Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo - L'avventura di Mnemosine

di Clexa_LoveBadass
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
*Narra Percy*
 
Adoro il rumore delle onde e la fresca brezza sulla pelle. L’acqua è calma, si muove con dolcezza. La luna splende alta e piena nel cielo, riflettendosi al centro del lago.
Ancora una volta sono scampato all’ira degli dei, tornando vincitore da un’impresa che tutti ritenevano impossibile. Invece io ce l’ho fatta e ho donato al mondo nuova speranza.
Sono addirittura finito sull’Olimpo, al cospetto di Zeus e delle altre divinità, che si sono complimentate con me.
Tutti sono felici, perché il pericolo è passato.
Tutti sono entusiasti… tutti, tranne me.
L’acqua è calma, troppo calma. È innaturale; sono io a renderla tale, perché sto facendo di tutto per controllarmi e non perdere il senno.
Io, Perseus Jackson, sono figlio di Poseidone, dio dei mari e degli oceani. Ho il potere di manovrare l’acqua a mio piacimento.
Ora sono di pessimo umore e il lago condivide il mio stato d’animo.
Sto pensando a molte cose: il bacio di Rachel, il bacio di Annabeth, mio padre, Zeus con la sua Folgore e, soprattutto, l’avvertimento – anche se io la definirei più una minaccia – di Atena. Quest’ultimo pensiero mi faceva perdere la testa, dovevo cercare di concentrarmi su altro… “Sta lontano da mia figlia!” aveva detto. Atena è la madre di Annabeth.
Per la frustrazione, presi il sasso più vicino e lo lanciai in acqua, modificando il moto delle onde in modo che rimbalzasse sulla superficie una decina di volte e poi tornasse da me, come un boomerang.
<< Così non vale! >> disse una voce allegra alle mie spalle. Chi poteva essere a quest’ora della notte? La persona che non volevo vedere, ovviamente: Annabeth.
<< Ehi… che ci fai in giro nel cuore della notte? >> chiesi sedendomi sulla riva e fissando l’orizzonte.
<< Potrei chiederti la stessa cosa! Allora eroe, non sei felice di aver salvato il mondo? >> e lanciò un sasso in acqua.
Io non risposi e creai un’onda più alta delle altre per fermare il sasso che aveva appena tirato. Il lago cominciò a cambiare: l’acqua era più agitata di prima, le onde s’infrangevano sulla riva con maggiore furia.
<< Ehi! Si può sapere che cos’hai, Percy Jackson?!È da quando siamo tornati al Campo Mezzosangue che non mi rivolgi più la parola!Anzi, sembra proprio che tu stia cercando di evitarmi! >> era molto arrabbiata e… risentita?
<< Ti prego, vattene. Mi sono stufato di ascoltarti. >> e, detto questo, mi alzai e le diedi la schiena per non vederla. Mi bruciavano gli occhi, avrei voluto girarmi e urlarle ‘Sto scherzando!’, ma non potevo; non dovevo. “Mi dispiace Annabeth… ma, fidati, è meglio così per entrambi. Hai avuto l’opportunità di conoscere tua madre dopo tanti anni di attesa, e non voglio causarvi discordie” pensai.
Mi aspettavo un calcio o un pugno in pieno stomaco, conoscendola.
Invece mi sorprese: tremava, lo percepivo distintamente, e le sfuggì un singhiozzo. Cercava di trattenere le lacrime.
Mi ci volle tutta la forza di volontà di cui disponevo per non cedere alla tentazione di abbracciarla e consolarla. “Atena, Atena, Atena”, mi ripetei mentalmente.
<< Perché… perché mi tratti così, Percy? >> chiese con voce tremante. Chissà cosa pensava di quella situazione? Intelligente com’era, probabilmente aveva già capito che c’era sotto qualcosa.
<< Perché devo mettere in chiaro le cose tra di noi, Annabeth. Insomma, tu sei figlia di Atena – pronunciai il nome della dea stringendo i denti – ed io di Poseidone. I nostri genitori si odiano da secoli, sono sempre stati rivali! Le cose non potrebbero mai funzionare tra noi due >>. Strinsi i pugni fino a conficcarmi le unghie nel palmo della mano.
Dovevo ferirla e allontanarla definitivamente da me. Ovviamente non pensavo davvero quelle cose! In altre circostanze, non mi sarei interessato al parere degli dei, avrei fatto ciò che ritenevo giusto… ma, in questo caso, il prezzo da pagare era troppo alto: c’era in ballo la felicità di Annabeth, l’avrei costretta a fare una scelta troppo dolorosa: me o sua madre; la madre che tanto aveva desiderato e che non aveva mai avuto.
<< Come puoi dire certe cose? Come puoi farmi questo?! Dopo tutto quello che abbiamo passato… potresti almeno mostrarti riconoscente per l’aiuto, invece di scartarmi come un qualsiasi oggetto di cui ti sei stufato! >> mi gridò dietro.
Stavo per controbattere, ma mi resi conto di avere un grosso nodo in gola. Non potevo fidarmi delle mie parole, così cominciai a camminare lungo la riva, per allontanarmi da lei.
Stavo scappando come un codardo.
<< Dove vai?! >> era furiosa, ma evidentemente il suo dolore prevalse sull’orgoglio. Si alzò e mi corse dietro.
Quando mi raggiunse, allungò la mano, intrecciando le dita alle mie.
<< Ti prego Percy… >> mi supplicò.
“Dannazione Annabeth, non capisci che in questo modo rendi tutto più difficile?!” imprecai mentalmente.
Stavo quasi per cedere alla tentazione di dimenticare il problema, girarmi e sorriderle… poi strappai bruscamente le dita dalla sua presa, sempre evitando di guardarla.
<< Lasciami in pace >> mormorai, con un filo di voce.
<< Perché?! Dimmi cos’è successo, per favore! Ho fatto qualcosa di sbagliato? Ti ho offeso in qualche modo? Mi dispiace! >> pregò, con la voce rotta dal pianto.
<< Non hai fatto nulla di male, Annabeth. Il problema è averti conosciuta… sarebbe stato molto meglio se non ci fossimo mai visti! >> risposi, tentando di tenere una voce fredda e distaccata. In realtà, quelle parole fecero più male a me che a lei.
Non era necessario guardarla per capire in quale stato si trovasse: bocca aperta, occhi sbarrati, guance rigate da lacrime amare.
<< E’ stata lei… mia madre… >> disse con stupore.
Stupidamente, sorpreso da quella conclusione, mi girai. I nostri sguardi s’incrociarono e, ne sono certo, lesse nei miei la conferma della sua ipotesi e… beh, probabilmente capì anche che ero distrutto dal dolore.
<< Come fai a saperlo? >> chiesi, spezzando nuovamente il contatto visivo e concentrandomi sul lago.
<< Vi ho visti parlare, sull’Olimpo. Non immaginavo che… >> aveva un’aria smarrita << Vuoi spiegarmi che ti ha detto di tanto sconvolgente? >>.
All’inizio fui tentato dall’idea di non risponderle e nascondermi in acqua… ma decisi che avevo recitato la parte del codardo fin troppo a lungo per quella sera.
<< Semplicemente questo: sta lontano da mia figlia. >> dissi, sempre evitando di guardarla. Era difficile formulare un discorso sensato quando mi fissava con quegli occhi grigi, simili alle nubi che precedono la tempesta. Mi mandava in confusione e, nell’ultimo periodo, si era fatta ancora più bella. “Percy, che vai a pensare, in un momento simile?! Concentrati sul tuo obiettivo!” mi riscossi.
<< E così tu hai deciso di dimenticarmi, facendo in modo che io ti odi? >> domandò, facendo centro un’altra volta.
<< Che altro avrei potuto fare? >> chiesi, con fare di sfida.
<< Per esempio parlarmene… >> cominciò, ma io la interruppi.
<< Annabeth, finalmente hai conosciuto tua madre, come hai sempre desiderato! Continuare a frequentarci vi causerebbe solo problemi ed io non voglio che tu… non voglio che tu soffra a causa mia >> non avrei dovuto lasciarmi sfuggire quest’ultima frase << …perciò è molto meglio che ti dimentichi di me. Credimi. >> conclusi, con voce debole.
Non potei fare a meno di guardarla, per vederne la reazione: mi fissava con occhi supplicanti, arrossati dal pianto.
<< Percy, io… ti prego, non… >> ma, qualunque cosa volesse dire, fu interrotta da una luce abbagliante che comparve improvvisamente a pochi metri da noi, scacciando le tenebre della notte. Si trattava, senza dubbio, di una divinità.
Distogliemmo lo sguardo – osservare un dio nella sua vera forma incenerirebbe chiunque. Pochi secondi dopo, la luce si dileguò, permettendoci di vedere una bellissima dea: Atena.
<< Vedo che hai ascoltato il mio consiglio, Percy. Sei stato bravo. >> disse, rivolgendosi a me. Nel farlo, mi fulminò con lo sguardo; inutile specificare che tra noi l’odio era reciproco.
<< Vorrà dire ‘minaccia’… comunque sia, ho fatto come mi ha chiesto. Si prenda cura di sua figlia >> e, scuro in viso, la sorpassai con passo fiero, in direzione del lago.
Entrai in acqua, senza voltarmi.
 
*Narratore esterno*
 
<< Percy! >> gridò Annabeth, che stava per correre dietro al ragazzo, ma fu bloccata dalla dea.
<< Dove pensi di andare, piccola mia? >> chiese quest’ultima, con fare fin troppo dolce.
<< Lasciatemi andare madre, ve ne prego! >> replicò lei, supplicandola.
<< Mi dispiace cara,ma non ti permetterò mai di frequentare un figlio di Poseidone!Dovresti appoggiarmi,mia amata Annabeth,dopotutto il dio dei mari è il mio più grande rivale. >> rispose lei, convinta come sempre di aver ragione da vendere –tipico di Atena e dei suoi figli.
<< Esatto. È il TUO rivale, non il mio. Per quel che mi riguarda, Poseidone non mi ha mai fatto un torto. Quindi non mi sento in dovere di odiare lui e la sua prole solo perché sta antipatico a te! >> essendo figlia della dea della saggezza, aveva sempre la risposta pronta.
Come si dice: l’allievo supera il maestro… anche se, in questo caso, sarebbe più adatta l’espressione ‘La figlia supera la madre’.
<< Annabeth! Sono la tua creatrice, colei che ti ha donato la vita; devi darmi ascolto! >> esclamò quella, indignata.
<< Mi dispiace. Io so cosa è giusto fare in questo caso. Percy è mio amico e devo andare da lui. Spero che tu possa capirmi e perdonarmi, in futuro >>. Detto questo, si buttò a capofitto nelle profondità delle acque scure, senza attendere la risposta della madre.
“Caspita! Il fondo del lago illuminato dalla luna è uno spettacolo magnifico! Ma dov’è Percy?”. Annabeth cominciò a cercarlo, tornando a galla raramente per riprendere fiato; riusciva a trattenere il respiro molto a lungo. Continuò ad avanzare, inoltrandosi al largo.
Quando s’immerse vicino al centro della grande distesa d’acqua, lo vide seduto in un grosso cerchio di luce pallida: il punto che si trovava esattamente sotto alla Luna, dove il riflesso di essa era particolarmente forte.
Prese fiato un’ultima volta, dopodiché scese velocemente, raggiungendo il fondo.
 
*Narra Percy*
 
“Come ha fatto ad arrivare fin qui?” pensai. Mi alzai e ci fissammo a lungo.
<< Che cosa credi di fare Annabeth? – la mia voce era chiara,come se mi trovassi sulla terra ferma, e non mi uscirono bolle dalla bocca quando parlai – Non resisterai a lungo sott’acqua. >> Lei mise il broncio e rimanemmo fermi in quella posizione per molto tempo.
Trenta secondi: la ragazza sembrava a suo agio.
Un minuto: ancora tutto a posto.
Un minuto e mezzo: cominciava a notarsi lo sforzo e il bisogno d’ossigeno.
Due minuti: chiuse gli occhi per il bruciore ai polmoni.
Due minuti e mezzo: era quasi bordò e sembrava lì lì per svenire.
Per tutto il tempo non avevo fatto altro che fissarla, come se stessimo facendo una gara a chi resisteva più a lungo… ovviamente, vincevo in partenza, visto e considerato la mia capacità di respirare sott’acqua.
Sospirai e decisi di premiare la sua tenacia: creai una bolla d’aria sul fondo del lago, abbastanza spaziosa per entrambi. Annabeth respirò affannosamente e, in mancanza totale di forze, si accasciò su di me. Fu in quell’occasione che scoprii che si poteva arrossire sott’acqua.
<< Ehi, tutto bene? >> chiesi, in imbarazzo, dandole delicati colpetti sulla schiena.
Lei tossicchiò debolmente e rispose << Volevi per caso farmi annegare?! >>.
<< Ma che vuoi?! Ti sto permettendo di respirare sott’acqua! Se ti avessi voluta morta, non sarei intervenuto. >> ribattei scocciato.
<< Beh, potresti migliorare la tempestività dei tuoi interventi! >> sbottò lei.
Ci punzecchiammo un altro po’, mentre recuperava le forze; quando si rese conto di essere ancora tra le mie braccia, s’irrigidì e si scostò.
<< Si può sapere cosa sei venuta a fare sul fondo del lago? >> chiesi, temendo di aver fallito miseramente nella missione ‘Farmi odiare da Annabeth’.
<< Sono venuta ad avvisarti che ho detto chiaro e tondo a mia madre che non deve più intromettersi nella nostra amicizia. >> Un tuono squarciò il silenzio.
<< Cosa?! Annabeth, ti ho detto come la penso al riguardo! >> esclamai, mentre il mio tono si alzava di un’ottava. “Devo fare in modo che mi detesti! Non voglio che sua madre la disprezzi a causa mia! Forse so come fare…”.
<< Percy, io l’ho fatto per noi… >> mormorò, tornando ad assumere un’espressione triste e risentita.
<< Beh, hai sbagliato! >> urlai, tenendo la voce più ferma possibile.
<< No… non dire così… >> supplicò, mentre le lacrime tornavano a minacciarla.
<< Annabeth… hai sbagliato. È ora che guardi in faccia alla realtà! Torna da tua madre e chiedile perdono; dille che sei pentita e che non mi vedrai mai più! Fallo, è la cosa migliore >>.
<< Ma io non… >> provò a controbattere, ma non le diedi il tempo di farlo.
<< Devo andare >>. Detto questo, distrussi la bolla d’aria e mi avviai verso la riva. Annabeth mi seguiva a distanza, piangendo silenziosamente, lasciando che le lacrime salate si mischiassero all’acqua dolce del lago.
Uscito dall’acqua – già asciutto – m’incamminai velocemente verso le capanne.
<< Percy! >> gridò disperatamente Annabeth alle mie spalle.
Io, sapendo che presto sarei esploso, cominciai a correre.
E le mie lacrime brillarono alla luce della luna, adagiandosi al prato come fresca rugiada, sotto un immenso cielo stellato.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
*Narra Percy*
 
Entrai come una furia nella Casa di Poseidone, sbattendo la porta alle mie spalle e precipitandomi alla finestra per vedere dove fosse finita Annabeth: era sulla riva del lago, seduta a terra con la testa appoggiata alle ginocchia e tremava, scossa dai singhiozzi. Atena le poggiava una mano sulla spalla, consolandola con un’espressione soddisfatta sul viso.
Alla vista della mia migliore amica a pezzi, anch’io non riuscii più a trattenermi: mi accasciai sul letto e inzuppai il cuscino di lacrime amare. “Perché? Perché?” mi ripetevo, tentando di placare l’immenso dolore che squarciava il mio petto.
Dopo quelle che sembrarono intere ore di agonia, sentii una porta sbattere; pensai che Annabeth fosse appena rientrata nella sua capanna… poi udii delle voci e uno scalpitio di zoccoli in lontananza.
Mi alzai e, senza fare rumore, accostai l’orecchio alla parete per ascoltare; mi aiutai con una delle grosse conchiglie marine che decoravano i muri, in modo da amplificare il suono che arrivava dall’esterno.
Riuscii a percepire distintamente la conversazione: erano Chirone e… una voce familiare, anche se non riuscii a capire chi fosse fino a quando il vecchio centauro non pronunciò il suo nome. << Sarà un piacere averti qui con noi, mia cara Rachel! >>
“Rachel?! Che diavolo ci fa qui?!” pensai confuso. Rachel Elizabeth Dare è un’umana con il dono di vedere attraverso la Foschia – quindi in grado di vedere mostri e divinità, cosa impossibile per la maggior parte degli uomini. La conobbi molto tempo fa, durante una delle mie tante imprese e lei mi salvò la vita! Infatti, se non mi avesse coperto, sarei stato catturato e giustiziato dai seguaci di Crono. Dopo quell’episodio, ebbi nuovamente modo di vederla alla scuola cui mi ero iscritto per il nuovo anno; diventammo subito grandi amici e, col passare del tempo, anche qualcosa di più.
Avvampai, ripensando al nostro bacio nella vecchia macchina di Paul, il nuovo fidanzato di mia madre, poco prima che partissi per distruggere il grande titano.
Riscuotendomi dai ricordi, tornai a concentrarmi sulla conversazione.
<< Grazie mille, Chirone. È un onore per me! Dove posso alloggiare? >> chiese lei, con il suo solito tono allegro e solare.
<< Mia cara, vorrei tanto invitarti nella Casa Grande, come di norma per gli ospiti… ma purtroppo ora è al completo. Alloggiano in essa la maggior parte dei nostri ragazzi feriti e di questi tempi non sono pochi. Dove potremmo metterti? >> Il silenzio che seguì fu tombale, poi il vecchio centauro esclamò << Ma certo, come ho fatto a non pensarci prima? Tu sei amica di Percy Jackson, giusto? Potresti trasferirti da lui, nella capanna di Poseidone! Non preoccuparti, è molto graziosa e lo spazio non manca! >> propose con tono rassicurante e il suo solito modo di fare solare.
Io entrai in iperventilazione mentre aspettavo la risposta di Rachel.
<< Mm… va bene, per me non c’è problema! Almeno sarò in compagnia di qualcuno che conosco! >> disse lei raggiante.
“Ok. Tranquillo. Rachel si trasferirà da te per un po’ di tempo. Nessun problema.” non sapevo se essere scocciato o felice… ma optai per ‘felice’, perché Rachel era sempre stata brava a tirarmi su di morale.
<< Posso trasferirmi già da ora? >> chiese la ragazza.
<< Certamente, mia cara… ma lascio a te il pericoloso compito di svegliare Percy! >> rispose Chirone, ridacchiando.
“Oh merda.” Pensai, cominciando a disperare.
Corsi a letto e finsi di dormire; quando sentii la porta aprirsi – con il cuore a mille – mi girai, fingendo di essere sorpreso.
<< Rachel?! >> esclamai, strabuzzando falsatamente gli occhi. Saltai a sedere sul materasso e, catapultandomi giù, le corsi incontro, stritolandola in un abbraccio. Ora non stavo più recitando, mi era venuto spontaneo salutarla tanto calorosamente! Quanto mi era mancata quella testa calda…
<< Ehi Percy! Anch’io sono felice di vederti! >> disse ridacchiando e respirando a fatica, soffocata dalla mia forte presa.
Quando la lasciai, eravamo entrambi rossi in viso. << Quanto tempo! Che ci fai qui? >> chiesi, sfoderando un sorriso a trentadue denti: ero davvero felice di vederla.
Non avevo di certo dimenticato il recente litigio con Annabeth e per questo motivo ero ancor più grato a Zeus di aver mandato qualcuno a tenermi compagnia. Avevo proprio bisogno di conforto.
<< Pensavo che aveste bisogno di qualcuno brillante come me! >> disse scherzosamente, << e poi… mi mancavi da morire, Percy! >> concluse arrossendo.
Normalmente avrei balbettato e non sarei riuscito a formulare una frase sensata… ma con Rachel era diverso! Con lei potevo essere me stesso al 100%, senza imbarazzo. Questo perché lei sapeva tutto di me e viceversa… e non dovevamo temere l’intervento degli dei, il nostro rapporto non aveva nulla di “illegale” – beh, per quanto possano essere legali le regole divine.
<< Anche tu mi sei mancata! >> risposi, prendendole dolcemente la mano.
<< Beh… mi trasferisco da te per un po’! Spero non sia un problema! >> annunciò, certa di sorprendermi con quella notizia.
<< Assolutamente no! Anzi, devo dire che è abbastanza triste stare sempre da solo… c’è troppo silenzio! >> le dissi, ghignando.
<< Stai forse insinuando che io farò casino, spezzando la tua pace da lupo solitario? >> ribatté, capendo al volo il doppio senso, con una smorfia da falsa-indignata sul viso.
<< Ah non lo so… può darsi… >> risposi ridacchiando.
<< Neanche fossi una di quelle stupide oche che lanciano acuti dal mattino alla sera… >> borbottò lei.
<< Perché, tu credi di essere un angioletto? Ora ti faccio vedere quanto casino sai fare già dalla prima notte che passi qui! >> dissi con un sorriso furbo sul viso.
<< Che vuoi far… >> cominciò confusa, ma non fece in tempo a finire la frase, poiché io la spinsi sul letto, buttandomi poi sopra di lei e cominciando a farle il solletico.
Lei iniziò a ridere a crepapelle… aveva una risata celestiale e molto contagiosa!
Io ridevo con lei e, in quel momento, capii di cosa avevo veramente bisogno: un’amica con cui ridere.
Con Annabeth era sempre stato tutto più difficile. Oltre agli ovvi motivi quali la secolare rivalità tra i nostri genitori-Dei e la sua naturale tendenza a pretendere di avere sempre ragione, c’era un problema di fondo: eravamo entrambi tremendamente orgogliosi, ma al contempo non potevamo fare a meno l’uno dell’altra. Era un continuo sfidarsi-cercarsi. Rapporti simili sono davvero difficili da mantenere, richiedono tanta energia e pazienza… ma quando si è convinti che ne valga la pena, nessuna difficoltà può spezzare il legame.
Quando – finalmente, pensò Rachel – smisi di torturare la nuova arrivata, avevamo entrambi le lacrime agli occhi e probabilmente tutto il Campo era stato svegliato dalle nostre risate.
<< Visto quanto sei casinista? >> le chiesi, ancora ridendo. In risposta, mi diede uno spintone.
Mi aveva fatto bene dimenticare tutti i problemi. Almeno per qualche minuto, avevo sentito di nuovo il mio cuore, che pensavo distrutto dagli ultimi terribili avvenimenti.
Purtroppo, quella pace non durò a lungo.
Clarisse venne a lamentarsi con me, infuriata. Io riuscii a malapena a trattenermi dal riderle in faccia! Fidatevi, anche voi avreste faticato a rimanere seri, trovandovi davanti un figlio di Ares con il pigiama a paperelle!
Mi urlò dietro tutte le imprecazione che le vennero in mente, sfogandosi come solo un figlio del dio della guerra sa fare. Quando notò Rachel alle mie spalle, strabuzzò gli occhi << Hai capito il nostro Jackson… immagino che tu non abbia ancora pensato a come reagirà Chase quando verrà a saperlo, vero? >> e, sorridendo malefica, si girò e corse a tutta birra verso la casa di Atena.
Io, partendo in ritardo per lo stupore, non feci in tempo a fermarla. Così, dopo aver fatto irruzione nella capanna, urlò << Chase è richiesta alla casa di Poseidone! >>.
Quando la raggiunsi, l’afferrai per il pigiama e la trascinai fuori… purtroppo Annabeth – gli occhi rossi e gonfi per il recente pianto – era già davanti alla porta, quando Rachel arrivò correndo.
<< D’ora in poi Jackson non dormirà più solo! >> esclamò perfida la figlia di Ares, con un crudele ghigno stampato sul viso.
<< Ehm… credo che vi siate già conosciute >> balbettai io, spingendo via Clarisse. Prima o poi me l’avrebbe pagata cara, poteva starne certa!
Annabeth incrociò il mio sguardo e per un attimo riuscii a leggere nei suoi occhi ciò che provava: dolore, rabbia e delusione; un mix di terribili emozioni, che stava vivendo a causa mia… fantastico, ci mancavano solo i sensi di colpa!
Annabeth rientrò nella capanna, sbattendosi la porta alle spalle. Non l’avrei più rivista quella notte, nemmeno se l’avessi pregata in ginocchio di ascoltarmi.
<< Dai Rachel, andiamo >> dissi tristemente. Se prima avevo un buco nel petto, ora era diventata una voragine.
Tornati alla capanna, l’aiutai a disfare i bagagli. Dii immortales, quante valigie! Aveva portato di tutto, ci mancavano solo le piastrelle del pavimento e i nani da giardino!
<< Percy… mi dispiace molto per quello che è successo con la tua amica >> mormorò, sinceramente dispiaciuta. Effettivamente, era in gran parte colpa sua, se Annabeth ora mi detestava più di prima… ma non potevo di certo scaricare su Rachel le mie frustrazioni! Dopotutto, aveva solo contribuito al raggiungimento del mio obiettivo.
Io sospirai << Non ha importanza... abbiamo litigato poco fa, ma è meglio così. Sto facendo di tutto per allontanarla da me >> spiegai, senza dilungarmi troppo.
<< Perché? >> domandò basita. Lei sapeva bene quanto saldo fosse il legame instauratosi tra me e Annabeth, quindi era comprensibile che quella situazione la lasciasse perplessa.
<< E’ complicato… >> borbottai. Traduzione: non voglio parlarne.
<< Ok… >> disse, un po’ risentita.
<< Sono stanco. Andiamo a dormire >>
<< Va bene! Ma… io dove dormo? >>
<< Oh… giusto, quando mio fratello Tyson se n’è andato, hanno tolto il suo letto. Mm… vuoi dormire nel mio? >>
Lei arrossì, << Con te?! >>
<< Lo spazio non manca >> dissi, cominciando a spazientirmi.
<< Sì, ma… >> provò a controbattere, ma non le diedi il tempo di finire la frase.
<< Preferisci che dorma per terra? Deciditi, perché tra poco crollo! >>
<< Beh… immagino che per una notte non ci sia nulla di male se dormiamo insieme >> bisbigliò, abbastanza impacciata.
Io non mi sentivo in imbarazzo, ero troppo stanco per rendermi conto di ciò che accadeva intorno a me. << Fantastico… >> dissi sbadigliando.
L’accompagnai e lei preferì stare dalle parte del muro. Non commentai, mi misi sotto le coperte e un attimo dopo russavo alla grande.
 
*Narratore esterno*
 
<< Buona notte anche a te… >> borbottò lei, dando la schiena al ragazzo e cadendo nel mondo dei sogni. Per fortuna, niente incubi o sogni premonitori, come spesso le capitava d’avere – chissà per quale motivo?
Il mattino dopo, Rachel si svegliò di buon umore: era il suo primo giorno al Campo!
Si girò verso Percy, che dormiva ancora, dandole la schiena. Quel letto era davvero grande, anche se non raggiungeva i livelli di un matrimoniale! Comunque, aveva dormito bene; c’era un delicato odore di salsedine, sembrava di essere in riva al mare. La capanna di Poseidone, infatti, era in tinta con lo stile del dio dei mari: conchiglie, colori sull’azzurro marino e giallo sabbia.
Avvampò guardando il ragazzo e pensando a quanto fossero stati vicini tutta la notte. I capelli neri di lui sparavano ovunque e un ciuffo gli cadeva sugli occhi; lei lo scostò delicatamente.
“Quanto è carino mentre dorme!” pensò, con tenerezza.
Lui, disturbato dal contatto, si girò di scatto verso di lei; nel sonno, le avvolse la vita con un braccio, stringendola a se e affondando il viso nei morbidi capelli rossi della ragazza. L’aveva scambiata per il cuscino!
<< Ahh!! Percy, lasciami SUBITO! >> strillò e lo spinse via, buttandolo giù dal letto.
 
*Narra Percy*
 
Mi svegliai di soprassalto, sul pavimento e guardai stralunato la mia nuova coinquilina. << Si può sapere che c’è? Hai visto un ragno?! >> esclamai, tentando di capirci qualcosa.
<< Quale ragno! C’è che fa troppo caldo per gli abbracci a letto, Percy! >> disse enigmaticamente, in imbarazzo.
<< Ma che stai...?! >> chiesi scioccato, ma non mi lasciò terminare la domanda.
<< Ti lascio il beneficio del dubbio! >> m’interruppe lei, rossa come un peperone… o meglio, come i suoi capelli!
<< Uffa, io avrei voluto dormire un altro po’! Sono solo le sei del mattino! Non hai sonno? >> domandai, sbuffando e subito dopo sbadigliando.
<< No, ho dormito in aereo >> rispose, con un tono che non ammetteva repliche.
<< Che barba… vabbè, a questo punto andiamo a fare colazione >> proposi, arrendendomi all’idea di non poter tornare a letto.
<< Bene, sto morendo di fame! >> rispose lei allegra. Vederla felice mi tirò su di morale.
Fummo i primi ad arrivare ed era così presto che finimmo entrambi la colazione senza vedere anima viva.
Rachel mi prese per pazzo quando le spiegai che avrebbe dovuto gettare la parte migliore di cibo nel fuoco, come dono agli dei.
Comunque, entrambi bruciammo la colazione in onore di Poseidone e lei lo ringraziò per l’ospitalità nella capanna.
Insistette perché la portassi a fare un giro di esplorazione del Campo e, anche se avrei preferito tornare a dormire, l’accontentai.
Le feci vedere tutti luoghi più importanti – la Casa Grande, i campi d’addestramento, le stalle dei pegasi – e, per ultimo, il bosco. Non ero certo che fosse prudente avventurarmici senza altri semidei e, per di più, con un’umana da proteggere. Pensai che avrei potuto chiedere ad Annabeth di venire con noi… poi ricordai la scorsa notte e il nostro litigio.
Per evitare di pensarci dovevo assolutamente distrarmi! Così presi la mano di Rachel – che arrossì – e intrecciai le dite alle sue. Poi l’accompagnai nel cuore del bosco, fino al mio posto preferito: il piccolo fiume che scorreva all’interno di quella folta coltre d’alberi.
Strabuzzò gli occhi, meravigliata, quando creai delle piccole onde a forma di coniglio. Saltellavano freneticamente, schizzando acqua ovunque! Risi come un matto quando, “per sbaglio”, persi il controllo di una di esse, che lavò Rachel dalla testa ai piedi!
Ci divertimmo da morire ed era una giornata così bella che non mi sarei mai spostato da lì… però fui obbligato a farlo, perché suonò il corno. Dovevamo riunirci.
Arrivati nel grande giardino, Chirone presentò Rachel a tutti i membri del Campo.
Alcuni ragazzi le fischiarono… non potevo dar loro torto, era davvero una ragazza carina; ma non potei nemmeno evitare di provare un pizzico di gelosia. E per pizzico intendo dire che ero tentato di spaccare il naso a tutti quelli che facevano i cascamorti con lei.
Quando vidi Annabeth, era girata dall’altra parte… avrebbe volentieri fatto a meno di essere lì.
Andava tutto bene, fino a quando Chirone decise di rovinarmi la giornata – non di proposito, ovviamente: mi chiese << Percy, ti fa molto male la schiena? >> aveva un’aria mortificata.
<< Come scusi? >> chiesi io, confuso.
<< Beh, non abbiamo potuto aggiungere altri letti alla tua capanna perché effettivamente li abbiamo finiti… immagino che non sia molto comodo il pavimento. >>
<< Oh… ehm… >> balbettai io, cominciando ad arrossire.
<< Non mi dire che hai fatto dormire sul pavimento la nostra ospite! >> esclamò inorridito. Qualche ragazzo rise.
<< No, certo che no! >> avevo una dignità da difendere, per gli dei.
<< Eddai Percy! Ammetti che hai lasciato Rachel sul pavimento! >> urlò Connor, rotolandosi dalle risate.
<< Io ho dormito nel letto… >> intervenne l’interessata, anche lei rossa in viso.
<< Allora se Jackson non ha dormito sul pavimento e nemmeno la ragazza… >> disse qualcuno, lasciando la frase in sospeso.
Il silenzio che seguì fu tombale – perfino gli uccelli smisero di cinguettare – mentre Rachel ed io pregavamo che il pavimento si spaccasse sotto i nostri piedi e ci lasciasse scomparire nel baratro del buio più totale.
Dopo qualche secondo si avvertì un suono: passi. Guardai la folla e vidi Annabeth che si allontanava, facendosi largo a spintoni tra i ragazzi.
“Oh no… Annabeth…” pensai. << B-bene ragazzi… dunque, passiamo al programma di oggi… >> disse Chirone per smorzare la tensione.
“Ora l’ho davvero persa per sempre…”. Avrei dovuto compiacermene, dopotutto era il mio obiettivo, invece mi sentivo malissimo… Perderla era come perdere una parte di me, una parte molto importante.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


*Narra Percy*
 
Da quel giorno in avanti, ogni volta che camminavo a meno di un metro di distanza da Rachel i ragazzi mi facevano l’occhiolino o mi spingevano nella sua direzione e le ragazze ridacchiavano. Era una situazione molto imbarazzante.
Non vidi più Annabeth, nemmeno durante i pasti. Probabilmente se ne stava tutto il giorno chiusa nella capanna a progettare macchinari tramite il computer che Dedalo le aveva regalato tempo fa. Non so come facesse a mangiare; una volta, a cena, rimasi seduto al tavolo per più di due ore, pensando che si recasse ai tavoli in ritardo, apposta per non vedermi… ma lei non arrivò.
Col passare dei giorni cominciai a notare sempre meno la sua mancanza; dopotutto, non dovevo darle false speranze andando a cercarla.
Rachel, invece, adorava la vita al Campo e non le dava poi così fastidio che molti ragazzi ci provassero con lei. Anzi, sembrava averci preso gusto! Spesso ricambiava i sorrisini o accettava di essere accompagnata fino alla capanna.
Forse a lei faceva piacere, ma io cominciavo proprio a essere stufo di trovarmi i suoi ammiratori fuori dalla porta, con enormi mazzi di fiori o lettere d’amore scritte su carta rosa shock! Una volta ne avevo letta una ed era così sdolcinata che mi aveva dato la nausea!
Una sera si presentò alla nostra capanna – per passare un po’ di tempo con la mia amica – Malcolm, un figlio di Atena, e non appena mi vide il suo volto s’indurì. Mi chiesi che problema avesse, dopotutto eravamo sempre stati buoni amici.
Comunque non ebbi la possibilità di chiederglielo, perché in quel momento arrivò Rachel e, dopo averlo ringraziato per la visita, lo congedò.
Rientrammo, mi sedetti sul bordo del letto – per fortuna ne avevano ordinato un altro per la mia coinquilina – e aspettai che lei si accorgesse delle mie occhiate fulminanti.
Dopo parecchi minuti esclamò << Ok, mi arrendo! Dimmi che c’è che non va, per favore! >> Si sedette accanto a me e mi fissò con aria interrogativa.
<< Dovresti averlo capito: mi sono stancato dei tuoi corteggiatori! >> le risposi, imbronciato.
<< Perché? Sono così gentili! >> sembrava davvero spaesata dalla mia risposta.
<< Oh sì, soprattutto quando ti scrivono che sei più bella di Afrodite o più delicata di una ninfa! >> risposi, pentendomene all’istante.
<< Hai letto le lettere che mi hanno scritto? >> strillò infuriata, scattando in piedi all’istante.
<< Ehm… giusto un paio! >> mormorai, facendomi piccolo piccolo.
<< Percy Jackson, come hai osato farlo? >> mi trafisse con lo sguardo, arrossendo per l’imbarazzo.
<< Dai, non prendertela! Non erano questo granché, troppo sdolcinate! >> dissi io, tentando di smorzare la tensione.
<< A me piacciono! >> rispose lei, con un tono di voce a dir poco acido.
“Ah sì? Bene, ora mi hai fatto davvero infuriare!” pensai.
<< Beh, allora se ti stanno così simpatici, perché non vai da loro? >> le dissi tagliente.
Lei abbassò lo sguardo, con un’espressione triste sul viso.
“Forse ho esagerato…” pensai mordendomi il labbro inferiore e pentendomi all’istante di essermi arrabbiato per un motivo tanto futile.
Dovevo per forza risponderle in quel modo?! “Idiota.” mi dissi.
<< Ehi Rach… scusa, davvero… mi sono lasciato prendere dalla rabbia >> mormorai, desolato.
<< Solo dalla rabbia? >> chiese, guardandomi con occhi furbi e un grande ghigno si dipinse sul volto. Sapevo dove voleva andare a parare e, in fondo, perché avrei dovuto negarlo ancora?
<< Ok, forse c’è anche un pizzico di gelosia… >> ammisi, avvampando.
<< E come mai sei geloso… ?>> continuò lei.
<< Perché ci tengo a te… >> risposi con voce flebile, diventando sempre più rosso.
<< Ci tieni… e basta? >> insistette.
<< Ok, ci tengo parecchio… ti voglio bene, Rachel… >> confessai, con tutto il coraggio che avevo in corpo. Affrontare Crono sarebbe stato più facile!
Lei sorrise soddisfatta, << Quindi ammetti che ti piaccio? >>
Io annuì, ormai bordò in viso.
<< Bene, ce n’è voluto di tempo, eh? >> disse ridacchiando. << Comunque, per tua informazione, anch’io ti voglio bene… te ne ho voluto fin dalla prima volta che ci siamo visti! >> disse, arrossendo un poco. Tornò a sedersi al mio fianco, sul letto.
<< Fin dalla prima volta che mi hai salvato la vita, vorrai dire! >> aggiunsi io, sorridendo.
 << E’ vero, senza di me saresti morto molto tempo fa! >> esclamò, orgogliosa.
<< …Grazie ancora. >> dissi, fissandola intensamente negli occhi.
Lei si avvicinò lentamente, ricambiando lo sguardo. Mi ero già trovato in quella situazione con Rachel. Con la piccola differenza che, la prima volta, lei non mi aveva dato il tempo di reagire!
Ora, invece, avrei potuto fermarla e andarmene… ma non lo feci. Le sue morbide labbra si posarono sulle mie e chiusi gli occhi, dimenticando all’istante tutti i problemi. Pensavo solo ed esclusivamente a lei.
Il suo profumo di fragola e pesche m’invase il cervello, lasciandomi stordito.
Quando quel momento magico finì, però, le ombre tornarono a invadere la pace nel mio cuore.
Per il resto della serata faticammo a guardarci in faccia senza arrossire!
Finalmente, arrivato il momento di andare a dormire, potei pensare lucidamente.
A letto, faticai a prendere sonno e ne approfittai per riflettere. “E’ successo di nuovo… a questo punto cosa siamo Rachel ed io? Una coppia? O solo amici che si vogliono molto bene? Però, c’è qualcosa che non va. Non so perché, ma temo che questa situazione non durerà… ho un terribile presentimento.” poi mi addormentai, tormentato dai dubbi.
Stranamente non sognai, o forse non ricordo… comunque, fu una notte tranquilla.
Il giorno seguente, evitammo di parlare della sera prima. C’era una strana atmosfera nell’aria. “Ho ancora quella brutta sensazione…” pensai, nervoso.
<< Percy! Ehm… mi passeresti la spazzola? >> urlò Rachel.
<< Certo… >> e gliela portai, immerso nei miei pensieri.
<< C’è qualcosa che ti preoccupa? Te lo leggo negli occhi, hai la testa da un’altra parte! >> chiese lei.
<< No… è tutto ok… >> dissi, senza nemmeno guardarla.
<< Senti… non vorrei farlo, ma è importante, credo. Devi sapere che questa notte ho fatto uno strano sogno… >> disse, con tono preoccupato.
<< Di che si tratta? >> domandai, improvvisamente catapultato nella realtà.
<< Di… di Annabeth. >> mormorò lei.
Senza ragionare, l’afferrai per le spalle e le chiesi, con occhi spaventati, << Cosa ha Annabeth? Cosa le è successo? Che hai visto? >>
<< Percy, mi fai male! >> strillò lei, con le lacrime agli occhi.
Allentai la presa, poi feci un bel respiro e chiesi di nuovo, sforzandomi di stare calmo << Scusa. Ora, per favore, raccontami il tuo sogno. >>
<< Perché t’importa così tanto? >> urlò lei, arrabbiata e triste al contempo.
<< Che razza di domande fai? Annabeth è una mia amica! Ora dimmi cos’hai visto, ti prego! >> non c’era tempo da perdere. Temevo che il sogno di Rachel potesse essere, in qualche modo, collegato al mio brutto presentimento.
Lei, piangendo, rispose << Era… era nel mezzo di una foresta. Sembrava che cercasse qualcosa… >> aveva lo sguardo basso.
<< Nient’altro? >> chiesi impaziente. Non avevo abbastanza indizi…
<< No, è stato un flash! È scomparso subito! >> rispose.
<< Ne sei certa? >> non sapevo se fidarmi di lei, in questo caso.
<< Non mi credi? Davvero pensi che potrei fare apposta a non aiutarti per gelosia? >> esclamò indignata. << Non ti facevo così, Percy Jackson! Sai che ti dico? Vai al Tartaro! >> e corse fuori dalla capanna, sbattendosi la porta alle spalle.
In parte mi dispiaceva, ma non avevo tempo per quello. Dovevo trovare Chirone, sicuramente lui sapeva qualcosa!
Mi catapultai alla Casa Grande, interrompendo una conversazione tra il vecchio centauro e il signor D. << Arrivi in un momento inopportuno, Johnson. >> Mi disse Dionisio – alias signor D, dio del vino, signor direttore del Campo – come al solito fingendo di non ricordare il mio nome.
<< Chirone, noi due dobbiamo parlare. >> dissi, senza degnare di uno sguardo la divinità.
<< Irrispettoso come sempre >> soffiò il signor D, per poi dileguarsi nell’altra stanza.
Fissai il centauro, in attesa di una risposta. Quest’ultimo finì di sorseggiare la sua cioccolata, posò la tazza e disse << Sapevo che questo momento sarebbe arrivato. >>
<< Dov’è Annabeth? >> chiesi, senza troppi giri di parole.
<< E’ partita tre giorni fa >> rispose, con la sua solita calma.
<< Partita? Le avete affidato un’impresa? >> chiesi, sempre più preoccupato.
<< Non è esattamente un’impresa organizzata dal campo. >> chiarì, poi aggiunse. << Diciamo che è stata lei a supplicarmi di lasciarla partire… così abbiamo deciso di considerarla un’impresa ‘personale’. >>
<< L’avete lasciata andare da sola? >> chiesi infervorandomi.
<< Ha chiesto esplicitamente di non essere accompagnata… e di non farne parola con te. >> mi rispose, forse sentendosi un po’ in colpa. Dopotutto, era sempre stato un tipo prudente, non faceva sciocchezze; ma in questa situazione…
<< Dannazione! >> urlai, sbattendo il pugno sul tavolo e facendo cadere la tazza, che andò in mille pezzi sul pavimento. << In che cosa consiste la sua impresa? Dov’è andata? >> ero fuori di me.
<< Mi dispiace, Percy, ma non posso proprio parlarne. >> disse con aria abbattuta.
<< Gliel’ha fatto giurare sullo Stige? >> non volevo darmi per vinto tanto facilmente… e la fortuna, per una volta, fu dalla mia parte.
<< No, ma… >> provò a controbattere. Se l’avesse giurato sullo Stige – il sacro fiume degli Inferi – non avrebbe potuto rompere la promessa e nemmeno aggirarla.
<< Allora me lo dica! >> esclamai io, << Sa bene che è in pericolo! Ha bisogno di aiuto, qualsiasi cosa stia facendo! >>
<< Percy, sono un centauro di parola. >> disse, scuotendo la testa, << Non posso ignorare la richiesta della signorina Annabeth. >>
A quel punto esplosi. Lasciai che tutta la rabbia che avevo in corpo si tramutasse in una forza imparagonabile. Si sentì un frastuono infernale e molti ragazzi uscirono dalle capanne per capire cosa stesse succedendo.
Chirone corse fuori dalla Casa Grande e, spalancando la bocca in una smorfia terrorizzata, guardò con orrore il lago che prendeva la forma di un’onda gigantesca.
L’acqua aveva risposto al mio comando e, se si fosse schiantata sul Campo, avrebbe distrutto ogni cosa.
Sentivo i ragazzi urlare, altri scappare in ogni direzione… ma nulla sarebbe rimasto in piedi, se colpito da quello tsunami.
Ero furioso, desideravo ardentemente lasciare che l’onda travolgesse tutto, per sfogarmi. “Tanto io non morirei.” pensai. Perfino la voce nella mia mente aveva un tono malefico.
<< Percy! >> urlò il centauro dall’esterno. Io non mi girai nemmeno, continuando a fissare i cocci della tazza sul pavimento. L’onda si faceva sempre più vicina.
<< Fermati, ragazzo mio! >> pregò Chirone, << Se quell’onda dovesse colpirci… sarebbe la fine per tutto il Campo! >>.
“Che me ne importa?” pensai.
<< Ragiona, non lasciarti trasportare dalla rabbia! >> insistette lui.
“Io capisco benissimo… che hai bisogno di una bella lavata…” e lasciai avanzare pericolosamente l’onda.
<< Annabeth non lo vorrebbe! >> esclamò. Ora giocava la carta del senso di colpa.
“Che importanza ha? Se muore, non potrà comunque tornare al Campo.” risposi mentalmente.
L’acqua arrivò a pochi metri dal centauro, lasciandolo senza via di fuga. << Va bene! >> urlò, << Ti dirò tutto ciò che so, lo giuro sullo Stige! >>. Si sentì un tuono temporalesco: il patto era stretto e non poteva essere infranto.
Mi sembrò una proposta ragionevole, così lascia che l’onda si ritirasse, tornando ad essere un innocuo laghetto.
Chirone sospirò di sollievo, rientrando nella stanza. Era stato piuttosto difficile placare l’ira che c’era in me… ma era bastato il pensiero di Annabeth al mio fianco, al sicuro, per calmarmi.
Il centauro si sedette, scrutandomi con diffidenza. Cominciò a parlare, misurando attentamente le parole, come se fossi una bomba a orologeria e potessi esplodere da un momento all’altro. << Annabeth stava… sta molto male, Percy. >> spiegò con aria preoccupata. Vedendo la mia faccia terrorizzata, aggiunse in fretta << Non intendo dire che è malata o cose simili! Sta male ‘dentro’… quando è venuta a parlarmi… non so, sembrava diversa. Aveva uno sguardo vuoto, una voce debole e gli occhi rossi, come se avesse pianto ininterrottamente per giorni. Non l’avevo mai vista così. >> disse con voce tremante, come se il solo ricordo gli desse i brividi.
<< Continui… >> mormorai.
<< Mi disse che aveva preso una decisione. Una decisione molto importante, e che nulla le avrebbe fatto cambiare idea. Spiegò che aveva deciso di partire e che aveva solo bisogno della mia approvazione. Voleva fare le cose per bene, secondo le regole del Campo, ma piuttosto che ripensarci era disposta a scappare… >> raccontò tristemente.
<< Qual è l’obiettivo della sua impresa? >> chiesi impaziente.
<< Deve trovare Mnemosine, la dea della memoria. >> spiegò.
<< Perché? >> chiesi, sempre più vicino alla verità.
<< Non dovrei dirtelo… ma non posso evitarlo. Vuole chiedere alla dea di cancellare parte dei suoi ricordi… >> confessò, scrutandomi. Sapevo cosa stava per rivelarmi, ma non potei fare a meno di sperare di sbagliarmi. << Vuole dimenticarti, Percy. Vuole chiederle di cancellare ogni ricordo che ha di te dalla sua mente. >> concluse lentamente.
Annuii. Lo sapevo, me l’aspettavo. Però fu comunque un brutto colpo. << Lei sa dove si trova questa dea? >> chiesi, con voce flebile.
<< Si trova nella foresta dell’Amazzonia. Per la precisione, in un luogo mai raggiunto dagli umani: il centro esatto di quell’enorme distesa d’alberi. >>
<< Annabeth lo sta cercando… Rachel l’ha vista in sogno vagare per la foresta. In quella visione, però, Annabeth si era persa e non aveva idea di dove andare. >> dissi.
<< Cos’hai intenzione di fare, Percy? >> mi chiese, anche se ovviamente conosceva già la risposta.
<< Andrò a cercarla. Parto immediatamente. >> risposi, senza pensarci due volte.
<< Sicuro che sia la cosa migliore da fare? >>.
<< Non posso perderla. >> tagliai secco la conversazione. Corsi fuori e, portandomi due dita alle labbra, fischiai.
Blackjack – il mio fidato pegaso nero – arrivò volando e atterrò poco distante. Gli saltai in groppa e urlai << Alla foresta Amazzonica! >>.
Abbassando lo sguardo, vidi il Campo diventare sempre più piccolo e… in mezzo al prato, una massa di capelli rossi mi fissava. Con un cenno della mano, salutai Rachel un’ultima volta, prima di sparire nell’immensità del cielo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
*Narra Percy*
 
Sfrecciando ad altissima quota – per evitare di essere visto dagli umani – uscii dai confini degli Stati Uniti, in direzione dell’Amazzonia.
Durante il viaggio pensai a come avrei fatto a trovare Annabeth nel bel mezzo di una foresta, ma non mi venne in mente nulla… mi sarei affidato al fato, come sempre.
Dopo due ore di volo, cominciai ad avere fame e Blackjack riusciva a stento a tenersi in aria. << Atterriamo e facciamo una pausa, ok? >> Lui provò a insistere perché continuassimo, ma era ovvio che non ce l’avrebbe fatta ancora per molto.
Andò a brucare dell’erba in un prato vicino, mentre io entrai in un fast-food. Non avvertivo nulla di strano, non dovevano esserci mostri da quelle parti.
Se pensate “Ti pare che i mostri vanno a nascondersi dietro alla griglia? Che stupidaggine!” vi sbagliate di grosso; infatti, ne ho incontrati ovunque: in un ristorante cinese, in un negozio di ciambelle, dal benzinaio… sono dappertutto e assumono forme umane per confondersi con la folla. Però noi semidei siamo in grado di avvertirne la presenza, non so spiegarvi come… lo sentiamo e basta.
Al bancone, ordinai un panino – con aggiunta di patatine fritte – e una bibita. Mi sedetti a un tavolo e sbranai avidamente il pasto.
Mentre mangiucchiavo le ultime patatine fritte, immerso nelle mie fantasie, una donna si avvicinò al mio tavolo e si sedette sulla panca di fronte alla mia. Ero certo di averla già vista… ma dove?
<< Ciao Percy. >> disse e per poco non mi soffocai, ingoiando l’ultimo boccone.
<< Atena! >> esclamai, ancora tossendo. Aveva assunto lineamenti differenti, ma qualcosa di divino aleggiava comunque in lei.
<< Esatto. Ho bisogno di parlarti, figlio di Poseidone >> disse senza troppi giri di parole.
<< Ah sì? Caspita, che onore! Purtroppo c’è un problema: non ho tempo per parlare con te, sono impegnato a salvare tua figlia >> risposi, mentre l’ira tornava a possedermi. Dopo tutti i problemi che aveva causato, osava ancora mostrarsi al mio cospetto?
<< E’ proprio di questo che voglio discutere. Ho capito di essere stata ingiusta… ho sbagliato a intromettermi tra te e Annabeth. Dopotutto, non l’ho mai nemmeno degnata di una visita, come posso pretendere di arrivare all’improvviso e distruggere la vita che si è creata? Ammetto che avrei preferito un altro genero, non un figlio di Poseidone! Ma cosa posso farci? Al cuore non si comanda, me lo ripete sempre Afrodite. >> disse, con aria affranta. Sembrava davvero dispiaciuta, ma la situazione era troppo bizzarra per essere accettata senza indugi.
<< Che significa tutto questo? >> chiesi confuso. Tutto mi sarei aspettato meno che quello, da Atena.
<< Significa che non m’intrometterò più nella vostra relazione, che sia di amicizia o… qualcosa di più. Però, ti prego, salvala! Mnemosine non mi piace, non mi sono mai fidata di lei. Nella guerra contro i Titani, si alleò con i nemici degli dei! Io ti aiuterò >> promise.
<< Come farai ad aiutarmi? >> chiesi sospettoso. Temevo che mi avrebbe trasformato in un segugio o che so io!
<< Quando ti troverai nella foresta, saprai dove andare. Capirai qual è la strada giusta per trovare Annabeth >> spiegò.
<< E come farò a saperlo? >> chiesi di nuovo, facendola sbuffare.
<< Lo saprai e basta! Allora, la salverai? >> insistette, ansiosa.
<< Sì, sono qui per questo >> risposi, sicuro di me.
<< Qui… al fast-food? >> domandò lei, inarcando confusa le sopracciglia.
<< Sicura di essere la dea della saggezza? >> chiesi ironicamente.
<< Farò finta di non aver sentito. Buona fortuna, Percy Jackson. >> e scomparve.
<< Grazie mille… >> borbottai.
Uscito dal locale, chiamai Blackjack e ci rimettemmo in viaggio. “D’ora in poi potrò voler bene ad Annabeth, senza temere l’ira degli dei… certo che lei non potrà volerne a me, se dimenticherà tutto. Meglio muoversi!” e incitai il pegaso ad andare alla massima velocità consentita.
Sfrecciammo nel cielo ormai rosa del tramonto.
 
*Narratore esterno*
 
Chirone bussò alla capanna di Poseidone e Rachel andò ad aprire. << Buonasera >> disse lui, educato come sempre.
Lei lo invitò a sedersi. << A cosa devo la sua visita? >>.
<< Beh… immagino che tu abbia alcune domande da pormi, o sbaglio? >> rispose quello, rigirando la frittata.
<< E’ andato a cercarla, vero? >> chiese la ragazza, senza troppi giri di parole.
<< Sì >> confermò il centauro. << So che la cosa ti turba… ma devi capire che lui e Annabeth ne hanno passate tante insieme. Sono grandi amici e quindi è naturale che Percy si preoccupi per lei >>.
<< Ho capito… io torno a casa, signore. Partirò domani stesso >> annunciò la ragazza.
<< E’ davvero un peccato, mia cara. Con la tua sola presenza, rallegravi tutto il Campo. Posso sapere per quale motivo hai preso questa triste decisione? >>.
<< Qui sono di troppo; credevo che a Percy facesse piacere la mia compagnia… ma evidentemente mi sbagliavo >> rispose pacata.
<< Capisco… provvederò a procurarti delle provviste per il viaggio e organizzerò una festa in tuo onore! >>.
<< La ringrazio, ma davvero non è necessario… preferisco andarmene senza troppe cerimonie >> disse fredda.
<< Oh… come desideri tu, cara >> rispose quello, con aria abbattuta.
Poi se né andò, lasciandola sola a preparare i bagagli.
“Oh Percy… perché non tieni a me come tieni a lei…?” pensò sconsolata, mentre le valigie divenivano sempre più pesanti.
 
*Narra Percy*
 
Ero in viaggio da più di un giorno quando, finalmente, la vidi: no, non mi riferisco alla toilette! Ma all’incredibile, enorme foresta Amazzonica.
Immaginate il vostro parco preferito, dove amate passeggiare la Domenica pomeriggio… bene, ora moltiplicate la sua grandezza per venti e non vi avvicinerete nemmeno alla metà di quella della foresta delle Amazzoni.
Era una cosa pazzesca!
Ordinai a Blackjack di atterrare e, dopo averlo ringraziato per il passaggio, m’immersi in quel mare di foglie e alberi.
Dopo qualche metro, già non ricordavo più da dove fossi arrivato. Girando su me stesso di 360° vedevo sempre la stessa cosa: alberi, alberi e ancora alberi. Tutto uguale.
Proprio mentre mi rimproveravo per non aver portato qualcosa che potesse aiutarmi a orientarmi in quel labirinto – che so, una cartina? Ok, forse non ne esistevano per quel posto – improvvisamente la via mi fu chiara: Annabeth si trovava a nord-est, circa a otto chilometri di distanza dalla mia posizione.
Non so spiegarvi come, ma lo sapevo. Nella mia mente avevo tutte le informazioni necessarie per restare sulla strada giusta, anche se non avevo la più pallida idea di come ciò fosse possibile.
Poi ricordai l’incontro al fast-food. Doveva essere opera di Atena! La ringrazia e m’incamminai.
Nei primi dieci metri di percorso, non notai nulla di strano… poi trovai un oggetto sospetto: una macchina fotografica.
“Sarà caduta a qualcuno, ma perché non se la sono ripresa? Che senso ha visitare questo posto senza scattare foto? Boh…” e, legandomela al collo con il laccio incorporato, proseguii.
Non c’era nulla che potesse essere d’aiuto per evitare di perdersi; inoltre, alzando lo sguardo, si vedevano solo le cime degli alberi, che creavano una rete di fogliame tanto fitta da nascondere il sole.
Fu più o meno a non so che ora, che m’imbattei nel primo avversario: una dracene. Erano mostri spietati, la cui composizione ricordava tanto una donna-rettile; era una seguace di Crono ed che evidentemente non aveva ancora accettato la sconfitta del suo padrone.
“Beh, peggio per te… assaggerai la lama tagliente della mia spada!” pensai, sfilandomi Vortice dalla tasca – ora aveva ancora la forma di una penna a sfera, ma bastava premere il pulsante e… pouf, ecco che prendeva la forma di una lunga spada; quando il viscido essere mi saltò addosso, menai un fendente veloce e letale. Un solo colpo e mi trovai coperto di polvere di mostro. << Ti avevo avvisato! O forse non l’ho fatto? Beh, comunque ora è troppo tardi per le scuse… >> mormorai, scrollandomi i residui del mostro dai vestiti.
Dopo molte ore di cammino, decisi di fare una pausa. Avevo tutti i muscoli doloranti e i capelli pieni di ramoscelli.
Desideravo solo cadere tra le braccia di Morfeo, ma temevo che qualche bestia potesse assalirmi nel sonno, se fossi rimasto a terra; così mi arrampicai su un albero e mi sdraiai su un ramo abbastanza alto.
Avevo camminato tutto il giorno! Ormai non doveva mancare molto, ma anche Annabeth si spostava… in questo momento, per l’esattezza, si trovava a 942 metri da me. Ancora non mi ero abituato all’idea di essere un navigatore satellitare.
Comunque, ora non si stava più allontanando; chissà, forse anche lei si era arrampicata su un albero e pensava a me? Non ebbi il tempo di rispondermi, perché crollai dalla stanchezza.
La sognai, mentre vagabondava nella foresta. Aveva graffi superficiali ovunque – dovuti probabilmente alle piante – e un taglio più profondo sulla fronte, appena sopra l’occhio. Forse era caduta? L’ultima immagine che ricordo è il suo viso incorniciato dai biondi capelli spettinati e gli occhi, grigi come la tempesta, che mi fissavano.
Mi svegliai, disturbato da una specie di squittio e per poco non caddi giù dall’albero quando vidi uno scoiattolo a pochi centimetri da me, sul mio stesso ramo.
<< Uffa… ottimo modo per cominciare la giornata, davvero >> borbottai e, sceso dal mio temporaneo rifugio, ricominciai a camminare. Annabeth non si era allontanata, perciò era probabile che stesse ancora dormendo.
Dovevo approfittarne, ma nonostante le varie ore di riposo, mi sentivo ancora a corto di forze. Avanzai a tentoni per una quarantina di metri, annaspando senza fiato, poi – di nuovo – scoprii che la fortuna era dalla mia: un ruscello.
Corsi verso l’acqua e vi immersi la faccia, svegliandomi e soprattutto cominciando a recuperare energie.
Dopotutto, sono il figlio di Poseidone, l’acqua è il mio elemento!
Finita quella pausa rinvigorente, mi sentivo invincibile. Iniziai a correre a tutta velocità, saltando gli ostacoli e avvicinandomi sempre più al mio obiettivo.
Sempre correndo, tirai fuori dalla tasca una barretta energetica al cioccolato – ne tenevo sempre qualcuna con me, un po’ per gola, un po’ per precauzione in caso di emergenza – e la divorai in un batter d’occhio.
Calcolai la distanza che ancora mi mancava da percorrere: 581 metri e Annabeth ancora non si era mossa… cominciai a preoccuparmi. Va bene, probabilmente era stanca, ma tutte quelle ore di sonno sembravano davvero troppe.
Purtroppo – dopo circa due ore di corsa – dovetti rallentare, mentre l’energia cominciava ad abbandonarmi.
Corsi ancora per un paio di metri, poi caddi e rimasi a terra con il fiato grosso. Non riuscivo ad alzarmi, ero stanco morto.
“Ora che faccio? Non posso stare qui… ma non riesco a muovermi!” pensai, esasperato. “Forse posso richiamare un po’ d’acqua dal terreno…”. Ci provai e sicuramente, in condizioni di salute migliori, avrei portato a galla litri di liquidi… ma in quel momento, nemmeno una goccia rispose al mio comando. Strano, molto strano; probabilmente c’era lo zampino di qualche divinità, che aveva stregato quel luogo per far si che non potesse essere modificato… magari ora mi stava osservando, seguiva i miei movimenti, mi aspettava.
“Oh dei… è la fine…” pensai, chiudendo gli occhi. Sarei stato una facile preda per qualsiasi mostro. Poi, quando la speranza mi stava abbandonando, una luce abbagliante invase lo spazio circostante.
Quando si estinse, riaprii a fatica le palpebre: era Atena, un’altra volta.
<< Non dovrei prendermi tanto disturbo per te >> disse, scuotendo la testa.
Tentai di alzare la testa, ma sembrava pesare una tonnellata, così ci rinunciai. << Felice… di rivederti… >> mormorai, con l’accenno di un sorriso sul viso.
<< Non sforzarti di essere cordiale. Sono venuta ad aiutarti, di nuovo. In teoria non potrei intervenire direttamente sulla vita dei mortali, ma si tratta di mia figlia, quindi… >> si sfilò uno zaino dalle spalle. Tirò fuori una bottiglietta d’acqua e me la portò alle labbra.
Nel momento esatto in cui la mia bocca ne venne a contatto, tornai a percepire il mondo attorno a me. Bevvi metà del contenuto, l’altra metà l’avrei tenuta di scorta.
Mi alzai e Atena mi porse lo zaino. << Tieni: qui dentro ci sono alcune barrette di cioccolato, un sacchetto di ambrosia e un vasetto di miele >> Elencò sbrigativa. << Mi raccomando, fanne buon uso e tienine un po’ per Annabeth, nel caso ne avesse bisogno! >> raccomandò.
<< Grazie >> risposi, sinceramente grato alla dea. << Sua figlia tornerà al Campo sana e salva. Può contare su di me, non permetterò che le accada nulla. >> promisi.
<< Lo so… tieni molto a lei, vero? >> chiese, con gli occhi più grigi che mai.
<< S-sì… >> balbettai, arrossendo.
Lei annuì << Allora posso stare tranquilla. Buona fortuna, Percy Jackson. >> e scomparve.
“Devo ricordarmi di bruciare un po’ di cibo in onore di Atena, quando tornerò al Campo… se tornerò.” pensai e, di nuovo in forze, mi rimisi in cammino.
Un po’ di tempo dopo, bevvi due sorsi d’acqua e cominciai a correre. La foresta si faceva sempre più buia, ciò significava che anche il mio secondo giorno lì dentro stava giungendo al termine.
Quando non riuscii più a vedere a un palmo dal mio naso, decisi di accamparmi… salii su un albero e, come la notte precedente, mi sdraia su un ramo.
Annabeth si trovava a 103 metri di distanza. Quindi non si era spostata… a quel punto, ero certo che le fosse capitato qualcosa. “E se fosse già troppo tardi? Se quando arrivassi lì, la trovassi…” ero preoccupatissimo, ma mi obbligai a pensare positivo. Non era morta, lo sentivo. Decisi che il giorno dopo l’avrei raggiunta, anche strisciando senza forze, se necessario… e comunque, avevo ancora dell’acqua e tutta l’ambrosia!
Mi addormentai e, questa volta, non sognai. O almeno non lei, altrimenti lo avrei ricordato, al risveglio.
Quest’ultimo fu abbastanza movimentato: c’era un enorme segugio infernale – cioè uno dei grossi cani neri degli Inferi, sicuramente malvagio come il suo ex-padrone Crono – che abbaiava inferocito e tentava di salire sull’albero. Per mia fortuna, non ne era capace.
Comunque, dovevo eliminarlo. Anche perché, se avesse trovato Annabeth, non avrebbe esitato a sbranarla; inoltre ero certo che lei non fosse in grado di difendersi, al momento.
Sguainai Vortice, ma non potevo scendere e nemmeno riuscivo a colpirlo da quell’altezza. Lanciare la spada era fuori discussione, se avessi sbagliato il tiro… come potevo fare?
Spremetti le meningi alla ricerca di una soluzione, poi mi venne un’idea: tenevo ancora la macchina fotografica appesa al collo. Non volevo farmi una foto con il segugio, ovviamente! Presi bene la mira e… la lanciai nell’occhio della bestia.
Quella guaì e si distrasse, così io ne approfittai per scendere e colpirla con Vortice. Pouf! Scomparso nel nulla.
<< Scocciatore >> borbottai, sbadigliando subito dopo.
Tornai a concentrarmi sul mio scopo “Oggi devo trovarla, ad ogni costo!” pensai e, bevuta fino all’ultima goccia d’acqua che avevo tenuto di scorta, cominciai a correre.
Così passai le due ore seguenti: correndo in mezzo al verde.
72 metri ancora e l’avrei trovata. Non si muoveva da più di un giorno, ormai.
Mentre filavo tra gli alberi, pregai tutti gli dei che conoscevo di essere ancora in tempo per salvarla.
Quando sostai per riprendere fiato, mangiai qualche pezzo di cioccolato e un goccio di miele. Per fortuna, in conseguenza alla sconfitta del grande titano, i mostri malvagi che condividevano i suoi folli ideali erano stati quasi tutti sterminati… i rimanenti si erano dati alla fuga. Grazie a Zeus, altrimenti chissà quanti ne avrei incontrati!
Tornato alla mia folle corsa, avanzai a tutta birra senza riscontrare alcun ostacolo.
Era forse il tramonto del mio terzo giorno là dentro, quando il mio cervello calcolò che mancavano solo 23 metri all’obiettivo. Accelerai per quanto il corpo mi consentisse e raggiunto il luogo esatto dopo un minuto di stressante attesa, la vidi: era sdraiata a terra, ricoperta di foglie e terriccio fresco, gli occhi chiusi come se dormisse, il corpo puntellato di tagli e graffi.
<< Annabeth! >> urlai e, inginocchiandomi accanto a lei, cominciai a scuoterla con vigore. “Ti prego Zeus, fa che non sia morta!” pregavo, con le lacrime agli occhi.
Finalmente, dopo vari scossoni, diede i primi segni di vita: strinse le labbra e corrugò la fronte. Poi, lentamente, aprì gli occhi e mi fissò… come se non mi avesse mai visto prima.
<< Chi… chi sei? >> mormorò con voce roca.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
Era sana e salva, ma se non si ricordava di me… c’era solo una spiegazione: aveva già incontrato Mnemosine, che le aveva cancellato dalla mente ogni ricordo mi riguardasse.
<< Annabeth… sono io, Percy… ti prego, cerca di ricordare! >> dissi, mentre le lacrime cominciavano a rigarmi le guance.
<< Percy? Sono spiacente, ma credo che tu mi stia confondendo con un’altra >> mi disse serenamente. Quando sorrise, mi sentii di nuovo a casa; quanto mi era mancata…
Sapevo benissimo che per lei la situazione non aveva senso, ma non riuscii a trattenermi dall’abbracciarla. Immersi il viso nei suoi capelli, mentre il mio cuore impazziva.
Lei rimase a bocca aperta e arrossì, in imbarazzo. << Ehm… tutto bene ?>> chiese.
Io mi scostai e le risposi sorridendo, con gli occhi ancora umidi << Sì… sto bene. Non hai idea di quanto mi sei mancata, Annabeth! >>.
Lei sembrò confusa << Mi dispiace, ma non capisco… noi ci siamo già visti? >>.
Io risi forte, esasperato << Ci puoi scommettere, Sapientona! >>.
<< Beh… allora com’è possibile che non mi ricordi di te? >>.
<< E’ una lunga storia… dimmi, sai chi sei? >>.
<< Che domande fai? Sono Annabeth Chase, una mezzosangue, figlia di Atena. Vivo al Campo Mezzosangue. >> disse, senza indugi. Temevo che non ricordasse assolutamente nulla, ma fortunatamente mi sbagliavo.
<< Bene, ora dimmi: qual è la persona a cui vuoi più bene al mondo? >> chiesi curioso. Lo so, era da egoisti, ma volevo approfittare della sua amnesia per scoprire qualche cosa in più sul suo conto.
<< Le persone a cui tengo di più sono mio padre e Luke, il mio migliore amico >> rispose, sempre sorridendo.
Quando pronunciò il nome di quel traditore, figlio di Ermes, il mio cuore sprofondò. Sapevo che Annabeth aveva sempre avuto un debole per lui, ma dopo ciò che aveva fatto – si era alleato con il grande titano Crono, tradendo tutto il Campo, la sua famiglia… beh, pensavo che preferisse qualcuno di più onesto.
<< G-giusto… ricordi perché sei qui? >> domandai, con un grosso nodo in gola.
<< Mm… effettivamente no >> disse confusa << Aspetta… so che stavo cercando una cosa… ma non ricordo cosa! >>.
<< Ok… senti, devi venire con me >> le risposi, ancora con voce strozzata.
<< Perché? >> chiese, sospettosa << Io non ti conosco, dove vuoi portarmi? >>.
<< Andiamo a trovare Mnemosine, la dea della memoria… devi sapere che tu sei venuta qua per cercarla. Devi esserci riuscita, perché ti ha cancellato i ricordi >> spiegai, mentre la aiutavo ad alzarsi.
La obbligai a mandare giù un po’ di ambrosia e miele. Pochi minuti dopo, era di nuovo in forze.
<< Ehm… grazie dell’aiuto, ma io devo tornare al Campo! >> esclamò.
<< Ci torneremo dopo aver incontrato la dea che cerchiamo >> insistetti pazientemente. Era davvero insolito che fossi io a dover spiegare la situazione… dopotutto, era lei la sapientona.
<< Quindi anche tu sei un mezzosangue? >> mi chiese curiosa.
<< Esatto. Sono figlio di Poseidone. >> risposi.
<< Sei figlio di uno dei Tre Pezzi Grossi? >> esclamò sorpresa. << Sai, mia madre e tuo padre si odiano, sono rivali da secoli! >> m’informò, mostrando di sapere tutto, come al solito.
<< Lo so >> dissi << Questa cosa ti crea forse problemi? >>.
<< Assolutamente no >> assicurò lei. << Dopotutto, non mi hai fatto nulla di male… in questi dieci minuti >> aggiunse sorridendo.
Sospirai e ci mettemmo in viaggio. Mnemosine non doveva essere lontana; purtroppo, era finito il mio epico momento da navigatore satellitare. Ora il mio senso dell’orientamento era tornato a essere penoso.
Girovagammo per un po’, fino a quando non sentii il rumore di acqua corrente in lontananza… temevo di essere tornato al ruscello, ma poi ragionai che non era fisicamente possibile: era troppo lontano per arrivarci in così poco tempo.
Ci dirigemmo verso quel suono e, vari minuti dopo, sbucammo in una piccola radura. Era bellissima: punteggiata di fiori bianchi, senza alberi a offuscare la luce del sole che illuminava il piccolo paradiso; alla nostra sinistra, c’erano delle rocce abbastanza alte. Da esse fuoriusciva inspiegabilmente una piccola cascata, che si trasformava poi in un ruscello.
Quest’ultimo passava al centro della radura, tagliandola a metà.
“Qui c’è sicuramente lo zampino di un dio” pensai, guardandomi attorno nervosamente.
Annabeth era rimasta a bocca aperta << E’ bellissimo >> disse estasiata.
Ora, non pensate che io sia un romanticone o roba simile… ma ero davvero convinto che la bellezza di quel posto non fosse nemmeno paragonabile a quella della ragazza che mi stava accanto.
Avanzai un poco, immaginando che entrare nel suo territorio avrebbe fatto arrivare il dio o la dea… invece, non accadde nulla.
Annabeth, che moriva dalla voglia di esplorare quel posto, corse verso il centro della radura e si lasciò cadere in quel letto di fiori profumati.
<< Attenta, potresti farti… >> ma non riuscii a terminare la frase. Con la bocca spalancata, la guardai alzarsi a sedere, con qualche fiore bianco intrecciato ai capelli e un sorriso fantastico. Rideva di felicità ed io non potei fare a meno di ridere con lei. Era davvero bellissima, più luminosa del sole.
La raggiunsi e, sempre ridendo, cominciammo a tirarci fiori, rincorrerci sul prato… era tutto così perfetto, i problemi e le preoccupazioni sembravano svanire. Passò parecchio tempo, ma non ci feci neanche caso tanto mi stavo rilassando.
Mentre tentavo di acchiapparla, si fermò di botto davanti al ruscello ed io le finii addosso. Cademmo entrambi in acqua, ed evitai per poco di schiacciarla sotto il mio dolce peso.
Mentre ridevamo senza motivo, cominciai di nuovo a ragionare: c’era qualcosa di strano. Non mi ero reso conto di aver dimenticato tutto, fino a quel momento… ma ora, grazie al contatto con l’acqua, mi tornarono i ricordi.
“Ma che diamine… Mnemosine!” pensai, dandomi dello stupido.
Quella fantastica radura era la casa di Mnemosine e lì ogni ricordo svaniva… che fortuna essere finito nel ruscello!
Annabeth – a cui l’acqua non aveva fatto alcun effetto, ovviamente – rideva ancora più di prima, schizzandomi.
Io la ignorai, mentre scrutavo i dintorni per individuare eventuali pericoli; finché rimanevo in acqua, i miei sensi erano perfetti.
Restammo a lungo nel ruscello, poi però Annabeth cominciò a tremare dal freddo, così dovetti uscire anch’io per riscaldarla.
Le diedi la mia maglietta – che era asciutta – e rimasi in canottiera. Lei si tolse la maglia arancione del Campo e indossò la mia.
Ci sedemmo tra i fiori e lei appoggiò la testa sulla mia spalla; la circondai con le braccia, sperando di riuscire a infonderle calore.
<< Davvero ci siamo già conosciuti? >> mi chiese, tremando ancora un poco.
<< Sì… tu sei la mia migliore amica, Annabeth. Insieme ne abbiamo passate tante. Mi sono preoccupato moltissimo quando ho saputo della tua partenza! >> risposi.
<< Ancora non capisco come ho fatto a dimenticare tutto… >> mormorò.
<< Tranquilla, prometto che ti aiuterò a ricordare >> le dissi. In quel momento mi resi conto che lo strano incantesimo che aleggiava in quel luogo si era sciolto. Chissà perché?
Avevo il cuore a mille e, nonostante la sua perdita di memoria, avrei tanto voluto che quel momento durasse per sempre.
Purtroppo però non fu così: davanti a noi, oltre il ruscello, apparve una divinità femminile. Scattammo in piedi, pronti alla battaglia.
Aveva lunghi capelli ricci castani, occhi neri come la notte e… al suo fianco, c’ero io.
O meglio, c’era un tizio uguale identico a me. La somiglianza era incredibile, l’unica differenza era il suo sguardo vitreo.
<< Non è possibile… >> mormorai, guardando con orrore il mio gemello.
<< Chi è quella donna, Percy? >> mi chiese Annabeth.
<< Mnemosine >> dissi, rivolgendomi più alla dea che alla mia amica.
<< Hai indovinato, giovane figlio di Poseidone >> disse lei. << Posso sapere per quale motivo ti trovi nel mio territorio? >>
<< Ti ricordi di Annabeth Chase? >> chiesi, indicando la ragazza al mio fianco.
Lei la studiò un attimo, poi esclamò << Certo che me la ricordo; si è presentata al mio cospetto pochi giorni fa >> sembrava sorpresa di vederla ancora viva.
<< Bene, allora ricorderai di averle preso parte della memoria… sono qui per chiederti di restituirgliela >> dissi.
<< Mm… perché dovrei farlo? >> chiese. << Dopotutto, è stata lei a pregarmi di farlo >> rispose, con aria tutt’altro che amichevole.
<< Io? >> esclamò Annabeth, strabuzzando gli occhi.
<< Non era in sé! >> ribattei, << Ti prego di restituirle i ricordi! >> supplicai.
<< Non voglio, mi piacciono i suoi ricordi >> e accarezzò il volto del mio gemello; io rabbrividii nel vedere quella scena.
<< Mi dispiace, ma non accetto un no come risposta >> la sfidai, sguainando Vortice.
<< Sei sicuro che valga la pena di morire per lei? >> chiese, squadrando Annabeth con aria da superiore << Non mi sembra questo granché >> sputò, con aria disgustata.
Io la fulminai con lo sguardo. << Certo che ne vale la pena! >> esclamai, scagliandomi su di lei con la spada alta, pronta a colpire. Essendo una dea, non c’era possibilità di ucciderla… ma potevo ferirla, come avevo fatto una volta con Ares, il dio della guerra.
Superai il ruscello correndo e acquisendo nuove forze grazie all’acqua. Mi sentivo invincibile.
Però, poco prima che la colpissi con Vortice, accadde un imprevisto: il mio gemello estrasse una spada identica alla mia, con la quale fermò il mio fendente.
Non si avvertì alcun rumore di metallo, era come se Percy2 ci fosse, ma allo stesso tempo non ci fosse…
<< Sorpreso, giovane eroe? >> ridacchiò Mnemosine. << Farò chiarezza nella tua mente: questo Percy è nato dai ricordi che ho preso alla tua amichetta >>.
<< Impossibile… se non è reale, come posso sconfiggerlo? >> chiesi a me stesso, pietrificato dallo stupore.
<< Non puoi >> rispose lei e si lasciò andare ad una risata maligna.
Annabeth, a sua volta stupita, disse << Percy, ragiona: quel ragazzo sei tu, in parte, quindi dovresti conoscere i suoi punti deboli! >> spiegò con la solita aria da sapientona.
<< Giusto, il mio punto debole… mm… intendi dire il mio difetto fatale? >> chiesi, mentre spremevo le meningi per trovare una soluzione. Il “difetto fatale” di un mezzosangue è il suo punto debole, il suo “tallone d’Achille”.
<< Anche… qual è il tuo difetto fatale? >> chiese. Prima lo sapeva, ma ovviamente ora non lo ricordava più.
<< Quando le persone a cui tengo sono in pericolo, mi precipito a salvarle, senza ragionare. >> spiegai.
<< Mm… ho un’idea >> disse. << Però devi dirmi anche qual è la cosa che più ti fa star male, ti mette paura o ansia >> aggiunse.
<< Ehm… la cosa che più mi fa star male? >> pensai qualche secondo, poi risposi. << Beh, ce ne sono un po’… per esempio odio vedere i miei amici in pericolo e… ehm… >> avvampai e non riuscii più a continuare.
<< E? >> insisté lei.
<< Beh, odio quando… ehm… mi parli di Luke e di quanto bene gli vuoi… >> mormorai, desiderando di sprofondare.
Anche lei arrossì << Ah… ok >>.
Probabilmente, stava per dire qualcosa, ma fummo interrotti dalla dea.
<< Allora ragazzini, desiderate arrendervi? >> esclamò << Siete ancora in tempo! >>.
<< Percy, ascolta: spingimi a terra e puntami la spada alla gola >> bisbigliò Annabeth, così piano che solo io riuscii a sentirla.
<< Cosa? >> esclamai a bassa voce, stupito.
<< Fallo e basta! >> ordinò.
<< Ok… >> e feci come mi aveva detto: le diedi uno spintone, lei gridò e finì a terra, dopodiché le puntai Vortice alla gola.
<< Che stai combinando? >> chiese sorpresa la dea.
<< Aiuto! >> urlò Annabeth.
Io ancora non capivo il senso di quella scenetta, ma poi accadde l’inimmaginabile… o meglio, la mia amica sapeva che sarebbe successo, mentre io non ci avevo minimamente pensato.
Essendo uguale a me, Percy2 detestava vedere i suoi amici in pericolo, e Annabeth era una sua amica, più o meno… quindi smise di dare ascolto alla dea per salvarla.
Si scagliò su di me con Vortice alta sopra la testa, ma bloccai il suo fendente, come lui aveva fatto prima con me. Di nuovo, non si sentì il rumore di spade che cozzano.
Annabeth si alzò e, con un balzo, atterrò il mio gemello. Gli bloccò braccia e gambe, facendogli cadere Vortice di mano.
<< Ora cosa pensi di fare? >> le chiesi.
<< Non lo so, ma tu pensa a Mnemosine! >> esclamò, mentre teneva coraggiosamente testa a Percy2, che faceva il possibile per liberarsi.
Mi girai verso la dea, che aveva osservato la scena con gli occhi spalancati… probabilmente, non aveva capito niente. Non potevo biasimarla, solo Annabeth era in grado di venirsene fuori con un piano simile.
<< A noi due! >> urlai, scattando con Vortice in pugno.
<< Le signore non sono fatte per combattere >> sibilò con occhi fiammanti d’odio. Poi scomparve, riapparendo in cima alle grosse rocce da cui sgorgava la cascata.
<< Stai scappando? >> le rinfacciai io. << Che c’è, hai paura che il piccolo Percy te le suoni? >> la punzecchiai, mentre scariche di adrenalina mi attraversavano tutto il corpo.
<< Che diamine stai facendo? >> urlò Annabeth, che ancora teneva a terra il mio gemello. << Non stuzzicarla! >>.
<< Dovresti dare ascolto alla tua amichetta! >> aggiunse Mnemosine.
<< Le ridarai la memoria? >> chiesi.
<< Solo se riuscirete a sconfiggere il mio Percy! >> rispose, sorridendo malefica.
Io sogghignai << Quindi non è impossibile farlo fuori? >>.
<< Credo di aver parlato troppo… >> disse lei, facendo una smorfia. << Non importa, tanto ci vorrebbe un genio per capire come abbatterlo! >>.
<< Un genio, eh? >> dissi, sorridendo furbo. << Annabeth, hai già trovato la soluzione al problema? >> urlai, rivolgendomi alla mia amica ma sempre tenendo lo sguardo fisso su Mnemosine.
<< Credo di sì… l’ho capito poco fa, quando mi sono avvicinata un po’ di più a Percy2 e lui è arrossito >> rispose.
<< Oh… ehm… >> balbettai io.
<< Percy, per caso è successo qualcosa tra noi due? >> chiese. << Qualcosa che ti fa arrossire non appena ti sono più vicina della norma? >>
Il mio gemello smise di dimenarsi e, come me, avvampò d’imbarazzo.
<< Ehm… può darsi… >> biascicai, faticando a tirar fuori le parole di bocca.
Annabeth mi guardò sorpresa << Ci siamo mai baciati? >>. Dritta al punto, eh? Io annuii e anche lei divenne rossa in viso. << Ok… so cosa fare >> annunciò.
Si avvicinò al viso di Percy2 e lentamente posò le labbra su quelle del mio gemello. Ammetto che ero giusto un pochino geloso.
Percy2 strabuzzò gli occhi e s’irrigidì, poi esplose in una grossa nube di polvere dorata; questa, dopo essere rimasta sospesa in aria per qualche secondo, prese la forma di un grosso elastico e si scagliò sul… o meglio, nel petto di Annabeth, esattamente all’altezza del cuore.
Lei spalancò gli occhi e fissò il cielo, senza vederlo davvero… tutti i ricordi le stavano passando davanti agli occhi proprio in quel momento, andando poi a ritrovare il loro posto nella memoria della ragazza.
<< Annabeth! >> urlai e corsi da lei. Mi svenne tra le braccia e la cullai fino a quando non riaprì gli occhi.
<< E’ bello rivederti, Testa d’Alghe… >> mormorò sorridendomi.
<< Ben tornata, Sapientona. >> le sorrisi a mia volta, con le lacrime di gioia agli occhi.
<< Bene, bene, bene… che bel quadretto. >> esclamò Mnemosine con una nota d’odio puro nella voce.
Io la ignorai. << Come facevi a sapere che serviva un bacio per sconfiggerlo? >> mi sembrò ridicolo solo da pronunciare, eppure a volte i finali da favola non sono del tutto frutto della fantasia.
<< Non è proprio così: non serviva un bacio qualsiasi, ma un MIO bacio. >> spiegò.
<< Ah… >> ok, non ci capivo più niente.
Lei sospirò << Il tuo punto debole non è essere troppo altruista… sono io il tuo punto debole, Percy. >> mi disse con aria maliziosa.
Io arrossii – di nuovo. << Beh, diciamo che mi mandi un po’ in confusione… >> balbettai.
Lei rise sonoramente, mi mise le braccia intorno al collo e fece per avvicinarsi… io avvampai e il cuore prese a battere freneticamente.
Però, all’ultimo secondo, si fermò e si ritrasse. Abbassò lo sguardo, ora triste e vuoto.
<< Annabeth, che cosa… >> ma non feci in tempo a finire di parlare, perché la dea della memoria ci interruppe un’altra volta.
<< Vi siete dimenticati di me? >> urlò adirata. << E’ il momento di andarsene, mi prenderò tutti i vostri ricordi, proprio come ho fatto con tutti gli umani che sono riusciti ad arrivare fin qui, al centro della foresta Amazzonica. >>
“Ecco spiegato il mistero della fotocamera in mezzo alla foresta. Chissà quanti innocenti hanno perso i ricordi a causa di Mnemosine… deve essere fermata.” Pensai, lo sguardo duro e l’adrenalina in aumento.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
Mi concentrai su tutta la rabbia che avevo in corpo da molto tempo, dall’ultima volta che ero stato sull’Olimpo, da quando avevo litigato con Annabeth e con Rachel e da quando mi ero addentrato in quella stramaledetta foresta!
Lasciai che tutta l’ira e l’odio che avevo in corpo si fondessero in un unico sentimento terribile. Poi, gli occhi infiammati di rabbia, lanciai un urlo lacerante e le rocce sotto i piedi di Mnemosine esplosero, colpite da un geyser d’acqua alto più di cinquanta metri.
La dea scomparve lì dentro e Annabeth, terrorizzata, si nascose dietro di me. C’era un piccolo problema: i grossi frammenti delle rocce erano stati in parte sparati nella nostra direzione e, come giganteschi proiettili, si avvicinavano a velocità supersonica.
Strinsi i denti e, con un ultimo sfogo di energia, richiamai una barriera d’acqua che ci si parò davanti. Normalmente, le rocce l’avrebbero bucata… ma quella non era semplicemente acqua: era la mia rabbia sotto forma di liquido.
Così, non appena si scontrarono con essa, le rocce si disintegrarono e noi fummo salvi.
Dopo essermi liberato di tutti quelle emozioni negative, mi sentii tanto debole che caddi faccia a terra, senza la forza di stare in piedi.
<< Percy! >> gridò Annabeth. L’ultima cosa che sentii furono le sue dita tra i miei capelli e i suoi singhiozzi strozzati… poi tutto divenne buio e silenzioso.
Quando riaprii gli occhi, ero disteso in acqua. Era notte fonda e, sparse per il prato, c’erano ancora parti delle rocce esplose.
Mi sedetti e subito ebbi un forte capogiro. “Cosa… cos è successo? Mi sento così debole” pensai, passandomi la mano tra i capelli.
Provai ad alzarmi, ma non riuscivo a fare leva con le braccia, mi mancavano le forze. “Uff… e ora che faccio?”. Mi guardai intorno, cercando Annabeth: la vidi sdraiata sull’erba, poco distante dal ruscello.
Stava dormendo profondamente e alla luce della luna sembrava bianca come latte.
Decisi di non svegliarla e, con le poche energie che avevo in corpo, riuscii a strisciare verso di lei. Non fu un’impresa semplice e quando finalmente la raggiunsi, mi lasciai cadere sul prato, con il fiato grosso.
Girandomi verso di lei, intrecciai le dita alle sue e mi addormentai, fissando il suo viso rilassato.
<< Percy… Percy… Percy! >> mi svegliai di soprassalto, quando Annabeth urlò il mio nome.
Eravamo ancora sdraiati sul prato e le tenevo ancora la mano; mollai immediatamente la presa, ritrovandomi con le dita appiccicose.
<< Ben svegliato, dormiglione! >> disse, leggermente rossa in viso.
<< Grazie… >> risposi sbadigliando.
<< Dobbiamo metterci in viaggio, al Campo saranno tutti in pensiero per noi! >> esclamò lei.
<< Sì, hai ragione… dammi due minuti per riprendermi, sento tutto il corpo dolorante >> risposi con una smorfia. Mi stiracchiai e fu come raddrizzare una vecchia fisarmonica arrugginita. Ahi!
<< Sei stato grandioso! >> mi disse Annabeth, sorridendo.
Io arrossii << Beh, non esageriamo… Mnemosine? >> chiesi, ricordandomi improvvisamente della dea.
Lei scosse la testa << Non si è più fatta vedere… immagino che non abbia gradito la batosta! >>.
<< Puoi scommetterci! >> risposi orgoglioso.
Tra le risate, ci fissammo intensamente negli occhi… in quel momento, sentivo che tutto il mondo sarebbe potuto esplodere senza che me n’accorgessi. L’unica cosa che vedevo erano i suoi occhi grigi come la tempesta.
Mi resi conto che avevo rischiato di perderla per sempre ed ero così felice di averla viva accanto a me che feci l’inimmaginabile: mi avvicinai per baciarla.
Sentii il suo respiro aumentare, gli occhi spalancati per la sorpresa; però, quando la distanza tra noi si ridusse a meno di un centimetro, si allontanò e, girandosi dall’altra parte, mi fece sprofondare nell’imbarazzo più totale che si possa provare.
Ero confuso, non capivo il senso della sua reazione. Così mi feci coraggio e glielo chiesi. << Annabeth, c’è qualcosa che non va? >>.
Lei, senza guardarmi, rispose << Sono felice di aver ritrovato la memoria… ma d’altro canto, non sono solamente i bei ricordi a essermi tornati alla mente >>. Tenne lo sguardo fisso altrove.
<< Ma che… Rachel? >> chiesi stupito, capendo al volo – stranamente – a chi si riferisse.
Lei non mi guardò, ma la vidi strizzare leggermente gli occhi… sembrava molto triste.
<< Annabeth… tra me e lei non c’è niente, davvero >> assicurai sorridendo. Purtroppo però, non riuscii a convincere neanche me stesso. Dopotutto, ero il primo a non capirci niente!
Lei si alzò e, girandosi verso la foresta, rispose << Dobbiamo andare, la tua amica con i capelli rossi sarà preoccupata >>. Detto questo, si mise a camminare impettita.
<< Annabeth! >> chiamai, correndo per raggiungerla. << Uffa, non capirò mai le ragazze! >> borbottai tra me e me.
Inoltratoci nel fitto labirinto di foglie, mi resi conto di non aver riavuto indietro il dono di navigatore satellitare. “Oh no! Ora come facciamo a uscire?” pensai disperato.
Con tempismo a dir poco perfetto, Atena apparve davanti a noi. << Grazie dell’aiuto, Percy Jackson >> disse, sorridendomi.
<< Ehm… non c’è di che >> risposi << Abbiamo un problema: non ho più le coordinate nella mia testa, non so come faremo a tornare al Campo >>.
<< Lo so, ma non preoccuparti, ho passato il dono ad Annabeth >> assicurò.
Oh certo, adesso che non le servivo più potevo tornare a essere inutile. Grazie tante.
<< Ti ringrazio, madre >> rispose l’interessata. << Andiamo, c’è molta strada da fare >>.
<< Sì, ciao… >> borbottai io. Ricevetti due occhiatacce grigie e identiche.
<< A presto >> rispose la dea e scomparve.
Annabeth cominciò a camminare ed io a cercare di starle dietro. Andava veloce e si muoveva fluidamente tra gli alberi.
<< Ehi, possiamo rallentare? >> chiesi esasperato, fermandomi. << Non reggeremo molto a questo ritmo! >>.
<< No, voglio andarmene da qui il prima possibile >> rispose secca.
Io sbuffai e, calciando un sasso, ricominciai a seguirla. Mi tenevo a distanza, non sopportavo di vederla così.
Dopo parecchio tempo di cammino ininterrotto, si fermò di colpo. Non si girò verso di me, ma continuò a guardare davanti a se.
La raggiunsi. << C’è qualche problema? >> poi vidi che, effettivamente, davanti a noi c’era un enorme tronco d’albero. Guardando a destra e sinistra, non si vedeva la fine. Qualcosa non quadrava, poco ma sicuro; probabilmente, Mnemosine – con le ultime risorse di energia – stava ancora tentando di ostacolarci.
“Bene, dobbiamo per forza scavalcarlo” pensai. Dopo qualche secondo di riflessione, mi venne un’idea geniale.
Chiamai dell’acqua dal terreno. Mi misi sul punto da cui fuori usciva e… fui schizzato in aria da un piccolo geyser!
Atterrai sul tronco, tenendomi in equilibrio per un soffio. << Percy! >> chiamò Annabeth. Era un paio di metri sotto di me.
<< Dai vieni, ti aiuto! >> le dissi. Mi sdraiai a pancia in giù e le tesi la mano.
All’inizio sembrò contrariata, poi si rese conto che non ce l’avrebbe fatta senza il mio aiuto. Così, con una smorfia, tese la mano verso la mia e spiccò un balzo. La afferrai e, tirando con tutta la forza che avevo in corpo, la portai al sicuro vicino a me.
<< Grazie >> disse, arrossendo ed evitando di guardarmi.
<< Fig-ura-ti… >> risposi con il fiatone. Era stato un momento molto intenso e non solo perché avevo dovuto tirare su 55 chili di ragazza, ma soprattutto perché avevo avuto l’opportunità di tenerle ancora la mano.
<< Vuoi riposarti un attimo? >> mi chiese.
<< S-sì… per favore… >> risposi ancora con il fiato grosso.
Quando fui certo di riuscire a parlare senza balbettii, chiesi << Annabeth, hai intenzione di tenermi il muso tutto il giorno? >>.
Lei corrugò la fronte << Tu che faresti al mio posto? >>.
<< Ne parlerei! >> risposi, senza pensarci un secondo di più.
<< D’accordo allora... parla, ti ascolto >> disse, guardandomi con aria di sfida.
“Dannazione, ora che le dico?” pensai disperato. Mi morsi il labbro inferiore. << Prima di tutto, vorrei sapere perché sei arrabbiata con me >>.
<< Per come mi hai trattata prima che partissi… >> rispose, gli occhi lucidi.
Appoggiai la mano sulla sua. << Sai perché l’ho fatto >> risposi.
Mi guardò con gli occhi pieni di lacrime << Sì, ma avresti dovuto parlarmene, avremmo trovato una soluzione… non sono mai stata così male in tutta la mia vita >> rispose con voce tremante.
<< Anch’io sono stato malissimo… mi dispiace, Annabeth >> avevo gli occhi umidi.
Lei appoggiò la testa sulla mia spalla e m’inzuppò la maglietta di lacrime. Io la abbracciai, affondando il viso nei suoi capelli.
<< Quindi Rachel non c’entra niente? >> chiesi, dopo un po’.
Si scostò, asciugandosi il viso con la manica della mia maglia – eh già, la indossava ancora! << Lei… è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso >> rispose evitando i miei occhi. << Non sopportavo l’idea che, poco dopo aver litigato con me, fossi già in sua allegra compagnia >> confessò, con un tono di rabbia repressa nella voce.
<< Capisco, ma ti assicuro che è stata una sorpresa anche per me! Io non avevo idea che sarebbe venuta al Campo! >> risposi sincero. Dovevo assolutamente chiarire quella situazione.
Lei mi guardò stupita. << Sul serio? >> chiese, con gli occhi ancora lucidi.
<< Sì, te lo giuro >> le dissi, guardandola intensamente e desiderando di veder sparire quelle lacrime amare dai suoi magnifici occhi.
Lentamente, un grande sorriso fece la comparsa sul suo viso; all’improvviso mi stritolò in un abbraccio e per poco non caddi dal tronco.
<< Ehi, hai deciso di soffocarmi…? >> chiesi sorridendo.
Lei ridacchiò, scostandosi da me. << Proseguiamo? >> chiese, finalmente con gli occhi asciutti e felici.
<< Certo >> risposi, poi la aiutai a scendere dall’enorme tronco.
Durante il viaggio ridemmo e scherzammo, spingendoci e rincorrendoci. Quella bella atmosfera rendeva meno opprimente l’idea di tutta la strada che avevamo ancora davanti a noi.
Arrivata la sera, decidemmo di arrampicarci su un albero e riposare. Salii prima io e, scelto il giusto ramo, la aiutai a raggiungermi.
<< Che fatica! >> esclamò con il fiatone quando si sedette al mio fianco.
Io ridacchiai << Ti stanchi per così poco? >>.
Lei mi lanciò un’occhiataccia << Vago per questa foresta da molte più tempo di te! >>.
<< In effetti… dai, mettiamoci a dormire >> conclusi, sdraiandomi.
<< Non c’è molto spazio su questo ramo… >> brontolò.
<< Poche storie, è il migliore che sono riuscito a trovare >> risposi, chiudendo le palpebre.
<< Uff, io ho paura di cadere… >> disse, mentre si stendeva cautamente vicino a me.
Sbuffando, le cinsi il fianco con un braccio e la strinsi contro al mio corpo. Aprii gli occhi, eravamo a pochi centimetri di distanza.
Lei arrossì << Ehi! >> cercò di allontanarsi, ma io non allentai la presa. Avvicinandomi lentamente, le diedi un piccolo bacio sulla punta del naso.
Quando divenne così rossa che riuscii a notare il cambiamento perfino al buio, non mi trattenni più dal ridere.
<< Antipatico… >> borbottò, tentando di sprofondare.
<< Buonanotte, Annabeth >> le dissi, sorridendo.
<< ‘Notte >> rispose, nascondendo la faccia contro il mio petto. Così ci addormentammo, mentre Artemide faceva risplendere la luna più che mai.
Il mattino dopo, fui svegliato da un fugace raggio di sole, che era riuscito in qualche modo a oltrepassare l’incredibile rete di foglie. Aprendo gli occhi a fatica, mi guardai attorno intontito.
Al mio fianco, Annabeth dormiva tenendo stretta la mia maglietta. Aveva le labbra distese in un sorriso, un’espressione felice e rilassata.
Guardandola teneramente, le accarezzai il viso con un dito, scostandole un ciuffo di biondi capelli. Lei strinse gli occhi, svegliandosi confusa. << Mm… ancora cinque minuti… >> borbottò, cercando di immergere la faccia nel mio braccio.
<< Ehi, svegliati Annabeth, dobbiamo rimetterci in viaggio >> le sussurrai nell’orecchio.
A quel punto, aprì gli occhi e si sedette di scatto. << Percy? >> mi guardò tentando di riprendere lucidità. << Oh… giusto, dobbiamo andare >>. Dopodiché sbadigliò e, nel momento in cui il raggio di sole illuminò i suoi occhi, il loro grigio divenne azzurro come l’acqua del mare.
Io rimasi a fissarla con una faccia da pesce lesso. << Ehm… Percy, tutto bene? >> chiese scrutandomi e arrossendo, rendendosi conto di come la stavo guardando.
Mi risvegliai dallo stato di trance in cui ero caduto << C-certo… dai, scendiamo da quest’albero >> dissi, tentando di nascondere il mio imbarazzo.
Fui il primo a toccare terra e subito alzai lo sguardo per vedere come se la cavava Annabeth. Stava cercando di poggiare i piedi su un ramo più in basso, ma sembrava in difficoltà; purtroppo le mie preoccupazioni non erano infondate e, poco dopo, la ragazza mise male il piede e perse la presa sul ramo, cadendo all’indietro.
Ecco cosa sarebbe successo: da quell’altezza, si sarebbe trasformata in una frittata di semidio non appena avesse toccato terra. Oppure, grazie al mio eroico intervento, sarebbe caduta su di me, spezzandomi qualche osso.
Ovviamente, ebbe luogo la seconda ipotesi… mi lanciai sulla sua traiettoria e lei, urlando, mi finì addosso, scaraventandomi a terra.
Ne uscii con sole due dita rotte – avevo tentato di prenderla al volo – e ora ero sdraiato dolorante, con un fagotto tremante sopra.
<< Ehi… n-non è che riesci a spostarti… ?>> chiesi, trattenendo il respiro per il male che mi procurava anche il solo parlare. Lei, lentamente, rotolò alla mia destra.
Restammo a lungo sdraiati con il fiato grosso, lei ancora tremando. Il dolore stava pian piano diminuendo, ma quello alle dita restava una tortura.
Annabeth si girò verso di me. << Grazie… sarei stata spacciata se non fosse stato per te… >> e, avvicinandosi dolorante, mi diede un delicato bacio sulla guancia. Io arrossii violentemente.
<< Non… non c’è di che >> risposi, sempre fissando le cime degli alberi sopra di me. << Sono abituato a salvarti la vita… >> ridacchiai, ma me ne pentii subito perché quel piccolo gesto mi provocò un dolore straziante al torace.
<< Sei ferito…? >> chiese preoccupata, sedendosi a fatica per controllarmi.
<< Due dita rotte… forse anche una costola… >> risposi, cercando di non far trasparire la sofferenza.
<< Scusami, è tutta colpa mia! >> disse tra le lacrime. << Se solo non fossi caduta! >>.
<< Ehi, tranquilla… non l’hai certo fatto apposta >> la rassicurai, ma non riuscii a trattenere una smorfia di dolore.
<< Hai bisogno di acqua! >> esclamò lei.
<< Posso provare a chiamarne un po’ dal terreno… >> mormorai. In effetti ci riuscii, ma ero così debole che fu pochissimo il liquido che uscì dal terriccio. Con quella misera quantità ci sarebbe voluto molto tempo per guarirmi, ma sempre meglio di niente.
Per circa tre ore la situazione fu sempre la stessa: io che mi riprendevo lentamente grazie all’acqua, Annabeth che camminava nervosamente avanti indietro, disperandosi per la sua momentanea inutilità.
Le chiesi di parlarmi, per far passare il tempo e concentrarmi su altro che non fosse il dolore. Mi raccontò del suo arrivo qui e del suo viaggio alla ricerca di Mnemosine, dei quattro mostri che aveva sconfitto durante il tragitto.
Compresi che era davvero coraggiosa e in gamba… cioè, lo sapevo già, ma questa piccola avventura mi convinse ancora di più che Annabeth Chase era davvero unica. Poi mi sorse un dubbio.
<< Non capisco: tu sei venuta fin qui per dimenticarti di me, ma dopo desideravi riavere i tuoi ricordi… hai cambiato idea? >> chiesi confuso.
Rispose molto sinteticamente << Capisci quanto tieni davvero a qualcosa quando la perdi >>. Non tornammo più sul discorso, era stata fin troppo chiara.
Dopo parecchio tempo, finalmente mi ripresi del tutto. << Ehi, mi aiuti ad alzarmi? >> le chiesi.
Subito si precipitò al mio fianco. << Sei sicuro di farcela? >> domandò preoccupata.
Io le sorrisi << Certo >>. Con il suo aiuto, poco dopo ero in piedi e scrocchiai le dita per assicurarmi che fossero guarite: come nuove.
<< Bene, direi che possiamo rimetterci in viaggio, abbiamo perso fin troppo tempo >> dissi, guardandomi intorno, tentando di capire quale fosse la giusta direzione… ovviamente non ci riuscii – era tutto uguale, sia a Nord sia a Sud, ovunque! – ma tanto c’era Navigatore-Annabeth-Satellitare.
<< Non preferiresti riposare e riprendere domani il viaggio? >> chiese, poco convinta.
Io mi girai verso di lei e, sbuffando, passai un braccio sotto alle sue ginocchia e con l’altro le sostenni il capo poco prima che toccasse terra. Ridacchiando, la tenni tra le braccia, cominciando a camminare in una direzione a caso.
<< Percy! >> strillò lei arrossendo. << Lasciami subito! Ho capito, sei di nuovo in forze… e stai andando dalla parte sbagliata! >>.
Sempre ridendo, la rimisi a terra. Rossa come un pomodoro, si girò e cominciò a camminare impettita dalla parte opposta di dove la stavo portando io.
La seguii, tentando di frenare le risate. Era tutto esattamente come prima del piccolo incidente, e tale rimase per il resto del viaggio di ritorno.
Non incontrammo mostri, dormimmo sugli alberi, mangiammo bacche trovate per strada e… ridemmo, ridemmo, ridemmo.
Al termine di quel lungo, ma entusiasmante viaggio, sbucammo fuori dalla foresta, ritrovandoci finalmente in una distesa d’erba senza alberi.
<< Wow! >> esclamò Annabeth, con gli occhi sbarrati.
<< Da quanto tempo non vedevo il cielo! >> risposi, ammirando il magnifico spettacolo.
C’erano poche nuvole rosa, e il sole sembrava un’enorme palla infuocata! Era basso all’orizzonte e, alzando sempre più lo sguardo, i colori arancione, giallo, rosa, azzurro, blu stellato, si alternavano dando luogo ad un fantastico tramonto. Perché era tutto così dannatamente bello, quando ero con lei?!
Mi girai verso Annabeth, che ancora fissava il panorama a bocca aperta. Il suo viso delicato era baciato dal riflesso rossiccio del sole e la rendeva, se possibile, ancor più bella del solito. I capelli prendevano sfumature arancioni, parevano un piccolo fuocherello e gli occhi… dii immortales! Non so nemmeno come definirli: erano a dir poco spettacolari! Non erano grigi come la tempesta, ma celesti come il cielo che la precede; inoltre erano contornati da scaglie dorate, risultato del rosso riflesso del sole mischiato al naturale colore delle sue iridi.
A sua volta si girò a guardarmi e – non so cosa vide – rimase a fissarmi con lo stesso sguardo che le riservavo io. C’era una strana atmosfera tra noi, sembrava circolasse elettricità nel ristretto spazio che ci divideva.
<< Annabeth… >> sussurrai, alzandole il mento con un dito, così che mi guardasse negli occhi mentre mi avvicinavo a lei.
Le nostre labbra erano a pochi millimetri di distanza, stavo già socchiudendo gli occhi… ma lei si scostò, di nuovo. Un altro rifiuto. Proprio non capivo il problema.
<< Scusami Percy, ma non posso… >> disse, mentre una lacrima le scendeva lungo la guancia, riflettendo per un attimo la luce del sole ormai quasi scomparso all’orizzonte.
La guardai affranto e confuso per qualche secondo; poi mi girai dall’altra parte e, messe due dita tra le labbra, lanciai un lungo fischio acuto.
Pochi secondi dopo, ecco spuntare due pegasi nel cielo: erano Blackjack e Guido.
Io montai a bordo del mio amico nero, mentre Annabeth salì sull’altro pegaso. Spiccammo immediatamente il volo, lasciando il labirinto di alberi che per – quanti giorni erano passati? Boh – parecchio tempo ci aveva ospitato. Ci lanciammo nel pieno del cielo stellato, sfrecciando a tutta velocità.

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