Angels

di DreamWings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Astio profondo ***
Capitolo 3: *** Lezione inusuale ***
Capitolo 4: *** Fidarsi ***
Capitolo 5: *** L'ombra del cimitero ***
Capitolo 6: *** Angelo custode ***
Capitolo 7: *** Meccanismi sconosciuti ***
Capitolo 8: *** Salvato attraverso i tuoi occhi ***
Capitolo 9: *** Impotente ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Angels

Prologo









 

      HIGHTSVILLE, NORD CAROLINA,

        OTTOBRE 1981





Erano le due del mattino, quando Linda avanzò furtiva, a passi agili e silenziosi, verso la finestra della sua camera da letto. I drappi di cui erano elegantemente tessute le tende, danzavano incalzate dal vento gagliardo che le avvolgeva e le smuoveva verso il muro, e si premurava di accarezzare anche la pelle delicata della giovane donna, arruffandone la leggiadra quantità carminia di capelli. Le sue esili curve sgattaiolarono verso lo spiraglio d'aria esterno, dove un giovane candido dall'esule aria angustiata, l'attendeva impaziente da all'incirca mezz'ora. Issandosi con tutte le sue forze, si aggrappò alle braccia rincuoranti del ragazzo, trascurando per un attimo il timore di cadere, e scansando le spine degli arbusti che si intricavano sui muri inerti della Roswath. La luna vegliava, complice, su di loro, e le lucciole incentivavano i loro sguardi colmi di astinenza. Raddrizzandosi sulle sue gambe, ancora cinta da quegli arti confortanti, si risistemò, recuperando la sua eleganza e il docile temperamento femminile. Sentì il calore di quel corpo, che era solita bramare a ogni suo risveglio, affondarle piacevolmente dentro. Era questo ciò di cui aveva bisogno. Sentirsi così. Sentirsi viva. Ed era quella presenza, quella figura meravigliosa, a redimerla dal resto, e a farle obliare tutto in un solo contatto visivo. Perchè la sua quotidianità era stata semplicemente scossa da quell'individuo, e non era mai riuscita a sentirsi forte a quel punto tale da liberarsi della sofferenza di un amore proibito. Quell'uomo che le stava poggiando delicato la fronte sulla sua, facendole combaciare alla perfezione, la uccideva come se fosse possibile farlo anche fisicamente. Perchè Linda, nonostante fosse un entità immortale, avrebbe ceduto la sua vita eterna, piuttosto che separarsi da lui ancora una volta. Non avrebbe desiderato nient altro che stargli vicina. Vivere insieme al ragazzo che aveva imparato a insegnare, ad una donna come lei,  l'ebrezza dell'esistenza umana, pur non essendo essa tale. E finalmente quel bacio che stava bramando da sei giorni esatti, ovvero dall'ultima volta che si erano incontrati, giunse impaziente dal trattenersi ancora, a depositarsi sulle sue labbra rosee, e la dolcezza e la passione che inavasero la sua anima serafica, consumarono le sue energie vitali trascinandola in una dimensione nuova dove il suo spirito innamorato si beava della pace universale. Nella sua esistenza celeste, non aveva mai appurato niente del genere. Era un potere diverso, nuovo. Era il potere dell'amore. E le leggi divine non lo avrebbero contrastato nemmeno tra un migliaio di anni. Lei era certa che quel ragazzo fosse il suo salvatore. L'aveva salvata dall'ignoranza più imponente. Perchè quel sentimento esisteva, era tutto per loro, era sempre stato a disposizione di chiunque fosse in grado di aprire il suo cuore. Ma lei, finora, lo aveva inconsapevolemente ignorato. E da quando conobbe finalmente Thomas, non ci fu più bisogno di scansare quell'affetto meraviglioso che aveva concesso la natura agli uomini in una vita travagliata dalle sofferenze. E non c'erano forze divine superiori a contrastarlo, nessuno poteva mettersi a confronto di un tale potere. Nemmeno la legge di Dio. 

Lo sguardo le cadde istantaneo sul tappeto di erbe fiorite sotto di loro, per poi ritornare arrendevole a navigare fra la tinta color nocciola di quelle iridi ammaliatrici. Impallidì quando si rese conto dell'imbarazzo che ancora provava al tocco leggiadro di quelle ruvidi mani che guidavano i loro polpastrelli sul suo ventre delicato.
"Cresce a vista d'occhio." la voce di Thomas risuò fievole, ancora trepidante per il bacio che aveva tanto invocato nell'ultima settimana.
"Sapessi come scalcia."sussurrò lei stringendolo più forte a sè, come per paura che potessero separarli, di nuovo.
"Dovremmo andare adesso. Ho parcheggiato l'auto a qualche isolato da qui, per evitare che si insospettiscano. Ma se non ci sbrighiamo verremo scoperti."parlò lentamente, cercando di non farle intendere ogni sua parola come un ordine.
"Si." disse lei, e poi aggiunse: "Ma prima devo fare una cosa." e si scansò senza fretta da quelle braccia accoglienti.
"E' per lui non è vero?"e la sua voce incalzò un tono  più freddo, affievolendo ogni residuo di passione che li aveva uniti fino a pochi istanti prima.
"Per me è come un fratello e tu lo sai. Mi è sempre stato vicino, mi ha aiutato con la gravidanza in questi mesi e-" venne interrotta dal tono roco di Thomas.
"Ma possibile che tu non voglia renderti conto del perchè sia stato così disponibile nei tuoi confronti? Linda, tu sei una ragazza intelligente, dovresti capirle certe cose." gli occhi di lui la trafissero in pieno come una lama tagliente. Poi concluse."Ha fatto tutto questo per te, perchè è innamorato di te."
Le gote di lei si fecero paonazze per l'imbarazzo, e non riuscì a impedirsi di distogliere lo sguardo da quello del suo ragazzo per concederlo altrove. Poi rispose. "Non essere sciocco. E comunque, anche se fosse, io amo te. Solo te. Ma voglio bene anche a lui e merita, dopo tutti i suoi sacrifici per me, per noi, per lui" si accarezzò la pancia in un chiaro riferimento al bambino che aspettavano. "che almeno io lo degni di un ultimo saluto." i suoi occhi adesso lo stavano supplicando affinchè le concedesse almeno quest ultimo atto, prima di fuggire da lì per sempre.
"Va bene, ma io ti verrò con te, e faremo in fretta." si arrese portandosi una mano fra i capelli castani.
"Si! Promesso." saltò di gioia lei. "Ti amo." e lo assalì ancora in un bacio vorace.

Socchiuse gli occhi un minuto prima di bussare alla porta della stanza di Brian. Da dentro non proveniva alcun tipo di suono, come se il silenzio avesse risucchiato tutto e ne fosse riemerso il nulla. Fino a quando non si fece avanti un'ombra slanciata che apparse alla soglia, difronte a loro, sfoggiando un incredibile taglio di capelli che anche alle due del mattino sapeva risultare angelicamente attraente. "Dolcezza, cosa ci fai qui e-" la sua voce si spezzò nell'incrociare lo sguardo con quello di Thomas. "Ci sei anche tu, vedo." corrucciò la fronte in segno di sfrontatezza.
"Anche io sono felice di vederti, Brian." e si ripugnò con tutto se stesso per aver dovuto pronunciare quell'odioso nome.
"Come mai qui? Insieme a lui?" Questa volta si rivolse direttamente a Linda, senza degnare nemmeno di una piccola svista, la figura di Thomas che si sentiva particolarmente a disagio in quella circostanza.
"Sono venuta qui per dirti addio e ringraziarti di tutto quello che hai fatto per me, e per noi." arrossì.
"Dirmi addio? Cosa? Come? Perchè?" stilò una sfilza di domande, improvvisamente turbato, e suscitò un risolino compiaciuto da parte dell'altro ragazzo.
"Si, ecco vedi, noi non potremo più stare insieme se rimarremo qui, quindi.." lasciò intendere il resto.
"Beh ma allora è davvero semplice: Lascialo." e per poco Thomas non gli si scaraventò addosso, spiaccicandolo con la faccia sfrontata che si ritrovava, contro alla parete esterna della sua stanza.
Ma per fortuna intervenne ancora una volta Linda. "Non essere sciocco, dai. Magari un giorno verrai a trovarci e farai da padrino al piccolo Frank." Scherzò su un po' lei.
"Frank?" domandarono i due ragazzi all'unisolo, e scattò l'ennesima reciproca occhiataccia accidiosa.
"Si, è il nome che ho scelto. Cosa ve ne pare? E' importante per me il parere di entrambi." si schiarì la voce appena ebbe concluso.
"Per me va benissimo amore." Thomas le baciò dolcemente la guancia, approfittando anche della presenza di Brian.
"Si, sembra carino." commentò incerto quest'ultimo.
"Perfetto. Ora dovremmo andare. Allora.." balbettò a bassa voce Linda, timidamente. "Arrivederci." terminò un po' afflitta.
"Promettimi che non è un addio." implorò supplichevole, e chiaramente nervoso, Brian.
"Te lo prometto." lo rassicurò lei sorridente e radiosa come sempre, nel mentre che si allontanava mano nella mano con il suo unico e vero amore.













Ciaoo a tutti, innanzitutto ci tenevo a ringraziarvi di cuore per aver letto questo breve prologo. Non preoccupatevi se non avete capito la storia, è questo lo scopo. In secondo luogo, volevo chiarire una cosa. Questa Frerard è ispirata ad una serie di storie diverse. In particolare a Fallen (per chi lo avesse letto). E' quasi una sorta di rielaborazione. Ma tranquilli, si evinceranno un sacco di differenze lampanti. 
Mi raccomando, se mai dovesse piacervi questa cosetta, (so benissimo di fare schifo come scrittrice, ma mi cimento ugualmente perchè sono una testa dura) scrivetemi. Accetterò qualsiasi sorta di consiglio, apprezzamento, critica, suggerimento. Tutto. Quindi questo è tutto. Un bacio e al prossimo capitolo. 
Ps. Il rating per ora è arancione, ma non ho idea di cosa scriverò..quindi potrebbe cambiare sia in rosso che in giallo. Ciaoo**

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Capitolo 2
*** Astio profondo ***


Angels  

Astio profondo

1.

                                                                     
                                                                             
HIGHTSVILLE, NORD CAROLINA,
OGGI

 
 

Le pellicole oscuranti del vetro, che contrastavano l'elegante e lussuosa carrozzeria grigia dell'automobile, impedivano alla luce del sole di filtrare sui sedili posteriori. Un accento sconosciuto del Nord risuonò da fuori il finestrino del conducente, richiedendo un identificazione da parte di quest'ultimo. La frizzante aria di novembre, approfittando di quello spiraglio semichiuso, si infiltrò all'interno della Lancia Delta a cui erano appena stati aperti i cancelli del prestigioso edificio che si ergeva da innumerevoli secoli. Il verde lussureggiante dei giardini naturali accoglieva una miriade di ragazzi, ognuno assorbito in un'attività differente; c'erano quelli che giocavano a palla, quelli che erano completamente assenti perchè immersi nella lettura di un libro di fantascienza, e poi c'erano le ragazze raggruppate tutte insieme per aggiornarsi probabilmente sugli ultimi pettegolezzi della settimana, e lanciando ogni tanto qualche sorrisetto malizioso nella direzione dei ragazzi. Quando l'auto si arrestò in quelli che dovevano essere i parcheggi riservati al personale, la portiera venne aperta in automatico e Frank potè ritornare a riscaldarsi sotto i raggi luminosi del sole
 "Vedrai che ti piacerà questo posto." intervenì dopo due ore di silenzio l'uomo, mentre le porte scorrevoli principali si aprivano. Frank annuì ancora teso a studiarsi intorno. La radura era incredibilmente verde per essere autunno.
Quella mattina era cominciata nel più assurdo dei modi. Tutto ebbe inizio quando si ritrovò, nella cucina di casa sua, un uomo mai visto prima, che si rivelò essere un vecchio amico di sua madre.
Ma la sua attenzione ricadde subito sul messaggio che aveva portato per lui. Infatti, entrambi gli annunciarono che avrebbe dovuto preparare i bagagli all'istante perchè sarebbe partito oggi stesso, per trasferirsi in una scuola sperduta del Nord Carolina. E ora che se la ritrovava davanti, era la versione moderna di Hogwarts. Per quanto riguardava suo padre, invece, tutto ciò che sapeva era solo che fosse misteriosamente scomparso la notte in cui lui venne al mondo. Aveva origliato sua madre e quel tizio parlare da soli, ed era riuscito ad evincere solo qualche frase come "E' per il suo bene." "E' giusto così, ha diciassette anni ormai." Ma cosa era giusto? E cosa c'entrava il fatto che avesse diciassette anni? Un cambio di scuola non era poi così vitale, pensò. L'unico problema adesso, sarebbe stato quello di riuscire ad ambientarsi nonostante si fosse iscritto a metà anno scolastico inoltrato. In più quella scuola si differenziava. Per le regole rigide che esigeva, la si poteva paragonare ad un collegio. Ma Frank giurò di non aver fatto nulla di male per finire in un istituto del genere.
Nel silenzio dell'atrio adagiò il suo borsone sulle mattonelle in marmo del pavimento splendente della Roswath. La custode dai lunghi capelli bianchi, e la fronte pronunciata, annunciò un freddo benvenuto al ragazzo e gli elencò subito dopo quali erano gli orari da rispettare. Wow, per quel che ne sapeva, Frank non era mai andato a dormire alle nove di sera.
"Così lo spaventerai." fu l'ironico commento dell'uomo.
"Sta' zitto Brian." sputò la donna, acida. "Ragazzo, questo è tutto. E bada a come ti comporti, mi raccomando." Gli lanciò un'ultima occhiataccia scorbutica e si ritirò, a passo svelto, dietro la porta del suo ufficio.
"Fa' sempre così, ma ormai le vogliono tutti bene nonostante sia una vecchiaccia senza cuore." l'uomo ridacchiò. "Comunque piacere, io sono Brian." strinse la sua mano umida. "Tua madre mi ha chiesto di badare a te, e sarà esattamente quello che farò." sorrise. Frank, ancora intontito per il viaggio, lo fissò ed esitò prima di rispondere.
" Piacere." disse infine.
Rimasto solo, si mise subito alla ricerca disperata di qualcuno che potesse aiutarlo a trasportare i pesanti bagagli verso la sua stanza. A quanto dichiarava la chiave che gli aveva consegnato la vecchia, doveva essere la numero 43. In quel momento la sua tasca destra, contenente il cellulare, vibrò e fulmineo, un sorriso si accese sul suo volto quando riconobbe il numero impresso sul display. 

'Stronzo. Te ne sei andato. Tua madre mi ha detto tutto, ti odio, ma ti voglio bene lo stesso e mi manchi già. Appena puoi fatti sentire, ho bisogno di parlare con te, sapere come stai, come sono le ragazze lì, in quel posto dimenticato da Dio (ho fatto le mie ricerche). Un bacio.'

In effetti quella mattina aveva avuto a malapena il tempo di respirare. Aveva persino dimenticato di salutare, o perlomeno informare, il suo migliore amico che si sarebbe trasferito in una nuova scuola e addirittura in un nuovo posto. Ma Steve a quanto pare non si era offeso- non del tutto- visto che almeno lui si era degnato di scrivergli un messaggio. 
Erano stati amici sin dai tempi delle elementari, quando entrambi scoprirono di condividere la stessa passione per la musica rock e per la voce graffiata di Marilyn Manson. Ma la musica che ascoltava non si addiceva per niente al suo carattere. Frank era un ragazzo introverso- non esageratamente però- gentile, diligente, brillante e coscienzioso. Insomma, il tipo di ragazzo caratterizzato da un indole che lo renderebbe facilmente desiderabile da ogni genere di madre. Basti pensare al fatto che non avesse fatto storie, quando quella mattina era stato letteralmente estorto da casa sua e dai suoi affetti personali più cari.
Intravide due ragazzi e una ragazza infondo al corridoio.
Il primo dei ragazzi era facile da memorizzare per la sua capigliatura afro.
Il secondo probabilmente per la barba in accordo con i capelli biondi.
La ragazza era bassina e in carne, con un taglio di capelli neri che sopraffaceva quello che in realtà era un aspetto ingenuo.
Tutti e tre si voltarono e gli rivolsero un'occhiata piuttosto intrigata, fissandolo da capo a piedi. Avvertì gradualmente il disagio risalirgli per tutto il corpo.
Prese i bagagli da terra e si avvicinò a loro.
La ragazza rimase affascinata dai suoi lineamenti dolci e perfettamente tratteggiati, visibili chiaramente sotto la forte luce che in pieno giorno illuminava il corridoio in quella zona.
 "Ciao. Io sono Jamia, tu devi essere nuovo." quella voce così gentile ed educata aveva ridestato un qualcosa che Frank non sentiva ormai da tanto tempo.
"Si." si schiarì la voce, forse un po' nervoso.
Ma anche quando si presentarono gli altri due tipi- il riccioluto si rivelò chiamarsi Ray, e il barbuto era Bob- lui persistette a concentrarsi sulla ragazza ipnotizzato dalla sua purezza incontaminata e dai suoi ingenui occhi da bambina.
"Mi avevano detto che sarebbe arrivato un ragazzo, ma non mi avevano detto che sarebbe stato così carino." constatò lei, con un risolino che risuonò piacevolmente. Frank si sentì sottoposto ad una sfilza di emozioni che aveva già provato in passato quando gli era piaciuta una ragazza. Ed ora risalivano tutte alla luce grazie a lei. Era sempre la solita storia delle farfalle nello stomaco. Ed era qualcosa che gli altalenava il respiro e gli rendeva le gambe molli come gelatina. 
Jamia era davvero bella, ma bella sul serio.
 "Sei sempre la solita." rispose automaticamente Ray. "Un ragazzo non ha nemmeno il tempo di arrivare che tu provi a sedurlo, ragazzaccia." sogghignò.
"Non farmi passare per una maniaca, perchè non lo sono. Non gli ho proposto una sveltina nei bagni pubblici, il mio era solo un complimento." disse a sua difesa. I due stavano chiaramente scherzando, perchè il loro tono di voce sprizzava ironia. "Comunque Frank," disse tornando a guardare verso di lui. "Se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi, puoi contare tranquillamente su di noi." 
Proprio in quel momento una voce strillante emerse nello sfondo dei corridoi e una figura bionda e slanciata sfilò verso di loro esibendosi in una camminata sicura di sè. "Jamia! Ti vuoi muovere?" esclamò la ragazza  dalle unghie rosso porpora. "Si arrivo, arrivo." sbuffò seccata. "Ricordati, se hai bisogno io sono qui." 
"Allora Frank, ti va di visitare come si deve questo posto si o no?" gli chiese Bob.
"Infondo dove le trovi due guide come noi." aggiunse Ray, facendo scivolare platealmente le mani sulle loro figure. Frank fece un cenno d'assenso.
 Bob gli piazzò una mano salda sulla spalla. "Perfetto." disse. "Il nostro gruppo aveva proprio bisogno di un ragazzo come te."
"Qui è un continuo 'non fate questo, non fate quello'. Ci trattano come dei bambini." Dichiarò Ray. "Ma noi sappiamo come fregarli ogni volta." procedette con una punta di malizia nella sua  voce.
"Cioè?" domandò Frank quando svoltarono all'angolo.
"Ogni sera dopo le nove molti di noi si riuniscono in qualche camera e organizzano dei festini notturni." Ray gli rese una breve spiegazione, alquanto su di giri all'idea, mentre avevano quasi raggiunto l'uscita principale.
Superata la porta scorrevole dell'edificio, Frank potè osservare meglio tutti gli studenti disseminati nel cortile della scuola. E si accorse che indossavano delle uniformi, ma non erano tutte le stesse. Alcuni seguivano un codice di abbigliamento che pareva esigere jeans chiari e magliette bianche con il logo della scuola che mostrava delle ali in piuma d'oca. Altri, invece, indossavano jeans più scuri e t-shirt nere con lo stesso logo stampato sopra.
"Diciamo solo che la scuola è divisa a metà e che non seguiamo tutti gli stessi corsi."chiarì Bob come se gli avesse letto nel pensiero.
"Capisco." disse, scrollando le spalle. In realtà non aveva capito niente. "E io?" domandò.
"Sei fortunato." osservò Ray."Ho sentito dire che eri iscritto ai corsi che frequentiamo noi. Quindi ti divertirai molto." 
Si sedettero su di una panchina tinta di un verde simile alla menta, sotto due alberi di melo di cui i rami si intricavano sopra le loro teste.
"Ce lo aveva annunciato la professoressa alla fine della scorsa lezione." gli spiegò meglio Bob senza batter ciglio. Subito dopo rivolse un'occhiata a Ray di sfuggita.
 Gettando gli occhi al cielo, Frank notò che le nuvole qui erano diverse, erano ancora più bianche del solito. Sembrava un pensiero stupido, che infatti tenne per sè, ma non poteva fare a meno di farci caso. 
Allineò lo sguardo ad altezza media, e fu in quel momento, che si accorse di due occhi verdi oltraggiosamente attraenti. Portava una giacca di pelle scura sopra la t-shirt. Contemplò i suoi capelli di un nero intenso come la notte; le labbra sottili; il naso lineato all'insù; l'epidermide latteo come quello di un vampiro. Rimpianse il respiro altalenante di poco prima, perchè adesso gli si era mozzato, violento, nell'esofago.
Stava parlando con un altro ragazzo dai capelli biondi, entrambi mescolati in una cerchia di persone vestite alla stessa maniera. 
Non appena il ragazzo dalla chioma corvina si accorse di lui, sfoggiando i suoi occhi che inchiodavano al suolo, e che erano così profondi da essere disarmanti, Frank, non sapendo cos altro fare, sorrise imbarazzato, aspettandosi di essere ricambiato. Invece il ragazzò sollevò un braccio e gli mostrò, con una smorfia sfottente, il dito medio suscitando la risata divertita dei ragazzi che stavano con lui.
Ora era l'imbarazzo ad essere disarmante. Rimase con la gola secca e abbassò lo sguardo sui fusti d'erba fresca. 
"Quello è Gerard Way." Lo informò Ray all'orecchio. "Il biondo è il fratello, Mikey." Gli indicò con un cenno il ragazzo che nonostante portasse gli occhiali da nerd, sembrava una di quelle spie sexy che appaiono solamente nei film di azione. "Non ti conviene farci AMICIZIA, non è un gran che in simpatia." concluse neutro.
"E' per caso il genere di stronzo viziato che sta con la più figa della scuola e si sente superiore a chiunque?" Si incuriosì Frank, ripristinando lo sguardo fisso sulla sua figura.
"Per essere un novellino te ne intendi di stronzi."esclamò sorpreso. " Dovrei per caso pensare che tu sia stato uno di loro nella tua vecchia scuola?" disse, suscitando la risata anche di Bob.
"No, è che ce ne erano di questo genere anche a Greenville." si morse il labbro inferiore.
 "Caapiscooo." cantilenò il riccioluto.
"Comunque, Gerard Way non è un semplice stronzo, è anche più di questo." Negli ultimi secondi la voce di Ray era calata in maniera quasi teatrale.
"Cosa intendi dire con questo?" 
Una voce al megafono interruppe la conversazione. "E' ora di pranzo." strillò per più di tre volte la voce. 
"Andiamo." scattarono Ray e Bob, sollevando entrambi di peso Frank, ancora titubante per la figuraccia che aveva appena vissuto.
"Qui sono severi sui ritardi." Dichiarò Bob.
"Qui sono severi su tutto." schioccò Frank.
"Vedo che hai imparato." esclamò Ray sorpreso."Si ma ora andiamo." 
Il viso di Frank si sfuocò dalla vergona finalmente. Ma durante tutto il tragitto gli mancò il coraggio per sollevare lo sguardo e affrontare le occhiate derisori di quei ragazzi, tutti agghindati a nero. Capitò però, per sbaglio, che incrociasse di nuovo le iridi verdi di quel Gerard, e non tradiva alcuna espressione, se non astio profondo e immotivato nei suoi confronti.






 

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Capitolo 3
*** Lezione inusuale ***


Angels

Lezione inusuale

2.





All’interno della caffetteria che ospitava un’ingente sommità di studenti, Frank, Bob e Ray si avviarono lungo la fila in una camminata calcata da risate consecutive, per attendere che gli venisse servito il pranzo. 
Ray gli aveva già preannunciato che il lunedì servivano i piselli e il polpettone, ma Frank era vegetariano. Aveva da sempre sostenuto l’idea che gli animali fossero i nostri fratelli in evoluzione e che noi dovessimo essere per loro quello che gli angeli sono per noi.
Così, con semplice coerenza, rifiutò il polpettone e si saziò con una doppia porzione di piselli.
“No, io non capisco.” si accigliò Bob.
“È molto semplice invece.” replicò Frank convinto.“Inoltre, non acquistando più carne, si smette di finanziare il mondo orribile e crudele in cui vengono cresciuti gli animali negli allevamenti intensivi, per non parlare della scarsità di igiene.”
“Vorrei vedere te imprigionato come una bestia lì dentro.” proseguì Ray, a favore della teoria di Frank.
“Ma io non sono una bestia, sono un uomo.”
Ray tossì schiarendosi la gola.
Frank non sembrò farci caso.
“Si, tu sei un bestione Bob. Per questo fino a due anni fa ti chiamavano ‘il vichingo’” ridacchiò.
“Okay, direi che può bastare così, Ray. Grazie.” Bob si mordicchiò il labbro inferiore e arrossì lievemente.
“Davvero ti chiamavano così?” A Frank scappò una risata cristallina che lo fece quasi strozzare.
“Si ma è stato fino a qualche anno fa, ero appena arrivato, non avevo amici ed ero il più alto e muscoloso di tutti..”
“Ma di solito non è il genere ti tipo come te che prende in giro gli altri?” si accigliò il ragazzo.
“Lui è un timido bonaccione.” uggiolò poi Ray, piazzando una mano tra i capelli di Bob e scompigliandogli l'acconciatura già molto disordinata.
“Invece da quando sono diventato amico di Jamia, nessuno ha più osato dirmi qualcosa.”
“Jamia?” Era incantevole quella ragazza. 
“Si, è una tosta. Nonostante dimostri quel viso delicato e carino che la fa quasi apparire come un angioletto, sa come farsi rispettare qui dentro.” Ray addentò un altro boccone.
“Scommetto che ti interessa e vuoi sapere se è fidanzata.” Bob sollevò il sopracciglio e gli lanciò un'occhiata di malizia.
“No.. È solo che..” Frank assunse un'espressione tanto trasparente da meritare le occhiatacce burlesche di entrambi.
“Oh andiamo. Non ti giudicheremo mica. Solo tutti noi abbiamo avuto una cotta per Jamia Nestor.” Ray adottò una posa ricercata mentre si stiracchiava comodamente con la schiena contro alla sedia.
“Ma io non ho una cotta per lei.” si giustificò l'interpellato, forse tentando invano di convincere anche se stesso. E se avessero davvero avuto ragione loro? In effetti Jamia lo aveva colpito in pieno sin dal primo istante. I sintomi c'erano tutti e avrebbe anche potuto elencarli sulle dita della mano. 
“Come dici tu.” sorrise sornione Bob mentre si ripuliva le mani con il tovagliolino di carta. “E per risponderti alla domanda sottintesa di prima: no, Jamia è single ed è tutta per te.”

Frank impugnava nelle mani un foglietto che si era stropicciato a causa della strettezza delle sue tasche, dentro le quali lo aveva riposto. Elencava le varie lezioni a cui avrebbe preso parte durante la settimana scolastica. Erano le stesse di Bob e Ray, fortunatamente. La campanella suonò e tutti si riversarono nelle loro aule per la lezione che li attendeva.
Vennero circondati nel momento stesso in cui entrarono nell’aula del professor Schechter, che insegnava storia. 
Erano tutti lì. La classe era grande ma anche equilibrata con il numero degli studenti, e i ragazzi del giardino stavano scrutando Frank e lo deridevano come avevano fatto la prima volta. In più adesso erano in lieta compagnia di quattro o cinque lecchine che speravano di guadagnare popolarità aggregandosi a loro.
Oltre una testa bionda, riconobbe i capelli neri e la giacca di pelle del ragazzo che molto schiettamente lo aveva mandato a farsi fottere. Stava ridendo per quella che probabilmente doveva essere stata una battuta fatta dalla ragazza che stava parlando difronte a lui. Lo vide bendisposto a cingerle la vita in un abbraccio riservato e a sussurrarle l'ennesima risposta nell'orecchio, approfittandone per giocherellare, provocatore, con il suo lobo. Quando la ragazza si scansò di poco da lui, potè giurare di averla già vista. Quello smalto color porpora e quelle curve da top model gli erano sfilate davanti quando quella mattina stessa era venuta a strillare contro Jamia per poi portarsela via. Ma una come Jamia non poteva essere amica di una come lei. Eppure la prima volta che l’aveva vista non aveva pensato questo di lei, anzi le era stata completamente indifferente. L’aveva solo ritenuta un po’ stronza. Ma non al punto di..odiarla.
Frank si attardò sulla porta. Si morse il labbro, sospirò, e andò a sedersi infondo tra Ray e Bob. 
Cercò di divincolarsi, un po’ goffo, tra i sedili, e a tratti si imbatteva in alcuni ragazzi scontrosi che sbuffavano prima di lasciarlo passare.
L’unica finestra dell’aula era grande come il comodino della sua vecchia camera, e dava sul cortile del retro, più trascurato di quello principale.
L’insegnante stava camminando per l’aula salutando gli alunni e dirigendosi verso la cattedra per sistemare le sue cose. 
Frank lo riconobbe all’istante, era l’amico di sua madre. Come aveva detto di chiamarsi? Brian. Tirò un sospiro di sollievo credendo che almeno lui avrebbe potuto difenderlo dagli sguardi inopportuni dei ragazzi, come aveva promesso di fare qualche ora prima. Rivolgendo di nuovo l’attenzione su quelle figure spavalde, una domanda gli risalì spontanea alla gola. “Non mi avevate detto che quelli con la divisa di nero seguivano dei corsi differenti?” si assicurò nervoso.
“Si, ma purtroppo storia è un corso che seguiamo tutti allegramente insieme.” tentò di sorridere Ray fallendo però in una misera smorfia, e con impaccio si dimenava per trovare una posizione più comoda.
Il professor Schechter fissò l’attenzione sui ragazzi che aveva difronte:”Siete al terzo anno e mi aspetto molto da voi.” cominciò platealmente. Il tacchetto dei suoi stivali risuonava sul pavimento in marmo, nobilitandone la teatralità. Frank constatò di non aver percepito tutta quella severità, quando l'insegante lo aveva difeso dalle grinfie della custode scorbutica. 
“È fissato.” strascicò Ray in una nota di cordoglio.
“Mh?” mugugnò Frank poco attento.
“Dice sempre la stessa frase, ogni volta, prima di iniziare uno dei suoi discorsi lunghi e noiosi su Napoleone e la sua stupida rivoluzione francese di cui non importa niente a nessuno.” berciò. “O almeno non importa a me.” 
“Signor Toro, per caso io e i suoi colleghi la stiamo importunando con la nostra voglia di tenere una lezione di storia?” Brian si appoggiò alla cattedra con disinvoltura studiata e incrociò le braccia al petto superbo.
Nessun fiato emesso, nessuna mosca volare. Solo un silenzio tombale.”Allora cosa gradisce? Prendersi un giorno di sospensione che inciderà sui suoi crediti finali o chiudere la bocca per un’ora in modo da lasciar parlare chi di sicuro, di storia, ne sa più di lei? A meno che lei non sia uno storico o per lo meno un appassionato del passato. In quel caso le porgo le mie più sentite scuse.” sentenziò infine spavaldo.
“Mi scusi. Non accadrà più.” Macchiato del rosso della vergogna per tutto il volto, Ray sprofondò a testa bassa nello schienale del sedile.
“Stavo dicendo.” rirprese a parlare il professore, senza sprecare ulteriori attimi preziosi. “Oggi vorrei discutere di qualcosa di diverso dal solito. Chi ha mai sentito parlare di Hermes?” domandò alla classe.
La domanda che Frank si pose in un secondo tempo fu: cosa c’entrava questo adesso con Napoleone?
“È il ministro di Dio.” si alzò all'impiedi un ragazzo fra i tanti. Quello che probabilmente doveva essere il secchione della classe, considerato il suo aspetto trascurato e il fatto che nessuno si fosse meravigliato quando fu lui solo ad intervenire, per primo. “La sua dinastia è destinata ad essere eterna perchè lui è l’angelo più potente, quello che vinse contro Lucifero.” Di colpo, si sollevò un mormorio di voci confuse nell’aula. 
“Silenzio!” scattò Schechter ripristinando l’ordine all’istante. “Lei, continui.” si rivolse al ragazzo.
E questi divenne paonazzo in volto. Si schiarì la gola, prima di continuare a parlare: “Hermes stipulò un accordo di tregua con Lucifero e si allearono affinchè il mondo avesse la sua parte buona e quella cattiva. E da allora entrambi regnarono incondizionati e il mondo ebbe l’equilibrio che gli spettava.” Terminato il suo resoconto mitologico alla classe, che invece non si era dimostrata per niente interessata alla spiegazione, si rimise a sedere sistemandosi indietro gli occhiali sul naso.
“Molto bene signor Moore.” commentò Schechter, mentre cauto avanzava alcuni passi verso le schiere di sedili difronte a lui. “Spiegazione esauriente, devo farle i miei complimenti. Si aspetti di essere ripagato come merita al termine del quadrimestre.” proseguì congratulandosi, sempre mantenendo un’aria di distacco, mentre risaliva i gradini e sfilava tra le file di sedie.
“Grazie.” si gongolò un po' il ragazzo, guadagnandosi qualche occhiataccia da parte dei compagni sedutigli attorno.
“In effetti cosa sarebbe il mondo senza bene o male? Hermes fu effettivamente un eroe a trovare il coraggio di combattere Lucifero, il re del male. E Lucifero non fu da meno, ad aver sfidato colui che tutto può.” un attimo di suspense. "Dio” 
“Come sapete, Lucifero era così assetato di potere, che non ci pensò due volte a tradire il suo stesso Dio. Era così accecato dalla brama esauriente che non potè fare a meno di precipitare sulla terra dal paradiso. La storia dice che nel punto in cui cadde, il terreno si ritrasse per il terrore di questo essere demoniaco, creando così la profonda cavità ad imbuto che forma l’inferno. Lucifero ebbe la fine che gli spettava, conficcato al centro della terra. Nel punto più lontano da Dio. Immerso fino al busto nel lago sotterraneo del Cocito. Ed è perennemente congelato a causa del vento gelido prodotto dal continuo movimento delle sue ali diventate nere come la pece per via dello sporco che incontrarono cadendo.” prese una pausa per cambiare direzione, e ricominciò la sua camminata sciolta. "Ma c’è una cosa che alcuni di voi ignorano. Ed è proprio come ha detto prima il vostro compagno. Infatti, Hermes, inviato da Dio, perdonò Lucifero e gli permise di continuare ad agire sul mondo senza però cercare di contrastare la forza di Dio onnipotente.” concluse giusto nel momento in cui la campanella risuonò. 
“Dannazione!” imprecò contro al suono chiassoso di quel sonaglio. “Non può essere già finita l’ora.” Gettò lo sguardo sul suo orologio da polso. 
“Oh invece la lezione è durata fin troppo.” Ray aveva sbuffato silenziosamente per quasi tutta la durata del tempo.

Frank si limitò a seguire Bob e Ray. Mentre camminavano in fila verso la soglia però, rivolse timidamente un'ultima occhiata nella direzione di Gerard che stava uscendo accompagnato dalla bionda oca. Gli aveva deliberatamente dato le spalle per evitarlo. L’aveva ignorato di proposito.

Per i corridoi incontrarono Jamia.
Volteggiava in mezzo agli altri, mentre li raggiungeva.
“Eeei” cantilenò radiosa. “Come sta andando questo primo giorno?” domandò rivolgendosi a Frank.
“Bene.” Ma non era sicuro di aver detto la verità. L’unica certezza era che finora non fosse accaduto nulla di drammatico. Solo qualche presa in giro. 
“Sta tranquillo.” disse lei, come se potesse leggergli nel pensiero. “Anche io all’inizio mi sentivo spaesata. E avevano addirittura provato a canzonarmi, ma alla fine sono stata io a cantargliele.” Gli avvolse la mano nella sua.
Frank rimase senza parole. Il suo tocco era così delicato. Ancora quella sensazione allo stomaco: le fatidiche farfalle svolazzavano indisturbate nel suo ventre.
“Già. Ricordo ancora quella volta che prendesti per i capelli Lindsey Ballato.” rise tra sè Ray. “E ora siete praticamente inseparabili.” 
“Parli della ragazza bionda di stamattina?” domandò Frank corrucciando la fronte.
“Esattamente. Era anche a lezione, l’avrai notata di sicuro.” si dondolò Ray contro al muro. “È impossibile non notare Lindsay Ballato e le sue curve da modella.” Parlava con gli occhi sognanti e a cuoricino.
“Sei il solito.” commentò Jamia con una smorfia beffarda. “E io ti ho già detto che non ti conviene pensare a lei.” 
“Già. Perchè lei sta con Gerard Way: il più figo della scuola. E io non sono altrettanto importante.” si imbronciò.
“Non ho detto questo Ray.” Jamia chinò la testa in un sorriso smagliante e rassicurante. “È solo che se Gerard venisse a scoprire che tu in realtà ci provi con la sua ragazza, ti ammazzerebbe prima che tu possa pronunciare la tua ultima parola.”
“Già amico. Io preferirei tenermi le palle al posto giusto, prima di farmele strappare da quel tipo.” commentò Bob, portando una mano sulla spalla di Ray.
“Sempre molto elegante eh.” rise Jamia.
Frank avrebbe dovuto aspettarselo, forse, che stessero insieme. D’altronde erano entrambi ‘fighi’ e popolari, insomma un’accoppiata perfetta, pensò.
Il telefonino gli vibrò in tasca per la seconda volta, quella mattina. Digitò sulla cartella dei messaggi e lesse:

'Mi manchi tanto. Spero tu ti stia trovando bene alla Roswath. Sai, anche io da giovane studiavo lì. Non è poi così male. E alcuni insegnanti sono anche simpatici. Chiamami appena puoi, ti voglio bene. Mamma.'

Un sorriso tornò a lampeggiare sul suo volto.
“Spero non si tratti della tua fidanzata.” disse Jamia scoccando un broncio sarcastico. “O ci rimarrei davvero male.”
“No, è-” arrossì. Non aveva voglia di farsi prendere in giro. “-È mia madre.” ammise alla fine, rinfilando il telefono nella tasca stretta dei jeans.
“Ma aww” reagì lei con sua sorpresa. “Che cosa dolce. Anche mia mamma mi scrive sempre.” 
Frank fece un sorrisetto, quando udii delle voci concitate a pochi passi da loro.
Invece di rispondere a Jamia, si voltò nella direzione di Gerard che stava sfilando per i corridoi insieme alla sua a quanto pare fidanzata che a quanto pare aveva un nome. Lindsay.
“Lyyynz!” urlò Jamia quasi saltellando di gioia verso di lei. “Ti devo presentare una persona.”
Lindsay, con una mano del suo fidanzato appoggiata sulla spalle e il suo braccio cinto intorno al collo, sbuffò. Che insolente, pensò Frank. Insolente e maleducata oca. E si sentì stupidamente invidioso.
“Chi?” rispose infine.
“Frank.” disse presentandoglielo e indicandoglielo con un cenno della mano.
“Uhh” cantilenò lei. “Carinooo.” aggiunse leccandosi le labbra marchiate dal rossetto rosso acceso.
“Ei, ci ho messo gli occhi prima io.” disse infine l’altra.
Parlavano di lui come fosse un bambolotto, ma Frank sapeva che Jamia stava solo scherzando e che in realtà era la persona più dolce di questo mondo.
Per quanto riguardava Lynz, non poteva pensare lo stesso.
Venne distratto dalla figura di Gerard che lo scrutava dall’alto verso il basso, e si accorse di non poter più vedere i suoi occhi verdi perchè erano coperti da due lenti scure. 
“Andiamo.” si decise a parlare il moro.
E Frank per poco non svenì al roco suono di quella voce.
“Sempre molto disponibile.” commentò Jamia, riferendosi a Gerard.
“Sempre molto rompi palle.” rispose lui indifferente, e stringendo ancora di più la sua ragazza.
“Andiamo.” ripetè la squallida bionda.
In quel momento, quando si allontanarono, fu come se a Frank fossa stato annunciato finalmente il via libera di tornare ad essere se stesso.
Perchè per tutto il tempo che aveva avuto quella fastidiosa coppietta difronte agli occhi, si era preoccupato di celare la voglia asfissiante di guardare Gerard negli occhi. 







 Eccomi tornata. Allora, spero vi stia intrigando la storia. Non è nulla di che, però vabbè, si fa quel che si può. Vi mando un bacio, voi pochi che state leggendo questa cosetta. Vi ringrazio se avete letto anche questo capitolo e vi saluto. Ciaoo e alla prossima.

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Capitolo 4
*** Fidarsi ***


Angels

Fidarsi

3.




Al suono della campanella del pranzo, Frank uscì dall’aula di filosofia dirigendosi, per la seconda volta in quella giornata, nella colossale caffetteria della Roswath. Jamia era fuori, appoggiata con indifferenza a un muro, il mento sollevato, le spalle all’indietro, le anche in avanti.

“Ciao straniero.” fu il saluto sarcastico della ragazza.
Frank la salutò con un cenno della testa e un sorriso che diceva ‘avevo proprio bisogno di te’.
Gli occhi luminosi di Jamia si rivolsero verso il ragazzo. Era come se cercasse sempre di non farlo sentire a disagio solo perchè si trovasse ad essere quello nuovo. Quella ragazza era dotata di una dolcezza sovrumana che riscaldava il cuore di Frank con un semplice sorriso. Ripensando a quel momento nel corridoio, quando l’aveva vista per la prima volta, si accorse che gli aveva provocato subito dentro un effetto insolito. Ma non sapeva spiegare precisamente di cosa si trattasse..
Si morse il labbro, esaminando gli studenti che passavano, affollandosi, come se non vedessero cibo da un mese. Sembravano carcerati. Poi notò la ragazza che finora era stata l’unica a suscitare in lui..odio. Lindsay.
Sfilava come al solito, in più era accompagnata da tre oche intente a guardarsi allo specchietto e a incipriarsi come se già non fossero abbastanza ‘conciate’. 
“Sono contenta che mangiamo insieme.” esultò Jamia recuperando l’attenzione di Frank.
Quello che non riusciva a capire era se ci stesse o no provando con lui. Non era mai stato bravo a decifrare i comportamenti femminili, ma semplicemente perchè finora non gli era mai capitato di essere corteggiato.
Le rivolse uno sguardo scintillante. “Anche io sono molto felice.” disse, e poi aggiunse:” Comunque, Jamia, io veramente ci tenevo a ring-” venne interrotto dalla voce squillante della ragazza.
“Non ci pensare nemmeno a dire una cosa simile! Tutto quello che faccio, lo faccio perchè mi viene dal cuore.” disse, e ammiccò con fare allusivo.
In Frank nacque un sorriso. Un sorriso sincero.
A qualche passo da loro, un ragazzo dai capelli lunghi insisteva a lanciargli occhiatacce ringhiose.
Frank se ne accorse. E anche Jamia. “Quello è Bert. Non farci caso, è così con tutti.” lo rassicurò.
“Non credo che in genere guardi gli altri come sta facendo con me in questo mento.” continuò perplesso.
“Mmh forse.” commentò la ragazza. “Ma è meglio che tu la smetta di fissarlo.” mormorò rivolgendo uno sguardo a Bert.
“Perchè?” replicò. Degli occhiali scuri nascondevano gli occhi del ragazzo, coprendogli la faccia, nonostante si trovassero al chiuso. Eppure non erano scuri abbastanza da celare quello sguardo per metà indagatore, per l’altra metà arrogante.
“Semplicemente perchè non ti conviene far incazzare Bert McCracken.” rispose piatta.
Proseguirono a camminare a passo lento tra la folla, finchè la curiosità, che era troppo stuzzicante, non spinse di nuovo Frank a guardare quel ragazzo. Ma di lui non vi era più nessuno traccia. La sedia rossa della mensa, che aveva occupato fino a pochi minuti prima, adesso non ospitava più quel possente omaccione tutto muscoli.
Si scrutò per un po’ intorno in cerca di quegli occhi rancorosi.
Di colpo, una mano urtò violenta alle sue spalle e lo costrinse a terra. Cadde di petto, e a malapena riuscì a trovare il tempo di reggersi a qualcosa con le braccia.
Appena si riappropriò della ragione e realizzò quello che era appena successo, la prima cosa che udì fu un urlo isterico da parte di Jamia.
Si era fiondata verso di lui non appena l’aveva visto atterrare in modo per niente delicato sulle mattonelle poco pulite della caffetteria. “Frank! Stai bene? Mi senti? Frank!” erano le domande agitate che continuavano a rimbombare nella mente ancora confusa di Frank.
Quest’ultimo, quando ritrovò in se la forza di parlare, rispose:”Si..si sto bene, credo.” e farfugliò ancora qualcosa di incomprensibile.
Jamia inarcò le sopracciglia e le scappò un risolino. Ma in un lampo tornò subito ad essere seria e soprattutto preoccupata. “Ce la fai ad alzarti?” domandò e divenne all’istante irritata dalla figura di Bert ancora immobile sopra di loro che aveva anche preso a parlare.
“Non ce la fai ad alzarti femminuccia?” commentò con aria di sfida lampante.
“Bert, giuro che questa te la faccio pagare.” grugnì Jamia. E ci mancava poco che lo prendesse per quei capelli lunghi che facevano somigliare LUI ad una femminuccia.
“Alzati.” gli ordinò, ignorando completamente la ragazza.
“Va’ via.” Bob e Ray emersero tra la folla a difesa di Frank e lo separarono da lui.
“Non mi hai sentito?” insistette Bert, sempre più minaccioso.
E prese il vassoio di un ragazzo che stava passando proprio in quel momento e glielo riversò tutto addosso.

"Adesso basta!" 
Una voce familiare intervenne a porre fine a quello show, che era stato alimentato finora dagli sguardi esaltati degli studenti intorno che si stavano gustando la scena come si trattasse di un film con Johnny Depp.
La figura del professor Schechter proruppe, camminando e infilandosi tranquillamente nella mischia come la guardia di sicurezza in un museo.
Abbassò lo sguardo verso il corpo esanime, sul pavimento, di Frank.
“Qualcuno mi dica cosa è successo qui.” ordinò imperterrito.
“Professore..” si pronunciò Jamia, ma venne subito interrotta dalla voce potente di Bert. 
“Questo ragazzino qui.” indicò Frank con disprezzo. “Mi ha insultato e provocato. Merita di essere punito.” concluse nascondendo un ghigno dietro al ciuffo di capelli neri.
In un istante, il professore si rivolse verso Frank con aria indagatrice. “È andata così?” domandò freddo.
Esitò prima di aprir bocca. Riflettendoci, se avesse detto la verità probabilmente la sua vita sarebbe durata solo altre poche ore o addirittura di meno. Era una questione ti poco tempo, prima che Bert lo trovasse e lo riducesse in cenere.
E in quel caso nessuno lo avrebbe più potuto difendere. Nemmeno Brian.
“Vuole rispondere signor Iero?” insistette spazientito.
“Si.” rispose. “È andata così.”
Un’espressione mista a stupore e incredulità si stampò in un lampo sui volti di Jamia, Ray e Bob.
Istintivamente la ragazza tentò di prendere le sue difese.”Non è vero, lui non ha-” 
“Lei stia zitta signorina Nestor. O finirà in punizione anche lei.” 
“Per quanto riguarda lei, signor Iero.” prese una pausa, e per una attimo Frank potè giurare di aver colto un pizzico di rammarico in quello che stava per dire. Dopotutto gli aveva promesso che si sarebbe preso cura di lui. E ora lo stava per punire. “Vada a ripulirsi. La aspetterò domani mattina alle cinque in punto qui alla caffetteria. Mentre lei.” indicò Bert. ” Adesso verrà nel mio ufficio e discuteremo di come è giusto difendersi dagli insulti.”
Jamia esalò un respiro profondo prima di parlare.”Se mette in punizione lui allora mette in punizione anche me.” replicò senza pentirsene.
“Come vuole lei, Nestor.” disse, e girò i tacchi allontanandosi dalla folla seguito da Bert.
Prima di andarsene definitivamente ordinò agli studenti di tornare alle loro postazioni e continuare a fare quello che stavano facendo prima.
E ovviamente nessuno osò contrastarlo.

Senza guardarsi intorno, Frank si alzò e proseguì a passo svelto per la mensa, eludendo le voci insistenti dei suoi amici che lo imploravano di fermarsi.
La campanella aveva ripreso a suonare.
Alla porta della caffetteria innalzò, per puro caso, gli occhi alle figure ancorate all’ingresso e tra quelle ne riconobbe una in particolare.
Non osò guardare Gerard per più di due infiniti secondo, così si limitò a massaggiarsi il polso ancora dolorante e ad accelerare il passo.

E fu in quel momento che accadde.

Avanzò a fatica, tentando di sfuggire alle vertigini che lo fecero barcollare. Si sentì come illuminato dalla luce del sole, riscaldato e al sicuro. “Permesso.” fu costretto a domandargli per passare. Era ancora preda della vergogna.
Gerard, che per tutto il tempo era rimasto immobile, con la schiena e la gamba destra appoggiate con nonchalance alla porta principale, si scansò senza proferire parola.
Frank deglutì, e uscì.
Forse era stata la sua immaginazione, ma aveva percepito qualcosa di diverso dal solito ragazzo arrogante che aveva conosciuto finora.
Si, era decisamente l’immaginazione da post-rissa, se così poteva definirsi.
Si congratulò con se stesso per essere riuscito a non gettare gli occhi su di lui ancora una volta. E pregò tutti gli dei affinchè non fosse diventato rosso come un peperone.

Perfetto, era in questo posto da metà giornata e aveva già collezionato due figuracce.

Era in circostanze come queste che avrebbe tanto desiderato ritrovarsi a casa sua, invece di dover ordinare severamente a se stesso di mantenere la calma e non piangere difronte ad una folla di sconosciuti.

Corse dritto verso la porta del bagno. Entrò sentendosi stordito e confusamente grato per essere finalmente solo e in salvo.
Appena si rese conto di avere il via libera, una lacrima scese a rigargli il viso senza più esitazione.
Aprì il rubinetto e con le mani si bagnò la faccia in un vano tentativo di ripulirsi. Era impossibile. Solo una doccia avrebbe potuto togliere quell’odore di minestrone. Ma in quel momento la sua camera risultava troppo lontana in confronto ad uno dei bagni che si trovavano nei corridoi.

Ad un certo punto, mentre si stava lavando via una carota dai capelli, notò, attraverso lo specchio, dietro di se, un ragazzo.
Era più giovane degli altri.
Avrebbe potuto avere si e no quattordici anni.

“Non volevo spaventarti.” si scusò, un po’ imbarazzato.
“Stai tranquillo.” replicò Frank voltandosi e riprendendo fiato. “Non è colpa tua se questa giornata fa così schifo.” sputò secco.
“Ti è successo qualcosa?” domandò.
“Non lo sai?” si stupì. Era convinto che la notizia avesse fatto il giro della Roswath e che chiunque ne fosse a conoscenza e stesse ridendo di lui in questo momento. 
Ma a quanto pare non era così.
“Se posso fare qualcosa..”
“Ti ringrazio.” lo interruppe. “Ma non credo che tu possa fare molto per me.” sospirò e scosse il capo.
Il ragazzo annuì.
“Comunque io sono Adam.” si presentò, avanzando di qualche passo per stringergli la mano. “Piacere.”
“Frank. Piacere.” sorrise.
“Adesso che ci siamo presentati.” prese una pausa esitando, ma poi insistette. “Posso sapere cosa ti è successo? O se posso aiutarti?” chiese con tranquillità.
Frank non intendeva accettare l’aiuto di uno sconosciuto. Anche se aveva l’aria ingenua di un ragazzino.
“Frank, io non sono come loro.” 
Frank spalancò gli occhi. “Avevi detto di non sapere..”
“Non ci vuole un genio per capire cosa ti ha ridotto così. O meglio chi.” ammise sorridendo. “E poi.. è successo anche a me una volta..” 
Gli bastarono pochi secondi per capire di essersi sbagliato. Quel piccoletto era in gamba, e poteva fidarsi di lui.
Adam lo guardò, poi alzò gli occhi al cielo. “Non dirmi che..”
“Cosa?” domandò Frank perplesso.
“Ha qualcosa a che fare con Gerard Way? È stato lui a..”
“No. È stato Bert.” disse lui precipitandosi a rispondere. “Perchè me lo chiedi?” Era incredibile come quel ragazzo dotasse di una fama tanto pessima da lasciar credere a qualunque studente di essere sempre coinvolto nelle risse che scoppiavano all’interno dell’istituto. O magari era stato proprio lui a mandare Bert. Oddio. 
“Ah. No, così, per sapere. È un tipo strano. Non che Bert sia da meno, eh.” disse Adam.
“Non so più cosa pensare. Ma io non ho fatto niente per provocar-“
“Lo so.” la voce di Adam si accavallò alla sua.
Frank si mise a guardare frastornato fuori dalla finestra. Il sole stava calando e si era fatto quasi buio.
“Sarebbe meglio andare. Sai, il coprifuocoooo.” cantilenò Adam.
Uscirono dal bagno e Frank non potè fare a meno di continuare a camminare di fianco ad Adam. Quasi lo implorò di accompagnarlo fino alla sua camera.
Ormai ne era certo: si fidava di lui. E si sentiva protetto. Quindi nei corridoi avrebbe avuto assolutamente bisogno di una spalla per sfuggire alle occhiatacce derisorie degli altri studenti.





 

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Capitolo 5
*** L'ombra del cimitero ***


Angels

 L'ombra del cimitero

4.


Una volta vicino alla stanza 43, Frank esitò. C’erano lì davanti, probabilmente ad aspettarlo da un po’, Jamia e gli altri. Non voleva incontrarli. Soprattutto dopo essere scappato nonostante lo avessero difeso. Si sentiva in colpa e quello non sarebbe stato il momento giusto per parlare con qualcuno.

Decise di cambiare strada e di accelerare verso la porta più vicina che portava ad una rampa di scale esterna all’edificio.
Quella che percorse fu una camminata abbastanza lunga; senza nemmeno accorgersene arrivò quasi al margine del cortile. Oltrepassò quella che sembrava una vecchia chiesa in rovina e scese nella valletta sottostante.
Non c’era un effettivo motivo in particolare per cui si sentisse così intrigato da quel posto.
Sembrava proprio un vecchio cimitero. E le uniche luci erano quelle illuminate da alcuni lampioni quasi fulminati.
Questa zona era inselvatichita e l’erba per niente curata. Sedette vicino a una lapide. Ma non vi era alcuna iscrizione con nomi incisi sopra. Quindi doveva trattarsi di un semplice masso, pensò.
In quell’istante, tra immagini di cimitero e morti, si rese conto effettivamente che, oltre a non aver mai conosciuto suo padre e a non saperne nulla a riguardo, non sapeva nemmeno dove si trovasse la sua tomba. Non lo aveva mai salutato, nemmeno da morto.
Naturalmente era fortunato ad avere la madre, Linda. 
Non tutte le madri sarebbero state in grado di occuparsi di un figlio rimasto orfano di padre, senza avere qualche crollo emotivo o senza sbagliare in qualcosa. Perchè lei era sempre stata perfetta. 
Una folata di vento fece volare via il foglio delle lezioni dalla sua mano. Non poteva permettersi di perderlo, o avrebbe dovuto dire addio alla sua incolumità. Perchè ovviamente la vecchia scorbutica non gliene avrebbe procurato un altro.
Tese la mano per afferrarlo.
Si rialzò e lì, proprio difronte, lo vide.
Un uomo con un lungo mantello nero e il visto coperto dal cappuccio, stava a qualche passo da lui esanime.
A mala pena poteva sembrare che stesse respirando.
A Frank tremarono le gambe, e fu per istinto che chiese:” Chi sei?”
Quello non rispose.
C’era qualcosa di sinistro nel modo in cui stava fermo.
Poi fu tutto un silenzio quasi assordante e nettamente terrificante.

"Frank." la voce del professor Schechter risuonò vicina, e piombò in quell’assenza di suono.
“Cosa ci fai qui?” domandò preoccupato. In lui era riaffiorata la gentilezza che aveva conosciuto la prima volta.
Senza esitare, Frank si lasciò condurre dal suono acuto di quella voce e voltò la testa ritrovandosi difronte a Schechter. Ma subito dopo, quando ricondusse lo sguardo davanti a se, si accorse che erano rimasti soli.
L’uomo era scomparso. Ma come poteva essere possibile?
Di sicuro Brian lo aveva visto.
E se non fosse arrivato lui?
E se quello fosse stato un malintenzionato?
La paura era alimentata da domande senza risposte che pietrificavano la mente di Frank rendendone impossibile la comunicazione con il resto del mondo.

Raggiunse Frank e lo afferrò per un braccio. “Mi senti?” lo fissò, perfettamente immobile e nervoso.
“Lui era qui.” balbettò. La sua pelle fremeva di paura.
“Chi?” lo fulminò e ruotò leggermente la testa in cerca di questo ‘lui’.
La situazione stava diventando inquietante quanto la scena di un film dell’orrore.
Frank trasalì. “Non lo so, ma era qui e si nascondeva dietro un cappuccio.” insistette indifeso e spaventato.
Brian annuì.”Bene. Andiamo via di qui.”
Il più grande lo avvolse tra le sue braccia riscaldandolo, e si incamminarono verso l’entrata principale. Oltrepassarono la porta scorrevole e si diressero nella stanza di Schechter.

"Innanzitutto spiegami cosa ci facevi tu, lì, a quest’ora." lo interrogò, stilando una sfilza di domande, mentre gli porgeva una tazza fumante di the alle erbe.
“Io..stavo facendo una passeggiata..” farfugliò con voce tremante in un tentativo poco convincente di giustificarsi.
Fu di nuovo sopraffatto dalla paure, e diede un’occhiata alla finestra.
Non poteva affrontare le domande preoccupate del suo insegnante di storia. Non con le ciglia umide a causa delle lacrime che si dimenavano, sempre più insistenti, per uscire dai suoi occhi.
Questa giornata era stata un completo disastro dall’inzio, e l’unica cosa che gli andava di fare era dormire. E anche dimenticare.
“Tralasciando che, una persona normale quando vuole fare due passi non si trascina di sera fino ad un luogo lugubre come un cimitero.” quindi era un cimitero, aveva avuto ragione a pensarlo. “Sai che il coprifuoco è alle nove, vero Frank?” chiese alla fine, con voce bassa.
“Si lo so, mi scusi.” mormorò con aria innocente, mentre guardava con occhi socchiusi, per via della stanchezza, le dita della sua mano che reggevano la tazza di the.
“Chiuderò un occhio perchè è il tuo primo giorno ed è giusto che tu ti abitui a determinate regole.” concesse solennemente. “E poi se non sbaglio ti avevo già messo in punizione per qualcosa..” la voce si affievolì.
“Senti Frank, ora che siamo soli puoi essere sincero.” disse calmo, cercando i suoi occhi. “Tu non c’entri niente con la rissa avvenuta all’ora pranzo quest’oggi nella caffetteria. Non è così?” domandò sicuro di se.
Ma se lo sapeva allora perchè lo aveva punito?
Frank non rispose. Esitò. Infine si limitò ad annuire.
“Ne ero sicuro.” continuò con voce tranquilla. “So perchè non hai voluto parlare, e rispetto la tua decisione. Ma quelli come te non devono temere nessuno. Devi fare in modo che siano anche gli altri ad avere rispetto di te.” disse convincente. “Quindi credo che la punizione tu te la sia meritata ugualmente. Devi imparare ancora qualcosa ragazzo.” concluse alzandosi dalla sua sedia.
“Per quanto riguarda quell’uomo, ne riparleremo quando sarai più riposato.” si premurò di dire.
“Ora va’ a dormire dai. E ricordati.” si interruppe. “Domani. Alle cinque in punto. Nella caffetteria.” ribattè fermo.
“Grazie.” fu tutto quello che uscì dalla bocca di Frank.
“Di nulla. Sei qui affinchè io possa prendermi cura di te, ricordi?” 
Frank annuì privo di forze e lo salutò con un cenno di mano come fossero due vecchi amici.
Infondo tra loro due- ovviamente al di fuori delle attività scolastiche- si poteva dire che c’era confidenza ormai.

Frank camminava fiacco verso la sua stanza. Le spalle un po’ curve e gli occhi nocciola piantati a terra.
Guardò torvo verso la vetrata che mostrava da lontano il vecchio cimitero che quella sera aveva fatto da scenario al suo incontro raccapricciante.
Una sensazione d’orrore gli attraversò le viscere a quel ricordo.
Era ancora leggermente confuso, ma scosse la testa e concluse che non ne valesse la pena ripensarci. Finalmente avrebbe riposato. Cosa che desiderava fare da quella mattina durata un’infinità.
Si fermò davanti alla stanza che mostrava una targa in ottone incisa sopra. 43.
Sfilò la chiave dalla tasca il cui numero corrispondeva con quello sulla porta. La infilò nella serratura e con qualche difficoltà riuscì ad entrare nella sua stanza.
Era moderna come il resto dell’edificio.
Per essere una scuola che vanta secoli, l’arredamento è veramente attuale, pensò. Probabilmente sarà stato grazie alla ristrutturazione. Infatti quando si studiò attorno in cerca del letto e degli altri mobili, notò che molte delle cose che c’erano in quella stanza erano tutte nuove. Era come se non ci avesse albergato nessuno, prima di lui. Era tutto perfettamente intoccato. Almeno su questo poteva ritenersi fortunato. 
Si chiuse la porta alle spalle e fu allora che notò un bigliettino sul pavimento.
Era da parte di Jamia.

'Ti abbiamo aspettato per mezz'ora fuori la porta. Poi per fortuna abbiamo incontrato il professor Schechter. Così lo abbiamo informato che eri scomparso e lui è venuto subito a cercarti. Spero tu stia bene adesso e che non ti sia accaduto nulla di male. Ero preoccupata più che altro per Bert. Pensavo ti avesse trovato e ti avesse fatto qualcosa. Non farci prendere più questi infarti. Se ti va vieni nella mia stanza, la numero 34. Mi farebbe piacere vedere come stai e parlare un po'.
Jamia.’

Si era preoccupata per lui. Lo conosceva da un giorno e si era ‘fatta prendere un infarto’ per lui. Quella ragazza era davvero qualcosa di unico.
L’aveva abbandonata per tutto il resto del tempo dopo che si era presa una punizione per lui, eppure era stata così gentile.
Tra tutti, lei era l’unica ad averlo difeso con tutta se stessa fino alla fine. Lei, Bob e Ray.
Gli altri erano rimasti a guardare come un pubblico di deficienti.
E tra quelli c’era Gerard.
Gerard.
Il cuore gli pulsò forte e alcune lacrime gli risalirono a tradimento agli occhi. Piangeva di rabbia, umiliazione, imbarazzo… E che altro?
Perchè pensava a questo sconosciuto? Perchè la sua mente continuava ad inciampare in lui?
Perchè le lacrime erano arrivate proprio quando l’immagine di lui gli si ripresentò chiara alla mente mostrandone il viso arrogante che aveva conosciuto la prima volta?
Il battito era fortissimo e le ginocchia deboli. Le mani sudate. Era nervoso.
E poi pensò alle sue labbra sottili, quelle che lo facevano tremare per qualcosa di diverso dal nervosismo. Quelle che si erano allargate in un sorriso, o meglio in un ghigno, quando lo aveva mandato a farsi fottere con il terzo dito della mano in bella mostra davanti a mezza scuola.
La sua voce. Era uscita roca dalla sua bocca quando aveva parlato con Lynz e Jamia senza degnarlo di uno straccio di attenzione.
Quella voce fredda e sdegnosa, ma stranamente persuasiva.
E i suoi occhi.. Ci sarebbe annegato in quelle in iridi meravigliose.
Basta.
Adesso Jamia meritava che andasse da lei e le desse almeno una giustificazione sensata. Anche se non sapeva cosa avrebbe potuto dirle. 
Nonostante ciò e la stanchezza, sistemò le valigie sul letto e uscì.

Si avviò lungo il corridoio e si fermò poi davanti alla stanza numero 34 proprio come gli aveva indicato Jamia nel biglietto.
Bussò qualche colpetto leggero e mentre attendeva che gli venisse aperta la porta, si voltò in direzione del rumore meccanico prodotto dalla stanza accanto.
Ne emerse una figura familiare.
Il biondo che si trovava spesso in compagnia di Gerard.
Ray gli aveva detto che si chiamava Mikey, e che era suo fratello.
Era insieme a Lynz.
Lynz. Un’improvvisa ondata di odio lo avvolse risucchiando tutta la felicità che aveva provato fino ad un minuto prima pensando a Jamia e al fatto che stava per incontrarla.
E fatalità, proprio in quel momento Jamia apparse sull’uscio della porta. “Frank!” strillò buttandoglisi addosso con tutte le sue braccia mingherline. Le scappò anche un bacio. Sulla guancia ovviamente.
Ancora una volta, le farfalle tornarono a svolazzare libere nello stomaco altalenante di Frank.
“Jamia!” la salutò ricambiando pienamente l’abbraccio.
“Frank ero così preoccupata che..insomma, lo sai. Se sei qui è perchè hai trovato il biglietto.” arrossì.
“Mi dispiace essere scappato. Avrei dovuto avvisarvi che ero andato a fare due passi.” rispose Frank mordendosi il labbro inferiore.
“Non preoccuparti adesso.” rise nervosamente.”Ti va di venire in biblioteca con me? Devo finire una ricerca per domani e ho bisogno di aiuto. Sono disperata.” disse Jamia.”Ti prego.” lo implorò con tono supplichevole.
“Va bene.” Frank accettò nonostante si trovasse ad essere del tutto privo di voglia.
“Sai Frank, hai un’aria veramente fantastica in questo momento.” disse.
Frank aprì bocca, costernato, ma lei aveva ricominciato a parlare.
“Scusa, so di metterti a disag-“
“Sto benissimo.” finì lui al suo posto, mentre camminavano verso la biblioteca della Roswath. “Anche tu sei fantastica.”
Alzò lo sguardo e trovò quegli occhi dolci fissi nel suo viso.
Jamia, audace, gli prese la mano.
E fu questione di pochi secondi prima che incrociasse anche le sue dita con quelle di Frank.

La biblioteca era un luogo immenso.
Nella sua vecchia scuola gli studenti a mala pena potevano vantarne una. Qui, invece, si ritrovavano a godere di tutti i comfort possibili. Inclusa questa. C’erano dei tavoli in alcuni angoli della sala. Pareti di scaffali riempiti con ogni sorta di libro. Dal fantasy al classico. Anche l’odore era diverso. Non c’era più quello di muffa. E le vetrate erano oscurate così che la luce artificiale permettesse una lettura migliore.
“Dovrebbe essere di là.” indicò Jamia difronte a loro.
“Su cosa dobbiamo farla questa ricerca?” domandò Frank cercando di visualizzare ciò che aveva intorno.
“Un artista. Credo si chiamasse Pablo Picasso.” rispose. “Credo sarà meglio dividerci per trovare qui in giro qualcosa di decente su cui lavorare.” continuò.
Frank annuì.
“Ci vediamo al tavolo vicino al bancone tra cinque minuti. Se non trovi niente non fartene un problema.” sorrise strizzando l’occhio.
“Ricevuto.” le sorrise di rimando Frank.
Svoltò tra la fila di scaffali più vicina. Lì difronte c’era un’altra vetrata scura. E un tavolo. E seduto a quel tavolo c’era Gerard.
Era chino con la testa su un foglio, completamente concentrato in ciò a cui stava lavorando. 
Mai in vita sua Frank aveva osservato tanta passione brillare negli occhi di qualcuno.
I capelli neri accarezzavano la pallida superficie della sua pelle delicata e ne incorniciavano i lineamenti fini. La bocca sottile era tesa in un’espressione di applicazione invidiabile. 
Frank si era così preso nel contemplarlo che non si rese nemmeno conto di essersi spinto un po’ troppo oltre. Un po’ troppo vicino. 
Il cuore aveva preso a martellare ad una velocità sconosciuta, tanto che avrebbe potuto abbandonarlo da un momento all’altro. Non era una sensazione naturale quella che si stava insinuando tra le sue viscere. E provava un calore penetrante simile a quello di un fuoco ardente.
Gli dava le spalle. La sua giacca di pelle scura gli rendeva un aspetto tenebroso, eppure ipnotico. Si stava sentendo così avvolto…
“Cerchi qualcosa?” domandò Gerard freddamente. La sua voce roca gli penetrò dentro diffondendosi attraverso un ardito eco di scosse.
Frank sobbalzò. Arrossì mentre le sue gambe imploravano una sedia. Il panico gli stava costringendogli ogni vana scusa in bocca. “Io stavo cercando un libro..” rispose, accorgendosi solo adesso dell’ennesima figura da idiota che aveva ripetuto difronte a questo sconosciuto.
“Quelli sono gli scaffali.” indicò le pile di libri a qualche passo da loro. “Buona fortuna.” 
Ma Frank non si mosse. Quel fascino scolpito era troppo vincolante per permettergli di essere libero e di andarsene.
Lui se ne accorse. “Ho capito. Me ne vado io.” Gerard avvolse il suo disegno, lo mise nello zaino e si alzò per andarsene.
Non appena si mosse per divincolarsi, le loro spalle si toccarono.
Fu un soffio al cuore che provocò una lunga scia di brividi ad entrambi, e una sensazione di connessione li stordì.
Ci fu ancora un ultimo sguardo, confuso e stordito.
Finchè Gerard non riprese sfacciatamente a camminare in direzione dell’uscita più vicina.










Eii:)) Spero la storia stia intrigando almeno qualcuno ahah. Comunque ci terrei veramente a sapere cosa ne pensate. Tranquilli che Jamia non prenderà mai il posto di Gerard anche se sembra molto vicina al nostro Frankie. Ma non mi va di spoilerare. Quindi, non avendo altro da dire, mi ritiro a pensare al prossimo capitolo. Un saluto.

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Capitolo 6
*** Angelo custode ***


Angels

Angelo custode

5.



Frank si alzò più presto del solito quella mattina. 
Già, la punizione.

Era stata dura rimettersi in piedi dopo la sequenza di eventi spossanti che gli avevano scombussolato il suo primo giorno fino all’ultimo. Ma aveva dovuto.
Sentì la sveglia rimbombargli insistente nella testa, mentre era ancora preda del sonno profondo, rannicchiato comodamente nel suo letto caldo.
Entrò in bagno sentendosi ancora stordito. Lo specchio non rifletteva esattamente l’immagine riposata che avrebbe voluto. Aveva un viso pallido. Così si mise all’opera per ricomporsi come meglio poteva. Dopo essersi lavato e aver apportato qualche aggiustata ai capelli per renderli meno confusi, riuscì anche a districarsi completamente del sonno, liberandosi inoltre del mal di testa martellante di qualche ora prima, e oltrepassò la porta proseguendo lungo il corridoio.
L’aria che si respirava si addentrava fresca dalle finestre aperte. Il cielo era ancora oscurato per via dell’orario, ma mancava davvero poco all’alba, pensò.
Riflettè su quello che era stato il suo primo giorno alla Roswath.
Non era andato poi così male.
Se si considerava il numero di amici che aveva ricavato nell’arco di una mattinata. 
Certo, c’erano anche i nemici. 
Bert. Forse anche Lynz. 
Ma Lynz non era stata-almeno finora-un grosso problema, a parte civettare a destra e manca e infastidirlo con i suoi atteggiamenti da persona alquanto squallida e altamente falsa. Non la conosceva bene, ma poteva giurare di aver colto ogni sfumatura della sua personalità alla perfezione.
Per non dimenticarsi di tutta ‘la questione Gerard’ che lo ossessionava fino al midollo, e il fatto che Lynz gli si trovasse sempre appiccicata come un’irritante cozza.
Gerard poteva definirsi..un conoscente? Amico non lo era di sicuro. Nemico.. Nemmeno. Eppure Frank voleva comprenderlo in una di queste categorie. Voleva che fosse qualcuno. Perchè per lui, forse lo era già.

Ad interrompere i suoi pensieri fu di nuovo il paesaggio mattutino che ora gli era apparso completamente manifesto nell’immensa caffetteria deserta. L’affollata massa di studenti, il giorno prima, gli aveva sottratto alla vista quello sconfinato vetro che ricopriva il muro che si affacciava sul giardino. Adesso era lì, tutto per lui. E poteva osservare benissimo, nei minimi dettagli, il sole sorgere all’orizzonte. 
Subito un particolare gli corse alla mente. 
Era solo. Ancora non era arrivato nessuno. Nemmeno Jamia era lì a fargli compagnia. Guardò l’orologio. Indicava le 5 e venti minuti.

"È gratificante sapere che in questa scuola ci sia ancora qualcuno che rispetta gli orari." osservò sarcastico Schechter guardando Frank, dall’altra parte della sala, mentre si avvicinava senza perdere tempo. "Prendete esempio." disse.
Frank si voltò di scatto e rimase in silenzio per un istante. 
Dietro la figura del professore, emersero, in una passeggiata fiacca, Jamia, Mikey Way e altri due ragazzi sconosciuti.
Ma non erano tutti.
Infondo alla fila scorse un’ennesima anima infelice di quel mattino così giovane.
Gerard.
Era bellissimo nonostante avesse proprio l’aria di uno che è stato appena trascinato via dal letto con la forza.
Per tutto il corpo gli corse un brivido, accompagnato da un’imprevista esaltazione inspiegabile.
Gerard, però, camminava dritto a testa alta e senza degnare di uno straccio di attenzione i pochi presenti.
In quell’istante, Frank volle ferirlo, farlo stare tanto male quanto lo era stato lui da quando si erano incontrati.
Eppure sapeva, nel profondo, che non era così.
Era stanco di leggere nei suoi occhi un odio profondo nei suoi confronti.
Ma allo stesso tempo voleva stargli vicino. Pensare a lui.
Riusciva a malapena ad immaginare quale reato avesse potuto commettere per essere finito fra i puniti. Ed era curioso, si.
Schechter gli indicò il pavimento ai loro piedi. “Tu. Thomas. Inizia dal pavimento, fa schifo.” La gentilezza raffiorata in quell’uomo la sera precedente, ora si era nuovamente eclissata. 
Il ragazzo a cui aveva ordinato di ripulire il pavimento annuì e si mise all’opera, in cerca di uno straccio pulito e uno spazzolone utilizzabile. “E tu, Clark. Aiutalo.”si rivolse ad un altro. E quello fece come gli era stato detto.
Frank era ancora in coda, in attesa che gli venisse attribuita una noiosa mansione sperando non si trattasse di qualcosa di troppo faticoso-non aveva dormito molto e le forze in lui scarseggiavano-, e guardò con attenzione intorno a se per provare a ipotizzare da solo cosa aspettarsi.
“Per quanto riguarda voi” disse Schechter, lasciando scorrere lo sguardo rigido su ognuno di quelli che ancora erano senza un compito da svolgere. Indicò Jamia e Mikey.
“Nestor e Way Junior, voi pulirete i tavoli.” e poi aggiunse:
“Voi ultimi.”si riferì a Gerard e Frank.”Vi occuperete della cucina. Detto ciò, vi auguro buon lavoro.” disse, e avanzò a passi frettolosi verso l’uscita mentre digitava sullo schermo del suo iphone.
Gerard sbuffò seccato.
Jamia, invece, regalò a Frank uno dei suoi sorrisi accompagnato da un occhiolino. Allo stesso tempo, però, era anche delusa per non essere capitata in coppia con lui e gli mimò un “mi dispiace.”
“Invece di provarci con il nuovo arrivato, ti sarei grato se mi dessi una mano con questi.” borbottò Mikey, tirandole uno straccio addosso con poca eleganza.
“Voi Way siete tutti così stronzi o è un gene particolare che riguarda solo te e quella testa calda di tuo fratello?” domandò Jamia in tono provocatorio.
Mikey sorrise.”E tu, invece, ti cedi così facilmente a tutti i novellini o” indicò in un cenno della testa Frank con smorfia disprezzante.” Lui è un caso speciale?”
“Non sei divertente.” sbottò lei collerica. “E comunque Frank è davvero speciale.”
“Non era mia intenzione offenderlo milady.” Mikey si portò sfottente una mano sul petto come in segno di dispiacere. “Ora però, muovi quel bel culetto e aiutami qui.” e si affacciò per osservarle meglio il fondoschiena. Jamia se ne accorse e arrossì. “Piantala e iniziamo a lavorare perchè non ho tutto il giorno.”
“Agli ordini capo.”

Frank entrò in cucina e trovò Gerard già a lavoro.
“Oh sei arrivato finalmente.” si era accorto della sua presenza nonostante fosse voltato di spalle. “Io pulirò questa parte della cucina e tu la restante, così sarà più facile per entrambi e inoltre finiremo prima.”
Frank indugiò. “Hum, si okay.” rispose continuando a fissarlo.
Gerard, che si sentiva ancora lo sguardo di Frank puntatogli addosso, si girò verso di lui. “Hai intenzione di fare qualcosa, o resterai lì immobile fino alla fine della punizione?” domandò imperterrito.
“Il punto è che non so cosa devo fare. Non ho mai pulito una cucina e..” si interruppe. Gerard stava ridendo. Lo aveva fatto ridere. Lui era la causa di quella risata destabilizzante.
Per Frank fu un istinto puramente spontaneo, quello di rispondere con un sorriso compiaciuto.
“Non è un problema mio.” rispose infine Gerard rimettendosi a lavoro.
E ancora una volta, Gerard Way lo aveva spiazzato con il suo astio irruente.
Si morse il labbro e si avvicinò, marchiato della solita vergogna che lo attanagliava ogni qualvolta avesse a che fare con lui, al lavandino carico di piatti e bicchieri sporchi dalla sera precedente.
Trovò una spugna e del detersivo lì vicini. Un po’ impacciato all’inizio, lì utilizzò per insaponare e infine risciacquò il tutto.
Lo scroscio potente dell’acqua, che fuoriusciva dal rubinetto, risuonava come la cosa più interessante all’interno della cucina della Roswath.
Avevano raggiunto il limite. Quello che precede la pazzia. Frank era stanco. E la situazione era ridicola. Perchè doveva stare così male per lui? 
Era estenuante tutto quel desiderio ardente di arrivare a capire i suoi pensieri e i suoi comportamenti da maniaco dell’antipatia assoluta. All’inizio se ne pentì, ma subito dopo aver pronunciato quelle parole, gli rimase solo un meraviglioso senso di sollievo.
“Perchè mi odi?”

Gerard si fermò. Tornò a fissarlo. Passò un attimo prima che lui rispondesse. “Non ti odio.”
“Spiegami com’è possibile.” insistette Frank sull’orlo dell’esasperazione.
“Se ti odiassi, significherebbe che, di te, qualcosa me ne importa. Ma la verità è che io non provo assolutamente nulla.” rispose, puntando lo sguardo fermo sulle mattonelle sotto di loro.”Che si tratti di odio o qualsiasi altro sentimento.” e solo quando ebbe finito di parlare, lo rivolse, rigido, verso Frank. “E te lo dico perchè mi sembri un ragazzo sveglio: stai lontano da me.”
Quelle parole furono lama tagliente per il suo ventre infuocato dalla delusione.
Frank avrebbe preferito di gran lunga che il pavimento lo risucchiasse nel buio, che gli alieni arrivassero a prenderlo.. Di tutto, piuttosto che affrontare quegli occhi letali e quelle parole disprezzanti.
Dovette lottare raccogliendo quel poco che ne rimaneva della sua dignità-perchè Gerard gliel’aveva spazzata quasi tutta via, in meno di un giorno.
Così trattenne le lacrime che bruciavano sull’orlo dei suoi occhi e continuò a lavorare atteggiandosi a indifferente pur provando soltanto una cosa: dolore.

Passarono trenta minuti.
“Okay, io ho finito.” disse rapidamente Frank, sperando che lui potesse avvertire tutta l’acidità nel suo tono di voce. Come se avesse potuto ferirlo in qualche modo.
Ma ovviamente non ci fu nessuna risposta.

Ad un tratto, uno strano rumore improvviso proveniente da sopra le loro teste, echeggiò attirando così l’attenzione di entrambi.
Frank sollevò lentamente gli occhi.
In quel breve lasso di tempo non ebbe nemmeno la lucidità di coordinare i propri movimenti per indietreggiare, che il grosso lampadario della cucina aveva preso ad ondeggiare sopra di lui con più veemenza, quasi come fosse stato mosso dal vento ciclonico. 
Finchè anche l’ultima parte rimasta ancorata al tetto, non si staccò per precipitare in maniera gravosa.
Sentì delle braccia salde cingergli la vita e in quel momento capì di essere al sicuro. Perchè quelle braccia se lo portarono dietro attirandolo verso un altro corpo. Quelle braccia, quel corpo studiato alla perfezione ogni qualvolta ce lo avesse davanti, lo toccarono, lo strinsero delicatamente e soprattutto, gli salvarono la vita. 
Si sentì il rimbombo pesante di uno schianto e pezzi di vetro schizzare in frantumi. Mentre il cuore di Frank si ricomponeva lentamente e riprendeva a martellare come una furia. 
Quell’incidente sarebbe potuto essergli fatale, ma in quel caso Gerard fu per lui come un angelo custode.

Ansimavano entrambi affannosamente, l’uno incollato all’altro.
Il moro rallentò la presa fino a renderla inesistente.
Frank respirò ancora una volta ad occhi chiusi, deglutì e si voltò impulsivamente per incrociare ancora quelle iridi verdi e risolute.
Gerard palesava per la prima volta un’emozione che non fosse la totale assenza di umanità. Era spaventato. 
Si guardarono come non lo avevano mai fatto nelle ultime ventiquattro ore. Adesso, tra la quiete del silenzio, entrambi cercavano nell’altro una rassicurazione.
“Frank! Che diavolo è successo?” 
Jamia stava correndo verso di lui. “Ho sentito un rumore assordante e..” si interruppe nell’accorgersi dei cocci del lampadario scagliati per terra. “Oh mio dio.” si portò una mano sulla bocca spalancata.”State bene?”
Gerard distolse lo sguardo da quello di Frank. “Nessuna ferita, tranquilla.” 
Dopodiché se ne andò senza dire altro.
Frank rimase ad osservare la sua figura mentre si allontanava di schiena. 
Poi sentì delle nuove braccia, più esili, avvolgerlo.
“Sto bene.” la rassicurò tentando un sorriso forzato, mentre il suo stato d’animo era ancora sottosopra come l’aria che si respirava in quella stanza.
“Dio, mi sono così preoccupata quando ho visto quel maledetto affare per terra.” poggiò la sua fronte su quella di Frank e lui potè sentire il suo respiro caldo sfiorargli il viso delicatamente.
“Ma non mi sono fatto niente.” disse. Poi ripensò al suo angelo custode. “Per fortuna non ero solo.”
Si abbracciarono ancora.
Frank, con il mento sprofondato nell’incavo accogliente del collo di Jamia, scorse qualcuno sulla soglia della porta con un ghigno divertito e silenzioso disegnatogli sul volto.
Bert.







 

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Capitolo 7
*** Meccanismi sconosciuti ***


Angels

Meccanismi sconosciuti

6.





“È troppo chiedere di ricevere almeno un messaggio da parte tua?” esclamò Steve rimproverandolo.
“Scusa.” sorrise Frank dispiaciuto.”Giuro di non averne avuto il tempo.” sbuffò.
Gli sembrava passata una vita da quando si erano salutati a casa sua qualche giorno prima che lui partisse.
Tenne gli occhi fissi sul muro che aveva difronte, cercando di sembrare sereno come meglio poteva.
In realtà, se non fosse stato per Jamia e per gli altri, si sarebbe ribellato a quella nuova istituzione, pur di tornarsene a casa. Per non parlare delle norme assurde che vigilavano in quel posto dimenticato da Dio, e soprattutto dell’uniforme chiara che era costretto a indossare, perchè se c’era una cosa a cui Frank Iero teneva- non che fosse fissato come alcuni maniaci, chiariamoci- era proprio il look. Nessuno doveva dirgli come vestirsi. Spettava solo alla sua libertà espressiva e ai suoi gusti un po’ punk.
E poi era ferito. Si sentiva a disagio in mezzo a chiunque. Anche qui, camminando per i corridoi, c’erano occhi indiscreti a turbarlo. Si sentiva osservato, scrutato, giudicato per ogni movimento che compiva.
Provava rabbia e frustrazione, e non era da lui una cosa del genere. Era sempre stato un ragazzo calmo, senza problemi.
Trasferì l’attenzione su un albero di ciliegio che si intravedeva in lontananza dalla vetrata. Gli ricordò quello che coltivarono lui e Steve nel giardino di quest’ultimo quando avevano solo otto anni. 
Il chiacchiericcio delle ragazze nel corridoio copriva la voce dell’amico.
Passandosi le mani tra i capelli, calmò il respiro e si separò dai suoi ricordi, rientrando nella conversazione.
“Scusa.. non ho sentito, puoi ripetere?” domandò Frank, ancora un po’ assente.
“Ho chiesto: come sono le ragazze lì?”ripetè l’amico, con fare malizioso.
“Ah si.” rispose Frank calmo. “Ecco ci sarebbe-“
“Lo sapevo.” si sentì interrompere dall’altra parte, e risuonò chiaramente la sua risata rumorosa. “È bella? È bionda? Alta? Bassa? Voglio i dettagli.” 
Frank scoppiò in una fragorosa risata.”Calma. Una domanda alla volta.”
In effetti.. Cosa avrebbe potuto dirgli? Un secondo prima che lo bloccasse con il suo solito fare istintivo, Frank stava per parlargli di Jamia, descrivergli i suoi occhi, la sua dolcezza, la sua perfezione.
Voleva davvero sfogarsi con lui. Ne sentiva proprio il bisogno fisico. Desiderava raccontargli di quando aveva imboccato volontariamente il corridoio in cui si trovavano lei, Ray e Bob. Dell’espressione assorta che avevano indossato i suoi occhi nell’osservare con attenzione e nei dettagli quella ragazza così splendida. E lei, tra tutti quegli sconosciuti, si era-in un certo senso- presa cura di lui senza pensarci su due volte.
Ma poi si rese conto che, nella sua testa, le immagini di Jamia erano sfocate. Erano contaminate.
Quindi, per l’ennesima volta, ecco che due iridi verdi, una chioma corvina e un epidermide latteo lo traviarono. Sospirò pesantemente e in silenzio.
Alla fine si concesse di ripensare a lui. Ancora. 
Dio, era tutto così agglomerato dentro di lui. Era una sensazione diversa e nuova quella che lo sconvolgeva. 
La pelle bianca del ragazzo, che gli aveva sempre ricordato la purezza di un angelo, leggermente rosata sugli zigomi, gli accendeva le fiamme dell’inferno, e queste divampavano in lui senza controllo. Gli occhi smeraldini, così limpidi, di cui non ti stancheresti mai di delinearne i contorni tracciati con dolcezza ingannevole, erano allo stesso tempo assolutamente avvolgenti e devastanti, pensò.
Ma stranamente, la cosa che finora lo aveva colpito nel segno più di quanto non avesse già fatto tutto il resto di quel ragazzo, era stata la sua voce. Roca, sottometteva qualsiasi altro suono. 
Ci aveva pensato si e no sessanta volte, da quando l’aveva sentita. 
Era una di quelle che ti penetravano dentro e poi tutto iniziava a tremare follemente come la terra durante una scossa sismica.
Lui era il suo terremoto.
Ma che succede, pensò. La mente di Frank si opponeva, gli consigliava che fosse sbagliato, e che le cose non potessero stare veramente in questo modo scombinato.
Gerard non era simpatico o men che meno buono e gentile. Al contrario, era scortese, maleducato, presuntuoso. Quindi in quale strambo modo avrebbe mai potuto parlare bene di lui?

Solo che adesso la sua mente era dotata di incoerenza e impulsività, quindi gli capitava di elaborare riflessioni anche poco condivise da lui stesso e dalle circostanze. 
Ma non si trattava solo di una questione logica, constatò. 
Erano proprio tutti quei meccanismi sconosciuti che presiedevano dentro di lui, e che lo dirottavano verso sensazioni sconosciute, nuove, soltanto quando si ritrovavano ad avere a che fare con Gerard. 
Era tutto così dannatamente scombussolato, da quando lo aveva conosciuto. 
Che poi, non lo conosceva nemmeno-in teoria.
Si sentiva ostinato Frank, e non riusciva a racimolare nemmeno lui un motivo valido a tutta quella insana follia.
Quello che sapeva, era che se mai, anche solo in un’altra dimensione, si fosse ritrovato a stare vicino a Gerard, ad essergli amico, la gioia che avrebbe provato lo avrebbe sorpreso di sicuro.

"Okay, io ci rinuncio a parlare con te." si lamentò Steve dall’altra parte.
“Uh?” rispose istintivamente, sentendosi un pessimo amico ad essersi giocato quel poco di tempo che aveva trovato per chiamarlo.
“Ma si può sapere cosa ti prende? Non hai dormito stanotte?”
In effetti no.
“Ti chiedo scusa, possiamo sentirci un’altra volta?” mormorò, passandosi una mano sulla faccia.
“Certo, quando hai tempo, eh.” borbottò. “Non sia mai che ti disturbo, o peggio, ti faccio addormentare con i miei discorsi supernoiosi.” insistette. 
Frank rise. “Ciao Steve”
“Fatti sentire idiota.” rise anche lui.” Ciao.” rispose infine.

Ripose il telefono nel cesto,- perchè a quanto pareva, non solo l’uso dei cellulari era vietato durante le lezioni, ma non dovevano possederne uno nemmeno durante il loro tempo libero, e solo due volte a settimana potevano riaverlo- riprese a camminare nel corridoio, pur non sapendo dove andare o cosa fare.
Non aveva più lezioni. L’ultima era stata quella delle dodici.
La noia lo avrebbe divorato ben presto, conoscendosi.
Non che fosse un tipo da baldorie e festicciole, ma qualcosa da fare per divertirsi, con Steve, la trovavano sempre.
Qualunque cosa stesse per fare fu interrotta dall’apparizione di Jamia e Ray all’angolo del corridoio.
“Stavamo cercando giusto te!” esclamò Ray con un velo di eccitazione nel suo sguardo.
“Così lo spaventi.” intervenne Jamia sogghignando.
“Perchè mi cercavate?” domandò Frank confuso.
“Perchè sei bellissimo e questa sera ci sarà una festa.” disse la ragazza, tutta elettrizzata.
“Ti ricordi? Te ne avevo parlato ieri mattina.” intervenne Ray.
“E cosa c’entra questo con il fatto che sono bellissimo?” chiese Frank, poggiando un gomito alla parete in modo da trovarsi più vicino a Jamia. Stava chiaramente flirtando con lei.
Ray se ne accorse e si allontanò, un po’ imbarazzato, senza nemmeno sforzarsi di tirar fuori una scusa. Semplicemente mimò un “vi lascio soli” a cui nessuno dei due fece caso.
Jamia all’inizio sembrò sorpresa nel vedere tanto spirito di iniziativa da parte di Frank. Decise di stare al suo gioco.”C’entra perchè tu mi accompagnerai.” spiegò, usando una voce seducente e maliziosa.
“Dimmi solo per che ora.” rispose velocemente, mantenendo gli occhi fissi su di lei.
“Per le 9 e mezza. Mezz’ora dopo il c-“
“-oprifuoco.” completò Frank. 
La tensione aumentava.
“Questa volta sarà diverso. Sarà più divertente. Perchè non sarà una ‘festicciola’ tra pochi intimi. Ci sarà tutta la scuola e la definiscono come ‘una cosa pazzesca’. Ma ne dubito, visto che non potremo fare molto rumore o ci scoprirebbero subito.” continuò a parlare lei.
Lui la osservava senza dire niente.
Jamia si scostò infine da Frank, gli lanciò un breve occhialino provocatorio e aggiunse: “Bene. Allora a stasera.” 
Frank rimase con la schiena poggiata alla parete e un sorriso sognante stampato sulla faccia, mentre guardava la figura di lei rimpicciolirsi in lontananza.
E anche in un momento come questo, invece di esaltarsi per quella che a breve sarebbe sicuramente diventata la sua ragazza, non potè impedirsi di pensare che, in effetti, ‘tutta la scuola’ significava proprio ‘tutta la scuola’.
Quindi la sua felicità si trasformò all’istante nell’eccitazione di avere Gerard a pochi passi da lui, nella stessa stanza, per tutta la sera. Sentì un brivido affiorargli lungo la schiena.

"Sei tra noi?" 
Una voce arrestò già in partenza quelli che sarebbero diventati dei veri e propri monologhi interiori. Tutti ovviamente e indiscutibilmente incentrati intorno ad un’unica persona. E questa persona aveva dei capelli neri e una sensualità innata.
“Ehy, Adam.” lo salutò sbattendo le palpebre, come si stesse risvegliando dal sonno.
“Scusa. Ehm, ti ho disturbato?” disse a voce bassa, alzando semplicemente le spalle.
“No, figurati.” rispose “Tutt’altro.”
Frank pensò che in realtà Adam fosse arrivato proprio al momento giusto. O chissà che fine avrebbe fatto la sua eterosessualità, pensò. E diamine, non ci aveva mai pensato finora.
Cioè non ne aveva mai fatta una questione di..’gusti’. Non in quel senso.
Non poteva negare certo, che Gerard fosse un ragazzo bellissimo. Ma fino a quel punto..nono! Spazzò via tutte quelle insolite domande, ancor prima che spuntassero nella sua testa.
“Allora” disse, rivolgendosi ad Adam, determinato a cambiare argomento.”Chi porterai stasera alla festa?”
“Alla festa? Quale-“
“Come, non te l’hanno ancora detto? Si, in effetti anche io l’ho saputo poco-“
“No Frank. Non è questo il punto.” lo interruppe bruscamente. “Scusa.” disse alla fine.
Frank esitò. “Non sei mai stato invitato a nessuna delle loro feste. Non è vero?” Sembrava un po’ sorpreso, ma non impressionato.
“Già.” disse Adam, guardandosi la punta dei piedi come si trattasse veramente di qualcosa che poteva destare interessante. 
“Ma stasera verrai? Ci sono io. Ti invito io. Vieni.” propose Frank vivacemente.
“No..non mi va grazie.” rispose timido.
Frank aveva un’aria martoriata.”Perchè no?” chiese.
“Perchè non saprei come comportarmi..mi sentirei a disagio, di troppo..” farfugliò.
“Beh, meglio. Almeno saremo in due.” concesse solennemente.
Adam inspirò pensieroso e rispose a bassa voce:”Okay.”
L’altro sorrise e gli diede un occhiata maliziosa. “Magari stasera INCONTRI anche la ragazza giusta per te.”
“Ne dubito.” mormorò Adam. “E tu Frank,” riprese a parlare con la stessa vivacità di poco prima. “Hai già la ragazza? Ho notato che ti illumini quando parli con Jamia Nestor.” proseguì facendogli l’occhiolino. “È bella.” 
Frank non rispose. Si irrigidì improvvisamente. Si inumidì le labbra e rise seccamente. “Ci hai spiati?” protestò con aria diverita.
“Non lo definirei in questo modo. Ero nelle vicinanze e vi ho visti parlare. Tutto qui. E tu ci stavi decisamente provando.” 
Tra una risata e una battuta, lo sguardo di Frank capitò per caso sul cimitero fuori, e il suo cuore prese a battere più rapidamente. Era diverso da tutto il resto dell’edificio. Era antico e contrastava con la modernità della scuola. Aveva un aspetto desolato e rovinato. Intorno alle mura vi crescevano erbacce ingiallite e il materiale era sgretolato. 
La paura lo attanagliò per un attimo, quando ricordò dell’incontro che aveva avuto, il giorno prima, con l’uomo incappucciato di nero.
“Cosa guardi?” gli chiese Adam.
“Oh, niente.” Frank distolse subito lo sguardo, tentando un sorriso forzato per rassicurare l’amico.
“Okay.” 
Si rese conto solo ora che quel giorno era stato completamente assente con chiunque. Era troppo immerso nei suoi pensieri. Ma soprattutto si distraeva con estrema facilità. 
Beh, eccetto con Jamia. 
Con lei non aveva osato perdersi un secondo della conversazione.
Alle spalle di Adam entrò Gerard.
È bellissimo, pensò.
E non ebbe il tempo di pentirsi e di cominciare a porsi domande sul commento che aveva appena fatto, che qualcosa di più interessante stava accadendo a qualche passo da loro.
Anche Adam se ne accorse e si voltò, incuriosito dalle voci urlanti.
“Non puoi lasciarmi, hai capito? Nessuno può permettersi di farlo. Sono io che mollo i ragazzi.” strillò la bionda che avvicinandosi, percorrendo la scia di Gerard, si rivelò essere Lynz.
Lui non la degnava di uno sguardo.
Che insensibile, pensò Frank.
“Lynz.” si voltò alla fine Gerard parlando in tono solenne. “È finita.” 
Lynz rimase indietro, con le mani sul viso, nel tentativo di coprire il suo pianto, provocando in Frank una sensazione di fastidio, perchè risultava falsa anche quando piangeva.
Mentre Gerard, dopo averla liquidata ‘molto dolcemente’, raggiunse Mikey e altri ragazzi del loro gruppetto.
E Frank potè giurare- oh se potè giurare!- di aver visto Gerard, nel momento in cui gli passò davanti, fargli l’occhiolino.






 

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Capitolo 8
*** Salvato attraverso i tuoi occhi ***


 Angels

Salvato attraverso i tuoi occhi

7.




Attraverso le porte aperte dell’auditorium si sentiva la musica. Per fortuna era situato all’esterno dell’edificio, o i professori con tutto quel casino assordante si sarebbero svegliati, li avrebbero scoperti e avrebbero potuto dire addio anche alla loro serata.
Camminando, Frank prese per mano Jamia che immediatamente si voltò a guardarlo, e gli sorrise.
In quel momento provò una sensazione di sicurezza.
Dietro di loro si sentivano chiaramente Ray e Bob che assillavano il povero Adam con i loro discorsi amletici su ‘affari da nerd’.
Frank trovava bizzarro che due ragazzi come loro fossero single e non si interessassero minimamente di fare qualcosa per migliorare la loro vita sentimentale.
Erano anche simpatici, quindi se si fossero messi d’impegno avrebbero sicuramente fatto colpo.
Ma pensò che non fosse un problema suo. 
Ed era questo che non capiva. 
Stava per andare ad una festa, insieme a Jamia, quindi perchè si stava scervellando riguardo alla situazione di altre persone? Doveva rilassarsi.
In effetti era un po’ agitato. 
“Frank stai bene?”, Jamia sussurrò. La luna illuminava il suo dolce viso, e l’erba era umida sotto ai loro piedi perchè quel pomeriggio aveva piovuto, quindi ogni tanto dovevano prestare attenzione alle pozzanghere e alle fanghiglie varie.
Non che quella sera fosse vestito in modo particolarmente elegante. Anzi, aveva indossato la prima cosa trovata appena aperta la sua valigia disordinata. Un pantalone nero e una camicia bianca. E il vestito di Jamia era corto, stretto sulla sua vita esile, e ricadeva a pieghe dai fianchi. Era bellissima.
Ma non ci teneva molto ad arrivare all’auditorium sporco di fango. Inoltre doveva fare da cavaliere alla sua dama, quindi doveva premurarsi che anche lei arrivasse salva e pulita.
Con il tono sicuro di sè, Frank rispose:”Sto bene. Perchè non dovrei?”
‘Adesso calmati.’ ripetè a se stesso, lieto che Jamia gli avesse concesso un sorriso, nonostante percepisse una certa titubanza da parte sua.
E a lei bastava uno sguardo per conoscerlo alla perfezione. 
O forse, cosa più probabile, la sua espressione cupa era così chiara quella sera, che anche uno sconosciuto avrebbe potuto porgli la stessa domanda.
“No, niente.” disse infine lei, e gli fece l’occhiolino, stringendo di più la sua mano.
Questo gesto fece sì che una valvola scattasse nella sua testa, e che azionasse il ricordo di quello che era successo qualche ora prima.
Era stato divertente, pensò. Ci aveva riflettuto su parecchio- ovviamente.
Gerard gli aveva fatto l’occhiolino. A lui.
Aveva esaminato ogni spiegazione plausibile a riguardo. Per prima cosa, considerò l’ipotesi che dietro di lui ci fosse una ragazza- magari era proprio quella per cui aveva lasciato Lynz- e che avesse indirizzato a lei quel gesto. Oppure aveva un tic. Poi però si rese conto che Gerard era troppo perfetto, per avere difetti come uno stupido tic.
Sembrava sempre così imperturbabile e anche un po’ insensibile, ma era affascinante ugualmente.
Frank riflettè su questo.
Finora aveva attribuito la perfezione soltanto a una persona, Jamia. Mentre la bellezza, beh quella anche a Gerard, sin dal primo momento.
“Ci siamo.” si intromise una voce nella sua testa. Si rivelò essere quella di Jamia. Oh, non l’aveva riconosciuta. 
“Jamia.” disse lui lentamente. “Sai se Gerard ha lasciato Lynz per un’altra?” la fissò intensamente, sperando che non gli domandasse ulteriori spiegazioni a causa della sua improvvisa curiosità nei confronti dei problemi di quella coppia.
Ma Jamia doveva saperlo sicuramente, dato che era amica di Lynz.
“Perchè me lo chiedi?” chiese lei con tono sorpreso.
E questa domanda arrivò dritta alla mente di Frank per due volte di seguito. Una era da parte di Jamia, l’altra da parte del suo alter ego.
Non lo so, pensò. 
Era stata una cosa assolutamente spontanea. Era stato troppo impulsivo. Ma era curioso.
“No, così.” disse con un’espressione strana sul volto.
Jamia lo osservò per un momento, poi chiuse gli occhi incredula e scosse la testa. “Comunque non lo so.” disse infine.
Entrarono nell’auditorium e non era esattamente come se l’era aspettato.
Non c’erano palloncini colorati, decorazioni, luci soffuse. Era semplice, e c’era solo un tavolo per il buffè e lo stereo con le casse a volume medio.
In effetti, sperduti in quella scuola, senza SOLDI, come avrebbero potuto organizzare una festa degna di tale nome? E poi, non era nemmeno un’occasione particolare. Capitavano spesso eventi del genere, e non potevano allestire ogni volta alla perfezione.
In lontananza intravide Mikey Way. La sua pelle era chiara come quella del fratello, e anche il sorriso era sfacciato come il suo.
Nonostante tutto, era un bel ragazzo anche lui, e il suo viso lungo e spigoloso gli concedeva un’aria sexy che accalappiava facilmente le ragazze. E anche lui indossava pantaloni neri attillati e un inconfondibile giacca di pelle altrettanto nera.
Stava fermo vicino allo stereo e al palco, probabilmente era il dj della festa. Inoltre stava sussurrando qualcosa all’orecchio di Lynz che non si scollava da lui nemmeno per un secondo. Quella ragazza era veramente appiccicosa, oltre che fastidiosa.
Un momento. Non era la prima volta che vedeva quei due insieme e la situazione-non si sa per quale motivo- non lo sorprendeva. Anzi, gli faceva riflettere. 
Oh. Frank ritirò all’istante quel pensiero, perchè non poteva assolutamente essere che Lynz avesse fatto le corna a Gerard con Mikey. Cioè, giusto ieri-proprio dopo avergli presumibilmente fatto l’occhiolino- Gerard aveva proseguito a camminare tranquillamente in compagnia di suo fratello.

"È qui la festa?" cantilenò Ray nel momento in cui entrarono in quel turbinante vortice di gente affollata.
Si sentirono schiamazzi provenire sia dal tavolo dei rinfreschi che da altri lati della pista. 
Ma non c’erano tutti. Infatti molti studenti si erano trattenuti all’uscita per fumarsi una sigaretta. Oppure c’era chi limonava in qualche angolo della sala scoperto, senza pudore.
E la playlist era ancora in fase di elaborazione. Mikey esaminava il cd senza lasciar scorrere le canzoni, ma interrompendole non appena ne trovava una carina. Era tutto molto improvvisato in effetti.
“Allora Frank? Non mi inviti a ballare?” protestò Jamia debolmente.
Frank deglutì a fatica. “Ma non c’è nessuno in pista.”
“E quindi?” balzò lei divertita. “Vorrà dire che la inaugureremo io e te.” lo prese per mano e lo trascinò verso il centro della sala iniziando a scuotersi e beh..a strusciarsi su di lui. Ma sempre con quel tocco di eleganza e purezza che la distingueva. 
E poi li vide. I capelli corvini non si confondevano tra la folla di alcolizzati dietro la sua compagna di ballo. No, erano facilmente distinguibili. E dopo, sotto la luce al neon, brillarono anche i suoi occhi verdi. Verdi come le foglie d’estate. 
Proprio in quel momento la pista si riempì e lentamente la sua figura iniziò ad essere meno distinguibile. Presto infatti, tra l’ondata di gente che si accalcava difronte a lui, divenne difficile vedere anche solo la superficie dei capelli di Gerard.
Proseguì il ballo, improvvisando passi che sicuramente non potevano definirsi tali, in cui per di più fingeva di divertirsi. Ma la sua testa adesso si trovava altrove. Così i passi divennero scoordinati e Jamia se ne accorse. “Però, te la cavi proprio male.” sogghignò Jamia dolcemente. “Se avessi soltanto sospettato che mi avresti fatto fare brutta figura, non ti avrei obbligato a ballare.” 
“Io lo sapevo, ma tu non mi hai dato ascolto.” disse, fissando ancora davanti a sè.
Jamia seguì il suo sguardo. “Cosa c’è?”
“Niente,” rispose. “tranquilla.” sorrise.
Mikey Way prese un microfono e slittò sul palco incoraggiato da un turbine di applausi.
“Grazie, grazie.” disse carico di esaltazione. “Vi ringrazio di essere venuti. Come sapete, questa sera è speciale. Abbiamo deciso di festeggiare tutti insieme, perchè d’altronde siamo tutti amici, no?” continuò, gli occhi pieni di malizia.
Qualcuno urlava qualcosa di incomprensibile tra il pubblico. Tipo “sei grande”, “bravo”.
Dopo averli ringraziati ancora, proseguì:”A noi” brindò. “E alla tregua.” concluse.
Frank aggrottò la fronte, mentre le sue braccia cingevano ancora la vita di Jamia.”Alla tregua?”
Lei esitò improvvisamente paonazza in volto. “Niente di che, le solite sciocchezze tra gli idioti più popolari.” disse scuotendo la testa.
Mikey riprese a parlare. “Adesso vi prego di fare un applauso per mio fratello. Dai Gee, facci sentire come canti.” disse, cercandolo tra la folla.
‘Gee’, pensò Frank. Suonava dolce come nomignolo.
Gerard si avvicinò al palco senza salirci e mimò un “non se ne parla nemmeno.” al fratello.
“Oookay.” Mikey fece il broncio. “Chi altri si vuole cimentare al posto di questo fifone di mio fratello?”
Frank notò che a pochi metri da loro, Adam stava flirtando con una ragazza molto carina. Era felice per lui.
Ma quando vide Gerard allontanarsi, si liquidò garbatamente da Jamia, e si precipitò verso l’uscita.
Fuori si era alzato il vento, e se le previsioni erano esatte, quella notte avrebbe piovuto di nuovo.

Continuò a camminare in cerca di una sola persona. Erano scomparsi tutti, nemmeno i fumatori erano rimasti fuori. Erano tutti dentro tranne loro due.
Si guardò attorno e tese l’orecchio per assicurarsi che non ci fosse nessuno. Per un momento pensò di aver udito un fruscio proveniente da un punto impreciso, ma poco lontano da lui. Si voltò e osservò per parecchi secondi.
Niente.

"Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro, l’altra volta alla mensa." 
Si era sbagliato prima. Erano tutti dentro tranne Bert.
Sussultò quando si ritrovò quell’omone davanti. E questa volta erano soli.
“Ti prego, non farmi del male..” iniziò a supplicarlo Frank, indietreggiando. “Non voglio litigare, farò tutto quello che vuoi.” continuò a parlare lentamente e a bassa voce.
“Vattene da questa scuola.” lo intimò Bert, muovendo un altro passo sinistro verso di lui. “Non hai sentito, frocio?” sputò ghignandogli sempre più vicino. “Ti ho detto di andartene.” e a quel punto portò le sue grosse mani sul petto di Frank spingendolo e costringendolo a cadere di schiena sull’erba umida.
D’istinto Frank si coprì il viso per attutire il pugno che si aspettava, ma qualcosa bloccò il suo aggressore.
“Va’ via Bert.” 
Quella voce..
Gerard aveva in mano il pugno di Bert e lo stava intimando a non proseguire quello che aveva iniziato, con un’aria decisa e minacciosa che lampeggiava nei suoi occhi verdi come fossero fari.
Frank lo guardò colpito di sorpresa. 
Bert grugnì e si liberò dalla stretta salda di Gerard. “Non finisce qui.” disse, poco prima di andarsene.
Gerard gli aveva salvato la vita per la seconda volta.
Gli tese una mano per aiutarlo ad alzarsi. Frank la afferrò senza esitare. 
Ma subito dopo che si rimise in piedi, Gerard allontanò in fretta la mano per impedirgli di toccarlo ancora. Allo stesso tempo, distrattamente gli si fece più vicino, e proprio dietro di Frank si ergeva il lungo fusto di un albero di melo. Guardò sconcertato la vicinanza che si era venuta a creare tra di loro. 
“Mi spieghi come ti è saltato in mente di andare a provocare proprio Bert?” disse Gerard, adirato.
Frank, un attimo prima perso negli occhi vitrei di lui, si riprese e aggrottò la fronte. “Non capisco cos’abbia di speciale questo Bert, ma sono sicuro di non aver iniziato io.” disse, accorgendosi che stava tremando. D’un tratto la sua voce ritornò ad essere più decisa. “E sinceramente sono confuso dal tuo atteggiamento nei miei confronti.” 
Gerard gli lanciò uno sguardo interrogativo. “Cosa vorresti dire?” chiese bruscamente.
“Prima mi mandi a fanculo senza motivo, poi mi ignori e mi fai capire chiaramente che ti sto sulle palle. Dopo però mi salvi dalla morte certa. E adesso mi difendi anche da Bert.” esplose inaspettatamente. La sua voce era ancora controllata, ma gli costava fatica mantenerla ferma. “Non ha senso.”
Gerard rimase in silenzio. Lanciò un occhiata indecisa alle porte dell'auditorium.
“Tu non sai..” 
“Cosa?” replicò Frank, sorpreso di quella risposta. “Cosa non so?”
“Senti," fece un sorriso storto, mentre per la prima volta appariva come a corto di parole. “In questi ultimi cinque minuti ho già fatto e detto abbastanza.” disse alla fine, scrollando il capo. Era freddo, distante..ma c’era qualcosa che lo turbava a suo malgrado, e che forse voleva dirgli. Non erano risposte da dare, quelle.
“Invece non hai detto niente. Ti prego parla.” fu tutto ciò che disse Frank, abbozzando un mezzo sorriso di incoraggiamento.
D'un tratto, sembrava che il nero della notte avesse preso il posto del verde foglia nelle iridi di Gerard. “Smettila di fare così.” disse cauto, persistendo a guardarlo in quel modo..
“Così come?” 
“Non voglio che mi guardi negli occhi.” 
Rimasero qualche istante in silenzio. Frank era sorpreso. Scosse lentamente la testa e pensò che tutto ciò non avesse senso. “Non ci riesco.” mormorò.
Frank emise un sospiro tremante e ce la mise davvero tutta, per convincere se stesso a non crollare in un pianto indesiderato e del tutto fuoriluogo. C’era qualcosa che si sentiva di diverso dal resto delle volte in cui lo aveva guardato, forse perchè non erano mai stati ad un palmo di distanza l'uno dall'altro. La sensazione non gli dava più tregua, ma anzi, aumentava. Gli chiedeva di fare qualcosa, ma Frank non sapeva cosa fosse.
Gerard si scostò poco da lui, bruscamente. Non potè frenarsi dall'ammirarlo un'ultima volta. Dopo d che si dissolse davanti ai suoi occhi in direzione dell’entrata della scuola.
Gli costò un grosso sforzo, non corrergli dietro. Così decise di tornare alla festa dove Jamia stava sicuramente chiedendo di lui, e si incamminò ripensando a tutto quello che gli era capitato.








Ei. Eccomi ancora. Sono perseversante, lo so. Non scrivo quasi mai sotto ai capitoli, ma ogni tanto ci provo. Non so cosa dire, a parte che Gerard è frocio marcio e non vede l'ora che io scriva qualcosa di più omg su di lui e Frank. Non vi preoccupate, arriveremo anche a quello. Finora Frankie è confuso, poverino, ma presto capirà tante cose. E niente, se vi va fatemi sapere se faccio schifo oppure no, se Gerard è più gay di Frank, se Frank è più gay di Gerard, quello che vi pare. Alla prossima xoxo.
 

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Capitolo 9
*** Impotente ***


Angels

Impotente

8.



Al termine della festa, Frank era andato a letto stordito per via del volume alto delle casse, e ancora scosso per colpa dello scontro che aveva -quasi- avuto con Bert. 
Da una parte temeva che avrebbe potuto continuare a vessarlo senza tregua, ma dall’altra si sentiva sorprendentemente protetto. Come se nessuno avrebbe potuto torcergli un capello, nemmeno volendolo.
Dentro di lui piantava radici un qualcosa di nuovo. Una nuova sensazione, una nuova forza che sentiva di poter devastare tutto il resto intorno a se. Era invincibile. 
Non sapeva di cosa si trattasse, o perchè fosse in questo modo.
Ma nonostante le sue domande non trovassero una risposta per lo meno certa, tutti i suoi dubbi svanirono come spinti da un leggero soffio di vento.
Eppure ciò che provava non era cosa lieve. Si trattava di qualcosa di quasi dolente, che lo scuoteva attraverso ogni organo.
Ma tutto ciò non lo spaventava, anzi, era meravigliosamente piacevole.

Frank percorse il corridoio finchè non si ritrovò davanti al suo armadietto. Dopo averlo chiuso, si diresse all’uscita principale dove appoggiato ad un muretto, scorse Adam.
Si avvicinò a lui tra le foglie cadute a terra, il completo silenzio e l’acqua piovana ancora fresca.
“Ha piovuto molto stanotte.” disse.
Si passò le mani tra i capelli e sorrise.
“Magari fosse stata soltanto la pioggia. Io non ho chiuso occhio per i tuoni.” precisò Adam.
“In effetti..” valutò pensieroso. “A proposito, ieri ti sei divertito alla fine?”
Improvvisamente gli occhi di Adam lumeggiarono come fari. “Ohh ci puoi giurare. È stato fantastico, e ho anche stretto amicizia con questa ragazza bellissima che si chiama Alice ed è solo un anno più piccola di me.” fece il resoconto.
“Credo di meritarmi qualcosa a questo punto.” si gongolò Frank.
Adam arrossì.”Oh, grazie.” disse.
Frank scoppiò in una fragorosa risata. “Stavo scherzando. Non devi ringraziarmi.” 
“Comunque ieri non ti ho visto più per un po’. Dove sei stato?”
Improvvisamente nella sua mente riecheggiarono fin troppo chiare le parole di Gerard. “Non voglio che mi guardi negli occhi”.
Glielo aveva detto con un tono di serietà capace di incutere timore, e allo stesso tempo qualcosa di lui era riuscito a scalfirgli l’anima, quasi come fosse stata avvolta da un velo sottile.
“Faceva caldo, e il volume era troppo alto per me. Così quando ha iniziato a farmi male la testa sono uscito per prendere una boccata d’aria. Ma nulla di che.” mentì fingendo un’espressione sicura di se.
“Capisco..”
Per qualche secondo regnò il silenzio assoluto.
“Frank, tu credi di non poterti fidare di me?” domandò all’improvviso Adam.
L’altro sbiancò. “Perchè me lo chiedi?”
“Forse perchè alla festa io avevo veramente bisogno di prendere una boccata d’aria, e quando sono uscito fuori, ho visto Bert sul punto di ucciderti. Poi per fortuna in quel momento è passato Gerard Way e allora gli ho chiesto di intervenire, perchè se lo avessi fatto io, saremmo sicuramente morti entrambi.” si mise a ridere nella parte finale.
A quel punto Frank si sentì libero di lasciarsi andare. “Scusa.” disse soltanto.
“Non hai bisogno di chiedermi scusa. È che vorrei farti capire che di me puoi fidarti.” spiegò come fosse scontato.
E in quel momento Frank capì che sarebbe stato inutile opporre resistenza. Le parole risalivano, impazienti, bisognose di essere ascoltate. Era un impulso troppo opprimente e difficilmente controllato, quello. Non avrebbe perso nulla a sfogarsi con un amico, pensò.
“Non lo so Adam. Non so nemmeno io perchè Bert ce l’abbia con me. E ci sono altre cose che non ho detto a nessuno finora.”
“Se ne hai voglia..puoi dirmele.” parlò calmo e a bassa voce.
Frank annuì deciso. “Si, voglio parlartene. Solo, non qui.” disse, riferendosi ad alcuni ragazzi, artefici di occhiate ben poco amichevoli. “Spostiamoci dentro.”

Quando furono in un punto in cui almeno per ora, non c’era nessun altro a parte loro, Frank riprese a parlare.
“Mi sono successe cose..strane da quando sono arrivato qui.” cominciò, studiandosi intorno, ancora incerto. “Come saprai, Bert e io abbiamo avuto uno scontro sin dal primo giorno, per ancora non so bene quale motivo.”
“Si, me lo ricordo. È stato quando ci siamo conosciuti.”
“Esatto. E durante la punizione, quando avevo finito di ripulire la cucina e stavo per andarmene, il lampadario ha ceduto e per poco non mi precipitava addosso uccidendomi.”
Adam si portò una mano alla bocca, non perchè fosse stupito, ma semplicemente era senza parole. “Oh Dio, so anche questo. Me lo aveva raccontato Jamia. Ti sei salvato per miracolo.”
Già, e quel miracolo si chiamava Gerard, pensò. 
Frank si morse il labbro inferiore, poi continuò:”Ed è qui che entra in gioco Bert, perchè io l’ho visto. Lui era lì quando è successo.”
“Oddio..”
“E c’è un’altra cosa che non mi spiego.”
Adam spalancò gli occhi, questa volta sorpreso. “Ancora? Cosa?”
“Ecco..è una storia lunga, ma si insomma, ero finito al cimitero-non nel senso letterale- e mi è apparso davanti un uomo incappucciato di nero. Per poco non mi veniva un infarto. Ancora adesso se ci penso mi si gelano le ossa. Era inquietante.” scosse leggermente la testa, ricordandosi di quella scena. “Non ho la ben che minima idea di chi fosse, ma credo di sospettarlo.” proseguì.
“Fammi indovinare. Bert?” chiese Adam come fosse certo.
Frank annuì.

La voce al megafono iniziò a parlare, fastidiosa come sempre, diffondendosi per tutto l’istituto e i cortili:”Attenzione, tra quindici minuti ognuno di voi dovrà presentarsi in palestra per l’allenamento e la prova settimanale di competenza fisica.”
“Non ci posso credere.” valutò Adam, ancora concentrato a pensare e a fissare un punto impreciso sulla maglietta di Frank.
“Nemmeno io. Ma per ora dovremo mettere da parte la questione, perchè a quanto pare ci aspettano.” valutò, mentre infilava le mani nelle tasche dei jeans.
“Che palle.” sbuffò Adam. “Comunque non finisce qui. Andremo in fondo alla questione, te lo assicuro.” disse con una voce confortante che riuscì a convincere una volta per tutte Frank, che Adam fosse un ragazzo fantastico e che si sarebbe fidato ciecamente di lui d’ora in poi.

Arrivarono in palestra. 
Era circondata quasi completamente da spalti e panchine, e c’erano delle corsie poste fra di loro che portavano alla parte superiore dove si trovavano gli spogliatoi e i bagni.
C’era inoltre una piscina al coperto che si trovava nella struttura adiacente alla palestra, e come aveva detto Adam, era spesso utilizzata dagli studenti più atletici per le gare di trampolino.
Frank sperò vivamente di non rientrare in quella categoria di ragazzi, perchè se c’era una cosa in cui sentiva particolarmente negato, era proprio il nuoto.
“Frank Iero.”chiamò il professor Khan, mentre proseguiva con l’appello.
“Presente.” disse, e si spostò insieme agli altri verso il campo da football.
“Quanto puoi correre veloce?” gli domandò Adam.
“Cosa?” si sentì colto alla sprovvista. In effetti, Frank non era soltanto un pessimo nuotatore, ma era proprio lo sport in generale a non andargli a genio.
Era un ragazzo di corporatura media, e non era nemmeno molto alto, anzi, era basso.
Adam si lasciò scappare un cenno debole di sorriso. “Dai, non ti ho mica chiesto se sai volare.”
“Si, so correre..ma..non sono esattamente una persona atletica.” la sua espressione faceva intendere che non avesse la minima intenzione di giocare a football.
“Dai Frank, è semplicissimo. Devi solo prendere la palla al volo appena te la lancio. Credi di riuscirci?” sogghignò prendendosi gioco di lui.
Nonostante l’aria di Frank fosse tragica, i suoi occhi ridevano. “Okay.” sospirò. “Giochiamo.”

La scomodità che aveva accompagnato la partita era stata chiaramente visibile anche al professor Khan. Infatti non era possibile giocare all’interno di una palestra. Anche se questa era estremamente grande, non poteva sostituirsi al vero campo in erba.
Ma purtroppo, o per fortuna, la pioggia aveva reso inutilizzabile gran parte del campo da football. Ecco perchè la partita venne interrotta a metà, con un risultato di due a zero, ovviamente per la squadra avversaria.

"Per essere un principiante, non te la sei cavata per niente male." si congratulò Adam, appoggiando un gomito sulla spalla di Frank. Intanto con la mano si passò un asciugamano fra i capelli e fece schizzare alcune gocce di sudore.
Frank si scostò per evitare di essere bagnato. Poi fece una faccia inorridita. “Scherzi? Ho fatto schifo.”
“Si, in effetti.” constatò l’altro ridendo di gusto. “Ma mi aspettavo di peggio dai.”
Senza permettergli di replicare, Adam si incamminò sulle scale per raggiungere gli spogliatoi. 
Frank si irrigidì all’istante, non appena lo colpì brutalmente la visione del corpo sudato di Gerard, condursi su e giù, lentamente, con le mani saldate su una sbarra sopra la testa.
Era dannatamente bello. Nonostante il suo non fosse un fisico muscoloso, era perfetto così.
In effetti i muscoli a Frank non erano mai piaciuti, e soprattutto non avrebbe mai desiderato averli. 
Continuando a fantasticare, pensò che ne sarebbe valsa la pena di appoggiare la testa su quel ventre di oscura attrattiva. Sentire magari il suo cuore battere, il suo respiro accarezzargli i capelli, e addormentarsi come un bambino al sicuro tra le sue braccia.
Solo allora Frank si rese conto dei pensieri poco etero che stava elaborando, e si ricompose schiarendosi la gola con un falso colpo di tosse.
La voce di Adam rimbombò improvvisamente estranea nella sua testa, scacciando via tutto quel delirio irrazionale. “Non vieni?” gli domandò.
“Come?” rispose, spalancando gli occhi, come fosse sotto shock.
“Ehy, stai bene?”
“Si..” rispose tornando a vestire Gerard con lo sguardo. “Ti raggiungo dopo.”
“Oookay..” cantilenò Adam perplesso, rigirandosi.
Non aveva mai provato tanta voglia, tante fitte esaltanti allo stomaco e tante emozioni spossanti. Tutto insieme. Il suo corpo gli complottava contro. 
Gerard mollò la presa dalla sbarra, riprendendo equilibrio a terra come uno splendido falco che arresta il proprio volo con eleganza e magnificenza.
E quando prese a camminare, Frank capì che stava venendo verso di lui.
Gerard esplorò la sua figura da capo a piedi con occhi indagatori e loschi, dopo di che aprì bocca.
“Che ti prende?”
Frank non ne era sicuro di cosa gli prendesse veramente, anzi si sentiva estremamente impotente.
Ebbe un improvviso vuoto mentale. Probabilmente non avrebbe ricordato nemmeno il proprio nome in quella circostanza. Ripresa coscienza, non credendo a quello che stava succedendo. Poi la sua bocca andò avanti con il discorso. “Niente..perchè?”
Gerard fece sfilare con la mano l'asciugamano dal suo collo per poi passarselo lentamente sul petto bagnato. “La tua faccia non la pensava allo stesso modo.” 
Frank avvertiva quegli occhi sfogliarlo come un libro aperto, come il loro libro preferito.
E mentre la sua barriera sbriciolava lentamente, si sentì rinascere non appena il sorriso di Gerard arrivò a toccargli metaforicamente la pelle e la sua voce fuoriuscì da quelle labbra invitanti, ancora. “Ti sei incantato?” e la sua risata arrivò a pungergli l’orecchio scaricando brividi, brividi ovunque.
“N-no.” boccheggiò Frank di risposta. “Solo..” si mise alla ricerca disperata di una scusa plausibile. “Volevo ringraziarti. Per ieri intendo. Quando mi hai difeso da Bert.”
“Oh.” disse, come se avesse dovuto pensarci per ricordarselo. “Tranquillo l’ho fatto senza interesse.” lo liquidò. “Tutto qui?” insistette.
“Veramente no.” Frank si meravigliò del proprio coraggio. “Ti..ti andrebbe di parlare un po’?” si morse la lingua per punirsi di aver balbettato, ancora.
“Scusa, ma non posso. Devo.. Devo andare a lezione.” Gerard si voltò verso l’uscita come se gli avesse detto qualcosa capace di suscitare il suo turbamento.
E ancora una volta, Frank si sentì impotente.








Eieiei. Lo so, fatemelo dire, Gerard è un figlio di merda. Ma fidatevi, sotto sotto è il solito frocio innamorato del piccolo, dolce, ingenuo Frankie. Che poi Frank non è nemmeno tanto ingenuo, a volte tira fuori le palle. Tranne em, quando Bert lo stava per picchiare e lui era tipo "No ti prego, ho paura, voglio mamma." e allora è stato esilarante e io...sto nel disagio particolarmente in questi giorni, perdonatemi. Non ha senso ciò che dico o faccio quindi non datemi retta. E poi bu, ho intenzione di scrivere una ff su Mikey e un unicorno e ci saranno gli arcobaleni (per cui tra l'altro io nutro una passione quasi morbosa). Per chi non lo sapesse (tutti voi pochi che ancora leggete le mie schifezze) ho dato un nome all'unicorno domestico di Mikey. Si chiama Pegaso e insieme al suo padrone fanno tanti selfie. 
Sto male ed è meglio che vada prima che dica qualcosa di altrettanto sconveniente. Baci, baci.
Ps. Stavo leggendo il titolo del capitolo e mi sono accorta solo adesso del doppio senso, ops. Mi perdonerete.

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