Alexandra Mayer

di giamma21
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Serata movimentata ***
Capitolo 2: *** L'indagine comincia ***
Capitolo 3: *** Rete di bugie ***
Capitolo 4: *** La scommessa ***
Capitolo 5: *** Sulla pista da ballo ***
Capitolo 6: *** La tranquillità dura poco ***
Capitolo 7: *** Perlustrazione ***
Capitolo 8: *** Cyber indagine ***
Capitolo 9: *** Verità nascoste ***



Capitolo 1
*** Serata movimentata ***


Margareth Sullivan aveva 58 anni. Il vestito rosso scuro che indossava le attribuiva un senso di sensualità, che la faceva sembrare più giovane e le metteva in risalto la pelle. Donna alta, dalle curve leggere, i capelli tendenti al grigio, ricca esponente dell’aristocrazia Americana, mostrava la collana di perle bianche al pubblico che le stava davanti.
Il filo di perle era chiuso in una piccola teca di vetro sigillata, ma ora si avvicinava al suo collo, e gli si attorcigliava chiudendosi.
L’evento organizzato dall’assistente della signora Sullivan, aveva come fine la vendita della collana a un’organizzazione contro la fame nel mondo.
Essendo però enorme l’egocentrismo della proprietaria, non sarebbe stato concepibile donare la collana senza prima farsi vedere da tutti, indossandola almeno una sera.
La sala della presentazione era larga e gremita di persone, gli angoli riempiti con buffet abbondanti e drink costosi, un piccolo palco allestito dal quale Margareth scendeva scortata dall’assistente.
Jane Brookes era bionda, e i suoi occhi erano verdi, aveva 29 anni, ma il duro lavoro e le numerose ore di organizzazione degli altrettanto numerosi eventi, svolti per la signora Sullivan, la facevano sembrare più vecchia e stanca.
Ricordò come aveva ottenuto il lavoro grazie alle conoscenze del padre, e come avesse sempre odiato il comportamento meschino della signora per cui lavorava.
Tuttavia non lo aveva mai dato a vedere, e non c’erano mai stati problemi per questo. Margareth Sullivan era moglie di un ricco finanziere Americano, ma del marito a quei tipi di eventi non c’era mai traccia, lui era pieno di lavoro, e preferiva non alimentare ulteriormente l’odio degli invidiosi sfoggiando abiti di lusso o accessori costosi.
Jane era fidanzata da tre anni con Michael Sutton, scrittore di romanzi gialli e thriller, che aveva raggiunto un discreto successo con l’ultimo romanzo dal titolo “Ossessione Fatale”, che parlava di due giovani donne in lotta per l’amore di un unico uomo. Una delle due, con un passato di farmaci anti-depressivi e sedute psicologiche, uccide l’altra in un culmine di follia, e deve poi nascondere il corpo e tutte le tracce che la collegano al delitto.
Ora Michael scriveva una fiction per la televisione, e quella sera si era ritagliato del tempo per partecipare alla presentazione, sotto richiesta della fidanzata.
Jane controllò l’orologio, erano le 21:10 circa. Alle 22 avrebbero dovuto sgomberare la sala. Margareth era andata a chiacchierare con i colleghi e gli invitati, per discutere dell’evento.
-Come procede?- chiese Michael legando il suo braccio a quello di Jane.
-Bene, abbiamo seguito la scaletta, e Margareth non si è dilungata troppo. Mi ero raccomandata, tra poco dobbiamo liberare. Che ne pensi tu?- rispose Jane, nervosa ma sorridente.
-Hai fatto un ottimo lavoro, prima ho sentito qualcuno tra i presenti fare dei commenti positivi sull’organizzazione e sulla straordinaria bellezza dell’assistente della signora Sullivan!- disse Michael, mettendosi di fronte a Jane. Lei sorrise, questa volta senza essere forzata per farlo.
-Scemo, ti perdono per la tua bugia solo perché questo smoking ti rende molto sexy- replicò baciando il fidanzato sulle labbra.
Liberatasi dalle conversazioni, Margareth raggiunse i due.
-Michael, è passato molto tempo dall’ultima volta che ti ho visto. Come stai? Procede bene la scrittura?- chiese sorseggiando dal bicchiere.
-E’ un piacere vederla signora Sullivan, la serata è fantastica, i miei complimenti- Margareth sorrise maliziosamente –Io sto bene, e continuo a scrivere, grazie per l’interessamento- rispose Michael.
-Questo mi rende contenta, mi è piaciuto parecchio il tuo ultimo libro, molto intrigante. Sei fortunata, Jane, non fartelo scappare, mi raccomando!- disse Margareth stringendo il braccio alla sua assistente.
-Ma sentila, poteva risparmiarsi l’ultimo commento…- affermò Jane, una volta che l’altra si era allontanata.
-Io l’ho trovata gentile, anche troppo- replicò Michael.
-Ti stava facendo la corte, come minimo, non sarebbe la prima volta- aggiunse Jane.
-Sei ancora convinta che ci abbia provato con me?- chiese lui, meravigliato.
Jane sosteneva che Margareth avesse flirtato con il suo fidanzato, le poche volte che l’aveva visto. Ciò la preoccupava, perché non sapeva fino a dove Margareth sarebbe potuta arrivare, e se lo sapeva non voleva pensarci.
Mentre discuteva con Michael, ripensò alle sere in cui lui tornò a casa ubriaco.
Jane non sapeva cosa aveva fatto, con chi, o dove, e la loro relazione era stata messa a dura prova. Non poteva perderlo nuovamente. Non voleva.
Quando la sveglia del telefono suonò, si erano fatte le 21:30.
Jane inquadrò Margareth e le fece segno di andare.
La donna informò i presenti e li ringraziò per aver partecipato, seguita dagli applausi e dalle voci accavallate delle persone.
-Dobbiamo andare a mettere la collana nella cassaforte, Jane- disse Margareth fermandola mentre salutava gli invitati, passandosi le perle tra le dite.
-Andiamo, la faccio passare da dietro il palco- replicò Jane, mentre accompagnava Margareth alla porta situata dietro l’impalcatura che nascondeva i cavi delle luci, degli altoparlanti e del microfono.
Aprirono la porta e Margareth camminò lungo il corridoio fino a una porta blu.
-Ricorda il codice della cassaforte? Io ho bisogno di andare in bagno, la raggiungo subito- disse Jane.
-Fai con comodo, te lo meriti, stasera è stata eccezionale. Grazie a te- replicò Margareth sorridendole.
Jane andò in bagno, e per un po’ si sentì bene con se stessa, felice di essere stata elogiata. Quando ebbe finito di fare pipì, si pulì bene e si sciacquò le mani. Bagnò un fazzoletto di carta con l’acqua del rubinetto e asciugò il sudore sulla fronte, che si era creato per l’agitazione. Si sentiva fresca e tranquilla, e non vedeva l’ora di andare a casa e stringere il suo fidanzato. La sera era stata stancante, ma il giorno seguente sarebbe stato più leggero, ora che la presentazione era passata.
Jane aprì la porta del bagno e uscì, mentre la richiudeva, un urlo dal fondo del corridoio la fece sobbalzare.
 
Margareth si allontanò dopo aver fatto i complimenti a Jane, giusto per farla smettere di lamentarsi con gli amici sulla sua datrice di lavoro fastidiosa e maleducata. Secondo lei Jane faceva bene il suo lavoro, ed era affidabile, ma non conosceva la sincerità, e ciò poteva rappresentare un punto negativo.
Percorse il lungo corridoio fino alla porta blu, e l’aprì con una chiave argentata.
Oltre la porta, c’era una stanza con una piccola cassaforte, con una serratura e un tastierino numerico, installata nel muro più corto.
Margareth prese una seconda chiave, quella della cassaforte, dal mazzo che comprendeva quella argentata, la porta alle sue spalle era socchiusa.
La chiave entrò nella serratura della cassaforte, e lei inserì il codice a quattro cifre. 7459. Sentì un rumore meccanico e la cassaforte si sbloccò, aprendosi.
All’interno ripose la collana, cautamente rinchiusa nella teca di vetro, e raccolse la piccola pistola che aveva lasciato all’arrivo. Non si separava mai da quella pistola, la portava appresso da quando qualcuno si era introdotto nella sua casa dopo averla tartassata di messaggi minacciosi.
Sentì la porta cigolare, e sobbalzò.
-Oh, mi sono spaventata… sai, ero persa nei miei pensieri- disse, incerta su chi fosse alle sue spalle.
Fece per voltarsi, ma la sua faccia fu spinta violentemente contro la cassaforte di acciaio, stordendola momentaneamente.
Margareth urlò terrorizzata quando si raccolse sul pavimento, vedeva doppio e non riusciva più a mettere a fuoco. Tastava ovunque con le mani, mentre le lacrime le soffocavano gli occhi e la testa era dolorante.
Una sagoma davanti a lei si muoveva tra la porta e la stanza, come se fosse indecisa sul restare o fuggire. Sentì il rumore affilato di un coltello.
Margareth afferrò qualcosa di freddo e pesante, e quando impugnò meglio l’oggetto, realizzò che era la sua pistola. Sentì dei passi, qualcuno correre, e non capendo più cosa stesse succedendo, spinse il grilletto e sparò contro la porta, colpendo la sagoma.
 
-Cosa sta succedendo?!- gridò Jane correndo verso la porta blu, che era spalancata. Poteva sentire qualcuno piangere oltre a essa.
Le altre porte del corridoio sembravano chiuse, ma non ne era certa.
Quando raggiunse la porta blu, vide quelle che sembravano essere le gambe di Margareth sul pavimento, che strisciavano.
-Margareth? Che ti è successo?!- disse attraversando la porta.
Ci fu un colpo esplosivo.  Jane cadde a terra, spruzzando sangue sul muro e sul pavimento. Il dolore era lancinante, e piano piano, prese il sopravvento.
 

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Capitolo 2
*** L'indagine comincia ***


Alexandra Mayer stava camminando per andare al condominio dove si era tenuta la presentazione, non appena ebbe saputo di ciò che era successo, attratta dalla situazione e dalle domande che essa poneva, trovò il modo di farsi assegnare come investigatrice privata dalla famiglia Sullivan.
Dopotutto era il suo lavoro, e sapeva come giocare bene la carta del “si fidi di me, le ricerche della polizia sono banali, e l’unica cosa di banale che c’è nelle mie indagini è l’identità del criminale”.
Aveva appuntato i dettagli importanti e principali, come il nome delle vittime, il luogo dell’incidente, e via così.
 
Margareth Sullivan-vittima, viva e in ospedale.
Jane Brookes-assistente della Sullivan, morta.
Presentazione di un filo di perle prezioso per donazione.
Nessun testimone.
 
Se c’era una cosa che Alexandra si ripeteva sempre quando doveva indagare su una scena del crimine, era che per quanto si potesse essere minuziosi nella rimozione delle proprie tracce, sarebbe sempre rimasto anche un minimo dettaglio, che attraverso una rete di collegamenti, avrebbe portato all’identità del colpevole. Se così non fosse stato, probabilmente delle tracce si sarebbero ritrovate nei dintorni del luogo del delitto, come un’arma abbandonata nel bidone del parco, i vestiti insanguinati buttati nel water. Nel caso in cui le prove fossero state nascoste bene, o il colpevole sarebbe ceduto alla pressione, o non sarebbe mai più stato trovato.
La maggior parte degli omicidi o delle aggressioni che le erano state affidate, si erano rivelate opera di persone ordinarie che non avevano mai avuto a che fare con omicidi.
Altrettante volte, gli omicidi avvenivano involontariamente, per via di scatti d’ira o grilletti sensibili. 
Alexandra era una donna di 30 anni, e aveva ottenuto la licenza di investigatore privato all’età di 27. Qualcuno avrebbe potuto dire che era una novellina, ma i soli tre anni di servizio erano stati abbastanza da rendersi conto che la perfezione non apparteneva al mondo in cui viveva, e i suoi abitanti stavano impazzendo.
Era alta, in forma, andava quotidianamente in palestra e frequentava corsi di auto difesa.
Diventare suo amico era difficile, non impossibile, ma avrebbe scoraggiato da subito chi avrebbe voluto provarci. Restava distaccata dagli altri, e questo le aveva sempre permesso di non restare ferita.
Aveva totalmente perso la fiducia nelle persone, da quando sua madre scomparve nel nulla, e le ricerche per ritrovarla non furono abbastanza esaustive. Dopo meno di un mese, il suo caso fu archiviato. Alexandra non capì mai quella scomparsa improvvisa, e il vuoto che la madre le aveva lasciato non era mai stato colmato.
Il lavoro da investigatrice l’aveva aiutata a concentrarsi sui dettagli, a interrogarsi su ciò che la circondava, ma con il passare degli anni tutto ciò divenne inutile per trovare la madre. Era passato troppo tempo, e i ricordi sfocati erano andati persi e quelli rimasti erano confusi.
Alexandra però non era interessata a ricordare, né tantomeno a rimuginare sul passato. Doveva scoprire cos’era successo alla presentazione della collana di perle, e chi aveva attaccato la signora Sullivan, portando alla morte di Jane Brookes.
Entrando nell’edificio, la donna fu accolta dalla receptionist.
-Posso aiutarla, signora?- chiese agitata, molto probabilmente l’intero palazzo era in subbuglio per via degli eventi della sera prima.
-Sì, sono l’investigatrice privata Alexandra Mayer- disse Alex, come si faceva chiamare dagli amici intimi, alla ragazza dietro il bancone.
-Per ciò che è successo ieri? Ultimo piano, troverà la fila di persone che vanno e vengono…- replicò la receptionist, indicando l’ascensore.
-La ringrazio, buon lavoro- Alexandra prese l’ascensore e salì fino all’ultimo piano.
Mentre saliva, cominciava già a chiedersi come l’assalitore avesse potuto fuggire senza farsi vedere da nessuno.
Molto probabilmente aveva preso le scale, ad ogni modo lo avrebbe scoperto presto. Non doveva farsi riconoscere per entrare nella scena del crimine.
Arrivata nella sala, si ritrovò davanti numerosi agenti.
-Alexandra Mayer, guarda un po’ chi ci vuole soffiare il caso!- disse ad alta voce, dirigendosi verso lei, il detective Mark Lawrence, un uomo di 35 anni di origini messicane.
-Non è colpa mia se le mie ricerche sono più affidabili delle vostre- ribatté lei dirigendosi verso il retro del palcoscenico.
-E’ là dietro, giusto?- chiese guardando Mark.
-Frena, frena. Tu non puoi stare qui. Fai le tue indagini, le “ricerche”, ma lontana dal luogo in cui è avvenuto il crimine. Ricordi?- rispose lui fermandola.
-Come posso indagare senza nemmeno sapere cos’è successo?- disse lei guardandolo ironica.
-Non è un problema mio, o nostro- ribatté Mark indicando l’altro gruppo di agenti. E’ il lavoro degli investigatori privati, trovare vie alternative alle nostre, no? O il tuo lavoro…- chiese, beffardo.
-Hai ragione. Che ne dici, ti va di fare una scommessa?- chiese Alexandra, controllando l’orologio. Non aveva tempo da perdere.
-Che tipo di scommessa?- chiese Mark, incrociando le braccia.
-Scommetto che scoprirò il colpevole entro la fine di questa giornata. E no, non sono pazza né visionaria- disse Alexandra mantenendo saldo il contatto visivo.
-Tu, sei ridicola. Non hai una singola prova o qualche conoscenza riguardo al caso. Non puoi sapere niente, che noi non sappiamo già- replicò il detective Lawrence, con tono accusatorio.
-Ho saputo quanto mi basta per effettuare un identikit parziale dell’assalitore, dalla famiglia Sullivan. E la vita di una ragazza è stata strappata ingiustamente, quindi scoprirò da sola il responsabile di tutta questa faccenda. Farò quello che ho sempre fatto, e mentre voi siete qui a brancolare nel vuoto, là fuori c’è un uomo pericoloso che cammina tra le persone- commentò furiosa Alexandra.
-Uomo? Come fai a sapere che è un uomo, tenente Colombo?- chiese Lawrence ridacchiando.
-Quando una donna uccide, lo fa con freddezza, e finisce sempre ciò che ha iniziato. La signora Sullivan è stata attaccata e secondo ciò che ha riportato una volta risvegliata in ospedale, chi l’ha ferita sembrava indeciso e spaventato. Tipico atteggiamento di un uomo che si fa prendere dal panico e non sa cosa fare. Ma ovviamente quello che ti sto dicendo non ti è nuovo, no? Sono certa che saresti giunto anche tu a queste conclusioni, Mark- concluse, fiera di sé.
Mark ragionò sulle teorie di Alexandra, e pensò che non avesse tutti i torti.
-Non ho più tempo da perdere, fuori dalla scena del crimine, ora!- disse allontanandola.
Prima di andarsene, Alexandra attese alla porta dell’ascensore.
Il detective Lawrence andò a parlare con qualcuno nel centro della sala.
-Quella ficcanaso, santo cielo. Rita, avete già interrogato il marito della Brookes?- chiese, stirandosi le spalle.
-“Fidanzato”, Mark. E no, nessuno l’ha ancora interrogato- rispose Rita Harvez, controllando una scheda gialla.
Ora Alexandra aveva una pista, e la sua prima tappa per la scoperta del colpevole prevedeva una visita a casa del fidanzato di Jane Brookes.
Il tempo passava, e lei avrebbe vinto la scommessa fatta. Ne aveva tutte le intenzioni.
-
 
Tecnicamente la signora Sullivan era la colpevole del reato, perché aveva ucciso la sua assistente con un colpo di pistola, ma date le circostanze, la donna non poteva essere incolpata per essersi difesa da un assalitore.
La casa di Jane Brookes e di Michael Sutton si ergeva su due piani, collocata sopra una collina, nella zona di campagna della città. Era costruita fondamentalmente di legno costoso, e disponeva di un largo portico. Omaggio dal ricco padre di Jane, probabilmente.
Alexandra non aveva chiamato, e in tutta onestà rimpiangeva di non averlo fatto.
Quante erano le possibilità che Michael fosse rimasto solo a casa, in un giorno di lutto come quello?
Nel giardino era parcheggiata un’Audi A1 nera e grigia.
Bingo!
Alexandra si fermò vicino al cancello d’entrata, e scese dalla sua Jeep Cherokee nera. Tastò il piede sinistro, e sentì il piccolo contenitore di spray al peperoncino aderire contro la sua pelle, sotto gli stivaletti a tacco basso.
Il cancello di ferro era socchiuso, e lei l’oltrepassò senza preoccuparsi di suonare.
Giunta davanti alla porta d’ingresso, suonò il campanello, e ascoltò la sua melodia risuonare nella casa.
Dopo qualche istante un ragazzo in pigiama aprì la porta, il suo viso stanco e triste.
-Michael Sutton?- chiese Alexandra, con un tono rassicurante, alla vista del ragazzo che aveva visto in foto nel suo telefono un’ora prima. Sapeva che fosse lui, ma non voleva irritarlo ulteriormente.
-Sono io... è qui per Jane? E’ della polizia? Perché mi hanno chiamato dicendomi che sarebbero passati a farmi qualche domanda- disse lui, prendendo fiato ripetutamente. Probabilmente aveva pianto tutta la notte, e dava l’impressione di soffrire di mal di testa.
-Sono un’investigatrice privata, Alexandra Mayer. Mi ha chiamato la famiglia Sullivan per indagare su ciò che è successo ieri notte...- spiegò lei, mostrando il badge nel suo portafoglio al ragazzo.
-La signora Sullivan!- sospirò Michael, con un lieve tono di rabbia, -E’ colpa sua se Jane è morta. Le ha sparato, mentre lei cercava di aiutarla- continuò, affranto.
-Signor Sutton, possiamo sederci per parlarne, ho solo bisogno di chiederle qualche informazione sulla scorsa notte per restringere il campo dei sospettati- disse Alexandra, mantenendo la voce tranquilla e diretta.
 
 
-Lei conosceva Margareth Sullivan?- chiese la donna, sedendosi sul divano di pelle bianco del salotto. Prese il taccuino che le aveva regalato suo padre quando ottenne la licenza, e cominciò ad annotare le risposte.
-Non proprio, ma sapevo che tipo di persona era. Jane ne parlava di continuo...- rispose lui.
-E che tipo di persona era?-
-Egoista, superficiale. Il prodotto della società di cui faceva parte.-
Michael Sutton è veramente un uomo colto, diretto.
-L’aveva mai incontrata di persona, prima della scorsa serata?-
-Di rado, quando ero con Jane. Ma non capisco come possa aiutarla interrogare me, signora Mayer, quando è la signora Sullivan che è stata attaccata-
-La prego, mi chiami Alexandra. Ieri sera, in pochi erano rimasti nella sala, al termine della presentazione. Lei era lì, non è vero?- chiese Alexandra, raddrizzando la schiena.
-Sì, aspettavo Jane, doveva sistemare la collana nella cassaforte-
-Perfetto, ricorda di aver notato qualcosa di strano? Nel comportamento della signora Sullivan? Qualcuno di sospetto? Margareth ha spiegato di essere stata attaccata da qualcuno, quando si è risvegliata in ospedale-
-Sembrava tranquilla, e nella sala c’erano altre persone, poche. Non ricordo chi fossero-
Michael balbettava, e si massaggiava le mani nervosamente.
-Com’era la sua relazione con Jane, Michael?- chiese Alexandra, chiudendo il blocco appunti.
-Noi ci amavamo, avevamo avuto un periodo di crisi, come tutte le coppie d’altronde, no? Jane mi aveva sempre supportato nella scrittura...-
-E’ uno scrittore?- chiese nuovamente la donna, con un falso tono di sorpresa.
-Sì, scrivo libri gialli...- rispose Michael, asciugandosi gli occhi umidi con un fazzoletto.
Nei casi come questo, Alexandra doveva mantenersi il più parziale possibile. Affezionarsi a una persona comprometteva il suo giudizio, e lo svolgimento delle indagini. Alterava i punti di vista generali.
Michael Sutton sembrava sincero, almeno riguardo ai suoi sentimenti verso Jane. Tuttavia aveva un’ombra di misteriosità. Pareva un cucciolo indifeso, ora che era solo. Alexandra non poté non trattenere un briciolo di compassione per lui.
-Vedrà che tutto si risolverà, scopriremo in un modo o nell’altro il colpevole di questa vicenda. Forse troverà la pace in questo, Michael. Jane non vorrebbe vederla così- disse lei, stringendogli una mano.
-Lo pensa sul serio? Si risolverà tutto?- chiese lui, asciugandosi le lacrime agli occhi.

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Capitolo 3
*** Rete di bugie ***


Lasciando la casa di Michael, Alexandra provò una strana sensazione. Sentiva che ci sarebbe ritornata. Una macchina della polizia superò la sua.
Poliziotti, pensò Alexandra. Non erano in grado di fare il loro lavoro per bene.
Lo testimoniava il caso di sua madre. Come può una donna sparire nel nulla, da un giorno all’altro? Come potevano esserci zero testimoni, e zero tracce?
Melissa Mayer non era una donna perfetta, e probabilmente era una pessima madre. Ma Alexandra sapeva che la sua condizione era complicata. Viveva distante dai genitori, e non voleva che la aiutassero economicamente. Questo si rifletteva sulla vita sua e di Alexandra, allora una bambina.
Non la amava per quello che poteva offrirle o no, ma la amava perché era sua madre. Il padre di Alexandra lavorava come barista giorno e notte, e ci metteva tutto se stesso per non mostrare alla figlia che la loro situazione era una catastrofe.
Poi cominciarono a circolare in casa persone strane, “amici della mamma”. Alexandra sapeva così poco, di come stavano le cose all’epoca, eppure aveva così tante domande. Nessuno aveva pensato che potevano essere state quelle stesse persone a far scomparire sua madre. Forse nessuno voleva pensarci.
Persa nei suoi pensieri, non si rese conto di aver raggiunto l’ospedale dove era ricoverata Margareth Sullivan.
 
La donna sedeva su una sedia a rotelle, guardava fuori dalla finestra della camera 103. La faccia era coperta da un enorme livido nero, e Margareth era tenuta insieme da qualche banda medica.
-Non ricorda altro?- chiese Alexandra, camminando avanti e indietro per la stanza stretta. Il suo orologio indicava le cinque del pomeriggio.
-Gliel’ho già detto. Se avessi ricordato qualcosa d’importante, lo avrei subito fatto sapere ai poliziotti, signora Mayer- rispose acidamente la donna.
Beh, Michael non mentiva.
-Signora Sullivan, ho la vaga impressione di non esserle molto simpatica, ma sono stata assunta dalla sua famiglia per scovare il suo aggressore, e mi pagheranno lo stesso per il servizio. Ora, può decidere di reagire chiudendosi in un guscio, oppure può beccare insieme a me chiunque le abbia fatto questo, e avere la sua vendetta-
Margareth si voltò, e guardò Alexandra parlare.
Prese un grande respiro, e tornò a guardare la finestra.
-Lei mi ricorda tanto me stesssa da giovane... Determinata, impavida. Ora mi guardi. Debole, indifesa. Jane è morta per colpa mia...- disse con voce tremante.
-Non s’incolpi, non lo faccia. Lei si stava difendendo- cominciò Alexandra.
-Sono una donna orribile, Alexandra, mi ha chiesto di essere sincera con lei, ma non riesco a trovare il modo per rivelarle un segreto di cui mi vergogno- replicò Margareth, sospirando.
-E’ il momento di parlare, Margareth. Io sono qui per ascoltarla, non per giudicarla- la rassicurò la ragazza.
-Io, avevo avuto dei rapporti... con il fidanzato di Jane, Michael- la rivelazione fu uno shock, un colpo improvviso nel petto di Alexandra.
-All’inizio era un semplice flirt, ma più tardi ci siamo entrambi ritrovati in una sorta di gioco passionale. Quando Jane ha cominciato a sospettare di noi, Michael ha voluto troncare i rapporti, e entrambi ci siamo alterati. Lì sono cominciate le lettere di minaccia. Credo che Jane le scrivesse. Lei e Michael erano in piena crisi, e persino io potevo avvertire che c’era qualcosa che non andava in lei- spiegò Margareth, lentamente, scandendo bene ogni parola.
Alexandra si era appoggiata al lettino della camera, e metabolizzava tutte le informazioni, facendo collegamenti mentali, costruendo ipotesi. L’immagine della ricca donna e dello scrittore, uniti in una tresca... chi era il colpevole di questa vicenda?
-Michael Sutton, la sera scorsa, come lo aveva trovato?- chiese poi, guardando Margareth.
-Stanco, nervoso. Era da parecchio, che non ci vedevamo...- rispose lei, cercando di non mostrare l’imbarazzo che provava.
-Margareth, un’ultima domanda. La collana, è stata rubata?-
-No, è al sicuro- disse la donna.
Ma non mi dire.
 
-
 
Quindi, l’assalitore di Margareth Sullivan, si è lasciato sfuggire una collana di inestimabile valore, dopo che aveva messo K.O. la donna? Che senso aveva l’attacco, se non di rapinarla? E Michael... oh, saresti dovuto essere sincero con me.
Non posso credere di essere stata così stupida con te. Fortuna che la amavi, Jane, eh?
 
La macchina di Alexandra parcheggiò fuori dalla casa di Jane e Michael.
L’Audi A1 era mancante, e si era fatto buio.
Alexandra suonò il campanello, ma nessuno rispose.
Si guardò intorno, in cerca di zerbini o sassi di dimensioni particolari. Nulla.
Dove tenevano le chiavi di casa?
Magari non ne hanno bisogno.
Alexandra girò la maniglia della porta, e questa si aprì.
-Non siamo molto prudenti, signor Sutton. Soprattutto con una ficcanaso come me, nei paraggi...- la ragazza entrò, e chiuse la porta alle sue spalle.
Prese il telefono e utilizzò la torcia per farsi strada nella casa.
Pile di libri dello scrittore giacevano sulla scrivania nello studio, seconda porta sul corridoio a sinistra.
Il computer al centro era illuminato.
Alexandra provò ad accedervi, ma era protetto da una password.
Digitò un numero sul telefono e chiamò.
Le rispose l’amico Bobby, di 28 anni. Probabilmente si trovava in ufficio, ad aspettarla.
-Ehi Alex, qualche novità? Non ti sei fatta più viva- disse lui, preoccupato.
-Ho grandi novità, ma al momento non posso proprio spettegolare con te sui gossip della media società, ho davanti il computer di un sospettato, ed è protetto da una password- spiegò lei, in un batter d’occhio.
-Perché ho la sensazione che non dovresti trovarti davanti a quel computer?- chiese Bobby.
-Ehi, la porta era aperta! Ora aiutami-
-D’accordo!- disse lui ridendo, -Riesci a collegare il computer alla rete del tuo telefono?-
-Diciamo che ci posso provare- Alexandra creò una connessione personale dal cellulare. Riaccese il computer e cambiò linea Wi-Fi, collegandosi alla sua.
-Ok, dovrei aver fatto tutto- concluse poi.
Bobby non rispose, poi dopo qualche istante parlò di nuovo.
-Sto hackerando il suo computer attraverso il tuo telefono, ci vorrà qualche minuto- spiegò, con voce stabile.
-Ho quasi finito, la password è veramente complicata- replicò Bobby.
Per quale motivo avere una password così difficile?
Improvvisamente una portiera sbatté fuori dalla casa.
Alexandra si voltò, e uscì dallo studio per guardare alla finestra.
Michael era tornato.
-Oh, merda... Alex- disse Bobby.
-Che succede?- chiese lei, osservando Michael raggiungere la porta d’ingresso. Lei tornò nello studio.
-Margareth Sullivan. E’ morta soffocata in ospedale- ribatté Bobby.
Il cuore di Alexandra si fermò. Prima non le importava che stava per essere probabilmente scoperta da Michael Sutton, ma ora che la sua amante era morta...
Alexandra corse nello studio, nascosta dietro al computer.
-Bobby, sono a casa di Michael Sutton. Chiama la polizia e mandala subito qui!- sussurrò, cercando di fare meno rumore possibile.
Il computer era stato hackerato, niente password!
-Cosa? Alexandra, che succede? Esci subito da lì!- esclamò Bobby, su tutte le furie, spaventato. Il telefono cadde abbandonato sulla scrivania.
Alexandra trovò come prima pagina l’indirizzo dell’ospedale dove era ricoverata Margareth Sullivan.
All’improvviso la corrente saltò. Alex lo capì dal simbolo di carica del computer, che cambiò in una “batteria”.
Era in trappola.
Fotografò lo schermo, e si diresse alla porta.
-Alexandra!- esclamò Michael, sul ciglio della porta. Lei si fermò prima di uscire, e si appoggiò al muro.
-So che sei in casa! Ho trovato la tua macchina di fuori!- la voce del ragazzo ora si stava muovendo. Non era più davanti alla porta, sembrava spostarsi in salotto.
-Immagino che i tuoi genitori non ti abbiano insegnato le buone maniere. Se qualcuno non risponde alla porta, non puoi semplicemente entrare!- continuò Michael. Andò nello studio, e trovò il computer aperto. Alexandra si era spostata nello sgabuzzino di fronte allo studio, situato dentro le scale.
-Hai visto la cronologia! Vuoi anche sapere dove mi trovavo un paio di minuti fa?- disse Michael, uscendo nel corridoio, -Sono andato a trovare la nostra amichetta, è stato piuttosto facile entrare senza che nessuno mi chiedesse niente. Mi chiedo dove si trovasse il Signor Sullivan e famiglia!- il ragazzo prese dalla tasca dei pantaloni una piccola pistola nera, e se la passo tra le mani.
La caricò, e Alexandra riconobbe il suono immediatamente. Era la pistola che teneva in macchina. Merda! E ora cosa faccio? Se esco da qui, sono alte le probabilità che quel moccioso mi spari. Alexandra, non ti dovevi cacciare in questo guaio. Se ora apre la porta, sono fregata. Ti prego, Dio, aiutami...
-Vogliamo continuare nascondino a lungo?- chiese ironicamente Michael, prima di spalancare la porta dello sgabuzzino. Puntò la pistola all’interno, ma Alexandra si era abbassata ad altezza stomaco e gli si gettò contro.
Michael sbatté contro il muro, e la pistola cadde per terra.
Lei fece per raccoglierla, ma lui la colpì con un forte calcio alla vita, spedendola ai piedi del divano in salotto.
Si rialzò velocemente e corse nella cucina collegata alla sala. C’era uno strano odore pesante, ma Alexandra non aveva tempo per annusare l’aria.
Cadde dietro un bancone di marmo verde, e si rannicchiò.
Michael, che nel frattempo si era rialzato dal pavimento con la pistola in mano, l’aveva seguita. La ragazza realizzò che il gas del forno davanti a lei era aperto. Allungò la mano per disattivarlo.
-Alexandra, basta giochetti!- gridò, mirando intorno con la pistola.
Alex si alzò dal suo nascondiglio e si mise in mostra.
-Sono qui, ti prego, abbassa l’arma Michael. Non ti servirà a niente spararmi. La polizia sta arrivando, non hai possibilità di farla franca- spiegò, con voce calma.
-Hai chiamato la polizia?! Lo possono fare gli investigatori privati?- chiese lui, ridendo sadicamente.
-Se spari ora, moriamo entrambi. Il gas si è disperso nella casa. Pensaci due volte, prima di fare qualcosa di cui potresti pentirti. Ricordi di cosa abbiamo parlato oggi? Jane...- Alexandra si muoveva a piccoli passi verso Michael, tenendo le mani sopra la testa.
-Jane è morta! Non è qui, non può soffrire o essere dispiaciuta- urlò lui, agitando l’arma.
Alexandra si preparò a compiere un’ultima follia.
-E’ arrivata la polizia, Michael- disse, indicando con la mano la finestra alle sue spalle.
Michael sgranò gli occhi, e si voltò a vedere, mantenendo la pistola puntata.
Alex si gettò sul pavimento, e rotolando verso di lui prese la bomboletta di spray al peperoncino che teneva nascosta negli stivali.
Quando Michael ebbe il tempo di rendersi conto della mossa, lei gli spruzzò un’onda del liquido dritta in faccia. A terra, sotto di lui, gli calciò il braccio con cui teneva l’arma. Michael sparò un colpo, e urlò dal dolore. La pistola volò lontana. Il gas si era piano piano dissolto, ma una fiamma si accese comunque sulla cucina, danzando nell’aria.
Alexandra si alzò e trascinò Michael, che si sfregava nervosamente gli occhi, fuori dalla casa. Fuori era buio pesto. Superarono il portico, e in quel momento l’onda d’urto di un’esplosione li fece volare entrambi sul prato del giardino.

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Capitolo 4
*** La scommessa ***


Dopo che i medici le avevano fatto tutti i controlli necessari, Alexandra poté lasciare la stanza dell’ospedale. Fuori la attendevano il detective Mark Lawrence, e Bobby. Quest’ultimo indossava una camicia, e dei pantaloni scuri. Aveva un portamento muscoloso, e un aspetto gradevole.
Alexandra zoppicava, e aveva parecchi lividi e graffi sul volto.
Guardò i due uomini, e fece uno sguardo di mistero.
-Non ditemi che sono in arresto!- esclamò scherzosa.
-Non ancora- replicò Mark, incrociando le braccia.
-Alexandra, potevi farti uccidere! Non capisci quanto io fossi in pensiero per te, sei completamente impazzita!- la rimproverò Bobby, passandosi le mani tra i capelli arruffati.
-Lo so, hai ragione. Ho reagito d’impulso, ma era in corso una scommessa, mio caro Bobby- disse Alex, cominciando a incamminarsi verso l’uscita.
Mark e Bobby la seguirono, camminando alle sue spalle.
-Ma non mi dire, hai fatto tutto questo per quella stupida scommessa?- chiese Mark, sbalordito.
-Immagino che la scommessa non valga più, ora che la signora Sullivan è morta- rispose Alex. Non riusciva a credere che la sua cliente era stata uccisa dal colpevole, non riusciva a perdonarsi per non essere stata in grado di impedirlo.
-Notizia dell’ultimo minuto: i dottori sono riusciti a rianimarla- replicò Mark.
Alexandra si fermò, e le labbra le si inarcarono in un sorriso.
-Bobby, prendi la macchina, stasera offro la cena- disse guardando l’amico, che si avviò alla porta d’ingresso scorrevole.
-Hai risolto il caso, complimenti- disse Mark.
-Come mai tutte queste attenzioni, ora?- chiese lei, insospettita.
-Sai, io e il boss stavamo pensando che tu sei una risorsa fondamentale per la risoluzione dei casi. Hai un intuito eccellente, e non puoi lasciarti scappare un posto al dipartimento dell’FBI- rispose Mark, sorridendole.
-E’ per caso un’offerta di lavoro, questa?-
-Dipende, se la vuoi accettare-
 Alexandra lo fissò negli occhi per un attimo. Lavorare con le persone che non sono state in grado di aiutarti a trovare la persona più importante della tua vita? Vederli ogni giorno, dover sopportare la loro insolenza? Gettare via un’intera adolescenza spesa per diventare un’investigatrice con uno studio personale? Dover sottostare ad un capo?
Prese gli occhiali da sole e li indossò.
-No, grazie- disse poi, inarcando le sopracciglia. Mark la guardò voltarsi ed andarsene.
Alexandra Mayer non è in vendita.

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Capitolo 5
*** Sulla pista da ballo ***


Le luci della discoteca illuminavano centinaia di giovani che riempivano la pista ballando. Flash colorati dipingevano le pareti di mattoni colpendo negli occhi i ragazzi che baciavano le loro fidanzate.
La musica esplodeva dagli amplificatori, rendendo una conversazione quasi impossibile da sostenere. La notte era appena cominciata, perché ancora non c’erano risse o persone collassate nei paraggi.
-Questa sì che è musica!- dichiarò Erica Sanchez, bevendo un sorso di Martini dal suo bicchiere. La ragazza indossava un vestitino azzurro con dei lunghi tacchi, e portava un trucco pesante, mascherato dai capelli ricci.
-Io non la sopporto, vorrei che mettessero qualcosa di più commerciale per qualche volta, questo posto è inutile- replicò la sorella Jessica, dopo aver inviato un messaggio con il telefono. Jessica portava un paio di jeans attillati, una giacca scollata, e stivali a tacco alto. I suoi capelli erano piastrati, e risplendevano quando esposti alla luce.
-Che ti ha detto?- le chiese Erica, non guardandola, continuando a sorridere davanti alla folla.
Breeanna Smith saltava a ritmo dei potenti bassi, alzando il pugno in aria.
Adrenalinica, carica di energia che la stimolava a continuare a ballare.
La lunga collana giamaicana che indossava rimbalzava sul petto, mentre i corti capelli castani danzavano con lei. Gli occhi azzurri e i denti perfetti, i jeans strappati e le All-Star completavano il suo look.
Il telefono nella tasca vibrò, ma lei non se ne accorse. Pochi secondi prima aveva controllato l’orario e si era meravigliata che fosse poco più tardi di mezzanotte. Non avvertiva la stanchezza, e probabilmente i drink che aveva bevuto ne erano la causa. Ma come sapeva l’effetto piacevole dell’alcool sarebbe durato ben poco, e sarebbero seguiti i crampi allo stomaco, il vomito e la nausea.
Breeanna non era sempre stata così, prima delle superiori era una ragazza tranquilla, riservata, timida. Ora tutti sapevano cosa le passava per la testa, perché utilizzava i social network come se fossero la sua acqua. I voti scolastici erano peggiorati, così come la sua compagnia di amici, e in lei era mutato negativamente il carattere. Dio solo sa cosa le passava per la testa quella notte.
Improvvisamente qualcuno la spintonò, colpendole la spalla sinistra. Lei fece un mezzo giro, e insultò chiunque l’avesse scostata così maleducatamente.
Era un ragazzo, ed era coperto con il cappuccio della felpa nera. Jeans neri, così come le scarpe... probabile cantante metal.
Breeanna sbuffò, ma, incuriosita dallo strano tizio, decise di seguirlo. Si fece strada tra i ragazzi e le ragazze, e quando prese un po’ di fiato, si trovò fuori dai bagni. Si guardò intorno, cercando il tipo misterioso, forse l’aveva perso mentre perdeva tempo a levarsi di mezzo sedicenni che fingevano di essere ubriache.
Ma dove cazzo è andato? pensò aggrottando le sopracciglia.
Quando lanciò un’occhiata nei bagni, lui era apparso di nuovo! Sembrava che la stesse fissando, ma da così lontano non poteva esserne sicura. Sentiva di doverlo seguire, perciò entrò nello stretto corridoio dei bagni, mentre intorno a lei estranei si facevano i fatti loro.
Il ragazzo si muoveva, ed era scomparso dietro una porta di servizio.
Non dovrebbero esserci tipo delle guardie, qui? Ma oltre agli ubriachi, quel posto sembrava vuoto.
Quando Breeanna proseguì, la porta metallica si chiuse alle sue spalle, lasciandola persa in un baratro di oscurità.
-Cosa dovremmo fare?- chiese Jessica a Erica, controllando nuovamente il telefono, impaziente, tesa.
-Credo che abbiamo fatto la nostra parte, come ti senti?- rispose la sorella, appoggiando il bicchiere sul banco del bar.
-Stanca, e agitata. Possiamo tornare a casa, Erica?- ribatté Jessica, stringendosi tra le proprie braccia.
Erica la guardò, sbuffò, e si passò le mani tra i capelli.
Questo era sabato.

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Capitolo 6
*** La tranquillità dura poco ***


Giovedì, una settimana dopo, Alexandra Mayer viaggiava sulla sua automobile, e tenendo il finestrino aperto si lasciava scompigliare i capelli dal vento estivo.
Maggio, il mio mese preferito! Caldo, sole, spensieratezza... e adolescenti scorrazzanti. La strada correva lungo la spiaggia, e quando Alex fece un paio di svolte, raggiunse il suo studio (o ufficio, o qualunque modo si chiamasse).
La Mayer Private Investigations, o MPI, era una manna dal cielo. A 29 anni, quella ragazza era riuscita a trovare un vecchio locale in vendita a basso prezzo e lo aveva trasformato in quello che sarebbe stato il suo posto di lavoro.
Erano ormai passate due settimane dall’ultimo caso, che aveva coinvolto una ricca aristocratica e una felice (all’apparenza) coppia di giovani. Nonostante si fosse lasciata ingannare dal criminale, e la sua cliente fosse rimasta quasi uccisa, in un modo o nell’altro tutto si era risolto, e Alexandra poteva godersi il breve periodo di pace.
-Nulla di nuovo?- chiese a Bobby, entrando nell’ufficio.
-Buongiorno anche a te!- rispose lui, sorridendole, -Potrebbe esserci qualcosa, hai sentito di quella ragazza che è data per scomparsa da qualche giorno?- replicò, leggendo al computer qualche articolo di giornale.
-Forse, ma aggiornami- disse Alex, sedendosi sul divano d’attesa.
Era rimasta provata dall’ultimo caso, per qualche giorno aveva zoppicato, e la notte faticava a dormire. Sognava le mani di Michael Sutton stringerle la pelle...ma ora lui era in prigione, e lei doveva rimettersi a lavoro.
-Breeanna Smith, 17 anni, tipica adolescente scontrosa e irrequieta. Venerdì scorso è andata a ballare con le amiche, e non è più rientrata a casa- spiegò Bobby, stirandosi sulla sedia.
-Tutto qui?- chiese Alexandra.
-Il padre ha lasciato un messaggio in segreteria, vogliono il tuo aiuto Alexandra- rispose lui, -Puoi avere altre informazioni direttamente dai genitori-.
-Che ti pago a fare se poi non rispondi neanche al telefono?- scherzò lei, prima di richiamare il padre di Breanna Smith.
 
-
 
L’appartamento degli Smith era al terzo piano di un condominio nel centro della città. Alexandra aveva impostato l’indirizzo nel suo GPS e aveva raggiunto l’abitazione in un quarto d’ora.
Quando bussò alla porta, le aprì un uomo di mezza età, rasato, vestito formalmente, occhi marroni.
-Lei dev’essere la signora Mayer- disse l’uomo.
-“Signorina”. Mi chiami Alexandra, la prego- replicò lei, sorridendogli.
-Mi perdoni... io sono Bob, il patrigno di Breeanna-.
-E’ un piacere conoscerla, anche se in queste circostanze. Ma sappia che sono qui per aiutarla a ritrovare sua figlia- lo rassicurò Alex, prima di accomodarsi in salotto. La stanza era gremita di foto di famiglia, con Breeanna e la madre, il padre. La ragazza indossava una curiosa collana dal tema giamaicano.
-Spero non le dispiaccia, ma mia moglie sta riposando. Sa, tutto questo è molto stressante per lei...siamo tutti sulle spine- disse Bob, sedendosi di fronte all’investigatrice.
-Capisco perfettamente, signor Smith, nessun problema. Allora, se la sente di raccontarmi cos’è successo sabato sera?- cominciò Alexandra, prendendo il blocco degli appunti e una penna dell’ufficio.
Bob Smith sospirò, piegò la testa leggermente, e cominciò a raccontargli passo per passo cos’era successo quella sera...
-Bree era euforica, scontrosa, ma non mi pare che fosse diversa dal solito. Quella sera si era organizzata con le sue amiche per uscire. Io e sua madre non sapevamo molto della sua vita personale, non che non ci importasse, ma lei faceva di tutto per tenerci alla larga... non so in cosa ho sbagliato, forse non sono stato presente come avrei dovuto essere, ma non mi reputo un padre tanto pessimo- disse, rattristato.
Alexandra trattenne un sorriso rassicurante.
Non affezionarti, mente lucida!
-Gli adolescenti tendono a sentire il bisogno di separarsi dai genitori, c’è chi reagisce al cambiamento in modo normale, mentre altri vogliono a tutti i costi ribellarsi. E’ completamente normale signore, non s’incolpi per questo-, replicò Alex, lui annuì con la testa, -Ha detto che sua figlia è uscita con le amiche, potrebbe scrivermi i loro nomi su un foglio, dopo?-.
-Certamente. Però, Breeanna non era sempre stata così, non prima delle superiori. Da lì tutto è cambiato, compresi i suoi amici. Gentaccia, se vuole saperlo- continuò Bob. Alexandra ne sapeva qualcosa... anche sua madre frequentò la malavita, prima di sparire nel nulla. E lei era riuscita a identificare la maggior parte di quelle persone, con il passare degli anni.
-Signor Smith, Breeanna aveva mai manifestato il desiderio di allontanarsi per un po’ da casa?- chiese poi, sistemandosi sulla poltrona.
-Ogni tanto si lamentava, urlava! Ma erano le solite lamentele di una diciassettenne, no?- rispose lui.
-Beh, è difficile spiegare ciò che passa per la testa a un’adolescente, di questi tempi. Teneva un diario, o un blog?-.
-Che io sappia, no-.
-Facebook? E’ il modo migliore per capire sua figlia, e provare a trovare qualche collegamento con la sua sparizione-.
-Si, ha un profilo-.
C’era da aspettarselo.
-Tornando a quella sera, la polizia ha scoperto qualcosa riguardo a quello che può essere accaduto a Breeanna? Le telecamere della discoteca?-.
-Le inoltrerò l’email con i fotogrammi di quello che mi è stato mostrato alla centrale. Bree sembra inseguire un ragazzo fino ai bagni, ma poi non si vede più uscire. Le telecamere non coprivano anche il bagno...- Bob era affranto.
-Signor Smith, si rilassi. Scopriremo cos’è successo, glielo prometto- gli disse Alexandra, chiudendo il blocco degli appunti.
Lasciando il condominio, la ragazza chiamò Bobby al telefono.
-Sono tutto orecchio- rispose lui.
-Ho bisogno che controlli il profilo Facebook di Breeanna Smith, se trovi qualche post su una possibile fuga, chiamami- spiegò lei.
-D’accordo, fino a quando devo arrivare con le ricerche? Qualche mese, un anno?-.
-Fino a quando non trovi quello di cui abbiamo bisogno. Ah, e controlla anche i profili di Erica e Jessica Sanchez, Breanna era con loro sabato sera-.
Il giorno seguente, la prima tappa sarebbe stata la misteriosa discoteca della sparizione.

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Capitolo 7
*** Perlustrazione ***


Il locale era stretto. Faceva effetto ritrovarsi a 30 anni nuovamente in una discoteca. Alexandra dimostrava molti anni in meno, e a volte questa sua caratteristica le era tornata utile, ma ora doveva investigare, e le serviva tutta la concentrazione possibile.
Si guardò intorno, e pensò che con tutte le persone che c’erano, sarebbe stato impossibile accorgersi di una ragazza minuta come Breeanna.
I fotogrammi dell’email la mostravano scatenarsi sul centro della sala principale, ballando a ritmo con la musica. Alexandra raggiunse il punto esatto, e chiuse gli occhi, immaginandosi nei panni della vittima.
Sto ballando, le mie amiche sono da qualche parte nella discoteca. Penso solo alla musica, improvvisamente qualcuno mi spintona. Per quale motivo dovrei seguirlo? Sono impulsiva. Testarda, e devo sempre avere l’ultima parola sulle persone. Lo seguo fino ai bagni, e poi scompariamo entrambi. Chi è il ragazzo? C’entra con la sparizione? Mi auguro di no... altrimenti non abbiamo a che fare con un allontanamento ribelle, ma con una vera sparizione. 
I bagni non avevano finestre, né porte di uscita. Eccetto per una porta metallica.
-Dove conduce la porta nei bagni?- chiese Alexandra al barista, che intanto asciugava dei bicchieri con un panno.
-Alle caldaie- rispose lui, indicando i sotterranei con un gesto della mano.
-E’ accessibile da tutti, o serve una chiave?-.
-La serratura è rotta, possono passarci tutti ora come ora... Senti, dovresti interrogare le amiche di quella ragazza. Le ricordo da sabato sera, sono rimaste tutto il tempo qui davanti al banco, e dopo un po’ sono andate via. Era relativamente presto, altre volte erano rimaste per più tempo... erano clienti abituali- spiegò il barista.
Abituali, eh? Vuol dire che conoscevano il posto, e sapevano come muoversi.
Alexandra andò in bagno, e aprì la porta metallica. L’interno era poco illuminato, e una lunga scalinata portava ad una zona scura.
Camminò lungo un corridoio impolverato e raggiunse una piccola porta di legno. Spinse per aprirla, e si ritrovò sul retro del locale. Poteva trattarsi di una via di scarico dei materiali, ma era una via per uscire.
Alexandra si guardò intorno, cercando di immaginare cosa poteva essere successo sabato sera.
Come mai lo hai seguito, Breeanna?
Cosa ti passava per la testa?
Prese il telefono e contattò Erica Sanchez.
-Erica, sono Alexandra Mayer. Lavoro come investigatrice privata, e sto cercando di ritrovare la tua amica Breeanna- disse, impaziente di sentire la voce dall’altra parte della linea.
-Salve, io la conosco, ha arrestato quel pazzo un paio di settimane fa...mi scusi, ma io e mia sorella abbiamo già detto tutto alla polizia. Noi non ce la sentiamo di rivivere quella situazione- spiegò Erica, con un tono di voce triste.
-Capisco che può essere difficile, ma la tua amica potrebbe essere in pericolo al momento, Erica. La vostra versione della storia mi aiuterebbe molto- insistette Alexandra. Non aveva intenzione di sentirsi un “no” come risposta da un’adolescente.
-Mi spiace, chieda alla polizia- concluse Erica, prima di agganciare.
-Cosa significa, “mi spiace”?- si chiese Alexandra, ad alta voce.
Quale razza di amica sei, tu? Ho bisogno di informazioni, delle tue informazioni, Erica.
Alexandra chiamò la sorella, Jessica, ma dal suo telefono partiva la segreteria.
Improvvisamene il suo telefono squillò. Lei rispose prontamente.
-Pronto?-.
-Alex, sono Bobby, credo di aver trovato qualcosa. Puoi venire a vedere?- Bobby sembrava preoccupato.
-Ok, tanto qui ho finito. Bobby, sai quali impegni hanno le sorelle Sanchez per questo weekend?- chiese Alexandra, chiudendo la porta di legno del locale e avviandosi alla sua macchina.
-Sembra che siano dirette alla stessa discoteca. Devono essere molto provate dalla scomparsa della loro amica...- Bobby terminò la frase con una nota di ironia.
Alex si fermò prima di entrare in macchina, e sgranò gli occhi al suolo.
Sull’asfalto, poco distante dai suoi piedi, giacevano i resti di una collana giamaicana, la stessa che aveva visto indossare Breeanna nella foto di famiglia a casa sua.
-Ci sei ancora?- chiese Bobby, non ottenendo risposta.
-Bobby, penso di aver trovato la collana della ragazza, qui nel parcheggio del locale-.

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Capitolo 8
*** Cyber indagine ***


Una volta raggiunto Bobby, poté vedere quello che lui aveva trovato, spulciando nei segreti delle tre ragazze.
-Il profilo di Breeanna è una sorta di diario personale- cominciò a spiegare il ragazzo, scorrendo nella pagina internet. Alexandra stava aggiustando la collana trovata nel parcheggio, sistemandone i pezzi nel filo elastico nero. Bobby le aveva detto che poteva provare a effettuare un controllo al computer, e verificare se la collana era la stessa della foto di famiglia.
-Circa due mesi fa, in seguito a delle tensioni familiari, ha cominciato a postare riguardo a una “voglia di libertà”. In ogni post, i “mi piace” erano parecchi, e appariva sempre un ragazzo di nome Brian Lewinsky- continuò, enfatizzando le sue parole con un giusto tono di voce.
Alexandra pensava a Bree in continuazione. Aveva paura, paura per quello che le era successo. A volte non sapere le informazioni di cui aveva veramente bisogno, diventava una tortura. Troppe bugie, troppe domande, e poche risposte. Serviva qualcuno come lei, per ristabilire l’ordine, per tappare i buchi della polizia, degli incompetenti. Perché aveva scelto quella vita? Per difendere e aiutare quelli che come lei non lo erano stati. E voleva assolvere il suo compito.
-Una sera, Breeanna ha scritto: voglio andarmene da qui. Le sue amiche le hanno chiesto nei commenti cosa stesse succedendo. Questa volta non ottiene parecchi mi piace, ma indovina chi lo fa comunque?- chiese aspettandosi una risposta da Alexandra.
Lei lo guardò, e navigò tra le informazioni che aveva appena ricevuto.
-Il ragazzo, Brian?- rispose, appoggiando la collana sul tavolo di legno.
-Esatto- disse Bobby, -Ora, è possibile che lui sia un amico, e quindi è normale che segua una coetanea sul suo profilo...- continuò.
-Ma? Cosa non ti convince?- chiese Alexandra, sistemandosi sulla sedia.
-Brian e Breeanna erano diventati amici su Facebook da qualche settimana prima che avvenisse la lite in famiglia, e dopo l’ultimo post di lei, Brian l’ha rimossa dagli amici. Il suo profilo ha alcuni degli stessi amici di Breeanna, li ho controllati uno per uno. E non è tutto... ho ricercato la sua foto profilo su internet. E’ un profilo falso- spiegò Bobby, battendo con una penna sulla tastiera del computer.
Alexandra rimase impressa. Ma voleva disperatamente sapere se e quanto questo fantomatico Brian Lewinski fosse coinvolto nel suo caso.
-Quanto alle altre ragazze, non ho trovato niente di rilevante, se non fosse che Brian non era tra i loro amici-.
-Puoi entrare nel profilo di Breeanna, mantenendo una certa riservatezza? Dobbiamo scoprire chi è questo tizio- chiese Alex, sospirando.
Bobby aggrottò le sopracciglia.
-Riservatezza? Vuoi che lo hackeri?-.
-Chiamalo come vuoi, ma fallo in fretta. E sii discreto, non vogliamo che la polizia si immischi nei nostri affari-.
E un’ora dopo, erano entrati nel mondo di Breeanna. Chat, messaggi privati, amicizie. Tutto era a loro disposizione.
Bobby aprì le chat con Erica e Jessica. Sia lui che Alexandra furono tuttavia sorpresi di trovare tra le chat anche... Brian!
E’ arrivato il momento di capirci qualcosa.
Alex e il suo collega passarono il restante pomeriggio, fino alla sera, a controllare i messaggi. Ordinarono la pizza, e fecero meno pause bagno possibili.
Al termine dell’indagine online, raccolsero tutte le informazioni che avevano trovato.
-Allora... Breeanna ha conosciuto Brian, un ragazzo problematico incompreso dai genitori, dopo che lui aveva scoperto che anche lei aveva problemi. Ha incominciato ad interessarsi a lei, e nel giro di due mesi hanno incominciato a parlare, senza mai vedersi però. Brian si è comportato da gentil uomo, e ha fatto in modo che lei si fidasse di lui. Quando poi hanno azzardato l’ipotesi di fuggire insieme, si sono scatenate le ire delle amiche di Breeanna. Nonostante loro fossero assolutamente contrarie a questa fuga d’amore, Breeanna è inevitabilmente riuscita a convincerle di farle da palo.
Avevano deciso di incontrarsi tutti e quattro in discoteca, e da lì le loro strade si sarebbero divise. Quando Breeanna ha raggiunto la pista, in attesa che il suo principe azzurro arrivasse, Erica e Jessica sono rimaste in disparte, a inviarle messaggi per convincerla di tornare. Poi lo sconosciuto che l’ha spinta mentre ballava è arrivato- spiegò Alexandra, ormai tesa e stanca.
-Ma cos’è successo poi? Breeanna ha scoperto che Brian non esisteva? Chi era lui veramente?- chiese Bobby, strofinandosi gli occhi con le mani.
-Non lo sappiamo ancora, e dubito anche che lo sappiano Erica o Jessica. Se questo tizio fa sul serio, potremmo avere tra le mani qualcosa di più grosso di quanto sembri, Bobby- rispose Alexandra.
-Guarda, tra gli amici di Breeanna c’è quella ragazza scomparsa un anno fa, pensavo che avessero eliminato il profilo...- disse Bobby, cliccando sul nome di Taylor Kessler, una biondina di 16 anni dagli occhi azzurri.
-Povera ragazza...- commentò Alex, abbassando lo sguardo. Taylor sembrava gentile, buona, innocente.
Bobby trasalì.
-Wow...- disse, avvicinandosi allo schermo.
-Che succede?- chiese Alexandra avvicinandoglisi.
-Il suo ultimo post, guarda dove si trovava!- Bobby la guardò ansioso.
-La discoteca...-.
-E guarda tra i “mi piace” chi compare...-.
La risposta era inevitabile.
BRIAN.
-Può essere una coincidenza?- chiese Bobby, alzandosi per prendere un po’ d’aria.
-Non possiamo escludere niente, ma questo tizio è ambiguo e può essere collegato ad entrambe le sparizioni- spiegò Alexandra, scrollando tra i post con il mouse.
-E’ solo tra i mi piace, lui e Taylor non sono amici- disse poi.
-E’ come uno schema, ha fatto la stessa cosa anche con Breeanna- replicò Bobby, sedendosi sul divanetto di pelle. Alex ebbe finalmente un’illuminazione.
-E’ il suo modus operandi. In questo modo non può essere collegato alla scomparsa. E’ così che adesca le ragazze, e scommetto che se guardassimo il profilo di Taylor, tra i messaggi troveremmo sicuramente lui... Brian Lewinski, affascinante come al solito-.
-Ma Taylor era una studentessa modello, non sarebbe mai voluta scappare, no?-.
-Forse l’approccio di Brian è stato diverso, ma è tutto terminato quella sera in discoteca-.
Alexandra si alzò.
-Non mi stupirei se trovassimo il suo nome in altri profili, Bobby. E se così fosse, vuol dire che non ha ancora finito di prendere ragazze-.
La faccenda si era fatta complicata, da un semplice caso di fuga, si era passati al rapimento.
Taylor e Breeanna erano veramente state adescate da un maniaco e portate via dalle proprie famiglie?
Alexandra lo avrebbe scoperto, non sarebbe stato rapito nessun altro da quel momento.
-Dobbiamo prevedere la sua prossima mossa, cerca le amicizie recenti di Brian!- ordinò a Bobby, che si mise a ricercare sul social network.
-Bingo. Ha aggiunto due ragazze proprio oggi... aspetta–.
Alexandra guardò il risultato.
-Jessica e Erica? E’ impossibile-.
-E’ aggiornato a un’ora fa- disse Bobby, indicando l’orario sul computer.
Erano ormai le dieci e mezza.
-Entrambe sono alla discoteca, stasera. E se volessero confrontarlo?- chiese Alexandra, camminando avanti e indietro, nervosa.
-Sono ancora tra i suoi amici, vuol dire che non le ha ancora prese-. disse Bobby.
-O non “l’ha” ancora presa. Dev’essere per forza una sola, ha sempre lavorato così- ribatté Alex.
Non posso lasciare che accada, dobbiamo fermarlo.
-Bobby, alza il tuo culo sodo da quella sedia. Abbiamo un criminale da fermare- ordinò la giovane donna, prendendo il suo trench marrone.
-Aspetta...- disse Bobby, prima di aprire un cassetto della scrivania.

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Capitolo 9
*** Verità nascoste ***


La discoteca era come sempre gremita di persone. Entrare era stato un passaggio lungo, vista la fila all’ingresso.
Ma Alexandra e Bobby erano finalmente dentro. La musica copriva le loro voci, e risuonava nel loro corpo.
Alcuni ragazzi li guardarono come se non facessero parte del loro ambiente.
Alex ricambiò lo sguardo.
-Fossi in te metterei via quella birra, o tua madre lo verrà a sapere- gridò ad una ragazzina impertinente che la guardava sghignazzando. Lei sgranò gli occhi, e si voltò.
Bobby ridacchiò.
-Allora, chi dobbiamo cercare esattamente- chiese poi, camminando verso il bar.
-Entrambe le sorelle- rispose Alexandra seguendolo.
Quando furono davanti al banco, il barista del mattino precedente, riconobbe la donna.
-Ehi, Alexandra! Bentornata! C’è qualcosa che posso offrire a te e al tuo... affascinante accompagnatore?- chiese gridando, dopo aver lanciato un’occhiata divoratrice a Bobby, che sorrise lievemente.
Alex guardò entrambi, fingendosi ignara del flirt che era appena avvenuto davanti ai suoi occhi, poi tornò alla sua missione.
-Mi servono i tuoi occhi, ora. Hai visto le ragazze di cui parlavi stamattina? Le amiche della ragazza scomparsa, dovrebbero essere qui stasera- gli disse Alexandra.
Il barista, alto, muscoloso, dalla pelle abbronzata, annuì.
-Prima che voi arrivaste erano qui al bar. Hanno preso due Martini e poi sono andate a ballare- spiegò, prendendo dei bicchieri e preparando dei drink ai clienti del locale.
-Grazie mille- replicò Alexandra, allontanandosi.
-Ehi! Stacco più tardi, se vuoi possiamo bere un drink insieme- disse il barista a Bobby, che si era fermato a dargli un’ultima occhiata.
Alex tremava dall’adrenalina, dalla paura. Non sarebbe mai riuscita a trovare Erica o Jessica con tutte quelle persone. Poi ebbe l’idea di salire sopra un cubo da danza. Si sentiva leggermente a disagio, ma per non dare a vedere che era lì per trovare un maniaco, fece finta di ballare.
Da lì sopra aveva una migliore visuale dell’intero luogo, e non le ci volle molto per trovare le sorelle. Erano dove lei si aspettava di trovarle.
Vicino al bagno delle sparizioni.
Alex indicò a Bobby la loro posizione, e luì si affrettò a raggiungerle dopo averle viste.
Lei scese dal cubo, e seguì Bobby, ma per via delle troppe persone, lo perse nella folla.
Bobby raggiunse finalmente il suo obiettivo, ma c’era solo una delle sorelle.
-Erica?- chiese lui, non ricordandosi i volti delle ragazze.
-No, sono Jessica. Brian?- chiese la ragazza, inquisitoria, allontanandosi di qualche passo da lui.
-No. Sono qui per fare arrestare Brian. Sappiamo la storia intera, e pensiamo che lui possa essere un maniaco- spiegò Bobby, ad alta voce.
-Cosa?! Lo sapevo!- Jessica si guardò intorno, e si accorse che Melanie non c’era più, -MELANIE!- gridò, rendendosi conto che si erano separate, e che la sorella non sapeva la verità.
Alexandra si ritrovò davanti ai bagni, e corse alla porta metallica. Scostò le persone che la bloccavano dal raggiungerla, e poi vi si trovo davanti.
Era aperta, socchiusa. Scese di corsa nel locale caldaie, e si ritrovò nel bel mezzo di una colluttazione.
Erica Sanchez era sbattuta a terra, e un uomo coperto dal cappuccio nero della felpa la stava calciando. Alexandra prese la pistola dall’interno del suo stivale destro.
-Fermo! Non muoverti!- gridò poi, interrompendo l’aggressione.
L’uomo si voltò di scatto.
-Piacere di conoscerti...- disse lei, mentre lui si avvicinava, -...Brian Lewinski- ma udito il nome, si fermò. La osservò attentamente.
-Ti abbiamo scoperto, hai finito di terrorizzare questa città, pezzo di merda-.
L’uomo alzò le mani, in segno di resa, ma quando Alexandra si avvicinò per ammanettarlo, lui le sfrecciò un colpo secco alla tempia. La donna cadde a terra, svenuta.
Bobby e Jessica avevano raggiunto l’ingresso del bagno.
-E’ meglio che tu stia indietro, resta qui, ok?- si raccomandò il ragazzo.
Jessica annuì, visibilmente scossa dall’accaduto.
Bobby corse alla porta metallica, la attraversò, e scese le scale fino alle caldaie. Trovò qualcuno steso a terra, e corse a vedere di chi si trattasse.
-Alex? Alexandra!- gridò chinandosi ad aiutarla, ma una volta riconosciuta, si rese conto che teneva tra le mani Erica, incosciente. Bobby alzò lo sguardo, e vide delle ombre provenire dal fondo del corridoio.
Percorse il breve tragitto e giunse alla porta di legno, che era spalancata.
Quando corse all’esterno, il furgone nero che conteneva Alexandra si era già avviato lontano dalla discoteca.
La testa... deve avermi colpita. Quanto sono stupida, hai perso colpi Alexandra. E sarà solo colpa tua se finirai carne arrosto.
Essere incosciente non è poi così male, è come se stessi dormendo. L’unica differenza è che sono stata rapita da uno psicopatico, e la testa mi fa un male cane. Le mani sono legate, così come i piedi. E’ buio pesto, e questo maledetto furgone trema dannatamente!
Credo di avere paura, lo ammetto. Sono stata impulsiva, e non me lo perdonerò mai. Ho agito senza riflettere sulle conseguenze dall’inizio.
Come faranno a trovarmi? Bobby...
Bobby! Ma certo, che genio che sei!
-Bobby, alza il tuo culo sodo da quella sedia. Abbiamo un criminale da fermare- ordinò Alexandra, prendendo il suo trench marrone.
-Aspetta...- disse Bobby, prima di aprire un cassetto della scrivania,       -Prendi questo, emette un segnale GPS che ricevo sul telefono, in questo modo non ci perderemo-.
-E tu? Come farò a trovarti?- chiese lei.
-Io non mi perdo facilmente- rispose Bobby.
L’aggeggino che mi ha dato, è un GPS.
Il furgone accostò, e l’uomo aprì il retro. Caricò Alexandra sulle sue spalle, e la portò dentro una stalla. Si trovavano in aperta campagna.
All’interno della stalla erano disposte centinaia di gabbie di medie dimensioni. Dentro quelle gabbie, c’erano ragazze.
Alexandra fu scaricata dentro una gabbia con l’ultima arrivata.
-Breeanna?- chiese flebilmente, ancora stordita dal colpo ricevuto alla testa.
La sua coinquilina di gabbia la raggiunse strisciando sul fieno.
-Sì! Sono io, come fai a saperlo?- chiese Breeanna Smith, stringendole una mano.
-Sono un’investigatrice privata, dovevo riportarti a casa. Diciamo che in un modo o nell’altro ti ho trovata...- Alexandra si alzò lentamente.
-Dove siamo? Cos’è questo posto?- chiese guardando fuori, oltre le sbarre.
-Prendono le ragazze, e le vendono. Li ho sentiti parlare...- raccontò Breeanna con orrore, -Ci sono persone che pagano per portarle via, e nessuno fa domande. Ci danno queste pillole- continuò, mostrando una pillola blu ad Alexandra.
-Le drogano, ecco perché sono incapaci di reagire- realizzò la donna.
Improvvisamente entrambe udirono dei rumori provenire dall’esterno del fienile, suoni di una colluttazione.
Bobby aveva atterrato il finto Brian, con una mossa speciale. Lo aveva colpito alle gambe e poi alla testa.
Messo k.o. l’aggressore, il ragazzo entrò nella stalla.
Vide Alexandra chiamarlo, e la raggiunse. Aprì la gabbia, incapace di concepire una tale mostruosità.
Alexandra gli cadde tra le braccia.
-Dovrò darti un aumento- disse, sorridendo.
Lui guardò in alto, trattenendo le lacrime.
-E’ il minimo. Tu vuoi proprio farmi prendere un infarto, vero? Maledetto il giorno in cui ti ho incontrata- stringeva Alex, carezzandole la testa.
Bobby la aiutò a rialzarsi, e lei si rese conto che Breeanna era ancora nascosta.
-Puoi uscire ora, siamo al sicuro- disse allungandole una mano.
La ragazza la afferrò, e i tre uscirono dalla stalla.
Erano ormai le 2 del mattino. Il finto Brian giaceva sul terreno, con un enorme ematoma viola sul volto.
-Ottimo lavoro- disse Alexandra, dando un colpetto alla spalla di Bobby.
Insieme a Breeanna raggiunsero la macchina, mentre numerosi veicoli della polizia sopraggiungevano dalla strada principale.
Bobby aveva chiamato il 911 mentre seguiva il GPS di Alexandra e li aveva indirizzati verso la stalla.
Venne così smascherato il colpevole dei rapimenti. Il finto Brian sarebbe stato interrogato, e incarcerato probabilmente a vita, mentre presto sarebbero cominciate le indagini ufficiali. Brian non era l’unico coinvolto, Alexandra ne era ormai certa. Quanto alle ragazze “vendute”, la polizia si sarebbe dovuta affidare alle testimonianze delle altre, una volta ripulite dalla droga e dai tranquillanti. Purtroppo, Taylor Kessler risultava ancora scomparsa.
I genitori di Breeanna arrivarono dopo mezz’ora circa, e corsero a riprendersi la loro figlia.
Alexandra sedeva nel furgone dell’ambulanza, mentre osservava le donne uscire dalla stalla una dopo l’altra... il regno del terrore era terminato. Alex e Bobby avevano risolto il caso, supportandosi a vicenda.
Lei era in debito con l’amico, che le aveva salvato la vita.
Forse gli avrebbe aumentato sul serio lo stipendio, oppure gli avrebbe dato un passaggio per vedersi con il barista della discoteca che lo stava aspettando. D’altronde se l’era meritato quell’appuntamento.
Alexandra entrò nella stalla, per vedere Bobby, che rispondeva alle domande degli ufficiali di polizia.
Mentre aspettava che avesse finito, fece un giro delle gabbie, ma avvertì un peso sul cuore, perciò si sedette a terra con la schiena appoggiata ad una colonna di legno.
Il suo sguardo cadde sul pavimento coperto dal fieno, macchiato di terra e impronte di mani e piedi. Incastrato in una fessura del legno, c’era un ciondolo. Alexandra ebbe la sensazione di averlo già visto. Prese il ciondolo tra le sue mani, e lo pulì dalla polvere. Era d’argento, con una lunga catena leggera. Quando l’aprì, trovò una foto di sua madre e di lei da piccola.
Il mondo le crollò addosso, e perse il fiato.
La raggiunse il detective Mark Lawrence, e dal volto sembrava terribilmente preoccupato.
-Sono venuto a vedere come stavi...- cominciò, tentando di trattenere un po’ di imbarazzo.
-Sto bene...- mentì Alex, stringendo forte i denti, -Immagino che ora sia un caso dell’FBI- disse poi, squadrandolo da capo a piedi lentamente. Era un uomo affascinante, e nonostante non fosse tra i suoi pensieri, lo ammetteva anche lei.
-Grazie dell’interesse, Mark. In effetti, è stata una giornataccia... se vuoi proprio saperlo- replicò lei, sospirando.
Mark le si sedette vicino, mentre lei ripensava a tutto quello che aveva passato, e a quel maledetto ciondolo. Come mai era lì in quella stalla? Dove si trovava sua madre? Cosa diavolo le era successo?
-C’è qualcosa che posso fare?- chiese Mark, guardandola negli occhi.
-Consolarmi un po’?- disse lei, chiudendo gli occhi, -Ricordati queste parole, perché non le sentirai nuovamente-.
Lui annuì, sorrise, ed entrambi tornarono fuori dalla stalla, accompagnati dalla fresca brezza notturna di Maggio. 

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