Non devi dispiacerti di nulla” improvvisamente il fatto che Bill fosse il suo capo e che fosse la persona più antipatica del pianeta scomparvero completamente dalla sua testa. Guardò l'orologio; erano le tre meno venti. Si staccò leggermente e lo guardò. “Ti va di andare a dormire?”

 

Bill annuì e si asciugò le guance. “Dormo sul divano, semplicemente dammi—”

 

“No, no! Tu sei l'ospite, dormi tu nel mio letto, io dormo sul divano”

 

“Davvero, Tom, starai scomodo! Dormo io sul divano, va a prendermi un cuscino e delle coperte”

 

“No, Bill!”

 

“Cazzo, ma sei cocciuto!” disse e incrociò le braccia, mandò un'occhiataccia a Tom, quest'ultimo sorrise perchè il solito Bill era ritornato.

 

“Allora dormiamo entrambi nel mio letto”

 

“Cosa?” Bill strabuzzò gli occhi e arrossì lievemente.

 

“Dormiamo entrambi nel mio letto”

 

“Scordatelo”
 

“Ti turba?” chiese inarcando un sopracciglio e facendo un sorrisetto, Bill sbuffò.

 

“Non essere malizioso con me!”
 

“Dai, dormiremo solamente” disse Tom e gli sorrise come per rassicurarlo, Bill sospirò in segno di sconfitta. Il rasta si alzò e si girò a guardarlo. “Seguimi” disse e il moro si alzò, lo seguì. Attraversarono il salone ed entrarono in una stanza buia, Tom accese la luce. Ciò che si presentava di fronte a Bill era una stanza disordinata, vi era una libreria piena di libri e una scrivania con molti quaderni e libri e penne sparse. Il letto era di una piazza e mezzo e Bill fu un po' dispiaciuto, gli sarebbe piaciuto stringersi a Tom con la scusa del letto troppo piccolo per due. Strabuzzò gli occhi e si spiaccicò una mano sulla fronte. Che pensieri sconci faceva la sua mente malata! Lui che veniva coccolato da Tom, pft, idiozie! Lui non si sarebbe mai messo con Tom, lui era un suo dipendente! Improvvisamente il biondo si tolse la maglia e la buttò sulla sedia, si tolse anche i pantaloni della tuta e li posò sullo stesso posto. Successivamente si avvicinò al comodino e si inclinò per trovare il pigiama. “Vuoi un pigiama?” chiese mentre frugava nel cassetto, cacciò fuori una maglia nera enorme e la posò sul letto.

 

“Oh, sì, grazie” borbottò e Tom si grattò una guancia.

 

“Io uso maglie XXL per dormire, vanno bene?”

 

“Le usi anche a lavoro” disse e incrociò le braccia.

 

“Beh” mormorò Tom e alzò le spalle, cacciò un'altra maglia e la porse a Bill. “Mi giro” disse e si voltò permettendo a Bill di spogliarsi. Quest'ultimo si tolse la maglia e il pantalone e li posò anche lui sulla scrivania.

 

Si infilò la maglia, si sistemò i capelli e poi si guardò allo specchio. “Oh Dio” mormorò e fece un giro su se stesso, quella maglia di un orrendo color giallo canarino gli arrivava quasi al ginocchio. “Come fai ad indossare queste tende ogni giorno?” chiese e si guardò in silenzio allo specchio. “Perchè ho deciso di accettare? Cavolo, cavolo! Coco Chanel perdonami” disse e mise le mani a mo' di preghiera.

 

“Quando hai finito di borbottare cose senza senso e pregare Chanel vieni a dormire. Domani devo svegliarmi presto e andare a lavoro. Sai, il mio capo rompe” disse e si infilò sotto le coperte, ridacchiò. Bill si girò a mandargli un'occhiataccia.

 

“Sto solo criticando il tuo modo di vestirti”

 

“Che novità, lo fai ogni giorno”

 

“Smettila di avere quest'atteggiamento nei miei confronti, sono il tuo capo!” Tom sospirò e Bill la considerò una battaglia vinta. Sorrise fiero e si avvicinò al letto, s'infilo anche lui sotto le coperte e si girò dando le spalle a Tom. Ora erano spalle contro spalle e Bill sospirò, chiuse gli occhi.

 

“Se non si è mai interessato a te, nemmeno tu devi interessarti a lui” disse all'improvviso Tom e Bill aprì gli occhi.

 

“Uhm?”

 

“Intendo, tuo padre. Volevo dirtelo prima. Non credo sia giusto che tu stia così male per lui” borbottò e Bill chiuse gli occhi. Calò il silenzio e il moro pensò che Tom si fosse addormentato, così si girò verso di lui e si avvicinò, poggiò la testa contro la sua schiena e strinse la sua maglia tra i pugni, chiuse di nuovo gli occhi. Tom si girò e Bill strabuzzò gli occhi quando si ritrovò faccia a faccia con lui. “Non sei poi così cattivo come sembri” disse e Bill gli mandò un'occhiataccia, Tom rise quando gli arrivò un pugno sul petto. Il moro si massaggiò la mano perchè si era fatto male e il ragazzo rise ulteriormente.

 

Dopo un po', Tom lo accolse tra le braccia e Bill, seppur stupito della loro vicinanza, poggiò la fronte al suo petto e chiuse gli occhi, cercando di addormentarsi per la terza volta. Anche se c'era qualcosa che voleva dire a Tom ma non trovava il coraggio, anche perchè sapeva che il ragazzo avrebbe avuto qualcosa da ridire. Ma davvero voleva dirgliela, quindi prese un respirò e alzò lo sguardo. “Tom” lo chiamò e il ragazzo abbassò lo sguardo. “Grazie” disse e abbozzò un sorriso, Tom strabuzzò gli occhi. Il moro circondò il suo collo con le mani e gli donò un piccolo, lieve e delicato bacio sulle labbra, chiuse gli occhi e finalmente riuscì ad addormentarsi.


Chapter End Notes:
Scusate per il ritardo ma, sapete, le ultime interrogazioni! Ora però è finita e non potrei esserne più felice!
P.S: Roberta mi ha detto che voleva essere ringraziata alla fine di questo capitolo, ma non so per cosa, quindi... Grazie Roberta per non aver fatto niente di rilevante
Alla prossima♥
echois

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Capitolo 8
*** Malintesi. ***



Banner bellissimo fatto da Bill Kaulitz (passate da lei, assolutamente!). Grazie ancora, tesoro! xx

 

Capitolo 8.

Malintesi.




 

La sveglia suonò e Bill strinse gli occhi, allungò la mano sul comodino e tastò a lungo finchè non la trovò, la spense. Si accoccolò su se stesso e ritornò a dormire. Successivamente il telefono di Tom squillò e quest'ultimo si girò sulla schiena, aprì gli occhi e guardò Bill. “Rispondi” gli disse e Bill aprì gli occhi, prese il telefono e rispose.
 

“Pronto?” rispose Bill mettendosi a sedere, la voce ancora assonnata.
 

“Tom? Sono Simone, precisamente tua madre” disse Simone e Bill boccheggiò a lungo, guardò Tom. “Mi chiedo sempre perchè ti dimentichi che io lo sia!”
 

“T-Tom, ? tua madre” disse e Tom sbuffò, prese il telefono dalle mani di Bill. 
 

“Tom? Chi era quella? Non dirmi che hai invitato una sciaquetta a casa per fartela!” 
 

“No, mamma, non è una sciaquetta, è il mio capo” disse Tom con tono annoiato e Bill arrossì.
 

“Tom, non pensavo usassi questi metodi per avanzare nella tua carriera” disse Simone e Tom corrugò la fronte.
 

“Eh?” chiese non avendo capito, ma la madre rimase in silenzio. Improvvisamente strabuzzò gli occhi. “No, no! Mamma, non uso quei metodi per ottenere un posto migliore!” Bill tossì strozzandosi con la sua stessa saliva e guardò Tom. 
 

“E allora che ci fa il tuo capo da te? Avete fatto un pigiama party?” 
 

“No, mamma—”
 

“Avete guardato un film horror mangiando i popcorn e poi avete fatto la lotta coi cuscini?”
 

“Mamma—”
 

“Parla, Tom! Sei mio figlio, ti conosco troppo bene”
 

“Mamma, ti chiamo più tardi, okay?”
 

“Non provare a riattacca—” Tom attaccò e guardò Bill, rise imbarazzato.
 

“Andiamo a fare colazione, ti va?” disse e il moro alzò le spalle, si alzò dal letto e cercò di abbassarsi il più possibile l'enorme maglia di Tom. Ora si sentiva un po' in imbarazzo. Era un suo dipendente e l'aveva baciato, non sapeva nemmeno se Tom avesse ricambiato il bacio!
 

“Hai un avocado?” chiese mentre lo seguiva in cucina, Tom si girò a guardarlo.
 

“Hai— Hai intenzione di farmi causa?” Bill si spiaccicò una mano sulla fronte.
 

“Tom, avocado!” Tom sbattè le palpebre più volte e poi si guardò in giro disorientato. “Idiota, è un frutto!” disse Bill e sbuffò, Tom sussultò.
 

“Oh, uhm, pensavo— no comunque”
 

“Lo immaginavo. Con cosa fai colazione?” il moro incrociò le braccia e strinse gli occhi quando entrò in cucina, i raggi del sole gli davano immensamente fastidio.
 

“Un uovo fritto e un po' di pancetta” disse e Bill strabuzzò gli occhi. “Tu invece?”
 

“Un avocado, un semplice e genuino avocado”
 

“Che noia” borbottò Tom e Bill gli mandò un'occhiataccia. Il ragazzo aprì un'anta e prese una padella, la posizionò sul piano cottura. “Beh, ne vuoi un po'?”
 

“Perchè dovrei intasare le mie arterie con colesterolo cattivo?” disse e si sedette su una sedia in legno, incrociò le braccia.
 

“Okay, muori di fame” Tom aprì il frigorifero e prese un uovo, accese il fuoco. Iniziò a friggere l'uovo e la pancetta e l'odore invitante non potè non arrivare al naso di Bill, il suo stomaco brontolò.
 

“Hai uno yogurt magro?” chiese debolmente, Tom scosse il capo.
 

“No” Bill deglutì, era diviso tra il rimanere in salute e quindi morire di fame e il favorire lo sviluppo di colesterolo. Tom si girò a guardarlo e lo vide completamente diviso in due, ghignò. 
 

“Come sono le tue analisi del sangue?”
 

“Perfette”
 

“E quelle delle urine?”
 

“Ugh, Bill, mangerai queste cose solo stamatti—”
 

“Rispondi”
 

Tom sospirò. “Sono in perfetta salute” disse e Bill si arrese.
 

“Okay, fammi solo la pancetta, senza uovo. No, aspetta, fammi anche l'uovo. Anzi, fammene due”
 

Tom alzò gli occhi al cielo ma sorrise. “Agli ordini” sussurrò.

 

*


 

“Dove stai andando?” chiese Bill dopo essersi rimesso i panni che aveva indossato anche ieri. Tom si abbassò ad allacciarsi le scarpe e guardò il suo capo.
 

“Vado a correre” disse e Bill corrugò la fronte.
 

“A quest'ora?” chiese e Tom annuì, si alzò. “E mi lasci da solo a casa?”
 

“Vieni anche tu” disse e si avvicinò alla porta.
 

“Ma non ho una tuta”
 

“Posso prestartene una io”
 

“Scordatelo, preferirei rasarmi a zero i capelli piuttosto che uscire con qualche tuo vestito” scosse vigorosamente il capo.
 

“Allora vieni vestito così, non importa poi molto” disse e Bill sospirò.
 

“Okay, okay. Se muoio dì a Chanel che le ho voluto molto bene” disse e si avvicinò alla porta, la aprì e uscì fuori. Tom alzò lo sguardo al cielo e uscì anche lui, chiuse la porta.
 

“Iniziamo correndo piano, poi andiamo pian piano più veloce. Domande?” chiese guardando Bill e lui annuì. “Dimmi tutto”
 

“Come fai a stare a maniche corte? Io ho un maglione e ho davvero troppo freddo” disse e si circondò il corpo con le braccia come a volersi proteggere da solo dal freddo, Tom alzò di nuovo lo sguardo al cielo.
 

“Sei pronto?” chiese e Bill annuì, Tom iniziò a correre piano, il moro faticava a stargli dietro.
 

“Aspettami, Tom!” si lamentò e Tom rallentò ancora di più. Bill lo raggiunse e si aggrappò al suo braccio facendolo fermare. Aveva l'affanno come se avesse corso una maratona e Tom corrugò la fronte. “Mi fa male qui” disse e si staccò da lui, s'indicò con le dita una parte sulla parte destra del petto. “E i muscoli qui chiedono pietà” si accarezzò la parte posteriore delle gambe e Tom strinse gli occhi.
 

“Bill, non puoi essere già a pezzi” disse Tom e incrociò le braccia.
 

“Tom, tu ti alleni quotidianamente, è ovvio che non senti dolore da nessuna parte. Ma oggi è il mio primo giorno d'allenamento e sento i miei muscoli urlare e protestare”
 

“Non hai corso nemmeno due metri!”
 

“Due metri sono tanti, Tom!” disse e prese un lungo e profondo respiro. “Credo che ritornerò dentro. Mi vieni ad aprire la porta?”
 

Tom sbuffò ma lo accompagnò alla porta comunque, gliela aprì ed entrò con lui.


 

*


 

Le porte dell'ascensore si aprirono e Tom entrò con il caffè freddo caramellato di Bill. Mentre si faceva una doccia veloce prima di scappare in ufficio aveva pensato molto a quello che aveva passato col suo capo. Al centro dei suoi pensieri c'era stato soprattutto quel bacio. Non sapeva perchè Bill gliel'avesse dato, non sapeva nemmeno se davvero si sentiva di darglielo, ma voleva parlargli e chiarire le cose.
 

Le ragazze lo salutarono ma non gli fecero delle domande, era come se non sapessero della morte del padre di Bill. Forse realmente non lo sapevano, forse lui era l'unico a conoscenza del fatto. Ricambiò i saluti e si avviò verso l'ufficio di Bill, bussò ed entrò. Il suo capo era seduto alla sua scrivania ed era impegnato a parlare al telefono, a giudicare dalla sua faccia sembrava qualcosa di molto serio. “Lo so, Andreas, scusami, avrei dovuto chiamarti” borbottò e Tom posò il suo caffè sulla scrivania, si sedette di fronte a lui. “Non è colpa tua, come potevi saperlo?” all'improvviso sorrise e abbassò lo sguardo. “Lo so, grazie mille. Fai tanto per me ogni giorno” rimase in silenzio e poi sospirò. “Uhm, anche io. Ciao, Andreas” riattaccò e posò il suo telefono sulla scrivania, si passò le mani tra i capelli. “Thomas, ti ho già visto troppo oggi”
 

Tom boccheggiò, era il solito Bill. “Lo so, signore, ma volevo parlarle” disse e poggiò le sue mani sul proprio grembo.
 

“Ora mi dai del lei? Mi confondi” disse e Tom sospirò.
 

“Bill, ho pensato molto al bacio che mi hai dato ieri sera e sono arrivato ad una conclusione” disse fermamente convinto delle proprie parole e Bill aprì la bocca per dire qualcosa, ma semplicemente non disse nulla perchè non sapeva cosa dire. “Ieri eri confuso, distrutto e triste e cercavi un conforto più profondo nel bacio che mi hai dato. Però non significava nulla per te, e lo accetto perchè sono davvero una schiappa nel consolare le persone. Quindi io non m'illuderò né mi costruirò castelli in aria perchè è stato un bacio amichevole e nulla più” lanciò un sospiro di sollievo e sorrise. “Vero?”
 

Bill sbattè le palpebre più volte e poi sospirò anche lui. “Sì, Thomas, hai ragione” disse e Tom sorrise, si alzò.
 

“Bene, non sono uno che ragiona molto, ma quando lo faccio, lo faccio nel modo giusto!”
 

“Ugh, ci credo” disse Bill e prese in mano il suo caffè freddo, ne bevve un sorso.
 

“Vado o farò tardi all'università, ciao!” disse velocemente e uscì fuori di corsa.

 

*


 

Tom parcheggiò di fronte casa di Kendall e afferrò il cellulare, le inviò un messaggio informandole che era arrivato. Pochi minuti dopo la ragazza scese e si richiuse il portone alle spalle, Tom spalancò la bocca. Kendall aveva dei tacchi alti neri, un vestito nero trasparente in vita e aveva lasciato i capelli lisci sciolti sulle spalle. Entrò in macchina e guardò Tom, gli sorrise. “Ciao, Tom! Scusa per il ritardo” disse ma Tom non rispose, la ragazza gli chiuse la bocca. “Entreranno le mosche” 
 

Tom non riusciva a staccare i suoi occhi da quelli di Kendall. Aveva applicato ombretti di vario colore, dal nero al bronzo, eyeliner e abbondante mascara. Il risultato era uno smokey eyes perfetto. “Sì, le mosche entreranno” disse e Kendall rise. 
 

“Dai, parti, idiota” disse e gli diede una lieve spinta che fece svegliare Tom.
 

“Oh sì, sì, partire” disse e partì. Kendall guardò fuori dal finestrino i passanti camminare e le luci dei lampioni e dei negozi muoversi velocemente e sorrise. Si sentiva bene ora che era con Tom. La sua vita era frenetica e impegnativa, ma il pensiero che quella sera, una volta tornata a casa, Tom l'avrebbe chiamata e avrebbe ascoltato la sua voce – seppur un po' assonata – la rendeva piena di forze e gioiosa di nuovo. Si stava lentamente innamorato di Tom, ed era fortunata perchè era un ragazzo d'oro e non ne avrebbe trovato un altro come lui. Lo guardò impegnato alla guida e gli sorrise.
 

“Dove mi stai portando?” chiese e accarezzò la sua mano sul cambio di marcia ma lui, attento alla strada, non se ne accorse nemmeno.
 

“Ho passato un esame difficilissimo con il massimo dei voti, è una buona ragione per andare in un club con te e i miei migliori amici” disse e sorrise, lei ricambiò il sorriso. “Non indovinerai mai chi è venuto a casa mia ieri alle due” 
 

“Chi?” chiese lei interessata.
 

“Bill” disse e Kendall strabuzzò gli occhi.
 

“Cosa—Bill?!” chiese e si avvicinò a lui. “Perchè mai?”
 

“Era morto il padre e non sapeva dove andare, così è venuto da me. Sono rimasto stupito, insomma, io sono l'ultima persona da cui verrebbe in queste situazioni.. O almeno pensavo di esserlo” 
 

“Oh, mi dispiace così tanto” disse e poggiò il gomito sul bracciolo, si torturò le labbra con le dita. “Può essere acido e antipatico quanto vuole, ma lui non ha nessuno. La sua vita è così vuota”
 

Tom sospirò mentre gli si formava un nodo in gola. “Già, mi dispiace per lui” disse e fece un momento di pausa. “Per fortuna che ho Georg e Gustav” prese la mano di Kendall e la strinse, la guardò. “Per fortuna che ho te” Kendall sorrise mentre il suo cuore batteva all'impazzata e veniva riscaldato dal caldo sorriso di Tom.
 

Poco dopo, Tom parcheggiò e poterono scendere. Il club in cui avrebbero passato la serata non era molto distante da dove avevano parcheggiato l'auto, e in pochi secondi furono di fronte alla porta. “Chiamo Georg” disse e prese il telefono, fece il numero dell'amico e portò il telefono all'orecchio.
 

“Pronto?” rispose Georg urlando per sovrastare il rumore della musica.
 

“Georg, sono Tom! Siete già dentro?” chiese.
 

“Sì sì, Tom, muoviti ad entrare!” disse con un tono allarmato.
 

“Perchè?”
 

“Georg ci sta provando con una, beh teoricamente è uno, ma praticamente è una”
 

“Che— Georg, hai già bevuto?”
 

“Ho bevuto solo acqua”
 

“Ugh, non dirmi che ora ti ubriachi anche con l'acqua frizzante”
 

“No, Tom! Sono lucidissimo! Gustav ha visto questa ragazza, una bellissima ragazza, e si è avvicinato a lei, ma io le ho visto la gola e— Tom, sto cercando di far capire a Gustav che ha il pomo d'Adamo ma non mi vuole stare ad ascoltare!”
 

Tom sospirò e si massaggiò la fronte. “Okay, okay, arriviamo” disse e staccò, guardò Kendall. “Andiamo prima che Gustav faccia la sua prima esperienza con un trans”
 

“Beh, magari gli piace” disse sorridendo la ragazza.
 

“Lo conosco e no, non gli piacerebbe” Kendall rise e Tom si avvicinò alla porta.
 

“Tom” lo chiamò e Tom si girò a guardarla, Kendall si avvicinò a lui, gli circondò il collo con le mani e congiunse le loro labbra. Il rasta strabuzzò gli occhi, ma poi circondò la sua vita con le braccia, la strinse a sé e chiuse gli occhi.


 

Chapter End Notes:
Scusate per l'enorme ritardo, nelle ultime settimane non ho proprio preso il computer. Un po' perchè non potevo, un po' perchè il programma con cui scrivo le FF si è inceppato e non so come fare se non riscrivere da capo tutto. Spero possiate perdonarmi:(
echois xx

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Capitolo 9
*** In viaggio. ***



Banner bellissimo fatto da Bill Kaulitz (passate da lei, assolutamente!). Grazie ancora, tesoro! xx

 

 

 

 

 

Capitolo 9.

In viaggio.

 

 

 

 

 

“Bevi! Bevi! Bevi!” urlarono Gustav e Kendall e batterono le mani, Tom cercò d'ingurgitare più birra possibile. Quando il suo enorme bicchiere di vetro era finito, lo alzò in alto e i suoi amici urlarono.

 

“Abbiamo un vincitore!” urlò Gustav e Tom guardò Georg alla sua destra. Riuscì a finire la sua birra e alzò in aria debolmente il suo bicchiere. Il suo amico non reggeva l'alcol e molto probabilmente era già ubriaco.

 

“Ho vinto io?” urlò Georg e guardò Kendall e Gustav e strinse gli occhi. “Ragazzi, perchè vi siete clonati?” Okay, il suo amico era ubriaco.

 

Tom guardò il suo orologio da polso, erano le quattro e mezza. “Okay, ritorniamo a casa, Georg è ubriaco marcio” disse e guardò il suo amico.

 

“Ma no, voglio un altro cocktail!”

 

“Gustav” lo chiamò Tom e indicò col pollice Georg, Gustav sospirò.

 

“Okay, campione, andiamo a casa” disse e gli mise un braccio intorno alla vita, Georg gli circondò le spalle con un braccio, alzò il pugno in aria.

 

“Sono un campione, woo! Vuol dire che ho vinto!” disse mentre se ne stava andando. “Ti ho battuto Tom, ti ho battuto! Ricordati questo viso, è il viso di chi ti ha rotto il culo!” uscirono fuori e Tom ridacchiò, Kendall iniziò a ridere.

 

“Ma quanto ha bevuto?” chiese Kendall e si avvicinò a Tom.

 

“Due Japan Iced e mezza birra” disse e Kendall rise.

 

“Oh, okay”

 

“Sarà meglio che ritorniamo a casa anche noi. Ti vedo stanca” disse e gli accarezzò il viso, Kendall chiuse gli occhi e posizionò la testa sulla spalla di Tom, annuì. Il rasta le prese la mano e insieme uscirono dal club. La ragazza, una volta fuori, respirò l'aria fresca e pulita e si tolse i suoi tacchi alti, Tom ridacchiò quando lanciò un sospiro di sollievo. Raggiunsero la macchina abbastanza velocemente ed entrarono.

 

“Georg si ubriaca così facilmente?” chiese mentre Tom accendeva il motore. Quest'ultimo sbuffò una risata e fece marcia indietro, girò e partirono.

 

“Sì, davvero. Ora si è un po' abituato al bere, ma quando eravamo più giovani aveva la capacità di ubriacarsi con una birra” disse e Kendall rise. “Ogni volta che si ubriaca cerca di portarmi a letto” la ragazza scoppiò a ridere piegandosi avanti e Tom rise, si grattò il naso.

 

“È mai riuscito a farlo?”


“No, ma una volta mi ha palpato il culo” Kendall rise di nuovo e Tom sbuffò. “Ehi, per me è stato traumatico!”

 

“Immagino” disse e si asciugò le lacrime scappate. “Mica tu gli piaci?”

 

Tom corrugò la fronte guardando la strada. “Oh, no! Georg è etero, e anche io! Solo che quando è ubriaco la sua vista si appanna e diventa molto arrapato, quindi appena vede un essere con i capelli lunghi inizia automaticamente a provarci” ridacchiò al ricordo. “Una volta sono andato a dormire a casa loro e abbiamo alzato un po' il gomito, Georg si è inevitabilmente ubriacato. Dopo che gli ho dato il due di picche, è andato a guardarsi allo specchio e poi ha detto:'ehi, bambola, vuoi venire in camera con me? Posso cacciare Gustav'”

 

“Oh santo cielo” disse Kendall e rise, il suo stomaco doleva a causa di tutte quelle risate. Per tutta la serata, Tom aveva avuto occhi solo per lei, era stato gentile e carino. Tom e i suoi amici erano molto simpatici, e si era divertita a ballare in mezzo alla pista e a parlare con loro. Tom parcheggiò di fronte casa sua e la guardò.

 

“Siamo arrivati” disse.

 

“Siamo arrivati” confermò Kendall e gli sorrise. “Grazie per la bella serata, mi sono divertita un sacco con voi – soprattutto con te” Tom sorrise e la donna si avvicinò, gli circondò il viso con le mani e lo baciò, Tom chiuse gli occhi e ricambiò il bacio.

 

“Buonanotte” gli sussurrò Tom una volta che si furono staccati e la guardò dritta negli occhi.

 

“Buonanotte” sussurrò Kendall e gli diede un bacio sulle labbra, uscì dalla macchina con i suoi tacchi in mano ed entrò in casa. Tom sospirò felice e mise in moto la macchina, partì.

 

“Non può essere vero, deve essere un sogno” mormorò toccandosi le labbra, allora si tirò una guancia. Sentiva il dolore. Era tutto vero. Kendall lo aveva baciato!

 

 

*

 

 

Il suo cellulare squillò e lui gemette. Chi diavolo poteva chiamarlo di sabato mattina? Prese il suo cellulare pensando che avrebbe dovuto spegnerlo la notte prima e rispose. “Chi cazzo è?” disse rispondendo.

 

“Ugh, sei davvero scontroso” rispose una voce familiare.

 

“Mamma?”

 

“No, non sono tua madre. Prova di nuovo”

 

“Papà?” la persona dall'altro capo del telefono sospirò.

 

“No, Thomas, hai sbagliato. Sono io, Bill” disse Bill e Tom corrugò la fronte, si mise a sedere.

 

“Bill? Ma sono le—” prese la sveglia per vedere l'ora. “Sono le otto di sabato!”

 

“Lo so, ma ho una notizia sensazionale per te. Cioè, per me” disse e Tom alzò lo sguardo al cielo.

 

“Dimmi” disse e sbadigliò, aveva dormito a malapena tre ore.

 

“Stamattina verso le sette mi ha chiamato la segretaria di Vera Wang e mi ha detto che—”

 

“Vera chi?” chiese Tom corrugando la fronte.

 

“Vera Wang, Thomas”

 

“E chi è?” chiese stendendosi di nuovo sul letto e passandosi una mano tra i dread. Non sarebbe più riuscito ad addormentarsi.

 

“Oh, Coco Chanel, perdonalo” disse e sospirò. “Vera Wang è la più importante stilista per abiti da sposa esistente. Ha lavorato per Ralph Lauren e Vogue e molte delle celebrità di Hollywood, tra cui Kim Kardashian, hanno indossato i suoi abiti per il giorno più importante della loro vita!”

 

“Oh. Fantastico” disse senza entusiasmo.

 

“Già, fantastico! Comunque, ti stavo dicendo, questa mattina mi ha chiamato la sua segretaria e mi ha detto che stasera Vera è disposta ad incontrarci e a concederti un'intervista. Ma dato che a me non basta una sera per chiederle tutto, ho chiesto se poteva trovare un buco nell'agenda per me anche domani e dopodomani, e lei sai come mi ha risposto?” chiese eccitato, Tom sospirò.

 

“No, come ti ha risposto?” chiese Tom poco interessato.

 

“'Sono sicura che la signora Wang riuscirà a dedicarle due ore per completare l'intervista'! Non è strabiliante?” disse Bill e quasi saltava sulla sedia.

 

“Sì, strabiliante, davvero, ma io che c'entro in tutto questo?”

 

“Questo perchè tu verrai con me” disse Bill calmo e Tom strabuzzò gli occhi.

 

“Cosa? E perchè mai?” chiese con un tono di voce un po' alto.

 

“Perchè tu sei il mio tuttofare, Thomas, ho bisogno di te”

 

“E perchè non portare con te una delle tue collaboratrici che farebbero anche più bella figura?”

 

“Perchè questo articolo è mio, non loro. S'impiccerebbero troppo”

 

“Se mi opponessi tu prenderesti in considerazione le mie tesi?”

 

“No”

 

“Cavolo” disse e sospirò. “Dove dobbiamo andare? In Cina? In Jamaica? In Madagascar? O in qualsiasi posto non raggiungibile in un giorno?”

 

“Dobbiamo andare a New Cassel” rispose e Tom inarcò le sopracciglia.

 

“Oh— New Cassel. È— È abbastanza vicino” balbettò Tom e Bill sbuffò.

 

“Sì, è vicino. È la città dove Vera è nata” disse e ci fu un minuto di silenzio. “Ascoltami, Thomas, inizia a preparare la valigia, l'hotel lussuoso dove ho prenotato ci aspetta per le dieci e mezza”

 

“Dieci e mezza? Questo vuol dire che dobbiamo partire tra mezz'ora!” disse e si alzò dal letto, aprì l'armadio e cacciò fuori la sua valigia grigia. “Aspetta, chi mi pagherà questa sosta in questo hotel lussuoso?” si mise una mano in vita.

 

“Che domande, ovviamente tu, Thomas!”

 

“Cosa? Ma—” boccheggiò a lungo pensando dove poter prendere i soldi. “E quanto verrebbe a costare?”

 

“Non ne ho ancora discusso, ho semplicemente prenotato” Tom deglutì e guardò il muro come se gli potesse dire qualcosa. Improvvisamente la lampadina sopra la sua testa si accese.

 

“Ehi, Bill, i miei genitori abitano a Westbury, a sette minuti di distanza da New Cassel. Potremmo andare da loro, hanno aperto un bed and breakfast” disse e si sedette sul letto.

 

“Non lo so, Thomas, quanto mi verrebbe a costare affittare una stanza nel bed and breakfast dei tuoi genitori?”

 

“Ugh, ora pensi al denaro? Comunque nulla, davvero. Parlerò con loro”

 

“Okay, vengo a prenderti tra mezz'ora a casa, ciao!” e attaccò.

 

 

*

 

 

Tom sospirò e si stropicciò gli occhi. Bill era alla sua destra che dormiva, aveva insistito perchè lui guidasse dopo aver controllato rigorosamente la sua patente e la rispettiva data di scadenza. Tom si sentiva ancora stanco, ancora di più dopo essersi messo alla guida, e non vedeva l'ora di arrivare a casa, salutare i suoi genitori che non vedeva da tanto, andare nella sua stanza e addormentarsi. Dopo quasi un'ora di macchina, arrivarono a Westbury, la città in cui era cresciuto. Sorrise pensando alla sua infanzia, ai suoi amici, alle corse infinite e alle lotte sotto il sole. Imboccò una salita e cambiò marcia, girò a destra e vide la via in cui aveva abitato per diciassette anni. Le case non erano cambiate di una virgola, nemmeno i soliti vecchi negozi. Parcheggiò di fronte casa sua e guardò la scritta 'Trümper bed & breakfast' e si massaggiò le tempie. “Questo sarà traumatico per me” sussurrò e guardò Bill accanto a lui. Era accovacciato su se stesso e i capelli gli ricadevano sul viso, i suoi tratti erano rilassati e sembrava calmo e tranquillo. Era davvero bello. Tom sospirò. “Bill?” lo chiamò ma il suo capo non si svegliò, così gli scosse la spalla. “Bill, svegliati, siamo arrivati” il moro aprì gli occhi lentamente e sbattè più volte le palpebre per mettere a fuoco l'immagine del viso di Tom.

 

“Oh, Thomas, siamo già arrivati?” chiese mentre si stiracchiava.

 

“Sì. Vieni, ti faccio conoscere i miei” disse e uscì dalla macchina, Bill lo imitò. Tom aprì il cofano della costosa BMV di Bill e prese l'enorme valigia del ragazzo e la sua, minuscola al confronto. Tom entrò nel bed and breakfast, Bill lo seguì.

 

“Benvenuti al bed and breakfast Trümp— Tomi!” urlò Simone e corse incontro il figlio, gli gettò le braccia al collo e lo riempì di baci. “Come mai sei qui? Ti mancavamo, eh? Gordon, è venuto a farci visita quel degenere di nostro figlio!” urlò in direzione della cucina.

 

“Mamma—”

 

Gordon si affacciò dalla cucina e vide Tom in compagnia di una bella ragazza mora. “Ehi, degenere di un figlio!” camminò verso di lui e andò ad abbracciarlo, Tom ricambiò quell'abbraccio un po' maldestro. “Come stai? E chi è lei? La tua ragazza?” Tom si spiaccicò una mano sulla fronte.

 

Bill sorrise all'uomo e gli porse la mano. “Bill Kaulitz, direttore della rivista di Elle, molto piacere di conoscerla. Sono il capo di suo figlio” disse cordialmente, ci teneva a far bella figura con i genitori di Tom.

 

“Bill? Nome strambo per una ragazza. Comunque piacere, signorina, io sono Gordon, il padre di Tom” disse e gli strinse la mano per poi portarsela alla bocca e baciarla, Tom si spiaccicò di nuovo una mano sulla fronte.

 

Simone spinse via Gordon e prese la mano di Bill tra le sue, gli fece un sorriso a trentadue denti. “Ciao, meraviglia! Io mi chiamo Simone, sono la mamma di Tom. Sono felice di accoglierti in casa”

 

“Chiamala casa, oramai è un bed and breakfast” disse Gordon e incrociò le braccia.

 

“Mamma, papà, Bill è il mio capo ed è maschio” precisò Tom e Simone e Gordon lo guardarono a bocca aperta e gli occhi fuori dalle orbite, Bill sorrise loro.

 

“Salve” disse il moro e si lasciò osservare dai due genitori completamente scioccati. Bill era un maschio e si truccava, portava i capelli lunghi e lisci e si vestiva in modo davvero sofisticato. Indossava una camicia bianca in lino, dei jeans davvero molto stretto e indossava delle sneakers firmati Ralph Lauren.

 

Gordon e Simone si guardarono negli occhi ed andarono ad abbracciare il figlio che iniziò subito a dimenarsi. “Ma che diavolo volete? Staccatevi!” disse Tom e Bill guardò il trio con occhi spalancati.

 

“Tomi, non importa se sei omosessuale, noi ti vogliamo bene lo stesso perchè sei nostro figlio e non possiamo fare altrimenti” disse Simone e Bill strabuzzò gli occhi. Tom non aveva nemmeno confessato la sua omosessualità che i suoi genitori l'avevano subito accettata.

 

“Ma che— Mamma, non sono omosessuale! Bill è il mio capo e basta” disse ma non si staccarono da lui.

 

“Non devi mentirci, Tom caro” disse Gordon, Tom sbuffò.

 

“Non vi sto mentendo!”

 

Bill pensò che doveva intervenire in qualche modo. “Io e Tom non stiamo insieme, davvero. Devo fare un'intervista ad una stilista famosa, ma non me la sentivo di guidare fin qui da solo e lui è stato così gentile da accompagnarmi. Ma sul serio, non siamo fidanzati” disse e Simone e Gordon guardarono il figlio, poi Bill e poi di nuovo il figlio. Tom guardò Bill con gli occhi stralunati perchè si stava comportando in modo gentile.

 

“Oh, okay. Accomodatevi nelle vostre stanze, io nel frattempo preparo del tè” disse Simone e sorrise gentilmente a Bill.

 

 

*

 

 

“Bill, lo sai che i cadaveri non vanno messi nelle valigie, vero?” disse Tom appena entrato in camera di Bill. Trascinare quella valigia enorme che pesava forse il doppio di lui per le scale era stato un inferno. “Sul serio, cosa c'hai messo qui dentro? Pesa un sacco”

 

Bill si avvicinò a Tom e lo aiutò a posare la valigia sul suo letto, l'aprì. “Abiti, trucchi, borse, accessori, mi sono portato un po' di cosette”

 

“Vuoi dire tutto il tuo appartamento” disse Tom e si appoggiò al muro, incrociò le braccia. Simone aveva assegnato a Bill la camera degli ospiti – che era rimasta la stessa – e a Tom la sua camera – da cui avevano rimosso tutti i poster e le sue foto. Bill cacciò fuori la trousse e la posò sulla scrivania.

 

“I tuoi genitori sono simpatici” disse Bill frugando nella sua valigia.

 

“Vorrai dire asfissianti”

 

“No, sono simpatici. Si vede che ti vogliono molto bene”

 

“Sì, lo so, ma a volte preferirei che non lo dessero a vedere tutto questo bene che mi vogliono” commentò Tom e Bill si avvicinò a lui.

 

“Non sai di cosa parli, Thomas” gli abbozzò un sorriso e gli diede un buffetto sulla guancia. “Scendiamo, dai, tua madre ci ha preparato il tè e non voglio farla aspettare” Bill scese e Tom lo guardò a lungo.

 

 

*

 

 

“Ragazzi! Venite, accomodatevi. Ho fatto un tè all'anice, Bill, ti piace?” disse Simone non appena entrarono in sala da pranzo. Quest'ultima aveva fatto posto a molti più tavoli con molte più sedie, il loro vecchio tavolo non c'era più.

 

“Sì, amo l'anice, grazie” disse Bill e si sedette di fronte a Simone. Gordon affiancò la moglie e Tom il suo capo. Quest'ultimo prese la tazza e bevve un sorso di tè, era delizioso. Anche Gordon e Simone presero la loro tazza, ma non ce n'era un'altra per Tom.

 

“Non bevi il tè?” chiese Bill a Tom, ma quest'ultimo scosse il capo.

 

“Non sono un amante del tè” fece spallucce. “Beh, mamma, come vanno gli affari?”

 

“Molto bene, ci sono molti turisti degli altri Paesi in questo periodo. Ieri dei canadesi se ne sono andati e sono venuti degli spagnoli. Sono molto simpatici anche se non conoscono la nostra lingua, mi hanno insegnato delle parole della loro, però” disse e Tom inclinò un po' il capo.

 

Proprio in quel momento scesero gli spagnoli, erano un gruppo di tre ragazzi di minimo diciott'anni. “Simone, noi andare a visitare città” balbettarono e Simone gli sorrise.

 

“Okay, picha!” disse salutando con la mano e i ragazzini se ne andarono ridacchiando, guardò il figlio. “Sai, Tomi, picha vuol dire ciao”

 

Bill sghignazzò. “Simone, io sono stato a Madrid tanto tempo fa e quindi so un po' di spagnolo. Picha vuol dire cazzo” sussurrò l'ultima parola e Simone strabuzzò gli occhi.

 

“Oh, bambin Gesù” disse e tutti scoppiarono a ridere. Bill si sentiva a suo agio in quella famiglia, davvero voleva che quel momento durasse per sempre.

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Capitolo 10
*** Tentazioni. ***



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Capitolo 10.

Tentazioni.

 

 

 

 

 

 

Bill si buttò sul letto e chiuse gli occhi, sospirò. Si sentiva pienissimo. La madre di Tom aveva cucinato le lasagne e lui, per accontentarla, aveva ripulito il piatto. Per secondo Simone aveva cucinato pollo ripieno di mozzarella e arrotolato nel prosciutto crudo e, per finire, una Victoria Sandwich, era davvero buona. Ma Bill, abituato a mangiare al massimo un'insalata a pranzo, ora stava scoppiando e aveva solo voglia di dormire.

 

Aprì gli occhi e guardò la porta. Era aperta. Voleva chiuderla. Doveva alzarsi. Non ce la faceva. Erano pochi metri. Non poteva farcela. Improvvisamente comparve Tom, si appoggiò alla porta e incrociò le braccia, ridacchiò guardando Bill. “Ehi, Mister Avocado, tutto bene?” disse solare e raggiante come al solito.

 

“Tom, dimmi un po', non hai voglia di vomitare tutti i tuoi organi interni?” disse e Tom rise, si avvicinò a lui e si sedette ai piedi del suo letto.

 

“No, perchè io, a differenza tua, mangio invece di far finta di mangiare” disse e Bill roteò gli occhi.

 

“Che c'entra?”

 

“C'entra, mio caro” Bill sbuffò e Tom sorrise, si alzò e gli accarezzò leggermente la testa, il moro chiuse gli occhi a quella carezza. “Ora dormi, ci vediamo stasera” uscì dalla stanza e chiuse la porta. Bill si addormentò con un sorriso sulle labbra.

 

 

*

 

 

Tom guardò i panni nella sua valigia e si grattò una guancia. Non sapeva cosa mettersi, stava per andare in panico, anche perchè Bill era entrato cinque minuti fa nella sua stanza dicendogli che avrebbe dovuto vestirsi in maniera quantomeno decente. Sospirò e si passò le mani tra i dread biondi. “Che cazzo— Bill?” lo chiamò e la sua porta fu aperta, spuntò la testa di Bill.

 

“Che c'è?” chiese guardando l'interno della camera di Tom. “Oh, Dio, ma hanno combattuto qui la guerra di secessione?”

 

“Smettila di fare commenti ironici e aiutami a decidere cosa mettere” disse e si mise le mani in vita, Bill sospirò. I suoi capelli erano perfettamente lisci e gli ricadevano sulle spalle, i suoi occhi erano marcati di matita e ombretto nero. Aveva indossato una camicia bianca e aveva indossato una giacca nera, dei pantaloni eleganti neri e un papillon. Diede la sua matita in mano a Tom e s'inginocchiò, frugò tra i suoi panni.

 

“È una cena, Tom, lei probabilmente indosserà un vestito lungo nero con un generoso scollo sulla schiena e spacco sul fianco sinistro, quindi tu devi indossare un completo” prese una camicia nera e fece una faccia schifata. “Hai comprato una camicia nera? Bleah! Fa tanto manager obeso di una boyband, buttala” la buttò a terra e Tom alzò lo sguardo al cielo. Prese una camicia bianca e gliela diede. “Indossala, ora cerco di trovare una giacca, ma credo sia una missione impossibile”

 

Tom prese la camicia e sbuffò, la posò sul letto. “Non mi piacciono gli imperativi” si tolse la maglia.

 

“Muoviti” disse Bill e frugò di nuovo nella valigia. “Oh, hai avuto il buonsenso di portarti una giacca nera! Ehi, è carina” accarezzò il collo sciallato in raso nero e si alzò, gliela porse. “Tie—” strabuzzò gli occhi guardando Tom a petto nudo che cercava di sbottonare i bottoni della camicia. Scosse il capo riprendendosi velocemente. “Dimmi che ti sei portato una cravatta”

 

“Cravatta?” chiese Tom e smise di cercare di sbottonare la camicia per guardare Bill con un sopracciglio inarcato.

 

“Okay, te ne presto una delle mie, ma sbrigati” disse e posò la giacca sul letto, prese la sua matita nera e uscì. Quando ritornò, Tom aveva indossato la camicia e si stava sistemando la giacca, Bill gli porse la sua cravatta semplice nera, il biondo la prese.

 

“Uhm, Bill?” lo chiamò mentre stava uscendo di nuovo dalla stanza, Bill si girò a guardarlo.

 

“Non dirmi che non sai metterti la cravatta”

 

“Bingo” Bill alzò gli occhi al cielo e sospirò. Si avvicinò a lui e gli mise la cravatta intorno al collo. “So che ora probabilmente vorrai uccidermi perchè siamo in ritardo, ma ti prego non lo fare” Bill ridacchiò e Tom sospirò.

 

“Hai paura per la tua vita?” chiese mentre annodava la cravatta.

 

“Dovrei averne?”

 

Bill strinse il nodo e lo guardò negli occhi. “Sì” sussurrò e gli sorrise, Tom ricambiò il sorriso. Da quando erano arrivati a casa dei suoi Bill sembrava molto più rilassato, ma forse era semplicemente per la grande intervista che aveva in programma. Bill deglutì e perse il sorriso quando si accorse di quanto erano vicini. Erano così vicini che gli sarebbe servito solo avvicinarsi un po' per toccare le sue labbra, esattamente come aveva fatto la sera della morte di suo padre. Anche Tom ora aveva perso il sorriso ed era intento a guardare Bill negli occhi, mentre Bill si stava chiedendo se baciarlo di nuovo o no. Come l'avrebbe presa Tom? Che

spiegazione razionale gli avrebbe dato, allora? Ma poi pensò che doveva iniziare a pensare più al presente che al futuro, quindi socchiuse gli occhi e si avvicinò lentamente a—

 

“Tom!” Bill strabuzzò gli occhi così come Tom, si allontanò velocemente da lui e tossì, arrossì all'inverosimile. Simone entrò in camera del figlio e guardò prima lui, in piedi in mezzo alla stanza, e poi Bill, intento a soffocarsi. “Oh, Bill!” urlò e diede la pirofila che reggeva in mano a Tom, si avvicinò al moro. “Bill? Bill!” gli diede dei colpetti sulla schiena e Bill smise di tossire, sospirò. “Che è successo, tesoro?” chiese apprensiva e Bill prese un lungo e profondo respiro.

 

“Nulla, mi è andata di traverso la saliva” disse e cercò di riprendere il suo colorito naturale.

 

“Oh, beh, tesoro, capita” disse Simone e poi si girò a guardare Tom, era ancora un po' scioccato da quello che sarebbe potuto succedere se non fosse entrata sua madre. “Ragazzi, ho fatto le lasagne anche per Vera. L'ho vista su Elle e ho pensato che fosse davvero troppo magra, quindi una pirofila di lasagne non può che farle bene”

 

“Da quando in qua leggi Elle?” chiese guardando le lasagne tra le sue mani.

 

“Da quando ho visto in copertina il mio affascinante figlio” disse e Tom scosse il capo sospirando. Bill si girò e sorrise cordialmente a Simone.

 

“Va bene, gliele daremo, Simone. Hai ragione, è troppo magra” disse Bill concordando con lei.

 

“Anche tu sei troppo magro, Bill” disse pungolandogli il fianco, Bill cercò di non gemere a causa del solletico che gli stava provocando. “E anche mio figlio. Ma è ovvio che lo sia, si è messo in testa di diventare un culturista!”

 

“Mamma—”

 

“Non lo negare, Tom! Ma cosa vuoi diventare, un mostro?!”

 

“Mamma, ti ho detto che—”

 

“Possiamo parlare del mostro che Tom diventerà quando ritorneremo a casa, stasera? Scusate, ma siamo in ritardo” li interruppe Bill.

 

“Non diventerò un mos—” l'occhiataccia di Bill lo fece zittire all'istante. “Okay, noi andiamo. Ciao mamma”

 

“Ciao Simone!” la salutò Bill, si mise la borsa in spalla e uscì dalla stanza.

 

“Ciao, ragazzi, salutatemi Vera! Il mio abito da sposa era uno della sua collezione!” urlò mentre i due ragazzi uscivano di casa e si chiudevano la porta alle spalle. Bill entrò nella sua macchina al posto di guida e Tom lo affiancò, posò le lasagne dietro sui sedili posteriori.

 

“Siamo dannatamente in ritardo” disse Bill guardando il suo rolex d'oro. Partirono e Tom sospirò, guardò fuori.

 

Sentiva che doveva chiedergli delle spiegazioni a proposito del quasi bacio che stavano per scambiarsi, ma la tensione era palpabile e aveva vergogna a chiederglielo. Per un secondo, anzi, un lasso di tempo inferiore ad un secondo, aveva detestato sua madre per averli interrotti. Scosse il capo e si passò le mani tra i dread. Ma che cavolo pensava? Perchè lui, Tom, che stava vivendo una storia d'amore con una modella strafiga come Kendall, avrebbe voluto essere baciato da Bill, il suo capo acido? Sospirò e lanciò un'occhiata furtiva a Bill, impegnato a guidare e concentrato sulla strada. Metà del suo viso era coperto dai capelli e Tom riusciva a vedere i suoi profondi occhi color nocciola, il suo naso all'insù e la forma delle sue labbra rosee e carnose, distolse velocemente lo sguardo e ritornò a guardare fuori.

 

Bill, invece, lanciava delle occhiate a Tom di tanto in tanto. Ma cosa gli era venuto in mente? Baciare Tom? Di nuovo? E perchè, poi? A lui neanche piaceva Tom. L'astinenza si fa sentire, disse a se stesso. “Okay, scusami” disse con l'urgenza di rompere quel silenzio. “Non so cosa mi sia preso, okay? Non voglio che il clima debba essere pesante, quindi, ti prego, ritorna ad essere il solito stupito” prese un respiro spezzato e guardò Tom, gli diede uno schiaffo sulla coscia. Tom rimase per un po' in silenzio, poi sbuffò una risata e successivamente scoppiò a ridere. Bill, al suono di quella risata, sospirò finalmente soddisfatto.

 

“Oh, Bill, tu vuoi amore” disse Tom e lo andò ad abbracciare, riempì la sua guancia di baci. Inspirò a fondo il suo profumo, era così buono.

 

“Ma che fai, idiota? Staccati o faremo un incidente!” disse andando a finire nell'altra corsia e schivando una macchina per pura fortuna.

 

“Sì, ti voglio bene anche io” disse Tom e circondò la sua vita con le braccia. “Vuoi che guidi io? Vedo che hai delle difficoltà”

 

“Certo che ho delle difficoltà, scemo! Mi stai attaccato come una cozza allo scoglio!” disse e guardò la strada. “Se proprio vuoi farlo, abbracciami quando non sto guidando e possiamo rischiare la vita!”

 

“Uff, che palle che sei” disse e si staccò, incrociò le braccia e Bill ritornò a guidare in modo corretto. Pochi minuti dopo parcheggiarono di fronte una villa enorme. Era bianca e sulle pareti vi erano delle piante rampicanti. Era circondata di verde; di fronte c'era un giardino enorme e Tom riusciva a vedere una piscina alle spalle della casa, rimase a bocca aperta. “Questa è casa di Viola?” chiese slacciandosi la cintura, Bill lo imitò.

 

“Si chiama Vera! Comunque sì. Prendi le lasagne di tua madre” disse e tolse le chiavi, se le mise in tasca e uscì.

 

Tom uscì dalla macchina e aprì la portiera, prese la pirofila e la richiuse. Bill si avvicinò al citofono e suonò. “Pronto?” rispose una voce femminile.

 

“Salve, sono Bill Kaulitz, il direttore di Elle” disse e Tom lo affiancò, Bill lo guardò.

 

“Oh, buonasera signor Kaulitz, entri pure” disse la segretaria e il cancello fu aperto, Tom e Bill entrarono. Il biondo spalancò guardando le condizioni ottime del prato. Avrebbe tanto voluto stendercisi sopra e rotolarsi come un bambino. Ora erano di fronte una porta bianca, Bill suonò al campanello.

 

Tom si avvicinò a lui e gli lasciò un tenero bacio sulla guancia, Bill corrugò la fronte e si toccò la guancia. “Ma cosa—” balbettò e guardò Tom.

 

“Pensavo che volessi un bacio e quindi te l'ho dato” disse e il sorriso che nacque sulle sue labbra doveva essere il sorriso più bello del mondo. Il cuore di Bill iniziò a battere velocemente mentre un tumulto di sensazione prendeva il comando del suo cervello e non riusciva a pensare più a nulla. Aveva così voglia di circondare il suo collo con le braccia e di baciarlo e di mordergli le labbra fino a sentire il sapore del suo sangue in bocca che—

 

“Bill! Da quanto tempo!” Vera interruppe il flusso dei suoi pensieri e il moro avrebbe dovuto esserne felice, ma non lo fu. La guardò, la donna dai tratti asiatici e i capelli lunghi e neri aveva un sorriso smagliante. Per l'occasione aveva indossato esattamente quello che aveva previsto Bill.

 

Il ragazzo sorrise rapidamente ed andò ad abbracciarla. “Vera, tesoro! Come stai?” disse e Vera ricambiò l'abbraccio.

 

“Io sto bene, e tu?” chiese e si staccò. “Ehi, ti trovo in forma” disse e Bill sorrise.


“Sì, mi mantengo in forma”

 

“Ma entrate, non vorrete mica rimanere sulla porta?” disse e si fece da parte per far entrare Bill e Tom. Una volta dentro, il biondo spalancò la bocca e quasi la pirofila gli cadde da mano. Quella casa era enorme ed era arredata molto bene, tutto gridava 'soldi a palate'.

 

“Vera, lasci che ti presenti Tom Trümper, il mio segretario” disse e Tom si risvegliò, guardò Vera e poi Bill, stupito che non l'avesse presentato come il suo tuttofare. La donna gli porse la mano e gli sorrise calorosamente.

 

“Ciao, Tom, piacere di conoscerti, io sono Vera” disse e Tom tenne la pirofila con una mano, strinse la mano della donna.


“Il piacere è mio, Vera” disse e gli baciò la mano esattamente come suo padre aveva fatto con Bill, Vera ridacchiò.


“È sposata e potrebbe essere tua nonna” gli sussurrò Bill senza farsi vedere dalla stilista e Tom strabuzzò gli occhi, lo guardò.


“Quanti anni ha?”

 

“Sessantasei”


“Oh”

 

“Beh, accomodiamoci fuori, la tavola è già imbandita” disse sorridendo ai due.

 

“Scusami, Vera, mia madre ti ha preparato le lasagne. Ci ha chiesto di riferirti che lei ha indossato uno dei tuoi abiti al matrimonio e che tu sei troppo magra” disse e la stilista inarcò le sopracciglia prendendo in mano la pirofila.

 

“O-Oh, ringrazia tua madre allora, Tom. Vado a posarla un attimo in cucina, voi avviatevi pure fuori” disse e scomparì, Bill si avviò verso una porta finestra ed uscì fuori dall'abitazione. Quello che si ritrovarono davanti fu una piscina ampia e ben illumata e, accanto, c'era un piccolo tavolo imbandito rotondo. Al centro di questo c'era un vaso pieno di rose rosse e bianche, Tom rimase a bocca aperta.

 

“Wow” sussurrò e Bill ghignò, si andò a sedere. Tom si sedette di fronte di lui e continuò a guardarsi intorno. “Quanto paga d'affitto?”

 

“Semplicemente non lo paga” sussurrò Bill e frugò nella sua borsa alla ricerca del registratore.

 

“Voi persone ricche non pagate l'affitto?” disse assottigliando gli occhi, Bill alzò lo sguardo al cielo. “Obama mi sentirà! Puoi giuraci! Avrà notizie dal mio avvocato!”

 

“No, Tom, ti sembrerà strano ma anche noi persone ricche paghiamo le tasse. Solo che Vera questa casa l'ha comprata” disse e posò il registratore sulla tavola.

 

“Ragazzi, scusate se vi ho fatto aspettare tanto” disse Vera uscendo da casa sua e si andò a sedere tra i due, guardò Bill. “La cena sarà pronta tra poco. Nel frattempo vogliamo inziare?”

 

 

*

 

 

“Sto per scoppiare” disse Bill non appena entrò in macchina al posto del viaggiatore. Guardò il suo orologio e alzò gli occhi al cielo, erano le due e mezza. Tom entrò in macchina al posto del guidatore e mise in moto. “Metterò su due chili in questi giorni”
 

“Non ti farebbe male, Mister Avocado”

 

“Non chiamarmi così!”

 

Dieci minuti dopo erano arrivati. Entrarono in casa e salirono le scale, entrambi pronti per entrare nelle loro stanze, infilare il pigiama e andare a letto. Beh, forse non entrambi. “Bill?” lo chiamò Tom e il suo capo si girò a guardarlo.

 

“Cosa?” chiese e Tom gli sorrise, si avvicinò a lui.

 

“Sai di che ho voglia?” disse malizioso e sollevò un angolo delle labbra, Bill strabuzzò gli occhi e si guardò intorno. Il suo viso era in fiamme e lui stava sudando freddo. Tom voleva fare cose con lui?

 

“I-Io non credo sia il c-caso, Tom, sono il tuo capo e—” si interruppe quando guardò Tom corrugare la fronte.

 

“No, Bill, io non intendevo quello”

 

“Oh, e cosa allora?”

 

“Ho voglia di Victoria Sandwich” disse e sorrise, Bill lasciò che le sue braccia ricadessero molli lungo i fianchi.

 

“Victoria Sandwich” mormorò e sospirò. “Io passo” si girò per entrare di nuovo in camera ma Tom gli prese un polso.

 

“Accompagnami almeno in cucina”

 

“I mostri ti mangiano?”

 

“Sì” Bill sospirò e si arrese.

 

“Okay, andiamo” disse e Tom gioì. Scesero le scale e attraversarono il corridoio, arrivarono in cucina. Tom aprì il frigorifero e cacciò la torta, la poggiò sul ripiano in marmo e guardò Bill.

 

“Sei sicuro che non ne vuoi una fetta?” chiese e Bill inarco le sopracciglia.

 

“Vuoi farmi sentire male?” chiese e Tom ridacchiò, si fece una fetta e la posò in un piatto. Ripose la torta nel frigo e si guardò intorno. “Dove hai intenzione di mangiarla?” chiese Bill e Tom si sedette a terra. “Oh” lo imitò.

 

“Non vuoi nemmeno assaggiarne un po'?”

 

“No”
 

“Un po'”

 

“No!”

 

“Un pezzetto piccolo?”

 

“Tom, ho detto di—” Tom gli spalmò la torta sulle labbra come se fossero due sposi e Bill indietreggiò. “Oh, Dio!” Tom scoppiò a ridere guardando la bocca di Bill ricoperta di farcitura al formaggio e marmellata di fragole. “Ora me la paghi!” disse e prese la stessa fetta e gliela spiaccicò sulle labbra, Tom continuò a ridere senza fermarsi. Bill si lasciò sfuggire un sorrise e poi scoppiò anche lui a ridere, non si era mai sentito così felice e completo.

 

Finirono di ridere e Tom lo guardò con un sorriso. “Sei sporco qui” disse e gli indicò un punto vicino le labbra. “E qui, e qui!”

 

“Anche tu!” disse Bill e rise gettando la testa all'indietro come un bambino piccolo, Tom sorrise e posò il piatto a terra. Improvvisamente non aveva più fame. “Non mangi più?” chiese il moro guardando il piatto a terra, Tom scosse il capo.

 

A Bill venne di nuovo voglia di baciare Tom guardandolo mentre gli sorrideva. Cercò di seppellire il sentimento, davvero, ci provò, ma non ci potè fare nulla. Circondò il collo di Tom con le braccia e gli si buttò addosso, unì le loro labbra in un caldo e dolce bacio.

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Capitolo 11
*** Debolezza. ***



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Capitolo 11.

Debolezza.


 


 


 


 

Tom poggiò le mani sulla vita di Bill e, per un momento, quest'ultimo pensò che il rasta lo avrebbe allontanato da sé, che lo avrebbe guardato con la fronte agrottata e che gli avrebbe chiesto cosa diamine stesse facendo. Ma le mani di Tom scivolarono lungo la vita di Bill e ora stava circondando il corpo del moro con le sue braccia, Bill perse un battito. Tom lo strinse maggiormente a sé e inclinò il capo per non lasciare che i loro nasi si sfiorassero.


 

Bill era al settimo cielo e per la prima volta, mentre il suo stomaco era in subbuglio, pensò che quello che stava provando ora non era astinenza. Non astinenza dal sesso, dal baciare qualcun altro, dall'avere un ragazzo. Era qualcosa di più profondo e questo lo spaventava, perchè lui e Tom erano così diversi, si poteva dire che erano agli opposti. Aprì gli occhi e guardò Tom sotto di lui, anche quest'ultimo aprì gli occhi per guardarlo. “Oh, s-scusami” borbottò Bill e fu svelto ad alzarsi, si sistemò i vestiti.


 

“No, non preoccuparti” disse Tom e rimase seduto in terra, si guardò intorno. Entrambi erano rossi in viso e nessuno dei due sapeva cosa dire.


 

“È-È ora che io vada a letto, buonanotte, Thomas” disse cercando di riprendersi dall'imbarazzo e poi scappò fuori dalla cucina.


 

Tom guardò la porta a lungo e si chiese cosa diamine stesse succedendo. Perchè lui, etero fino al midollo, aveva lasciato che Bill lo baciasse? E perchè lui, impegnato con una figa come Kendall, aveva ricambiato? Si morse il labbro inferiore e sentì ancora il sapore di Bill. Le sue labbra erano così morbide e così carnose e, Dio, sentirle sulle sue lo avevano fatto impazzire. Si stese a terra e fissò il soffitto, poggiò le mani sul suo stomaco. Sentire il corpo di Bill così vicino al suo, le sue mani sul suo viso, sul suo petto, sul suo collo, davvero, era qualcosa d'incredibile. Era troppo bello e lo faceva sentire troppo bene per essere legale. “Che cazzo hai combinato, Tom?” chiese a se stesso e chiuse gli occhi, prese un lungo sospiro. Bill era il suo capo, Bill era acido e antipatico. Bill non era il suo tipo. Doveva velocemente riprendersi e pensare davvero a quello che avrebbe fatto.


 

Tom, Tom, Tom, Tom, Tom. Questa era l'unica parola, o per meglio dire, l'unico nome che gli frullava in testa. Tom, lui, le sue labbra, il suo corpo, il suo calore, Dio, era fantastico. Si buttò sul letto e seppellì il viso nel cuscino. “Che cazzo hai combinato, Bill?” mormorò a se stesso e poi si girò, fissò il soffitto. “Non avrò il coraggio di guardarlo in faccia, domani” si passò una mano tra i capelli.


 

 

 

*


 


 

Non può piacermi lui, fu la prima e l'unica frase razionale che riuscì a formare non appena aprì gli occhi la mattina seguente. Guardò la sveglia, segnava le nove e mezza. Gemette perchè voleva dormire fino a mezzogiorno, così non avrebbe visto almeno per un po' il viso di Tom. Si girò dando le spalle alla porta e guardò il muro, poteva riaddormentarsi ma sapeva che non ci sarebbe riuscito. Forse avrebbe dovuto alzarsi e dire a Tom che quello che era successo ieri non aveva alcun peso, per lui, che l'aveva fatto per sbaglio e se n'era pentito. Che non lo avrebbe fatto mai più e che— che —sbuffò. Avrebbe dovuto mentire e quasi non andava, ma era la giusta punizione per ciò che aveva fatto ieri.


 

“Buongiorno, Tomi” disse Simone non appena scese le scale e Tom guardò la loro sala da pranzo, strabuzzò gli occhi. Era piena di clienti vestiti di tutto punto e pronti ad uscire intenti a fare colazione, mentre lui era in pigiama. A volte dimenticava che i suoi genitori avevano avuto la malsana idea di aprire un bed and breakfast.


 

“Mamma, ma fino ad ieri non c'era solo un gruppo di studenti spagnoli?” disse avvicinandosi alla madre e parlando in modo fitto.


 

“Sì” confermò sua madre.


 

“E allora perchè stamattina c'è tutta quella gente nella nostra sala da pranzo?!” disse indicando i clienti.


 

“Oh, sono arrivati venti uomini d'affari ieri nel cuore della notte”

 

“E dove le avete sistemate tutte queste persone?” si portò le mani in faccia e guardò i venti uomini d'affari e il gruppo di studenti spagnoli.


 

“Da qualche parte nella casa, non so, se n'è occupato tuo padre” disse Simone e guardò il figlio. “Oh, Tomi, devi capire che abbiamo aperto un bed and breakfast e che le cose possono cambiare in fretta. Oggi siamo venticinque, ma magari domani siamo noi quattro e dopodomani saremo cinquanta”


 

“Cinquanta?!” esclamò il figlio. “Mi spieghi dove le metti queste cinquanta persone?!”


 

“Tomi, suvvia, era solo un'ipotesi!” Simone gli prese ad accarezzare i rasta. “E poi io e Gordon abbiamo deciso che, se verranno così tante persone dopodomani, potremo crearti un comodo giaciglio giù in cucina”


 

Tom strabuzzò gli occhi guardando la madre. “Un comodo giaciglio?” Simone annuì. “La vostra idea di comodo giaciglio è sfrattarmi dalla mia camera, darmi una coperta e un cuscino e lasciarmi dormire in cucina?” Simone annuì di nuovo. “Voi mi state prendendo per il culo!”


 

“Sshh, Tomi, non fare tanto chiasso, i clienti stanno facendo colazione!”


 

“Ma non me ne fotte un caz—”


 

“Tom!” lo riprese la madre e Tom sospirò. “Ora va a svegliare Bill prima che tutta la roba si esaurisce”


 

“Sai chi si esaurisce, qui? Io! Ecco chi!” borbottò e iniziò a salire le scale. Sbuffò una volta arrivato di fronte la porta di Bill e la guardò. Improvvisamente si ricordò del bacio di ieri e fu tentato di lasciar perdere, ma sapeva quanto ci teneva sua madre che Bill scendesse a fare colazione quindi bussò. “Bill? Sei vestito? Posso entrare?” non ottenne risposta e bussò di nuovo. “Bill?” guardò ancora la porta poi sospirò. La aprì e fu stupito di non trovarla chiusa. Bill era sotto le coperte e gli dava le spalle, Tom si avvicinò a lui e lo scosse dolcemente. “Bill, mamma mi ha chiesto di svegliarti, vuole che tu faccia colazione prima che finisce la roba. Sai, ieri eravamo in nove ma ora siamo in trenta!”


 

“Ma cosa—” borbottò Bill e si girò per guardare Tom. Si stropicciò gli occhi e sbadigliò, stava seriamente per addormentarsi.


 

“Io non sopporto più questo bed and breakfast” disse Tom e s'inginocchiò, poggiò il capo sul letto di Bill. Quest'ultimo lo guardò corrugando la fronte. “Sono uscito dalla mia camera e sono andato in sala da pranzo e c'erano trenta persone intente a fare colazione, vestite normalmente mentre io ero ancora in pigiama!”


 

“Oh, povero Thomas” disse Bill e si mise a sedere, si scostò le coperte e si alzò dal letto. Sembrava che ieri non fosse successo nulla. Ma in fondo avrebbe dovuto aspettarselo, Tom era una persone così spontanea che era impossibile non sentirsi a proprio agio con lui. “Allora vado a lavarmi e vestirmi prima di scendere”


 

“Bravo, Bill, impara dai miei errori” Tom si alzò e si avvicinò alla porta per andarsene, Bill lo guardò andare via.


 

“Thomas?” lo chiamò e il biondo si girò a guardarlo. “Scusami per ieri, ero stanco e non sapevo cosa stavo facendo. È stato un momento di debolezza” mentì e Tom lo guardò a lungo senza spiaccicare parola. C'era silenzio nella stanza e l'unico rumore che Bill riusciva a sentire era il battito accellerato del suo cuore.


 

“Non preoccuparti, Bill, capita a tutti. Se hai altri momenti di debolezza puoi sfogarti con me, lo sai. Sono pronto a sentire tutto ciò che dirai” sul suo volto comparve un sorriso così luminoso che Bill non potè non ricambiarlo. “Bene, sarà meglio che vada a cambiarmi anche io, sai” sbuffò un'ultima volta e poi uscì dalla camera di Bill.


 


 

*


 


 

Bill occupò il posto del passeggero e si allacciò la cintura, pronto a partire. Tom lo raggiunse poco dopo e si sedette al posto del guidatore. “Sei pronto?” gli chiese guardandolo mentre si metteva la cintura.


 

“Abbiamo dimenticato qualcosa” disse Bill e Tom corrugò la fronte.


 

“Cosa?” chiese curioso.


 

“Eccoci, scusate per il ritardo! Gordon non trovava la camicia nuova” disse Simone entrando nella macchina e sedendosi dietro Tom, Gordon la affiancò. Il rasta strabuzzò gli occhi guardando Bill.


 

“Hai invitato i miei?” gli sussurrò avvicinandosi a lui. “Che diamine ti è passato per la testa?!”

 

“Oh, Thomas, tua madre me lo ha chiesto così gentilmente, non potevo non rifiutare. E poi Vera ha amato le sue lasagne” gli sussurrò avvicinandosi e ora i loro visi erano uno di fronte all'altro e i loro nasi quasi si sfioravano.


 

“Ripeto, cosa ti è passato per quella testaccia?!”


 

“Taci, Thomas, i tuoi genitori sono delle persone amabili, non dispiacerà di certo a Vera ospitare anche loro” disse e si mise seduto in modo composto. “Sì, comunque, sono pronto” Tom inveì mentalmente ma comunque partì.


 

“Bill, cosa ha detto Vera delle mie lasagne?” chiese Simone avvicinandosi al ragazzo, Bill si girò per parlare con lei.


 

“Oh, Simone, ha detto che erano eccellenti. E come le si può dare torto!” disse e Simone ridacchiò.


 

“Siete troppo gentili, ragazzi. Mi farete arrossire”


 

“Suvvia!” scherzò Bill e Simone rise.


“Mamma, ma non c'è nessuno che gestisce il bed and breakfast, ora?” chiese Tom, innervosito dalla presenza dei suoi.


 

“Certo che sì! Mark, il figlio del nostro vicino, ha detto che può badare lui al locale fino al nostro ritorno. Non è stato carinissimo?” chiese la donna guardando il figlio, Tom sospirò.


 

“Carinissimo. Davvero carinissimo” borbottò. Dopo dieci minuti erano arrivati a casa di Vera e Tom parcheggiò, scesero. Attraversarono il lungo giardino che portava all'enorme villa di Vera e Simone e Gordon non riuscivano a non guardarsi intorno con la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite.


 

“Gordon, questa casa è adatta per essere trasformata in un bed and breakfast, non la nostra! La nostra casa è troppo piccola” borbottava sua madre mentre aspettavano che Vera aprisse loro, Bill ridacchiò mentre Tom abbassava il capo e sospirava.


 

“Mi odi così tanto?” chiese guardandolo.


 

“Ti odio abbastanza” disse sorridendo e Tom sospirò di nuovo.


 

“Tranquilla, cara, potremmo far dormire Tom in cucina e poi—”


 

“Non se ne parla!” Tom interruppe suo padre e, proprio in quel momento, Vera aprì la porta. I suoi capelli neri ricadevano lisci sulle spalle e lei era priva di trucco. Indossava un pantalone bianco modello Capri e una semplice maglia nera. Tom notò che era vestita molto più casual dell'altra volta.


 

“Bill, Tom, che piacere rivedervi!” disse con un enorme sorriso e andò ad abbracciare prima Bill e poi Tom.


 

“Ciao, Vera!” disse Bill e gli sorrise. “Non ti dispiacerà sapere che ho invitato i genitori di Tom, sono delle persone deliziose” si fece da parte e Vera guardò prima Simone e poi Gordon.


 

“Ciao, cara, io sono Simone, la madre di Tom” disse la donna e si avvicinò a Vera, la abbracciò.


 

“Purtroppo” mormorò Tom.


 

Vera ricambiò l'abbraccio sorridendo. “Ciao, Simone. Le tue lasagne erano deliziose!”


 

“Oh, suvvia, erano semplici lasagne!” disse e si allontanò ridacchiando.


 

“Io invece sono Gordon, il padre di Tom, piacere di conoscerti” disse Gordon e le porse la mano, Vera la strinse con il solito sorriso che illuminava il suo viso.


 

“Purtroppo” mormorò Tom e ricevette una gomitata da Bill.


 

“Il piacere è il mio! Entrate pure” disse gentilmente e si fece parte per farli entrare.


 

“Sai, Vera, hai davvero una bella casa. Potresti costruire un bed and breakfast!” disse il padre guardandosi intorno.


 

“Papà!” Vera chiuse la porta.


Chapter End Notes:
Scusate per il ritardo, ma mi sono trasferita in un paesino che si trova in culo al mondo. Sono senza computer, senza Wi-Fi e a malapena ho internet, quindi non potrò aggiornare così tanto spesso fino a fine agosto o inizio settembre, temo. Quando riuscirò ad andare a casa di mio padre (leggasi nella civiltà) cercherò di scrivere e pubblicare, quindi scusatemi tanto per il futuro ritardo!
echois xx

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Capitolo 12
*** Assunti! ***



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Capitolo 12.
Assunti!







 

"Bill, grazie di tutto" disse Simone e lo strinse in un abbraccio materno. 
 
"Grazie a te, Simone. Grazie per avermi ospitato e trattato come se fossi tuo figlio" disse Bill ricambiando l'abbraccio. Era un po' dispiaciuto di doversene andare e lasciare il calore e l'affetto di quella famiglia, ma doveva ritornare alla sua falsa e vuota vita. Ma in qualche modo sapeva di aver guadagnato qualcosa: ora lui e Tom erano più uniti. Non erano più capo e dipendente, ora erano amici e Bill pensava fosse bellissimo. Non aveva mai avuto un amico come Tom, lui era una persona sincera, spontanea e piacevole. Si sarebbero divertiti insieme.
 
"Sei il miglior figlio che io abbia mai avuto" sussurrò Simone, prossima alle lacrime.
 
"Ehi!" protestò Tom e incrociò le braccia.
 
"Promettimi che mi verrai a trovare, non come quel degenere di mio figlio Tom" si staccò da lui e lo guardò negli occhi, ignorando completamente il figlio che continuava a protestare.
 
"Grazie per gli insulti gratuiti!" esclamò mandando un'occhiataccia alla madre.
 
"Tomi, caro, sto solo dicendo la verità! Non vieni mai a fare visita ai tuoi genitori, sei troppo impegnato a diventare un culturista!"
 
"Ancora con questa storia, mamma?! Ti ho già detto che fare esercizio per mantenersi in forma non è diventare un mostro fatto di soli muscoli!"
 
"Mantenersi in forma?! Ma se sei magro come un'alice!"
 
Bill si strinse nelle spalle e guardò prima Tom e poi Simone, erano intenti a mandarsi occhiatacce. Immediatamente decise che dovevano darci un taglio. "Simone, non preoccuparti! Mi prenderò cura io di Tom" disse e Simone inarcò le sopracciglia, sorrise e Bill non sapeva di aver commesso un enorme sbaglio.
 
"Davvero, Bill?" chiese la donna.
 
"Uhm, sí ma—"
 
"Questo vuol dire che vivrete insieme? Sai, Tom è davvero incapace a fare tutto! Scommetto che si ciba di cose precongelate e la sua casa è un completo disastro" disse e Bill e Tom strabuzzarono gli occhi.
 
"Cosa? Non è vero! So cucinare, mamma!" protestó Tom e assottigliò gli occhi.
 
"Come se non sapessi che ordini ogni sera del cibo cinese e lo mangi sul divano guardando la televisione. È deprimente, Tom" disse Simone e incrociò le braccia, Tom si spiaccicò una mano sulla fronte.
 
"Bill, possiamo passare alla parte in cui andiamo in macchina e ce ne andiamo?" chiese Tom e Bill ridacchiò.
 
"Gordon, grazie di tutto" disse e si avvicinò per abbracciarlo, l'uomo ricambiò l'abbraccio in maniera maldestra.
 
"Grazie a te, Bill" disse e gli accarezzò la schiena.  Bill indietreggió staccandosi da quell'abbraccio paterno. 
 
"Okay, ora possiamo andare" disse Tom e corrugò la fronte quando notò che i suoi genitori lo stavano fissando con un'aria piuttosto inquietante. "Cosa?" chiese e Gordon e Simone corsero verso di lui e lo abbracciarono, la donna iniziò a soffocarlo di baci. "Mamma! Papà! Smettetela!" Bill scoppiò inevitabilmente a ridere.
 
"Vienici a trovare e rispondi alle chiamate e non accettare caramelle dagli sconosciuti e prenditi cura di te e se un uomo sulla sessantina vuole offrirti un posto di lavoro a Mumbai non accettare!" disse Gordon senza interrompersi e Bill si piegò letteralmente in due dalle risate.
 
"Ma pensate che abbia dieci anni?" chiese Tom cercando di sfuggire da quell'abbraccio inutilmente. Si arrese e sbuffò, alzò lo sguardo al cielo.
 
"No, Tomi, non pensiamo che tu abbia dieci anni" disse Simone e gli baciò la guancia. "Noi pensiamo che tu ne abbia cinque"
 
"Bene, ma ora staccatevi" disse e i genitori si allontanarono, potè finalmente respirare. "Noi andiamo, a mai più" entrò in macchina e la madre lo salutò.
 
"Chiamami!" urlò e anche Bill entrò in macchina, occupò il posto del passeggero. 
 
"È incredibile come io abbia vissuto con loro per diciassette anni e non abbia la camicia di forza, ora" disse mettendosi la cintura e Bill ridacchiò. Si sporse verso Tom e gli diede un tenero bacio sulla guancia.
 
"Grazie" disse sorridendogli, Tom si girò a guardarlo con le sopracciglia inarcate.
 
"Per cosa?" chiese e Bill fece spallucce.
 
"Beh, per tutto ciò che hai fatto per me in questi giorni" disse e si mise la cintura.
 
"Vuoi dire fare impazzire anche te?"
 
"Sappi che il tuo stipendio é aumentato notevolmente" disse e guardò in avanti, Tom strabuzzò gli occhi.
 
"Cosa?" chiese e guardò di fronte a lui, mise in moto la macchina e partí. Ci pensò un po' su e poi ritornò a guardarlo. "Se ti concedessi il mio corpo mi aumentersti di nuovo lo stipendio?" disse sensualmente con malizia nella voce, inarcò le sopracciglia due volte.
 
"Guida!" disse Bill e guardò fuori per nascondere il fatto che il suo viso fosse rosso come un pomodoro.
 
 
*
 
 
"Cosa ci fate voi qui? Uscite immediatamente!"
 
"Oh, Dio, se questo non é il paradiso non so davvero cosa possa essere"
 
"Andate via, brutti animali! Spaventerete le ragaz—"
 
"Oh mio Dio, ma quelli sono maschi?!"
 
"Cosí pare!"
 
"E che ci fanno qui?"
 
"Sono qui per insegnarti l'anatomia maschile, bambola"
 
"Georg!" lo riprese Tom e si spiaccicò una mano sul viso. Georg e Gustav avevano avuto la brillante idea di rispettare la loro promessa, ovvero di andare a trovare Tom in ufficio. Gustav se ne stava in un angolo accecato dal troppo rosa. Aveva portato le gambe al petto e le aveva circondate con le braccia, ora stava dondolando avanti e indietro sussurrando frasi sconnesse. Tom poteva giurare che stesse sussurrando versi della Bibbia. Georg, invece, ci stava provando spudoratamente con le ragazze.
 
"Ma se è maschio perchè porta i capelli lunghi?"
 
"Non ne ho proprio idea"
 
"Mi sento cosí confusa"
 
"Ho letto su Cosmopolitan che esiste un terzo sesso, una specie di miscuglio tra maschio e femmina che si chiama transgender e—"
 
"No, no! Bamboline, non sono un trans! Sono un ragazzo e porto i capelli lunghi e sono tutto per voi" disse Georg e sorrise maliziosamente alle ragazze, queste ultime lo guardarono sbattendo le palpebre più volte.
 
"Cosa dovremmo fare con lui?"
 
"Oh, trasciniamolo per i negozi con noi!"
 
"No!" urlò Georg e Tom si spiaccicò di nuovo una mano sul viso.
 
"Cos'è tutto questo baccano?" sentirono dire e Bill fece la sua comparsa in sala. Tom strabuzzò gli occhi e decise che doveva impedire che Georg si avvicinasse al suo capo o il suo stipendio si sarebbe abbassato di nuovo.
 
Georg guardò la ragazza appena entrata e strabuzzò gli occhi. La ragazza aveva i capelli corvini e un po' scombussolati che gli ricadevano sulle spalle. I suoi profondi occhi nocciola erano contornati di matita e ombretto nero e le sue carnose labbra erano naturalmente rosse. Si avvicinò a lei e le prese la mano, la baciò guardandola negli occhi. "Ciao, perfezione! Io sono Georg List—"
 
"No, Georg, va via!" urlò a squarciagola Tom correndo verso i due e lo spinse, si posizionò di fronte a Bill. "Bill, sono entrati due sconosciuti all'improvviso, non ho potuto fare nulla! Ma non preoccuparti, sto facendo di tutto per farli andare via, se necessario posso chiamare la poliz—"
 
"Non conosci quei due?" disse indicando Georg e poi Gustav. Uno era impegnato a sussurrare frasi d'amore a una folla adorante di ragazze, mentre l'altro andava avanti e indietro sussurrando frasi del Vangelo secondo Matteo. "Quello sta sussurrando la Prima Lettera ai Corinzi?"
 
"No, non li ho mai visti in vita mia, giuro" disse Tom guardandolo negli occhi.
 
"Tom, stasera vieni a casa nostra alle nove? Avevamo deciso di vederci Via Col Vento" disse Georg e Bill guardò Tom, il rasta sospirò e guardò in basso. Era fottuto.
 
"Oh, quelli sono i tuoi famosi amici rompipalle?" chiese Bill con un sorriso divertito sulle labbra.
 
"Purtroppo" sussurrò e guardò il suo capo. "Bill, ti prego di non ucciderm—"
 
"Sono assunti!"
 
"Loro cosa?!"
 
"Sí, sono assunti. Potrebbero occuparsi della rubrica Men" disse e incrociò le braccia guardando i due con un sorriso. "Incominceranno domani"
 
"Aspetta, tu li hai visti? Intendo, ti stanno sfasciando l'ufficio!" disse Tom e li indicò e Bill rise.
 
"Beh, sarò costretto a chiamare una donna delle pulizie" disse e si avvicinò al suo caffè freddo caramellato che Tom aveva lasciato su una scrivania e ritornò nel suo studio.
 
Tom guardò la porta dell'ufficio di Bill e sbattè le palpebre. Quando lui era venuto lí, Bill lo aveva licenziato ancor prima che spiaccicasse parola. Ora, invece, aveva assunto Georg e Gustav senza che nemmeno glielo chiedessero. Bill era ovviamente cambiato e lui non ne poteva che essere felice, perchè sapeva che in qualche modo quel cambiamento era opera sua. Ora Bill era più simpatico e spontaneo, sorrideva di più ed era meno acido e antipatico. Le ragazze amavano questa nuova Ape Regina, non le spaventava più cosí tanto. Tom sorrise fiero di sè e guardò i suoi amici.
 
"Bene, ragazzi, potete rimanere. Ma mettiamo in chiaro qualche regola"
 
 
*
 
 
Kendall rise portando la testa in avanti, Tom sorrise. Alla fine era uscito con lei invece che andare a casa di Georg e Gustav, più per mettersi la coscienza a posto che per piacere personale. Inutile dire che i suoi amici, soprattutto Georg, si erano infuriati con lui, cosí Tom gli aveva promesso di passare da loro dopo la cena per vedere Via Col Vento, il film preferito di Georg. "E lui?" disse e Kendall rise. Le aveva raccontato la sua disavventura a lavoro, stava ridendo da dieci minuti buoni.
 
"Lui ha detto che erano assunti. Assunti!" disse e Kendall sorrise, prese un sorso dal suo bicchiere d'acqua.
 
"È strano, Bill è cambiato cosí tanto. Pensa che oggi ha chiamato il mio manager e quando ha chiuso la chiamata lui non era in lacrime come al solito" disse e prese il cucchiaino, assaggiò un po' della sua crema catalana.
 
"Che grande cambiamento!" esclamò ironico Tom e sorrise. Aveva deciso che non era importante che Kendall sapesse della loro gita a Westbury.
 
"Ehi, guarda che era frustante sentire il mio manager piangere per telefono!" scherzò e Tom rise e poi scosse il capo.
 
Dieci minuti dopo, Tom aveva pagato il conto per entrambi e si stavano apprestando ad uscire dal ristorante spagnolo dove avevano cenato. Il rasta lanciò uno sguardo al suo orologio da polso, erano le undici e mezza e si disse che se si fosse sbrigato sarebbe riuscito ad andare a casa dei suoi amici a vedere il film. Non lo elettrizzava l'idea di vedere Via Col Vento per la cinquantesima volta, ma voleva stare un po' coi suoi amici dato che non li aveva avuti intorno per due giorni. Salirono in macchina e Tom partí in direzione della casa di Kendall. "E quindi farai un altro servizio fotografico per Elle?" s'informó Tom sistemando lo specchietto retrovisore.
 
"Sí, a quanto pare il nuovo numero di Elle sarà dedicato interamente alle spose, quindi dovrò indossare l'abito bianco" disse e sorrise, guardó Tom. "Non vedo l'ora!"
 
"Oh, ecco perchè Bill ha voluto intervistare Vera Wang" disse e si accorse troppo tardi di aver rivelato ciò che non voleva rivelare.
 
"Vera Wang? E tu come lo sai?"
 
"Beh, sai, io sono il suo segretario, quindi—"
 
"Avanti, non prendermi in giro. So che non t'interessa un accidente di quello che fa Bill" disse Kendall e incrociò le braccia.
 
Tom sospirò. "L'ho accompagnato semplicemente" ammise e Kendall annuí, ridacchiò.
 
"Bill sarebbe perso senza di te" disse e scosse il capo. Tom parcheggiò di fronte casa sua e si girò a guardarla. "Anche io sarei persa senza di te" sussurrò e sorrise, gli circondò il viso con le mani e si avvicinò a lui per un bacio passionale. Tom inclinò il capo e chiuse gli occhi, questo bacio non era nulla in confronto a quello che gli aveva dato Bill. Ma si autoconvinse che quello che aveva provato con Bill lo aveva provato perchè il suo capo era un ragazzo, quindi era qualcosa di nuovo e soprattutto inaspettato.
 
Non sapeva che il suo capo era proprio lí, di fronte la sua macchina, ad osservare la scena, senza parole ma pieno di lacrime trattenute.
 
 
*
 
 
"In fondo domani è un altro giorno" sentí dire non appena entrò in casa dei ragazzi con la chiave che gli avevano dato. A dire la verità quella chiave era di Georg e gliel'aveva data quando era ubriaco per aprire la porta, ma Tom non gliel'aveva mai più restituita.
 
"Cavolo, ragazzi, avete iniziato a vedere il film senza di me" disse e posò il giubbino sull'attaccapanni, si sedette accanto a Gustav.
 
"Beh, che ti aspetti? Tu vieni a quest'ora!" disse Georg e Tom lo guardó: aveva i piedi incrociati e stringeva a sè un cuscino rosa. Il suo viso era rosso ed era bagnato dalle troppe lacrime che aveva sgorgato.
 
"È la tredicesima volta che vede questo stupidissimo film ed è la tredicesima volta che finisce in lacrime" spiegò Gustav infastidito.
 
"Questo film non è stupido! Sai chi è stupido? Tu! E ora me ne vado in camera a finire di piangere perchè in fondo i dubbi e le paure di Rossella O'Hara sono anche le mie, ma voi non potere capire perchè siete due animali apatici e indifferenti!" si alzò e lanciò il cuscino in faccia a Tom.
 
"Ma che c'entro io?!" chiese Tom togliendosi il cuscino dalla faccia.
 
"Tu c'entri sempre!" urlò Georg e sbattè la porta della sua camera, Gustav sospirò.
 
"Com'è andato l'appuntamento?" chiese guardando l'amico.
 
"Bene" disse solo.
 
"Ma?" Tom guardò Gustav, lui capiva sempre tutto.
 
"C'è qualcosa che non va ma non so cosa sia. Io—" guardò Gustav e si domandò se dirglielo o meno. "A me piaceva quando Kendall mi baciava"
 
"Ma ora?" chiese per incitarlo a continuare.
 
"Bill a Westbury mi ha baciato"
 
"Bill ha fatto cosa?!"
 
"Mi ha baciato. E mi è piaciuto. In un certo senso. E ho sentito qualcosa. In un certo senso" disse torturandosi le mani. "E ora quando Kendall mi bacia sembra che io stia baciando un muro, o Georg!"
 
"Forse dovresti fare chiarezza" disse strabuzzando gli occhi, totalmente scioccato da quella rivelazione.
 
"Forse dovrei" disse e sospiró. Tra di loro calò il silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Poi Tom si avvicinò a Gustav e lo abbracciò e l'amico ricambiò l'abbraccio stringendolo fortissimo, Tom sorrise. "Grazie" sussurrò e anche Gustav sorrise.




Chapter End Notes:
Non sono in anticipo, di più! E questo perchè siete fantastiche, mi fate sapere che vi piace la mia storia e siete cosí dolcine! 🍬 Quindi per ringraziarvi, eccovi il dodicesimo capitolo!
Ho deciso che faró tutto col telefono, unico mezzo a mia disposizione, in modo da essere sempre puntuale! Anche se è una faticaccia pubblicare da qui😨 ma per voi questo e altro!💕🙈
echois xx

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Capitolo 13
*** Parlare di sè. ***



Banner bellissimo fatto da Bill Kaulitz (passate da lei, assolutamente!). Grazie ancora, tesoro! xx







Capitolo 13.
Parlare di sé.


 
 
"Wow, che fico!" esclamò Georg non appena entrarono in ascensore. "Questo palazzo è fantastico"
 
"Sí, già. Ragazzi, spero che voi sappiate per cosa siate stati assunti" disse Tom mentre l'ascensore raggiungeva il tredicesimo piano.
 
"A dire la verità no" ammise Gustav, Tom scosse il capo.
 
"Però! È proprio vero che il lavoro arriva quando meno te lo aspetti" disse Georg, Tom sospirò. Sarebbe stata una lunga giornata.
 
"Quello è l'amore, idiota" mormorò Tom.
 
"Beh, in quell'ufficio arriverà di sicuro, vero, Tom?" disse e ghignò, gli diede una gomitata nel fianco e Tom sospirò. Ieri, quando Georg aveva finito di piangere, era ritornato in salotto e Tom aveva deciso di raccontare tutto anche a lui. Era fortunato che i suoi amici avessero una mentalità cosí aperta e che fossero cosí apprensivi.
 
"Tutto ciò che dovete fare è scrivere articoli" disse Tom.
 
"Su cosa?" chiese Gustav.
 
"Su qualsiasi cosa vi passi per la mente" guardò Georg. "Georg, so che non hai una mente, ma cerca di abbozzare qualcosa"
 
"Sí, signore!" disse e Tom abbozzò un sorriso.
 
"Quando avrete finito portate l'articolo a Bill, lui lo controllerà e vedrà se va bene"
 
"E se va bene finiamo su Elle?" chiese Gustav eccitato.
 
"Sí" sospirò Tom.
 
"Woah!" urlarono i due amici e si diedero il cinque.
 
Le porte dell'ascensore si aprirono e i tre uscirono. "Mi raccomando, non importunate le ragazze" disse e mandò un'occhiataccia a Georg.
 
"Cosa?" chiese l'amico.
 
"Attento a dove posi quelle manacce" disse e Georg le alzò, sorrise.
 
Quando entrarono nello studio videro le ragazze correre avanti e indietro, alcune cadevano ma si rialzavano velocemente e afferravano i loro fogli volanti. Marina si avvicinò a Tom e guardò il suo caffè freddo tra le mani. "Tom, porta il caffè all'Ape Regina e corri, corri il più velce che puoi!" disse la ragazza, Tom inarcò le sopracciglia.
 
"Chi è l'Ape Regina?" chiese Gustav.
 
"Bill" disse velocemente Tom, guardò Marina. "Momento C?"
 
"Momento C" confermò lei.
 
"C sta per ciclo?" chiese Georg e ridacchiò, Tom alzò lo sguardo al cielo. 
 
"Siamo tutte terrorizzate!" disse Marina e sembrava spaventata per davvero.
 
"Ma Bill è cambiato, non può essere la solita vecchia Ape Regina" non riusciva a crederci, forse stavano semplicemente facendo un dramma. Lui credeva nel fatto che Bill fosse cambiato. "Scommetto che se vado nel suo ufficio lui mi accoglierà con un sorriso e—"
 
"Ha licenziato Jade!" lo interruppe Marina e Tom strabuzzò gli occhi.
 
"Ha—Ha licenziato Jade?" balbettò incredulo, la ragazza annuí. "E perchè mai?" chiese sbigottito.
 
"Perchè Jade non gli aveva portato l'articolo in tempo. A dire la veritá nessuno gli ha dato l'articolo in tempo, ma ha voluto licenziare lei come avvertimento e ora non sappiamo che fare!" disse e si mise le mani nei capelli. "Ora come farà Jade a crescere suo figlio?!"
 
Tom deglutí e guardò le ragazze preoccupate. A quanto pareva Bill era ritornato il solito Bill, ma Tom pensava che fosse solo perchè era intento a scrivere l'editoriale. Aveva bisogno di capire se la sua teoria era giusta. "Ci vado a parlare io" disse e Marina strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca.
 
"Tu cosa? Non se ne parla! Ti licenzierá e non voglio" disse Marina avvicinandosi a lui.
 
"Sono l'unico che può farlo, quindi lo farò" disse e attraversò il corridoio.
 
"Tom, no! Torna qui!" protestò Marina 
ma Tom non la ascoltò. Bussò alla porta con il cuore in gola.
 
"Sono nel mio momento C, fissatevelo in quella testaccia bacata che avete!" rispose immediatamente Bill e Tom roteò gli occhi.
 
"Bill, sono io" disse ed entrò senza nemmeno avergli chiesto il permesso. Se negli uffici delle ragazze c'era il caos più totale, nell'ufficio di Bill regnava la calma. Il suo capo era seduto alla sua scrivania e aveva il computer davanti, intento a scrivere l'editoriale. "Ti ho portato il caffè" si avvicinò a lui e posó il caffè freddo sulla scrivania.
 
"Sei in ritardo, Thomas" disse freddamente e prese il caffè. 
 
Tom rimase spiazzato, era da tanto che Bill non lo chiamava Thomas. "Uhm, sí, Georg e Gustav hanno fatto ritardo e ho dovuto aspettare loro" si giustificò.
 
Il moro bevve un sorso e fece una faccia disgustata. "Il ghiaccio si è sciolto, non sa più di caffè" posò il bicchiere sul tavolo e Tom si sedette a terra, si accovacciò e strinse gli occhi. "Cosa diamine stai facendo, Thomas?" chiese Bill sporgendosi dalla scrivania.
 
Tom aprí prima un occhio e diede un'occhiata in giro, poi li aprí entrambi, guardò il suo capo. Si alzò in piedi pulendosi gli enomi jeans. "Uhm, è che l'altra volta quando non ti è piaciuto il caffè me lo hai sputato addosso, quindi stavo solo prendendo delle misure di sicurezza" disse giustificandosi e Bill sospirò, ritornò a scrivere.
 
"Sei davvero stupido" disse e Tom sbuffó, si sedette di fronte al capo. "Ti ho dato il permesso?"
 
"Di fare cosa?"
 
"Di sederti" Tom alzò lo sguardo al cielo.
 
"Bill, con me non attacca" disse e poggiò le braccia sulla scrivania, Bill alzò lo sguardo su di lui, i suoi occhi erano freddi. Era come se in quel momento non ce l'avesse un'anima.
 
"Cosa, Thomas?" chiese sospirando.
 
"Beh, prima cosa non chiamarmi Thomas! Il mio nome è Tom, semplicemente Tom" protestó.
 
"Tom è cosí volgare" disse e ritornò a scrivere qualcosa al computer.
 
"Posso sapere cos'è successo?" chiese incrociando le braccia.
 
"In che senso?" chiese senza guardarlo.
 
"Beh, fino ad ieri stavi bene, eri felice. Hai addirittura assunto Georg e Gustav senza che nemmeno facessero un colloquio! Dai, Georg e Gustav! Un gatto sarebbe più operativo!" disse e Bill si massaggiò una tempia. "E ora sei cosí—cosí acido e freddo e non vuoi nemmeno che mi avvicini a te, hai licenziato Jade e mi tratti davvero molto male quando fino a poco tempo fa mi saltavi addosso e—"
 
"Basta!" disse alzando la voce, si alzò. "Non sono affari tuoi come voglio sentirmi, se felice o incazzato col mondo!"
 
"E invece sí, perchè le conseguenze le pago io!"
 
"Ah si?"
 
"Sí" Tom annuí fermamente.
 
"E fammi sentire, quali sarebbero le conseguenze che paghi?"
 
Tom rimase in silenzio a pensarci. "Beh, ecco—"
 
"Ti do io una conseguenza da pagare, sei licenziato!" urlò e Tom strabuzzò gli occhi guardando il capo.
 
"Cosa?" chiese, non era sicuro che avesse capito bene.
 
"Sei anche sordo? Ti ho appena licenziato, quindi va via dal mio ufficio!" urló Bill e guardó Tom negli occhi. Sospiró e si sedette, ritornò a scrivere al computer. 
 
Licenziato. Era stato licenziato. Era stato appena licenziato da Bill, colui che aveva ospitato in casa dei suoi.  "Va bene, addio, allora!" disse a voce alta e si alzò, uscí dall'ufficio sbattendo la porta. Bill non poteva licenziarlo solamente perchè si era svegliato col piede sbagliato quella mattina. Ma oramai l'aveva fatto, quindi non l'avrebbe mai più rivisto, non avrebbe mai più rimesso piede lí. Attraversò a passo veloce il corridoio e improvvisamente si ritrovò circondato dalle ragazze.
 
"Com'è andata?" chiese Marie sistemandosi nervosamente i capelli.
 
"Mi ha licenziato" disse arrabbiato a voce alta.
 
"No!" esclamarono tutte e lo andarono ad abbracciare.
 
"Non vogliamo che tu vada via, Tom" disse Marina stringendolo forte.
 
"Nemmeno io voglio andare via, ragazze" disse e ora, passata leggermente l'arrabbiatura, gli veniva da piangere. In fondo si era abituato alla stravaganza delle ragazze e a quell'ufficio completamente rosa. Si era abituato ai discorsi sulla moda e sulle unghie che facevano le ragazze, si era abituato a parlare di capelli e di tacchi. Diamine, lui non voleva lasciare tutto quello, ma doveva. Pensó anche a come avrebbe fatto a pagare il college. Proprio ora che Bill gli aveva aumentato lo stipendio! "Beh, ragazze, sarà meglio che vada" si staccò a malincuore da quell'abbraccio e guardò le donne, quasi tutte erano in lacrime.
 
"Ora con chi parleró della mia vita amorosa?" chiese Marina e scoppió a piangere, si aggrappò al suo collo.
 
"Ci vedremo sicuramente, non piangere" disse stringendole la vita e accarezzandole la schiena, chiuse gli occhi "E mi raccomando, se ti chiama Carl ricordati che non merita il tuo amore, ricorda ciò che ti ha fatto!"
 
"Lo farò" disse la ragazza staccandosi e si asciugò le lacrime, Tom sorrise. Si avvicinò all'ascensore e lo chiamó, i suoi amici lo raggiunsero.
 
"Tom, non puoi andartene!" disse Gustav, Tom fece spallucce.
 
"Mi ha licenziato, Gustav, non posso fare molt—" Gustav lo prese per le spalle e lo guardó negli occhi, Tom inarcó le sopracciglia.
 
"Sí, invece! Puoi fare tutto perchè tu sei l'unico di cui Bill si fida, sei l'unico che puó farlo ragionare. Io non so cosa gli sia successo, ma ora tu alzi il culo e vai da lui e gli parli, okay? Perchè noi non vogliamo vivere nel terrore, okay?" disse e Tom stralunó gli occhi. "Ho detto, okay?!"
 
"O-Okay" balbettó Tom.
 
"Allora muovi il culo!" urló e si allontanó, indicó l'ufficio di Bill. Tom guardó a lungo il punto indicato indeciso se correre da Bill oppure andarsene da quel palazzo e non tornare mai piú. 
 
Ma lui amava il suo posto di lavoro, voleva bene alle ragazze e a Bill - soprattutto a quest'ultimo - e non era ancora pronto ad abbandonare tutto questo. Si morse le labbra e poi prese una decisione.
 
Corse per il corridoio con il cuore in gola e spalancó la porta dell'ufficio. Bill era seduto al suo posto e aveva la braccia poggiate sulla scrivania, aveva nascosto il viso tra di esse mentre le sue spalle erano scosse da singhiozzi. Bill era in lacrime, cosí Tom si avvicinò a lui.
 
Bill alzò lo sguardo su di lui, i suoi occhi erano rossi e gonfi dal pianto e sulle sue guance c'erano tracce di lacrime nere. "T-Tom, ti ho detto di andarte—Tom!" Tom lo prese in braccio e lo poggiò sulla sua spalla, Bill iniziò a dimenarsi. "Lasciami andare! Ho detto lasciami!" 
 
"Taci" gli impose e uscí dall'ufficio mentre Bill continuò a dimenarsi. Attraversarono il corridoio e Bill sospirò arrendendosi. Le ragazze strabuzzarono gli occhi vedendo Bill venire trascinato da Tom. Quest'ultimo chiamò di nuovo l'ascensore e, quando le porte si aprirono, entrò. "Non torneremo, ragazze. A lavoro!" urlò Tom e le porte si chiusero.
 
"Ora puoi lasciarmi?" chiese Bill facendo penzolare le sue braccia.
 
"No" gli rispose Tom, il moro sbuffò.
 
"Posso almeno sapere dove andiamo?" 
 
"No" Bill sospirò e chiuse gli occhi. Gli occhi gli facevano male a furia di piangere. Quando arrivarono al piano terra, Tom uscí con ancora Bill sulle spalle. "Però, sei più pesante di quanto sembri"
 
"Aspetta, usciamo dal palazzo?" chiese Bill e uscirono davvero, si coprí il viso con le mani. "Dio, che vergogna" disse mentre sentiva la gente fermarsi a fissarli e a borbottare qualcosa tra di loro. "Ehi, stai distruggendo il mio stomaco!" 
 
"Ma quanto parli?" gli chiese Tom ed entrò a Central Park, si avvicinò al lago e poggiò Bill a terra.
 
"Perchè siamo a Central Park?" chiese Bill guardandosi intorno.
 
"Ti va un gelato? Te lo offro io" disse Tom guardandolo.
 
"Semplicemente non mangio gelati" disse e Tom fece spallucce, si sedette accanto a lui.
 
"Scusami tanto, Mr Avocado" disse e portò le gambe al petto, Bill gli mandò un'occhiataccia.
 
"Ehi, smettila di chiamarmi Mr Avocado!" si lamentò e sbuffò, incrociò le braccia. "Perchè mi hai trascinato fino a qui, comunque?"
 
"Ti ho portato qui perchè penso che Central Park sia bellissima. Mi rilassa guardarla" disse e poggiò le braccia sulle ginocchia.
 
"E perchè lo avresti fatto?" chiese guardando il lago.
 
"Perchè voglio parlare con te" lo guardò e Bill guardò Tom a sua volta.
 
"Sei stato licenziato, Tom, quindi—"
 
"No, non m'importa della mia situazione" lo interruppe. Improvvisamente il suo obiettivo non era riavere il suo posto, il suo obiettivo era capire cosa diamine rendesse triste Bill, perchè a lui importava. "Cosa c'è che non va, Bill?" gli chiese dolcemente e gli portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, Bill si scostò da lui. "Gli altri possono continuare a dirmi che tu sei acido e cattivo di natura ma so che non è vero, riesco a vedere che sei triste"
 
"T'importa davvero?" chiese senza guardarlo, semplicemente continuò a fissare il prato sotto i suoi piedi.
 
"Certo che m'importa"
 
"E perchè t'importa?"
 
"Perchè ti voglio bene, Bill, e non voglio che tu ti senta in questo modo" disse e gli accarezzò un braccio, questa volta Bill non si scostò nonostante sapesse che avrebbe dovuto farlo. Il moro lo guardò a lungo e poi abbassò il capo sospirando.
 
"Vuoi solo riavere il posto" sussurrò e si alzò, si pulí i pantaloni, pronto per ritornare a lavoro.
 
Tom sospirò e si alzó, gli corse dietro e gli prese il polso, lo fece girare verso di lui. "No, cavolo, Bill! Non sto cercando di riavere il mio posto nonostante tu mi abbia licenziato senza un motivo apparente" Bill fece per dire qualcosa ma quando Tom gli mandò un'occhiataccia si ammutolí. "Sto solo dicendo che noi siamo amici, io ci tengo davvero a te e mi dispiace che tu stia cosí, perchè ormai mi sono abituato alla tua eccentrica presenza. Sai che puoi fidarti di me e puoi dirmi qualsiasi cosa ti passi per quella testaccia, vero?" Bill sospirò e lo guardò negli occhi, sembrava sincero. 
 
Abbassò lo sguardo. "Lo so, più o meno" mormorò e Tom abbozzò un sorriso, lo trascinò in un abbraccio. Gli strinse la vita e gli mise la testa sulla spalla, gli accarezzò i capelli lentamente. Bill fu inizialmente stupito, ma si riprese abbastanza velocemente e gli cinse il collo con le braccia, chiuse gli occhi. Era da tanto che non veniva abbracciato cosí da qualcuno. Era un 'io ci sono' inespresso, era puro amore. "È una stronzata, non preoccuparti"
 
"Voglio sapere ogni stronzata che ti passa per la testa, Bill" disse Tom e si staccò da lui, gli occhi del ragazzo si illuminarono. Tom si sedette a terra e incrociò le gambe, si mise le mani sulle caviglie e guardò Bill. "Dai, parlami un po' dei tuoi dubbi, delle tue paure, dei tuoi sogni e delle tue speranze. Parlami un po' di te" Bill sospirò e si sedette accanto a lui.
 
"È davvero una cosa stupida, ma per me è importante" disse torturandosi le mani ed evitando il suo sguardo.
 
"Non credo sia una cosa stupida" disse Tom e Bill sospirò, scosse il capo.
 
"Non sai cos'è"
 
"E allora dimmelo" Bill abbassò il capo e si domandò se fosse il caso di chiederglielo o no. Forse avrebbe fatto la figura dello stupido, forse Tom - ingenuo com'era - non avrebbe nemmeno capito. Oppure forse sarebbe stato perspicace e avrebbe capito, ma Bill non ne era convinto.
 
"Tu e Kendall state insieme?" disse con voce piccola e osservò ogni movimento del rasta. Il ragazzo strabuzzò gli occhi e poi corrugò la fronte, si avvicinò a Bil col busto.
 
"Cosa c'entra?" chiese e Bill alzò gli occhi al cielo, sospirò. Tom pensava che fosse una domanda casuale e disinteressata, e in fondo era meglio cosí.
 
"Rispondimi!" esclamò Bill e Tom sembrò pensarci un po' su.
 
"No, cioè, non lo so. A dire la verità non ne abbiamo mai parlato, ma credo di no" disse e Bill abbozzò un sorriso, si alzò e Tom lo guardó. "Dove vai?"
 
"A lavoro" disse allontanandosi con un sorriso dipinto in volto, forse era ancora in tempo. Forse poteva ancora conquistarlo.
 
"Ehi, tu dovevi dirmi quella cosa stupida!" protestò Tom e Bill si girò a guardarlo.
 
"Domani inizieró le ricerche per un nuovo tuttofare, quindi preparati!" esclamò e indietreggiò.
 
"Ma perchè non mi ridai semplicemente il posto?" 
 
"Lascia che mi diverta un po', Tom! Ci vediamo domani, ciao!" lo salutò e corse via, Tom sospirò.
 
 
*
 
 
Tom era di fronte a Bill e il suo capo stava sfogliando distrattamente delle carte. "Chi sei e cosa vuoi da me?" chiese Bill e posò il suo sguardo su Tom, quest'ultimo sbuffò.
 
"Bill, possiamo non—"
 
"Oh, taci Tom, lasciami divertire. E poi non è detto che io ti assuma" disse pacatamente il moro e Tom sospirò.
 
"Sono Tom Trumper" disse e incrociò le braccia.
 
"E cosa vuoi da me, Thomas?" chiese e non seppe trattenere un sorriso divertito.
 
"Ti prego Bill, chiamami Tom" disse e sospirò.
 
"Thomas è un nome cosí volgare, e poi abbi un po' di rispetto per me!" 
 
"Sono venuto per il colloquio" 
 
"Bene" disse e sistemò tutte insieme le carte che aveva sulle scrivania. "Non sei stato assunto"
 
"Che cosa?!" urlò Tom e Bill lo guardò.
 
"Non sei stato assunto" disse senza scomporsi.
 
"Ma—Ma—"
 
"Niente ma, fuori dal mio ufficio!" disse e indicò la porta, Tom sbuffò. Aveva avuto la speranza di riavere indietro il suo tanto caro posto di lavoro, e invece aveva solo perso tempo. Ora avrebbe solo dovuto cercare un altro lavoro. Si avvicinò alla porta pronto per uscire. "Tom?" lo chiamò Bill e Tom sospirò, si girò a guardarlo.
 
"Cosa?"
 
"Scherzavo, sei stato assunto. Ora va all'università, non voglio avere un tuttofare ignorante" gli occhi di Tom si illuminarono e sul suo viso comparve un sorriso.
 
"Oh, Billie" disse e corse verso di lui, gli circondò le spalle con le braccia e riempí il suo viso di piccoli e delicati baci.
 
"Ma che fai? Vai via!" protestò Bill e cercò di staccarsi da quell'abbraccio.
 
"Sí, sí, ora vado. Ciao Bill!" disse velocemente e corse fuori, chiuse la porta. Rimasto solo nel suo ufficio, Bill sorrise soddisfatto.u

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Capitolo 14
*** La madre degli altri. ***



Banner bellissimo fatto da Bill Kaulitz (passate da lei, assolutamente!). Grazie ancora, tesoro! xx

 

 

 


 


 

 

Capitolo 14.
La mamma degli altri.



 

 

 

“Sai, Tom, secondo me dovresti fare chiarezza” esordì Gustav quel giovedì mattina. Era seduto alla sua nuova scrivania negli uffici di Elle e Tom vi era appoggiato. Georg era proprio accanto che stava ascoltando il loro discorso.

 

“Su cosa?” chiese Tom e sbattè più volte le palpebre, il suo amico sospirò.

 

“Sulla tua vita amorosa” chiarì e Tom annuì.

 

“Cosa c'è che non va nella mia vita amorosa?” chiese innocuo e Gustav grugnì.

 

“Oh, nulla. Solo che hai una mezza storia sia con Kendall che con Bill”

 

“Non ho una mezza storia con Bill!”

 

“Ma con Kendall sì”

 

“Beh—” Tom tacque solamente perchè non sapeva che dire. “E cosa dovrei fare, allora?”

 

“Forse parlare e chiarire con Kendall?” chiese come se fosse qualcosa semplice.

 

Tom stava per aprire bocca per contestare, quando il suo telefono squillò. Lo prese e guardò chi lo stava chiamando. Cazzo! Simone lo stava chiamando. Si era proprio dimenticato di richiamarla la sera prima, sua madre dovrà essere furiosa. Accettò la chiamata, pronto per la sfuriata della donna. “Pronto?” disse con voce debole.

 

“Tom! Razza di figlio degenere, mi avevi detto che mi avresti chiamato ieri sera ma non l'hai fatto!” urlò la donna al telefono e Tom strinse gli occhi e allontanò il telefono dall'orecchio.

 

“Lo so, mamma, ma vedi, è che ieri sera ero davvero molto stanco, quindi appena mi sono steso sul letto sono entrato in coma” disse e ci fu un momento di silenzio, strano, dato che sua madre non chiudeva mai la bocca. “Mamma?”

 

“Tom, tu sei entrato in coma e non avverti i tuoi genitori?! Non ti muovere, arriviamo lì in un battibaleno!” urlò allarmata la donna. “Gordon! Gordon! Nostro figlio—”

 

“No! Mamma, è un modo di dire” la interruppe suo figlio e sospirò. “Volevo dire che sono caduto in un sonno prof—”

 

“Oddio! E ti sei fatto male?” Tom si spiaccicò una mano sulla faccia e sospirò.

 

“Mi sono addormentato” disse infine e la madre sospirò.

 

“E dillo prima, Tomi! Devi capire che io non capisco il vostro gergo! Sono anziana!”

 

“Oh, è tua madre?” chiese Georg con le braccia poggiate, Tom annuì affranto. “Salutamela”

 

“Mamma, ti saluta Georg” disse sapendo l'amore incondizionato che c'era tra sua mamma e Georg.

 

“Oh, il mio ciccino adorato! Chiedigli come sta” disse usando un tono dolce che non usava nemmeno col figlio. Tom e Georg si conoscevano da quando entrambi andavano al liceo, quindi anche Simone conosceva Georg da molto.

 

“Georg, mamma ti chiede come stai” disse annoiato Tom e Georg fece spallucce.

 

“Abbastanza bene, solo che è da un paio di giorni mi fa male lo stomaco” disse e Tom alzò lo sguardo al cielo.


“Ha detto che sta bene solo che da un paio di giorni gli fa male lo stomaco”

 

“Oh, povero ciccino caro! Ha provato a prendersi qualcosa per la diarrea?” disse la donna preoccupata.

 

“Georg, hai provato a prenderti qualcosa per la diarrea?” disse Tom infastidito.

 

“No, perchè?” chiese corrugando la fronte.

 

“Ha detto di no” disse e Tom scosse il capo. “Mamma, Georg ha detto che gli fa male lo stomaco, non che va a diarrea”

 

“Tomi, sono una mamma da— tu quanti anni hai?”

 

Tom sospirò. “Ventuno”

 

“Da ventun'anni, quindi so che le medicine per la diarrea agiscono anche contro i dolori allo stomaco. Dillo al mio ciccino”

 

“Ciccino, ha detto mamma che le medicine per la diarrea calmano i dolori allo stomaco” disse Tom mettendosi il telefono sulla spalla.

 

“Oh, grazie signora Trümper! Credo proprio che seguirò il suo consiglio!” disse Georg e sorrise, Tom alzò lo sguardo al cielo.

 

“Ha detto che seguirà il tuo consiglio” disse Tom e Simone ridacchiò.


“Chiedigli se ha mangiato, oggi”

 

“Mamma! Sei mia madre, non quella degli altri!”

 

“Tomi, sono stata tutta tua per quattordici anni! È ora di smettere di fare il mammone e di staccarti un po' da me!”

 

Tom strabuzzò gli occhi, scioccato. “E lo dici a me, scusa? Fino a prova contraria sei tu che mi stressi e che mi chiami ogni ora”

 

“Tom! Chiedigli se ha mangiato” Tom sospirò e guardò Georg.

 

“Hai mangiato?” disse e Georg annuì.

 

“Dille che le sue lasagne sono buonissime. Ne ho mangiato un po' stamattina a colazione” disse e si sedette sulla sedia in legno.

 

“Che schifo!” esclamò Tom e fece una faccia schifata. Ma che persone frequentava?

 

“Cosa?” chiese la mamma.


“Ha mangiato le tue lasagne a colazione, oggi!”
 

“Beh, ma gli sono piaciute?”

 

Tom sospirò. “Sì”

 

“Oh, che carino il mio ciccino!” Tom chiuse gli occhi per cercare di non spaccare il telefono.

 

“Ehi, saluta anche a me tua madre. Non mi vorrai far passare per il maleducato?” disse Gustav ghignando a quella scenetta.

 

“Non sia mai! Mamma, ti saluta anche Gustav” disse e Simone ridacchiò.

 

“Il mio tesorino! Chiedigli—”

 

“Sì, sta bene, ha mangiato e ha apprezzato le tue lasagne, possiamo parlare di altro?” disse e si sedette sulla scrivania di Georg dandogli le spalle.

 

“Beh, Tomi, dove sei?” gli chiese la madre e Tom fu felice che il discorso si fosse incentrato di nuovo su di lui.

 

“Sono a lavoro, mamma, oggi non c'erano corsi all'università” le spiegò e iniziò a far penzolare le gambe.

 

“Oh, mio Dio! Fammi parlare con Bill!”

 

“Ma—”

 

“Ho detto che voglio parlare con Bill!” disse non accettando repliche. Tom sospirò e si alzò, attraversò il corridoio ed entrò nell'ufficio di Bill senza bussare. Il ragazzo era impegnato a controllare uno dei tanti articoli che gli avevano dato le ragazze.

 

“Bill?” lo chiamò e il moro alzò lo sguardo.

 

“Sì?” disse e lo guardò.

 

“C'è mamma al telefono che vuole parlarti” disse ed entrò nell'ufficio, gli diede il telefono e gli occhi di Bill si illuminarono, sorrise.

 

“Ciao, Simone!” esclamò felice e Tom si sedette, ci sarebbe voluto molto.

 

“Ciao, Bill, tesoro! Come va? Tutto bene?” disse la donna, altrettanto felice di sentire il ragazzo dopo tanto tempo.

 

“Tutto va alla grande, grazie. E a te?” chiese picchiettando le dita sulla scrivania e Tom lo osservò a lungo. Bill aveva dei bei lineamenti, dei bei occhi, delle belle labbra carnose. Bill era effettivamente bello. I suoi lunghi capelli neri gli ricadevano sulle sue spalle circondando alla perfezione il suo viso e ciò lo rendeva perfetto.

 

“Bene, a parte alcuni acciacchi causati dalla vecchiaia” disse sconsolata e Bill ridacchiò.

 

“Ma cosa dici, Simone? Non so che idea hai di vecchiaia, ma di sicuro tu non ne fai parte!” disse e sorrise, Simone rise.

 

“Oh, Bill, sei sempre così carino con me” disse e Bill sorrise. Tom aveva come il presentimento che sua madre si fosse innamorata di Bill, che volesse che si mettessero insieme e che se gli avesse presentato qualsiasi altra ragazza lo avrebbe ucciso.

 

“Come va con il bed and breakfast?”

 

“Bene, sta andando forte! Continuo a preparare la colazione e ad accogliere i clienti” lo informò la donna.

 

“Oh, Simone! L'altro ieri ho fatto i biscotti a cioccolato e cocco, quelli che mi hai consigliato. Sono venuti buonissimi, credo che li rifarò più spesso” disse e da questo Tom capì che sua madre e Bill si erano scambiati il numero, perchè nel loro soggiorno a Westbury non aveva sentito parlare di biscotti a cioccolato e cocco.

 

“Sono felice che ti siamo piaciuti, tesoruccio! Ora devo andare, sono venuti dei clienti. A prestissimo” disse e Bill sorrise.

 

“Ciao, Simone! Buon lavoro” disse e riattaccò, diede il telefono a Tom. Notò che lo stava guardando con uno strano sguardo sul viso, Bill inclinò il capo. “Perchè mi guardi così?” Tom rimase in silenzio e posò il telefono nella sua tasca posteriore. Bill pensò subito di aver fatto qualcosa di sbagliato, e forse era questo il motivo per cui Tom lo guardava così male e non si muoveva a dirgli cosa c'era. “Stai seriamente iniziando a preoccuparmi” disse e si sentì un po' male sotto al suo sguardo. “Tom!”

 

“Che fine hanno fatto quei biscotti a cioccolato e cocco?” disse e Bill spalancò la bocca, Tom lo aveva fatto stare in ansia per qualcosa di così stupido.

 

“A casa” disse e si massaggiò una tempia.

 

“Quindi?”

 

“Quindi cosa?”

 

“Domani li voglio nel mio ufficio” disse indicando la scrivania di Bill e si alzò, pronto ad uscire.

 

“Tom, tu non hai un ufficio!” gli urlò dietro Bill. Tom aprì la porta e sussultò quando si ritrovò Andreas, Andreas Klein, di fronte, un pugno alzato come se stesse per bussare.

 

“Oh, ciao, Tom” disse e squadrò il ragazzo da capo a piedi. Tom indossava la sua solita maglia larga che gli arrivava sopra al ginocchio, il suo jeans largo e le sue sneakers.

 

“Ciao, Andreas” disse, completamente sorpreso di ritrovarlo lì. Il suo abbigliamento era più formare di quello che aveva l'ultima volta che si erano visti: indossava una semplice camicia bianca, una giacca verde militare in tinta con i pantaloni e la cravatta. “Tutto— Tutto bene?” chiese timido Tom e Andreas lo guardò a lungo. Decisamente stonava in un ambiente così, un ambiente in cui la moda era tutto, ma non se ne fregava, e diciamo che era per questo che lo stimava.

 

“Tutto bene. C'è Bill?” chiese e Tom annuì, si fece da parte per farlo entrare. “Grazie” disse ed entrò, si andò a sedere sulla sedia di Bill. Probabilmente avrebbe dovuto andarsene ma rimase lì impalato ad ascoltare il discorso tra i due uomini. “Ciao, Bill” disse Andreas e posò una cartella beige che solo ora Tom si accorse che ce l'aveva sempre avuta in mano.

 

“Ehi, Andreas” lo salutò Bill e abbozzò un sorriso. “Hai qualcosa per me?”

 

“Certo, qualcosa di grande. Molto grande” disse e aprì la cartella beige, Bill la prese in mano e lesse il contenuto.

 

“Parigi?” disse e Andreas annuì. “Cos'è?”

 

“Te l'ho detto, è una cosa molto grande. Che ne dici di cenare insieme, stasera, così ne parliamo?” disse e Bill distolse lo sguardo dalla cartella per poi puntarlo sul ragazzo biondo. “E magari facciamo in modo che questa non sia l'unica cosa di cui parliamo”

 

Bill sembrò pensarci un po' e Tom si chiese cosa contenesse quella cartella e cosa c'entrasse Parigi, poi si chiese di cos'altro dovessero parlare i due. “Okay, va bene” disse e Tom uscì chiudendo la porta cercando di non fare rumore. Chissà cosa c'era dietro tutta questa storia.

 

 

*

 

 

“Ciao, Tom” disse Kendall e gli diede un veloce bacio sulla guancia, si sedette di fronte a lui. “Ti ho fatto aspettare molto?” chiese e poggiò la sua borsa firmata Armani sul suo grembo.

 

“No, non molto” disse Tom e sorrise. In realtà era venuto lì mezz'ora fa, ma se voleva essere gentile non doveva dirlo, quindi non lo disse.

 

“Come mai hai voluto vedermi così in fretta? Ti mancavo?” disse ironica e sorrise, Tom ridacchiò. Oggi pomeriggio l'aveva chiamata e le aveva chiesto se poteva andare a cena nel ristorante giapponese proprio vicino casa sua. Kendall non aveva avuto scelta e aveva dovuto accettare, anche perchè Tom aveva già prenotato per due.

 

“Beh, uhm, volevo dirti che penso che dovremmo parlare” disse e la ragazza si guardò intorno. I suoi capelli neri ricadevano mossi sulla spalla sinistra, sui suoi occhi aveva applicato un po' di eyeliner e sulle sue labbra un lipgloss alla pesca. Aveva indossato un vestito color cipria a maniche a giro con la gonna a ruota, ai piedi aveva delle decolté bianche.

 

“Credo che dovremmo farlo, sì” disse la ragazza e si servì un po' d'acqua, bevve lasciando tracce del suo lipgloss sul bicchiere.

 

“Okay, inizia tu” disse Tom guardando la ragazza.

 

“Beh, allora, ultimamente sono stata bene con te. Insomma, sei carino, gentile e simpatico. Mi fai ridere e mi fai stare bene” disse e Tom sorrise, anche lui era stato bene con lei. “Sento che mi sto prendendo una cotta bestiale per te e, uhm” la ragazza arrossì e abbassò lo sguardo, Tom inarcò le sopracciglia. Una figa come Kendall che si prendeva una cotta per lui? Era quasi paradossale! “Voglio che ci sia di più tra di noi”

 

Tom strabuzzò gli occhi alle parole delle ragazze. Lui che stava insieme ad una modella, fico! Ma sentiva che c'era qualcosa che non andava. “Il fatto è che io sono molto confuso, ultimamente, e non so nemmeno il perchè. Quindi ti chiedo una piccola pausa, così che io possa schiarirmi le idee” disse e sapeva che si sentiva confuso per via di Bill, ma ovviamente non poteva dirlo.

 

Kendall lo guardò a lungo cercando di realizzare ciò che Tom aveva appena detto, si riprese abbastanza velocemente. “Oh, ho capito. Cioè, secondo te dovremmo smettere di baciarci e cose del genere?” disse lei non trovando le parole adatte.

 

“Sì, credo di sì” disse e gli sorrise teneramente. “Non che io non accetti i tuoi baci, è che mi mandano ancora di più in confusione”

 

“Oh, okay” mormorò e prese in mano il menù, pronta per ordinare. “Possiamo rimanere amici?”

 

“Già lo siamo” disse Tom e Kendall annuì. Era felice che avesse capito, Tom aveva semplicemente bisogno del tempo. Tempo per capire se era etero o era sempre stato gay, era un lungo percorso. Ora che aveva preso tutto ciò che Kendall aveva potuto dargli, era il tempo di provare con Bill. Sospirò e prese anche lui il menù. Sarebbe stata una missione difficilissima. 


Chapter End Notes:
Eccomi di nuovo con un nuovo capitolo! Volevo ringrarvi perchè apprezzate la mia storia e non mi immaginate quanto mi faccia piacere, in più siete tutti così gentili con me. Che dolci *arrossisce*
Parlando della storia, ora Tom si è finalmente convinto che deve fare chiarezza sui suoi sentimenti escludendo Kendall e iniziando a considerare Bill. Ma cosa deve fare Bill a Parigi? Uhm.
Al prossimo capitolo
echois xx

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Capitolo 15
*** Parigi. ***



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Capitolo 15.
Parigi.




 
 
 
Bussarono insistentemente alla porta di Tom, ma quest'ultimò continuò a dormire. "Tom, svegliati!" urlò una voce fuori dalla porta della sua abitazione, Tom aprí lentamente gli occhi e guardò la semi oscurità in cui era immersa la sua stanza. Si mise a sedere e fissò l'armadio di fronte a sè.
 
"Ma che—?" si guardò intorno. Aveva sentito qualcuno chiamarlo, ma probabilmente era solo un sogno. Fece spallucce e si ristese, chiuse gli occhi.
 
"Tom, dannazione, svegliati! Siamo in ritardo!" sentí dire e sentí anche altri colpi alla porta. Riconobbe quella voce come quella di Bill e si alzò per andare ad aprire. Si trascinó fino alla porta e la aprí, Bill sussultò guardandolo. Gli occhi di Tom erano pieni di sonno e i suoi rasta erano in disordine. Indossava una maglia gialla che gli arrivava a nemmeno a metà coscia e niente più eccetto i boxer.
 
"Bill, ma cosa?" chiese debolmente guardando il suo capo. Bill indossava una camicia bianca a mezze maniche e dei skinny di colore beige, incrociò le braccia.
 
"Scommetto che te ne sei dimenticato, uhm?" gli chiese inarcando un sopracciglio.
 
"Dimenticato? E di cosa?" chiese e lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. "Bill, di cosa stai parlando?"
 
"Oh, forse mi sono dimenticato di avvisarti" disse inarcando le sopracciglia, si coprí la bocca con la mano.
 
"Avvisarmi di cosa?" chiese Tom. 
 
"Tra due ore e mezza il nostro aereo partità per Parigi" disse e Tom strabuzzó gli occhi. Ancora non si era abituato ai viaggi improvvisi che Bill lo obbligava a svolgere.
 
"Parigi? E cosa dobbiamo fare a Parigi?" chiese incredulo. 
 
"Ti spiegherò tutto in macchina, va a lavarti, io ti preparo la valigia" disse ed entrò in casa, corse in camera di Tom. "Dio, ma per caso hanno combattuto la seconda guerra mondiale in camera tua? Sbaglio o quello è il corpo di Hitler?"
 
"Bill!" gridò Tom e si avvicinò alla porta della sua stanza. "Sai cosa vuol dire il verbo avvisare? Vuol dire che mi dici almeno una settimana prima che dobbiamo partire, non il giorno stesso!" 
 
"Lo so, Thomas, ma io l'ho saputo solo tre giorni fa" disse predendo la valigia di Tom e mettendola sul suo letto, la aprí.
 
"Mi andava bene saperlo tre giorni fa!" disse e incroció le braccia e mandó un'occhiataccia a Bill. "Perchè dovrei venire?"
 
"Mio Dio, Thomas, è perchè sei il mio segretario" disse e mise una camicia bianca nella valigia.
 
"Metti anche i vestiti che uso di solito"
 
"Le tende che usi di solito, Thomas" lo corresse.
 
Tom lo guardò a lungo prima di decidere di andarsi a fare una doccia per rinfrescarsi le idee. "E non chiamarmi Thomas!" disse e poi uscí.
 
 
*
 
 
Tom infiló la sua valigia nel cofano di una BMV nera e aprí la portiera, si stese sui sedili posteriori. "Bill, dimmi che non devo guidare" disse, la guancia spiaccicata contro il sedile.
 
"No, guido io" disse una voce familiare e Tom alzò lo sguardo, Andreas si girò a guardarlo.
 
"Andreas? È venuto a tirare giù dal letto anche te?" chiese debolmente. Nonostante si fosse fatto una doccia fredda, aveva ancora molto sonno e aveva intenzione di dormire per tutto il viaggio in aereo.
 
"No" disse e ridacchiò. "Sono io che gli ho detto di Parigi"
 
"Si può sapere cosa andiamo a fare a Parigi? Io non so nemmeno il francese" mormorò e Andreas ritornò a guardare avanti, mise un gomito sul finestrino e si accarezzò le labbra con le dita.
 
"Vera Wang organizza una sfilata in occasione della sua nuova collezione autunno inverno" disse e sentí Ton gemere dispiaciuto, rise.
 
"Scusate il ritardo" disse Bill entrando in macchina, chiuse lo sportello. "Possiamo andare" si mise la cintura e Andreas guardó tutti i suoi movimenti studiandolo, poi partí. Tom decise di iniziare già a dormire, quindi chiuse gli occhi.
 
Inizialmente il viaggio fu silenzioso e lui stava quasi per addormentarsi, quando Bill parló. "Secondo te dovrei andarci?" chiese ad Andreas e Tom aprí gli occhi per ascoltare la loro conversazione.
 
"Devi" rispose Andreas senza staccare gli occhi dalla strada di fronte a sè.
 
"Potrei anche andare da qualche altra parte, sai" disse gesticolando nervosamente e Tom si chiese di cosa diamine stessero parlando.
 
"Bill, prima o poi ci saresti andato" il biondo fece spallucce. "E poi chi lo dice che sará un disastro?"
 
"Io!" rispose Bill e Andreas rise e spostó la mano dal cambio per metterla sulla coscia di Bill, dannatamente troppo vicino al suo inguine. Tom assottiglió gli occhi e mandó un'occhiataccia ad Andreas. Voleva dirgli di togliere la mano di lí perchè Bill non era suo, ma rimase in silenzio in modo da ascoltare la conversazione. Cos'era quello? Perchè Andreas aveva cosí tanta confidenza con Bill? Perchè si permetteva di mettere la mano lí? Perchè semplicemente non la toglieva invece di accarezzare la sua coscia con il pollice?
 
"Sono sicuro che andrà bene" 
 
"Mmh mmh" mormoró Bill e Tom capí che la conversazione era finita, quindi si mise a sedere e si mise tra i due. 
 
"Quanti giorni staremo?" disse e questo funzionó, la mano di Andreas ritornó al suo posto sul cambio. 
 
"Tre" disse Bill e sospiró, guardó fuori dal finestrino. Tom riusciva a capire che Bill era triste, ma non riusciva a capire il perchè. Non sopportava vederlo cosí. 
 
"Oh, dimenticavo. Quanto devo pagare per questa sosta?" disse e Bill si giró a guardarlo.
 
"Nulla, ci ha offerto tutto Vera" disse e Tom inarcó le sopracciglia e spalancó la bocca.
 
"Le sarà costato un botto!" esclamó e Bill ridacchió.  
 
"Già" disse e ritornó a guardare davanti. "Ah, Tom, ho un regalo per te" disse e si sporse in avanti per prendere la sua borsa.
 
"Un regalo per me?" chiese sbattendo le palpebre e guardó Bill frugare nella borsa alla ricerca di qualcosa. Cacció un pacchettino di medie dimensioni di raso rosso, lo porse a Tom che lo prese subito in mano. "Oh! Cos'è?" chiese e lo aprí. Dentro c'erano dei biscotti al cioccolato e cocco che profumavano di buono. 
 
"Mi hai detto che li volevi, quindi li ho rifatti" spiegó Bill e gli occhi di Tom s'illuminarono e, lentamente, sul suo viso comparve un magnifico sorriso. 
 
"Oh, Bill, te ne sei ricordato!" disse e li posó accanto a sè, prese il viso di Bill tra le mani e ricoprì la sua guancia di teneri, piccoli e affettuosi baci. "Pensavo te ne fossi dimenticato" ritornó a baciargli la guancia.
 
"Mi hai assillato per giorni" si giustificó Bill e cercó di liberarsi dalla presa di Tom, ma poi sospiró arrendendosi.
 
"Beh, grazie mille" disse e si staccó da lui per mangiare i suoi biscotti. Non li avrebbe condivisi con Andreas.
 
 
*
 
 
 
Quando le stelle brillavano nel cielo e la luna illuminava le vie buie della città, i tre atterrarono a Parigi. Finalmente, avrebbe aggiunto Tom, dato che non si sentiva più le gambe. 
 
Erano più o meno le undici quando arrivarono nel loro albergo e, successivamente, nelle loro rispettive camere. Tom fu felice di non condividere la stanza con Andreas ma un po' triste del fatto che non l'avrebbe condivisa con Bill. 
 
Il loro albergo era a cinque stelle e la mascella di Tom quasi toccó terra quando lo vide. Di fronte c'era un ampio giardino, l'hotel era enorme. L'arredamento interno era rustico, di ottimo gusto. Il personale sembrava cordiale, ma Tom non aveva spiaccicato parola dato che non sapeva la lingua. Andreas e Bill parlavano un francese fluido e il rasta pensò che finchè fosse stato con loro non avrebbe corso nessun pericolo. Dietro l'hotel c'era un'enorme piscina e, tutt'intorno, sedie a sdraio con tavoli e sedie.
 
Anche la sua camera era enorme. Le pareti erano dipinte di bianco e beige e il pavimento era di marmo, anche qui l'arredamento era rustico. Al centro della stanza troneggiava un letto a baldacchino e Tom si ci buttó sopra. Fissò per un po' il soffitto e poi si mise a sedere, decise che si sarebbe andato a fare una doccia e poi sarebbe andato a letto. Aprí la valigia e prese un paio di boxer. Cercò a lungo il pigiama ma non riuscí a trovarlo. "Dov'è il mio pigiama?" sussurrò scostando i panni che Bill aveva messo nella sua valigia. Tom sbuffò e decise di chiederlo direttamente al suo capo. Prese le chiavi della sua camera e uscí, chiuse la porta. Perchè aveva avuto la malsana idea di far fare la valigia a Bill? Avrebbe dovuto saperlo, dannazione.
 
Bussò alla porta della camera di Bill, proprio accanto alla sua. "Bill, sono io!" disse e aspettò che lo aprisse. 
 
La porta fu aperta e Tom strabuzzò gli occhi. Bill era di fronte a lui a petto nudo, la vita era cinta da un asciugamano bianco e in bocca aveva uno spazzolino. "Sí?" chiese e Tom cercò di non guardare il suo petto bianco nonostante fosse cosí vicino.
 
"Bill, non vorrei disturbarti, ma dove diavolo hai messo il mio pigiama?" chiese e Bill inarcò le sopracciglia, si tolse lo spazzolino da bocca.
 
"Il tuo pigiama?" chiese ripetendo le parole di Tom.
 
"Sì, il mio pigiama. C'era un cassetto accanto al mio letto dove c'era la biancheria e i miei pigiami"
 
"Oh! Dici quelle maglie enormi?"
 
"Esatto!"
 
"Non le ho prese" si grattò il capo e Tom spalancò la bocca.
 
"Come non le hai prese?" 
 
"Pensavo fossero solo altre maglie enormi, sai, quelle che metti sempre tu. Non credevo fossero pigiami" disse e ritornò a spazzolarsi i denti. "Beh, Tom, se vuoi posso prestarti un pigiama"
 
"Davvero?" chiese speranzoso.
 
"Sí, ne porto sempre qualcuno in più. Entra" disse e si fece da parte per far entrare Tom. Quest'ultimo chiuse la porta alle sue spalle e osservò la camera di Bill: era più o meno come la sua, solo che era molto più ordinata dato che ogni cosa si trovava al proprio posto. Bill posò lo spazzolino in bagno e si sciacquò i denti, poi si avvicinò al cassetto e lo aprí, cacciò un pigiama rosso e blu e lo diede a Tom. Il rasta prese in mano il pantalone e lo guardò; era strettissimo, cosí come la maglia.
 
"Stai scherzando?" chiese guardando Bill e posò il pigiama sul letto.
 
"Perchè?" chiese il ragazzo ancora a petto nudo.
 
"Come perchè? Il mio cazzo soffocherà, lí dentro!" disse indicando i pantaloni, Bill alzò gli occhi al cielo.
 
"Oh, Tom, non essere volgare" disse scuotendo il capo e mettendosi una mano su un fianco, Tom sospirò.
 
"Okay, ho capito, dormirò in boxer" disse e Bill sussultò, Tom si avvicinò alla porta pronto per una bella doccia calda. Si giró a guardare Bill prima di uscire. "Beh, grazie comunque. 'Notte" disse e Bill gli sorrise dolcemente.
 
"Buonanotte, Tom" disse e Tom uscí, entró in camera sua e andó in bagno. Si liberó dei vestiti ed entró in doccia, sotto il getto caldo dell'acqua.
 
Ancora non aveva realizzato che era a Parigi, la città piú romantica del mondo. Avrebbe tanto voluto andarci la prima volta con qualcuno di speciale, e invece era lí per lavoro. Comunque, poteva rendere quell'esperienza piacevole. Approfittando della presenza costante di Bill, poteva far chiarezza sui suoi sentimenti e, una volta fatto chiarezza, poteva andare avanti col suo piano. Come fare, peró? Forse avrebbe dovuto baciare Bill per capirne qualcosa. Di sicuro lo avrebbe fatto, ma doveva solo liberarsi di Andreas.
 
 
*
 
 
Erano solo le otto e mezza quando Tom scese a fare colazione. Non era riuscito a chiudere occhio, forse a causa del fuso orario, forse a causa del letto sconosciuto o forse a causa della nuova città. O forse a causa dei suo piani maligni per liberarsi di Andreas. Alla fine era arrivato alla conclusione che semplicemente non poteva liberarsi di lui, che gli sarebbe stato sempre vicino.
 
Prese un vassoio e prese dal buffet un croissant e del latte, si giró per cercare un posto libero. La sala per la colazione non era piena, ma comunque c'erano molte persone. Vide Andreas seduto ad un tavolo vuoto intento a fare colazione e Tom decise di andare lí, posó il vassoio sul tavolo. "Buongiorno" lo salutó Andreas, pimpante e felice a prima mattina.
 
"Ehi" disse Tom e si sedette. Guardó la colazione di Andreas; tè e fette biscottate. Ghignó perchè se l'era immaginato. 
 
"Come mai già in piedi? Pensavo fossi uno che ama dormire" disse e bevve un sorso di tè.
 
"Non sono riuscito a chiudere occhio" disse e spalmó della cioccolata sul croissant appena sfornato. "Bill non è ancora sceso?" 
 
"No" ammise e posó la tazza sul piattino. "Sei andato in camera sua, ieri?"
 
Tom corrugó la fronte, non erano fatti suoi, perchè s'impicciava? "Uhm, sí. Come fai a—"
 
"Vi ho sentiti dalla mia camera" rispose alla domanda interrotta di Tom, quest'ultimo fece spallucce e azzannó il croissant. "Tom?" lo chiamó Andreas e il rasta alzó il capo. Andreas parlava troppo a prima mattina. "Posso chiederti un favore da amico?"
 
"Uhm, dipende" disse guardandosi intorno spaesato. Cosa voleva chiedergli quello stupido di Andreas?
 
"Sto provando a riconquistare Bill, quindi puoi non—sai, essere troppo espansivo?" gli chiese guardandolo negli occhi e Tom inarcó le sopracciglia.
 
"Espansivo?" chiese.
 
"Sí, insomma, comportarti come un amico e basta" disse e allora Tom capí che stava cercando di marcare il territorio. Ma se era quello che voleva fare allora poteva andare al diavolo.
 
"Aspetta, hai detto riconquistare?"
 
"Sì"
 
"E questo perc—"
 
"Perchè io e Bill siamo stati insieme per tre anni" Tom strabuzzó gli occhi e guardó Andreas. Non ci credeva, non poteva crederci.

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Capitolo 16
*** Luna, stelle e torre Eiffel. ***



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Capitolo 16.

Luna, stelle e torre Eiffel.





 

 

 

“Tre anni?” chiese Tom e inarcò le sopracciglia, Andreas annuì. “Sono indeciso se dire povero Andreas o povero Bill”

 

Andreas gli mandò un'occhiataccia. “Beh, Tom, credo di essermi spiegato abbastanza bene. Non farmelo ripetere più” disse e Tom assottigliò gli occhi. Aveva ufficialmente trovato un rivale. “Oh, sta arrivando a Bill. Non una parola su quello che ti ho detto”

 

“Sarò una tomba” disse e, poco dopo, Bill comparve dietro di lui.

 

“Buongiorno, Tom. Già in piedi?” chiese guardando il suo segretario e si sedette posando il vassoio sul tavolo. Tom ghignò perchè non si era nemmeno accorto della presenza di Andreas.

 

“Sì, non sono riuscito a chiudere occhio, stanotte” chiese posizionando lo sguardo sul moro accanto a sé.

 

“Come mai?” chiese e Andreas si schiarì la voce, Bill alzò lo sguardo su di lui e sussultò. “Oh, Andreas, ci sei anche tu”

 

“Sì, ci sono anche io” disse e sorrise amabilmente. “Cosa visiteremo stamattina, Bill?”

 

“Visitare?” chiese Tom che si aspettava di rimanere in hotel a poltrire.


“Sì, a Bill piacerebbe vedere la città. Se a te dispiace, Tom, puoi anche rimanere in hotel” disse Andreas alzando un angolo della bocca, Tom gli mandò un'occhiataccia.

 

“No, credo proprio che verrò. Non ho mai visto Parigi, in fondo” disse e Andreas sbuffò. Tutto questo passò inosservato a Bill.

 

“Pensavo di visitare il museo di Orsay e di Louvre, e poi visitare la Saint Chapelle” disse dando una morso alla mela verde che aveva preso al buffet. “Oggi pomeriggio visiteremo Versailles e la cattedrale di Notre-Dame, mentre stasera la torre Eiffel. È magnifica di notte”

 

“Bene, non vedo l'ora” disse Andreas e sorrise a Bill, Tom alzò lo sguardo al cielo.

 

“Sono le otto e mezza, Andi” disse Tom ironico e, mentre Andreas gli mandò un'occhiataccia, Bill scoppiò a ridere.

 

 

*

 

 

Dopo aver preso numerose metro, dopo essersi fermati a mangiare un boccone e dopo l'ennesima figura di Tom a causa del suo scarso francese, verso le sette fecero ritorno in hotel.

 

Avevano visitato tutto ciò che Bill aveva detto, fatta eccezione per la torre Eiffel che avrebbero visitato dopo la sfilata di quella sera. A Louvre il rasta era quasi passato alle mani con un giapponese che non smetteva di fare foto alla Gioconda non lasciando a Tom nemmeno uno scatto. Fortunatamente Bill lo aveva convinto a non picchiarlo e sia lui che Hikaru erano tornati a casa senza lividi. Inoltre, era rimasto affascinato dalla maestosità e dalla sfarzosità della reggia di Versailles. Era incredibile come Re Sole avesse speso tutta quella grana per ospitare dei nobili che, per quanto ne sapeva lui, potevano tranquillamente rimanere nel loro castello o dove vivevano loro.

 

“Beh, in fondo è stata una bella visita” disse Andreas seduto su uno dei divani della hall dell'albergo. “Ho apprezzato davvero la cattedrale di Notre-Dame. Nonostante l'abbia già visitata due volte, possiede ancora un fascino particolare”

 

“Sono rimasto molto deluso” proferì Tom e mise la caviglia destra sulla gamba sinistra. Si stavano solo rilassando prima di ritirarsi ognuno nelle proprie camere per una breve doccia, dato che dovevano mangiare e alle nove e mezza andare alla sfilata.

 

“Come mai?” chiese Bill dedicandogli tutta la sua attenzione.

 

“Non ho visto il gobbo”

 

Bill alzò lo sguardo al cielo e sbuffò. “Tom, te l'ho detto già io e anche la guida. È solo un cartone animato, non esiste nessun gobbo” disse e Tom mise il broncio.

 

“Stai dicendo che tutto quello a cui ho creduto in questi ventun'anni è solo una menzona? Una pura e falsa menzogna?” chiese incrociando le braccia.

 

“In breve, sì” disse Bill e Tom si alzò.

 

“Non ti credo” Bill sospirò e si passò una mano tra i capelli. “Ci vediamo a cena” disse e si mise le chiavi in tasca, si avviò verso l'ascensore. Improvvisamente si fermò, non poteva lasciare Bill solo con Andreas. Che stolto che era! Indietreggiò e guardò Bill. “Bill, non vieni? Ti vedo molto stanco, una doccia ti farebbe bene”

 

“Hai ragione, Tom” disse e si alzò, Tom gioì internamente. “Ci vediamo a cena, Andi” salutò l'amico e affiancò Tom. Quest'ultimo mandò uno sguardo carico d'intesa ad Andreas e poi si avviò all'ascensore con il suo capo.

 

 

*

 

 

Bussarono alla porta di Bill e lui andò ad aprire pensando che fosse Tom, di nuovo impacciato su cosa mettersi, ma fu genuinamente stupito di ritrovarsi davanti Andreas. “Oh, Andreas” disse inarcando le sopracciglia. Che diamine ci faceva lì? Cosa voleva da lui?

 

“Ti ho disturbato?” chiese sorridendo e mettendosi le mani dietro la schiena, dondolò impercettibilmente avanti e indietro. Bill lo guardò da capo a piede; Andreas aveva indossato un semplice completo nero con la giacca abbottonata che però gli donava molto.

 

“No, no, affatto” disse e si abbottonò velocemente la camicia bianca che aveva indossato.

 

“Beh, posso entrare?” chiese e Bill sembrò molto stupido per non averlo invitato ad entrare.

 

“Sì, certo, scusa” disse e si fece da parte per farlo entrare. Andreas osservò la stanza del moro e la trovò impeccabile e ordinata esattamente come si era aspettato di trovarla.

 

“Ero venuto da te per vedere se eri pronto per la cena, ma evidentemente non è così” spiegò sedendosi sul letto del moro, che fece spallucce.

 

“In realtà sono a buon punto. Devo solo truccarmi e infilare la giacca e sono pronto” disse entrando in bagno per truccarsi. “Piuttosto credo che Tom sia in alto mare”

 

“Perchè?” chiese osservandolo truccarsi dal bagno.

 

Bill si sporse in avanti e chiuse la palpebra, applicò dell'ombretto grigio. “Tom ha sempre problemi con i vestiti eleganti. Tra poco verrà qui disperato in cerca di aiuto” disse e si allontanò dallo specchio per guardare il suo lavoro, fece la stessa cosa alla palpebra destra. Andreas sbuffò una risata, stupidissimo Tom. Non si meritava nemmeno qualcuno di così speciale come Bill.

 

“Tom è una persona molto—” non sapeva come concludere la frase. In realtà poteva terminarla con un aggettivo come sciocco, sempliciotto, stolto, o addirittura babbeo, ma non voleva che Bill capisse che tra loro c'era della rivalità. Perchè ormai aveva capito che anche a Tom Bill piaceva un po'. “Semplice, non è vero?” decise di dire alla fine.

 

“Sì” mormorò Bill e tracciò una linea dritta con l'eyeliner nero, socchiuse la palpebra per evitare di macchiarsi. “È molto spontaneo”

 

“È strano che si trovi qui e che stia per assistere ad una sfilata. Di Vera Wang, per giunta” disse e sperò che una volta per tutte Bill si decidesse a dirgli perchè diamine avesse portato quello scimmione.

 

“Beh, Tom ha conosciuto di persona Vera Wang. Anche i suoi genitori l'hanno fatto. Una sfilata ora per lui non è niente” disse e applicò il mascara, si allontanò e cercò la spazzola.

 

Andreas strabuzzò gli occhi e guardò la figura di Bill che ora si stava spazzolando i capelli. In cinque anni che faceva parte del mondo della moda, non era mai riuscito ad incontrare di persona la stilista, invece quell'idiota di Tom sì. “Cosa?” disse e si alzò, si appoggiò alla porta del bagno per guardare Bill sistemarsi i capelli corvini.

 

“Sì, quando sono andato ad intervistare Vera Wang c'era anche lui” disse e guardò Andreas. “Perchè?”

 

“Semplicemente mi sembra strano che porti Tom con te” disse e inclinò il capo. “Da Vera Wang, ed ora qui. Perchè?”

 

“Perchè Tom è il mio segretario” si difese e sapeva che le sue gote si stavano leggermente arrossendo sotto lo sguardo inquisitorio di Andreas.

 

“Non raccontarmi balle. Non mi hai mai portato con te da qualche parte, nemmeno quando stavamo insieme” disse e Bill abbassò lo sguardo.

 

“È perchè non avevo bisogno di te, erano compiti semplici da svolgere” disse e Andreas lo guardò a lungo.

 

“Davvero? E cosa c'è di difficile nell'assistere ad una sfilata o nell'intervistare una stilista?” disse e, messo con le spalle al muro, Bill non seppe come rispondere. Andreas si avvicinò a lui e gli si mise davanti, gli prese le spalle. “Bill, guardami negli occhi” disse e Bill sospirò ma alzò lo sguardo puntandolo nei suoi occhi castani. “A te Tom piace, vero?”

 

Bill strabuzzò gli occhi e arrossì all'inverosimile. “Ma cosa dici, Andreas?” disse e il biondo inarcò un sopracciglio. “Tom è solo un mio impiegato”

 

“Sì, davvero. Allora guardami negli occhi e dimmi che non ti piace” disse e Bill lo guardò, deglutì. Non gli piaceva la vicinanza dei loro visi e, soprattutto, dei loro corpi. Non voleva che Andreas lo baciasse, ma era bloccato. Non aveva via di scampo. “Lo sapevo” disse e sbuffò una risata. “A te non potrebbe mai piacere uno stupido come quello” chiuse gli occhi e si abbassò per congiungere le loro labbra, Bill strinse gli occhi aspettando l'inevitabile. Era bloccato, non poteva scappare nonostante avesse voluto tanto. Pregò che Andreas ci ripensasse e non lo baciasse perchè non voleva più sentire il suo sapore sulle labbra, non ancora una volta.

 

Dei colpi violenti alla porta interruppero Andreas dal baciarlo. Si guardarono negli occhi e Bill ringraziò mentalmente chiunque stesse bussando. “I-Io vado a vedere chi è” borbottò. Andreas dalla sorpresa aveva allentato la presa, quindi riuscì a scappare via dalle sue braccia. Corse verso la porta e l'aprì.

 

Di fronte a lui c'era Tom che indossava una maglia gialla che gli arrivava sopra il ginocchio e nulla più. “Tom, sei per caso—?” gli chiese Bill guardandolo da capo a piede.

 

“Sì, Bill, sono in boxer. Devi assolutamente aiutarmi, non so che diamine mettere!” disse e Bill corrugò la fronte.


“Hai pensato anche solo per un secondo che ci fossero altre persone in questo hotel a parte noi?” chiese appoggiandosi alla porta, Tom scosse il capo.

 

“Non importa, è tardi! Vieni!” gli prese la mano e lo trascinò in camera sua, chiuse la porta sbattendola.

 

Andreas guardò la porta aperta della camera del moro e grugnì. Dannato, dannatissimo Tom!

 

 

*

 

 

Tom fissò la sua zuppa di cipolle e prese il cucchiaio, lo girò un po' e poi la assaggiò. Fece una smorfia di disgusto e allontanò il piatto da sé. Quella zuppa non aveva per niente un buon sapore. Bill avrà pensato lo stesso, dato che anche lui non stava mangiando nulla se non il pane. L'unico che stava mangiando era Andreas, e Tom si chiese come facesse. “Non mangiate?” chiese infatti questo, guardò prima Bill e poi Tom.

 

“Sono in ansia per la sfilata, non riesco a mandare giù nulla” ammise Bill e guardò il rasta.

 

“Anche io” mentì Tom e Andreas alzò lo sguardo al cielo.

 

“Dovrai pur mangiare qualcosa” disse al moro ignorando completamente Tom.

 

“Mi rifarò con il secondo” disse ed abbozzò un sorriso.

 

 

*

 

 

La sala dove si trovavano era gigante: la moquette era grigia, così come le pareti. In lontananza Tom riusciva a vedere la passerella eccessivamente illuminata. Alle spalle della passerella, c'era il nome di Vera Wang. Intorno a loro c'erano uomini e donne vestiti molto elegantemente e Tom fu grato a Bill per avergli scelto il completo. Aveva indossato una camicia bianca e un completo elegante grigio, ma non c'era stato verso di fargli indossare un papillon o una cravatta. Bill gli aveva detto che così il suo abbigliamento sarebbe stato completo, ma Tom aveva risposto che sarebbe soffocato con uno di quei cosi. Il suo capo gli aveva anche fatto sciogliere i rasta che ora ricadevano dietro le sue spalle. Ovviamente Bill non si era azzardato a truccarlo. “Sarà meglio se rendiamo nota la nostra presenza a Vera” disse Bill ad Andreas e a Tom.

 

“Sì, è da un sacco che non la vediamo” disse e ghignò guardando Andreas innervosirsi. Oramai aveva capito che Andreas era un sacco geloso di lui, non solo per il suo rapporto con Bill – dato che il suo capo non nascondeva di preferire la sua compagnia a quella del platinato – ma anche perchè aveva conosciuto personalmente Vera Wang. I tre si avviarono quindi dietro le quinte.

 

Quello che Tom vide gli fece spalancare letteralmente la bocca. Vi erano molte modelle, troppe modelle, vestite tutte con un diverso abito da sposa. Alcune si stavano facendo truccare, altre, invece, erano ancora in biancheria che aspettavano d'indossare l'abito con cui avrebbero sfilato in passerella. Nonostante avesse una specie di cotta per Bill, era ancora sensibile al fascino delle donne.

 

Bill individuò velocemente Vera, era su una specie di piattaforma che impartiva consigli e trucchi alle modelle, i tre si avvicinarono a lei. “Bill!” esclamò e scese, si avvicinò al ragazzo e lo abbracciò. Indossava dei pantaloni neri eleganti e dal taglio maschile, una camicia e una giacca, anch'essa dal taglio maschile. I suoi capelli lisci e neri le ricadevano sulle spalle e ai piedi indossava delle decolté tacco dodici.

 

“Ciao, Vera” disse il suo capo ricambiando l'abbraccio. Quando si staccarono, l'uno guardò l'altra da capo a piedi. “Fattelo dire, Vera, sei splendida stasera”

 

“Posso dire lo stesso di te, Bill” disse indicandolo e poi puntò il suo sguardo su Tom e i suoi occhi brillarono. “Tom!” si gettò su di lui e lo strinse forte, Bill si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sorrise.

 

“Ehi, Vera! Da quanto tempo!” disse e ricambiò l'abbraccio.

 

“Tanto, troppo” disse e si staccò per guardarlo. “Sembri in ottima forma, Tom. Per caso fai palestra?”

 

“Sì, ma poca, altrimenti mamma dice che voglio diventare un culturista” disse e alzò lo sguardo al cielo, Vera ridacchiò.

 

“Come sta Simone?” disse sorridendogli teneramente.

 

“Bene, credo”

 

“Ringraziala per la sua ricetta dei biscotti a cioccolato e cocco. Li ho fatti ed erano semplicemente deliziosi” disse e sorrise.

 

“Oh, l'ha data anche a te?” disse Tom corrugando la fronte. “La ricetta, intendo”

 

“Sì, ci siamo scambiate i numeri di telefono e condividiamo ricette di tanto in tanto” disse e Tom sospirò, sua madre era incredibile.

 

Andreas mandò un'occhiata a Bill che si schiarì la voce, sia che Tom che Vera puntarono lo sguardo su di lui. “Vera, ti presento Andreas Klein, è uno scrittore” disse e la stilista guardò il ragazzo accanto a Tom, le porse la mano.

 

“Piacere, Andreas, io sono Vera Wang” disse la donna abbozzando un sorriso.

 

“È un piacere fare la sua conoscenza, signora Wang” disse il biondo sorridendo.

 

“Bene, ora devo andare. Tra poco inizierà la sfilata e dobbiamo fare ancora un sacco di cose, quindi è meglio che mi sbrighi. Vi ho riservato dei posti a destra, in prima fila” disse e salutò velocemente i tre, corse per riprendere il suo posto sulla piattaforma.

 

Lo stomaco di Andreas brontolò e Tom lo guardò. “Hai fame, amico?” chiese mentre si stavano avviando ai loro posti.

 

Il biondo scosse il capo. “Mi fa un po' male” spiegò e si toccò la pancia. “Passerà” Tom fece spallucce e seguì Bill. Ai primi posti c'erano tre sedie nere, su una c'era il nome di Bill, su un'altra quello di Tom, e su quella di Andreas c'era scritto semplicemente ospite. Si sedettero ognuno al proprio posto in attesa che la sfilata iniziasse.

 

Mezz'ora dopo la sfilata ebbe inizio e Bill iniziò ad appuntare tutto ciò che vedeva. Le modelle sfilavano sicure di sé sulla passerella con i loro abiti nuziali firmati Vera Wang. Tom si stava godendo appieno la sfilata mentre Andreas, accanto a lui, diventava sempre più pallido. “Tutto bene, amico?” gli chiese ad un certo punto.

 

“S-Sì, solo che—” s'interruppe all'improvviso e si alzò, corse via. Tom fece spallucce e ritornò ad osservare la sfilata. Accanto a lui, al posto di Andreas, si sedette una donna sulla cinquantina. Aveva un lungo vestito rosso pieno di pailettes e dei tacchi rosso fiammante, Tom distolse lo sguardo chiedendosi chi diamine fosse.

 

“Salut” disse la donna e Tom la ignorò. “Pardon, je suis en train de parler avec toi” posizionò una mano sulla coscia di Tom che si girò a guardarla. La donna gli sorrise e solo allora Tom notò il suo rossetto rosso ciliegia. “Salut”

 

Tom iniziò a sudare freddo, quella donna stava parlando con lui, in francese per giunta! Forse lo stava semplicemente salutando, forse sì. Poteva ricambiare il suo saluto. “S-Salut” borbottò cercando di imitare la pronuncia della donna e fallendo miseramente, ritornò a guardare le modelle sfilare.

 

“Comment tu t'appelles?” disse lanciandogli un'occhiata maliziosa e Tom deglutì. Questo lo aveva capito, gli aveva chiesto il suo nome.

 

“J-Je m'appelle Tom” disse, fiero di aver risposto alla domanda. Dannato Bill! Se gli avesse detto prima che partivano per la Francia lui avrebbe preso ripetizioni.

 

“Plaisir, je suis Roxanne” okay, lei si chiamava Roxanne. Tom le sorrise perchè non sapeva cos'altro dirle. Non sapeva nemmeno cosa lei volesse da lui, a dire la verità. “Est que tu as quelque engagement pour ce soir? Tu peux la passer avec moi ” Tom strabuzzò gli occhi e la fissò a lungo. Che cazzo aveva detto?

 

“U-Un moment” disse fingendo un sorriso, si girò verso Bill. “Bill, c'è questa signora che sta parlando con me!”

 

“E?” chiese senza scomporsi.

 

“E sta parlando in francese!” disse e Bill scosse il capo.

 

“Che dovrei fare, io?”

 

“Come che dovresti fare? Devi capire che cazzo vuole!” disse bisbigliando e Bill alzò lo sguardo al cielo e si girò verso la signora, le fece un sorriso.

 

“Salut, je m'appelle Bill. Malheureusement il ne parle pas français, mais tu peux parler avec moi. Je le traduira” disse e sorrise, la signora ricambiò il sorriso.

 

“Je étais en train de me demander si el a des engagements ce soir, parce que, si el est libre, il la peut passer avec moi” ripetè lei con un sorriso stampato sulle labbra, Bill perse il suo.

 

“Che ha detto?” chiese Tom, Bill inclinò il capo e sorrise alla donna.

 

“Rien, mais il est engagè avec moi” disse abbozzando un sorriso, la signora strabuzzò gli occhi e si coprì la bocca con le dita smaltate di rosse, ridacchiò.

 

“Oh, pardon, pardon” disse la signora velocemente.

 

“Ne t'inquiète pas” disse Bill e ritornò a guardare la sfilata, la donna si alzò allontanandosi dai due e Tom corrugò la fronte e guardò Bill.

 

“Mi spieghi che diamine voleva?” gli chiese.

 

“Oh, nulla d'importante” disse Bill facendo spallucce, accavallò le gambe. “Voleva semplicemente sapere dov'era il bagno”

 

 

*

 

 

“Andreas! Non ti ho visto per tutta la serata” disse Bill una volta fuori dalla sala. Finita la sfilata, avevano salutato Vera e se n'erano andati in fretta, decisi a vedere la torre Eiffel.

 

Andreas era ancora pallido e si teneva la mano sulla pancia. “Ho passato il tempo a vomitare in bagno” ammise e Bill inarcò le sopracciglia.

 

“Come?” chiese Bill e si mise una mano sul fianco.

 

“Sì, devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male” ammise e Tom si morse le labbra per evitare di fare un sorriso a trentadue denti. Ora Andreas se ne sarebbe andato in hotel mentre lui e Bill sarebbero andati a visitare la torre Eiffel. Era la sua grande occasione! Le stelle, il cielo nero, la luna, le luci che illuminavano la torre Eiffel. Avrebbe stretto Bill tra le braccia e lo avrebbe baciato colto da un impeto di passione. E non gliene fregava niente se Bill rifiutava o meno, era la sua occasione per capire cosa provava.

 

“Sarà stata quella zuppa di cipolle” disse Bill riportando Tom alla realtà.

 

“Decisamente” disse Tom, si avvicinò al biondo. “Sai cosa? È meglio che tu vada in albergo. Sei bianchissimo, si vede da un miglio che non stai bene. Preparati un tè a pane mutani e senna e mettiti a letto, d'accordo?”

 

Andreas gli mandò un'occhiataccia. “È sencha e pai mu tan” lo corresse acido, Tom sorrise come se stesse parlando con un bambino.

 

“È quel che vuoi, Andi” disse accarezzandogli la spalla.

 

“Oh, Andreas, ha ragione Tom. Sarà meglio che tu ti metta a letto, sei bianco come un lenzuolo. Noi andremo a visitare la torre Eiffel e poi ti raggiungiamo, okay?” chiese e Andreas normalmente si sarebbe opposto, ma la sua pancia gli doleva ancora troppo per non ritornare a casa.

 

“Mmh, okay” mormorò e si girò per andarsene in albergo.

 

“Buon pane mutani!” gli urlò Tom andandosene con Bill.

 

“È pai mu tan!” urlò, ma oramai Tom era troppo lontano per sentirlo.

 

 

*

 

 

“Cosa?” chiese Tom, si trovavano entrambi davanti la torre Eiffel. Erano solo le undici e mezza di notte, ma non c'erano molte persone. Bill scoppiò a ridere portando la testa all'indietro. “Aspetta, io avrei potuto scopare con quella e tu le hai detto che ero impegnato con te?”

 

“Sì, non ti sei perso nulla” disse avvicinandosi a lui, sorrise e si morse il labbro.

 

“Perchè? L'hai scopata anche tu?” disse incrociando le braccia e mettendo su il muso. Non era davvero scontento, anzi, era felice. Vedere Bill geloso era bellissimo, ma voleva fare un po' di scena. Gli faceva piacere sentire che Bill si era ingelosito quando quella signora gli aveva chiesto di passare una notte di sesso con lei.

 

“No, ma era vecchia. Avanti!” disse e Tom gli sorrise. I capelli di Bill erano scossi leggermente dalla brezza notturna e sembrava ancora più bello. Alle sue spalle c'era la torre Eiffel, illuminata dalle luci e ancora più bella di notte.

 

“Questa è colpa tua, però” disse Tom e si avvicinò alla torre per ammirarla da vicino.

 

“Colpa mia?” chiese Bill inarcando le sopracciglia.

 

“Sì, colpa tua. Se mi avessi detto prima che saremmo andati a Parigi avrei cercato di imparare la lingua per masticarla un po'”

 

“Puoi comprarti un dizionario e mangiarlo, così masticherai la lingua” disse e all'occhiata di Tom scoppiò a ridere.

 

“Dio, Bill, che squallore” disse scuotendo il capo e sbuffò una risata. Era felice che Bill fosse così libero di essere se stesso in sua presenza.

 

“Ci facciamo una foto vicino la torre?” chiese e cacciò dalla borsa la macchina fotografica.

 

“Okay” disse Tom e fece spallucce, si mise vicino a Bill. Era il suo momento. Prese un lungo e profondo respiro e poi lo fece.

 

Improvvisamente Tom si girò verso di lui, si fece più vicino, gli cinse la vita con le braccia. Lo guardò negli occhi e unì velocemente le loro labbra. Bill strabuzzò gli occhi e guardò i tratti rilassati di Tom. Le sue sopracciglia leggermente incurvate, i suoi occhi chiusi, le sue lunghe e bionde ciglia.

 

Un'esplosione. Era questo che sentì Tom, letteralmente. Tutto nel suo corpo esplose. Il suo cuore, il suo stomaco, quello che rimaneva nel suo cervello. Inizialmente era come se il suo cuore si fosse fermato, poi aveva preso a battere più velocemente, sembrava che volesse uscire fuori dalla gabbia toracica. Il suo stomaco doleva, ma era un dolore buono. Era come se ci fossero tante farfalle che volavano, era bello. Oramai aveva smesso di pensare e stava seguendo solo il suo cuore, che batteva così forte che aveva paura di avere un infarto.

 

Bill, abituato a tutte quelle sensazioni che un semplice bacio da parte di Tom scaturiva in lui, chiuse gli occhi e scattò la foto. 


Chapter End Notes:
Sì! Quello zuccone di Tom si è finalmente deciso a baciare Bill! Yay!
Comunque, per chi non conoscesse il francese - p.s: se ci fossero degli errori ditemelo!! Sono una schiappa in francese - la traduzione è:
“Ciao. Scusa, sto parlando con te. Ciao"
“Come ti chiami?” 
“Piacere, sono Roxanne. Hai qualche impegno per questa sera? Puoi passarla con me"
“Salve, mi chiamo Bill. Sfortunatamente lui non parla francese, ma puoi parlare con me. Glielo tradurrò” 
“Mi stavo domandando se avesse impegni per stasera, perchè, se è libero, la può passare con me”
“Nessuno, ma è impegnato con me”
“Oh, scusa, scusa”
“Non ti preoccpare” 
E questo è tutto! Alla prossima
echois xx

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Capitolo 17
*** Chiarimenti. ***



Banner bellissimo fatto da Bill Kaulitz (passate da lei, assolutamente!). Grazie ancora, tesoro! xx



 





 

Capitolo 17.

Chiarimenti.





 

 

 

Non parlarono per tutto il tragitto verso l'hotel. Entrambi erano persi nei propri pensieri, entrambi erano rossi in viso ed entrambi volevano intraprendere una conversazione ma nessuno dei due voleva iniziare. Tom fu riportato alla realtà solo quando Bill chiamò il suo nome. Si ritrovò nel corridoio del loro hotel, proprio di fronte la camera di Bill. “Questa è la mia camera” disse Bill e abbozzò un sorriso.

 

“Oh, già, sembra proprio la tua camera, Bill” disse in imbarazzo.

 

“Lo è” rispose il moro e ci fu un momento di silenzio, poi Bill scoppiò a ridere e Tom lo imitò. “Vuoi entrare?”

 

“Posso?” chiese inclinando un po' il capo e inarcando un sopracciglio.

 

“Certo che puoi, scemo” disse e sorrise, aprì la porta e fece entrare Tom per primo.

 

“La tua camera è sempre così in ordine?” chiese guardandosi intorno una volta accesa la luce.

 

“Sì” disse Bill e si tolse la giacca, la posò ordinatamente sulla sedia. “Te l'ho detto, sono un maniaco del controllo” si sbottonò la camicia e posò anche questa sulla sedia.

 

“Già mi— cosa fai?” chiese strabuzzando gli occhi e guardando il petto nudo di Bill. Un'ondata di piacere lo investì e si sentì strano, perchè era la prima volta che provava desiderio verso un corpo maschile. Tom, non guardare, non guardare, è il tuo capo, porca miseria!, si disse mentalmente, ma non riuscì a togliere gli occhi da Bill quando si tolse anche il pantalone.

 

“Pensavo dormissimo insieme” disse e lo piegò, lo posò sulla sedia. “Scusami se ti sto facendo sentire a disagio” disse con voce sottile e arrossì, anche Tom diventò rosso e scosse velocemente il capo.

 

“No, no, sei— sei—” sospirò e cercò di calmarsi, ma il suo cuore non ne voleva sapere di battere più lentamente. “Sei bellissimo” disse alla fine e Bill, che ora indossava solo dei boxer, arrossì ancora di più e cercò di coprire il suo corpo il più possibile.

 

“Beh, va a prendere il tuo pigiama” disse velocemente e si avvicinò al comodino dove prese il suo pigiama.

 

“Non ce l'ho, ricordi? Qualcuno si è dimenticato di prenderlo” disse incrociando le braccia e Bill alzò lo sguardo al cielo.

 

“Per quanto ancora mi rinfaccerai quella storia?” chiese infilandosi i pantaloni del pigiama.

 

“Finchè non arriverò a casa e potrò entrare nel mio comodo pigiama” disse e si tolse la giacca, la buttò sulla scrivania. Bill s'infilò sotto le coperte e occupò la parte destra, aspettando che anche Tom si infilasse nel letto. Poco dopo il rasta lo raggiunse, era in boxer. Ora entrambi si davano le spalle e stavano guardando tutt'e due l'oscurità della camera di Bill, immerso ognuno nei propri pensieri. Bill ripensava al bacio che si erano scambiati e perchè Tom gliel'avesse dato, quest'ultimo invece si chiedeva come facesse Bill ad essere così ordinato quando nella sua stanza sembrava essere passato Annibale con i suoi trentasette elefanti.

 

Si girò verso Bill e guardò i suoi capelli corvini sparsi per il cuscino e la sua schiena che si alzava e si abbassava, sospirò. Unì i loro cuscini e si avvicinò a lui, gli strinse la mano che si trovava sul suo fianco. Sentì Bill sussultare e poi lo vide girarsi verso di lui. “Vieni qui, scemo” gli sussurrò e Bill sorrise, si avvicinò a lui e fu accolto tra le sue braccia. Tom gli accarezzò il viso e sorrise, gli scostò dolcemente i capelli dal viso e lo baciò cogliendolo alla sprovvista. Di nuovo quel groviglio di sensazioni si presentarono in lui e, spaventato da quanto un solo bacio con Bill potesse dargli, si staccò. Guardò il suo capo con gli occhi chiusi e le labbra dischiuse e pensò che fosse bellissimo e lo baciò di nuovo, andando incontro alle suddette farfalle nello stomaco.

 

“Tom” lo chiamò Bill dopo svariati minuti passati a baciarsi.

 

“Mmh” rispose Tom, non aveva nessuna intenzione di staccarsi dalle labbra di Bill, così quest'ultimo si allontanò. Tom aprì gli occhi e lo guardò.

 

“Perchè mi hai baciato?” chiese e Tom sospirò, suppose che era arrivata l'ora delle spiegazioni.

 

“Uhm, perchè mi andava” disse e Bill corrugò la fronte e poi gli mandò un'occhiataccia. Tom l'aveva baciato solamente perchè gli andava? Il rasta lo guardò e capì di aver detto un'enorme stronzata. “No, non perchè mi andava. Cioè, sì, mi andava, ma soprattutto perchè volevo capire cosa provassi nei tuoi confronti”

 

Bill rimase in silenzio a lungo ed evitò di incontrare lo sguardo di Tom. “E?” chiese incitandolo a parlare.

 

Tom sospirò e decise di dirglielo. “E ho sentito così tante sensazioni che non avevo mai provato in vita mia. Credo che tu sia la mia anima gemella” disse e Bill si morse le labbra per non sorridere, alzò lo sguardo verso di Tom.

 

“Che cosa carina” disse e finalmente sorrise e anche Tom lo fece.

 

“Tu sei una cosa carina” sussurrò e gli baciò il naso mentre il viso di Bill si colorava di rosso, poi riprese a baciarlo sulle labbra.

 

 

*

 

 

Dei potenti colpi alla porta svegliarono i due ragazzi che erano ancora l'uno nelle braccia dell'altro. “Bill! Sono io, Andreas. Svegliati o perderemo il nostro volo!” urlò Andreas da fuori la porta della camera di Bill. Quest'ultimo aprì gli occhi e si mise a sedere, Tom stava beatamente dormendo accanto a lui e russando leggermente, Bill sorrise perchè sembrava bellissimo mentre dormiva. Si ricordò di quanti baci si fossero scambiati giusto ieri e non potè non arrossire di nuovo. “Bill?” altri colpi alla porta lo riportarono alla realtà.

 

“Mmh, fallo stare zitto” mormorò Tom e si coprì la testa con il cuscino di Bill, quest'ultimo ridacchiò. Si alzò e andò fino alla porta, aprì.

 

Andreas era vestito di tutto punto ed era circodato dalle sue valigie, di sicuro aveva già fatto già colazione. Il biondo strabuzzò gli occhi vedendolo ancora in pigiama, i capelli arruffati dal sonno e il trucco sbavato. “Buongiorno” disse improvvisamente a corto di parole.

 

“Buongiorno” rispose Bill e sentì dei passi alle sue spalle, Tom sbucò da dietro di lui.

 

“Oh, sei tu Andi” disse e Bill si passò una mano tra i capelli.

 

“Cosa?!” esclamò il biondo notando che Tom era in boxer, inarcò le sopracciglia e boccheggiò per trovare qualcosa da dire. “Tu— Voi—”

 

“Non è come pensi, Andreas. Tom è— Tom è—” Bill guardò Tom e Tom guardò lui. “Tom ieri era ubriaco e allora ho deciso di portarlo in camera con me, non faceva altro che vomitare e vomitare, non poteva rimanere da solo”

 

“Io—” disse Tom e Andreas lo guardò, il rasta cercò di evitare il suo sguardo. “Oh, che mal di testa. Suppongo che— che andrò a farmi una doccia calda” rientrò e Bill lo guardò andare via, poi finse un sorriso ad Andreas.

 

“Tom si è ubriacato?” chiese Andreas corrugando la fronte. “Ma come è possibile?”

 

“Sì, sai, ieri abbiamo ordinato dello champagne, ma Tom non è una persona che regge l'alcol quindi si è inevitabilmente ubriacato” mentì guardando dappertutto tranne che negli occhi di Andreas. “Capita”

 

“Aspetta, tu non bevi!” disse e Bill si massaggiò una tempia.

 

“Scusate, la mia camera è l'altra” disse Tom uscendo dalla camera di Bill ed entrando velocemente nella sua. Non chiuse la porta, però, volenteroso di ascoltare la conversazione tra Bill e Andreas.

 

“Infatti non sono io quello che si è ubriacato ieri, ma Tom. Possiamo chiudere il discorso? Devo andare a farmi una doccia e non voglio perdere il volo” disse cercando di cacciare via Andreas, ma lui rimase esattamente lì dov'era.

 

“Ti lascio per una sera e ritrovo Tom in camera in mutande! Di pessimo gusto, per altro!” disse alzando la voce e Tom assottigliò gli occhi. Che aveva da ridire quello stupido di Andreas sulle sue mutande?

 

“Non puoi farmi la paternale” disse Bill scuotendo il capo, stava iniziando ad innervosirsi e non voleva.

 

“Perchè non posso? Certo che ti faccio la paternale, te la faccio eccome!” disse Andreas sbattendo un piede a terra. “Sei un irresponsabile o cosa? Scoparti quello lì?”

 

“Per prima cosa sappi che quello lì ha un nome e si chiama Tom! Secondo, non puoi farmi la paternale perchè la vita è la mia e scopo con chi diavolo mi pare!”

 

“Oh, allora ammetti che avete scopato!”

 

“No, non abbiamo sco—” Bill si coprì la bocca con la mano, stava diventando volgare, non voleva arrivare al livello di Andreas. “Non sei né mio padre né mia madre, non puoi dirmi cosa farne della mia vita”

 

“Siamo stati fidanzati!”


“Non è importante!”

 

“Certo che lo è!” disse Andreas e ora stava proprio urlando. “Importa perchè io sto cercando di riconquistarti e tu lo sai, ma non fai altro che ignorami e concentrarti solo su quel tonto! Ti ho anche quasi baciato, come puoi essere così ottuso?!

 

“Semplicemente non lo sono! Vieni qui, cerchi di baciarmi e pensi di poter semplicemente aggiustare le cose?” disse Bill e gli mandò un'occhiataccia, mise l'indice sul suo petto. “Tu semplicemente hai bisogno di ascoltarmi!”

 

Andreas sospirò e incrociò le braccia. “Avanti, parla. Ti ascolto” disse semplicemente, Bill prese un lungo e profondo respiro.

 

“Okay, te lo dico. Io sono stato questi tre anni solamente perchè— perchè mi facevi pena” disse e volle seppellirsi. Finalmente glielo aveva detto, era da anni che sognava dirglielo. Andreas inarcò le sopracciglia e lasciò che le braccia gli ricadessero molli lungo i fianchi, i suoi occhi erano fuori dalle orbite e la sua bocca spalancata. Tom aveva stralunato gli occhi e ora faceva passare lo sguardo da Bill ad Andreas.

 

“C-Cosa?” chiese, sperando di aver capito male.

 

“Hai capito bene, pena! Perchè, oh, sembravi così indifeso e sapevo che eri un frignone perchè in ufficio ti chiamavano cuore di miele e poi io in fondo non sono così cattivo. Così quando mi hai detto che mi amavi non ho sopportato l'idea di vederti piangere e stare male per giorni, mesi, così ho detto che ti amavo anch'io così non ci saresti stato male. Pensavo sarebbe durato per pochi mesi, non mi aspettavo che durasse tre anni!”

 

“Ma io pensavo che tu mi amassi” dichiarò Andreas e Bill abbassò lo sguardo e scosse il capo. “Okay, e qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso?”

 

“Tu non sai mai quello che vuoi, quando dici qualcosa non la intendi veramente, ascolti solo metà di ciò che dico e quando cerchi di rimediare è troppo tardi! Stavo per impazzire con te!” disse e si passò entrambe le mani.

 

“Quindi non mi hai mai amato?” chiese Andreas, Tom riusciva a vedere che era prossimo alle lacrime.

 

“No, Cristo, no” disse e il moro scosse il capo. Andreas si massaggiò una tempia ed evitò di incontrare lo sguardo di Bill. Quest'ultimo lasciò andare un sospiro che non seppe di star trattenendo, si sentiva in un certo senso più leggero ora.

 

“Sbrigati a farti la doccia o faremo tardi” disse semplicemente dopo un lungo silenzio. Prese le sue valigie e ritornò in camera sua.

 

Bill si appoggiò alla porta e incrociò le braccia, aspettò che di sentire la porta della camera di Andreas sbattere e poi sbuffò una risata. “Tom, puoi uscire da lì” disse e Tom uscì nel corridoio, era ancora in boxer. Era così preso ad origliare che aveva persino dimenticato di indossare i pantaloni.

 

“Dio, Bill, davvero? Pensavo di fossi bevuto il cervello— voglio dire, stare con Andreas!” disse Tom con un enorme sorriso dipinto sulla faccia e si avvicinò a Bill.

 

“Sì, è stato un capitolo imbarazzante della mia vita” ammise con un'alzata di spalle. Tom si avvicinò a lui e sfiorò le sue labbra con quelle del moro, rimase così a lungo.

 

“Buongiorno, comunque” disse una volta staccatosi.

 

“Buongiorno” disse Bill e gli fece quello che doveva essere il sorriso più bello del mondo.

 

 

*

 

 

“È bellissimo essere in un Paese dove le persone parlano la tua lingua” disse Tom rompendo il silenzio. Erano atterrati a New York e avevano accompagnato Andreas a casa – sinceramente lui sperava di non vederlo più – e ora Bill stava accompagnando lui. “È stato imbarazzante. Diciamo che il francese non è la mia lingua”

 

“Decisamente” disse Bill e sorrise. Stringeva le mani sul volante e sembrava visibilmente nervoso, ma Tom ancora non se n'era accorto. Stava pensando a cos'erano lui e Tom ora. Non erano più amici, se quello che erano prima potesse essere definito 'amici'. Tom era così spensierato e non sembrava pensarci, ma Bill voleva mettere le cose in chiaro.

 

“Troppe parole mancanti. Insomma, non riuscirei mai ad impararla” disse e Bill gli lanciò un'occhiata.

 

“Beh, se ce l'ho fatta io puoi farcela anche tu” disse Bill e si mangiucchiò un'unghia.

 

“Ma tu sei più intelligente di me” disse Tom prendendolo in giro.

 

“Oh, ma allora lo ammetti!” esclamò Bill con un sorriso ed entrambi scoppiarono a ridere. Bill amava il fatto che Tom riuscisse a fare uscire il lato piacevole che c'era in lui, amava anche il fatto che lo facesse ridere. Con Andreas erano rari i momenti in cui ridevano a crepapelle, ma Tom riusciva sempre a strappargli un sorriso.

 

Bill parcheggiò di fronte casa sua e Tom la guardò, in un certo senso gli era mancata. Si slacciò la cintura e guardò Bill. “Vuoi entrare?” chiese e il moro sorrise.

 

“Posso?” chiese innocentemente, Tom alzò lo sguardo al cielo.

 

“Ma che domande fai? Certo che puoi!” disse e scese dalla macchina, prese la sua valigia dal portabagagli e andò di fronte la sua porta. Cercò le chiavi nella tasca e, quando le trovò, aprì la porta. “Benvenuto nella mia umile dimora” disse e si fece da parte per far entrare Bill.

 

“Come se fosse la prima volta” disse il moro sbuffando una risata, Tom entrò e chiuse la porta.

 

“Accomodati sul divano, io poso un attimo la valigia nella mia stanza” disse e scomparve, Bill si andò a sedere sul divano e osservò la casa come se fosse la prima volta che ci entrasse. Era come sempre in disordine, ma un po' si adattava al carattere estroverso di Tom. Quest'ultimo si materializzò improvvisamente accanto a lui. “Beh, posso offrirti qualcosa?” Bill scosse il capo e il rasta lo guardò. “C'è qualcosa che non va?” Bill annuì e Tom aspettò che parlasse, ma non lo fece. “E qual è questa cosa?”

 

“È da stamattina che non riesco a pensare ad altro, Tom” iniziò Bill ed evitò il suo sguardo, si torturò le mani. Non sapeva come dirglielo, quindi suppose che doveva dirglielo senza tanti giri di parole. “Cosa-Cosa siamo io e te, ora?” lo guardò, Tom inarcò un sopracciglio.

 

“Due umani” disse semplicemente, Bill lo guardò a lungo in silenzio. Tom scoppiò a ridere e il moro gli mandò un'occhiataccia.

 

“Idiota, è una cosa seria!” disse e gli diede uno schiaffo sulla coscia, Tom finì di ridere e si asciugò le lacrime.

 

“Scusa, pensavo parlassi della mutazione genetica e della clonazione” disse e Bill alzò lo sguardo al cielo. “Bill, vuoi essere il mio ragazzo?”

 

Le sopracciglia di Bill si inarcarono e le sue labbra si stesero in un ampio sorriso che lo faceva sembrare un ebete, ma non gli diede molta importanza. “Sì, sì!” esclamò e circondò il suo collo con le braccia, iniziò a dargli baci sulle labbra.

 

“È un sì?” chiese Tom tra i baci, Bill sbuffò una risata e alzò lo sguardo al cielo.

 

“Idiota!” 

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Capitolo 18
*** Le dovute presentazioni. ***



Banner bellissimo fatto da Bill Kaulitz (passate da lei, assolutamente!). Grazie ancora, tesoro! xx


 





 

Capitolo 18.

Le dovute presentazioni.





 

 

 

Quella era una bella giornata per Tom, era come se il mondo gli sorridesse. Il sole splendeva alto nel cielo e sembrava fargli l'occhiolino, gli uccellini cantavano allegri sugli alberi, lui tra poco avrebbe rivisto Bill e in più sua madre non l'aveva chiamato quella mattina. Insomma, per lui la giornata non poteva iniziare in modo migliore.

 

Tom entrò negli uffici di Elle e fu letteralmente travolto dalle ragazze. “Ragazze, attenzione al caffè!” urlò tra i vari abbracci, baci e urletti eccitati.

 

“Tom, abbiamo saputo la grande notizia!” parlò Marina a nome di tutte. “Tu e Bill vi siete messi insieme!” disse e non era una domanda.

 

“Chi ve l'ha detto?” chiese guardando le ragazze.

 

“Ce l'ha detto Bill stamattina. Aveva uno sguardo così felice e sognante che non ha potuto non dirci niente” disse Jade che, fortunatamente, era stata riassunta. Tom si lasciò scappare un sorriso e le ragazze urlarono felici, il rasta fece una faccia infastidita.


“Perchè urlate, ora?!” esclamò Tom guardandole.

 

“Perchè tu hai lo stesso sguardo felice e sognante!” disse Kate, una ragazza alta con i capelli rossi raccolti in un grosso chignon.

 

Tom abbassò lo sguardo per non far vedere che era completamente rosso in viso. “Potreste lasciarmi andare così vado dal mio ragazzo?” chiese e le ragazze urlarono di nuovo prima di scostarsi in modo da formare un percorso verso l'ufficio dell'Ape Regina.

 

“Sai, mi sembra che Bill sia più affezionato a Tom che ad Andreas” sentì sussurrare e ghignò malvagiamente.

 

“Di sicuro lo è”

 

“Che carini!”

 

“Ragazze, sarà meglio se torniamo a lavoro!” disse Marina mandando al proprio posto le colleghe. Tom sorrise e bussò alla porta dell'ufficio di Bill.

 

“Avanti” gli rispose Bill e Tom entrò. Il moro era indaffarato come al solito, ma quando lo vide gli riservò un grande e bellissimo sorriso. “Ciao, Tom” disse e Tom gli sorrise, si avvicinò alla sua scrivania

 

“Ecco il caffè” disse e posò il caffè freddo caramellato sulla sua scrivania. “E il bacio del buongiorno” si avvicinò a lui e unì le loro labbra in un dolce e casto bacio. “Buongiorno amore” sussurrò sulle sue labbra e poi lo baciò di nuovo. In tutta risposta Bill circondò il suo viso con le mani e cercò di avvicinarlo di più a sé, ma la scrivania ostacolava i suoi piani.

 

“Mmh, ma perchè ho una scrivania nel mio ufficio?” si lamentò e gemette dispiaciuto, Tom interruppe il bacio per ridere. Fece il giro e Bill si alzò allontanando la sedia da loro. Il rasta ricongiunse le loro labbra e fece sedere Bill sulla scrivania, il moro accolse il ragazzo tra le sue cosce. Gli circondò il collo con le mani e iniziò a massaggiargli la cute e a tirare qualche rasta, Tom mise le mani sui suoi fianchi e si lasciò sfuggire un gemito, Bill si fece più vicino a lui. Tracciò il contorno delle labbra di Tom con la lingua e quest'ultimo dischiuse le sue labbra, un brivido percorse la sua schiena quando incontrò la lingua di Bill. Se non si fosse fermato avrebbe sicuramente scopato Bill lì, sulla sua scrivania.

 

“Tomi!” urlò sua madre ed entrò nell'ufficio di Bill spalancando la porta, suo padre Gordon la seguì silenziosamente. Tom e Bill si staccarono immediatamente e si guardarono negli occhi, entrambi rossi in viso. “Oh, ragazzi, mi dispiace interrompere la vostra pomiciata” Bill abbassò il capo e Tom corrugò la fronte.

 

“Mamma, devi essere sempre l'anormale della situazione!” disse Tom indicandola, Simone inclinò il capo.

 

“Perchè, Tomi? Cos'ho fatto, ora?” chiese innocentemente e Tom alzò lo sguardo al cielo.

 

“Diamine, hai appena visto tuo figlio che pensavi fosse etero limonare con un uomo, questa non può essere la tua reazione!”

 

“Perchè? Che reazione ho avuto?”

 

“Sei— sei tranquilla, felice, serena!”

 

“Oh, Tomi, ma io sapevo già che stavate insieme!” disse alzando le spalle, Bill si coprì il viso con le mani e poggiò il capo sulla spalla di Tom.

 

“Ma— mamma!” si lamentò Tom.

 

“E va bene” disse Simone con uno sbuffo, alzò gli occhi al cielo. “Oh, santo cielo! Gordon! Nostro figlio che pensavamo fosse etero sta limonando con un altro uomo! Il mio povero cuore, reggimi, caro!” disse mettendosi una mano sulla fronte e cadde all'indietro, Gordon l'afferrò prontamente.

 

“Su, su, cara, è stato un duro colpo anche per me, ma ringraziamo Dio che il nostro Tomi non sia un pedofilo o un assassino, è solamente omosessuale” disse Gordon confortando la moglie, Simone si rimise in piedi.

 

“Hai ragione tesoro, in fondo Tom è pur sempre nostro figlio, e noi lo accetteremo sempre, dovessero piacergli anche gli alberi” disse sua madre e Tom si coprì il viso con una mano.

 

“Va bene così, tesoro?” chiese Simone guardando il figlio.

 

“Sì” disse Tom con un sospiro. “Comunque, che ci fate voi due qui?”

 

“Oh, Tomi, semplicemente ci mancava il nostro tesoro!” disse Simone incrociando le mani.

 

“Mamma, ti ho detto di non chiamarmi tesor—”

 

“Ma io sto parlando di Bill, infatti!” esclamò e si avvicinò a Bill. Il moro si morse le labbra e scese dalla scrivania per andare ad abbracciare Simone.

 

“Ciao, Simone! Come stai?” chiese stringendo la donna a sé, Simone gli accarezzò la schiena.

 

“Sto bene, tesoruccio, e tu?” disse e si staccò dall'abbraccio. “Ti vedo in ottima forma! È l'effetto Tom?” chiese e poi scoppiò a ridere, Bill arrossì e Tom si spiaccicò una mano sulla fronte. Ora si ricordava perchè non aveva mai presentato le sue ragazze a sua madre.

 

“Oh, prima che mi dimentichi, Vera ti manda i suoi più calorosi saluti” disse e Simone sorrise.

 

“Che cara! Lo sai che mi ha dato la ricetta del pollo al limone? Dice che è una ricetta molto famosa in Cina e lei l'ha data a me perchè è mezza cinese. Solo che non ho mai avuto l'opportunità di farlo perchè la salsa contiene un ingrediente che qui in America non si trova” disse, triste di non aver potuto fare il pollo al limone che la sua amica descriveva come delizioso.

 

“Che ingrediente?” chiese Tom e si appoggiò alla scrivania. Oramai aveva rinunciato all'intimità con Bill.

 

“Si chiama maizena. Gordon ha chiesto a dei nostri clienti cinesi e ci hanno detto che è un fiore che si trova prettamente in Cina. E con quel fiore—” si guardò intorno e Bill corrugò la fronte. “Con quel fiore ci fanno la droga” sussurrò e Tom si morse un labbro per non scoppiare a ridere.

 

“Che tipo di droga?” gli chiese il figlio, ma Simone alzò le spalle.

 

“Non lo so, ma io e tuo padre non ne vogliamo sapere, non faremo quella ricetta perchè non vogliamo andare in prigione per spaccio di droga. Non ficchiamo ulteriormente il naso” disse la donna e Tom scoppiò a ridere.

 

“Mamma, la maizena è una farina!” disse e scoppiò a ridere anche Bill. “Dio, per Natale vi regalo un computer così almeno vi informate!”

 

“Gordon, quei clienti ci hanno preso in giro!” disse la donna girandosi indignata verso il marito.

 

“Come se fosse la prima volta” disse Tom e continuò a ridere, Simone si lasciò sfuggire un sorriso.

 

“Quindi i supermercati la vendono?” s'informò Simone.

 

“Sì, mamma. Puoi comprarla nei supermercati e non ti arrestano, fantastico, no?” esclamò Tom e scoppiò a ridere, Simone incrociò le braccia e gli mandò un'occhiataccia.

 

“Comunque, Bill, mi sono permessa di dare un po' di lasagne a tutte le tue dipendenti. Poverine, sono così magre! E i loro piedi saranno distrutti, camminano tutto il giorno su quei tacchi. Ho provato pietà per loro” disse e si circondò il viso con le mani, sembrava davvero dispiaciuta per loro.

 

Bill le sorrise dolcemente. “Hai fatto bene, Simone, anche io penso siano deperite”

 

“Ma tranquillo, Bill, ce ne sono rimaste abbastanza per voi due! Tu e Tom vivete insieme?”

 

“Uhm, no”

 

“Oh! E quando pensate di andare a vivere insieme?”

 

“Mamma!”

 

 

*

 

 

Tom si buttò sul divano e lasciò andare un sospiro. Finalmente un momento di pace. I suoi genitori non avevano fatto altro che andare avanti e indietro per New York trascinando lui e Bill in posti in cui c'erano stati un milione di volte. Avevano pranzato a casa di Tom e avevano mangiato le lasagne della mamma, poi Bill se n'era andato e non hanno potuto scambiarsi nulla se non un piccolo bacio d'addio. Successivamente sua madre lo aveva obbligato a rimettere a posto l'intera casa finchè la donna non era crollata sul letto di Tom, accanto al marito. Il rasta aveva come la sensazione che durante il loro soggiorno avrebbe dovuto dormire sul divano.

 

Prese il suo cellulare dalla tasca posteriore e compose il numero, aspettò che l'altra persona rispondesse. “Tom?” disse la persona dall'altro capo del telefono.


“Oh, ehm, ciao” disse sentendosi molto a disagio. “Possiamo vederci tra cinque minuti?”

 

 

*

 

 

Tom entrò nel familiare Starbucks. Ci veniva ogni mattina per comprare il caffè a Bill, ma non era mai venuto per sé. La vide seduta all'ultimo tavolo vicino la vetrina, sospirò e si avvicinò a lei.

 

Era intenta a guardare i passanti camminare velocemente per le vie affollate di New York, sembrava persa nei suoi pensieri. I capelli neri le ricadevano lisci sulle spalle e il suo viso era privo di trucco. A Tom non faceva più quell'effetto di una volta. “Ciao, Tom” disse e lo guardò, Tom sussultò.

 

“C-Ciao, Kendall” disse e si sedette di fronte a lei, decise di togliersi il capello e di posarlo alla sua destra. “Come va?”

 

“Abbastanza bene” disse e si strinse nelle spalle, abbozzò un sorriso.

 

“Abbastanza?”

 

“Beh, queste due settimane sono state un inferno. Non ho avuto un momento di pausa” ammise e Tom si morse le labbra.

 

“Oh, mi dispiace per questo incontro improvvisato” disse ma Kendall sorrise, scosse il capo.

 

“No, mi fa piacere vederti” disse e bevve un sorso del suo frappè. “Piuttosto, tu come stai?”

 

“Io sto piuttosto bene” disse e non potè evitare di sorrise, Kendall sorrise a sua volta.

 

“Piuttosto bene mi sembra poco” disse e si morse il labbro. “Avanti, spara”

 

Tom prese un lungo e profondo respiro e guardò Kendall dritto negli occhi. “Kendall, voglio dirti questa notizia perchè non voglio che tu la sappia da altri, ci rimarresti solamente male” disse e si grattò la guancia, improvvisamente aveva perso il coraggio. Si disse delle parole d'incoraggiamento e poi disse quelle parole. “Io e Bill stiamo insieme”

 

Non alzò lo sguardo su di lei, ma se lo avesse fatto avrebbe visto la bocca di Kendall spalancata e i suoi occhi fuori dalle orbite. “Tu e chi?” chiese, sperando di aver capito male.

 

“Io e Bill” si decise ad alzare lo sguardo.

 

Kendall corrugò lo sguardo e si fece più vicina a lui. “Bill? Bill Kaulitz?” chiese e Tom annuì, Kendall strabuzzò gli occhi. Se il rasta avesse teso di più l'orecchio avrebbe ascoltato il rumore del suo cuore che si spezzava in mille piccole parti. “Come— Come—” si coprì la bocca con le dita perfettamente smaltate e guardò fuori. I suoi occhi si stavano lentamente riempendo di lacrime ma lei non voleva piangere di fronte a Tom. “Sei gay o cosa?” chiese guardandolo, la sua voce era spezzata.

 

“No, non sono gay” ci tenne a precisare.

 

“Notizia dell'ultima ora: Bill è un maschio e anche tu!” disse alzando leggermente il tono della voce, tutti si girarono a guardarlo, Tom si spalmò sulla sedia.

 

“Davvero, non sono gay, È che Bill— non so, sento che Bill è il primo e unico ragazzo che possa piacermi. Capisci? È un po' strano da dirlo. Sono Billsessuale” corrugò la fronte per ciò che aveva appena detto.

 

“Io—” Kendall s'interruppe e si passò le mani tra i capelli. “Quando è successo?”

 

“Non so nemmeno questo” disse e si grattò il naso. “So solo che iniziavo a provare delle strane sensazioni quando ero con Bill e poi, quando l'ho baciato – Dio, quando l'ho baciato – era come avere dei fuochi d'artificio nello stomaco. È così che ci si sente quando si è innamorati, credo” disse e vide Kendall torturarsi il labbro inferiore con i denti, strabuzzò gli occhi alla parola 'innamorati'.

 

“Innamorati! Innamorati!” esclamò e stava per urlare di nuovo, Tom se lo sentiva. “Io—” ripetè e guardò Tom, i suoi occhi erano rossi e lucidi e tra poco sarebbe scoppiata a piangere. Ma semplicemente prese la sua borsa accanto a lei, se la mise sulla spalla e se ne andò lasciando Tom da solo.

 

“Perfetto” sussurrò il rasta una volta rimasto da solo, prese il suo frappè e ne bevve un sorso, era al cioccolato. Si rimise il cappello e decise di andare a casa, perchè se i suoi genitori non l'avessero visto una volta svegli avrebbero avuto il coraggio di chiamare la polizia.

 

 

*

 

 

“Okay, ragazzi, tacete per un momento e ascoltatemi” disse Georg alzandosi in piedi e guardò i suoi amici. Gustav era seduto a capo tavola e alla sua destra c'era Tom. Accanto a Tom c'era un ragazzo dai capelli lunghi e mori che aveva riconosciuto come il suo capo, ma non aveva capito perchè Tom lo avesse portato con sé. Si trovavano tutti al ristorante perchè sia Georg che Tom avevano qualcosa d'importante da comunicare. “Io e Anne stiamo insieme” disse e sorrise, era soddisfatto di se stesso. Anche la ragazza accanto a sé – una bionda con le labbra dipinte di un fucsia acceso e le tette rifatte – sembrava al settimo cielo. Indossava un vestito bianco corto a fascia e dei tacchi color oro vertiginosamente alti. Tom e Gustav si guardarono in faccia. Se Georg si fosse messo con una ragazza loro sarebbero stato felici, ma capivano che l'amico stava con quell'Anne solo per farsela.

 

Gustav si massaggiò una tempia e fece accomodare Georg. “Georg, solo una domanda” gli disse e Tom si fece più vicino a loro per dire la sua.

 

“Dimmi” disse e ghignò.

 

“Perchè?” chiese Tom al posto di Gustav.

 

Georg lanciò un'occhiata alla sua nuova fidanzata, impegnata in una conversazione con un Bill poco interessato. “La vedete?” disse e la indicò col pollice.

 

“Gli occhi ce li abbiamo” disse ironicamente Tom.

 

“Ha vent'anni ed è vergine” sussurrò e Tom e Gustav strabuzzarono gli occhi.

 

“Georg, fai— fai davvero schifo!” sussurrò Gustav e Tom sapeva che aveva voglia di urlare per fare una strigliata all'amico, ma non poteva. “Ti sei messo con lei solo perchè è vergine?”

 

“Esatto, amico” disse e poi mandò un'occhiata maliziosa a Tom. “Fa dei—”

 

“No! Non lo vogliamo sapere!” disse Tom interrompendo l'amico e guardò Bill e si ritenne così fortunato ad averlo. Sorrise e afferrò la sua mano da sotto il tavolo, il moro puntò lo sguardo su di lui e gli sorrise. Anche Tom si alzò e guardò i suoi amici. “Volevo dirvi anche io qualcosa” disse e guardò i suoi amici, Gustav gli sorrise. “Io e Bill stiamo insieme” disse e guardò Bill che gli sorrise. In un momento fu circondato dalle braccia di Georg e Gustav che lo abbracciavano, non riusciva a respirare e stava per soffocare. “Ragazzi, soffoco!” urlò e i due amici si staccarono.

 

“Io lo sapevo, amico!” disse Georg sorridendogli e gli diede una pacca sulla spalla.

 

“Ottima scelta!” aggiunse Gustav e Bill arrossì fino alla punta dei capelli.

 

“Grazie ragazzi, lo sapevo che avreste capito” disse Tom, felice che i suoi amici lo accettassero per quello che era.

 

“Capiremo sempre, Tom” disse Georg sedendosi al suo posto, Tom si morse le labbra e poi gli fece un enorme sorriso.

 

“Allora, Anne” disse Gustav iniziando a mangiare la sua pietanza. “Cosa ti ha colpito di Georg?” gemette di dolore quando l'amico gli diede un calcio da sotto il tavolo.

 

“Sicuramente la dolcezza” disse e Tom corrugò la fronte. Georg? Dolce? Georg era la persona più rude che conoscesse!

 

“D-Davvero?” chiese Tom illudendosi che l'amico fosse cambiato per amore.

 

“Sì, non vi nascondo che prima ero indecisa tra lui e un altro ragazzo, ma poi una sera Georg ha picchiato questo ragazzo e mi ha detto:'Ma devo pisciarti intorno per farti capire che sei di mia proprietà?'. È stata la cosa più romantica che qualcuno mi avesse mai detto” disse e sorrise guardando Georg, anche lui le sorrise.

 

Bill finse un attacco di tosse per camuffare la risata e Tom lo guardò, era bellissimo con i suoi capelli neri e lisci, il trucco perfetto e una camicia azzurra a mezze maniche. Tom non resistette e scoppiò a ridere, poi lanciò un'occhiata all'amico. “Certo che sei un inguaribile romantico, Georg!” disse e rise di nuovo.

 

La serata passò velocemente e in modo piacevole. A Bill sembrava piacere la compagnia degli amici di Tom e quest'ultimo si era divertito un sacco ascoltando gli aneddoti riguardanti Georg che gli raccontava la sua amica Anne. Verso le undici e mezza i due uscirono dal locale e salutarono i loro amici. Sotto il portone della casa di Bill, Tom si avvicinò a lui e, finalmente, lo baciò. “Tom” lo chiamò Bill interrompendo quel bacio, gli prese entrambe le mani e lo guardò negli occhi. “Devo chiederti qualcosa”

 

“Dimmi tutto” disse e gli sorrise. Doveva chiedere a Bill come faceva ad essere così carino il cento percento del tempo.

 

“Io ho pensato— Stavo pensando di andare a trovare mamma” disse tutto d'un fiato e Tom inarcò le sopracciglia. La madre di Bill, da quanto ne sapeva, era una donna insensibile e senza cuore che, a differenza della sua, non aveva mai voluto il bene del figlio. Bill prese un respiro spezzato e lo guardò, deglutì. “Vuoi venire con me?”





Chapter End Notes:
Sì, lo so, ho aggiotnato ieri, ma avevo il capitolo pronto e quindi... (poi, diciamolo, non ho niente da fare e sono in ansia perchè tra poco inizia la scuola ahahah) 
beh, che dire, tom ha presentato bill a tutti i suoi amici e parenti e ora bill vuole fare lo stesso, che tom faccia colpo anche lì?
alla prossima ♥
echois xx

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Capitolo 19
*** Perché c'è un cavallo? ***



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Capitolo 19.
 
Perché c'è un cavallo?
 
 

 
“Cosa?!” chiese Tom, aveva paura di aver sentito male.
 
“Ecco, vuoi venire a trovare mamma con me?” disse e fece quella faccia tenera a cui Tom solitamente non riusciva a resistere. Solitamente.
 
“No! Quella mi uccide!” disse inarcando le sopracciglia, Bill alzò lo sguardo al cielo e sospirò
 
 “Da quanto ne so non possiede armi in casa” cercò di tranquillizzarlo, ma Tom sembrava irremovibile.
 
 “No, Bill, sul serio. Tua madre non accetta la tua omosessualità, perché dovrebbe accettare me che sono il tuo fidanzato? È come se io fossi il riflesso della tua omosessualità” cercò di spiegarsi, Bill chiuse gli occhi per cercare di non ucciderlo, si massaggiò una tempia.
 
 “Tom, cosa stai farfugliando?” chiese a bassa voce, Tom alzò le spalle, Bill sospirò. “Vorrei solo andare a fare visita a mia madre e magari chiarire le cose con lei, volevo che tu venissi con me per incoraggiarmi e per darmi forza. Ma se proprio non ti va, non voglio costringerti”
 
Tom sorrise dolcemente e accarezzò una guancia a Bill, si abbassò per donargli un piccolo bacio sulle labbra. “Se le cose stanno così, allora vengo”
 
Gli occhi di Bill brillarono. “Davvero?” disse e sorrise, Tom annuì.
 
“Uhm, sì” disse e Bill lo strinse a sé, poggiò il capo sulla sua spalla e chiuse gli occhi. “Bill?”
 
“Sì?”
 
“Sei sicuro che non mi uccida?”
 
“Tom!”
 
 
*
 
 

La sveglia suonò e Tom mugugnò, allungò la mano sul comodino per spegnerla. Si mise le coperte sulle spalle pronto per riaddormentarsi, era davvero stanco dato che la sera precedente aveva fatto tardi con i ragazzi e Bill, quest'ultimo non avrebbe detto nulla se avesse fatto qualche minuto di ritardo. “Tom?” lo chiamò la voce di Bill, ma probabilmente era solamente nella sua mente dato che Bill non era lì in casa con lui.
 
“Bill” borbottò il ragazzo e abbozzò un sorriso.
 
“Tom, svegliati” disse e la voce si fece sempre più vicina.
 
“Mmh, no”
 
“Pigrone” gli disse il suo ragazzo facendosi più vicino.
 
“So che mi stai aspettando in ufficio” borbottò e sentì il suo letto abbassarsi leggermente.
 
“Oh, Tom, ma io non sono in ufficio” disse e Tom aprì lentamente gli occhi, si stava convincendo che quello non era un sogno: la voce di Bill era troppo vicina e il materasso del suo letto era leggermente inarcato. “Io sono qui” Tom spalancò gli occhi e guardò il viso sorridente del suo ragazzo. I suoi capelli mori gli ricadevano lisci sulle spalle e incorniciavano il suo viso perfetto, le sue labbra erano naturalmente rosee e i suoi occhi marcati di nero. Indossava una camicia bianca e dei skinny color cuoio. “Buongiorno, Tom”
 
“B-Bill? Come - come sei entrato?” chiese indietreggiando lentamente fino ad urtare la schiena contro la testiera del letto. Bill gli sorrise dolcemente e cacciò delle chiavi dalla tasca, le mostrò al suo ragazzo.
 
“Tua madre mi ha dato una copia delle chiavi di casa tua” disse e Tom sbatté le palpebre più volte.
 
“Una copia? E perché l'avrebbe fatto?” chiese e Bill alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
 
“Non so perché l'ha fatto, non sei contento di vedermi?”
 
“Certo che lo sono, ma di solito quando vieni a casa mia a prima mattina non ci sono buone notizie!” Bill abbassò lo sguardo. “Bill?”
 
“Ti ho portato la colazione” prese il vassoio che aveva poggiato sulle gambe e lo posò sul grembo di Tom.
 
“Bill!”
 
“Cosa?!”
 
“Spara!”
 
Bill sospirò e si passò una mano tra i capelli. “Io stavo pensando di partire oggi, cioè ora, perché so che non troverei più il coraggio” confessò e Tom inclinò un po' il capo.
 
“Lo hai fatto di nuovo” scosse il capo e azzannò il croissant al cioccolato che gli aveva comprato Bill.
 
“Fatto cosa?” chiese Bill e Tom sbuffò.
 
“Non avvisarmi” rispose annoiato Tom, Bill alzò lo sguardo al cielo e si alzò dal letto.
 
“Beh, sbrigati a mangiare. Nel frattempo io ti preparerò la valigia” disse e si avvicinò all'armadio di Tom, ma quest'ultimo gridò un 'no' così forte che risuonò per tutta la stanza. Bill si girò a guardarlo e inarcò un sopracciglio. “No?”
 
“No. Bill, no. La valigia la preparo io” disse e posò il vassoio sul letto, si scostò le coperte di dosso e si mise in piedi. “L'ultima volta che mi hai preparato la valigia ho dovuto dormire in mutande” si avvicinò a Bill. Il moro incrociò le braccia e sbuffò, cercò di evitare lo sguardo di Tom.
 
“Okay, fa come vuoi” disse e improvvisamente fu circondato dalle braccia di Tom. “No, va via! Dobbiamo muoverci” cercò di liberarsi di quell'abbraccio.
 
“Non mi muoverò da qui finché non avrò il mio bacio del buongiorno” disse e cercò di trattenere un sorriso ma non ci riusciva. Bill da arrabbiato sembrava il suo vecchio e noioso capo, ma sapeva che si sarebbe arreso e lo avrebbe baciato.
 
 “Faremo ritardo” disse Bill e smise di combattere, Tom si morse il labbro per quanto fosse bello il suo ragazzo.
 
“E a chi importa?” Bill sbuffò e si alzò sulle punte per congiungere le loro labbra.
 
 
*

 
 
Man mano si facevano più vicini alla casa della madre di Bill, quest'ultimo si faceva sempre più nervoso. Aveva torturato il suo labbro fino a farlo a sanguinare e aveva mangiucchiato le sue unghie per tutto il tragitto. Tom sembrava molto calmo al confronto, ascoltava la musica e fischiettava di tanto in tanto. Ma Tom non sapeva di che pasta era fatta la signora Kaulitz, Bill sì. Sentiva il suo cuore battere rumoroso nel suo petto mentre realizzava pian piano che letteralmente tutto sarebbe potuto andare storto. Se sua madre avesse iniziato ad urlare e avesse cacciato i due ragazzi di casa? Se avesse odiato per sempre Tom? Sperò che il buonumore del rasta accanto a lui colpisse anche il cuore freddo di sua madre e pregò davvero che tutto andasse per il verso giusto. “Bill, non preoccuparti, andrà tutto bene” disse Tom e gli mise una mano sulla coscia, Bill s'irrigidì come se colui che lo stesse toccando fosse un estraneo, ma il rasta sapeva che Bill era solamente molto nervoso. Infatti il moro prese la sua mano e giocò con le sue lunga dita per cercare di calmarsi, Tom sorrise.
 
“Oh, Dio, perché sono voluto venire? Tom, andiamocene a casa” disse e si coprì le mani con le mani. Si aspettò che Tom gli obbedisse, ma non fece nulla.
 
“Suvvia, Bill, non può essere così tragica. Anche tu eri uno stronzo, prima”
 
“Ehi, ho dei sentimenti!” Tom rise e Bill si lasciò andare un sorriso, il ragazzo sapeva sempre come tranquillizzarlo. In fondo, aveva ragione. Lui era esattamente come sua madre prima, se non peggio. Tom era riuscito a conquistarlo, in un modo o nell'altro. Ancora si chiedeva come avesse fatto a farlo sciogliere e a conquistarlo. Tom doveva avere qualche specie di potere soprannaturale. Bill sospirò e guardò la strada di fronte a sé. “Okay, ora gira a sinistra”
 
“Agli ordini” disse Tom quindi mise la freccia e girò a sinistra. Intorno a loro c'era l'aperta campagna: c'erano solo molti alberi e molto verde, ma Tom riusciva ad intravedere una casa in lontananza. Anzi, più che una casa era un'enorme villa. “Wow, Bill, i tuoi sono così ricchi?” chiese corrugando la fronte.
 
“Cosa ti aspettavi?” chiese a sua volta Bill torturandosi le labbra con le dita.
 
“Una piccola e confortevole casetta di campagna. O un bed and breakfast”
 
“Quelli sono i tuoi genitori, Tom” disse sorridendo e Tom sospirò, Bill scoppiò a ridere. Entrarono con la macchina nel cancello già aperto e Tom parcheggiò di fronte la casa. Era enorme e aveva due piani, all'esterno era bordeaux e vi erano delle piante rampicanti fuori. Il tetto era bianco e intorno c'era un giardino e una piscina, Tom pensò che se avesse dovuto immaginare una casa di campagna l'avrebbe immaginata esattamente in questo modo. Si slacciarono le cinture e scesero dalla macchina, Bill cercò la mano di Tom e la trovò subito.
 
“Hai detto a tua madre che saremmo venuti?” chiese di fronte la porta assolutamente in tinta con tutta la casa, guardò il ragazzo accanto a sé.
 
“Certo che l'ho fatto. Sarà una tragedia, oh dio. Preparati a dormire nel capannone degli attrezzi” disse ansioso e Tom roteò gli occhi e rise sotto i baffi.
 
“Sono psicologicamente pronto per dormire con un annaffiatoio” Bill sospirò e strinse la sua mano.
 
“Okay, ora busso una volta e se non apre ce ne andiamo, okay?” il moro avvicinò il pugno alla porta e prese un lungo e profondo sorriso, bussò velocemente. “Oh, che peccato, non è in casa. Andiamo, ritorneremo un'altra volta. Magari tra dieci anni” si girò e se ne andò, ma lo bloccò la stretta di Tom. Si girò verso di lui e poi guardò la porta aperta. Sua madre Alex lo stava guardando severamente mentre stava aspettando che dicesse qualcosa.
 
“Salve, signora. Il mio nome è Tom Trümper, sono il fidanzato di Bill. Lei deve essere la sorella” disse Tom facendo un sorriso a trentadue denti e le prese la mano, le baciò il dorso. Bill strabuzzò gli occhi guardando Tom posare un impercettibile bacio sul dorso della mano di sua madre mentre quest'ultima inarcava le sopracciglia. Un silenzio imbarazzante calò sui tre. A dire la verità quella donna non sembrava affatto dimostrare meno degli anni che aveva: aveva i capelli bianchi a caschetto che le ricadevano sulle spalle e il suo viso era solcato da alcune rughe. I suoi occhi erano color nocciola ed erano identici a quelli del figlio.
 
“Beh, in effetti ero molto giovane quando ho avuto Bill” disse la donna e la sua voce sembrava quasi dolce. Bill lasciò andare un sospiro che non seppe di aver trattenuto. “Ma no, sono la madre. Il mio nome è Alex. Entrate” si fece da parte per far entrare i due ragazzi e Bill entrò dopo tanto tempo nella casa dove aveva passato gli anni peggiori della sua vita.
 
Chiuse la porta e vide la madre avanzare verso la cucina. “Come stai, mamma?” chiese sperando che la madre non li lasciasse da soli e che stesse un po' a chiacchierare con loro. Ma d'altra parte sperava davvero che li lasciasse solo.
 
“Bene” disse semplicemente la donna, Tom gli sorrise e gli diede una gomitata nel fianco.
 
 “Vedi? Sembra simpatica” sussurrò e gli fece l'occhiolino.
 
“Un clown” disse ironico Bill e Tom ridacchiò.
 
“Rimanete lì impalati come due babbei o venite a bere del tè qui?” chiese la signora dalla cucina, Bill inarcò le sopracciglia. Sua madre sembrava star reagendo meglio del previsto, oppure questa era solamente un'opportunità per fare a Tom e a lui domande imbarazzanti.
 
“Adoro il tè, grazie” disse Tom sorridendo e si avviò verso la cucina, sembrava non dovesse aver bisogno delle indicazioni di Bill. Quest'ultimo rimase sconcertato perché Tom odiava il tè. Sospirò e posò il cappotto sull'attaccapanni, poi seguì i due in cucina. La sua cucina era esattamente come se la ricordava: ampia, interamente bianca e con alcune piantine di basilico sul cornicione della finestra. Sua madre era seduta a capo tavola e Tom era alla sua sinistra, Bill si sedette accanto a lui. Tom aveva una tazza fumante di tè in mano e lo stava odorando cercando di capire cosa fosse. “Uhm, com'è il tè?” chiese e la donna ne bevve un sorso.
 
“Buono” rispose secca Alex e Bill si coprì la bocca per non ridere.
 
“Intendo, com'è fatto?”
 
“Con l'acqua” Tom corrugò la fronte e guardò la piccola donna a capotavola. Forse lo stava prendendo in giro, forse si stava divertendo alle sue spalle.
 
“Mamma, credo che Tom voglia sapere a che gusto è il tè” disse Bill nascondendo a malapena un sorriso e sua madre gli lanciò un'occhiataccia.
 
“Liquirizia e menta” gli rispose e Tom bevve un sorso, per poco non sputava tutto. Quella miscela di acqua calda con un po' di sciroppo per la tosse alla menta e caramelle scadenti alla liquirizia non era sicuramente tè alla menta e liquirizia.
 
“È delizioso” disse fingendo un sorriso e Bill sorrise a sua volta guardandolo. Alex guardò a lungo Bill prima di puntare lo sguardo su quel ragazzo dai capelli e dai vestiti strani. Non sapeva ancora se gli piaceva o meno. Si vedeva che il tè gli faceva schifo, ma apprezzava il fatto che mentirebbe pur di piacerle. Doveva essere importante per lui.
 
“Da quanto state insieme tu e Bill?” disse la donna posando sul tavolo la tazza e guardando Tom, Bill sapeva che ora sarebbero iniziate le domande imbarazzanti.
 
“Da qualche settimana—”
 
“Avete già fatto sesso voi due?” Tom arrossì guardando la signora.
 
“No!” esclamò e aggiunse mentalmente che anche se lo avessero fatto non glielo avrebbe mai detto.
 
“Bene” disse e Bill sospirò, si massaggiò una tempia. “Non osate farlo in casa mia!”
 
“Non le mancheremo mai di rispetto in questo modo, signora Kaulitz” disse Tom sorridendole dolcemente, la donna inarcò un sopracciglio e pensò di posizionare una telecamera nella loro stanza.
 
“Mamma, andiamo a prendere le vali—”
 
“Sai giocare a scacchi?” chiese la donna e Bill strabuzzò gli occhi. Sua madre stava sfidando Tom in un duello. Se avesse potuto lo avrebbe schiaffeggiato con un guanto e gli avrebbe imposto di combattere con le spade, ma fortunatamente erano in un altro secolo e fortunatamente sua madre non deteneva armi in casa. Comunque Alex stava cercando di sfidarlo nel modo migliore che potesse conoscere: gli scacchi. E probabilmente Tom non sapeva nemmeno cosa fossero. Ma se lo conosceva bene, avrebbe accettato
 
“Certo” disse Tom e sorrise, la donna si lasciò sfuggire un sorriso gelido e si alzò facendo strisciare la sedia indietro.
 
“Bene, allora seguimi” disse e si girò facendo svolazzare i suoi bianchi capelli e la gonna lunga che indossava.
 
“Tom, tu non sai giocare a scacchi! Non capisci che è un modo per umiliarti?” disse Bill mettendosi le mani nei capelli, Tom gli accarezzò una guancia e si alzò.
 
“Non preoccuparti, Bill. Quando ero al liceo ho giocato una partita a scacchi” disse posizionando la mano sulla guancia liscia e morbida di Bill.
 
“E?”
 
 “E ho perso. Ma non è questo l'importante: tua madre sembra adorarmi. Ora vado, non voglio farla attendere” disse e si abbassò per posargli un bacio sulle labbra, Bill lo guardò andare via senza poter fare nulla. Sospirò e posò la testa sul tavolo.
 
Tom era di fronte ad Alex che aveva aperto la sua scacchiera di legno pregiato e ora stava posizionando le pedine al loro posto. Il rasta non sapeva l'ordine esatto delle pedine, quindi stava cercando solamente d'imitare la donna. “Bill ti ama” disse all'improvviso rompendo il silenzio che si era ovviamente venuto a creare. Tom davvero non credeva che la madre di Tom lo adorava, ma voleva che Bill si rilassasse un po' perché era come se fossero in vacanza.
 
“Cosa?” chiese alzando lo sguardo sulla donna che aveva finito di riordinare le pedine, quest'ultima non aveva intenzione davvero di giocare. Incrociò le braccia sul tavolo e guardò Tom.
 
“Bill ti ama” ripeté e Tom abbassò lo sguardo arrossendo, si grattò una guancia e non poté non sorridere. Era così scemo: sapeva che Bill lo amava, ma ora sentirlo da qualcun altro – la madre di Bill, poi! – faceva un altro effetto. Soprattutto perché né Bill né lui avevano ancora detto quelle due paroline.
 
“Lo so” sussurrò ma Alex non lo sentì.
 
“Ed è schifoso” disse e Tom corrugò la fronte, alzò lo sguardo su di lei. Stava guardando la scacchiera senza batter ciglio.
 
“Mi permetto di contraddirla, signora Kaulitz. Non è schifoso; è amore, e l'amore non è schifoso in nessuna delle sue mille sfaccettature” disse e Alex abbassò lo sguardo.
 
“Non far del male a mio figlio” gli sussurrò e Tom inarcò le sopracciglia. Era un aspetto nuovo di Alex, uno più debole, e scommetteva che nemmeno Bill lo avesse mai visto.
 
“No, ma nemmeno lei faccia del male al mio ragazzo” disse inclinando il capo. Alex alzò lo sguardo su di lui aprì la bocca per ribattere quando Bill entrò in stanza.
 
“Chi sta vincendo?” chiese e prese una sedia, si sedette al fianco di Tom. Guardò la scacchiera e notò che Tom stava ancora rimettendo a posto le sue pedine nere. “Oh, non avete ancora iniziato”
 
“Uhm, no” confermò Tom e mise al proprio ordine ogni pedina.
 
“Inizia” disse Alex e Tom guardò quei pezzi di legno dipinti di nero. Prese la torre in mano e la mostrò a Bill. “Questo è un Sacro Graal? E perché c'è un cavallo?” disse mettendo davanti gli occhi di Bill la torre. Bill si sbatté una mano contro il viso. Non era difficile intuire chi avrebbe vinto.


Chapter End Notes:
So che l'ultima volta che ho aggiornato sulla Terra giravano indisturbati i dinosauri, ma è iniziata la scuola (come credo abbiate notato,idk) e, essendo all'ultimo anno, sto cercando di dedicare molte più ore allo studio. Quindi scusatemi se non aggiorno da quanto? Un mese o più? Forse più di un mese...forse due... Dio che schifo che faccio! Vi prego di scusarmi, cercherò di essere puntuale nelle prossime settimane. Magari potrei anche aggiornare in anticipo, chissà. Alla prossima,
echois ♥

 

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Capitolo 20
*** Seconda speranza. ***



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Capitolo 20.
 
Seconda speranza.
 
 
 
 
“È incredibile come abbia sconfitto tua madre” disse Tom seguendo Bill sulle scale che portavano alla camera da letto che avrebbero condiviso.
 
“Ti ha lasciato vincere, Tom. Non credo che tu abbia vinto grazie alla tua logica: hai continuato a ripetere per tutto il gioco perché il cavallo non potesse galoppare fino al re e mangiarlo” disse e aprì la porta dipinta di bianco che portava alla sua camera. Era stata la sua camera fin quando non aveva lasciato il liceo per andare al college. Ne conservava bei ricordi, ma anche cattivi. Era esattamente come se la ricordava: il letto matrimoniale posto al centro della luminosa stanza, una scrivania piena di libri e un armadio capiente. Alle pareti erano appesi delle mensole piene di CD e dei poster di Nena. La sua camera era in ordine come al solito: sua madre si assicurava che la domestica la pulisse giornalmente, a Bill piaceva pensare che lo facesse perché, sotto sotto, sperava che il figlio ritornasse da lei, ma il moro sapeva che la realtà era un’altra. Semplicemente sua madre era una maniaca dell’ordine come lui e non riusciva a sopportare il disordine e la sporcizia.
 
“È un segno: mi adora” disse e si sedette sul letto, Bill chiuse la porta. “Te l’ho già detto”
 
“Sì, me lo hai già detto almeno tre volte, oggi” disse e sorrise a Tom, si avvicinò a lui e si sedette sulle sue gambe. Poggiò il capo nell’incavo del suo collo e gli poggiò le mani sul petto, Tom circondò la sua vita.
 
“Sai, credo che tua madre ti voglia un sacco di bene” disse all’improvviso Tom, Bill strabuzzò gli occhi.
 
“Cosa?” chiese, pensando di non aver capito bene.
 
“Tua madre è troppo orgogliosa per dirlo, ed è anche omofoba, ma ti vuole davvero bene. E scommetto così anche tuo padre” disse accarezzandogli i capelli, Bill guardò in basso.
 
“Due genitori che ti vogliono bene non si comportano così, Tomi” disse accarezzandogli il viso e gli abbozzò un triste sorriso.
 
“Non tutti i genitori sono come i miei che non fanno altro che starmi addosso” disse sorridendo e Bill si abbassò per posargli un dolce e gentile bacio.
 
“Non voglio parlarne ora” disse corrugando la fronte e ricongiunse le sue labbra a quelle del rasta, si premette di più contro di lui. Dischiuse le labbra quando sentì la lingua di Tom e circondò il viso di quest’ultimo con le mani. Improvvisamente la porta fu aperta e loro due si staccarono velocemente.
 
“Scusate l’interruzione, ma il pranzo è pronto” disse la domestica dai capelli neri sul ciglio della porta.
 
“Uhm, sì, arriviamo subito” disse e la porta fu chiusa di nuovo.
 
Tom sbuffò. “Non è possibile che ogni volta che pomiciamo qualcuno debba interromperci” si lamentò il rasta e Bill ridacchiò.
 
“Beh, stanotte avremo tutto il tempo di pomiciare, vero, Tomi?” disse con aria maliziosa e Tom sorrise.
 
“Credo proprio di no, Bill, ho promesso a tua madre—”
 
“Lascia stare mia madre, ora hai promesso a me che avremo un incontro ravvicinato questa sera”
 
“Quando mai l’ho fatto?”
 
“Ti dispiace?”
 
“Non mi lamento” Bill e Tom sorrisero all’unisono e poi il moro si alzò dalle gambe del fidanzato.
 
“Muoviamoci, o mamma penserà che facciamo cosacce” disse Bill e aprì la porta, pronto per un imbarazzatissimo pranzo.
 
“Magari” disse Tom ma Bill non lo sentì. Si alzò e seguì il fidanzato, lo affiancò mentre scendevano le scale. “Mi sembra di essere ritornato al liceo. Anzi, nemmeno. Mio padre e mia madre mi lasciavano la casa libera”
 
“Oh, beato te” esclamò Bill e ridacchiò. Entrarono nella sala da pranzo e trovarono sua madre seduta a  capotavola, lei aveva un’espressione neutra sul viso e quando i due ragazzi entrarono nella sala puntò lo sguardo su di loro. La tavola era riccamente imbandita e al loro posto c’erano i rispettivi piatti. Tom si sedette vicino a Bill e guardò il suo piatto inclinando un po’ il capo. Era della carne con delle patate e una salsina arancione.
 
“È anatra all’arancia” sussurrò Bill avvicinandosi a Tom, lo aveva visto momentaneamente perso. “È il piatto preferito di mamma”
 
“Oh” disse e prese la forchetta, non lo aveva mai assaggiato. Guardò a lungo il suo piatto e poi si avvicinò a Bill. “Credi che l’abbia avvelenato?” gli sussurrò.
 
“Scemo” sussurrò Bill a sua volta ma si lasciò sfuggire un sorriso. Tom ne prese un pezzo e l’odorò, non profumava di mandorla amara, ma di arancia. Non c’era traccia di cianuro. Lo portò alle labbra e lo masticò a lungo, poi ingoiò. Non era male, a dire la verità era squisito.
 
“È delizioso, signora Kaulitz, lei è un’ottima cuoca” disse Tom indicandola con la forchetta, Bill rise sotto i baffi.
 
“Non ho cucinato io, Tom” disse tranquillamente continuando a mangiare la sua anatra all’arancia.
 
“Oh, già. Dimenticavo” disse e Bill gli sorrise, Tom era così abituato alla semplicità. Tom era abituato ai pasti cucinati da Simone in persona, Tom era abituato a parlare normalmente con i suoi genitori, Tom era abituato a non sentirsi in imbarazzo nemmeno una volta con loro – seppure il rasta sosteneva il contrario – e Tom era abituato alle tavolate rumorose, alle risate, a parlare a cuore aperto. Tom non sapeva che quando ancora viveva con i suoi genitori diceva di non aver fame per poi scendere e mangiare qualcosa da solo nella cucina. Preferiva il silenzio dovuto alla solitudine che quello dovuto all’inopportunità, preferiva mangiare da solo che con due perfetti estranei – nonostante quei due perfetti estranei fossero i suoi genitori.
 
“Io e Tom andremo a trovare papà nel pomeriggio” disse Bill per rompere quel silenzio imbarazzante. Si aspettava una qualsiasi reazione da parte della madre, una reazione che però non arrivò.
 
“Era ora” disse semplicemente. Sembrava che nulla potesse rompere quell’equilibrio e quella barriera che si era costruita intorno. Bill strinse la forchetta nella sua mano e deglutì.
 
“A volte penso di odiarti” disse all’improvviso Bill. Tom alzò il capo su di lui, Alex strabuzzò gli occhi e finalmente puntò lo sguardo sul figlio. Improvvisamente vide di nuovo il ragazzo che era quando aveva sedici anni; un ragazzo fragile e completamente distrutto. “Mi dispiace di sentirmi così, mamma, e non riesco a credere di starti dicendo questo, ma è quello che penso quando la notte non riesco a dormire. È incredibile come tu abbia iniziato tutto questo, questa guerra inutile. Non dovremmo essere una famiglia?
 
“Lo so che hai problemi con ciò che sono, so che non hai mai avuto la possibilità di vedere tuo figlio esattamente dove lo volevi vedere, come lo volevi vedere, con chi lo volevi vedere. Ti ringrazio anche se ancora non capisco, mi hai permesso di diventare ciò che sono. Nonostante io pensi di odiarti con tutto me stesso, prego sempre perché tu abbia il meglio dalla vita” Bill abbassò il capo per cercare di coprire il suo viso completamente bagnato dalle lacrime. Il viso di Alex era impassibile come al solito, era come se la più piccola, semplice e pura delle emozioni non potesse nemmeno semplicemente sfiorarla. Sospirò completamente distrutto, fuori e dentro. Gli ci era voluto tutto il coraggio che aveva per dire quelle poche parole, ma sua madre si ostinava a non capire. Non capiva che non sopportava più quel silenzio, quella guerra silenziosa. Si alzò e uscì dalla sala di pranzo, il suo piatto era quasi intatto. Tom fece per alzarsi e seguirlo, ma Alex parlò.
 
“No” disse semplicemente guardando la porta da dove era uscito Bill.
 
“Ma Alex—” fu interrotto dal rumore della porta d’ingresso sbattuta violentemente.
 
“Ha bisogno di stare solo” disse e Tom si risedette pensando che non fosse assolutamente vero. Pensò anche che Alex fosse completamente apatica e senza cuore.
 
 
*
 
 
Bill non sapeva dove andare, camminava distrattamente per la strada pensando a quella piccola discussione avuta a pranzo. Era tutta fuorché piccola, perché per lui valeva molto, ma non era nemmeno una discussione perché sua madre non aveva ribattuto nemmeno una volta. Non sapeva nemmeno lui cosa fosse.
 
Senza nemmeno rendersene conto, i suoi piedi lo avevano portato al cimitero dove riposava suo padre, ora finalmente in pace. Entrò notando quanto fosse triste, grigio e vuoto. Non sapeva nemmeno dove fosse la lapide di suo padre, semplicemente camminò finchè non vide la sua foto su un pezzo di marmo. La lapide era di colore grigio e anonima, non aveva nemmeno un fiore. Suo padre, nella foto che sua madre Alex aveva scelto per rappresentarlo, non accennava un sorriso e i suoi lineamenti erano rigidi come al solito, i suoi occhi freddi e vuoti. Era come se lo stesse ancora guardando con disapprovazione e lo stesse silenziosamente giudicando, ancora ora. Lesse il nome di suo padre e s’inginocchiò. Passò la mano sul nome Cornell Kaulitz e chiuse gli occhi, unì le mani a mo’ di preghiera. Il cielo era nuvoloso e grigio esattamente come quel posto, esattamente come si sentiva ora. “Papà, mi ricordo le nostre guerre familiari, il tuo egoismo, ciò che ti aspettavi da me era di più. Avevi un cuore di pietra e io cercavo di combatterti ma ero senza speranza. Vorrei solo che questi pensieri potessero abbandonarmi ma semplicemente non lo fanno. Sembra passato un secolo dall’ultima volta che abbiamo parlato, sono qui e tutto ciò che vorrei ricordare è un tuo gesto carino nei miei confronti, una tua parola dolce. Ma suppongo di non poter riportare indietro ciò che non abbiamo mai avuto.
 
“Hai imparato a tue spese che io non posso essere manipolato, nemmeno tu ci sei riuscito. Sei anche tu senza speranza, vero? Mi piacerebbe moltissimo che il tuo ricordo mi lasciasse in pace ma semplicemente non lo fa.
 
“Papà, voglio ringraziare anche te anche se a volte ancora fa male. Vorrei dirti che ti voglio bene, vorrei dirti che Dio ti possa benedire, ma so che non lo intenderei sul serio e non voglio dirti una bugia, non ora, non qui. Hai fatto il tuo meglio per farmi sentire male, non è vero? Non ho mai avuto l’opportunità di essere me stesso e di dare il meglio, ma voglio comunque che tu abbia il meglio lassù e voglio pregare per la tua pace, perchè nemmeno tu hai avuto l’opportunità di dare il meglio di te, quindi spero che il cielo possa darti una seconda opportunità” il suo viso si riempì ancora di lacrime e chiuse gli occhi. Pregò per davvero che il padre fosse in un posto migliore. “Vorrei solo essere stato il figlio che hai sempre desiderato avere”
 
 
*
 
 
Tom alzò il capo per l’ennesima volta. Erano le dieci e mezza e Bill ancora non era tornato. Sapeva che aveva bisogno di stare da solo, ma solo fino ad un certo punto. Stava iniziando a preoccuparsi e non poco. Aveva provato a chiamarlo ma si era subito arreso perché il moro aveva lasciato il telefono a casa, sbuffò. Era sul letto che avrebbero dovuto condividere ma si stava convincendo che non lo avrebbero fatto. Dove cavoli era Bill? Dov’era stato durante queste otto ore? Che aveva fatto? Era buio fuori e solo le stelle e la luna illuminavano quelle vie per niente affollate. Forse avrebbe dovuto chiamare la polizia e denunciare la sua scomparsa. Si alzò e uscì fuori dalla sua camera sbuffando. Non riusciva a rimanere in quella stanza senza di lui.
 
Il suo stomaco brontolava, non aveva cenato quella sera. Non riusciva a sopportare il silenzio di Alex da solo, così la donna aveva cenato completamente in solitudine. Gli era dispiaciuto anche un po’, perché lui non riusciva a provare rimorso.
 
Improvvisamente la porta d’ingresso fu aperta e poi richiusa, il cuore di Tom si riscaldò perché sapeva che questo non poteva non essere lui. Era tentato di correre da lui, ma per qualche strana ragione non lo fece; tutto ciò che fece era nascondersi nell’oscurità del corridoio. Vide Bill salire lentamente le scale e sussultò: il suo viso era pallido e i suoi occhi erano rossi, doveva essere distrutto. Tom per un momento smise di respirare e rimase a guardare in completo silenzio.
 
La porta della camera dei suoi genitori era aperta e ne proveniva una flebile luce. Sospirò e passò avanti con l’intenzione di entrare in camera sua e dormire al fianco di Tom fino all’indomani mattina.
 
“Bill” il moro sentì un brivido di freddo percorrergli la spina dorsale, chiuse gli occhi e sospirò. La voce di sua madre non sembrava nemmeno più fredda, era carica di qualcosa di nuovo, qualcosa che non sapeva identificare.
 
“Sì?” rispose fermandosi proprio di fronte la porta. Guardava dappertutto tranne dentro.
 
“Vieni qui” disse e per un momento rimase fermo al proprio posto. “Ti prego” inarcò le sopracciglia, sua madre lo stava davvero pregando? Sospirò nuovamente ed entrò nella stanza. Alex era seduta al centro dell’enorme letto matrimoniale in perfetto ordine. Indossava un maglione grigio e una lunga gonna color cuoio, aveva i capelli grigi legati in una coda bassa. “Chiudi la porta, per favore” gli impose quasi dolcemente e Bill corrugò la fronte ma fece ciò che la donna gli aveva detto.
 
“Non sono dell’umore per litigare” disse scuotendo il capo e guardando a terra.
 
“Non avremo l’ennesima discussione” disse la donna e si alzò, si avvicinò lentamente a lui. Incorniciò il suo viso con mani tremanti e Bill strabuzzò gli occhi. Sua madre lo stava toccando. Non lo stava picchiando, lo stava accarezzando. Per un momento pensò che volesse semplicemente strozzarlo, ma poi si alzò sulle punte e gli baciò la fronte, fece rimanere le labbra lì a lungo. Il tocco delle sue labbra era impercettibile quanto dolce e gli trasmetteva calma e soprattutto calore. “Io ti ho accettato” sussurrò sulla sua pelle liscia e Bill inarcò le sopracciglia mentre le lacrime si formavano nuovamente nei suoi occhi, cadevano silenziosamente scivolando lungo le sue guance. Strinse gli occhi e iniziò a piangere in modo silenzioso, le lacrime ricadevano sulle mani di sua madre che però non aveva intenzione di spostarle dal suo viso.
 
“Ti odio, ti odio, ti odio, ti odio!” urlò Bill scoppiando in lacrime e in singhiozzi. Nonostante le parole d’odio che continuava ad urlare contro sua madre, le circondò la vita con le braccia e la strinse a sé fortissimo, come se quello fosse l’ultimo momento che gli rimaneva da vivere. Alex circondò il collo del figlio con altrettanta potenza e gli accarezzò i capelli lunghi e mori, ascoltò ogni singola offesa e ogni sua singola mancanza senza dire nemmeno una parola. Indietreggiarono e finirono sul letto, Bill la stringeva ancora e piangeva ancora come un disperato, ma aveva finito di urlare.
 
Dopo svariati minuti in cui si sentiva solo il singhiozzare di Bill e lo schiocco delle labbra di Alex sulla sua fronte, Bill cercò di calmarsi chiudendo gli occhi. Era stanco morto e aveva bisogno di dormire, ma non voleva lasciare la madre. “Non ti odio sul serio” sussurrò all’improvviso Bill e Alex accennò un sorriso.
 
“Nemmeno io” sussurrò lei di rimando. “Sei la cosa più preziosa che ho” Bill sorrise e cadde in un sonno profondo e senza incubi cullato dal dolce respiro della madre e dalle carezza impercettibili sul capo e dai baci sulla fronte.
 
Tom, accasciato dietro la porta della stanza, poggiò il capo contro la porta e sorrise nell'oscurità.

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Capitolo 21
*** Stare in famiglia. ***



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Capitolo 21.
 
Stare in famiglia.

 
 
 
 
Bill aprì gli occhi lentamente e, con la stessa lentezza, si mise a sedere. Come un flashback gli venne in mente tutto quello che aveva passato con la madre il giorno prima e inizialmente pensò che fosse tutto un sogno, ma poi si rese conto che non poteva esserlo: non era in camera sua, Tom non era accanto a lui. Era nella camera dei suoi e, per la prima volta, aveva dormito nel letto della madre con quest’ultima, ma lei ora non era qui. Si scostò le calde coperte di dosso e si alzò, uscì fuori nel corridoio ed entrò in camera sua. Il suo letto era sfatto ma nemmeno di Tom c’era traccia. Sentì puzza di bruciato e fece una smorfia, proveniva dalla cucina. Si aggiustò i capelli per rendersi quantomeno presentabile agli occhi di Tom e scese.
 
“Assaggia” diceva sua madre.
 
“Perché io? Fallo tu” rispondeva Tom. Da quando erano passati dal lei al tu?
 
“Io sono anziana, Tom, mi verrà un accidente! Tu invece sei giovane e forte, non ti succederà nulla”
 
“Alex, è latte, non veleno”
 
“Può darsi che lo sia, Tom. Può darsi che lo sia”
 
Bill entrò in cucina e si appoggiò allo stipite della porta, incrociò le braccia. Tom e Alex si fermarono dal fare qualsiasi cosa stessero facendo per guardarlo. Sua madre indossava un lungo vestito bianco e aveva i capelli raccolti in uno chignon disordinato, protraeva un cucchiaio verso Tom. Quest’ultimo aveva le sopracciglia inarcate mentre guardava Bill, era immobile. “Posso sapere cosa state facendo?” chiese Bill facendo passare lo sguardo da sua madre al suo ragazzo.
 
“Nulla, Bill, stavo cercando di preparare la colazione, ma ho lasciato il latte troppo sul fuoco e volevo che Tom lo assaggiasse per vedere se era ancora buono” disse sua madre abbozzandogli un sorriso.
 
“Ovvero voleva che mi ustionassi per vedere se era diventato veleno o meno” disse Tom facendo una smorfia.
 
“Oh, capisco. La domestica si è presa un giorno di ferie?” chiese entrando in cucina, storse il naso: c’era puzza di bruciato. Guardò il forno e notò che era acceso, corse e lo spense immediatamente. Dentro c’era una torta al cioccolato leggermente bruciata ai lati.
 
“No, insomma, sì. Gliel’ho concesso io: pensavo che sarebbe stato carino prepararti la colazione, il pranzo e la cena” disse e Bill inarcò le sopracciglia.
 
“Tu volevi prepararmi da mangiare?” chiese coprendosi la bocca con la mano destra, vide la mamma annuire. “E perché l’avresti fatto?”
 
“Pensavo fosse una cosa carina, non lo è?” chiese e improvvisamente il suo volto si scurì.
 
“Lo è, mamma, lo è. È solo che— non me lo sarei mai aspettato” disse Bill ed era la verità: forse quella era la prima volta in cui sua madre cucinava. Era sempre stata abituata che qualcuno lo facesse al posto suo, sin da quando era una bambina, e ora vedere che stava cucinando per Bill, per suo figlio, gli faceva capire quanto fosse disposta a cambiare.
 
“Non mi vieni ad abbracciare?” disse Alex e Bill fece un sorriso che andava da un orecchio ad un altro, corse verso di lei e la strinse forte, sua madre fece cadere il cucchiaio a terra che provocò un forte rumore e poi gli circondò la vita con le braccia.
 
“Sì, abbraccio di gruppo!” esclamò Tom e corse verso i due, abbracciò entrambi.
 
“Tom, va via!” si lamentò Alex e cercò di divincolarsi dal suo abbraccio.
 
“Che bello essere in famiglia” disse Tom e sospirò, godendosi il calore di quell’abbraccio. Bill scoppiò a ridere e non potè non dargli ragione.
 
 

*

 
 
Alex mandò un’occhiataccia a Tom, guardò la scacchiera e poi mosse una pedina, mangiò il re di Tom. “Scacco matto” disse e Tom inarcò le sopracciglia, era impossibile che Alex avesse vinto. Oppure sì, dato che le pedine di Tom erano state tutte mangiate mentre quelle della donna erano ancora tutte in gioco.
 
“Beh, ti ho fatto vincere, Alex” disse e si stiracchiò, la donna lo guardò male.
 
“Sì, certo” disse mettendo in ordine le pedine, Tom ridacchiò. “Credo che andrò a dormire, sono stanca morta, non ho fatto altro che cucinare oggi” si alzò e richiuse la scacchiera, Bill alzò il viso dal libro che stava leggendo di fronte al fuoco. Era stata davvero una giornata piena per tutt’e tre, soprattutto per Bill ed Alex. Avevano avuto l’opportunità di fare tutto ciò che non avevano fatto durante quegli anni, come ad esempio fare un puzzle, fare giardinaggio, giocare a Monopoli, oppure tirare fuori i vecchi album di famiglia e commentarli insieme. Erano cose normali e generalmente noiose che hanno riscaldato il cuore di Bill.
 
“Vai a letto?” chiese Bill e Alex annuì, si andò a sedere vicino a lui.
 
“Non credi sia ora anche per voi di andare a letto?” chiese la donna e Bill guardò l’orologio sul camino, segnava le dieci.
 
“Mamma, sono le dieci!” esclamò e chiuse il libro, lo posò accanto a lui. Alex rise e si alzò, si avvicinò al figlio e gli diede un bacio sulla fronte. Bill sussultò, ancora non abituato alla situazione, ma si spinse contro quel tocco caldo. “Buonanotte”
 
“Buonanotte, tesoro” disse Alex e se ne andò.
 
“Buonanotte, Alex!” gridò Tom con un sorriso a trentadue denti, la donna sospirò.
 
“Buonanotte anche a te, Tom” disse e salì sopra.
 
“Tom, vieni qui” disse Bill e batté la mano sul divano. Tom non se lo fece ripetere due volte e si sedette accanto a lui, Bill immediatamente salì sulle sue gambe e si accoccolò contro il suo petto. “Sei stato gentile a stare dietro a me e mamma, oggi”
 
“Piuttosto è stata tua madre a stare dietro di me” disse e Bill sbuffò una risata, Tom iniziò ad accarezzargli i capelli dolcemente e lentamente, il moro chiuse gli occhi. “Mi adora”
 
“Sì, ti adora” disse più per assecondarlo che per altro. Alzò il capo e inaspettatamente lo baciò, Tom chiuse lentamente gli occhi e si lasciò andare alla sensazione che quel semplice tocco gli provocava. Bill si staccò per bagnarsi le labbra con la lingua e circondò il viso di Tom con le mani, ricongiunse velocemente le loro labbra. Inclinò il capo e leccò le labbra di Tom, quest’ultimo fu felice di accogliere la sua lingua. “Credo che ti meriti un premio” sussurrò maliziosamente e sorrise, Tom aprì gli occhi e lo guardò.
 
“Mi prepari una torta al cioccolato?” chiese innocentemente e Bill sorrise.
 
“Meglio!” disse e Tom corrugò la fronte.
 
“Ma io voglio la mia torta al ciocc —Oh” Bill si era tolto la maglia e l’aveva gettata in terra, Tom boccheggiò a lungo. “Ora capisco cosa intendi” disse e accarezzò la gamba di Bill, quest’ultimo si gettò sul collo del rasta e baciò e morse ogni centimetro che riusciva a raggiungere, Tom si lasciò scappare un gemito.
 
 

*

 
 
La mattina successiva Tom si svegliò a causa della suoneria del suo telefono cellulare, mugugnò qualcosa e poi lo prese. Sospirò quando vide chi lo stava chiamando. Sbuffò perché non aveva voglia di parlare con sua madre proprio in quel momento: era nel letto con Bill e lui si era accoccolato a lui, erano entrambi ancora nudi e Tom si stava ancora beando della bellissima sensazione post orgasmo. Ma seppure sua madre potesse sembrare gentile e dolce, sapeva che in realtà era peggio di un comandante di grado militare. Sospirò e si scostò le coperte di dosso, si alzò facendo attenzione a non svegliare Bill, si infilò le mutande ed uscì fuori. “Mamma?” chiese e si passò una mano tra i rasta sciolti.
 
“Oh, Tom! Proprio te cercavo, disgraziato! Ma si può sapere dove cavoli sei? Io e tuo padre stiamo bussando alla tua porta da qualcosa come mezz’ora!” urlò sua madre e Tom assottigliò gli occhi, allontanò il telefono dall’orecchio.
 
“Mamma, non sono a casa”
 
“E questo lo avevo capito!”
 
“Sono a casa della madre di Bill”
 
“Cosa? Cosa cosa? Cosa?! E perché non me lo hai detto?!” chiese la donna e Tom roteò gli occhi.
 
“Perché ti conosco mamma, e so cosa ti sta passando per la testa in questo momento: vuoi che te la passi, vero?” chiese appoggiandosi al muro.
 
“Esatto, Tomi! Voglio assolutamente conoscere la graziosa creatura che ha messo al mondo quella graziosa creatura che è Bill” disse Simone, completamente innamorata di Bill, Tom scosse il capo.
 
“No, mamma. Alex non è graziosa, è semplicemente—”
 
“Poche chiacchiere, Tom! Io e tuo padre abbiamo voglia di conoscerla! A proposito, sai come si mette l’altoparlante qui?!”
 
“Vorrai dire il vivavoce, mamma” chiese e incrociò le braccia, entrò in camera silenziosamente. “Datemi il tempo di indossare qualcosa”
 
“Tomi! Non è possibile che dormi in mutande a casa degli altri, sei un animale! Chi te l’ha insegnata l’educazione?!” esclamò sua madre e Tom alzò lo sguardo al cielo, indossò la sua tuta aderente grigia.
 
“Tu!” sussurrò e uscì chiudendo la porta, scese giù in salotto a piedi nudi.
 
“Ciao Tom! Sono papà!” esclamò Gordon e Tom si morse le labbra, entrò nella sala da pranzo.
 
“Uhm, ciao papà. Non vorrei sembrare inopportuno, ma perché siete venuti a casa mia?” chiese fermandosi sulla porta e vide Alex intenta a fare colazione.
 
“Ho fatto le lasagne!” urlò sua madre e Tom sospirò.
 
“Avrei dovuto saperlo” disse e camminò verso Alex con il telefono in mano. “Alex? Mamma e papà vogliono parlare con te”
 
“I tuoi genitori?” chiese e Tom annuì. “E perché?” il rasta alzò le spalle nude. Alex posò la fetta biscottata ricoperta di marmellata di fragole e prese il telefono di Tom in mano, lo portò all’orecchio. “Pronto?”
 
“Oh, ciao! Tu devi essere la mamma di Bill. Devo assolutamente dirti che Bill è una persona deliziosa, è sempre gentile e disponibile, è un amore. Sono letteralmente innamorata di tuo figlio”
 
“Innamorata?” ripetè Alex e Tom si spiaccicò una mano sulla fronte.
 
“Sì, e lo è anche mio marito! Si chiama Gordon”
 
“Tuo marito?!” ripetè Alex e Tom sospirò. “Uhm, nella vostra famiglia è usanza che quando suo figlio s’innamora di qualcuno, anche la famiglia intera deve innamorarsene? Si fa tutto in famiglia?”
 
“Oh, no, sciocca! È un modo di dire, insomma, voglio molto Bill, ma non tanto da mettergli un anello al dito. Il mio dito è già occupato. Il compito spetta a Tom” disse Simone e rise, Alex strabuzzò gli occhi.
 
“S-Sta già parlando di matrimonio?!” chiese Alex e Tom strabuzzò gli occhi.
 
“No! No, no! Diamo tempo al tempo, ma io e Gordon vorremmo dei nipotini e—”
 
“Bill è ancora puro e innocente, non si può già parlare di matrimonio e — e nipotini!” Tom rise sotto i baffi. Se Alex sapesse come lo aveva trattato Bill giusto ieri sera non avrebbe mai più pensato che fosse puro e innocente. “È stato un piacere fare la sua conoscenza, ma preferisco aspettare ancora un po’” chiuse la telefonata e diede il telefono a Tom, gli mandò un’occhiataccia. “Bill è mio, quindi non provare a posare le tue luride manacce sul suo corpo, d’accordo?!”
 
Tom deglutì. “D’accordo”



Chapter End Notes:
Here I am! Grazie a tutti per le vostre recensioni, siete dei tesori:)♥
Se vi va, vi consiglio di passare dalla mia nuova storia Dollhouse, giusto per dare un'occhiata. Grazie se lo farete!♥
echois

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Capitolo 22
*** Riunione generale. ***



Banner bellissimo fatto da Bill Kaulitz (passate da lei, assolutamente!). Grazie ancora, tesoro! xx
 







 

Capitolo 22.

Riunione generale.


 






 


 


“Sei proprio sicuro di questo?” chiese Tom non appena Bill entrò nella sala da pranzo, i piatti vuoti in mano.


 

“Questo cosa?” chiese posizionando i piatti a tavola.


 

“Sicuro che tua madre non ci ucciderà involontariamente?” chiese e incrociò le braccia, Bill si fermò inarcando le sopracciglia e si girò a guardarlo.


 

“No, non ne sono sicuro” ammise e Tom sospirò, alzò lo sguardo al cielo. “Senti” sussurrò e si avvicinò a lui. “So che mamma non è una cima in cucina, ma sta cercando di essere carina nei nostri confronti—”


 

“Nei tuoi confronti” lo corresse Tom, Bill si morse le labbra.


 

“Sì, nei miei confronti” scosse il capo e ritornò a guardare il suo ragazzo. “Quindi cerchiamo di mangiare tutto e magari di farle dei complimenti”


 

“Ma se le facciamo dei complimenti lei si monterà la testa e continuerà a cucinare!” disse Tom e Bill sospirò.


 

“Se continuerà a cucinare migliorerà”


 

“Ma tu sei proprio sicuro?” gli chiese di nuovo, Bill si grattò la guancia.


 

“No, non lo sono” Tom sbuffò e Bill gli sorrise. “È solo per ora, nel pomeriggio ce ne andremo e stasera mangeremo in modo normale”


 

“Questo vuol dire che da stasera inizierò a mangiare di nuovo un cinghiale e tu un avocado” disse e ridacchiò da solo alla sua battuta non divertente, Bill gli diede uno schiaffo sul braccio. “Dammi un bacio” pretese e lo strinse tra le sue braccia, Bill sorrise e alzò il capo per far congiungere le loro labbra.


 

“Hai piani per stasera?” chiese Bill tra un bacio e l'altro, incorniciò il viso di Tom con le mani.


 

“Avevo intenzione di invitarti a dormire” disse Tom e gli baciò la mascella, scese giù fino al collo.


 

“Faremo un pigiama party?” chiese Bill ridacchiando, gemette silenziosamente e chiuse gli occhi. I baci di Tom lungo il collo, la sua parte più debole, lo facevano letteralmente andare fuori di testa. In più Tom sapeva decisamente come muoversi.


 

“Una specie” disse e si staccò, gli sorrise. “Ma non portarti il pigiama” Bill rise ma la sua risata fu interrotta quando Tom posò le sue labbra su quelle del moro, fu svelto a chiudere gli occhi e a ricambiare il bacio. Portò le mani nei rasta di Tom e iniziò a tirarglieli dolcemente.


 

“Staccatevi!” urlò Alex e immediatamente lo fecero, si guardarono negli occhi completamente rossi in viso. “Tom, ci sono visite per te”


 

Tom corrugò la fronte si girò. “Ciao amore! Ciao Bill, tesoro! Come state?” chiese una Simone visibilmente eccitata. Al suo fianco, Gordon si guardava intorno ispezionando l'interno di quella casa enorme.


 

“Simone!” esclamò Bill facendo un sorriso che andava da un orecchio all'altro.


 

“Mamma! Che diavolo ci fai qui?” chiese Tom strabuzzando gli occhi. Era un incubo, i suoi genitori erano un incubo. Oramai non poteva andare da nessuna parte: quei due psicopatici lo avrebbero seguito anche in capo al mondo. Non sapeva però come avessero fatto a rintracciarlo. “Come avete fatto a capire in che parte del mondo mi trovavo?!” chiese sbigottito ai suoi.


 

“Diciamo che Gustav ci ha dato una mano rintracciando su internet il microcip del tuo telefonino” disse Simone e Tom fece per dire qualcosa quando due voci familiari lo interruppero.


 

“Ehi, salve a tutti!”


 

“Buongiorno!”


 

“Georg, Gustav! Voi siete complici di quei due diavoli?!” chiese Tom vedendo entrare i suoi due amici, le due G si guardavano intorno perchè probabilmente non avevano mai visto una casa così grande e così bella. “Lo sapevo! Voi quattro volete rovinarmi l'esistenza!”


 

“Salve signora Kaulitz, il mio nome è Georg Listing, sono un caro amico di suo figlio” disse sorridendo ad Alex, prese la sua piccola e debole mano destra tra le sue, enormi al confronto.


 

“Ma non è vero!” disse Tom e si mise le mani nei rasta, Bill ridacchiò e si avvicinò a lui, gli accarezzò lentamente il petto.


 

“Oh, lasciali fare, Tomi: sembra che a mamma stiano piuttosto simpatici” sussurrò sorridendo e Tom sospirò.


 

“Se lo dici tu”


 

“Bill, leva quelle tue delicate mani dal petto di quella belva!” urlò Alex, Tom chiuse gli occhi sospirando mentre Bill si allontanava. Perchè non poteva essere circondato da persone che si comportavano in modo normale?


 

“Buongiorno, dolce fanciulla. Il mio nome è Gustav Schafer, lei deve essere la sorella attraente di Bill” disse Gustav spingendo in là Georg. Prese la mano di Alex e la portò alle labbra, lasciò un delicato bacio. Tom strabuzzò gli occhi e inarcò le sopracciglia, spalancò la bocca guardando la scena. Gustav ci stava provando con Alex, con Alex! Avanti, si capiva che non era né la sorella di Bill, né attraente! Gustav aveva dei gusti orribili in fatto di donne.


 

“Gustav, non provare a provarci con mia suocera!” urlò Tom e gli mandò un'occhiataccia, incrociò le braccia.


 

“Tua cosa?!” esclamò Alex e si girò per mandargli un'occhiataccia. “Per mettere l'anello al dito di mio figlio dovrai passare sul mio corpo!”


 

“Oh, suvvia, Alex, i ragazzi non hanno fatto nulla di male” disse Simone sorridendo e poggiò la teglia che aveva sempre avuto in mano sul tavolo da cucina. “Comunque io sono Simone, la mamma di Tom. Sono strafelice di fare la tua conoscenza!” esclamò e strinse Alex in un forte abbraccio, la donna strabuzzò gli occhi. “Ho portato il mio ricettario in modo da poterci scambiare qualche ricetta! L'ho messo proprio in borsa” frugò a lungo nella sua borsa e alla fine cacciò un libro rosa con su scritto 'Ricettario di Simone'. Tom ricordava perfettamente quel quadernino: sua madre soleva scrivervi sopra ogni tipo di ricetta. “Ecco, ho portato anche una penna. Fantastico, no? Ora posso prendere appunti!”


 

“I-Io—” borbottò Alex guardando Simone. Quest'ultima aveva un sorriso splendente stampato in faccia e aveva il quadernino rosa in mano, una penna nell'altra e stava guardando Alex in attesa di qualche perla.


 

“Io invece sono Gordon, il padre di Tom! Sì, il padre, non il fratello: tutti pensano che siamo fratelli, ma in realtà sono suo padre” disse suo padre facendosi avanti verso Alex.


 

“Ma non è vero!” esclamò Tom, Gordon lo ignorò.


 

“È assolutamente vero, dovrei tatuarmi in fronte 'non sono il fratello di Tom ma suo padre'. Solo che non ho la fronte così grande e temo che non c'entrerebbe” disse e scoppiò a ridere, Tom strabuzzò gli occhi. Simone iniziò a ridere, successivamente Georg, poi Gustav e alla fine anche Bill perchè quelle risate erano travolgenti. Gli unici che non ridevano erano Tom e Alex, quest'ultima sospirò. Ma perchè aveva aperto loro? Non poteva lasciarli fuori?


 

“Comunque, Alex, mi dispiace se siamo arrivati così inaspettatamente, ma sai, pensavo che ti fossi arrabbiata al telefono e non volevo assolutamente! Per il disturbo ho anche preparato le lasagne!” disse e indicò col pollice le lasagne che aveva poggiato sul tavolo.


 

“Mamma, ti adoro!” esclamò Tom e gemette di dolore quando ricevette una gomitata nel fianco da parte da Bill. “Volevo dire, mi dispiace non gustare la cucina di Alex”


 

“Fa niente Tom, in fondo ho bruciato il pollo” disse Alex incrociando le braccia e Tom sospirò. Sua madre lo aveva salvato all'ultimo minuto da una possibile intossicazione alimentare.


 


 

*


 


 

La tavolata si era allargata e i posti da tre erano aumentati a sette, il silenzio era diventato presto inesistente e aveva ceduto il posto alle chiacchiere e alle risate e i piatti erano stati velocemente riempiti dal buon cibo preparato di Simone. Le papille gustative di Tom stavano letteralmente facendo sesso quando portò alla bocca un pezzo di lasagna. Sua madre si superava ogni volta.


 

“Gustav, mi spieghi come facevi a saper ricavare dove mi trovavo dal microcip del mio telefono?” chiese Tom all'amico seduto proprio di fronte lui.


 

“È stato un gioco da ragazzi” disse Gustav e bevve un bicchiere d'acqua. “Ho avuto un passato da stalker”


 

“Lo avevo immaginato” disse Tom masticando, scosse il capo.


 

“Quindi gestite un bed and breakfast?” chiese Alex seduta a capotavola. Simone era proprio alla sua destra mentre Gordon alla sua destra.


 

“Esatto. Non finiamo mai d'imparare!” esclamò e ridacchiò portandosi una mano sulla bocca. “Pensa che ieri stavo mettendo a posto la camera di alcuni clienti e ho trovato una strana bustina piccola, conteneva della polvere bianca. Ho chiesto al ragazzo cosa fosse e lui mi ha detto che era zucchero di canna. Lo sapevi, Alex, che lo zucchero di canna è una valida alternativa allo zucchero di uso comune?”

 

“Mamma!” esclamò Tom strabuzzando gli occhi. “Lo zucchero di canna è marrone!”


 

“E quindi?” chiese la donna inclinando un po' il capo.


“Quello che hai trovato era eroina, cocaina o quant'altro!” disse il figlio e si spiaccicò la mano sulla fronte, Bill scoppiò a ridere.


 

“Okay, Simone, entri nel pallone per un po' di maizena e quando trovi della cocaina la scambi per zucchero di canna?” disse Bill e ritornò a ridere, Tom si massaggiò una tempia.


 

“Non sono psicologicamente preparato per questo” sussurrò il rasta.


 

“Oh, cavolacci, Gordon! Ci faranno chiudere!” disse Simone e guardò spaventata il marito di fronte a sé. “Corro a chiamare Mark!” la donna si alzò da tavola e afferrò il suo telefono, corse a chiamare Mark fuori dalla sala da pranzo.


 

“Comunque queste lasagne sono davvero ottime, credo che sarà Simone che dovrà darmi qualche ricetta e non viceversa!” disse Alex finendo le sue lasagne.


 

“Già, mia moglie è ottima in cucina” disse Gordon guardandosi intorno. “Comunque hai davvero una grande e bella casa, Alex”


 

“Oh, grazie. L'ha costruita il padre di mio mari—”


 

“Perchè non apri un bel bed and breakfast?”


 

“Papà! Non qui!” lo riprese Tom e Bill rise, rise così tanto. Rise perchè si sentiva finalmente a casa, si sentiva bene dopo tanto e sapeva che finalmente tutto andava bene, come voleva lui. Aveva il suo ragazzo accanto a lui, aveva la sua famiglia – seppur mancasse suo padre e solo il cielo sapeva quanto si sentisse amareggiato per non aver fatto pace con lui prima che se ne andasse -, aveva i suoi amici e aveva la famiglia di Tom. Cosa voleva di più dalla vita? Mise una mano sulla coscia di Tom e lui lo guardò, il rasta sospirò. “Io non ce la faccio più. Sono Satana in persona questi due, mi manderanno in manicomio! Mi faranno impazzire e—”


 

Bill interruppe il suo flusso di parole con un bacio, Tom strabuzzò gli occhi perchè si ritrovò impreparato. “Ti amo” sussurrò Bill sulle sue labbra e poi continuò a baciarlo, il biondo chiuse gli occhi e si spinse a quel contatto.


 

“Anche io” sussurrò e continuò a baciarlo.


 

“Ehi, voi due!! Staccatevi!” 



Chapter End Notes:
Sob, piango. E piango perchè questo era il penultimo capitolo, il prossimo - che sarà relativamente breve - sarà l'ultimo. Piango lacrime amare!! Mi ero affezionata a questi psicopatici:'(
alla prossima (ovvero l'ultima t.t)
echois ♥

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Capitolo 23
*** Epilogo. ***



Banner bellissimo fatto da Bill Kaulitz (passate da lei, assolutamente!). Grazie ancora, tesoro! xx
 




 







 

Epilogo.






 


 

Due anni dopo.


 


 

“Funziona?” chiese Tom seduto su una delle due sedie che lui e Bill avevano posto di fronte la videocamera.


 

Bill corrugò la fronte e guardò a lungo l'oggetto tra le sue mani, poi schiacciò un pulsante e improvvisamente la videocamera si accese. “Certo che funziona” disse e la poggiò sul tavolo, corse per raggiungere il suo ragazzo. Guardò nell'obbiettivo e sorrise. “Ciao, io sono Bill”


 

“E io sono Tom” disse e mise il braccio intorno le spalle del suo ragazzo. “Se stai guardando questo video vuol dire che sei stato invitato al nostro matrimonio” disse e non potè trattenere un sorriso. Alla fine si era trasferito inevitabilmente e definitivamente a casa di Bill. Aveva iniziato dal dormire a casa sua e a lasciare piccole cose a casa sua, come la sua cera per i rasta, o la maglia che aveva indossato quel giorno. Poi il cassetto di Bill si era riempito di cose di Tom e allora il suo ragazzo aveva trovato opportuno che si trasferisse in casa sua. Inutile dire che Simone era felicissima della decisione presa dai due ragazzi – anzi, dalle decisioni. Gordon era altrettanto felice, ma il suo temperamento pacato equilibrava quella relazione. Alex, invece, quando aveva saputo che i due ragazzi si stavano per sposare e che avrebbero condiviso la casa insieme stava quasi per perdere i sensi. Bill sarebbe completamente sfuggito al suo controllo e non sarebbe stato più di sua proprietà. Poi aveva pensato che forse non lo era mai stato. Aveva fatto promettere a suo figlio di mantenere la sua verginità il più a lungo possibile e che “se quell'energumero del tuo fidanzato” lo avesse toccato senza che lui lo volesse o gliel'avesse chiesto, sarebbe immediatamente corso da lei. Bill aveva accettato mentre Tom era quasi a terra dalle risate.


 

Le dipendenti e le colleghe di Bill e Tom invece avevano organizzato una grande festa per celebrare il sì di entrambi i ragazzi. Ma né Tom né Bill avevano detto loro nulla, sembrava che quelle figlie del diavolo sapessero le cose ancora prima che accadessero. Vera Wang aveva chiamato pochi giorni fa Bill per chiedergli se fosse stata invitata anche lei e, mentre il moro stava per risponderle, lei aveva detto che invitata o meno sarebbe venuta lo stesso. Andreas sembrava essere stato il meno contento di tutti, ma questo era normale e Bill comunque non si aspettava che saltasse di gioia.


 

“Vi prego di mandarci una e-mail con la vostra partecipazione al più presto, grazie!” disse Bill rivolgendo l'ultimo sorriso alla telecamera e poi si avvicinò per spegnerla.


 

“Uhm, Bill, devo dirti una cosa” disse Tom massaggiandosi una tempia. Sembrava serio e atono, una volta tanto. Bill inarcò un sopracciglio e si girò a guardarlo.


 

“C'è qualcosa che non va?” chiese dedicando tutta la sua attenzione a Tom.


 

“In realtà sì. Questo matrimonio—” Tom sospirò e si massaggiò la fronte, abbassò lo sguardo. Bill strabuzzò gli occhi e il cuore iniziò a battergli forte. Doveva ammettere che il primo pensiero che gli balenò in testa fu quello che Tom non fosse pronto per il matrimonio, o peggio, non volesse più sposarlo. Oh, di sicuro Bill lo avrebbe picchiato se glielo avesse detto. Avevano speso un sacco in vestiti, fiori e decorazioni e non poteva tirarsi indietro proprio ora. “Non lasciare che mia madre ficchi il naso nell'organizzazione del matrimonio” disse e guardò Bill. Quest'ultimo si accasciò a terra e voleva strozzare Tom e baciarlo allo stesso momento. “Bill? Stai bene?” chiese inclinando il capo e s'inginocchiò vicino a lui.


 

Bill alzò il capo e lo guardò, era un po' pallido. Improvvisamente sorrise e lo baciò circondando il suo viso con le mani. Aveva detto stesso lui che per l'organizzazione del matrimonio avevano speso un sacco, ora non poteva strozzare il suo marito. Era semplicemente costretto a portarlo all'altare. “Se non glielo permetto mi odierà” disse staccandosi e poggiando il capo contro la fronte di Tom che assottigliò gli occhi.


 

“C'è una percentuale dello 0,001 che mia madre inizi ad odiarti” disse e Bill ridacchiò, si alzò.


 

“Ad ogni modo, non voglio correre il rischio” disse e si tolse la maglia, la gettò in terra. “Vado a farmi una doccia, mi raggiungi?” chiese e Tom inarcò le sopracciglia e sul suo volto nacque un bellissimo sorriso.


 

Il suo momento di eccitazione post proposta indecente di Bill fu interrotto dal suono del telefono, grugnì e Bill ridacchiò, corse in bagno mentre Tom prese quel dannato aggeggio. “Pronto?” chiese piuttosto infastidito e si grattò il collo.


 

“Tom? Passami Bill” disse Alex con il suo solito tono acido e Tom sospirò. Alex interrompeva i momenti di intimità tra lui e Bill anche a chilometri di distanza.


 

“Ugh, non posso. Sta—” inizialmente voleva semplicemente dirgli che Bill era sotto la doccia, ma poi decise di divertirsi un po'. “Si sta prendendo la comunione”


 

“La comunione?” chiese Alex letteralmente scioccata. “Ma dove si trova?”


 

“In chiesa. Dove può prendere la comunione?”


 

“Oh, il mio bambino! È così cattolico” disse sospirano beata.


 

“Sì, sta aspettando la cappella”


 

“Cosa?”


 

“Nulla” disse Tom ridacchiando sotto i baffi.


 

“E perchè tu sei a casa? Dì un po', sei per caso ateo?” chiese Alex e Tom si morse un labbro per non ridere.


 

“No, ma ho avuto un'illuminazione. Il signore mi ha detto che la castità è l'unica via che posso seguire e mi ha imposto di dire cento ave marie in solitudine, per questo sono uscito prima. Hai interrotto il mio momento di preghiere” inventò e Alex sussultò.


 

“Oh, Tom, perdonami! Quando il Signore dice qualcosa, quel qualcosa deve essere fatto! Ora ti lascio in pace, ritorna alle tue preghiere” disse e stava quasi per riattaccare, quando la donna esclamò: “Non dimenticare che il signore ti ha imposto la via della castità!”


 

“Non preoccuparti, Alex. Ciao, buona giornata” disse e attaccò. Guardò il telefono e scoppiò a ridere. Era incredibile quanto Alex conoscesse poco suo figlio e a quanto credesse alle stronzate. Bill in chiesa? Oh, Bill non sapeva nemmeno come fosse fatta. Sospirò e corse a raggiungere Bill nella doccia.



Chapter End Notes:
Ecco l'ultimo, sigh. Lo so che avevo promesso di non farvi aspettare troppo, ma un po' per lo studio che occupa tutto il mio tempo, un po' perchè mia sorella (come una stupida) aveva dimenticato il caricabatterie del computer e lui era scarico morto, non ho potuto aggiornare.
E questo è l'ultimo capitolo! Spero che vi sia piaciuta e che vi abbia fatto ridere un sacco (era il mio obiettivo!). Spero inoltre di rivedervi prestissimo, magari un una nuova storia, o magari in quella che sto già scrivendo x :)
Grazie a tutti per le vostre bellissime recensioni, per i vostri commenti, per esservi immedesimate nella storia. Grazie per le critiche, e grazie per aver riso con me mentre scrivevo questa stronzata. Non ho parole per dirvi quanto vi sono grata:)
echois xx

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