Isola che Non C'è

di Fauna96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Parte ***
Capitolo 2: *** II Parte ***



Capitolo 1
*** I Parte ***


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I Parte



Queezle ha dodici anni ed è paralizzata dalla paura. Nascosto in tasca ha un coltello a serramanico e vorrebbe avere abbastanza coraggio da usarlo; ma Bart le ha ordinato di scappare e l’ha fatto con un tono serio serio a cui è riuscita solo ad obbedire, stringendo al petto il sacchetto di plastica. Non è andata lontano, però, non vuole lasciarlo da solo mentre lo pestano; resta nascosta e si sforza di non piangere, finché non sente una mano sfiorarle la spalla. Si volta e deve trattenere un urlo di sollievo nel vedere il viso sanguinante ma indubbiamente vivo di Bartimeus. Lascia cadere il sacchetto e gli si butta addosso; Bart geme e lei allenta immediatamente la stretta. – Scusa. Ti fa tanto male? –
Il ragazzo fa un cenno noncurante e le dà una pacca sulla testa. – Nulla di particolare, Queezle. – le fa un sorriso di labbra spaccate. – Sono pochi quelli che riescono veramente a stendermi -.
Restano per un po’ stretti nel vicoletto buio, circondati da cassonetti dell’immondizia e dai rumori del traffico della sera, poi Queezle dice: - Secondo me stavolta dovremmo andare dal dottore -.
Bartimeus sbuffa, raccoglie il sacchetto e lo infila per metà nei pantaloni, coprendolo con la giacca. – No, Queezle. Sto bene, biondina, ok? Sono Bartimeus – alza un sopracciglio con aria polemica e Queezle annuisce poco convinta. – Non fare quella faccia! Le ferite di guerre sono sempre più fumo che arrosto. E queste non sono nemmeno paragonabili a quella volta che... –
- Madame ti darà un’occhiata comunque – lo interrompe Queezle, che non ha voglia di ascoltare un’altra impresa del grande Bartimeus, per quanto bene gli voglia.
Bartimeus pare vagamente oltraggiato per essere stato interrotto, poi però sembra venir colto da un pensiero più importante; le passa un braccio attorno alle spalle e la conduce in strada. – Dai, andiamo -.
 
Le prime notti, Queezle singhiozzava a lungo prima di riuscire ad addormentarsi, finché il bambino che divideva con lei quello stanzino le disse di piantarla o il tizio fuori dalla porta le avrebbe sparato. Queezle si bloccò, terrorizzata, e il ragazzino aggiunse dopo un po’, forse dispiaciuto della sua durezza: - Scherzavo. Davvero: al massimo, si mette a piagnucolare con te. E comunque, hanno tutti una pessima mira -.
Parlava ceco con un accento stranissimo, anche se in modo sciolto, e aveva degli occhi chiari, gialli quasi, che assomigliavano a quelli di un gatto. Non era esattamente gentile, ma Queezle iniziò a trovarlo simpatico. C’erano altri bambini, ma li vedeva poche volte; la sua costante compagnia era Bartimeus, che sembrava essersi preso l’incarico di insegnarle come funzionavano le cose lì. Tutti gli insegnamenti che le dava, però, venivano ignorati da lui stesso: le raccomandava di stare zitta e non combinare casini e immancabilmente prendeva in giro, dava rispostacce (Queezle si chiese più volte come un bambino poco più grande di lei conoscesse così tante parolacce e insulti) e si prendeva tutte le punizioni del caso. Aveva costantemente la mascella gonfia, lividi sul volto e sulle braccia, ciononostante mai una volta Queezle lo vide piangere. E anche lei si sforzava di ricacciare indietro le lacrime, soprattutto quando le veniva nostalgia di casa.
Anche a Bartimeus mancava casa sua: quand’era dell’umore giusto, le raccontava del deserto, dei mercati colorati di nome suq, dell’aria rovente che avvolgeva la sua città. Ma erano occasioni rare: a Bart non piaceva parlare di sé. Cioè, gli piaceva, anzi adorava parlare di sé, ma non di fatti personali. Era così.
 
- Bart – lui si volta, le mani nelle tasche dei jeans. E’ alto per i suoi quattordici anni e promette di crescere ancora. Queezle strofina le scarpe sull’asfalto e sbotta: - C’è qualcosa che devi dirmi. Dimmelo -.
Bartimeus assume un’espressione di stupore teatrale mista ad angelica innocenza che non frega Queezle: lo conosce bene. Decide di prenderlo per esasperazione; si attacca alla sua manica e cantilena: - Dimmeloooo, daiii... –
- Mia cara Queezle, stai parlando con il maestro dell’esasperazione. E, mi spiace dirtelo, ma l’allieva non ha ancora superato il maestro. Ciò detto, ti immagini le cose, Queezle -.
- Non è vero – borbotta lei. – Dimmelo -.
Bartimeus lancia un’occhiata al palazzo di fronte a loro e scuote la testa. – Dopo. Siamo in ritardo -.
La spinge dentro, spalle dritte, espressione disinvolta e leggera, ma impassibile.
Consegnano la roba senza troppi intoppi e stranamente Bartimeus risparmia le solite battute, per poi trascinarla quasi nel loro stanzino.
Si accoccolano nel punto più lontano dalla porta, il che già di per sé è un’impresa data la non – grandezza della camera, e Bartimeus la prende per le spalle. – Non so come dirtelo, Queez. Ma io penso che tra poco... te ne andrai. – Queezle lo fissa senza capire. – Ti porta via Madame, li ho sentiti parlare -.
Il terrore la paralizza. Lo sa cosa succede da Madame, non è stupida. Le lacrime che non ha pianto quel pomeriggio e tutti gli anni precedenti scoppiano; Bartimeus si affretta a passarle una mano sulla bocca, per non fare rumore. – Volevo che lo sapessi prima... –
- Non ci vado – singhiozza Queezle dietro la sua mano. – Mi ammazzo piuttosto -.
- Non dire cretinate. Sei tosta, Queezle, ce la farai -.
Queezle lo fissa: non vuole abbandonarlo e non vuole che lui la abbandoni. E allora si asciuga le lacrime e gli chiede: - Perché non andiamo via? –
 
Queezle ama Praga. Non si è mai fermata a pensarci, perché una dodicenne non dovrebbe pensare a una cosa del genere e soprattutto una dodicenne nelle sue condizioni. Ma ora che si sta preparando a lasciarla, si accorge di essere affezionata alla sua città, e che le mancherà. Se riusciranno a uscirne vivi. Non ha paura, non tanta almeno; Bartimeus non mostra le sue emozioni, non lo fa mai, preferisce nascondersi sotto punzecchiature e battute pungenti. Forse un po’ spaventato lo è anche lui. Dopotutto, all’inizio non voleva nemmeno andarsene.
 
 


Ehm. Pensavate che l’infanzia di Bart e Queezle fosse stata tutta rose e fiori, eh? Be’, se fosse poco chiaro sono essenzialmente ragazzini di strada che fungono da ‘postini’, ma visto che la povera Queezle sta crescendo bene... Bart è originario dell’Iraq (Uruk si trovava lì) ed è immigrato a causa della guerra da piccolo... non saprei, probabilmente è stato venduto o qualcosa del genere. Sono sadica, mannaggia. Comunque, questa sarà una two-shots, per cui ci vediamo nella seconda parte, raccontata dal nostro Barty (oddio, scrivere dal suo punto di vista sarà un’impresa).

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Capitolo 2
*** II Parte ***


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II Parte



Non è che avessi paura: ero semplicemente realistico. Quante probabilità c’erano che due ragazzini soli (per quanto uno dei due dotato di brillante intelligenza, e anche l’altra non era male) riuscissero ad andarsene da Praga e dirigersi verso una località ancora sconosciuta? Pochissime, a voler essere ottimisti.
Per essere sincero, io ero un esperto di viaggi illegali, anche se all’epoca ero stato più che altro spedito su una nave e infilato in una stiva insieme a un gruppo di ragazzini piagnucolanti.1 Tutto era stato organizzato da loschi figuri che si erano limitati a prelevarmi, incassare i soldi da mia madre e infine consegnarmi ad altri loschi figuri in un Paese dove parlavano una lingua assurda.
Naturalmente, questa era una situazione molto diversa. Tanto per cominciare, qui si trattava anche di Queezle, non solo del sottoscritto. Certo, se non fosse stato per lei, non mi sarebbe mai passato per l’anticamera del cervello di scappare. Non è che mi divertissi, eh, a venire picchiato un giorno sì e l’altro pure e rischiare il riformatorio un paio di volte al mese, ma tant’è. Non avevo niente e nessuno a questo mondo, prendevo quel che mi veniva offerto.
Be’, ora avevo Queezle, anche se qualcuno potrebbe obiettare che una dodicenne sfacciata non era poi un gran vantaggio. Ero stato io a prenderla sotto la mia ala, lo ammetto, ma cos’altro avrei dovuto fare? Nemmeno io sono così cinico da lasciare una bambina da sola in una situazione del genere. E sì, quindi stavamo scappando essenzialmente per lei.2
All’inizio, tentai di farla ragionare: come potevamo andarcene così, senza soldi, senza niente? Era una pazzia.
Dall’altra parte, però, non mi garbava lasciare Queezle al suo destino. Era mia amica, dopotutto, e per quanto egoista fossi, tenevo a lei. Per farla breve, mi convinsi. Non mi ci volle molto: il richiamo della libertà è sempre stato irresistibile per me, se riesce a soppiantare l’istinto di autoconservazione. Non sarei morto per la libertà (la vita mi piace parecchio, tante grazie) ma non sono mai stato uno che si adatta al giogo, per quanto ogni tanto mi fossi sentito un po’ rassegnato.
Il nostro problema maggiore era come lasciare Praga, anzi la Repubblica Ceca, se volevamo fare le cose per bene. Non avevo paura che ci seguissero o altro: in fin dei conti eravamo solo due mocciosetti e più che qualche spicciolo non ci saremmo portati via. Era la nostra liquidazione, ecco.
Una sera, durante uno dei nostri giri, semplicemente non tornammo più indietro. Ero riuscito a grattare un paio di portafogli dai nostri (ex) datori di lavoro, i più ottusi che ci fossero in circolazione3, avevamo i nostri serramanico e i vestiti che indossavamo. Fine.
 
Il piano era saltare su un treno, ovviamente senza biglietto, scegliendo a caso tra le partenze. Se avessi potuto, sarei tornato volentieri a casa, in Iraq, o comunque da quelle parti. Le città non mi sono mai piaciute, per quanto Praga sia un’eccezione: ha una sua bellezza malinconica che me la fa apprezzare. Molto meglio del buco londinese, non c’è dubbio. Comunque, oltre che per la distanza, quella parte di mondo ci era preclusa per il solito problemino umano della guerra, per cui ci dirigemmo verso ovest.
Se aveste qualche dubbio sul fatto che due minorenni riescano a viaggiare per mesi (anzi, anni) per l’Europa senza venire arrestati o altro, be’, eccomi qua. Non dico che fu facile: la maggior parte delle volte dormivamo sui treni e saltavamo giù appena sentivamo odore di controllori, rubacchiavamo qua e là e cercavamo di non attirare assolutamente l’attenzione. Per quanto riguarda le lingue, sono sempre stato un tipo molto versatile e per di più la parola è decisamente il mio campo.
Io e Queezle girammo in lungo e in largo, ed è incredibile quanto poco a volte le persone facciano caso a due ragazzini nelle grandi città, se sono vestiti decentemente e si atteggiano come se fossero molto sicuri di sé.
Una volta, dovevamo essere in Italia, la povera Queezle era veramente esausta. Erano secoli che non dormivamo su una superficie vagamente comoda, per non parlare di una doccia. Insomma, non ce la facevamo più e a quel punto mi venne un’idea, modesta ma geniale: infilarci di soppiatto in un hotel, fregare una chiave e usufruire di un letto e di acqua calda.
Inutile che facciate quell’espressione scettica: funzionò alla perfezione. Il trucco era scegliere qualcosa di non troppo lussuoso, per non avere facchini e concierges in giro a ficcanasare, ma un alberghetto familiare, con poca gente in giro. In breve: sgattaiolammo in una stanza e finalmente riuscimmo a rivedere un vero bagno con un vero water. Fu un sollievo, davvero.
Mentre Queezle canticchiava qualcosa in ceco sotto la doccia, feci una breve ispezione dei bagagli e decisi che i nostri inconsapevoli ospiti (una coppia, probabilmente) non si sarebbero offesi se avessimo tratto vantaggio anche del loro guardaroba.
Mi stravaccai sul letto con la mia nuova maglietta dei Led Zeppelin e ammetto che mi addormentai come un sasso.
Venni svegliato da uno scrollone poco gentile; era Queezle, i capelli sciolti e vaporosi e il segno del cuscino su una guancia. Prima che potessi chiederle che diavolo stesse succedendo, fuori dalla porta si sentirono voci confuse e passi concitati.
- Sono tornati – bisbigliò Queezle, che indossava un felpone a mo’ di vestito.
Sibilai un’imprecazione e balzai fuori dal letto, in realtà senza sapere bene cosa fare. Be’, non potevamo certo saltare dalla finestra, no? Ma nemmeno aspettare tranquillamente in mezzo alla stanza che i nostri ospiti entrassero, dessero di matto e chiamassero polizia e assistenti sociali. Queezle mi fissava; io fissai lei e la porta si spalancò.
Tre o quattro adulti ci squadrarono impietriti.
- Corri! –
Queezle mi sfrecciò davanti infilandosi tra due pance prominenti ed io la seguii, sferrando qualche gomitata come bonus. Ci precipitammo in strada e fu solo dopo parecchi isolati che ci fermammo. Avevamo sviluppato una bella resistenza, niente da dire.
 
Questa era la nostra vita. Sregolata, sconclusionata, da ragazzini di strada. Ma divertente, questo sì, persino quando ci trovavamo con lo stomaco vuoto e i piedi doloranti. Eravamo come sospesi in una dimensione alternativa, io e Queezle, e basta; e per molto tempo fu così.



1Certo, all’epoca ero anch’io un ragazzino, ma non piagnucolante. Ovviamente. Ho sempre detestato le lacrime inutili, specie se prodotte da femmine. Mi fanno sentire a disagio, come se le avessi fatte piangere io.
 
2Non solo per lei, è chiaro. Dico solo che, fosse stato per me, avrei aspettato ancora qualche anno, almeno fino a quando non fossi diventato alto abbastanza da passare per un ventenne. Cosa che, curiosamente, sarebbe avvenuta nei tre mesi successivi.
 
3Erano un paio, non di più. Dopotutto, non eravamo in un film della Disney: per ogni idiota, ce n’erano almeno due con cervello perfettamente funzionante e un paio di mani come badili.




Ed ecco la seconda e ultima parte. Ovviamente l'epopea (che bella parola, epopea) di Bart e Queezle non finisce qui, ci sono ancora un sacco di cose da raccontare e non solo riguardo a loro due... Spero che Bartimeus sia IC; mi sto rileggendo la Trilogia in questo periodo, speriamo sia stato utile u.u Tanti tanti grazie e baci a Alsha che non manca mai di recensire... e SO che ci sono altri lettori: recensite e vi regalerò una bambolina :3

 

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