Screaming Bloody Murder

di myavengedsevenfoldxx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jenuary 2005 ***
Capitolo 2: *** April 1998 ***
Capitolo 3: *** April 2005 ***
Capitolo 4: *** May 2005 ***
Capitolo 5: *** Pulvis eris et in pulverem reverteri ***
Capitolo 6: *** Fiducia ***
Capitolo 7: *** Ricominciare ***
Capitolo 8: *** May 1994 ***
Capitolo 9: *** Fottute Coincidenze ***
Capitolo 10: *** Friend ***
Capitolo 11: *** Avenged Sevenfold ***
Capitolo 12: *** Under ground ***
Capitolo 13: *** Non plus ultra ***
Capitolo 14: *** Car Crash ***
Capitolo 15: *** Gelosia ***
Capitolo 16: *** Almost Easy ***
Capitolo 17: *** Carry On ***
Capitolo 18: *** In The End ***



Capitolo 1
*** Jenuary 2005 ***


I
I pray by the Grace of God
That there’s somebody listening



 

Gennaio 2005


 

-fate girare quella cazzo di bottiglia- sbraitò la ragazza bionda seduta a fianco di me, era mezza ubriaca e nonostante questo aveva in mano un bicchiere colmo di un liquido tendente all’arancione, non era di certo aranciata quella roba lì.
Il ragazzo alla mia destra girò la bottiglia, aveva i capelli rossi e le lentiggini, era magrolino, si chiamava Carl, mi pare. Il collo della bottiglia continuò a girare, fissavo imperterrita la bottiglia di Jack Daniel’s che girava in quel sudicio pavimento sporco della villa della mia amica. La mia amica, Elizabeth aveva appena compiuto 18 anni e aveva invitato metà paese e oltre alla sua festa, io la conoscevo da un paio d’anni, era una via di mezzo tra una secchiona e una puttana. Avete presente quelle persone che hanno ottimi voti, ma vanno con tutti? Ecco, lei era così. Aveva una media alta, la migliore dell’istituto ed era una morta di cazzo, di sicuro in quel momento si stava trombando qualcuno nella sua camera, era un peccato sciupare così tanta bellezza e intelligenza per una vita misera come la sua, se fossi stata in lei avrei fatto ben altro. Invece no. Avevo lasciato la scuola per mancanza di soldi, avevo un lavoro part time al negozio di dischi e vinili al paese affianco ed ero asociale, e odio parlare di me. Anzi no, non è che lo odio, ma preferisco che gli altri mi conoscano per come sono quando hanno davvero imparato cosa vuol dire vivere davvero e non saper cosa fare quando il mondo vuole che tu scelta immediatamente, senza ripensamenti e devi fare la scelta giusta sennò avrai una brutta fine.

“fa che non si fermi a me ti prego”, era quello che speravo, quel ragazzo lo odiavo, e non lo conoscevo nemmeno. Già il fatto che fosse rosso di capelli mi irritava, per di più toccava il culo a tutte quelle che passavano; come sperato il collo si fermò davanti alla ragazza bionda ubriaca di prima che fissò prima la bottiglia e poi Carl, fece spallucce, si alzò e andarono al bagno a pomiciare o fare qualche cos’altro per 10 minuti, quella era l’obbligo se capitavi girando la bottiglia. Prima una aveva dovuto fare un lavoretto poco consono ad uno sfigato con l’apparecchio e gli occhiali, mentre un’altra ancora ha dovuto sverginarsi, sì era vergine e l’ha dovuto fare, sennò sarebbe finita male. Da noi tutti conoscono tutto di tutti, tutti sanno con chi parli, se sei un pervertito, se hai rapporti sessuali, la situazione economica dei tuoi … le cose non passavano inosservato. Bene, quella ragazza che hanno sverginato aveva il padre che molestava la madre e il fratello che spacciava, se non avesse fatto quanto il gioco richiedeva, avrebbero fatto una chiamata anonima alla polizia e denunciato il fratello, non scherzavano, l’avrebbero fatto davvero. dato che la situazione economica della povera ragazza girava attorno al guadagno del fratello, lei dovette farlo col ragazzo che le capitò, un giocatore di football di 23 anni con i capelli rasati. Tornò paralizzata, ma viva. Dopo 10 minuti era scappata via piangendo. 

Non avevo scelto io di giocare a quel gioco, mi ci avevano tirato in ballo contro il mio volere, odiavo quei giochi anche se in quel momento non prestavo molta attenzione, ero concentrata sul ragazzo che stava di fronte a me: alto, capelli neri, zigomi affilati, braccia muscolose e tatuate e il nostril, cazzo se ispirava sesso . le sue mani erano abili e veloci come se suonasse la chitarra, aveva uno sguardo che ti inchiodava al pavimento ei il petto andava su e giù al ritmo del suo respiro calmo. Aveva anche le nocche tatuate, aveva la scritta Marlboro e al capo portava una semplice bandana nera.  Se ve lo state chiedendo, sì ho accettato di giocare solo per lui, non l’avevo mai visto in paese ed era quindi la prima volta che lo vedevo. Aveva in mano un bicchiere di birra che sorseggiava di tanto in tanto e quando sorrise al suo amico, una strana sensazione mi pervase le viscere, aveva le fossette ed era bellissimo.

Carl e la bionda tornarono dopo 10 minuti, lei più sbronza e lui macchiato di rossetto, avevano solo pomiciato, bene non dovevo trovarmi nessun residuo maschile nel bagno.
-metallara tocca a te- fece Carl dandomi una pacca sul braccio, vidi il ragazzo sorridere leggermente e ruotare la testa dall’altra parte, io mi scossi dai miei pensieri e tornai al presente, tutti mi stavano fissando, dovevo girare la bottiglia. Sospirai, mi sporsi e la fece ruotare. Girava veloce, poi sempre più piano fino a che non si fermò davanti al ragazzo col nostril, spalancai gli occhi. tutto d’un tratto non volevo più pomiciare con lui o altro, mi immobilizzai, lui alzò lo sguardo e i suoi occhi neri si inchiodarono ai miei, non avrei più scordato quello sguardo in vita mia.
- pomiciare duro per 15 minuti e toccarvi- non ce l’avrei mai fatta.
-vai Syn!- incoraggiò un ragazzo del gruppo, e così si chiamava Syn, abbreviazione di cosa? Sinistro? Beh da com’era vestito e l’atteggiamento spavaldo sembrava davvero una persona sinistra.

Mi tirai su in piedi e mi incamminai dietro a lui, era alto una decina di centimetri più di me e aveva anche un bel culo, lo seguii nel bagno e mi chiusi la porta alle spalle.
-sei sobria?- mi chiese
-non bevo mai se sono i mezza a gente che non conosco-
-perché?- mi chiese piegando la testa di lato, cazzo quanto era carino. La luce nel bagno era flebile, ma la stanza era sempre più illuminata rispetto a dove si giocava.
-perché non si sa mai cosa ti possono mettere negli alcolici e non voglio morire a 18 anni- risposi facendogli l’occhiolino e stringendomi le braccia al petto come per proteggermi da qualche cosa che era più forte di me.
-comunque io sono Brian Haner, per gli amici Synyster Gates o semplicemente Syn- mi disse rivolgendomi un sorriso complice.
-piacere Hannah- dissi ricambiando la stretta di mano che mi voleva concedere. Aveva la mano forte ecalda, una presa ferrea che mi lasciò di stucco, pur essendo forte era aggraziata e non era in tensione e sembrava a sup agio.

-se vuoi possiamo anche non farlo- lo guardai di traverso, da una parte lo volevo, mi ispirava, dall’altra no perché mi ero giurata di non toccare mai più un ragazzo in vita mia se non col mio consenso completo.
-beh…- iniziai a farfugliare quando lui scattò verso di me, mi prese per il fianco e mi attirò a se, avevamo le labbra a pochi centimetri di distanza quando la porta del bagno si aprì e apparve la faccia di Carl
-stai interrompendo- disse Synyster
-allora state facendo, bravi ragazzi … - e richiuse la porta. Syn si voltò nuovamente verso di me, avevo le mani appoggiate al suo petto e sentivo il cuore battere calmo, a confronto del mio che invece era frenetico come se mi stesse per scoppiare da un momento all’altro. Aveva un buon profumo di colonia e la barba che stava crescendo piano piano sotto il mento, un ciuffo ribelle gli usciva accanto all’orecchio, quanto cazzo volevo metterglielo a posto, ma non lo feci, alla fine non lo conoscevo nemmeno e non dovevamo nemmeno essere così vicini. Restammo a fissarci ancora per alcuni minuti, poi fu lui a rompere  il silenzio
-sono passati venti minuti, andiamo- mi lasciò andare.
Scossi la testa per tornare alla normalità ero sconvolta, mi avviai verso la porta, ma quando fui sul punto di aprirla lui mi prese, mi girò e disse:
-fanculo-  mi attirò a se e mi baciò.

Era la prima volta che toccavo un ragazzo da quando mio padre era morto.

nota dell'autrice: buonasera :) si ho iniziato una nuova FanFic, non perché l'altra mi abbia stufato, ma perché in questo periodo mi sono venute così tante idee che non potendole aggiungere nell'altra ne ho dovuta creare una nuova e non vedevo l'ora di pubblicarla. e niente, spero che il primo capitolo vi piaccia e lasciate un commento per farmi sapere il parere. grazie :3

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Capitolo 2
*** April 1998 ***


II

We’re all just victims of a crime
Some days you’ll find me in a place
I like to go



 

April 1998



 

Era una notte di primavera, avevo 11 anni e fuori imperversava la tempesta, ero rannicchiata sotto la coperta e stringevo il mio orsacchiotto rattoppato che portavo con me fin da quando ero piccola, papà era uscito, quindi voleva dire che tornava a casa tardi.
Che tornava ubriaco.
Che tornava da me per farmi del male, forse quella era la volta buona che non mi toccasse o che addirittura non tornasse mai più. Sorrisi a quel pensiero.
Chiusi gli occhi e pregai Dio di non farlo rientrare quella sera, così io e mamma avremmo iniziato una vita degna di essere chiamata tale.
“fa che non torni, che sia uscito di strada, che non torni mai più” congiunsi le mani, e pregai quell’essere che si dicesse vivesse sopra di noi. Congiunsi le mani e pregandolo, i miei occhi si riempirono di lacrime, ma con forza le ricacciai indietro, ero forte, dovevo esserlo, per me e mamma.
Mia madre era una giovane donna trentenne dai lunghi capelli castani, occhi chiari e un sorriso sempre sul volto, era rimasta incinta di me a 20 anni con l’uomo che un tempo era diverso.
Completamente diverso.

Mamma si era innamorata di lui ad un concerto, era stato colpo di fulmine e per anni hanno vissuto felici per davvero, poi sono arrivata io e ho rovinato tutto. Papà voleva diventare famoso giocando a poker, ma si ritrovò a fare il camionista, poi venne licenziato per motivi a me sconosciuti e da quel momento, era il 1994 e aveva iniziato a bere, lo stato gli dava soldi per mantenere me e mia madre, ma la maggior parte finivano gettai nei bar a vedere prostitute spogliarsi e  ubriacarsi, da quell’anno aveva anche iniziato a prendersela con me, dapprima in modo molto superficiale, poi andando sempre più spesso e, come dire, “affamato”. Mamma lo sapeva, ma non faceva nulla, lei in confronto a lui era uno scricciolo, se lui le avesse stretto il polso, glielo avrebbe sicuramente rotto, papà era un colosso enorme, alto due metri, sempre con l’alito che puzzava e i capelli unti.

Stavo pregando il signore quando sentii la porta dell’entrata richiudersi, spalancai gli occhi e mi rintanai sotto le coperte, era mezzanotte passata e feci finta di dormire, ma la sua voce mi giunse fin da sotto le scale.
-Amore mio bello dove sei?- canticchiò
Il cuore prese a battermi forte.
-batuffolo mio?-
Era ubriaco. Strinsi il peluche a me e sentii i suoi passi rimbombare sulle scale, chiusi forte gli occhi.
-è solo un sogno, è solo un sogno- pensai ma la luce del corridoio si accese e poi la maniglia della mia stanza si piegò e mio padre entrò nella stanza.
-eccoti piccola mia- disse sorridendo e richiudendo la porta della mia stanza.
Ero bloccata, di nuovo, per la milionesima volta nella mia infanzia. Si avvicinò al letto e mi tirò fuori dalle coperte toccandomi un po’ ovunque, io deglutii mentre mi sfilava il pigiama di cotone, lui sorrideva malizioso e aveva l’alito che puzzava. Mi distese sul letto e si slacciò i pantaloni.
Mio padre abusò di me per un’ora.

A fatica trattenevo le lacrime, non volevo dargliela vinta a quel bastardo, così impotente, me ne stavo lì senza far trasparire nessuna emozione e con gli occhi fissi in lui, occhi che non avrei mai dimenticato, occhi neri come la pece con un senso di vuoto che non lasciava trasparire alcune felicità, e io ero figlia di un essere così spregevole. Non volevo dargli soddisfazione di vedermi soffrire o patire così strinsi i pugni fino a conficcarmi le unghie nel polso.

Avevo 11 anni e volevo già farla finita con la mia vita.

Niente e nessuno poteva aiutarmi in quel momento e l’unico che osservava la scena impotente era il peluche rattoppato che mi aveva regalato la nonna anni prima, era appoggiato al cuscino e fissava mio padre farmi del male, giuro che sembrava lo guardasse con occhi di odio profondo come se provasse dei sentimenti e non fosse solamente un oggetto inanimato destinato a far alleggerire il cuore  di una piccola bimba.

Dopo quell’interminabile ora, mio padre mi rivestì la parte inferiore del corpo, con fare amorevole come se non fosse successo nulla, mentre lasciò il petto nudo, mi distese sulla schiena a pancia in giù, si sfilò la cinghia dai jeans e cominciò a darmele di santa ragione. Ogni colpo era sempre più forte e non la smetteva fino a quando non vedeva il sangue colarmi dalla schiena. Non ero mai andata dal dottore, nemmeno alla scuola pubblica quando veniva, una volta all’anno, un uomo anziano a visitarci tutti per vedere se eravamo sani. Mamma quella giornata mi faceva stare sempre a casa con qualche scusa, non voleva che gli altri vedessero i segni della mia vita.
Mamma era nell’altra stanza e pur non sentendo i miei lamenti che trattenevo a stento dentro di me, piangeva, infatti ogni volta che mio padre alzava le mani su di me, lei aspettava che lui si addormentasse per venire poi da me a medicarmi e rassicurarmi, nemmeno con lei però mi sentivo protetta, nessuno mi faceva stare davvero bene, anche se da piccola amavo passare il tempo con il nonno, lui mi faceva stare bene, erano anni che non lo vedevo perché papà ce l’aveva proibito.

Perché mamma non faceva nulla per evitare che mio padre mi picchiasse e violentasse? Per il semplice motivo che aveva paura di papà, lui picchiava anche lei, ma meno frequentemente rispetto a me e lei aveva paura che se lo avesse denunciato lui l’avrebbe uccisa e poi ucciso me, così aveva iniziato a vivere nella paura di quell’uomo senza avere il coraggio di affrontare la realtà, era una fallita, non aveva fatto nulla nella vita e mai l’avrebbe fatto.

Sentii dei passi fuori in corridoio, mamma penso fosse stata al bagno, ma un’ombra si fermò davanti alla mia stanza, mio padre si fermò un attimo, e si girò proprio quando mia madre entrò in camera con un coltello, ma lui fu più veloce, la prese e la buttò sull’armadio facendole battere la testa, poi la prese per il collo e la soffocò con la cinghia.
Mamma non emise più un respiro.
Mamma era morta.
Mamma mi aveva lasciato in balia di quel pazzo.

Lui si mise a ridere e io mi raggomitolai a fissare il corpo inerte della donna che mi aveva dato alla luce, l’uomo aveva una risata malefica, prese per un braccio la donna e la trascinò via come se fosse un film dell’orrore.
Avevo iniziato a odiare mio padre dal momento in cui mi ha chiamato “errore della sua vita”, ero un errore e ci avevo fatto l’abitudine, non dovevo nemmeno esistere. Ho sempre chiamato l’uomo che si definiva il mio genitore, padre, perché né mamma né lui mi avevano mai rivelato il suo vero nome.
Padre, era Padre e basta, né nome né cognome, infatti portavo il cognome di mia madre e i miei parlavano poco e non si rivolgevano tra loro con i nomi di battesimo. Inoltre non ero mai riuscita a scovare documenti del mio genitore, vuoto totale, come se nemmeno lo conoscessi. Per me era come se fosse uno sconosciuto, era lo sconosciuto che aveva fatto diventare la mia vita un inferno.
Mi intrufolai sotto le coperte e iniziai a piangere, dovevo sfogarmi. Aveva ucciso l’unica persona che consideravo amica e che mi volesse bene e non seppi che fare.
Dopo alcuni minuti sentii uno sparo provenire dal salotto, che si trovava proprio sotto la mia stanza.

Mio padre si era suicidato.

Da quel momento persi qualsiasi fiducia nell'essere che in molti consideravamo vero e a cui ci si deve affidare, che viveva sopra di noi.
Tutti lo chiamavano Dio, io lo chiamavo Nessuno. 



nota dell'autrice: buongiorno :) ecco il II capitolo della fanfic, spero vi piaccia e di non essere troppo monotona o cose simili. mi farebbe piacere se lasciaste una piccola recensione tanto per farmi sapere che ne pensate, significherebbe tanto per me. adesso mi sento realizzata ad averlo pubblicato dato che in 5 ore di scuola non vedevo l'ora di tornare a casa per scriverlo ahaha
*corre a studiare filosofia*
 alla prossima!

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Capitolo 3
*** April 2005 ***


III

As your nightmare come to life
You should have known
The price of evil



 


 Aprile 2005


 


Avere 18 anni non è facile, specialmente se hai una vita come la mia.
Quella notte non l’avrei di certo dimenticata, ogni anno il giorno del mio compleanno facevo sempre il solito incubo: mio padre che mi stuprava, lui che uccideva mia madre con la cintura  e il suo corpo che si afflosciava a terra privo di vita, una scena che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico; poi lo sparo e dopo alcuni minuti il suono delle sirene della polizia. Il vento si era placato e le nuvole diradate, il cielo era sgombro e si intravedeva la luna dietro i tetti delle case.

Prima sentii il suono delle sirene della polizia, poi le luci blu e una serie di voci che accorrevano attorno alla villetta in fondo alla via, una villetta semplice con un piccolo giardino e una macchina blu nel viale. Era di colore azzurrino e i fiori sulle balconate, aveva due piani: sotto la cucina, il soggiorno e un ripostiglio, sopra le due camere da letto, un bagno e uno studio. Quella villetta era sempre stata oggetto della curiosità dei vicini, ci abitava un uomo che faceva il camionista, una donna che lavorava al fast food all’angolo e una bimba di 11 anni di nome Hannah che aveva uno sguardo perso e vuoto come se fosse cieca. Quella bimba giocava dietro casa, stava sempre nel posto più nascosto e le piaceva catturare gli insetti e ucciderli, voleva vedere cosa gli succedeva e come si contorcevano, era una cosa che la affascinava moltissimo.

Quella bimba ero io e i vicini mi conosceva col nome “quella della villetta blu”, non so perché mi chiamassero così, ma di una cosa ero certa: avevano paura di mio padre, quell’uomo che ogni volta che usciva tornava a casa ubriaco fradicio e mi violentava, ma io nonostante questo avevo uno sguardo fiero nei suoi confronti, non mi sarei mai opposta o scappata, vivevo la vita a testa alta anche se voleva dire vivere una vita di merda senza felicità, chissà se l’avrei mai trovata.
Dopo un paio di minuti sentii la porta dell’entrata cedere sotto i continui calci dello sceriffo, una serie di passi frettolosi si svilupparono per la casa, alcuni si fermarono in soggiorno, altri salirono le scale e la porta della mia camera venne aperta di botto. Io ancora in lacrime col peluche stretto in mano mi aggrappai all’uomo che mi prese in braccio e mi portò abbasso, mi avvolse in una coperta e mi asciugò le lacrime sul mio volto.
-è tutto okay piccola- mi rassicurò. Io tirai su col naso e fissai la stanza, mi aveva portato in cucina e c’erano delle voci che giungevano dal luogo dove papà si era sparato. L’uomo che mi aveva raccolta era alto, robusto con i capelli un po’ rasati, la divisa della polizia e le occhiaie, mi rivolse uno sguardo pieno di pietà e mi sorrise per rassicurarmi.
-piccola, io sono lo sceriffo Zackary Beich, ma puoi chiamarmi Zack- disse stringendomi la piccola mano. Io non prestai molta attenzione, ma gli risposi dicendo il mio nome e provando, inutilmente, a sorridere.

Zackary se ne andò nell’altra stanza, io nel frattempo mi ero calmata bevendo da un termos il tè caldo che qualche sconosciuto aveva portato.
Tutti erano riuniti in soggiorno che parlavano, quasi tutti erano con la divisa, erano della polizia e discutevano con termini a me incomprensibili, scesi dal tavolo appoggiandomi alla sedia e stringendo l’orsetto rattoppato al petto mi avviai verso il soggiorno. Essendo piccola e minuta e la stanza nella semi oscurità, nessuno mi notò entrare e vidi la scena che mi sarebbe rimasta impressa per sempre davanti agli occhi.
Mio padre seduto sulla poltrona con un foro all’altezza dell’orecchio e la testa leggermente piegata di lato, teneva mia madre per la mano mentre lei stava distesa sulle ginocchia come se fosse una bimba dei film vecchi dove il nonno per far divertire il nipote, lo metteva sulle ginocchia e gli raccontava una storia dei vecchi tempi. Lei era nell’esatta posizione di quel bambino dei film, solamente che aveva dei segni rossi attorno al collo e mio padre recava in mano la pistola con cui si era tolto la vita.

Zackary si girò a fissare i due cadaveri e il suo volto sbiancò quando mi vide, bestemmiò e mi portò via, io scalciai e mi dimenai, battendo i pugnetti contro il suo petto, ma invano, ero piccola e fradice così l’unica cosa che feci fu scoppiare a piangere.
-ehi Hannah- disse una voce familiare, così familiare da rimanere colpita, smisi di piangere e mi voltai sempre in braccio al poliziotto. Davanti a me apparve un uomo sui 50 anni, con l barba e qualche capello bianco, accanto a lui c’era una donna minuta con i capelli raccolti in uno chignon e un sorriso materno.
-NONNO- gridai dimenandomi, Zackary mi appoggiò a terra non riuscendomi a trattenere e io corsi incontro ai nonni con le lacrime agli occhi.
 

***


Vissi con i nonni fino a quando una sera non successe il finimondo. Ero andata a sentire una band suonare in un bar e avevo lasciato i nonni a casa, assicurandomi che avessero tutto. Quel mese avevo ottenuto un aumento per gli straordinari fatti e così decisi di regalarmi una sera per me, inoltre era la sera del mio compleanno e volevo starmene un po’ per conto mio.  Così presi il bus che mi  portò fino al locale, avrebbe suonato un gruppo del paese, una band cover degli ac dc che non erano male e avevano anche composto qualche loro pezzo. Presi posto in un tavolo accanto al palco, sempre lontano dai riflettori, ma in un modo che vedessi bene. La band iniziò a suonare verso le 9 e mezza e non erano nemmeno male, sapevano tenere il ritmo e il batterista era bravo. Erano in 4, un cantante di nome Alex, il bassista di nome Jordan, il chitarrista di nome Sebastian e il batterista di nome Jack, il palco era tutto loro e ogni tanto il bassista e il chitarrista si mettevano schiena contro schiena per divertirsi un po’.
Il cantante si chiamava Alex, aveva 20 anni e l’avevo visto di tanto in tanto in paese, ma non ci avevo mai parlato, ci fu un momento durante la serata che mi guardò per alcuni istanti e mi fece l’occhiolino prima di riprendere il controllo del palco, io sorrisi  e sorseggiai la birra.

Smisero di suonare verso le undici e mezza e feci per andarmene, ma qualcuno mi prese per un braccio e mi fermò.
-ciao- disse una voce soave e bassa. Mi voltai e Alex era davanti di me
- ciao- dissi, mettendo a posto la giacca e fissandolo negli occhi.
- posso offrirti da bere?- lo guardai con aria complice e annuii.

Non l’avrei mai dovuto fare.

Sarei dovuta tornare a casa immediatamente, non per causa del ragazzo, che era anche bello e attraente, ma per quanto successe a casa dei miei nonni.
Fu la seconda scena che non avrei mai scordato in vita mia.
- Alex - si presentò lui portandomi la birra al tavolo.
- Hannah - dissi brindando, parlammo per un ora del più e del meno e lui aveva un bel sorriso, mi diede il suo numero di telefono e gli promisi che l’avrei chiamato.
Io non mantengo mai le promesse.
Alex ok era un bel tipo, attraente, ma non mi interessava molto, così fece finta di stare al gioco e tornai a casa col suo numero scritto su un tovagliolo di carta.

Girai l’angolo e trovai l’inferno.
La casa dei nonni era una piccola villetta circondata da alberi con un grande giardino, c’era il capanno degli attrezzi del giardinaggio di legno e accanto una struttura sotto la quale c’era la macchina, anche quella in legno.
Girai l’angolo, già da un paio di metri avevo sentito odore di fumo, ma pensavo che ragazzacci avessero bruciato qualche cosa, e invece mi sbagliai.
Voltai l’angolo e trovai un cumulo di macerie, le assi del soffitto l’una sull’altra, le macchine della polizia e i camion dei pompieri che spegnevano le fiamme.
Accanto ad un auto della polizia c’era l’ambulanza, mi spaventai e vidi due barelle con sopra dei corpi.
Erano i nonni, erano salvi. Mi avvicinai, ma mentre la distanza si accorciava le figure si facevano più distinte e i due corpi erano distesi sotto un lenzuolo bianco, rimasi paralizzata quando, dopo aver risalito il corpo di quello che doveva essere mio nonno, arrivai al capo, scoperto dal lenzuolo.
Era annerito e indistinguibile.
Erano stati carbonizzati.
Morii dentro per la prima volta in vita mia.




nota dell'autrice: buongiorno a voi miei cari lettori, ecco il terzo capitolo. spero che stiate capendo la vita della ragazza e che cosa prova, spero di non essere noiosa o quant'altro. tra poco questi flashback termineranno per lasciare spazio alla storia vera e propria. posso chiedervi un favore? lasciate una rencesione? *occhi dolci dolci* tanto per farmi sapere che ne pensate, sapete sarebbe un tale onore leggere i vostri commenti e magari darmi qualche dritta.
adios e alla prossima!
*fugge a ripassare filosofia dato che domani ha il compito*

 

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Capitolo 4
*** May 2005 ***


IV

Left alone through suicide …
Suicide
I just wanna to die
Take away my life

 

Maggio 2005



- mamma mi ha abbandonato quando avevo dieci anni e papà beveva e fumava, gli rubai la prima bottiglia di vodka a 14 anni e ogni giorno ne bevevo un goccetto, ogni giorno aumentando di poco, fu così che iniziai e ne diventai dipendente, fino a quando non iniziai questo corso, un anno fa e adesso posso finalemente dichiararmi astemio e felice senza un goccio di alcol-
noia” pensai.
Il ragazzo con un sorriso compiaciuto si guardò attorno.
ipocrita del cazzo” mi sussurrai tra me e me.
Si chiamava John o almeno mi pareva, in tal caso che non fosse stato quello, un nome molto simile, aveva una giacca rossa, camicia bianca e scarpe lucide, il classico ragazzino che è ricco, ma una vita difficile e nel giro di qualche mese sarebbe tornato di nuovo ad ubriacarsi nei locali delle spogliarelliste da quattro soldi. Si sedette sulla sedia e per un attimo regnò il silenzio in quella stanza rischiarita dai flebili raggi di sole che penetravano dalle tapparelle.

Cosa ci facevo lì?
Ah si, dopo la morte dei nonni la polizia mi aveva proposto di abitare da sola se mi fossi comportata bene e avessi fatto, cito testuali parole del poliziotto “la brava bimba”. Mettiamo bene in chiaro le cose, so badare a me stessa, non sono una bambina, ho 18 anni e non sono una bambina e non penso nemmeno di esserlo mai stata. Non ho mai avuto un’infanzia. Non so cosa voglia dire essere bambino. Non so cosa significhi divertirsi davvero. quando i miei nonni erano morti, il mese prima avevo promesso ai poliziotti di fare la brava così mi avevano lasciata da sola e lo stato mi avrebbe dato ogni mese 400 euro con cui sopravvivere, non era molto, ma potevo farcela, inoltre avevo il patrimonio familiare sia dei nonni che dei miei genitori e quei quattro soldi che avevo fatto lavorando al negozio di musica al paese a fianco. Per un po’ di tempo avevo smesso di mangiare, la casa era un disastro e stavo a letto praticamente tutto il giorno, non curavo il mio aspetto e stavo male. La mia vita faceva abbastanza schifo e mai l’avrei reputata bella data la situazione in cui mi trovavo.

Un giorno trovai una busta chiusa sul tappetino dell’entrata e la aprii, c’era un foglio, piegato per bene, era semplice carta e sopra una scritta a penna blu.
“tira fuori i coglioni e vivi” c’ero rimasta male. Chi era quello stronzo che si permetteva di dirmi questo? Senza magari conoscermi? Era la mia vita e facevo quel cazzo che volevo.
Però quella frase mi fece pensare tanto e riflettei a lungo, e lo sconosciuto aveva ragione, dovevo rialzarmi non potevo lasciarmi in quello stato pietoso, nonno non l’avrebbe mai voluto e io dovevo vivere anche se vivere faceva schifo, dovevo lottare per ottenere qualche cosa di nuovo e una vita più degna … ma non ci riuscii … finii col bere e a passare le sere a ubriacarmi, era il modo in cui mi sfogavo, sfogavo la rabbia nei confronti di quel dio che mi aveva fatto venire al mondo, maledicevo la mia vita di merda, bestemmiavo contro mio padre, quel sudicio maiale quasi cinquantenne che abusava di me e mi faceva del male. Maledii la mia vita in generale, non ne potevo più, una sera perfino mi apparve allettante l’idea del suicidio.

Suicidarsi … avrei tolto la mia faccia da sto lurido pianeta, e non avrei mai più visto tutta quella feccia che mi circondava, non avrei più sofferto, non avrei mai più respirato. Salii sul tetto dell’edificio, mi sarei buttata giù, schiantandomi al suolo, sulla strada e le macchine mi sarebbero passate sopra e  mi avrebbero appiattito al suolo mentre ero passata a miglior vita già da un bel pezzo. Sorrisi complice e mi avviai sulle scale per raggiungere il tetto. Ma nemmeno quello andò a buon fine, mentre ero in piedi pronta a gettarmi nel vuoto  qualcuno mi prese e mi trascinò indietro, salvandomi dalle braccia della morte. Chi era stato? Mi voltai per fissare quello che mi aveva salvato ma era sparito, ma il suo profumo aleggiava ancora nell’aria, colonia misto a fumo. La polizia il giorno dopo venne da me e mi portò in una casa di accoglienza per giovani problematici, non riuscii a portare nulla con me eccetto le bacchette della batteria e i vestiti, mi mandarono ad un corso di riabilitazione per dipendenti.
 

***


Odiavo quel cerchio, era la prima volta che ci andavo e non mi sentivo a mio agio, non guardavo in faccia nessuno e non avevo visto il volto di nessuno, stavo col capo chino a giocare col filo della maglietta che non voleva staccarsi, poi lo tirai più forte del dovuto e un buco mi si aprì della shirt
-merda- dissi a voce troppo alta cos’ che tutti si voltarono verso di me, non osai alzare gli occhi, odiavo essere al centro dell’attenzione men che meno tra 20 persone che avevano avuto problemi con l’alcol.
-bene bene signorina..?-  iniziò la signora quarantenne che gestiva il tutto, si chiamava Helena mi pare e aveva un’aria vecchia e stanca, stanca del lavoro e della vita.
- Hannah- balbettai senza alzare lo sguardo.
“ fanculo a me” mi dissi stringendo i pugni.
-vuole parlarci di lei signorina?-
- no. – sbottai, non volevo parlare della mia vita con degli sconosciuti.
-sei qua a posta per parlare sennò non curerai mai la tua dipendenza-  stetti zitta. Non ero dipendente dall’alcol, avevo bevuto per circa due settimane per sfogarmi, potevo farne a meno tranquillamente.
- Hannah dovresti parlarne sai? Noi ti capiamo, possiamo aiutarti e puoi confidarti, siamo brave persone, vero ragazzi?-
E un coro di voci disse “siamo brave persone, fidati” mi stavano facendo irritare, e tanto anche.
-Hannah …-
Non riuscii a trattenermi. Mi alzai dalla sedia, la quale cadde a terra dietro di me, ma non me ne importai più di tanto, inchiodai il mio sguardo nel suo e penso fu la fine e tutta la mia vita uscì in quel momento. Era la prima volta che ne parlavo.
-mio padre mi ha violentava da quando avevo 10 anni, usciva e tornava a casa ubriaco a notte inoltrata e canticchiava “piccina mia dove sei” io ero nascosta sotto il letto e piangevo, quelle parole mi facevano rabbrividire, quell’uomo che chiamavo padre perché non sapevo nemmeno il suo vero nome entrava in camera, abusava di me e mi picchiava. Poi uccise mia madre una notte e si sparò così andai a vivere dai nonni che nonostante cercassero di farmi vivere serena non ci riuscirono, lasciai scuola per occuparmi di loro ma la notte del mio compleanno morirono. Lo stesso giorno di sette anni dopo. Anche i miei erano morti il giorno del mio compleanno. Ero sfinita, non volevo vivere, mi lasciarono da sola e nessuno mi ha aiutato fin quando non mi è arrivata una lettera con scritto che dovevo cambiare così cercai di dare il meglio di me, ma fallii miseramente sfociando tutta la rabbia nell’alcol. Poi tentai il suicidio, ma proprio mentre lo stavo per fare qualcuno mi tirò via dal tetto riportandomi alla realtà, quella persona non so chi sia, ma è stato il mio angelo salvatore. Mio nonno, la persona che amo di più al mondo, non avrebbe mai voluto che finissi così la mia vita. Così decisi di darmi una regolata, la polizia mi obbligò ad iscrivermi a questo corso e adesso sto meglio, fisicamente. Moralmente ho una ferita che non potevo sanare, niente e nessuno ci sarebbe riuscito men che meno un cazzo di riabilitazione. La mia vita faschifo, ma la sto cercando di cambiare e lei non deve permettersi di dirmi che guarirò perché è una fregatura, cosa crede che tutti qua dentro smettano per davvero? gli dia un mese massimo tre e torneranno a bere e ubriacarsi infilando i soldi negli slip delle spogliarelliste da quattro soldi. Lei non sa un cazzo di me o della mia vita e non si deve permettermi di dirmi niente perché ho vissuto più io in 18 anni che lei in quasi cinquantenni e non augurerei nemmeno al mio peggiore nemico una vita schifosa come la mia-

Tirai fiato e distolsi gli occhi dalla signora che mi guardava con sgomento, tutti mi stavano fissando e io ricambiai, li guardai uno ad uno quei schifosi bastardi che con le loro storielle pensavano di aver chissà che problemi, non sapevano quali erano i problemi della vita.
Poi mi cadde l’occhio su un ragazzo, perché non l’avevo mai notato prima? Era vestito di nero, una bandana, il nostril e i capelli neri come il buio, ci fissammo per dei secondi interminabili e il cuore prese a martellare, non per il lungo discorso che avevo fatto, ma per il ragazzo che fissavo.

“Brian … “ sussurrai e svenni.





 nota dell'autrice: eccomi qua per un altro capitolo, spero vi piaccia e chiedo scusa per la lunga attesa ,ama quella cosa chiamata liceo mi fa saltare i nervi e non mi consente di aggiornare la FanFic. se vi va *minaccia con un fucile* potete lasciare una recensione tanto per farmi sapere cosa ne pensate e cosa c'è che si potrebbe migliorare. alla prossima! *scappa via*

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Capitolo 5
*** Pulvis eris et in pulverem reverteri ***


V
Give me a chance to be that person
That I want to be


 


Vi ho detto che per conoscere me stessa, dovevate prima conoscere la mia vita, beh adesso sapete cosa mi è successo e credo che non sia una cosa che capiti tutti i giorni e che sia molto frequente. Ovviamente sono ironica, la mia vita fa schifo e non la consiglierei a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico per quanto lo possa odiare, forse perché il mio nemico non è una persona in carne e ossa … o forse ho due nemici, adesso che ci penso, nessuno dei due esistono realmente e uno dei due è una figura un po’ strana, alcuni ci credono e altri no.

Quali sono i miei due nemici? La mia vita e Dio.
La vita fa schifo, non ho niente per cui valga la pena lottare e nella situazione in cui mi trovo ora ancora meno. Sono rinchiusa in questo edificio dalle pareti bianche con l’intonaco che si scrosta e in alcune stanze piove pure dentro. È una specie di centro di recupero per ragazzi con difficoltà, io non avevo problemi a differenza degli altri, ma la polizia non si fidava a lasciarmi ancora da sola, così mi ritrovavo in quella stanza buia e umida che puzzava di muffa e non potevo uscire nemmeno in cortile senza un accompagnatore. Che vita di merda, davvero.
La mia vita non mi ha mai dato soddisfazioni e penso che non me le avrebbe mai date. Sono sola in questo mondo di ipocriti e nessuno può abbandonarmi essendo stata lasciata a tremare al freddo da sola.

Non ce l’ho con nessuno della mia famiglia eccetto mio padre, forse se non fosse stato per lui ora non sarei in quella situazione, se non fosse stato un ubriacone del cazzo non sarei da sola adesso. Non do la colpa a mamma per essersi sposata un maiale, ha cercato di darmi una buona vita, serena, nonostante quel lurido bastardo.
Non incolpo i miei nonni di essere morti, avevano vissuto la loro vita e hanno cercato di salvarmi, quegli ultimi anni con loro erano stati felici e spensierati nonostante il pensiero assillante di mio padre che uccide la donna che mi ha messo al mondo. I nonni erano brave, ottime persone a dir poco magnifiche.

Nonno suonava la batteria e fu grazie a lui che imparai a suonare quello strumento, me ne prese una, una pearl rossa, bellissima, solamente che a 17 anni l’ho dovuta vendere per pagare la bolletta dell’acqua che non riuscivamo a trovare abbastanza soldi. Era stata una mia scelta, venderla e nonno mi aveva detto “amore mio non sei costretta possiamo trovare un’altra soluzione, è tua e ti piace suonarla quindi tienila” non l’avrei mai dimenticato, gli risposi che la casa era più importante e che da grande l’avrei potuta ricomprare.
“da grande diventerai una brava batterista” mi disse fiero di me
“e tu sarai il mio angelo protettore” gli risposi con le lacrime agli occhi. nonno era una di quelle persone magnifiche che ti vede nascere e che ti abbandona per primo, troppo poco tempo passato assieme.
L’unica cosa che avevo tenuto erano le bacchette che portavo sempre con me, le picchiettavo ovunque e non me ne staccavo mai. Erano sempre nella tasca dietro destra dei jeans.

Un paio di mesi dopo aver venduto la batteria lasciai anche la scuola, 17 anni e mezzo lasciai il liceo scientifico, ero portata per la matematica ma richiedeva troppo tempo che in realtà dovevo gestire tra aiutare i nonni e studiare, non sarei mai riuscita a gestire il tutto. Così mollata scuola mi trovai un lavoro al negozio di dischi al paese a fianco, ci andavo in bici con pioggia, vento, neve e caldo bestiale, lo gestiva un ragazzo che proveniva dal nord della California, aveva 25 anni e mi aveva invitato qualche volta a uscire assieme ma avevo declinato l’invito, tiravo 500 euro al mese lavorando al negozietto, ma la sera andavo in un bar a servire da bere, altri 200 euro e la domenica notte facevo anche fino la mattina per racimolare qualche spicciolo in più per tirare avanti, tutto per pagare quelle stupide bollette che lo stato imponeva. Ma le bollette erano il meno, la cosa che mi dava più fastidio erano le tasse, quelle maledette tasse del cazzo. perché uno deve pagare per fare una visita all’ospedale? Dovrebbe essere gratis, cioè non hai chiesto tu di nascere quindi perché pagare per essere in salute per una cosa che non hai voluto? Se fosse stato per me avrei preferito non nascere affatto. Vi immaginate?
-ehy ciao ti voglio concedere la vita sulla Terra, sarai abusata da tuo padre, avrai una vita di inferno e tua madre sarà assassinata da tuo padre il quale si suiciderà, poi andrai dai nonni i quali moriranno anni dopo e rimarrai sola a patire come ti meriti, ti va di questa vita? 3 .. 2 .. 1 .. aggiudicato alla signorina Hannah!- magari quello che ti assegna la vita è Dio, quel Dio a cui tutti si affidano e che la maggior parte delle persone credono che esista davvero. Cosa succede quando moriamo? Andiamo in paradiso? All’inferno? Oppure semplicemente il corpo si decompone?
Com’è il detto? “pulvis eris et in pulverem reverteri”, polvere eri e polvere tornerai. Alla fine non siamo niente, zero, che scopo abbiamo? Nascere? E poi? Siamo nati per provare pulsioni e morire? Ma qual è il nostro scopo nella vita?
 

***
 

Mi chiamo Hannah, deriva dall’ebraico Hannàh, e significa “graziosa”, “grazia”, secondo la tradizione cristiana era la madre della Madonna. Perché questo nome? Non ero graziata da Dio, se mai esista davvero, ero dannata, davvero. Una persona con la vita come la mia non poteva essere graziata, ma dannata, lo dicevo io, lo aveva voluto qualcuno, la vita lo confermava, la vita facevo schifo e ne ero certa. Chissà se mi accadrà qualche cosa di bello, che mi faccia davvero felice. Chissà se mi sposerò. Chissà quando morirò. Chissà cosa sarà della mia vita.


-sei pronta?-  mi disse il vecchio barbuto dai capelli brizzolati e l’andamento lento. Alzai gli occhi e lo fissai.
-è l’unica soluzione no?-
-sarai felice-
-non sono mai stata felice- ribattei. Mi alzai in piedi, presi la borsa, controllai di avere le bacchette nelle tasche e mi avviai col vecchio.
-ecco qua i documenti, il tutto è già pagato, troverai un ragazzo ad aspettarti, non so il nome, penso si chiami Johnny, o una cosa simile .. mh fammi ci pensare, Johnny Christ si ecco! Johnny Christ. Andrai d’accordo, ha qualche anno più di te. È il figlio degli amici di tua madre, starai bene. Ne sono sicuro-
-lei è troppo sicuro- sbuffai mettendomi le cuffiette nelle orecchie.
-forse perché so cosa ti attende e cosa sarà di te-
-cosa ne sarà di me?-
-sarai felice, e avrai una vita degna di essere chiamata tale-
-lo pensa davvero o mi sta solo rincuorando?- domandai insicura se fidarmi dell’uomo o no.
-ne sono sicuro ragazza mia, goditi la vita che è breve-
-lo so e grazie mille per tutto-
Mi imbarcai sull’aereo che mi avrebbe portato lontano da quel posto, lontano dai miei primi 18 anni di vita, lontano da quell’inferno.
“Johnny Christ, Johnny Christ” ripetei a mente per evitare di scordare il nome del ragazzo.

Johnny Christ.



nota dell'autrice: ed ecco un altro capitolo! spero di non essere noiosa o superficiale ce la sto mettendo tutta per non esserlo anche se la scuola mi occupa gran parte del tempo. liceo del cazzo. lasciate una piccola recensione se vi va, sapete mi farebbe molto piacere anche per vedere cosa ne pensate. baci alla prossima!

 

 

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Capitolo 6
*** Fiducia ***


VI
 

I ain’t waiting for a miracle
I ain’t waiting for the world to change
Under my skin lives the reason
Under my armor I lost it all.


 


Avevo preso il mio posto, seduta e messo le cuffiette, la musica a volume normale e cominciai a fissare il vuoto fuori dal finestrino. L’aereo partì nell’arco di 20 minuti, accanto a me stava seduto un ragazzo di 20 anni, aveva un buon odore e si stava rilassando leggendo un libro. Notai che ogni tanto mi lanciava qualche occhiatina, ma facevo finta di non notarlo, non volevo intavolare nessuna conversazione.

Aprii  i documenti che mi aveva dato il vecchio prima di partire, c’era la mia carta d’identità, dei fogli e altri documenti trattenuti in una busta di plastica trasparente, alcuni erano quelli per il viaggio, altri per ritirare soldi e altri documenti miei della nascita.
-così sei diretta ad Huntington Beach eh?- mi disse il ragazzo accanto a me.
merda perché mi parli
Sorrisi cordialmente e tolsi una cuffietta.
-già-
-piacere Matthew Sanders, ma mi piace chiamarmi Matt Shadow, è il mio nome d’arte- disse presentandosi con un sorriso, aveva le fossette ed erano adorabili, e il suo sorriso traspariva serenità e allegria. Aveva i capelli corti, gli occhi verdi e le braccia muscolose. Aveva le braccia tatuate e gli occhiali da sole posti nella maglia, era un bel ragazzo.
-piacere Hannah- mi lasciai andare stringendogli la mano e sorridendo, strano, non mi veniva mai cos’ spontaneo, forse perché emanava un aurea di rassicurazione?
-allora che ci va a fare là?- mi chiese
-vado a vivere da amici di famiglia- risposi secca, non volevo raccontargli la storia della mia vita men che meno volevo rivivere quei terribili momenti.
 

***
 

Ero seduta nella mia stanza che giocavo coi lacci della felpa quando un signore vecchio con la barba e i capelli grigi entrò nella stanza.
-ciao Hannah- disse con un sorriso dolce e paterno. Non mi aspettavo quella visita, anzi di solito non ricevevo visite e mai ne avevo ricevute nel periodo in cui soggiornai in quell’edificio bianco con i muri che si stava scrostando, era il periodo subito seguente alla ‘riabilitazione’ dal bere. Vivevo in quell’angusto locale dove stavo male, ma mi davano da mangiare e da bere gratis conoscendo la mia situazione così ne approfittavo intanto di aspettare la mia sorte. Non avevo più tentato il suicidio, ma l’idea non era mai scappata. Giocando con i laccetti riflettevo sui mesi passati con i nonni e specialmente la sera che ero andata alla festa della mia amica dove il ragazzo mi aveva baciato, non me lo ricordavo, né di nome né di aspetto. Chissà che fine aveva fatto.
-cosa vuole?-
-fare amicizia e spiegarti un paio di cose- mi rispose lui sedendosi nel letto accanto a me.
-sentiamo dai- sospirai alzandomi e andando vicino alla finestra. Chi era? Uno psicologo ascoltare e aiutarmi ad affrontare i miei problemi? –va tutto bene fin quando non è uno schizza cervelli che mi vuole far rivivere i miei passati eventi-
-oh no cara, niente di tutto ciò. Sono un amico di vecchia data di tuo nonno, mi chiamo Albert e voglio aiutarti-
-aiutarmi? E cosa può fare? Far ritornare in vita i miei genitori? I nonni? Farmi cancellare le ferite del passato?- lo guardai gelido.
-no, non posso non sono Dio. Ma voglio darti una nuova possibilità, di vivere, di nuovo, di farti avere una vita degna di essere chiamata tale, da andarne fiera, da essere felice, davvero.- guardai fuori dalla finestra, il sole splendeva e le macchine correvano veloci nella strada di sotto. Non dissi nulla.
-ti fidi di me?-
-non ho fiducia nemmeno in me stessa, figurarsi per uno sconosciuto-
-fidati di me, almeno questa volta, fallo per tuo nonno- tasto dolente. Nonno era la persona che amavo di più al mondo e nella quale avevo la più totale fiducia.
-chi mi da la certezza che lei mi dia una vita nuova e felice?- chiesi puntando i miei occhi nei suoi.
-te lo garantisco io, tesoro, e voglio farti avere questa. Tuo nonno me la diede alcuni mesi prima che morisse, sai sapeva che sarebbe venuto il momento in cui lui sarebbe scomparso e tu saresti rimasta davvero da sola, leggila.- mi porse un foglio di carta, ripiegato in quattro parti, lo presi. La calligrafia era quella del nonno, ne ero certa. Fissai il foglio, fissai il vecchio e lui mi sorrise incoraggiandomi a leggere.

Ciao piccola mia,
anche se molto piccola non sei, sei grande e matura, molto per la tua età e sono fiero di te, sempre stato fin da quando sei nata,perché si ti ho vista nascere e crescere, tuo padre era diverso, molto diverso da com’era negli ultimi anni della tua vita. Mi dispiace di non esserci stato per tantissimo tempo, non è che volessi stare lontano da te, anzi, mi hanno costretto. Non sai quanto è stata dura starti lontana e non poterti vedere crescere.
Tuo padre era una bravissimo ragazzo, aveva corteggiato tua madre fin dall’età di 18 anni e non si erano mai lasciati, si amavano tantissimo, e quando sei nata tu, è stata la sua gioia più grande, dovevi vedere quanto era felice di averti con sé e ti portarti in giro, credimi, è la verità. Quando avevi 5 anni ha avuto un incidente d’auto,ha sbattuto la testa ed è stato ricoverato, ha subito un trauma celebrale che l’ha portato a cambiare completamente il comportamento. Ha iniziato a bere, a essere violento, non prendeva le medicine per calmarsi e tua madre non l’ha mai voluto abbandonare. “dagli tempo, poi tornerà normale” mi diceva sempre, ma più tempo gli davo più peggiorava il tutto. Volevo portarti via, ma lui me lo impedì e non potei più rientrare a casa tua, vostra e non ti vidi più. I medici tentarono di curarlo, prescrivendogli farmaci e per un paio di anno li assunse, poi smise, faceva finta di prenderli,ma li gettava via, tua madre cercava di farlo ragionare, ma tutto invano.

Piccola mia, mi dispiace davvero per ciò che hai dovuto patire e mi vergogno per non averti potuto aiutare,io ti amo più della mia stessa vita e cercherò di darti una vita migliore. ormai sono vecchio e non mi resta molto tempo, quindi sto cercando di fare il possibile, ho reperito di nuovo dei lontani amici di tua madre che tu non hai mai conosciuto sempre a causa di tuo padre. Sono delle bravissime, anzi delle ottime persone, ti troverai benissimo con loro, ne sono sicuro, farai nuove amicizie e avrai una vita bella. Abbi fiducia in me.
Gli amici di mamma sono i Christ, vivono ad Huntington Beach nel sud della California, loro sanno già tutto e sono ben disposti ad accoglierti con loro, fidati di me. Fidati di loro. Torna a vivere, nonostante i drammi della vita, fallo per me.

Ti amo,
nonno.
Gennaio 2005


L’uomo canuto mi fissò, alzai il viso rigato dalle lacrime. Quindi era stato colpa di un incidente se mio padre era così, allora Dio mi odia davvero.
-ti fidi?-
-mi fido- risposi ripiegando la lettera e mettendola in tasca, ultimo ricordo di mio nonno.
mi fido” ripetei a mente trattenendo un pianto che sarebbe durato per sempre.

                                                                                            ***
-com’è Huntington Beach?- chiesi a Matthew scacciando i ricordi di alcune settimane prima.
-è una bella città, d’estate si fa surf, la temperatura minima è di 25 gradi e d’inverno non scende sotto i 15, è soleggiato e c’è una bellissima vista, e poi ci sono 14 km di spiagge, un piccolo paradiso.-
“non male” pensai sorridendo, c’era la spiaggia, non ero mai andata al mare.
-e poi- disse Matt – ci sono io con la mia band, spaccheremo il mondo, faremo strage, faremo carriera- rise-
-hai una band?- chiesi sorpresa
-si, heavy metal o almeno ci proviamo a farlo, siamo in 5 e siamo amici di vecchia data, e abbiamo deciso di provarci-
-spero abbiate successo- dissi sorridendo e guardando fuori dal finestrino.
-lo spero anche io-
-cosa suoni?-
-sono la voce- immaginavo, aveva una voce bellissima – ma suono anche la chitarra un po’-
Non male dai, parlai ancora un po’ con lui, scoprii che aveva 19 anni e che tra alcuni mesi ne avrebbe fatti 20, aveva fatto il primo tatuaggio a 15 anni e la band era ciò che amava di più al mondo e viveva ad Huntington Beach, però non gli chiesi nulla sui Christ magari li conosceva e li odiava. Rimasi zitta tanto di sicuro non l’avrei più rivisto in vita mia, lui non mi chiese il numero di telefono, meglio così, chissà che tipo era nella vita reale, magari li si era presentato in un modo e in realtà era completamente diverso.

L’aereo arrivò all’aeroporto in perfetto orario, circa le tre del pomeriggio e andai a prendere i bagagli. Il vecchio mi avrebbe detto che il ragazzo mi avrebbe aspettato all’uscita del gate, ma arrivata lì non trovai nessuno.
che bello!” pensai “adesso cazzo faccio?”. Mi appoggiai al muro, feci cadere a terra la borsa piena di vestiti e dei miei pochi affetti, tiri fuori le bacchette da una delle tasche e cominciai a giocarci battendole sul pavimento e in aria, immaginando di suonare qualche canzone strana inventata da me. Appoggiai la testa al muro e sospirai.
Passarono dieci minuti, poi venti, mezzora, quasi quaranta minuti.

Ero da sola, nell’aeroporto di una città dove non conoscevo nessuno e che essa era sconosciuta me. Non potevo fare nulla.
-dio cane- biascicai cominciando seriamente ad innervosirmi.
-Hannah?- disse una voce maschile fermandosi davanti a me
-era ora che qualcuno arrivasse- dissi senza alzare lo sguardo e rimettendomi in piedi, mi pulii il fondoschiena essendo stata seduta per terra e alzai il volto.
Ragazzo di 19 anni, alto, cresta, sorriso amichevole, braccia tatuate e un basso che portava sulla schiena. Cosa cazzo ci fa con un basso? Rimasi sorpresa, non mi immaginavo di ritrovarmi un ragazzo così molto simile a me.
-Christ?- chiesi facendo finta cancellare dal mio volto l’espressione esterefatta.
-eh si- rispose lui in tono pacato e sorridendo – andiamo?-
Mi dovevo fidare?
Presi la borsa da terra.
-andiamo-
Sì, mi fidavo.




    nota dell'autrice: ed ecco a voi un'altro capitolo. ea ora, penserete, no? eh m dispiace ma il iceo occupa tempo e per ora è la mia priorità ahahaha
spro abbiate trovatoil caitolo interessate e non noioso, lasiate un commento tanto per farmi sapere che ne pensate, lo fareste? *occhi dolci*
ciao! alla prossima! 

                       

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Capitolo 7
*** Ricominciare ***


VII

Life so reclkess
Tragedy endless
Welcome to the family


 

 

Johnny Christ non era un tipo socievole, parlava poco e per di più ritardatario, durante il cammino verso casa mi parlò poco spiegandomi un po’ le vie che avrei dovuto imparare e mostrandomi le scorciatoie. Passammo anche davanti alla spiaggia per un breve tratto.
Dal punto in cui ero io si scorgeva la sabbia dorata dove le persone stavano distese ad abbranzarsi e a giocare col cane, alcune erano nell’acqua a rinfrescarsi, acqua così limpida che faceva un baffo a quella di montagna dei fiumiciattoli che nascevano dalle piogge primaverili.

-sei sempre così silenzioso?- chiesi a Johnny, avrei dovuto vivere con lui valeva la pena iniziare a relazionarsi .. almeno credo. Stavo a passo con lui, con la coda dell’occhio fissavo il suo andamento regolare, ogni tanto la bocca si increspava in un sorriso mentre salutava dei suoi conoscenti che mi guardavano con fare interrogativo.
-sono abbastanza riservato con quelli che non conosco-
-sai dobbiamo vivere assieme e non so quanto ti convenga startene zitto-
-ahahah spiritosa lei, comunque ho solo una brutta giornata, chiedo scusa se il mio comportamento non è rispettoso, ma il cantante della band tornava oggi da un viaggio e abbiamo saltato un mucchio di prove a causa sua-
Non so per quale motivo mi passò per la mente Matthew, il ragazzo che avevo conosciuto in aereo.
-hai una band?-
-si, siamo amici di vecchia data suoniamo metal e vogliamo farne un lavoro-
Non poteva essere una fottuta coincidenza, anche lui aveva una band metal … e se davvero il suo cantante era Matthew Sanders, che figura ci avrei fatto?
Dai dai non poteva essere così, non poteva essere davvero così la storia, non era una fottuta coincidenza aver incontrato il cantante della band dove suonava il ragazzo con cui andavo a vivere.
Scossi la testa e scacciai i pensieri, era impossibile.

Girammo a destra e una viuzza alberata mi apparve davanti agli occhi, era bellissimo.
La via, lunga circa un kilometro, vedeva lungo i due lati disposte delle belle villette con un giardino molto curato. Una di quelle, precisamente la terza a destra, apparteneva ai Christ.
La villetta aveva un muretto, la rete e un bel porticato; era semplice e non sgargiante, il muro era verniciato di bianco e alle finestre c’erano dei fiori sbocciati che rendevano l’aria fresca e accogliente.
-attenta a Bake-
-chi..?- non feci in tempo a chiedermelo che un pastore tedesco mi saltò addosso facendomi cadere a terra, mi leccò la faccia e mi sporcò la t shirt di terra.
-dio cane-
-si chiama Bake- disse Johnny ridendo vedendo la scena.
-toglimelo di dosso-
- Bake, bello vieni via dai che la Hannah non ti vuole- il ragazzo mi fece l’occhiolino.
-che simpatico Christ, ma potevi avvisarmi prima che avevi un cane così mi sarei preparata meglio-
-nah almeno è stato divertente- lo guardai con sguardo di minaccia
-te la farò pagare-
-abbiamo anni per farci dispetti dolcezza- ed entrò in casa, lo seguii a ruota.
 

 ***


I primi giorni a casa Christ erano stati accoglienti, non mi dispiacevano, erano gentili e mi capivano e facevano di tutto per tenermi a mio agio senza farmi mancare nulla. Non mi fecero nemmeno domande su ciò che era accaduto.

Natalia, la madre, era una donna alta e snella, mora e molto materna, aveva 50 anni e ne dimostrava molti meno.

Alberto, il padre, era vicino alla sessantina e faceva l’architetto, aveva progettato tantissime case qua ad in città e per i lavori di ristrutturazione si rivolgevano sempre a lui. aveva un carattere aperto, aveva sempre la battuta pronta e ti sapeva aiutare in ogni momento col consiglio adeguato. In quei giorni non ero uscita molto, per non dire quasi mai, la signora mi aveva portato a fare shopping e aveva buoni gusti, c’era un negozio che aveva vestiti stile dark e gotico che era la fine del mondo, conosceva i miei gusti e mi comprò delle maglie e dei pantaloncini corti più un paio di calze.
-signora non serviva- dissi uscendo dal negozio con le borse
-ssh si che serviva- le sorrisi cordialmente – e smettila di darmi del lei- mi fece l’occhiolino.
-va bene Natalia- e sorrisi.

Non uscivo mai con Johnny, lui aveva le prove con la band e io mi stavo ambientando in casa aiutando Natalia a pulire e fare altre faccende, dovevo contribuire pure io in qualche modo.
-perché non esci mai?-
-non voglio disturbare Johnny- risposi un giorno mentre la aiutavo a piegare le lenzuola
-lui e la sua band- disse sospirando – ogni tanto vengono qua a mangiare o passare un pomeriggio, sono bravi ragazzi e anche molto simpatici- mi guardò con sguardo indagatore-
-perché mi guardi così?- le chiesi
-stavo pensando…-
-a cosa?-
-che tu e il chitarrista stareste bene assieme-
Avvampai in viso, io con un fidanzato? Ma quando mai. Non ero tipa e poi avevo giurato che nessun ragazzo mi avrebbe mai più toccata dopo ciò che era successo con mio padre.
Già mio padre, morto e sepolto assieme a mia madre a 600 km di distanza e che mi stuprava, ma chissà cosa sarebbe stato di me se non avesse avuto quell’incidente, adesso magari saremmo  una famiglia felice in vacanza in Italia, a Roma o Firenze. Chissà che bella vita avremmo potuto avere .. e invece no. Mi sono ritrovata senza genitori, senza nonni a 600 km da casa i un paese che non conosco.

-ho toccato un tasto dolente?. –mi chiese vedendo il mio volto fissare il vuoto con la lenzuola ancora in mano
-nono ho solo ripensato a delle cose passate-
-mi dispiace … - era davvero dispiaciuta. Andai a sedermi sul divano e mi fissai la catenina al collo, una semplice stella al contrario simbolo del satanismo che avevo trovato in un locale qualche anno prima.
-com’era mia madre da giovane?- chiesi ad un certo punto girandomi a fissare Natalia che stava piegando una maglia di Johnny.
Lei si fermò un attimo, mi guardò con occhi pieni di tristezza e appoggiato il ferro da stiro in parte si venne a sedere accanto a me.
-tua madre era una donna brillante e intelligente, era la più popolare della scuola e aveva voti alti. Al liceo si innamorò di tuo padre, bravissimo ragazzo con voti nella media e una buona reputazione, erano la coppia più bella dell’istituto. Tua mamma era solare e aperta, sempre volta ad aiutare il prossimo senza indifferenza per nessuno. Tutti la lodavano e nessuno la odiava, era una ragazza carinissima- mi disse stringendomi la mano.
Le sorrisi e pensai al corpo di mia madre in braccio a mio padre, privi di vita. Una fine miserabile e una figlia piccola lasciata in balia del mondo, un mondo più grande di lei.
-come mai avevate perso i contatti?-
-io sono andata a fare la specializzazione in italia all’università dove ho incontrato Alberto, lei invece è stata là e si era sposata. Tornai quando Johnny aveva un anno ed erano felici, ma a causa del mio lavoro dovetti trasferirmi qua e li persi di vista e inseguito all’incidente di tuo padre non ebbi più contatti con lei- disse la parola incidente con dolore, come se non volesse farmi soffrire. Il punto è che nonostante sapessi che mio padre non aveva combinato nulla di male e non era colpa sua, non riuscivo a vederlo come papà ma come uno sconosciuto come alla fine era stato per 18 anni di vita, e non erano pochi. A causa del suo problema non ho avuto un’infanzia decente e ho subito un grave scossone nel profondo e dico davvero essere molestati da bambini ti lascia il segno dentro.
-ti dispiace se vado incamera mia?- chiesi alla madre di Johnny
-no figurati vai tranquilla-e me ne andai camera a ripensare a quanto facesse schifo la mia vita.

Natalia uscì di casa verso le quattro, per due ore ero stata nel letto a fissare il soffitto e ad ascoltare musica, nessuno era venuto a disturbarmi, nessuno a cercarmi, ovviamente non avevo amici. Con Natalia via, Johnny a prove e Alberto a lavorare la casa era tutta per me e così presi l’opportunità al volo e andai giù in cucina a prepararmi da mangiare, avevo un certo languorino dato che a pranzo avevo mangiato leggero.
Mi preparai un tramezzino con quello che trovai e lo mangiai accompagnato al succo che trovai in frigo; mi distesi sul divano con la testa appoggiata al cuscino a giocare sul telefono, quando sentii dei passi sul vialetto.
“sarà sicuramente Johnny che torna a casa” pensai e perciò non mi scomposi. Ma i passi erano diversi, non era solo Johnny …
“okay è con suo padre o sua madre” pensai e appena la porta si aprì alzai mi alzai per salutare. Rimasi di stucco.
Ero vestita male.
Non sarei mai dovuta uscire dalla mia stanza.
Un ragazzo alto, capelli neri con una bandana e le braccia tatuate stava sulla porta accanto a Johnny.
Io fissai lui, lui fissò me. Il suo volto non tradì nessuna emozione, ma il mio si. Quel ragazzo l’avevo già visto, aveva un volto così familiare, ma non riuscivo a distinguere bene in quale parte della mia vita lo trovai.
Johnny fissò me, poi fissò il suo amico e con aria strana ci presentò.
-Hannah, lui è Brian, Brian lei è Hannah viene da un piccolo paese a nord da qua-
Non ci potevo credere …
Non era possibile …
Era lui, davvero.
Era il ragazzo che alla festa di Elizabeth mi aveva baciato e che avevo visto nel gruppo di sostegno per alcolisti …
No, era un fottuto sogno, non poteva essere reale tutto ciò.
Brian Haner era lì davanti a me,a mezzo metro in tutta la sua bellezza.

syn…” sussurrai e svenni cadendo a terra sbattendo la testa sul parquet appena lucidato.






nota del'autrice: okay eccomi col VII capitolo, si lo so era da tanto che non aggiornavo e mi dispiace, ma la scuola occupa tantissimo tempo, almeno siamo quasi alla fine. fatto sta che mi farebbe piacere se lasciaste un commento col vostro parere tanto per accertarmi di non essere noiosa o quant'altro. alla prossima!

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Capitolo 8
*** May 1994 ***


VIII

Time still turns the page
Of the book it’s burned.


 

 

Maggio 1994



-andiamo sull’altalena?- chiese con voce innocente la piccolo bimba di 8 anni e mezzo di fronte al ragazzo di quasi 12 anni
-si, okay però ti spingo io-
-ma no dai facciamo a gara di chi va più veloce-
-sicura che vuoi perdere?-
-sarai tu a perdere Brian -  disse Hannah correndo verso l’altalena, i lunghi capelli neri sparsi sulle spalle, a ruota Brian la seguì sorridendo.

I due bambini stavano giocando nel retro della villetta blu, la casa più misteriosa di tutto il quartiere, mal vista da tutti a causa dell’uomo che ci viveva, ma assieme a lui ci viveva una giovane donna di 33 anni e una bambina sempre giù di morale il cui unico amico era Brian.

Brian era un ragazzino di quasi 12 anni, anche lui con i capelli neri e gli occhi scuri, viveva nella villetta di fronte e i due erano amici fin dalla tenera infanzia, lui si prendeva cura di lei e lei stava sempre con lui; lui era come una medicina per lei, la faceva stare bene, sorridere e non le faceva pensare alla vita difficile che stava attraversando. Si capivano con uno sguardo, era come se si leggessero nel pensiero, lui era il suo protettore, come un angelo custode che ti raccoglieva nelle sue ali e ti portava via in Paradiso dove tutto è migliore. Solo che a differenza degli angeli, Brian doveva riportarla indietro, a casa di nuovo, da quel padre ubriacone che la picchiava.
Tutti nel vicinato sapeva cosa succedeva in quella casa, e tutti ne stavano lontano, stavano lontano anche da Hannah, quella tenera bimba innocente che non aveva scelto certo lei di vivere quella vita da dannata. Brian era diverso, non gli importava niente di ciò che pensavano gli altri, stava accanto a lei e non la lasciava, mai l’avrebbe abbandonata, erano amici, migliori amici e i migliori amici non si abbandonano mai nel momento del bisogno specialmente quando si vive una vita critica.

Brian e Hannah
Hannah e Brian.
Tutti stavano alla larga da loro, e loro per ripicca spaccavano il mondo, erano legati e inseparabili.

Hannah arrivò per prima sull’altalena e aspettò Brian che con il suo solito passo lento si sedette e insieme iniziarono a spingersi in aria, sempre più veloce, il vento primaverile scompigliava i capelli di entrambi e i loro volti erano sorridenti.
-vince chi per primo riesce a toccare con la mano l’albero di mele!- disse Hannah con l’aria che le faceva andare i capelli in faccia
-pronta a perdere?-
-tu perderai caro mio!- hannah, quella bimba piena di vita assieme a Brian ma oppressa da un padre bastardo. Brian era la sua medicina.
Hannah muoveva le gambe, prima in avanti e poi indietro per riuscire a toccare per prima l’anero che stava di fronte all’altalena, giocavano spesso a quel gioco e lei si divertiva un mondo, Brian l’accontentava perché sapeva che le faceva bene. Lui la capiva, sapeva cosa provava e mai ne aveva parlato con lei su ciò che succedeva dentro quella casa la notte, lui sapeva ma aveva paura a parlarne perché l’avrebbe fatta stare male e non voleva far del male ad una creatura così innocente.
Come previsto fu Hannah a toccare l’albero per prima e a vincere, con un balzo saltò giù dall’altalena e saltellando e battendo le mani canticchiò “ho vinto ho vinto e Brian ha perso!”
Brian scese dall’altalena e sorrise, la lasciava sempre vincere.
-mi sa che ho perso..- disse il ragazzo
-sei un perdente!- canticchiò la bimba felice.
Il ragazzino sorrise poi un fugace pensiero gli passò per la mente …
-e così io sono il perdente eh?- fece uno scatto e afferrò la ragazzina e la gettò per terra e incominciò a farle il solletico. Lei per un attimo ebbe uno sguardo di terrore, e rimase immobile pensando che volesse farle del male. Il comportamento di lui le faceva pensare a ciò che faceva suo padre la notte, poi quando scoprì che voleva solamente farle il solletico si rasserenò e se lo lasciò fare cercando un po’ di ribellarsi, ma invano. Brian era alto e un po’ più forte di lei e perciò non riusciva a controbattere.
-no! Daiiii! Smettila!- disse la bimba ridendo per il solletico –Brian!!- si stavano dimenando sull’erba e ridevano a più non posso quando un ombra si scagliò su di loro e interruppe il loro divertimento.
-cosa state facendo?- voce austera, tono autoritario, era il Padre di Hannah
- stiamo giocando- disse la bambina tirandosi su e pulendosi i pantaloni, il ragazzino stava guardando l’uomo con odio, aveva così tanti pensieri per la testa.
-fila in casa e che non ti veda più giocare con lui-
-cosa? Ma papà Brian è un mio amico!- disse la piccola afferrando la mano del giovane il quale gliela strinse.
- signore non farei mai del male a sua figlia- disse Brian con voce ferma
- non mi importa, moccioso fila a casa tua-
-perché ?- chiese in tono di sfida.
-non devi più vedere mia figlia-
- Brian vai a casa, ci vediamo domani- disse Hannah lasciandoli la mano e sorridendogli, sapeva cosa sarebbe successo se avrebbero continuato quella conversazione.
-va bene a domani-
-ciao- e lui se ne andò.

Il padre poi prese la figlia per i capelli e le tirò uno schiaffo facendola finire con la faccia a terra.
-così impari a giocare con gli altri- e nel mezzo del giardino, tra gli alberi prese la cintura e le diede giù sulla schiena, la piccola non emise singhiozzi o pianti. Il padre imperterrito continuava  a picchiarla senza tregua pensando che nessuno lo stesse vedendo, ma si sbagliava, Brian era rimasto a fissare la scena con gli occhi spalancati, non aveva mai visto una cosa del genere.
Cosa provava?
Rabbia
Dolore
Incredulità.

Non potevano farle del male, nessuno poteva toccarla, nessuno poteva toccare la sua piccola stella. No e no. Si fece coraggio, inspirò e corse allo scoperto urlando “sporco bastardo lasciala stare” ma Brian fece l’errore.
Mai mettersi con uno più grande di te e più forte … e ubriaco. Il padre di Hannah alzò lo sguardo e si girò proprio quando il ragazzino gli saltò addosso graffiandogli la faccia … ma invano. L’uomo lo prese per la t shirt e lo gettò via come un fresbee, Brian andò a sbattere per terra con la spalla, l’ombra del padre di Hannah si stagliò sopra di lui.
-vai a casa moccioso- con la spalla dolorante si tirò su e gli sputò in faccia.
- Brian vattene- disse la bimba con voce sicura alzandosi in piedi e il volto bagnato dalle lacrime.
Brian si girò e corse via.
 

***


-cosa?-
-ci trasferiamo-
-no-
-mi dispiace-
-tu rimani qua … rimani qua con me-
- hannah … non posso-
Hannah stava seduta sul muretto di casa sua e fissava negli occhi Brian che con il braccio ingessato le stava accanto, ai suoi genitori aveva detto che si era fatto male cadendo dall’altalena.
-perché te ne vai? Non sono una buona amica?-
-ma no scema, i miei devono trasferirsi per lavoro nel sud della California-
-ma io come farò?-
-sei forte ce la farai-
-non sono forte- la piccola stava a stento trattenendo le lacrime, lui era l’unico amico che aveva in quella città, nessuno voleva stare con lei a causa di suo padre, nessuno la voleva come amica, perché l’unico amico che aveva doveva andarsene? Tutti la abbandonavano.
Tutti l’avrebbero abbandonata.
Nessuno rimanere per sempre.
Niente dura per sempre.
-verrai a trovarmi?-
-ogni estate-
-promesso?-
-promesso-
-ti voglio bene- disse la piccola abbracciandolo e mettendosi a piangere.
-ti voglio bene anche io- disse Brian, ma lui stava per dire un’altra cosa, lui provava altro per lei che non era semplice amicizia, aveva sì 12 anni ma era maturo per la sua età.
-amore, vieni?- disse la madre di lui
-arrivo- rispose il figlio
-ciao-
-ciao- e lui se ne andò in macchina, una macchina nera, 5 porte che avevano comprato da poco e la tenevano come un gioiellino, era ancora lucida e senza nessuna ammaccatura.
Hannah vide la macchina partire e fece ciao ciao con la manina e Brian ricambiò.
-non lo rivedrò mai più- si disse avviandosi in lacrime verso casa.
“mai più, mai più”

Ma si sbagliava.
L’avrebbe rivisto eccome, forse qualche cosa nella sua vita sarebbe andata per il verso giusto.



nota dell'autrice: buonasera a tutti, piccolo salto nell'infanzia di Hannah, l'avreste mai detto che quei due già si conoscevano? ahahah spero di avervi fatto capire acune cose che nei prossimi capitoli verranno alla luce. potete lasciare una piccola recensione? mi farebbe moltissimo piacere tanto per sapere che ne pensate e cosa si potrebbe migliorare. grazie e alla prossima!

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Capitolo 9
*** Fottute Coincidenze ***


IX

Fight for honor
Fight for your life
Pray to God that you’re side is right.


 


Mi faceva male la testa, avevo gli occhi chiusi e il capo appoggiato ad un cuscino morbido, cosa era successo? So che avevo sbattuto la testa dopo ... dopo cosa?
Dopo aver rivisto Brian.
Brian Haner, il mio amico di infanzia.
Spalancai gli occhi di colpo e a fianco a me c’era Johnny.
-ben svegliata- mi disse
-cosa è successo?-
-sei svenuta appena hai visto Syn-
- Syn … -
No, non poteva essere vero.
-quando sei svenuta ti ha preso subito, ha ottimi riflessi quel ragazzo, ma sfortunatamente hai sbattuto lo stesso la testa contro il tavolino e ora hai un bernoccolo sulla capoccia-
Mi tastai la testa e sentii un rigonfiamento, faceva male, avevo preso una bella botta.
-e dopo che è successo?-
-lui se ne è andato con la scusa che doveva aiutare sua madre, ma era pensieroso, troppo e di solito non si comporta così-
Rimasi in silenzio a fissare il soffitto, cercai di alzarmi ma ricaddi sul divano, non riuscivo a stare in piedi. Merda.
-dove vuoi andare?-
-a prendere una boccata d’aria- risposi e ritentai di alzarmi, stavolta Johnny mi aiutò e visto che riuscivo a reggermi da sola, mi lasciò il braccio con cui mi reggeva.
-c’è qualche cosa che non va?- mi chiese
-no tutto okay- e presi il telefono, uscii dalla porta principale all’aria aperta e inspirai forte. Non poteva essere una fottuta coincidenza.
 

***
 

-lasciami stare-
-tuo padre è un camionista drogato-
-ho detto di lasciarmi stare- rispose Hannah indifesa fissando il bambino di qualche anno più grande di lei.
-sfigata-
-ha parlato- la bimba stava seduta sul muretto della scuola pubblica, e come ogni giorno era da sola e presa di mira da quelli più grandi a causa della sua situazione familiare. Non c’era anima viva che non sapesse cosa accadeva nella villetta blu, ma ad Hannah non importava di ciò che pensava la gente, cercava di non darci peso, come aveva sempre fatto. Non aveva amici e non ne avrebbe mai avuti.

La scuola iniziava alle 8, finiva alle 12.30 e la piccola era costretta a tornare a casa da sola a piedi, sua mamma lavorava e suo padre o era via col camion o a casa a dormire o a ubriacarsi in qualche locale da quattro soldi. La scuola e la casa distavano circa una decina di minuti a piedi, ma lei allungava sempre il percorso per andare a trovare i cagnolini di una vecchia anziana in una strada mezza abbandonata e fuori dalla portata di tutti; erano 4 labrador di due mesi e lei gli portava sempre la sua merenda che non mangiava, dava un po’ di pane a ciascuno, li accarezzava e ritornava sulla dritta via. Faceva ciò perché la signora che abitava lì, in quella veccia casa mezza diroccata con le ante delle porte e degli scuri che sbattevano a causa del vento nel bel mezzo della notte, non se ne importava molto, anzi se fosse stato per lei li avrebbe lasciati liberi, ma erano l’unica cosa che animava quella piccola viuzza.

Hannah stava camminando come al solito, con la mano appoggiata al muretto e canticchiava qualche canzoncina che le aveva insegnato la madre nelle sere di pioggia, ma era incosciente del fatto che due ragazzini la stavano seguendo, uno dei quali era quello che la prendeva sempre in giro per la situazione familiare. La piccola canticchiava quando svoltato l’angolo venne gettata a terra da uno dei due che la seguiva.
-ciao mocciosa-
-lasciami stare Travis- rispose rialzandosi e spaccandosi dalla polvere.
-cosa ci fai da queste parti? La tua casa è dall’altra parte-
-faccio un giro più lungo- spiegò
-vado a dirlo a tuo padre-
-tu hai paura di mio padre- rispose la bimba
-io? Io non ho paura di niente mocciosa- disse il ragazzino massaggiandosi le nocche per farsi sembrare più grande e potente.
-seh, se fai ancora la pipì la notte nel letto- mossa sbagliata e un pugno sfregiò il viso della piccina, fu gettata a terra, ma non sbattete la testa grazie allo zaino.
-stronzo- urlò e per ripicca dopo aver lasciato lo zaino a terra i avventò su Travis graffiandogli la faccia. Nessuno poteva alzare le mani su di lei, già doveva soffrire a causa del padre figurarsi anche a causa di un moccioso viziato. Hannah però era uno scricciolo a quel tempo e fu facile liberarsi e bloccarla tra le quattro braccia dei due ragazzini.
-mollatemi bastardi!- urlò dimenandosi invano.
- no mocciosa, adesso ti tocca restare ferma-
Le tirarono un pugno in pancia, tanto da farla rimanere senza fiato, Travis si preparò a tirarle un altro pugno, sta volta in viso, ma qualcuno lo fermò. Era un ragazzino più alto di lui, capelli neri e una bandana.
-lasciala stare- disse piegandogli indietro il braccio. Lo sconosciuto era più forte e con un pugnò mandò al tappeto i due ragazzini che stavano picchiando Hannah. Lei cadde per terra dolente, tenendosi la pancia e lacrimando.
-tutto a posto?- le chiese il bambino
-mi hanno picchiata e mi fa male la pancia- si tirò su e vide anche che i pantaloni erano rotti a causa della caduta di prima.
-chi sei?- chiese la bambina
-Brian, piacere- si presentò il ragazzino
-Hannah- disse lei – ma aspetta, tu sei quello che abita di fronte a me-
-esatto-
-mi stavi seguendo?-
-ti stavo salvando da quegli altri-
-non dirlo a mio padre ciò che è successo- pregò la bimba, stava per scoppiare a piangere ma si trattenne.

Brian era il ragazzino che aveva visto di rado, ma che abitava davanti alla sua stessa villetta, lui non usciva mai, non aveva amici si vede e in casa né la mamma né il padre non ne parlavano mai, anzi mamma e papà parlavano poco per non dire quasi mai.
-dai vieni ti accompagno a casa- si offrì Brian aiutandola lungo la strada.


***
 

era il mio amico di infanzia … “ fu il primo pensiero che ebbi dopo che mi fui distesa nell’erba.
“Brian…” e tutto tornò alla mente, lucido chiaro.
La prima volta che si sono incontrati a causa dei mocciosi che la prendevano in giro, l’amicizia che è nata, le camminate per andare a scuola e tornare a casa, erano sempre assieme … erano inseparabili.
Mi vennero le lacrime agli occhi.

Avevo rimosso tutto questo. Come mai? Colpa di mio padre, mi aveva picchiato duramente perché stavo con lui, ma me ne infischiavo e continuavo a giocarci e ogni notte me le dava di santa ragione, fino a quando lui non si trasferì ad Huntington Beach nel maggio del 1994, adesso ricordavo tutto. Come avevo potuto dimenticarmi del mio migliore amico?
Papà … nonostante tu sia morto, ti odio in ogni caso, sono sicura che è colpa tua se Brian si era trasferito …” altra cosa da aggiungere alla lista di odio nei confronti di mio padre.

Ero distesa nell’erba, all’aria fresca e fissavo le nuvole.
Poi un fugace pensiero di passò per la mente, io Brian l’avevo già visto … alla festa di Elizabeth … al circolo per alcolisti … cosa ci faceva lì?

Alla festa di Elizabeth …
Tornai con la mente a quella scena della bottiglia … il collo che si ferma davanti a lui … io e lui che andiamo nel bagno .. lui che si presenta … il suo profumo di colonia misto ad odore di fumo … dei brividi mi percorsero il corpo … Brian mi aveva baciato … aveva imprecato e poi baciato. Perché era lì? Perché mi aveva baciato?

Al circolo di alcolisti .. cosa ci faceva lì? A 600km da casa? Non poteva essere un caso … non era mai tornato nelle vacanze estive per me, e perché era apparso proprio quelle due volte lì senza parlarmi davvero e senza accennare al passato? Ma la cosa più importante, si ricordava di me? O era tutto una fottuta coincidenza?

Mi rialzai, il cane nel frattempo si era accucciato accanto a me senza che me ne rendessi conto, il sole era ancora abbastanza alto nel cielo e così decisi di andare a farmi una passeggiata lungo il mare, non distava molto da lì, e sperai di non perdermi.
- Johnny vado a fare un giro in spiaggia- lo avvisai dall’entrata.
-ok non perderti-
-stai tranquillo- e richiusi la porta, mi misi le cuffiette e mi avviai verso il mare.

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Capitolo 10
*** Friend ***


X

I can’t go on this way
Not as I am today
The ugly side of me is strong.



 

Huntington Beach era un posto tranquillo, soleggiato con tanta gente, ma tutti erano cordiali. La sera si alzava una leggera arietta a rinfrescare l’aria, ma i solidi 36 gradi c’erano sempre.
Avevo appena lasciato casa per andare a fare una passeggiata, ne avevo bisogno e dovevo schiarirmi le idee sul mio passato che non avevo ancora tutto lucido, come avevo fatto a dimenticarmi di Brian? Cioè in quel periodo, con lui, ero felice, l’unico scorcio di luce in quella mare di nero che mi opprimeva. Cos’era successo? Scommetto che era a causa di mio padre, è sempre stato lui a rendermi la vita difficile e sarà a causa sua se avevo dimenticato Haner e chissà quante cose ho rimosso …

Camminavo senza meta, sempre tenendo conto della strada per tornare a casa, non volevo perdermi e non tornare più a casa, sempre se potevo definirla casa, la famiglia Christ. Il sole stava tramontando e i suoi raggi diventavano sempre più deboli, decisi di andare in spiaggia a rilassarmi, tolsi le scarpe e affondai i piedi nella sabbia calda. Non ero mai andata al mare, mai andata in spiaggia e vedere quel posto mi sembrava surreale, chissà magari ero in paradiso, forse mio padre quella sera aveva ucciso pure me e questo è tutto un sogno che la mia anima fa in attesa di giungere al cospetto di Dio ... ah si ma Dio non esiste e quindi quella doveva essere la realtà, bella realtà di merda. Chi mai vorrebbe una vita come la mia? Non ho niente di bello, magari pure Brian era un’invenzione della mia fantasia. Dovevo smetterla di pensare, quella era la realtà e non poteva essere diversa da così. Hanno voluto che vivessi così bene, vivrò così allora, sperando in un futuro più prospero, forse …

Mi sedetti sulla spiaggia, affondai i le dita nella sabbia e mi misi a fissare le onde del mare che si increspavano formando della schiuma bianca, qualche surfista prendeva le ultime onde prima di andare a preparare la cena e molti stavano fissando il tramonto. Coppiette su coppiette che si baciavano e si scambiavano le promesse di stare insieme per sempre … chissà quante di quelle coppie sarebbe davvero arrivata alla fine insieme e quanti sarebbero scappati via da un’altra persona, chissà se io avrei mai trovato qualcuno.
“voglio solo trovare qualcuno che mi apprezzi per quel che sono” pensai sorridendo, l’avrei trovato? Non l’avrei trovato? Dovevo continuare a vivere e l’avrei scoperto, solo vivendo si scopre ciò che la vita ha in serbo per il genere umano.

Contemplavo le onde quando un’ombra mi oscurò la luce flebile del sole, poi una voce calda, sicura e amichevole.
-chi si rivede- girai la testa. Un ragazzo alto, capelli neri e labret mi stava fissando.
- Matthew?- chiesi guardandolo.
- in carne e ossa baby- disse lui sedendosi accanto a me. – pensavo di non rivederti mai più- ammise lui
-il mondo è piccolo- risposi sorridendo. Forse un’anima amica a Huntigton Beach ce l’avevo, conosciuta da poco ma almeno non ero sola. Ero felice di vederlo, almeno mi avrebbe distratto dai pensieri turbolenti della  mia vita.
-cosa ci fai da queste parti?- gli chiesi
-io vivo laggiù – e col dito indicò una casetta nell’angolo tra due strade – la sera vengo sempre a correre o a camminare in spiaggia e talvolta porto a spasso il cane. È un buon passatempo e mi rilassa – guardò il mare, lo guardai di profilo, gli occhi verdi, i capelli scuri corti, era un bel ragazzo e trasmetteva tranquillità.
-e tu cosa ci fai qua tutta sola? – mi chiese lui notando il mio silenzio
- scappo dai miei pensieri – ammisi – cerco tranquillità in un posto che non conosco dove non ho nessun amico, abito  in un posto sconosciuto dove nessuno mi conosce e mai sarò qualcuno –
- non sei sola, hai me –
- gentile, grazie, ma se mi conoscessi davvero te ne staresti alla larga –
- perché dici così? –
- ho un passato che odio e ho paura che si ripercuota sul mio futuro- dissi prendendo un po’ di sabbia in mano e lasciandola scorrere tra le dita
- cosa ti è successo di tanto brutto? – chiese Matt piegando la testa di lato e dandomi tutta la sua attenzione.
- è una storia lunga – dissi sospirando, forse parlarne mi avrebbe fatto bene, chissà magari lui avrebbe capito e mi avrebbe potuto aiutare a superare l’odio per mio padre.
- ho tutto il tempo che vuoi Hannah – disse lui, era assai gentile per interessarsi così particolarmente ad una sconosciuta conosciuta pochi giorni prima.
Sorrisi – ok allora, beh parto dall’inizio. Ho un vuoto totale della mia vita prima dei 10 anni e da quella data ricordo che mio padre cominciò a picchiarmi, prima superficialmente poi col passare del tempo divenne più violento utilizzando la cinghia e abusando di me, tutto questo andò avanti per alcuni anni, mia madre non poteva denunciarlo sennò lui si sarebbe rivoltato contro di lei, io e mia madre vivevamo nella paura di mio padre e non potevamo scappare, eravamo come se fossimo imprigionate in quella casa, la villetta blu, tutti parlavano di me come la “bimba della casa blu” non avevo amici e nessuno stava con me, non ho mai avuto un’infanzia vera. Mio padre finì di abusare di me e maltrattarmi quando una sera del 1998, la sera del mio compleanno dopo avermi fatto del male uccise mia madre e lui si suicidò. Così andai a vivere con i nonni, passai con loro tutti i giorni fino al mio 18° compleanno, la stessa sera qualcuno incendiò la loro casa e morirono carbonizzati, era la sera dell’aprile di 7 anni dopo il suicidio-omicidio dei mie genitori – fissai il vuoto per alcuni istanti, per cercare di calmarmi e non piangere, non dovevo far colare il trucco nero né dovevo mostrarmi debole davanti a Matthew.
-mi dispiace … - disse lui
- mio padre vietò ai nonni di vedermi, nonno è stato l’amore, mi ha allevato come se fossi una figlia, mi insegnò a suonare la batteria, strumento che amo, e per il 16° compleanno me ne regalò una che fui costretta a vendere un anno dopo a causa delle bollette e delle tasse. Frequentavo il liceo scientifico, lo studio mi portava via troppo tempo perché dovevo sia lavorare che badare ai nonni, ormai diventati anziani, così lasciai la scuola e trovai lavoro in un negozio di dischi. Lavoravo e mantenevo i nonni. La sera in cui morirono io non ero a casa, ero ad un concerto in un bar di un gruppo locale e il cantante mi aveva offerto da bere -
- come si fa a non offrirti da bere – disse Matt sorridendomi, ci provava ? o semplicemente voleva tirarmi su di morale? Liquidai il pensiero con una scrollata del capo e ripresi a raccontare della mia vita.
- dopo la loro morte, la polizia mi offrì di vivere da sola e accettai, per un periodo andò tutto bene fino a quando non caddi nella depressione più totale e mi diedi al bere, mi arrivò una lettere dove una persona mi aveva scritto che dovevo darmi da fare per far cambiare la mia vita e tentai di farlo, ma invano, infatti alla fine tentai il suicidio, ma qualcuno proprio mentre mi stavo per lanciare mi prese e mi trasse in salvo, da quel momento capii che dovevo vivere o almeno provare a farlo perché col suicidio non si risolve nulla, cioè ti uccidi non esisti più ma magari una persona che avresti incontrato in futuro e che avresti aiutato senza di te non ce l’avrebbe fatta, quindi in fin dei conti sono ancora qua a rompere i coglioni – risi cercandola di buttarla sul ridere, Matthew sorrise a malapena, stava pensando ed era concentrato, era la prima volta che raccontavo la mia vita a qualcuno e quel peso enorme si stava, almeno così pensavo, facendo meno opprimente.
- mi mandarono a vivere un convitto e a prendere parte ad un circolo per alcolisti dipendenti, poi mi dissero che mi avrebbero portato qua da amici di famiglia, un signore, amico di mio nonno mi diede una lettera scritta da nonno in persona mesi prima di morire e diceva che mio padre aveva avuto un incidente d’auto quando ero piccina e che a causa di ciò era andato fuori di testa, non prendeva le pastiglie e tutto. Non l’ho mai visto come un vero, padre, anche adesso, nonostante sappia che non era colpa sua se divenne così non riesco a non provare odio nei suoi confronti,  il vecchio mi mandò sul primo aereo per Huntington Beach, e niente,  ora sono qua, a parlare su una spiaggia del sud della California con un ragazzo che a malapena conosco e che ho confidato tutta la mia vita. –
- posso chiederti una cosa?-
-certo-
-di che cos’hai paura?- ci pensai un attimo. Di cosa avevo paura?
- beh … - farfugliai, non lo sapevo nemmeno io – penso che non bisogna avere paura di niente, nella vita non bisogna temere nulla, è da stolti, ma sotto sotto ho davvero paura di una cosa … - ammisi – ho paura del mio futuro, ho paura che il mio passato torni ad imperversare sul mio futuro, ho paura che i ricordi rendano negativo il mio avvenire –
- non lasciare che il tuo passato distrugga il tuo futuro – disse Matt guardandomi negli occhi, quegli occhi verdi, con pagliuzze nere, erano belli. Mi misi a piangere, volevo abbracciarlo, ma voltai il capo e alla svelta mi asciugai le lacrime. Dovevo essere forte, essere forte per mamma, per i nonni, dovevo essere forte per me stessa.
Per me stessa.
Ce l’avrei fatta.
Ce la dovevo fare.
Assolutamente.

Matt cambiò discorso, vedeva che ciò non mi metteva di buon umore e quindi tentò di deviare la mia tristezza, parlammo del più e del meno e mi spiegò che voleva sfondare nel campo della musica con la sua band, disse che stavano provando a mettere su qualche cosa di concreto perché era la loro ambizione più grande e sperava di farcela.
-fate anche qualche concerto in giro?- chiesi
-due volte al mese andiamo a suonare al locale sulla spiaggia, ma niente di che, ci danno 100 dollari e basta, sempre meglio di nulla –
-beh si- rimanemmo in silenzio, entrambi a corto di argomenti
-se vuoi ogni tanto puoi venire alle nostre prove, così vedo quanto ti destreggi con la batteria, James ti lascerà di sicuro provarla –
- sono anni che non suono, e poi non vorrei disturbare-
-ma che disturbo – sorrise e ricambiai.
Il sole era quasi tramontato, guardai il telefono, le nove di sera – merda – esclamai – sono in ritardo – in realtà non lo ero, ma ero stata fuori a lungo e Johnny si stava di sicuro preoccupando.
-è meglio che vada- dissi alzandomi in piedi, Matt fece lo stesso
- se vuoi ti accompagnno – chiese
- non serve, grazie – rifiutai, non perché non volevo la sua compagnia, ma non sapevo nemmeno io il pechè, era presto per farmi accompagnare a casa da uno praticamente sconosciuto, magari lui e Christ si conoscevano, potevano odiarsi come essere migliori amici.
- okay come vuoi, però promettimi che una sera di queste esci a bere con me – mi pregò in ginocchio, risi
- va bene – e gli diedi un buffo sulla spalla – uscirò con te – e lo salutai avviandomi verso casa.

Matt non era male e mi degnava della sua attenzione, potevo considerarlo amico?
“non lasciare che il tuo futuro venga distrutto dal passato
Aveva ragione.
Dovevo ricominciare a vivere davvero, o almeno provarci, non mi costava nulla.

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Capitolo 11
*** Avenged Sevenfold ***


XI

Seize the day
Or die regretting the time you lost


 


-voglio farti un regalo- disse il bambino dai capelli neri
-un regalo?-
-si-
La bambina lo guardava con occhi sognanti non aveva mai ricevuto un regalo in vita sua e Brian sarebbe stato il primo.
-che cos’è?- adesso vedrai.
Entrarono in camera dell’amico e lei si sedette sul letto a gambe incrociate com’era solita fare, la camera di Brian era un macello, libri sparsi ovunque, fogli stropicciati in ogni angolo della stanza, vestiti accantonati nei posti più inimmaginabili, ma quel casino le metteva tranquillità. Non era la prima volta che andava a casa sua o che incontrava i suoi genitori da quando erano diventati amici.
-era qua, da qualche parte ..- si maledisse il ragazzo – eccolo!- e tirò fuori da sotto una pira di libri un cd, la copertina rappresentava un dirigibile.
-questo è il mio cd preferito e vorrei che lo tenessi tu- disse porgendoglielo.
-led zep-pe-lin – scandì Hannah, non l’aveva mai visto prima d’ora, ma già dalla copertina le piaceva un sacco.
-è stato il mio primo cd, te lo regalo così avrai per sempre un ricordo di me-
-te ne vai?-
-ma no scema, solo che se succede qualche cosa vorrei avere la certezza che non ti dimenticherai mai di me-
-ti voglio bene Brian, sei il mio migliore amico-
-anche tu piccola peste-
Il padre di Brian ascoltava musica Rock, così il figlio era cresciuto sotto quelle influenze, Led Zeppelin, Aerosmith, Ac Dc, Rolling Stones, Black Sabbath e band di quel genere. Facendo così Brian sperava che Hannah non si sarebbe mai dimenticata di lui dato che avrebbe dovuto trasferirsi ad Huntington Beach nel giro di un mese o due, aveva paura che lei si sarebbe scordata di lui e tutto quel tempo passato assieme, Brian era legato a lei e non voleva perderla anche se fosse stato a 600 kilometri di distanza,sarebbe stata sua per sempre.

 

***


Johnny stava seduto sul divano, lo fissavo mentre mi mangiavo un tramezzino col tonno, il pranzo era passato da un bel pezzo e avevo un languorino dato che non avevo mangiato praticamente nulla. Stavo seduta sulla sedia a dare l’ultimo morso al tramezzino quando Johnny si alzò e prese la giacca di pelle.
-vieni con me?-
-dove?- chiesi pulendomi la bocca
-tu vieni e basta, non puoi stare tutto il tempo chiusa in casa, devi uscire.- mi disse. Sbuffai e mi alzai, presi la giacca leggera e uscii assieme a lui.
Quella giornata era abbastanza soleggiata, ma delle nuvole grigie si stavano avvicinando, sarebbe scoppiato un temporale di lì a poco.
-ma dove vuoi andare che sta per venire il diluvio?- chiesi
 -andiamo a fare le prove con la band-
Sbiancai in volto, stavo per conoscere i suoi amici.
-non mi sembra una buona idea- sentenziai
-perché?- obbiettò
-sono d’intralcio-
-no- e continuammo a camminare. E se Matt era nella band con lui? e se c’era Brian? Oddio Brian, non volevo vederlo, dopo quella figura di merda che ho fatto a casa mia. Chissà se si ricordava della nostra infanzia o degli incontri fugaci avvenuti mesi prima. Chissà cosa sarebbe successo quel giorno. Non volevo andarci, ma oltre a Johnny che mi in un certo senso voleva che ci andassi, anche le mie gambe non rispondevano, andavano per conto loro e volevano andare là. Mannaggia, magari avevo una qualche fortuna che Brian non ci fosse e che Matt non era il loro cantante .. ci speravo davvero tanto.

Girammo a destra, poi a sinistra e imboccammo un lungo viale alberato e ci fermammo ad una casa con l’intonaco bianco e un giardino abbastanza curato, la saracinesca del garage era un pochetto aperta, e Johnny si infilò sotto per entrare.
-senti Christ io non ho voglia di – stavo per dire sporcarmi trascinandomi sul lurido pavimento, ma la saracinesca di ferro si alzò e mi trovai davanti due ragazzi, uno di spalle e uno che mi stava fissando, Johnny mi fece entrare con una riverenza
- prego signorina – disse sorridendo
-spiritoso- risposi. Nel frattempo il ragazzi di spalle si era girato e ..
-ciao Hannah- disse Matthew
-ciao Matt – salutai imbarazzata, merda avevo ragione, Matt era il loro cantante.
-come vi conoscete?- chiese Christ corrugando la fronte.
-ci siamo conosciuti in aereo, avevamo i posti vicini – tagliai corto. L’altro ragazzo, alto come me e col labret mi stava fissando, aveva un’aria da spavaldo, e non era male.
-piacere Zachary Baker, ma per gli amici Zacky o Zee – si presentò sorrideno e porgendomi la mano, che gentilezza.
- piacere Hannah – risposi ricambiando la stretta.
- Vengez non fare tanto il gentiluomo – disse Johnny
- Vengenz -? Lo guardai strano, che voleva dire?
- il suo nome d’arte e Vengeance, e quindi Vengez è un altro soprannome – disse Matt.
Mossi il capo su e giu in segno di assenso, e mi fissai attorno. La stanza era grande, era il garage dei genitori di qualcuno di loro, ma era in disuso. Il pavimento era coperto da un grande tappeto, abbastanza sporco e tutt’attorno c’erano lattine vuote di coca e di birra, alle pareti erano appesi poster i band come Iron Maiden e Guns n Roses e in bel ordine gli strumenti. Due chitarre, un basso e una batteria … da quanto tempo che non ne vedevo una e una voglia matta di suonarla si impossessò di me, tutti i ricordi degli insegnamenti di nonno mi tornarono alla mente ed era come se non avessi mai smesso.

-e così tu sei Hannah- disse una quarta voce, non era né Matt, o Johnny, o Zachary. – Johnny ci ha parlato tanto di te-
Mi voltai e fissai il quarto ragazzo presente nella stanza, aveva il pizzetto, il labret e le braccia tatuate, portava nelle tasche due bacchette, era il batterista, e in mano aveva una cassa con sei lattine di birra.
-sono James Sullivan – disse –Chiamami Jimmy, The Rev, il mio nome d’arte, o come cavolo ti pare- rise stringendomi la mano. James, o Jimmy o Rev, era alto, moro e sempre col sorriso sulle labbra, mi offrì una birra e declinai, non avevo sete.
- Johnny ha parlato di te per settimane prima che tu arrivassi, aveva paura fossi una sfigata secchiona con gli occhiali, bassa e tarchiata che ascoltasse la musica tunz tunz* - sorrisi a Johnny e scoppiai a ridere.
- nah, ho lasciato la scuola e ascolto la vostra stessa musica, da quello che vedo – risposi
- suoni qualche cosa? – mi chiese Zacky
- suona la batteria – disse Matt
Matt cazzo, stai zitto che adesso James mi chiede di suonare.
-davvero?- gli occhi di Rev si illuminarono
- si, ma è da quasi due anni che non suono e – non feci in tempo a giustificare la mia poca voglia di suonare in quel preciso istante che il batterista mi infilò le bacchette nelle mani e mi spinse alla batteria.
- si, ma ..- cercai di dire, ma era più forte di me e mi fece sedere.
-dai bellezza facci sentire – disse Zackary.
“e adesso che faccio?” pensai “magari qualche groove e qualche fill alla fine me li potrei ricordare”
-e dai – mi incitarono.
Attaccai con la prima canzone che mi venne in mente, Master of Puppets dei Metallica.


-sono due anni che non suono, faccio un po’ schifo lo so..- ammisi dopo aver concluso la canzone.
-non ho mai conosciuto una donna che sapesse suonare la batteria e la suoni così bene!- esclamò Jimmy battendomi il cinque.
Sono brava, pensai, non faccio così schifo allora.
Zacky mi fece l’occhiolino e Matt stava mettendo l’asta del microfono.
-ma quell’altro dove sta?- chiese Vengeance
-lo sai com’è fatto, non è mai puntuale- rispose Johnny. Mi appoggiai al muro mentre gli altri si stavano preparando per suonare, ma la chitarra scheletrica a strisce bianche e nere era ancora appoggiata per bene, era di Brian, ne ero sicura; pregavo che non venisse, non avrei saputo come comportarmi.
-okay Hannah, adesso ti facciamo sentire la nostra prima canzone che abbiamo buttato giù *, si chiama Streets – disse Matt e iniziarono a suonare. Era bella e si adattava perfettamente a loro, fissai i componenti uno ad uno e tutti avevano un’espressione soddisfatta, specialmente James.
James aveva gli occhi che luccicavano mentre suonava, lui e la batteria erano un unico strumento, era la perfezione, sprizzava gioia da tutti i pori e si vedeva che andava fiero del suo strumento e che era la sua passione *.
-potevate aspettare il chitarrista!- disse una voce entrando nel garage, rimasi ammutolita, voce così bella e sensuale, mi girai e lo fissai, lui mi guardò e impallidì. Non se l’aspettava di vedermi.
-bene! Ben arrivato Syn! – disse Zacky, - era ora!- tutti risero, eccetto io e lui che ci stavamo ancora fissando.
Aveva la canottiera, le braccia scolpite dai muscoli e dai tatuaggi, la bandana nera, i capelli neri, gli occhi che luccicavano di pochi raggi di sole che entravano dalla finestrella dietro di me, era bellissimo.
-adesso sì che gi Avenged Sevenfold sono al completo! – urlò James facendo un fill di batteria con i tom.

 

 

 

 

Nota dell’autrice:
*¹= non vorrei offendere nessuna ragazza con quell’espressione, solamente che essendo una band composta da ragazzi metallari è ovvio che non volessero una ragazza che fosse l’opposto di loro sennò sarebbe stata incompatibile (?)
*²= la storia è ambientata nel 2005, lo so benissimo che la band si è formata nel ’99 e che il primo album è stato pubblicato nel 2001 e quindi i tempi non sono paralleli, ma non volevo ambientare la storia negli anni ’90 sennò per alcuni mezzi e vocaboli o eventi non sarebbe stato possibile. Quindi chiedo scusa per questo cambiamento di datazione.
*³= se qualcuno l’avesse intuito, si è riferito ala morte di The Rev, con questo voglio far capire che non si è suicidato come molti fans pensano, ma che è stato a causa delle medicine e del problema al cuore, James amava la vita e amava la band più di qualsiasi altra cosa e l’ultima cosa che voleva era lasciare questo mondo.


Bene, ecco un nuovo capitolo! Spero non vi faccia così schifo * prega in ginocchio *. Fatto sta che Hannah incontra gli altri membri della band e rimane ammaliata da Brian che non se l’aspettava di trovarsela lì. Spero vi sia piaciuto,e  niente, se vi piace la storia aggiungetela alle preferite e lasciate una piccola recensione, mi farebbe moltissimo piacere!
*fa ciao ciao*
Alla prossima!

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Capitolo 12
*** Under ground ***


XII

He said
“will you defeat them your demons?”


 


Rimasi paralizzata a vedere Brian lì, sta volta non ero svenuta, ma non riuscivo a respirare, il fiato mi si era mozzato e tutt’attorno a me vigeva uno strano silenzio, anche gli altri si erano accorti del fatto che io e Syn ci stavamo fissando e che entrambi eravamo come paralizzati, cosa dovevo fare? Dovevo salutarlo? Parlargli? Si ricordava di me?

Il corpo non sapeva cosa fare, la mente era in subbuglio e il mio cuore batteva all’impazzata.
Appena Brian era entrato e avevo sentito la sua voce, un unico pensiero mi era venuto alla mente “non dimenticarti di me” era la promessa che mi aveva fatto quando a malapena avevo 9 anni e io cosa avevo fatto? Mi ero dimenticata di lui … l’avevo completamente rimosso, avevo rimosso quegli anni trascorsi assieme, i più belli della mia vita forse, i meno spensierati, l’unica felicità che avevo avuto era lui e io l’avevo dimenticato, come una stronza, l’ho dimenticato come ci si può dimenticare di che cosa si ha letto 10 righe fa .. che stupida che sono stata.

In quel momento, un flashback veloce, rapido mi passò davanti, come se fossi in procinto di morte e tutta la vita ti passasse davanti facendoti rivivere i ricordi migliori, stavo per caso morendo?
Brian che manda al tappeto i due ragazzini che mi stavano picchiando …
Brian che gioca con me dietro casa mia …
Brian che mi regala il cd dei Led Zeppelin …
Brian che mi aiuta mentre mio padre mi stava picchiando …
Brian che parte e se ne va lontano da me …
Brian alla festa di Elizabeth …
Brian che mi sente parlare della mia vita a quel stupido circolo per alcolisti …
Brian a casa dei Christ e io come una stupida che svengo …


Adesso Brian era lì, davanti a me, dopo quasi 10 anni … 10 anni passati senza di lui, senza il suo ricordo, ero ipnotizzata dai suoi occhi scuri, dalle sue braccia muscolose e tatuate e dai capelli ribelli che gli ricadevano davanti agli occhi, Brian era lì, il mio Brian … il mio migliore amico …
-Syn! Muoviti – Zachary ruppe il silenzio diventato troppo oppressivo, e lo esortò a suonare, a prendere parte alle prove, alla fine non erano lì per questo? E io ero d’intralcio, non sarei mai dovuta andare, dovevo rimanere a casa …


Il tempo fuori stava peggiorando, ma i ragazzi non lo notavano, erano troppo presi dallo suonare, tutti eccetto uno, Brian che oltre a gettarmi occhiate, spesso sbagliava gli accordi. Matt ogni tanto lanciava qualche occhiata maliziosa a me, ma aveva visto, come tutti gli altri, cos’era successo appena Brian era arrivato … loro sapevano che ci conoscevamo già e che eravamo migliori amici? Cosa sapevano loro di noi?
Penso nulla, sennò avrebbero fatto qualche battuta maliziosa del tipo “perché non vi abbracciate, sono anni che non vi vedete!?”, non sapevo più che pensare e la mia mente era costantemente con un piede nel passato tra i ricordi di infanzia, adesso riaffiorati alla vista di quel ragazzo che avevo scordato.

-Hannah, vai a prendere le birre per favore?- mi chiese James mentre cambiava le bacchette, mi aveva scosso dai miei pensieri tanto che dovetti chiedergli di ripetere ciò che mi aveva chiesto.
-dove sono?- chiesi, quindi quella era casa sua evidentemente.
-ultima porta a destra del corridoio- mi rispose. Così aprii la porta che dal garage portava al dentro della casa e andai a cercare la cucina. Sentii lo sguardo di tutti su di me ma cercai di non farci caso, poi sentii dei bisbigli tra loro, continuai imperterrita, non volevo origliare, magari dicevano qualche cosa negativa su di me e me la sarei presa, ho il carattere così, non ci posso fare nulla. Il corridoio era lungo e alle pareti erano poste delle cornici con delle foto: James da piccolo, con la famiglia, mentre suonava la batteria …
Quanto mi sarebbe piaciuto avere una famiglia così unita mi dissi fissando tutte quelle foto con i genitori, era felice e amava vivere.
Trovai la cucina, aprii il frigorifero e presi le sei lattine di birra, tornai da loro in garage e vidi che la saracinesca era del tutto chiusa.
-sta tirando un aria forte e per evitare che faccia corrente l’ho chiusa- mi spiegò Matt prendendo le lattine dalle mie mani, io avevo abbandonato la mia giacchetta leggera su uno scaffale e la recuperai legandola alla vita.
-dopo vi accompagno a casa – disse James – viene su brutto tempo, se andate a piedi tornereste a casa bagnati fradici-
Fissai James e gli sorrisi, era così gentile e premuroso, ma una domanda mi sorse in mente
-ci stiamo tutti in macchina?- era la prima frase che dissi da quando Brian era arrivato
- ehm .. – pensò Jimmy – no, quindi se non ti dispiace Hannah, devi stare in braccio a Johnny o a qualcuno di noi dato che la macchina ha solo 5 posti –
Va bene tutto ma non vicino o in braccio a Brian.
-okay – dissi facendo spallucce.

Ripresero a suonare per un’altra oretta e nel frattempo sorseggiavo la birra fresca di frigo, nonostante fuori tirasse aria, cosa che si sentiva tra una pausa e l’altra, dentro il garage faceva caldo e Matt, forse per manie di protagonismo o chissà cosa, si tolse la maglietta scoprendo degli addominali perfetti e scolpiti e una serie di tatuaggi che adornavano il suo bellissimo fisico. Non lo fissai, o almeno cercai di non farlo, era bello, forse troppo, e non volevo sembrare una che sbava dietro a chiunque. Matt non mi piaceva, ma era un bel ragazzo, dovevo ammetterlo e poi i ragazzi con i piercing e i tatuaggi mi avevano sempre suscitato un certo interesse.

-Sullivan  portaci a casa- sentenziò Vengeance fissando fuori dalla finestrella del garage – sta per venire giù il finimondo tra poco –
- okay capo! Agli ordini! – e alzatosi dallo sgabello prese la felpa dietro di lui, prese le chiavi e fece alzare quel tanto che bastava la saracinesca per far passare una persona. Seguii Johnny che era uscito per primo e si diresse velocemente nel retro della casa; Zacky aveva ragione, il brutto tempo si stava avvicinando e non era un semplice temporale di passaggio.
La macchina era parcheggiata sotto una costruzione di legno anti grandine, era nera, 5 posti e lucida, doveva sempre tenerla pulita e non aveva nemmeno un graffio, sembrava nuova. Mi sedetti nei posti dietro assieme a Christ, Matt e Zachary, in braccio al primo di loro e Brian si era seduto nei posto accanto al guidatore. Chissà cosa stava pensando, aveva lo sguardo fisso nel vuoto e l’aria completamente assorta.

James uscì dal vialetto e disse che per primo avrebbe portato Zackary dato che abitava più lontano e imboccò una strada poco trafficata; il maltempo si stava avvicinando velocemente e nonostante fossero solo le sei di sera, il cielo era tremendamente grigio per non dire tendente al nero e minacciava grandine.
-merda ci mancava solo questa- e cominciò a grandinare. Zackary viveva leggermente fuori Huntington Beach per arrivare a casa sua bisognava percorrere tre kilometri in una strada popolata solamente da boschi, fu proprio quando imboccammo quella strada che un cervo ci tagliò la strada, uscimmo dalla carreggiata e finimmo schiantati contro un albero.
- porca puttana! Fanculo! – sbraitò Jimmy uscendo sotto la grandine comprendoni con una rivista di batterie trovata per caso nel cruscotto e vedendo del fumo uscire dal davanti della macchina. Per fortuna nessuno si era fatto male e Johnny si era premunito di stringermi a lui per evitare che mi facessi male essendo in bilico sulle sue gambe.ì, mi sentivo una stupida messa così, prchè diamine avevo seguito Christ alle prove.
-è tanto grave?- chiese Matt uscendo dal’auto.
-siamo bloccati qua gente- disse calciando la ruota della macchina e imprecando contro Dio. Nel frattempo la grandine aveva smesso, ma dei forti tuoni rompevano il silenzio di tomba e dei lampi illuminavano il cielo grigio-nero.
La cosa divertente? Nemmeno i telefoni prendevano, eravamo bloccati in mezzo al nulla, con la macchina rotta e fumante e una tempesta in arrivo.

-cosa facciamo?- chiesi stringendomi la giacca al petto, ero scesa dalla macchina assieme agli altri al fine di decidere sul da farsi.
-siamo sia troppo lontani dalla città, sia troppo lontani da casa mia – disse Zee portandosi le mani alla testa.
-quindi siamo bloccati qua- sentenziò Brian dando un calcio ad un sasso.
-già e sta strada non è percorsa proprio da nessuno-
-dovevi proprio abitare così lontano?- disse pungente Brian
- oh scusa, signor Abito In Una Bella Casa Perché Ho i Genitori Ricchi e Abito Qua da 10 Anni – lo fulminò Vengenz con lo sguardo.
Brian fece finta di nulla e si tirò su il cappuccio della felpa, stava iniziando a piovere.
-da qualche parte qua in giro dovrebbe esserci un riparo, potremmo aspettare la fine della tempesta- propose Zachary guardandosi attorno – è dentro il bosco, non dista tanto se ho un buon orientamento e buoni ricordi di quand’erano un bambino –
-perché adesso cosa sei?- chiese Matt ridendo, l’altro non gli badò, gli diede solo un pugno sulla spalla per divertimento, era così che ci si comportava tra amici, ero contenta di vederli così affiatati anche se dentro di me sentivo un vuoto, chissà se mai saremmo diventati amici io e gli altri, chissà se io e Brian ci saremmo mai parlati … Zachary si avviò verso la foresta velocemente e tutti lo seguimmo a ruota senza discutere, avevamo bisogno di un riparo non volevo rimanere in mezzo al nulla in mezzo alla tempesta.

La foresta era buia, le erbacce si impigliavano nelle scarpe e i rovi mi graffiavano le gambe, ma non ci feci molto caso, chissà quanto mancava e se la strada era giusta.
-ci sono venuto una volta, quando avevo 13 anni, è tipo una vecchia botola nel terreno dove ci tenevano delle riserve, sarà stato dei ripari per le guerre o anti sismiche- spiegò Zacky sorridendomi, ero accanto a lui poiché Johnny parlava con Matt; Brian invece chiudeva la fila e fissava il terreno umido senza aprire bocca, dovevo parlargli?
-come mai vivi così lontano dalla città?-
-era la vecchia casa dei nonni, i mie sono sempre via per lavoro e un appartamento in città costa troppo così ho deciso di abitare là e rimanere qua, senza viaggiare costantemente con i miei in giro per il mondo –
- ah capisco –
- e tu come mai venuta ad Huntington Beach?- mi fermai un attimo e sbarrai gli occhi, non mi aspettavo quel genere di domanda.
- scusa non volevo – disse lui vedendo la mia reazione
-è una storia lunga prima o poi te la racconterò, abito dai Christ perché sono vecchi amici di famiglia –
- ah okay – e mi sorrise, chissà se mai gliela avrei raccontata la storia della mia vita e chissà a chi l’avrei ancora detta … camminammo ancora per dieci minuti, nel frattempo la pioggia si stava facendo più fitta e più pesante e gli abiti cominciavano ad impregnarsi di acqua.
-Siamo arrivati!- sentenziò Vengeance fermandosi di colpo. Il ragazzo tastò il terreno in prossimità di un sasso, spazzò via le foglie e i rami e aprì la botola. Un odore di chiuso mischio a umido e roba andata a male riempì l’aria circostante.
-dio che schifo- fece Matt
-non fare la femminuccia Sanders – disse Vengeance. Fu il primo a calarsi per la scala in ferro, fu seguito da Brian, Johnny, io e infine Matt. Zee aveva raccomandato a Matt di non chiuderla, ma di avvicinarla perché sennò saremmo rimasti imprigionati dentro.
-massì stai calmo- lo rassicurò Shadows scendendo i gradini dopo di me, ma proprio quando appoggiò il piede sull’ultimo, esso si spezzò, lui cadde rovinosamente a terra e la botola si chiuse sopra di noi.

Eravamo in trappola.



 

 

 

Nota dell’autrice: salve miei cari lettori! Vi è piaciuto questo capitolo? Hannah sta si trova bene con i membri della band, ci parla e loro la hanno accolta volentieri, solamente Gates se ne sta alla larga, chissà perché. I nostri 6 amici rimangono intrappolati in una stanza sottoterra, chissà cosa può succedere. Inoltre il titolo iniziale che apre il capitolo, per chi non l’avesse notato non appartiene ai Sevenfold, bensì ai My Chemical Romance, welcome to the black parade, ho pensato che ci stava benissimo poiché Hannah quando era bambina riusciva ad essere felice con Brian e perciò a sconfiggere tutti suoi demoni interiori come l’odio per il padre e la sua vita infelice; da quando però Brian l’aveva lasciata si era lasciata divorare da essi e la uccidevano da dentro piano piano per questo appunto meditava e ha tentato il suicidio, ora che Brian è tornato o che lei è tornata da lui, mettetela come volete, forse e dico forse (prendete con le pinze ciò che dico, non vorrei essere causa di spoiler futuri) sconfiggerà i mali passati.
AH SI! Questa scena del rimanere chiusi dentro una botola, l’ho presa da un film horror di cui non ricordo il titolo, l’ho modificato però; infatti nel film la giovane ragazza chiude la botola a chiave e la nasconde al fine di passare del tempo con i suoi amici e di conseguenza col ragazzo che ne è innamorata, ma qua è colpa del caro signorino Shads che cadendo la chiude.
Se qualcuno si ricordasse il nome di quel film mi faccia sapere!
Spero di non essere stata monotona, spero vi sia piaciuta e se è così aggiungetela alle preferite e fate una piccola recensione, mi farebbe molto piacere!
*fa ciao ciao con la manina* alla prossima!

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Capitolo 13
*** Non plus ultra ***


XIII
 

You’re welcome to the city
Where your future is set forever


 


Avete presente quei momenti della vita così importanti che seppur accadendo veloci, in una frazione di secondo, li vedi e di conseguenza li vivi come se fossero al rallentatore? Bene ecco, mi stava proprio capitando una cosa del genere, Matt era caduto a terra rovinosamente, l’ultimo gradino si era spezzato e dato che con una mano teneva il tappo della botola, essa alla sua caduta si era chiusa con un sonoro Bum! E un po’ di polvere era caduta sopra il corpo di Matt.
Corsi da lui per vedere se si era fatto male e lo aiutai a rialzarsi, si massaggiò cautamente la testa e premendo nel punto dove aveva sbattuto la testa, gli si stava formando un grosso bernoccolo. Tutti gli altri fissavano l’uscita paralizzati, eravamo bloccati? Si.

Matt era caduto, e aveva chiuso per errore la nostra unica via di salvezza, dovevamo solo ripararci dalla tempesta e come eravamo finiti? Intrappolati 10 metri sotto terra senza cibo né acqua, in un posto dimenticato da Dio. Tutti stavamo zitti, presi dal panico, nessuno osava dire qualche cosa, cosa si poteva fare? Un cazzo. Che fine avremmo fatto? Saremmo morti, di sicuro.
-merda merda merda!- imprecò Zachary correndo a  tentare di aprire la botola, ma invano. –cazzo!- urlò. Si eravamo chiusi dentro e questo fu la conferma, un brivido di terrore percorse la schiena di ognuno anche Brian, ragazzo tanto sicuro e fiero di sé, si dimostrò terrorizzato in quel preciso istante, non poteva finire così.
Ero in piedi e tenevo per il braccio Matt, lui sentiva tremare me, io sentivo tremare lui e fissavo la reazione di Vengenz, che urlava contro il soffitto e tentava di aprilo, si stava per mettere a piangere, non avevo mai visto un ragazzo così disperato.

James stava fissando il comportamento di Zee, gli occhi sbarrati e le mani tremanti, accanto a lui c’era Brian che aveva il fiato calmo ma era preso dal panico, Brian … forse quella era una buona situazione per parlare del passato.
Ironica la cosa vero? Mi metto a pensare a come intavolare una conversazione col ragazzo che ho dimenticato per 10 anni nel bel mezzo del panico rinchiusi in una botola, ricominciare a parlarci e cercare di capire qualche cosa della mia fottuta vita.

-non c’è un’altra uscita?- chiesi tremante, gli occhi lucidi dalla paura.
-no ..-
-la chiave?-
-no ..-
-chiamate qualcuno-
-siamo sotto terra Hannah chi cazzo vuoi che ci senta?- urlò Johnny preso dal panico
-non urlami Christ!- urlai di rimando – stavo solo cercando una cazzo di soluzione!-
Cominciai a tremare seriamente tanto che Matt mi strinse il braccio più forte per cercare di darmi sicurezza, nemmeno lui in quel momento ce l’aveva ma doveva essere forte, dovevamo essere tutti forti.

-siamo bloccati ..- disse Zacky scendendo dalle gradinate e avvicinandosi a noi, i telefoni ovviamente non prendevano, l’unica cosa positiva di quella situazione era che ci fosse la corrente, infatti eravamo riusciti ad accendere la luce grazie ad un interruttore trovato ai piedi della scala di ferro.
Mi guardai attorno, avevo paura, mai avuta così tanta nemmeno quando mio padre mi picchiava … cominciai a piangere silenziosamente, avevo le lacrime che mi rigavano il volto, in vita mia avevo pianto pochissime volte: quando Brian se n’era andato, quando mamma era morta, quando la villa dei nonni era andata a fuoco, odiavo piangere, mi sentivo debole e vulnerabile … la stanza era grande, c’era un tavolo con delle sedie e delle vecchie cianfrusaglie ammuffite vecchie di decenni. Al centro della stanza c’era un buco, mi avvicinai, era profondo, buio e non si vedeva  nulla.
-magari è una via di fuga- dissi prendendo la lattina di cola dal tavolo e gettandola nel buco, la caduta durò alcuni secondi quindi doveva essere abbastanza profondo, poi si sentì uno splash, era giunta alla fine.
-okay c’è acqua, nessuna via di fuga- dissi sospirando e tremando al contempo, quasi quasi mi venne da sorridere tanto drammatica fosse la situazione. Alla fine nel peggiore delle situazioni bisogna sempre cercare di sorridere nonostante tutto sia negativo e poco divertente.

-che si fa?- chiese Brian
-che cazzo vuoi fare Haner?- chiese Matt – siamo in trappola moriremo qua, la nostra vita è finita-
Silenzio di tomba. Quella era l’amara verità, cruda, servita su un piatto d’argento. Siamo caduti in trappola come dei pesci in una rete, solamente che non eravamo coscienti di ciò che sarebbe successo e Zacky non poteva prevedere tutto.
Moriremo tutti in una sudicia stanza sottoterra.

Andai ad appoggiarmi contro il muro, nell’angolo, nessuno badò a me, meglio volevo stare da sola, o almeno sola nel mio Io.
E così sarei morta lì, in una sudicia stanza dimenticata da tutto e tutti e nessuno si sarebbe mai accorto della nostra, della mia assenza, forse i genitori dei Sevenfold si, ma la mia nessuno, ad Huntington Beach ero invisibile, come se non esistessi.

James Sullivan stava seduto sopra il tavolo, con le gambe a penzolo e le muoveva piano, aveva lo sguardo fisso nel buco e i capelli che gli ricadevano in faccia, giocava con le bacchette, se le era portate dietro quando eravamo partiti da casa sua, non se ne staccava mai, chissà le mie dove erano finite. Ah si, in camera di casa Christ, non le portavo quasi mai via dato che la maggior parte del tempo lo passavo in casa. James ogni tanto sorrideva, chissà a cosa pensava, a quanto poco avesse vissuto? Alle cose che non aveva ancora fatto nella vita? Era un ottimo batterista da quando ho sentito nelle prove di prima e niente, poteva diventare famoso, ne ero certa, se nonno fosse stato ancora vivo, sarebbe diventato la sua pupilla, amava i tipi con il suo carattere, come Jimmy …

Zackary Baker, Zacky Vengeance, Vee, Zee, Vengenz beh chiamatelo come vi pare dato che aveva una moltitudine di soprannomi stava seduto ai piedi della scala di ferro e si teneva con le mani la testa, in preda al panico e al nervosismo. Era un bravo ragazzo, simpatico, era bravo a suonare la chitarra e ci metteva grinta nel farlo; stava piangendo, era orribile vederlo così disperato, non ce la facevo.
-è colpa mia ragazzi- disse
-no- risposi – non potevi saperlo-
- hannah ha ragione, non è colpa tua- mi appoggiò Matt – sennò sarebbe colpa mia dato che ho rotto l’ultimo gradino –
-era ossidato – cercò di giustificare Zacky
- e tu non potevi sapere che sarebbe venuta la tempesta e che un cervo ci sarebbe passato davanti, hai solo cercato di aiutarci portandoci al coperto – James sorrise debolmente
-vi ho condotti alla morte-
- ne usciremo vivi – Brian parlò, quanto cazzo era bella la sua voce? – siamo o no gli AVENGED SEVENFOLD?-
-senza gli strumenti non siamo niente –
-ma lo siamo nel cuore ed è quello che conta, mai dimenticarsi di ciò che si è e di ciò che si vuole fare, basta crederci- Brian disse queste parole e inchiodò gli occhi ai miei, mi sentii morire dentro. Quanto era bello? Quanto cazzo era bello? Il viso affilato, gli occhi neri, le braccia muscolose, il cuore prese a battermi all’impazzata, forse lo sentivano anche gli altri dato che nella stanza vigeva un silenzio di tomba. Cercai di controllarmi, pensai ad altro.

Johnny Christ stava seduto contro la parete a un paio di metri da Vengez e faceva finta di suonare le note con un basso immaginario, cercava di tenere la testa occupata, magari inventando nuove canzoni che un giorno avrebbe suonato in un concerto appena fuori di lì, se mai ne sarebbe uscito … forse sono un po’ troppo negativa? Beh quella era l’amara verità.

 

***


-perché non parliamo di qualche cosa?- propose Zacky, si era ripreso abbastanza dallo shock iniziale e adesso voleva sviare i pensieri di ognuno.
-e di cosa vorresti parlare?- chiese Brian – ormai ci conosciamo come le nostre tasche-
Zacky guardò attorno, non si poteva fare nulla, c’era una bottiglia sul tavolo, era piena di polvere, era verde, quelle vecchie bottiglie che si usavano per contenere il vino alcuni anni fa.
-giochiamo al gioco della bottiglia- propose pulendola bottiglia con la maglietta. Alzai lo sguardo immediatamente, ironico vero? Tutto stava finendo come era iniziato, con un gioco di bottiglia, era così che per la prima volta avevo rivisto Brian, a casa di Elizabeth.
-no – disse Haner quando sorrisi a quel ricordo, lui gettò un’occhiata fugace a me e poi inchiodò Zee con gli occhi – odio quel gioco-
-okay … - il chitarrista rimise giù la bottiglia – beh, Hannah parlaci della tua vita, sei l’unica di cui non conosciamo nulla-
Mi immobilizzai sul posto, il respiro mi si mozzò non era tanto quello che mi aveva chiesto Vengeance, ma la reazione di Brian.
-NO- aveva urlato. Tutti lo guardarono, io compresa.
-cosa..? – chiese titubante Zee – cosa centri tu con lei Syn? –
- Syn?- chiesi incuriosita
-è il soprannome di Brian, Synyster Gates in seguito ad una specie di incidente che hanno avuto lui e James -
-ah, okay – e incrociai le braccia al petto.
-Hannah, allora ci dici qualche cosa di te?- il cuore mi prese a battere.
-beh … - iniziai a farfugliare.
-fatti i cazzi tuoi Zackary – disse acido Syn, aveva fatto la mossa sbagliata.
Zackary si girò verso Brian, stava tremando e sta volta non era paura, era nervosismo.
-DIO CRISTO HANER CHE CAZZO HAI? SPIEGAMI ADESSO- urlò furibondo – DA QUANDO JOHNNY HA INIZIATO A PARLARE DI LEI ERI STRANO, ADESSO CHE E’ ARRIVATA LO SEI ANCORA DI PIU’, E HO VISTO COME VI GUARDAVATE APPENA SEI ENTRATO NEL GARAGE, CHE CAZZO CI NASCONDI?-  rabbia, dolore, esasperazione.
-COS’E’ TE LA TROMBI DI NASCOSTO? GELOSO DELLE ATTENZIONI DI SANDERS NEI SUOI CONFRONTI?-
Cosa? Sanders geloso? Ma se nemmeno ci conoscevamo, okay ma perché mai Syn dovrebbe essere stato geloso? Sono anni che non ci vediamo, non poteva essere innamorato di me … ma non diedi peso a questi pensieri, sentivo gli occhi pizzicare, stavo per piangere.
Se non avevo mai pianto veramente a causa di qualcuno, quello fu il momento giusto. Scoppiai a piangere e mi raggomitolai su me stessa.

James si alzò dal tavolo, si fece per avvicinare a me per consolarmi, ma ci pensò Matt che fu più rapido, James così si avvicinò a Zacky. Nel frattempo sentivo gli occhi pesanti di Brian addosso al mio corpo, raggomitolato con le parole di Matt che cercavano di calmarmi, senza esito positivo.
-bravo coglione, l’hai fatta piangere- disse dandogli una spinta
-non me ne frega un cazzo, Gates da quando c’è lei è strano e voglio sapere il perché-
-sono cazzi suoi- rispose acido Rev, non so cosa prese a Zacky in quel preciso istante, uno scatto di rabbia, nervoso, forse tutta la rabbia repressa, fatto sta che tirò un pugno a Jimmy mentre lui si stava avvicinando a me, il batterista perse l’equilibrio e cadde in quel buco in mezzo al pavimento.
E poi?
Splash.
Senza un grido, un lamento, solo il suono dell’acqua che veniva a contatto con un corpo in caduta dall’alto …
Silenzio di tomba .. nessuno nella stanza fiatò fino a quando le acque in fondo al buco si furono calmate. Poi un urlo straziante proveniente da Matt.

James era morto e Zacky ne era stata la causa.

 

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Capitolo 14
*** Car Crash ***


XIV
 

I tried to heal your broken heart
With all that I could
Will you stay?


 


Dolore, nervoso, rabbia, disperazione, paura aleggiavano nell’aria in quel preciso istante. Tutto era successo in un istante, un istante che sembrò durare un’eternità. Non ci credevo, non volevo crederci.
La cosa più straziante in quel momento fu l’urlo di Matt, straziante, pieno di sentimenti, Matt che aveva appena visto morire il suo migliore amico per un attacco di rabbia. Non mi capacitavo di ciò che era successo, davvero Zachary aveva spinto James giù per quel buco?
Sentivo il dolore di Matt come fosse il mio, ci stavo male per lui, gli occhi mi si bagnarono di lacrime, Matt era l’unico amico che avevo trovato ad Huntington Beach e adesso stava male.
Poteva essere tutto un incubo?
Un fottuto incubo?
No era la realtà e la realtà fa male a volte.

-JAMES- urlò Matt buttandosi a capofitto nell’apertura del buco, Brian corse per prenderlo in modo da evitare che cadesse anche lui, stava piangendo, tutti eravamo sconvolti.
-CHE CAZZO HAI FATTO- urlò Johnny correndo contro Zacky il quale fissava ancora il buco in cui Jimmy era caduto, era come ipnotizzato, sembrava stesse rivivendo quella scena più e più volte, inoltre stava balbettando qualche cosa di incomprensibile, cosa dovevo fare? Non lo sapevo. Fissai Johnny che gli tirò un pugno in pieno volto, non cadde a terra, anzi rimase in piedi col labbro che si gonfiava per il dolore, ma non emise un lamento.
-FERMI- urlai correndo a mettere da parte Christ – che cazzo fai?-
-ha ucciso James!- urlò
-non l’ha fatto a posta!- risposi stringendo la presa sul suo braccio per calmarlo e farlo ragionare, poteva perdere la testa e non ragionare più trasformandosi in una belva assassina, nessuno sa di cosa davvero è capace l’essere umano fin quando non si scatena per davvero, e nonostante Johnny fosse gracilino, basso e dall’apparenza gentile, dentro di lui in quel preciso istante sorse una rabbia pazzesca, aveva perso il suo migliore amico e nessuno avrebbe più colmato quel vuoto interiore.

-io … non .. – balbettò  Vengez incredulo con gli occhi lucidi – pensavo .. – si rifugiò nell’angolo, le mani che reggevano il capo, cominciò a piangere. Sospirai e andai da lui, mi sembrava la cosa corretta da fare, Brian stava parlando con Matt,il quale si era rinchiuso in se stesso e non voleva parlare con nessuno.
-zacky – dissi sedendomi accanto a lui e appoggiando la mano sulla spalla, il corpo era scosso da tremiti e singhiozzi, il dolore era palpabile
-ho ucciso Jimmy-
-è caduto nel buco, non puoi farci niente-
-si ma l’ho spinto ..-  misi il braccio attorno a lui e cercai di confortarlo. – sono un assassino-
 Io non li conoscevo come si conoscevano tra loro, ma sapevo che Zacky non l’aveva fatto apposta a farlo cadere, era stato preso dalla rabbia e non si era controllato, poteva capitare a chiunque.
-Zacky, non è colpa tua è stato un errore stupido, eri in preda alla rabbia e all’agitazione e al panico, siamo bloccati qua dentro e poteva capitare a chiunque, persino a me- dissi sincera
-mi sento in colpa ..-
-appena usciamo da qua gli faremo un funerale come si deve, riposerà in cielo e vi proteggerà da lassù, voi farete carriera con la band perché è ciò che lui desiderava e spaccherete il culo a tutti- cercai di sorridere per quanto fosse drammatica la situazione. Vedevo Matt disperato, Brian che con la mano gli massaggiava la schiena e sussurrava parole per rasserenarlo.

Zacky prima ha detto che Brian era strano, sia prima che dopo che arrivassi, cosa voleva dire? Fissai quel ragazzo che conoscevo da anni e mi chiesi che cosa lo aveva spinto a baciarmi a casa di Elizabeth, non si era fatto vivo per 10 anni e perché adesso è tornato? E il fatto che lui si Sia trasferito in questa città e che dopo 10 anni ci sarei arrivata io ha qualche cosa in comune?
Era già tutto scritto dai Dio, sempre se esiste, o è il destino? Il destino ce lo creiamo da soli però … quindi finendo in quella stanza ci eravamo fottuti da soli?
Conclusione?
La vita ti fotte, che Dio esista o meno.
 

***
 

Passarono alcune ore, lunghe, piene di angoscia e sembravano non passare mai. Non avevamo nemmeno un orologio, i telefoni erano morti e non avevamo la concezione del tempo, era notte? Giorno? E com’era fuori? Brutto? La tempesta era passata? Qualcuno si era accorto della nostra assenza?

Stavo seduta nel mio angolino, a meditare su ciò che la vita aveva serbato per me, solo dolore, amarezza, tristezza, niente di cui sia mai andata fiera,chissà perché Dio ha scelto questa vita proprio per me, vorrei sapere … una cazzo di risposta voglio, solo una, me la concedi? Dio? Rispondi ti prego. Fammi sapere che ci sei, che esisti, che mi darai un bel futuro .. sorrisi tra e me, stavo sparando cazzate enormi, Dio non esiste e non mi avrebbe mai aiutato.

Matt si era calmato e stava parlando calmo con Zacky … li vidi sorridere e constatai che tutto era apposto, almeno non ci sarebbero state altri morti per mano di qualcuno dei due … dal mio angolino fissavo tutti e quattro, Syn che giocava con il filo della maglia, Johnny che stava seduto sul tavolo a riflettere fissando il buco e Zacky e Matt che parlavano di qualche cosa a me sconosciuto, avevano la voce troppo bassa perché riuscissi a sentire;
-Hannah?- mi chiamò Christ
-dimmi- voltai il volto verso di lui e una fitta mi trapassò la testa, mi stava per venire mal di testa, ne ero certa.
-puoi venire un attimo qua?- tutti mi fissarono.
-okay- risposi e feci per alzarmi, ma il corpo non resse da solo e dovetti appoggiarmi al muro.
-è tutto ok?- fece Matt fissandomi preoccupato.
-si si stai tranquillo- lo rassicurai sorridendogli debolmente. Tirai un sospiro e mi incamminai verso Johnny, fu il quel momento che una fitta lacerante mi colpì alla testa, facendomi stordire, perdere i sensi e cadere a terra, a poca distanza dal fatidico buco dove poche ore prima era morto James …
 

***
 

-vuoi giocare?- chiese il padre alla piccola
-siiiiiiiii- urlò quest’ultima saltellando attorno al papà che sorrideva guardandola
-e a cosa vuoi giocare?- le chiese. La piccola ci pensò su alcuni istanti.
Era una calda giornata estiva e tutto nel quartiere era caldo, alla villetta blu tutto andava come sempre senza intoppi e un’atmosfera di felicità e serenità aleggiava nell’aria. La bambina aveva dei piccoli codini e i capelli intrecciati, c’era una ciocca ribelle che era rimasta fuori dalla coda e lei costantemente se la portava dietro l’orecchio con un gesto semplice e veloce, odiava avere i capelli in faccia specialmente quando giocava col suo papà in giardino.

Hannah aveva portato fuori la coperta, aperta sotto il ciliegio e lì stava col papà a giocare in attesa della mamma che sarebbe tornata entro alcune ore per fare la cena.
-allora?-
-aspetta! Sto pensando!- bofonchiò mettendo il broncio , finto ovviamente, perché al suo papà non riusciva a resistere.
-ho deciso!-
-sentiamo amore-

-devi acchiapparmi!- e detto ciò cominciò a correre per il prato, nascondendosi dietro le aiuole e i meli che rendevano il giardino ricco e fiorito.
-sono vecchio!- protesto il padre
-No!- e la bimba rise, sarebbe stata una delle sue ultime risate vere per anni, era incosciente di ciò che sarebbe successo da lì a poche ore.
-papà prendimi!- urlò felice
-adesso ti acchiappo!- disse lui prendendola per la maglia e appoggiandola a terra e facendole il solletico.

-Brian cosa guardi?- chiese la madre al figlio vedendolo fissare dalla finestra, Brian aveva 10 anni e non aveva amici, oltre ad Hannah conosciuta qualche settimana prima a causa di tre bulli, aveva la sua chitarra, si suonava la chitarra ed era abbastanza bravo, suo padre era musicista e gli stava piano piano insegnando tutte le tecniche con fare minuzioso
-niente mamma-
-è carina vero la figlia di Chester?-
-molto …- ammise lui
-perché non vai a giocarci?-

-è con Chester e non voglio disturbarla- disse lui sospirando.
Brian era sempre rimasto ammaliato da Hannah, era bella, aveva sei anni circa e se ne era innamorato dal primo giorno in cui l’aveva vista uscire da quella villetta blu alla fine del quartiere, per andare a scuola, la famiglia erano una delle più simpatiche e socievoli del quartiere.


-papà fermo basta!- rideva la piccola cercandosi di divincolare dalla stretta del padre che le faceva il solletico
- oh no! Adesso continuo!- e la faceva ridere a crepapelle.
La mamma arrivò un’ora più tardi, con le borse della spesa e l’aria stanca, di una che dormiva poco e che lavorava tanto.
-MAMMA- urlò la bimba correndole incontro.
-ehy amore- disse abbracciandola
-ciao tesoro- disse Chester alla moglie
-ciao amore- rispose baciandolo sulla bocca, erano davvero  una bella coppia, stavano insieme dai tempi del liceo e non si erano mai lasciati, fortunati loro.
- amore esco un attimo a prendere le sigarette, okay?-
-morirai di cancro ai polmoni, dovresti smetterla-
-si prima o poi-
-potremmo benissimo usare quei soldi per altro-
-lo sai che la nicotina mi fa bene-  e detto ciò prese le chiavi della macchina e uscì mentre la signora preparava la cena.
-dove va papà?-
-esce un attimo-
-okay-


Chester era andato a prendere le sigarette, era vero, non era una balla del padre per scappare, lui amava la sua famiglia e mai l’avrebbe abbandonata e poi Hannah era la luce dei suoi occhi, non l’avrebbe mai lasciata andare via e sarebbe rimasto nonostante tutto. La amava come amava la moglie, erano la famiglia perfetta ...
-uno di Marlboro da venti- disse al tabacchino

-5 dollari- Chester pose le banconote e attese il resto
-grazie, buona serata- rispose il venditore
-anche a lei- e uscì dal negozietto che stava un po’ fuori dal centro, l’uomo salì in macchina e accesa la cicca, accese anche il motore, fece retromarcia e imboccò la via per tornare a casa.

Erano le otto di sera, stava per girare l’angolo, era a 100 metri da casa sua quando uno skate gli tagliò la strada, per evitarlo girò il volante alla sua destra e bam! andò a sbattere a 80 all’ora contro la quercia.

L’air bag si aprì, ma non servì a molto, una ferita alla testa e l’uomo svenne, perse conoscenza, quell’incidente gli avrebbe procurato gravi problemi futuri e non sarebbe più stato il Chester di due ore prima, tutta la vita di sua figlia era andata a puttane per uno stupido skater che aveva perso il controllo ..

Brian fissò la macchina, incredulo, la macchina correva troppo e non l’aveva vista arrivare … si mise le mani alla testa, si guardò in giro, prese la rincorsa e corse a casa con lo skate col cuore che gli martellava nel petto.

 

***


-HANNAH- Syn la stava scuotendo per risvegliarla.
-eh? Cosa?- dissi scuotendo la testa e tentando di rialzarmi.
-sei svenuta accanto al buco, per un momento pensavo stessi per finire anche tu assieme a James ..- quello che mi parò era Brian, Brian? Non me lo sarei mai immaginato.
-ah .. – dissi tentando di alzarmi – quanto sono rimasta svenuta?-
-una mezzoretta più o meno- vidi Zacky , Matt e Johnny dormire.
-tutto ok?-
-si.. almeno credo- risposi sorridendo o almeno ci provai. Ero così vicina a Brian che potevo sentire il suo odore, menta e tabacco, il cuore martellava nel petto ed ero così vicina che potevo, se solo avessi voluto, baciarlo .. volevo baciarlo.
Ci stavamo fissando negli occhi, aveva dei bellissimi occhi, i lineamenti perfetti .. quanto era bello? Era perfetto … non so cosa mi prese, ma mi sporsi leggermente per baciarlo, lui non si ritirò, ma quando ero così tanto da sentire le sue labbra sulle mie, mi ritirai.

Johnny si era schiarito la voce.







nota dell'autrice: *appare nel bel mezzo del pomeriggio col XIV CAPITOLO* buongiorno! spero che vi sia piaciuto e niente, lasciate una piccola recensione e fatemi sapere come vi sembra, mi farebbe molto piacere!
*si rende conto di essere ancora viva dal finale del cap. XIII, gioisce*
ciao ggente!

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Capitolo 15
*** Gelosia ***


 
XV
 

He who makes a beast out of himself
Gets rid of the pain
Of being a man


 


-penso che ci dobbiate delle spiegazioni- disse Johnny alzandosi e svegliando gli altri che stavano dormendo nell’angolo.
Mi strinsi le mani al petto, cosa c’era da spiegare? Non sapevo nemmeno perché lo stavo per baciare, cioè in parte nemmeno lo conoscevo, dall’altra eravamo stati amici di infanzia, ed era il mio migliore amico, ero piccola per pensare all’amore e non ci avevo mai fatto caso .. ero piccola … troppo piccola.
Guardai Brian, guardai Johnny, guardai gli altri due, non sapevo davvero cosa dire ..
-beh .. – farfugliai
- Brian?- chiamò Johnny
Ma semplicemente farsi i cavoli loro, no eh?
-Brian, adesso devi dirci che succede, Zacky ha ragione, l’abbiamo notato tutti. La prima volta che ti ho parlato di Hannah eri strano, mi continuavi a fare domande su domande, adesso che è venuta qua oltre a chiedermi costantemente di lei, appena l’hai vista, la prima volta hai farfugliato qualche cosa tipo “quanto è bella” o una cosa del genere e al garage siete rimasti a fissarvi per un minuto buono.-
-vi conoscevate già?- chiese Zackary
-guardai Brian, io avevo paura a parlare, i ricordi di lui erano sbiaditi nella mia mente e solamente nell’ultimo periodo stavano tornando lucidi, Syn sospirò.
-vedete ragazzi ..-
-sei innamorato?- Brian avvampò
-ZACKARY- urlò Brian – stai zitto-
-okay capo, scusa- rise sotto i baffi
-io e Hannah ci conosciamo da un paio d’anni e beh era la mia migliore amica …
 

***


“ho conosciuto Hannah quando avevo 9 anni, lei quasi sette, abitavamo in una via non molto frequentata, lei abitava in una casetta blu, non ci avevo mai parlato, ero un bambino timido, amavo la chitarra e non avevo amici, a mio favore però era l’altezza, ero alto e papà mi aveva dato le basi di pugilato tanto per sapermi difendere dai bulli della scuola. Era il 1994 e lei avrebbe appena iniziato la scuola, era così bella, aveva un vestito azzurro, le treccine che ricadevano sulle spalle e un’aria spensierata, da bambina felice. Mia madre mi lasciava andare a scuola da solo, sapeva che ero uno di cui ci si poteva fidare e la strada da lì a scuola non era lunga, bastava svoltare di qualche via.
Così cominciai a conoscerla, da lontano, non osavo avvicinarmi a lei. Era una bellissima bambina ed è diventata una splendida ragazza … così la cominciai a guardare, avrei passato ore a farlo, a ricreazione la vedevo giocare con le sue amiche, la accompagnavo a casa, sempre a debita distanza e la fissavo mentre giocava con il padre fuori in giardino.
Avevo paura a parlarle, non avrei saputo cosa dirle, così le settimane passarono e la sua sola vista mi rendeva felice. Avevo 9 anni e mezzo ed ero già cotto allora …
Mia madre era amica dei suoi genitori, ma non le feci mai notare di quello che provavo nei suoi confronti fino a quando non glielo confessai, lo stesso giorno in cui suo padre ebbe l’incidente.
pochi giorni dopo, mentre tornava a casa due bulli la seguirono e dato che lei faceva sempre una strada più lunga perché tornava a casa per una via secondaria perché passava dai cani di una vecchia anziana e gli dava il cibo, i due ragazzini la bloccarono e le tirarono un pugno nello stomaco così decisi di intervenire mandandoli al tappeto, non li conoscevo nemmeno, dovevo portarla in salvo, era quello che dovevo fare, me lo sentivo da dentro che era la cosa giusta da fare. I due bulli inoltre la stavano insultando su ciò che era successo a suo padre,il che mi fece innervosire ancora di più così non esitai a saltargli addosso.
Lei tremava, aveva paura, ma la rassicurai, la portai a casa e da quel giorno diventammo amici …
Diventammo migliori amici …
Stavamo ogni pomeriggio assieme, ridevamo e scherzavamo, giocavamo, ma nel mio io sapevo che mi stavo innamorando davvero di lei, ero piccolo lo so ma era tutto ciò di cui avevo bisogno e niente me l’avrebbe potuta portare via.
Le regalai anche un cd dei Led Zeppelin, il mio preferito e le feci la promessa che ci sarei sempre stato per lei fino a quando un pomeriggio i miei genitori non mi diedero la notizia che ci saremmo dovuti trasferire ad Huntington Beach, in quel momento odiai così tanto mia madre che non le parlai per alcune settimane. Dissi ad Hannah, le promisi, che sarei tornato ogni estate per lei, promessa che non mantenni,i miei non mi avevano mai consentito di tornare, mi avrebbero ammazzato se l’avessi fatto, sapete suo padre dopo quell’incidente riscontrò alcuni problemi Non riuscii mai a tornare in quel paese, se non solamente nel dicembre del 2004 quando riuscii a mettermi in contatto con i suoi nonni e cercai in ogni modo di vederla, parlarle ma invano, poi mi dissero che sarebbe andata ad una festa di una certa Elizabeth così mi imbucai facendo finta di essere un vecchio amico conosciuto in vacanza, quando entrai lei era così sbronza che nemmeno mi chiese chi fossi. Così entrai e mi feci largo tra gente che ballava fin quando non la trovai, era rimasta uguale, sì con le fattezze di una donna, ma l’avrei riconosciuta tra altre mille. Gli stesso occhi neri, i capelli mossi e scuri e lo stesso sorriso.
Mi offrirono di giocare al gioco della bottiglia, odiavo quel gioco così dissi al ragazzo che mi aveva invitato, Carl mi pare che si chiamasse,gli dissi che avrei accettato solo se avesse chiamato anche la tipa mora seduta per terra accanto al muro.
-va bene- fece spallucce e la andò a chiamare, ci sedemmo tutti in cerchio e pregai Dio che mi capitasse lei. Per fortuna mi ero presentato a Carl col mio soprannome, Synyster Gates, in modo che lei non si sarebbe ricordata di me se avesse sentito il mio nome di battesimo. Ero ammaliato dalla sua bellezza, i sentimenti per lei non erano cambiati, nonostante ad Huntigton Beach fossi pieno di ragazze che mi giravano attorno.
Lei girà la bottiglia, si fermò davanti a me, non aspettavo altro.
Qualcuno mi incitò, disse “vai Syn” o qualche cos del genere, mi avviai verso i bagni con lei dietro di me, sentivo i suoi occhi che mi scrutavano ogni centimetro del mio corpo, ero in preda all’agitazione, in bagno cercai di parlarle, ma ero impacciato, mi disse che era sobria e che non beveva mai in presenza di sconosciuti, non voleva morire a soli 18 anni … poi mentre la contemplavo come di contempla la Vergine Maria, sentii dei passi e mi avvicinai a lei, la presi e la appoggiai delicatamente al muro e accostai quasi le labbra, Carl era entrato pensando che non stessimo facendo nulla.
Poi uscì, rimasi un attimo a fissarla, imbambolato nel suo sguardo e mi staccai, profumava di menta, volevo baciarla, ma non potevo farlo, poi mandai a fanculo me stresso e la baciai, non me ne fregava se mi aveva riconosciuto o mi reputasse un perfetto sconosciuto, dovevo vederla.
Dovevo baciarla.
Era ciò che dovevo fare.
In quel momento capii che la amavo davvero e che i miei sentimenti non erano cambiati.
Lei però non mi aveva riconosciuto, un po’ di delusione mi pervase il cuore ma non mi lascia scoraggiare.
Dopo la morte dei suoi nonni, andata ad abitare dopo il suicidio del padre Chester e della madre Sophie, venne lasciata vivere da sola, io intanto avevo affittato un appartamento a pochi isolati da lì per cercare di starle accanto in quella situazione difficile sempre attento a non farmi scoprire. Hannah si lasciò andare, viveva male così le scrissi un biglietto dove le dicevo in anonimo che doveva iniziare a vivere e non ne valeva la pena gettare la vita a puttane come stava facendo. Solo che lei si diede al bere, e una sera tentò di suicidarsi gettandosi dal terrazzo dell’ultimo piano del palazzo,giunsi sul posto prima che lasciasse i piedi il cemento. La salvai. E scappai. Non poteva sapere che ero stato io a salvarla.
Andò in riabilitazione nel circolo di alcolisti anonimi, partecipai alla prima seduta dove lei raccontò tutta la sua vita per volontà della psicologa, quando mi vide svenne, sussurrando il mio nome …
Poi mi arrivò la telefonata di Johnny dicendo che dovevo tornare a casa per finire le prove della band che di lì a poco avrebbe fatto qualche concerto in giro per la città, cos’ tornai e mi promisi che sarei presto tornata a vedere di lei, ma quando tornai ad Huntigton Beach Christ mi disse che una certa Hannah Seward, la mia Hannah, sarebbe venuta a stare da lui perché erano gli unici amici di famiglia rimasti. Andai nel panico, non sapevo cosa fare e come avrei reagito alla sua vista …
Aspettavo ogni giorno il suo arrivo e quando è arrivata sono andato nel panico, ecco perché non volevo mai andare a casa di Johnny o uscire vicino casa sua …

 

***
 

Guardai fisso per terra, volevo baciare Brian, volevo dovevo, non so qualche cosa dentro di me si era ravvivato, forse quello che provavo per lui quando eravamo piccoli?
Forse era un amore che era rimasto seppellito per anni in attesa del momento giusto per tornare.
Cosa dovevo fare?
Parlare? Stare zitta?
-è tutto vero- confermai – mi sono trasferita qua perché i miei nonni erano morti in un incendio, e i miei si erano suicidati, cioè mio padre aveva ucciso mia madre e inseguito suicidato, solamente che per problemi di alcolismo, i giudici della corte non si fidavano di lasciarmi da sola e mi diedero in custodia ai Christ con cui mio nonno ne era già d’accordo … è come se mio nonno sapesse ciò che mi sarebbe successo –
Abbozzai un sorriso 
-mi dispiace- disse Zee abbracciandomi
-è acqua passata, sto cercando di seppellire i miei 18 anni di vita, anche se solo ultimamente comincio a ricordare della mia amicizia con Brian, mio padre inseguito a quell’incidente portò delle gravi lesioni al cervello creandogli problemi, mi cominciò a violentare e abusare di me … -
Silenzio di tomba. Mi sentii abbastanza in imbarazzo, avevo raccontato la mia vita a dei ragazzi che quasi non conoscevo, però mi sentivo svuotata di un peso enorme come se tutto il dolore a poco a poco accumulato in 10 anni di dolori e violenze stesse scomparendo progressivamente.
Scesi dal tavolo, su cui ero rimasta seduta per tutti e venti i minuti prima e mi andai ad appoggiare nell’angolo, e mi raggomitolai su me stessa.
Volevo stare da sola. Avevo sonno. Volevo dormire. Avevo bisogno di stare in pace con me stessa.
Dal racconto di Brain avevo scoperto il nome di mio padre, Chester …  ironico vero? il mio migliore amico lo sapeva e io no. Buffo, no?
Appoggia la testa al muro sudicio, non mi importava se fosse sporco o meno, volevo solo dormire.
Matt si avvicinò a me, notai solo l’occhiataccia di Brian nei suoi confronti, poi mi addormentai sulla sua spalla …
 

***
 

Mi risvegliai alcune ore più tardi, potevano essere ore come semplici minuti o giorni, no dai forse giorni no, non poteva passare così tanto tempo e non dormivo mai così tanto.
Ero ancora appoggiata alla spalla di Matt, mi tirai su e mi stiracchiai.
-dormito bene dolcezza?-
-si dai- risi – però non chiamarmi dolcezza che non mi si addice
-okay- e mi fece l’occhiolino.
Scrutai in giro e vidi gli altri dormire, Brian era dolce quando dormiva, le braccia incrociate, il ciuffo ribelle che gli copriva gli occhi e la testa leggermente piegata.
-cosa pensi?- mi chiese Matt sorridendomi
-a quando usciremo da qua-
-ce la faremo- mi promise prendendo la mia mano e portandosela al petto come giuramento. Sentivo il suo cuore battere, forte rispetto al normale, poi mi colse alla sprovvista e mi baciò.
Ricambiai con un ceffone, nessuno poteva toccarmi senza il mio consenso. Nessuno.
-io .. beh .. – farfugliò
-Sanders che cazzo fai?- questa è la voce di Brian, merda adesso sarebbe venuto fuori il putiferio.
-niente, perché?-
-ho visto la scena-
-non è successo nulla- si giustificò Matt alzandosi in piedi. Avete presente quando una persona è nervosa e le vene cominciano a ingrossarsi? Bene, le vene delle braccia di Syn si stavano ingrossando, e adesso l’uno era di fronte l’altro;
-Brian stai calmo- cercai di dire
-hai qualche problema Haner?-
-si Sanders, hai baciato la mia ragazza- cosa? La sua ragazza? Il cuore mi prese a battere forte, era ciò che desideravo, non so se fosse amore, ma provavo qualche sentimento forte verso Brian, qualche cosa di profondo, nato un decennio prima …
-non mi pare che stiate insieme-
-lei è mia, okay?-
- no- disse secco Matt e diede una spinta a Brian il quale reagì dandogli un pugno sul viso,cominciarono a picchiarsi, Johnny e Zacky si erano svegliati e tentavano invano di fermarli. Io urlavo a Brian di smetterla, di lasciarlo stare.
-Brian cazzo smettila!-
-Johnny prendi Matt- urlò Zacky andando ad afferrare per le spalle Haner, ma arrivò troppo tardi.
La gelosia è una brutta bestia, soprattutto se è sei geloso di una persona che ami e che non vedi da tantissimo tempo.
Zacky arrivò tardi, Brian aveva sbattuto la testa di Matt al muro.
Matt si era accasciato a terra.
Matt aveva avuto un’emorragia interna al cervello.
Trattenni il respiro mentre vidi il suo corpo scivolare lungo la parete, il respiro che si faceva sempre più flebile e la vista annebbiarsi …
Stava perdendo le forze … cadde a terra e da lì non si mosse. Un silenzio calò nella stanza.
Matt era morto.

Eravamo rimasti in quattro in quella stanza.

 

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Capitolo 16
*** Almost Easy ***


XVI

I’m not insane
Come back to me it’s almost easy



 


E così eravamo rimasti in quattro.
Quattro.
La stanza si faceva sempre più spaziosa, ma sempre più un vuoto e una sensazione di oppressione aleggiava nella stanza.
Il tutto era anche sottolineato da una nota d’ansia: sarebbe morto qualcun altro?  Saremmo usciti vivi?
Johnny, Zacky, Syn e io; Zacky quasi saltò addosso a Synyster per quello che era successo, ma Brian era assorto, aveva quello sguardo perso nel vuoto, chissà se aveva inteso cosa era appena successo o ci stava ancora meditando. Johnny dovette fare uno sforzo sovraumano per trattenerlo dall’ucciderlo con le sue stesse mani. Stavano diventando pazzi, tutti stavamo impazzendo. Non era possibile che nel giro di breve tempo già in due fossero morti e per di più per colpa l’uno dell’altro.
O forse no.
Forse la colpa era mia. Mia che ero venuta in quella città, mia che avevo ceduto all’alcol, mia che ero nata. Penso che se non fossi nata tutto ciò non sarebbe mai successo.
Visto? L’ho sempre detto che senza di me sarebbero tutti stati meglio. Molto meglio.
Sospirai.

Vidi Zacky piangere e Brian portarsi le mani ai capelli come disperato, io ero lì in piedi a non fare un cazzo, non sapevo cosa dire, né come consolarli, in poche parole ero inutile.
-sentite ci sarà un cazzo di modo per uscire da qua no?- sbottai camminando verso l’uscita.
-se ci dici che hai poteri magici beh facci uscire da qua che stiamo tutti impazzendo.
-deve pur esserci qualche soluzione-
Giunsi alla porticina di ferro che stava a un metro sopra di me; con attenzione salii sul secondo gradino, dato che il primo si era spezzato quando Matt era sceso (chissà quanto tempo prima, una settimana? Un giorno? Alcune ore?) e tenendomi con un braccio alla scala di ferro con l’altra tentai di spingere, ma invano. Poi sentii delle mani prendermi per i fianchi, girai il volto, era Brian.
-così evito di perdere anche te- mi disse cercando di sorridermi. Era bello e il cuore mi prese a battere all’impazzata, volevo baciarlo. Voltai di nuovo il capo verso l’altro spingendo sta volta con due mani.
-Zacky non è che ci sta una chiave o qualche cosa di simile?- chiesi tastando nel soffitto in cerca di qualche incavo segreto dove fosse nascosta la chiave per aprire il tutto.
-penso che se fosse cos’ facile l’avrei già fatto, non credi?-
-beh si-
-e allora pensa prima di aprire la bocca-
-Vengeance non parlarle così- sbottò Syn aiutandomi a scendere
-zitto Haner che hai ucciso Matt- rispose secco Vee
-Brian è tutto ok- risposi sorridendogli per rassicurarlo e prendendolo per mano. Non so perché lo feci, ma mi venne spontaneo, e lui sorrise quando lo feci, uno di quel sorrisi veri, che animano il cuore della gente che ha sofferto molto, ma poi si riscosse e rispose a Zacky.
- e tu hai ucciso Jimmy-
-okay adesso basta avere rotto i coglioni tutti e due pensiamo a come uscire- disse Johnny nervoso camminando su e giù per la stanza.
Mi sedetti per terra, nel mio angolino, sta volta assieme a Brian che mi lasciò appoggiarmi a lui e mi tenne per mano.
-ce la faremo- dissi
-dobbiamo- disse Vengeance


***
 

Passammo un’ora a pensare a come si potesse uscire, spostammo l’armadio che c’era accanto al tavolo per vedere se c’era una finestra o una via di uscita, ma nulla. In cambio ottenemmo una coperta, impolverata, che mi diedero a me essendo poco vestita e tremante. La temperatura stava scendendo oppure ero io che stavo male.
Molto più probabile la seconda ipotesi.
Johnny e Zacky si erano addormentati e Brian li fissava con aria paterna.
-sono i miei migliori amici-
-lo so-
-non volevo fare del male a Matt-
-lo so- ripetei – quando usciremo da qua faremo un funerale a tutti e due, l’importante è uscire- ero stremata non ce la facevo più, stavo per scoppiare. Quel luogo era oppressivo, piccolo, claustrofobico. Dovevo uscire. Avevo bisogno di aria fresca.
Rimanemmo alcuni istanti in silenzio, io sotto la coperta e lui affianco a me.
-posso farti una domanda?-
- devo preoccuparmi?-
-nah .. –
-spara-
-perché sei ancora innamorato di me?-
-sei l’unica di cui mi sia mai importato qualche cosa in questa vita e il trasferimento è stato un duro colpo per me. Eri la mia unica amica, ho dato tutto per te, per cercarti di farti star meglio nei pomeriggi in cui eravamo insieme, in modo da non farti pesare ciò che accadeva a casa tua, per farti star almeno un po’ bene. Volevo renderti felice. Col tempo ho scoperto che quella felicità che cercavo di darti, rendeva felice pure me,  eri la mia felicità. Sembra romantico e non lo sono molto, ma penso che tu sia stata l’unica che non ho mai smesso di amare-
-te ne sei trombato altre?-
-sinceramente? Si. Sono un bel ragazzo, qua mi vengono dietro un sacco di ragazze e succedeva spesso quando ero ubriaco..-
-okay-
-scusa-
-perché?- chiesi senza capire.
-per non essere mai tornato da te-
-avrai avuto le tue buone ragioni-
Non provavo rabbia nei suoi confronti, nemmeno dolore, non era tornato, ma alla fine io l’avevo rimosso a causa di mio padre. Se fosse rimasto lì chissà come sarebbe andata a finire. E invece è andata così e magari era giusto.
-non mi importa basta che tu sia qua- dissi tutto d’un colpo. Ed era vero. quello era l’importante, se c’era lui io stavo meglio. È come se tornassi a quando avevo 8 anni e giocavo con lui in giardino, ero spensierata e per alcune ore non pensavo a quel maiale di mio padre.
Forse lui è stato il mio centro fin da subito.
Forse lo amavo.
Forse dovevo provarci.
Il punto? Non avevo mai baciato nessuno. Lui mi aveva baciato al compleanno di Elizabeth, ma era stato tanto tempo prima e non avevo ricambiato, aveva solo appoggiato le sue labbra alle mie e basta, non me ne ero nemmeno resa conto che lui si era già taccato e si era avviato alla porta del bagno. E poi c’era stato Matt un paio di ore prima, ma non avevo fatto nulla, gli avevo tirato uno schiaffo, altro che bacio ricambiato.
-non mi avevi quindi riconosciuto?-
-no, a parte che sei cambiato, poi mio padre mi ha provocato traumi psicologici e mi ha fatto perdere i ricordi felici che avevo dell’infanzia, ed è la cosa che più rimpiango. A volte vorrei qualche bel ricordo a cui appigliarmi nei momenti meno sereni. Non sapevo nemmeno il nome di mio padre prima che me lo narrassi tu..-
-sei stata male quando si è suicidato?-
-a dire il vero no, gli stava bene, nonostante non fosse colpa sua. Mi aveva fatto del male, mi ha lasciato dei segni indelebili dentro di me che non riparerò mai e ciò vale molto più rispetto ad uno stupido incidente.-
-mi dispiace-
-non importa-
-io non ti lascerò che altri ti facciano del male, lo giuro, ne usciremo vivi da qua te lo prometto su tutto quello che vuoi-
-ti credo-
Dovevo baciarlo, ma avevo paura.
Così volsi solamente il capo verso di lui, non sapevo cosa lui volesse fare, se voleva baciarmi  o cosa, ma lo fissai negli occhi e le parole mi uscirono di bocca senza che la mia mente gestisse il tutto.
-ti amo-
-ti amo- rispose lui.
Avvicinò il suo viso al mio, profumava di menta e tabacco, era un odore bellissimo che mi era rimasto impresso fin dalla prima volta che l’avevo rivisto.
Era Brian, il mio Brian. Accostò piano le sue labbra alle mie e mi baciò.
Era la prima volta che baciavo davvero un ragazzo. Il suo profumo mi invase le narici, era bellissimo, da svenimento, e avevo il cuore che batteva all’impazzata. Cazzo. mi era mancato.
Come avevo fatto a seppellire tutte quelle emozioni e quei ricordi per un decennio?
Cazzo.
10 anni della mia vita, passati tra morti e dolori.
10 anni che non si scordano facilmente.
 

***
 

Erano quasi le nove e mezza di sera quando dal soggiorno Hannah aveva sentito il campanello dell’ingresso suonare.
-hannah vai a vedere chi è?- urlò la mamma dal piano di sopra, stava mettendo a posto i vestiti appena stirati.
-okay- rispose la bimba alzandosi dal divano, infilandosi le ciabatte e andando alla porta.
-salve- disse un uomo con la divisa della polizia
-ciao- salutò Hannah
-dov’è la mamma?-
-che succ..- iniziò la madre della piccola arrivando di corsa giù dalle scale.
-signora Price?- disse il signore togliendosi il cappello in segno di rispetto.
-si, sono io- disse facendolo accomodare nel corridoio.
-suo marito ha avuto un incidente d’auto deve venire all’ospedale.- la signora sbiancò in volto, si dovette reggere al muro li accanto per non cadere a terra svenuta.
-cos’è successo al mio papà?- chiese la piccola sbarrando gli occhi
-signora stia calma non è nulla di grave.- lo rassicurò l’uomo cercando di sorridere, ma invano.
Sophie, la madre di Hannah, prese la giacca e prese in braccio la figlia chiudendo la porta dell’entrata dietro di se.
La piccola ancora in pigiama, aveva gli occhi lucidi, aveva paura per cosa fosse successo al padre.
-mamma dove andiamo?-
-andiamo a trovare papà- rispose allacciandole la cintura.
Le due giunsero all’ospedale della contea dopo mezzora di macchina, Chester era ricoverato in terapia intensiva e fuori dalla stanza stava il dottore che consultava la cartella che teneva in mano.
-salve- disse la madre preoccupata.
-buonasera, signora- disse il medico tirandosi giu gli occhiali e massaggiandosi le tempie, era stanco e assonnato, doveva aver lavorato tutto il giorno. –suo marito ha avuto un incidente con la macchina, l’air bag si è aperto in ritardo e ha sbattuto la testa. Ha un trauma celebrale e 20 punti di sutura sulla testa. Per ora non abbiamo diagnosticato nessun problema a causa dell’incidente, ma aspettiamo che la situazione migliori per vedere come si risolveranno le cose in futuro.
La madre respirò a fondo prima di parlare.
-sicuro che non è grave?-
-sicuro-
.okay, possiamo vederlo?-
-certo, ma fate piano-

 

Ovviamente il tutto era una balla, il dottore aveva letto male le lastre, a causa dell’incidente, si era formato un accumulo di sangue nel cervello che aveva causato la perdita delle facoltà di memoria o di comportamento.
Infatti alcune settimane dopo, il padre cominciò a picchiare Hannah ed ad abusare di lei.
Lei a causa di lui perse la maggior parte dei ricordi positivi della sua infanzia.
Da quel giorno la sua vita sarebbe cambiata non poco. 

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Capitolo 17
*** Carry On ***


XVII
 

God hates us
God hates all of us



 


Non ero stanca, ma nemmeno del tutto sveglia, un po’ l’aria cominciava a mancare in quella stanza, ma cercai di non farmi prendere dal panico. Dovevo resistere. Se mi fossi agitata avrei consumato più aria del necessario e non ce ne sarebbe stata abbastanza per tutti e quattro.
A scuola avevo imparato qualche cosa nonostante non l’avessi portata a termine, chissà perche. Badare ai nonni era più importante, ovviamente, ma chissà cosa sarebbe di me se l’avessi finita. Chissà magari tra 10 anni sarei a dirigere qualche azienda e invece? Mi ritrovavo in una cazzo di stanza sottoterra dove con molta probabilità sarei morta assieme agli altri.
Gli occhi mi si erano chiusi da soli, calo di pressione? Giramento di testa? Non lo sapevo, solo mi accasciai addosso a Brian e lui mi strinse a sé come per proteggermi, credo che pensasse mi fossi addormentata.

Sognai di vivere in una bella casa, era sempre la villetta blu nel quartiere, con davanti la casa di Brian, ma nell’aria aleggiava una nuova atmosfera, più serena e tranquilla, senza quel clima di ansia e orrore che era iniziato quasi 13 anni prima.
Ho sognato di vivere una vita degna di essere chiamata tale, mamma e papà erano felici, si amavano e non venivo violentata o quant’altro. Le domeniche andavo a pranzo dai nonni e i miei mi portavano in giro, andavamo al mare, in montagna, eravamo una felice famiglia.
Avete presente quelle famiglie felici che appaiono nelle foto delle riviste, tutti sorridenti che sembrano sprizzare gioia da tutti i pori? Ecco, una cosa simile. E io ero così, normale e felice e pareva tutto così strano, troppo irreale.
In qualche modo sapevo che quella vita non faceva per me,arrivai pure a pensare che la morte dei miei genitori e tutto quello che aveva comportato fosse migliore di quella merda, perché è vero. la famiglia felice è una merda, nessuna famiglia è davvero felice, ci sono sempre dei problemi e non si possono nascondere dietro finti sorrisi.
Quelle foto sono merde, false, stupide, devono scomparire. Ti costruiscono solo false realtà e false speranze, non esiste la famiglia perfetta e mai esisterà, quelle foto non mostrano la realtà, troppo crudele, troppo dura, troppo paurosa e poi non farebbero bella figura le compagnie pubblicitarie, dico bene?

 

Mi svegliai alcuni minuti dopo, ne ero certa che fossero passati solo alcuni minuti perché la posizione dei miei amici non era cambiata.
-sei svenuta?- mi chiese Syn
-credo di si-
-merda l’ossigeno comincia a venire meno, dobbiamo trovare una soluzione- mi strinse forte a sé guardandosi intorno, ma invano. Eravamo bloccati lì. Lo sapeva lui, lo sapevo io, lo sapeva Dio.
-sai, sono contenta di riaverti nella mia vita. Okay mi sono dimenticata gran parte della mia infanzia, ma da quando ti ho rivisto la prima volta piano piano tutti i ricordi mi sono tornati alla mente, e ora il mio passato è più lucido-
-sono contento-
-ne usciremo-
-già- ma la sua risposta non fu molto convincente, lo guardai con tristezza, un po’ mi sentivo in colpa, forse non era ciò che si aspettava da me.
Gli diedi un bacio, ma sorrise debolmente e la situazione non cambiò.
-cosa c’è?- gli chiesi sospirando e appoggiando la testa al muro lurido dietro di me.
-guarda Johnny si sta comportando in modo strano-
Fissai Christ che stava seduto con le mani in grembo e gli occhi fissi nel vuoto.
-quindi?-
-guarda, sta tremando, è in tensione- rispose lui. focalizzai l’attenzione su un unico punto, sulle sue mani, oltre ad avere delle bellissime vene nelle braccia, cosa che non avevo mai visto prima di alloira, e lo notai, stava tremando leggermente. Zacky era accanto a lui e non se ne accorgeva, anzi dormiva beato.
-Johnny tutto ok?-
Johnny non rispose.
-Johnny…?- tentai invano, ma non diede segno di ascoltarci. Rimanemmo alcuni istanti in silenzio a fissarlo, lui dopo alcuni minuti parlò leggermente, prima piano, poi alzando sempre più il tono.
-cosa volete? Voi due bei piccioncini che vi siete ritrovati dopo dieci anni-
-eri lì tutto solo e silenzioso … - tentai di giustificare.
-solo un cazzo. sono tre metri sotto terra con voi tre e con due cadaveri, e questo sarebbe solo?-
-Johnny- iniziò Brian, ma fu subito interrotto.
-johnny un cazzo, Matt e Jimmy sono morti, io non voglio morire, ho 20 anni devo vivere! VOGLIO VIVERE CAZZO!- adesso stava urlando tanto che pure Zacky si era svegliato.
-cosa sta succedendo..?- chiese tutto intontito dal sonno
-COSA SUCCEDE? COSA SUCCEDE? COSA CAZZO VUOI CHE SUCCEDA VENGEANCE!- sbraitò furibondo –SUCCEDE CHE MORIREMO QUA DENTRO, MORIREMO SENZA CIBO, SENZA ACQUA, SENZA ARIA. MORIREMO COME SONO MORTI JAMES E MATT, FINIREMO IN PASTO AGLI ANIMALI. MORIREMO. NON CI TROVERANNO MAI. RINCHIUSI SOTTO TERRA SENZA CHE NESSUNO SAPPIA DI NOI-
Zacky con quell parole si era svegliato subito, e anche velocemente, tanto che gli occhi si spostavano rapidamente da me a Brian ed infine da Johnny.
Mi stava facendo paura, mi stava mettendo paura, ansia, mi stava facendo perdere ogni sicurezza di me e del fatto che saremmo usciti. Mi stava smontando piano piano, con le sue parole.
Mi stava facendo del male
-calmati- sentenziò Vee – non serve rendere ancora più stressante la situazione.-
-fottiti tu e sto calmati, io devo uscire, voi fate quello che volete, marcite qua, che non me ne fotte un cazzo, io esco-
Tutto accadde in una frazione di secondo, Johnny si alzò in piedi e corse verso le scale attaccate al muro …
Quelle scale che erano li da quanto? 50 anni? Forse di più?
Johnny ci si era scaraventato contro così velocemente, salendoci sopra che loro non ressero il peso e la forza, i bulloni si staccarono e la scala assieme al corpo di Johnny cadde per terra, solamente che un pezzo di ferro, si staccò definitivamente dal sostegno e quando Johnny era caduto per terra, gli aveva perforato il cuore.
Johnny era morto sul colpo.
Eravamo rimasti in tre.
Tre cazzo di cuori che battevano forti per la scena a cui avevano appena assistito.
 

***
 

Cosa pensai appena vidi la pozza di sangue ampliarsi sotto il corpo di Johnny? che eravamo davvero destinati a morire tutti lì, chissà in quale strana maniera. Mancavamo in tre, tre ultimi modi in cui il destino ci avrebbe potuti sorprendere, chissà cosa ci avrebbe fatto.
Fatto crollare il soffitto?
Morti di fame come Ugolino e i suoi figli nella Torre come narra Dante nel XXXIII canto dell’inferno?
Ironico vero?
La mia vita faceva già abbastanza schifo, perché farmi fare una fine orribile come quella?
Dio mi odiava tanto.
Ma tanto tanto.
Caddi a terra, priva di forze, Syn tentò di prendermi, ma mi accasciai al suolo, non ce la facevo più.
-siamo morti-
-no- disse Syn
-troveremo una soluzione- disse Zacky
-fottetevi tutti, la mia vita fa già schifo, come se ci fosse qualche speranza di miglioramento, come se uscissimo vivi da sto inferno.-
-smettila- disse Brian prendendomi per mano – okay? La tua vita sarà stata uno schifo, ma quando uscirai da qua sarà 100 volte migliore.-
-chi me lo garantisce-
-io- rispose sicuro di sé Brian, mi persi nei suoi bellissimi occhi, come non credergli?
Come non credere al ragazzo che amavo e che avevo ritrovato dopo anni?
-mi fido- Brian sorrise e mi baciò.
Forse dovevo credergli, forse affidarmi a qualcuno non sarebbe mai stata una cattiva idea, no?
Alla fine cosa avrei perso, la vita? Tanto quella l’avevo persa già quando mio padre aveva avuto quel fatidico incidente, ma forse con Brian avrei potuto iniziare a vivere di nuovo, una degna, bella, appagante, chissà, una vita nuova.


Avete presente quegli eventi che accadono nel momento sbagliato?
Per quel giorno le tragedie non erano finite; ci sono eventi che determinano altri eventi creando così una catena di problemi.
Eravamo andati a prove, il brutto tempo ci ha fatto uscire di strada, siamo andati al riparo e siamo rimasti intrappolati, poi quella serie di morti che beh hanno coinvolto tutti e che sarebbe stata dura sopravvivere. Una catena. Una causa che determina l’altra.
Jimmy, Matt, Johnny … bene i drammi non si erano conclusi, anzi in quel momento avevo riconquistato qualche fiducia di vivere di nuovo, grazie a Brian, ma il mondo mi crollò addosso quando, seduta sul tavolo a fissare il vuoto appoggiata a Syn, sentii Zacky parlare.
-non abbiamo speranze, siamo costretti a rimanere qua, moriremo-
Parlava e camminava piano, non sapevo cosa voleva fare, sennò l’avrei fermato, l’avrei potuto salvare, salvare anche lui.
-siamo sfortunati, tu di più Hannah, scusami per tutto. Scusatemi per avervi portato qua dentro.-
-zacky…- tentai invano di parlare
-ciao ragazzi, ciao Syn sei il mio migliore amico, addio- e si gettò giù nel buco al centro della stanza.
L’acqua che veniva infranta da un corpo in caduta libero, Brian che mi stringeva forte e il suo fiato che si mozzò assieme al mio. Cominciai davvero a prendere paura per come si stava concludendo quella situazione e di certo non mi piaceva, non ero una che si faceva prendere dal panico, ma quella situazione avrebbe sconvolto chiunque.
Zackary Vengeance si era suicidato e noi impotenti avevamo assistito alla sua fine.


Eravamo rimasti in due in quella stanza.
Due persone, due cuori, due amanti con poco ossigeno a disposizione.
Dovevamo trovare una soluzione e in fretta.
O uscire o morire.
Non c’era altra scelta.










nota dell'autrice: buon pomeriggio!  un pò che non commento, spero che la storia vi piaccia e che non sia noiosa. spero che sia di vostro gradimento. me la lasciate una recenione? sapete mi farebbe molto piace sapere il vostro parere.
ah si! manca poco alla fine e niente alla prossima!

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Capitolo 18
*** In The End ***


XVIII
 

As you close your eyes tonight
And pray for a better life




Penso che alla fine la morte non bisogna temerla, dobbiamo tutti vivere no? E allora se sappiamo che dobbiamo morire, perché la temiamo? Forse perché abbiamo paura di ciò che ci attende dopo?
Appunto.
Cosa succede dopo? Rimaniamo polvere, la nostra anima si reincarna, ritorniamo a vivere in un altro mondo?
O siamo semplicemente ossa sotto terra?
Dobbiamo vivere la vita, è breve e viverla al massimo, sfruttando ogni momento senza rimpiangerne altri. Bisogna imparare dai propri errori e capacitarsi delle scelte fatte, che esse siano buone o sbagliate.


Brian cadde a terra, stava piangendo, aveva perso tutti i suoi migliori amici ed ero rimasta io, una sciocca che lo amava e da cui era rimasto separato per anni senza poterci vedere. Vita di merda.
L’aria si stava facendo pesante, la tensione salì alle stelle, cosa sarebbe stato di noi?
Mi sedetti a terra a fianco di lui.
-ne usciremo- lui non rispose – Brian, ce la faremo-
- no. Moriremo qua. Lo so io, lo sai tu e lo sa anche io, se mai esiste-
-abbi un po’ di fiducia-
-fiducia? Dopo che ho visto morire tutti i miei migliori amici? Fiducia in cosa? Cazzo. La vita fa schifo, non ho fatto nulla, morirò qua a 20 anni e non ho fatto nulla di buono per la società. La vita fa schifo –
-c’è gente messa peggio di te- dissi rabbuiandomi
-non me ne frega un cazzo, che si fottano-
Aveva superato il limite.
-senti vaffanculo, la tua vita fa schifo? Davvero? quando hai una madre e un padre che si amano, una bella casa e sei in salute. Tu ti lamenti per questo? E io cazzo dovrei dire? Mio padre mi stuprava, ha ucciso mia madre, i nonni sono morti sono arrivata qua e ho assistito ad altre morti. Tu non sai cosa cazzo voglia dire perdere la propria famiglia. Tu non sai un cazzo di cosa è il vero dolore, tu non sai cosa voglia dire vivere per davvero.-
Rimasi zitta per un po’, poi dato che non mi parlava me ne andai nell’angolo sola a ripensare alla mia vita. La mia vita faceva schifo non la sua, cazzo si lamentava?
Gli occhi mi pizzicavano, stavo per piangere, ma ricacciai indietro le lacrime. Se Brian voleva crogiolarsi addosso la sua vita, definita schifosa, ben venga che lo faccia. Io avrei cercato una soluzione per uscire da li.

 

-scusa non volevo- disse Brian sedendosi accanto a me. Io avevo gli occhi chiusi e l’avevo sentito appoggiarsi con la schiena al muro.
-so che è dura, ma bisogna cercare di pensare positivo anche nei momenti più bui, la vita va avanti, hai 20 anni, non 80 bisogna cercare di viverla al massimo anche nonostante le tragedie-
-è la prima volta che vedevo morire qualcuno … -
-è difficile e orribile, lo so. Ma così è la vita.-
-fa schifo-
-ma c’è anche un lato positivo-
Lo baciai e lui sorrise. La vita ha alti e bassi, però nel cuore bisogna portare solamente i ricordi felici perché sono più forti rispetto a quelli negativi e ti fanno andar avanti, ti danno la forza di continuare. Bisogna vivere la vita, bisogna vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, cogliere ogni opportunità. Vivere e basta.
Vivere e basta.


Non sapevo cosa fare.
Avevo vissuto la mia vita.
18 anni non erano tanti, ma sempre meglio che niente, no? Pensai alle persone che mi hanno voluto bene, pensai ai nonni, alla mamma e anche a mio padre. So che mi amava prima dell’incidente, sapevo che non era colpa sua.
Li avrei raggiunti in un breve lasso di tempo.
Forse assieme a loro, per una volt, sarei stata felice, chissà. Forse avrei davvero capito cosa voleva dire essere felici, sentirsi amata.
Avere una vita normale.
Ma la vita non la decidiamo noi, capita come capita e se fa schifo, beh bisogna migliorarla, siamo noi i padroni della nostra vita, del nostro destino, siamo noi a decidere cosa fare e come fare.
Quindi io avevo deciso.
Noi avevamo deciso.
Era giunto il momento. Dovevamo farlo.

-lo facciamo?-
-facciamolo.-
Brian mi prese per mano, ci avvicinammo al buco, dove James e Zacky erano morti, tanto da sfiorare il bordo con la punta delle scarpe.
-ti amo Brian-
-ti amo Hannah-
Lui mi strinse forte la mano,avevo il cuore che batteva forte, forse troppo. Stava per scoppiare o almeno a me sembrava così.
-chiudiamo gli occhi okay?- dissi – così non vediamo direttamente quello che succede e sarà … meno doloroso- 
-tre … - disse lui
-due … - continuai io
- uno … - finì lui e ci preparammo a saltare.


La vita però non ha solo lati negativi, ci sono quei momenti in cui credi che tutto stia andando a puttane e invece?
Invece la vita ha anche esiti positivi, come ad esempio quella tragica situazione che stavo vivendo assieme a Brian.
Avevamo appena finito di contare per preparaci a saltare, quando sentii una voce dire “devono essere qua” e mi bloccai.
-hai sentito anche tu?- chiesi
-si- e trattenemmo il fiato.
Poi dei rumori e aria fresca che entrava nella stanza. Inspirai a pieni polmoni e sorrisi. Brian mi strinse forte la mano.
Eravamo liberi.
Finalmente.
Scoprimmo che Matt era riuscito a mandare un messaggio dopo svariati tentativi, con la nostra posizione e di venirci ad aiutare, i soccorsi sono stati lenti causa del mal tempo che imperversava e avevano faticato a trovare la botola. L’importante era che almeno fossimo vivi.
Ci avvolsero con delle coperte, ci portarono all’ospedale e ci fecero alcuni controlli.
Erano passati 5 giorni, che a me parvero infiniti, 5 giorni di morti e litigi, seppur eravamo liberi una tensione aleggiava nell’aria. Gli amici di Brian erano morti e lui non riusciva a capacitarsene.
Cominciò a diventare depresso, a non sorridere mai, a rimanere sempre chiuso in casa e a non uscire mai. Da quando eravamo usciti vivevo praticamente a casa sua e non aveva mai toccato la chitarra, anzi l’aveva messa nell’angolo a far polvere. Per quanto ci provasse, il ricordo dei suoi amici era sempre più forte e questo lo faceva stare male, quel dolore che lo divorava dentro, divorava anche me che piano piano avevo iniziato a capirlo, a capire quanto quei suoi amici fossero la sua famiglia e quanto bene volesse loro.
Odiavo il fatto di non averli potuti aiutare, di non poter aiutare Brian a superare quella difficoltà, di stare lì impotente a non fare nulla con le mani in mano.
Ero inutile.
Impotente.
Nessuno mi aveva aiutato quando io avevo perso la mia famiglia, e quindi volevo almeno essere d’aiuto a lui. Ogni giorno gli sussurravo quanto lo amassi e quanto fossi fortunata ad averlo nella mia vita, lui non faceva una piega, ma non mi demoralizzavo. Dovevo continuare, so che le mi parole gli erano d’aiuto. 
Non si era nemmeno presentato al funerale dei suoi amici, era rimasto a letto tutto il giorno a piangere, non mi parlava quasi mai e di rado mi baciava, non sapevo più cosa fare .
Cominciò ad andare da uno psicologo, ma lo stesso la situazione non migliorò, però non assunse mai anti depressivi o farmaci del genere, non voleva, aveva paura che gli facessero male e che non tornasse più lo stesso.
Forse bisognava dargli tempo, tempo di assimilare tutto l’accaduto. Era dura, lo sapevo e cercavo di stargli accanto il più possibile, gli sussurravo che lo amavo e che non l’avrei mai abbandonato.
 Un anno più tardi però la situazione ebbe un risvolto, era l’anniversario della morte dei ragazzi e insieme andammo sulle tombe, ci sedemmo e fissavamo le epigrafe sul marmo.
-ti amo Hannah- mi sussurrò
-ti amo anche io Brian-  gli sorrisi abbracciandolo
-scusa per tutto questo silenzio, ma è stato un brutto colpo, volevo davvero morire quel giorno e farla finita, pensavo fosse la cosa migliore. E questi pensieri mi hanno assillato fino a poco tempo fa quando ho pensato che la vita va avanti che ci pone degli ostacoli e che per quanti duri siano, bisogna superarli perché dopo ci sarà la felicità. Ho perso loro, ma ho ritrovato te e non ti voglio lasciare. È dura vivere, ma se non ci fossi stata tu ogni giorno a tenermi compagnia, a farmi del bene ora non sarei qua. Forse sarei già morto perché non ce l’avrei fatta a sopportare tutto questo dolore da solo-
-amore ..- iniziai stringendogli la mano
-mi vuoi sposare?- disse Brian senza esitare, gli occhi fissi nei miei e la voce ferma.
-si- risposi e mi baciò.

 




 

 

Nota dell’autrice:  buongiorno! Come potete constatare ho portato a termine la FanFiction, spero vi sia piaciuta e che non l’abbiate reputata noiosa. Non so cosa dire (?)  Lasciate una piccola recensione? Mi farebbe moltissimo piacere e la aggiungete alle preferite? Dai questo è l’ultimo favore che vi chiedo * si mette in ginocchio e prega *. E niente, se vi va andate a leggere quella nuova (Cancer In My Blood), che aggiornerò ogni venerdì, ha sempre come protagonista Brian e i restanti dei Sevenfold e niente, cosa devo dire?
Ciao e alla prossima!

 

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