Crimson as the blood

di Lerenshaw
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** I ***


La città era ormai sotto assiedo da giorni. Un'orda di morti viventi, comunemente definiti zombie, aveva seminato il terrore nel giro di poche ore, giungendo poi a decimare il numero della popolazione e prendendo rapidamente "controllo" della città. Regnavano il caos, la disperazione, la paura... l'apocalisse era arrivata.
I pochi superstiti si rifugiavano nei luoghi più disparati pur di scappare a quelle orride creature e avere un attimo di tregua. La sopravvivenza era l'unico obiettivo che si prefiggevano, la loro unica possibilità di salvezza.
***
 
Non c’erano segnali che facessero presagire quella catastrofe. Sembrava una giornata come tante altre, scandita semplicemente dal ripetersi delle loro abitudini. Non avrebbero mai immaginato che quello potesse essere l’ultimo giorno in cui sarebbero stati una famigliola felice. Eppure, l’inevitabile accadde...

Correvano senza sosta da una quindicina di minuti. Di un buon riparo non vi era l’ombra e la periferia era ancora molto lontana. Ogni posto pareva brulicare di zombie e per loro non c’era un attimo di tregua. Cercavano un luogo sicuro, un luogo che potesse assicurargli la sopravvivenza e per questo avevano intrapreso quella folle corsa verso l’ignoto. La triste realtà non tardò a farsi sentire.

Una piccola ragazzina dai capelli rossicci si fermò, prendendo a respirare rumorosamente. Aveva il fiato corto e respirava con difficoltà. Voleva davvero riposarsi, regolarizzare il suo respiro e riposare le sue stanche membra, ma non poteva farlo. Non poteva permettere al gruppo di rallentare a causa sua. Senza dire una parola, cercava di restare al passo con gli altri, ma il suo corpo andava gradualmente perdendo vigore, fino ad aumentare la distanza da loro. Voleva chiamarli, chiedere loro di fare una una sosta, o di rifugiarsi in uno dei locali che vedeva, eppure non aveva né il coraggio, né la capacità di farlo. Contrariamente all’immagine di ragazza sciocca e spensierata che dava di sé, era ben conscia delle situazione in cui si trovavano. Non riusciva a comprenderla appieno, né riusciva ad accettarla, ma sapeva benissimo quanto fosse rischiosa. Proprio per questo non poteva azzardare una richiesta tanto pericolosa.
Provò a sforzare maggiormente le sue gambe, continuando a correre più velocemente possibile, cercando di mantenersi quanto più vicina possibile al trio. Non ce la faceva: era al limite. A un tratto, le sue gambe smisero del tutto di muoversi, pesanti e dolenti, e si ritrovò bloccata con un nodo alla gola e un respiro affannoso.
Fratellone! Fratellone, aiutami! Ti prego... Fermati! Fratellone!
Nella sua mente, la sua voce chiamava disperatamente la figura a cui più di tutte teneva: suo fratello. Lo vedeva allontanarsi velocemente e questo la spaventava. No, ti prego! Non andartene! Aspettami! Fratellone! Non lasciarmi indietro! Ti scongiuro...a...
Sentiva quel nodo alla gola bloccarle ogni possibile suono, la voce incapace di uscire e di pronunciare parole. Delle calde lacrime presero a rigarle le guance e un sentimento di sconfitta la pervase. No, non poteva darsi per vinta. Non poteva permettersi di perderli di vista. Se la sua voce non l’avrebbe aiutata, sarebbe stato il suo corpo a farlo. 
Nonostante fosse difficile, soprattutto a causa del dolore, decise di muovere le gambe, fino a che non le sembrava di camminare più velocemente, di avere uno sprint. Il fiato non era dalla sua e si faceva sentire sempre più pesante.
Ti prego, fratellone! Voltati! Aiutami!
Sperava con tutto il cuore che in qualche modo la sua voce, seppur muta, potesse raggiungerlo. Era stata una sciocca a credere di potercela fare, a credere che tutto sarebbe andato bene e che non sarebbe stata un peso per loro. Già... desiderava così tanto mostrarsi adulta e capace di reggere una simile esperienza e, invece, aveva fallito. La sua ostinazione nel non volersi arrendere, o nel non chiedere prima a suo fratello di fermarsi, l’avevano portata a questo. Certo, nonostante stesse spingendo il proprio corpo oltre i limiti, riusciva ancora a vedere la loro schiena all’orizzonte, ma temeva il peggio. Cosa avrebbe fatto se avesse perso vista del gruppo? E se fosse rimasta davvero sola? Beh, lo era già, ma in cuor suo sperava ancora che Kougaiji notasse la sua assenza e si precipitasse a soccorrerla.
Scacciò dalla mente quei pensieri funesti, dicendosi di continuare a correre e di provare a chiamare ancora una volta suo fratello. Aprì la bocca, imponendosi di parlare e finalmente riuscì a pronunciare qualche suono indistinto, poi chiamò il suo adorato fratello.
-Fratellone... FRATELLONEEEE!-
La sua voce riecheggiò appena in quella strada apparentemente deserta. Non si diede per vinta e lo chiamò ancora qualche volta, mentre il suo corpo rallentava una seconda volta. Era esausta e non ce la faceva più. Voleva soltanto trovare un riparo e riposarsi. 
-Fratellone, aspettami!- gridò ancora una volta.
Ma prima ancora di capire se avesse raggiunto il suo obiettivo, la ragazza realizzò che il suo piano aveva attirato delle attenzioni indesiderate. Sentiva quei versi poco umani, indescrivibili a parole. Erano loro ed erano vicini. Era... Era diventata la loro preda!
Iniziò a guardarsi attorno, alla ricerca di sagome umane. Non riusciva a individuarle, ma era sicura della loro presenza. Quei respiri rumorosi, il rumore che producevano quando individuavano la loro vittima e si apprestavano ad assalirla... Aveva già assistito ad un loro attacco attraverso il vetro della sua stanza, quando ancora tutti credevano che la loro casa fosse un posto sicuro e inespugnabile. Desiderava essere ancora lì, anziché ritrovarsi in quella maledetta strada da sola. Oh, se solo uno di loro fosse qui... pensava, mentre la paura prendeva possesso del suo corpo.
Iniziava a tremare. La sua mente non riusciva a non pensare al peggio,considerando il peggior scenario possibile e contemplando così la sua morte. No, non sarebbe successo. Credeva nei miracoli e adesso ne sarebbe accaduto uno. Eppure, non riusciva a smettere di piangere. Gli occhi avevano preso a lacrimare, rendendo tutto offuscato e indistinguibile. Si portò le mani agli angoli degli occhi per asciugare le lacrime, ma la sua vista non sembrava migliorare. C’era una figura nel suo campo visivo e non riusciva a capire chi fosse. Aveva paura, tanta paura. Fratellone... Fratellone!
-Kyaaaaa!-

Chiuse gli occhi istintivamente, coprendosi il volto con le braccia. Non aveva la più pallida idea di cosa fare, non aveva armi e, soprattutto, era in preda al panico. Frignava senza sosta, emettendo dei gridolini ogni qualvolta sentiva il verso disumano di quelle cose. Perché non era ancora arrivato nessuno? Perché non sentiva nessun rumore, né una voce che le diceva di tenere duro? Dov’erano tutti quanti? Dov’era il suo fratellone?
Sentì lo zombie avvicinarsi sempre più, così urlò ancora una volta.
-Fratellone! Aiutooooo!-
La sua disperata richiesta non ricevette alcuna risposta. Sentì di nuovo il verso di quel mostro che le si avvcinava, ma aveva paura di guardare. Se avesse aperto gli occhi e lo avesse visto dinnanzi a sé, cosa avrebbe potuto fare? 

Improvvisamente, sentì il rumore di passi, poi un colpo seguito da un tonfo.
-Lirin!-
Capì che poteva riaprire gli occhi e che qualcuno di familiare era giunto in suo soccorso.
-Dokugakuji!- esclamò con occhi grandi per lo stupore.
Il ragazzo rispose con un sorriso, tornando poi ad occuparsi delle creature che avanzavano verso di loro. La sua arma era soltanto di una spranga di ferro e di fronte a sé c’erano ben tre nemici, compreso quello che aveva appena steso. Non aveva molti dettagli utili per lo scontro, ma sapeva che quelli erano tipi duri a morire. La sola spranga poteva atterrarne un paio per un breve lasso di tempo, permettendo così la possibilità alla ragazzina di allontanarsi e di raggiungere il resto del gruppo. Se non avessero fatto in fretta, altri zombie sarebbero arrivati e la situazione si sarebbe complicata ulteriormente. Dokugakuji prese ad agitare la spranga in avanti, cercando di tenere le creature alla larga, ma senza ottenere l’effetto desiderato. Era come se non temessero le armi, né i colpi subiti. Inoltre, non c’erano ripercussioni a livello psicologico, né fisico. Una volta messi al tappeto, si rialzavano e tornavano all’attacco. 

Kougaiji e Yaone, anch’essi armati, giunsero con un leggero ritardo e si apprestarono a soccorrere la piccola. Il rosso la fece salire sulla sua schiena e richiamò gli altri, ordinandogli di ritirarsi. L’altro mugugnò qualcosa, prima di sferrare l’ennesimo colpo e dar retta al rosso. Riuscì a tenere i suoi inseguitori a bada e a tentare la fuga, raggiungendo finalmente i tre.
-Dobbiamo trovare un posto sicuro, Kou!-
-Questi posti brulicano di zombie. Non possiamo fermarci qui!-
-Mio signore, forse, potremmo fermarci alla stazione di polizia. E’ a pochi isolati di qui. Inoltre, potremmo anche rifornirci di armi.- disse Yaone, offrendo loro una buona alternativa a quella sfrenata corsa.
Non riusciva a vederlo in faccia, Lirin, ma sapeva benissimo ciò che suo fratello pensava. In cuor suo desiderava che accettasse il suggerimento della ragazza, ma conoscendolo, sapeva benissimo che il suo caro fratellone stava considerando i rischi e la realtà che avrebbero trovato in quel luogo.
-Ti prego, andiamoci.- sussurrò con voce bassa e melancolica.
Il ragazzo si fermò e guardò negli occhi i suoi sottoposti, pronto a comunicare la sua decisione. Teneva a cuore sua sorella e ognuno di loro, i loro sentimenti, le loro idee. Nonostante fosse sempre risoluto in una normale soluzione, adesso temeva la possibilità di ogni errore. Non poteva permetterselo, poiché la posta in gioco era troppo alta. Non voleva perdere nessuno di loro. Nella sua mente non c’era una persona sacrificabile, né l’idea del sacrificarsi per gli altri. Non era un eroe, non era un moralista, non era un esempio; era semplicemente un ragazzo che metteva al primo posto la vita e gli altri. Aveva ipotizzato il possibile rischio a cui stavano per andare incontro, ma se loro ne avevano bisogno, lo avrebbero fatto: sarebbero andati alla stazione di polizia.
-Ci andremo.- rispose con tono alquanto serio, rimettendosi in marcia.
-Grazie.- fu la risposta della sorellina che gli giunse all’orecchio come un bisbiglio.
 
***
 
L’edificio era lì dinnanzi ai loro occhi. Nei ditorni c’erano zombie, come previsto, e non c’era modo di entrare senza essere visti. Osservavano con attenzione i loro lenti movimenti, sperando di “trovare” l’opportunità giusta. Dokugakuji portò una mano sulla spalla del più giovane, lanciandogli un’occhiata. Seduta sul ciglio del marciapiede, dietro di loro, Lirin osservava l’occhiata complice che il più grande dava a suo fratello, il quale ricambiava con un cenno di disapprovazione. Non capiva cosa si fossero detti con quello sguardo, ma aveva un brutto presentimento. 
-Potremmo passare dal retro.- esordì la ragazza più grande, troncando la discussione che stava per nascere.
Kougaiji la osservò, meditando su qualcosa. Non sembrava affatto convinto e non trovava buona l’idea di andare in un posto palesemente pericoloso. Il semplice fatto che ci fossero degli zombie non lo convinceva, aveva ripetuto per l’ennesima volta. 
-Forse è meglio se lasciamo perdere la stazione di polizia. Dovremmo cercare un posto più sicuro.- aggiunse freddamente.
-Mio signore, l’episodio di prima è la prova che non possiamo continuare a scappare. Dobbiamo trovare un posto in cui riposare, prima di proseguire. Abbiamo anche bisogno di armi e...-
-Yaone, non contraddirmi. Il tuo pensiero è importante e apprezzo la preoccupazione che dimostri per mia sorella, e non solo, ma ho un presentimento: quel luogo potrebbe essere pericoloso.-
La ragazza ammutolì all’istante, abbassando il capo. Dokugakuji stava per prendere le sue difese e sostenere la sua tesi, ma lei scosse la testa.
-Cosa proponi di fare, Kou?-
La sua espressione era piuttosto facile da leggere: era a corto di idee e non voleva trovarsi lì a prendere una decisione tanto importante. Si capiva chiaramente quanto detestasse avere la responsabilità di ben tre vite su di sé.
La più piccola voleva fare qualcosa per aiutare il suo tormentato fratello, ma anche lei non sapeva cosa dire, né cosa fare. Voleva confortarli tutti, dire che ogni decisione sarebbe stata buona e che qualunque fosse stato il loro destino, la colpa non poteva essere loro, ma, piccola com’era, non poteva capire la mentalità e la visione dei più grandi e per questo rimase in disparte, in silenzio.
-Se non te la senti, possiamo proseguire.- disse ad un tratto, assumendo un tono serio.
Kougaiji si voltò per ascoltare il suo parere.
-Voglio dire, lo state facendo per me, giusto? Non voglio esservi di peso. Continuiamo pure. Quel luogo è pericoloso, ma lo sarà ancor di più rimanere qui. Scegliamo la prossima meta e allontaniamoci in fretta.-
-Ha ragione, Kou.- disse l’amico, sorridendo. -Faremmo meglio ad allontanarci. Ormai avranno già avvertito la nostra presenza.-
Annuì, perché era esattemente quello che pensava. Era ancora incerto sulla prossima meta. La città era grande e la strada verso la periferia era piuttosto lunga. Certo, se avessero avuto un mezzo di trasporto, forse il tragitto non sarebbe stato così lungo, ma doveva considerare la situazione corrente. Queste creaturea apparentemente morte, ma al tempo stesso vive vagavano per la città, accrescendo il numero di alleati. Sapevano ben poco e la televisione non trasmetteva nulla a parte strisce colorate e segnali di interruzione del programma, perciò la loro conoscenza si limitava a ciò che avevano imparato osservandoli durante i turni di guardia a casa loro. Non avevano capito bene come funzionasse la “trasformazione”, ma avere un contatto fisico con una di quelle creature poteva risultare fatale.
I volti impazienti dei suoi sottoposti lo riportarono alla realtà e alla decisione.
-La strada avanti a noi è fuori discussione e quella dietro di noi lo è ancor di più. Potremmo prendere uno dei vicoli che si diramano in questa zona. Tuttavia, tenete gli occhi ben aperti. Potrebbero tenderci un’imboscata, o potremmo ritrovarceli addosso in un niente. Le strade sono strette, perciò cammineremo in fila indiana.-
Era piuttosto serio e sembrava avesse già pensato ad un possibile incontro con degli zombie lungo il nuovo tragitto. Si avviarono nel vicolo alle loro spalle e si mossero con estrema cautela, seguendo la strada ovunque portasse.

Sembrava tutto tranquillo e nella norma, ciononostante, proseguivano tenendo gli occhi ben aperti. Dokugakuji, munito ancora della spranga di ferro, era in cima al gruppo, pronto a usare la sua forza in caso di necessità. Dietro di lui, Kougaiji proseguiva a ispezionare con gli occhi ogni singolo dettaglio di quell’apparente paesaggio deserto: i suoi occhi violacei si posavano con grande sospetto su ogni angolo buio, o su ogni finistra rotta, porta aperta, o anche chiusa, temendo il peggio. Lirin gli teneva stretta la mano, impaurita. Aveva i brividi lungo la schiena e non poteva scacciare anche lei dei mesti pensieri, proprio come faceva suo fratello. Inoltre, era ancora shockata per il triste episodio che aveva vissuto poco tempo prima. Per scacciare la paura e la tensione, scambiava due chiacchiere con l’altra ragazza, la quale non perdeva occasione di rincuorarla. Era così coraggiosa e non aveva paura di nulla, pensava la più piccola. Le sembrava che la donna avesse una buona padronanza di sé e delle sue emozioni, mostrandosi quasi impassibile agli eventi che li vedevano protagonisti. Se solo fossi come lei, non sarei un problema per tutti...

Ad un tratto, il rosso si fermò.
-Fratellone, che succede?- domandò la ragazza con un filo di voce; aveva già una mezza idea di cosa si trattasse.
Dokugakuji aveva allungato un braccio, facendo loro segno di stare indietro. Era all’erta e aveva portato la spranga di fronte a sé, in posizione da combattimento. Finalmente, le sentì anche lei. Erano voci umane indistinte, due o tre, e gridavano. Presto seguì uno sparo, poi un altro e in seguito ci fu un susseguirsi di urla strazianti, versi macabri e... Infine vi fu il silenzio, interrotto poco dopo dal gracchiare di un uccello.
Istintivamente, Lirin si aggrappò al braccio del fratello, chiudendo gli occhi e iniziando a tremare come una foglia. Sentiva il sangue ghiacciarsi nelle vene, i peli rizzarsi. Qualcuno ci aiuti! Ho paura!
Kou le poggiò una mano sui capelli rossicci e le diede una pacca.
-Sta’ tranquilla. Finché ci sarò io, andrà tutto bene.- le dise il ragazzo con voce dolce.
Annuì senza pensarci, portandosi dietro la sua schiena e aspettando che il ragazzo più grande desse l’ok per procedere.
Dokugakuji fece cenno con la mano di seguirlo, prendendo un’altra stradina non appena se ne presentò l’occasione. Marciavano senza fiatare, senza dire una parola. I più grandi e, molto probabilmente anche Lirin, pensavano a quelle urla disperate sentite poco prima. Altre vittime di quelle creature... Se fossero giunti in tempo, avrebbero potuto salvarli? Sarebbe stata un’ipotesi, ma a nulla serviva rimuginarci e porsi degli interrogativi senza risposta. Probabilmente, era destino che la loro storia finisse lì.

Avanzarono ancora fino a giungere alla fine del viottolo, il quale sboccava su una strada principale. Lo scenario era pessimo: c’erano macchine dannegiate in fila, probabilmente a causa di un incidente su larga scala, e c’erano degli zombie in piedi qua e là. Avrebbero potuto superare tranquillamente quell’ostacolo sfruttando le macchine come riparo, suggerì Yaone, un’idea brillante che gli altri non tardarono ad acconsentire a mettere in atto. Si appostarono dietro una macchina vicino al vicolo e si abbassarono, attendendo il momento giusto per passare all’altra, ripetendo l’operazione diverse volte, finché non furono quasi prossimi all’entrata del parco. Dovevano solo raggiungere una piccola scalinata, salirla e addentrarsi nel parco, poi avrebbero cercato un punto in cui sostare e recuperare le forze. Un piano semplice da seguire, ormai completo. Dovevano fare solo un ultimo sforzo e probabilmente sarebbero stati ricompensati.
La prima ad andare fu la più grande, la quale trovò riparo dietro una macchina lì vicino, poi fu la volta del rosso. Quando giunse il turno di Lirin, si udì un rumore metallico e sordo. Il loro cuore batteva all’impazzata per l’improvviso spavento. I due si voltarono a vedere cosa fosse successo e fu allora che videro la porta posteriore dell’auto sul marciapiede. Aspettarono qualche secondo, impietriti, pronti al peggio, ma non successe nulla. La ragazzina tirò un sospiro di sollievo.
-Lirin, attenta!-
Non ebbe nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo, poiché tutto d’un tratto qualcosa le afferrò il piede sinistro e la tirò con forza, facendola cadere per terra. Si sentì tirare verso la parte inferiore dell’auto e non appena lo vide, emise un urlo di terrore. Il moro le prese un mano tirandola a sé e con l’altra cercò di colpire con la spranga sotto l’auto, al fine di colpire lo zombie. Mentre la tirava, la creatura le sfilò una scarpa e senza esitazione abbassò la testa sulla pelle ambrata della ragazzina, tirandole un morso. Levò un urlo di dolore non appena i denti di quella cosa affondarono nella carne, strappandole via la pelle.
-Dokugakuji!-
Il ragazzo menò dei fendenti colpendo in testa l’essere. Era invano, però. Non aveva grande agibilità in un simile spazio e, inoltre, la creatura non sembrava mostrare segni di alcun danno. Tentò di strappare dalle grinfie di quell’orrenda bestia la ragazzina, prendendola per il petto e tirandola a sé con forza. Ci riuscì, lasciando una scia di sangue che colava fin dove il piede di Lirin adesso riposava. Quella cosa seguiva la traccia strisciando verso di loro. Senza pensarci due volte, prese in braccio la ragazza e si diresse verso le scale del parco, seguito dagli altri due. Corsero per un po’, fino a che non ebbero la certezza di essere soli. C’erano solo alberi davanti a loro e qualche panchina posizionata lungo un percorso di pietra. Adagiarono la ragazzina su una e Yaone si precipitò a prestarle primo soccorso, lacerando una parte della gonna per fasciare la ferita.
Si dimenava dal dolore e piangeva, cercando disperatamente col braccio la mano del fratello. Kougaiji gliela strinse e si accovacciò accanto a lei.
-Dannazione!- esclamò il moro, stringendo i pugni. -È tutta colpa mia, Kou. Ti chiedo scusa. Io...-
Il padrone lo fulminò con lo sguardo, facendo un cenno con la testa per indicare la sorella. Lamentarsi in sua presenza avrebbe complicato le cose e per il momento dovevano farla calmare, assicurarle che non sarebbe diventata uno zombie. Non la smetteva di farneticare qualcosa al riguardo e a supplicare suo fratello di ucciderla per evitare la mutazione.
-Adesso basta! Non diventerai una di loro!- la rimbeccò, mettendole le mani sulle spalle. -Non ti succederà nulla! Ci sono qui io, ricordi?-
Pronunciò quelle parole con freddezza e rigidità, innervosito per ciò che andava farneticando. Sapeva benissimo che presto sarebbe diventata uno zombie, ma voleva sperare che non succedesse, che ci fosse un modo per salvarla. Un antidoto, un’erba particolare, qualsiasi cosa sarebbe stata sufficiente per salvarla, l’avrebbe usata allo scopo di salvare la sua unica e adorata sorella. La abbracciò, stringendola forte al petto, chiudendo gli occhi per nascondere la loro lucidità. Stave per piangere, ma voleva trattenersi. Non poteva mostrarsi debole dopo un simile discorso. Quella ragazza aveva tutto il diritto di lamentarsi ed esporre le sue sofferenze, ma voleva che le sue ultime ore trascorressero in tranquillità, piuttosto che nella disperazione e nella presa di coscienza della sua futura natura. Portò una mano sui capelli rossicci di Lirin e la accarezzò, dicendole che per il momento doveva soltanto riposare.

Chiuse gli occhi e provò ad immaginare qualcosa di piacevole. Kougaiji aveva fatto di tutto per tranquillizzarla. In realtà, sapeva benissimo che le stava mentendo. In circostanze diverse avrebbe creduto alle sue parole, convincendosi che il suo fratellone avrebbe trovato un modo per salvarla, invece questa volta era tutto diverso. Sapeva benissimo la verità, non perché avesse visto cosa capitava a coloro che venivano in contatto con quegli esseri, ma perché era il suo corpo a comunicarle il cambiamento. Era una sensazione particolare ed indescrivibile, dolorosa e la stava letteralmente facendo sprofondare nell’oscurità. Molto presto il suo vero io sarebbe affondato insieme al senso di coscienza. Presto...
Scusami, fratellone. Senza volerlo, io ho finito col causarvi un grosso problema. Tra non molto, io...

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Capitolo 2
*** II ***


Sembrava essersi calmata, finalmente. Le aveva suggerito di riposarsi per recuperare le forze, chiedendo a Yaone di prendersi cura di lei come al solito. La ragazza era riuscita ad arrangiare una semplice fasciatura, ma entrambi sapevano che Lirin aveva bisogno di cure mediche immediate. Tuttavia, non c’erano ospedali nei dintorni. Senza un mezzo di trasporto era impossibile muoversi in una città così grande.
 
Lasciò la mano della ragazzina e si congedò dall’altra, raggiungendo il moro che, a pochi passi da loro, fremeva dal senso di colpa.
Non appena il rosso gli fu vicino, Dokugakuji sussurrò le sue scuse, guardando in volto il rosso con sguardo afflitto. Cercava il suo perdono, o una frase che gli togliesse quel peso dalla coscienza. Kougaiji si fidava di lui e gli aveva affidato sua sorella in custodia solo per un breve lasso di tempo, e lui... aveva fallito, aveva messo a repentaglio la vita di una povera ragazza destinata ora a una morte certa. Guidato dal senso di colpa, non riusciva a tenere a freno il dolore e l’unica cosa che poteva fare era prendersela con se stesso.
-Smettila.- tuonò l’altro, cercando di mantere basso il tono della voce. -Non è stata colpa tua. Non potevi prevedere una cosa simile.-
Lo fissava dritto nelle sue iridi blu, in quel momento rivolte verso il basso.
-Non sono arrabbiato con te. Non potrei esserlo. Hai fatto molto per la mia famiglia e so benissimo che in una situazione diversa avresti protetto mia sorella con più efficenza. Ma ciò non significa che io serbi rancore nei tuoi confronti. Nessuno può biasimarti per quello che è successo. Certo, è doloroso e difficile da sopportare, ma voglio credere che troveremo un modo per salvarla. Proprio per questo, non possiamo farci prendere dal panico. Dobbiamo mantenere la calma e fare tutto il possibile per aiutarla.-
Pendeva dalle sue labbra, ricambiando la seria occhiata di Kougaiji con un’espressione perplessa, vagamente disorientata: il senso di colpa era tanto forte da spingere il moro a credere che quell’incidente avrebbe deteriorato il loro rapporto, portando il primo ad assumere un atteggiamento diverso nei suoi confronti. Fu lieto di constatare che non era così. Non era arrabbiato e mostrava ancora premura per le sue attuali condizioni, rincuorandolo e facendolo ricomporre. Con un discorso così carismatico, il più piccolo era riuscito a trovare il modo per placare il caos in cui versava la sua mente. Poteva negarlo tante volte, ma aveva delle doti innate come leader e chiunque lo avrebbe seguito ciecamente dopo aver udito un suo discorso.
-L’ospedale è troppo lontano e probabilmente sarà il covo di quelle creature, quindi ci sposteremo verso il centro medico più vicino e sosteremo lì. Faremo rifornimento di medicinali e cureremo Lirin. Ho bisogno del tuo aiuto, perciò... Mi serve che tu sia calmo e concentrato. Conto su di te.-
Dokugakuji annuì, rispondendo con un sonoro sì. Era convinto della sua decisione: proteggere i suoi signori. Aveva giurato fedeltà tempo addietro, ma ora rinnovava nuovamente quella promessa con una volontà più forte e con maggiore impegno. Aveva sbagliato precedentemente, ma si riprometteva di non abbassare più la guardia e di dare il meglio di sé.
 
Ridefiniti gli ultimi dettagli assieme al moro, Kougaiji avvertì Yaone del loro piano. Caricarono sulle spalle del più grande la ragazzina e da lì si apprestarono a lasciare il parco.
 
***

Avevano camminato per una ventina di minuti, evitando le strade più “affollate” e sostando ogni tanto per controllare le condizioni di Lirin. Si agitava in preda al dolore e in preda movimenti involontari, prendendo poi a tossire frequentemente. Fortunatamente, erano vicini alla loro meta. Infatti, il centro medico in questione era un piccolo studio situato in uno di quei locali.
Il rosso si offrì di cercarne l’entrata, esaminando ogni targhetta posizionata sul muro. Quando lo trovò ed ebbe la certezza di potervi accedere, fece cenno al suo seguito di raggiungerlo.
 
Accesero subito la luce, poiché il sole stava iniziando a calare e volevano evitare sorprese. Con molta cautela si avvicinarono allo studio e adagiarono la ragazza sul lettino, mentre Yaone correva a frugare fra le attrezzature mediche.
Lirin continuava a tossire più frequentemente e gravemente, come se avesse la bronchite, gemendo non appena tentava di respirare. Si domandavano se quei sintomi fossero collegati all’epidemia che aveva trasformato in zombie gli abitanti di quella città, ma di una cosa, però, erano certi: il morso di quell’essere l’aveva infettata, trasmettendole qualsiasi cosa avesse.
Inoltre, la grossolana medicazione era un modo temporaneo per evitare che il sangue continuasse a sgorgare dalla ferita -ed evitare che questa li attirasse. Seppur non avesse rudimenti di medicina, Yaone ritenne necessario disinfettare e fasciare nuovamente la zona infetta, per poi dedicarsi alla ricerca di farmaci che potessero contrastare i sintomi mostrati dalla più piccola. Kougaiji dovette tenerla ferma per permettere alla prima di medicarla, poiché continuava ad agitarsi. Tra l’altro, la situazione sembrava essere peggiorata. Il colorito era più pallido, opaco, e le goccioline di sudore che grondavano dalla sua fronte erano palesemente visibili, mentre si facevano strada lungo la fronte di Lirin. Il corpo si muoveva per i brividi e lei stessa richiedeva qualcosa che la riscaldasse.
Il rosso aprì un armadietto lì nelle vicinanze e trovò il camice di un dottore. Non era il massimo, ma forse poteva aiutarla.
-Mio signore,- Yaone richiamò la sua attenzione con voce funesta. -Ho disinfettato la ferita, ma... Credo che tutto questo sia opera di un qualche virus. Il piede è gonfio e la zona morsa ha un brutto colore violaceo. Temo che...-
Il ragazzo si fece in avanti per ascoltare ciò che aveva da dire, ma ne presagiva già il finale. L’altra non volle continuare, soprattutto perché Lirin era accanto a loro e non voleva dirle chiaramente che era destinata a morire. Ormai non c’erano più speranze per lei e con molta probabilità, anche amputando la parte interessata, il virus si era già diffuso in tutto il corpo. Quello era l’unico modo per spiegare gli improvvisi sintomi che ella aveva mostrato.
 
Impallidì non appena intuì ciò che la donna stava per dire. Non... Non voleva crederci. Erano in un posto che forniva medicine e ogni tipo di attrezzoatura medica. Era un posto in cui le persone dovevano essere salvate, non condannate! 
Aveva mentito a se stesso dicendosi che avrebbe salvato sua sorella, ma ora si ritrovava faccia a faccia con la triste realtà. I sentimenti che aveva represso negli ultimi tempi iniziavano ad affiorare dolorosamente, facendogli tremare le labbra e facendogli luccicare gli occhi. No, non avrebbe pianto. Non poteva permettersi una simile debolezza in quel momento. Doveva essere forte e dare un esempio a tutti loro. Non si sarebbe arreso e avrebbe cercato ad ogni costo un modo per salvare la ragazzina. Doveva pur esserci!
 
Si voltò in direzione della scrivania e prese a guardare i fogli in cerca di qualcosa che potesse tornargli utile. Dokugakuji lo affiancò per aiutarlo. Sapeva benissimo cosa stesse provando e ancora se ne sentiva responsabile. Voleva redimersi trovando un modo per curare la sua piccola amica. Impiegarono del tempo a rovistare tutte le cartelle cliniche e i fogli sparsi casualmente sul tavolo, leggendone velocemente il contenuto, ma nessuno di quelli pareva essere rilevante in quel momento.
Si voltarono di scatto non appena Lirin prese a tossire con più forza, facendo ricadere del sangue sul petto.
-..ra...te...lone...- iniziò, la voce rauca e il respiro affannoso, molto più simile ad un rantolo. -Mi sen...o...stra...na...-
Voleva avvicinarsi e darle supporto, tenerle la mano stretta e rassicurarla, dirle che le sarebbe stato vicino e che con lui al suo fianco non c’era nulla di cui avere paura. Yaone si alzò di scatto, raggiungendo i ragazzi intimorita. Cosa potevano fare? Doveva pur esserci un rimedio, un antidoto... Insomma, doveva pur esistere qualcosa che vanificava gli effetti di quel contagio! Non poteva lasciarla morire così, lasciare che diventasse una di loro e...
 
-Frat...ello...e-
La sua debole voce lo richiamò ancora una volta.
-Lirin... Sono qui. Andrà tutto bene, tieni duro!- fece il rosso, avvicinandosi appena.
Ma presto, la ragazza tossì e sputò dell’altro sangue, spargendolo sul lettino e sul pavimento, mancando per un pelo Kougaiji.
-Mio signore, si mette male. Cosa facciamo?- bisbigliò Yaone mostrando grande preoccupazione.
Se solo ci fosse una soluzione. Se solo avessimo una chance...
Non aveva idea. Sapeva soltanto di non poter lasciare la piccola Lirin in fin di vita lì, da sola. Tuttavia, sapeva che presto sarebbe diventata uno zombie, vista la veloce diffusione del virus all’interno del suo corpo. Era una questione di minuti, o forse ore, e nessuno di loro era preparato al peggio.
Dokugakuji non ebbe bisogno di farselo dire e corse a cercare un’arma da usare, in caso di bisogno.
E fu allora, nel momento in cui il moro ebbe lasciato la stanza, che il piccolo corpicino di Lirin prese ad agitarsi convulsamente sul lettino, tra urla di dolore strazianti e gemiti. Yaone si portò una mano alla bocca per trattenere un urlo. Era così spaventata e lentamente i suoi occhi avevano iniziato a bruciarle, fino a lacrimare, offuscando la triste visione. Per il suo padrone la scena fu altrettanto shockante. Era impietrito, desideroso di stare accanto a sua sorella e di fare il possibile per aiutarla. Non poteva, però. Se si fosse avvicinato, avrebbe potuto rischiare di esserne contagiato. Era combattuto da due forze interiori che lottavano l’un l’altra per una decisione, mentre dei forti sentimenti di dolore gli laceravano il petto. Una visione agghiacciante, quella, tale da fargli rizzare i peli sulle braccia. Sentì le labbra tremargli e i suoi occhi minacciae di versare lacrime. Finalmente, l’altro tornò dalla stanza con un’asta di ferro in mano.
-Kou, sta’ indietro!- esclamò quello, posizionandosi fra lui e il lettino su cui poggiava Lirin.
Le convulsioni finirono e la ragazza tossì ancora una, due volte, facendo schizzare del sangue, poi si spense. Le sue membra smisero di muoversi e la testa scivolittò ricurva verso un lato.
Cadde il silenzio.
 
Rimase in attesa di un segno, di un suono, di qualcosa che interrompesse quel momento carico di tensione. Dokugakuji si mosse verso di lei con molta cautela e le sollevò il polso, per sentirne il battito. Scosse la testa. Ormai, Lirin, era morta.
 
Si sentì come se una parte di sé fosse venuta meno in quell’istante. L’intero corpo tremava, mentre osservava a bocca aperta il corpo esanime di sua sorella. Perché? Perché proprio lei? Perché doveva morire proprio lei? Si sentiva mancare il respiro. Non avrebbe retto a lungo. Il suo dolore era troppo grande, grande come l’affetto che provava per lei. Erano fratellastri, ciononostante l’amava più di quanto amasse suo padre e la sua matrigna. Già, era l’unica persona, oltre ai suoi sottoposti, che poteva considerare davvero parte di una Famiglia. E ora, lei non c’era più.
 
Yaone gli prese una manica della giacca, chianando la testa sulla spalla. “Mi dispiace” sussurrava, ma la sua debole voce non era sufficiente per destarlo da quello stato di shock. Dokugakuji era di fronte a loro e continuava ad esaminare il suo corpo, la mano libera ben salda sull’asta. Si voltò verso di loro e quasi si sentì in colpa a richiamarli.
-Sembra morta. Dobbiamo andare. Se si risveglia, siamo fritti. Questo luogo è troppo piccolo.-
-No. Non possiamo andarcene così!- tuonò il rosso, riprendendosi, mostrando loro le lacrime del suo dolore. -Dobbiamo darle una sepoltura. Dobbiamo evitare che diventi una di loro!-
-Kou, non abbiamo tempo! Non sappiamo quando accadrà e portarla con noi sarebbe un rischio enorme!-
-Mio signore, non è nostra intenzione contraddirla, ma Dokugakuji ha ragione. Dobbiamo andar...-
-E lasciare che diventi uno zombie? Mai! Non lo permetterò mai!- rispose l’altro, andando su tutte le furie.
Perché non capivano? Non era difficile capire che quella ragazza non meritava di esser lasciata così, in balia di altre creature, o peggio ancora, di farla diventare come loro e mietere vittime. Non lo avrebbe sopportato. Non avrebbe sopportato una cosa simile.
-Kou... Scusami, ma non possiamo permetterci di morire adesso. Dobbiamo andarcene alla svelta.- disse il ragazzo, incamminandosi verso la porta.
-Fa’ pure. Se vuoi andartene, fa’ pure. Io... Semplicemente non posso farlo.-
-Mio signore...-
Sembrava sull’orlo di pinagere, la ragazza. Riposava ancora la testa sulla sua spalla, combattuta sul da farsi. Voleva rimanere con lui e assicurarsi che stesse bene, ma era pienamente d’accordo con l’altro: non avevano più nulla da fare lì, ora che lei era morta. Dovevano cercare un’altro rifugio il più in fretta possibile. Magari una casa, un appartamento, qualunque posto sarebbe stato utile pur di riposarsi e dimenticare gli eventi di quella triste giornata. La periferia? Se ci sarebbero arrivati, sarebbe stato solo grazie ad un miracolo. Per il momento desiderava semplicemente essere viva.
 
Improvvisamente, sentirono un verso. Sgranarono entrambi gli occhi per lo spavento, immaginando che il momento fosse giunto. Posarono il loro sguardo con attenzione sul corpo di Lirin e notarono che aveva degli scatti, dei movimenti involontari.
Kougaiji osservava in silenzio il corpo, dicendosi che era stata soltanto la sua immaginazione. Non poteva essere... 
-Mio signore... Andiamo via, Vi prego.- bisbigliò l’altra, tirandogli il braccio, prendendo poi ad osservare la stanza in cerca di vie di fuga.
Ci fu un altro verso e stavolta la ragazza parve rianimarsi, alzandosi. Sgranò maggiormente gli occhi e Yaone lanciò un urlo, facendo accorrere nella stanza Dokugakuji, il quale si lasciò scappare anche lui un grido. Non c’erano più opzioni: dovevano ucciderla per davvero, prima che uno di loro potesse divenire la prossima vittima.
La creatura si muoveva con lenti movimenti verso il duo, il quale stava indietreggiando. Non avevano armi, loro, ma lui sì. Realizzò che non aveva chance e che era l’unica persona in grado di salvarli. Così si fiondò sulla ragazzina, colpendola con forza alla testa. Non sembrava aver subito il colpo, né sembrava risentire del dolore. Si girò, guardando con occhi vuoti e privi di vita il suo aggressore e cambiò subito obiettivo.
No, non aveva paura. Era armato e pur di salvare i suoi compagni avrebbe affrontato Lirin da solo. Portò l’asta davanti a sé e si mise in posizione, colpendo ancora una volta la ragazza, la quale sbandò di lato a causa dell’attacco.
-Adesso, scappate!- ordinò loro il più grande, indicando la finestra sul lato corto della stanza.
Cosa credeva di fare quel pazzo? Voleva forse sacrificarsi per il loro bene? Ne era quasi certo: Dokugakuji voleva mettere in gioco la propria vita per farli scappare. Scosse la testa, cercando di sopraffare i suoi sentimenti. Aveva paura, vero, ed era ancora scosso da quella serie di eventi, ma quello non era il momento di lasciarsi intimidire. A causa della sua stupidità, adesso era l’altro a trovarsi in pericolo e non poteva permettere una cosa simile. No, non voleva perdere un’altra persona a lui cara. 
 
Yaone aspettava una sua risposta, un suo cenno: qualunque cosa avesse deciso, lei l’avrebbe accettata. Eppure, il rosso era lì immobile, gli occhi color ametista fissi su quella che una volta era sua sorella.
-Signor Kougaiji...?- domandò con un sussurro.
Dokugakuji, intanto, di fronte a loro, continuava a colpire con la lunga asta la ragazzina. Non importava quanti colpi subisse, quella continuava sempre a rialzarsi e a protendere le sue braccia verso di lui, desiderosa di affondare i denti nella sua carne. Ad un tratto, Lirin riuscì a bloccare l’asta e impedire che l’attacco andasse a segno. 
-Dokugakuji!-
La voce del rosso tuonò grave nella stanza e prima che gli altri due potessero accorgersene, egli si ritrovò sul corpo della ragazzina, prendendola dalle spalle, le braccia che dovevano immobilizzarle la testa.
-Kou!- esclamò il moro, sgranando gli occhi.
Cosa...?
-Colpiscila alla testa! Forza, colpiscila!- gli ordinò, continuando a bloccare la ragazza.
-Signor Kougaiji!-
 
Era un momento cruciale per tutti. Il signorino teneva a bada la ragazza con grande difficoltà, stringendole il più possibile le braccia intorno al collo, mentre quella cercava di divincolarsi muovendo la testa. Il rischio era enorme, ma in quel momento non gli importava molto. Doveva salvare Dokugakuji a qualunque costo!
L’altro era in preda al panico e non sapeva se eseguire o meno la sua richiesta. Era... Era insensata! E se l’avesse colpito? Voleva fare lui l’eroe adesso? Con molta cautela si chinò a raccogliere l’asta che Lirin aveva precedentemente bloccato, e che era caduta a terra nel momento in cui suo fratello l’aveva assalita, e la impugnò saldamente con entrambe le mani.
-Presto! Ora!- esclamò l’altro, implorandolo di attaccare.
Non... Non poteva farlo. Temeva di colpirlo o di sbagliare il colpo. Era un grande rischio, uno di quelli che non avrebbe mai voluto correre. Aveva bisogno di molta concentrazione per farlo e...
 
Lirin si divincolò dalla presa, facendo cadere dietro di sé suo fratello e si avventò sul moro, il quale non ebbe il tempo di contraccare. Nonostante l’asta li separasse, la ragazza cercava di imporsi sempre di più su di lui, spingendolo contro il muro di un corridoio, mettendolo così alle strette. L’asta gli cadde per terra, ormai sconfitto dal peso della ragazzina, e istintivamente si portò un braccio per coprirsi il volto. Ed infine, ella affondò i suoi denti nel braccio del moro, staccando via un lembo di pelle.
Kougaiji, il quale si era appena rielzato, portò velocemente lo sguardo al pavimento. Individuò subito l’asta e si lanciò ad attaccare la ragazzina, la quale cadde lateralmente con un tonfo sonoro.
 
-Presto, uscite dalla porta!-
-Vieni via con noi!- gli intimò Kougaiji, afferrandolo per la stoffa dell’abito.
-Pazzo! Porta in salvo Yaone. Potete ancora farcela.-
-Dobbiamo andare, mio signore.- fece la ragazza.
-No, non è detta l’ultima parola! Non ti mollo qui!- continuò ad insistere il rosso, strattonando il moro.
-Andate, su!-
Non se lo lasciò dire due volte. Yaone prese per il braccio il ragazzo e lo strattonò, forzandolo a seguirla.
 
Continuava a guardare dietro di sé, mentre lasciavano quel posto, lasciandosi dietro una parte della famiglia. Yaone lo trascivana, correndo in quei vicoli deserti e pericolosi, ingannevoli, ma lui non se ne curava. Aveva perso due persone importanti nel giro di così poco tempo, senza avere il tempo di accettare la loro morte. Era troppo doloroso e non riusciva ancora a capacitarsene. La realtà,in quel momento, perdeva ogni significato, mentre la sua mente si perdeva nel ricordo di quelle persone a lui care. Vedeva i volti sorridenti della piccola Lirin, i momenti in cui lui e Dokugakuji ridevano e scherzavano, i felici momenti in cui loro quattro sembravano un’allegra famigliola... Tutto ciò era ormai andato, tutto a causa di una strana epidemia che aveva seminato il panico nella città. Non gli importava più niente ormai. Morire? Forse sarebbe stato meglio che restare in quell’inferno. Se reclamavano il suo corpo, potevano venire a prenderselo. Non aspettava altro. No, no, ma cosa stava dicendo?! Quei funesti pensieri erano semplicemente dettati dall’immenso dolore che stava provando. Aveva ancora una persona da proteggere, una persona a cui teneva. Era la stessa persona che con coraggio adesso lo stava trasciando per le vie di quella città, seminando ogni creatura che incontrava sulla sua strada. La meta gli era ignota, ma adesso... L’unica cosa che gli importava era...
 
Una finestra si ruppe e uno zombie afferrò Kougaiji, trascinandolo a sé.
-Signor Kougaiji!- urlò la ragazza, togliendo le mani di quell’essere dal suo padrone.
L’altro cercò di divincolarsi, ma senza successo. Sentiva la bocca di quella cosa posarsi sul suo collo, seguita dal caldo e puzzolente respiro, e infine i suoi denti penetrargli la carne e marchiare anche lui, imponendogli la sua sentenza.
Urlò per il dolore, mentre quella cosa continuava a strappargli la pelle a morsi. Guardò Yaone con disperazione e le intimò di fuggire
-Salvati! Almeno tu... Mettiti in salvo!-
La ragazza scosse la testa, lasciando che delle lacrime prendessero a rigarle le guance, e tirò a sé il braccio del ragazzo con tutta la forza che aveva in corpo. Riuscì a staccarlo dalla presa dell’orrenda creatura e continuò a trascinarlo con sé.

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Capitolo 3
*** III ***


Per miracolo avevano trovato un posto sicuro. Non c'era alcun nemico all'orizzonte, né traccia di possibili superstiti ostili. Ne avevano fatta di strada, ne avevano incontrate di difficoltà, ma sapevano che presto tutto sarebbe finito... per uno dei due. Era spaventata, disorientata, insicura. Cosa avrebbe fatto da sola non lo sapeva. Non aveva più certezze. Quelle le erano venute meno nel momento in cui quell’inferno era scoppiato, senza darle la possibilità di realizzare cosa stesse accadendo. Sapeva soltanto che, qualche giorno prima, il palazzo nel quale lavorava era divenuto la preda di quelle creature assieme alla famiglia per cui lavorava. Non ricordava bene i particolari, ma... 
Ogni qualvolta vedeva nella sua mente i volti dei suoi padroni, delle lacrime prendevano a rigarle le guance, seguite da sommessi singhiozzi. Non doveva finire così, si ripeteva, non doveva succedere tutto questo! Se solo non fossi così debole... se solo i miei servigi fossero davvero serviti a qualcosa...
Batté un pugno sul pavimento, seguito da singhiozzi più rumorosi.
Accanto a lei, il ragazzo dai lunghi capelli cremisi e la pelle color caramello riposava adagiato contro la parete. Non aveva un bell'aspetto. Soffriva. Più guardava quel volto sofferente, più la ragazza piangeva, mordendosi il labbro inferiore per tenere a freno le sue emozioni. Non voleva essere debole; non davanti a lui. Voleva dargli fiducia, coraggio, dirgli che entrambi avrebbero superato quel triste momento e che tutto sarebbe andato bene, dopodiché...
-Yaone...-
La debole voce del rosso fu appena percettibile. Era un bisbiglio addolorato, emesso con difficoltà. Il ragazzo faceva una gran fatica a respirare, come se le sue vie respiratorie fossero ostruite. Ogni suo respiro era un doloroso gemito.
La ragazza si asciugò una lacrima con l'orlo della maglia, poi si girò verso di lui, dandogli un mite sorriso. Gli prese una mano e la portò al volto.
-Va tutto bene, mio signore. Ci sono qui io. Presto, tutto questo sarà finito.- gli disse, cercando di non mostrare alcuna sofferenza nella sua dolce voce.
Cercava di resistere, di riuscere a tenere alto il morale. Dovevano vivere! Qualcuno sarebbe venuto a salvarli, presto, e insieme avrebbero lasciato quell'inferno. Gli portò una mano alla fronte, per controllare se gli fosse venuta la febbre e constatò che era bollente, scottava. Stava soffrendo atrocemente, provava sintomi per lei indescrivibili, proprio come tutti gli altri. Se solo ci fosse una cura, se solo ci fosse un modo per salvarlo... Erano entrambi consci di cosa sarebbe successo, di cosa descrivessero quei sintomi.
Non poteva piangere, non poteva recargli altra sofferenza; doveva resistere, per lui.
-Fa.... freddo....-
Ad un tratto, la mano prese a tremare. Fu colta dallo stupore in un primo momento, ma subito collegò i sintomi a delle tristi immagini nel suo volto - un’altra pugnalata al cuore. 
Perché ci sta capitando tutto questo? Perché proprio a noi? Avrei offerto volentieri la mia vita in cambio della sua salvezza, e invece quest’infamia me lo sta portanto via. Il signor Kougaiji... 
Il suo cuore era affranto, era a pezzi e non ne poteva più di un simile strazio. Tutte le persone che amava stavano morendo una dopo l’altra: la signorina Lirin, Dokugakuji e adesso... Adesso toccava alla persona a cui più teneva, la persona per la quale era disposta a cedere la sua vita, la sua libertà, ogni cosa di sé per salvarla. Era il suo salvatore, un confidente, un amico, una persona che per lei significava molto. Le parole non bastavano ad esprimere la gratitudine nei suoi confronti, né i suoi servigi potevano bastare. Avrebbe dato tutto per lui, se solo l'avesse chiesto: un semplice comando e lei avrebbe persino distrutto il mondo, se necessario. Eppure, nonostante si fosse ripromessa di salvarlo, un giorno, di ripagare ciò che lui aveva fatto per lei, le cose si erano ripetute nuovamente con una sfumatura molto più tragica.
Si alzò, guardandolo con occhi pieni di compassione. Non voleva allontanarsi, ma non poteva non esaudire la sua richiesta. Non aveva niente con sé, a parte una giacca. Senza esitare, la tolse e la posò con delicatezza sulle stanche membra del giovane. Sarebbe bastato? Cos’altro poteva fare per lui? Era così impotente, così piccola, così... fragile. Fino a quel momento lui era stata la sua forza, la sua luce, il suo tutto.
Mugugnò qualcosa prima di cadere in uno stato di incoscienza. Forse, erano parole di gratitudine, un apprezzamento per il suo piccolo gesto. Un sorriso malinconico estese la forma delle sue labbra, mentre osservava il suo signore riposare. Sembrava che il peggio fosse passato -o così sperava-, portando una mano sul petto e meditando. Scacciò dei pensieri funesti con un cenno del capo e si sedette accanto al rosso, raccogliendo le braccia intorno alle ginocchia e riposando per poco gli occhi.
Lo sentiva. Il suo cuore batteva a ritmo regolare, dolorosamente. Ogni battito era come una fitta che le si estendeva in tutto il petto. Provava una spiacevole sensazione, diversa da quella che solitamente provava quando gli era vicino. Già, sin dal loro primo incontro, se ne era innamorata. Amava quell’uomo più di ogni altra persona esistente al mondo. Il suo buon cuore, la sua gentilezza, il suo altruismo velato da un alone di mistero... Erano cose che l’avevano ammaliata, rendendola “schiava” del suo padrone anche sentimentalmente. Ma non le sembrava una cosa tanto negativa. Al contrario, stargli vicino la faceva sentire meglio, le dava una sensazione di benessere che non aveva mai provato, e poco le importava se per lui non fosse lo stesso: finché sarebbe stato felice lui, lo sarebbe stata anche lei. Tuttavia, come ogni ragazza persa nei suoi sentimenti, sperava con tutta se stessa di divenire la “prescelta”, la sua donna, l’oggetto delle sue pene d’amore. Seppur fosse solo una domestica, aveva certe ambizioni, ambizioni che ormai si erano infrante come uno specchio al suolo.
 
Sentì qualcosa strattonarle il braccio e riaprì velocemente gli occhi. Accanto a sé, Kougaiji prese a farneticare qualcosa e ad agitarsi, come se avesse delle convulsioni. Sobbalzò allarmata, il cuore che le batteva all’impazzata per lo spavento, facendosi leggermente indietro per la paura. Stava accadendo? Stava... Si stava trasformando? No, non... Non poteva già esser accaduto. No! Si portò istintivamente le mani alla bocca per trattenere singhiozzi e urla, mentre le lacrime le scendevano copiosamente sulle guance.
-Ya...o...ne.... Aiut...ami...-
Tremava, le gambe erano divenute molli e minacciavano di cedere da un minuto all’altro e la sua mente aveva smesso di ragionare razionalmente. Guardava la scena in preda al panico, interrogandosi sul da farsi. La voce del rosso le incuteva ancor più timore, rauca e affannosa com’era, e chiamava il suo nome, cercava il suo aiuto.
-Signor Kougaiji...- bisbigliò, avanzando lentamente verso di lui.
Si lasciò cadere sulle ginocchia non appena fu accanto a lui, cercando di bloccarlo e farlo calmare. Emetteva dei versi spaventosi, si dimenava, muoveva il corpo freneticamente senza volerlo.
-Ti prego.... Ucc...dimi... Subito.... Scappa....-
Riusciva appena a parlare, a dire qualcosa. Le sue uniche parole furono una supplica di aiuto alquanto estrema, una decisione che non voleva accettare. Non poteva finire così!
-No, calmatevi, signore! Vi prego, non c’è bisogno che io vi uccida! Calmatevi!- continuava ad ordinargli affannosamente.
Ma non era qualcosa che il rosso avrebbe potuto controllare. Qualsiasi cosa lo avesse infettato, lo portava a reagire a quel modo, ad attraversare fasi altamente strazianti. Continuava ad agitarsi convulsamente nella presa della giovane a chiedere una fine alle sue sofferenze, prima di diventare uno di loro. Non l’avrebbe ucciso per salvare se stessa, non sarebbe scappata lasciando il suo corpo in balia di quelle schifose creature... Non si sarebbero separati per nulla al mondo. Era egoista, sì, ma non poteva accettare che incontrasse una simile fine. Era... Era assurdo, ingiusto!
-Yao...ne... Ti prego...-
Prese a gridare ed emettere dei versi più acuti, divincolandosi dalla presa e cadendo al suolo, steso contro il freddo pavimento di quella buia stanza, il corpo percorso da spasmi. Tossiva e respirava affannosamente, sputando sangue.
Yaone non riusciva più a reggere una simile vista. Era in preda ai singhiozzi, in quel momento -- la vista era offuscata e riusciva a malapena a distinguere quella figura un tempo amica. Si mordeva il labbro inferiore per trattenere l’immenso dolore che in quel momento le stava squarciando il petto, affondando le dita saldamente sul proprio vestito. Credeva che fosse l’unico modo per tenersi salda alla realtà, per sapere che non stava facendo un brutto incubo, ma stava vivendo davvero quella tragica esperienza. Desiderava così tanto sbagliarsi, desiderava così tanto svegliarsi in un caldo letto e rivederlo sorridere. Sapeva che non sarebbe mai successo, che la sofferenza era l’unica cosa a rammentarle il mondo a cui adesso apparteneva, che non c’era più via di scampo. Doveva ucciderlo, proprio come lui stesso le aveva appena chiesto. Doveva porre fine alle sue sofferenze. Solo così la sua anima avrebbe riposato in pace e solo così avrebbe avuto la certezza che non le avrebbe fatto del male successivamente.
Chinò il capo emettendo un urlo disperato e si lasciò cadere con i palmi rivolti al pavimento, prendendo a battere dei pugni e a dar sfogo al suo tormento.
Ad un tratto, alzò appena il capo in direzione del corpo di Kougaiji, ormai quasi esanime. Le dita e le gambe avevano dei piccoli spasmi e si muovevano ad intervalli irregolari e il ventre pareva gonfiarsi ogni tanto. La donna si fece forza e si avvicinò a lui, chiandosi accanto alla testa e sollevandola appena, fino a farla riposare sulle gambe.
-Mio signore...- iniziò, singhiozzando.
Delle lacrime caddero sul volto ambrato del rosso. -De...vi...sca...pare... Yaone...-
-Shhhh, non si sforzi, per favore. Ho capito tutto.- mormorò, cercando di sorridergli e di trattenere le lacrime, con grande sforzo. -Eseguirò il vostro ultimo ordine fino alla fine.-
Provò anch’egli a sorriderle, muovendo con grande difficoltà i muscoli del volto. Voleva incoraggiarla un’ultima volta e assicurarle che sarebbe andato tutto bene. Voleva darle un’ultima dose di speranza.
-Prome..ttimi....una...cosa... Vivi...-
Annuì con forza, ma stavolta ulteriori lacrime sgorgavano copiosamente dai suoi occhi, bagnandole il volto e facendola singhiozzare rumorosamente. Kougaiji le diede un ultimo sorriso.
-Quan...do sei... Pronta... Uccidi...mi...- concluse, chiudendo gli occhi e prendendo a respirare affannosamente, affaticato dallo sforzo.
Deglutì rumorosamente, conscia della sua ultima promessa verso il suo signore. Non voleva che finisse così, non voleva compiere quel gesto estremo, non voleva perderlo, tuttavia, non aveva più scelta. Non poteva sottrarsi alla sua promessa. Sebbene fosse doloroso, doveva farlo. 
Si rialzò, facendo riposare il capo sul pavimento, e si guardò intorno alla ricerca di un’arma. Le serviva qualcosa di pesante, un’attrezzo in grado di spaccargli la testa, o di mozzargliela, giusto per essere sicura che non potesse tornare in vita; una mazza, una sega circolare, una spada... Qualsiasi cosa sarebbe andata bene, purché utile per il suo scopo. Si trovava in una casa piuttosto comune e non pareva esserci nulla fuori dall’ordinario. Forse, in garage o nello scantinato avrebbe trovato qualcosa, pensò. Lanciò un’ultima occhiata ai suoi piedi. Temeva in cuor suo che se si fosse allontanata, sarebbe successo qualcosa, ma non aveva altra scelta. In quella stanza c’erano solo armi di corta gittata e usarle sarebbe stato un pericolo per se stessa. Una pistola sarebbe stata decisamente migliore, o un fucile, considerando la possibilità di essere lontani dal bersaglio, ma erano anch’esse rischiose, se si teneva in considerazione il rumore prodotto dal colpo. Si congedò da Kougaiji e si diresse verso la cucina dell’abitazione e si diresse nello scantinato. Accese la luce, premendo un interruttore sulla sua sinistra, appena entrata, e osservò accuratamente gli oggetti presenti nella stanza. Adocchiò subito un’ascia attaccata alla parete e vi si avvicinò a passo spedito. Constatò subito a malincuore quanto fosse pesante e impiegò dei tentavi per sollevarla dal ripiano su cui poggiava; ciononostante, non demorse. Riuscì finalmente a sollevarla e menò un fendente nell’aria per capire come usarla. Doveva essere decisa e pratica, così da non rischiare errori. Una volta acquisita la praticità sufficiente e convinta delle sue azioni, lasciò la stanza per tornare da lui.
Devo farlo per il signor Kougaiji...

 
Tornò nella sala da pranzo, dove il ragazzo riposava, ma la scena pareva esser diversa. Yaone spalancò gli occhi e prese a tremare.
-Signor... Kougaiji...?- domandò con un sottile filo di voce.
La figura che si presentava ai suoi occhi era proprio quella del suo signore, apparentemente sano e in piedi, lì di fronte a lei. Non mostrava nessuno dei precedenti sintomi e se non fosse stata lì nell’ultima mezz’ora, avrebbe potuto pensare che si fosse ripreso, che fosse lo stesso di sempre. Quel silenzio le metteva ansia. Sentiva il cuore battere all’impazzata, pronto a scoppiarle da un momento all’altro. Goccioline di sudore le imperlavano appena la fronte, fredde. Il tempo sembrava essersi dilatato fino a rendere quell’istante eterno.
-No, vi prego... Ditemi che non... No...-
La sottile voce della ragazza corrispondeva perfettamente ai suoi stati d’animo. C’era un filo di paura, di disperazione in lei, incredulità e rifiuto categorico della situazione che avrebbe vissuto di lì a poco. Il suo io sapeva benissimo cosa stava succedendo, ma non voleva accettarlo. Non poteva! Non le riusciva affatto accettare quella situazione così assurda. E il suo cuore era decisamente stanco di tutta quella tristezza che aveva accumulato in così poco tempo da non poter più permettersi un simile colpo. L’uomo che amava aveva un posto così grande nel suo cuore che la sua perdita sarebbe stata uno scacco matto a quel briciolo di sanità mentale rimastole. Ma adesso, l’universo intorno a sé andava sgretolandosi e lei era sola.
La sua vista minacciava di offuscarsi quando, all’ennesimo richiamo, il ragazzo non rispose. Le mani iniziavano a cedere al peso dell’arma e di scatto serrò la presa attorno al manico di legno. Il rosso alzò appena la testa e rivelò degli occhi vuoti, delle pupille che fissavano non lei, bensì la sua carne. Era diventata nient’altro che carne fresca per quello che una volta era il suo padrone e, come ben sapeva, di lì a poco l’istinto di quelle creature lo avrebbe spinto ad avventarsi su di lei per renderla l’ennesima vittima di quel flagello. Non posso permetterlo. Non posso permettere che gli sforzi di tutti loro siano vani. Devo vivere per Dokugakuji, per la signorina Lirin e... per il signor Kougaiji.
Poi accadde. Il ragazzo scattò in avanti verso Yaone, le braccia protese verso di lei e le mani pronte a serrare le proprie dita attorno alle sue candide braccia. Il cuore della ragazza batteva all’impazzata, mentre la paura continuava a crescere dentro di sé. Non si lasciò intimidire. L’adrenalina rilasciata nel suo corpo fece sì che i suoi riflessi fossero molto più acuti e che al momento giusto ella potesse schivare l’attacco. Si spostò lateralmente, facendo curvare in avanti il suo nemico e fu allora che la sua chance giunse. Ancora una volta, le sembrò che il tempo si fosse fermato e che quell’attimo fosse eterno. Sollevò l’arma con tutta la forza che aveva, finché la punta dell’asta in legno non fu in corrispondenza del petto e con fermezza puntò alla nuca. Un colpo netto e un rumore sordo. 
Osservò la scena impietrita. Il sangue zampillava dal taglio, colando verticalmente lungo il tronco del corpo, e la testa rotolò in avanti di qualche centimetro. Per qualche minuto il corpo rimase in piedi, facendo qualche passo, come se fosse mosso da vita propria, e facendo indietreggiare la ragazza per lo spavento; poi, cadde sulle ginocchia e si stese in avanti, accanto alla testa mozzata. Fu presto ricoperto dal sangue che continuava ad uscire abbondantemente, isolando il corpo da tutto il resto. Fu allora che si sentì sollevata. Con un tonfo si lasciò cadere l’ascia a terra e, infine, si lasciò cadere anch’ella sulle sue ginocchia, portandosi una mano alla fronte e prendendo a singhiozzare. È tutto finito, pensava, adesso... è tutto finito! Io... L’ho fatto per il suo bene! Era il suo ultimo desiderio e io l’ho esaudito. Aveva mantenuto la promessa fatta e li aveva uccisi, in modo da arrestare l’incontrollata sete di sangue che animava gli zombie, eppure...
Ora che era rimasta sola, non c’era più nulla che potesse fare. Non sapeva cosa fare, né dove andare. Le rimaneva solo un posto in cui dirigersi, la periferia, ma non aveva alcuna certezza di salvarsi. 

Fine

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