If I Had A Heart

di Niglia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1} Persefone ***
Capitolo 2: *** 2} Ade ***
Capitolo 3: *** 3} Persefone ***
Capitolo 4: *** 4} Ade ***
Capitolo 5: *** 5} Persefone ***
Capitolo 6: *** 6} Ade ***
Capitolo 7: *** 7} Persefone ***
Capitolo 8: *** 8} Ade ***
Capitolo 9: *** 9} Persefone ***



Capitolo 1
*** 1} Persefone ***


« If I had a Heart »





«More, give me more, give me more

If I had a heart I could love you
If I had a voice I would sing
after the night when I wake up
I'll see what tomorrow brings.»



1
[Persefone]


La prima volta che ha posato gli occhi su di lui è stato il terrore ad accecarla, a ferire i suoi begli occhi illuminati dal sole e a imprigionarle in gola un grido che non aveva voluto saperne di uscire.
Non aveva mai veduto così da vicino una creatura degli Inferi – non aveva mai respirato la stessa aria del sovrano dell’Oltretomba – né aveva mai pensato che l’avrebbe visto in un campo di profumati fiori di lavanda, così lontano dal suo regno, così lontano dalla morte. Eppure non così lontano, forse, vista la lunga scia di fiori anneriti e rinsecchiti e accartocciati su se stessi che si dispiegava alle spalle del dio man mano ch’egli avanzava verso di lei sul suo cocchio assai più nero della notte.
Non aveva avuto il tempo di reagire, né di chiamare aiuto, neppure di piangere o tentare di scappare, perché non aveva compreso fin quando non fu ormai troppo tardi quali erano le intenzioni della divinità. E quando esse le furono ben chiare, il possente braccio pallido come la carne di un cadavere e altrettanto gelido era ormai già stretto intorno ai suoi fianchi, in una morsa marmorea, decisa, dalla quale era impossibile districarsi.
Allora Persefone aveva ritrovato la voce, strillando, aveva scalciato come un animale selvaggio, le sue dita avevano artigliato il braccio del dio fino a farne sgorgare sangue, ma niente di tutto questo era servito ad allentare la stretta. Il suo rapitore, avvolto dalla testa ai piedi da un prezioso manto di velluto nero – quasi che la luce del carro di Apollo potesse ferirlo, in qualche modo – la teneva ferocemente contro il proprio petto, allo stesso modo in cui un uomo stringe la propria amante, ma senza la medesima tenerezza.
I mostruosi cavalli infernali dagli occhi di brace avevano già ripreso la via per l’Averno, distruggendo i fiori con i loro zoccoli duri come la roccia per poi inabissarsi con il loro prezioso carico nello squarcio dal quale erano spuntati.
Non appena la terra si fu richiusa sopra di lei con il rombo di un tuono, Persefone aveva compreso di essere perduta.










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Drabble:
350 parole
Nota dell'Autrice: Non aspettatevi capitoli lunghi e/o profondi, sono semplicemente innamorata di questa ship classica e volevo contribuire alla categoria con qualcosa di mio. Lo so, lo so, niente di originale, roba trita e ritrita, ma chissene. :D
E visto che è davvero troppo corta e malgrado tutto va contro i miei principi (lol) vi pubblico subito anche il secondo capitolo. Sciò, sciò, proseguite con la lettura! Bacio ♥


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Capitolo 2
*** 2} Ade ***


2
[Ade]






Aveva atteso giorni, settimane, mesi prima di avere la fortuna di trovarla da sola, priva di protezione, lontana dallo sguardo vigile della madre e delle ninfe con le quali si riuniva.
Doveva ringraziare una maledetta sfida con la dea dell’amore per quell’ossessione che non lo abbandonava mai, in nessun momento, né quando era solo nelle sue stanze né quando giudicava le anime dei morti che giungevano a fiotti nei suoi domini, in attesa del verdetto che li avrebbe condannati ad un’eternità di dannazione o di pace perpetua.
Il ricordo della voce maliziosa di Afrodite lo tormentava, il suo tono insinuante e provocatorio, rimbombando nelle sue orecchie con la fatalità di una maledizione. Guardala, Ade, gli aveva sussurrato, indicando la fanciulla che sedeva poco distante dalla madre alla mensa degli dei. Volgi pure il tuo sguardo verso di lei. Il suo nome è Persefone. Non è forse una sfida adatta al potente sovrano dell’Oltretomba? Non senti il profumo della vita su di lei? Non vedi come la sua pelle risplende di calore e gioventù? Eppure non conosce nulla della vita, la poverina. Sua madre la tiene ben stretta alle sue gonne e le impedisce di prendere il volo… Scommetto che vorresti essere tu le sue ali.
Ade non aveva compreso per quale motivo la dea lo avesse spinto a notare proprio lei tra tutti, ma dopo un solo sguardo aveva deciso che non gli importava.
Da quando l’aveva veduta per la prima volta sapeva che la fanciulla era entrata con prepotenza nelle sue ossa, nelle sue vene, nel suo sangue. Non che lei fosse consapevole di aver condannato alla follia il sovrano degli Inferi: era bastato che i suoi occhi si posassero una volta sola su di lei, sui lunghi capelli castani nei quali le ancelle avevano intrecciato perle e fiori, sul peplo candido che scopriva la forma tornita delle cosce e l’incavo tra i seni quando si chinava a raccogliere le margherite, o quando correva, o quando nuotava nel lago – per far sì che Ade perdesse il senno e decidesse ch’ella doveva essere sua.
Era assolutamente certo che sarebbe impazzito per lei con o senza l’intervento di Afrodite – era una semplice questione di tempo.
Dopotutto era stato solo tanto a lungo – che male c’era se anche lui decideva di prendersi una sposa? Non avevano forse, entrambi i suoi reali fratelli, una regina con il quale governavano il primo il regno dei cieli e il secondo il regno del mare?
Davanti a queste obiezioni, neppure lo stesso Zeus aveva osato impedirgli di esaudire il suo desiderio.








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      Drabble
: 425 parole
Note dell'Autrice: E niente, per oggi è tutto davvero. Grazie per essere arrivati fin qui - spero che apprezziate Ade quanto me, è un cucciolo *_* E viva Afrodite che sparge ammore a destra e a sinistra! ù_ù
Si ringraziano i Fever Ray e la serie tv Vikings per il titolo della raccolta e le strofe a inizio dello scorso capitolo.
Baci e abbracci, vostra
Niglia.

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Capitolo 3
*** 3} Persefone ***


3
[Persefone]




Sua madre le aveva insegnato a riconoscere ogni sfumatura dei fiori, ogni profumo, ogni colore. Quando era piccola, e scendevano dal monte Olimpo per passeggiare sulle terre degli uomini, le due dee avevano un passatempo che era insieme gioco e insegnamento: raccogli un fiore per ogni divinità, le diceva sua madre, un fiore che ne racchiuda l’essenza. Così Persefone coglieva rose rosse per Afrodite e buganvillea per Eros, glicini per Dioniso, iris per Hermes, lilium per Atena, fiori di malva per Era, sterlizie per suo padre Zeus, girasoli per Apollo e così via, fin quando il sole non calava all’orizzonte e le prime stelle sbocciavano nella volta celeste, determinando la fine dei loro giochi.
Adesso, non c’erano fiori da raccogliere nel palazzo del dio dell’Oltretomba,  un cielo trapunto di stelle. C’erano solo rocce e metalli e pietre preziose, infinite distese di campi di grano che ospitavano anime erranti, cumuli di tesori provenienti da ogni angolo del regno sotterraneo, ma nulla che l’avvicinasse alla vita che conduceva prima di essere rapita, e nulla che colmasse la voragine che le si era aperta in petto.
Persefone amava i fiori, e negli Inferi non ce n’erano. Il suo potere era la vita, e ora era condannata a trascorrere l’eternità in un luogo di morte? Come poteva chiamare casa quei luoghi, come poteva amarli?
E come poteva amare colui che ce l’aveva trascinata?
Le sue dita si strinsero intorno ai fiori ormai appassiti che si era strappata dalle vesti e dai capelli, i suoi occhi osservarono le briciole scivolare sul lucido marmo nero del pavimento. Non aveva senso conservare quei dolorosi ricordi della sua vita passata, con la consapevolezza che ciò che era stato non sarebbe più potuto essere.
Malgrado un’infanzia trascorsa nella bambagia, Persefone non era una giovane viziata e capricciosa: eppure, quando l’ennesima ancella portò nuove vesti degne di una sovrana nella camera che le era stata assegnata, la dea non poté trattenersi dal lacerarle con furia, ricoprendo il gelido pavimento di lembi di stoffa e gettandovi alla rinfusa anche bracciali e collane e orecchini d’oro e perle e rubini e ogni genere di gioiello che il dio le aveva fatto portare precedentemente nel vano tentativo di placarla o compiacerla.
Osservò l’ancella fuggire, spaventata, e se ne compiacque.
Con una smorfia divisa tra rabbia e soddisfazione, la dea stabilì che non si sarebbe lasciata corrompere da cose morte quando tutto ciò che voleva era tornare alla vita.





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Drabble: 393 parole.

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Capitolo 4
*** 4} Ade ***


4
[Ade]





Non aveva alzato un solo dito su di lei, pur di non spaventarla. Il terrore era qualcosa che non voleva più vedere nei suoi occhi color miele, un’immagine che ormai lo perseguitava ogni volta che serrava le palpebre.
Voleva guadagnare la sua fiducia, il suo affetto, la sua simpatia. Il suo amore. Non voleva forzarla, né obbligarla a sopportare la sua presenza se lei non la desiderava – non era come suo fratello, il potente Zeus, che adorava assumere sembianze animali per sfuggire all’attenzione della propria compagna e avere così la libertà di violentare le fanciulle umane che catturavano il suo sguardo lussurioso.
Non avrebbe mai umiliato Persefone in quel modo, eppure lei sembrava non comprenderlo.
Con una caparbietà invidiabile, la dea rimandava indietro i suoi doni, cacciava le ancelle, non usciva dalle sue stanze neppure per mangiare. I servitori ormai la temevano, e il dio avrebbe persino potuto apprezzarlo se le circostanze fossero differenti.
Ma ella trascorreva le sue giornate a piangere, deperendo e impallidendo sempre di più, fin quando la stanchezza non sopraggiungeva e crollava dal sonno, il viso seppellito nel guanciale umido delle sue lacrime. Lui la vedeva attraverso uno specchio d’acqua che gli permetteva di controllare ogni angolo del suo regno e di osservare tutto ciò che desiderava – passato, presente e futuro, fuorché il proprio – e giorno dopo giorno assisteva all’autodistruzione di quella creatura del sole e della terra, che aveva ormai perso la sua luce.
Vederla in quelle condizioni lo avrebbe ucciso, se già non fosse fatto interamente di morte.
Non poteva tollerarlo, e pure non c’era nulla che potesse fare per impedirlo. O, meglio, nulla che fosse disposto a fare – la soluzione era troppo terribile perché lui potesse anche solo prenderla in considerazione.
Per questo motivo cacciò per l’ennesima volta il messaggero di suo fratello, suo nipote Hermes, intimandogli urlando di riferire all’amato Zeus che no, non l’avrebbe liberata, mai.



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Drabble: 315 parole.

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Capitolo 5
*** 5} Persefone ***


5
[Persefone]






Quando udiva le urla cupe del marito – ahimè, quanto suonava sbagliata quella parola alle sue orecchie – rimbombare contro le pareti delle caverne infernali, Persefone non poteva fare a meno di sbarrare la porta delle sue stanze, temendo che il dio fosse infuriato con lei a causa del suo comportamento e che potesse andare ad aggredirla da un momento all’altro.
Si rintanava nel letto come una bambina terrorizzata dall’oscurità, stringendosi addosso le coperte, e tremava fin quando il silenzio non tornava a regnare nelle stanze del palazzo sotterraneo.
Eppure Ade non andava mai da lei quando era arrabbiato, benché Persefone non avesse dubbi sul fatto che egli potesse ritenere nel suo pieno diritto renderla partecipe della sua collera. Forse il dio gradiva una sposa compiacente, malleabile, che lo trattasse con la deferenza che meritava un sovrano e l’affetto che spettava a un compagno, ma se erano questi i suoi desideri, ebbene, aveva scelto di rapire la fanciulla sbagliata.
Persefone non si sarebbe piegata; ma, come le spighe di grano, avrebbe chinato il capo in attesa che la tempesta passasse sopra di lei, accarezzandola e scuotendola ma senza farle del male, senza distruggerla, e una volta tornato il sole sarebbe stata di nuovo al sicuro.
I bruschi sfoghi del marito duravano quanto una pioggia primaverile. Quando cessavano, l’aria del regno sotterraneo rimaneva greve e pesante, pregna di terrore per lunghi momenti di silenzio, ma bastava poco perché tutto tornasse come prima – le anime vaganti, alla stregua di animali che abbandonano le proprie tane, lasciavano i loro nascondigli e tornavano a passeggiare per l’Oltretomba, e Persefone, benché ancora scossa e leggermente impaurita, si allontanava dalla momentanea sicurezza della sua alcova per cercare svaghi in un luogo che apparentemente ne era privo.
Così sedeva alla finestra della sua stanza, persa a scrutare l’orizzonte – un orizzonte infinito fatto di morte e desolazione, colori cupi e aria soffocante, di cui davvero non riusciva a cogliere l’oscura bellezza – e trascorreva il tempo a ricordare e immaginare un mondo ora irraggiungibile, a sperare di poterci tornare, a pregare di essere salvata. E allora piangeva, perché quella era l’unica cosa che fosse libera di fare, e quando le lacrime finivano gemeva.
E anche se nella loro sofferenza le due miserevoli divinità avevano perso la cognizione del tempo, i mesi continuavano a passare, inesorabili.




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Drabble: 384 parole.

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Capitolo 6
*** 6} Ade ***


 6
[Ade]






Demetra stava decimando migliaia e migliaia di umani – nemmeno la guerra faceva approdare sulle sponde del lago Averno tutte le anime che invece vi conduceva la carestia. Donne, bambini, vecchi, giovani, non vi era alcuna differenza – la furia di una madre ferita e privata della sua unica figlia non conosceva limiti, e il mondo stava morendo.
Quando Hermes ritornò nell’Oltretomba con l’ordine secco e implacabile di Zeus di liberare la giovane, trovò che il dio non aveva alcuna intenzione di ribellarsi all’ennesimo ordine del padre degli dei. La situazione nel regno dei morti era ormai al di fuori del suo controllo e il sovrano degli Inferi, semplicemente, aveva le mani legate.
Ade, per il momento, dovette capitolare.
Aveva lasciato Hermes nella sala del trono, intimandogli di attendere in silenzio e badando di non parlare con nessuna creatura, e si era diretto negli appartamenti silenziosi di Persefone, il cui accesso gli era solitamente negato.
Tra le mani, un piatto d’argento con dodici chicchi di melograno, grossi e succosi, rossi come la porpora che tinge le vesti degli imperatori e le armature dei soldati uccisi in battaglia. Odiava quanto stava per fare – ciò che lo avevano costretto a fare – ma non c’era altro modo per assicurarsi che la dea tornasse da lui. Se fosse riuscito a farla affezionare a sé, allora, forse, non ci sarebbe stato bisogno di ricorrere a un simile e miserabile stratagemma… Ma così non era stato. Aveva bisogno di più tempo, e avrebbe fatto in modo di ottenerlo.
Era entrato nella sua stanza senza bussare, e aveva rivisto nella fanciulla quegli occhi spaventati. Questo lo ferì, ma gli tolse anche ogni dubbio e remora per ciò che venne dopo.
Tornerai da tua madre, aveva esordito, con quel tono greve e severo che lo caratterizzava. Aveva visto il terrore di Persefone tramutarsi in sorpresa e poi incredulità, prima che i suoi occhi iniziassero loro malgrado a luccicare di gioia una volta compreso che il dio non si stava prendendo gioco di lei.
Il proprio sguardo si indurì a quell’innocente sollievo, e le porse il piatto.
Devi essere in forze per tornare in superficie. Un tono secco, piatto. Ecco, questi chicchi di melograno ti aiuteranno a non soffrire durante il viaggio. Più ne mangerai, meno difficoltosa sarà l’ascesa.
La fanciulla esitò. Poi, le sue dita si allungarono su quei grani invitanti.
Il dio non staccò gli occhi dalle labbra della giovane, contando con brama i chicchi ingurgitati.
Due. Quattro. Sei.
Ade sorrise.






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Drabble: 412 parole.
Note dell'Autrice: Questo capitolo mi piace proprio tanto. Ade e i suoi stratagemmi *_* You go, Hades!

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Capitolo 7
*** 7} Persefone ***


7
[Persefone]





La madre era fuori di sé dalla gioia quando Persefone rimise piede sul monte Olimpo. Ci fu un enorme banchetto, il vino e l’ambrosia scorsero a fiumi, musica e canti allietarono il ritorno della dea – tutte le divinità la coccolarono e le fecero doni, sorridendo benevoli alle lacrime di sollievo e felicità che la giovane non riusciva a trattenere.
Zeus la osservava in silenzio, lieto certo di riavere la figlia di nuovo a casa, ma non potendo fare a meno di provare una certa amara tristezza al pensiero della solitudine che suo fratello avrebbe conosciuto ancora una volta. Bevve e brindò e festeggiò insieme agli altri, ma l’ambrosia aveva un sapore acro sul suo palato, e le sue risate parevano forzate.
Malgrado ciò, sulla terra, il gelo che aveva reso arido il suolo svanì – la contentezza di Demetra fece sì che nei campi tornassero a sbocciare i fiori, l’erba, le spighe di grano; gli uomini cessarono di morire di fame e uccisero animali in sacrificio per ringraziare il ritorno dell’abbondanza.
Eppure Persefone si accorse di non essere felice come avrebbe dovuto, e come era accaduto a Zeus neanche lei provò troppo gusto a festeggiare il suo ritorno.


Un giorno, diverse lune dopo il suo ritorno a casa, Persefone si scoprì incapace di lasciare il proprio giaciglio, pallida e indebolita alla stregua di un semplice umano corrotto dalla malattia.
La voce dell’inspiegabile stato fisico della giovane dea si sparse a macchia d’olio per tutto l’Olimpo, e per quanto le sue ancelle le dessero unguenti e pozioni varie, la precaria salute di Persefone continuava a non migliorare. Allora sua madre venne da lei, piangendo, mischiando lacrime d’ira a lacrime di disperazione.
Ti ha dato da mangiare, non è così? Parlami! Il maledetto ti ha fatto mangiare un frutto degli Inferi! Le dita della dea penetravano impietose nella sua carne mentre la stringeva, feroce, e continuava a sibilare come una leonessa ferita. Che cosa hai mangiato, bambina mia? Rispondi!
Persefone allora sbarrò gli occhi, comprendendo ogni cosa. Lesse negli occhi di sua madre che anche lei già conosceva la risposta a quelle domande, ma che ciò nonostante voleva sentirla espressa ad alta voce. Ella obbedì.
Sei chicchi di melograno, madre, mormorò soltanto.
Demetra abbandonò la presa su di lei come se si fosse scottata, e lanciò un grido. Le colonne tremarono e le nubi si raggrupparono intorno al monte Olimpo, gravide di pioggia così come gli occhi della dea erano ricolmi di lacrime.
Venne indetta un’altra assemblea, e stavolta fu Zeus a doversi arrendere davanti all’astuzia del fratello.
Se voleva vivere, Persefone doveva tornare per sei mesi nel regno dei morti. Dal suo sposo.
In caso contrario, sarebbe deperita fino a che il suo corpo si fosse consumato e di lei non sarebbe rimasto che lo spirito, condannato a vagare in una dimensione che non apparteneva né ai mortali né agli dei.
Fu semplice intuire quale fu la decisione della giovane.







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Drabble
: 488 parole.
Note dell'Autrice: Un grazie grande grande a Chicca293 per aver recensito lo scorso capitolo e a tutti voi che continuate a leggere e mipiacciare *__* Lieta di vedere che ci sono altri amanti della letteratura classica & conseguenti ship là fuori!
Al prossimo capitolo, vostra
Niglia.

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Capitolo 8
*** 8} Ade ***


[8]
Ade









Era stato Hermes, come al solito, ad informarlo del rapido capovolgimento degli eventi. In realtà non aveva fatto altro che confermargli qualcosa che lui sapeva già, ma fu piacevole udire la sentenza del re degli dei. Nessuno, adesso, avrebbe osato opporsi al suo matrimonio con Persefone.
Salvo, forse, Persefone stessa.
I mesi che la dea aveva trascorso sull’Olimpo erano stati, e Ade rise amaramente all’immagine che tale pensiero gli evocava, un inferno. Terribilmente lunghi e innaturalmente lenti, gli avevano per la prima volta fatto tastare il gusto dell’eternità, e non era un sapore che il dio aveva apprezzato in modo particolare se condito con l’amaro assaggio della solitudine. Immerso com’era nell’autocommiserazione e crogiolandosi nella consapevolezza del suo fallimento, Ade non si era reso conto di quanto la presenza seppur effimera della giovane sposa avesse modificato la sua concezione stessa del tempo e dello spazio, confortandolo con l’idea ch’ella abitasse nei suoi domini, respirasse la sua stessa aria, volgesse gli occhi verso il medesimo cielo soffuso che avvolgeva gli Inferi. Il saperla entro il regno dell’Oltretomba gli aveva fatto scordare come fosse la sua esistenza prima del suo arrivo, e solo dopo la sua partenza il dio aveva per la prima volta sofferto le pene dell’abbandono.
Ogni momento libero dai suoi doveri lo aveva passato nelle stanze di Persefone, inebriandosi dell’odore di vita e primavera e lacrime che la dea aveva suo malgrado lasciato indietro, e non aveva chiuso occhio – non che ne avesse realmente bisogno – preferendo perdersi in lunghe riflessioni e rimembranze che non gli avevano offerto alcun conforto, ma solo aggravato la sua frustrazione.
Non era così che sarebbe dovuta andare – in quei mesi aveva maledetto il nome di Afrodite almeno tante volte quante aveva sussurrato con desiderio e rimorso quello della sua sposa.
E se mai gli capitava di cedere alle lusinghe di Morfeo, vinto infine dalla stanchezza e dall’angoscia, il suo sonno era invaso da lei, dalla sua voce, dal ricordo di meravigliose risate che mai avevano risuonato nei saloni del suo palazzo, dai suoi occhi e dalle sue labbra che invitavano baci mai dati né presi…
Ade non credeva che un figlio di Crono potesse essere così debole da impazzire d’amore, ma ogni mese che trascorreva senza che avesse notizie della sua sposa confermava che una simile follia era infatti possibile, e che per sua sfortuna non ne aveva alcun controllo.
La sua unica consolazione, in quei mesi, fu immaginare che Persefone fosse felice tra le braccia della madre, e che il lungo periodo di lontananza – Ade osò almeno sperare – finisse per invocare in lei un briciolo di nostalgia per il suo sposo.









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Drabble: 437



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Capitolo 9
*** 9} Persefone ***


[9]
Persefone






Il suo rientro negli Inferi fu paragonabile alla resa di Troia: dilaniata dall’interno dalle forze nemiche, alla città stanca e provata – come pure alla giovane dea – non era rimasto che capitolare. Se avesse trovato il vigore sufficiente per farlo, Persefone si sarebbe inchinata dinnanzi all’astuto ingegno di colui che, sottovoce e alle sue spalle, tutti avevano iniziato a definire suo sposo.
Non solo l’aveva rapita, non solo l’aveva privata della sua gioventù e della sua spensieratezza e della sua libertà – no, non pago, il dio dell’Oltretomba aveva ben pensato di costringerla a trascorrere metà anno nella sua dimora, nei suoi cupi e aridi domini sotterranei, laddove le uniche luci che rischiaravano le fredde rocce erano le fiamme che bruciavano le anime dannate.
La fanciulla attraversò lentamente le lunghe e infinite gallerie che collegavano gli Inferi al mondo di superficie, alla bella e splendente e fiorita terra degli uomini, che lasciava calda e accogliente come il ventre di una madre in favore di un antro gelido e arido come solo una tomba poteva essere.
Hermes, davanti a lei, si voltava di tanto in tanto per accertarsi di essere seguito – la sua espressione era un misto di pena e compassione e tristezza, ma lei non sapeva che farsene della pietà altrui.
Le sue orecchie erano ancora colme delle grida di sua madre, gli occhi fermi sull’immagine della potente e fiera Demetra piegata in due dal dolore, stretta tra le braccia di Atena che, con una presa ferrea e salda, le aveva impedito di correre dietro alla figlia, di aggrapparsi alle sue vesti, strappandole persino se ciò fosse servito a commuovere Zeus e fargli rimangiare la parola data al fratello.
La mia bambina, la mia bambina! Maledetti, lasciatela a me, vi scongiuro! Vi supplico!
Quando la dea si era infine accorta che le sue preghiere non avrebbero smosso la pietà di nessuno dei presenti, allora era passata alle minacce; l’ultima cosa che Persefone aveva udito proferire dalla madre prima di essere condotta via fu una terribile maledizione, il cui eco ancora la faceva tremare.
La terra conoscerà l’aridità del mio animo ogni giorno che io trascorrerò senza mia figlia!





Drabble: 357 parole.



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