Storia di due parabatai

di Akilendra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Certe cose non possono cambiare ***
Capitolo 2: *** Cuore elastico ***
Capitolo 3: *** Il mare in una stanza ***
Capitolo 4: *** Di lavanda e farina ***
Capitolo 5: *** Una linea sottile ***
Capitolo 6: *** I demoni nei tuoi occhi ***
Capitolo 7: *** Solo per sempre ***
Capitolo 8: *** Certe cose non vogliamo che cambino ***
Capitolo 9: *** Direzione sbagliata ***
Capitolo 10: *** Bianche promesse ***
Capitolo 11: *** Nati per vivere ***
Capitolo 12: *** Quel posto fra le tue braccia ***
Capitolo 13: *** Casa è dove si trova il cuore ***
Capitolo 14: *** Punto di rottura ***
Capitolo 15: *** Il regalo della bastarda ***
Capitolo 16: *** La fiamma ***
Capitolo 17: *** Lo stesso cuore ***
Capitolo 18: *** Questa non è una favola ***
Capitolo 19: *** Il nostro segreto ***
Capitolo 20: *** Cenere ***
Capitolo 21: *** Colpevole di amare ***
Capitolo 22: *** Il pezzo mancante ***
Capitolo 23: *** L'abbraccio buio ***
Capitolo 24: *** Ad occhi chiusi ***
Capitolo 25: *** Ad occhi aperti ***
Capitolo 26: *** Non fermarti ***
Capitolo 27: *** L'unica sola verità ***
Capitolo 28: *** Epilogo {Parabatai} ***



Capitolo 1
*** Certe cose non possono cambiare ***


Questa storia inizialmente non nasce dal bisogno di scrivere, ma da quello di leggere.
Credo che avessi appena finito Città di vetro quando mi venne in mente. Avrei così tanto voluto leggere una storia d'amore su due parabatai... Dato che non avevo la minima idea del fatto che la cara Cassandra Clare stesse scrivendo in proposito niente poco di meno che una trilogia, iniziai a mettere su carta quello che mi passava per la testa, per gioco più che altro. Inutile dire che quando ho scoperto di Lady Midnight mi sono sentita alquanto stupida, ho smesso di scrivere questa storia perché ho pensato che non avesse più senso. Poi mi sono detta (Cassandra Clare chiedo umilmente venia... mea culpa, mea culpa, mea grandissima culpa) che comunque un senso ce l'aveva e gli ho dato una possibilità. Spero che gliela darete anche voi e che non la prenderete per chissà quale atto di presunzione, ma semplicemente per quello che è: una piccola storia per ammazzare il tempo in attesa di leggere quello che mani ben più degne stanno scrivendo per noi! ;) 

Akilendra



















1. Certe cose non possono cambiare

All this time I can't believe, I couldn't see 
kept in the dark, but you were there in front of me 
I’ve been sleeping a thousand years it seems
got to open my eyes to everything.
(Evanescence~Bring me to life)



Come diavolo era successo? Lena non sapeva proprio dirlo. Non sapeva riconoscere l'attimo preciso in cui aveva iniziato a guardare Ben in quel modo. Ma era successo e in cuor suo sapeva che non avrebbe potuto fare niente per cambiarlo.
Semplicemente, certe cose non possono cambiare. 

Da quattro anni le loro anime erano unite dal più potente legame che c'è per un Nephilim, da quattro anni erano diventati l'uno l'ombra dell'altra. In quei quattro anni si erano guardati le spalle a vicenda, sempre fianco a fianco in battaglia, sempre fianco a fianco nella vita.
In quel momento, era chinato sul suo braccio, i capelli color mogano le solleticavano la pelle, mentre le tracciava una runa dopo l'altra. Lena desiderò convincersi che il bruciore che sentiva fosse per lo stilo sul suo braccio, sfortunatamente era tutt'altro bruciore e non sarebbe passato con un'iratze.
Quel bruciore la accompagnava da tempo e prima o poi sarebbe uscito fuori o l'avrebbe arsa viva. Un leggero tremito la colse a quel pensiero. 
- Ti sto facendo male? - le chiese alzando i grandi occhi scuri verso il suo viso, nelle sue iridi marrone e verde si mischiavano in un abbraccio di sfumature affascinanti. La sua voce e subito dopo la carezza che depositò sulla guancia di lei, era piena di una premura ed un'attenzione per nulla consona al momento, per nulla consona da rivolgere alla propria parabatai.
Lena scosse la testa in risposta alla sua domanda e scostò il viso dalla sua mano. Sulla faccia del ragazzo passò una strana espressione.
Oh Ben... Se solo avesse saputo quanto aveva desiderato quel tocco, se solo avesse saputo quanto lo desiderava anche in quel momento...
Ma Ben non lo sapeva, lei non glielo aveva mai detto e mai lo avrebbe fatto. 

Era sbagliato. Lena se lo ripeteva almeno cento volte al giorno, ma quel concetto non riusciva ad entrarle in testa, bastava distrarsi un attimo e immagini di Ben le danzavano davanti agli occhi, immagini di Ben nel modo in cui un Nephilim non dovrebbe immaginare il proprio parabatai. Il suo corpo le giocava davvero brutti scherzi, quando la pelle di lui entrava in contatto con la sua la faceva andare a fuoco ed improvvisamente la temperatura si alzava di botto, lasciandola bruciante e poco lucida a mascherare alla meglio i suoi stati d'animo. Davvero un colpo basso, il suo corpo era un vigliacco, le rendeva tutto più difficile dato che passava praticamente ogni secondo della sua vita appiccicata a Ben. Insomma, era il suo parabatai, era normale il contatto fisico tra loro, eppure qualcosa dentro di lei non sembrava pensarla così. Ogni volta che si sfioravano per Lena era qualcosa di unico ed emozionante, niente a che vedere con il normale contatto che si ha con le persone tutti i giorni. In realtà tutto in Ben era unico ed emozionante, ma Lena non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura.
- Pronta? - chiese lui. Le labbra increspate in un sorriso micidiale per il povero cuore della ragazza.
Sei una rammollita, Lena. Si schernì mentalmente. No, sei solo innamorata, Lena.
Sempre - disse guardandola, il sorriso che prima aveva sulle labbra ora stava negli occhi.
Ovunque - rispose lei.

Era una consuetudine, un'abitudine che avevano preso in quei quattro anni insieme. Se lo ripetevano prima di fare qualcosa di importante, prima di un combattimento, come in quel caso, se lo ripetevano per tranquillizzarsi quando erano inquieti. Lui le aveva detto 'sempre' anche quando anni prima, sul lettino bianco dell'infermeria dell'istituto aveva visto apparire sulla porta i fratelli silenti venuti per cercare di strapparlo alla morte e mentre si avvicinavano al letto lei gli aveva stretto la mano, 'ovunque' gli aveva sussurrato e il timore se n'era andato dagli occhi del bambino. Ben se l'era vista proprio brutta quella volta, aveva rischiato di morire e per un momento tutti avevano pensato che, nonostante la tenera età, fosse arrivata la sua ora. Tutti tranne Lena, lei non aveva lasciato che lo sconforto la prendesse neanche per un attimo, era rimasta sicura e salda al fianco di Ben e aveva stretto la sua mano fino a quando non era stato fuori pericolo.
Allora sì che ero coraggiosa, pensò Lena con aspro divertimento, ero solo una bambina eppure ero molto più forte di quanto non sia ora. Almeno allora non rischiavo di sciogliermi ogni volta che mi guardava. 

Con una spallata Ben sfondò la porta della casa che si accartocciò come un foglio di giornale sotto la sua potente spinta, con una calma infinita scavalcò i detriti ed entrò dentro aspettando che anche Lena facesse lo stesso. Bastò una breve occhiata per capirsi al volo e in tacito accordo cominciarono a salire le scale, spalle contro spalle. Nonostante il tessuto robusto e resistente dell'uniforme riuscivano a sentire l'uno il calore dell'altra e quella piccola certezza assieme allo strusciare delle spalle, infondeva sicurezza in entrambi.
Come se fosse stato necessario un contatto per sentirsi...

Un latrato acuto, fastidioso come lo stridere di un'unghia su una lavagna, squarciò l'aria. Lena e Ben sguainarono le loro spade angeliche contemporaneamente. In un attimo due bestie bluastre apparvero all'inizio delle scale, una fu subito su Ben. I suoi cinque occhi senza pupilla lo guardavano insistenti e un filo di bava verdognola colò sulla pelle nera dell'uniforme del cacciatore. Con un ringhio si scrollò la creatura di dosso e gli si avventò contro; la spada angelica stretta nel pugno sibilava, mulinando e tracciando archi nell'aria. Il mostro sfoderò un'agilità inaspettata e riuscì a schivare i colpi muovendosi sulle zampe squamate, poi da quella che si sarebbe detta una bocca uscì una lunga lingua biforcuta. La fece scioccare minacciosa in direzione di Ben che, colto alla sprovvista, si lanciò di lato per schivare il colpo fatale che altrimenti lo avrebbe tranciato in due. Un dolore acuto gli colpì la schiena. La creatura che gli si era aggrappata alle spalle era uguale a quella che aveva davanti e i suoi lunghi artigli affilati gli laceravano la carne come coltelli. Un secondo dopo il demone non era più un problema: un coltello piantato nella schiena lo aveva reso inoffensivo.
Ben si voltò, alzò lo sguardo e sorrise brevemente a Lena congratulandosi con gli occhi per il tiro, poi tornò a guardare avanti e conficcò la spada angelica nel petto dell'altro demone.
- Stai diventando piuttosto brava, Alena - Lei cercò di mascherare un sorriso, c'era qualcosa nel modo in cui pronunciava il suo nome completo che le scaldava il cuore.
Già, penso che dovresti guardarti le spalle, Benjamin, potrei superarti - Ben invece odiava essere chiamato così e, come tutte le volte, fece una smorfia insofferente liquidando il suo commento con un gesto della mano. Lena rise forte.
Molte figure spuntarono da dietro una porta, esattamente uguali alle prime due. Ben le adocchiò, ma scosse la testa in direzione di Lena.
Devi farne di strada prima di poter competere con me, bambina - Sfoderò un'altra lama, soppesò le due spade strette nelle sue mani prima di tranciare di netto le teste di due demoni con un movimento a forbice. La risata di Lena riecheggiò in tutta la casa mentre si lanciava anche lei contro le creature.

Lena rifletté sul fatto che, qualsiasi cosa stesse succedendo dentro di lei, non sarebbe riuscita ad intaccare questa parte del loro rapporto. Il modo in cui si scrutavano negli occhi guardandosi l'anima prima di un combattimento, il modo in cui consegnavano senza esitazioni la propria vita nelle mani dell'altro. Non importava cosa le stesse succedendo, questo non sarebbe mai cambiato.
Semplicemente, certe cose non possono cambiare.

A Grace scappò un verso stridulo quando vide i due parabatai imboccare il soggiorno. Non si poteva certo dire che fosse una donna facilmente impressionabile, né che non fosse abituata a divise lacere, tagli e sangue, semplicemente la missione di quella mattina sarebbe dovuta essere per i due ragazzi una passeggiata di salute.
Zia Grace - la salutò con noncuranza Ben prima di lasciarsi cadere a pancia in sotto sul divano imbrattandolo di icore. Lena appena dietro di lui, gli si accasciò addosso anche lei esausta.
Ahi! - protestò il ragazzo e subito lei gli si sollevò di dosso biascicando delle scuse. Così facendo permise a Grace di vedere i brandelli della divisa del cacciatore lacerata sulla schiena.
Si può sapere cosa diamine è successo? - chiese sconcertata alzandosi dalla sua poltrona e avvicinandosi al ragazzo. Ben farfugliò qualcosa con la faccia schiacciata contro un cuscino ricamato, ormai rovinato irrimediabilmente.
- Demoni Shaomao - rispose Lena intuendo cosa voleva dire il suo parabatai.
- Quanti? -.
- Non lo so, dieci, dodici... -.
- Dodici?! - chiese conferma la donna un po' sbigottita. Ben farfugliò qualche altra cosa, Lena gli strappò da sotto il viso il cuscino di pizzo e lo gettò senza troppe cerimonie a terra, facendo sbattere la testa del ragazzo sul bracciolo del divano.
- Non capiamo niente se continui a tenere quel coso in faccia - disse guadagnandosi un'espressione fintamente indignata da parte del cacciatore.
- Stavo dicendo che ovviamente non li abbiamo contati. "Scusate, cari demoni, potete smettere un attimo di cercare di ucciderci e mettervi solo un secondo in fila così vediamo quanti siete? Poi torniamo a scannarci l'un l'altro, ma lasciatevi contare!" - Lena dovette premersi entrambe le mani davanti alla bocca per non scoppiare a ridere. L'espressione indignata di Grace alla battuta di Ben non tardò ad arrivare, la donna si spiegò sulle ginocchia e raccolse il cuscino ricamato sporcato di icore e sangue dal ragazzo e buttato brutalmente a terra da Lena. Sconcertata, pensò che quei due scalmanati non avevano il minimo rispetto per gli sforzi che faceva per rendere quell'istituto una casa accogliente per loro.
- Te ne comprerò uno nuovo, zia Grace - disse il ragazzo indicando il cuscino, sul volto della donna comparve un sorriso incredulo.
- Oppure potrebbe ricamartelo Lena con le sue manine delicate... Potrebbe cucirlo con la pelle di demone - aggiunse subito dopo e "le manine delicate" di Lena gli stamparono un paio di schiaffi sul braccio, mentre Grace lasciava la stanza con la solita espressione rassegnata prima che tra i due si scatenasse la consueta zuffa.

Grace Carlight era davvero la zia di Ben, sua sorella Eleanor si era sposata con Nicholas Fairway, un anno dopo lui era stato posto a capo dell'istituto di San Francisco e la sorella vi si era trasferita insieme ai due sposi. La zia Grace, zitella cinquantenne con un ossessione per il merletto, era una cacciatrice un po' particolare. In realtà era una Nephilim a tutti gli effetti, ma per tutta la vita aveva cercato di tenersi il più lontana possibile da combattimenti, demoni e sangue. Occuparsi dell'Istituto insieme alla sorella e suo marito, era stato per Grace un ottimo modo per sfuggire ad una vita di morti e cicatrici. Certo, poi c'erano le volte come quel giorno in cui vedeva suo nipote tornare a casa con l'uniforme sbrindellata e il sangue rappreso attaccato ai capelli, ma era comunque meglio che fare la vita che avrebbe fatto se non si fosse trasferita all'Istituto.
Eleanor, orgoglio della famiglia Carlight, era stata in compenso una cacciatrice modello, totalmente devota alla causa dei Nephilim, faceva della caccia ai demoni il suo unico obiettivo di vita. Si era sposata con un uomo, Nicholas, altrettanto convinto della sua vocazione. Insieme erano una coppia molto equilibrata, l'impetuosità di lei era temprata perfettamente dall'obiettività di lui.
Quando erano stati messi a capo dell'Istituto nessuno dubitava che avrebbero fatto uno splendido lavoro. E così era stato: con qualche anno avevano risollevato il decadente istituto di San Francisco, facendolo diventare uno dei più importanti in tutto il paese. Quando poi Eleanor aveva dato alla luce un figlio, Benjamin, tutti si erano convinti che era appena nato un cacciatore promettente, un Nephilim degno di quel nome come suo padre e sua madre ed in breve tempo tutti avevano dimenticato l'inadeguatezza di sua sorella Grace, che al riparo nelle mura dell'istituto, nelle vesti della casalinga-Nephilim si sentiva a suo agio come non mai.
Dieci anni dopo la nascita di Ben, era arrivata a San Francisco una bambina dagli occhi blu cobalto, Alena Silverkey, aveva detto la mamma quando gliel'aveva presentata.
Ben, per quanto si sforzasse, non riusciva a farsela andare a genio: era piccola, gracile, stava sempre zitta ed era pure femmina...come sarebbe potuta piacergli? Come se non bastasse era anche piuttosto scontrosa, stava sempre sulle sue e non parlava mai, ma proprio mai. Ben passava le ore a raccontargli tutto quello che gli passava per la testa e lei non si degnava mai di dirgli una sola parola. La mamma e la zia Grace gli avevano detto che Alena aveva subito un grave trauma e che non sarebbe mai stata la bambina che era, non sarebbe mai stata una bambina come le altre. Alena era speciale, dicevano. Ben non capiva.
Col passare degli anni però, aveva capito. Aveva capito come interpretare i suoi silenzi, aveva capito che nonostante sembrasse piccola e fragile sopportava l'allenamento quanto lui, che dietro l'aria scontrosa si nascondeva una bambina ostinata che cercava di scappare dal dolore. E l'ammirava, perché era sincera, perché era coraggiosa e perché era un'ottima Nephilim.
Poco alla volta erano diventati amici, poi più che amici, praticamente fratelli, ma a Ben ancora non bastava. Sentiva che voleva esserle vicino, voleva legarsi a lei come non avrebbe fatto con nessuno. Erano passati cinque anni da quando era arrivata all'istituto quando Ben gli offrì se stesso e Lena fece altrettanto...

...Dove andrai tu andrò anch'io;
Dove morirai tu, morirò anch'io, e vi sarò sepolto:
L'Angelo faccia a me questo e anche peggio
Se altra cosa che la morte mi separerà da te.

Era una promessa, sempre, ovunque.
Non c'era niente di più profondo, niente di più intimo e vincolante che essere parabatai. Eppure c'erano momenti, brevi attimi in cui Ben sentiva che non era ancora abbastanza. Anche mentre la guardava ora, il sangue secco le appiccicava i bei capelli color dell'ambra, i tagli e i graffi sulla sua pelle pallida andavano scomparendo man mano che l'iratze sulla sua spalla faceva effetto. Anche mentre la guardava in quel momento, fissandola nei grandi occhi blu, sentiva che non era abbastanza. 

Come diavolo era successo? Ben non sapeva proprio dirlo. Non sapeva riconoscere l'attimo preciso in cui aveva iniziato a guardare Lena in quel modo. Ma era successo e in cuor suo sapeva che non avrebbe potuto fare niente per cambiarlo. 
Semplicemente, certe cose non possono cambiare.

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Capitolo 2
*** Cuore elastico ***


 
Just a couple of words:
Eccomi con il secondo passo di questa piccola avventura. Inizierei col ringraziare principessac che ci ha tenuto fin da subito a farmi sapere cosa ne pensava di questa storia. Spero che continui ad incuriosirti e che ti faccia prudere le dita abbastanza da scrivere un'altra piccola recensione per me!
In questo secondo capitolo si comincia ad entrare nella trama e si introduce la vicenda che farà da sfondo alla storia di Ben e Lena, che sarà un po' il filo conduttore del racconto. Racconto che non è propriamente una storia d'amore, o meglio: non solo.
Non ho molto altro da scrivere, mi piacerebbe però leggere... Una bella recensione ad esempio, o due, tre... Quante ne volete, non mi stanco, ho una vista eccellente e dita veloci per rispondere.
Concludo, come ho iniziato, ringraziando ancora principessac.
Questo capitolo è tutto per te :)


La frase ed il titolo del capitolo sono ripresi da questa bellissima canzone: https://www.youtube.com/watch?v=KWZGAExj-es




 









 
2. Cuore elastico
 
Well I’ve got a thick skin and an elastic heart
(Sia~ Elastic heart)

 
 
Lena lanciò il coltello ancora una volta, quando l'arma si andò a conficcare perfettamente nel centro del bersaglio appeso al muro, si sentì compiaciuta. Fuori dalle finestre della sala di addestramento il sole si stava tuffando oltre l'orizzonte, presto avrebbe fatto buio e Ben e Lena erano ancora là. 
- Non so quale sia il nostro problema - ammise il ragazzo recuperando i coltelli che la sua parabatai aveva lanciato.
- Solo stamattina abbiamo avuto un'amichevole chiacchierata con una dozzina di demoni Shaomao, dovremmo stare a riposarci e invece... - Si interruppe, tirò uno dei coltelli che aveva recuperato e quello si conficcò nel cerchio centrale.
- Devi ammettere che è stata una bella chiacchierata, però - commentò Lena ridacchiando al ricordo dell'adrenalina della battaglia. Ben storse il naso, un'espressione teatrale che avrebbe voluto essere ironica.
- Nah... Preferisco i demoni superiori, sono più loquaci - A quelle parole Lena si irrigidì visibilmente ed il cacciatore non poté non notarlo. Posò i coltelli per avvicinarsi a lei. 
- Scusa - disse in un sussurro spostandole una ciocca di capelli ambrati dietro l'orecchio. Un demone superiore aveva ucciso i genitori di Lena davanti ai suoi occhi e la ragazza ancora oggi dopo anni, rivedeva quasi ogni notte la terribile scena. Dire che fosse sensibile all'argomento era riduttivo.
Ben si maledisse per aver involontariamente toccato quel tasto dolente e le si avvicinò di più, subito dopo si maledisse anche per quello. Perché tutt'un tratto era diventato così difficile starle vicino? 
Lena poggiò la testa sul suo petto e chiuse gli occhi. Ben odorava di mare e di cannella, ma più di tutto odorava di casa.
Non si sottrasse al tocco della ragazza e la cinse con le braccia, come era successo tante altre volte in quegli anni, eppure in quell'abbraccio c'era qualcosa di diverso. Entrambi si sentivano pizzicare la coscienza, eppure nessuno dei due si scostò. Come se fosse la cosa più naturale del mondo le labbra si poggiarono sulla guancia della sua parabatai e vi posarono un lento bacio. Le labbra di Ben erano calde, com'era caldo tutto il suo corpo, Ben era un termosifone umano, quando era vicino a lui Lena non sentiva mai freddo.
Si ritrovò a strusciare il naso nella piega del suo collo, inspirò forte il profumo famigliare. Lena odorava di lavanda e di farina, ma più di tutto odorava di casa. 
Non resistette. Le sue labbra le baciarono il collo, dove la pelle era delicata e aveva un sapore proibito, con una lentezza estenuante si mossero: dietro l'orecchio, la curva della mascella... si fermarono all'angolo della bocca. Proprio dove le si formavano quelle adorabili fossette quando sorrideva.
Lena sentiva il respiro del suo parabatai, caldo ed accelerato nonostante la lentezza dei suoi movimenti, solleticarle la pelle. Aveva gli occhi ancora chiusi, non riusciva ad aprirli, né a rendersi conto di quello che stava accadendo.
Appena un millimetro, Ben si scostò di appena un millimetro. Ora le sue labbra erano pericolosamente vicine; la sua mano ruvida, la mano di un cacciatore, di un guerriero, si era spostata dietro al suo collo in una muta richiesta di non muoversi; anche se lei, le dita poggiate sul suo petto ampio, non ne aveva la minima intenzione.
- Lena... - In un sussurro le labbra del ragazzo accarezzarono il suo nome. Fu come un richiamo alla realtà: gli occhi le si aprirono contro la sua volontà e le mani posate sul suo petto fecero quel minimo di forza che bastava per allontanarli di qualche centimetro.
- Ben - disse e il suo nome nella bocca di lei suonava come un avvertimento, la terribile profezia di quello che sarebbe successo se non si fossero fermati.
Staccarsi da lui fu una boccata d'acqua nei polmoni, Lena credette di affogare, ma non poteva rimanere così a bruciare a un passo dalle sue labbra.
Ben chiuse gli occhi ed inspirò bruscamente, i pugni serrati lungo i fianchi, fece un passo indietro e poi un altro, fin quando non sparì dietro la porta della sala di addestramento senza che le sue labbra aggiungessero un'altra parola, senza che le sue mani la toccassero un'altra volta.
Lena rimase sola, al centro della stanza con gli occhi fissi su una parete spoglia, si strinse nelle spalle, senza lui al suo fianco, le pareva di non aver mai sentito tanto freddo.
 
E continuò a sentire freddo. Passarono giorni in cui i due parabatai cercarono di evitarsi il più possibile, ridussero i contatti al minimo, gli sguardi erano centellinati. Ben si vietava di guardarla negli occhi, non poteva resistere a quel blu cobalto, l'avrebbe inghiottito, avrebbe fatto cadere tutte le sue barriere. Non si vergognava di quanto era accaduto nella sala degli addestramenti ed era proprio questo il problema: si vergognava di non vergognarsene. Lena dal canto suo sentiva che quel pomeriggio qualcosa tra loro era cambiato e non riusciva a perdonarselo. Continuava a ripetersi che infondo non era successo niente, ma allora perché si sentiva così in colpa? 
Non riusciva a scrollarsi di dosso quel ricordo. Con Ben era sempre così, qualsiasi cosa facesse le rimaneva impressa per sempre, incisa sulla pelle, incisa molto più profondamente che sulla pelle. Ben era ghiaccio e fuoco, era freddo glaciale stargli lontana, era calore ardente stargli vicina.
In tutti i casi, vicina o lontana, ghiacciata o bruciata, era sempre lei a rimetterci, sempre lei a tirare i lembi di quel cuore malconcio che aveva nel petto, fino a rischiare quasi di strapparlo. Di strapparsi.
Per fortuna aveva un cuore elastico.
 
- Allora? - chiese Eleanor incrociando le braccia davanti al petto.
- Cosa? - Lena era stupita dall'uscita brusca della donna. Eleanor era una delle poche persone che aveva la sua più completa stima, la ammirava come donna e come Nephilim.
- Con Ben. Cosa è successo? - Nel suo sguardo non c'era la curiosità civettuola di una madre che cerca di immischiarsi nelle faccende del figlio, solo un po' di preoccupazione, contornata quella nota di severità che non la abbandonava mai.
Lena avrebbe voluto sprofondare sotto terra.
- Niente - rispose cercando di mantenere la voce ferma e di rallentare il battito cardiaco che suonava come un tamburo. L'espressione di Eleanor era chiara: non se l'era bevuta.
Ed ora cosa avrebbe fatto? Dirgli quello che era successo nella sala degli allenamenti era fuori discussione, piuttosto si sarebbe tagliata un braccio. Ma poi...cos'era successo? Lena non sapeva rispondersi con precisione, ma qualsiasi cosa fosse stata, sapeva che era sbagliata.
- Quindi mi stai dicendo che vi state evitando per niente? - Il tono scettico della donna la diceva lunga.
- È inutile continuare a negarlo. Qualcosa è successo - continuò imperterrita. Messa alle strette Lena si ritrovò costretta ad ammetterlo, buttò fuori tutta l'aria che aveva nei polmoni ed annuì.
- Ma non vuoi dirmi cosa, è così? - Annuì di nuovo e stavolta fu Eleanor a sospirare.
- Beh, qualunque cosa sia, sappi che non è niente in confronto al male che vi state facendo evitandovi. Siete parabatai, qualunque cosa sia successa non può essere così grave da tenervi lontani - affermò risoluta e subito dopo la strinse in un abbraccio.
Oh Eleanor, è più grave di quanto credi.
- Promettimi che risolverete questa faccenda - chiese con una punta di apprensione nella voce.
- Te lo prometto - rispose Lena. Doveva farlo, lo doveva a se stessa. Come avrebbe potuto sopportare un altro giorno, un'altra ora, un altro minuto, senza Ben? 
 
Ecco perché ora camminava nervosa per il corridoio dell'Istituto, la mente che straripava di pensieri e parole che avrebbe voluto dire. Si era preparata un discorso e lo stava ripetendo mentalmente, sperando che, una volta che lo avesse trovato, la sua memoria non le avrebbe giocato un brutto scherzo. 
Anche Ben la stava cercando, anche Ben era nervoso. Quello che voleva dirle ce lo aveva stampato nella testa e nel cuore, sperava solo che quando l'avesse trovata i suoi occhi blu non lo avrebbero zittito e lo avrebbero lasciato parlare. Immerso nelle sue speranze e considerazioni, non si accorse che lungo il corridoio qualcosa, o meglio qualcuno, stava venendo nella sua direzione finché non ci andò a sbattere contro.
Davanti a lui c'era Lena, i capelli le ricadevano in onde ambrate sulle spalle e Ben si chiese se li avrebbe sentiti così morbidi, come immaginava che fossero, se li avesse toccati in quel momento. Contro ogni previsione, i suoi occhi erano più blu che mai e il ragazzo ci si tuffò dentro, dimenticando all'istante tutti i propositi che si era fatto.
Lena rimase un attimo interdetta quando se lo ritrovò davanti, c'erano così tante parole che avrebbe voluto dire, ma mentre lo guardava negli occhi, il verde e il marrone si mescolavano in un colore unico, non se ne ricordava nessuna.
- Io...- Parlarono all'unisono, disorientati allo stesso modo.
- Prima tu - disse ognuno dei due, nello stesso identico momento. Lena sospirò, Ben prese un grande respiro
- Ero venuto a cercarti - disse guardandola.
- Anch'io - ammise lei con un filo di voce. Per lunghi attimi rimasero così, gli occhi incatenati in quel bacio che le loro bocche non avrebbero mai potuto scambiarsi.
- Cosa ci sta succedendo? - Finalmente quella domanda. L'aveva domandato più a se stesso che a lei, ma Lena rispose lo stesso.
- Non lo so - disse e subito dopo si diede della bugiarda. Certo che sapeva cosa stava succedendo, almeno a lei.
Mi sono innamorata di te, Ben, avrebbe voluto dire, ma non lo fece ovviamente, non l'avrebbe fatto mai. Era sbagliato, lo sapeva.
- Sono una pessima parabatai - Ben scosse la testa.
- Io sono pessimo! Non ho fatto altro che evitarti in questi giorni - la corresse abbassando la testa. Non si vergognava di averla stretta a sé in quel modo molto poco fraterno nella sala degli allenamenti, ma si vergognava di averla tenuta lontana per tutti quei giorni.
- Ed io ho fatto altrettanto - considerò con vigore Lena, come fosse stata una gara per aggiudicarsi la colpa.
- Ama tuo fratello come la tua anima e vigila su di lui come sulla pupilla del tuo occhio*... Non l'ho fatto in questi giorni, sono stata cieca - "Fratello". Una parola che bruciava nella bocca di Lena. Cercò di non farci caso e si maledisse ancora una volta, considerandosi davvero spregevole ad avere certi pensieri in quel momento. 
- L'Angelo faccia a me questo e anche peggio se altra cosa che la morte mi separerà da te... Mi sono separato da te, ero qui, ma era come se non ci fossi - Ben pensò che questa parte del giuramento dei parabatai assomigliava molto alla formula usata durante i matrimoni mondani "Finché morte non vi separi", recitava. Per un breve momento immaginò che lui e Lena fossero due normalissimi e ignari mondani, non avrebbe dovuto costringersi a sentirsi in colpa, avrebbe potuto dirle "Finché morte non ci separi". Fu l'attimo più bello della sua vita e non perse neanche tempo a convincersi che fosse un pensiero sbagliato. Costringersi a non pensarci non sarebbe servito a fargli cambiare idea.
Per un po' entrambi rimasero in silenzio soppesando le proprie mancanze e mentre una non perse l'ennesima occasione di tormentarsi per queste, l'altro ci sguazzò in quei desideri proibiti.
- Siamo pessimi - disse alla fine Ben, si scompigliava i capelli con le dita come faceva sempre quando era un po' nervoso.
- Possiamo essere pessimi insieme - ribatté allora Lena. E nel breve attimo di silenzio che seguì entrambi seppero per certo che c'era un unico modo in cui poteva finire quella conversazione.
- Sempre - Le prese la mano come a chiederle un permesso che gli aveva accordato già molti anni fa.
- Ovunque - Abbracciò le sue dita come a rinnovare la loro promessa.
 
- Demoni Shaomao, eh? - chiese conferma Nicholas Fairway a suo figlio. Ben annuì con il cucchiaio pieno fermo a mezz'aria, storse il naso e ne svuotò di nuovo il contenuto dentro il piatto.
- Ma erano diversi da quelli che abbiamo affrontato altre volte - precisò.
- Che vuol dire, tesoro? Spiegati meglio - Eleanor aveva la fronte corrugata - E mangia - ordinò. 
Quando Ben ignorò bellamente le parole di sua madre lei le rivolse un' occhiata carica di un profondo istinto violento... Ma materno.
- Non abbiamo mai incontrato un demone Shaomao che usasse la lingua come frusta - gli venne in soccorso Lena facendo riaffiorare nella mente il ricordo di quelle creature.
- E nessuno che fosse così agile - aggiunse subito dopo Ben. Eleanor rimase per un attimo a fissarlo, indecisa se dare più peso a quelle stranezze di cui parlavano o al fatto che nessuno stesse mangiando la zuppa che aveva preparato. Alla fine riuscì a sciogliere l'indecisione e senza dire una parola si alzò dal tavolo ed uscì dalla sala da pranzo.
- Cosa diavolo le prende? - chiese Ben allargando le braccia. Nicholas fece spallucce.
- L'apprensione di una madre - sospirò. Il cacciatore suo padre come se avesse appena detto che il cielo era arancione.
- Per i demoni di questa mattina? - chiese incerto. L'uomo scosse la testa.
- No, perché non mangi - Lena dall'altro capo del tavolo soffocò una risata.
Qualche minuto dopo Eleanor spalancò la porta della sala da pranzo, le braccia piene di volumi dall'aria molto antica. Li buttò sul tavolo facendo alzare tutt'intorno nuvole di polvere.
- Ti ringrazio mamma, mi hai appena dato una buona scusa per non mangiare questa schifezza - commentò entusiasta Ben scansando il piatto che aveva davanti ormai pieno di polvere. Eleanor fulminò suo figlio con lo sguardo, prese in mano uno dei libri e cominciò a sfogliarlo velocemente.
- I demoni Shaomao non hanno la lingua - disse fermandosi su una pagina e mostrando il libro agli altri in dimostrazione di ciò che aveva appena detto.
- Quelli che abbiamo ucciso ce l'avevano -.
- Ne sei sicuro? - Le sopracciglia del ragazzo si alzarono in un'espressione sarcastica.
- Una di quelle dannate lingue affilate come rasoi mi stava per tranciare in due, perciò...sì, sono abbastanza sicuro! - Incrociò le braccia al petto con un'espressione vagamente offesa.
- Potete anche non credermi, ma vi dico che quelle cose... - Lena gli sfiorò un braccio in un gesto rassicurante.
- Nessuno sta dicendo che non ti crede. Le ho viste anch'io. Quello che stanno cercando di dirti i tuoi genitori è che... - La voce le si spense velocemente mentre inseguiva la parola giusta e quel poco di calma che era riuscita ad instillare dentro Ben sfumò altrettanto velocemente.
- Che è impossibile, ecco cosa stanno cercando di dirmi. Ma quelli ce l'avevano una maledetta lingua, Alena - quasi urlò Ben.
La cacciatrice alzò gli occhi al cielo, sospirando per la testardaggine del suo parabatai e Ben avrebbe voluto dirle di non alzare gli occhi al cielo, solo perché sapeva quanto lo odiasse. Anche se, a dire la verità, non riusciva ad immaginare di odiare qualcosa che fosse Lena a fare.
- Ormai non importa più, li abbiamo uccisi tutti, Benjamin - capitolò la ragazza interrompendo i suoi pensieri e chiamandolo col suo nome completo solo perché sapeva che gli dava fastidio tanto quanto piaceva a lei. Si alzò dal tavolo e uscì dalla sala da pranzo trascinando il Nephilim con sé.
 
- Perché mi hai portato fuori? - chiese Ben. L'aria fredda della sera gli pizzicò il viso.
- Perché non ce la facevo più a sentirti parlare di lingue - Lena ridacchiò mentre immagini decisamente non caste di Ben e della sua di lingua le danzarono davanti agli occhi. Più cercava di scacciarle con vigore, più ritornavano, prepotenti come lui.
Chissà com'è bravo con quella lingua. Chissà come sa usarla bene. Chissà con quante ha fatto pratica...
Si stupì di se stessa e di come avesse facilmente permesso a certi pensieri di entrarle in testa, non era decisamente da lei. Ci mise il massimo del suo impegno per far sì che si dissolvessero e ritornassero ad essere solo quella fastidiosa nebbia che le offuscava la testa quando era troppo vicina a Ben. Eppure il solo immaginarsi lui con un'altra ebbe l'immediato potere di interrompere bruscamente la sua risata e farle colorare le guance di qualcosa che non era imbarazzo.
- Dove andiamo, quindi? - domandò lui mentre la scrutava cercando di indovinare quali pensieri avessero oscurato il suo buon umore.
- Non lo so. Dovunque tu voglia andare - Sul viso di Ben comparve lo strascico di un'emozione che da sola sarebbe stata in grado di illuminare tutta San Francisco. Certamente fu in grado di illuminare Lena, le cui labbra si piegarono in un piccolo sorriso.
- Andresti davvero dovunque voglia andare io? - Tutt'un tratto mise sù una serietà che stonava un po' con l'immagine che Lena aveva di lui.
- Dove andrai tu andrò anch'io... Ricordi? - rispose lei citando una parte del giuramento dei parabatai. L'espressione seria di Ben svanì in fretta, lasciando posto ad un sorriso furbo che a Lena risultava molto più familiare.
- Allora voglio andare al Golden-jug - disse risoluto il ragazzo. Lena fece spallucce.
- Come vuoi, vecchia spugna - .
 
Il Golden-jug era una taverna frequentata dai più balordi ubriaconi del Mondo Invisibile che popolavano San Francisco e... — talvolta, era capitato, per puro caso, si intende — da Ben. Molto antica, era situata nel cuore di Tenderloin, il quartiere più malfamato della città.
Ben aveva creduto che Lena scherzasse, che una così brava ragazza come lei si sarebbe tirata indietro prima di entrare nella zona periferica. Infondo però avrebbe dovuto sapere che non l'avrebbe fatto, conosceva bene la sua parabatai: era testarda come un mulo. Iniziò a pentirsi di averla sfidata quando un vecchio accasciato in un angolo della strada non si fece il minimo problema a squadrarla da capo a piedi con occhi appiccicosi. Ben si sarebbe volentieri fermato ad ammazzarlo di botte, ma Lena camminava veloce davanti a lui e lasciarla andare troppo avanti da sola non le parve un'idea brillante almeno quanto non lo era stato portarla in quella parte della città. Al vecchio ubriacone, per questa volta, era andata bene.
Arrivati finalmente sotto una sgangherata insegna a neon che Ben non ricordava avesse mai funzionato, si affrettò a sgusciare dentro trascinandosi dietro anche Lena. Non che all'interno fosse chissà quanto più sicuro che per la strada...
- Non posso credere che sei davvero venuta in questo posto - le disse all'orecchio, così che potesse capire nonostante la confusione che c'era nel locale.
- Non posso credere che tu mi ci abbia portata - rispose a tono lei. 
- È ancora peggio di quanto ricordassi - constatò Ben guardandosi attorno. L'aria era satura di alcol e densa di fumo mentre ai tavoli sudici era seduta una miscela eterogenea di tutte le specie del Mondo Invisibile. Ogni due secondi si sentiva il rumore di un boccale spaccato per terra o lanciato addosso ad una parete. Uno schizzo del contenuto di uno di questi imbrattò la camicia di Lena.
- Non è esattamente il posto adatto ad una signora - fece notare la ragazza pulendosi con la manica della giacca.
- Per fortuna che non ci sono signore nei paraggi! - rise il ragazzo prendendosi gioco di lei. Dopo un paio di occhiate in giro pensò bene di scolarsi il contenuto del boccale di qualcun altro impudentemente abbandonato sul bancone. Lena si diede della stupida per avergli servito quella battuta sul piatto d'argento, ma rise suo malgrado.
- Touchè - Un altro paio di boccali si infransero contro il bancone, non molto lontano da dove erano seduti i due parabatai e Ben si guardò intorno con apprensione. In quel momento era del tutto irrilevante il fatto che Lena fosse una cacciatrice, che compisse fra qualche tempo diciott'anni, che non fosse più una bambina e che fosse perfettamente in grado di difendersi da sola. Ben non la voleva lì e basta.
- È stata un'idea stupida. Andiamocene - disse alzandosi, ma subito si sentì afferrare per la manica. Lena lo ritirò giù e lui l'assecondò suo malgrado tornando seduto con un aria leggermente confusa ma divertita. La guardò stralunato, l'ironia — o forse la birra — gli faceva brillare gli occhi.
- Cos'è, hai deciso di darti all'alcol? Non pensavo fossi quel genere di ragazza, ma per me va bene. Insomma, voglio dire, potremmo... - La mano di Lena arrivò decisa a chiudergli la bocca impedendo ad altre stupidaggini di uscir fuori.
- Guarda - bisbigliò, ma avrebbe potuto anche urlare per quanta confusione c'era. Gli indicò con il mento la porta del locale.
In piedi, lì dove aveva puntato gli occhi, c'era una figura completamente nascosta da un mantello nero, era appena entrata e si stava guardando intorno in cerca di un posto per sedersi. Non era strano che un Nascosto frequentasse posti del genere, né che venisse vestito così: spesso gli abitanti del Mondo Invisibile preferivano non mostrarsi troppo, si coprivano con mantelli per girare lungo le strade della città senza far ricorso ad un incantesimo che celasse il loro aspetto.
- Non capisco - ammise quindi Ben. Poi capì.
Mentre si girava per andare a sedersi ad un tavolo vuoto all'angolo del locale, il lungo mantello frusciò rivelando una mano. Non era strano che un Nascosto frequentasse posti del genere, né che venisse vestito così, ma che un Nephilim facesse tutto questo... Beh, questo sì che era strano. I due ragazzi fissarono la runa della resistenza al fuoco ben in vista sul dorso della mano dello sconosciuto. Era un cacciatore, non c'erano dubbi.
- Non ti sembra... - Lena si sporse oltre il suo parabatai per guardare meglio la figura incappucciata.
- Strano? Un po' - Finì la frase per lei. In realtà era più che un po', ma non voleva che Lena si preoccupasse per nulla.
- Se dovessimo impensierisci per ogni cosa strana che vediamo, vivremmo una vita di continua inquietudine. Dai, torniamocene all'Istituto - disse tirandola per una manica. Ma Lena non voleva saperne di mollare l'osso.
- Secondo te, perché è qui? - indagò mentre Ben la trascinava sbuffando verso la porta.
- Non lo so, Lena, ma cosa te ne importa? Ha solo un mantello addosso. Non è abbastanza per considerarlo un tipo sospetto - Cercò di tranquillizzarla, ma i suoi occhi non lasciarono il misterioso cacciatore incappucciato finché non furono fuori dalla locanda.
- Proprio strano... - rifletté a voce alta, il passo distratto mentre attraversava le ombre di luce che gettavano sull'asfalto i lampioni. Ben, accanto a lei, sbuffò una risata.
- Stai decisamente diventando paranoica. Devi smetterla di leggere certi libri, hai un'immaginazione troppo viva. Se continui così, finirai con l'avere parecchi incubi stanotte - la schernì. Lena incassò il colpo malamente, inciampò sui sui stessi passi, e se non ribatté fu solo perché la sua mente era troppo impegnata a trovare una spiegazione logica a quelle stranezze. Tuttavia Ben sentì il bisogno di incrociare il suo sguardo per chiederle scusa con gli occhi, per dirle che era solo un modo di dire e che non era certo quello che intendeva. Sapeva bene che i suoi erano tutt'altri incubi, sapeva che non erano un'immaginazione e che ciò che tormentava Lena era troppo atroce per stare scritto sui libri.
Sbuffò ed accelerò il passo per starle dietro mentre si affibbiava mentalmente i più coloriti insulti. Ultimamente non faceva che dire la cosa sbagliata con Lena.
 
Erano arrivati alla fine della strada quando il rombo di una forte esplosione squarciò l'aria. Si girarono all'unisono, lo stupore non ebbe neanche il tempo di imprimerglisi sul viso.
Davanti ai loro occhi il Golden-jug era inghiottito dalle fiamme.








 
* Questa frase è presa dal Vangelo di Tommaso. Dato che i Nephilim sono degli inguaribili fanatici di lingue morte (ed io facendo il classico odio/amo, in perfetto stile catulliano, questo fatto oltre ogni misura) e sacre scritture, ho pensato ci stesse bene. 
 

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Capitolo 3
*** Il mare in una stanza ***


Angoletto dell'autrice che ha tanto bisogno di una recensione:
 
Okay, questo terzo capitolo non potrebbe esattamente essere definito "pieno di eventi", ma penso che sia importante per comprendere qualcosa in più sul carattere di Ben e Lena e poi viene introdotto anche un nuovo personaggio. Perciò... Diciamo che non io lo definirei proprio un capitolo inutile, ma l'ultima parola spetta a voi: datemi un vostro giudizio, altrimenti sarò tentata dal pensiero che la sua assenza sia già un giudizio. Bene, non so neanche se si è capito quello che ho scritto perciò lo riscriverò senza troppi giri di parole: vi sarei immensamente grata se dopo aver letto mi faceste sapere cosa ne pensate... Ora non avete più la scusa che scrivo in ostrogoto, quindi...
Ultima cosa, ma non meno importante: grazie mille a principessac per aver speso un po' del suo tempo per darmi la sua opinione sulla storia, per gli incoraggiamenti e per le belle parole :)
 
Akilendra




 
3. Il mare in una stanza
 
Maybe it's wrong to love you more each day 
'Cause I know he's here to stay
But my love is strong 
I don't know if this is wrong 
But I know to whom you should belong
(Maybe~side a)



 
- Aspettate un momento...e voi che ci facevate al Golden-jug? - Eleanor guardava alternatamente Ben e Lena, sul viso un'aria indagatrice. Il ragazzo mosse la mano come a scacciare una mosca.
- È una lunga storia...- la liquidò evasivo. La donna lasciò correre, ma la sua espressione diceva che avrebbero approfondito il discorso più tardi e che non l'avrebbe passata liscia.
- Non riesco a capire perché un cacciatore avrebbe dovuto dare fuoco a quella taverna di ubriaconi, non c'erano demoni...- La zia Grace aveva un'espressione così ingenuamente sincera che Lena non se la sentì di smontare le sue convinzioni. Al contrario Ben non si fece troppi problemi a farlo, ovviamente. Era Ben.
- No che non c'erano. Qualunque Nephilim che si rispetti sa che quella taverna è frequentata da Nascosti - disse secco. Grace sembrò non dare peso all'allusione del ragazzo sul fatto che non fosse una buona cacciatrice, o forse semplicemente non l'aveva colta. 
- Magari era uno di quei fanatici che sono contrari agli Accordi. Uno di quelli che è convinto che i Nascosti siano da eliminare esattamente come i demoni - ragionò Lena. 
- Non abbiamo nessuna prova che sia stato il Nephilim incappucciato. Non possiamo condannarlo perché aveva un dannato mantello addosso - ribatté Ben. Lena si girò verso il suo parabatai, aveva gli occhi talmente aperti che il ragazzo temette per un attimo che potessero uscirle dalle orbite. Il blu cobalto delle sue belle iridi era più vivo che mai e Ben dovette costringersi a non guardarla negli occhi per cercare di mantenere la sua posizione.
- Aveva una runa della resistenza al fuoco sulla mano! - gli urlò quasi contro.
- Non è una prova - insistette lui.
- Certo, chi di noi non va in giro con un mantello nero lungo fino ai piedi, la faccia coperta e una runa della resistenza al fuoco sulla mano? - chiese a tutti i presenti nella sala con aria sarcastica.
- A me capita davvero tutti i giorni. A te, Benjamin? - domandò retorica chiamandolo col suo nome intero per stuzzicarlo. Ben fece spallucce.
- A dire la verità, Alena, non ho mantelli neri nell'armadio. Il nero non sta bene con la mia carnagione - le sorrise con quella sua faccia tosta e Lena incrociò le braccia al petto per impedirsi di schiaffeggiarlo.
- Vedo che non mi sono perso granché in questi giorni - disse una voce sulla porta distogliendoli dalla loro conversazione.
- Sempre le stesse cose - continuò avvicinandosi al divano su cui erano seduti i due ragazzi, a quel punto gli occhi di tutti gli erano puntati addosso.
- Alena sempre incantevole - disse prendendo una mano della ragazza e portandola vicino alle labbra senza però nemmeno sfiorarla: il baciamano di un perfetto gentiluomo, Lena doveva ammetterlo. Ben alzò gli occhi al cielo.
- Benjamin il solito buffone - continuò senza spostare lo sguardo dalla ragazza.
Ben - lo corresse con voce esasperata. Prese la sua parabatai per la manica della maglia e se la tirò più vicina, così da sciogliere la stretta delle loro mani. 
 
La voce che li aveva interrotti apparteneva ad Alaric Redblood. Era arrivato all'Istituto un anno prima, al compimento del suo diciannovesimo compleanno infatti, era andato via da Londra e, come era tradizione fare per i cacciatori, aveva iniziato a viaggiare. Il suo viaggio si era momentaneamente sospeso quando era arrivato all'Istituto di San Francisco, dove era stato accolto con calorosità da tutti. Ovviamente, tranne che da Ben.
Lena non aveva niente contro Alaric. Non era arrogante, a differenza di Ben, non faceva lo sbruffone, a differenza di Ben, ascoltava sempre con rispetto le opinioni altrui, a differenza di Ben. Insomma, era un bravo ragazzo, nonché un vero gentiluomo, beh, anche Ben...ok, forse Ben no... Ed era proprio questo il problema: era gentile, educato, piacevole d'aspetto, un bravo cacciatore...ma non era Ben e questo bastava perché Lena non lo degnasse di più di un'occhiata.
Ultimamente era stato via un paio di settimane, era tornato a Londra dopo un anno di assenza, diceva di sentire la nostalgia di casa a volte. Lena lo capiva.
 
- E tu rimani sempre il solito str... - 
- BENJAMIN FAIRWAY - urlarono Eleanor e Nicholas insieme, sul viso di Grace c'era pura disapprovazione.
- ...ano. Il solito strano - si difese il ragazzo alzando entrambe le mani in segno di resa. Espressioni scettiche intorno a lui lo pregarono di non continuare, Alaric distolse lo sguardo borbottando.
- Come hai detto, scusa? - chiese Ben chiedendo di ripetere, ma con in faccia un'espressione minacciosa che suggeriva che avesse capito benissimo. Ovviamente il biondo non rispose e Ben stava per ribattere quando Lena decise di porre fine a quello scambio di battute sconvenienti che avrebbe portato alla consueta lite fra i due.
- E così sei tornato a Londra... È come la ricordavi? - chiese aprendo il primo discorso che le veniva in mente. Il ragazzo sembrò piacevolmente sorpreso dal suo improvviso interessamento ed in pochi secondi sembrò dimenticarsi completamente di Ben.
- É passato solo un anno dall'ultima volta che l'ho vista, a dire il vero - Non era stato esattamente scortese, ma Lena alzò le sopracciglia lo stesso.
- Possono cambiare molte cose in un anno - affermò convinta.
- Immagino di sì. Tuttavia ho trovato la mia Londra uguale a come l'avevo lasciata - il Nephilim sorrise lievemente e Lena pensò che doveva sorridere più spesso, era più carino quando sorrideva, gli occhi celesti si accendevano di una luce interessante.
- Dovresti vederla, penso che Londra ti piacerebbe. Vorrei portartici un giorno, se sei d'accordo - propose gentile. Lena stava per dire che sì, le sarebbe piaciuto molto, anche se forse Londra era troppo... grigia per i suoi gusti, ma non ebbe il tempo di proferire parola dato che Ben pensò bene di rispondere per lei.
- No che non è d'accordo e nemmeno io lo sono! - mise subito in chiaro, categorico.
- Smettila di provarci in maniera così palese con lei! - protestò. Lena si strozzò con il suo stesso respiro, non poteva vedersi perché non aveva uno specchio davanti, ma era sicura di essere diventata di ogni sfumatura possibile di rosso.
- E poi, razza di imbecille, il suo colore preferito è l'azzurro, le piace il cielo limpido e l'aria pulita e tu la porti in una città grigia e piena di fumo? Puoi fare meglio di così, Redblood! - Nella stanza non volava una mosca, gli occhi di tutti erano puntati su Ben ed Alaric. 
Lena non sapeva come sentirsi riguardo a quello che aveva appena detto il suo parabatai. Come si permetteva di rispondere al posto suo? Quanto era arrogante, credeva di sapere perfettamente cosa le piaceva e cosa voleva... In effetti era proprio così e questo la faceva sentire involontariamente, terribilmente lusingata per questo.
- Non ci sto provando con lei - precisò Alaric e a Lena non sfuggì il fatto che fosse anche lui arrossito.
- Sarà meglio per te che sia così - lo minacciò Ben e a quelle parole il biondo si scrollò di dosso l'imbarazzo, sembrò addirittura scaldarsi e Lena sperò con tutta se stessa che no avesse intenzione di tenergli testa.
- Ed anche se fosse? Non capisco qual'è il tuo problema - disse quello materializzando i timori della ragazza. Pessima mossa. Fu come gettare benzina sul fuoco sempre acceso che era l'animo di Ben.
- Qual'é il tuo problema! Alena è la mia parabatai, è praticamente... mia sorella. Non puoi trovarti un'altra a cui appiccicarti? - scoppiò.
"Sorella"... Quella parola sembrava bruciargli in gola mentre la pronunciava. Se solo avesse provato per Lena quello che avrebbe dovuto provare un fratello, sarebbe stato tutto più facile.
"Sorella"... Quella parola sembrava bruciarle il cuore mentre la ascoltava. Se solo si fosse sentita come la sorella di Ben, sarebbe stato tutto più facile.
Non riuscì a trattenersi, prima che potesse imporsi di far finta di niente la sua sedia era già strusciata contro il pavimento e Lena era già fuori dalla stanza.
 
Sorella. Non si sarebbe mai sentita sua sorella. Era più complicato di così in effetti, una parte di lei era sua sorella, era il suo parabatai infondo. Ma l'altra, per l'Angelo, l'altra... Stare vicino a lui, ma non nel modo in cui avrebbe voluto, era come strapparsi la pelle con le unghie.
Una giacca le si posò sulle spalle.
- Ti prenderai un malanno qui fuori - Sentì la voce di Alaric appena dietro di lei.
- Posso? - chiese e Lena si spostò un po' più in là sul gradino così da lasciargli un po' di spazio. 
- Mi dispiace se la nostra conversazione di poco fa ti ha indisposta - si scusò sedendosi accanto a lei, ma più lontano di quanto la ragazza si aspettasse. Quindi credeva che l'avesse infastidita il fatto che stessero parlando di lei in quel modo... decise che sarebbe stato più comodo lasciarglielo credere, infondo non era mentire, era solo omettere una parte della verità. 
- Parlavate come se io non ci fossi - disse quindi - Come se aveste il potere di decidere per me - continuò fissando il cancello chiuso dell'Istituto.
- Non sono così presuntuoso da credere di avere un simile privilegio. Nessuno può decidere per te, Alena - rispose pacato il ragazzo.
Lena non poté fare a meno di notare come il suo nome intero suonasse diverso nella bocca di Alaric, molto diverso da quando a dirlo era Ben. Lui pronunciava la "l" in una maniera unica, l'accarezzava quasi, la "a" finale era allungata, rotonda.....perché ci stava pensando? Qui fuori al freddo, a metterle la giacca sulle spalle, a chiedersi perché se n'era andata, c'era Alaric, non Ben. 
Perché non era venuto? Perché, nonostante tutto, stava ancora pensando a lui? 
- Ti andrebbe di fare una passeggiata? - Quasi si strozzò mentre pronunciava quelle parole. Era stata davvero lei a chiederlo? Sul viso del ragazzo si dipinse un sorriso radioso a confermarle che sì, era stata lei a chiederlo e sì, era un guaio.
Mentre si avviava per il viale al fianco di Alaric i pensieri di Lena volarono spontaneamente a Ben ed al finimondo che avrebbe creato quando avesse saputo che se n'era andata con lui.
Non mi importa, si disse e si sentì immediatamente patetica per quella colossale menzogna che voleva rifilare a se stessa.
 
Ben aveva dovuto fare appello a tutta la sua forza di volontà per trattenersi dal correre dietro a Lena quando era scappata via. Avrebbe voluto raggiungerla, chiederle perché se ne era andata così, far andare via quell'espressione crucciata dal suo bel viso. L'avrebbe fatta ridere così tanto che i suoi occhi blu si sarebbero illuminati, come quella volta che non riusciva a fermarsi si sarebbe appoggiata alla sua spalla reggendosi la pancia per le risate, lui le avrebbe detto 'Sempre' e lei avrebbe risposto 'Ovunque' e tutto sarebbe andato bene.
Non successe niente di tutto ciò. 
Quando aveva visto quel pallone gonfiato uscire dietro di lei non ci aveva visto più dalla rabbia. Si era finalmente deciso ad andare a cercarla, infischiandosene altamente del controllarsi e del nascondere i propri sentimenti. Spettava a lui, quel Redblood non c'entrava proprio niente, ma quando era uscito per dirgliene quattro, quei due non c'erano già più. 
Dov'erano andati? Perché quell'invertebrato non lasciava in pace Lena?
La mia Lena.
Era sua in così tanti modi, tranne l'unico che voleva, era la sua parabatai, la sua compagna in battaglia, la sua migliore amica, sua sorella, ma niente di più.
Eppure era infinitamente di più.
 
Lena non sapeva dire come, né perché, ma era stato piacevole passeggiare per le vie di San Francisco insieme ad Alaric. Era gentile, educato, simpatico senza mai essere invadente, confidenziale senza mai essere inappropriato. Sembrava sapere sempre qual era la cosa giusta da dire, parlava molto eppure si zittiva subito appena lei apriva bocca per ascoltare ciò che aveva da dire. E poi era stato così carino da regalarle una collana. Lei si era fermata davanti ad una vetrina a guardarla, lui l'aveva raggiunta e, dopo aver scambiato un paio di parole sulla "mirabile" finitura del ciondolo, era entrato dentro e l'aveva acquistata. A Lena cominciava a non dispiacere affatto la sua compagnia. 
 
In quel momento, mentre oltrepassavano il cancello dell'edificio, stavano parlando di armi, coltelli per la precisione, infondo erano due Nephilim. Alaric si stava vantando di possederne di eccezionali.
- Dovresti provarli. Magari un giorno di questi potremmo allenarci insieme - propose. Era un ruffiano, ma pur sempre un ruffiano gentile, pensò Lena.
- Ha già un compagno di allenamenti - disse qualcuno in tono gelido. Nonostante il buio della sera, Lena avrebbe riconosciuto quella voce sempre e ovunque.
Alzò lo sguardo. Ben era in piedi in cima ai gradini, proprio davanti al portone dell'Istituto, le braccia incrociate sul petto, i muscoli tesi e l'espressione accigliata. Alaric alzò le sopracciglia sorpreso, ma si ricompose velocemente e sorrise nella direzione della ragazza.
- Voglio sentirlo dalla voce di Alena - disse. La Nelhilim sospirò. Poteva essere più imbarazzante di così? Ma si affrettò comunque a rispondere, perché sì, poteva ed era sicura che Ben non aspettasse altro che peggiorare la situazione.
- Ho già un compagno di allenamenti - confermò. A quelle parole il sio parabatai sembrò guadagnare quindici centimetri di statura, aprì mentalmente una coloratissima ruota di pavone e si gingillò ripetendosi nella testa le parole della ragazza ancora e ancora.
- Ma non mi dispiacerebbe fare qualche lancio con te, Alaric - continuò Lena. Ben si sgonfiò come un palloncino bucato, perse i quindici centimetri di altezza appena guadagnati, al pavone che era in lui caddero tutte le piume della ruota.
Alaric sorrise trionfante e dopo aver fatto il baciamano alla ragazza sparì dentro il portone. Quando gli passò vicino, Ben non perse l'occasione di tirargli una spallata. 
- Cos'era quello? - urlò sbigottito quando la porta si fu richiusa. Lena alzò gli occhi al cielo sbuffando.
Non mi dispiacerebbe fare qualche lancio con te - scimmiottò la voce della ragazza e lei sbuffò più forte, alzò di nuovo gli occhi al cielo.
- Altro che lanciare coltelli...lo so io lo so, quello vuole fare centro da un'altra parte! - borbottò il ragazzo. Lena strabuzzò gli occhi.
- E non alzare gli occhi al cielo, Alena - le intimò scendendo i gradini ed avvicinandoglisi. Il respiro della ragazza accelerò rapidamente e non c'era modo di nasconderlo con il freddo. Le nuvolette di fumo che le uscivano dalla bocca erano sempre più brevi e sempre di più. Il modo in cui le aveva parlato, il fatto che l'avesse chiamata Alena, la sua vicinanza...perché il suo corpo doveva sembra giocarle questi brutti tiri?
- Non alzare gli occhi al cielo - ripeté, stavolta il tono di voce normale - Sai che lo odio - ora le parole erano sussurri mentre uscivano dalla sua bocca, pericolosamente troppo vicina.
Lena non sapeva dove, ma trovò il buonsenso di mettere un po' di distanza tra loro e di stamparsi in viso un'espressione indignata.
- E sentiamo, tu cosa ne sai delle intenzioni di Alaric, eh? - chiese stizzita. Ben sogghignò come se la risposta fosse proprio sotto i suoi occhi e lei non riuscisse a vederla, cosa che non fece altro che indispettirla di più.
- Nonostante abbia i miei dubbi al riguardo, sembra che quell'inglese sia maschio dopotutto ed anch'io lo sono. Non è certo difficile immaginarsi a cosa pensa quando...- lo interruppe bruscamente non volendo immaginare la continuazione del suo discorso.
- E questo cosa significherebbe, scusa? - farfugliò sentendo già il sangue salire a colorarla di imbarazzo. Dal viso del ragazzo scivolò via l'espressione divertita ed i suoi occhi si accesero di qualcos'altro. Recuperò la distanza che lei aveva messo tra di loro.
- Come sei ingenua, mia piccola e dolce Lena - sussurrò al suo orecchio. La pelle della ragazza si riempì di brividi, come uno specchio su cui compaiono all'improvviso mille incrinature.
- Qualcuno dovrà pur spiegarti come pensa un uomo - disse. Aveva il tono languido, ma la voce ruvida. Lena dovette richiamare a sé tutto il suo autocontrollo per riuscire a pronunciare una frase che avesse un senso compiuto con Ben talmente vicino che le parlava in quel modo.
- Penso che la mente di un uomo non sia poi tanto diversa da quella di una donna, infondo...- La interruppe la risata del ragazzo.
- E chi ha parlato di mente? - chiese divertito. Lena aprì bocca per ribattere, poi la richiuse piccata.
- Davvero ingenua, una piccola bambina ingenua - Aveva di nuovo abbassato il tono, la sua voce era come un velo di seta a contatto con la pelle nuda, una carezza che lasciava scie di brividi. E quel modo in cui la guardava: come un leone affamato che scruta la gazzella per decidere dove attaccherà, come se fosse stata l'ultima goccia di acqua rimasta al mondo e lui stesse morendo di sete. E Lena avrebbe lasciato che l'azzannasse, l'avrebbe lasciato prosciugarla, se solo glielo avesse chiesto, se solo si fosse avvicinato ancora di un passo, se solo...
Ma Ben non fece quel passo, anzi si ritrasse, come scottato da una fiamma più grande di lui. Eppure era lui il fuoco, era lui che non faceva altro che cercare di bruciare Lena. 
- Dove ti ha portata? - abbaiò. I sussurri di pochi attimi prima erano solo un ricordo, prima che potesse accorgersene la ragazza aveva già alzato gli occhi al cielo, per fortuna lui sembrò non farci caso.
- Siamo andati a fare una passeggiata - rispose - E poi non mi ha portato proprio da nessuna parte, mica mi ci ha trascinato per i capelli contro la mia volontà. Siamo andati insieme - continuò correggendolo. Ben sembrò rifletterci sopra un attimo.
- Hai alzato gli occhi prima, Alena? - chiese alla fine aggrottano le sopracciglia. Era di nuovo ad un palmo dal viso di lei. Lena scosse la testa, l'accenno di un sorriso balenò sul viso di lui, ma venne subito scacciato.
- A me sembrava di sì - insistette. Lena avrebbe voluto togliergli quell'arroganza dal viso a suon di schiaffi.
- Beh, ti sembrava male - disse buttando il mento sopra le spalle e incrociando le braccia sul petto. Tutt'un tratto lo sguardo di Ben fu calamitato da un particolare di cui non si era accorto prima.
- Cos'è quel coso? - Oh, no. L'ha visto.
- Me l'ha regalato Alaric - rispose accarezzando il piccolo ciondolo che portava al collo. Ben inspirò a fondo cercando di mantenere la calma.
- Toglilo - abbaiò.
- No! È stato così carino da farmi un regalo e sarebbe davvero scortese se non lo portassi - Sapeva che era vicinissimo a scoppiare, ma era decisa a non dargliela vinta, poteva tenergli testa una volta tanto, doveva.
- Bene - pronunciò a denti stretti, ma sapeva benissimo che non andava affatto bene. Nel silenzio che seguì l'unico rumore che si sentiva era quello di Ben che si sforzava di far tornare regolare il respiro. 
- Domani ti porto al mare - annunciò brusco ad un certo punto. Non era una domanda.
- Anzi, andiamo insieme al mare - si corresse con tono sarcastico. Aveva già voltato le spalle e stava per rientrare quando Lena parlò.
- Che presunzione dare per scontato che voglia venire con te al mare. Non me l'hai nemmeno chiesto - Stava tirando un po' troppo la corda per quella sera, se ne rendeva conto e si sarebbe aspettata dal suo parabatai una reazione completamente diversa da quella che ebbe. Sul viso del ragazzo si dipinse un'espressione beffarda, giocosa.
- Vuole farmi l'onore di venire domattina al mare insieme a me, Signorina Silverkey? - fece addirittura una piccola riverenza e Lena si fece scappare un sorriso sorpreso mentre era piegato e non poteva vederla.
- No - rispose poi smorfiosa quando lui si sollevò, alzò il mento cercando di darsi un tono. Lui rise di gusto, l'umore improvvisamente migliorato.
- Vengo a svegliarti io domattina. È più bello quando è presto - la informò ignorando la sua risposta.
- Vengo a svegliarti e poi ti porto al mare. E ti trascinerò per i capelli contro la tua volontà se non dovessi essere d'accordo... O se dovessi alzare gli occhi al cielo - disse enfatizzando le parole che poco prima aveva usato lei. Lena per tutta risposta si esibì in una vistosa alzata di occhi. Ben scese per la ventesima volta in quei pochi minuti i gradini davanti al portone dell'Istituto e si fermò davanti alla ragazza.
- Devi ringraziare che ho sonno e che sto morendo di freddo. Ma domani non ci sarà niente a salvarti, mia cara, piccola, saccente Alena. Ed io avrò tutto il mare a disposizione per affogarti per bene - disse stringendole il mento in una morsa gentile. Poi si girò ed entrò nell'Istituto, lasciando Lena imbambolata lì, con le gambe molli ed il viso che, nonostante il freddo, bruciava nei punti in cui l'aveva toccata.
 
Ben non aveva avuto il coraggio di svegliarla all'alba. In realtà aveva passato tutta la notte nella camera di Lena, sonnecchiando di tanto in tanto sulla poltrona troppo piccola affianco al suo letto. Quando le prime luci erano entrate dal vetro della finestra, sperava che si sarebbe svegliata da sola. Ma era una speranza vana, la conosceva bene, era una dormigliona patentata e, se nessuno si prendeva la briga di provare a svegliarla, poteva dormire anche tutto il giorno. La cosa peggiore era che Ben l'avrebbe anche lasciata fare, sarebbe rimasto lì a guardarla dormire per il resto della sua vita.
Solo un tentativo, si disse, se non si sveglia non la disturbo più. 
Si alzò dalla poltrona lentamente, era molto più scomoda di quanto ricordasse, si avvicinò al suo letto e la scosse senza alcun risultato. Fu quasi tentato di sdraiarsi vicino a lei. Solo cinque minuti. Non aveva chiuso occhio quasi tutta la notte, si sedette sul letto cercando di rilassarsi un po'.
Avevano dormito insieme moltissime volte da bambini, quasi ogni notte Lena sgattaiolava dalla sua camera ed andava in quella di Ben, quando era arrivata all'Istituto i suoi sonni erano sempre inquieti, infestati da demoni e fantasmi del passato. Poi Lena era cresciuta e per qualche strano motivo non stava più bene che dormissero nello stesso letto. Da un po' i suoi sonni erano più tranquilli, ma c'erano notti in cui la sentiva ancora urlare in preda a chissà quali incubi, quelle notti Ben entrava nella sua stanza e si sedeva su quella stessa poltrona. Di solito bastava questo a calmarla, ma quando non smetteva, si concedeva di sedersi sul suo letto, le accarezzava i capelli, le faceva discorsi che non avrebbe mai fatto quand'era sveglia. Lena non si era mai accorta di tutto questo, aveva un sonno così pesante che avresti potuto forgiare una spada ai piedi del suo letto e non si sarebbe accorta di niente. 
La ragazza allungò nel sonno un braccio verso l'altra metà del letto, dov'era seduto Ben e strinse incoscientemente la sua mano tirandolo verso di lei. Il cacciatore non si azzardò a muoversi per paura che il suo pesantissimo sonno decidesse all'improvviso di non essere più tale. Quando alla fine provò a sottrarsi delicatamente dalla sua presa, dalla bocca di Lena uscì un verso di protesta. Ben approfittò del fatto che stesse dormendo per alzare lui stesso gli occhi al cielo, sorrise e la strinse tra le sue braccia aspettando che il sonno venisse a rapirlo. 
 
Com'era prevedibile non dormì neanche un secondo. Come avrebbe potuto? Il respiro di Lena, il profumo della sua pelle talmente vicina, talmente invitante, i suoi capelli ambrati sparsi sul cuscino, il battito del suo cuore contro il petto...
La mente di un uomo non è poi tanto diversa da quella di una donna... Quale mente? Quando è lì che dorme appoggiata a te, pelle contro pelle, ti stringe inconsciamente la mano nel sonno e bisbiglia il tuo nome tra un respiro e l'altro... Quale mente?
Ben rinunciò fin da subito all'idea di addormentarsi.
 
La luce trovò uno spiraglio tra le sue palpebre e vi ci si infilò dentro. Lena aprì gli occhi e prima ancora di vederlo, sentì il suo profumo. Era capitato molte volte negli ultimi tempi che Ben entrasse nella sua camera nel cuore della notte, Lena se ne accorgeva sempre la mattina quando sentiva il suo odore appiccicato ai cuscini. Lui non aveva mai accennato a questo fatto, probabilmente pensava di essere estremamente discreto, un agente segreto o qualcosa del genere e Lena pur accorgendosene ogni singola volta, decideva sempre di lasciarglielo credere.
Si mosse leggermente e lo sentì irrigidirsi, forse non voleva svegliarla.
- Sono sveglia - lo avvertì quindi. Quando non lo sentì rispondere si voltò nel letto, aggrovigliando le coperte per guardarlo in faccia.
- Che ci fai qui? - chiese disorientata con la voce impastata dal sonno.
- Che tu ci creda o no, mi hai costretto con la forza a raggiungerti sotto le coperte - La faccia scettica di Lena e lo sbadiglio che fece subito dopo erano già una risposta.
- Che ore sono? - chiese stropicciandosi gli occhi e passandosi una mano tra i capelli annodati.
- Sarà mezzogiorno - Lena strabuzzò gli occhi e si tirò sù a sedere.
- Ma non dovevi svegliarmi presto per andare al mare? - Ben emise un gorgoglio e si girò a pancia all'aria guardando il soffitto.
- Se qualcuno non dormisse come un ghiro probabilmente saremmo andati - rispose vagamente acido, omettendo volutamente il fatto che anche lui non si era sforzato più di tanto per svegliarla.
- Io non dormo come un ghiro! - si difese lei con un'espressione eccessivamente indignata. Ben si rigirò di nuovo per guardarla negli occhi, sul suo viso un odioso sorriso serafico. 
- Hai ragione, i ghiri non hanno al bavetta che gli esce dalla bocca - A quelle parole spalancò la bocca, poi la richiuse subito, per riaprirla di nuovo, stavolta fu Ben a richiuderla alzandole il mento con un dito tra una risata e l'altra. 
- Uffa però, io volevo andare al mare - protestò, era improvvisamente diventata una bambina capricciosa. Ben non poté fare a meno di sorridere alla sua espressione teneramente imbronciata. 
- Ci stai - disse come se fosse un'ovvietà che sfuggiva solo a lei.
- Guardati intorno. Non è forse il mare questo? - chiese allargando le braccia ad indicare tutta la stanza.
- Non ti sembrano onde? - Mosse le lenzuola intrecciate sul materasso e alzò gli occhi per guardare verso il viso di lei.
Sorrideva ed ora anche lui sorrideva. Vedeva il mare che c'era in quella stanza proprio come lo vedeva lui.
 
Quando vedi il mare in una stanza, c'è poco da fare, vuol dire che sei completamente, totalmente, irrimediabilmente, fottuto dall'amore.
 
Quando entrarono nella sala da pranzo, il mare gli riempiva ancora gli occhi, perciò non lo notarono subito. Poi le onde scivolarono piano verso la riva ed i due parabatai si guardarono intorno.
Al centro della stanza, seduto al massiccio tavolo di legno scuro, c'era l'Inquisitore in persona.
Lena e Ben si fissarono per un lungo momento. C'erano due possibilità: o erano diventati famosi tutto in una volta, o la faccenda dell'incendio del Golden-jug era più seria di quanto pensassero. Purtroppo sapevano entrambi che la seconda possibilità era decisamente la più probabile. 

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Capitolo 4
*** Di lavanda e farina ***



---> Passare da qui <---
Ave! Eccomi qui a postare questo quarto capitolo, c'è da dire che sarà centrato più che altro sul "mistero" introdotto fin dal secondo capitolo che, come ho già detto, farà da sfondo (uno sfondo piuttosto consistente XD) alla storia di Ben e Lena. Non credo ci sia molto altro da aggiungere, solo che da ora entra in scena un personaggio che conoscete già perché è presente in Shadowhunters. Appartiene a Cassandra Clare, a lei, a lei e solo a lei ed è (a mio parere) una delle cose più complicate e meglio riuscite di tutti i suoi libri, perciò potrei tranquillamente averlo "fuorviato" perché... beh, io non sono lei ahahahahahah
Magari se, nel corso dei capitoli, notate qualcosa che stona con la personalità che conoscete e lo trovate troppo OC ditemelo. Giuro che leggo volentieri anche una critica :)
Come al solito ringrazio immensamente principessac, spero che la storia continui a piacerti!

Akilendra













4. Di lavanda e farina

Dal tuo cuore
sale
il tuo aroma
come dalla terra
la luce fino alla cima del ciliegio:
sulla tua pelle io fermo
il tuo palpito
e odoro
l’onda di luce che ascende,
la frutta sommersa
nella sua fragranza,
la notte che respiri,
il sangue che esplora
la tua bellezza
fino a giungere al bacio
che mi attende
nella tua bocca.
(Pablo Neruda~Ode al tuo aroma)




- Oh Benjamin, Alena, venite a sedervi, cari. Dov'eravate finiti? - Eleanor aveva il viso tirato in un sorriso forzato mentre gli faceva cenno di accomodarsi intorno l'enorme tavolo al centro della sala.
- Al mare - rispose Ben.
- In camera - disse Lena nello stesso istante. Si guardarono un attimo negli occhi.
- In camera - si corresse un attimo dopo il suo parabatai.
- Al mare - disse la ragazza. Eleanor si era coperta il viso con le mani. l'Inquisitore sembrava confuso.
- C'era il mare in camera - sentenziò Ben. L'espressione sul viso della madre lo pregava di non dire un'altra parola.
Si sedettero entrambi in religioso silenzio, mortificati per l'assurda figura appena fatta. O meglio, Lena era mortificata, Ben, la solita faccia tosta, non lo era affatto, ovviamente, ma manteneva ancora quel briciolo di decenza che lo persuadeva a rimanere in silenzio.
I loro presentimenti si rivelarono giusti, era dell'incendio alla taverna che si stava parlando. L'inquisitore Marknight cominciò subito a riempirli di domande; a volte chiedeva la stessa tre o quattro volte, per vedere se le loro parole erano coerenti o se stavano inventando tutto. Ma le risposte dei due parabatai erano sempre le stesse: avevano visto davvero il Nephilim incappucciato, e pochi istanti dopo che erano usciti la taverna era andata a fuoco. Non si erano immaginati, né tantomeno inventati, proprio niente. L'Inquisitore sembrava pensieroso e, nonostante l'espressione imperturbabile del viso, le mani inguantate che sfregava continuamente fra loro ne rivelavano la tensione. Evidentemente gli credeva e la situazione preoccupava anche lui. Lena e Ben ringraziarono il cielo che non li avesse presi per due ragazzini impazziti: lei ci sarebbe rimasta molto male, e lui ci sarebbe rimasto molto male perché lei c'era rimasta molto male e allora avrebbe cercato di fare molto male all'inquisitore. Molto male. 
Per fortuna però sembrava stesse andando tutto per il verso giusto. Quando parlò però,le parole che uscirono dalla sua bocca non furono quelle che i due ragazzi si erano aspettati.
- Il vostro racconto è molto realistico e pieno di dettagli ben curati, ma... anche ipotizzando che stiate dicendo la verità, non avete uno straccio di prova, né indizi dai quali far partire ricerche, non avete un movente, non avete niente. E per muovere il Conclave, serve ben altro che niente. Non posso certo scomodare il Console per niente - disse in tono asciutto agitando una delle due mani inguantate.
A Lena sembrò di riuscire a sentire il calore delle fiamme che stavano avvolgendo Ben anche essendo dall'altro capo del tavolo. Eleanor schiuse le labbra finemente truccate per ribattere, ma sfortunatamente suo figlio fu più veloce.
- Uno: non è un racconto. E due: le prove che possiamo dare al Conclave sono la nostra parola - Il fuoco era già divampato. 
L'Inquisitore spostò con sufficienza lo sguardo verso il ragazzo e arricciò le labbra.
- E sai cosa se ne fa il Conclave della... vostra parola? - chiese retorico. Per Ben fu troppo. Lena giurò di vedergli uscire nuovolette di fumo dalle orecchie. Si alzò in piedi, la bocca aperta pronta a sputare fiamme, il dito proteso in avanti come un avvertimento. Prima che potesse carbonizzare l'Inquisitore Lena era già dietro di lui e lo trascinava fuori per un orecchio, ma non prima di essersi voltata e aver fatto un piccola reverenza.
Quando furono fuori dal portone dell'Istituto, a distanza di sicurezza, Lena allentò la presa e Ben si si divincolò. Girava in tondo con lo sguardo basso e le mani che armeggiavano senza trovare pace, il viso paonazzo bruciava di pura irritazione. Lena gli fu subito vicina, incurante di scottarsi gli sfiorò un braccio per cercare di calmarlo. 
Lena era acqua, fresca e limpida, era acqua che sarebbe riuscita a spegnere il fuoco che c'era in Ben. Ci sarebbe riuscita, ma non l'avrebbe fatto, non l'avrebbe spento, avrebbe sempre vegliato su di lui, temprandolo affinché non si bruciasse mai.

- È proprio un pallone gonfiato! Ma cosa crede? Per l'Angelo, ci ha trattato come due ragazzini che non sapevano quello che stavano dicendo! -
- Lo so Ben, c'ero anch'io mentre diceva che la nostra parola non vale niente - Lo vide tendersi come una corda di violino al ricordo di qualche attimo prima e prese un grande respiro per prepararsi a cosa sarebbe successo nei prossimi secondi.
- Ma ha ragione - disse mentre buttava fuori l'aria. Com'era prevedibile Ben ci rimase di sasso. 
- Davvero gli dai ragione? - chiese atterrito, non aveva neanche più la forza di arrabbiarsi, improvvisamente aveva smesso anche di girare in tondo e di torturarsi le mani.
- Non abbiamo prove, non abbiamo neanche una pista da cui partire... - Lui la guardava afflitto, turbato.
- Ecco perché dobbiamo subito iniziare a cercare! - disse inaspettatamente Lena rompendo il silenzio.
- Sì... Ma cosa? - Ben sembrava cadere dalle nuvole.
- Una pista da cui partire, ecco cosa. Dobbiamo trovarla e alla svelta... - Gli occhi del ragazzo si illuminarono.
- Ti è appena venuta in mente un'idea - disse Lena notandolo e non era una domanda. Ben per tutta risposta la trascinò via.
Da quando avevano cominciato a camminare non aveva spiccicato parola, metteva un passo dietro l'altro svelto senza un attimo d'esitazione e per tutte le volte che Lena gli aveva chiesto dove stessero andando, lui aveva risposto una sola volta. Da un amico, aveva detto. Lena cominciava ad essere infastidita da questo suo fare enigmatico, sarebbe andata anche all'inferno insieme a Ben, ma gradiva essere avvertita in anticipo. Il tempo di portarsi dietro almeno una sciarpa....all'inferno fa freddo*.

Quando si fermò di botto per poco non sbatté la faccia contro la sua schiena. Saliti i tre gradini che portavano ad un'imponente porta color lavanda, Ben sbatacchiò uno dei due maniglioni verde acido.
- Scelta particolare di colori - notò Lena.
- Daltonismo - la corresse Ben.
- Davvero? - si voltò verso di lui interdetta. Ben sorrise e a Lena sembrò proprio uno di quei sorrisi con cui era solito prendersi gioco di lei.
- Diciamo che è un tipo stravagante -.
Qualche secondo dopo la porta si chiuse di qualche centimetro, quanto bastava perché un paio di occhi dalla pupilla felina si accertassero di chi avesse bussato. Ben e la figura dagli occhi di gatto si fissarono per un attimo, uno solo e poi la porta si richiuse di botto, ma non prima che il ragazzo avesse potuto infilare dentro il piccolo spiraglio la punta di un piede.
- Oh, ma che scortese che sei, Magnus, non mi inviti ad entrare? - Il Nephilim fece forza con il piede e quando la porta si spalancò, lui entrò baldanzoso. Lena subito dietro era la sua ombra.
La casa nella quale avevano appena messo piede era a dir poco immensa e, a primo sguardo, più simile ad un loft. Gli spazi ampi erano arredati con mobili ed oggetti eccentrici e sfarzosi. Qua e là si notavano piccoli punti di luce brillanti, come se qualcuno avesse fatto esplodere un gigantesco barattolo di porporina.
- Vedo che ti sei sistemato bene, vecchia strega gay - disse Ben sbragandosi su un divano blu elettrico come fosse a casa sua e, chissà perché, nel suo tono Lena non ci trovò alcunché di offensivo.
- Bisessuale - lo corresse l'uomo. Aveva i lineamenti del viso vagamente orientali, i capelli corvini erano ritti e coperti di gel glitterato e Lena prese seriamente in considerazione l'ipotesi dell'esplosione del barattolo di brillantini. Il contorno degli occhi era delineato dalla matita nera ed al centro di questi la pupilla allungata spiccava nell'iride verde. 
- Quindi vecchia e strega ti stanno bene? - Lo stregone liquidò le parole di Ben con un gesto della mano simile a quando scacci una mosca fastidiosa.
- Dimmi, Benjamin Fairway, a cosa devo la tua arrogante e invadente presenza? - chiese guardando il ragazzo, l'espressione candida dietro la quale nascondeva una pungente ironia. C'era un che di affettuosamente canzonatorio nel modo in cui si davano addosso che portò Lena a pensare che infondo dovessero conoscersi bene. Le scappò un sorriso.
- Ho bisogno del tuo aiuto - ammise il ragazzo senza una punta di imbarazzo.
- Pff...ovviamente - sbuffò lo stregone. 
O per meglio dire della tua preziosa saggezza, lungimiranza, ammirevole destrezza... - Mentre Ben srotolava un papiro di complimenti per compiacere Magnus, Lena aveva adocchiato un adorabile gattino che le gironzolava vicino le gambe. Dato che quei due non le prestavano troppa attenzione e che da quando era entrata il padrone di casa non le aveva neanche rivolto la parola, si sentì automaticamente autorizzata a non seguire i loro discorsi. Si abbassò verso la piccola palletta di pelo e cominciò ad accarezzarla dietro le orecchie. Il gatto le si strusciò addosso e miagolò rumorosamente mostrandole il suo apprezzamento per quelle carezze. Improvvisamente smisero di ignorarla.
- Vedo che la Nephilim che hai portato con te piace al mio gatto. Se piace al mio gatto, piace anche a me - La guardò per la prima volta e Lena, sentendosi osservata, alzò il viso per far incrociare i suoi occhi con quelli dello stregone. Sotto il suo sguardo fu colta all'istante dalla sensazione di avere qualcosa che non andava.
- È questo il tuo piano B? Se non mi convinci tu, ci pensa lei con quegli occhioni blu? È per questo che l'hai portata? - Lo stregone si voltò verso Ben.
- Sei scorretto, Benjamin. Lo sai che ho un debole per gli occhi blu - protestò, ma l'ombra di un sorriso gli aleggiava sul viso. Anche il cacciatore stava sorridendo e Lena avvertì di nuovo quella complicità particolare dalla quale si sentiva esclusa. Perché Ben non aveva ribattuto?
- No, mi ha portato perché sono una brava cacciatrice - rispose a tono leggermente stanca del fatto che nessuno dei due sembrava volerla coinvolgere nella conversazione. Si limitavano a lanciarsi frecciatine che non solo non capiva, ma che la irritavano anche a morte. Ed ora cosa c'entravano i suoi occhi? Per l'Angelo, era una cacciatrice!
Lo stregone si girò a guardarla con un'aria divertita.
- Non hai mai sentito dire che la qualità più attraente in una persona è la modestia?** - chiese con un sorriso furbo. Lena alzò un sopracciglio.
- La modestia e il vanto sono entrambi figli della menzogna - replicò decisa smettendo di accarezzare il gatto ed alzandosi. Si ricordò di quante volte suo padre aveva pronunciato quella frase e per un attimo il ricordo fu così opprimente che minacciò di soffocarla, ma lo scacciò via in fretta come aveva imparato a far in quegli anni: tenersi lontani dal passato era un primo passo per affrontare serenamente il presente e magari sperare in un futuro.
Magnus si voltò di nuovo verso il cacciatore distogliendola dai suoi pensieri contorti. Questo suo modo di chiedere chissà quale conferma a Ben ogni volta che lei diceva qualcosa, iniziava ad irritarla profondamente.
- Alena è la mia parabatai - disse il ragazzo, come se questo potesse spiegare tutto. Effettivamente fu un po' come se quella frase avesse aperto nella testa di Magnus molte porte e per Lena fu istintivo chiedersi se Ben avesse mai parlato a quell'uomo di lei.
- Oh, spero perdonerai la mia villania, non mi sono neanche presentato - si scusò lo stregone avvicinandoglisi e prendendole una mano tra le sue.
- Magnus Bane, Sommo stregone di... Qualsiasi città in cui mi trovo - soffiò sulle sue dita senza mai spezzare il contatto tra i loro occhi.
- Lena - Trovava questo scambio di convenevoli in ritardo del tutto inutile, ma si astenne dal farlo notare. 
Magnus a pochi centimetri da lei chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
- Hai un buon odore - mormorò fra sé. Lena non aveva ebbe neanche il tempo di rendersi conto di quanto fosse fuori luogo quell'osservazione, che, con un tanto secco quanto finto colpo di tosse, Ben mise fine alla scena imbarazzante.
- Smettila di annusarla come un segugio, Magnus - abbaiò. Questo non lo degnò di uno sguardo, sembrò quasi non accorgersi che il cacciatore avesse parlato o che fosse in quella stessa stanza.
- Dimmi, mia dolce Lena, hai anche un cognome? - Lena davvero non coglieva l'utilità di tutto ciò. Non glielo aveva detto perché non lo riteneva importante, l'aveva considerata una presentazione informale a differenza sua che aveva srotolato un papiro di presentazione. Che poi, cosa poteva mai dire un cognome di una persona? 
- Silverkey - Il modo in cui la guardò la mise, ancora una volta, tremendamente a disagio. Evidentemente il suo cognome aveva detto molte cose a Magnus.
- Alena, potresti illuminarmi sul motivo per il quale siete venuti a farmi visita? - Anche se la domanda era la stessa, il tono era molto più gentile di quello che aveva riservato poco prima al suo parabatai e, per qualche ragione, non le sfuggì il fatto che l'avesse chiamata Alena.
- Si tratta dell'incendio del Golden-jug. Lei ne sa qualcosa, signor Bane? - Lui sbuffò una risatina.
- Dammi del tu, zuccherino - Poi si fece più serio - Potrebbero essermi arrivate certe voci... - disse con noncuranza.
- E ti sei già fatto un'idea al riguardo? - si intromise Ben. Magnus fece finta che non avesse parlato e si rivolse a Lena.
- Devi sapere che non amo immischiarmi in certe faccende, perciò... - lo interruppe prima che potesse finire
- Le saremmo... Ti saremmo infinitamente grati se ci avvertissi casomai ti venisse in mente qualcosa, o magari se cambiassi idea... - Magnus sembrò un attimo pensieroso.
- E sentiamo, cosa ci guadagno ad aiutarvi?- Lena si fece piccola piccola. Non aveva idea che volesse qualcosa in cambio, Ben aveva detto che era suo amico...
- Infinita gratitudine - Sorrise incerta. Lo stregone scoppiò a ridere. Aveva una risata cristallina.
- Mi stai offrendo la tua gratitudine? - chiese scettico. La cacciatrice si rese conto che era ben poca cosa.
- La mia e quella di Ben - cercò di ironizzare.
- Vorrà dire che mi accontenterò della tua - sorrise guadagnandosi una smorfia da parte del cacciatore.
- Quindi ci aiuterai? -.
- Se per caso dovesse passarmi sotto al naso qualcosa... - Stavolta fu Lena a sorridere. Magnus continuò a guardarla negli occhi finché non furono fuori da casa sua.

- Ha gli occhi appiccicosi quella vecchia strega gay - sbuffò Ben.
- Bisessuale - lo corresse Lena ridendo.
- Fa lo stesso, si mette i brillantini in testa...è gay! - Lena rise più forte ma non ribatté stavolta. 
Le piaceva quando Ben le mostrava quel lato di sé, quando era protettivo e geloso nei suoi confronti. Non poteva farci niente, era più forte di lei, cercava di minimizzare, ma le piaceva da impazzire quando si comportava così. Quel suo sguardo torvo e i capelli meravigliosamente spettinati sulla fronte poi, non aiutavano di certo. Lena avrebbe voluto tanto fargli una foto in quel momento, ma si rendeva conto che era una cosa piuttosto mondana.
- Che si fa ora? - chiese imponendosi di mettere in moto il cervello.
- Siamo appena usciti da casa di Magnus Bane a mani vuote, Lena, non so da chi altro potremmo andare -.
- Beh...ci sarebbe sempre... - Intuendo al volo cosa stesse per dire, non le diede neanche il tempo di finire.
- No - Scosse vigorosamente la testa - Corinne no! - Lena si morse le labbra per trattenere un sorriso alla faccia snervata di Ben.
- Oh, Corinne sì! - era sempre più difficile non ridere. Ben si difese allontanandosi di un passo da lei.
- Stavolta non riuscirai a convincermi -.

Ed invece ci riuscì.
Corinne era sempre la stessa: la regina dei pettegolezzi del Mondo Invisibile, e tutti quegli anni di segreti, impicci e imbrogli non l'avevano neanche lontanamente scalfita. Era strano come una mondana godesse di tanta stima da parte dei Nascosti, ma infondo lei era la persona che aveva la Vista più potente che Lena avesse mai incontrato.
- Benji, tesoro, sono contenta di vederti - disse aprendo la porta. La voce era vellutata, la scollatura strategicamente profonda... già, sempre la solita Corinne. Nel farlo entrare non perse l'occasione di strusciarglisi contro. Lena provava uno strano senso di repulsione per quella donna, eppure non si era pentita di aver trascinato Ben da lei. Certo non lo avrebbe mai mandato da solo, ma c'era lei e dovevano tentare: se c'era qualcosa da sapere sull'incendio alla taverna, Corinne lo sapeva.
Quando il ragazzo le ebbe spiegato la situazione, farcendo qua e là il racconto con qualche complimento e qualche sguardo languido che a Lena non sfuggì affatto, il viso di Corinne divenne una maschera di cera. La donna inspirò una boccata lunga dalla sigaretta che aveva tra le labbra pitturate a dovere.
- Passa domani mattina - capitolò sputandogli il fumo in faccia e passandogli la sigaretta.
- Magari senza di lei - ammiccò facendo un cenno della testa verso Lena. La cacciatrice stava per aprire bocca e darle una bella lezione, ma Ben fu più veloce.
- Non vado da nessuna parte senza Alena - Fu certamente più efficace di qualsiasi cosa avrebbe potuto dire lei. Fece un tiro e restituì la sigaretta a Corinne. Lena compiaciuta non perse l'occasione per fissarla con la faccia tosta di chi sapeva di aver vinto.
Uno a zero per me.

Fu un sollievo uscire da quella casa, ogni volta che c'era stata Lena aveva avvertito sempre lo stesso fastidioso senso di oppressione: il fumo che ti si appiccicava addosso e poi quell'odore di alcol e profumo troppo forte le faceva venire il mal di testa. Lena non usava mai i profumi.
Ben riempì i polmoni d'aria appena fuori fu di nuovo in strada, non riusciva a capire come una donna potesse rovinare il profumo della sua pelle spruzzandosi quella roba addosso. Faceva tutto fuorché profumare, la maggior parte delle volte quegli odori erano carichi ed eccessivi, cozzavano con la naturale essenza che ogni persona aveva.
Gli ritornò in mente quello che aveva detto poco prima lo stregone sull'odore di Lena e si ritrovò a concordare con lui. Era sicuro che la sua parabatai non mettesse mai profumi, la sua pelle non era mai contaminata da niente, il suo odore era suo e basta. 
Ed era strano come profumasse costantemente di lavanda e farina. Ben lo trovava adorabile, chissà che non coltivasse segretamente dei fiori in camera sua, o che non sfornasse pane ogni mattina. Lavanda e farina. I ricordi di quel pomeriggio nella sala di addestramento si fecero strada prepotenti nella testa di Ben spazzando via ogni altro pensiero. Se chiudeva gli occhi riusciva ancora ad immaginare chiaramente la forza di quel profumo, quasi che avesse ancora il viso affondato nel suo collo.
- Mi stai ascoltando? - Lena aveva un'espressione leggermente irritata, le guance arrossate dal freddo le davano un'aria da bambina. Quando era arrivata era inverno e aveva le guance arrossate allo stesso modo mentre varcava la soglia del portone in ferro battuto dell'Istituto. Ben lo ricordava come fosse stato ieri.
Sbuffò, arrabbiata, ma neanche troppo, all'espressione sognante del suo parabatai. Chissà a cosa stava pensando, aveva la testa fra le nuvole da quando erano andati via dalla casa di quell'orribile donna.
- Pensi a Corinne? - chiese senza rifletterci troppo. Subito dopo si maledisse per l'impertinenza da ragazzina con cui l'aveva detto e cercò di assumere un'aria indifferente, anche se, in lei, di indifferente nei confronti di Ben non c'era proprio niente.
Il ragazzo sembrò spiazzato dalla sua domanda, la fissò per un momento con gli occhi sgranati, poi scoppiò a ridere.
- No che non penso a Corinne - Gli sfuggì un sorriso di tenerezza all'espressione scettica della ragazza e non riuscì a trattenersi dallo sfiorarle con le dita una guancia. Era così vicino che riusciva a vedere le pagliuzze azzurre nei suoi occhi blu, così vicino che sentiva dolce e familiare la lavanda e la farina, il profumo di Lena.
- Mi piace il tuo profumo - disse senza pensarci.
- Non porto profumi -.
- Lo so - Certo che lo sapeva.
- E allora di cosa vuoi che profumi? - Ben sorrise, un sorriso leggero ed impalpabile quanto una nuvola.
- Di lavanda e farina -.


Era stata una lunga giornata e Lena era stanca morta, sarebbe andata subito a letto se solo non avesse sentito quei rumori. No, non rumori: note. Appassionate e profonde. Sapeva qual era la canzone, sapeva chi la stava suonando.
Silenziosa entrò nella stanza della musica, si fermò sulla porta a guardarlo. Le mani di Ben erano lente mentre si muovevano delicate sui tasti del pianoforte. La melodia del brano era rallentata per la distrazione con cui la stava suonando, eppure era la stessa che gli aveva insegnato nove anni fa. Non avrebbe saputo dire quali pensieri gli affollassero la testa, ma dovevano essere pesanti, glielo leggeva in faccia, avrebbe tanto voluto dividerne il peso con lui. 
Ben come avvertendo la sua presenza, alzò di colpo lo sguardo.
C'erano volte in cui non serviva vederla per sentirla.
Rimase a fissarla senza dire una parola mentre le dita continuavano a muoversi da sole sui tasti bianchi e neri e Lena, vedendolo suonare senza guardare, pensò con un pizzico d'orgoglio che gli aveva insegnato proprio bene. Con passi lenti, senza disturbare la sua musica, lo raggiunse e gli si sedette accanto. Le sue dita scivolarono leggere affianco a quelle di lui, proprio come una volta. Ora, insieme, le note sembrano avere un suono migliore.
- Te la ricordi ancora - La sua voce era un soffio, un po' stupita, un po' lusingata.
- Sono passati nove anni - constatò, come a sottolineare che dava per scontato che l'avesse dimenticata.
- Ricordo tutto di questi nove anni - rispose Ben, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
- Da quando sei entrata da quel portone a quando pochi secondi fa ti sei seduta qui accanto - Ci fu una pausa, ma non di quelle strategiche che programmi per impressionare che ti sta ascoltando, la pausa di qualcuno che sta riavvolgendo il nastro dei ricordi.
- Ricordo la prima volta che ti ho vista allenarti e di come mi sia sentito un perfetto incapace. Sei stata un grande stimolo per migliorare, sai? Ricordo quando hai accettato di diventare la mia parabatai, quando mi hai insegnato a suonare il piano. Ricordo la prima volta che abbiamo suonato questa canzone seduti su questa panca, proprio come siamo ora. Le risate, le prime rune che ci siamo scambiati, gli scherzi alla zia Grace. Le lacrime, gli abbracci, i combattimenti... Ricordo tutto, come se non fosse passato neanche un giorno - E Lena, sopraffatta, non riuscì a trovare qualcosa che valesse la pena di essere aggiunto, Ben aveva appena detto tutto quello che c'era da dire. Il dito le scivolò sull'ultimo tasto bianco. Do. Sempre. Ben suonò il primo. La. Ovunque.

Quella mattina Lena si era svegliata di buonumore. Mentre lei e Ben camminavano per le strade di San Francisco non faceva che guardarsi intorno con uno sguardo acceso di un adorabile ottimismo infantile. Ben non aveva potuto fare a meno di sorridere quando aveva iniziato a fischiettare. Sì, era davvero di buonumore, persino il fatto che dovesse vedere quell'appiccicosa di Corinne non le pareva abbastanza per rovinare la bellissima giornata che era certa fosse appena iniziata.

Arrivati davanti sul giusto pianerottolo di quella palazzina in periferia, si ritrovarono davanti ad una porta socchiusa; fatto che portò Lena a pensare che evidentemente la donna doveva averli già visti arrivare dalla finestra. Dopo aver bussato per educazione — chiariamo: Lena aveva bussato — entrarono nell'appartamento cauti eppure pieni di speranza: finalmente avrebbero capito qualcosa in più su tutta quella storia.
Arrivata in salone Lena dovette ricredersi: era chiaro che quella che le era sembrata una splendida giornata, in realtà si sarebbe rivelata un inferno.
Nel salone, accasciato a terra sul tappeto verde scuro, c'era il corpo di Corinne.

Se ne stava scomposto, le palpebre socchiuse come se stesse dormendo. Ma non stava dormendo. Il lago di sangue intorno al suo corpo riflesse l'espressione attonita di Lena quando si avvicinò. Brandelli di pelle annerita penzolavano là dove ci sarebbe dovuta essere la bocca, quasi fosse stata strappata via, l'odore acre della carne bruciata impestava l'aria. Lena dovette fare appello a tutte le sue forze per non vomitare lì, ai piedi del tappeto. 

Ben la raggiunse di corsa e, dopo un primo sguardo in giro si inginocchiò ai piedi del cadavere. Chissà perché in questi casi si sente il bisogno di toccare. È come se la morte non potesse sembrarci tangibile prima di averla toccata con mano.
Ben toccò la morte, le mani imbrattate di sangue mentre scuoteva quel corpo cercando... Cosa? Un segno di vita? Quale vita? Non c'era più vita. Era morta, anzi no, era stata ammazzata, c'era una sottile eppure fondamentale differenza.
Lena sembrava una statua di cera, immobile e frastornata non riusciva a fare altro che fissare qualcosa che, a Ben che era accucciato a terra, continuava a sfuggire. Si alzò, un'espressione intontita scolpita sul viso di marmo, quando si voltò nella stessa direzione della ragazza capì cosa stava guardando. Parole vermiglie erano state scritte sul vetro dello specchio antico fissato al muro. Rosse come solo il sangue sa essere.
Ora non parlerà più.





* : Boh, ogni tanto mi vengono 'ste frasi che mi ricordo di aver letto nel corso della saga. Questa in particolare mi pare la dica Tessa ne L'Angelo dopo che Will la salva.

**: Questa invece è una frase che Clary dice a Jace in Città di Ossa




P.S. GROSSO COME UNA CASA, NON FATEVI INGANNARE DAL FATTO CHE STA IN FONDO, LEGGETELO PER FAVORE: Okay, ora che ho la vostra attenzione, volevo solo dirvi che le battute di Ben sugli omosessuali sono, appunto, solo battute che fa scherzosamente su Magnus che è (per come l'ho immaginata io) suo amico. Non ho assolutamente niente contro nessuno. Pace e amore, se a qualcuno dovesse comunque dare fastidio, non si facesse scrupoli a farmelo sapere :)

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Capitolo 5
*** Una linea sottile ***


Stavolta vi lascio leggere in santa pace, ma non vi libererete così facilmente di me: vi aspetto in fondo! ;)






5. Una linea sottile 

C'è una linea sottile fra tacere e subire
Cosa pensi di fare?
Da che parte vuoi stare?
(Ligabue~La linea sottile)




Ora non parlerà più. Non parlerà più. Non parlerà più.
Quelle parole non volevano lasciarla in pace, le rimbombavano in testa ad un ritmo che avrebbe fatto fatica a sostenere ancora a lungo. Non era riuscita ad addormentarsi, c'erano sempre quelle lettere di sangue in agguato che le rendevano impossibile chiudere gli occhi. Poi, nel bel mezzo della notte, come sentendo il richiamo di un sonno che tanto non sarebbe arrivato, Ben era entrato in camera sua, si era seduto sul suo letto e aveva cominciato a parlare d'altro, qualsiasi cosa pur di distrarla e distrarsi.
- Che parola? - Era un gioco che facevano da bambini. Lena guardò fuori dalla finestra, c'era brutto tempo.
- Tempo - Ben annuì pensandoci un momento.
- Dum loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero - Versi di Orazio. Lena li conosceva, li avevano studiati insieme. Parliamo e fugge il tempo geloso: cogli l'attimo, non pensare a domani... Il fanatismo dei Nephilim per il latino ed il greco e l'infinita vanità di Ben per sapere quelle lingue morte meglio di chiunque altro.
- Ma io intendevo il tempo meteorologico - Ben la liquidò con un gesto della mano e scelse la sua parola.
- Piacere - La ragazza sorrise lievemente, non ebbe alcun dubbio.
- Spiacere è il mio piacere, amo essere odiato - Anche Ben non avrebbe dovuto avere dubbi, infondo Cirano de Bergerac era una delle sue opere preferite, sapeva praticamente tutto il libro a memoria e quella era una frase che citava spesso.
Più difficile, doveva fargliela più difficile la prossima volta.
- Pace - disse Lena. Avrebbe tanto voluto un po' di pace per riuscire a dormire. Ben nel frattempo stava cercando dentro quella sua testa incasinata una qualsiasi citazione che contenesse quella parola, ma senza troppo successo.
- Già ti arrendi, Benjamin? -.
- E mentre io guardo la tua pace, dorme, quello spirto guerrier ch’entro mi rugge - Lo sguardo di Lena era interrogativo.
- È di Foscolo - Ma non sembrava convinta - Cos'è, vuoi controllare? - la ragazza alzò le mani.
- Mi fido, mi fido - No, avrebbe controllato più tardi.
- Tocca a me. Ora te ne faccio una difficile! -.
- Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, ma è perché non osiamo che sono difficili -.
- Seneca. Bella, ma dovevi dirla in latino - Lena guardò in alto esasperata - Comunque non era quella la parola. E non alzare gli occhi al cielo, Alena - in tutta risposta li alzò di nuovo. Ben assottigliò gli occhi con aria di sfida. Lei rise forte.
Quando rideva...Dio, quando rideva! Era così bella, sembrava si accendesse di una luce completamente nuova, era davvero affascinante per Ben guardarla accendersi. E poi quel modo adorabile in cui tremava tutta, si contorceva su se stessa peggio di una contorsionista quando rideva, le tremavano persino le labbra.
Anche adesso, il labbro inferiore, tremava di una risata silenziosa. Quanto avrebbe voluto che quella bocca si poggiasse sulla sua, una volta, una sola, un solo... 
- Bacio - disse prima di poterci pensare. All'improvviso Lena si era resa conto di quanto fossero vicini. Poco vicini, rispetto a quanto avrebbe voluto: troppo vicini, rispetto a quanto avrebbero dovuto. 
- Bacio? - chiese deglutendo invano: niente da fare, la bocca era secca, prosciugata. Forse avrebbe dovuto unirla a quella di lui, la sua non sembrava affatto secca. Cavolo, ma cosa andava a pensare?
- Bacio - confermò il ragazzo, stava diventando un gioco pericoloso e sapeva perfettamente che avrebbe dovuto allontanarsi, che avrebbe dovuto tornarsene in camera sua prima che fosse troppo tardi per farlo, solo che non ci riusciva.
Com'era debole. Lena lo rendeva debole.
- Avevi detto che me ne facevi una difficile - Era palese come stesse cercando di sviare l'attenzione su un altro discorso, stava spudoratamente cercando di aggirare il problema.
Com'era debole. Ben la rendeva debole.
- Infatti lo è. È molto difficile - Oh Ben, non sai neanche quanto lo è.
Il suo caro e vecchio amico Cyrano le venne ancora una volta in aiuto, nella sua mente aveva un sorriso sornione dipinto sul viso, come a prendersi gioco di lei e di quel suo patetico cuore che batteva nel petto peggio di un tamburo.
- Ma poi che cosa è un bacio? Un giuramento fatto un poco più da presso, un più preciso patto, una confessione che sigillar si vuole, un apostrofo rosa messo tra le parole... - e non ce la fece a continuare. Nella sua mente gli avvenimenti di qualche settimana prima si ripetevano come una fatale profezia.
Sarebbe successo di nuovo, come quel pomeriggio nella sala degli addestramenti, solo che stavolta non si sarebbero fermati. Stavolta avrebbero avuto sul serio qualcosa per cui sentirsi in colpa. Poi sarebbero ignorati, avrebbero smesso per un po' di parlarsi facendo finta che non fosse successo niente e si sarebbero fatti male, terribilmente male, si sarebbero graffiati e morsi senza rendersene conto, si sarebbero pugnalati nel petto. Ogni parola non detta un colpo al cuore.
Non poteva permetterlo, non era quello che voleva per lei e Ben, non era quello per cui si costringeva ogni giorno a reprimere i suoi sentimenti. Fu veloce a scostarsi, veloce a mettere quanta più distanza potesse tra i loro visi. Anche Ben fu veloce, in un attimo si era alzato dal letto farfugliando delle ridicole scuse.
Erano immobili, si fissavano, in silenzio. Poi Ben parlò.
- ...Ti amo - e il cuore di Lena si fermò.
- Ma poi che cosa è un bacio? Un giuramento fatto un poco più da presso, un più preciso patto, una confessione che sigillar si vuole, un apostrofo rosa messo tra le parole...ti amo - Era "t'amo" e per un attimo lo spirito perfezionista di Lena fu tentato di correggerlo, ma si rendeva conto che non era certo quello il momento adatto.
Poi Ben si chiuse dietro le spalle la porta e Lena sentì il rumore dei suoi passi sul parquet nel silenzio che avvolgeva ogni cosa. Quando anche la porta della sua camera si fu chiusa, il suo cuore si permise di ricominciare a battere.

Riusciva a vedere chiaramente la linea li che separava dai vecchi tempi, quella che gli faceva notare che qualcosa era cambiato. Avevano taciuto per molto tempo, ripetendosi che certe cose non sarebbero mai cambiate, facendo finta che non ci fosse, ma c'era ed era una linea sottile.
C'era una linea sottile fra tacere e subite. Lena non aveva intenzione di oltrepassarla.

Si era ripromessa che ne avrebbero parlato stavolta, che lo avrebbe preso da parte in una qualsiasi parte del giorno e avrebbe vuotato il sacco, avrebbe scaricato un po' del peso che sentiva sul cuore sulle sue spalle. Lo avrebbero portato insieme.
Non era egoista, era così tra di loro, era quello che facevano in continuazione: si guardavano le spalle a vicenda, si proteggevano, si facevano carico l'uno delle preoccupazioni dell'altra, lo avevano fatto tante volte. E allora perché stavolta le sembrava così diverso?
Forse perché era diverso. Come poteva scaricargli addosso un dolore che era lui stesso a procurarle?
Non poteva. Ma non potevano neanche continuare così, il pensiero che qualcosa fosse cambiato fra loro era terribile. Quell'incertezza, quell'imbarazzo che li coglieva quando si guardavano troppo a lungo... non c'era mai stato. La pelle di Ben era sempre stata calda e mai Lena aveva sentito quei brividi quando lo sfiorava per tracciargli le rune. Avevano sempre parlato di tutto, non c'erano mai stati segreti tra di loro. Questa volta invece non riuscivano a parlarne e a non farlo Lena si sentiva consumarsi piano ogni giorno come una candela vicino ad una fiamma.

Quando finalmente si era convinta, armata di coraggio, a fare il primo passo, proprio quel giorno, Ben la sorprese.
- Vieni. Devo parlarti - disse appena si alzò dal tavolo da pranzo. Bene, le avrebbe risparmiato l'imbarazzo di parlare per prima. Sembrava teso, forse doveva aiutarlo. Sì, doveva. Era questo che facevano loro due: si aiutavano a vicenda.
Forza, Lena, puoi farcela.
- So quello che vuoi dirmi. Volevo parlartene anch'io ma non riuscivo a decidermi a farlo e...- Ben la interruppe, sul viso un'espressione sorpresa che sorprese anche lei.
- Sai già dell'incendio al covo dei licantropi a Mission District? - Era confuso. Anche Lena era confusa, terribilmente confusa.
- No. Io...Oh...- Improvvisamente sembrava non essere più in grado di parlare.
Era davvero una persona spregevole. Mentre là fuori c'era un cacciatore fuori di testa che dava fuoco a mezzo Mondo Invisibile, lei pensava a se stessa e ai suoi stupidi sentimenti da adolescente mondana.
- Lena, cosa c'è? - C'è che sono una pessima Nephilim, Ben. Mio padre e mia madre si vergognerebbero di me.
- No, niente... Pensi sia stato lo stesso del Golden-jug? -.
- Sono praticamente sicuro. Quanti incendi credi ci siano nel Mondo invisibile? - Non se ne ricordava ce ne fosse mai stato neanche uno e questa convinzione ridestò l'ombra di un antico ricordo, il fantasma di un incubo che credeva di riuscire a mantenere assopito per sempre.
- Dovremmo andare a controllare sul posto, Ben - C'erano alcuni dubbi che doveva togliersi.
- Era esattamente quello che stavo pensando -.

Quello che solo un paio di giorni prima era stato il covo del più grande branco di licantropi di San Francisco, ora davanti agli occhi di Ben e Lena era solo cenere.
- Fuoco magico - dissero all'unisono. Nessun normale fuoco sarebbe stato tanto potente e distruttivo.
- Quindi abbiamo a che fare non solo con un cacciatore, ma anche con uno stregone... - Lena non rispose, era distratta, guardava altrove. I polpastrelli sfioravano leggeri le ceneri mentre la testa era chissà dove, in posti in cui Ben non l'avrebbe mai potuta raggiungere. Lena era tornata dieci anni indietro.

Una bambina chinata a terra sfiora la cenere. Il vento feroce della Bulgaria le scompiglia i capelli ambrati e lei lo lascia fare. Quelle ceneri un tempo sono state la sua casa, quelle ceneri sono state i suoi genitori, la sua vita che tutt'un tratto non c'è più. Spazzata via dal vento come quella stessa cenere.
Dovrebbe piangere, è così che si fa. È orfana, senza una casa, sola al mondo. Eppure dagli occhi blu cobalto non esce una lacrima.

- Oppure con un demone - disse di getto riemergendo dal ricordo, poi si spiegò meglio.
- Abbiamo a che fare con un cacciatore che ha come amico uno stregone, oppure un demone -
- Spero per noi che si tratti di uno stregone - disse il suo parabatai.
- Io spero per lui che si tratti di uno stregone - Sul viso l'espressione più determinata che Ben avesse mai visto.
Si allontanò decisa, il ragazzo subito dietro di lei. Gli sguardi dei superstiti del branco, indagatori e diffidenti, erano inchiodati alle loro schiene. Una ragazza dai lineamenti gentili li fissava con più ostinazione degli altri e Lena non poté trattenersi dal fissarla a sua volta mentre se ne andava.

- Dove stai andando? - le chiese Ben quando l'ebbe raggiunta. Lena era schizzata in avanti con passi veloci appena si erano allontanati dal covo dei licantropi.
- Al Golden-jug. Dobbiamo essere sicuri che ad appiccare il fuoco sia stata la stessa persona - O la stessa cosa.

Le ceneri che rimanevano della taverna erano ancora spaventose circondate dal niente che popolava il quartiere. Più spoglio, più vuoto del solito. Non un'ombra girava per le strade sudicie, non un ubriacone barcollava cantando canzoni sconce. Un surreale silenzio inglobava ogni cosa, come se l'incendio avesse prosciugato ogni forma di vita nel raggio di chilometri.
Ecco perché quando vennero sorpresi da quel rumore i due Nephilim lo sentirono nitido e chiaro.
Si guardarono un attimo negli occhi e non servì parlare. L'hai sentito anche tu?
La conferma alle loro domande silenziose non tardò molto ad arrivare.
Spuntavano ovunque. Erano ragni: tanti, neri, giganti. Erano demoni.
Lena e Ben imprecarono all'unisono e sguainarono le loro lame angeliche. Spalle contro spalle aspettarono che i demoni Kuri si facessero sotto. Tre o quattro li raggiunsero in fretta, le lunghe zanne spuntavano minacciose dalle orbite mentre scuotevano i loro otto arti muniti di tenaglie. Lena fu veloce a tranciargliene uno. La creatura emise un verso stridulo e rantolò nella sua direzione, le tenaglie aspettavano solo di stritolare la carne della ragazza, si aprivano e chiudevano ritmicamente creando una musica macabra. Lena pose fine al concerto affondando la sua spada nel ventre del demone.
Nel frattempo Ben sembrava cavarsela abbastanza bene con altri due. Visto che si trovava libera e il demone più vicino era a distanza di sicurezza, Lena mulinò la sua lama nella direzione di uno di quei due, tranciando un paio di zampe per aiutare il suo parabatai.
Fu una pessima mossa. Non aveva calcolato che quella che lei considerava "distanza di sicurezza", non erano che due passi per quei ragni giganti e per le loro otto pelose e artigliate zampe. Un demone la colse alle spalle ed affondò le zanne nel suo braccio. La travolse un dolore indicibile e le scappò un urlo.
Ben sentì il braccio destro formicolare. Ci mise un attimo a capire che quello ad essere stato colpito non era il suo braccio, ma era comunque suo. Si liberò dei due ragni che aveva davanti, un secondo dopo era al fianco di Lena e l'aiutava a tenere a bada le due creature che si erano avvicinate. In pochi secondi dei demoni Kuri non rimaneva che la cenere a terra che si mescolava con i resti dell'incendio appiccato alla locanda.
Si guardarono a vicenda, ognuno dei due accertandosi delle condizioni del proprio parabatai. Ben sfiorò il braccio di Lena, poco vicino alla ferita inflitta dalle zanne di un demone, con una cura maniacale, delicato come un petalo di rosa per non farle male.
- Avrei dovuto accorgermi prima di quel demone che ti stava arrivando alle spalle - si rimproverò contrito mentre sfilava lo stilo dalla cintura.
- Non è stata colpa tua, la stupida sono stata io. Dare le spalle ad un demone durante un combattimento...sto cominciando a perdere colpi. Forse dovresti trovarti un parabatai migliore... -.
- Non dire ca...-.
- Ah ah ah ah... non essere volgare, Benjamin - Con un sorriso sulle labbra lo rimproverò, come fosse un bambino,scuotendo l'indice nella sua direzione.
- Sta' ferma con questo braccio e fatti fare un'iratze, stupida! - L'espressione sul viso di Ben era sempre più grave ed era strano dato che era sempre lui il primo pronto a farsi una risata. Lena al contrario era quella che all'occorrenza sapeva essere seria, quella che con un po' di sforzo riusciva ad essere diplomatica, quella che faceva del suo meglio per affrontare le situazioni con maturità. Quindi non riusciva a spiegarsi perché sentiva che da un momento all'altro sarebbe sbottata a ridere in faccia a Ben. Troppi pensieri forse, troppe emozioni represse. Lena non lo sapeva e neanche le importava, sentiva solo la testa troppo leggera e aveva una gran voglia di ridere.
- Lena... - Perché parlava con quel tono incerto? Perché la guardava in quel modo? 
Seguì il suo sguardo e si guardò il braccio. Intorno alle ferite lasciate dai denti del demone, la pelle cominciava a raggrinzirsi e a diventare violacea.
- Penso proprio che dovremo chiamare i Fratelli Silenti - Fu la constatazione preoccupata del ragazzo. Lui non stava ridendo.

- Ma cosa diavolo ha da ridere? - L'espressione sul viso di Nicholas era incerta mentre sentiva il resoconto del figlio. Anche Ben era serio, terribilmente serio mentre le raccontava di come non avesse fatto altro che ridere per tutto il tragitto di ritorno verso l'Istituto aggrappata a lui che cercava di trascinarsela dietro.
Lena avrebbe voluto baciarlo proprio in mezzo alle sopracciglia, dove la preoccupazione faceva formare un piccolo solco. Che poi, preoccupazione per cosa? Lei si sentiva benissimo, benissimissimo, benissimissimissimo. Non si era mai sentita meglio, quando glielo avevano chiesto lei aveva risposto "Ssspumeggiante!" e chissà perché nessuno oltre lei aveva riso. Al ricordo rise ancora.
- Stai ferma, cara - l'ammonì Grace mentre le sistemava il panno umido sulla fronte. Sì perché, le avevano anche detto che era calda, non si ricordava chi, ma qualcuno l'aveva detto. Probabilmente aveva la febbre ma, per l'Angelo, si sentiva benissimo.
- Io ancora non capisco perché devo starmene sdraiata qua come una malata - biascicò alzandosi dal divano su cui l'avevano praticamente costretta a stendersi.
- Forse perché sei malata? - chiese retorico Ben. Lena rise e barcollò leggermente.
- Io non sono malata, mi sento beniss...- Non fece in tempo a finire la frase che si ritrovò spalmata sul marmo del pavimento.

Gli occhi si aprirono da soli e contro la sua volontà. Lena infatti non aveva voglia di svegliarsi, sarebbe volentieri rimasta in quel piacevole ed ovattato stato di incoscienza. Incoscienza poi, fino ad un certo punto, dato che certe cose le sentiva benissimo. Ben, ad esempio, era una di quelle cose. La sua voce non aveva smesso neanche per un attimo di tenerle compagnia con discorsi dal senso compiuto discutibile. Aveva una voce profonda Ben, bassa e roca, era uno di quelli che quando urla fa paura. Per fortuna non urlava quasi mai, non contro Lena almeno.

La prima cosa che vide appena aprì gli occhi furono i due Fratelli Silenti che erano ai piedi del suo letto. Non erano esattamente la cosa più bella che poteva capitarti di vedere appena aprivi gli occhi. Le bocche cucite e gli occhi cavati non le facevano poi tanta impressione, non dopo che, nove anni prima, era per qualche tempo vissuta con loro. Scacciò quei ricordi in un angolino buio della mente, non aveva voglia di pensarci in quel momento, quei pensieri non facevano ridere e lei aveva una voglia matta di ridere. 
Riportò lo sguardo sulle due figure grigie ai piedi del suo letto, erano dritti e rigidi come due pali. Scoppiò a ridere.
- Siete proprio brutti - disse non riuscendo proprio a trattenersi. I due rimasero impassibili.
Solo perché non soddisfiamo i vostri canoni, non significa che non possediamo bellezza. È solo diversa dal modo troppo mondano a cui vi siete abituati a vederla.
Lena era pronta a scommettere che fosse quello di destra, stava parlando nella sua mente. Per forza, la sua bocca era cucita. Era una roba davvero figa, tipo romanzi fantasy, ma lei era una Shadowhunters, i romanzi fantasy impallidivano davanti alla sua vita piena di demoni, lupi mannari, vampiri e stregoni bisessuali. Scoppiò a ridere di nuovo.
Ad interrompere la sua risata fu uno strano grugnito. Abbassò lo sguardo. Ben dormiva raggomitolato sulla poltrona troppo piccola per lui accanto al suo letto, la bocca leggermente schiusa, russava in un modo adorabile.
Gli sorrise anche se era addormentato e non poteva vederla, gli sorrise perché le era mancato sentire la sua voce ma non vedere il suo viso mentre era addormentata. Quando alzò gli occhi i Fratelli Silenti li avevano lasciati soli. Quindi ce l'avevano un cuore sotto quel mantello color pergamena! Era così evidente quell'aria che aleggiava fra di loro? Poteva essere scambiata per pura devozione per il proprio parabatai? Al momento Lena non riusciva a trovare niente di più utile che riderci sù.

Ben si svegliò all'improvviso col suono della risata di Lena nelle orecchie. Quando aprì gli occhi e la vide sveglia intenta a fissarlo il suo cuore perse un battito.
- Quanto ho dormito? - chiese lei con una curiosità infantile.
- Tre giorni - Tre lunghi giorni in cui lui non era riuscito quasi a chiudere occhio e proprio quando aveva ceduto alla tentazione del sonno, lei si era svegliata.
- E cosa è successo in questi tre giorni? -.
- Non molto in effetti, a parte che siamo stati sollevati temporaneamente dalle nostre missioni - Anche se il veleno di demone era in circolo nel suo corpo, a Lena stavolta non venne da ridere. 
- L'inquisitore ci ha inviato una lettera proprio ieri in cui, con un linguaggio ampolloso, diceva di aver in parte cambiato idea riguardo a ciò che gli abbiamo raccontato quando è stato qui - spiegò - Suggerisco perciò, dati in motivi sopra esposti, che sarebbe più saggio sollevare dai loro incarichi i nostri due giovani cacciatori, così che possano cimentarsi con maggiore dedizione ed impegno nella ricerca della verità sugli strani eventi che si stanno verificando nel Mondo Invisibile. Con il maggior appoggio e considerazione possibile, l'Inquisitore Marknight - Lena arricciò il naso quando Ben recitò con voce eccessivamente ingessata le parole della lettera. Le scappò un leggero risolino.
- E da quando in qua l'Inquisitore si occupa di queste questioni? Non dovrebbero riguardare il Console? - domandò con ancora il sorriso in faccia. Ben sembrò rifletterci a lungo.
- Dovrebbero...- bisbigliò guardando nel vuoto - La verità è che questa mi sembra tanto una scusa. Ho come l'impressione che abbia voluto punirci in qualche modo... - Puntò gli occhi su Lena e, a dispetto delle sue parole, le sorrise spazzando via le nuvole che gli avevano oscurato la mente.
- Ma smettiamola di parlare di quel pallone gonfiato...come ti senti? - chiese cauto giocherellando con una ciocca dei suoi capelli spettinati.
- E non dire "spumeggiante"! - la ammonì con quella sua aria scorbutica che Lena ora trovava terribilmente buffa. La ragazza alzò le mani in segno di resa fece il gesto di chiudersi la bocca a chiave, prese le mani di Ben tra le sue e ci posò dentro la sua chiave immaginaria. Ben, suo malgrado, sorrise.
- Stai comoda? Vuoi che ti porti altri cuscini? Hai fame? Cosa vuoi mangiare? Devi essere stanca, vuoi.... - Lena alzò vistosamente gli occhi al cielo alla raffica di domande del suo parabatai. Ben le lanciò un'occhiataccia.
- Il fatto che tu sia malata, non ti rende meno irritante, sai? - Patetico per quanto era falso. Non sarebbe riuscito a mantenere alcuna posizione con Lena che lo guardava in quel modo, ma ovviamente si guardava bene dal confessarglielo.
- Allora, dimmi cosa posso portarti, se hai bisogno di qualcosa...- Lena gli tappò la bocca col palmo di una mano.
- L'unica cosa di cui ho bisogno, Ben, è che tu sia qui con me - Quando cercò di ribattere, lei lo zittì di nuovo. Aveva un gran mal di testa.
- Sai, mentre eri addormentata hai detto una cosa e io... - Doveva dirglielo? Magari ora che era sveglia non si ricordava, o peggio: si ricordava ma si sarebbe rimangiata tutto... 
- Lena mi stai ascoltando? - Ma Lena non lo ascoltava, era appena sprofondata di nuovo nel sonno e Ben, a prescindere da quali importanti parole dovesse dirle, non avrebbe mai avuto il coraggio di svegliarla. 
Così incartata nelle coperte, Lena non gli era sembrata mai tanto bella. I capelli arruffati e sparsi sul cuscino, la pelle leggermente lucida di sudore, le labbra schiuse che di tanto in tanto recitavano parole impastate di sonno... Ben rifletteva sul fatto che nessun altro ragazzo l'aveva vista così esposta e vulnerabile com'era in quel momento, a parte lui. Questo lo riempiva di uno strano orgoglio. Voleva essere l'unico a poterla vedere appena si svegliava la mattina, voleva essere quello che le spazzolava i capelli impicciati, quello che la sentiva russare la notte; l'unico a poterla vedere in quell'attimo di estrema vulnerabilità, quando i suoi occhi si chiudevano e tornava bambina. Ben voleva essere lui, solo lui, voleva essere l'unico per Lena.

- Vuoi un po' di minestra? - Lena scosse la testa rispondendo educatamente che non le andava.
- Tranquilla, puoi dirlo che fa schifo. Io l'ho detto che dobbiamo assumere una cuoca! - Lena non poté non ridere, avrebbe riso anche se non fosse stata sotto l'effetto del veleno di demone.
- Vuoi che ti prepari io qualcosa? - chiese premuroso. La ragazza scosse di nuovo la testa.
- Non voglio niente da mangiare. Voglio solo sapere com'è possibile questo! - disse indicando il sorriso che le aleggiava ancora sul viso senza un'apparente ragione. Da quando si era svegliata non aveva fatto altro che chiedere sempre la stessa cosa.
- Te l'ho già detto. È per il veleno che quel demone ti ha iniettato mordendoti - ripeté Ben paziente.
- I demoni Kuri sono velenosi? - Il ragazzo sospirò: probabilmente il veleno comportava anche dei vuoti di memoria.
- No, Lena, te l'ho già spiegato. Ma del resto anche gli Shaomao non dovrebbero avere lingue biforcute in grado di tranciare in due un cacciatore, eppure noi ne abbiamo incontrati alcuni che le avevano. Non è certo la prima stranezza che vediamo ultimamente - Lena avrebbe voluto ribattere, ma all'improvviso non aveva niente di intelligente da dire. Sentiva solo un buco all'altezza dello stomaco e non capiva cosa fosse. Forse era perché tutte queste stranezze facevano nascere in lei il sospetto che stesse succedendo qualcosa, forse... di nuovo quell'orribile sensazione, l'ombra di un ricordo lontano. La scacciò in fretta.
- Passami la minestra va! - O forse era solo la fame. In tutti i casi, le venne da ridere. 

Qualche giorno dopo la febbre si abbassò e Lena tornò più seria. Certo, la ferita doveva ancora rimarginarsi completamente e capitava sempre che avesse una gran voglia di ridere senza motivo, cosa che irritava particolarmente Ben e di conseguenza Lena spudoratamente non faceva nulla per cercare di contenersi; tutto sommato però si poteva dire che stesse meglio. Il lato positivo nel fatto che aveva dormito per tre giorni, era che adesso si sentiva in forze, estremamente in forze, tant'è che la prima cosa che fece appena si alzò dal letto, fu andare ad allenarsi.
Da sempre ricorreva allo sforzo fisico per distrarsi quando i pensieri le appesantivano la mente ed in quel periodo la sua mente era decisamente troppo pesante. Era successo tutto troppo in fretta, una cosa dietro l'altra, Lena non era riuscita quasi a respirare: i demoni Shaomao che non erano  Shaomao, il misterioso cacciatore incappucciato, il Golden-jug in fiamme, l'omicidio di Corinne, l'incendio al covo dei lupi mannari, quei demoni Kuri spuntati dal nulla... e poi c'era quella strana sensazione che le attorcigliava lo stomaco. Quel ricordo che le vorticava nella mente da giorni, quel pezzo di passato che continuava a riapparire nel suo presente. Lena sapeva che doveva ignorarlo, perché non c'entrava un bel niente con tutto quello che stava accadendo. Era solo la sua mente sadica che si divertiva a tirar fuori i suoi incubi per torturarla, eppure più ci provava e più non ci riusciva.
Ecco perché l'ultima possibilità di liberarsene era la sala degli allenamenti. Lì, immersa nel silenzio, con i muscoli che tiravano e il respiro accelerato per la fatica, sarebbe riuscita a riflettere lucidamente.
E poi come se tutto questo non fosse già stato abbastanza, non dimentichiamoci che c'era anche Ben. Ben che da un po' di tempo guardava in un modo diverso. Ben che non sentiva più solo come un fratello. Ben che la confondeva con la sua vicinanza. Ben che la sfiorava come non si fa con una sorella.
C'erano lei e Ben e quella maledetta linea sottile sulla quale si ostinavano a camminare come due equilibristi. Il problema era che Lena non aveva mai avuto questo grande equilibrio.










Capitolo non molto intenso, ma pieno di piccoli "indizi" sul mistero degli incendi e del Nephilim incappucciato (che poi è un Nephilim? O è uno stregone? Un demone? Io dico un vampiro... Ahahah si accettano scommesse).
Una Lena pensierosa e dalla risata facile, un Ben che non riesce a starle dietro... Cos'avrà in mente Lena? Uno spiraglio in questo capitolo si è aperto e ci ha lasciato intravedere un piccolo fashback di una mini-lei. Che dite: continuerà a tenere Ben un passo indietro o lascerà finalmente che possa vedere tutto quello che le passa per la testa?
Spero di avervi reso curiosi almeno un po', se è così sarei ancora più felice se passaste a lasciarmi una vostra opinione sulla storia :)
Sarò ripetitiva ma, finché si tratta di ringraziare qualcuno come te, la cosa non mi disturba affatto: un grazie immenso a principessac!

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Capitolo 6
*** I demoni nei tuoi occhi ***



Rieccomi,
con un po' di ritardo (di cui probabilmente non si è accorto nessuno ahahahhah) ma sono qui.
Penso che questo capitolo serva a chiarire più di una questione sul passato di Lena; ovviamente c'è più di un momento dedicato ai due parabatai ed uno di questi è anche leggermente "atipico" ahahah. In generale, nel corso della storia, troverete che Ben e Lena, oltre alle solite cose da tipi duri che fanno tutti i Nephilim, hanno anche momenti "normali" (chiamiamoli così), da ragazzi. Scene quotidiane che, apparentemente, non servirebbero al fine della trama, ma che, secondo me, sono fondamentali. Perché alla fine, mistero o non mistero, cacciatori o non cacciatori, è la storia di due ragazzi e di un legame estremamente complesso.
Vorrei ringraziare Elisaherm che mi ha lasciato una piacevolissima recensione al primo capitolo. Spero veramente che tu faccia una piccola eccezione e decida di continuare a leggere questa storia :)
Se c'è qualcun altro, che batta un colpo!

Akilendra










6. I demoni nei tuoi occhi

When you feel my heat
look into my eyes
it's where my demons hide
(Imagine dragons~Demons)



Ben, appoggiato allo stipite della porta della sala di addestramento, riusciva a vederli chiaramente.
Mentre Lena compieva salti difficilissimi, scagliava coltelli più lontano di quanto avesse mai fatto o provava una nuova combinazione di attacco, riusciva a vederli, se la guardava negli occhi. Era là che si nascondevano, i demoni nei suoi occhi.
Erano arrivati mentre sfiorava con le dita le ceneri del covo dei licantropi, l'aveva vista oscurarsi per qualche secondo, diventare trasparente, sparire vagando chissà dove. Quando era riapparsa ce li aveva negli occhi.
Ben, che in quanto a demoni sapeva il fatto suo, stavolta non aveva la più pallida idea di come comportarsi. Per sconfiggere i demoni che si nascondevano negli occhi di Lena non bastava una spada angelica.
- Smettila - urlò tutt'un tratto e lei, all'improvviso conscia della sua presenza, si fermò di botto, sorpresa.
- Basta così. Ti sei massacrata abbastanza per oggi - La sua voce gli uscì leggermente più dura di quanto avrebbe voluto.
- Posso decidere da sola quando è il caso di fermarmi - e ricominciò a tirare calci al sacco appeso al soffitto.
- No che non puoi. Non quando sei in queste condizioni - tuonò autoritario. Le si avvicinò, con la mano le bloccò la gamba alzata e pronta per colpire.
- Lasciami - Cercò di divincolarsi, invano. Era forte, ma Ben lo era di più.
- Ti lascio se esci da questa sala -.
- Nemmeno per sogno - Ormai era diventata una questione di principio. Lena mosse veloce la gamba, che sgusciò dalla presa di Ben. Lo colpì con il collo del piede sul petto, non abbastanza forte da fargli male, ma abbastanza per cercare di farsi rispettare. O forse non era abbastanza neanche per quello.
- Ho capito - ghignò il ragazzo tirandosi sù le maniche della camicia - Ti serve una bella lezione. Beh, sarò felice di accontentarti, piccola - Lena quasi ringhiò.
- Non chiamarmi piccola! - strillò assestandogli un calcio nelle costole. Per Ben quello fu il segnale per scatenare la battaglia.

Per un po' se le diedero di santa ragione, ognuno profondamente irritato dal comportamento dell'altro, ognuno estremamente toccato dagli avvenimenti degli ultimi giorni. Bisognava ammettere poi che c'era quella strana soddisfazione a tirarsi calci e pugni, specialmente perché il dolore che sentivano per le botte e i lividi non era che un granello di sabbia su una spiaggia in confronto a quello che si infliggevano ogni giorno i loro cuori. Ogni colpo ben assestato era per Lena una piccola soddisfazione personale.
Questo è per avermi provato a baciare, due volte.
Questo è per esserti fermato, due volte
Continuarono così per molto, in estrema parità, finché la stanchezza delle ore di allenamento non iniziò a farsi sentire e la ragazza cominciò a perdere colpi. Ben, che in compenso era fresco e riposato, non si fece sfuggire quell'occasione. Fu rapido a bloccarle le mani dietro la schiena e a spingerla contro il muro. Lena, che nel combattimento era abituata a non mollare mai, cercò di divincolarsi in tutti i modi.
- Non ti è bastata, Alena? - Com'era arrogante, era prepotente, era un barbaro, era... La schiacciava a faccia contro il muro, ogni centimetro del corpo aderiva con il suo, le bloccava le mani stringendole tra le sue e le ansimava sul collo, di fatica e di qualcos'altro, senza il minimo contegno. Più tardi, quando si sarebbe trovata in una posizione meno scomoda ed imbarazzante, gliel'avrebbe fatta pagare.
- Ti arrendi? - chiese soffiandole uno sbuffo sulla pelle sudata del collo.
- No! - Figurarsi se Lena si arrendeva.
- Mh...non mi sembri esattamente nella posizione di poter scegliere - Bastardo.
- Allora? - incalzò schiacciandola ancora di più contro il muro.
Ah sì?
Soffocò un gemito di dolore.
- Lasciami, mi fai male! - piagnucolò. Ben le lasciò immediatamente le mani e si allontanò di un paio di passi dal muro. La cacciatrice si voltò subito e lo spinse indietro, sul viso un sorriso furbo.
- Non impari mai, caro il mio Benjamin, ci caschi sempre! - disse ed entrambi avevano nella testa lo stesso ricordo. Doveva essere stato cinque o sei anni prima, quando durante un allenamento che si era trasformato in un'amichevole zuffa, si era ripetuta la stessa identica scena. Ben si diede dello stupido per esserci cascato per ben due volte.

Lena non era mai stata così stanca, fisicamente, mentalmente....era esausta. Crollò senza pensarci troppo sul parquet della sala di addestramento. Ben si sdraiò accanto a lei ed insieme fissarono per lunghi minuti gli affreschi sul soffitto.
Quando il ragazzo tirò fuori il suo stilo e lo appoggiò sul braccio di Lena, lei scosse la testa.
- Li tengo - disse indicandosi un paio di lividi che cominciavano a formarsi sul sulla spalla.
- Non fare la stupida - la ammonì prendendole il braccio. Lena si liberò dalla sua presa.
- Non fare tu lo stupido. Ho detto che li tengo - Sul viso del cacciatore si dipinse un'espressione contrita - Non mi fanno male -.
- Fanno male a me quando li guardo, però - disse il cacciatore. Lei girò il viso nella sua direzione ed il ragazzo si impose di non guardarla negli occhi.
- Voglio qualcosa di tuo sulla pelle - La voce di Lena ora era un bisbiglio. E pensare che solo pochi minuti fa se le stavano dando di santa ragione.
- Potevi dirlo prima! Ti avrei regalato qualunque cosa e stavamo apposto, senza questi... - lei scosse la testa.
- Non era abbastanza regalarmi qualcosa - Stavolta fu Ben a girare il viso nella sua direzione.
- Neanche questa è abbastanza? - chiese poggiandole una mano sul cuore, proprio dove sotto la maglia aveva incisa sulla pelle la runa che si erano scambiati durante la cerimonia in cui erano diventati parabatai. Ed anche se aveva la mano poggiata proprio sul suo petto, non c'era assolutamente nulla di erotico in quel gesto. Lei sorrise, era sorriso strano, uno di quelli che Ben, in nove anni che la conosceva, non aveva mai visto. Avrebbe giurato che fosse il sorriso di un'altra.
- Questa non è tua - disse spostando delicatamente la sua mano dal proprio petto e alzandosi. Quando sparì dietro la porta, Ben rimise a posto il suo stilo.
Li tengo anch'io, Lena.
Mentre attraversavano il salone, in ritardo per di più, gli occhi di tutti, che li aspettavano per la cena, si puntarono su di loro. 
- Ehi, Fairway, si può sapere chi ti ha conciato così? - Alaric sghignazzava indicando il livido sullo zigomo del ragazzo. Lena trattenne un sorriso all'occhiata stralunata del suo parabatai.
- Che bestia era? - insistette il biondo. Ben, non lontano dal limite della sopportazione, stava incassando i colpi con uno stoicismo ammirevole.
- Una molto...cattiva - Guardò di traverso Lena e la ragazza dovette abbassare il viso per mascherare la risata che sentiva crescerle in faccia.
- Ma perché non ti sei fatto un'iratze? - Ora Ben la guardava apertamente.
- Volevo avere qualcosa di suo sulla pelle - Anche Lena lo guardava ed il loro abbraccio di sguardi era così intimo e profondo che nella sala, che avevano nel frattempo raggiunto, calò un imbarazzante silenzio. Nicholas tossicchiò per spezzare quell'atmosfera e tutti i cacciatori seduti intorno al tavolo tornarono a guardare il loro piatto.
- Allora Lena, come ti senti? - chiese, ma con un po' troppa enfasi perché potesse essere considerata una domanda spontanea. Lei sorrise impacciata e disse che andava tutto bene, perché era quello che andava detto. Dopodiché di guardò bene dal dire anche una sola parola per il resto della cena; per fortuna c'era sempre Ben che, qualunque fosse il contesto, non si lasciava mai intimidire da nessuno ed aveva sempre una risposta pronta.
- Bene - disse quando i piatti di tutti erano più o meno vuoti, a seconda di quanti erano riusciti a mandar giù le pietanze piuttosto discutibili di Eleanor - Io e Lena abbiamo un cacciatore piromane da acciuffare - Con quello che era chiaramente un tono di congedo si alzò rumorosamente dal tavolo. Nicholas diede un'occhiata all'orologio a pendolo alla sua destra e strabuzzò gli occhi. Quando chiese cosa mai dovessero fare a quell'ora di tanto urgente da non poterlo rimandare a domattina, Ben mise sù un'espressione ridicolmente seria.
- Indagini segrete - Per poco a Lena non andò di traverso l'ultimo cucchiaio di zuppa.
- Ma non hai mangiato quasi niente! - protestò Eleanor. Ben, dopo aver raggiunto sua madre, le poggiò una mano sulla spalla.
- Mamma, sei una bravissima cacciatrice, ma fai schifo a cucinare. Per favore, assumi una cuoca, o morirò di fame - Detto ciò, uscì dalla sala portandosi dietro Lena. La ragazza ringraziò l'Angelo per averle dato Ben e la sua faccia tosta.

- Indagini segrete eh? - gli fece notare divertita davanti all'insegna colorata del fast-food.
- Ho una voglia matta di cibo spazzatura! - disse il ragazzo entrando nel locale.
- Beh, allora avresti potuto tranquillamente mangiare la zuppa di tua madre - Ben scoppiò a ridere e la trascinò dentro tirandosela dietro per mano.
Nonostante il locale fosse mezzo vuoto e ci fosse l'imbarazzo della scelta per i tavoli, Lena insistette per mettersi seduta a quello più pidocchioso, nell'angoletto più polveroso. Erano incastrati così bene che se muovevano un po' di più la loro sedia finivano per scrostare l'intonaco ammuffito del muro. Che poi stavano ancora più stretti dal momento che la ragazza aveva spostato la sua sedia vicino alla sua, non che a Ben dispiacesse stare stretto vicino a Lena, anzi... era così preso dal momento che finse spudoratamente di non accorgersi di ogni volta che lei si sporgeva per fregargli da sotto il naso un morso di crepes. Alla fine la mangiò solo Lena.
- Beh, la tua era buona. Ora vai a comprare la mia - Ben fece una faccia esageratamente indignata e Lena, in risposta, gli fece gli occhi dolci. Un attimo dopo era in fila per prenderne un'altra.

Col mento appoggiato al palmo della mano, non smetteva un attimo di guardarlo. Registrare ogni suo più piccolo gesto ultimamente era diventato di maniacale importanza per Lena. Era tutto interessante di Ben: da come indossava i suoi jeans scoloriti a come camminava con le mani in tasca; quando sorrideva mostrando le fossette, quando cercava di aggiustarsi i capelli con il solo risultato di scompigliarli di più...
Rivolse lo sguardo al suo tavolo in quell'angoletto sperduto e ci crollò sopra, le guance scaldate dal tepore del locale si raffreddarono a contatto col piano di marmo opacizzato dal tempo.
Sono proprio cotta.
Le sue spalle larghe, la sua voce, quelle labbra screpolate dal freddo, i capelli scuri eternamente spettinati.
Smettila, smettila, smettila.
Doveva smetterla, si era ripromessa che l'avrebbe finita con queste scenette patetiche da adolescente in preda alla prima cotta. Il fatto che poi fosse davvero un adolescente e che avesse tutto il diritto di disperarsi per i suoi tragici amori, era un'altra storia. Lei era prima di tutto una cacciatrice e le cacciatrici non erano adolescenti per definizione.
Una mano le bussò sulla spalla.
- Serve aiuto? - Aiuto per cosa? Lena si raddrizzò di colpo sentendosi profondamente violata dall'intrusione nelle sue tragedie mentali di quello sconosciuto. Ma non era uno sconosciuto, quegli occhi felini li conosceva. 
- Magnus...- sospirò esausta tornando a reggersi il mento con il palmo della mano.
- Smettila di guardarlo - Lena si raddrizzò di nuovo e stavolta lo fulminò con lo sguardo.
- Mh? Chi? Cosa? Eh? No! - sospirò e cercò di darsi un contegno - Non sto guardando proprio nessuno - Magnus sollevò eloquentemente un sopracciglio e Lena si chiese se avesse pettinato con un pettine pieno di glitter anche quello? 
- Certo che no, cara. Lo stai solo spogliando con gli occhi! - la cacciatrice spalancò la bocca negando indignata.
- Non c'è bisogno di mentire, sai? Io non ci trovo niente di male. Siete due ragazzi come tanti e se... - Non poteva lasciarlo continuare. Stava per dire quelle parole che aveva sempre voluto sentirsi dire, ma non poteva permettersi di ascoltarle, non poteva permettersi di illudersi.
- Siamo parabatai - disse, come se questo bastasse a spiegare tutto. 
- Sì, ma questo non significa che... - e fu interrotto di nuovo, ma stavolta non da lei.
- Hai finito di importunare la mia parabatai, mago Merlino? - Ben, materializzatosi all'improvviso dietro Lena, poggiò una mano sulla spalla della ragazza e le mise davanti il piatto. Peccato che le si fosse chiuso lo stomaco. Ci guardò un attimo dentro, la sfoglia fumante lasciava uscire la cioccolata calda che colava nel piatto disegnando ghirigori insieme allo zucchero a velo. Okay, forse lo stomaco le si ero riaperto. Addentò un pezzo di crepe, sua unica consolazione della serata. 
- Allora, che notizie ci porti? - chiese il cacciatore sedendosi accanto alla ragazza.
- Sono quasi sicuro che ad uccidere Corinne sia stato un demone - annunciò lo stregone.
- Un demone? - Ben aggrottò le sopracciglia - Sei sicuro? - Magnus sbuffò.
- Ho detto quasi sicuro - precisò - Un demone superiore comunque - disse e la bocca di Lena, intenta ad addentare un pezzo di sfoglia bagnata nel cioccolato, andò a vuoto. A Magnus, che aveva avuto circa ottocento anni per studiare i comportamenti della gente, non sfuggì quella sua reazione. 
- E voi, cacciatori, cosa avete scoperto? - chiese specchiandosi nel vetro del locale che dava sulla strada.
- Che il nostro piromane ha come amichetto uno stregone - rispose Ben.
- O un demone superiore - precisò Lena e Magnus si voltò verso di lei.
- Sai Benjamin, mi è venuta una voglia matta di crepe - disse senza staccarle gli occhi di dosso.
- Alzi il tuo culo pieno di glitter e te la vai a prendere - Fu l'educatissima risposta del ragazzo. Magnus fece spallucce.
- Bene, allora la prossima volta che ti servono informazioni su strani omicidi, alzi il tuo culo pieno di rune e te le vai a cercare - lo mise a posto. Il ragazzo sbuffò infastidito, ma si alzò e si mise in fila borbottando su quanto fossero insopportabili gli stregoni.
- Allora, Elena, qual'è il tuo problema con i demoni superiori? - chiese appena Ben fu abbastanza lontano da non sentirli.
- Mi chiamo Alena! A te non andava la crepe, lo hai fatto andare via per questo! -.
- Perspicace la ragazza - la prese in giro - Se devo aiutarvi, devo sapere tutto. Avanti, sputa il rospo! - Lena iniziò a giocherellare con una ciocca di capelli, di tanto in tanto guardava nella direzione di Ben con aria preoccupata.
- Non sa la verità nemmeno lui, eh? -.
- Non è che non la sa, ne sa una parte... - Lo stregone capì che continuando così non sarebbe riuscito a farsi dire niente.
- Domani sera a quest'ora da me, okay? - Lena lo guardò e non rispose, ma Magnus sapeva che sarebbe venuta. Così soddisfatto si alzò dal tavolo.
- A domani sera, Elena -.
- Alena - lo corresse quando ormai era già uscito.
- Ecco la tua crepe, vecchia strega... - Ben si bloccò col piatto in mano quando vide che l'uomo era sparito.
- Non gli piacciono le crepe, tranquillo - lo rassicurò Lena strappandogli il piatto di mano - A me sì, però - disse addentando la sua terza bomba calorica della serata.


- Non posso credere di essere venuta - esordì entrando nel salone di quell'eccentrico appartamento.
- Io invece ero sicuro che saresti venuta, Elena - La invitò a mettersi comoda e Lena crollò sul divano blu elettrico vicino al caminetto.
Me ne pentirò sicuramente, pensò mentre riordinava le idee per decidere da dove cominciare. Me ne pentirò sicuramente e a quel punto non potrò più tornare indietro. Eppure sentiva che doveva parlarne con qualcuno, doveva sedersi e raccontare tutta la storia dall'inizio.
- Ti ascolto - la informò lo stregone. Fu il segnale che le serviva per buttare fuori quelle parole che le erano rimaste incastrate in gola da anni.
- Devi sapere che i Silverkey sono da sempre considerati una famiglia di nobili Nephilim, rispettati e temuti da tutto il Mondo Invisibile per le loro gloriose vittorie contro i demoni - Ma dai? E secondo te perché ti ho guardata in quel modo quando mi hai detto come ti chiamavi? Vivo tra i Nephilim da ottocento anni, bambina. Magnus lo pensò, tuttavia non disse nulla; non voleva interromperla quando era appena all'inizio e sinceramente non se la sentiva ancora di parlare, percepiva che ciò che stava per raccontargli era qualcosa di molto personale.
- Secoli fa un cacciatore della mia famiglia uccise Sammael, o quanto meno gli inflisse ciò che c'è di più vicino alla morte per un demone superiore - Infatti. Erano secoli che Sammael non si vedeva sulla terra. Sapeva anche questo.
- Fu un Silverkey a sconfiggerlo con l'aiuto dell'arcangelo Michele. In nome della sua riconoscenza l'Angelo gli fece dono di una pietra dai poteri strabilianti: la pietra runica. Ma quando il fratello di Sammael scoprì cosa era accaduto a suo fratello, tremendamente in collera per la sua morte, giurò che avrebbe sterminato tutta la stirpe dei Silverkey - Questo però Magnus non lo sapeva.
- Giurò questo, ma sarebbe stata una vendetta assai breve considerando che un demone superiore vive per l'eternità. Così mise a punto un piano molto più diabolico...- Lena prese una lunga boccata d'aria, poi continuò.
- Per anni perseguitò ogni cacciatore che portava il mio cognome e quando li trovò, li uccise tutti, eccetto uno. Colui che risparmiò era un bambino, ma crebbe, si sposò, diede alla luce dei figli, riformò una nuova famiglia di Silverkey. Fu allora che ricomparve il demone e li uccise tutti, di nuovo...- 
- Eccetto uno - azzardò Magnus, ma sperava di sbagliarsi, sperava non fosse quello il gioco perverso del demone. Purtroppo la conferma ai suoi timori arrivò quando Lena annuì.
- Spazzare via un'intera generazione e lasciar vivere solo uno. Sempre un bambino, sempre un maschio. Così che possa portare avanti il nome della famiglia. Andò avanti così per secoli e riuscì sempre nel suo diabolico intento. L'ultima volta però qualcosa andò storto... -.
- Quando è stata l'ultima volta? -
- Il 15 Febbraio di dieci anni fa. Evidentemente aveva fatto male i suoi conti, non lo so. Fatto sta che non aveva lasciato in vita il suo prezioso prescelto, non erano rimasti giovani maschi a portare avanti il suo piano di distruzione. Quando si accorse della tremenda disattenzione che aveva avuto, divorato dalla rabbia, raggiunse l'ultimo Silverkey ancora in vita. Si chiamava Alexandar, aveva una moglie, Anastasiya, e una figlia... A nulla servirono le precauzioni che avevano preso, li trovò lo stesso...- Per un po' Lena non disse niente, risucchiata da chissà quali ricordi sembrava lontana anni luce.
- Li colse impreparati e, nonostante combatterono con onore, la disfatta fu inevitabile. Li bruciò vivi assieme alla loro casa in Bulgaria, assieme alla loro terra, agli animali e ad ogni cosa che possedevano - La voce scura, distante, privata di ogni emozione. Per non sentire niente, per non soffrire.
- Ma...? - Magnus intuiva che c'era un ma, anche perché, se quel ma non ci fosse stato, Lena non sarebbe stata lì a parlargli.
- Ma una bambina, la figlia, si salvò per miracolo -
- Tu...-
- Io -.

Seguirono lunghi attimi in cui l'unico rumore nella stanza era lo scoppiettio del fuoco nel camino. Magnus accolse il suo silenzio senza fare pressioni, aspettandosi un crollo nervoso o qualcosa del genere. Ma Lena non crollò, i suoi nervi rimasero saldi, i suoi occhi asciutti e per qualche strano motivo questo lo preoccupava ancora di più.
- Avevamo un portale nella nostra casa, quando il demone sparì lasciandoci in pasto alle fiamme, i miei genitori mi convinsero ad usarlo per scappare. Dissero che loro mi avrebbero raggiunto presto, che avrebbero sbrigato una faccenda e mi avrebbero seguita. Ovviamente non andò così...- Davanti ai suoi occhi rivede suo padre, il fumo lo circondava e le fiamme minacciavano di inghiottirlo, le gridava di scappare, la spingeva verso il portale. Con un braccio stringeva a sé la moglie e con l'altro teneva stretto al petto un libro. Qualunque faccenda doveva sbrigare con quel libro pensava che fosse più importante che seguire sua figlia e mettersi in salvo.
La voce di Magnus la riportò al presente.
- E il portale ti ha portata qui a San Francisco...-.
- Sì. C'ero stata un'estate con i miei genitori. Eravamo venuti a far visita a mio zio, il fratello minore di mio padre, lui si era trasferito qui un anno prima. Quando mi sono trovata davanti al portale ero nel panico...è stato il primo posto a cui ho pensato - ammise.
- Per un anno fui sotto le cure dei Fratelli Silenti, che rimediarono alle ustioni e alle ferite del corpo, ma alle ferite dell'anima non ci pensò nessuno... - Magnus la raggiunse e si mise seduto accanto a lei, le accarezzò la testa come avrebbe fatto un padre e la cullò fra le braccia a lungo. Lena chiuse gli occhi, perché era passato davvero molto tempo dall'ultima volta che si era sentita una figlia.
Ora che quella ragazza gli aveva raccontato il suo passato era chiaro il tormento che si portava dietro, tuttavia lo stregone sentiva che mancava ancora un pezzo al puzzle.
- Non riesco a capire come quello che mi hai raccontato sia collegato agli strani avvenimenti degli ultimi tempi, cara - ammise con il maggior tatto possibile. Lena annuì. 
- Sai come si chiamava il fratello di Sammael, quello che ha perseguitato per secoli la mia famiglia? - chiese con un filo di voce - Ignis - disse senza attendere la risposta dello stregone.
- Ignis, demone del fuoco e degli incendi, del peccato e della tentazione. Il guardiano degli inferi - Magnus recitò quanto aveva appreso in secoli dedicati alla demonologia.
- Quando ho visto ciò che era rimasto del covo dei licantropi, quando ho toccato quella cenere...i ricordi si sono sovrapposti al presente e coincidevano in una maniera così spaventosa che...- Le si spezzò la voce e Magnus le fece cenno di non continuare perché aveva capito. La tessera che mancava al puzzle era tornata al suo posto.
- Cosa ne pensano i Farirway di questa storia di Ignis? Credono anche loro che gli incendi siano opera sua? - chiese appena vide riaffluire un po' di colore sulle sue guance. L'espressione sul suo viso la diceva lunga. 
- Non dirmi che non sanno nulla di questa storia...- Lena fissava il fuoco nel camino.
- Sanno solo una parte della verità. Ero solo una ragazzina spaventata, quando sono arrivata all'Istituto, non parlavo neanche, ed uno dei miei primi argomenti non è certo stato la morte dei miei genitori - si difese. 
- Sì, ma il Conclave... - Lena sorrise amaramente.
- Al Conclave non è mai interessato né di me né della mia famiglia. Hanno già dimenticato tutto ciò che facemmo secoli fa. L'invidia li ha divorati, consideravano la mia famiglia privilegiata. Dicevano che i Silverkey fossero... -
- ...Più angeli che umani - finì per lei. Antichi ricordi ritornarono a galla, frasi ascoltate almeno un secolo prima.
- Esatto. Ed ora guardami, Magnus. Guardami e dimmi se ti sembro un angelo! - C'era rabbia in quella richiesta che non necessitava di una risposta e lo stregone comprese tutto. Tuttavia c'era ancora una cosa che...
- E Ben? Perché non ne hai parlato con lui quando sono nati in te i primi sospetti? - Punta nel vivo la ragazza si irrigidì come una corda di violino.
- Lui è sempre stato molto comprensivo nei miei confronti e non ha mai insistito perché parlassi del mio passato. Sa che i miei genitori sono stati uccisi da un demone superiore e sa che i ricordi che mi porto dietro sono una valigia pesante, come il mio cognome. In questi anni ha cercato di farsi carico della mia valigia senza mai provare ad aprirla per vedere cosa ci fosse dentro - Il modo in cui la sua voce cambiava quando parlava di lui, le parole che sceglieva con cura, la devozione e l'affetto che trasparivano... Magnus sapeva che un amore del genere era raro, nella sua lunga vita ne aveva incontrato forse solo un altro che avrebbe potuto reggere il confronto. Se lo ricordava bene quel ragazzo che un paio di secoli prima gli aveva fatto vibrare il cuore con il suo amore incondizionato, proprio come stava facendo ora quella ragazza seduta sul suo divano e proprio come con quel ragazzo, sentiva verso di lei uno strano senso di protezione. Maledetto lui e quel suo animo da stregone rammollito! 
Sì, non aveva dimenticato quel ragazzo, non lo avrebbe mai fatto. Ogni volta che avrebbe guardato negli occhi di Lena, di quel blu indescrivibile proprio come i suoi, lo avrebbe rivisto.
L'aiuterò, sei contento, Will? 


Ben l'aveva capito che c'era qualcosa che non andava, l'aveva capito perché quella notte non c'erano state grida. Quella notte Lena non aveva urlato il suo nome in preda a chissà quali incubi, il che era strano, perché era ricominciato ad accadere ogni notte da quando aveva sfiorato le ceneri del Golden-jug. Solo quando entrò nella sua camera capì il perché di tanta stranezza: Lena non c'era.
L'aspettò a lungo, mille domande gli vorticavano nella testa come avvoltoi pronti a colpirlo. Dov'era andata? Perché non gli aveva detto niente? Perché non lo aveva portato con lei?
Se la immaginò in quel momento, sola, che camminava per le strade buie della città, il vento le scompigliava i capelli ambrati e lei lo lasciava fare. Come avrebbe fatto, con solo i demoni che aveva negli occhi a farle compagnia?
Ben non ci pensò un secondo di più ad uscire ed andarla a cercare. 

Lena non lo trovò quando tornò all'Istituto. La sua camera aveva la luce spenta e la porta chiusa, in compenso però sulla stoffa della poltrona troppo piccola della sua stanza, era appiccicato l'odore di mare e cannella di Ben.
E capì che l'aveva aspettata a lungo e capì che era andato a cercarla e capì che lei doveva fare lo stesso. 
Si rincorsero per tutta la notte e per tutta la notte non si trovarono. 
Poi alle prime luci dell'alba, mentre il sole si affacciava timido all'orizzonte, anche loro si affacciavano timidi nella piazza centrale della città. Si fissarono da lontano e si ritrovarono seduti sui gradini dell'entrata di un palazzo, vicini abbastanza da sentire i battiti del cuore dell'altro, ma non abbastanza da toccarsi. Incerti, non osavano sfiorarsi. 
Lena non sapeva se avrebbe pronunciato le parole giuste, ma sapeva che Ben le avrebbe ascoltate comunque.

Raccontargli tutto fu come buttare fuori l'aria che tratteneva dentro da anni. Ignis e l'ossessione per uccidere tutti i Silverkey, i ricordi della sua infanzia in Bulgaria, i suoi genitori, quella mattina in cui tutta la vita che conosceva le era caduta addosso come un muro, mattone dopo mattone. 
Ben era rimasto zitto ad ascoltarla, schiacciato anche lui da quegli stessi mattoni, perché quello che faceva male a Lena faceva male a lui. 
Quando la cacciatrice aveva smesso di parlare, aveva annuito facendo schioccare la lingua sul palato.
- Sapevo che c'era qualcosa che non andava - bisbigliò fissando un punto imprecisato davanti a lui, l'espressione leggermente orgogliosa di chi era convinto di aver capito tutto. 
Lena comprese che non avrebbe fatto altre domande, non le avrebbe chiesto di rivangare il passato. Abbozzò un sorriso e ringraziò l'Angelo per avergli messo accanto Ben, che era come un cucchiaino di zucchero in quel caffè troppo amaro che era la sua vita.
- Ma certo - disse sorridendo - Fa parte dei tuoi superpoteri! Sentiamo, leggi anche nel pensiero ora, Superman? - lo punzecchiò. Ben fece spallucce.
- No, però li vedo - Lena inarcò le sopracciglia.
- Vista supersonica? - ironizzò, ma ora Ben era serio.
- Quando la notte gli incubi ti tengono sveglia, quando hai sfiorato le ceneri al covo dei licantropi... Li vedo, sono sempre lì - Lena era sicura di non star capendo.
- Cos'è che vedi? - Ben si voltò verso di lei e fece uno di quei sorrisi in grado di farla sciogliere.
- I demoni nei tuoi occhi - E senza nemmeno sapere come, senza chiedersi perché, si ritrovarono abbracciati. Lui abbracciava lei, lei abbracciava lui e la notte li abbracciava entrambi.

Stare nelle braccia di Ben ora che le tenebre li avvolgevano era confortante, il buio li nascondeva, li proteggeva. Il buio gli evitava di essere giudicati. Il buio evitava a Lena di giudicare se stessa, di dire che era sbagliato.
Avere tra le braccia Lena ora che le tenebre li avvolgevano era tremendo, il buio li nascondeva, li rendeva vigliacchi. Il buio gli evitava di essere giudicati. Il buio evitava a Ben di giudicare se stesso, di dire che era sbagliato.

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Capitolo 7
*** Solo per sempre ***


I'm here
Eh già di nuovo io... Questo è per Mirrine, le cui parole mi hanno provocato un piacere paragonabile ad un cioccolatino dopo tre mesi di dieta. Mi hai dato una botta di puro e calorico buonumore e mi hai fatto venir voglia di aggiornare, perciò grazie. Qualcosa mi dice che gradirai questo capitolo... O almeno lo spero, perché ho davvero bisogno dei tuoi cioccolatini ahahahah 









7. Solo per sempre

Per sempre 
solo per sempre 
c'è un istante che rimane lì, piantato eternamente 
per sempre 
solo per sempre
(Ligabue~Per sempre)



Andare in giro di notte sembrava essere diventata un'abitudine ormai, come se la luna e le stelle portassero loro consiglio, Lena e Ben non facevano altro che camminare nel buio.
Quella sera non sembrava diversa, la luce dei lampioni che illuminava la strada stretta dove camminavano disegnava figure allungate sull'asfalto e mentre uno tirava calci ai sassolini che incontrava per terra, l'altra cercava di spazzarli via a sua volta prima che lui potesse raggiungerli.
- Dobbiamo smetterla di andarcene in giro di notte, sembriamo due succhiasangue - Ben fece una smorfia alle sue stesse parole.
- È di notte che succedono tutte le cose interessanti - ribatté Lena.
- Cose interessanti? Intendi che da un momento all'altro potrebbe spuntar fuori una vampira spogliarellista? - Gli diede un calcio su uno stinco per il quale lui si lamentò in modo esagerato.
- Mh, fammi pensare... No. Intendo cose come due cacciatori che mentre camminano su una strada stretta trovano un prezioso indizio che gli fa venire un'intuizione geniale con cui salvano tutto il Mondo Invisibile dall'essere carbonizzato - rispose tutto d'un fiato, la voce che trasudava sarcasmo.
- Una vampira? - chiese però, dopo un attimo di silenzio, ripensando alle parole del suo parabatai - Le trovi attraenti? Beh, sì... insomma, la pelle pallida e le labbra rosse hanno il loro fascino, ma sono così fredde e poi... - Non la lasciò finire, sul suo viso si dipinse uno dei suoi classici sorrisetti maliziosi. Girò la testa per guardarla in viso, sfacciato.
- O magari una Nephilim... - Lena, sentendo il sangue affluirle in faccia, cercò di dissimulare l'imbarazzo con una risata nervosa. Quando ebbe ripreso un po' di contegno, non perse l'occasione di alzare gli occhi al cielo. 

Era davvero curioso come Ben riuscisse sempre a trovare la cosa più inappropriata da dire in momenti come quelli. Da quella bocca arrogante non sapevi mai cosa aspettarti. Era capace di far uscire parole che la facevano sciogliere, che la facevano arrabbiare, che la facevano arrossire fino alla punta delle orecchie... In tutti i casi, imbarazzanti, equivoche, dolci, sbruffone che fossero, riuscivano sempre a darle una scossa, a scuoterla profondamente.

Smise di pensare all'effetto che avevano le parole del suo parabatai su di lei quando si accorse che dal buio emergeva qualcuno.
Man mano che si avvicinava la luce delle lampade ne illuminavano la figura rendendola più chiara. Quando fu abbastanza vicina, proprio sotto il bagliore di un lampione, Lena vide che era una ragazza; doveva avere più o meno la sua età, forse qualche anno in più. Nonostante non facesse caldo, indossava solo un paio di jeans e una maglietta leggera, le maniche leggermente arrotolate lasciavano intravedere all'interno del polso il marchio di appartenenza al branco di licantropi di San Francisco. In effetti, ora che la guardava meglio in viso, Lena aveva come la sensazione di averla già vista. I tratti delicati del viso, il taglio allungato degli occhi nocciola e i capelli bruni le risultavano vagamente famigliari, le parve di averla intravista tra la gente che era davanti alle rovine del covo del branco a Garden Street. Lena ricordava come quegli stessi occhi l'avessero guardata a lungo, ricordava di sentirli appiccicati alla schiena anche mentre se ne andava. Anche in quel momento la ragazza la stava guardando.
- Oppure una licantropa...- fece Ben, inopportuno come al solito.
- Non credo che sia una spogliarellista, Ben - L'espressione sul viso della ragazza sconosciuta la diceva lunga sul fatto che non aveva voglia di scherzare. 
- Chi sei? - chiese Lena, il tono rigido di chi esigeva spiegazioni.
- Mi chiamo Nadia - rispose senza staccare un attimo gli occhi dal ragazzo e già questo pensò Lena, pur avendola appena conosciuta, non deponeva a suo favore. 
- Nomina sunt consequentia rerum - In uno slancio di di fanatismo, la cacciatrice citò un detto latino con aria sofisticata, sicura che non avrebbe capito. I nomi sono consequenziali alle cose.
- Mi è piaciuta questa. Un punto per Lena - Cercò di ignorare il commento del suo parabatai ancora concentrata sulla ragazza.
- Non voglio sapere il tuo nome. Voglio sapere chi sei, da dove vieni, perché ti sei avvicinata a noi e cosa vuoi - La licantropa la guardò un attimo ma non si scompose, sembrava quasi che non fosse l'unica lupa nei paraggi...
- Appartengo al branco di licantropi il cui covo è stato incendiato pochi giorni fa, è stato là che vi ho visti. Mi sono avvicinata a voi perché siete gli unici Nephilim che si sono interessati a quello che è successo - 
- Manca l'ultima domanda: cosa vuoi da noi? - 
- Non sono venuta a chiedervi niente, bensì ad offrirvi qualcosa - Sul viso di Lena apparve un'espressione scettica.
- Non vedo cosa potresti avere da offrirci - Quella sorrise scoprendo i denti bianchi.
- Il mio aiuto -. 

- Non se ne parla nemmeno! - capitolò con il tono irremovibile di chi non era minimamente interessato a riconsiderare le proprie posizioni.
- Ma ragiona, Lena cara, un aiuto esterno potrebbe essere prezioso - cercò di convincerla Nicholas.
- Finora non siete riusciti a cavare un ragno dal buco, magari questa Nadia ha qualche informazione utile. Io dico che dovreste accettare di incontrarla - tentò Eleanor. Lena mise sù un'espressione indignata. 
- Secondo te riuscirebbe dove non sono riusciti due cacciatori? Io e Ben diamo la caccia ai demoni da anni, siamo nati per questo - Non negava di aver assunto un tono acido, ma su questa faccenda si sentiva piuttosto estremista.
- Nessuno ha detto questo, Alena. Sappiamo tutti quanto tu e Ben siate degli ottimi Shadowhunters e in alcun modo stiamo cercando di sminuirvi, quello che vogliamo farti notare è che non c'è nessuna vergogna a ricevere informazione o aiuti, anche da chi non è un cacciatore - Nicholas spiegò con calma il suo punto di vista e a Lena per la prima volta quella calma che manteneva in ogni situazione diede fastidio, le impediva di scoppiare come una granata e la costringeva a ragionare, solo che lei non voleva ragionare.
- Il fatto che sia una Nascosta ti infastidisce? - C'era stato un tempo, quand'era solo una bambina, in cui le era stato insegnato che gli shadohunters fossero ciò che di più nobile potesse mai esistere sulla terra e che tutto il resto, mondani compresi, non meritavano la sua considerazione. Era una Silverkey, persino molti shadohunters non meritavano la sua considerazione.
Scosse la testa, per scacciare quei ricordi appannati e per rispondere a Nicholas.
- Beh, allora mi pare che siamo d'accordo - disse Eleanor con ritrovato entusiasmo - Ben? - chiese il parere del figlio, il quale era compdamente seduto sul divano nell'altro lato della stanza; gli occhi di tutti si puntarono su di lui. Lena incrociò le braccia al petto, lo vide sospirare.
Avanti, diglielo anche tu.
- Sentiamo cos'ha da dire la ragazza-lupo - Lena non aveva mai avuto così tanta voglia di strangolare il suo parabatai. 

Il luogo dell'incontro era praticamente dietro l'angolo, nel parco di Washington Square, a North Beach, dove l'Istituto era collocato. Ma certo, la licantropa era insolente, gli dava appuntamento a casa loro, nella loro terra, nel luogo più famigliare... Sì, e magari si sarebbe accucciata vicino un albero e avrebbe marchiato il territorio proprio come un cane.
Basta Lena, devi smetterla di fare la difficile, si disse. Ma non smise.

Nadia arrivò con sette minuti di ritardo, Lena li aveva cronometrati meticolosamente in caso si fosse presentata l'occasione per rinfacciarglieli. Mentre si avvicinava all'albero sotto il quale si erano fermati i due cacciatori, Ben si chinò su Lena per dirle qualcosa all'orecchio.
- Non fare la scontrosa, cerca di dire solo cose carine, d'accordo? - Questo poi era il colmo: lui che le chiedeva di non essere scontrosa...ci mancava solo che scendesse la neve dal cielo di San Francisco!
- Vorrà dire che starò zitta - replicò piccata incrociando le braccia sul petto e mettendo il broncio, il cacciatore scosse la testa divertito.
- Siete venuti - constatò Nadia appena fu abbastanza vicina - Mi fa piacere, ho molte cose da dirvi - Ben le sorrise affabile com'era stato pochissime volte in vita sua, Lena si limitò ad alzare gli occhi al cielo.

- E questo cosa significherebbe? - chiese Magnus assottigliando i suoi occhi da gatto.
- Significa che il nostro piromane misterioso è molto più misterioso di quanto pensavamo - Le risposte di Ben come al solito erano molto poco esaustive.
- Significa che c'è qualcosa che non sappiamo, un dettaglio che ci sfugge. Abbiamo detto che deve per forza servirsi dell'aiuto di uno stregone o di un demone, ma Nadia era lì poco prima che scoppiasse l'incendio al covo dei licantropi, l'ha visto ed era solo - aggiunse Lena, lo stregone annuì.
- E voi, avete notato qualcuno vicino a lui al Golden-jug? -.
- No. Ma c'era troppa gente e come al solito un casino infernale. Quella sera invece il covo dei licantropi era deserto, erano quasi tutti fuori, se il nostro uomo avesse avuto vicino un complice Nadia lo avrebbe certamente visto - Gli altri due annuirono all'unisono e per un po' regnò il silenzio.
Dopo qualche minuto Lena alzò lo sguardo dall'eccentrico tavolo a forma di margherita intorno al quale li aveva fatti sedere Magnus e batté il palmo della mano su un petalo.
- Abbiamo detto che è un cacciatore, io e Ben abbiamo visto la runa della resistenza al fuoco che aveva sul dorso della mano - disse cercando un punto di partenza per ricominciare la discussione.
- Ma i Nephilim non sono soliti esercitare la magia e tu hai detto che i due incendi sono stati causati sicuramente da fuoco magico - Lena annuì scoraggiata alle parole di Ben.
- Non può essere uno stregone perché i Nascosti non possono ricevere marchi e penso sia inutile dire che è impossibile che sia un demone con sembianze umane per lo stesso identico motivo - considerò il ragazzo - Quindi la domanda è: cos'è? - Nessuno rispose.
- Mi raccomando, non tutti insieme! - Il sarcastico gli sembrava l'unico modo per poter allentare la tensione che quel silenzio aveva creato, purtroppo il suo si rivelò un vano tentativo.
Era frustrante, Lena sentiva che stavano tralasciando qualcosa, riusciva a percepire chiaramente il madornale errore che stavano commettendo, eppure non avrebbe saputo dire di cosa si trattasse. C'era un minuscolo ma fondamentale dettaglio che non riuscivano a vedere, ogni volta che credeva di averlo afferrato e serrava la mano convinta di avercelo in pugno, si trovava a riaprirla e a dover ammettere che non aveva concluso niente. Quello che stava cercando di catturare era scivolato via da lei come sabbia fra le dita.

Erano tornati all'Istituto come due anime in pena, il sole che sorgeva gli feriva gli occhi mentre scoraggiati trascinavano i piedi portando sulle spalle il peso di quei dubbi, di quelle certezze che gli sfuggivano. Ben e Lena erano Shadowhunters, cacciatori, nobili guerrieri il cui sangue era mescolato a quello degli angeli, destinati a combattere il buio armati di luce, eppure si sentivano come due bambini buttati in un burrone di tenebra con solo una torcia elettrica in mano. Neanche una stregaluce...
- Ehi - Ben diede una leggera spallata a Lena, che assorta nei suoi pensieri camminava a testa china e da quando avevano lasciato casa di Magnus non aveva spiccicato parola. 
- Ehi - disse ancora e stavolta la ragazza alzò di poco lo sguardo. Ciocche disordinate di capelli ambrati le sfuggivano da dietro le orecchie e le nascondevano il viso creando disegni d'ombra sugli zigomi alti.
Aveva un'aria stanca e forse non solo quella, lo dicevano le linee sotto i suoi occhi, tracce scure che macchiavano la sua pelle chiara. Le sue spalle erano curve, appesantite dagli stessi pensieri che aveva il ragazzo, ma in più Lena portava in spalla un peso tutto suo, il peso di ricordi scomodi che le rubavano il sonno di notte e l'attenzione di giorno.
Lo colse all'improvviso un violento bisogno di abbracciarla, un'incontrollabile voglia di portarsela al petto e di soffocare ogni pensiero. Avrebbe voluto stringerla fino a farsi male, baciarla fino a rimanere senza respiro.
Non lo fece. Quello che le diede non era l'abbraccio che avrebbe voluto, era l'abbraccio di un fratello.
Quando le braccia di Ben si chiusero delicatamente attorno a lei non seppe dire cosa ci fosse di sbagliato. Era premuroso, gentile e attento come se tenesse tra le braccia un petalo di rosa, ma Lena non era un petalo di rosa. Era una cacciatrice, una guerriera, una ragazza che era più simile ad una donna che ad una bambina. Avrebbe voluto che se la portasse al petto e soffocasse ogni pensiero, avrebbe voluto essere stretta fino a farsi male, baciata fino a rimanere senza respiro.
Non lo fece. Quell'abbraccio non era quello che avrebbe voluto, era l'abbraccio di un fratello.
- Vieni dentro? - le aveva chiesto quando si erano staccati, lei aveva scosso la testa.
- Sto ancora un po' fuori - aveva risposto guardando gli alberi prosciugati dall'inverno che aveva davanti.

L'istituto era immerso in un parco bellissimo, i Mondani che passeggiavano, facevano jogging, portavano fuori il cane, mentre camminavano tra l'erba verde si ritrovavano davanti quest'enorme cattedrale, che era uno spettacolo, anche se quella che i loro occhi umani vedevano era solo la metà della sua reale bellezza.
A Lena era sempre piaciuto quel parco, specialmente d'inverno. Le piaceva come il vento frusciava tra i rami secchi degli alberi, le scompigliava i capelli e lei glielo lasciava fare, come la nebbia che avvolgeva perennemente San Francisco faceva lo slalom fra i tronchi, le piaceva il ticchettio della pioggia che cadeva sui ciottoli dei vialetti, ma soprattutto le piaceva camminare da sola, circondata da così tanta gente, eppure da sola.
Mentre metteva un passo dietro l'altro cercava di tenere fuori dalla testa qualsiasi pensiero che non riguardasse il parco, l'erba, la pace che c'era in quell'angolo di mondo che sembrava così lontano da tutta la sua vita.
Ma non ci riusciva. Il suo viso spuntava fuori all'improvviso. Si girava a guardare un albero e sul tronco apparivano a tradimento due occhi dello stesso colore della corteccia, dai rami germogliavano foglie fatte di capelli color ebano e Lena distoglieva lo sguardo, cambiava direzione, cercava senza successo di svuotare la mente, ma niente da fare, lui era sempre lì. Qualsiasi cosa facesse, qualsiasi cosa pensasse, lui era sempre lì.
Che poi, lì dove? Lena non avrebbe saputo dirlo con precisione. Ben era in lei come un'onda è nel mare, qualcosa di inscindibile, un tutt'uno con se stessa. E lo sentiva come si sente il proprio braccio, lo percepiva dentro, incastonato in un punto imprecisato, troppo stretto e profondo perché qualcun altro potesse entrarci, troppo per credere di poter tornare indietro. Ben le scavava dentro, la scuoteva, la faceva vibrare di strane emozioni e Lena si sentiva debole, esposta, nuda e vulnerabile sotto il suo sguardo, bruciava quando la toccava, si sentiva diversa ogni volta che stavano insieme. Con Ben era come ballare su un filo, un equilibrio precario che si sarebbe potuto spezzare da un momento all'altro facendoli precipitare a terra. Ben e Lena non sapevano ballare su quel filo, erano goffi, impacciati, si pestavano i piedi e si scontravano, eppure non riuscivano a smettere di muoversi al tempo di quella musica che sentivano solo loro. Forse un giorno avrebbero imparato a ballare, forse un giorno quella musica avrebbe suonato per davvero e avrebbero volteggiato leggeri e con grazia e quel filo non gli sarebbe sembrato più tanto sottile.
Forse, un giorno. Nel frattempo però, Lena si allenava.

Non si era accorta di chi le stava arrivando incontro, era andata a sbattere contro di lui come un treno su un muro di mattoni. Aveva fatto cadere i suoi libri, si era scusata e abbassata per raccoglierli.
- Non ti preoccupare, faccio io - le aveva detto lui con quella sua voce gentile e quell'accento British. Era allora che aveva sollevato la testa, incrociato i suoi occhi celesti e l'aveva riconosciuto.
Se Ben aveva una qualche dote per dire sempre la cosa più inappropriata in tutti i momenti, Alaric aveva la dote di spuntare fuori ogni volta che stava pensando a Ben ma non era vicino a lei. 
- Grazie - aveva detto riprendendosi i libri che Lena aveva raccolto da terra.
- Grazie per cosa? Ti sono venuta addosso io, il minimo che potevo fare era raccogliere i tuoi libri - Era stata brusca, o almeno non educata come avrebbe dovuto essere con Alaric che invece con lei era sempre stato gentile. Ma anche se si fosse offeso, non lo diede a vedere, anzi, cambiò subito discorso.
- Vedo che hai apprezzato il mio regalo. Ti sta d'incanto - disse alludendo al ciondolo che portava ancora al collo. Lena annuì impacciata. Seguì un silenzio imbarazzante, che Alaric ruppe riportando l'attenzione sui libri che teneva fra le braccia.
- Sono nuovi, li ho appena comprati - A Lena dovevano essere brillati involontariamente gli occhi, perché il ragazzo capì che aveva toccato il tassello giusto e si tuffò in una dettagliata descrizione delle trame dei suoi ultimi acquisti. Lena, che già si sentiva in colpa per come aveva risposto all'inizio, fu più espansiva e condiscendente del previsto. Ma non era solo quello, c'era qualcos'altro nei modi gentili di Alaric che la spingeva ad aprirsi in un modo piuttosto strano per lei. Una dolcezza inaspettata, eppure della quale aveva così tanto bisogno. Era così rispettoso, disponibile, affabile, premuroso e poi c'erano i libri. Quei libri nuovi che aveva appena comprato. Libri. E chissà di quante parole erano pieni, chissà quante storie raccontavano, chissà quale profumo avrebbe odorato mettendo il naso in quelle pagine. Dio, come avrebbe voluto odorare quelle pagine! 
Sì, erano sicuramente stati i libri. Era per i libri che aveva sorriso mentre parlavano e riso alle sue battute dall'umorismo inglese. Era per i libri che gli aveva parlato del cielo della Bulgaria così simile a quello di San Francisco quel giorno. Era per i libri, sicuramente per i libri. Altrimenti per cosa aveva accettato di accompagnarlo in giro per la città, con un motivo pateticamente inventato sul momento, se non per i libri?
Lena adorava leggere, aveva vissuto altre mille vite tra le pagine scritte. Anche ad Alaric piaceva leggere e mentre camminavano insieme le aveva raccontato della grande biblioteca che aveva nella sua casa a Londra. Le aveva anche confessato di sentire la mancanza della compagnia di quei libri e che quando si sentiva particolarmente solo andava in una libreria di San Francisco a fare rifornimento. Dopo un po' di chiacchiere avevano scoperto di avere perfino gli stessi gusti in quanto a romanzi. Anche Ben leggeva molto, ma storie molto diverse da quelle che piacevano a Lena, quando parlavano di libri finivano sempre a scannarsi a vicenda per difendere ognuno i suoi gusti ed era interessante quando... No, non doveva pensare a Ben, era con Alaric e si stava divertendo e lui stava parlando in un modo così adorabile dei suoi libri preferiti e...non doveva pensare a Ben! 
- Hai fame? - Lena scosse la testa - Sono le due, dovresti mangiare qualcosa - insistette premuroso. Le due? Non si era accorta che fosse già tanto tardi, quando era andata a sbattergli contro era mattina presto.
- Dai, andiamo, conosco un posticino...- e si impegnò nella minuziosa descrizione di un ristorante che aveva scoperto qualche giorno prima. Lena avrebbe voluto dire che era tardi e che dovevano tornare all'Istituto e che, e che...si rese conto di essere abbastanza a corto di scuse, perciò, senza troppo dispiacere, lasciò che Alaric la portasse ovunque voleva.

Il ristorante era davvero carino come lo aveva descritto il ragazzo, si mangiava benissimo e nonostante avesse insistito fino allo sfinimento si ritrovò il pranzo pagato.
Mentre tornavano all'Istituto avevano continuato a parlare del più e del meno. Conversare con Alaric era piacevole come lo era la sua compagnia e Lena doveva ammettere che le erano piaciute quelle ore passate insieme, si era sentita sollevata e rilassata e per la prima volta dopo tanto tempo era riuscita a svuotare la testa. 
Poi era successo. Le labbra di Alaric si erano poggiate timide sulle sue, quasi a volerle chiedere il permesso, in un bacio delicato come una carezza. Erano morbide, fresche e leggere e Lena, spiazzata dal gesto improvviso, era rimasta immobile, senza sapere bene cosa fare. Non le aveva dato nemmeno il tempo di connettere il cervello, si era staccato subito riempiendola di scuse e non aveva fatto altro per tutto il tragitto di ritorno fino all'Istituto.
Alaric era fatto così, era il tipo che chiedeva scusa.

Quando era tornata, Ben la stava aspettando nella sua camera.
- Alla buon ora! Finalmente ti sei degnata di tornare, dov'eri? - Non dirglielo, non dirglielo, non dirglielo.
- Ero in giro con Alaric - L'espressione sul suo viso cambiò di botto, da divertita e leggermente canzonatoria diventò brusca.
- Di nuovo? A fare cosa? - abbaiò. Ora avrebbe fatto partire un terzo grado dei suoi.
- A fare un giro, cosa sennò? - Gli aveva risposto acida e stizzita, tesa come una corda di violino ed evidentemente sospetta, perché il ragazzo si alzò dal letto di lei dov'era comodamente sbracato per raggiungerla.
- Non lo so, devi dirmelo tu, Alena. A fare cosa? - Incrociò le braccia sul petto, i muscoli si tesero sotto la maglietta, guizzando mentre compieva il movimento. Lena non poté fare a meno di notarli e quando lui la beccò le sue labbra si piegarono in un sorrisetto compiaciuto. Arrogante come al solito fece un passo nella sua direzione, sicuro di avere la situazione in pugno, sicuro di aver già vinto. Lena avrebbe fatto qualsiasi cosa per strappargli dalla faccia quell'espressione soddisfatta.
- Mi ha baciata - sbottò allora. Le sopracciglia del ragazzo fecero un salto in alto ed il suo viso si tinse di uno strano colore cinereo.
- Lui cosa? - domandò con la voce arrochita di chi sta per scoppiare.
- Mi ha baciata - ripeté Lena soddisfatta di averlo preso contropiede. Alzò il mento orgogliosa ed incrociando anche lei le braccia sul petto lo fissò in maniera sfacciata.
Ben assomigliava ad un vulcano pronto ad eruttare: i pugni serrati lungo i fianchi, i denti stretti così forte che Lena temeva si sarebbero sgretolati da un momento all'altro, una vena sul collo pulsava minacciosa, ci mancava solo che cominciasse ad uscirgli fumo dalle orecchie. 
- E com'è stato? - chiese inchiodando gli occhi in quelli di lei. Lena non rispose. In un attimo le fu davanti, a separarli solo un respiro.
- Ho chiesto: com'è stato? - tuonò.
- Piacevole - lo disse in un bisbiglio. Ben sollevò le sopracciglia.
- Mmh, immagino...- rispose in un modo sarcastico che fece infuriare Lena.
- Invece mi è piaciuto il bacio - Lui incassò il colpo, il petto si gonfiò, le narici si allargarono in cerca di più aria e Lena capì di stare in vantaggio - E mi piace anche lui - aggiunse sfacciata. Ben fece un passo indietro.
- Non è vero - sbottò e lo disse con una tale sicurezza da convincerla che se avesse mollato ora, avrebbe davvero vinto lui.
Si mise sulla difensiva e tutto quello che riuscì a fare fu gridare.
- Come fai a dire che non è vero? Cosa ne sai tu? Credi di conoscermi così bene, eh? Credi di sapere quello che sento meglio di me? - , avrebbe voluto rispondere Ben. , avrebbe voluto ammettere Lena.
- Lui non ti piace e non ti è piaciuto nemmeno il suo bacio - gli tenne testa sicuro avanzando di un passo. I loro petti si toccavano, il battito furioso dei loro cuori si fondeva anche attraverso i vestiti.
- Tu non...- cercò di dire Lena, ma le sue erano solo deboli proteste e Ben sembrava forte in quel momento, così forte.
- Ti conosco, Alena - disse ed ogni ulteriore barriera della ragazza crollò al sentire il suo nome completo pronunciato dalle sue labbra - Ti conosco come conosco me stesso - ed era sciolta, acqua liquida e inerme di quello che prima era un solido iceberg. Ben l'aveva sciolta, il fuoco scioglie il ghiaccio.
- Ti sento -.
In un ultimo inutile tentativo di fuga puntò le sue mani sul petto di lui per scansarlo, ma non sarebbe riuscita a smuoverlo di un millimetro neanche se l'avesse voluto con tutta se stessa, e non lo voleva, perciò...
In quel momento Lena capì che avrebbe vinto, e lo lasciò vincere.

Le labbra di Ben erano bollenti, proprio come aveva sempre immaginato. Calde di un calore che non era solo fisico, ruvide, carnose. Le labbra di Ben non accarezzavano: bruciavano, divoravano, spazzavano via ogni incertezza, carbonizzavano ogni dubbio.
E non era delicato mentre la sbatteva contro la porta, non era delicato mentre la baciava fino a toglierle il respiro. 
Ben non le aveva chiesto il permesso. Lena non voleva che lo avesse fatto.
Se l'era preso e basta, come quei baci, se li prendeva e basta, come qualcosa che era sempre stata sua, Lena era sempre stata sua. Non esitava, non si risparmiava, non la lasciava respirare, non la lasciava pensare. Non era delicato, non era gentile, era Ben e non la trattava come fosse stata una bambola di porcellana, non aveva paura di romperla.
Non voleva che fosse delicato, non voleva che fosse gentile, era Lena e non era una bambola di porcellana, non si sarebbe rotta.
E bruciava, Lena bruciava, voleva bruciare e consumarsi e gridare e correre e scappare e lottare e piangere e ridere e vivere. Lena voleva vivere e non si era mai sentita tanto viva come ora, mentre bruciava fra le braccia di Ben.
I baci si mescolarono ai morsi, i loro tocchi diventarono un aggrapparsi disperato l'uno all'altra, le mani di entrambi vagavano avide sulla pelle dell'altro a carpire ogni più piccolo dettaglio. Perché ne avevano terribilmente bisogno, perché temevano che fosse tutto un sogno dal quale si sarebbero potuti svegliare da un momento all'altro, perché per troppo tempo avevano sofferto una fame atroce ed ora sembrava che niente avrebbe potuto saziarli.
Non riuscivano a fermarsi, crollati tutti i muri, tutte le barriere, crollati i freni inibitori e la decenza, crollato il senso del giusto e dello sbagliato che tanto ossessionava Lena, in quel momento era crollato tutto. E non reggeva più neanche la storia del "è come se fossimo fratello e sorella", per un istante, per il tempo di quei baci, non esisteva neanche più quello. Per un istante, si concessero di vivere come non avevano mai fatto, di essere liberi come non erano mai stati, per un istante sperimentarono l'ebrezza di non pensare a niente, per un istante si regalarono quell'istante. Quell'istante che, lo sapevano entrambi, sarebbe rimasto lì, piantato eternamente.
E chiusero gli occhi senza pensare a cosa avrebbero fatto quando li avessero riaperti, chiusero la porta in faccia alla coscienza e le chiesero, con i modi bruschi e quello strano talento di Ben di dire sempre la cosa meno appropriata, di ripassare più tardi. Rimandarono l'incontro con i sensi di colpa, solo per il tempo di quei baci, solo per il tempo di una boccata di vita, solo per un istante. Per sempre, solo per sempre.

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Capitolo 8
*** Certe cose non vogliamo che cambino ***


8. Certe cose non vogliamo che cambino

And I can’t change
Even if I tried
Even if I wanted to
My love, my love, my love
(Macklemore e Ryan Lewis~Same love)



E passò quell'istante. Riaprirono gli occhi all'improvviso senza sapere cosa avrebbero fatto; alla porta di Lena bussò la coscienza e arrivarono i sensi di colpa che avevano rimandato.
E si sentì strana, si sentì nuda anche se era ancora vestita, troppo esposta per non rimanere coinvolta, troppo fragile per non farsi del male. Si erano già fatti male. I segni dei baci ancora sulle labbra, sul collo, sul naso, sulla faccia, sul cuore, sull'anima, come lividi spargevano dolore. L'aria odorava di quel senso di libertà che avevano tardivamente scoperto, brevemente assaporato, prematuramente abbandonato. Odorava di loro, dei loro gemiti, del suono delle loro bocche, odorava della loro pelle e del loro odore. Di lavanda e farina, di mare e cannella.
Lena avrebbe voluto parlare, tirarsi fuori a forza dalla bocca le parole giuste, quelle che dovevano essere dette, strappare dalle sue labbra le risposte che voleva sentire, che doveva sentire. Ma non successe. Lei non parlò, lui non ascoltò né diede alcuna risposta. Tutto rimase non detto, sospeso e impalpabile, trasparente come l'aria, doloroso come una spina nel fianco.
Perché Ben, un corpo fatto di sangue e arroganza, non ci pensò due volte ad aprire quella dannata porta e a sparirci dietro.
E ancora una volta là lasciò lì, imbambolata a guardare la parete di legno liscio che si era chiuso alle spalle.
Dio, come lo odiava quando si comportava in quel modo. Avrebbe voluto rincorrerlo solo per prenderlo a schiaffi e picchiarlo e mollargli un pugno in faccia e insultarlo e dirgli che lo odiava e che lo amava. Perché era arrogante, impulsivo, testardo, orgoglioso, un pallone gonfiato, un pavone con la ruota sempre aperta e anche se lo odiava per questo, non poteva fare altro che amarlo, amarlo molto più di quanto lo odiasse.
Ti amo, Benjamin Fairway, ti amo e non posso farci niente. Ti amo anche se so che è sbagliato. Ti amo anche se so che amandoti mi faccio male, mi distruggo, mi anniento, mi sgretolo, mi rompo, mi uccido, mi brucio...ti amo e non posso cambiarlo. Anche se ci provassi, anche se volessi.

Ben non si era mai sentito così in vita sua. C'era quella scintilla, quel calore all'altezza del petto che si irradiava per tutto il corpo, una sensazione piuttosto soffocante eppure impagabile, eccitante, sconvolgente. Una strana febbre gli incendiava le membra, una fame insolita che mai aveva provato prima e poi c'era quella frenesia che sembrava divorarlo da dentro, quel bisogno spasmodico che sentiva. Bisogno di guardarla, toccarla, baciarla, tenerla tra le braccia, sentirla in un modo diverso da come aveva sempre fatto.
Lena. Un nome che aveva il potere di farlo bruciare lentamente. Lena. E ogni incertezza spariva. Lena. Cosa non avrebbe dato per averla un altro istante, solo un attimo, solo un bacio, solo uno sguardo.
Si afferrò la testa fra le mani in un gesto impetuoso, sarebbe impazzito se continuava a torturarsi in quel modo. Se chiudeva gli occhi riusciva a sentire ancora in bocca, forte e delicato insieme, il sapore di Lena, riusciva a sentire tra le dita i suoi capelli morbidi quanto li aveva sempre immaginati. Ed il suo corpo, la sue labbra, persino il suono del suo nome che indugiava nei suoi pensieri sembravano chiamarlo; ed era un richiamo così forte, così dolce, così voluto, così proibito, che stentava a credere che avrebbe resistito ancora a lungo. Era scappato letteralmente dalla sua stanza, la sua fragilità nascosta sotto una spessa maschera di arroganza. Era corso via, lontano da lei, lontano da quella parte di se stesso che Lena faceva emergere. 
Mentre metteva quanta più distanza poteva tra lui e gli istinti che non riusciva a controllare, si domandava cosa avrebbero fatto, se si fossero ignorati ancora. Forse sarebbe stato meglio, avrebbe sofferto come un cane a starle lontano, ma se solo conosceva almeno un po' Lena, sapeva che in quel momento si stava incolpando in tutti i modi possibili e dato che conosceva un po' anche se stesso, sapeva che difficilmente sarebbe riuscito a controllarsi dopo quello che era successo. Quindi forse sarebbe stato meglio starle lontano, non voleva darle un motivo in più per condannarsi.
Dio, come la odiava quando si comportava in quel modo. Avrebbe voluto ricorrerla solo per prenderla a schiaffi e baciarla a forza ogni volta che ripeteva le parole "fratello" e "sorella"; avrebbe voluto dirle che era una stupida a pensare che tutto quello fosse sbagliato, e dirle che la odiava e che l'amava. Perché era orgogliosa, testarda, così dura con se stessa, rigida come un dannato muro di cemento armato, con quel patetico senso del dovere radicato fin dentro le budella ed anche se la odiava per questo, non poteva fare altro che amarla, amarla molto più di quanto la odiasse.
Ti amo Alena Silverkey, ti amo e non posso farci niente. Ti amo anche se so che non dovrei. Ti amo e non mi sento in colpa, non mi sento sporco, blasfemo, sbagliato, vergognoso, peccatore...ti amo e non posso cambiarlo. Anche se ci provassi, anche se volessi.

Riusciva ad immaginarsela: immobile come una statua di cera intenta a fissare il muro mentre nella testa continuava a torturarsi, a condannarsi, ad accusarsi, a dire che era sbagliato e tutte quelle cazzate sul "siamo fratello e sorella".
No che non siamo fratello e sorella, te l'ho appena dimostrato, Alena. Baceresti in quel modo tuo fratello?
Ma lei non avrebbe ceduto, diligente come una scolaretta avrebbe creduto a qualsiasi epocale stronzata le rifilava il Conclave. Ed era scritto. Proprio sul codice. Era scritto. A chiare lettere, una semplice faccenda liquidata in due righe. Le loro vite, i loro desideri, i loro sentimenti, liquidati in due righe. Era scritto. Inequivocabile ed indiscutibile: parabatai, molto più che amici, molto più che fratelli le cui anime erano state legate dal più forte legame che esista. Un legame sacro, che non potevano per nulla al mondo sporcare con desideri e sentimenti terreni. Era un legame più grande di loro, che dovevano preservare e lasciare pulito.
Esiste al mondo niente di più stupido? Esiste al mondo niente di più doloroso e crudele?
Come poteva accettare tutto questo? Come potevano i loro sentimenti sporcare quel legame? Perché sì, Ben ammetteva che quei baci, il modo in cui l'aveva stretta fino a mozzarsi il respiro, sbattuta contro la porta per soffocare ogni dubbio, erano stati comportamenti certamente molto...terreni, ma non era solo quello. Lui e Lena non erano solo quello. Ben voleva baciarla nello stesso modo in cui aveva fatto poco prima, voleva toccarla perché era ciò che di più bello avesse mai provato in vita sua, voleva fare l'amore con lei, ogni giorno, ogni ora, ogni momento, ma non era solo quello. Ben voleva anche guardarla mentre dormiva, scacciare con la sua presenza i suoi incubi, spostarle i capelli dietro l'orecchio, voleva farla ridere, proteggerla anche se sapeva che non ne aveva bisogno, ascoltarla mentre parlava del suo libro preferito, guardarle le spalle durante ogni combattimento, andare ovunque volesse andare, fare qualunque cosa volesse fare. Ben voleva essere il ragazzo che la spogliava, che le faceva battere il cuore e fermare il respiro, ma anche l'amico a cui poteva confessare qualunque cosa, il fratello con il quale si sentiva a casa.
Ben per lei voleva essere tutto, perché Lena per lui era tutto. 

- Si può sapere cosa avete? - Eleanor interrogava senza sosta da almeno venti minuti il figlio e lui impunito si ostinava a non farsi sfuggire neanche una parola. La donna spostava lo sguardo da lui a Lena mentre sistemava la sala da pranzo e osservava interessata la minuziosità con cui evitavano attentamente di intralciarsi o anche solo sfiorarsi mentre apparecchiavano. Anche i loro sguardi, solitamente incatenati, non si incrociavano mai, nemmeno di sfuggita.
- Che cosa hai combinato stavolta, Ben? - chiese sicura che, come al solito, l'impetuosità del figlio avesse fatto danni.
- Come fai ad essere sicura che sia stato io? - sbottò. Eleanor che credeva non le avrebbe mai risposto, alzò le spalle sorpresa.
- Beh, forse perché è sempre colpa tua - ironizzò, ma lui non la prese con ironia. Le posate d'argento che teneva in mano tintinnarono sbattute sul pavimento di marmo della stanza.
- Certo, è sempre Ben a sbagliare! - La voce alterata e il viso paonazzo - Magari invece stavolta non c'e nulla di sbagliato, magari stavolta non c'é una colpa... - La falsa tranquillità della sua voce bassa, lo sguardo infuocato che rivolse a Lena, lei che incapace di sopportarlo uscì di corsa dalla stanza... Tutto questo fece pensare ad Eleanor che stavolta fosse successo qualcosa di grosso.
- Ma cosa prende a quei due? - domandò intontito Nicholas vedendosi passare davanti prima Lena che scappava di corsa, poi suo figlio rosso in viso che se ne andava sbattendo i piedi sul pavimento.
- Non ne ho la minima idea, caro - ammise sua moglie raccogliendo la forchetta che aveva fatto cadere Ben.
- Che cosa ha combinato stavolta, Ben? - gridò per farsi sentire, la stessa identica domanda di Eleanor. La donna non fece in tempo a zittirlo che si sentì un urlo esasperato provenire dal corridoio accompagnato dal rumore di qualcosa che si infrangeva sul pavimento. Eleanor strinse i denti e chiuse gli occhi cercando di non pensare a quale dei suoi preziosi vasi cinesi aveva appena frantumato suo figlio.
- Sarà meglio che li vai a chiamare, tesoro, la cena è pronta da un pezzo - Eleanor scosse la testa alle parole del marito.
- Tanto non verrà nessuno dei due -.

Lena si immaginò Ben che camminava avanti e indietro nella sua stanza consumando il parquet per far sbollentare la rabbia, riusciva a vederlo chiaramente, come fosse davanti a lei, mentre si arrotolava e srotolava convulsamente le maniche della camicia per tentare di calmarsi. Se c'era una cosa di cui era certa era che non sarebbe mai venuto. Dal canto suo, Ben sapeva com'era fatta Lena, sapeva che in quel momento era sicuramente seduta sul davanzale della finestra in camera sua, riusciva a vederla chiaramente, come fosse davanti a lui, mentre apriva la finestra, il vento di San Francisco che entrava le scompigliava i capelli e lei lo lasciava fare, si sarebbe sicuramente presa un raffreddore coi fiocchi. Se c'era una cosa di cui era certo era che non sarebbe mai venuta.
Proprio perché si conoscevano così bene, vennero entrambi.
Ognuno dei due si presentò nella sala più tranquillo, quietato dalla convinzione che l'altro non sarebbe venuto. Convinzione che si rivelò profondamente errata, ma ormai era tardi per entrambi, non potevano certo farsi sopraffare un'altra volta dai loro stati d'animo. Lena non sarebbe scappata di nuovo come una codarda e Ben non sarebbe esploso di nuovo come un pazzo.
Non spiccicarono parola per tutta la cena e per quieto vivere condivisero il loro silenzio anche Nicholas ed Eleanor. L'unica a non rendersi conto della palpabile tensione che c'era nell'aria era Grace, o forse più semplicemente se ne fregava. Ogni due minuti se ne usciva con una frase frivola sui fiori al centro della tavola, o sul fatto che quell'inverno fosse più rigido del solito, tutto questo innervosiva Lena e metteva a dura prova i nervi, per natura già poco saldi, di Ben.
- Dov'è Alaric? - chiese alla fine la ragazza per sfuggire ai commenti leggeri della donna. Aveva notato la sua assenza ed ora guardava la sua sedia vuota attendendo una risposta. Qualcuno tossì con poca grazia per mandare giù un boccone e Lena non ebbe neanche bisogno di alzare gli occhi per sapere di chi si trattasse.
- È partito di nuovo per Londra - le rispose ermetica Eleanor.
- Oh - Lena avrebbe voluto chiedere di più, ma per un attimo si trattenne. Poi, vedendo gli occhi di Ben fulminarla dall'altro lato del tavolo, ci ripensò. Ma non ti stavi strozzando tu?
- Quando è partito? -.
- Questa sera stessa - Fu la risposta della donna.
- Sai perché? - insistette ancora.
- No, non lo so, ma era un po' scosso a dire la verità - Un versaccio interruppe il discorso e gli occhi di tutti si alzarono dai piatti e si puntarono verso la fonte del rumore. Ben alzò a sua volta lo sguardo dalla sua cena e ricambiò l'occhiata con un'alzata di spalle portandosi la forchetta alla bocca.
- Poverino... Bisogna comprenderlo. Non avrebbe mai potuto reggere il confronto! - Non si prese neanche la briga di finire di masticare prima di parlare. Le fronti di ognuno di quelli seduti attorno al tavolo si corrugarono, non capivano il senso di quello che aveva appena detto, ovviamente, ma Ben non l'aveva detto perché loro capissero. L'importante era che capisse Lena.
E Lena capì, capì eccome, eccome se capì, altroché, capì fin troppo bene, capì, capì... Le sue labbra bollenti che la baciavano senza chiedere il permesso, i suoi capelli spettinati che le solleticavano il viso e quella sensazione, proprio al centro del petto, quella voragine, quella fame, che niente se non la sua bocca sembrava in grado di colmare e... Capì.
Non avrebbe mai potuto reggere il confronto, era vero. Alaric, la sua dolcezza e il suo sorriso fresco, le sue buone maniere e quei modi educati che ti conquistavano; le sue labbra fine e gentili, labbra che chiedevano il permesso di baciare e subito dopo chiedevano scusa...non avrebbe mai potuto reggere il confronto con Ben, con la sua arroganza e la sua testardaggine, con i suoi modi bruschi, con quell'aria scortese di cui sembrava soddisfatto, con le sue labbra piene ed irruenti, labbra che non chiedevano il permesso di baciare e non avrebbero mai chiesto scusa.


I feel something so right
Doing the wrong thing
I feel something so wrong
Doing the right thing
I could lie, coudn’t I, could lie
Everything that kills me makes me feel alive*


Lena decise di togliere a Ben la possibilità di alzarsi per primo. Se ne andò appena finì la cena, prima che potesse farlo lui, uscì all'aria aperta della sera che le pizzicava le guance e si incamminò verso neanche lei sapeva cosa. 
Camminò a lungo, mettendo un passo dietro l'altro e senza guardarsi attorno, non le importava dove andava, quello che le interessava era mettere quanta più distanza poteva tra lei e quel gelo che sentiva nel petto. Tutto ciò aveva un che di ironico dato che per scacciare il freddo che sentiva dentro usciva a camminare per strada, dove il freddo era anche fuori, ma poco importava.
Voleva correre, andare lontano, scappare da tutto e si odiava per questo, si odiava per questa sua vigliaccheria che l'aggrediva quando era più fragile. Voleva scappare da Ben, eppure voleva stargli vicino per sempre. Ma doveva scappare da Ben, da quella che era quando stava con lui: una persona molto diversa, una persona che faceva la cosa sbagliata e si sentiva bene facendo la cosa sbagliata. 
- Ma allora è un vizio - Si voltò di scatto verso la voce - Andare in giro di notte, intendo - sbuffò esasperata e alzò gli occhi al cielo a quelle parole. Ci mancava solo quella per concludere la serata in bellezza.
- Anche il tuo è un vizio, ragazza-lupo - rispose stancamente - Seguire i Nephilim, intendo - le fece il verso. Dalle labbra di Nadia uscì una breve risata.
- Ragazza-lupo...che strano nome...sentiamo, come dovrei chiamarti io: ragazza-angelo? - rise ancora. Almeno una delle due era di buon umore.
- Dov'è il tuo ragazzo? - chiese con un'innocente curiosità. Lena si trasformò in una lastra di ghiaccio.
- Ben non è il mio ragazzo! - Nadia si avvicinò scettica, sul viso un'espressine civettuola.
- Però hai capito subito che parlavo di lui - le fece l'occhiolino. Lena accelerò il passo lasciandola indietro.
- Non c'è bisogno di arrabbiarsi, ho capito. Avete litigato - concluse la licantropa accelerando a sua volta il passo.
- Non abbiamo litigato! - ringhiò Lena.
- E allora qual'è il problema? - L'aveva raggiunta.
- Non c'è nessun problema - Nadia non ci credette.
- Certo che c'è un problema, altrimenti sarebbe qui con te. Non ti molla un secondo, non ti lascerebbe mai andare in giro da sola, di notte per di più, ci tiene a te...- disse sicura. 
- Ma che ne sai tu! - la liquidò la Nephilim con un gesto della mano - E poi sono una cacciatrice, mica una bambina -. 
Continuarono a camminare per un po' senza dire una parola. Sotto la luce dei lampioni quella sera Nadia le appariva così diversa da come l'aveva vista all'inizio, ma forse era solo la serata sbagliata.
- Pensi davvero quelle cose che hai detto prima su Ben? - chiese in un sussurro.
- Allora ti importa! - la prese in giro.
- Certo che mi importa, è il mio parabatai! - Il sorriso di Nadia si spense leggermente e divenne più timido, la guardò con quello sguardo, un misto di sostegno e comprensione. Lena si rese conto che sapeva cosa significava essere parabatai e nello specifico cosa significava per loro...
- Oh...- disse. Già, oh...
Superato l'argomento delicato "Ben", continuarono a parlare di molte cose, spaziando da un campo all'altro e scambiandosi opinioni e pensieri. Lena non lo avrebbe mai ammesso, ma le stava piacendo parlare con Nadia e mentre rispondeva alle sue domande invadenti fingendo di essere più scocciata di quanto in realtà fosse, si dimenticò dei problemi e di quel freddo che sentiva nel petto quando se ne era andata dall'Istituto.
Scoprì che aveva sedici anni, Lena le disse che gliene avrebbe dati minimo diciotto e lei fece quel sorrisetto compiaciuto che fanno i bambini quando gli si affida qualcosa di prezioso. Lena di solito si fidava del suo sesto senso e difficilmente era disposta ad andare contro alla sensazione epidermica che le persone le davano, ma forse questa volta, per Nadia, poteva fare un'eccezione.
- Posso chiederti una cosa, Nadia? - la licantropa annuì e Lena prese fiato.
- Se fossi davanti ad un bivio e sapessi perfettamente qual è la strada giusta, la sceglieresti, anche se ogni cellula del tuo corpo sentisse di dover prendere quella sbagliata? - La ragazza non ci pensò due volte.
- Sceglierei la strada che mi rende felice .
- Anche se è quella sbagliata? - Nadia smise di camminare e la guardò per quella che ad entrambe parve un'eternità, quando parlò Lena riconobbe in lei quella malinconia, quella nostalgia, di chi aveva vissuto cento vite.
- Se ti rende felice, non può essere la strada sbagliata -.





*One republic, Counting stars

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Capitolo 9
*** Direzione sbagliata ***



Colgo l'occasione, anche se dovessero esserci anche solo un paio di persone interessate a ciò, per scusarmi della mia "incostanza nel pubblicare", chiamiamola così. Mi rendo conto che non depone a mio favore, io non seguirei una storia senza sapere se l'autore ha intenzione di portarla avanti o meno, perciò chiarisco per quelli che sono interessati: Sì, ho intenzione di portarla avanti, è già praticamente scritta e la pubblicherò fino all'epilogo perché mi piace finire quello che inizio (a prescindere dal numero delle recensioni e cose simili), cercherò di farlo ad un ritmo costante.
Purtroppo, o per fortuna, la vita fuori EFP è ingombrante e dire che è un periodo "pieno" è decisamente un eufemismo.
Detto ciò, spero che vi piaccia il capitolo e che vogliate regalarmi una vostra opinione.
Ultima cosa, ma non meno importante: un grande grazie a principessac

Akilendra






9. Direzione sbagliata

‘Cause I love to feel love
But I can’t stand the rejection
I hide behind my jokes
As a form of protection
I thought I was closed
But under further inspection
It seems I’ve been running
In the wrong direction
(Passengers~The wrong direction) 




Tornata all'istituto Lena aveva trovato un foglietto incastrato sotto la porta della sua camera. 
Dove sei stata? Recitava il biglietto. Non c'era bisogno di alcuna firma per riconoscere l'impertinenza del suo parabatai.
Era davvero incredibile: si erano evitati tutto il giorno, aveva anche fatto quella sfuriata davanti ad Eleanor, per non parlare di quella battuta di pessimo gusto che aveva sganciato come una bomba a cena... E dopo tutto questo le metteva un biglietto sotto la porta, non per scusarsi, non per chiederle di parlare. No, per interrogarla su dove era stata. 
Non gli avrebbe risposto. Anzi no, certo che gli avrebbe risposto, prese una penna e un pezzo di carta.
Non sono affari tuoi, scrisse e dopo averlo piegato in due lo incastrò sotto la sua porta. Così impari, pensò fissando il legno davanti alla sua stanza. Il biglietto si mosse e venne risucchiato verso l'interno.
Oddio, è sveglio.
Si precipitò dentro la sua camera, proprio di fronte a quella di Ben. Un attimo dopo un altro biglietto si affacciava dalla fessura sotto la porta.
Certo che sono affari miei. Quanta presunzione... Acciuffò un altro pezzo di carta.
Sono stata con Alaric. Beccati questa, Ben!
Qualche secondo dopo un certo cacciatore bussava furiosamente alla sua porta.
- Lena, apri! - gridava - Che vuol dire quello che hai scritto? Apri! - Non aprirgli, non aprirgli, non aprirgli.
Alena! - impugnò la penna.
Sei proprio stupido...Alaric è a Londra, come facevo a stare con lui? Incastrò il foglietto nella fessura in basso e si lasciò scivolare a terra, la sua schiena a contatto con la superficie di legno liscio e fresco. 
- Oh... - mormorò il ragazzo da fuori. Battè una mano sulla porta e la usò per scivolare giù. Lena riusciva ad immaginarselo, le spalle spinte contro il legno e le gambe scomposte sul pavimento, una mano poggiata a terra per reggersi e l'altra che cercava di spettinarsi meglio i capelli indomabili. 
- Sei proprio uno stupido...- rilesse ad alta voce il biglietto - È questo che pensi di me, Lena? - Il suono della sua risata roca filtrò attraverso la porta.
- Proprio uno stupido... - ripeté ancora tra sé - Mi dispiace - disse inaspettatamente.
Di molte cose. Mi dispiace di essermi comportato ancora una volta come un bambino, di averti evitato tutto il giorno, di essere esploso davanti a mia madre, di aver fatto quella pessima battuta, anche se solo tu hai capito cosa volevo dire. Era pessima lo stesso. E mi dispiace anche per quello che è successo ieri... - Davvero? - ...Beh, in effetti per quello no - Ah, ecco - Diciamo che mi dispiace del fatto che non mi dispiace, perché a te dispiace... Per l'Angelo, sembra uno sciogli lingua! - Ma Lena aveva capito benissimo e avrebbe voluto dirgli che su una cosa si sbagliava: a lei non dispiaceva, sentiva che doveva dispiacerle, era diverso.
- Lo so che tanto non mi apri lo stesso, ma dovevo dirtelo - Percepiva i suoi respiri anche attraverso la porta, come se avesse anche solo potuto sperare di dividerli un sottile parete di legno. Ben sarebbe stato vicinissimo anche a chilometri di distanza. Sentiva il battito del suo cuore e, se si concentrava, riusciva persino a vedere i suoi occhi dello stesso colore del legno, con quelle macchioline verdi che li facevano brillare. Appoggiò una mano sulla superficie liscia della porta ed immaginò che lì fuori lui stesse facendo la stessa cosa. 
E hai ragione, sono proprio uno stupido...ma ti voglio bene, Lena - Appoggiò una mano sulla superficie liscia della porta ed immaginò che lì dentro lei stesse facendo la stessa cosa.
Ti voglio bene anch'io, Ben... Ma non la apro la porta.

Ma prima o poi quella porta avrebbe dovuto aprirla. Era una porta metaforica e l'aveva costruita lei stessa per proteggersi. Sì, avrebbe dovuto aprirla, o magari no. Magari Ben le avrebbe facilitato la questione sfondandola in pieno. Una porta sfondata non si può più aprire. 

- Dobbiamo parlare - Aveva detto subito dopo la colazione prendendola per un braccio e trascinandola di fuori. Si era messo davanti a lei, sul gradino più basso davanti all'entrata dell'Istituto, mentre Lena era sul più alto; questo modo erano alla stessa altezza.
Mettiamo in chiaro una cosa: ieri sera è stato un caso eccezionale, non mi scuserò più per nient'altro, neanche per il...- Non lo lasciò finire.
- Sei proprio stupido -.
- L'hai già detto ieri - Che faccia tosta.
- Le verità non stancano mai -.
- Touché -.
- Comunque se quello che volevi dire è che non ti scuserai per il...il...- Stavolta fu Ben ad interromperla
- Bacio? - chiese impertinente - È questa la parola che non trovavi, Alena? - Il viso della ragazza si colorò di un rosso acceso.
- B a c i o - sillabò - È facile, puoi dirlo anche tu, non ti si brucia mica la lingua - la punzecchiò divertito dal suo imbarazzo.
- E comunque sì, intendevo proprio quello. Ci si scusa per un errore, per una cosa sbagliata, per un torto.. Ma non ci si scusa per un bacio. Meno che mai se anche l'altra persona lo voleva... E tu lo volevi, Lena. Perciò no, non mi scuserò per quel bacio - Porta sfondata.
Non poteva credere che ne stesse davvero parlando, per di più sui gradini dell'Istituto, con quella tranquillità e quella naturalezza che lei non sarebbe mai riuscita ad avere in una situazione del genere. Non poteva crederci, ma infondo cosa si aspettava? Che le regalasse una scatola di cioccolatini e la invitasse fuori a cena? Era Ben. 
- Non mi scuserò per quel bacio - ripeté. Sul viso era sparito anche quell'accenno di divertimento di poco prima - Non dirò che mi dispiace, perché non mi dispiace e lo rifarei senza pensarci due volte, senza avere il minimo rimorso. Lo rifarei anche ora - Quelle parole. Lui... troppo vicino. Le sue labbra... troppo invitanti. Si avvicinò ancora di più, lentamente, i loro visi erano separati da poco più che un respiro. Rise piano godendosi l'espressione terrorizzata della sua parabatai e gli sbuffi della sua risata le arrivarono sulle labbra. Posò la bocca sulla sua guancia.
- Non ti preoccupare, Alena. Mi assicurerò che il prossimo bacio sarai tu a darmelo -.
E mentre se ne andava e la lasciava ancora sola, come tante altre volte e come la prossima, aveva il suo viso stampato a fuoco nella mente. Quel viso sul quale infuriava una guerra, quel viso dal quale si capiva quali tormenti la logorassero dall'interno. La stava consumando piano, è questo quello che stava accadendo, lentamente Lena veniva erosa dal loro malsano rapporto.
Si chiese se con il suo comportamento strafottente, che tra l'altro era l'unico comportamento che riusciva ad avere, non facesse solo peggio e si rispose che sì, effettivamente non faceva che correre nella direzione sbagliata. 


La ferrovia dell'amore è piena di stazioni. Ben non era salito sul treno giusto e non faceva altro che correre nella direzione sbagliata. Non era colpa sua, è che nessuno gli aveva mai detto che il suo era un binario a senso unico.
Il treno di Lena correva veloce e lui non riusciva a raggiungerlo.


- Non vorrei essere impertinente, ma è mezz'ora che la aspettiamo - Lena lo guardò scocciata.
- Tu sei sempre impertinente - sbuffò alzando gli occhi al cielo e lui di rimando mise sù un'espressione piccata, ma stranamente non replicò.
Ha detto che sarebbe venuta, quindi verrà - Ne era convinta.
Io le donne non le capirò mai: due giorni fa la odiavi ed ora siete grandi amiche? - Lena sollevò le sopracciglia: ecco a cosa era servito raccontargli dell'incontro con Nadia.
- Non siamo grandi amiche... - sbuffò.
Il cacciatore, seduto sui gradini dell'entrata dell'Istituto, si reggeva il viso nel palmo della mano; quando Lena gli chiese per la centesima volta l'orario, lui quasi le sbatté in faccia l'orologio che aveva allacciato al polso.
- Molto mondano per i tuoi gusti - ridacchiò guardando le lancette blu, lui la ignorò cambiando discorso.
- Mi è cresciuta la barba ad aspettarla...uh, guarda, un capello bianco! - la prese in giro. Lena tuffò la sua mano tra i capelli del ragazzo e ne strappò uno.
- Ora non ce l'hai più - gli sorrise serafica - Andiamo! - Ben si strofinò la testa lamentandosi.
Ma dove? - domandò sbigottito.
La andiamo a cercare. Muoviti! -.

Lena ricordò che Nadia quella sera le aveva detto di essersi trasferita a casa di un'amica a Russian Hill* dopo l'incendio al covo dei licantropi, nell'impeto della sua chiacchierata sciolta le aveva anche detto nome e cognome. Lena l'andò a cercare proprio lì. 
- где я могу найти Irina Titov?** - Ben spostò lo sguardo sbigottito da Lena all'uomo a cui si era fermata a chiedere informazioni. Questo le indicò una strada a sinistra e le disse qualche altra strana parola che il ragazzo ovviamente non capì.
- Mia madre era russa, si è trasferita in Bulgaria quando ha sposato mio padre. Ci teneva che parlassi anche la sua lingua... - spiegò vedendo l'espressione stupita del suo parabatai. Sprazzi della sua infanzia riaffiorarono seppelliti sotto altri ricordi. La voce di sua madre che la chiamava... Алена...
La voce di Ben la riportò al presente.
- Non lo sapevo - disse semplicemente. Si rese conto che in effetti erano molte le cose che non sapeva su di lei. Conosceva bene quanto se stesso Lena, la ragazza che in questi anni gli era entrata dentro ritagliandosi un posto speciale nel suo cuore; quella orgogliosa e testarda, dalla risata contagiosa e dallo spiccato senso del dovere. E poi c'era Alena, la ragazzina bulgara dal passato doloroso, quella tenace e tormentata che emergeva qualche notte svegliata dagli incubi urlando in una lingua che Ben non capiva. Erano la stessa persona, eppure c'era sempre stato un delineato confine tra le due, confine che ultimamente si stava sfumando sempre di più.
- Dovrebbe essere infondo a questa strada - In risposta lui fissò scoraggiato la via davanti a loro, era una grande e ripidissima zig zag, ai lati i due marciapiedi erano affollati di gente.***
- Vieni, passiamo sulla strada, facciamo prima - Era sicuro che l'avrebbe detto. Ma certo, non potevano camminare sui marciapiedi dritti come ogni comune mortale... No, loro dovevano consumarsi le gambe e farsi quella scarpinata piena di curve. Non protestò dato che non sarebbe servito a niente. 
Trovata la targhetta giusta, suonarono il citofono dal quale, dopo poco, uscì una voce femminile con un forte accento. Chiedeva, senza la pretesa di essere gentile, chi diavolo fossero e quando Lena presentò se stessa ed il suo parabatai come "amici di Nadia" la donna non rispose, sbuffò rumorosamente però e, dopo qualche secondo di apparente esitazione, aprì il portone. Entrati nel palazzo i due cacciatori cominciarono a salire i numerosi gradini: ovviamente abitava all'ultimo piano ed ovviamente non c'era l'ascensore.
- Nadia non è qui. Chi la vuole? - Li "accolse" la voce dal forte accento. Aprì uno spiraglio di porta, ma senza levare la catenella, li scrutò dalla testa ai piedi e la sua espressione cambiò.
- Oh... Nephilim... - pronunciò sprezzante. Chiuse la porta e Lena già vedeva andata in fumo l'unica possibilità che aveva di trovare Nadia. Un attimo dopo però questa la riaprì e, levata la catenella, la spalancò.
Entrate - Lo disse continuando a schifarli con gli occhi, evidentemente, a dispetto di ciò che aveva appena detto, non avrebbe voluto invitarli ad entrare in casa sua per niente al mondo. E allora cosa l'aveva spinta a farlo?
Ben fu il primo a varcare la soglia di quell'abitazione, scostando leggermente la proprietaria che era rimasta piantata sull'uscio in netto contrasto con le sue parole. 
- Due Nephilim - considerò guardandoli entrare. 
Una strega - disse in risposta Ben fissando apertamente le due piccole orecchie da gatto che spuntavano tra i suoi capelli color perla. Maleducato.****
Lei è Irina? - chiese Lena spezzando l'atmosfera tesa e cercando di oscurare l'impertinenza del suo parabatai.
- E chi sennò? - rispose brusca scrutandola - Chi vi ha detto il mio nome? - Lena portò una ciocca dietro l'orecchio quattro volte nel giro di pochi secondi cominciando a sentirsi leggermente a disagio.
- Nadia - Quella donna li trattava in modo diffidente e la indispettiva, inoltre non sembrava affatto intenzionata ad invitarli a sedersi. No, decisamente essere gentile non rientrava nelle sue priorità.
Beh, non è qui. Non la vedo da due giorni - A Lena si accapponò la pelle, sentiva come uno strano presentimento... Mentre la vecchia donna era intenta a fissarla, Ben dietro di lei stava cercando in tutti i modi di sfilare da dietro al vetro la foto di Nadia esposta in bella vista sul mobiletto dell'ingresso. Alla fine se la mise in tasca con tutta la cornice.
- Fossi in voi non mi preoccuperei più di tanto. Capita che... Nadia sparisca qualche volta. Il tempo è l'ultimo dei suoi problemi... Ma ora levatevi di mezzo. Ho di meglio da fare - Li prese sotto braccio e li spinse poco gentilmente verso l'uscio. Era stato un incontro da tempo record e Lena si ritrovò a considerare fra sé se non sarebbe stato più semplice scambiarsi quelle quattro parole fuori dalla porta dato che avevano dovuto letteralmente spostarla per poter mettere piede in una casa in cui erano rimasti per cinque minuti. 
- сволочи! - borbottò la strega chiudendogli la porta in faccia.
- Cos'è che ha detto la vecchia? - La ragazza scrollò le spalle.
- Ho come l'impressione che si sia accorta del tuo furto -.

Lena non voleva ammetterlo per non cedere alla negatività, ma le si annodava lo stomaco per la preoccupazione. A modo suo, nonostante gli intoppi iniziali, aveva sviluppato una profonda simpatia per Nadia ed il fatto che fosse sparita da un giorno all'altro la metteva in agitazione. La ben sottosviluppata e ben poco sensibile coscienza di Ben invece, non se la sentiva di spingere il suo padrone a provare sentimenti tanto forti verso una persona che aveva appena conosciuto. Certo, il fatto che fosse sparita non lo lasciava del tutto indifferente, a maggior ragione perché si era rivelata un'ottima informatrice, semplicemente però decise di confidare nelle parole della strega bisbetica. Aveva detto che capitava che Nadia sparisse ogni tanto e aveva aggiunto una frase enigmatica sul fatto che di tempo ne aveva quanto ne volesse. Licantropi: perdigiorno.
- Ehi - Ben guardò Lena con quell'espressione di chi si sarebbe volentieri fatto carico delle sue preoccupazioni. Avrebbe risucchiato i suoi pensieri negativi come fanno con la polvere quegli strani aggeggi che usano le casalinghe mondane, se solo avesse potuto. Avrebbe spostato a mani nude una montagna, se quella infastidiva Lena, o per lo meno ci avrebbe provato con tutte le sue forze. Non era quasi la stessa cosa? 
- Sono sicuro che non è nulla - la rincuorò accarezzandole una guancia con straordinaria premura - Vedrai, la ritroveremo mezza sbronza sotto un ponte che fa amicizia con i barboni e gli spacciatori di San Francisco. Non c'è nulla di cui preoccuparsi! - ironizzò strappandole una risata.
- Sul serio, non incasinarti troppo qui dentro - disse picchiettandole la testa con un dito. Lena sorrise e di conseguenza sorrise anche Ben. La sua mano scivolò leggera sul viso di lei, il pollice si trovò a tracciare piccoli cerchi immaginari sullo zigomo. Lei chiuse gli occhi... Si mosse delicato spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio, seguì la linea della mascella, il contorno delle labbra... li riaprì di scatto. La sua mano corse subito a fermare quella di Ben.
No, sembrava dire con quella mano, è esattamente quello che stavo cercando di evitare. Sì, ribatteva lui guardandola in quel modo, è esattamente quello che stavi cercando di trovare.


La ferrovia dell'amore è piena di stazioni, peccato che Ben avesse scelto un treno bastardo: correva nella direzione sbagliata e non si fermava mai, non lo lasciava scendere mai.
Il treno di Lena correva veloce e lui non riusciva a raggiungerlo.


Lena si era subito allontanata, aveva abbassato gli occhi cercando una via di fuga a quella situazione imbarazzante e poi aveva farfugliato, in modo a dir poco impacciato, che dovevano andare da Magnus per vedere se sapeva qualcosa sulla scomparsa della licantropa. E cosa avrebbe potuto dirgli Magnus che già non sapessero? Era uno stregone, mica Raziel! Non la conosceva neanche Nadia.
Davvero una scusa patetica, Alena.
Ma aveva deciso di assecondarla, c'era andato comunque a bussare alla porta di quella checca isterica glitterata di uno stregone.
- Elena, che piacere vederti! - Magnus li invitò ad entrare entusiasta di vederli, o meglio, di vedere Lena e i suoi occhi blu.
- Si chiama Alena, idiota - borbottò Ben tuffandosi, senza che nessuno lo avesse invitato a farlo, sul divano blu elettrico del soggiorno.
- Oh, Benjamin, ci sei anche tu! Non ti avevo visto - disse senza neanche degnarlo di uno sguardo. Invece guardò Lena.
- Cosa posso fare per te, raggio di sole? - Ben alzò gli occhi al cielo sentendo il nomignolo che aveva affibbiato alla sua parabatai; per dispetto, morse uno di quei dannati cuscini ricamati che Magnus teneva sempre sul suo divano.
- Mi chiedevo se per caso sapessi qualcosa su una certa Nadia Williams. Faceva parte del branco di licantropi il cui covo è stato incendiato, è sparita da un paio di giorni. Ha solo sedici anni...-.
- Elena cara, ma io sono solo un semplice stregone, mica il vostro Raziel! Non so nemmeno chi sia questa ragazza... - Un verso di approvazione uscì dalla bocca di Ben.
È quello che dicevo anch'io! - Lena lo fulminò con lo sguardo.
Pensavo che magari tu... Guarda, abbiamo qui con noi una sua foto, magari puoi fare uno di quei giochetti con i pupazzetti che fanno i maghi per individuare dove si trova la gente - Magnus si batté la fronte con una mano.
- Mi hai forse preso per una fattucchiera? Quelli sono riti vudù e non c'entrano un bel niente col rintracciare la gente - rispose incredulo e vagamente offeso nel suo orgoglio da stregone. Lena tirò fuori ugualmente dalla tasca di Ben la fotografia della ragazza.
Appena la vide l'espressione di Magnus si fece seria, ogni traccia di ilarità del tutto sparita. Per alcuni minuti non disse niente, quando parlò lo fece con una voce che non sembrava neanche la sua.
- Quella non si chiama Nadia e non è una sedicenne. Il suo nome è Lilian, è su questa terra da circa ottocento anni ed è mia sorella -.








* : C'è davvero questo quartiere a San Francisco ed è davvero perlopiù abitato da russi
** : La mia unica fonte per questa banale traduzione dall'italiano al russo è stata google traduttore quindi se per caso ci fosse qualcuno più competente in materia che volesse correggermi lo prego di farlo
*** : C'è anche questa strada a San Francisco, è molto famosa a dire la verità per la sua forma a zig-zag 
**** : Ho letto da qualche parte, probabilmente sul Codice, (non fatemi ingannare dal fatto che non ricorda dove con precisione, ne sono piuttosto sicura) che non è affatto educato fissare apertamente il "segno" di uno stregone, in questo caso le orecchie da gatto di Irina. Ben lo fa, ovviamente. Chi ha mai detto che fosse un campione di educazione? 

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Capitolo 10
*** Bianche promesse ***


Con la speranza che questo capitolo sia utile a districare i dubbi di principessac su Nadia, o magari a creargliene di nuovi ;) 






10. Bianche promesse

Io ti guardo negli occhi 
hai le ciglia bagnate
e prometti di tutto
e nevica ancora da togliere il fiato
(Ligabue~La neve se ne frega)



- Tua sorella? - chiesero all'unisono i due cacciatori, le espressioni sbigottite di puro stupore.
- Gemella, in effetti - Tutt'un tratto sembrava tremendamente stanco. Quella sì che era davvero una strana situazione.
- Come diavolo è possibile? Questo vuol dire che non è una licantropa? - domandò Ben. Lena era decisamente troppo sconcertata per riuscire a formulare una frase di senso compiuto. 
- L'ultima volta che l'ho vista non mi pareva che avesse orecchie troppo lunghe o puzzasse di cane - Ci fu un attimo di attonito silenzio e Magnus si sentì costretto a spiegare meglio.
Certo che è una strega - Gli occhi dei due Nephilim erano puntati sull'uomo mentre camminava avanti e indietro sulla moquette verde acido del suo eccentrico appartamento.
- Allora perché non abbiamo visto il suo marchio da strega*? - La fronte corrugata mentre cercava di riflettere.
- Perché è ben nascosto - ridacchiò nervoso lo stregone. Lena era immobile, in piedi vicino all'enorme camino.
- Come abbiamo fatto a non accorgerci che non era una licantropa? - domandò più a se stessa che all'uomo. Magnus scosse la testa.
- Lilian è una strega potente e, se voleva farvi credere di essere una persona che non era, ci sarebbe riuscita in ogni caso. Non caricarti le spalle di colpe che non hai, cacciatrice - C'era un che di paterno in quelle parole e Lena non si sentì di contraddirlo.
Aspettate un attimo... Ma voi come l'avete conosciuta? - Ora era il turno dello stregone di fare domande.
- Ci ha trovati lei, dopo l'incendio al covo del suo branco - spiegò Ben. Lena si sentì costretta ad intervenire.
- Finto branco - lo corresse.
- Abbiamo anche visto il marchio dei licantropi di San Francisco sul suo braccio... -
Finto marchio -.
- Ci ha addirittura parlato del suo rito di iniziazione... - 
Finto rito - Due paia di occhi si rivolsero verso di lei.
- Abbiamo afferrato il concetto, Dolcezza! - Magnus sospirò lasciandosi cadere sul divano.
- Lilian è sempre stata brava a raccontare storie... - disse con amarezza. Qualsiasi cosa fosse successa fra loro, era chiaro che non gli era bastato qualche secolo per digerirla.
- Non sapevo neanche che fosse tornata in Europa -.
- Ti viene in mente dove può essere andata? -.
Non ne ho la più pallida idea, non la vedo da trecento anni - Lena sospirò tesa e allora lui si sentì in dovere di tranquillizzarla a modo suo.
Non per dirti niente, ma è sparita da due giorni, sai quanti sono due giorni per qualcuno che è immortale? - domandò retorico.
- Il tempo è l'ultimo dei suoi problemi... L'aveva detto la strega - Con quella frase Ben si era guadagnato tutta l'attenzione di Magnus. 
Quale strega? -.
Una bisbetica con le orecchie da gatto. Com'è che si chiamava, Lena? Irina? - 
- Titov? -.
- Proprio lei - L'uomo si alzò di scatto dal divano.
- State lontani da Irina Titov! - Li avvertì - Non è il genere di strega che sia raccomandabile frequentare -.
Qui quella che la frequenta è tua sorella. Vive da lei - Precisò Ben. Magnus sembrava oltremodo confuso.
Da Irina... Come ha potuto andare a vivere da Irina? Da Irina, Irina Titov... -.
Ehm... Mentre voi discutete su dove era meglio si trasferisse, vorrei ricordarvi che nel frattempo... È sparita! - sbottò Lena - Immagino che due giorni per te, Magnus, non siano niente, ma sono abbastanza per far preoccupare me che sono una piccola ed insulsa mortale! - continuò rivolgendosi allo stregone - Se voi avete piacere di continuare queste inutili discussioni, fate pure, ma non aspettatevi che io rimanga qui ad ascoltare - Così dicendo raggiunse la porta ed uscì sbattendosela dietro.
Lo stregone e il cacciatore sospirarono all'unisono.
- Donne...sono diciannove anni che le studio e rimangono ancora un mistero - Con aria eccessivamente grave Magnus posò una mano sulla spalla del cacciatore.
- Io ho passato ottocento anni della mia esistenza a cercare di capirci qualcosa. Da un paio di secoli ci ho rinunciato. Ho tentato con gli uomini e mi sono reso conto che, essendo creature decisamente primordiali, sono molto più semplici ed istintive... Dovresti provare anche tu - Il ragazzo sgranò gli occhi e si scrollò di dosso terrorizzato la mano dello stregone.
Non ci provare - disse alzandosi dal divano e agitando l'indice nella sua direzione.
Non ti preoccupare, Benjamin, non sei il mio tipo. Non hai nemmeno gli occhi blu... - ridacchiò, ma il ragazzo era già sparito dietro la porta. 

- Lena! - il vento di San Francisco là fuori stava dando il meglio di sé e la ragazza, che si era dimenticata a casa di Magnus la giacca, camminava a passo spedito cercando di ignorare le raffiche di aria gelata che le si insinuavano sotto la pelle.
- Aspetta, Lena! - Ben cercava di raggiungerla, il leggero fiatone si trasformava in sbuffi di fumo mentre usciva dalla sua bocca. Quando Lena si voltò e lo vide non poté fare a meno di pensare che sembrava un drago. Quell'immagine buffa la fece rallentare e permise al ragazzo di raggiungerla.
Ma sei matta, ti prenderai un raffreddore! - la sgridò sfilandosi il suo cappotto e mettendoglielo sulle spalle.
- Così te lo prendi tu il raffreddore - Ben fece spallucce.
- Non mi importa -.
I capelli di Lena danzavano nell'aria gelida. Il vento li scompigliava, glieli buttava in faccia, li lanciava indietro e lei lo lasciava fare.
- A me importa - Prima che il ragazzo potesse ribattere aveva già sfilato un braccio dal cappotto e ci aveva infilato a forza quello di lui. Una manica per uno. Si abbracciarono stretti, ognuno con la mano che aveva libera dal cappotto, ed era una posizione così famigliare, intima eppure tanto naturale. Non c'era spazio per l'imbarazzo stavolta: avevano freddo e si abbracciavano.
Cominciò a piovere ed il cappotto nel quale si stringevano non aveva il cappuccio. Lena accettò la proposta di Ben di fermarsi da qualche parte ed aspettare che spiovesse. Insieme entrarono nel primo locale che trovarono per strada.
Appena fu dentro si ritrovò a guardarsi intorno stralunata. C'erano vasi di fiori sui tavoli, festoni rossi attaccati alle pareti; dietro al bancone una cameriera vestita di un improbabile vestitino rosa confetto preparava un frappé. Cuori giganti penzolavano attaccati al soffitto.
Ma dove siamo finiti? - mormorò confusa. Ben scoppiò a ridere.
- È il 14 Febbraio -.
So benissimo che giorno è, domani è il mio... - La ragazza-confetto la interruppe piazzandoglisi davanti. Cominciò ad elencare i piatti forti della casa mentre li accompagnava ad un tavolo. In realtà parlava con Ben, prestò attenzione a Lena solo quando lui le chiese cosa desiderasse ordinare. Allora, con un sorriso a trentadue denti, chiese, sempre a Ben, se voleva ordinare la specialità di San Valentino da dividere... con la sua ragazza, questo lo disse con aria leggermente schifata. Lena spostò lo sguardo verso il soffitto per dissimulare l'imbarazzo di essere scambiata per la ragazza di Ben e per impedirsi di saltare sul tavolo e strangolare quel confetto ambulate che non la smetteva di mangiare con gli occhi il suo parabatai. Le sue guance dovevano essere diventate dello stesso colore dell'enorme cuore che penzolava sopra il loro tavolo. Ben declinò gentilmente l'offerta ma non disse niente per sciogliere l'imbarazzante equivoco. Perché non le aveva detto che non era la sua fidanzata? La ragazza-confetto se ne andò piccata e alla cacciatrice non sfuggì il modo in cui ancheggiò facendo muovere la gonna rosa mentre si allontanava dal loro tavolo.
- Certo che sono un po' strani qui dentro... - Ben non ce la fece più e scoppiò a ridere. Le spiegò cos'era San Valentino e perché i mondani ci tenessero tanto. Tuttavia nella testa da Nephilim di Lena quella festa era pressoché inutile.
- Se ami una persona... -.
...Lo fai tutti i giorni - finì la frase per lei. Mentre la guardava fissa negli occhi, si sorprese a pensare che nelle vene di Lena dovesse scorrere più sangue angelico che in quelle di un normale Nephilim.
Tutti i giorni.
- Ma che vuoi farci, sono mondani! - Sorrise, sciogliendo l'imbarazzo.
Lena continuò ad arrossire per ogni sciocchezza nel corso della serata ed ogni volta Ben si mordeva le labbra per trattenere la risata che sentiva pizzicargli la gola.
Com'era bella, arrossiva per tutto. Anche in quel momento: le gote colorate di quell'infantile imbarazzo, l'espressione da bambina mentre cercava a tutti i costi di non incrociare i suoi occhi. Com'era bella. Le sfiorò una guancia, con due dite spostò il suo viso per far incrociare i loro occhi.
Tutti i giorni, Lena. Io ti amerei tutti i giorni.
Non era mai stata così bella. Il labbro inferiore stretto in una dolce morsa, le ciocche spettinate sfuggite allo chignon le incorniciavano il viso, le guance rosse di freddo e di imbarazzo, le piccole efelidi, gli occhi limpidi nei quali si fondevano cielo e mare. Era bella, di pura e semplice bellezza, era bella come lo è un'alba o un tramonto, come la risata di un bambino, bella come l'arcobaleno dopo una tempesta. Bella e basta, di una bellezza che non si poteva dire né spiegare, forse neanche guardare e Ben si sentiva così fortunato a poterlo fare in quel momento, si sentiva l'uomo più fortunato del mondo.
Qualcuno si avvicinò al loro tavolo, teneva tra le braccia decine di rose rosse.
Ragazzo, non la compri una rosa per la tua bella fidanzata? - Il cacciatore guardò divertito la sua parabatai che sarebbe volentieri voluta sprofondare sotto il tavolo.
Certo che gliela compro - Non le staccava gli occhi di dosso.
- Ben! - squittì lei.
- Anzi, le prendo tutte - la sfidò sfacciato appoggiando i gomiti sul tavolo ed avvicinandoglisi. Lena strabuzzò gli occhi mentre l'uomo, tutto contento di aver venduto più di quanto sperava, appoggiava tutte le rose sul tavolo. 
- Tu sei pazzo - Ben rise forte, mezzo locale si girò a guardarli e Lena pensò che non sarebbe potuto essere più imbarazzante di così, ma poi si disse che con Ben non si poteva mai sapere e perciò le conveniva non sfidare la sorte.
- Sei diventata dello stesso colore delle rose, Alena - bisbigliò, come fosse un segreto tra loro due, la voce così bassa che le fece venire la pelle d'oca. Spostò lo sguardo sui fiori che ricoprivano il tavolino e accarezzò un petalo vermiglio. Era morbido, sembrava quasi di velluto. Si avvicinò ad un bocciolo per sentirne il profumo. Adorava le rose. 
- Sono il mio fiore preferito, le rose rosse - Per un momento quello scontroso imbarazzo abbandonò il suo viso.
- Lo so - rispose sicuro con un sorriso. Solo allora si rese conto che una spina gli aveva ferito una dito, lo guardò. Quando glielo aveva detto? Dovevano essere passati anni, eppure se lo ricordava ancora. Cercò nei suoi occhi un indizio del passato, il ricordo di un ricordo...gli occhi di Ben erano sempre stati scuri, ma sotto la luce del sole piccole pagliuzze verdi-dorate sembravano danzare vicino la pupilla, a Lena era da sempre sembrata una magia...

...il sole era alto nel cielo nonostante fosse Febbraio, i suoi raggi timidi scaldavano piacevolmente la pelle, era una giornata in cui non si poteva rimanere chiusi dentro all'Istituto. Quel giorno si sentivano intrepidi, erano usciti senza chiedere il permesso...si erano nascosti dietro un enorme cespuglio pieno di fiori, rose. Sono il mio fiore preferito, le rose rosse, aveva detto la ragazzina dagli occhi blu. Allora il suo compagno si era alzato per cogliere il fiore più in alto, la rosa più bella, quella più rossa; gliel'aveva regalata con un sorriso, solo allora si era resa conto che una spina gli aveva punto un dito. Lo aveva guardato negli occhi: piccole pagliuzze verdi-dorate danzavano nelle iridi scure. A Lena era sembrata una magia.

- Hai proprio un brutto rapporto con le rose, eh? - Gli prese la mano tra le sue e avvolse il dito in un fazzoletto - È la seconda volta che ti pungi - bisbigliò distrattamente.
La seconda volta...ti ricordi la prima, Lena? 
Entrambe le volte è stata colpa tua -.
Non è vero, non ti ho chiesto niente nessuna delle due volte. Come può essere colpa mia? - Il ragazzo fece un sorriso mesto.
- È sempre colpa tua - Il tono impertinente, ma gli occhi malinconici.
Ti ricordi, Lena? La mattina dopo al tuo risveglio hai trovato una rosa sul tuo letto, era il tuo compleanno.

Non aveva smesso di piovere quando uscirono dal locale, né aveva rallentato. Grosse gocce cadevano implacabili dal cielo e non volevano sentire ragioni, avrebbero bagnato qualsiasi cosa avessero incontrato nel loro viaggio dalle nuvole all'asfalto e sfortunatamente Ben e Lena si trovavano proprio in mezzo: tra le nuvole e l'asfalto. La pioggia non aveva risparmiato neanche le rose che la ragazza teneva strette al petto, erano arrivati all'Istituto completamente fradici.
Mi è entrata pioggia in posti che credevo non potessero essere bagnati - si lamentò il cacciatore sfilandosi una scarpa sui gradini davanti all'entrata. La svuotò e ne uscì tanta acqua da riempire un secchio.
- Saremmo potuto rimanere a casa di Magnus a scaldarci davanti a quell'enorme camino se qualcuna non fosse scappata per strada in preda ad una crisi isterica - brontolò svuotando anche l'altra scarpa. Lena sbuffò.
- Non prendertela con me. Guardami, non sono certo messa meglio! - E Ben la guardò, ma forse sarebbe -- stato meglio non farlo. I capelli zuppi le si appiccicavano sul viso, piccole goccioline le cadevano dal naso e scivolavano giù per il collo, seguendo un percorso tortuoso di curve che la pioggia aveva accentuato facendo aderire la maglietta fina al suo corpo. 
Si impose di respirare e di non guardarla così sfacciatamente. Non fece nessuna delle due cose, ovviamente. 
- Smettila di fissarmi - Le braccia incrociate sul petto, le guance colorate di porpora.
- Non incrociare le braccia sul petto, Alena. Così fai solo peggio - la schernì senza smettere di fissarla. La cacciatrice strabuzzò gli occhi, ma mantenne le braccia esattamente dov'erano.
- Smettila - squittì.
Oh, Lena, tu non vuoi che io smetta.
- Mi hai detto tu di guardarti! - ridacchiò. Era la persona più impertinente che avesse mai conosciuto. Le sfuggì dalle labbra un verso isterico, lui rise, gli occhi accesi di divertimento e di qualcos'altro.
Sei impossibile, Benjamin Fairway.

Ben guardava indeciso il portone dell'Istituto. Era tentato di entrare con le scarpe bagnate in casa solo per il gusto di far arrabbiare Grace e l'avrebbe fatto, se solo Lena non avesse preso subito le parti della donna. Pensò che sarebbe stato uno spasso guardarla mentre li rincorreva brandendo una scopa, l'unico genere di arma che le si addicesse. 
- Non preoccuparti di scatenare l'ira funesta della zia Grace, Lena, non può accaderci niente. Abbiamo esaurito le stranezze per oggi - La mano già sulla maniglia del portone. Si sbagliava.
Oh, io dico che qualcosa potrebbe ancora accadere - ribatté Lena alle sue spalle.
- Ma figuriamoci, cosa potrebbe accadere ancora? - chiese spavaldo.
Potrebbe nevicare, ad esempio -.

Erano anni che non nevicava a San Francisco. Perturbazioni atmosferiche come quelle erano molto rare per quel clima, il fedele compagno della città era da sempre stato il vento.
Ora però piccoli fiocchi piovevano giù dal cielo, leggeri volteggiavano nell'aria, atterravano planando su ogni cosa. Coperto dalla neve era tutto un po' più poetico: le strade, le case, le aiuole. Niente era più semplicemente ciò che era, tutto appariva un po' più pulito, più morbido, più chiaro. San Francisco aveva indossato un candido mantello e non era mai stata così elegante.
Ben non se la ricordava neanche la neve. L'aveva vista solo una volta anni ed anni prima, da bambino. Ricordava di aver provato a metterla in bocca e di essersi reso conto, con un po' di delusione, che non era zucchero a velo. Ora guardava stupito i fiocchi che gli si posavano addosso come fossero stati tanti piccoli alieni che piovevano dal cielo.
Lena non riusciva a smettere di ridere, lei sì che ricordava la neve. Ricordava la Bulgaria, quell'inverno che era bianco per definizione e quella strana familiarità che c'era nel farsi sfiorare la pelle dal freddo. E adesso che San Francisco assomigliava così tanto al paesaggio che popolava i suoi ricordi sentiva solo nascerle dentro una grande euforia. Quando la neve cominciò ad attecchire ed i primi sottili strati iniziarono ad attaccarsi ovunque, per la contentezza si buttò la terra. Chiamava Ben, lo invitava ad unirsi a lei, non la smetteva di ridere.
- Questa è la volta buona che ci viene una polmonite - commentò il ragazzo con aria melodrammatica.
Che ti importa? Tanto abbiamo esaurito le stranezze per oggi, no? Non può accaderci più niente - gli ripose con le sue stesse parole. L'ironia della sorte. Ben la guardò per qualche altro secondo, combattuto tra liberare il bambino che c'era in lui e fare il serio. Per fortuna fu un combattimento interiore piuttosto veloce. Contò fino a tre e si buttò in mezzo all'erba innevata del prato davanti all'Istituto.
- Quanto è bella - Aveva gli occhi chiusi, un fiocco di neve le si posò su una palpebra. Ben annuì alle sue parole.
Bellissima - disse guardandola ora che non poteva vederlo.
In Bulgaria quando nevica si fa sempre il gioco delle promesse - Un sorriso le illuminò il viso arrossato per il freddo - Ognuno fa tre promesse e deve cercare di mantenerle fino alla prossima nevicata -.
- Tu lo sai che, se mai ci sarà, non vedremo la prossima nevicata di San Francisco, vero? -.
- Shhh! - lo zittì - Devi mantenere le tue promesse fino alla prossima nevicata - Il tono cocciuto di una bambina.
- E se non le mantengo cosa succede? - la provocò divertito. Lena fece spallucce, si rotolò nella neve, poi rispose.
- Paghi un pegno - Sembrava infinitamente più giovane sdraiata su quel prato ad occhi chiusi. 
Io prometto di essere sincera - iniziò - Di evitare che le spine di una rosa ti pungano una terza volta - continuò ridendo - E...prometto di sbagliare - finì seria.
- Cosa? - la Nephilim scosse la testa sorridendo leggermente.
- Hai capito bene. Prometto di sbagliare -.
Non ha senso -.
Per me ha molto senso. Tocca a te - disse aprendo gli occhi e girandosi per guardarlo. Aveva le ciglia bagnate e il sorriso negli occhi. Nevicava ancora da togliere il fiato.
- Prometto di mentire a fin di bene, di non pungermi con la spina di una rosa una terza volta e di farti sbagliare - E rimasero lì, vicini e immobili, mentre la neve continuava a cadere coprendo loro e le bianche promesse che si erano scambiati.
Un secco colpo di tosse ruppe la magia e li fece voltare entrambi.
Credetemi, mi dispiace interrompervi proprio sul più bello, ma... - Lena si alzò di scatto cercando di scrollarsi di dosso alla meglio la neve appiccicata ai vestiti bagnati e di darsi un contegno. Fissò truce la figura che le si parava davanti agli occhi: capelli scuri e lisci, pelle bianca, tratti vagamente orientali.
Ma guarda chi si vede: Nadia! O forse dovrei chiamarti Lilian? - L'espressione sul volto della ragazza, ragazza di quasi ottocento anni, cambiò di botto.
Chi ti ha detto quel nome? - Sembrava sinceramente sorpresa, ma del resto era sembrata sincera per tutto il resto del tempo. Non c'era da fidarsi.
Tuo fratello - La strega impallidì.
- Conoscete Magnus? - Ben sorrise furbo, ancora sdraiato a pancia in su nella neve.
Piuttosto bene, in effetti -.
Oh, allora suppongo di dovervi delle spiegazioni più tardi... - Gli occhi di Lena si spostarono sulla figura appena dietro di lei: una giovane donna dalla pelle ambrata e dagli occhi da cerbiatta. Le braccia incrociate sul petto e lo sguardo che si posava su ogni singolo fiocco di neve piuttosto che indugiare su di loro.
Chi è quella? - Lilian sorrise.
Nadia Williams -.
Mi prendi in giro? Un'altra? - chiese sbalordita sbirciando la bruna alle sue spalle. 
No, la sola ed unica - rispose la ragazza facendo un passo avanti, il mento alto e gli occhi intelligenti che finalmente guardavano verso di loro.
Sarà meglio che non ne venga fuori nessun'altra - intimò Lena incrociando le braccia sul proprio corpo. Cominciava a sentire davvero freddo.

E per fortuna non c'erano state altre sorprese. Lilian aveva raccontato di come avesse fin da subito trovato la faccenda degli incendi molto strana e di come aveva contattato il branco di licantropi per avere qualche informazione. Era lì che aveva conosciuto Nadia e quando aveva visto i due Nephilim al covo si era convinta che fossero quelli giusti a cui riferire le informazioni che possedevano. Ma Nadia, quella vera, si era tirata indietro, Lilian riferì che non voleva più avere niente a che fare con gli shadowhunters. Allora era entrata in gioco Lilian: li aveva seguiti quella sera e dopo essersi procurata con un incantesimo il marchio del branco di San Francisco, era stato semplice per lei spacciarsi per Nadia, una licantropa che loro non avevano mia visto. Da lì in poi la storia era chiara a tutti. Quello che rimaneva poco chiaro era cosa l'avesse spinta dopo tutti quegli anni a tornare a San Francisco, ma soprattutto a stringere un'alleanza con una licantropa.
Lena ce l'aveva ancora con lei, non sapeva se le bruciava di più il fatto che avesse completamente mentito sulla sua identità o che fosse sparita per due giorni. Forse la cosa che la infastidiva più di tutte era che quella sera, mentre parlavano sotto la luce dei lampioni, aveva pensato che fosse sua amica. Non riusciva a capire dove finisse la recita e cominciasse la realtà, chi le aveva parlato, la finta Nadia o Lilian?


- Ma non hai sonno? - glielo aveva chiesto almeno dieci volte negli ultimi due minuti e Lena aveva risposto di no, tutte dieci le volte. No che non aveva sonno, si girava e rigirava nel suo letto tirando le coperte sulle quali Ben era seduto. Come avrebbe potuto addormentarsi? Tra un'ora sarebbe stato il suo compleanno ed era più che decisa ad aspettare che scoccasse la mezzanotte per festeggiarlo con Ben. Il cacciatore si coprì la bocca con la mano cercando di imitare uno sbadiglio.
Pessimo tentativo, Ben, tanto non mi addormento.

Era durata ancora mezz'ora. Tutte le proteste e l'entusiasmo si erano sciolti come neve al sole quando il sonno aveva bussato alla sua porta e lei all'improvviso si era fatta trascinare via nel mondo dei sogni, docile, senza opporre resistenza. Un attimo prima insisteva perché restasse sveglio a festeggiare con lei, un attimo dopo era sprofondata nell'incoscienza. Le palpebre pesanti, i capelli sparsi sul cuscino, la bocca leggermente schiusa che respirava piano; sul viso quell'espressione talmente innocente che sembrava un peccato anche solo guardarla mentre aveva gli occhi chiusi.
Era rimasto a guardarla dormire lo stesso, ovviamente. Non c'era peccato che avrebbe avuto paura di commettere quando si trattava di Lena.
Aveva aspettato solo altri dieci minuti, nel sonno la sua parabatai si voltava annodandosi nelle lenzuola, quando era arrivata la mezzanotte si era chinato su di lei e le aveva baciato la fronte.
- Buon Compleanno, Alena - Aveva sussurrato e poi era sparito dietro la porta.
Sarebbe stata una lunga notte, stava per svaligiare tutti i fiorai di San Francisco.









* : Probabilmente lo sapete, ma è meglio specificare: per marchio di una stregone si intende quel tratto distintivo che porta sul corpo e che lo caratterizza come non pienamente umano (Gli occhi di Magnus, le orecchie di Irina... Quello di Lilian è "ben nascosto").

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Capitolo 11
*** Nati per vivere ***


Un grazie infinito a principessac che continua a lasciarmi il suo parere. Mi fa sempre molto piacere leggere cosa ne pensi, ma soprattutto mi fa piacere il fatto che dedichi queste attenzioni alla mia storia!

Spero ti piaccia :) 






11. Nati per vivere

Nati per vivere 
adesso e qui 
sotto le costole
un ritmo irregolare 
che non si fa dimenticare 
(Ligabue~Nati per vivere) 



La luce si insinuò molesta in un angolo della stanza. Lena non voleva ancora aprire gli occhi, se c'era un vantaggio che desiderava avere il giorno del suo compleanno era poter dormire quanto le pareva. Eppure era sveglia, le palpebre ancora abbassate, ma era sveglia e non aveva più così sonno in realtà.
Fu quel profumo a svegliarla una volta per tutte, le pizzicò il naso, forte; così buono, profumo di... Aprì finalmente gli occhi e le vide. Erano sparse ovunque, infilate tra le pieghe delle tende, sulla piccola poltrona vicino al suo letto, sul pavimento, incastrate nel lampadario appeso al soffitto, dentro l'armadio, tra i vestiti, sul davanzale della finestra, in bilico sulla maniglia della porta, sulla scrivania, tra le pagine dei suoi libri preferiti. Stavolta Ben si era superato, petali rossi coprivano il suo letto e si insinuavano tra le lenzuola. Erano rose ed erano ovunque. 
Prese tra le mani un fiore ai piedi del suo letto e, dopo esserselo avvicinato al viso per sentirne il profumo, sciolse il nastro e liberò il foglio che vi era legato. Lo voltò, non vedeva l'ora di aprirlo e leggerlo, ma proprio davanti ai suoi occhi appariva un'odiosa scritta dalla grafia impertinente. Non c'era bisogno neanche di sforzarsi per riconoscere la scrittura storta del suo parabatai.
Non leggere. Come sarebbe a dire non leggere?
La curiosità ebbe la meglio, sollevò un piccolo lembo della lettera per sbirciare dentro: all'interno, vicinissime al borgo apparivano piccole lettere.
Non ci provare. Ho detto non leggere! 
Sbuffò esasperata ripiegando subito il foglio su se stesso. Le pareva di riuscire a sentirlo nella testa, sgridarla con quel tono fastidioso per aver provato a barare. Perfino il giorno del mio compleanno, protestò mentalmente sbattendo un piede a terra e alzando gli occhi al cielo solo per fargli un dispetto. Ma Ben non era lì e non poteva vederla. Ben. Dov'era Ben?

Uscì in fretta e furia dalla sua stanza, superò le scale due alla volta per la frenesia di scendere giù, desiderosa di chiedere spiegazioni su quell'inutile divieto, ma quando raggiunse la sala da pranzo lui non c'era. Volò in biblioteca e poi nella stanza degli strumenti musicali, ispezionò la sala degli addestramenti, salì di nuovo le scale e controllò nella sua camera, ma non lo trovò. Sbuffò infastidita, incrociando le braccia al petto e imbronciandosi come una bambina.
- Cosa cerchi, cara? - chiese una voce alle sue spalle facendola sobbalzare. Si voltò di scatto e fissò Eleanor ancora intontita dal sonno.
- Ben - disse secca. La donna indicò il portone dell'Istituto.
- Fino a dieci minuti fa era di fuori - Non se lo fece ripetere due volte e raggiunse subito la porta - Auguri, eh! - le urlò dietro Eleanor, ma era già uscita.
Il freddo le pizzicò la pelle appena fu fuori. Lena si strinse nelle spalle per cercare di tenersi addosso un po' di calore, poi lo vide, era seduto sui gradini, stava trafficando con qualcosa che essendo di spalle la ragazza non riusciva a vedere.
- Ehi - lo chiamò ancora sulla porta. Ben sussultò e si voltò di scatto nascondendo nella tasca qualsiasi cosa avesse in mano un attimo prima.
- Ehi - la salutò alzandosi e facendosi più vicino - Buon compleanno - disse sorridendo. Lena ricambiò il sorriso, il suo povero cuore fece una capriola nel petto quando di chinò su di lei per posare le sue labbra sulla sua guancia. 
- Non avresti dovuto svegliarti così presto - le sussurrò all'orecchio.
- Cosa stavi facendo? - chiese la ragazza avvicinando una mano alla tasca dei suoi pantaloni, lui la prese e la allontanò, poi camuffò il gesto incrociando le dita alle sue. 
- Niente - sorrise e i suoi occhi camminarono su tutta la figura della ragazza, solo allora Lena si rese conto di avere la camicia da notte ancora addosso, di quelle lunghe e bianche, con le maniche larghe e il fiocco sul petto. Sia stramaledetta la dannata passione per il vintage degli Shadowhunters.
Ben ridacchiò guardandola in viso, probabilmente era appena arrossita, avrebbe voluto dire qualcosa per levargli dalla faccia quel ghigno divertito, ma poi prevalse la curiosità.
- Ho trovato questa - disse sventolandogli davanti agli occhi la lettera.
- Ma brava! - Ben lo disse con quell'odiosa vocina che gli adulti usano per parlare ai bambini e batté le mani - Guai a te se la apri - minacciò subito dopo.
- Ma che problemi hai? Che lettera è se non la leggerò mai? - il ragazzo sospirò.
- La leggerai, altrimenti cosa l'ho scritta a fare? Solo non ora...- Lena non capiva.
- E quando allora? - chiese impertinente.
- Quando sarà il momento - rispose enigmatico.
- Ma io come faccio a capire quando è il momento? - piagnucolò la ragazza.
- Lo saprò io. Tu devi solo conservarla, quando sarà ora te lo dirò e allora potrai leggerla...- si interruppe un attimo - Sempre che nel frattempo tu abbia imparato a leggere... - aggiunse serio. Lena indignata mollò una sberla al suo braccio, aprì bocca per dirgliene quattro, ma invece di parlare starnutì. Lui scoppiò a ridere.
- Qualcuno si è preso un bel raffreddore! - la prese in giro circondandole le spalle con un braccio e accompagnandola dentro.

- Allora, cosa vuoi fare? Di' un posto e ci andiamo, è il tuo compleanno dopotutto - Lena si girò a guardarlo.
- Davvero andresti dovunque voglio andare io? - chiese leggermente stupita.
- Dove andrai tu andrò anch'io...ricordi? - le rispose con una parte del giuramento dei parabatai, poi si bloccò come fissando qualcosa che poteva vedere soltanto lui.
- Ho come un deja-wu - annunciò con un sorrisetto ironico stampato in faccia - Abbiamo già avuto questa conversazione e quella volta non è andata a finire per niente bene dato che ci siamo ritrovati al Golden-jug, che tra l'altro ha preso pure fuoco quella sera. Forse dopotutto non dovrei lasciarti scegliere dove andare.. - Lena lo liquidò con un cenno della mano.
- Ho trovato dove voglio andare -
- Dove? - 
- Là! - annunciò decisa alzando un braccio per indicare un punto sopra la sua testa. Ben alzò lo sguardo dalla strada su cui stavano camminando e lo posò nel punto che aveva indicato la ragazza. Guardò il ponte un po' disorientato.
- Vuoi andare sul Golden Gate? - chiese scettico. Lena annuì entusiasta. Che strana ragazza
- Tu sei completamente fuori di testa - urlò Ben facendo un passo indietro - Quando hai detto che volevi venire qui, pensavo che volessi salire sul ponte e poi rimanerci, non che volessi buttarti giù e sfracellarti. Mi dispiace, Lena, ma non ci sto - Avrebbe voluto apparire categorico, in realtà Lena sapeva benissimo che Ben era tutto fuorché categorico. E poi cos'era quel luccichio infondo ai suoi occhi? Eccitazione.
Moriva dalla voglia di farlo, moriva al pensiero che fosse stata Lena a proporlo.
Sarebbe bastato fare leva sul tasto giusto e si sarebbe aperto come un scrigno. Decise che avrebbe trovato quel tasto solo per il piacere di guardarlo rivedere le sue posizioni.
- Avevi detto che potevo scegliere qualsiasi posto - gli rinfacciò - E tu onori sempre la parola data - La serratura dello scrigno cominciava a cigolare.
- Ah, capisco, hai paura... Sei un codardo, perciò. Non immaginavo che tu potessi esserlo, io pensavo, insomma...  - Click. Scrigno aperto.
Ben alzò di scatto la testa - Che cosa hai detto? - chiese dandole l'opportunità di rimangiarsi quelle parole, peccato che Lena non ne avesse la minima intenzione.
- Ho detto che non lo immaginavo... - 
- Non immaginavi cosa? - incalzò lui che nel frattempo si era avvicinato minacciosamente.
- Che tu fossi un codardo - pronunciò Lena, candidamente, ad un palmo dal suo naso. Vide la sua mascella serrarsi, i muscoli delle spalle tendersi mentre soppesava la situazione. Poi si piegò, si sfilò la maglietta e gliela lanciò in faccia. Lena, i riflessi allenati di una cacciatrice, la prese al volo. Lo guardò sbalordito mentre cominciava a sbottonarsi i pantaloni, lo fermò leggermente nel panico.
- Che cosa fai? -
- Mi spoglio. Non ho certo intenzione di bagnarmi tutti i vestiti - rispose con ovvietà. Lena non poteva crederci, l'avrebbe fatto sul serio ed era stata lei a proporlo. È pazzo. Decise allora di limitare, per quanto possibile i danni. Gli prese il braccio e, appurato che non ci fosse una runa in grado di salvarli dallo sfracellarsi addosso ad una roccia nell'acqua o roba simile, ve ne tracciò con lo stilo una dell'impermeabilità e, dato che c'era, anche una del calore. Quando Ben finì di fare lo stesso con lei, presero un grande respiro e si arrampicarono insieme sul ciglio del ponte.
- Quando siamo arrivati giù mi spieghi perché stiamo facendo questa cosa - brontolò il ragazzo.
- Cos'è, hai già cambiato idea? - lo provocò spavalda ostentando tranquillità. Ben scosse la testa sorridendo.
Ma a chi vuoi darla a bere, Lena? Sento il tuo cuore battere come fosse il mio.
- Allora al tre - I polmoni si riempirono d'aria.
- Uno... - É solo un salto, Lena, niente di più.
- Due... - Solo un salto, Ben, non sei un dannato codardo. 
- Tre! - I cuori battevano all'impazzata, le loro mani si trovarono intrecciate. Chiusero gli occhi e non si resero nemmeno conto di averlo fatto nel medesimo istante.
Fu come buttare fuori una boccata d'aria che tratteneva da tutta la vita: Lena si sentì leggera, in pace, senza un pensiero al mondo. L'unica cosa che sentiva mentre precipitava giù era la sua mano stretta in quella di Ben.
Aveva gridato per esorcizzare la paura mentre leggero come una piuma volteggiava nell'aria sfidando la gravità come un uccello; infondo Ben aveva sempre sognato di volare, di provare per un momento l'ebrezza di non pensare a niente. L'unica cosa che sentiva mentre precipitava giù era la mano di Lena stretta nella sua.
L'impatto con l'acqua non fu dei più delicati, ma Lena quasi non ci fece caso. Il cuore che le pompava sangue nelle vene senza tregua, l'adrenalina che entrava in circolo. Alzò lo sguardo e lo puntò sul ponte dal quale si erano appena buttati e il suo battito accelerò ancora di più, quella sensazione era talmente forte che le mozzava il respiro. Era stata lei a buttarsi, proprio lei, se glielo avessero detto un mese fa non ci avrebbe mai creduto. Cosa mi sta succedendo?
Hai voglia di vivere, Lena.

- Allora? Ti prego dammi un dannato motivo per cui abbiamo appena rischiato di rimetterci le penne! - sbraitò con una risata nervosa Ben mentre anche lui guardava verso il Golden Gate. Lena portò la sua mano, ancora intrecciata a quella del ragazzo, sul suo petto. Sotto le dita di lui il suo cuore si dimenava dentro la cassa toracica come un pugile su un ring.
- Per questo -.
Ben ascoltò quel ritmo irregolare che raccontava la sua voglia di emozioni, che gridava che erano nati per sognare e per farsi battere il cuore fino a farlo uscire dal petto. Nati per vivere.
- Capisci? - Il respiro sincopato, l'acqua intorno a loro, le gambe che si dimenavano per rimanere a galla, la stretta dei loro corpi, quella altrettanto forte delle loro mani, i suoi capelli bagnati incollati al viso, quelle guance arrossate, il rumore dei suoi pensieri, gli occhi brillanti. Ben annuì.
Capisco eccome, Lena. Capisco molto più di quanto credi.
All'improvviso la afferrò per un braccio. Un po' nuotando un po' trascinata, Lena si ritrovò sotto i pilastri del ponte, vi si aggrappò e lui fece lo stesso. L'enorme struttura li copriva interamente ed i due cacciatori si ritrovarono in una leggera penombra nonostante fosse pieno giorno. A quel punto Ben tuffò una mano sotto il pelo dell'acqua, frugò un po', qualche schizzo finì proprio in faccia a Lena che stranamente non protestò.
- Oh, per l'Angelo! Dimmi che non è volata via quando ci siamo buttati - pregò fra sé. Poi si bloccò, come rincorrendo un pensiero, si riaggrappò per un attimo ai pilastri del ponte e subito dopo staccò l'altra mano per frugare dall'altra parte del suo corpo. Qualsiasi cosa stesse cercando, considerò Lena vedendolo sorridere, non era andata perduta quando si erano lanciati, era solo nell'altra tasca dei suoi pantaloni.
Quando finalmente tirò sù la mano, la stringeva fra le dita.
- Una... stregaluce? - Sembrava completamente sbigottita e lui non poté che scoprirsi felice di averla stupita. Annuì piano, un caldo sorriso sul suo volto. La pietra nella sua mano lo illuminava di una luce blu cobalto, particolarissima, lanciava riflessi azzurrini sulla superficie dell'acqua.
- È... - La voce le si spense quando la sfiorò in punta di dita, la runa incisa sopra la pietra brillava insieme ad essa.
- Dello stesso colore dei tuoi occhi - finì per lei. Era rimasta a bocca aperta.
- Questo... Come... Insomma, è possibile fare una cosa del genere? - * Non aveva mai visto niente di simile, né ne aveva mai sentito parlare, per quello che ne sapeva ogni stregaluce in tutto il Mondo Invisibile era bianca. Una risatina sfuggì dalle labbra del cacciatore.
- L'ho reso possibile - Un accenno di spavalderia - È qui davanti ai tuoi occhi ed è tua - Lena non se lo fece ripetere due volte, afferrò la pietra con delicatezza e, una volta che l'ebbe ferma sul palmo della sua mano, la fissò come fosse qualcosa di estremamente prezioso. Riflessi blu cobalto sul suo viso, il genuino stupore di una bambina nei suoi occhi. Quando fu sazia di guardare il suo piccolo regalo, sollevò la testa e puntò lo sguardo in quello di Ben.
- Ecco cosa nascondevi stamattina quando ti ho trovato fuori dall'Istituto! - Allora Ben sorrise sollevando un angolo della bocca, si staccò dal pilastro al quale si reggeva e cominciò a nuotare urlandole che non lo avrebbe mai raggiunto. Lena per tutta risposta strinse la stregaluce blu nel suo pugno e, dandosi la spinta con le gambe, si preparò a dare una bella lezione sul nuoto al suo parabatai.

Uscirono dall'acqua e si infilarono per le vie di San Francisco ridendo come pazzi, i vestiti completamente asciutti grazie alla runa dell'impermeabilità. C'erano volte, come quella, in cui essere uno Shadowhunters aveva i suoi vantaggi.
Lena non riusciva a ricordare l'ultima volta che si era sentita in quel modo, stava così bene con Ben, era così naturale l'abbraccio delle loro mani, così semplice scordarsi tutto il resto, dannatamente semplice.
Il tempo volò in fretta, fu la più bella giornata da tanto tempo e c'era sempre quel calore che sentiva all'altezza del petto... Le scaldava il cuore, l'accendeva di calore e di vita. Lena sapeva che il suo posto era accanto a lui eppure per un momento, le loro dita intrecciate in una stretta non solo fisica, si sentì enormemente stupida. Un pensiero ambiguo, sinuoso, tagliente quando la lama di un coltello le sfiorò la mente, rabbrividì.
Ben era il suo parabatai. Lena era portata a desiderare di stargli accanto.Era naturale, scritto nel loro sangue e sulla loro pelle sotto forma di una runa incisa sul cuore.
Possibile? Era possibile che si stesse ingannando in un modo del genere?
Chiuse gli occhi, anzi li serrò con così tanta forza da vedere, sul nero delle palpebre, tanti puntini luminosi danzarle davanti quasi a prendersi gioco di lei. Desiderò per un momento sparire, annullarsi, uscire da sé e guardarsi, cosa avrebbe visto allora? Tutto quello che poteva invece fare in quel momento era sentire e tutto ciò che sentiva era Ben.
L'altra mano, quella libera dalla stretta di lui, salì verso il petto, si intrufolò appena sotto la maglietta a sfiorare i bordi leggermente in rilievo di una runa che non sarebbe mai scolorita, lì si fermò.
Quasi richiamato da quel tocco lui si voltò a guardarla, come se, invece di toccare se stessa, avesse toccato lui. Sorrise e di riflesso sorrise anche lei, le parve che i suoi occhi scuri fossero in quel momento trasparenti. Lentamente anche la sua mano libera andò a posarsi sul suo petto, sfiorò quel marchio identico e Lena avrebbe giurato che, invece di toccare se stesso, avesse toccato lei.

Ben era il suo parabatai e questo non sarebbe mai cambiato, Ben era indelebile come quella runa e Lena lo sentiva quel filo che li legava: acciaio inossidabile, immobile ed eterno. Ma se scavava infondo a se stessa percepiva anche il lento ondeggiare di un altro filo: sottile eppure non fragile, non la smetteva mai di muoversi come assecondando il soffiare di chissà quale vento; sembrava impossibile camminarci sopra, eppure Lena lo faceva ogni giorno. E in un istante seppe con assoluta certezza che quel filo era amore e che lei lo avrebbe amato comunque, in qualsiasi vita ed in qualsiasi luogo, in ogni tempo e nonostante tutto.
Sempre. Ovunque.


- Dai, smettila, Ben! - sghignazzò spostando dai suoi fianchi le mani con cui il ragazzo le stava facendo il solletico. Quei pensieri pericolosi che poco prima le avevano oscurato lo sguardo, ora erano totalmente spariti dalla mente di Lena, spazzati via da Ben, dal suo buonumore, dalle sue dita che giocavano con i suoi fianchi. Erano seduti su una panchina, solo ad un centinaio di metri dall'Istituto, oltre le fronde degli alberi del parco si vedeva l'imponente struttura fare capolino e per un attimo Lena si domandò se c'era qualcuno, oltre le vetrate dell'Istituto, che li stava guardando. Ma fu presto distratta dal suo parabatai, che in quel momento mise sù un'espressione diabolica agitando in aria le dita. Lo implorò di smetterla tra le risate e lui fece finta di non sentirla.
- Allora sono un vampiro - proposte mostrando i denti - E ti succhio tutto il sangue! - minacciò avventandosi sul collo della ragazza; le diede un piccolo morso giocoso. Aveva un profumo così buono, la pelle così pallida e morbida, così sottile, si intravedeva il gioco di intrecci delle vene al di sotto di essa... lasciò un piccolo bacio nello stesso punto in cui aveva morso.
Lena deglutì vistosamente e Ben non avrebbe potuto ignorare la sua reazione neanche se l'avesse voluto, appoggiato com'era al suo collo.
- Non... Io non penso che... i vampiri diano anche baci - protestò senza troppa convinzione, la voce tremolava come la fiamma di una candela esposta al vento. Lui sorrise sulla sua pelle, le labbra che si rifiutavano di interrompere quel contatto. Lena si sentiva sbalzata per l'ennesima volta addosso ad un'emozione totalmente diversa dalla precedente. Era sempre così con lui, come se stesse facendo il più bel giro di sempre sulle montagne russe delle emozioni. 
- E tu che ne sai? - chiese, lentamente. Avrebbe voluto risultare impertinente, perché la trovava così deliziosamente fastidiosa quando faceva la maestrina; ma la verità era che faceva fatica anche solo a parlare, faceva fatica anche solo a stare lì fermo, con le bocca letteralmente su di lei.
- Potrei sempre trasformarmi in un licantropo - Sorrise e per un attimo si impose di staccarsi dal suo collo. Lena sollevò le sopracciglia aggrappandosi al lato più frigido che c'era in lei per resistere dal buttarglisi fra le braccia. Sentiva il bisogno prepotente di stargli letteralmente addosso, il più vicina possibile, fino ad entrargli dentro, vicina, più vicina, ancora più vicina. 
- Non vedo come potresti... - tentò, ma non la lasciò finire. Si chinò e le leccò una guancia, rise forte mentre la ragazza lanciava un urlo sorpresa.
- Hai detto un licantropo, non un cane! - squittì pulendosi con la manica della giacca - Ti preferisco quando sei solo Ben - ammise ricominciando a camminare in direzione dell'Istituto.
- Sul serio? - chiese serio. Lena non riusciva a capire neanche come facesse a farsi venire certi dubbi.
- Certo. Preferisco Ben il cacciatore -.
- Lo preferisci anche ad Alaric? - A quel punto smise di camminare e si fermò a guardarlo. Avrebbe voluto fargli una foto in quel momento, quella sfumatura insicura che avevano i suoi occhi verdi-marroni era del tutto nuova ed era adorabile. Ma non era da lui, perciò si sentì in dovere di fare qualcosa per mandarla via. Lei voleva solo Ben.
- Ti preferirei a chiunque - disse e un attimo dopo si maledisse per essere stata così diretta. Avrebbe potuto essere più esplicita? Sai Ben, sono innamorata di te, da tipo... sempre, probabilmente. 
- Vieni qui - bisbigliò serio aprendo le braccia. Lei si lasciò abbracciare.
- Anch'io ti preferirei a chiunque - sussurrò al suo orecchio. Chiuse gli occhi, avrebbe voluto che quell'attimo durasse per sempre.
Ma fu un attimo e perciò finì.

- Cosa diavolo... - la ragazza si voltò nella direzione in cui stava guardando Ben e, esattamente come lui, si alzò di scatto dalla panchina cercando di vedere meglio. Oltre il verde di un paio di alberi che li dividevano dall'edificio si alzavano, alti verso il cielo, rivoli di fumo. Una finestra, al secondo piano, era inghiottita dalle fiamme. No, non una finestra...
- È la tua camera - esalò Ben. Non serviva nemmeno una risposta. Si precipitarono verso l'edificio.
Lena salì le scale correndo, il corrimano di legno antico non le era mai sembrato tanto scivoloso, raggiunse la porta della sua stanza e, dopo averla spalancata con poca grazia, entrò tappandosi naso e bocca con la manica della giacca. Stava per correre a spegnere il fuoco che aveva quasi mangiato interamente le tende, quando le vide. Erano scritte in lettere fiammeggianti sul pavimento, quelle stesse parole che aveva detto lui quel maledetto giorno di dieci anni fa. L'inizio della fine, quelle stesse parole che la tormentavano ogni notte, quella voce, il suo volto e le fiamme.

Честит рожден ден, принцеса. 
Buon compleanno, principessa.


Non si rese conto di essersi inginocchiata a terra finché Ben non la tirò sù, né si accorse di urlare o piangere; eppure le bruciava la gola, aveva le guance bagnate. Era un dolore così forte, così vivo. Per un attimo aveva fatto un salto all'indietro di dieci anni, era tornata la bambina a cui erano stati appena uccisi i genitori, quella che si era salvata per miracolo, quella che era sola al mondo perché aveva perso tutto. Tutta la realtà che conosceva e amava inghiottita dalle fiamme, quelle stesse che componevano quelle parole sul suo pavimento e che stavano bruciando la sua stanza. Le stesse fiamme.
Era tornato per lei, perché la prima volta aveva fallito. Stavolta non poteva fuggire, nessun posto sarebbe stato abbastanza lontano. Lui l'avrebbe trovata ovunque, come aveva fatto per secoli con ogni singola persona che portasse quel cognome maledetto. 

Seduti intorno al grande tavolo della sala da pranzo, con i volti scuri e le espressioni gravi, nessuno osava parlare; alla fine fu Ben a rompere il ghiaccio. Chiese cosa fosse successo. Nicholas raccontò di come lui e la moglie avevano trovato Grace svenuta quando erano tornati dalle commissioni svolte in città, qualche secondo dopo erano arrivati i due ragazzi. 
Lena ascoltava i discorsi con aria distaccata, lo sguardo perso nel vuoto in altri pensieri.
- È stato lui. Ignis - bisbigliò senza preavviso, mentre gli altri erano intenti nella considerazione dei danni che aveva provocato l'incendio. Si ammutolirono tutti e Ben, ancora una volta, prese in mano la situazione.
- Bene, qualcuno ha un modo efficace per levarci di torno un demone superiore che probabilmente è più vecchio della terra stessa? - chiese con un sorriso nervoso. Lena agitò in aria una mano come a voler chiedere la parola, come a dire che lei ce l'aveva una risposta.
- Io ce l'ho un modo, ma mi serve un portale - disse atona. Eleanor corrugò la fronte.
- Dove devi andare? -
- A casa. In Bulgaria -.








* : Non so se è veramente possibile, in realtà credo di no, ma mi piace pensare che Ben abbia trovato il modo di colorare una stregaluce del colore degli occhi di Lena.

Inutile dire che la mia conoscenza del bulgaro è pari alla mia conoscenza del russo, cioè insistente. Se qualcuno è più preparato di me in tal senso, mi illumini :) 

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Capitolo 12
*** Quel posto fra le tue braccia ***


Ave!
Volendo informarvi che la Bulgaria che descriverò in questo capitolo potrebbe non corrispondere esattamente a quella reale. Mentre con San Francisco sono stata molto precisa e quasi tutti i luoghi che ho citato esistono davvero, la terra di Lena invece sarà un po' meno precisione e un po' più favola. Siamo fuori dal centro abitato, in campagna, ma non ho specificato esattamente dove, comunque ci troviamo sul lato est, molto vicino al mare.
A parte queste questa piccola "informazione di servizio" (?), colgo l'occasione per dire un grazie grande COSÌ a principessac, che ormai è diventata praticamente una presenza fissa (attenta che potrei abituarmici ahahah) e a federicademaio, che ha detto delle cose bellissime sulla mia storia (spero di non deludere le tue aspettative!).
Spero vi piaccia!











12. Quel posto fra le tue braccia
C’è un posto nel mondo dove il cuore batte forte,
dove rimani senza fiato, per quanta emozione provi; 
dove il tempo si ferma e non hai più l’età; 
quel posto è tra le tue braccia in cui non invecchia il cuore, 
mentre la mente non smette mai di sognare… 
Da lì fuggir non potrò poiché la fantasia d’incanto risente il nostro calore e no… 
non permetterò mai ch’io possa rinunciare a chi d’amor mi sa far volare.
(Alda Merini~C'è un posto nel mondo)


Le scintille azzurrine smisero di uscire dalle dita di Magnus. Per l'occasione aveva addirittura indossato una tunica giallo limone.
- È tutto pronto, ragazzi. Quando volete - disse spostandosi dal suo lavoro appena finito per far passare i due cacciatori.
- Non potete aspettare domani mattina? - si intromise allora Eleanor, ripetendo la stessa domanda per quella che sarà stata almeno la decina volta nel giro di un'ora. Per mettere a punto tutto c'era voluto un po' ed ormai era tarda notte. 
- Prima andiamo, prima troviamo questa maledetta pietra e prima ci leviamo dai piedi Ignis - La donna annuì rassegnata alla risposta del figlio, il marito che le posava una mano sulla spalla. A sentirlo liquidare una faccenda del genere in quel modo, con poche parole, le veniva la pelle d'oca.
I due cacciatori si guardarono un attimo negli occhi, le loro mani si trovarono intrecciate e Magnus, unico ostacolo rimasto tra loro ed il portale, si fece da parte. Lena chiuse gli occhi, nella mente il ricordo nitido di una terra che aveva il sapore della sua infanzia. Risollevò le palpebre ed insieme si lanciarono contro quel varco magico che li avrebbe portati a destinazione.

Atterrarono al suolo in modo duro e dopo essersi aiutati a vicenda si alzarono e si guardarono intorno. Per Ben quello che vedeva era tutto nuovo e sembrava appena uscito da un libro di favole. Per Lena era la fotografia sbiadita che conservava in un angolo del cuore.
I verdi prati si stendevano a perdita d'occhio sotto il chiarore della luna; sull'orizzonte, che si intravedeva appena, le vette innevate salutavano da lontano. La neve che scintillava anche circondata dal buio, il cielo scuro sopra le loro teste, il suono delle onde del mare che giungeva alle loro orecchie come un richiamo. Davanti a loro, su una collina l'Istituto bulgaro li aspettava. Ben fissò il castello con le sue guglie e le sue torri impressionato, varie torce lo illuminavano facendone scorgere le fattezze maestose e fiabesche. Di quelle favole un po' cupe però, quelle che racconti ai bambini per intimar loro di fare i bravi.
Strano come Lena guardasse quello stesso castello sentendo nascere dentro un'inquietante pace.

- Forse avremmo dovuto avvisare che saremmo arrivati, prima di precipitarci qui nel mezzo della notte - Lena non rispose, con passi svelti stava già risalendo la collina. Il vento bulgaro le scompigliava i capelli come si fa con una vecchia amica che è tornata dopo tanto tempo a casa e lei, anche se non era quello di San Francisco, lo lasciava fare.
Bussarono due volte, alla terza, una donna sulla cinquantina, austera come tutto ciò che avevano visto finora, aprì l'imponente portone.
- Кой си ти? - pronunciò le parole brusca, era vestita da cameriera e Ben si chiese, data l'ora, se ci dormisse in quel modo, o, a giudicare dalle profonde occhiaie che portava sul viso, se dormisse in qualsiasi modo. Comunque dal tono intuì che le parole che le erano uscite di bocca componevano una domanda, probabilmente aveva appena chiesto chi diavolo fossero. Lena rispose efficiente, con quella voce molto più profonda che aveva quando parlava in bulgaro.
- Cosa le hai detto? -
- Che siamo cacciatori e che chiediamo ospitalità - La donna la squadrò da capo a piedi e per un momento Il cacciatore pensò che li avrebbe lasciati lì fuori, nonostante fosse obbligo di ogni Istituto accogliere un cacciatore e lì, fuori la sua porta, ce ne erano ben due...
- Вашите имена - abbaiò quella e subito dopo Ben riconobbe il suono del nome di Lena anche se lei lo stava pronunciando in un'altra lingua. Si preparò a presentarsi, ma non ce ne fu bisogno. La donna sbiancò come se avesse appena visto un fantasma e fece un piccolo inchino.
- приходи, принцеса - Spalancò la porta scodinzolando come un cane che faceva le feste al padrone tornato dopo un lungo viaggio.
Li guidò attraverso il castello, che era molto più impressionante dentro di quando già fosse da fuori, si fermò in un'ampia sala le cui pareti erano decorate da arazzi e fece accomodare i due ragazzi su due sedie imbottite che circondavano un tavolo rotondo su cui erano intagliati motivi floreali. Il lampadario attaccato al soffitto completamente spento, tutt'intorno candele.
Un'altra donna, stavolta non una cameriera, li raggiunse e si sedette dal lato opposto del tavolo. Aveva i capelli scuri raccolti sulla nuca, leggermente spettinati però, doveva averli acconciati in fretta prima di raggiungerli. Che ci tenesse a fare bella figura?
L'abito era lungo, sembrava antico, rigoroso e austero, chissà se anche lei come la cameriera dormiva vestita così. Ben capì subito che stavolta si trattava di una cacciatrice: marchi sbiaditi le ornavano la pelle, a seconda di come si muoveva venivano illuminati o meno dalle candele, si attorcigliavano poi per il suo collo come una collana tuffandosi oltre il colletto alto e rigorosamente abbottonato dell'abito. Si sarebbe detto che anche lei, come il resto, fosse rimasta ferma a molti anni fa. Sembrava troppo retrò persino per una Nephilim.
La cacciatrice cominciò a snocciolare parole dal suono strano che a Ben ovviamente suonavano sconosciute. Inutile dire che si distrasse in fretta, prese a fissare il ricco lampadario di cristallo che pendeva sopra le loro teste, spento appunto. Ma quella, come fiutando nell'aria la sua distrazione, si interruppe e lo guardò. Ben stava per tirar fuori da quella bocca una delle sue risposte perfettamente inappropriate quando Lena, rivolta alla donna, cominciò a parlare indicandolo. Istantaneamente pensò che si stava scusando a nome suo per la sua maleducazione, ma poi successe una cosa strana: la donna fece un cenno con la testa verso Lena e smise di parlare in bulgaro, allora Ben capì che era stata lei a chiederglielo.
Si voltò verso la sua parabatai, le sorrise.
- Dicevo che pensavo foste morta, tutti noi pensavamo - Aveva un pesante accento, ma era già notevole che sapesse parlare la loro lingua.  A Ben non sfuggì il fatto che desse del "voi" a Lena.
- Lo so e mi dispiace ripiombare qui in questo modo improvviso, ma non potevo davvero fare altrimenti. Ho bisogno di un favore, Stéphka - 
- A me piacerebbe accontentare voi, принцеса -.
- Sono certa che puoi, l'oggetto che mi serve apparteneva alla mia famiglia quando si occupava ancora di questo Istituto. Quando i miei genitori abbandonarono l'incarico probabilmente rimase nascosto qui... - Ma la donna la interruppe.
- Se parlate di cosa penso... Pietra non è qui - Aveva abbassato la voce - Posso chiedere perché volete? - bisbigliò cauta.
- Per spedire Ignis nella stessa prigione in cui marcisce da secoli il fratello - ripose secca la più giovane. Era evidente che lei non aveva intenzione di parlare a voce bassa, la donna rimase a bocca aperta.
- Ignis, fratello di Sammael? - Lena annuì.
- Ne ho veramente bisogno, o questo incubo non finirà mai - Sembrava esausta eppure molto determinata, il confine tra le due a Ben pareva molto sottile. La cacciatrice si strinse nelle spalle.
- Qui non è. Quando vostri genitori lasciarono l'Istituto, affidarono molti... - si bloccò un attimo per pensare alla parola giusta - Strumenti. Molti strumenti che che non potevano portare con loro. Pietra è da Blackshade - Lena storse la bocca.
- Quindi devo chiedere a ... -.
- Principe Dimitry Blackshade - Finì quella per lei - Sarà una gioia grande per lui rivedere voi, giorno del suo compleanno poi... - Lena sembrava pensierosa. 
- Grazie, Stéphka. Sei stata davvero molto gentile - Lei chinò la testa.
- Minimo che possa fare... Come si dice in vostra lingua? - Lena sembrava imbarazzata.
- Non c'è bisogno, non... - Non fece in tempo a finire la frase.
- Principessa. È minimo che possa fare, principessa - Ben alzò il viso di scatto. Principessa?
Stéphka mostrò loro le camere dove avrebbero dormito e disse che potevano rimanere quanto volevano, quando se ne fu andata lasciandoli in corridoio Ben non perse neanche un secondo e si avvicinò deciso alla sua parabatai .
- Principessa? - chiese furente.
- Shh, non urlare! -
- Perché ti ha chiamato principessa? - Lena guardò da tutte le parti tranne che verso di lui.
- Forse perché è quello che sono - Un flebile mormorio che tuttavia Ben comprese benissimo.
- Tu cosa? - Ora sì che stava urlando sul serio - E quando pensavi di dirmi che sei una principessa? - sbraitò, sembrava fuori di sé e più volte Lena lo pregò di calmarsi, di abbassare la voce, lui però sembrò non sentirla nemmeno.
- Non è che sia proprio una principessa... -
Ti stai arrampicando a mani nudi sugli specchi, Alena.
- E allora cosa? È quello che hai detto tu stessa appena un momento fa - Silenzio.
- Sto aspettando una spiegazione - la incalzò.
Sapevi che tornando qui sarebbe uscito fuori, perché non glielo hai detto prima?
Sospirò rassegnata.
- I Silverkey anticamente erano una delle due famiglie reali - iniziò - Anche se non c'è più la monarchia e non ce ne sarebbe alcun bisogno continuano a chiamarmi принцеса in segno di rispetto, è più un'abitudine che altro. Sai, qui ci tengono molto... - minimizzò in modo spudorato.
Ben la guardò torvo, quanti altri segreti sarebbero saltati fuori? Quante altre volte si sarebbe sentito un estraneo nella sua vita? 
- Per l'Angelo, mi sembra di non conoscerti, Alena - la ragazza lo fissò sbalordita.
- Ma che dici? - Lo pensava davvero?
- Ultimamente vengono fuori aspetti della tua vita di cui non mi hai mai parlato e mi dispiace perché pensavo di essere la persona che ti conosce meglio di tutti. Io voglio conoscerti meglio di tutti. Voglio conoscere la vera Alena, quella che magari nascondi alla maggior parte della gente - La voce combattuta tra la tristezza e la rabbia - Quindi ora ti chiedo: hai qualcos'altro da dirmi, Alena? - Le sue parole trasudavano sarcasmo. Lei si schiarì la voce.
- In effetti sì, ci sarebbe una festa domani sera - Ben non capiva.
- Quindi? - Il piede che batteva impaziente sul pavimento mentre aspettava che la ragazza si spiegasse meglio.
- Ogni anno i Blackshade organizzano una ballo in maschera per il compleanno di loro figlio Dimitry, è la migliore occasione che abbiamo per contattarlo senza attirare troppa attenzione - Ben roteò gli occhi.
- Vuoi portarmi ad un ballo? - La cacciatrice annuì mostrando un tesissimo sorriso a trentadue denti. Lui si passò una mano sul viso.
- Finito? - Lena si guardò la punta dei piedi,
- In realtà no -
- Cosa c'è ancora? - domandò stranito passandosi una mano tra i capelli col solo risultato di scompigliarli ancora di più.
- L'altra casata reale sono i Blackshade -
- Mh, sono contento per loro - Lo guardò torva pregandolo con lo sguardo di lasciarla finire.
- Da sempre le nostre famiglie sono state in buonissimi rapporti. Quando Ignis cominciò la sua strage loro aiutarono i Silverkey come meglio poterono, i nonni di Dimitry nascosero i miei parenti per moltissimo tempo. Proprio per questa grande amicizia, questo forte legame, questo patto di protezione reciproca...- Ben cominciava a spazientirsi.
- Arriva al punto Lena - intimò incrociando le braccia al petto. La ragazza serrò le labbra, all'improvviso insicura se fosse davvero una buona idea vuotare il sacco. Poi pensò a quello che le aveva detto il suo parabatai. Mi sembra di non conoscerti, Alena.
Come poteva non dirglielo? Non poteva continuare a camminare su una strada di bugie. Le cose non dette, anche le più piccole, a lungo andare finiscono per fare male...
- Sono promessa a Dimitry - ... Beh, in effetti a volte anche quelle che vengono dette finiscono col fare male.
- Come, scusa? - Ben deglutì, all'improvviso sentiva la gola secca.
- In teoria sarebbe il mio fidanzato, ma in pratica... -
Perché ti ostini ad arrampicarti sugli specchi, Alena? 
Ben era partito per la tangente, camminava su e giù per il corridoio con le mani fra i capelli. Lena gli andava dietro cercando in ogni modo di calmare quella sua furia cieca che sapeva bene, sarebbe scoppiata a momenti.
- Ben - sospirò - È uno stupido accordo di famiglia, un patto che ormai non ha più senso... - Si bloccò a metà frase, uno strano pensiero le passò per la testa, cambiò atteggiamento - E poi, a te cosa importa? - domandò impettita. Il ragazzo smise di camminare, le dava la schiena e Lena riusciva a vedere i muscoli delle spalle tendersi sotto la maglietta. Quando si voltò aveva il fuoco negli occhi, le piccole macchie verdi nell'iride marrone erano più brillanti che mai.
- Come sarebbe a dire? Certo che mi importa! - Lo disse come la cosa più ovvia del mondo.
- Non dovrebbe - rispose lei tagliente. Ben lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e le si avvicinò.
- Vuoi che non mi importi? Vuoi che ti dica che puoi essere fidanzata con chi ti pare? Vuoi che ti faccia gli auguri? È questo che vuoi, Alena? - le urlò in faccia, il viso contratto e la mascella serrata.
- No, ma non è quello che voglio il punto, Ben - Ora si fronteggiavano, viso contro viso.
- E allora qual'è il punto, illuminami! - Non perdeva quel suo odioso sarcasmo neanche quando era arrabbiato. Lena prese una boccata d'aria e una boccata di coraggio.
- Il punto è che continuiamo a non dire le cose come stanno. Ci giriamo intorno, ci nascondiamo dietro un dito, scappiamo dalla verità come un topo scappa dal gatto. Ci stiamo comportando come due codardi, Ben, e ci stiamo facendo male. Ci facciamo male - Fu insieme una benedizione ed una maledizione sputare fuori quelle parole che la corrodevano dentro. 
Ora mi prende a schiaffi.
- È vero - ammise sorprendentemente il ragazzo con la stessa calma glaciale del mare. La risacca prima dello tsunami.
- Ma sappiamo benissimo entrambi qual'è il problema - Ora era il turno di Lena di fare sarcasmo.
- E qual'è il problema, illuminami! - disse ripetendo le sue stesse parole di poco prima.
- Il problema è che tu hai paura Lena. Paura che sia sbagliato, paura di essere giudicata, paura di sentirti in colpa, paura di sentirti accusata. Hai paura di vivere, Lena. Ed ora mi vieni a dire che siamo dei codardi perché non riusciamo a smettere di nascondere la verità? Certo che siamo codardi, la differenza però è che io posso smettere quando voglio, e tu? - La voce bollente, gli occhi spiritati.
- Io posso smettere anche adesso. Posso dire quando voglio come stanno le cose, andare da questo Dimitry e dirgli che deve andarsene al diavolo perché tu sei solo mia, posso farlo anche ora, posso... - non riuscì a finire il suo discorso, la sua bocca fu occupata a fare altro.
In un unico slancio Lena azzerò la distanza tra di loro, le sue labbra si posarono decise su quelle di Ben e lo trovarono un po' impreparato. Ma non ci mise molto ad accantonare la sorpresa, quando si rese conto di quello che stava accadendo Ben rispose al bacio agganciandola per la vita e circondandola nella sua gabbia di braccia. Lena si alzò di più sulle punte dei piedi per far combaciare ancora meglio le loro labbra e lui intuendo le sue intenzioni se la strinse ancora di più al petto sollevandola leggermente da terra. Le mani di lei si infilarono nei suoi capelli spettinati mentre si aggrappava alle sue braccia, quelle di lui le scorrevano su tutta la schiena lasciando carezze e disegnando percorsi che bruciavano. Senza il minimo sforzo la prese e la sollevò facendole appoggiare la schiena alla parete così che fosse alla sua stessa altezza. Lena intrecciò le gambe intorno a lui, i loro bacini si incastrarono in un abbraccio perfetto che lo fece mugolare di piacere. Si tuffò sul suo collo come fosse stata un'oasi nel deserto.
...perché tu sei solo mia...
E baciava, mordeva, spostava i suoi capelli, baciava anche quelli. Le sue dita forti e sicure le sfiorarono le gambe, arrivarono ai fianchi e si infilarono sotto la camicetta strappando un paio di bottoni e cercando lembi di pelle da infiammare con un solo tocco. I suoi respiri accelerati passarono attraverso i baci nella bocca di lei e si mescolarono ai suoi, per poi ritornare a lui e così via in infiniti scambi.
E per Lena non c'era tempo per le parole, non c'era spazio per qualcosa che non fossero le sue labbra sul collo, le sue mani sui fianchi, i suoi respiri in bocca, la sua lingua che giocava con la sua, lui talmente vicino da fondersi con lei. Le sue dita dapprima esitanti presero coraggio quando furono le mani di Ben a guidarle. Insieme cominciarono a viaggiare lungo il suo corpo, esplorando luoghi che fino ad allora aveva potuto solo guardare. Risalirono le braccia toniche, accarezzando il confine di ogni muscolo frutto di ore di fatica. Circondarono le spalle solide, sfiorarono il collo mandando brividi, passarono per la nuca, dove i capelli si arricciavano leggermente. Scesero giù sul petto che adorava spiare di nascosto quando si toglieva la maglietta durante gli allenamenti e ancora più giù, lungo le linee degli addominali e la V appena sopra i fianchi che spariva nei pantaloni. Le mani di Ben scioglievano i dubbi, polverizzavano le insicurezze. Dicevano che andava bene, che non era sbagliato, che nessuno poteva scegliere per loro.
Lena fermò i suoi polpastrelli sopra la cintura, sfiorava leggera la sottile striscia di pelle che la maglietta leggermente alzata lasciava nuda, le labbra di Ben si staccarono per un secondo dalle sue. Si guardarono negli occhi, la mano del ragazzo scivolò sulla maniglia della porta alle loro spalle.
- Ho bisogno che tu mi dica che è questo che vuoi - ansimò - Che non ti interessa di quello che pensa la gente, che non ti interessa di essere dannata per sempre e tutte le altre cazzate che ci rifila il Conclave - Lena strizzò gli occhi cercando di imprimersi quelle parole nella mente. Era tutto ciò da cui aveva sempre disperatamente cercato di scappare ed ora lui era lì davanti a chiederle di rinunciare a tutti i suoi principi, di ammettere che si era torturata per niente, che alla fine sarebbe comunque andata a finire in quel modo. La parte peggiore era che in cuor suo sapeva che aveva ragione. 
Un ticchettio affrettato cominciava ad avvicinarsi dal fondo del corridoio: rumore di passi.
- принцеса - chiamò Stéphka - Tutto bene? - chiese con quel suo forte accento spuntando da dietro l'angolo.
- Ho sentito rumore, pensavo... -.
- Va tutto bene - la interruppe brusco il ragazzo volendola liquidare il più in fretta possibile. Lo fulminò con lo sguardo.
- принpцеса - chiamò ancora, rivolgendosi alla ragazza. Era chiaro che non avrebbe accettato una risposta se non da lei.
- Tutto bene, Stéphka - confermò Lena sistemandosi meglio la camicetta che le si era alzata sui fianchi. La donna sembrava scettica mentre spostava lo sguardo indagatore da lei al ragazzo.
- Se avete bisogno, la mia stanza è infondo, принцеса - disse come fosse un'avvertimento -.
Se ne andò con passi lenti, i piccoli tacchi che ticchettavano fastidiosamente sul marmo del pavimento, prima di voltare l'angolo si girò per lanciare un'ultima velenosa occhiata al cacciatore. 
Appena se ne fu andata Ben afferrò con un braccio Lena, con l'altro fece forza sulla maniglia della sua camera, cercando di ricominciare da dove si erano interrotti, ma lei scivolò via dalla sua presa.
- Buonanotte, Ben - disse incamminandosi verso la sua stanza. La chiamò ma non rispose, invece si chiuse la porta dietro le spalle il più in fretta possibile. Appena fu dentro, lontana da dubbi e tentazioni, si lasciò scivolare a terra, il corpo pesante come un macigno mentre strusciava contro il legno.
È quello che voglio, Ben, ma ho paura. Avevi ragione tu, ho paura.
Si aggrappò con tutte le sue forze alla convinzione che stava facendo la cosa giusta, ma era così difficile. Quella sera non aveva chiuso la porta in faccia solo a Ben, aveva chiuso la porta in faccia alla sua libertà, alle sue emozioni e ai suoi desideri. E faceva così male, soprattutto perché qualcosa dentro di lei cominciava a ribellarsi, a volere di più, quel qualcosa che quella sera non era riuscita a tenere a freno nel corridoio. C'era quella piccola parte a cui non bastava più recitare da comparsa, non si accontentava più di fare la cosa giusta, voleva essere protagonista. Libera di sbagliare, libera di vivere. E poi, nel profondo che spingeva per emergere in superficie, c'era anche quella parte che si sentiva a suo agio fra le sue braccia. Quel luogo che sarebbe dovuto essere proibito, sporco e illecito era il posto dal quale Lena non si sarebbe mai voluta allontanare, quel posto in cui si sentiva a casa più d'ogni altro, più dell'Istituto, più della Bulgaria.
Quel posto fra le braccia di Ben. 
- Buonanotte, Alena - le rispose in un sussurro appena fuori dalla sua porta, a voce così bassa che era certo che non l'avrebbe sentito. Ma Lena era appoggiata corpo e anima a quella porta e sentì tutto, perfino i sospiri che uscirono dalle sue labbra. Era appoggiata così tanto a quella porta che poteva giurare di aver sentito le sue dita che da fuori sfioravano il legno, o almeno voleva credere così. Le piaceva pensare che fosse l'ultima carezza per quella notte in cui, lo sapeva già, i suoi vecchi demoni si sarebbero mischiati ai nuovi e non le avrebbero dato pace.
Ancora accartocciata sul pavimento fissò con ostilità il letto. Non avrebbe ceduto al sonno, non gli avrebbe lasciato campo libero, non quella notte. Si tirò sù e strisciò i piedi fino alla finestra della piccola stanza, l'aprì; il vento la salutò scompigliandole i capelli e lei lo lasciò fare. Si affacciò per respirare l'aria della Bulgaria, l'aria di quei prati e di quel cielo che pur essendo casa sua, non sarebbero mai stati casa come le braccia di Ben.

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Capitolo 13
*** Casa è dove si trova il cuore ***


Ave!
Devo proprio ringraziare federicademaio e principessac per le loro recensioni sempre gradite e carinissime! Ecco a voi un capitolo più lungo del solito in cui entra in scena un personaggio che è il simbolo per eccellenza del passato di Lena... Anzi, Alena...

Un grazie di cuore, Akilendra 







13. Casa é dove si trova il cuore
(Gaio Plinio Secondo)



Quella mattina fu facile svegliarsi per Lena, forse perché non si era mai addormentata. Quando il sole cominciò a spuntare sull'orizzonte si vestì in fretta e andò a bussare alla porta di Ben. Picchiò molto poco delicatamente sul legno finché non sentì provenire da dentro il rumore dei grugniti del ragazzo, segnale lampante che era sveglio. Schiuse di poco la porta, un solo occhio aperto, i capelli che portavano ancora il segno del cuscino, la voce impastata dal sonno.
- Cosa diavolo... - Si raddrizzò un po' quando vide che era Lena - Ehi...ma lo sai che ore sono? - chiese piano, ma lei, che non aveva intenzione di lasciarsi intenerire da quell'espressione da cucciolo bastonato, non mollò.
- Certo che lo so e tu lo sai? - Lui sembrava un po' disorientato.
- No, ma è sicuramente troppo presto. Che ora è? -
- È ora che vieni con me - Lo tirò per una manica della maglietta.
- Ma dove diavolo mi devi portare all'alba? -
- A conoscere Alena Silverkey -. 

Aveva detto che gli sembrava di non riconoscerla più, aveva detto che gli dispiaceva perché pensava di essere la persona che la conosceva meglio e invece ultimamente non facevano altro che spuntare fuori particolari oscuri del suo passato.
Come spiegargli che quelle cose non le conosceva nessuno? Come spiegargli che se c'era qualcuno che la conosceva era proprio lui?
Ben conosceva Lena, la ragazza che era arrivata nove anni fa all'Istituto, la sua parabatai, quella rispettosa e ligia al dovere, quella che rideva forte e amava le crepes. Non conosceva Alena però, la bambina orfana che si porta dietro un passato pesante, la promessa di Dimitry, la принцеса, principessa di una terra che non sentiva più casa sua. 
Per raccontargli chi era, o chi era stata, aveva cominciato proprio da lì, dalla Bulgaria, quella posto che era il ricordo vivente di qualcosa che avrebbe voluto dimenticare. Ma le radici non si possono dimenticare, non si devono dimenticare, forse Lena neanche voleva dimenticare.
Avevano camminato per le praterie, avrebbe voluto mostrargli quei prati in primavera, quando l'erba era rigogliosa e le piantagioni di girasoli coloravano il paesaggio. Ora che era inverno erano più simili a steppe, una cartolina malinconica che rispecchiava lo sbiadito ricordo che la cacciatrice conservava nel suo cuore.
Ben si era stupito del forte vento che soffiava implacabile e cercava costantemente di trascinarti via, sorridendo aveva detto a Lena di aver capito perché il vento di San Francisco non la intimoriva minimamente. Aveva confessato che gli piaceva quando si lasciava scompigliare i capelli, l'aveva sempre trovato magnifico. Lena ovviamente aveva chiesto perché.
- Sembri una leonessa - Aveva risposto lui indicandole la testa, sulla quale i suoi fili castani ondeggiavano in balia delle correnti - Una leonessa che non ha paura di niente - Lena aveva avuto la tentazione di scoppiare a ridere. 
- Non sono una leonessa e ho paura di un sacco di cose - Ripensò alla sera precedente, a come era stato lui stesso a dirle che aveva paura, a come lei non aveva potuto dargli torno. Ben aveva piegato le labbra all'insù, scoprendo quel sorriso morbido che Lena trovava unico, chissà se anche lui ci aveva pensato.
- Lo so - Aveva pronunciato, un sussurro, inchiodandola con quello sguardo che bruciava.
Sicuramente ci aveva pensato.
Risalendo la collina sulla quale si erano fermati Lena gli aveva mostrato la magia della Bulgaria: la distesa d'acqua che il promontorio nascondeva. Ben era rimasto a bocca aperta, anche se riusciva a sentire il rumore dell'acqua, non credeva che il mare fosse tanto vicino. Fissò sbalordito le onde selvagge e potenti schiaffeggiare gli scogli alzando spruzzi d'acqua alti metri, correnti indomabili si agitavano contro il promontorio e loro se ne stavano lì, seduti con le gambe penzoloni a picco sul mare.
Aleggiava uno strano silenzio tra i due cacciatori, l'unico rumore che si sentiva era l'inarrestabile lotta tra onde e scogli che si stava consumando sotto di loro. Ben avrebbe tanto voluto spezzare quel silenzio, era da quella mattina quando la ragazza aveva bussato alla sua porta che voleva farlo. Voleva parlare della sera precedente, di quel bacio che era stata lei a dargli, il fatto che poi lui non si fosse certo scansato e anzi si fosse fatto prendere la mano, era solo un dettaglio. Eppure si era trattenuto per tutta la giornata. Sapeva bene com'era fatta Lena, sapeva che se solo avesse provato ad aprire l'argomento si sarebbe chiusa in se stessa come un riccio e lui avrebbe perso quella naturalezza e quella familiarità che tanto amava quando stava con lei. Magari avrebbe addirittura ricominciato ad evitarlo e tutti i piccoli passi avanti che avevano fatto in quei giorni sarebbero stati inutili. No, non poteva rischiare, stare seduto accanto a lei a guardare il mare, ascoltare i racconti della sua infanzia, era sicuramente meglio che niente.
Rise da solo del suo pessimo tentativo di auto convincimento. Non poteva rischiare?
Andiamo, Ben. Chi vuoi prendere in giro?
No che non si sarebbe accontentato, tutto o niente.
Tutto.

- Comunque avevo ragione io - Lena si girò a guardarlo con aria interrogativa. Il ragazzo si sdraiò appoggiando i gomiti a terra, strappò un filo d'erba e se lo mise in bocca - Te l'avevo detto che saresti stata tu - ribadì beandosi dell'espressione confusa della ragazza, scrutò il suo viso aspettando che le sue guance si tingessero di rosso e gli dicessero che aveva capito.
Ma Lena, tarda, ingenua, dolce bambina, non capì. Si sentì così costretto a chiarire il concetto. Portò una mano alla bocca e, con fare teatrale, cominciò a muoverla mimando un bacio.
- Devo dire che è stato notevolmente superiore alle aspettative. L'ho immaginato così tante volte che credevo di essere preparato, ma la tua bocca... - Chiuse gli occhi mordendosi il labbro inferiore, sul suo viso si impresse un'espressione da censura. La ragazza già rossa come un pomodoro squittì il suo dissenso. Ben rise di gusto, il filo d'erba vibrava abbracciato dalle sue labbra. Ci pensò lei a strapparglielo di bocca, lo fece con rabbia di bocca e lo buttò lontano. Si scrutarono per alcuni secondi, gli occhi ridotti a fessure.
- Sai, stavo allenando i miei muscoli facciali e dato che mi hai tolto il mio filo d'erba dovrò trovare un altro modo per metterli in movimento - ammiccò muovendo le labbra e lanciando un bacio in aria. La mano di Lena si mosse rapida sul suo viso stampandogli cinque dita sulla guancia.
- Questa era abbastanza per i tuoi muscoli facciali o ne vuoi un'altra? - Ben ci rimase di stucco, ma si ricompose in fretta.
- Aggressiva? Mi piace - soffiò tastandosi la guancia rossa e assottigliando gli occhi.
- C'era davvero bisogno di ribadire il fatto che fossi stata io a baciarti? - Fu tentato di annuire, ma il bruciore che si irradiava per tutto il lato sinistro della faccia lo trattenne - Proprio come avevi detto tu, sei un veggente! Bravo, Ben, vuoi un applauso ora? - Constatò, dal viso rosso e dai movimenti bruschi, che era riuscito a farla infuriare per bene.
Bravo, Ben, vuoi un applauso ora? 
- Non riesco a capire perché fai così. Ti prego spiegamelo, perché proprio non riesco a capire - La voce era più bassa, ma inasprita da un vago senso di frustrazione.
- Così come? - Si diede dello stupido da solo per aver chiesto una cosa tanto inutile.
Così. Sembra che vada tutto bene, ti comporti in modo dolce e carino e poi...BAM! - urlò l'ultimo suono lanciando le mani in aria per mimare un'esplosione - Bam... - ripeté a voce terribilmente bassa - ...rovini tutto. Ma sai qual'è la cosa peggiore? - Scosse cauto la testa.
- È che io non faccio altro che aspettare pazientemente che arrivi il momento della tua esplosione. Perché sono una stupida ragazzina masochista e non vedo l'ora di raccogliere tutti i pezzi in cui mi hai frantumato - La verità dietro quelle parole lo colpì come un pugno nel petto e bruciava molto di più del suo schiaffo.
- Perché fai così? - Lo guardò e fu quasi impossibile per Ben sostenere la tenace fragilità del suo sguardo.
- Perché sono uno stronzo - Lena annuì incrociando le braccia davanti al petto.
- Vedo che siamo d'accordo su questo punto - disse velenosa.
- Sono un grande stronzo - ribadì.
- Grandissimo - lo corresse lei.
- Grandissimo! - concordò Ben alzando le mani in segno di resa.
- Davvero un grandissimo...- 
- Smettila di dirlo! - 
- Cosa? Stronzo? - scandì la parola e Lena alzò gli occhi al cielo esasperata - Non so nemmeno come fai a sopportare tutte le ca...volate che faccio, tutto quello che esce da questa bocca, tutto quello che c'è, e per fortuna rimane, in questa testa - Prese un grande respiro - Ora potrei farti un discorso coi fiocchi e prometterti che questa è l'ultima volta. Ma sappiamo entrambi che non è l'ultima volta. Chissà quanti altri casini combinerò, chissà quante altre volte sarò arrogante, prepotente, geloso... Non posso dirti che è l'ultima volta, vorrei almeno dirti che ne vale la pena, ma non sono tanto sicuro di poterti dire neanche questo... - Lo interruppe dovendo buttare fuori quelle parole che le pesavano dentro.
- Ne varrà sempre la pena per me, Ben. È questo il punto, è qualcosa a cui non posso oppormi - Una parola comparve nella sua testa, nitida, quasi luminosa; ogni lettera bruciava. Parabatai.
Lo so che non è l'ultima volta e so anche che tra un milione di volte probabilmente non sarà l'ultima... Ma non importa, o meglio mi importa, ma non è abbastanza per riuscire a starti lontana. Niente sarà mai abbastanza per riuscire a starti lontana - Lo disse con una tale sicurezza, una così intensa rassegnazione, che Ben ne rimase schiacciato. La parte più meschina di lui avrebbe dovuto esserne compiaciuta, gli aveva appena detto che poteva combinargliene di tutti i colori e lei gli sarebbe comunque rimasta accanto. Eppure non riusciva ad essere felice di una simile dichiarazione di ineluttabilità, quel tacito segno d'assenso da parte sua lo corrodeva.
Distruggimi pure, Ben. I brandelli di me che rimarranno non potranno fare altro che rimanerti vicino.

Lo raggiunse nel corridoio e gli lanciò addosso i vestiti in malo modo.
- Cosa sono? - Ebbe la sconsideratezza di chiederle.
- Stéphka è stata così gentile da procurarci due inviti e degli abiti per la festa di questa sera - rispose brusca lisciando un pezzo di stoffa.
- Oh, grazie Stéphka! - commentò sarcastico fissando gli strani abiti che la ragazza gli aveva lanciato. Lena lo guardò di traverso.
- È un ballo in maschera e questi sono abiti dell'Ottocento. Farai meglio a fingere di essere un gentiluomo per questa sera - ringhiò prima di sbattersi la porta della sua camera alle spalle. 

Non poteva credere di star davvero indossando qualcosa del genere. Stirò con le mani il panciotto, sistemò la giacca blu notte a doppio petto, il fazzoletto bianco infilato nel colletto; infilò nell'asola il bottone argentato, lo sbottonò subito dopo. Si passò una mano fra i capelli cercando di disordinarli in modo ordinato, ovviamente il risultato fu disastroso. Ci rinunciò, già era vestito come un damerino, non poteva anche avere i capelli ordinati. Allora considerò che la cosa più sensata da fare fosse scendere le scale e aspettarla in soggiorno. Un po' meno sensato invece fu rubare un fiore dal vasetto poggiato sul mobile ed infilarselo in un'asola della giacca. Si guardò intorno cercando di trovare qualcosa per ingannare l'attesa e si ritrovò a fissare il lampadario di cristallo pregando che la casa dei Blackshade non fosse tanto pretenziosa come l'Istituto.
Le scale scricchiolarono e Ben si voltò di scatto. Lena stava...Lena... Lena.

Indossava un abito dello stesso colore dei suoi occhi, le rifiniture argentate e i gioielli di diamanti donavano ancora più luce al raso. Il viso era lasciato scoperto dai capelli elegantemente tirati sù da un fermaglio prezioso, le iridi cobalto erano contornate da una maschera argentata. Un corpetto troppo stretto le strizzava il petto e Ben si chiese come avrebbe fatto a rimanere concentrato tutta la serata.
- Chiudi la bocca, Benjamin - lo rimbrottò poggiandogli un dito sotto il mento e spingendo in sù - Sono sicura che Stéphka non sarà contenta di pulire la tua bava dal pavimento - Era così...non da lei che Ben per poco non ci rimase secco.
Un punto per Lena
Fece meschinamente finta di non aver capito ed indossò anche lui una maschera argentata, si sfilò il fiore dall'asola e glielo porse. Lei lo guardò con quello sguardo da mamma stanca delle marachelle del figlio, spostò lo sguardo da lui, al fiore, al piccolo vaso sul mobile ormai vuoto. Gli strappò dalle mani il fiore e lo rimise nel vaso.
- Dammi il braccio - ordinò stancamente. Ben non protestò quando la sua parabatai tirò fuori il suo stilo ed iniziò a tracciare sulla sua pelle i contorni di un marchio. Quando ebbe finito riconobbe sull'interno del suo polso una runa delle lingue. La ringraziò mentre si riallacciava il polsino della camicia, almeno non si sarebbe sentito un completo idiota quando avrebbero iniziato a parlare in bulgaro.

La casa dei Blackshade non era una casa, ma un castello ed era, di certo, molto più pretenzioso dell'Istituto. Grandi lampadari di gemme penzolavano dal soffitto, ogni cosa era ornata da fiori e nastri, sui mobili e nelle teche erano esposte in bella mostra le ricchezze della famiglia, spade preziose e dall'aria antica erano fissate alle pareti. Avrebbe dovuto immaginarlo, erano una famiglia reale, dopotutto. 
Ben cercò di tenere il passo di Lena mentre avanzava sicura, sembrava conoscere molto bene ogni stanza ed era sempre più difficile starle dietro senza urtare i numerosi invitati e i loro ingombranti vestiti che si muovevano al ritmo di una musica lenta ed antiquata. Si fermò in una sala, così ricca e sfarzosa che avrebbe fatto impallidire le precedenti, gruppetti di persone al centro della stanza conversavano dei più disparati argomenti tenendo in mano un bicchiere e brindando di tanto in tanto.
Dopo una rapida occhiata Lena si voltò verso Ben.
- È lui - Gli occhi del ragazzo setacciarono il gruppo di nobiluomini che aveva davanti e si fermarono su un tizio dai capelli neri. Non aveva dubbi che quello fosse Dimitry.
Si muoveva con movimenti lenti e misurati, un sorriso rilassato increspava le sue labbra sottili. Dai luminosi occhi grigi si sarebbe detto che stava tenendo una conversazione non abbastanza avvincente da ottenere la sua attenzione. Il suo sguardo infatti passeggiava annoiato per tutta la sala alla ricerca di qualcosa su cui valesse la pena di soffermarsi. Poi la vide. In quel preciso istante, anche se non lo conosceva, Ben lo odiò con tutto se stesso.
I suoi occhi di marmo si inchiodarono in quelli cobalto di lei, com'era prevedibile ne vennero risucchiati. Il povero Dimitry uscì da quello sguardo scosso, la sua eterea maschera di indifferenza si sgualcì e dovette poggiare un palmo sulla parete per sorreggersi. L'aveva riconosciuta.
Congedatosi dalla conversazione si avvicinò a grandi passi scansando i corpi che gli intralciavano il cammino senza preoccuparsi di sorridere o scusarsi. Quando le fu davanti si prese un attimo per guardarla e basta.
Smetti di fissarla, figlio di puttana.
Ben avrebbe voluto prendere a pugni quel suo viso pallido fino a farlo diventare tutto un livido, ma qualcosa dentro di lui gli disse che Lena non avrebbe apprezzato. 
Solo quando si fu accertato di averle strusciato per bene gli occhi addosso si prese la briga di dire qualcosa.
- Alena...sei tu? - Si domandò mentalmente se avrebbe potuto essere più idiota di così.
- Pensavo fossi... - Il suo sguardo si fermò su Ben, ma non gli prestò troppa attenzione, infatti ritornò velocemente a guardare Lena.
- Morta? Sì, devo dire che nonostante l'avanzato stato di decomposizione mi mantengo piuttosto bene...- Ci fu un attimo di silenzio in cui Dimitry non seppe cosa dire. Ben rise sotto i baffi e si disse che più tardi avrebbe dovuto fare i complimenti a Lena per quel tagliente sarcasmo che sembrava averla invasa quella sera. Sembrava...un'altra.
- Beh, buon compleanno! - aggiunse più gentile. Dalle labbra di Dimitry uscì una risata nervosa.
- Questo è decisamente il miglior regalo di sempre - Poi la sua espressione si fece confusa - Eppure...Ho visto la casa dei tuoi genitori, Alena...era tutto bruciato...mi hanno detto che tu... Io non posso crederci, nonn può essere... - 
- Non qui - lo interruppe guardandosi attorno con apprensione. Alcuni degli invitati infatti avevano cominciato a mostrarsi curiosi verso la ragazza dagli occhi blu che parlava con il principe e avevano interrotto le loro conversazioni per osservarli.
- Balla con me, allora - propose il ragazzo prendendole una mano e guidandola, al riparo dagli occhi indiscreti, in un'altra sala dove tutti erano intenti a danzare e non avrebbero fatto troppo caso a loro.
Ben alzò vistosamente gli occhi al cielo, ma era quantomeno convinto che Lena non avrebbe accettato, quando invece non diede segno di voler declinare l'invito, si decise ad andargli dietro schiumante di rabbia. Seguiva ogni loro movimento appoggiato ad una parete affrescata, le braccia incrociate davanti al petto e gli occhi ridotti a due fessure. Aspettava solo il momento in cui Lena si fosse mostrata infastidita per intervenire e spaccare il bel faccino del principe.

Volteggiavano leggeri tra le altre coppie al centro della sala, la guancia di Lena era poggiata nell'incavo del suo collo, il più vicino possibile al suo orecchio, mentre gli raccontava di come si era salvata e di quello che aveva passato da quel maledetto giorno. Dimitry ascoltava assorto, di tanto in tanto poneva qualche domanda brillante o esprimeva ancora una volta lo stupore che sentiva nel rivederla. Non poteva negare che fosse stato emozionante rincontrarlo, era stato un pezzo importante della sua vita in Bulgaria, lo conosceva da quando era nata ed era sempre stata convinta che quando sarebbe arrivato il momento l'avrebbe sposato e avrebbe passato il resto della vita con lui. Ed invece era successo l'impensabile, la sua semplice vita da bambina era stata sconvolta e lei, orfana all'improvviso, si era trasferita in una città che non era la sua.
-  Chi è lui? - chiese dopo un po' Dimitry quando Ben gli riservò un'occhiata particolarmente velenosa. Lena, anche se era voltata di spalle, capì benissimo a chi si stava riferendo.
- È il mio parabatai - rispose mettendosi, senza sapere il perché, sulla difensiva. Al contrario Dimitry si rilassò visibilmente a quelle parole.
- Credevo fosse il tuo fidanzato - La cacciatrice inciampò nei suoi passi pestandogli goffamente un piede.
- Fidanzato? Eh? No! Lui...- trillò con qualche decibel di troppo - ...è solo Ben - finì la frase bisbigliando. Aveva volontariamente omesso il piccolo ma fondamentale particolare che Ben, essendo solo Ben, era il suo tutto.
- C'è troppo chiasso qui, vieni con me - Così dicendo la tirò gentilmente per una mano. Avrebbe tanto voluto fargli notare che i musicisti avevano appena smesso di suonare e che quindi non c'era affatto troppo chiasso, ma si trattenne perché infondo era andata lì per chiedergli un favore, non doveva dimenticarlo. Perciò si lasciò guidare fuori dalla sala.

Ben non aveva smesso un attimo di tenerli sott'occhio. Non si era lasciato sfuggire il modo in cui le mani di lui si poggiavano sulla vita di Lena mentre l'accompagnava sulla musica, come se fosse stata sua, come se non avesse dovuto chiedere il permesso a nessuno. Si dava il caso però, che c'era Ben e doveva rendere conto a lui prima anche solo di guardarla. Più tardi avrebbe dovuto fare un bel discorsetto con il principe, giusto per chiarire due o tre concetti.
Era bastato un attimo, una giovane cacciatrice gli era passata davanti, il bicchiere che teneva in mano era volato in aria ed il suo contenuto aveva macchiato la, fino a due secondi prima, candida camicia di Ben. Aveva imprecato a denti stretti, l'odio ingiustificato di Stéphka nei suoi confronti sarebbe cresciuto oltre misura sapendo che aveva sporcato l'abito che si era fatta in quattro per procurargli. La Nephilim si era scusata ripetutamente, gli aveva sorriso e proposto di ballare per farsi perdonare. Ben aveva declinato all'istante l'offerta, non gli importava assolutamente niente di ballare con lei, l'unica cosa che voleva era tornare a controllare che quella sottospecie di principe tenesse le sue luride mani regali a posto.
Con i modi più gentili che aveva a disposizione data la circostanza, le chiese di spostarsi da davanti e la ragazza mortificata si scansò lasciandogli la visuale libera. Imprecò un'altra volta. Ed ora dove diavolo erano finiti?

Lena guardava il panorama sotto di lei, Dimitry guardava Lena.
La terrazza sulla quale l'aveva portata era bellissima, piante e fiori orientali le davano un'intrigante aria esotica assieme alla lieve luce delle lampade. Oltre la ringhiera finemente lavorata si potevano ammirare le praterie sconfinate della Bulgaria, mentre alle orecchie di chi guardava arrivava lontano e soave il canto delle onde.
- Sono così contento che tu sia qui, Alena - In un'unica sera l'aveva ripetuto almeno una decina di volte. Certo, anche lei era contenta di rivederlo, solo che...
- Sono passati molti anni, io pensavo... - Il ragazzo scosse la testa scacciando via quei pensieri, i suoi capelli neri luccicarono sotto il chiarore della luna, prese tra le sue le mani della ragazza - Ma ora sei tornata. Tutti i progetti che avevamo, i nostri sogni, la vita che avremmo voluto vivere, può essere ancora vissuta. Noi possiamo... - Lena non si era mai sentita così in vita sua, una specie di mostro gelido e senza cuore, un'anima di ghiaccio che godeva nello spazzare via i sogni altrui. Sarebbe stato comodo tacere, sorridere e annuire aspettando che arrivasse il giorno seguente per poi sparire dentro un portale e non rivederlo mai più.
Sì, sarebbe stato decisamente più comodo, ma anche più crudele e Lena non era certo un mostro gelido senza cuore, non era un'anima di ghiaccio che godeva nello spazzare via i sogni altrui.
- Dimitry - lo chiamò piano raccogliendo la sua attenzione - Tutti i progetti, i sogni e quella vita che avremmo voluto vivere...niente di tutto questo era nostro. Eravamo due ragazzini che morivano dalla voglia di compiacere le proprie famiglie. Certo, due ragazzini che si volevano bene, ma solo due ragazzini - Il volto del ragazzo fu trafitto dalla delusione come un lampo improvviso che squarcia un cielo limpido.
- Ma...ma noi possiamo... - balbettò confuso.
- No, non possiamo - replicò lei - La mia vita non è più questa. Tornare qui è stato un colpo al cuore, mi sembrava di essere stata trascinata indietro nel tempo, per un attimo ho creduto che non fosse cambiato niente, invece è cambiato tutto. Io sono cambiata. Terrò la Bulgaria sempre nei miei pensieri e...forse è proprio questo il problema. Penso che quando un posto è casa non ci sia bisogno di tenerlo nei tuoi pensieri, è in ogni parte di te. Ormai casa mia è San Francisco -
Casa è dove si trova il cuore. Casa è tra le braccia di Ben. 
- Terrò anche te nei miei pensieri, Dimitry - E forse è proprio questo il problema, quando una persona è la tua persona, non c'è bisogno di tenerla nei tuoi pensieri, è in ogni parte di te.
- Ma non sono abbastanza nei tuoi pensieri per convincerti a rimanere qui - constatò con amarezza il ragazzo.
- Me ne vado domani - Si sentiva in dovere di farglielo sapere. A quelle parole Dimitry si bloccò, un lampo che Lena non fece in tempo ad identificare illuminò i suoi occhi argentei.
- Perché sei venuta? - Tutt'un tratto si fece freddo, il tono gelido come un iceberg. Si allontanò di un passo da lei, ora erano l'uno di fronte all'altra: lui appoggiato alla ringhiera, lei che dava le spalle alle sale in cui gli invitati festeggiavano ancora.
-Io...dovevo tornare almeno una volta qui, dovevo sapere se era tutto come l'avevo lasciato. Vedere Stéphka, vedere te, farvi sapere che ero viva e che stavo bene... - Il suo viso si contrasse, la interruppe brusco, una piccola crepa nella sua maschera di ghiaccio.
-Certo! Ti presenti qui, viva, quando tutti pensavamo che ormai riposassi nella città di ossa. Rievochi i ricordi, i vecchi tempi, il più bel regalo di sempre. Poi però dici che domani te ne vai. Immagino di essere l'unico a ricevere un regalo a scadenza - Le parole sputate fuori come veleno fluttuavano ancora nell'aria, i capelli corvini smossi nell'impeto di scagliarle addosso quelle frasi. Se li rimise apposto con una mano.
Era bello come un coltello, di una bellezza letale, e solo in quel momento Lena si rendeva conto di quanto quegli anni in cui erano stati lontano lo avevano reso affilato. 
- Allora, perché sei venuta qui? Gradirei la verità stavolta - disse ricomponendo la sua maschera di distacco. La cacciatrice si rendeva conto che era un momento piuttosto infelice per chiedergli un favore, ma sapeva anche non ci sarebbe stata un'occasione migliore. Deglutì mandando giù l'amaro che sentiva salirle in gola e pregò l'Angelo di infonderle un po' dell'arroganza e del sano egoismo di Ben.
- È vero che volevo rivederti... - cominciò addolcendo un po' il colpo -... Ma è vero anche che ho bisogno del tuo aiuto - Fu comunque una bastonata tra capo e collo. Dimitry glaciale nella sua fermezza stringeva tra le  dita affusolate la ringhiera fino a far sbiancare le nocche.
- Di che si tratta? - chiese mostrandosi indifferente e fallendo miseramente.
- Quando i miei genitori lasciarono la carica di capi dell'Istituto affidarono la maggior parte dei loro cimeli e gli strumenti più potenti alla tua famiglia, non volevano portarsi dietro tutto quello che stavano cercando di lasciarsi alle spalle, volevano una vita più sicura, una vita tranquilla... - Una vita che non ebbero.
Quindi è per questo, sei venuta per riprenderti ciò che ti spetta? Fai pure! - Lena incassò quelle parole come pugni nello stomaco. Gli aveva fatto tanto male da far uscire quel suo lato così scuro? Dov'era finito Dimitry, l'amico gentile e leale con cui poteva parlare di tutto?
Quando rispose le tremò la voce.
- Certo che no, non mi interessa nulla di quella roba. L'avete custodita per tutti questi anni...è vostra - Lo sguardo del ragazzo carico di disprezzo e rancore le bruciava addosso.
- E allora cosa vuoi? -
- Volevo sapere se tra le altre cose c'è anche una pietra - 
- Non c'è -
- È davvero importante, Dimitry. Non riesci neanche ad immaginare quanto abbia bisogno di quella pietra, io... - 
- Ho detto che non è qui. Se è quella che penso io, qui non c'è mai stata. Penso che sia stata una delle poche cose che hanno portato con loro i tuoi genitori - Lo sconforto si dipinse sul viso di Lena e dovette essersene accorto anche Dimitry che, non riuscendo a rimanere del tutto impassibile stavolta, si era leggermente ammorbidito.
- Perché ti serve? - Lena si sentiva prosciugata.
- Ignis - disse solo. Quel nome le bruciava sulla lingua mentre lo pronunciava, il ragazzo sgranò gli occhi.
- Ancora lui? - domandò sbalordito. Lena annuì piano. Avrebbe voluto aprirsi con lui, raccontargli tutto quello che le stava succedendo, voleva essere egoista per una volta, ma non poteva trascinarlo in quella faccenda, lui non c'entrava niente, doveva rimanerne fuori. Perciò gli disse il minimo indispensabile.
- Quella pietra è l'unica opportunità che ho per liberarmi per sempre di lui - sospirò.
Non ti nasconderei mai una cosa come questa, Alena. Non importa quanto tu possa ferirmi, non ti farei mai una cosa del genere. Ti giuro che la pietra non è qui -  E stavolta era sincero, Lena ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Infondo, sotto quell'involucro di ghiaccio che aveva fabbricato la delusione, c'era sempre lo stesso Dimitry, l'amico a cui voleva bene, l'amico che le voleva bene.
Ora la guardava, i suoi occhi grigi sembravano argentati sotto i raggi della luna; la tirò delicatamente per una mano facendola avvicinare un po' di più.
- Alena - chiamò piano accarezzandole incerto con una mano il viso - Mi dispiace per la reazione che ho avuto prima, è solo che... - Si interruppe, il suo sguardo si allontanò di poco da quello della ragazza, vagò un attimo alle spalle di questa per poi ritornarvi più forte e deciso di prima. Di botto cambiò atteggiamento.
- Lo so che eravamo due ragazzini, che sono passati dieci anni e che siamo cambiati entrambi. Ma per quanto la vita che ti sei costruita a San Francisco possa sembrarti tua, non lo è. Io so che non lo è. La tua vita è qui, in Bulgaria, tra questi prati, sotto questo cielo. Sei una principessa, Alena, la tua vita è in un castello, con una corona sul capo e un principe al tuo fianco - Il suo sguardo si fermò di nuovo alle sue spalle - Potrei darti tutto, ogni casa che vorrai, gioielli, abiti, ogni genere di regali e ricchezze. Ti tratterei da principessa, come devi essere trattata. Come nessun altro potrebbe mai trattarti - Come avrebbe fatto a dirgli che non c'era ricchezza o regalo che le interessasse? Che non si sentiva una principessa? Come fare a spiegargli che l'unica cosa che voleva, l'unica persona che voleva, non poteva averla?
- Dimitry, io...-.
- Ti amo e ti amerò senza riserve ogni giorno della mia vita. Rimani qui a casa, Alena, rimani con me - Ancora una volta spostò lo sguardo oltre le sue spalle, fu allora che a Lena venne qualche dubbio. Quando si voltò i suoi presentimenti divennero certezze.
Ben era fermo davanti a lei, il viso stranamente pallido, piatto, gli occhi spenti. Non la guardava, non guardava niente. Annuì impercettibilmente, come per rispondere ad una domanda silenziosa che solo lui aveva sentito, poi si voltò ed in tutta calma, o almeno in un'apparente e piuttosto spaventosa calma, se ne andò via.
Tu! - intimò senza fiato Lena voltandosi verso Dimitry - Tutto quello che hai detto, era solo perché sapevi che lui era qui! Sei... sei un...- le uscì un verso strozzato dalla gola, lo spinse con rabbia contro la ringhiera.
Goditi il tuo compleanno, Dimitry - capitolò facendola suonare come una minaccia, poi si voltò e corse dietro al suo parabatai.

Ben era molto veloce, quando si allenavano nella corsa Lena non riusciva mai a stargli dietro, ma Ben in quel momento non stava correndo. Camminava con una lentezza estenuante fuori dalla residenza dei Blackshade, la ragazza lo raggiunse quasi subito nonostante l'ingombrante vestito. Lo chiamò, non si voltò, continuò imperterrito a camminare come se niente fosse; allora lo raggiunse e prendendolo per un braccio lo costrinse a girarsi nella sua direzione. Lui non oppose resistenza e si fece voltare come un pupazzo di pezza.
Lena si aspettava di vederlo scoppiare da un momento all'altro, urlarle in faccia, urlare al cielo, urlare a tutto. Ma non urlò, non parlò, non fece niente per un tempo che le sembrò lunghissimo, aggrappato al suo silenzio non faceva altro che guardarla. Quando le parole uscirono dalla sua bocca non erano quelle che Lena si era aspettata.
- Forse ha ragione lui - bisbigliò e la cacciatrice ebbe un sussulto.
- Come hai detto? - chiese sbalordita pregando di aver sentito male.
- Ho detto che forse ha ragione lui - ripeté - Se rimani qui avrai tutto: ricchezza, felicità, un castello degno di una principessa, un ragazzo che nessuno ti vieta di amare... - Avrebbe voluto strapparsi le orecchie pur di non sentire quelle parole.
- Ti prego, dimmi che non lo pensi davvero... Non vuoi che ritorni a San Francisco? - chiese piano con quell'ingenuo cipiglio da bambina sul viso, Ben si passò una mano sulla faccia.
Come faceva a spiegarle che c'erano cose più importanti di quello che voleva lui?
Come le avrebbe detto che questa volta non riusciva a fare l'egoista?
- Certo, vorrei che tornassi a San Francisco, ma voglio anche che tu stia bene e che sia felice. Forse questo è il tuo posto... - Con che coraggio le diceva una cosa del genere? Non lo sapeva che non sarebbe mai stata felice lontana da lui?
- Il mio posto è con te - disse semplicemente spazzando via tutti i dubbi e la voglia di fare l'altruista del ragazzo.
Ben mandò al diavolo le incertezze e, sguazzando in quella sua abbondante dose di sano egoismo che ti fa godere la vita, azzerò la distanza tra loro.
- E il mio con te - disse circondandola con le braccia. Le labbra ad un respiro dalle sue non gli erano mai sembrate tanto lontane, stava per chiamarsi ed annullare anche quell'ultima distanza, quando un verso stridulo lacerò l'aria.
Si voltarono all'unisono frastornati per quella vicinanza, per quel bacio interrotto prima ancora che fosse iniziato. Quando videro con i loro occhi chi, o meglio cosa, li aveva interrotti, le loro mani corsero subito a cercare alla cintura le spade angeliche da sguainare. Ma non le trovarono, ovviamente: non è molto educato presentarsi ad una festa armati fino ai denti. Per fortuna Ben, che non si impegnava più di tanto ad essere educato, aveva infilato un paio di coltelli sotto la giacca. Ne passò una a Lena.
Il demone che si era parato loro davanti era piuttosto unico nel suo genere, i due cacciatori non ricordavano di averne mai visto uno simile. Era alto più o meno quanto un uomo, ma le somiglianze con qualsiasi essere umano finivano lì. Grandi e minacciose zanne color carbone traboccavano dalla voragine frastagliata che si sarebbe detta una bocca, tra di loro uscivano ad intervalli regolari rivoli di fumo dall'odore nauseabondo. Tutto il corpo era una massa informe dello stesso colore delle braci roventi e ad ogni passo lasciava dietro di sé scie di cenere. Se c'era un solo punto a loro favore, era che sembrava essere lento.
Si scagliò verso Lena, che evitò prontamente il suo attacco e si spinse in avanti brandendo il coltello, ma senza troppi risultati.
- Ho come l'impressione che un paio di coltelli non bastino neanche ad attirare la sua attenzione, figuriamoci a ferirlo o a sbarazzarcene - gridò la cacciatrice per sovrastare i latrati del demone e far giungere le parole al suo parabatai. Ben provò lo stesso a colpirlo a sua volta, la lama penetrò il corpo di brace del demone e ne uscì liquefatta, gridò di frustrazione ed estrasse un altro coltello dalla giacca.
- È inutile, Ben! Hai visto cosa succede? -
- Hai un'idea migliore? - chiese retorico scagliandosi ancora una volta contro il mostro che sembrava intimorito dall'arma di Ben quanto un leone da un fiore.
- In realtà, sì! -
- E che aspetti a condividerla con il tuo caro parabatai? -
- C'é un portale sempre in funzione nei sotterranei dell'Istituto - sputò fuori schivando la palla di fuoco che le aveva lanciato addosso il demone. Non fece in tempo a finire la frase che il ragazzo l'aveva già afferrata per una manica mentre correva in direzione dell'edificio.

Lena correva più che poteva, strappando senza pietà la stoffa dell'ingombrante abito quando la intralciava, mentre Ben evitava che cadesse ogni volta che la lunga gonna si impigliava da qualche parte. Il demone, che si era rivelato leggermente più veloce di quanto pensassero, gli stava alle calcagna.
Tutt'un tratto un forte calore invase la schiena del ragazzo, subito dopo arrivò il cocente dolore di mille punture. Ben non aveva il tempo per girarsi, né per pensare a cosa gli era successo, sentiva solo la pelle che bruciava e il dolore che si faceva sempre più insistente.
Quando arrivarono davanti all'Istituto Lena lo tirò per un braccio, risvegliando un dolore che era suo, ma che sentì anche lei. 
- Di qua - gridò trascinandolo verso una costruzione più piccola dietro all'imponente edificio. Ben si buttò con tutto il peso addosso alla porta che, sotto la sua spinta disperata, scricchiolò rumorosa, il demone alle loro spalle era sempre più vicino. Lena invece tirò fuori il suo stilo e tracciata una runa la porta si aprì lasciandoli entrare, si tuffarono dentro mentre i latrati furibondi del demone protestano a qualche metro di distanza. Quello era un luogo di cacciatori, protetto da rune e da incantesimi dal potere angelico, lui non poteva entrare.
Quando, dopo qualche secondo, il mostro di fuoco sparì nell'aria Ben tirò un sospiro di sollievo, per Lena invece non ci fu sollievo. Il fatto che se ne fosse andato appena aveva capito di non poterli più raggiungere poteva significare solo una cosa: era venuto lì solo per loro.
Fissò per qualche secondo il portale che aveva davanti, la stregaluce blu cobalto stretta spasmodicamente fra le sue dita.
- La spada non l'hai portata, ma questa si, eh? - soffiò Ben, inopportuno come al solito. Suo malgrado Lena cedette ad un piccolo sorriso stanco.
- Andiamo subito via da qui - implorò subito dopo, esausta. Non che San Francisco si fosse rivelata una città sicura nell'ultimo periodo, ma voleva che questo viaggio nel viale ombroso dei ricordi finisse il prima possibile. A maggior ragione perché era stato un vero fallimento, non avevano trovato la Pietra Runcia ed erano anche stati attaccati da un demone mai visto prima, un'altra delle numerose stranezze da aggiungere all'elenco delle sciagure che li perseguitavano.
Fu allora che una strana idea le balenò in mente. Era sfocata e dai contorni frastagliati, ma più ci rifletteva e più si chiedeva come aveva fatto a non pensarci prima.
- So chi ha la pietra runica - disse di botto - Avanti, sbrigati, dobbiamo subito tornare all'Istituto - Non si rese conto di aver urlato infervorata com'era da quell'intuizione, prese la mano di Ben e senza concedergli nessuna spiegazione in più si lanciò contro il portale.

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Capitolo 14
*** Punto di rottura ***


Sarò ripetitiva, vi avverto: devo ringraziare quei due angeli di principessac e federicademaio che mi seguono in un modo adorabile e che mi danno un motivo per aggiornare!
Questo è un capitolo "ponte", diciamo così, mi serve per collegare un po' di cose e fare una specie di punto della situazione. Spero che possiate apprezzarlo lo stesso, un grande bacio, Akilendra 






14. Punto di rottura

I can't fight you anymore 
It's you I'm fighting for
The sea throws rocks together 
But time leaves us polished stones 
(U2~Ordinary love)



Era stata una scena abbastanza pietosa a dire la verità, Grace doveva ammetterlo.
Quando aveva sentito qualcuno bussare insistentemente alla porta era andata ad aprire un po' sospettosa, chiedendosi chi fosse tanto maleducato da bussare a quell'ora della notte. Eppure avrebbe dovuto immaginarlo, o quantomeno riconoscerlo dalla bussata arrogante e dalle imprecazioni che tirava da dietro la porta.
Ben era appoggiato allo stipite, la solita espressione brusca in faccia, i soliti capelli arruffati. Il solito insomma, se si faceva eccezione dei vestiti, che sembrava aver preso in prestito da chissà quale antenato. O meglio, ciò che rimaneva dei vestiti, quella poca stoffa che gli strappi, il sangue e le fiamme avevano misericordiosamente risparmiato. Lena al suo fianco non era messa tanto meglio con l'ingombrante vestito ormai ridotto in brandelli e le forcine che gli penzolavano in mezzo alle ciocche di capelli arruffati e bruciacchiati sulle punte.
Grace li guardò ancora un secondo, come per accertarsi che fossero davvero lì sulla porta e non fosse solo il sonno che le giocava un brutto scherzo.
- Cara zia Grace, io non vorrei essere impertinente, si sta comodissimi qui fuori al freddo e in piedi. Ma, come dire, ci piacerebbe venire dentro. Che dici, ci fai entrare o ci accampiamo qui fuori dal portone? - Grace scosse la testa al tono sarcastico del nipote e si scostò per lasciarli entrare.

Se quella di prima era stata una scena pietosa, questa lo era ancora di più.
Riunita attorno ad un tavolo c'era la famiglia Fairway al completo: Eleanor che in camicia da notte era se possibile ancora più autorevole del solito; Nicholas che manteneva la calma anche se era stato svegliato da un Ben e una Lena che sembravano appena usciti da un tritacarne; Ben che ancora con i vestiti sporchi e logori, il viso smunto e la bruciatura sulla schiena faceva un po' paura; c'era perfino Grace con il pigiama di flanella rosa e la crema notturna per le rughe sul viso. Accanto sedevano Magnus Bane, l'unico vestito dignitosamente, se dignitoso poteva essere chiamato il suo completo color argento psichedelico; quella che si era scoperto da poco essere sua sorella Lilian alla quale si teneva, per il bene di tutti a debita distanza; e Nadia, la licantropa che apparteneva al branco il cui covo era stato incendiato e di cui praticamente conoscevano solo il nome, ma che si era offerta di aiutarli e l'Angelo sapeva quanto avessero bisogno d'aiuto.
Per completare il quadro generale di quell'insolita riunione, c'è da dire che, a causa dei loro ospiti, si trovavano nella serra. Quello era infatti l'unico posto dell'Istituto non protetto dagli incantesimi angelici e che quindi poteva ospitare Nascosti. Erano tutti seduti intorno al tavolo su cui Grace, con tanto amore, curava i suoi bulbi.
L'unica che non ci pensava neanche a stare seduta era Lena. Infervorata camminava in modo caotico per la serra calciando la gonna sdrucita del vestito. Di tanto in tanto urtava qualche vaso provocando i lamenti strozzati di Grace.
- Ti dispiace ripetercelo ancora una volta, cara? - chiese stanca Eleanor, le occhiaie davano al suo viso una strana dignità. Lena annuì velocemente, era la terza volta che ripeteva la parte iniziale senza riuscire a raggiungere una conclusione.
- La Pietra Runica è uno strumento antichissimo e di grande valore. Tra i suoi principali poteri c'è quello di intrappolare un demone in una dimensione parallela, che poi è quello che ha subito secoli fa Sammael...-.
- Come fosse una prigione dimensionale - Annuì entusiasta all'affermazione di Magnus, qualcuno almeno la stava ascoltando.
- Questo è possibile perché la Pietra è in grado di modificare la materia che compone un demone, è in grado di dargli un'altra forma, di trasportarlo in qualsiasi dimensione... -
- Aspetta... Di potenziarlo o attribuirgli caratteristiche che originariamente non aveva? - chiese Ben all'improvviso interessatissimo.
- Si! - strillò Lena voltandosi subito nella sua direzione - Si! - confermò come liberandosi da un peso. Il ragazzo impallidì leggermente, evidentemente era arrivato alla conclusione del discorso.
- Ma quindi... - iniziò confuso.
...Ignis ha la pietra runica - finì per lui Lena.
Nella veranda calò un inquietante silenzio.
La quiete durò poco, ci volle qualche secondo perché i presenti digerissero le parole della ragazza, subito dopo scoppiò il finimondo.
Magnus e sua sorella sbraitavano in una lingua sconosciuta. A Nadia erano spuntate le zanne e ringhiava verso Grace che non la smetteva di gridare terrorizzata. Nicholas cantilenava a occhi chiusi in posizione yoga. Ben e Lena, ognuno ai lati opposti della serra, si urlavano discorsi per sovrastare l'accozzaglia caotica delle altre voci.
Un urlo acuto si impose sugli altri, lentamente tutti fecero silenzio. Eleanor soddisfatta si alzò sistemandosi la camicia da notte.
- State tutti un attimo zitti - impose ferma chiudendo gli occhi e godendosi il silenzio per qualche secondo, poi risollevò le palpebre e fece un profondo respiro.
- Bene. Ora se non vi dispiace parlo io - Anche se a qualcuno fosse dispiaciuto, non si sarebbe certo azzardato a dirlo.
- Penso sia ora di fare un po' d'ordine, ci sono alcune questioni ancora poco chiare. Prima di tutto: Lena, sei sicura che la Pietra Runica sia l'unico oggetto magico a possedere questi poteri? - La ragazza annuì vigorosamente, aprì la bocca per spiegarsi meglio ma Eleanor la fermò con un gesto della mano.
- Quindi sappiamo che ce l'ha Ignis e che sono da attribuire a lui i demoni... modificati che abbiamo incontrato negli ultimi tempi. Sai a cosa potrebbero servirgli, oltre che a dare fastidio a noi? - Questa volta la ragazza scosse la testa.
- Non lo so. So solo che sono l'ultima Silverkey rimasta e rendermi la vita un impossibile è diventato ufficialmente il suo passatempo preferito - Eleanor annuì grave.
- Altra cosa che sappiamo è che si serve di un cacciatore per fare il lavoro sporco, questo spiega la "sorpresa" che ha trovato Lena nella sua camera la notte del suo compleanno. Se il suo aiutante fosse stato uno stregone, come avevamo ipotizzato, non sarebbe potuto entrare nell'Istituto - Passò in rassegna i volti assorti dei presenti prima di continuare - Manca un unico tassello per completare questo puzzle: gli incendi. Sappiamo che sono opera sua, ma non sappiamo a cosa possano servirgli -
- Oltre ad appesantirmi la coscienza con la morte di tutte quelle persone? - chiese retorica Lena - Ignis mi vuole morta, questa è una certezza, ma c'è una certezza ancora più grande: vuole che soffra. Farà pagare a me il prezzo dell'errore che ha commesso - Le tracce del sonno rubato sul suo viso unite all'abito logoro e ai capelli pasticciati rendevano ancora più inquietanti le sue parole. Eleanor, l'istinto da mamma che prevaleva sulla forza da cacciatrice, si sentì in dovere di tranquillizzarla.
- Ci siamo noi qui con te. Sei a casa, con la tua famiglia - La sua espressione si ammorbidì incontrando lo sguardo smarrito della ragazza, le regalò un sorriso, accogliente, caldo, il sorriso di una mamma, un sorriso che Lena non vedeva da tanto tempo.
Ben con movimenti lenti e misurati per non scatenare il dolore alla schiena, infatti non c'era stato tempo di curarla con un'iratze, si alzò dalla sua sedia e le si avvicinò incurante degli sguardi di tutti puntati addosso. C'erano volte in cui non potevi preoccuparti degli altri, c'erano volte in cui dovevi fare quello che volevi fare e basta.
L'abbracciò da dietro poggiando la guancia nell'incavo del suo collo, la pelle che urlava di dolore mentre lui la ignorava.
- Sei al sicuro, Lena. Ti prometto che non permetterò mai a nessuno di farti male - le sussurrò ad un orecchio e le paure erano state messe a tacere. Rimaneva nel petto solo quella calda sensazione di avere un posto nel mondo, quel posto che era casa ed era tra le sue braccia.
- Ehm... - Un colpo di tosse e tutti si voltarono verso di lei. Lilian si era alzata dal tavolo e già da un po' passeggiava avanti ed indietro per la serra; nonostante non guardasse in basso, finora aveva miracolosamente schivato tutti i vasi di Grace.
- Giuro che non interromperei mai un momento così dolce se non ne valesse la pena - Lanciò un'occhiata a Lena, che le restituì lo sguardo e fece qualche passo nella sua direzione.
- E ne vale la pena? - La cacciatrice la raggiunse dall'altra parte del tavolo e cominciò a camminare al suo fianco. Poteva davvero fidarsi di lei?
Lilian continuò a guardarla, smise di camminare, sorrise.
- Oh, puoi giurarci -.

Quella della strega era solo un'idea, ma era pur sempre meglio di quello che avevano finora, ovvero nulla. Secondo Lilian si trattava di un incantesimo: gli incendi erano il mezzo con il quale Ignis stava cercando di eseguire un incantesimo. Questo spiegava, tra le altre cose, perché venivano appiccati con la magia.
- Una specie di rituale - considerò Magnus ad alta voce, segretamente offeso perché non aveva avuto quell'intuizione prima di sua sorella.
- E a cosa servirebbe questo rituale? - Le teste di tutti si voltarono verso Nadia. Se c'era una cosa che Lena aveva imparato su di lei era che fosse una tipa di poche parole, si era quasi dimenticata infatti della sua presenza nella serra.
- Io ho già avuto l'idea geniale della giornata, mi dispiace, ma ormai dovrete aspettare domani - rispose prontamente Lilian con quella spavalda ironia che alla cacciatrice ricordò un po' il suo parabatai.
Si voltò dalla sua parte, spontaneamente le sorrise.

Pian piano le varie figure cominciarono ad andarsene: chi tornava nel suo appartamento glitterato, chi dal suo branco, chi alle sue faccende da Nephilim. Nella serra ormai erano rimasti solo Ben, Lena e Lilian.
Non si fa molta fatica a capire chi dei tre fosse l'intrusa.
Tuttavia Lilian non accennava a muoversi da dov'era: seduta a gambe incrociate al centro del tavolo, i gomiti poggiati su di esso e gli occhi a mandorla puntati sulla cacciatrice.
- Pensi di riuscire a lasciarla con me solo per un attimo? - La domanda era rivolta a Ben, ma lui non si mosse né sembrò comprenderla fin quando Lena non si voltò a cercarlo e con lo sguardo gli disse che andava bene. Un breve cenno della testa, occhi negli occhi. Sono qui fuori, una parola ed entro. Come se fra di loro servissero parole...
- Tranquilla, te la restituisco tutta intera - gli urlò dietro Lilian mentre quello si chiudeva alle spalle la porta.
Sarà meglio, strega.
- Pff, parabatai... Tanto lo so che poi lei ti spiffera tutto - sussurrò ancora girata verso la porta per poi voltarsi di nuovo verso la cacciatrice. Le strizzò l'occhio mentre alzava i piedi da terra e li poggiava sul tavolo e Lena, che la guardava stoica, non poté trattenersi dal pensare che fosse pazza.
- Volevo solo dirti che lo troverai - esordì quella fissandola negli occhi - Sei una cacciatrice, Alena, troverai quel demone come hai fatto con altri mille prima di lui e lo spedirai in quel buco di culo di prigione dimensionale dove si merita di essere rinchiuso per l'eternità - Interessante definizione - E, nonostante forse tu ormai non ti fidi di me... - Alzò gli occhi al cielo, ma Lena non poteva certo biasimarla: aveva appena fatto la stessa cosa - Sì, beh, ammetto che la mia entrata in scena non sia stata una delle più brillanti, voglio dire, fingersi un'altra non deve essere stata una trovata geniale per guadagnarmi la tua fiducia. Eppure vedi, quello che ti ho detto quella notte, sotto i lampioni di San Francisco, non era tutta una menzogna. La maggior parte di quelle cose erano vere, solo che non appartenevano a Nadia, ma a me - Aveva levato i piedi dal tavolo ed ora sedeva sul ciglio della sedia, pronta ad alzarsi  - Io... Oh, insomma, quello che volevo dirti è che farò qualsiasi cosa è in mio potere per aiutarti - Questo Lena non se lo aspettava: quello sguardo, quella sincerità nei suoi occhi.
Suo malgrado, non poteva che essere estremamente sincera a sua volta.
- Perché dovresti farlo? - Aveva un bel sorriso Lilian, lo esibiva nei momenti sbagliati e rendeva i suoi occhi a mandorla ancora più sottili. Sembravano quasi chiusi.
- Perché, nonostante tu non ti fidi di me, io mi fido di te e so che questa è la cosa giusta da fare - Si alzò finalmente dal tavolo, ma non per andarle vicino, bensì per raggiungere la porta. L'aprì e si fermò sull'uscio, dietro di lei Ben se ne stava fermo. Per un attimo la strega si guardò i piedi, due dita che arrotolavano una ciocca di capelli corvini, ancora quel sorriso sulle labbra, gli occhi quasi chiusi.
- E poi perché a Timbuktu mi annoiavo - Chissà se era davvero stata a Timbuktu.
Si disse che l'unica cosa che importava era che in quel momento fosse lì ed allora si rese conto che c'era un errore nel discorso che aveva appena pronunciato: si fidava di lei.
Come puoi non fidarti di una donna che sorride ad occhi chiusi?
Appena la strega si chiuse la porta alle spalle, questa si riaprì di nuovo. Ben fece capolino nella serra.
- È davvero stata a Timbuktu? - chiese. A Lena veniva da ridere.
- Chi lo sa... -.

Eppure, nonostante il discorso incoraggiante di Lilian, la vita reale andava avanti e non sempre secondo i piani. Per Lena erano passati giorni di inferno in cui aveva finito per diventare sempre più paranoica. L'ombra di Ignis era fissa nei suoi pensieri qualsiasi cosa facesse, come un'inquietante presenza di cui non riusciva a liberarsi; il promemoria che era là a ricordarle che, nonostante le parole di chi le voleva bene, non era affatto al sicuro.
Anche quella notte, l'ennesima notte, gli incubi le avevano fatto visita, carcerieri che ogni volta arrivavano puntuali a dirle che non era libera.
Ben si era precipitato nella sua stanza proprio quando si era svegliata urlando strane parole in bulgaro, le aveva spostato i capelli sudati dalla fronte ed era stato con lei finché non aveva smesso di agitarsi alle prime ore della mattina. Mentre l'aveva sentita calmarsi tra le sue braccia un pensiero inaspettato gli era passato per la testa.
- E se te ne andassi? - La voce fievole come un sussurro - Se mettessi più spazio possibile tra te e tutti questi problemi che non fanno che tormentarti? Potresti andartene lontano per un po', tornare quando tutto questo sarà finito - propose mentre si arrotolava sul dito una ciocca dei suoi capelli ambrati.
- Vuoi che me ne vada? - chiese agitata combattendo col sonno per tenere gli occhi aperti.
Per l'Angelo, no, solo che qui... -
Da sola, in un posto che non è casa mia, i miei incubi mi perseguiterebbero ancora di più - osservò la ragazza.
- Ma cosa ti passa per la testa? Non saresti da sola, io verrei con te - rispose lui senza alcun dubbio - Potremmo... -.
- No, non potremmo - lo interruppe - Questa storia non finirà mai se non sarò io a farla finire. Per secoli la mia famiglia non ha fatto altro che fuggire e guarda come è andata... E poi, con quale coraggio potrei andarmene e lasciare sulle spalle dell'Istituto un fardello che è solo il mio? - Ben scosse la testa.
- A volte la moralità non è la cosa più importante, Lena. Quando un demone superiore perseguita la tua famiglia da secoli e la cosa che più vuole al mondo è farti soffrire, prima di ucciderti, non è decisamente la cosa più importante - cercò di farla ragionare, ma stavolta fu Lena a scuotere la testa.
- Per me lo è, Ben, sai che per me lo è. Non riesco semplicemente ad andarmene lontano, chiudere gli occhi e far finta che qui non stia succedendo niente. Non ce la faccio - Nella sua voce c'era quella nota di esasperazione che, paradossalmente, convinse Ben ad insistere.
- Lo so, ma... - tentò.
Sono stanca di scappare, Ben. Non ho fatto altro per tutta la mia vita, ora basta. Non voglio più nascondermi - A quelle parole il ragazzo si girò sul letto per poterla guardare meglio negli occhi.
- Non mi sembrava che la pensassi in questo modo sul nasconderti - commentò pungente. Non la capiva, diceva di non volersi nascondere e poi era la prima a farlo. Nascondeva quello che c'era tra loro continuamente.
- Non mettere in mezzo me e te. Non c'entra assolutamente niente -
- Si che c'entra - C'entrava sempre.
- Che poi, non ho ancora capito cos'è che ci ostiniamo a nascondere - ammise Ben. Lena fece forza sui gomiti tirandosi sù sul materasso con un'espressione interrogativa sul viso.
- Intendo: chi siamo io e te? - chiese indicandosi e poi indicando lei - Parabatai, amici, confidenti, compagni, fratelli... E poi? Cos'altro c'è? Non vedo nulla di male in tutto questo. Cos'è che dobbiamo nascondere? - la provocò.
Lena non riusciva a credere che lo stesse chiedendo sul serio, non era forse chiaro cosa dovevano nascondere?
- No lo so, forse il fatto che ci siamo baciati due volte e che proviamo sensazioni, istinti, sentimenti che un Nephilim non dovrebbe provare per il suo parabatai? - chiese retorica al limite della sopportazione, subito dopo si tappò la bocca con le mani. Lo odiava con tutta se stessa per avergli appena tirato fuori di bocca quelle parole. Ben sorrise compiaciuto, sicuro di aver già vinto, ma voleva sentirlo dalle sua voce.
- E cosa provi, Lena? - La ragazza sbarrò gli occhi. Le sembrava una domanda assurda, così semplice eppure così complicata, innocente ma terribilmente proibita.
- Visto? Non lo sai neanche tu, perciò cosa dovremmo nascondere? - Stava cominciando a diventare estenuante, davvero, parlarne e parlarne e riparlarne cominciava a stancarla sul serio. Non gli rispose e lui non disse nient'altro per parecchio tempo, eppure le sue domande continuavano a ronzargli in testa.
Chi siamo io e te? Cosa provi? Cosa dovremmo nascondere?

Aveva provato di tutto per metterle a tacere, eppure le parole di Ben continuavano a perseguitarla.
Girovagava da tutto il giorno per la città, tornando e ritornando sui luoghi che nell'ultimo periodo erano stati teatro di quella serie di eventi imprevisti. Come un'anima in pena strisciava i piedi da un posto all'altro cercando disperatamente un indizio, un dettaglio che le era sfuggito e che avrebbe potuto fare la differenza. Com'era prevedibile, non lo trovò.
Per la disperazione andò persino al Conclave a chiedere un'udienza. Le fu negata, ovviamente.
Come poteva andarle bene anche una sola cosa? Non poteva, certo che non poteva. Lei era Alena Silverkey, destinata da sempre e per sempre ad essere tormentata da tutto il mondo.
Alzò gli occhi, fissò il cielo nuvoloso di San Francisco e pensò che, qualunque dio c'era lassù, doveva proprio avercela con lei.

Se la giornata le era sembrata opprimente, tornare a casa era paragonabile ad una tortura.
Varcò la soglia dell'Istituto con la testa china, una condannata a morte che si avvicina al patibolo. Con passi silenziosi, per non svegliare nessuno, salì le scale e raggiunse la sua camera. Avrebbe volentieri aperto la porta se qualcuno, con l'espressione truce e le braccia incrociate davanti al petto, non fosse sembrato tanto ostinato a rimanersene davanti alla sua stanza per il mero gusto di non lasciarla passare.
- Dove sei stata? - abbaiò Ben.
- In città -
- A fare cosa? -
- A cercare qualcosa -
- Cosa? - Lena sospirò, quantomeno il suo asfissiante terzo grado le permetteva di passare un po' di tempo e di ritardare la resa dei conti con gli incubi che, varcata quella soglia, l'avrebbero aggredita.
- Qualsiasi cosa - rispose stanca.
E l'hai trovata? - Le uscì una risatina isterica
No, ovviamente - disse sarcastica.
Potevi avvisarmi, ti avrei accompagnata - Oltre quell'aria irriverente c'era qualcos'altro sul suo viso che aveva il sapore del dispiacere.
- Avevo bisogno di stare un po' da sola - Ben rimase un attimo immobile, poi si affrettò a spostarsi dalla porta.
- Oh... okay - bisbigliò attraversando lo stretto corridoio e fermandosi davanti la sua stanza, esattamente di fronte a quella di Lena.
- Buonanotte, allora - farfugliò poggiando la mano sulla maniglia.
Lena ringraziò il cielo di avere il viso rivolto verso il legno della porta della sua camera, altrimenti Ben avrebbe certamente notato il modo in cui serrava le labbra e avrebbe capito che era nervosa. Strizzò gli occhi come quando ci si aspetta una grande esplosione.
- Aspetta! - forse l'aveva urlato - Non andare in camera tua, ti prego non lasciarmi sola - bisbigliò ad un tono di voce appena udibile. Ben era rimasto per qualche secondo come pietrificato, la mano ancora poggiata sulla maniglia, poi senza dire una parola aveva attraversato di nuovo il corridoio, aperto la camera di Lena, si era spostato per lasciarla entrare per prima e una volta dentro si era lasciato cadere sul materasso affianco a lei.

Era fin troppo chiaro perché avesse il terrore di rimanere sola, non le aveva chiesto spiegazioni, erano le sue urla ogni notte a spiegare.
Così erano rimasti zitti per molto tempo, ad occhi chiusi ascoltavano il silenzio nella stanza ed i propri respiri che si mischiavano a quelli dell'altro, poi Lena cercando con tutte le forze di ricacciare indietro il sonno aveva aperto bocca ingoiando uno sbadiglio.
- Ben - aveva chiamato volendo imbastire una delle tante conversazioni senza senso che si ritrovavano spesso a fare. Lui non aveva risposto.
Sopraffatto dalla stanchezza, si era ricordato di essere umano, di avere bisogno di dormire e di non avere le motivazioni salde quanto quelle di Lena per riuscire a rimanere sveglio. Il sonno lo aveva colto di sorpresa e lui si era arreso.
Si era girata nel letto, le coperte attorcigliate alle gambe, lo aveva osservato mentre se ne stava raggomitolato nell'altra parte del letto, i capelli scompigliati e quel cipiglio da bambino che il sonno gli donava.
Le era venuta una voglia matta di baciarlo.
Ci aveva seriamente pensato per un momento, dopotutto era ancora addormentato, da sveglio non si sarebbe ricordato di niente, non le avrebbe fatto notare con quei suoi modi dannatamente fastidiosi che era stata lei a baciarlo, per la seconda volta. Le scappò una risatina a quel pensiero, si tappò la bocca con una mano, troppo tardi. Proprio in quel momento Ben aprì gli occhi.
- Perché mi stai fissando? - Beccata.
- Non ti sto fissando, ti stavo solo guardando - Sul suo viso si aprì un sorrisetto che le fece venire voglia di riempirlo di schiaffi, o forse di baci? Lena non avrebbe saputo dirlo, era una linea tremendamente sottile.
- E ti piace quello che vedi? - La voce impastata dal sonno interrotto era ancora più bassa del solito. Per l'Angelo, sembrava uno di quei film sdolcinati per mondani.
No - rispose per principio. Si.
- Sei davvero una pessima bugiarda - rise forte, Lena gli tirò il cuscino in faccia.
E lo colpì in pieno, il cuscino si stampò sul viso del ragazzo e poi rimbalzò a terra. Ben lo raccolse con l'espressione funerea di chi è appena stato oltraggiato.
- Vuoi la guerra, Alena? - chiese spavaldo rialzandosi e facendo un passo verso di lei. La ragazza indietreggiò sul materasso e raggiunse la testa del letto fingendosi terrorizzata mentre tratteneva una risata - E guerra sia! - urlò tirandole a sua volta il cuscino e lanciandosi sul letto per iniziare una battaglia all'ultimo solletico.
- No, il solletico no! Ti prego, Ben, il solletico no! - implorava ridacchiando mentre si dimenava sotto le sue dita. Il cacciatore, fingendo di non sentirla, continuò spietato il suo assalto. Lena si difendeva come poteva agitando mani e piedi cercando di farlo desistere, impietosendolo con qualche gridolino disperato mentre qualche colpo andava a segno.
- Bambina cattiva! Così sveglierai tutti - ringhiò Ben bloccandole le piccole mani, che entravano perfettamente in una delle sue, sopra la testa. Le gambe immobilizzate dal peso del suo corpo, i loro bacini appoggiati l'uno all'altro. Lena urlò il suo dissenso tra una risata e l'altra e quando anche quelle si furono esaurite si ritrovò ansante, per la giocosa lotta appena svolta e per la vicinanza al suo parabatai.
Ben aspettava che gli chiedesse di spostarsi, che si divincolasse, che distogliesse lo sguardo imbarazzata o che peggio, cominciasse uno di quei suoi maledetti discorsi sul fatto che fosse sbagliato e che erano parabatai, bla, bla, bla...
Non successe nessuna di queste cose.
Lena non lo aveva scansato, né gli aveva chiesto di pensarci da solo, muta e ansimante se ne stava immobile sotto di lui. Negli occhi fissi in quelli del ragazzo si poteva leggere a chiare lettere il pudore che era parte di lei e che Ben non avrebbe cambiato per niente al mondo. Ma, a caratteri un po' più piccoli, in un angoletto dell'iride cobalto, si distingueva qualcosa di diverso, di più caldo, qualcosa che lei, guardandosi allo specchio, avrebbe classificato come sbagliato.
Eppure non faceva niente per evitarlo, non faceva niente per cercare di liberarsi da quella situazione. Ben in quei pochi secondi non fece altro che chiedersi il perché, poi capì.
Lena non voleva liberarsi da quella situazione. Non voleva, per una volta, trovandosi davanti alla situazione sbagliata per eccellenza, non voleva liberarsene.
E capì anche che doveva fare qualcosa, sentiva che doveva fare qualcosa, perché era vicina, così tremendamente vicina. Era un vaso coperto di crepe che si ostinava a rimanere tutto intero, ma sarebbe bastato un tocco, sarebbe bastato sfiorarlo per farlo andare in frantumi. Ovviamente non voleva che Lena andasse in frantumi, solo quella odiosa parte di lei che non era lei. Quella parte che era fatta di tutte le opinioni degli altri di cui non riusciva a liberarsi: giusto sbagliato, buono cattivo, onore vergogna, bene peccato...non voleva mandarla in frantumi, voleva solo che si liberasse di quella parte. Voleva che fosse lei, lei e basta, senza timori, preconcetti, doveri e stupide regole dettate da gente che era vissuta secoli e secoli prima e che non sapeva assolutamente un accidente di loro due.
Ben non accettava che quella gente gli condizionasse la vita, era libero e indipendente sotto quel punto di vista e voleva trascinare con lui anche Lena in quella libertà.
Aveva bisogno di un punto di rottura, un tocco deciso per far crollare una volta per tutte le sue barriere, per far frantumare il vaso.
Dopo un tempo infinito avvicinò il viso al suo, i loro corpi che combaciavano perfettamente, le labbra separate solo da un respiro.
Lena non si muoveva, voleva quel bacio e voleva lui.
Ben si avvicinò ancora di un millimetro e... Forse dopotutto doveva lasciare che il vaso si rompesse da solo.
- Hai una ciglia nell'occhio - disse passandole un dito sotto la palpebra mentre faceva finta di levare qualcosa che non c'era. Si godette l'espressione confusa che passò sul viso della ragazza. Quando si tirò sù spostandosi da lei, Lena si imbronciò e con il fare scontroso di una bambina incrociò le braccia davanti al petto. Dovette trattenersi per non scoppiare a riderle in faccia.
Cosa c'è adesso? - chiese brusca notando che il ragazzo era diventato livido per cercare di trattenere le risate. Lui scosse la testa.
- Niente - rispose con sulla faccia un sorriso fin troppo innocente per non essere sospetto. Lena emise un suono strozzato.
- Sei...- iniziò scorbutica.
Meraviglioso? - propose candidamente il ragazzo.
- ...insopportabile! - ringhiò voltandosi teatralmente dall'altra parte per non guardarlo. Si spostò sul letto per avvicinarsi di più a lei e le mollò un pizzicotto sul fianco.
- Cosa ho fatto stavolta? - chiese come se non l'avesse saputo. Lena ostinata non rispose per principio e lui continuò a tormentarla convinto a farla cedere a tutti i costi.
- Sei insopportabile -
- Già l'hai detto -
- Stupido -
- Cos'altro? -
- Arrogante -
- Un po' di originalità, Alena! - la rimproverò scherzosamente. Le uscì un verso esasperato.
- Allora, vuoi dirmi cosa ho fatto? - Perché stava ridendo? Lei si rodeva il fegato e lui rideva? Lo odio, giuro che lo odio.
Cosa non hai fatto - lo corresse acida. Ben sembrò illuminarsi come una lampadina e guadagnò minimo dieci centimetri d'altezza.
E sentiamo, cos'è che non ho fatto? - lei alzò vistosamente gli occhi al cielo e Ben fu tentato di proibirle ancora una volta di farlo.
Lena si domandò se fosse davvero così stupido da non averlo capito e quel sorrisetto idiota che aveva stampato sul viso le rispondeva che sì, certo che l'aveva capito e allora perché si divertiva a punzecchiarla in quel modo? Voleva vederla rossa in viso, balbettante e incerta mentre non sapeva cosa dire. Voleva convincerla a parlare, a rispondere a quelle maledette domande che le aveva fatto quella mattina e che, da allora, non avevano smesso un attimo di tormentarla.
Chi siamo io e te? Cosa provi? Cosa dovremmo nascondere? 
Voleva spingerla al limite, piegarla al massimo per vedere quanto avrebbe potuto resistere prima di spezzarsi.
Quanto avrebbe potuto resistere? Poco, pochissimo, si era già spezzata.
- Questo - sputò fuori premendo le sue labbra contro quelle del suo parabatai.
Ben la accolse in quel bacio prendendola per mano, guidandola verso sensazioni che non aveva ancora sentito. Era un bacio che aveva un sapore nuovo, del tutto diverso da quelli che si erano scambiati prima. Era un bacio fuori dal tempo, un bacio che era una promessa, un sospiro, un 'finalmente' gridato a gran voce. Ma quel bacio non era un grido, era piuttosto un sussurro, così forte e potente che sovrastava le voci nella testa di Lena che urlavano che era sbagliato; così caldo e accogliente che l'unica cosa che sentiva sbagliata in quel momento era non averlo fatto prima.
Chi siamo io e te? Cosa provi? Cosa dovremmo nascondere?
- Cos'era questo? - chiese Ben staccandosi dalle sue labbra quel tanto che bastava per parlare. Doveva saperlo, doveva sentirselo dire, doveva vedere con i suoi occhi che il vaso coperto di crepe era finalmente andato in frantumi. Da quei cocci avrebbero potuto costruirne un altro, insieme.
- Questo è chi siamo io e te, cosa provo e cosa dovremmo nascondere -.

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Capitolo 15
*** Il regalo della bastarda ***


Ave! 
Ehm... Ho avuto un piccolo contrattempo, ma alla fine ecco qui il capitolo. Mi sono piuttosto divertita a scrivere alcuni passaggi, spero che faranno sorridere anche voi.
Qualcosa mi dice che federicademaio, dopo aver letto, avrà voglia di uccidere qualcun altro oltre Dimitry e che principessac riconsidererà i suoi sospetti... Ahahahah basta, ho già detto troppo! Ma prima di cucirmi definitivamente la bocca volevo solo farvi sapere che abbiamo passato ormai la metà della storia (26 capitoli + l'epilogo), perciò se qualcuno di quelli che leggono in silenzio volesse farmi sapere cosa ne pensa... Beh, ne sarei davvero felice, non è mai troppo tardi! ;)










15. Il regalo della bastarda 

Tu sei una persona di quelle che si incontrano quando la vita decide di farti un regalo.
(Charles Dickens)



Febbraio stava finendo e il freddo con lui, la pioggia però non dava tregua. Anche in quel momento cadeva leggera ma costante, quella pioggerella di San Francisco che era così fina che sembrava innocua, eppure bagnava senza pietà tutto ciò che trovava.
Lena la osservava assorta da dietro la finestra della casa di Magnus. Odiava quel tipo di pioggia che, nonostante cadesse, mentre la guardavi ti dava in continuazione l'illusione di star per smettere. Alla fine però non si fermava, non si fermava finché non smettevi di sperarci.
Gli schiamazzi che aveva sentito fin da quando era entrata nell'abitazione si fecero più forti, riconobbe la voce di Lilian che inveiva contro lo stregone in una lingua sconosciuta. Magnus spuntò da una camera in fondo al corridoio, a grandi passi raggiunse il salone dov'era Lena. Lilian subito dietro di lui gli urlò contro qualcosa con un tono minaccioso, anche se non conosceva quella lingua Lena era sicura che assomigliasse più ad un insulto che ad un complimento. 
- Amore fraterno - squittì l'uomo e lei si voltò di nuovo verso la finestra per non scoppiare a ridergli in faccia.
- Dov'è il tuo ragazzo? - si voltò e lo fulminò con lo sguardo.
- Ben arriverà a momenti - disse fra i denti. 
Sembrava che quel giorno si fossero tutti messi d'accordo. Magnus aveva contattato l'Istituto ad un'ora indecente della mattina dicendo che dovevano subito andare da lui, doveva avere a che fare con l'idea di Lilian dell'incantesimo di Ignis; nel frattempo però si era fatta viva anche Nadia, "ho qualcosa per voi" aveva detto. Lena si era mostrata scettica al riguardo, non la convinceva il fatto che una sconosciuta si interessasse così tanto ad aiutarli, insomma: Lilian almeno era un po' meno sconosciuta. E poi quel sospetto lo aveva avuto anche nei confronti della strega all'inizio, ma poi si era rivelata essere la sorella di Magnus e quindi tutto aveva acquistato un senso.
Sta di fatto che quella mattina Ben e Lena erano stati costretti a dividersi e mentre lui aveva raggiunto Nadia, lei lo aspettava a casa dello stregone.
Pochi minuti e suonò il campanello, fu Lena ad andare ad aprire dato che Magnus era occupato a litigare con sua sorella.
- Che diavolo sta succedendo qui? - domandò Ben entrando in quella casa piena di schiamazzi. 
- Amore fraterno - rispose lei ridendo, poi notò che stava entrando anche Nadia e la sua espressione cambiò leggermente. Abbastanza però perché il suo parabatai, che avrebbe indovinato l'espressione sul suo viso anche se le avessero messo un sacco di iuta in testa, la notasse. 
- Tutto bene? - le chiese infatti. Le sue dita le spostarono con premura una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
- L'hai portata... - constatò. La voce ridotta ad un sussurro per non farsi sentire, il ragazzo si avvicinò al suo orecchio.
- Solo ieri era nella serra del tuo Istituto, perciò non capisco dove sia il problema - Il tuo Istituto. Qualcosa dentro di lei le suggerì che l'unico Istituto che le sarebbe mai potuto spettare era a miglia di distanza da lì. Scacciò in fretta quei pensieri dalla testa, sembravano quasi appartenere ad un'altra, e si affrettò a rispondere.
- Ero troppo provata per protestare, ecco tutto. Ma ora sono in forze e non intendo... - la bloccò prima che potesse finire, trascinandola per un braccio lontano dalla porta ed imponendoglisi come solo a lui avrebbe permesso di fare.
- Penso che possiamo fidarci di lei - Era serio.
- Ma se non la conosci nemmeno - obiettò comunque.
- Ti fidi di me? - Le sue dita le abbracciavano il mento. Non c'era bisogno che rispondesse e lui lo sapeva bene. Se si fidava di se stessa, si fidava anche di lui.
- Bene, io mi fido di lei - Lena sospirò a sentirlo pronunciare quelle parole.
- Poi mi spieghi cosa ha fatto per guadagnarsi la tua fiducia - brontolò.
- Intanto ci ha dato questo - Sfilò dalla tasca un guanto nero, quando la cacciatrice lo toccò scoprì che la sua stoffa era sorprendentemente morbida - Sembra che l'abbia perso il nostro cacciatore piromane durante l'incendio al covo dei licantropi - spiegò il ragazzo.
- E si può sapere perché esce fuori solo ora? - Ben annuì.
- Giuro che ho una spiegazione anche per questo - promise. Lena sospirò per la seconda volta nel giro di un minuto.
Quando i due ragazzi alzarono gli sguardi si accorsero che le urla si erano momentaneamente interrotte e che gli occhi dello stregone e di sua sorella erano puntati su di loro. Magnus in particolare sembrava particolarmente interessato alla scena che si stava svolgendo, spostava lo sguardo da uno all'altra come se stesse cercando di analizzare qualcosa.
- Siete per caso andati a letto insieme voi due? - sbottò senza preavviso e Lena per poco non si soffocò con il suo stesso respiro. Lilian scoppiò a ridere, Nadia se ne stava in disparte senza dire una parola.
- Oh, per l'Angelo, no! - squittì la Nephilim, il volto in fiamme.
- Sicuri? - chiese scettico lo stregone - Guardate che a zio Magnus potete dirlo... - 
- Sicuri! - urlò Lena in preda ad una crisi respiratoria.
- Fatti i dannati fatti tuoi! - rispose il suo parabatai, secco più che arrabbiato. Il solo risultato che ottenne fu insinuargli un dubbio ancora maggiore. Magnus spostò il suo sguardo sul ragazzo, per alcuni secondi si fissarono con quell'indecifrabile complicità maschile dalla quale Lena sembrava esclusa.
- Smettetela, voi due! - sbraitò picchiando il palmo della mano sul tavolo a forma di margherita del soggiorno - Piuttosto: perché ci hai chiamati? - chiese rivolgendosi al padrone di casa, le braccia incrociate davanti al petto e la voce decisa.
- Sedetevi - sospirò l'uomo rassegnatosi ad accantonare quell'argomento bollente a cui era tanto interessato.
Tutti fecero come aveva detto.

- Ecco perché posso dirvi di essere quasi certo che il prossimo incendio sarà in uno di questi luoghi - Magnus concluse il suo discorso tirando fuori dalla tasca una cartina di San Francisco. Lo stregone infatti aveva a lungo riflettuto su cosa accomunava i luoghi dei due incendi, dopo alcune ricerche aveva trovato ciò che gli interessava. Sembrava che anticamente l'ex covo dei licantropi fosse stato la sede di un circolo di maghi in cui si praticava magia demoniaca, mentre il Golden-jug era gestito da due stregoni che lavoravano, vivevano e praticavano le loro magie lì. Magnus quindi sosteneva che Ignis stesse cercando di attingere da questi luoghi magici l'energia necessaria per eseguire l'incantesimo che aveva ipotizzato già sua sorella Lilian. Se solo avessero saputo di quale incantesimo si trattasse...
Secondo i ragionamenti dello stregone, il prossimo incendio si sarebbe quindi dovuto verificare in un luogo altrettanto impregnato di magia. Sulla cartina che aveva spianato sul tavolo aveva cerchiato i tre posti che credeva essere i più plausibili.
- Sei un genio, Magnus - si complimentò Lena.
- In realtà se non avessi avuto l'idea dell'incantesimo probabilmente questo microcefalo non ci sarebbe mai arrivato - A quelle parole lo stregone si voltò piccato verso la sorella.
- Microcefalo... Ma davvero, Lily? - Sarebbe cominciata un'altra guerra fratricida se solo Ben non li avesse interrotti in tempo.
- Ehm.. Quando pensi che sarebbe questo terzo incendio? - Magnus chiuse la bocca, già pronta a sputare insulti verso sua sorella, per poi riaprirla solo un attimo dopo.
- Beh, calcolando che... - Cominciò a fare vari calcoli e considerazioni apparentemente inutili tant'è che Lena si perse a metà dell'operazione.
-...stasera - annunciò poi, improvvisamente.
I due Nephilim sbiancarono e sui visi delle altre due donne comparirono espressioni allibite, persino Nadia, solitamente dura come l'adamas, sembrava essere stata scalfita da quell'informazione.
- Quindi ora che si fa? - domandò quest'ultima prendendo per la prima volta da quando era arrivata la parola. In realtà si era rivolta a Lilian, guardava lei. Lena si chiese in che rapporto fossero quelle due, dovevano essere quantomeno amiche, dopotutto la licantropa le aveva permesso di fingersi lei.
- Ci dividiamo, bisogna tenerli d'occhio tutti perché non sappiamo dove colpirà - rispose risoluta la strega.
- Bene, io e Lena ci prendiamo il teatro - Quella annuì alla proposta del cacciatore.
- Io e Nadia ci occupiamo della libreria allora - li informò.
- Suppongo che quindi a me rimanga la casa del vecchio Jack-mani di legno - disse Magnus facendo una smorfia e puntando il dito sull'ultimo edificio cerchiato sulla cartina.

Il vecchio Jack-mani di legno non aveva davvero le mani di legno ed essendo uno stregone non era davvero vecchio. Amico da secoli di Magnus, aveva con questo uno strano rapporto di amore-odio per una storia che adesso sarebbe davvero troppo lunga da raccontare. Basti sapere che Magnus avrebbe rinunciato a tutte le bombolette di glitter che aveva in casa pur di non rivederlo.

Era stato piuttosto facile per Ben e Lena, era bastata una runa della persuasione: il San Francisco Opera era stato chiuso per quel giorno ed era a loro completa disposizione. C'è da dire che all'inizio erano stati molto professionali: due Nephilim modello. Si erano tracciati le rune a vicenda con una serietà da manuale, avevano ispezionato ogni angolo del teatro per controllare che fosse effettivamente vuoto, avevano individuato ogni entrata e uscita che sarebbe potuta tornare utile in caso...
Eravamo partiti così bene, come siamo arrivati a questo? Pensò Lena mentre guardava, comodamente seduta su una poltrona di velluto rosso della platea, il balletto russo che stava mettendo in scena Ben sul palco.
- Sei veramente pessimo - commentò mentre sghignazzava piegata su se stessa per le risate.
- Sei di quelle parti là, dovrebbe piacerti questa roba - si giustificò il ragazzo improvvisando un altro passo. Lena rise ancora più forte.
- Sono bulgara, mia madre era solo nata in Russia! E ti assicuro che questa roba non piacerebbe a nessuno - lo prese in giro.
- Bulgara, russa... è uguale, no? Non ballate anche voi così? - la stuzzicò cercando di farla infuriare, ma il risultato fu tutt'altro. Lena si alzò dal suo sedile di velluto e raggiunse i piedi del palco, allungò le braccia verso Ben, che la tirò sù senza il minimo accenno di fatica.
- Anche in Bulgaria c'è un ballo tipico, si chiama Racenica... * - spiegò guidando le mani del ragazzo sui suoi fianchi; cosa che, se non se ne fosse accorta, aveva levato al suo parabatai più o meno due anni di vita, assieme al respiro.
- Si balla più o meno...così - Cominciò a muovere i piedi in modo frenetico, sembravano leggeri, sembrava che non avessero bisogno di poggiarsi a terra; mulinavano nell'aria con grazia e coordinazione e a Ben si impicciarono gli occhi solo a guardarla. Si fermò un attimo intuendo lo smarrimento del ragazzo.
- Vuoi che te lo faccia vedere di nuovo? - chiese trattenendo una risata.
- Magari più lento... - propose lui grattandosi la testa.

Continuarono a ballare per ore, cercando di passare il tempo in attesa che si facesse sera, cercando di esorcizzare la tensione che sentivano crescere dentro.
Guardare Lena ballare era decisamente un buon modo per distrarsi. Le sue gambe si muovevano sinuose fasciate nella pelle nera della divisa da Shadowhunters, i capelli sciolti danzavano scompigliati sul viso al ritmo della musica che c'era nella sua testa, le iridi blu cobalto si accendevano di puro divertimento e quell'enorme sorriso che aveva in faccia rievocava il ricordo di una bambina spensierata che ballava scalza alle feste di paese davanti ad un falò.
Ben pensò che fosse una delle cose più belle che avesse mai visto.
- Basta, mi arrendo - ansimò buttandosi a terra. Lena lo imitò subito dopo, si sdraiò sul palco al suo fianco, le braccia premute sulla pancia per le troppe risate, le gote accaldate e l'espressione spensierata sul viso.
Passarono alcuni minuti di immobile silenzio, poi come per un'idea che le rimbalzava in testa, si alzò di scatto appoggiandosi ai gomiti.
- Ora puoi spiegarmi cosa ha fatto la ragazza-lupo per guadagnarsi la tua fiducia? - chiese con quell'aria insistente di chi voleva a tutti i costi una risposta. Ben scrollò le spalle.
- Mi ha raccontato la sua storia - Aspettò paziente che aggiungesse qualcosa, allora lui si alzò, recuperò dalla tasca della sua giacca buttata chissà dove il guanto che le aveva mostrato a casa di Magnus e glielo lasciò cadere in faccia. Lena si godé la morbida carezza che lasciò il tessuto sottile sul suo viso prima di prendere in mano l'indumento ed osservarlo. Notò che la stoffa scura era rovinata in alcuni punti da piccoli buchi e strappi, si sarebbe detto che fossero stati procurati dal fuoco. 
- Quindi sembrerebbe che questo guanto appartenga al nostro cacciatore misterioso - Il ragazzo annuì.
- Lo ha trovato un giovane del branco la notte dell'incendio. Appena l'ha scoperto Nadia ci ha chiamato -.
- Sì, ma perché il ragazzo non è venuto subito da noi? - Ben si strinse nelle spalle.
- Immagino si tratti di scarsa fiducia - ipotizzò.
- Nei nostri confronti? - Lui scosse la testa.
- Non nei nostri confronti, nei confronti di ogni Nephilim... Penso sia anche normale, dato i nostri trascorsi con i Nascosti - Lena era consapevole di risultare abbastanza fastidiosa in quel momento, ma aveva un'altra domanda e non poteva tenerla per sé. 
- E quindi come fai a non essere nemmeno un po' insospettito da tutta la fiducia che ci sta dando Nadia? - 
- Te l'ho detto, mi ha raccontato la sua storia -
- E cosa aspetti a raccontarla anche me, Ben? -.
Ben aspettava un altro momento, più tranquillo, in cui avrebbe potuto riportare a galla i ricordi di Lena senza farle male. Aspettava un momento che probabilmente non sarebbe arrivato mai, perciò tanto valeva parlare e non tirarla troppo per le lunghe.
- Hai presente un certo Iván Silverkey? - chiese grattandosi la testa e arruffando ancora di più i capelli.
- Sì, certo. Lui è...era mio zio - Gli occhi annebbiati mentre cercava di ricordare.
- Ecco, lui e Nadia... -
Lui e Nadia erano stati innamorati. 
Si erano conosciuti quando lui era venuto a vivere a San Francisco, era stata una bella amicizia la loro, fin quando non si era trasformata in qualcosa di più.
- Non ce lo ha mai detto, mio padre era suo fratello eppure non sapeva niente - Lena frugava tra i suoi ricordi di bambina, cercando anche il più piccolo indizio, tutto quello che trovò furono piccoli flash di memorie frastagliate, in cui lo zio che si era trasferito e le sue situazioni amorose non erano comprese.
- Beh, lui era un cacciatore e lei una licantropa, stiamo parlando di più di dieci anni fa... Magari le loro famiglie non avrebbero capito ...- 
- Vuoi dire la mia famiglia - lo corresse. I Silverkey erano sempre stati legati alle vecchie convinzioni: le tradizioni secolari che si tramandavano di padre in figlio, i valori imprescindibili e i doveri sacrosanti... Di certo non era contemplato nella maniera più assoluta che un giovane, nobile e promettente Silverkey, si innamorasse di una Nascosta. Non c'era da stupirsi se Lena fosse venuta sù così...rigida. Non era colpa sua, ce l'aveva nel sangue. Si chiese distrattamente cosa avrebbe pensato la sua famiglia di lei e Ben e si rispose che sicuramente non sarebbe stato qualcosa di buono, perciò semplicemente cercò di non pensarci.
- Certo, dovevano nascondersi da tutto, amarsi in segreto, ma filava tutto liscio finché... -
- ...finché non arrivò Ignis - finì per lui la ragazza, il suo parabatai annuì. 
- Quando venne incendiato il covo del branco Nadia capì subito che si trattava dello stesso demone che aveva ucciso Iván. Poi conobbe Lilian che si servì della sua identità per arrivare a noi e successivamente a suo fratello, quando scoprì che eri una Silverkey uscì alla scoperta e decise definitivamente di aiutarci - Ora molti pezzi trovavano il loro posto nel puzzle che aveva in testa Lena. Ora era chiaro perché Nadia si fidava di loro e perché fosse tanto interessata a questa storia di Ignis.
Per forza, ha ucciso la persona che amava.
Lena non riusciva ad immaginare un dolore tanto grande. Come aveva fatto ad andare avanti per tutti quegli anni? Come aveva fatto a sopportare quella sofferenza che, solo ad immaginarla, le sembrava atroce?
Nadia doveva essere una persona davvero forte, Lena sentì immediatamente nascerle dentro, a dispetto delle apparenze, un profondo ed inaspettato senso di solidarietà nei suoi confronti. Una persona che aveva sofferto così tanto eppure era rimasta in piedi, meritava tutto il suo rispetto. E poi c'erano quelle disgraziate similitudini tra loro che le facevano accapponare la pelle e scaldare il cuore nello stesso momento: erano entrambe innamorate della persona sbagliata; entrambe condannate a nascondersi, sempre col terrore di essere scoperti, come ladri, come delinquenti... Erano entrambe state rese infelici da Ignis e probabilmente tutte e due ossessionate con l'ucciderlo.
Avevano molte più cose in comune di quanto si sarebbe aspettata.
- L'amore è bastardo - aveva detto Ben osservando l'espressione della ragazza mentre metteva mentalmente a confronto le sue sciagure con quelle di Nadia.
- La vita è bastarda - aveva obiettato Lena e lui si era trovato d'accordo solo a metà. 

In effetti era una gran bastarda, riservava trattamenti davvero ingrati ad alcuni dei suoi figli: bastava pensare a Nadia e a come era riuscita a strapparle tutto. Era una gran bastarda perché giocava coi fili del cuore delle persone, le manovrava come fossero state burattini, marionette senza vita a cui puoi fare di tutto.
Le persone non sono marionette senza vita, eppure la vita gli fa di tutto.
Era così bastarda che ti faceva innamorare della tua parabatai, così bastarda che lei ti ricambiava, bastarda tanto da convincerti a buttarti a capofitto in una relazione apparentemente senza futuro, bastarda abbastanza da farti sperare che un giorno avresti smesso di nasconderti.
Bastarda, e ti nutriva di magre speranze.
Bastarda, e ti faceva soffrire la fame negandoti un agognato lieto fine.
Eppure Ben, a quella bastarda della vita, doveva dire anche grazie. 
Perché a volte, la bastarda, ti fa anche dei regali, così, giusto per farsi perdonare. Magari, ironia della sorte, il regalo è proprio la causa delle bastardate che ti rifila senza pietà.
Per Ben, Lena era così, doveva ringraziare quella bastarda, dolce, meravigliosa vita che gli aveva messo accanto una persona tanto speciale. Che poi fosse anche un ottimo mezzo con cui torturarlo, quello era un altro discorso.
Per Ben, Lena era il regalo della vita.


- Perché mi stai fissando? - chiese sentendo gli occhi del suo parabatai addosso, le parve di avere un piccolo deja-wu. Ben si destò dai suoi pensieri.
Perché sei il regalo che mi ha fatto quella bastarda.
- Perché sei bella - Beh sì, anche per questo.
Le spostò una ciocca di capelli sudati che le si erano appiccicati al viso e la fissò a lungo. Sorrise.
- Sono fortunato. E felice - Non ricordava di averlo mai visto sorridere così; qualcosa, all'altezza del petto guizzò e non era la runa.
- Perché? - Come riusciva ad essere felice in una situazione del genere? Sorrise ancora di più.
- Perché sei mia - Parole semplici che le riempivano il corpo di brividi, la scuotevano selvaggiamente e la lasciavano tremante in preda ad un'emozione che non sapeva gestire. Si aggrappò alla sensazione del pavimento su cui era sdraiata per non aver paura di perdersi.
- È vero che sei mia? - Sul serio aveva dubbi? Annuì lentamente.
- E allora dillo - insistette.
- Sono tua, Ben. Solo tua - soffiò - E tu sei mio? - Sul serio aveva dubbi?
- Tuo, Lena. Ogni più minuscola parte di me è tua - Le loro mani si ritrovarono intrecciate, i respiri si mischiarono, i cuori battevano sincronizzati.
C'era promessa più profonda di questa? 
- Sempre
- Ovunque - .

Fu un attimo. Passi concitati, frusciare di vesti, un mantello che si muoveva ampio per sfuggire agli occhi dei due cacciatori, ma fu troppo lento. Anche se Ben e Lena avevano i cuori occupati in quel momento, le loro orecchie erano liberissime e, seppur la figura incappucciata cercava di essere il più silenziosa possibile, fu impossibile per loro non sentire i rumori che si lasciava dietro. 
Non ci volle più di un secondo per alzarsi, sguainare le spade angeliche, saltare giù dal palco e lanciarsi al suo inseguimento.
Mettersi a ballare sul palcoscenico non era stata esattamente un'idea intelligente, Lena se ne rendeva conto, soprattutto ora che cercava disperatamente di sgusciare tra i sedili della platea per raggiungere il corridoio che aveva imboccato il cacciatore. Sapeva benissimo dove l'avrebbe portato, lei e Ben avevano passato ore ad ispezionare ogni singolo metro quadrato di quel teatro. Sapeva benissimo che, esattamente dalla parte opposta c'era un corridoio identico che sbucava nella stessa stanza dell'altro.
Un cenno concitato con la testa e Ben annuì capendola al volo. Tra loro non servivano parole.
Il cacciatore incappucciato era veloce. Sì, a confronto di un mondano, ma piuttosto lento per essere un cacciatore e, considerando che Ben era più veloce della maggior parte degli Shadowhunters, non fu troppo difficile per lui raggiungerlo.
Percorse il corridoio opposto in fretta, mangiando il pavimento sotto la suola delle sue scarpe, gli fu davanti proprio mentre anche lui sbucava nella stessa stanza. L'uomo si guardò freneticamente intorno, il cappuccio oscillava concitato, considerando che non c'erano altre vie di fuga, si girò su se stesso ed imboccò il corridoio dal quale era arrivato nella direzione opposta. Nessuna scelta sarebbe stata meno azzeccata.
Non era veloce, ma non era neanche particolarmente intelligente.
Non fece più di un paio di metri infatti, prima che Lena gli fu davanti bloccandogli la via. Sorpreso si voltò ancora e trovò Ben a murargli il passaggio. Era in trappola.
All'inizio cercò di lottare, di sgattaiolare via aprendosi il passaggio con calci e pugni, ma era solo. Ben e Lena erano due, con l'incredibile vantaggio di avere due corpi, ma una sola mente: si muovevano sincronizzati e con gesti complementari. Non ci volle molto perciò prima che si ritrovasse bloccato con la faccia strizzata contro il muro e le braccia tenute ferme dietro la schiena.
- Ma guarda chi si vede, il nostro piromane preferito! - sghignazzò Ben con un ghigno selvaggio sul viso - Ci siamo auto-invitati al tuo terzo falò, spero non ti dispiaccia - Com'era prevedibile non rispose alla provocazione del ragazzo.
- Sei piuttosto scortese, sai? Noi siamo venuti qui a faccia scoperta, tu invece ti nascondi ancora dietro a questo cappuccio, che tra parentesi è leggermente passato di moda - Lena alzò gli occhi al cielo per il sarcasmo al quale il suo parabatai non riusciva a rinunciare in nessuna situazione.
- Credo sia venuto il momento di scoprire quale faccia da cu... quale faccia si nasconda qui sotto, non credi Lena? - Non aspettò nemmeno la sua risposta, afferrò con forza il cappuccio e lo tirò indietro. Il mantello frusciò e mostrò un volto che certamente non era quello che si aspettavano. 
- A...Alaric? - balbettò incredula Lena, Ben invece era una maschera di rabbia.
- Dammi un fottuto motivo per cui non dovrei spaccarti la faccia in questo preciso istante e prega l'Angelo che sia convincente, altrimenti io... - Alaric stese le mani davanti a sé, forse per dire di aspettare, forse per proteggersi dalla furia cieca che si leggeva negli occhi di Ben.
- No, vi prego! Non è come sembra, non sono io l'uomo che cercate! - sputò le parole intimorito.
Ben alzò gli occhi al cielo.
- Dicono tutti così -.







* : beh, non ho la più pallida idea di come sia, ma è davvero un ballo bulgaro

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Capitolo 16
*** La fiamma ***


16. La fiamma

Everybody wants a flame, but they don’t wanna get burnt
And today is our turn
(James Blunt~Bonfire heart) 



Alaric se ne stava seduto su una sedia nella sala della musica dell'Istituto, le mani legate tra di loro con una runa e gli sguardi pieni di disapprovazione di tutti puntati addosso. Ben era appoggiato al pianoforte, le braccia incrociate sul petto, l'espressione truce mentre lo guardava schifandolo con gli occhi. 
- Io dico che dovremmo portarlo al Conclave, ci penseranno loro a questo verme - sputò le parole con disprezzo.
- Io invece dico che dovremmo ragionare su quello che ha detto - sentenziò Lena accarezzando le pagine di uno spartito.
- Ti prego, non dirmi che gli credi! - Ben era incredulo, alzò gli occhi al cielo all'espressione seria della sua parabatai, non poteva credergli sul serio.
Alaric nell'ultima mezz'ora non aveva fatto altro che ripetere sempre le stesse stupide parole, ormai Ben le sapeva a memoria.
La sua versione era semplice e piuttosto patetica, più o meno  come lui: quella sera era a teatro proprio perché, come loro, stava indagando sugli incendi, voleva catturare Ignis, l'idiota.
"Vi giuro che stavo cercando di aiutarvi" Come se avessimo bisogno del tuo aiuto. Idiota.
"Non sono io l'uomo che cercate" E allora perché sei vestito esattamente come lui? Idiota.
"Vi prego, non portatemi al Conclave, non ho appiccato io gli incendi" Idiota.
L'idiota spostava lo sguardo da una all'altro cercando disperatamente di accaparrarsi un po' della loro compassione.
- Ragazzi, io... - tentò con voce tremante.
- Stai zitto! - l'ammonì brusco Ben, cercando di ritornare ai suoi pensieri, poi cambiò idea e spostò lo sguardo verso di lui.
- E sentiamo, se non sei tu quello che stavamo cercando, come facevi a sapere che il terzo incendio sarebbe stato appiccato proprio lì? - lo interrogò. Alaric lo scrutò per un attimo come per chiedergli il permesso di parlare, permesso che Ben gli accordò con un segno eloquente della testa.
- Ho avuto una...una soffiata - rispose piano. Ben fu tentato di rifilargli un destro dritto in faccia, si scostò dal pianoforte a cui era appoggiato, pronto a portare a termine i suoi intenti, poi incontrò lo sguardo di Lena che lo ammoniva e gli chiedeva di non perdere la pazienza. Tornò ad appoggiarsi alla superficie liscia dello strumento con un'espressione torva.
- Una soffiata da chi? - si informò la ragazza facendosi avanti. Alaric spostò lo sguardo preoccupato da Ben su di lei e si rilassò di poco.
- Un'informatore - Non era abbastanza.
- Il suo nome, Alaric - ordinò ferma.
- Non lo dirò davanti a lui, fallo uscire - Fece un cenno con la testa verso il suo parabatai. Ben si staccò ancora una volta dal pianoforte e con un paio di passi si avvicinò minaccioso alla sua sedia. Stava decisamente perdendo la pazienza.
- Brutto pezzo di....- ringhiò. Ci manca solo che avanzi pretese, l'idiota
- Lena! - implorò Alaric aggrappandosi con le mani legate ad un braccio della ragazza per ripararsi dalla furia cieca di Ben che stava per ammonirlo ancora una volta se non fosse che Lena fu più veloce.
- Stai zitto - ringhiò divincolandosi dalla sua presa. Si voltò verso il suo parabatai, poggiò la mano sul suo petto bloccandolo. Per favore, lo pregò con lo sguardo. Il ragazzo alzò gli occhi ed emise un sonoro sbuffo quando lei si piegò su Alaric per sentire cosa aveva da dire, fremette quando le luride labbra di quell'idiota le sfiorarono l'orecchio mentre sussurrava un nome che per l'impunità di un bambino non aveva voluto pronunciare ad alta voce. Lena annuì tirandosi sù.
- Bene - Ben la guardò.
- Bene cosa? - chiese impaziente.
- Mi sono fatta un'idea - Il ragazzo allargò le braccia con fare eloquente.
- E cosa aspetti a condividerla con il tuo caro parabatai? - Amico. Fratello. Confidente. Fidanzato? Si appuntò mentalmente la necessità di stuzzicarla su quel punto al più presto. 
- Ragazzi... - Si voltarono entrambi nella sua direzione.
- Stai zitto! - sbraitarono per la terza volta all'unisono. Tornarono a guardarsi ripristinando quell'intesa di sguardi che il terzo incomodo aveva interrotto.
- La mia idea è che abbia detto la verità - Al cacciatore cascarono le braccia - Pensaci, Ben. È rumoroso, lento, debole nel combattimento e ha dato prova di non essere neanche troppo brillante... - Mentre elencava le scarse capacità di Alaric, Ben ripercorreva mentalmente la serata. Ricordò di quanto fracasso avevano fatto i suoi passi, non si era curato neanche di tracciarsi una runa per renderli silenziosi, di come l'avevano raggiunto subito una volta cominciato a correre, di quanto ci era voluto poco per disarmarlo e bloccarlo contro il muro. Lena intuendo i pensieri che gli passavano per la testa aumentò la dose.
- Pensi davvero che Ignis scelga come aiutante un tale...- 
- Idiota? No, non penso - ammise ragionandoci sù. 
La porta si spalancò di colpo, Eleanor entrò in fretta e furia.
- C'è qualcosa...qualcosa...che dovete sapere - Fece un passo oltre la soglia - L'incendio...il terzo...Ignis...al teatro...- ansimò parole scoordinate riprendendo fiato. Lena sentì defluirle ogni goccia di sangue dal viso. Il terzo incendio...Ignis aveva colpito ancora, proprio quando loro erano stati distratti da Alaric.
Alaric, dopo la confusione iniziale, si rese conto che ciò voleva dire che dovevano credergli per forza e che non lo avrebbero trascinato al Conclave, un'espressione soddisfatta si dipinse sul suo viso a quel pensiero. Lena si voltò a guardarlo. Se gli sguardi avessero potuto uccidere...
- Brutto bastardo, ti ha mandato lui? Per distrarci, ti ha mandato lui? - Si scagliò come una furia verso il ragazzo con le mani legate. Ben l'afferrò per i fianchi strappandogliela di dosso prima che cominciasse a picchiarlo.
- Lena... Lena, ragiona! Abbiamo appena escluso l'opzione che questo idiota sia alleato con Ignis. Tutt'al più può avergli fatto arrivare questa soffiata per distrarci ed allontanarci dal teatro - L'abbracciò in una stretta gabbia di braccia per impedirle di scagliarglisi di nuovo contro - Ehi, cerca di calmarti ora, okay? - disse dolcemente. La ragazza annuì respirando a fondo mentre Ben le accarezzava il viso tracciando piccoli cerchi con i pollici sulle sue guance. Un verso di disapprovazione a quel gesto si levò alle loro spalle e la cacciatrice si voltò di nuovo verso Alaric fulminandolo con una sola occhiata.
- Non pensare di passarla liscia tu! - sbraitò battendo forte i palmi delle mani sui braccioli della sedia su cui era seduto. Il viso arrabbiato a pochi centimetri dal suo. Il ragazzo sobbalzò per lo spavento.
- Da domani non voglio più vedere la tua schifosa faccia in quest'istituto, è chiaro? - urlò.
Ben non l'aveva mai vista così ferma ed infuriata, ma poteva capirla benissimo. Quella sera avevano sprecato un'importante possibilità: se solo Alaric non fosse spuntato dal nulla con il suo ridicolo intento di aiutarli, avrebbero potuto trovarsi faccia a faccia con l'artefice degli incendi.
Eleanor sulla soglia della porta guardava la scena.
- Lena - la chiamò cauta. Lei si voltò di scatto nella sua direzione, aveva il fuoco negli occhi.
- Levatemelo da davanti! - scattò spostandosi bruscamente da Alaric. Allora Ben lo prese per un braccio e lo trascinò fuori dalla stanza.

Lena si appoggiava sfiancata al pianoforte, le mani che artigliavano la superficie lucida fino a far sbiancare le nocche, il respiro mozzato. Eleanor si avvicinò lentamente a lei, la stessa cura e attenzione che avrebbe prestato con un animale selvaggio che non voleva essere messo in gabbia.
- Tra poche ore io e Nicholas partiremo. Abbiamo un'udienza al Conclave, ci hanno convocato, penso che staseremo via un paio di giorni... Ma se dovessi aver bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, non esitare a chiamarci. Lo trovo io un modo di liberarmi e correre qui - Lena annuì e socchiuse gli occhi quando la donna le poggiò una mano sulla spalla. In quella mano non c'era compassione, non c'era condiscendenza, non c'era pietà; non era la mano di una mamma che consola la figlia che si è sbucciata un ginocchio. Lena era grande ormai, aveva testa, aveva carattere, era una donna, era una cacciatrice.
Quella era la mano di una guerriera poggiata sulla spalla di un'altra guerriera. Sei forte, diceva.
Lena pensò a quella mano per tutta la notte.


- E adesso che facciamo? - La sua parabatai lo aveva guardato e aveva risposto un nome, allora Ben aveva annuito ed insieme si erano incamminati verso casa sua.

Magnus aprì la porta con un'espressione assonnata sul viso, si stropicciò gli occhi da gatto con una mano.
- Ma voi Nephilim non dormite mai? - Ben senza degnarlo di una risposta lo scansò per poter entrare.
- Fai pure con comodo - ironizzò lo stregone quando il ragazzo si buttò a peso morto, come sua abitudine, sul divano blu elettrico del soggiorno. Batté il palmo della mano vicino a lui, Lena accettò il suo invito silenzioso e quando lui le circondò le spalle con un braccio, gli si accoccolò affianco seppellendo il viso nel suo petto. I due cacciatori raccontarono l'accaduto, una frase per uno finché la nottata appena trascorsa non fu delineata fino nei dettagli... Beh, esclusa la parte in cui ballavano come due scemi sul palco del teatro, quella la omisero di comune accordo. 
Gli occhi felini di Magnus non li abbandonarono nemmeno un secondo.
- E adesso che facciamo? - La stessa domanda che aveva espresso il giovane cacciatore poco prima.
- Speravamo ce l'avresti detto tu - ammise Ben. Lena sospirò affranta sulla sua spalla.
- Ragazzi, lo so che è difficile credere che Magnus il grande possa non avere una soluzione... - iniziò presuntuoso - ... Ma vi prometto che la troverò, la inventerò una dannata soluzione se ce ne sarà bisogno. Ci sono vicino, ma c'è ancora qualcosa che mi sfugge. Vi chiedo solo di fidarvi di me, io penso di... - Ben annuì senza prestare troppa attenzione al fatto che non avesse ancora finito, Lena strofinò ancora una volta la testa sulla sua maglietta e a Magnus non sfuggì il modo in cui il ragazzo la strinse tra le braccia prima di depositare un delicato bacio fra i suoi capelli. Qualche parola sussurrata al suo orecchio e la ragazza sembrò tranquillizzarsi. Ora era lo stregone a cominciare ad innervosirsi.
- Tranquilli, pomiciate pure sul mio divano, infondo non stavo dicendo niente di importante, stavo solo... - cominciò sarcastico, ma Ben e Lena non sentivano, erano lontani anni luce, trasportati in un luogo che era solo per loro due, inaccessibile a chiunque altro.
- Ragazzi...- li chiamò piano - Ragazzi! - ripeté brusco alzandosi dalla sua sedia. Ben sollevò finalmente lo sguardo, Lena staccò il viso dalla sua maglietta.
- Io... Insomma, tutto questo è molto bello, voi siete molto belli, certo magari non sul mio divano, ma siete così carini insieme, solo che...- Lena strabuzzò gli occhi e si staccò subito dal ragazzo, il viso rosso di vergogna, la bocca spalancata pronta a negare fino alla morte.
- Ma cosa dici? - Magnus la zittì con una mano.
- Non dire niente, Elena - la pregò chiamandola per l'ennesima volta con un nome che non era il suo. Questa volta Lena sospettò che l'avesse fatto di proposito.
- Noi non... - si voltò verso Ben cercando un piccolo aiuto che ovviamente non trovò. Lo stregone la guardò con uno sguardo allusivo.
- Non è un problema, sul serio. Questo non è un problema - disse indicandoli. Lena mise ancora più distanza tra lei e Ben - Voi due non siete un problema...per me. Ma sfortunatamente non la pensano tutti così. Immagino non ci sia neanche bisogno che vi dica come reagirebbe il Conclave se per caso venisse a saperlo. Siete Nephilim, lo sapete meglio di me...- 
- No, in realtà non abbiamo la più pallida idea di che cosa tu stia parlando - Lo stregone alzò un sopracciglio.
- Mi pare che qualche secondo fa su questo divano ce l'avevate un'idea di cosa sto parlando - La faccia indignata della ragazza non fece altro che peggiorare la situazione.
- Non sto dicendo che è sbagliato, o che mi fate schifo, che è contro la legge o chissà cos'altro, vi sto solo dicendo di fare attenzione. Ho un paio di occhi anch'io e come me ne sono reso conto io, potrebbero accorgersene anche altre persone... Per quanto mi riguarda potete fare quello che volete, purché non sia sul mio divano - Lena non avrebbe sopportato un altra parola del genere, si alzò bruscamente, le gambe tese pronte a scattare via.
- Mi pare che per oggi si siano fatte fin troppe insinuazioni - disse. Le labbra che tremavano mentre buttava fuori le parole.
- Insinuazioni? - insistette lo stregone.
- Magnus - lo richiamò in tono d'avvertimento Ben. Non dire un'altra parola.
- Esatto, insinuazioni. Ti sarei grata se da oggi in poi ci attenessimo alle indagini sugli incendi. La mia vita privata non è più un argomento di discussione - capitolò rigida la cacciatrice prima di sbattersi la porta alle spalle.
Lo stregone aveva dipinta in faccia l'espressione di chi non capiva.
- Ho solo detto...-
- Non dovevi dirlo ora - Ben buttò fuori l'aria che tratteneva nei polmoni e si passò esasperato una mano tra i capelli.
- Con Lena è un momento un po' delicato, sai. Questa cosa...- Gesticolò leggermente a disagio - ...è qualcosa di totalmente nuovo e lei ha passato così tanto tempo a non accettarla, a respingerla, che ora...è tutto molto fragile, ecco - Magnus annuì come se avesse capito, ma non aveva capito, Ben ne era sicuro. Come poteva capire? Nessuno poteva. Non capiva neanche lui.
- Chi diavolo ha sbattuto in quel modo la porta? - Lilian sbucò dal corridoio con un'aria assonnata, con una mano si stropicciava gli occhi verdi, con l'altra cercava di mettere a posto i capelli. Era la fotocopia del fratello, chissà se se ne rendeva conto.
- Lena - risposero all'unisono i due, subito dopo Ben si voltò verso Magnus.
- Allora te lo ricordi il suo nome - lo accusò. Lo stregone fece una smorfia, una mano che volava in aria come a scacciare una mosca fastidiosa.
- Sì, ma non dirglielo. Non vorrei si montasse la testa - Sua sorella li guardava con sufficienza.
- Cosa le avete fatto voi due? - Neanche a farlo apposta i due alzarono in aria le mani all'unisono.
- Io niente. È tuo fratello che è sempre inopportuno - Magnus lo fulminò con un'occhiata.
- Ma senti chi parla! Senti un po' angioletto... - Ben fece per alzarsi dal divano, ma Lilian lo ributtò giù spingendolo con una mano.
- State buoni, bambini, e raccontatemi subito cosa è successo - Ubbidirono.
- Ma siete due decerebrati! - Fu il commento finale della strega.
- Ma io non ho fatto niente! - si difese il cacciatore. Lilian alzò gli occhi al cielo. Aveva per caso preso lezioni da Lena? Mentre lo faceva era fastidiosa quasi quanto lei.
- Appunto. Perché non sei là fuori a correrle dietro? - Ora perché si arrabbiava anche lei?
Pff, solidarietà femminile.
- Era quello che stavo per fare ma poi lui... - Indicò Magnus che assottigliò gli occhi e soffiò come un gatto pronto a graffiare. 
- Oh, lascia perdere. Ora vado - Per la seconda volta fece per alzarsi dal divano e per la seconda volta ributtato giù. Lo stregone lo stava guardando ammonendolo con gli occhi.
- Non credo sia il caso. Bisogna lasciarla metabolizzare la situazione da sola - A Ben sembrò tanto che quella che era iniziata come una questione tra lui e Lena si fosse trasformata per i due fratelli in un pretesto per scannarsi a vicenda. Lilian diceva che doveva andare da lei e Magnus sosteneva che fosse meglio non farlo.
- Ma da sola... - tentò. Da sola l'unica cosa che avrebbe metabolizzato era il suo risentimento.
- Fidati, devo andare a cercarla -  ma Magnus non lo lasciò fare.
- Fidati tu. Sono su questo pianeta da ottocento anni, non posso dire di capire le donne, ma qualcosa di sicuro ne so - Il cacciatore fece una smorfia, mentre Lilian ad un passo da lui trattenne una risatina.
- Non che ci sia niente di male ma... Tu sei gay! - gli ricordò Ben. Lo stregone agitò una mano come per scacciare una mosca fastidiosa e sua sorella, fiutando che stava per iniziare uno dei suoi monologhi, si accomodò su una sedia dalla forma di discutibile gusto, con le braccia incrociate sul petto, pronta a gustarsi la scena.
- Sono semplicemente aperto a nuove esperienze, questo non vuol dire che non conosca il genere femminile - Gay.
- Lascia che ti spieghi una cosa sulle donne... -.

Alla fine si rivelò non essere esattamente una cosa; erano dieci, cento, mille, così tante che Ben ad un certo punto del discorso spense il cervello.
- Ma Lena è Lena, non è come tutte le altre - protestò alla fine. Magnus lo guardò con aria sconsolata, ai suoi occhi doveva essere una specie di caso disperato.
- Ma allora non hai capito niente di quello che ti ho detto - In effetti era un'ipotesi molto probabile.
- No, qui sei tu che non hai capito niente - Lo stregone continuò ignorando il commento della sorella.
- È sì o no femmina? - chiese impaziente.
- Cavolo se è femmina... - Ben sorrise e Magnus decise di non approfondire i pensieri che stavano gli passando per la testa in quel momento.
- Tieni a freno gli ormoni, ragazzo - lo rimbrottò - Se è una femmina funziona come ti ho detto io, non c'è altro modo. Che siano mondane, vampire, licantrope, fate o cacciatrici non importa: sono donne - Ben non era d'accordo. Lena non era una donna. Lena non era una in niente.
Guardò il cielo fuori dalla finestra, esattamente come sapeva che ognuna di quelle nuvole era diversa, sapeva che non c'era nessuna come Lena.
- Ma le senti da solo le mondanate che stai dicendo o hai bisogno che te le ripeta? - si fece avanti Lilian interrompendo i pensieri del cacciatore ed inveendo contro il fratello. Gli occhi di Ben saltavano dall'uno all'altro veloci come le palline di un flipper.
Non c'è nessuna come Lena.
- Non ascoltarla, Ben. È normale che reagisca così, è una donna anche lei -
Nessuna che sapeva calmarlo con un'occhiata. Nessuna che sapeva accenderlo con uno sguardo. Nessuna che ridendo avrebbe fatto ridere inevitabilmente anche lui. Nessuna per cui sentiva che valesse la pena di abbassare la testa ogni tanto. Nessuna per cui sarebbe morto in quel momento.
- E tu sei un emerito imbe... -
Nessuna che riusciva ad essere tanto irritante alzando gli occhi al cielo. Nessuna che quando il vento le scompigliava i capelli sembrava una leonessa. Nessuna che si buttava dal Golden Bridge in inverno. Nessuna che era in grado di mangiare tre crepes di seguito. Nessuna per cui sentiva di non voler fare lo stronzo.
- Rimani qui, Benjamin -
Nessuna ossessionata dall'idea di sbagliare. Nessuna che con un bacio cancellava qualsiasi cosa. Nessuna per cui si sarebbe umiliato. Nessuna per cui avrebbe mandato al diavolo l'orgoglio. Nessuna per cui avrebbe fatto qualsiasi pazzia. Nessuna che lo accettava con tutte le cavolate che faceva. Nessuna a cui avrebbe regalato ogni singolo giorno della vita che gli rimaneva.
- Va' da lei, cacciatore -
Nessuna che era il dono della vita. Lena era il regalo della bastarda.

Forse fu per questo che non lo ascoltò, che se ne andò da casa sua nonostante gli urlasse dietro di non farlo. Non ci pensò un secondo di più a cercarla. E quando la trovò, forse fu per questo che fece esattamente quello che si era ripromesso di non fare; infrangendo ogni buon proposito che lo stregone aveva instillato nella sua testa, mandando al diavolo le conseguenze ed ogni altra cosa che aveva il sapore della coscienza. Forse fu perché l'aveva chiamato Benjamin; forse perché, segretamente, Lilian gli stava più simpatica.
Forse. O forse no.
Forse... Sì, forse non era stata nessuna di queste cose, forse non era stato neanche lui a sceglierlo. Forse sarebbe accaduto comunque, forse quella fiamma che si accendevano a vicenda sarebbe divampata in ogni caso.
Bruciava già, all'altezza del petto, non c'era modo di spegnerla.

Tutti vogliono una fiamma, ma non vogliono bruciarsi.
Oggi tocca a noi, Lena. Non ho intenzione di risparmiarci una sola scintilla. 

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Capitolo 17
*** Lo stesso cuore ***


Et voilà! 
Il capitolo (come la maggior parte degli altri) era pronto già da tempo, andava solo revisionato, eppure la correzione si è trasformata in una quasi ri-scrittura. Tutt'ora non mi sento completamente sicura. È sempre molto importante ricevere un parere, parole scritte valgono poco o niente se non c'è nessuno disposto a leggerle e a farsi un'opinione su di esse, ma questa volta forse è una di quelle in cui è un po' più importante del solito avere un riscontro da parte vostra. A meno che non siate tutti dei Fratelli Silenti non dovrebbe essere un grande problema per voi... Fate un gesto caritatevole nei confronti di questa povera autrice insicura! Ahahah
C'è un'altra cosa che devo dire perciò mi troverete anche alla fine del capitolo, che sarà lungo (lettori avvisati...) vi consiglio di mettervi comodi ahahah
Ultimo ma non meno importante: devo veramente ringraziare, ancora una volta, principessac che è più veloce di Bolt a leggere e recensire; federicademaio perché lotta con la connessione pur di seguire la mia storia e Perla Bane che ha iniziato da poco a leggere e spero voglia continuare. Grazie di cuore! 
Spero che ciò che verrà sotto non vi deluderà.








17. Lo stesso cuore 

But, this is your heart
Can you feel it? Can you feel it?
Pumps through your veins
Can you feel it? Can you feel it?
(Bastille~Laura Palmer)



Quando si era accorto del vantaggio che la sua parabatai aveva, si era messo a correre. Aveva iniziato a piovere, ma quasi non se n'era accorto. Le lacrime del cielo gli scivolavano addosso disegnando percorsi contorti e lui non si opponeva. Non aveva importanza bagnarsi, sul serio, in quel momento non aveva importanza niente se non raggiungerla.
Poi l'aveva vista: un'ombra dal profilo sfocato dalla pioggia. Aveva iniziato a correre più veloce. 
Lena non correva, la pioggia sopra di lei correva, Ben dietro di lei correva, il tempo correva, la vita e qualsiasi altra cosa conoscesse nel mondo. Ma non Lena. Lei non correva, lenta camminava assaporando ogni passo. 
L'aveva raggiunta in poco tempo, aveva iniziato a camminarle vicino mentre lei, cocciuta e ferma nelle sue posizioni, si voltava dall'altra parte. Alla fine l'aveva presa per un braccio, costretta a voltarsi nella sua direzione, obbligata a guardarlo.
Lena aveva negli occhi il mare, sfumature diverse di blu si rincorrevano al loro interno in onde strabilianti; se li guardavi troppo a lungo ci affogavi dentro. Ben non sapeva nuotare in quel mare. Eppure ci sarebbe volentieri affogato.
- Guardami - richiese stringendole ancora il polso nella mano. Poteva apparentemente sembrare una richiesta piuttosto inutile dal momento che i loro sguardi erano incrociati, ma non era affatto inutile. Intendeva un altro modo di guardarsi, un modo che Lena conosceva fin troppo bene.
Finalmente lo guardò. E lui guardò lei. E si persero nei rispettivi sguardi. Il senso di quella conversazione che ancora doveva iniziare già smarrito chissà dove, lavato via dalla pioggia che continuava a scendere.
- Non ce la faccio - Parole sussurrate al vento, una goccia leggera le scivolò sul viso. Ben non avrebbe saputo dire se erano lacrime del cielo o lacrime dei suoi occhi.
- A fare cosa non ce la fai, Lena? A vivere? Sei forse già morta prima che il tuo cuore smetta di battere? - Parole urlate al vento, una goccia leggera gli scivolò sul viso. Lena sapeva per certo che quelle lacrime appartenevano al cielo. 
- Avevi detto che avresti lottato, avevi detto che...- Lo interruppe non riuscendo più ad arginare le parole.
- Lottare per cosa? Per una vita al buio, passata a nasconderci? Non è per questo che voglio lottare - Perché in lei forza e fragilità si mescolavano così bene? 
- E allora smettiamo di nasconderci - disse risoluto. Faceva apparire tutto così dannatamente semplice quando niente era semplice.
- Bene. Chi li avvisa i tuoi genitori? Ci pensi tu o faccio io? - Ben assorbì il tono di sfida e il sarcasmo spudorato nella voce della sua parabatai, per un attimo si congratulò con se stesso. Le ho insegnato proprio bene.
- Faccio io non ti preoccupare, tu pensa al Conclave - rispose a tono.
- Bene -
- Bene - 
Ma chi volevano prendere in giro?
- Niente va bene - 
- Lo so - Certo che lo sapeva, cosa credeva che fosse cieco? Lo vedeva cosa creava in entrambi quella situazione, eppure vedeva chiaro e tremendo quello che gli avrebbe creato separarsi. Non potevano separarsi, erano innamorati, erano parabatai ed ognuna delle due cose anche da sola sarebbe bastata.
- Cosa pensi di fare quindi? - Quella era davvero una bella domanda. Nella sua testa si mettevano già in moto tutti i meccanismi per risponderle in un modo sensato, con le parole che avrebbe voluto sentirsi dire, senza spaventarla, senza farla arrabbiare. Ma con Lena non funzionava così, tutti i suoi meccanismi andavano a farsi benedire. Si ricordò di quel giorno sotto la prima nevicata della sua vita, le aveva promesso che non avrebbe mentito. Non mentì. 
- Penso che me ne fregherò altamente di quello che è giusto o sbagliato, come ho sempre fatto e metterò a tacere la mia coscienza, sempre se la trovo. Smetterò di nascondermi, di nasconderci, e farò in modo che la smetta anche tu, perché tutto questo ti sta logorando, perché tu ce l'hai una coscienza ed è più delicata di quella della maggior parte della gente - parlò sinceramente, senza filtri né meccanismi, senza freni né ripensamenti - E penso che adesso verrò lì e ti bacerò e guai a te se provi a scansarti - Fu quasi una minaccia, quelle parole sincere e i passi decisi nella sua direzione.
Lena cercò di scansarsi, si disse che non voleva quel bacio e si raccontò per l'ennesima volta una bugia.
Ma Ben era forte, tremendamente forte, più forte di tutto. Le sue labbra erano forti mentre premevano contro le sue, le sue mani erano forti mentre le bloccavano il viso per impedirle di voltarsi dall'altra parte. Era così forte la verità che quella bocca urlava contro la sua, così potente ed irresistibile.
Lo spinse indietro con quanto impeto aveva in corpo.
- Non baciarmi più - implorò rimasta senza fiato per il bacio che le era stato rubato.
- Perché? - Ben aveva già fatto un passo avanti, pronto a raccogliere la verità che sarebbe caduta inevitabilmente dalle sue labbra. Ma non cadde. 
- Perché non voglio - disse e scappò via. 
- Bugiarda - l'accusò sottovoce - Sei una bugiarda, Lena! - le gridò dietro mentre scappava sotto la pioggia. La rincorse, la raggiunse.
- Avevi promesso che non avresti mentito e invece sei una bugiarda - La prese per le spalle, la scosse senza delicatezza. 
Lena si divincolò dalla sua presa, le lacrime copiose sul suo viso si mescolavano alla pioggia, riprese a correre più veloce, lui la fermò ancora davanti agli scalini dell'Istituto.
- Lasciami in pace - La voce ridotta ad un sussurro sconfitto, ma Ben non aveva intenzione di lasciarla in pace.
Quando cercò si sbattergli la porta in faccia ci infilò un piede dentro e la spalancò con forza. La ragazza tentò di protestare, ma la mano del suo parabatai era già sulla sua bocca, l'altra l'afferrò per il polso e la trascinò nella sala degli allenamenti. Bloccò il suo inutile tentativo di fuga, chiuse la porta e si infilò la chiave in un posto in cui era certo che lei non avrebbe messo le mani. Lena lo guardò far scivolare la chiave oltre l'orlo dei pantaloni.
- Sei disgustoso - Lui non mostrò troppo interesse al suo insulto - Fammi uscire di qui o ti giuro che inizio ad urlare come una pazza - Anzi, rise di gusto.
- Urla pure quanto vuoi - A volte vivere in un Istituto aveva i suoi vantaggi, ad esempio avevi stanze completamente insonorizzate come quella a tua completa disposizione. Dopo un secondo ci arrivò anche Lena.
- Vai all'inferno, Ben! - sbraitò.
- Con piacere, ma solo se mi ci accompagni tu - Desiderò levargli quell'odioso sorrisetto dalla faccia a forza di schiaffi e prima di potersene rendere conto l'aveva già fatto. Il viso di Ben si spostò di lato per il colpo, quando tornò a guardarla aveva il fuoco negli occhi.
- Un altro combattimento? Non ti è bastato il primo? - Immagini di qualche tempo prima le invasero la mente, loro due che se le davano di santa ragione in quella stessa stanza. I colpi, gli attacchi, gli insulti che si lanciavano addosso, i loro respiri concitati, il corpo di Ben che la schiacciava contro la parete... La temperatura nella stanza sembrò alzarsi di colpo e contro la sua volontà arrossì violentemente. 
- Ti era piaciuto, no? - La sua faccia tosta non aiutava affatto, cercò di distogliere lo sguardo.
- Guardami - ordinò. Lena alzò lo sguardo non per ubbidirgli, quanto per sfidarlo.
- Ti era piaciuto? - le chiese ancora, annuì velocemente stavolta.
- Picchiarti? Prenderti a schiaffi, a pugni, a calci? Certo che mi è piaciuto - rispose strafottente, quel poco di coraggio che aveva sentito nascerle dentro appassì velocemente quando lui la guardò davvero. Fece un passo in avanti e incatenò gli occhi ai suoi; sotto quello sguardo Lena si sentiva tremendamente piccola, fragile, vulnerabile. Cercava con tutta se stessa di combattere quella sensazione per amor proprio, per orgoglio, per proteggere quel poco di dignità che le rimaneva, eppure sapeva che era tutto inutile. Non c'era amor proprio né orgoglio, non c'era dignità davanti a Ben; c'era solo lui e il suo sguardo bollente, lui e i suoi modi prepotenti, lui e le sue parole arroganti. C'era lui e c'era lei che in quel momento lo odiava e amava con tutta se stessa.
- E ti è piaciuto il nostro primo bacio? - Lo sapeva benissimo che le era piaciuto, ma voleva sentirselo dire. Lena teneva duro, annuì di nuovo, lo sguardo alto e dritto verso il suo - E il secondo? - Temeva le si sarebbe svitata la testa a forza di annuire - Il terzo? - Mi sono piaciuti tutti i nostri dannati baci, Ben.
- E quello con Alaric? Ti è piaciuto quanto i miei il bacio con quell'idiota? - Alzò gli occhi al cielo, sentiva montarle dentro la rabbia solo a pensarci.
- Non alzare gli occhi al cielo, Alena - La voce bassa, il respiro mozzato, se lo ritrovò davanti, pochi centimetri la dividevano dalla sua bocca. Quella stanza non gli era sembrata mai tanto calda.
Lena scosse la testa allontanandosi di un passo.
- Perché no? - Cavolo Ben, vuoi anche sapere i dettagli?
- Perché lui non è te - Lui chiuse impercettibilmente gli occhi a quell'affermazione, così Lena si sentì in dovere di interrompere il suo breve attimo di goduria.
- Ma non è il momento di parlare dei nostri baci - Le mani sui fianchi mentre si sforzava di sembrare inflessibile.
- È sempre il momento - La sua voce sembrava liquida, calda, morbida e soffice, l'abbracciava, la scioglieva.
Si avvicinò di nuovo, un passo, un altro ancora ed era più vicino di quando Lena avrebbe potuto sopportare. Fece un altro passo indietro decisa a non lasciarsi abbindolare da lui. 
- So esattamente cosa stai facendo e non te lo lascerò fare - Cercò disperatamente di rimanere ferma nelle sue posizioni: era arrabbiata, per lui, per loro, per quel rapporto che non sapeva neanche come chiamare. Si sentiva scombussolata, disorientata, una piccola onda spinta brutalmente in mare durante una tempesta.
Ben era la tempesta e non faceva che sbatterla contro gli scogli.
- Io non sto facendo... - 
- Zitto! Stai zitto! - Alzò le mani in segno di resa, un sorriso sghembo si aprì sul suo viso per l'esplosione improvvisa della ragazza, scoppiò a ridere.
- E smettila di ridere, sono seria, Ben! - Rise più forte. 
- Ti odio quando fai così - ringhio esasperata riempiendo il suo petto di pugni.
- E io ti amo sempre - Lena si fermò un momento, le mani strette fino a far sbiancare le nocche, gli occhi tremanti affondati nei suoi.
L'ha detto.
- Non è vero - le uscì come un debole lamento, poi arrivarono le lacrime e pugni ancora più forti sul petto di Ben.
- Non è vero, bugiardo! - Voleva che fosse bugiardo, voleva che fosse una bugia, perché faceva male, perché non potevano, davvero non potevano. 
È sbagliato. È sbagliato. È sbagliato. È sbagliato. È sbagliato.
I baci, le carezze, gli sguardi, i tocchi delle sue mani, i pensieri rinchiusi nelle loro menti, i sogni, le speranze, le illusioni... Andava tutto bene, ma non quello. Quelle parole facevano male come uno squarcio sul cuore.
È sbagliato.

Quella era una ferita che non sarebbe mai guarita. Sempre aperta, sempre sanguinante ed ogni volta che i suoi occhi indugiavano in quelli di Ben, affondava il coltello nella sua stessa carne. In quel momento mentre lo guardava, gli occhi appannati dalle lacrime, aveva quel coltello piantato fino al manico in quel vecchio squarcio.
Quella era una ferita che non sarebbe mai guarita, la ferita di una battaglia che non avrebbero potuto vincere.

Lui le prese la mano, mille brividi infuocati le bruciarono la pelle, quando poi la portò sul suo cuore Lena si meravigliò che battesse così veloce, non lo avrebbe mai creduto possibile. Quando Ben parlò però, dovette ricredersi, era possibile che un cuore battesse tanto veloce, il suo lo stava facendo proprio in quel momento.
- Come può essere sbagliato questo? - chiese leggendole nel pensiero e premendosi la sua mano ancora di più sul petto. Lena non seppe rispondere.
Il viso di Ben si avvicinava al suo, come se non potesse farne a meno.
È sbagliato. È sbagliato. È sbagliato.
E i suoi occhi, due pozzi in cui il marrone si mescolava con il verde, la guardavano come se al mondo non ci fosse nient'altro che volessero guardare.
Sbagliato.
E le sue labbra, piene, invitanti, proibite. Le aveva volute così tante volte, le aveva respinte anche nei suoi sogni, così tante volte. Ora quelle labbra volevano lei, solo lei.
Sbagliato.
E le sue braccia: la stringevano e la avvicinavano in un modo così famigliare.
Sbagliato.
- No - Era una supplica, una preghiera.
- Perché? - Nonostante cercasse disperatamente di allontanarsi da lui, Ben era sempre più vicino e pretendeva una risposta - Perché? - una risposta che Lena non aveva.
La guardava con occhi di brace mentre si avvicinava e ad ogni passo che faceva ogni singola fibra di lei vibrava, lo reclamava e ne sembrava attratta come una calamita col suo contrario.
Le si fermò ad un soffio, lei riusciva a sentire il suo respiro bollente sul viso.
- Dimmelo, Lena. Dimmi che non provi i miei stessi sentimenti, che non hai bisogno di me. Dimmi che non mi vuoi e ti giuro che da oggi in poi per te non sarò altro che un fratello - Il suo cuore batteva nel petto nascosto dalla camicia, allungò una mano per sfiorarlo, pulsava feroce, pompava il sangue nelle vene ad una velocità impressionante.
Come batteva il cuore di Ben, com'era forte, com'era vivo. Batteva per lei, combatteva per lei.
Portò l'altra mano sul proprio petto. 
Come batteva il cuore di Lena, com'era forte, com'era viva. Batteva per lui, combatteva per lui.
Come può essere sbagliato questo? 

Questo è il tuo cuore, Lena, riesci a sentirlo?
Il cuore di Ben.
Riesci a sentirlo?
Il cuore di Lena.
Come può essere sbagliato questo?
Lo stesso cuore. 


Come si può fermare un cuore innamorato? Come gli si può dire che deve smetterla? Smetterla di amare, perché un cuore innamorato è un cuore malato e l'amore è la sua unica malattia, l'amore è la sua unica cura. Come si può fermare un cuore innamorato?

Non si può. 

Continuerà ad amare sempre, si farà male, si farà bene. Togligli l'amore e appassirà. Diventerà arido e ghiacciato, duro come il marmo. Togligli l'amore e guarirà, ma sarà morto.

Ben e Lena erano vivi. Malati di amore, ma vivi.



- Dimmelo, Lena. Dimmelo e sarà tutto più facile - Ansimava, stremato dai loro continui alti e bassi che lo facevano volare così in alto da toccare le nuvole e un attimo dopo precipitare giù in picchiata. Voleva una risposta, una decisione, una volta per tutte.
- Non ho mai voluto che fosse facile, Ben - lo disse mentre faceva un altro passo indietro. Le sue parole, tremendamente in contrasto con le sue azioni, lo gettavano nella più assoluta confusione. 
- Bene, perché non lo sarà. Niente sarà facile d'ora in poi - Ad ogni suo passo avanti lei ne faceva uno indietro. Avrebbero continuato a ricorrersi così all'infinito se le spalle di Lena non avessero toccato la superficie liscia della parete. 
- Lo sai, no? Niente sarà mai facile per noi - Perché continuava a ripeterglielo? Credeva che non lo sapesse? Certo che lo sapeva. Lo sapeva bene, Lena, si tormentava ogni dannato secondo della sua vita per questo.
Ben...- Era un avvertimento, un bisbiglio così fievole che lui sembrò non sentirlo, continuò ad avvicinarsi.
- Lena... - Era un richiamo, così potente ed intenso che lei stentava a resistergli. Pochi passi ancora e se lo ritrovò talmente vicino che guardarlo negli occhi diventò insopportabile. Ben spostò la testa per far riabbracciare i loro sguardi, le mani poggiate sul muro ai lati del suo viso, il corpo che la schiacciava contro la parete e la bloccava in una gabbia umana. 
Stavolta Lena non poteva scappare, né da se stessa, né da lui.
Quando Ben si chinò a reclamare la sua bocca lei non poté negargliela, gli diede quel bacio, si prese quel bacio. Le sue labbra si muovevano sicure su percorsi che, già tracciati da tempo, aspettavano solo di essere intrapresi, la guidavano per quelle strade proibite su cui nessuno aveva mai viaggiato. Ed era un viaggio così bello, paesaggi nuovi e a lungo sognati si aprirono davanti ai suoi occhi: il petto ampio, le spalle disegnate, i fasci di muscoli scolpiti che sotto la pelle si muovevano come una scultura viva che plasma la propria forma. Uno scorcio di pelle si intravide laddove l'uniforme da cacciatore era stata sbottonata. 
Sei il mio migliore amico, il mio parbatai, sei... 
Mio fratello - Mentre cercava di ricordarlo a se stessa, lo disse ad alta voce.
Ma ci lega qualcosa di più forte del sangue, Ben... 
- Sei mio fratello - ...qualcosa contro cui non possiamo andare.
Ci credeva fermamente, ma allora perché continuava a baciarlo? Perché le sue mani non la smettevano di vagare avide sul suo corpo? Perché sentiva quella morsa allo stomaco, quella fame cieca che chiedeva sempre di più?
Di più: ora che l'aveva assaggiato non avrebbe mai smesso di avere fame di Ben.
Incoerente.
Sospirò distratto sul suo collo, le sue labbra si poggiarono sulla sua pelle di porcellana.
- E tu mia sorella - Ogni parola un bacio, che la bruciava, la scottava e le ricordava che era viva, che era umana e che lo voleva.
Qualcosa tintinnò a contatto con il pavimento. Ben con uno sforzo che gli costò molto si staccò da lei quel tanto che bastava per chinarsi e raccogliere la chiave che gli era sfuggita dai pantaloni. Nel rimettersi dritto, vicino com'era, si assicurò di sfiorarla facendo passare quei brevi eppure bollenti tocchi come casuali. Per farla impazzire, per impazzire anche lui.
Per un attimo torreggiò in silenzio su di lei, gli occhi che non osavano lasciarla un secondo, il respiro affannato per il ritmo frenetico dei loro baci.
- Sei ancora in tempo per dirlo - Lena alzò il mento per incrociare il suo sguardo. Poteva ancora dirlo, era ancora in tempo, poche frasi e tutto sarebbe stato più facile.
Non provo i tuoi stessi sentimenti, Ben. Non ho bisogno di te. Non ti voglio. Non sei altro che un fratello.
Avrebbe potuto dirlo, una parte di lei avrebbe voluto dirlo, una parte remota e annebbiata che sentiva sempre più lontana, il richiamo di una coscienza a cui stavolta non avrebbe permesso di dominarla. Sì, avrebbe potuto dirlo, ma sarebbe davvero servito a qualcosa? Lui le avrebbe dato della bugiarda, ancora una volta, e avrebbe avuto ragione. Avrebbe potuto dirlo, se solo lui non fosse stato in grado di leggerle dentro, se solo lui fosse stato un altro, se non fosse stato il suo parabatai. Avrebbe potuto dirlo, ma non lo avrebbe fatto; non avrebbe mentito stavolta, non avrebbe aggiunto al mucchio l'ennesima malsana bugia. Era stanca di spegnere la fiamma e di tenere d'occhio la scintilla, voleva solo bruciare vicino a Ben.
Strappò la chiave dalle sue mani e la infilò nella serratura, girò e spalancò davanti a sé la porta, poi guardò indietro verso il suo parabatai. Negli occhi cobalto un tacito invito.
La seguì muto, le dita intrecciate alle sue mentre saliva dietro di lei ogni gradino. Si fermò davanti alla camera di Eleanor e Nicholas, passò lo sguardo sulla porta con una strana apprensione nello sguardo, poi ricordò. Le labbra di Ben raggiunsero ugualmente il suo orecchio per confermare ciò che aveva già rammendato.
- Hanno un'udienza al Conclave, ricordi? - La sua voce. Oh, la sua voce, come miele caldo le gocciolava nelle orecchie, si insinuava tra le fessure delle sue ultime barriere, le demoliva con una brutale dolcezza.
La prese per mano mentre la guidava dall'altra parte del corridoio verso la sua stanza, poggiò la mano sulla maniglia e si girò per incrociare ancora una volta il suo sguardo. Nelle iridi marroni le macchie verdi erano più vivide che mai mentre una domanda muta gli lampeggiava negli occhi.
Sicura?
Lo prese per un sì quando Lena lo spinse dentro e si chiuse la porta alle spalle. 

Trovava così bello il fatto che si preoccupasse per lei, per la sua fragile coscienza che proprio in quel momento era sul ciglio di un burrone. Era così tremendamente bello mentre la guardava con quello sguardo carico di aspettative eppure arreso ad ogni suo desiderio. Così bello, fremeva cercando di trattenersi, aspettava che fosse lei a fare il primo passo, lei a mostrare i limite che non voleva oltrepassare.
Strano come in quel momento Lena sentiva di non avere limiti. 
Cercò le labbra di lui come si cerca l'acqua nel deserto e quando le trovò lo baciò a lungo. Quel bacio diceva quanto aveva avuto sete, quanto tempo era rimasta in quell'arido deserto prima di trovarlo. 
- Chi sei e cosa ne hai fatto di Alena Silverkey? - Lena alzò gli occhi al cielo a quel suo commento, non riusciva proprio a mettere da parte l'ironia.
- Oh, io non alzerei gli occhi al cielo - Il tono scherzoso era scomparso e aveva lasciato il posto a qualcos'altro, qualcosa di bollente che faceva seccare la gola alla ragazza.
- Altrimenti? - lo incalzò provocandolo, la voce strozzata mentre deglutiva ancora e ancora. Fu come aizzare un leone in gabbia. Le sue braccia si serrarono intorno alla sua vita e la attirarono tanto vicina che non si indovinava più dove finiva uno ed iniziava l'altra. La sua bocca catturò decisa quella di lei, un'incantevole miscela tra forza e fragilità.
- Mi farai impazzire, Alena, tu e la tua voglia di sfidarmi - A primo acchito avresti detto senza dubbio che Ben era forza, unica ed inconfondibile forza. Ma quanta fragilità c'era in quel suo modo di stringersela al petto come se temesse che potesse dissolversi come spuma di mare da un momento all'altro? Quanta fragilità c'era mentre la baciava sempre con la stessa urgenza e strazio come se ogni bacio potesse essere l'ultimo? 
Staccarsi da lei fu come trattenere il respiro, ma doveva sentirselo dire, doveva essere sicuro che lo volesse.
- Cosa vuoi, Lena? - Non poteva credere che si fosse davvero fermato, che avesse interrotto il loro bacio; che, anche se solo di un millimetro, si fosse allontanato da lei. Si fece ancora più vicina e recuperò la piccola distanza che si era creata fra loro. I loro petti si scontrarono di nuovo, le rune sotto i vestiti bruciavano. Dolore e piacere che si confondevano in una maniera assurda.
- Te - Tremò nel sentirglielo dire, per la sua vicinanza e per quel contatto così intimo che gli tolse il fiato. Vicina, più vicina.
Tuttavia non era ancora abbastanza. Sembrava impossibile mettere a tacere i sensi, quella sensazione innata che gli gridava di non aspettare nemmeno un secondo, di stringerla fin dentro le ossa, di entrarle più dentro di quanto già non fosse.
Ma no, non era abbastanza, doveva dirlo. Perché sapeva quanto le sarebbe costato, sapeva quanto le parole pesassero nella sua bocca prima di essere pronunciate. Doveva dirlo, doveva guardarlo negli occhi e dirlo. 
- Ma tu mi hai Lena, tu mi hai ogni volta che vuoi. Sono già tuo in ogni modo - la provocò. 
- Tranne uno - Il suo respiro accelerato sul collo, la sua pelle bianca, la morbidezza della sua bocca su di lui. Ben pensò che sarebbe morto là, in quel momento. L'avrebbe ammazzato, perché non c'era modo di resisterle, era la sua rovina. Una dolce e straziante tortura.
Più vicina.
- Alena... - Per l'Angelo, non respirava più, non sentiva niente. Tranne lei.
- Alena, che cosa vuoi? - Nascose il viso nell'incavo del suo collo, il punto esatto dove solo un attimo prima l'aveva baciato. 
- Lo sai, Ben, lo sai - La sua voce gli solleticò la pelle. 
- No, non lo so. Devi dirmelo cosa vuoi che faccia, sorella - Mia amica, mia confidente, mia compagna, mia parabatai, mia sorella.
Mio amore.
- Voglio che tu faccia l'amore con me - Amore. Vuole che tu faccia l'amore. L'amore. Vuole che tu faccia l'amore con lei. La tua parabatai. 
Impazzirai per lei, impazzirai di lei.
Voglio che mi tocchi, che mi baci, che ti prendi quello che è tuo da sempre.
- E perché? - Una domanda, l'ultima.
- Perché ti amo, fratello - Una risposta, l'ultima.

Le labbra ritrovarono il loro posto sulle sue e fu come tornare a respirare.

Giacevano a terra le uniformi da cacciatori, la resistente stoffa nera si afflosciava sul pavimento senza un corpo da abbracciare. 
Ben districò l'elastico dai capelli di Lena, le onde ambrate le ricaddero sulle spalle, sfilò le forcine una per una con una cura maniacale e lasciò che anche gli ultimi indumenti raggiungessero gli altri sul pavimento. 
La guardò a lungo, non era mai stata così bella, spogliata delle sue regole e vestita dei suoi sbagli. Pensò che doveva proteggerla da se stessa, dagli spietati giudizi che si sarebbe tirata addosso. 
Sei bellissima.
Dirlo con la voce sarebbe stato banale, fuori luogo. Era così poco intimo qualcosa che poteva sentire tutto il mondo, un modo di comunicare che infondo non gli si addiceva, non a loro due.
I suoi occhi invece parlavano come la bocca non avrebbe mai potuto fare. E lei sentiva, in quel momento sentiva ogni cosa di lui.
Le scostò dal viso una ciocca di capelli più chiara, le sostenne il mento aspettandosi di vederla abbassare lo sguardo, accarezzò le sue guance prima che si tingessero di imbarazzo. Ma non c'era vergogna, non c'era imbarazzo. Liberarsi dei vestiti era stata una cosa banale, come fiori che sbocciano scrollandosi di dosso i vecchi petali; intralci inutili, maschere del corpo che non servivano più. Non c'era più nulla da nascondere, nulla da tenere per sé, perché non c'era più nulla che appartenesse più soltanto ad uno dei due. Persino la pelle era di troppo in quel momento, se avessero potuto, avrebbero levato anche quella. 

Non riusciva a smettere di guardarla. Bellissima, nuda fuori e dentro davanti a lui. Bellissima, non se ne vergognava.
Come può essere sbagliato questo? 
Si amavano: non c'era niente di più giusto.
Bellissima...
Lo disse, con le mani, con gli occhi, con il cuore, con tutto meno che con la voce. Lo disse ancora perché non era sicuro che una sola volta fosse abbastanza. Niente era mai abbastanza per lei.
In un attimo le fu ancora più vicino, le labbra trovarono le sue, la pelle bramò quel contatto così intenso. Qualcosa fremette dentro di lui. Una mano vagava sul suo viso sostando indietro i lunghi capelli, l'altra sfiorava la curva del collo disperdendo carezze cariche di promesse. Sentì sotto i polpastrelli la catenina che ornava la sua morbida pelle e subito pensò che le fosse rimasta addosso fin troppo a lungo. Le dita si serrarono intorno alle maglie sottili e le strattonarono. In un colpo il ciondolo fu strappato e gettato a terra.
...E solo mia.
C'era qualcosa in quel gesto che la reclamava in modo talmente possessivo che a Lena non poté non suonare tremendamente allettante, perfino romantico infondo. C'era qualcosa nel modo in cui le sue braccia se la stringevano addosso promettendo di non lasciarla, c'era qualcosa nel modo in cui lei gli si abbandonava contro in un tacito assenso. Qualcosa di così...giusto.

Non smise un secondo di baciarla mentre le premeva addosso invitandola a stendersi sul letto, mentre l'adorava con ogni carezza e con ogni bacio. La passione di chi voleva mangiarla, la delicatezza di chi aveva paura anche solo di sfiorarla.
Solo lui poteva apparire così forte e dolce allo stesso tempo. Dal modo in cui si bloccò e staccò le labbra dalle sue per guardarla, per baciarla con gli occhi, Lena seppe con assoluta certezza di appartenergli e che non avrebbe mai potuto pensare di donarsi a nessun altro. Era il primo, sarebbe stato l'unico.
A quel pensiero altri, più cupi, si insinuarono nella sua mente e Ben dovette accorgersene, perché tutt'un tratto smise di baciarla e la guardò di nuovo, nei suoi occhi una tacita domanda. E ancora una volta Lena si rese conto che le parole erano inutile ora che era così vicino. Così vicino.
Quante prima di me?
Avrebbe giurato di poter sentire i suoi pensieri prima che si tramutassero in voce, avrebbe giurato di poter leggerla come mai prima d'ora. Ogni emozione, in quel momento, era amplificata al suo massimo, la runa sul petto formicolava.
Lena non era solo tanto vicina, Lena era ogni cosa, era dentro. Così dentro che parlare sembrava un'inutilità.
Nessuna.
E non furono certo le sue parole a dirlo. Fuori Ben taceva, ma lei era dentro e da dentro lo sentiva urlare. Gridava che, anche se c'erano state altre, era l'unica, perché davvero: nessuna sarebbe stata come lei. Mai.
Lena gli credeva. Non era fiducia, non era illusione, semplicemente lo guardava come fosse stato trasparente. Lo guardava ad occhi chiusi. E vedeva.
Alzò il busto andandogli incontro, lo affogò in un mare di baci, affogò anche lei.

Fare l'amore fu come tornare a casa, trovare quel posto nel mondo nel quale il tempo si ferma e si è liberi e vivi, e liberi di essere vivi, eternamente.
Tornarono a casa tante volte quella notte, ognuna di quelle li avvicinava ancora di più a qualcosa di talmente grande che non riuscivano a percepire a pieno. 
La prima fu quella della disperazione, lo scontro di due corpi che si reclamavano con dolorosa impazienza. Che si appartenevano e che erano stati a lungo separati. Si ricongiunsero con una spietata esattezza, lancinante verità, giustizia.
Nonostante tutti i buoni propositi Ben non riuscì a trattenersi, affondò in lei con urgenza. Boccheggiò senza fiato, respirò l'aria dalla sua bocca. 
La seconda fu quella dell'emozione. Lui frenò l'istinto, lei liberò la mente, chiusero gli occhi insieme e si lasciarono travolgere. Completamente assuefatti dall'altro e che non era più altro. Un cuore, lo stesso, una bocca, un paio di occhi, due braccia, un cervello che aveva smesso di funzionare da tempo. Un incastro semplicemente perfetto, così naturale.
Come può essere sbagliato questo?
I fianchi che si rincorrevano nella danza più antica del mondo, cercando di diventare uno solo, riuscendoci.
Non c'era una parte del corpo che non si toccassero, non c'era una cella che non pulsasse allo stesso ritmo di quella runa che avevano sul petto. Esattamente la stessa. Esattamente nello stesso insolito punto.
La terza fu quella della consapevolezza: gli occhi aperti a guardare quell'incastro perfetto per non perdersi neanche un attimo, per gustarsi la realtà senza confonderla con i sogni. Per guardarla mentre buttava la testa indietro e chiamava il suo nome. Per spiare l'espressione di profonda dedizione sul viso di lui mentre le spostava una ciocca di capelli dal viso.
Non erano mai stati così vicini. Uno dentro l'altra, nella carne, sotto la pelle. Anime che si sfioravano grazie a due corpi. Anime che erano due metà di una stessa.
Finalmente vicini.

A poco a poco il mondo cominciò a riprendere colore, riapparirono tutte quelle cose che improvvisamente erano diventate invisibili ai loro occhi. Pian piano cominciava a trovare spazio anche qualcosa che non fosse l'altro.
Si scambiavano i respiri mentre i loro corpi erano ancora abbracciati nel buio, aggrovigliati l'uno all'altra tra le coperte sparse sul pavimento, pelle contro pelle, cuore contro cuore. Le rune parabatai sui loro petti si baciavano, non più nere ma vermiglie, segno indelebile del loro amore. La pelle intorno ai marchi pulsava e si accendeva a contatto con quella dell'altro in un piacevole dolore.
Una domanda aleggiava nell'aria e Lena stavolta sentì il bisogno di usare la voce per porla.
- Che facciamo ora? - Le parole non le erano mai sembrate tanto pesanti mentre le uscivano dalla bocca. Così sgradevoli, estranee, grottesche persino. Come si poteva parlare dopo che erano stato così tanto vicini? Voleva tornargli vicino, com'era stata solo un attimo prima.
La pervase una strana nostalgia.
- Io ce l'avrei una mezza idea, ricominciamo quello che stavamo facendo...- Ovviamente la domanda di Lena era ben più seria e pretendeva una risposta tale, tuttavia non poté fare altro che sorridere alla sua espressione provocante e all'allusione che c'era nelle sue parole mentre la schiacciava sul pavimento baciandole il collo. Il futuro avrebbe potuto aspettare, la realtà, il tempo, gli obblighi e i doveri. Avrebbero potuto aspettare.
Tuttavia ora era, inevitabilmente, un po' più lontana.


La moquette faceva il solletico alla sua schiena nuda sdraiata a terra e Lena non aveva la più pallida idea di come ci fossero arrivati. Quando cercò di ricordarlo immagini di loro due e di quella notte le vorticarono chiassose nella mente; le spinse indietro con una risatina nervosa mentre cercava di portare a termine l'ardua missione di non arrossire. 
- Mi piace quando diventi rossa - sussurrò peccaminosamente al suo orecchio col solo risultato di farla arrossire ancora di più.
Missione fallita.
Improvvisamente si rese conto dell'ovvio e cioè che era nuda; strattonò un lenzuolo per liberarlo dal peso del suo corpo e se lo buttò addosso cercando di coprirsi alla meglio. Ben scoppiò a ridere.
- Non dirmi che ti vergogni, ora! Non sembravi imbarazzata stanotte mentre...- gli tappò la bocca con una mano prima che potesse finire una frase che, ne era certa, fosse più sconcia di quanto avrebbe potuto sopportare.
La risata del ragazzo si addolcì trasformandosi in un sorriso... comprensivo? Dolce? Affettuoso?
Innamorato.
Troppo lontano.
- Scusa, mi dimentico sempre di quanto sia deliziosamente pudica la mia Alena - Si accoccolò dolcemente sul petto di lei, l'orecchio appoggiato sul suo cuore ne percepiva il battito frenetico. Tirò lentamente un lembo della stoffa con cui la ragazza si copriva e lei in risposta schiaffeggiò la sua mano.
- Ci ho provato - sghignazzò mentre ritirava sù sul suo corpo il lenzuolo. Lena allungò una mano per afferrare l'uniforme buttata sul pavimento a pochi centimetri da lei, Ben dissuadendola con un solo sguardo riportò il suo braccio sul suo petto.
- Ci ho provato - gli fece eco. Il ragazzo soffocò una risata affondando il viso nel suo collo, risata che contagiò anche lei. Lo abbracciò stringendoglisi addosso, come a tenere insieme i pezzi di lui, come a non lasciare fuggire niente. Come a consolarsi di qualcosa che era già fuggito, fuggito lontano.


Il sole filtrò attraverso le tende rischiarando la stanza e proiettando ombre sul suo viso. Lena, la stanchezza che le filtrava nelle ossa mista ad uno strano senso di eccitazione, non osava aprire gli occhi. Allungò un braccio curioso intorno a sé, tastando e sfiorando il pavimento per trovare la sensazione della pelle di lui sotto le sue dita. Tremendi dubbi e prepotenti insicurezze si insinuarono meschine tra i suoi pensieri annebbiati dal sonno, quando non trovò nient'altro che la ruvida moquette, come lame affilate le si conficcavano nel petto.
Se n'è andato. Lo sapevo, si è pentito e se n'è andato.
Il suo odore di mare e cannella aleggiava ancora nell'aria, il calore della sua pelle riscaldava ancora i ricordi della ragazza. Ma se n'era andato e Lena sentiva crescerle dentro una grande voglia di piangere.
Sbatté più volte gli occhi prima di aprirli per ricacciare indietro le lacrime. Non avrebbe pianto, c'era sicuramente un'altra spiegazione, non avrebbe pianto.
Quando le palpebre le si sollevarono e i raggi del sole le ferirono gli occhi, rimpianse di essersi svegliata. La luce che entrava in camera grazie all'enorme finestra dalle tende fine era una vera e propria arma contro i suoi sensi non ancora del tutto lucidi e poi di certo non l'aiutava a reprimere le lacrime che sentiva formarsi agli angoli degli occhi.
Non piangerai, Lena, non piangerai. 
Un'ombra si frappose tra lei e la finestra strappandola a quella tortura.
- Cos'è, sei diventata un vampiro o sei ancora troppo addormentata per sopportare un po' di luce? - Quella voce, il tono caldo e scherzoso, la sottile sfumatura di sarcasmo, il suono vibrato della sua lieve risata...
Non se n'era andato. Ma il sollievo in questa nuova certezza faceva i conti con una specie di tacita consapevolezza e non era tanto quanto la disperazione che aveva provato solo un secondo prima nel credere che l'avesse lasciata da sola.
Forse perché non era affatto una nuova certezza. Tutto al contrario: era una certezza antica quanto la vita.
Ma allora perché sentiva la voglia di piangere?

Il mio parabatai non mi lascerà mai.

Sollevò piano le palpebre e se lo ritrovò davanti.
Una strana nostalgia, ecco cosa. Era solo ad un passo, ma gli mancava.
Il mio parabatai non mi lascerà mai. Il mio parabatai non mi lascerà mai. Il mio parabatai...
Era lì, di fronte a lei, non c'era motivo di ripetersi quelle parole nella mente, non c'era motivo di cercare di convincersi. Lei lo sapeva: Ben... No, il mio parabatai. Il mio parabatai non mi lascerà mai.
Alzò lo sguardo verso di lui. Un'aureola di raggi solari contornava la sua figura e mille piccole gocce facevano brillare il suo corpo perfetto appena uscito dalla doccia. Era bello e sorridente come non mai e... nudo.
Si stampò i palmi delle mani in faccia coprendosi gli occhi. Lui rise di gusto e quel suono tanto familiare la accarezzò, dischiuse di poco le dita, quel tanto che le bastava per riuscire a vedere il sorriso luminoso che si apriva sul suo viso dopo una risata di cuore come quella.
- Che fai, sbirci? - la prese in giro divertito. Lei scosse la testa con vigore e serrò con forza le mani sui propri occhi impedendosi di vedere anche il più piccolo dettaglio. Sentì il rumore dei suoi passi, il frusciare di un asciugamano che veniva arrotolato intorno ai suoi fianchi, il suo inconfondibile odore sempre più vicino ed il suo respiro caldo solleticarle la pelle prima che si inginocchiasse sul pavimento davanti a lei per districarle le dita intrecciate davanti agli occhi come a formare una barriera. Lena mantenne gli occhi chiusi anche quando Ben li liberò dalle sue mani, rimase immobile mentre il ragazzo catturava con l'indice un accenno di lacrima imprigionata nell'angolo in cui le sue ciglia si incrociavano.
- E questa? - domandò ad un soffio dal suo viso. Lena serrò gli occhi scuotendo la testa, si sentiva così stupida in quel momento. Sollievo e consapevolezza mescolati insieme. Lo sapeva che il suo parabatai non l'avrebbe lasciata, ma chissà perché avere Ben di fronte in quel momento non la faceva sentire poi tanto meglio. 
- È per quello che abbiamo fatto? - diede voce al dubbio che lo aveva assalito. Lena spalancò gli occhi, scosse ancora la testa.
- E allora perché? - La sua voce era bassa, tiepida e lei sentì il bisogno di chiudere ancora gli occhi.
Pensavo...che te ne fossi andato - Tutte le paure che erano implicite in quella frase sgusciarono fuori come l'acqua di un fiume che non riesce più ad essere contenuta nei suoi argini.
Ben si immobilizzò per un lunghissimo istante, poi si chinò sul suo viso. Depositò un bacio su ognuna delle sue palpebre abbassate, asciugò con le labbra ogni residuo di lacrima, cancellò ogni paura abbracciandola stretta. Rimise a posto il pezzo mancante, tornò vicino come doveva essere, sciolse quella strana nostalgia.
Prese il suo viso fra le mani, si guardarono e si videro.
Non vado da nessuna parte senza di te.
Lo so. Ora lo so. Ora è vero.

Un portone sbatté al piano di sotto. 
- Lena, Ben, siamo tornati, ragazzi! - La voce di Eleanor rimbombò per la tromba delle scale ed arrivò forte ed inquietante fino a loro. I due parabatai continuarono a guardarsi, immobili non osavano nemmeno respirare. Ben chiuse gli occhi.
- Ben... - lo chiamò cauta Lena, ma lui non si mosse - Ben - lo richiamò, l'urgenza trapelò dalla sua voce - Ben! - si alzò a sedere sul pavimento, il lenzuolo aggrovigliato intorno al suo corpo mentre cercava disperatamente di incrociare di nuovo il suo sguardo. Eppure quando Ben riaprì finalmente gli occhi e la guardò, Lena avrebbe preferito che non l'avesse fatto.
Lontano.
- Sembra che la riunione al Conclave sia durata meno del previsto -.





Nobody said it was easy,
It's such a shame for us to part.
Nobody said it was easy,
No-one ever said it would be this hard,
Oh take me back to the start.
(Coldplay~The Scientist) 







Volevo solo mettere l'accento su quella "strana nostalgia" che sente Lena verso la fine di questo capitolo. Potrebbe non sembrare molto importante, ma penso sia fondamentale per certi versi. So di non essere stata molto chiara, in parte era voluto, credo proprio ci sarà spazio più avanti per chiarire questo punto. Mi piacerebbe sapere se vi siete fatti un'idea al riguardo...

Ah, la collana che strappa Ben (esattamente nel suo stile) è quella che Alaric aveva regalato a Lena, ve la ricordate? 

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Capitolo 18
*** Questa non è una favola ***


18. Questa non è una favola

But you only need the light when its burning low 
Only miss the sun when it starts to snow 
Only know you love her when you let her go 
And you let her go
(Passengers~Let her go) 



- Che facciamo? - Lena lo ripeteva in continuazione mentre, troppo occupata a farsi venire una crisi isterica, non riusciva a formulare un pensiero sensato. 
- Fai finta di niente, comportati normalmente. Stai tranquilla, Lena! - No, decisamente non l'aveva immaginato così quel risveglio che sarebbe dovuto essere il più bello di tutta la sua vita. 
- Tranquilla? - Respirava a fatica - Ben! - sbraitò per ottenere un po' più d'attenzione - Sono nuda e nella tua stanza! Come faccio a stare tranquilla? - urlò. Lui sembrò prendersi un attimo per accertarsi del fatto che fosse realmente nuda e realmente nella sua stanza, dopo essersi preso un secondo ancora per compiacersene si chinò e tirò via il lenzuolo nel quale era arrotolata la ragazza. Lena squittì il suo dissenso.
- Zitta e vestiti - Le lanciò i vestiti e lei li prese al volo nella smania di coprirsi al più presto: i genitori di Ben sarebbero potuti entrare da un momento all'altro. E se l'avessero fatto? Se li avessero trovati lì? Cosa avrebbe detto? Che aveva avuto un'improvvisa botta di caldo e si era spogliata e poi magari era inciampata e per fortuna che era caduta sul letto... Cosa? Quella macchia di sangue sulle lenzuola? Nell'inciampare aveva sbattuto contro lo spigolo del comodino e si era ferita un piede, poi si era rimarginato però. Sì,  Ben le aveva tracciato un'iratze... Se solo non fosse stata impegnata ad andare in iper-ventilazione e se solo non fosse stata lei quella che aveva appena passato la notte nel letto del suo parabatai, si sarebbe presa un attimo per gustarsi la comicità che c'era in quella situazione.
- Ben - chiamò piano interrompendo i suoi pensieri dai quali si evinceva una provvisoria, sperava, instabilità mentale  - Pensi che...- Le si spense la voce.
- Io non penso e faresti bene a non farlo neanche tu, Lena - Certo che pensava, certo che sentiva la preoccupazione scorrergli sulla pelle, certo che non poteva mostrarle quando tutto questo lo rendesse nervoso.
- Avanti, sei vestita? Bene, ora vai - Una mano corse ad aprire la porta, l'altra si posò dietro la schiena della ragazza per guidarla fuori. Prima l'allontanava prima poteva cercare di riacquistare un po' di lucidità. 
- Fai finta di niente, Lena. Ricordati che loro non sospettano nulla. Stai tranquilla, okay? - Dei passi risuonarono sul pavimento, Ben non fece in tempo a ritornare dentro la sua stanza che Eleanor era già apparsa alla fine del corridoio. Si fermò un attimo a guardare prima lei, ferma davanti la sua camera, i capelli scarmigliati e il viso arrossato. Poi lui, faceva capolino dalla porta socchiusa, gli occhi strizzati mentre imprecava silenziosamente.
Si convinse che non ci fosse niente di strano in tutto questo.
- Ah, siete qui, ragazzi - disse ricominciando a camminare nella loro direzione - Ci dispiace così tanto di avervi dovuti lasciare soli con così poco preavviso, è che ce lo hanno comunicato all'ultimo momento. Per fortuna la riunione è durata meno del previsto... Avete passato una buona serata? - Per i due fu istintivo guardarsi negli occhi. Lena farfugliò qualche parola sconnessa, per fortuna c'era Ben che con la sua solita noncuranza si tuffò in una descrizione dettagliata della noiosissima serata che avevano passato. Lena lo guardava incredula, come faceva a mentire in modo così spudorato? Incrociò le braccia al petto e lo guardò vagamente divertita.
Noiosissima, eh?
L'accenno di un sorriso fece increspare un angolo delle labbra del ragazzo che, pur di non ridere e mantenere un'aria credibile, spostò via svelto lo sguardo da Lena.
Fu un colpo di fortuna che Eleanor non fece altre domande, la donna infatti dopo aver ascoltato l'a dir poco originale racconto scese svelta le scale dicendo che doveva preparare la colazione. Appena sparì dietro la parete del corridoio Ben si permise di buttare fuori l'aria che non si era nemmeno reso conto di star trattenendo, chiuse gli occhi e si appoggiò alla parete.
- Visto? Non sospetta niente - rassicurò la sua parabatai ancora appoggiato al muro - Lena? - Lena non rispose. Quando Ben aprì gli occhi lei non non c'era più. 
Si avvicinò alla porta socchiusa della sua stanza e, dopo essersi lasciato scivolare dentro, la vide: era appoggiata al davanzale della finestra aperta e gli dava le spalle. Riusciva a vedere i suoi capelli scompigliati dal vento.
- Quanto pensi che potremo andare avanti, Ben? - chiese senza voltarsi - Quanto tempo pensi che passerà prima che qualcuno se ne accorga? Perché se ne accorgeranno. O vuoi forse passare il resto dei tuoi giorni a starmi lontano per non destare sospetti? - Fermo alle sue spalle non sapeva cosa dire, questa situazione era nuova per lui quanto lo era per lei. Perché sembrava essersene dimenticata? Ma non...sentiva?
- Non se ne accorgeranno, glielo diremo prima noi -
- Sei pazzo? Come pensi che...-
- Capiranno e se non lo faranno ce ne andremo, io e te, in qualche posto lontano da qui dove potremo essere liberi -
- Ah, quindi è questo il tuo piano? Scappare, darsela a gambe come due delinquenti - Ora si era voltata e lo fronteggiava - Ma non capisci che così gli diamo ragione? Scappare è il modo più esplicito per ammettere che questo è sbagliato, che noi due siamo sbagliati... Ti senti sbagliato, Ben? - Non l'aveva mai vista tanto decisa, i dubbi e le insicurezze della sera precedenti erano solo un lontano ricordo. Davanti a lui c'era Alena, la leonessa che si faceva scompigliare la criniera dal vento della Bulgaria.
- Non mi sono mai sentito tanto giusto in vita mia - bisbigliò guardandola negli occhi. Alena fece un passo avanti, un sorriso disperato le animava il viso, Ben si chinò su di lei e la baciò sulla fronte.
- Andrà tutto bene, amore - sussurrò a lei e a se stesso.

Se l'era ripetuto per tutta la giornata, se l'era impresso nella mente. Andrà tutto bene, amore. Amore. Amore. Amore. Aveva un suono dolcissimo anche tra i suoi pensieri.
Amore...
- Lena! - sobbalzò per lo spavento voltandosi di scatto verso quella voce. Eleanor la guardava con un sopracciglio alzato, evidentemente non era la prima volta che la chiamava. 
- Mi daresti una mano? - La ragazza afferrò la pila di piatti che le porgeva la donna e cominciò a sistemarli sulla tavola.
- Sei molto silenziosa oggi. Qualcosa non va? - Molto silenziosa? Non aveva spiccicato parola per tutta la giornata per paura di farsi scappare qualcosa di troppo. Scosse la testa, non osava alzare lo sguardo dal tavolo.
- Sei sicura? - annuì freneticamente. Eleanor le si avvicinò con la scusa di dover sistemare le posate, le prese il viso tra le mani e la costrinse a guardarla. Lena deglutì a vuoto, la gola secca e il respiro mozzato. Era una tortura dover incrociare il suo sguardo, temeva che la donna avesse potuto leggere la verità che c'era nei suoi occhi. E cosa avrebbe fatto poi? Avrebbe forse attaccato con la storia del caldo e del comodino? Era inciampata e...
Era una pessima bugiarda.
- Devi dirmi qualcosa, cara? Sei così strana... - Perché glielo stava chiedendo? Perché la guardava in quel modo? Mille terribili dubbi come migliaia di piccoli aghi le si infilzarono nel petto. Non riusciva a respirare, era sicura che nella stanza fosse finita tutta l'aria a disposizione, i polmoni che si riempivano e svuotavano senza sentirsi mai sazi. No, lei non poteva in alcun modo sapere, lei era lontana, ad Alicante...
- Io...- annaspò in cerca di aria, in cerca di parole.
Come una benedizione Ben apparì sulla soglia della sala da pranzo. Lena ancorò gli occhi su di lui, aggrappandocisi come fosse l'unico scoglio in una mare in tempesta. Anche Eleanor si voltò nella sua direzione, le sue mani scivolarono via dal viso della ragazza, si allontanò di un passo, ma continuò a guardarla. Lena dovette distogliere gli occhi per l'intensità di quello sguardo. Quando la donna se ne fu andata Ben non perse l'occasione di avvicinarglisi.
- Cosa è successo? - chiese leggendo la preoccupazione sul suo viso.
- Ho una brutta, bruttissima, sensazione...- Ma non fece in tempo a spiegare quale fosse questa sensazione che...
È pronta la cena! - trillò Eleanor spuntando dalla cucina e passando esattamente tra i due parabatai.

Fu la cena più silenziosa di sempre. Quello che aleggiava tra di loro era un silenzio pesante, malsano ed inquietante: lasciava le parole non dette a mezz'aria, sospese nel vuoto.
Fu proprio Eleanor a romperlo. Furono proprio le sue parole l'inizio della fine.
- È davvero un peccato che non foste presenti alla riunione del Conclave dato che si parlava di voi - Si tamponò un angolo della bocca finemente truccata con il tovagliolo e rivolse uno sguardo tagliente ai due ragazzi seduti di fronte a lei.
- Tesoro... - bisbigliò suo marito, ma fu come non avesse mai parlato.
Di noi? E cosa dicevano di noi? - chiese Lena stupita.
Solo cose belle spero - aggiunse Ben cercando di allentare la tensione che c'era nell'aria e fallendo miseramente.
- Non lo so, Benjamin, se per te le accuse di un rapporto illecito tra parabatai sono cose belle, allora hanno detto cose bellissime di voi - Nella sala calò il silenzio, tutti i presenti sembravano congelati. Lena con il cucchiaio a mezza strada fra la bocca e il piatto tratteneva il respiro da un tempo umanamente impossibile, Ben fissava la madre pietrificato. Nessuno osava muovere un solo muscolo, sembrava che nemmeno il tempo osasse scorrere, come se Dio, seduto sul suo comodo divano di nuvole, avesse messo in pausa la vita per godersi bene la scena.
- Ditemi che non è vero. Ditemi che il Conclave si è sbagliato e che mi hanno chiamato per nulla. Ditemi che è ridicolo e che non provate nient'altro che un tenero amore fraterno l'uno per l'altra - Non glielo dissero.
Come avrebbero potuto? Muti ed assenti si nascosero dietro il loro silenzio come fosse stata una trincea, una fortezza dietro la quale la donna non avrebbe potuto colpirli. Ma Eleanor aveva proietti sottili quanto spilli, invisibili come la paura, si insinuavano anche tra gli spazi che c'erano nell'aria. Quella di Ben e Lena era una fortezza di carta pesta che non poteva dare nemmeno l'illusione di essere al sicuro.
Il ragazzo ricambiò lo sguardo duro della madre, non avrebbe ceduto, non avrebbe abbassato la testa, non lo faceva mai, non l'avrebbe fatto neanche ora. Lena al contrario fissava il piatto con sguardo vuoto, il cucchiaio che teneva in mano era volato chissà dove, il suo contenuto schizzato sul suo vestito. Eleanor guardava il figlio, negli occhi un gelo che Ben non aveva mai percepito prima ed ebbe paura. Per quel rapporto in bilico che aveva disperatamente cercato di far stare in equilibrio, per Lena e per il suo animo gentile, per la sua coscienza delicata quanto una rosa.
Il gelo fa appassire le rose.
La donna scosse la testa lentamente, le labbra truccate piegate in una smorfia amara.
- Quindi è vero... - sussurrò quasi a dirlo a se stessa e per un attimo un'emozione diversa le colorò le iridi verdi, ma fu un secondo perché poi abbassò lo sguardo. Lo rialzò e quell'emozione era già stata scacciata via.
- Voi due siete parabatai, legati dall'amicizia e dal legame sacro che avete sancito davanti all'Angelo. L'unico amore che potreste provare l'uno per l'altra è quello fraterno e vi siete fatti una gran bella risata quando vi ho parlato di questa storia. Intesi? - Silenzio. Lena con gli occhi chini sul piatto non riusciva a smettere di tremare, Ben le strinse la mano nella sua da sotto il tavolo. 
- Possiamo rimediare, mettere una pezza sopra questa faccenda e dimenticarcene tutti. Dobbiamo farlo prima di...- Spezzò la stretta delle loro mani quando si alzò con impeto in piedi. Ora anche lui tremava, ma era la rabbia a scuoterlo. Gli occhi di Ben sembravano voler bruciare il mondo. Gli occhi di Ben stavano bruciando il mondo.
- Prima di cosa? Prima che sia troppo tardi? Prima di disonorare il nome di famiglia e gettare fango sull'Istituto? Prima di rovinare un rapporto sacro? Prima di peccare irrimediabilmente ed essere dannati per sempre? Mi dispiace, mamma, è già troppo tardi, bruceremo nel fuoco dell'inferno insieme ai demoni per l'eternità - Eleanor scosse la testa, stavolta nel suo gesto c'era un che di disperato.
- Non osare parlare a tua madre in questo modo, Benjamin Fairway! - tuonò Nicholas battendo il palmo della mano sul tavolo, la sua solita calma era finita chissà dove, l'equilibrio a cui erano tutti abituati alterato. Per la prima volta Ben guardò suo padre negli occhi e lo vide per quello che era veramente: un uomo temprato dalla vita e reso pressoché insensibile ad ogni cosa, che si appoggiava a sua moglie e davanti a lei chinava il capo.
- Altrimenti? Cosa fai, papà? Mi metti in castigo? - Nicholas si alzò all'affronto del figlio ed Eleanor gli fu subito vicino prima che la situazione si facesse insostenibile.
- Non è troppo tardi. Negherete quando arriverà l'Inquisitore, sarà la vostra parola contro la sua, non potrà fare niente, non ha nessuna prova, solo l'accusa di qualche cacciatore ostile. Qualsiasi sentimento proviate dovete cancellarlo immediatamente e nessuno potrà accorgersi di niente - Erano parole inutili, la disperazione di una mamma che vuole proteggere suo figlio.
Lena si portò una mano sul cuore, là dove la runa parabatai era diventata vermiglia, sentì le lacrime pizzicarle gli occhi.
- È troppo tardi, mamma - Lo disse come per farle un dispetto, l'ennesimo guaio che aveva combinato, l'ennesima volta che gli era andata liscia. Nicholas aveva in faccia un'espressione scura, Eleanor invece non sembrava disposta a mollare. Fissava con ostinazione il figlio cercando disperatamente un modo per tenerlo al sicuro. Ma Ben non era più un bambino ed Eleanor aveva smesso da molto tempo di essere in grado di tenerlo al sicuro.
- Avanti, Lena. Diglielo, digli di questa notte, digli che è troppo tardi - Forse fu il modo in cui lo disse, quel tono tagliente che usava quando non gli importava di ferire la gente. Forse fu perché era sicura che stesse almeno un po' godendo mentre sputava le parole, o forse fu per quella strana luce che aveva negli occhi che somigliava più ad un'ombra; mista alla rabbia c'era una nota di rassegnazione che non era da lui. Qualsiasi cosa fosse spinse Lena oltre i limiti della sopportazione.
Gli pareva di sentirla tremare, anche se non le stringeva più la mano nella sua, giurava di sentirla tremare, più forte di prima.
Percepiva chiaramente tutto quello che la loro storia le stava facendo. Il dolore, la rabbia, la tristezza, la paura, l'angoscia di Lena erano il suo dolore, la sua rabbia, la sua tristezza, la sua paura, la sua angoscia.
Tremava anche lui, tremava più forte di lei.
Perdonami, Lena. 

I gradini davanti al portone dell'Istituto in questi casi sembravano sempre il posto perfetto, era come se una strana forza magnetica attirasse lì tutte le vicende. Erano il punto di inizio ed il punto di arrivo, ogni persona in quell'Istituto era passata di là e loro, silenziosi testimoni di pietra, avevano accumulato una modesta conoscenza sull'animo umano.
Quante cose avevano visto accadere quegli scalini...lacrime e sorrisi, urla e bisbigli, emozioni così forti da toglierti il respiro, segreti sussurrati con un filo di voce, verità scomode e comodissime bugie. Quante vite avevano vissuto, quante ancora ne avrebbero vissute.
Lena vi ci sedette convinta che avrebbero risucchiato la collera che sentiva montarle dentro. Quale utopica speranza...
Ovviamente non accadde.
Non solo percepiva ancora forte e chiaro quel ribollire interno, ora alla lunga lista dei motivi per cui sentiva l'amaro in bocca si era aggiunto anche Ben.
Ci aveva messo pochissimo a trovarla, chissà, magari anche lui era stato attirato dai gradini. Si era seduto affianco a lei, sul secondo scalino di pietra e aveva preso a fissare un punto nel vuoto costringendola col suo silenzio a parlare per prima. Spostò una mano per cercare di incontrare quella della ragazza, fu una mossa sbagliata. Lena si scansò bruscamente, saltò in piedi e gli si piazzò davanti, le mani sui fianchi e gli occhi furenti.
- C'era proprio bisogno di dirlo? Eh? - sbraitò - Spiegami che bisogno c'era di sbatterle in faccia il fatto che siamo andati a letto insieme! Spiegami cosa hai risolto in questo modo! - Ma Ben non disse niente, non spostò nemmeno lo sguardo dal suo interessantissimo punto nel vuoto.
Perdonami, Lena.
- Allora? Sto aspettando una risposta - Aspettò ancora, poi gli si fece più vicina e prese a scuoterlo per le spalle - Rispondimi, Ben! - ringhiava. 
- Non c'è una risposta! - sbottò lui come ridestatosi improvvisamente da un sogno, non si sarebbe riusciti a dire se fosse stato uno bello o un incubo. 
- Non ho risolto niente esplodendo come al solito, ma mi conosci, non so contenermi - L'espressione vacua, gli occhi resi opachi da quell'ombra di rassegnazione. Certo che lo conosceva e proprio per questo lo scosse più forte.
- Io cedo ai miei istinti, io devo soddisfarli, altrimenti non sono contento. Sono certo che tu capisca... - Lena deglutì a vuoto, fece finta che quelle parole non avessero alcun senso e se le fece scivolare addosso.
- Bene. Non sai contenerti, ma adesso cosa pensi di fare? Restartene qui impalato mentre là fuori si decide delle nostre vite? Se vuoi farlo bene, accomodati pure, io non ne ho la minima intenzione - gli sputò addosso le parole come fossero state veleno, acqua ghiacciata in grado di svegliarlo. Ma Ben dormiva, dormiva profondamente.
- Perdonami, Lena - un bisbiglio inghiottito dal vento, era sicuro non avesse sentito. Aveva sentito.
- Ti perdono, Ben, ti perdono! Ora però ti prego, torna a ragionare. Non importa se sei scoppiato in quel modo, non importa quello che hai detto, ti perdono, ti perdono! -
Non per questo...
- Per favore, Ben. Dimmi che l'affronteremo insieme, che c'è una soluzione, dimmi che andrà tutto bene - Curioso come lo stesse implorando di mentirle.
- Lena...- la chiamò cauto, arreso, già sconfitto. Non lo lasciò parlare.
Possiamo negare quando arriverà l'Inquisitore, tua madre ha ragione, sarà la sua parola contro la nostra. Con un po' d'attenzione riusciremo a nasconderglielo - La disperazione parlava per lei. La paura di affrontare il Conclave era tanta, la paura di perderlo di più.
- E come pensi di nascondere questa? - la sfidò spostando il colletto della maglietta. Sul lembo di pelle scoperta brillava scarlatta la loro runa, colorata di fuoco, il marchio del peccato.
- E poi, nasconderci...proprio tu? La tua famiglia ha passato secoli a nascondersi, pensavo ti ripugnasse anche solo il pensiero di imitarli - Sapeva che su quel punto era sempre stata debole, quello che non sapeva era che da un po' di tempo non lo era più.
- Bene, allora diremo la verità - Il ragazzo scosse la testa al suo tono deciso, non poteva permetterle di nutrire questa speranza.
- Stai delirando, non ti rendi nemmeno conto di quello che stai dicendo, Lena - la accusò - Pensi di essere pronta a dire la verità? Ci separeranno, ci interrogheranno e ci faranno subire un processo come due criminali, ci impediranno di continuare a cacciare i demoni, ci leveranno i marchi, vuoi diventare una Dimenticata? Ho già detto che ci divideranno? Ci spediranno ai poli opposti della terra, una a San Francisco ed uno... - Si fermò solo un attimo nell'enfasi del discorso per pensare ad un posto che fosse dall'altra parte del pianeta rispetto a loro - ... In Tibet. Mi spediranno nel fottuto Tibet e mi lanceranno dall'Everest. Se scappiamo ci inseguiranno fino in capo al mondo e ci troveranno, sai che ci troveranno, non c'è posto abbastanza lontano per quelli. E allora sarà stato tutto inutile. È questo che vuoi, Lena? - La ragazza scosse la testa e per un attimo Ben credette di averla convinta, urlò di gioia e di dolore dentro di sé, ma poi Lena tornò alla carica più forte di prima.
- Quindi vuoi arrenderti? Non te lo permetterò, non ora, non dopo tutto questo. Ma cosa ti è successo, Ben? Cos'è successo ai nostri sogni? Al futuro insieme? All'ignorare il giudizio altrui? All'urlare al mondo il nostro amore? Vuoi davvero buttare via tutto? Vuoi davvero smettere di lottare? - Non lo scuoteva più con le braccia, lo scuoteva con le parole ed erano scosse più forti dei terremoti.
Non basta, Ben, non basta. Più forte, colpisci più forte.
Perdonami, Lena.
- Non c'è niente per cui lottare - Gli tremava la voce e si maledisse per questa sua debolezza, si sarebbe resa conto anche Lena, la sua parabatai, della menzogna che c'era nelle sue parole. Se solo non fosse stata tanto sconvolta, se solo non fosse stata impegnata ad essere Alena, la leonessa. 
- Ma non capisci? Non c'è niente per cui lottare. Non ci sarà nessun futuro per noi, nessun bacio sotto la pioggia, nessun 'ti amo' bisbigliato all'orecchio. Non ci terremo per mano in pubblico, non camminerai verso un altare con un vestito dorato addosso. Non ci sarà nessun bambino con i tuoi occhi e i miei capelli che correrà per casa nostra, non ci sarà una casa nostra. Non ci sarà un lieto fine per me e te, perché questa non è una favola. Non potrà mai esserci niente di più di quello che c'è stato stanotte - Le tirò il colletto della camicia scoprendo la pelle chiara del suo petto. Non c'era delicatezza in quel tocco, non c'era amore.
- Niente di più di questo - Le sue dita sfiorarono i contorni della runa tinta di rosso, il marchio che urlava che avevano rovinato tutto, che avevano sporcato un legame sacro, che era solo una questione carnale, un peccato che non sarebbero riusciti ad espiare. 
- Non puoi dirmi queste cose, non puoi. Per anni ho avuto queste paure, ma poi le ho superate. Tu me le hai fatte superare. Ed ora come puoi pensare di dirmi...- Si avvicinò a lei, le sfiorò un braccio.
Non toccarmi! - strillò come le avesse appena dato una coltellata.
- Perché mi fai questo, Ben? Perché? Ho rinunciato a tutto, ho messo a tacere la mia coscienza, sono andata contro tutte le mie convinzioni. Ti ho dato tutta me stessa, cos'altro vuoi da me? Non è rimasto più niente, ti sei preso tutto! - Lasciava pugni e lacrime sulla sua maglietta e lui non cercava nemmeno di fermarla.
- Sei un bastardo ed io ti amo, Ben - Scie salate le macchiavano il viso. Aveva iniziato a piovere, ma cadevano più gocce dai suoi occhi che dal cielo.
- Ti amo! - gli urlò in faccia con rabbia, come un'accusa, come fosse stata colpa sua.
- È sbagliato - le sussurrò sul viso con delicatezza, una terribile delicatezza che le spezzava il cuore, come un espediente, come se non fosse stata colpa sua. 
Fuoco. Sentì di andare a fuoco.


Alcuni dicono che bruciare sia un buon modo per morire. Chi nella vita ha assaporato la passione è certo che andarsene avvolti dalle fiamme sia come addormentarsi nell'abbraccio di un amante.
Non c'è niente di più falso.
Non c'è alcuna passione nel fuoco. La sua morsa ti soffoca, non ti abbraccia, ti strappa la pelle, non ti accarezza. Non c'è delicatezza nel suo tocco, non c'è amore.
Lena bruciava lentamente e Ben stava a guardare.


Era corsa via, ancora, la pioggia le scivolava addosso bagnandola di meno di quanto facessero le sue lacrime.

Stavolta non stava scappando, stavolta se ne stava andando.
- Dove vai? - L'aveva rincorsa, l'aveva raggiunta.
Perché non la lasciava andare? Le spezzava il cuore e pretendeva che gli rimanesse affianco. Non riusciva nemmeno a concederle di andarsene, era la persona più egoista che avesse mai conosciuto.
Il dolore si trasformò in rabbia, il cuore accartocciato che aveva nel petto batteva più veloce di quanto avesse mai fatto. Pensò che sarebbe potuto scoppiare, pensò che sarebbe stato meglio. Un muscolo davvero fastidioso.
- Il più lontano possibile da te e non provare a seguirmi. D'ora in poi sei morto per me. Non cercarmi, non voglio vedere un'altra volta la tua faccia, non voglio vederti mai più, mai più! Non farti più vedere, Ben, non farti più vedere o ti ammazzo, giuro che ti ammazzo! - La disperazione era così forte nella sua voce che investì il ragazzo, un tornado di dolore lo colpì in pieno viso. La disperazione era così forte che tutt'un tratto era diventata solo la sua amante ed aveva dimenticato di essere la sua parabatai.
Era Alena, leonessa che ruggiva il suo dolore, che menava gli artigli distruggendo tutto ciò che aveva a tiro.

Non riusciva a sopportarlo. Un'altra parola e sarebbe caduto in ginocchio pronto a dirle perché l'aveva trattata in quel modo, che per una volta non voleva essere egoista, dirle che l'unica cosa che voleva era tenerla al sicuro, lontana da tutto ciò che le avrebbe fatto ancora più male e quindi lontana da lui.
Ma Lena non disse un'altra parola e Ben le fece male ora per non fargliene mai più.

Si rese davvero conto di amarlo quando se ne andò.
Si rese davvero conto di amarla quando la lasciò andare. E la lasciò andare.

...Per questo.
Perdonami, Lena.

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Capitolo 19
*** Il nostro segreto ***


Here I am, in clamoroso ritardo...
Io e principessac siamo inversamente proporzionali: lei sempre più veloce, io sempre più lenta ahahah sorry, è un periodaccio e meno male che l'estate dovrebbe servire a rilassarsi...







19. Il nostro segreto

The night was all you had
You ran into the night from all you had
Found yourself a path upon the ground
You ran into the night, you can’t be found
(Bastille~Laura Palmer) 



Aveva corso nel buio, un passo dopo l'altro al ritmo del battito del suo cuore. La notte l'aveva inghiottita famelica e lei si era lasciata divorare ad occhi chiusi. I piedi si muovevano da soli, sbattevano arrabbiati sulla terra cercando di spaccarla, cercando di spaccarsi. Il freddo le si appiccicava addosso come un lenzuolo gelato, la pioggia continuava a cadere senza avere pietà della sua pelle già bagnata.
Ma tutto questo non le importava, non sentiva il freddo, né il buio intorno a sé, non sentiva la pioggia. Non sentiva più niente.
L'unica cosa che sentiva era quella che non voleva sentire.
Quel dolore sordo all'altezza del petto che faceva impallidire tutto il resto, che le mozzava il respiro, che le stropicciava il cuore.
La runa rossa le bruciava la pelle sotto la maglietta e la pioggia gelata che cadeva dal cielo non era in grado di raffreddarla.

Era rimasto immobile, gli occhi pietrificati nel punto in cui l'aveva vista sparire dalla sua vista.
Se n'era andata.
Era quello che voleva, quello per cui le aveva detto quelle parole terribili, l'aveva spinta al limite, le aveva spezzato il cuore e strappato i sogni. Aveva fatto la cosa giusta, le aveva fatto male ora per risparmiarle un dolore più grande poi. L'aveva allontanata, perché la sua vicinanza era come veleno per il cuore intossicato di lei... E allora perché faceva così male?
Era davvero tanto egoista da non riuscire a sopportare quel dolore all'altezza del petto per lei? Permettersi di soffrire per qualcosa che le avrebbe fatto bene sembrava uno stupido capriccio, eppure non riusciva a muoversi, il dolore lo inchiodava a terra, gli sbriciolava le ossa, gli stritolava il cuore nel suo pugno di ferro fino a farlo scoppiare.
La runa rossa bruciava la pelle sotto la maglietta e la pioggia gelata che cadeva dal cielo non era in grado di raffreddarla.

I suoi piedi avevano trovato la loro strada, aveva smesso da molto di controllarli ed avevano continuato ad andare avanti come magneti attirati da una calamita. La trascinavano impedendole di cadere, sicuri come se stessero seguendo un percorso già tracciato.
Un portone dalle tonalità sgargianti apparì nella sua visuale appannata dalle lacrime. Mai avrebbe creduto di poter associare a quei colori chiassosi una sensazione di tranquillità; eppure eccola là, a picchiare la porta verniciata desiderando disperatamente che venisse spalancata.
Desiderio esaurito.
Due assonnati occhi da gatto fecero capolino dall'interno della casa, si strizzarono in cerca di una visuale migliore. Quando misero a fuoco la figura fradicia di pioggia e lacrime sulla soglia si spalancarono sorpresi, poi ritornarono dentro e le lasciarono lo spazio per entrare.
Magnus non le fece domande, nelle condizioni in cui era non sarebbe stata in grado di rispondere. Superata l'iniziale sorpresa la fece sedere davanti al camino, tirò fuori da un armadio dei vestiti asciutti ed una coperta di lana che le mise sulle spalle. 
- Lo vuoi un tè, cara? - Prese il suo silenzio per un sì e sparì nella cucina. Di tanto in tanto girava la testa per dare uno sguardo alla ragazza ricurva davanti al camino, tutte le volte che si girò la trovò nella medesima posizione. La raggiunse stringendo tra le mani una tazza fumante, si prese un attimo per osservarla. Lui guardava lei, lei guardava le fiamme che scoppiettavano davanti ai suoi occhi nel camino, la mente persa in chissà quale luogo buio.
Quando la tazza di porcellana cominciò a scottare tra le sue mani si destò e la posò sul tavolino lì di fronte. A quel movimento, come chi si sveglia da un sonno agitato, Lena distolse lo sguardo dal fuoco e lo puntò sull'uomo. Magnus era uno stregone, uno dei più potenti, era su quella terra da circa ottocento anni, aveva vissuto così tanto che erano poche le cose che riuscivano ad impressionarlo, eppure non riuscì a non sentirsi inchiodato da quell'occhiata. Gli occhi blu della ragazza non erano mai stati tanto belli. Le forti emozioni che le infuriavano dentro si riflettevano nelle iridi cobalto come onde che danzano nell'oceano, le lacrime incastrate nelle ciglia come spuma di mare si arenavano sulle guance e scivolavano ancora più giù sulle spiagge del suo viso calpestate dal pianto. Quanto tormento in quei cerchi luminosi in cui si fondeva cielo e mare, quanta struggente fragilità. Magnus non riuscì a reggere il contatto visivo. 
- Bevi, Elena, freddo non è più buono - La chiamò con un altro nome sperando che l'avesse almeno corretto, ma Lena quasi non ci fece caso. Prese tra le mani la tazza poggiata sul tavolino più per compiacerlo che per altro. Era tornata a fissare le fiamme.
- Posso fare...- Scosse la testa prima che avesse finito.
No, Magnus, non puoi fare niente. 
Lo stregone sospirò affranto, sollevò una mano per poggiarla sul suo viso e regalarle una carezza, ma Lena si scostò repentinamente prima che potesse farlo, si voltò a guardarlo come un animale selvatico spaventato dall'essere umano.
- Scusa...- soffiò rendendosi conto del modo brusco in cui si era scansata - Solo...non toccarmi, per favore - supplicò stringendosi al petto la tazza ancora fumante. L'uomo acconsentì con un filo di voce, dietro il quale non riusciva a nascondere lo stupore.
Cosa ti è successo, raggio di sole? Non splendi più.
Si alzò con la scusa di andarsi a preparare un altro tè, un secondo in più a guardarla negli occhi e sarebbe crollato, dopo ottocento anni vissuti con dignità stava diventando un rammollito. Entrando in cucina con gli occhi bassi e la testa altrove andò a sbattere contro sua sorella.
- Ma che diavolo... Tu non stavi dormendo? - chiese confuso.
- Stavo, ma poi ho sentito dei rumori. Allora mi sono svegliata, sono venuta in cucina e... Chi diavolo c'è nel nostro soggiorno? - domandò all'improvviso sbirciando oltre il corpo di Magnus.
- Tanto per cominciare è il mio soggiorno... È Lena, è a pezzi, Lily. È arrivata qui tutta fradicia, aveva pianto, penso che non sapesse dove altro andare... - Lilian strabuzzò gli occhi.
- Per Lilith, cosa le è successo? - 
- Non ne ho idea, non gliel'ho chiesto e non lo farai neanche tu. È sconvolta, ho paura che possa spezzarsi da un momento all'altro - La strega annuì e qualche minuto più tardi, il tempo che c'era voluto a Magnus per assicurarsi di non scoppiare a piangere in faccia a Lena, si affacciarono insieme nel soggiorno.
- Vuoi anche un po' del mio té, Elena? - esordì lo stregone, ma anche se la cacciatrice ne avesse voluto un altro po' non glielo avrebbe potuto dire. Dormiva con la testa appoggiata al bracciolo della poltrona su cui era seduta, abbracciava la tazza ancora piena, la lana della coperta le pizzicava il naso provocandole smorfie che le alteravano i lineamenti. Per un momento la guardò immobile, aveva le guance arrossate per la vicinanza al camino, le fiamme che ardevano le proiettavano ombre sul viso che di tanto in tanto si contraeva. Forse dopotutto non era la coperta di lana, forse dietro le palpebre abbassate stava infuriando una sanguinosa battaglia tra lei e i suoi incubi. Sperò con tutto il cuore che vincesse, almeno quella notte, sentiva che ne aveva terribilmente bisogno.
Con una rara delicatezza aiutò Lilian a districare la tazza dalla sua stretta, la prese tra le braccia e attraversò il corridoio, arrivato davanti ad una porta sua sorella la aprì e lui la posò sul letto con cura. Per un momento Magnus guardando le sue palpebre tremare per il suo sonno agitato ebbe voglia di svegliarla e strapparla da quella tortura. Sollevò d'istinto una mano, ma poi la fermò ad un millimetro dal suo viso ricordandosi della reazione che aveva avuto qualche minuto prima davanti al fuoco. Strinse il pugno soffocando nel palmo stretto quella carezza non data.
Dormi, piccola, vinci i tuoi incubi.

Ventiquattro. Lilian le aveva contate, le volte in cui si era svegliata urlando in una lingua che né lei né Magnus conoscevano erano ventiquattro. Tante quante le volte che aveva serrato gli occhi e pregato che smettessero, che finisse il suo tormento. Ma sembravano non finire mai, erano tanti, troppi. Lena era una cacciatrice migliore ad occhi chiusi, combatteva più demoni di notte di quanto non facesse durante il giorno.

Il sole era sorto da parecchie ore ed in piedi davanti ai fornelli Magnus trafficava con una tazza di porcellana e una bustina di tè solubile, mentre sua sorella blaterava qualcosa sul fatto che a nessuno piacesse il suo schifoso tè. Lo stregone la immergeva e ritirava su con cura, infinite volte, mai contento del risultato finale. Da qualche decennio, da quando avevano inventato quella diavoleria in polvere, era quasi diventato impossibile preparare un tè decente, per fortuna Magnus aveva sviluppato un certo talento nell'affogare la bustina nell'acqua calda.
Concentrato com'era nello spietato assassinio che si stava svolgendo nella tazza davanti ai suoi occhi, non si era nemmeno accorto che Lena si era svegliata e che in quel momento, appoggiata alla porta della cucina, lo stava guardando. Sobbalzò quando la notò per caso con la coda dell'occhio.
- Oh, ciao Lena, vieni, vieni pure. Magnus sta preparando un'altra di quelle sue tazze di acqua sporca, vieni vieni - la invitò Lilian, quel sarcasmo che non sarebbe servito a tirarle su il morale.
- Oh, non darle retta, Elena. Sto affogando questa bustina, vedi...- Anche Magnus si voltò a guardarla e le parole che voleva dire gli si persero in bocca. Lena appoggiata allo stipite della porta sembrava il fantasma della ragazza che un tempo aveva conosciuto. I vestiti stropicciati di Lilian con cui aveva dormito le si arricciavano addosso, gli occhi gonfi e arrossati dalle lacrime che aveva versato nel sonno le davano un'aria spettrale e quell'espressione tremendamente ferma che aveva sul viso contribuiva a confondere non poco lo stregone.
- Mi dispiace di essere piombata a casa vostra in quel modo ieri sera, il fatto è che non sapevo dove andare - L'uomo si voltò a guardarla, stava per rispondere, ma lo interruppe prima che potesse farlo.
- Vi devo ringraziare per avermi accolta qui e per non avermi chiesto niente, lo apprezzo davvero molto, non so quante persone si sarebbero comportate in questo. Vi sono davvero grata, sono...- sputò fuori le parole una dietro l'altra come una cantilena. Lilian, forse per la prima volta in vita sua, non sapeva cosa dire e Magnus, al suo fianco, cominciava a sentirsi leggermente a disagio. Cambiò abilmente discorso.
- Ehm...vuoi un po' di tè, cara? Ne ho appena preparato un'altra tazza - chiese con un po' troppo entusiasmo. Lena apprezzò comunque il suo tentativo di alleggerire l'atmosfera e piegò le labbra in quello che non si sarebbe potuto definire un vero sorriso. La strega alzò gli occhi al cielo. 
Questo è al limone, ma ho praticamente qualsiasi gusto - Aprì lo sportello della credenza e indicò le decine e decine di bustine all'interno.
- Tè verde, tè alla pesca, tè alla cannella, tè al gelsomino, tè all'arancio, tè alla menta, tè ai frutti di bosco, tè alla....-
- In realtà io odio il tè - confessò interrompendolo. Lilian scoppiò in una risata a crepapelle e lo stregone la seguì a ruota, leggermente isterico.
- Te l'avevo detto che quella tua schifosissima acqua sporca non piaceva a nessuno - 
Benissimo, direi - Magnus allungò un braccio e fece scivolare con nonchalance tutte le bustine nel cestino dell'immondizia, poi si voltò e sorrise.
- Niente tè -.

Lilian la osservava di soppiatto sbirciando dalla sua parte mentre sminuzzava con ferocia le cipolle sul tagliere: la mente chiaramente altrove, i palmi della mani graffiati dalle unghie per quanto forte li aveva stretti quella notte. Chiederle di aiutare a preparare il pranzo era stata una buona idea, ed era stata sua; non lo era stata invece metterle in mano quel coltello, e quella era stata un'idea di Magnus.
- Va bene, va bene, dai a me, ci penso io qui - disse strappandole di mano la lama prima che affettasse tutta la cucina. Una lacrima solitaria le sfuggì dalle ciglia e cadde sul ripiano di marmo.
- Immagino che non sia per le cipolle - bisbigliò la strega contrita. Lena si asciugò velocemente gli occhi e racimolò i vari pezzi del suo autocontrollo rimettendoli insieme. Abbassò lo sguardo concentrandosi sul cucinare e non spiccicò una sola parola finché non ebbe finito.
- Magnus, abbiamo mangiato tutto, non scomodarti nemmeno a venire! - urlò Lilian dalla cucina con l'intenzione di farsi sentire dal fratello che se ne stava dall'altra parte della casa. Un Magnus trafelato entrò in cucina e si sedette subito a tavola esattamente nello stesso momento in cui sua sorella gli mise davanti un piatto pieno di pasta all'italiana. La fulminò con lo sguardo per averlo fatto correre in quel modo e proprio quando, soddisfatto ed affamato, stava per addentarne una forchettata, Lena lo interruppe.
- Non abbiamo ancora trovato la Pietra Runica - Un fulmine a ciel sereno. Lo stregone si bloccò con la forchetta a metà strada.
- Ti ringrazio per avermi appena ricordato i nostri ripetuti fallimenti, me ne ero quasi dimenticato - La ragazza ignorò il suo commento, afferrò una sedia e ci crollò sopra. Magnus sospirò rassegnato, rimise a posto la forchetta e spinse lontano il piatto dal quale si sollevava un profumo invitante e tentatore. Tutt'un tratto non aveva più fame.
- Falle vedere il libro - disse all'improvviso Lilian. Magnus e Lena si voltarono verso di lei.
- Quale libro? - chiesero all'unisono, la strega alzò gli occhi al cielo.
- Questo libro - disse schioccando le dita. Lena guardò la copertina nera dell'apparentemente insignificante volume che le era appena apparso, tra le scintille verdi, in mano. 
- Fa parte della vastissima biblioteca di Magnus - Sollevò le sopracciglia ed ammiccò verso suo fratello in un modo che la diceva assai lunga.
- Hai una biblioteca? - chiese Lena stupita voltandosi verso lo stregone.
- Beh, sì - Sembrava leggermente in difficoltà.
- E dov'è? - insistette ancora la cacciatrice.
- Un po' qui... Un po' lì... - rispose vago lui facendole intuire che forse quella biblioteca non era proprio sua sua.
- Ma cos'è? - chiese ancora Lena, spostando di nuovo l'attenzione sul libro che era apparso tra le mani di Lilian. La strega lo voltò verso la ragazza per permetterle di rispondersi da sola e Lena poté osservare attentamente la copertina. "La magia dei Nephilim", era scritto in lettere dorate. C'era qualcosa nel modo in cui il tempo ne aveva sbiadito la vernice dorata e rovinato il cuoio in cui era rilegato, che a Lena risultava stranamente familiare.
- Contiene tutti gli strumenti magici usati da voi Shadowhunters - disse mentre lo sfogliava distratta - Sicuramente c'è anche la Pietra Runica e magari c'è scritto qualcosa che può aiutarci...- Lena accarezzò una pagina con prudenza, quasi avesse avuto paura che si sgretolasse sotto le sue dita o che si animasse e la risucchiasse tra le sue righe. Ma non accadde, successe invece qualcos'altro. Era come una leggera nebbia, un velo sottile che le appannava la mente, le incartava i ricordi. 
- Aspetta, ferma. Torna qualche pagina indietro, dovrebbe proprio essere lì...- disse Magnus con un sorriso, che si spense in fretta quando la sorella voltò i fogli ruvidi. La pagina che aveva indicato non c'era, o meglio: un tempo c'era sicuramente stata, ora però ne rimaneva solo un bordo frastagliato. Era stata strappata.
- Dove l'hai preso? - domandò all'improvviso Lena, con apprensione - Dove avete preso questo libro? - ripeté alzando la voce.
- Io...non lo so con precisione. Se mi ricordassi come mi sono procurato ognuno dei libri che consulto...- si giustificò Magnus spiazzato dalla reazione della ragazza. Lena cominciò a camminare avanti e indietro per la casa farfugliando parole che lo stregone e sua sorella non riuscivano ad afferrare, di tanto in tanto chiudeva gli occhi come sforzandosi di ricordare qualcosa. A forza di camminare senza sosta ritornò in cucina, se ne andò, tornò di nuovo, si appoggiò al bancone, afferrò la tazza che c'era appoggiata sopra e crollò a terra mettendosi seduta.
- Allora non hai buttato tutte le bustine - Chiese Lilian a suo fratello. Lui fece finta di non averla sentita e si rivolse a Lena.
- Ma tu non lo odiavi il tè? - chiese disorientato.
Infatti! - rispose la ragazza mandando giù un'abbondante sorsata.
Rimase raggomitolata a terra per un tempo che ad entrambi parve infinito, quando finalmente Lilian si decise ad avvicinarlesi con l'intento di dire qualcosa di intelligente, Lena si alzò di scatto.
- Cosa stavamo dicendo? Di cosa stavamo parlando? - si informò stropicciandosi gli occhi col solo risultato di renderli più rossi di quanto già fossero - Il libro - si rispose da sola - Ho la sensazione di averlo già visto, è un ricordo sbiadito ma...so che è vero - Magnus decise che la cosa migliore fosse assecondare la sua smania di tenere occupata la testa per non pensare ai problemi che l'avevano guidata alla sua porta la sera precedente.
- E la pagina? Era già strappata nei tuoi ricordi? - Lena chiuse gli occhi ed ancora una volta attraversò la nebbia nella sua testa.

Una bambina con un vestito troppo elegante addosso se ne sta seduta a terra, è circondata da libri. Ha le gambe incrociate e se sua madre vedesse come la gonna si apre per la sua posizione scomposta la sgriderebbe. Anche suo padre la sgriderebbe, le aveva proibito di entrare nella biblioteca. Che ci vai a fare, Alena? Non sai ancora leggere, aveva detto. Lei, che già a sei anni aveva un bel carattere permaloso, si era terribilmente offesa. Davvero suo padre credeva che un libro si potesse solo leggere? C'erano così tante cose che si potevano fare con un libro: sfogliarne le pagine, odorare il profumo dei fogli, ricalcare con le dita i titoli in copertina, contare le parole in una pagina, contare le parole in un capitolo, contare le parole di tutto il libro e poi...ricominciare da capo.
Una storia che ti immagini non può deluderti.
Ecco perché la bambina, nonostante non sapesse ancora leggere, era tremendamente attratta da quella stanza.
Aveva tantissimi libri papà, li teneva quasi tutti in biblioteca e ne era gelosissimo. La bambina non capiva, molti di quelli ordinati sugli scappali erano abbandonati e pieni di polvere, non lo aveva mai visto nemmeno sfogliarli. Lei invece li adorava davvero, tutti. Quando entrava nella stanza li salutava con gli occhi uno per uno come vecchi amici. Era davvero un'ingiustizia che le avesse proibito di entrare in biblioteca, tutta colpa di quello che era capitato qualche settimana prima. Non lo aveva fatto apposta, come non avrebbe mai fatto intenzionalmente male ad uno dei suoi amici, non avrebbe mai strappato una pagina ad un libro. Un terribile incidente, ecco cos'era stato, stava contando le parole di un volume dalla copertina nera che non aveva mai sfogliato prima, quando suo padre, sulla soglia della porta alle sue spalle, le aveva urlato di riposare subito quel libro. L'aveva presa così alla sprovvista che per lo spavento era sobbalzata e ci aveva rimesso la pagina stretta fra le sue dita. Si era strappata, una grande ed irreparabile cicatrice frastagliata era comparsa sul foglio e il pezzo mancante le era rimasto in mano. Ovviamente suo padre era andato su tutte le furie, le aveva proibito di tornare in biblioteca e le aveva urlato contro.
Papà non era cattivo, era severo, ma mai cattivo.
Quella sera infatti era entrato in camera sua e si era scusato per aver alzato la voce in quel modo. Ero arrabbiato, Alena, questo libro è molto importante. Ma tu oramai cominci ad essere grande, è bene che tu sappia. Avrebbe voluto dirgli che ogni libro era importante, ma papà le aveva detto che era "grande" e le stava per spiegare "una cosa da grande", non voleva interromperlo. Vuoi sapere cosa c'è scritto? Annuì entusiasta e l'uomo tirò fuori da sotto la giacca il libro, lo aprì sulla pagina in cui la bambina aveva lasciato il segnalibro e le lesse quelle parole che quella stessa mattina le aveva proibito. Hai capito qualcosa, Alena? Aveva annuito per non fare la figura della stupida, suo padre aveva sorriso. Parla di una pietra molto preziosa per noi Shadowhunters e ancora di più per noi Silverkey. Lei aveva annuito di nuovo, immaginandosi un enorme rubino. È una cosa molto importante, Alena. La guardò. È legata alla nostra famiglia, a questa casa ed a me. Custodirla è il mio compito e un giorno sarà il tuo. Sbottonò il primo bottone della sua camicia, intorno al collo apparì un cordoncino che il colletto abbottonato o il bavero della giacca avevano sempre nascosto. Attaccato al cordoncino c'era un ciondolo, anzi no, non era un ciondolo, era una...Lena puntò i suoi occhi blu leggermente delusi sul padre. Sembrava piuttosto insignificante per essere una pietra tanto importante. Lui si sfilò il ciondolo e lo poggiò sul suo comodino. Allora, sai dirmi cos'è questa? La piccola guardò prima il ciondolo poi il padre chiedendosi dove fosse l'inganno in una domanda tanto semplice. È la pietra, quella di cui parlavi. L'uomo si chinò verso di lei con un sorriso, le accarezzò il viso con dolcezza. No, Alena, non è la pietra. Non riusciva a capire, un cipiglio si disegnò sul suo piccolo viso. Lui prese il ciondolo in mano, la piccola pietra stretta nel suo pugno era sparita. Ora è la pietra. La bambina era ancora più confusa. Sobbalzò quando si chinò sul libro che teneva sulle ginocchia e strappò del tutto quella pagina che aveva detto fosse così importante.
Adesso è il nostro segreto, Alena.

Il nostro segreto, papà.


- Lena! Ci sei? Mi stai ascoltando? - Lilian le sventolò una mano davanti al viso.
- Ignis è in Bulgaria. Un portale, dovete costruirmi un portale! - urlò prendendo per le spalle Magnus e voltandosi anche verso sua sorella. Lo stregone strabuzzò gli occhi.
Come lo sai? - Volle sapere.
- Lo so - rispose lei evasiva. L'uomo guardò per un attimo negli occhi spiritati della ragazza, poi in quelli preoccupati di sua sorella, e prese la sua decisione.
- Non ti lasceremo andare così, non sei nelle condizioni di poter indagare su questa situazione e poi da sola...e se dovessi trovarti faccia a faccia con Ignis? No, non se ne parla, è troppo pericoloso! - Lena non poteva credere alle sue orecchie.
- Ma come puoi dire una cosa del genere? Proprio ora che abbiamo una pista non la seguiamo? Ti dico che è lì, il suo covo è lì. Ne sono sicura - cercò di convincerlo, ma lo stregone sembrava essere irremovibile quanto lo è una roccia.
- Lilian... - chiamò speranzosa, ma la strega scosse la testa.
- Ha ragione lui, stavolta -  Lena si alzò di scatto e ricominciò a camminare.
- Sì che posso andare da sola - ripeteva come una litania stringendo tra le mani la tazza - Certo che posso - Qualcuno bussò alla porta - Posso andare da sola eccome - Si avvicinò automaticamente e senza che nessuno glielo chiedesse aprì il portone.
- Sì che...- E non finì la frase. La tazza volò e si frantumò a terra, l'ultima preziosa bustina di Magnus versata sul pavimento.
Fitte al cuore, fitte ovunque.

Every single day

Ben se ne stava fermo sulla soglia, respirava a fatica, il petto che si alzava e abbassava ritmicamente. Lena sapeva bene che per lasciarlo senza fiato ce ne voleva, doveva aver corso parecchio.
Sì, in effetti aveva corso, ma non era per quello che era senza fiato.

Every breath you take

Davvero strane le sensazioni umane, l'ultima volta che si erano visti Lena andava a fuoco, ora era completamente avvolta dal gelo, lastre di ghiaccio le si conficcavano dentro.
Fitte al cuore, fitte ovunque.
Aveva un'espressione nuova sul suo bel viso, una che Lena non aveva ancora visto. La travolse la terribile sensazione che fuori da quella porta ci fosse uno sconosciuto, che un giorno fosse bastato per non conoscerlo più.
Fitte al cuore, fitte ovunque.

Every claim you stake

Ma quando parlò la sua voce era sempre la stessa, quando pronunciò il suo nome, il suo vero nome, accarezzò ogni lettera nello stesso modo di sempre e quando la guardò negli occhi, quando la guardò davvero, era il suo solito sguardo. Il suo solito modo di dirle mille parole senza aprire bocca.
- Alena - sussurrò.
Fitte al cuore, fitte ovunque. Una fitta più forte delle altre.

Every word you say

Dio, quanto lo amava. Dio, quanto si odiava per questo. Lo amava come mai nessuna avrebbe fatto dopo di lei, lo amava più di se stessa e più di ogni cosa che c'era al mondo. Lo amava, ma l'aveva spinta ad andarsene. Lo amava, ma l'aveva lasciata andare.
Lo ami, ma lui non ti ama.

I'll be watching you 

Richiuse la porta di scatto, con forza, senza dire una parola. Ci crollò contro e scivolò giù, verso il pavimento, le unghie che artigliavano il legno, i piedi che strusciavano sulle mattonelle lisce. La stoffa dei pantaloni si inzuppò del tè che aveva fatto cadere a terra un attimo prima. Lo odiava, ma in quel momento non le importava granché. 
Lena, Apri! - La schiena appoggiata al legno tremava sotto i colpi del ragazzo.
Apri, Lena! Devo parlarti, devo... Lena! - La sua voce la faceva tremare più dei pugni che tirava da dietro la porta.
La smetterà, si stancherà di tirare pugni contro una porta, prima o poi. Deciderà che non ne vale più la pena. Se ne andrà. 
Un colpo più forte degli altri. E poi silenzio.
Se n'è andato, Lena. Si è stancato, ha deciso che non ne vale più la pena.

I'll be watching you 

- Ti prego - Era un sussurro appena udibile attutito dalla superficie che li separava, ma le era sembrato un urlo dopo anni e anni di silenzio. Il cuore fu più veloce della mente. Più veloce dell'orgoglio e dell'amor proprio, più veloce delle delusioni e della promessa di non ricascarci un'altra volta. Il cuore non aveva mani, eppure ce la fece benissimo ad aprire quella porta.
Silenzio. Proprio ora che era davanti ai suoi occhi, proprio ora che aveva aperto la porta ed era pronta ad ascoltarlo, proprio ora, non diceva una parola. Sembrava essersi dimenticato come si faceva a parlare, sembrava essersi dimenticato tutto. Tutto davanti a lei scompariva.
Perché gli hai aperto? Perché vuoi farti male? Di nuovo, non ti è bastata la prima? Perché, Lena, perché? 
Perché sei venuto qui? Perché non riesci a lasciarla in pace? Non riesci a fare questo sacrificio per lei? Perché, Ben, perché?
- Mi pareva di averti detto di non cercarmi - esordì dura. La testa che riprende il controllo delle azioni.
- Anzi, mi pareva di averti detto che se solo ti fossi fatto rivedere ti avrei ammazzato - 
- Perché sei venuto? - Me lo stavo giusto chiedendo, Lena.
- Perché sono un egoista. Un grandissimo egoista che non riesce a mettere il tuo bene al primo posto, so pensare solo a me, Lena, altrimenti non sarei qui - Sei ancora in tempo, Ben, sei migliore di così... - Sono stato uno stupido. Ho pensato che allontanandoti da me sarei riuscito a proteggerti...- ...o forse no.
- Ti ho detto quelle cose terribili per spingerti lontano da me, sapevo che non lo avresti sopportato, sapevo che te ne saresti andata, sapevo di farti male e ti ho fatto male. Credevo di farti bene, Lena, credo ancora che quello sia il tuo bene. Se solo fossi più forte, se solo fossi meno egoista, se non fossi la persona tremenda che sono, ora non sarei qui davanti a parlarti, ti lascerei libera di vivere senza di me e ti allontanerei da tutto quello schifo che invece dovrai sopportare per colpa mia - Non la meriti, Ben, dovresti vergognarti.
- Ma sono debole, sono un egoista, sono esattamente la persona tremenda che sembro. Esattamente la persona tremenda che è qui davanti a te e ti sta dicendo quello che si era ripromesso di non dirti. Vedi? Tradisco anche me stesso. Perciò come posso chiederti di fidarti di me? Come posso assicurarti che non ti farò di nuovo male? - Si fermò un attimo per prendere fiato. Lena aspettava immobile, non lo avrebbe interrotto, non avrebbe detto una parola. Non sapeva rispondere a quelle domande.
- Non posso, Lena. Non posso. E non sai quanto mi dispiace, non sai quanto ogni dannato giorno io desideri essere quello di cui hai bisogno. Ma sono qui e questa è la prova più grande che sono un disastro, un vero disastro. E ti amo. Sono un disastro. Ti amo. Ed è un disastro. Ma ti amo - L'unico rumore nell'aria erano i loro respiri. Lena sentiva che quel silenzio l'avrebbe uccisa, ma non riuscì ugualmente a parlare.
- Oh, ti prego, dì qualcosa - la supplicò allo stremo delle forze, come se le parole pronunciate pochi attimi prima lo avessero prosciugato.
- Sai, adesso viene la parte in cui di solito lei si butta nelle braccia di lui e gli dice che non importa quello che è successo, che lo supereranno insieme e che... lo ama - La guardava implorante, recitando il finale di ogni storia d'amore che si rispetti, pregando che quello sarebbe stato il finale anche della loro. Anche Lena avrebbe voluto che le cose andassero così, ovvio che lo voleva, voleva non volerlo, ma lo voleva. Avrebbe voluto dirgli che non importava il fatto che le avesse spezzato il cuore, che non importava se si era sentita morire tutto il giorno, avrebbe voluto dirgli che si fidava ancora di lui e che era pronta a far finta che non fosse successo niente.
Avrebbe voluto essere solo la sua parabatai.
- Questa non è una favola, Ben, ricordi? - disse invece.
- Non ci sarà nessun futuro per noi, nessun bacio sotto la pioggia, nessun 'ti amo' bisbigliato all'orecchio. Non ci terremo per mano in pubblico, non camminerò verso un altare con un vestito dorato addosso. Non ci sarà nessun bambino con i miei occhi e i tuoi capelli che correrà per casa nostra, non ci sarà una casa nostra. Non ci sarà un lieto fine per me e te, perché questa non è una favola - Le tremava la voce e aveva smesso di cercare invano di trattenere le lacrime. Erano le stesse parole, se le ricordava bene, quelle che le aveva detto lui sui gradini dell'Istituto, quelle che le avevano spezzato il cuore, ma aperto gli occhi.
Sul viso di Ben vedeva, come la copia di un'immagine riflessa allo specchio, il suo viso. E guardare il dolore palesarsi sui suoi lineamenti proprio lì davanti ai suoi occhi era riviverlo sulla propria pelle un'altra volta. Parabatai.

Lo senti, Ben? Senti quanto fa male? Io mi sono sentita così e mille volte peggio. Anche adesso mentre ti faccio male non riesco a non farne anche a me stessa. Ti sembra giusto, Ben? Ti sembra leale? Non possiamo più giocare nella stessa squadra, tu trovi ogni volta il modo di barare ed io sono stufa di perdere sempre.

- Avevi ragione quando l'hai detto. Avrei dovuto capirlo prima che le cose non sarebbero andate come avrei voluto. Ma che vuoi farci, sono una stupida ragazzina ingenua - Mai parole le erano sembrate tanto amare in bocca. Si affrettò a buttarle fuori.
- Per te io sono un gioco, Ben, la scommessa che vincerai sempre, la garanzia che qualunque guaio combinerai non sarà mai abbastanza per allontanarmi. È così che mi vedi: il tuo gioco. Un gioco che è proibito e che quindi è ancora più divertente - 
- No, Lena, non è vero! Io...- Fece un passo avanti, implorandola con gli occhi di credergli, ma non bastò.
- Ti sei divertito, almeno? È stato abbastanza divertente? - gli urlò in faccia con una ferocia che stentava a riconoscere come propria.
- Ti sei divertito? - Ora era un sussurro, la voce così sottile che a due centimetri dal suo viso il ragazzo la udiva appena.
- Mentre mi baciavi, mentre combattevamo fianco a fianco, mentre ti raccontavo i miei incubi, mentre facevamo l'amore, mentre ti chiamavo fratello, mentre facevi crollare tutti i miei principi, mentre mi innamoravo di te...ti sei divertito? - Silenzio. Gelo. Ghiaccio che penetrava fin dentro le ossa, fin dentro l'anima.
Lena era tutta ghiacciata.
- Ho chiesto: ti sei divertito? - ripeté non contenta del suo silenzio, la voce rigida come una lastra di marmo. Ma Ben non avrebbe risposto, barricato nel suo silenzio cercava disperatamente una prova che lo avrebbe convinto che ciò che aveva appena detto la ragazza non era vero.
Sul serio? Sono questo? 
Ben era sicuro di non essere un angelo, né un santo, non era nemmeno sicuro di essere una brava persona. L'unica cosa di cui era sicuro, l'unico punto fermo in un mondo che non smetteva un attimo di girargli intorno, era Lena. E sapeva, come si sa che il cielo è blu e che la terra è rotonda, che l'amava. Era convinto di non essere la persona di cui lei aveva appena parlato, eppure se si guardava alle spalle riusciva solo a vedere tutti gli errori che aveva commesso e soffriva per averla fatta soffrire. Era la sua parabatai...
- Beh, spero per te che ti sia davvero divertito, perché non ci sarà un'altra partita - Fece un passo indietro, poi un altro e un altro ancora, si voltò pronta a sparire dietro la porta che aveva davanti e si fermò.
Un secondo, solo un secondo. Per fermarla, per fermarsi. Solo un secondo.
Ora che gli dava le spalle si era permessa di chiudere gli occhi. Poggiò la mano sulla maniglia e la spinse in giù. Sperò con tutta se stessa che facesse qualcosa, lo avrebbe preso a schiaffi e gli avrebbe urlato contro, ma sperò che la fermasse, perché dopo averlo picchiato e avergli detto che lo odiava, gli avrebbe anche detto che lo amava e vivere senza di lui equivaleva a non vivere.
Era la sua parabatai...
Sperò che la fermasse, ma non lo fece. Quel secondo passò e la lasciò andare, per la seconda volta.
Si chiuse la porta alle spalle e non ebbe la forza di buttarsi a terra. Gli occhi erano prosciugati, non c'erano più lacrime da versare, ne aveva piante di più di quante gliene aveva messe a disposizione Dio per una sola vita. Le gambe non le sentiva più e perciò non le facevano male. Neanche il cuore lo sentiva più, non poteva farle male. Non sentiva niente. Ghiaccio dappertutto.
Niente.

Quando aveva visto che fuori da quella porta c'era Ben, Magnus aveva subito capito cosa fosse successo la sera prima, era stato tentato di uscire anche lui e dirgliene quattro, ma poi Lilian lo aveva dissuaso. Solo una persona al mondo avrebbe avuto il potere di ridurla in quello stato e guarda caso era l'unica che avrebbe potuto risollevarla. Perciò si lasciò convincere a rimanere dentro casa e a lasciarli parlare in sanata pace, non che in questo modo ci fosse tutta questa privacy, i sottili muri dell'appartamento non erano in grado di bloccare le urla della ragazza dagli occhi blu, niente ne sarebbe stato capace. Ma si era lasciato ugualmente barricare da sua sorella nella sua camera e aveva sperato fino all'ultimo che le cose si aggiustassero da sole. Poi aveva sentito il rumore della porta che si chiudeva e quell'improvviso silenzio che faceva male alle orecchie. Era tornato all'ingresso con passi cauti, Lilian alle sue spalle, e l'aveva trovata in piedi, con le palpebre abbassate, immobile, all'improvviso la stanza gli era parsa più fredda. Poi aveva spalancato gli occhi e lo aveva guardato duramente, il blu delle sue iridi pareva più scuro del solito.
- Allora? Uno di voi due costruirà per me un portale? - Non erano esattamente le parole che Magnus e Lilian si erano aspettati. Lilian era pronta ad asciugare le sue lacrime, ad abbracciarla e dirle che sarebbe passato, Magnus a prepararle una tazza di tè solo per sentirsi dire che lo odiava. Erano pronti alla voce tremante e agli occhi gonfi di pianto, invece il suo tono era piatto e i suoi occhi terribilmente vuoti.
- Non puoi andare da sola in Bulgaria, ma se vuoi possiamo aiutarti a contattare il Conclave e...-
- No - abbaiò Lena facendoli sobbalzare. Il gatto di Magnus, che l'aveva adorata fin dalla prima volta che era entrata in quella casa, le soffiò contro ed andò a rifugiarsi sotto al divano.
Come se non fosse stata lei, come se fosse stata un'altra.
- E allora io non so come aiutarti. So solo che non lascerò che tu ti butta in questa missione suicida a costo di doverti legare al divano - Magnus vide affondare le mani nei capelli e per un attimo ebbe paura che volesse strapparli tutti. Poi con una calma glaciale la ragazza si voltò e si rinchiuse nella camera dove aveva dormito quella notte, non sbatté neanche la porta. Lo stregone e sua sorella rabbrividirono.

Magnus percepiva, anche attraverso la dolce incoscienza del sonno, che qualcuno stava gridando; si svegliò di soprassalto.
- Dov'è lei? - Riconobbe il viso di Ben mentre gli urlava a pochi centimetri dalla faccia.
Che ci fai in casa mia? - chiese sorpreso arretrando sul letto fino a sbattere contro la spalliera.
- Dov'è lei? - Fu la risposta, che risposta non era, del Nephilim.
- Ma come diavolo hai fatto ad entrare? - Fu allora che notò Lilian appoggiata allo stipite della porta, sul viso un'espressione cinerea. 
- Lo hai fatto entrare tu? - chiese sbalordito.
- No, sono entrato da solo, la tua casa ha una sicurezza di merda. Dov'è lei? - 
Oh per Lilith, ma che stai dicendo? - 
Idiota di uno stregone! Lena! Dov'è? - Magnus si rilassò visibilmente, nonostante Ben gli sbraitasse contro e Lilian sembrasse più impensierita che mai. Si permise di crollare di nuovo sul materasso - È nella stanza qui di fronte, ma non penso che voglia vederti, sai... - Il ragazzo imprecò fra i denti e lo guardò in cagnesco.
Razza di imbecille, pensi che non abbia già messo sottosopra questa dannata casa? Lei non c'è, da nessuna parte! E neanche tua sorella sa rispondermi, perciò lo chiedo a te, un'ultima volta: DOV'È? - 
- Tu cosa? - Si ricompose vedendo l'espressione truce del cacciatore e finalmente gli pose la domanda giusta.
- Come sarebbe a dire che non c'è? - Si mise a sedere di scatto e calciò via le coperte, appena fu in piedi scansò il ragazzo e perlustrò tutto l'appartamento. Ben gli andava dietro passo dopo passo e non la smetteva un attimo di sputare una domanda dopo l'altra, Lilian ancora più dietro seguiva entrambi.
- Secondo te l'hanno portata via o pensi che se ne sia andata da sola? Che poi dove? Dove sarebbe andata? Avete per caso litigato? Cosa diavolo le hai fatto per farla andare via? Giuro che se...- Magnus si fermò di botto, si voltò verso il ragazzo e lo fulminò con lo sguardo.
- Ehi, ragazzo, piano con le accuse! Io non le ho fatto proprio niente, piuttosto tu! Cosa le hai fatto tu? Era sconvolta quando è arrivata qui, ed anche ieri dopo aver parlato con te. Se c'è qualcuno da incolpare se se n'è andata quello sei tu! - Mise in chiaro puntandogli un dito contro con fare accusatorio. Ben incassò il colpo, era pronto a riceverne un altro quando Lilian si frappose fra i due.
- Invece di bisticciare come due bambini e trovare di chi è la colpa, vogliamo trovare Lena? - Nessuno dei due osò ribattere.
- Ieri sera mentre ce lo chiedeva sembrava fuori di sé e noi le abbiamo detto di no - pronunciò rivolta verso suo fratello.
- Oh...- bisbigliò lui.
- Cosa? - chiese subito Ben.
- In effetti c'è un motivo per cui potrebbe essersene andata... - ammise l'uomo e cominciò a raccontare di come fosse convinta di sapere dove si trovasse Ignis e di come lui e Lilian si fossero rifiutati di procurarle un portale per attuare la sua missione suicida.
Ben ascoltò in silenzio, poi annuì e buttò fuori una grande boccata d'aria.
- So dov'è andata, allora - disse.









* Le frasi in inglese che intervallano il testo quando Lena trova Ben sulla porta sono della canzone "Every breath you take", The Police.

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Capitolo 20
*** Cenere ***


20. Cenere

C'è un posto dentro te in cui fa freddo 
è il posto in cui nessuno è entrato mai 
quella che non sei.
(Ligabue~Quella che non sei)




Non aveva smesso un attimo di fissarla da quando aveva aperto la porta e l'aveva fatta entrare, non molto volentieri, in casa sua. La prima volta che la cacciatrice l'aveva incontrata l'aveva trovata una donna piuttosto sgradevole; inoltre si era sentita molto a disagio, in piedi in un angolo del suo trascurato appartamento senza sapere come comportarsi. Ma ora era diverso, lei era diversa. Aveva rifiutato di sedersi sul quel suo pidocchioso divano quando la strega dalle orecchie da gatto glielo aveva chiesto ed ora la guardava dritto negli occhi, ferma e decisa.
- Allora, vuoi dirmi perché sei qui? - Aveva una voce profonda Irina e il forte accento russo non aiutava di certo a darle un tono più conciliante.
- Te l'ho detto. Magnus Bane dopo Ottocento anni di incantesimi non è nemmeno più capace a creare un portale - rispose secca incrociando le braccia davanti al petto. Qualcosa le disse che fosse meglio omettere il dettaglio che anche Lilian si fosse rifiutata di aiutarla. La strega ammorbidì lo sguardo, come se aver parlato in quel modo di Magnus le avesse fatto guadagnare decisamente molti punti; un angolo della bocca si sollevò in un tetro tentativo di sorriso.
- Lena...- Distolse per la prima volta gli occhi dai suoi e li puntò sull'orribile tappeto persiano che copriva il pavimento. Non la stava chiamando, era piuttosto una constatazione, come se dal suono del suo nome potesse capire se stava dicendo la verità. 
- Alena - la corresse la Nephilim senza battere ciglio - Il mio nome è Alena - Lo stava dicendo a se stessa. Irina alzò un sopracciglio leggermente piccata dal fatto che qualcuno in quella stanza potesse avere una voce più ferma della sua. Ma non ribatté, anzi, cominciò a guardarla in modo diverso. Non era più la fastidiosa ragazzina Nephilim che si era introdotta la prima volta in casa sua, ora davanti a lei c'era una donna che forse, nonostante fosse una cacciatrice, poteva provare a guadagnarsi il suo rispetto.
- Alena - disse marcando il suo nome - Se Bane non ha aperto quel portale avrà avuti i suoi buoni motivi e dato che io sono meno propensa di lui ad immischiarmi nelle faccende di voi Nephilim...- lasciò la frase in sospeso e la sfidò con lo sguardo.
Fammi cambiare idea se ci riesci, bambina. 
Alena sfiorò con la punta dei polpastrelli l'anello che aveva all'anulare sinistro, la chiave argentata che vi era ritrattata, il simbolo della sua famiglia, brillava sotto la luce del lampadario. Vedi? È destino che noi due stiamo insieme, le aveva detto una volta Ben mostrandole l'anello dei Fairway con sopra ritrattato un lucchetto. Una parte di lei moriva dalla voglia di ritornare a quei tempi, quando "stare insieme" non significava altro che guardarsi sempre le spalle, essere fratelli oltre il sangue. E se quella Lena che voleva dimenticare tutto e correre tra le braccia di Ben era determinata, l'Alena che aveva giurato di non farsi mettere i piedi in testa da nessuno lo era ancora di più. 
Si sfilò l'anello dal dito e lo lanciò sul tavolo intorno al quale era seduta la donna.
- Pensi che questo sia abbastanza per convincerti, strega? - Irina si tuffò sull'anello come un avvoltoio su una carcassa lasciata incustodita. Ne esaminò meticolosamente la fattura ed ogni altro dettaglio, quando alzò di nuovo lo sguardo verso la ragazza cercò di mostrarsi indifferente. 
- Non lo so... Sai, voi Nephilim portate sempre guai...- Non la smetteva di rigirarsi l'anello sul palmo della mano. Alena diede un ultimo sguardo al cimelio di famiglia.
- Puoi tenerlo finché non torno con i soldi, poi lo rivoglio indietro. Prendila come una garanzia - Ancora quello sguardo di sfida.
- Quanti soldi? - La cacciatrice esibì un sorriso senza divertimento.
- Abbastanza perché potrai permetterti di arredare come si deve questo buco di appartamento - La russa scoppiò a ridere, poi tornò seria di botto e puntò le sue iridi color miele in quelle blu della ragazza.
- Non ti piace la mia casa, cacciatrice? - La voce bassa e profonda. Alena sorrise.
- Fa veramente schifo - Quella la soppesò con gli occhi e lei resse il suo sguardo.
- Non trovi mi doni? - chiese Irina distogliendo all'improvviso gli occhi ed infilandosi l'anello dei Silverkey al dito, peccato che si bloccasse all'altezza della prima falange: le dita della ragazza erano molto più sottili di quelle della strega. Alena decise che fosse più saggio non farglielo notare.
- Moltissimo, ma non abituartici. Vengo a riprendermelo - le ricordò. La donna si alzò dalla sua sedia e le si avvicinò, fece un versaccio.
- Ho capito, ho capito - brontolò - Beh? Levati di mezzo, lo vuoi o non lo vuoi questo portale? - disse spingendola via dalla parete a cui era appoggiata.

Qualcuno aveva suonato al campanello ed Irina si era alzata controvoglia dalla sua sedia per andare ad aprire, quando poi aveva visto che si trattava di un altro Nephilim aveva sentito l'impulso di richiudere alla svelta la porta. Non era già abbastanza un cacciatore al giorno? Aveva già visto una volta il ragazzo e sapeva cosa voleva. Poi, come ulteriore delucidazione, accanto a lui c'era uno stregone, ma non uno qualsiasi: sulla soglia c'era Magnus Bane. Per la seconda volta represse l'istinto di sbattergli la porta in faccia.
- Dov'è lei? - abbaiò il ragazzo ed Irina nella sua mente srotolò un lungo papiro di bugie. Ma lei chi? Non so di chi tu stia parlando? Chi? Lena? Non conosco nessuno con questo nome. Ah, la fastidiosa ragazzina Nephilim che è entrata qualche tempo fa nel mio appartamento chiedendo di una certa Nadia... In effetti il suo nome è Alena ed ormai è una donna... No, quest'ultima parte non gliela disse. 
Doveva aver raffinato piuttosto bene l'arte della menzogna dall'ultima volta che l'aveva visto, perché il cacciatore sembrò crederle e dopo averle raccomandato di fargli sapere se per caso l'avesse vista, tolse in fretta il disturbo trascinandosi dietro, per fortuna, anche lo stregone.

- E ha detto solo questo? - si informò Lilian appoggiata al tavolo a forma di margherita del soggiorno, emblema dei gusti a dir poco particolari di suo fratello. Non era andata con loro a casa della strega perché, a sua detta, la sua presenza avrebbe potuto influenzarla.
- Sì, solo questo - confermò Ben e per un po' nella casa regnò il silenzio.
- Beh, quindi ti sei sbagliato: non è andata da lei - Ben alzò gli occhi al cielo con aria vagamente divertita alle parole di Magnus e Lilian si batté una mano in fronte.
- Certo che è andata da lei - scoppiarono all'unisono contro lo stregone. Il cacciatore sospirò come un adulto che spiega un concetto elementare ad un bambino.
- Non l'hai visto l'anello dei Silverkey che aveva al dito? - domandò retorico mentre scambiava occhiate d'intesa con la strega. Magnus spostò più volte lo sguardo dall'uno all'altra, piccato.
- Smettetela di fare così voi due, o giuro su Lilith che vi incenerisco! -.


Questa volta Alena non si era lasciata ingannare, era precipitata a terra senza farsi troppo male, attenta a cadere nel modo giusto in modo da ritrovarsi solo un paio di fastidiosi lividi, in posti a dir poco insoliti, che avrebbe curato più tardi con un'iratze.
L'Istituto bulgaro si ergeva davanti ai suoi occhi magnifico come lo ricordava, le imponenti guglie avevano la solita aria inquietante che per Alena aveva un sapore familiare. Si avvicinò senza indugiare oltre e picchiò un paio di volte contro l'imponente portone. L'accolse una Stéphka efficiente più che mai, appena la riconobbe si esibì in un'impacciata riverenza.
- Какво е удоволствие да ви видя, принцеса! - Anche per me è un piacere rivederti, Stèphka.
- C'è qualcosa che posso fare per voi, принцеса? - le chiese dopo averla fatta accomodare dentro e riempita di attenzioni. Alena, che aveva bussato alla porta dell'Istituto proprio per quel motivo, non ci pensò due volte a fare la sua richiesta.
- In realtà sì. Mi serve una divisa da cacciatore, uno stilo ed una spada angelica se riesci a procurarmela - La donna annuì velocemente e sparì dietro un lungo corridoio.
Ora che ci penso mi servirebbe anche un po' di fortuna...

Non era stato facile. Sorridergli quando aveva aperto la porta, mentire, non sentire una punta di rimorso...erano cose che sapeva fare bene Alena, aveva scoperto che manipolare era la sua arte. Ma per Lena...dannazione, era la cosa più difficile da fare, era fingere di essere un'altra, era esattamente quello che stava facendo. 
Ecco perché non era stato facile bussare alla porta dei Blackshade, fingere di aver cambiato idea, tessere un arazzo di menzogne sul perché aveva capito che la sua casa era in Bulgaria. Era tutt'altro che facile guardarlo mentre col sorriso negli occhi ingoiava una dopo l'altra le sue bugie. Le bugie di Alena.
Dimitry la guardava assorto mentre gli raccontava una storia inventata dall'inizio alla fine, Alena avrebbe voluto sentirsi in colpa, ma non ci riusciva. 
- Mi dispiace essere piombata qui senza preavviso, ma...non volevo passare un giorno di più a San Francisco. Pensi che potreste ospitarmi qui per un paio di notti, finché non riesco a trovare una casa? Non voglio andare all'Istituto, quel posto è...- Fu come invitare una lepre a correre. Dimitry scosse vigorosamente la testa, non la lasciò neanche finire.
- Non dire un'altra parola, puoi restare qui quanto vuoi, questa è casa tua - Ed era fatta. Di lì in poi fu una strada in discesa.
Gli disse che Ignis non era più un problema, che dopo secoli di persecuzione aveva finalmente finito di procurare disastri. Com'erano dolci quelle bugie, sperò che un giorno potessero diventare verità. Si guardò bene dal raccontargli ciò che aveva scoperto rovistando fra i suoi ricordi d'infanzia. Omise volontariamente le sue teorie per le quali Ignis, che non era affatto scomparso dalla sua vita, doveva per forza trovarsi lì, dato che la Pietra Runica, da cui traeva il potere, era legata alla sua terra, alla sua casa e a suo padre...
La pietra è legata all'anima del suo custode e l'anima non può essere vinta dalla morte. I pezzi sparpagliati nella testa della cacciatrice cominciavano a trovare il loro posto e ad incastrarsi tra loro, ma Alena non permise a Dimitry di vedere come il puzzle prendeva forma. 
Ecco perché i demoni che Ignis aveva mutato avevano subito trasformazioni minime: una lingua, un po' di veleno che ti rende incosciente per un po' e ti fa sbellicare dalle risate... Non erano esattamente le trasformazioni spaventose che avrebbe compiuto se avesse avuto la Pietra a sua completa disposizione.
Ma la pietra era bloccata. Qualsiasi incantesimo demoniaco le avesse lanciato contro non era stato capace di spezzare il legame che questa manteneva con il suo custode anche dopo la morte e ad Ignis erano rimasti solo i rimasugli di quell'immenso potere. Ecco cosa aveva capito dopo quel tuffo nel passato a casa di Magnus, ecco cosa aveva scatenato quella pagina strappata ed ecco perché era tornata in Bulgaria.

Rivedere Vassil e Dara fu per Lena come ritrovarsi nel bel mezzo di un sogno. Non di certo perché fosse entusiasta di rincontrare i genitori di Dimitry, piuttosto perché le dava una sensazione strana: come cercare di tenere aperti gli occhi sott'acqua. Quei due appartenevano ad una realtà che non considerava più tale da molto tempo.
Fu un'accoglienza piuttosto accurata la loro, non particolarmente calorosa, ma decisamente accurata. Passarono ore a rivolgerle domande su domande e, sebbene tutto quello assomigliasse più ad un interrogatorio che alla curiosità di chi credeva fosse morta, sapeva che non era colpa loro. C'era qualcosa nei Blackshade, ed anche nei Silverkey a dire la verità, che impediva loro di scomporsi più di tanto. Quella rigidezza, quel rigore, era una specie di maschera che erano obbligati a portare fin da bambini e che crescendo non riuscivano più a levarsi dalla faccia. Sulle spalle avevano il peso morto di un titolo ormai senza alcun valore, eppure ognuno di loro era animato dalla convinzione di essere l'ultimo di una rarissima specie in via d'estinzione, il prescelto che dall'alto del suo scranno aveva il permesso di guardare tutti gli altri schifandoli con lo sguardo. Era così che sarebbe diventata anche lei? Se la sua vita non avesse preso un'altra piega, sarebbe stata anche lei un'altra rigida principessa di ghiaccio? Avrebbe continuato ad essere Alena. Ma poi era andata a vivere a San Francisco, l'Istituto era diventato la sua casa, i Fairway la sua famiglia e lei era diventata solo Lena.
Nonostante tutto ciò, non si poteva dire che Vassil e Dara non fossero persone generose. Proprio come loro figlio avevano subito acconsentito ad ospitarla in casa loro in nome del profondo legame che legava da sempre le loro famiglie.

Nel castello dei Blackshade passò giorni di tranquillità, Dimitry le stava molto vicino, ma di tanto in tanto le lasciava anche qualche attimo di solitudine, pensava ne avesse bisogno per potersi chiarire le idee. Quegli attimi davano lo slancio a Lena di riprendere il controllo e ciò equivaleva a perderlo. Quando era Lena aveva il brutto vizio di pensare troppo spesso agli anni passati a San Francisco, alla sua vita lì, a Ben...
Vagabondare in quei viottoli bui della mente non era affatto saggio: il cuore batteva troppo forte, quante emozioni doveva sopportare, credeva di scoppiare. Essere Alena invece significava rallentarlo fino a credere che non battesse più. Era decisamente più comodo: Alena non soffriva, Alena non amava Ben, in un certo senso Alena non era la sua parabatai.
Ma non era certo tornata in Bulgaria per prendersi del tempo per pensare alle sue crisi di identità ed al suo cuore spezzato, tutt'altro. Non ne aveva affatto di tempo. Doveva cominciare a cercare un indizio, una pista da cui potesse iniziare ad indagare e scoprire il covo di Ignis.
Per questo aveva chiesto a Dimitry di accompagnarla in alcuni luoghi, aveva compilato una lista con tutti i posti a lei familiari, posti a cui era legata lei e la sua famiglia e quindi molto probabilmente anche la Pietra. Il ragazzo aveva accettato di buon grado, "voglia di rivivere il passato" l'aveva chiamata ignorando la verità.
Non avrebbe potuto sbagliarsi di più.
Alena era convinta che se si fosse trovata nel luogo giusto l'avrebbe capito. La Pietra Runica apparteneva ai Silverkey da sempre, era legata all'anima di suo padre e, se per caso non l'avesse sentita lei, di certo Lena l'avrebbe fatto. 
Ma non la sentirono. Mancava solo un posto all'appello e Lena aveva bloccato la mano di Alena prima che lo scrivesse sulla lista. Doveva andarci sola.
E sola c'era andata. Sola si sentiva mentre fissava ciò che rimaneva: niente.
Sola, completamente sola.

Era come guardare in faccia la morte. Anzi peggio, perché la morte presuppone la vita, ma guardando quello scenario desolato si sarebbe detto che non ci fosse mai stato qualcosa oltre alla cenere. Che non ci fosse mai stato un prima, una terra fertile coltivata con amore e non una massacrata dal fuoco, una casa dove vivevano delle persone, una famiglia, la sua famiglia... Ricordi impressi nelle fiamme che ardevano nella mente di chi ricordava.
Lena avrebbe tanto voluto ricordare, avrebbe voluto rincorrere ogni singolo ricordo e pregarlo di bruciarla viva, di stamparglisi sulla pelle per sempre, ma la memoria era meschina e correva veloce. Non c'era mai stato un prima, i vigneti che coltivava suo padre, non c'era stata la sua casa, la sua famiglia, i suoi ricordi, la sua infanzia bruciata. Tutto cancellato. Non c'era stato un prima e non ci sarebbe stato un dopo. Il niente regnava sulla terra e nel cielo in quel francobollo di mondo dimenticato da Dio.
Di colpo si chiese perché fosse tornata in quel posto che aveva considerato a lungo casa, perché fosse tornata su quella collina a guardare nient'altro che cenere. Cenere. La sua vita lì era cenere. La cenere non può più prendere fuoco, la cenere non può più vivere nel calore di una fiamma. È come la morte. Anzi peggio, è ciò che rimane dopo, il ricordo di un incendio. È cenere.

Poi ai piedi della collina era apparso qualcuno, se ne era accorta solo quando ormai era troppo vicino. Dimitry si era fermato a due passi da lei, se ne stava fermo lì aspettando che si voltasse. Ma il vento bulgaro aveva asciugato le sue lacrime lasciandole segni simili a schiaffi sul viso, quella cenere le si era appiccicata addosso e sembrava non voler andare più via e di certo non gli avrebbe mostrato facilmente le cicatrici che i suoi ricordi le avevano lasciato. Il ragazzo, come intuendo che non si sarebbe voltata, mosse alcuni passi e le si parò davanti. Lena abbassò lo sguardo, ciocche castane si mischiavano ad alcune più chiare e, aiutate dal vento, le nascondevano il viso. Dentro di lei infuriava una guerra furibonda fra la paura di mostrarsi in quell'attimo di estrema fragilità e la voglia di lasciarsi andare e di abbattere il muro che in quei giorni si era costruita intorno. La lotta tra le due metà di sé.
È Dimitry, diceva una voce nella sua testa, l'amico di sempre. Tutto in lui era familiare, era forse l'unico che, pur appartenendo al suo passato, non fosse cenere. Sì, Dimitry, lo stesso che ti ha ingannata e fatto litigare con Ben. Te la ricordi quella sera? Aveva quell'espressione così turbata, quell'arrendevolezza che non gli avevi mai visto nello sguardo. E se non ti fossi accorta che aveva dietro di te? E se se ne fosse andato prima che avessi potuto spiegargli come stavano le cose? Controbatteva decisa l'altra. Esattamente, proprio lui. Se Ben se ne fosse andato quella sera e ti avesse lasciato qui a vivere la vita che ti spettava non avrebbe avuto modo di prendersi il tuo cuore e farci i coriandoli. Sì, è proprio quel Dimitry da cui sei scappata in fretta e furia e che a distanza di qualche settimana ti ha accolto senza battere ciglio in casa sua.
Non ce la faceva più, la testa pulsava dolorosamente implorando un po' di silenzio, gli occhi le bruciavano per le lacrime che aveva versato e per quelle che ancora trattenevano e quelle parole come spilli conficcati nella carne la trafiggevano e la facevano sanguinare.
Due mani si poggiarono sulle sue guance e le alzarono il viso. Dimitry la guardò negli occhi e ci vide dentro il riflesso di una bambina cresciuta troppo in fretta, vide quegli anni passati lontani dalla Bulgaria, quelle esperienze che l'avevano segnata nel bene e nel male e l'avevano fatta diventare una donna. Vide anche se stesso dentro i suoi occhi, sguazzava tra i ricordi di una breve infanzia, spingeva le pareti della mente per far parte anche del presente.
Le braccia di lei si strinsero intorno al suo corpo e quelle di lui fecero lo stesso. Lena si arrese. Lo abbracciò e desiderò dimenticarsi di tutto.

Le onde giocavano con la riva toccandola appena e poi rimbalzando subito indietro come lo yo-yo manovrato dalle dita di un bambino capriccioso. Abbracciavano la terra muovendo alcuni sassi e trascinandoli con loro. Lena appoggiata ad uno scoglio avrebbe voluto essere uno di quei sassi per essere portata via dalle onde. Il mare della Bulgaria era strano, scuro, pareva costantemente arrabbiato, sbatteva le onde con ira sugli scogli un momento prima e subito dopo faceva l'amore con loro abbracciandoli come fossero stati vecchi amanti.
Non sapeva bene il motivo per cui Dimitry l'avesse portata lì, ma guardava il mare e non le interessava. Ogni onda che si infrangeva addosso alle rocce era qualcosa che aveva perduto. I genitori. La casa. L'infanzia. La speranza di trovare Ignis. La fiducia di Eleanor. Il rispetto del Conclave. Un'onda più più prepotente delle altre. Ben. Ben. Ben. Ben. Ben.
Avrebbe mai smesso di fare così male?

Ora l'acqua salata si mescolava alla pioggia, Dimitry disse qualcosa a proposito di ritornare al castello. Lena guardava ancora la riva. Si ricordò di una stanza e di come tempo fa ci aveva visto dentro il mare. Le sembrava fosse passata un'eternità, le sembrava così lontana da essere successo in un'altra vita.
Ora, mentre guardava le onde litigare con gli scogli non poté fare a meno di vedere dentro quel mare una stanza. Quella stanza.
E non bastava cercare con tutte le forze di non pensarci, tra gli altri pensieri, impressi a fuoco come un eterno marchio, brillavano due occhi in cui il marrone ed il verde si mescolavano perfettamente. Due occhi che, con il blu di quelle onde, non c'entravano niente, ma che tante volte per Lena erano stati mare. Mare che la trascinava alla deriva. Mare che bagnava le sue ferite con acqua salata. Mare che la faceva naufragare in terre sconosciute dalle quali non sapeva più ritornare, non voleva più ritornare. Mare che rendeva quei luoghi l'unica e vera casa. Perché ritornare?
Avrebbe mai smesso di fare così male?

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Capitolo 21
*** Colpevole di amare ***


21. Colpevole di amare

When you’ve got nothing,
You've got nothing to lose
(Passengers~Holes) 




Lena era andata da Irina e molto probabilmente lei, essendo l'odiosa strega che era, aveva accettato di costruirle quel dannato portale, Ben ne era sicuro. Questo l'aveva portata in Bulgaria ed ora lei era...lei stava...lei...
Dov'era in quel momento? Che stava facendo? Stava davvero cercando Ignis? Aveva trovato qualche indizio che poteva esserle d'aiuto? Aveva trovato qualcuno che potesse esserle d'aiuto? O era sola? Come poteva sconfiggere i suoi demoni da sola? Chissà se stava pensando a lui, chissà se anche lei si stava chiedendo dove fosse e cosa facesse. Ben sperò con tutto il cuore che non ci stesse pensando, perché sapeva per esperienza quant'era doloroso e sperava, contrariamente alla sua natura egoista, di aver smesso una volta per tutte di farla soffrire. Sperava che non stesse pensando a lui, ma lui pensava a lei e aveva intenzione di raggiungerla.
Sì, perché andava benissimo pensare che doveva lasciarla in pace, lei stessa gli aveva chiesto di non farsi più vedere, due volte. Andava benissimo tutto questo, ma rimaneva nella sua testa, rimanevano parole, solo parole. I fatti erano che lei era in Bulgaria, probabilmente sola, a cercare uno dei più pericolosi demoni superiori che per anni aveva perseguitato la sua famiglia e che, guarda un po', sembrava avere una perversa ossessione nei suoi confronti. Perciò no che non l'avrebbe lasciata stare, no che non si sarebbe più fatto vedere. L'avrebbe raggiunta eccome, l'avrebbe dissuasa dalle sue fantasie suicide e l'avrebbe convinta a tornare all'Istituto di San Francisco, la sua città, la sua casa. E se per caso si fosse mostrata, come dire, un po' reticente all'idea di sospendere le sue indagini alla Sherlock Holmes, l'avrebbe presa di prepotenza e costretta a tornare indietro, a costo di caricarsela in spalla e riportarla a piedi a San Francisco.
Ecco, avrebbe fatto proprio così, non le avrebbe dato possibilità di scelta perché non c'era scelta, non l'avrebbe lasciata per le praterie bulgare in cerca di un demone che non aspettava altro che ucciderla. Poi, una volta portata a casa, lontana dal pericolo e quindi al sicuro, si sarebbe fatto da parte, l'avrebbe lasciata libera di mandarlo al diavolo e di dirgli che lo odiava e che non voleva mai più vederlo e...l'avrebbe accettato, sarebbe andato a vivere dall'altra parte dell'emisfero se era questo quello che Lena voleva. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, ma prima doveva andare in Bulgaria e salvarla da se stessa.
Ecco perché ora era davanti ai gradini dell'Istituto, era tornato a casa per spiegare la questione ai suoi genitori. Sapeva che avrebbero capito, sperava che avrebbero capito, perché, nonostante quello che c'era stato tra lui e Lena gli avesse procurato dispiacere e disagio, nonostante come ogni Nephilim consideravano vergognosa quella vicenda, erano i suoi genitori. Ed anche se nessuno dei due aveva mai avuto un Parabatai e non poteva neanche lontanamente immaginare cosa significava per lui in quel momento saperla in pericolo e così lontana, non potevano capirlo, sperava che almeno potessero capire cosa significava sapere in pericolo e lontana la persona che si amava. E se davvero si amavano e se davvero amavano lui, avrebbero capito, messo da parte l'orgoglio, in secondo piano il buon nome della famiglia e l'avrebbero lasciato andare.

Nicholas era una persona ragionevole, pacata, affrontava la vita con filosofia, amava sua moglie, amava suo figlio. Eleanor era una donna di carattere, decisa, camminava a testa alta e veniva rispettata da tutti, amava suo marito, amava suo figlio. Perciò certo che avrebbero capito. Se solo avessero potuto... Ma non avrebbero potuto. Ben se ne rese conto quando entrò in casa e guardò in faccia i suoi genitori, le espressioni affrante di chi aveva le mani legate.
- Ben! Ben, ti prego, cerca di non fare stupidaggini, dagli ciò che vuole e andrà tutto bene. Andrà tutto bene, tesoro - Sua madre gli sorrideva mentre accarezzava il suo viso e sussurrava parole di cui non riusciva a capire il senso. Delle lacrime erano incastonate agli angoli dei suoi occhi, Ben non ricordava di averla mai vista piangere.
Suo padre si avvicinò a lui e lo cinse in un abbraccio forzato.
- Non abbiamo potuto evitarlo quando si è presentato alla nostra porta. Ma andrà tutto bene, figliolo, non possono farti del male, non glielo lasceremo fare - bisbigliò al suo orecchio. Ben capì di cosa stavano parlando quando, entrato nella sala da pranzo, vide seduto al grande tavolo l'Inquisitore Marknight e comprese anche in quel preciso istante che, nonostante si fossero ostinati a ripeterglielo, nulla sarebbe andato bene.
L'Inquisitore ne stava comodamente seduto a capo tavola, rilassato come fosse a casa sua, era il più strano dei predatori: aspettava che fosse la preda a venire da lui. Quando Ben fece un passo avanti, all'interno della stanza, gli occhi dell'uomo gli si puntarono addosso soddisfatti, come se per tutta la vita non avesse fatto altro che aspettare quel momento.
- Oh, finalmente sei arrivato, caro Benjamin, muoio dalla voglia di fare quattro chiacchiere con te - Peccato che tu sia ancora vivo... - Sono sicuro che non ti dispiacerà venire come me ad Idris. Abbiamo giusto organizzato una riunione straordinaria in tuo onore - L'espressione di Ben si fece tirata, avrebbe tanto voluto stendere con un pugno quel vecchio stronzo e raggiungere Lena in Bulgaria, solo che poi l'avrebbe portato da lei ed era l'ultima cosa che aveva intenzione di fare.
- Suppongo di non potermi rifiutare - Sul viso dell'uomo si disegnò un tetro sorriso.
- Supponi bene, ragazzo -.

Ben non era mai andato ad Idris prima di allora e ne avrebbe volentieri continuato a fare a meno. La sua prima volta in quella terra magica se l'era immaginata leggermente diversa. Tanto per cominciare nella sua immaginazione c'erano sconfinati prati verdi, laghi dall'acqua cristallina sulla cui superficie si poteva guardare il proprio riflesso come attraverso uno specchio, viottoli pittoreschi, torri di adamas, statue che raffiguravano angeli... Di certo la sua vivida fantasia non aveva contemplato che il portale contro il quale l'aveva spinto l'Inquisitore l'avrebbe condotto in quella fortezza di pietra scura dove sembrava che nulla avrebbe potuto raggiungerli, nemmeno la luce del sole; né tantomeno che sarebbe stato chiuso in quella cella dalle pareti ammuffite.
- Allora? Non vuoi proprio dirmi dov'è, eh? - l'Inquisitore Marknight l'aveva lasciato solo per un po', incatenato al muro a fare i conti con se stesso e ad immaginarsi cosa l'avrebbe aspettato. Da quando era tornato aveva fatto un'unica domanda che, anche se ripetuta all'infinito, era rimasta senza risposta. Voleva sapere dov'era Lena. Non se l'accusa per cui era stato trascinato ad Idris fosse fondata, non se veramente tra loro ci fosse stato un rapporto illecito, non se l'amava e lei lo ricambiava, non se avevano sporcato il sacro legame dei parabatai. Voleva solo sapere dov'era Lena.
- Ti ho capito, sai? Stai cercando di proteggerla - Ma che intuizione geniale. Nella penombra della cella Ben non riusciva a vederlo, ma non serviva la vista per percepire il tono disgustato nella sua voce, né per indovinare la smorfia che deturpava il suo viso.
- Ma non servirà a niente. Quando la voce si spargerà per il Mondo Invisibile, e ti assicuro che succederà molto presto, saranno gli altri cacciatori a portarla qui, allora sarà innegabile che si stava nascondendo e chi si nasconde è colpevole a prescindere - Immagini di Lena gli affollarono la mente. Lena che indossava l'uniforme da cacciatrice. Lena che rideva ad una sua battuta. Lena che tracciava rune sul suo braccio. Lena che arrossiva come una bambina. Lena che lasciava che il vento le scompigliasse i capelli... Lena trascinata in una cella buia e incatenata ad una parete.
Se tu mi dicessi dov'è, manderei i miei uomini a prenderla, la porterebbero qui e tutti insieme ci faremmo una bella chiacchierata. Non costringermi ad emettere un mandato di cattura nei suoi confronti e a convocare un processo davanti all'intero Conclave. Sarebbe peggio, molto peggio per voi - Lena che dormiva a bocca aperta. Lena che aveva il mare negli occhi. Lena che lo baciava. Lena che correva sotto la pioggia... Lena processata come una criminale. Lena torturata dai Fratelli Silenti. Lena privata delle sue rune. Lena spogliata del suo cognome. Lena che non era più una cacciatrice.
Lena... che non era più Lena.
L'uomo fece un passo in avanti superando l'ombra di una nicchia che solo un secondo fa lo nascondeva alla vista. Era alto, il fisico sottile e slanciato come un giunco; flessuoso si muoveva senza apparente sforzo nonostante avesse un'età considerevole. Quando puntò quegli occhi scuri nei suoi, Ben ci vide dentro il fuoco. Le pupille sembravano sfrigolare come carboni ardenti pronti ad incenerire qualsiasi cosa guardassero, le iridi brune erano corone di fiamme che si alzavano e si abbassavano come mosse da un vento che in quella cella non tirava; si allungavano a cercare di lambire la pelle del ragazzo per ridurla in cenere.
- Perché non parli? - urlò. La sua faccia ad un centimetro da quella di Ben, il fiato dell'uomo sul suo viso. In un attimo aveva le labbra vicine al suo orecchio, quando parlò la voce era talmente bassa da stridere per il contrasto con l'urlo di un attimo prima.
- Vuoi proteggerla a tutti i costi, eh? Non sei neanche un po' incazzato con lei? Dov'è? Voglio dire, perché non è qui? Scommetto che non ti ha pensato nemmeno una volta mentre scappava via - La sua voce era liquida, metallo liquido che scivolava lungo il collo e gli bruciava la pelle, lambiva le spalle, scendeva ancora più giù verso il petto, arrivava al cuore, bruciava anche quello.
- Perché non è qui? Perché non e qui ad affrontare questo con te? Ti ha lasciato solo, ragazzo. Non le importa niente di te, non le è mai importato - Bruciava, quella voce bruciava e Ben non resisteva più.
Se ti buttano nel fuoco, è più forte di te, ti dimeni, non rimani fermo. 
- E tu che diavolo ne sai, eh? Che ne sai che non le importa niente di me? Cosa vuoi saperne tu o tutti quegli altri che come te? Cosa vuoi saperne di noi? Cosa vuoi saperne dell'amore? - Era scoppiato. Le parole gli uscivano dalla bocca come l'acqua di un fiume in piena che sfugge dal suo letto e distrugge qualsiasi argine provi a fermarla. Le sputava urlando quelle parole che si era tenuto dentro, quelle parole che si era morso la lingua pur di non dire. Ora fluivano sole, senza che potesse controllarle sgorgavano fuori, senza che potesse fermarle rivelavano ciò che, seppure sembrava chiaro dato che era rinchiuso in quella cella, non voleva dire.
L'Inquisitore lo fissava soddisfatto, uno strano barlume, che più che ad una luce somigliava ad un'ombra, gli illuminava gli occhi.
L'aveva buttato nel fuoco e sapeva che non sarebbe rimasta fermo. 

Ma anche se ti dimeni, non riesci a liberarti delle fiamme, anzi, ti sembra quasi di bruciare più lentamente e lo percepisci quel calore straziante che ti divora ogni singolo centimetro di corpo. Lo senti, ma non sai fare altro che dimenarti.

La risata dell'Inquisitore riempì tutta la cella. Era un suono gracchiante ed opprimente, il suono della brace che sfrigola prima di bruciare tutto ciò che trova sul suo cammino.
- Allora è vero - E sembrava che sul suo viso fosse stato aperto uno squarcio con un coltello. Quello era il suo sorriso, senza gioia né divertimento, il sorriso di un morto o di un assassino.
- È vero - ripeté in un sussurro e si allontanò lentamente da Ben come a voler osservare qualcosa che da vicino non sarebbe riuscito a scorgere.
- Voi due...- un bisbiglio. In un attimo l'uomo coprì la distanza che li divideva e si avventò di nuovo su Ben. La sua mano scattò subito verso di lui e si serrò sul suo viso in una morsa di ferro.
- E dimmi, com'è? Com'è scoparsi la propria parabatai? Eccitante, eh? È bella la tua Lena, con quegli occhi blu... - Avrebbe voluto spaccare tutto, mettergli le mani addosso, strappargli la pelle a suon di pugni, un colpo per ogni parola che aveva detto su di lei. Ma non poteva, il nodo che teneva le mani legate dietro la schiena era stretto come una morsa e sicuramente protetto da qualche incantesimo perché più si dimenava più quello si stringeva. Ma i denti non si potevano legare e, dato che gli rimanevano solo quelli, li affondò nella mano con cui l'Inquisitore gli teneva fermo il viso. L'uomo urlò per il dolore del morso e per la sorpresa, si divincolò dalla presa dei suoi denti e si allontanò istintivamente di qualche passo. Quando fu a distanza di sicurezza si ispezionò un attimo la mano, poi sollevò lo sguardo, lo puntò in quello di Ben e gli sorrise con quel suo sorriso che ti faceva accapponare la pelle. Gli si avvicinò di nuovo e ricominciò a parlare come se nulla fosse successo ed anche se non lo toccava più con le mani, ci pensavano le sue parole a stringerglisi attorno come le spire di un serpente a cui non serviva il veleno per avvelenare.
- Ma non è solo per quello, vero? È il sapore del proibito, no? Non dirmi che non ti piaceva sapere che non si poteva, che non potevi guardarla, non potevi toccarla, non potevi pensare a lei in quel modo. Non dirmi che non te l'ha fatta volere ancora di più - Non voleva ascoltarlo, non voleva sentire un'altra parola, ma era legato, rinchiuso in una cella della Guardia ad Idris e non c'era niente che potesse fare, assolutamente niente. In quel momento, forse per la prima volta, si rese davvero conto di quanto fosse in trappola e si sentì impotente, si sentì inutile, privato della libertà di respirare. Schiacciato da questa consapevolezza si sentiva soffocare.
- È il peccato. Perché sei un cacciatore, sei metà angelo, ma sei anche metà umano e gli umani peccano, gli umani amano il peccato. Non è così, Benjamin? Sei più umano di quanto pensi, un mondano, sei debole, ragazzo, cedi al peccato come hai ceduto a lei. Ma cosa se ne fa il Conclave di un cacciatore mondano? Come puoi resistere ai demoni se non sai nemmeno resistere alla tentazione, se cedi al peccato? - Parole viscide come melma, gli si strusciavano addosso cercando di insinuarsi fra le crepe delle sue convinzioni.
- È lei il tuo peccato, liberatene! Liberati del tuo peccato e tornerai ad essere un buon cacciatore. Liberati di lei e sarai di nuovo te stesso - È lei il tuo peccato. Il tuo peccato. È lei. Lei. Lei. Lei.
- Liberatene, Benjamin! Dimmi dov'è, liberatene! - É lei. È Lena.
Lena.
- Il mio unico peccato è non averla amata prima - L'uomo gli si allontanò di scatto, lui che sembrava fuoco ora pareva essersi appena bruciato.
- Bene. Hai fatto la tua scelta, peccato che non sia quella giusta, non per te, almeno. Che questi giorni ti servano per meditare su quanto hai fatto - Ritornò ancora una volta sui suoi passi e chinandosi su Ben pronunciò parole che sembravano una maledizione.
- Spero che tu pensa a lei sempre. Ogni ora, ogni minuto, ogni istante spero che tu ti ricorda perché sei qui e perché sei solo qui -.

E Ben ci pensò, ci pensò davvero. Ogni secondo, ogni colpo, ogni frustata che squarciava la pelle, ogni pugno che ammaccava il viso, ogni livido ed ogni calcio nello stomaco, ogni goccia di sangue, ogni ferita del corpo, ogni ferita del cuore.
Ci pensava mentre lo riempivano di botte, mentre lanciavano su di lui incantesimi di tortura, mentre gli rivolgevano sempre quella stessa maledetta domanda a cui non rispondeva mai.
Dov'è'? Silenzio. Un colpo. Poi un altro, un altro e un altro ancora. Tanti colpi finché, pensando di averlo convinto a parlare, riproponevano la solita domanda e, quando il solito silenzio era l'unica risposta che ricevevano, cominciavano di nuovo. Lo picchiavano aspettando il momento che avrebbe ceduto. Lo picchiavano e non sapevano che quel momento che aspettavano non sarebbe arrivato mai.

Ed il tempo in quella cella era sabbia su una spiaggia troppo grande. Ben cercava di afferrarlo e quello gli scivolava fra le dita, tornava a terra, sabbia su sabbia, e non riusciva più a distinguerlo. 
Non c'era giorno e non c'era notte, non c'era ora e non c'era dopo, non c'era un prima, non c'erano i giorni e non c'era neanche lui. Era lontano, galoppava all'indietro tra gli scorci di una vita che non voleva abbandonare. Nuotava tra i ricordi e prima di annegare, nella consapevolezza che non sarebbero mai tornati, si lasciava trasportare da loro nella speranza. Sperava che gli spuntassero un paio d'ali, allora avrebbe potuto spiccare il volo e raggiungerli, volare via da quella cella e rincorrerli, levargli il nome di passato e pregarli di tornare presente, di essere per sempre futuro, statici in una dimensione lontana in cui non c'era prigionia e non c'era dolore.
Ma mentre la mente era in cielo ed imparava a volare, il corpo era sottoterra, rinchiuso fra sbarre e muri che non lasciavano entrare la luce del sole, sotterrato in una prigione da cui non si poteva scappare, da cui non voleva scappare. Perché finché erano tutti lì, indaffarati a torturarlo e ad estorcergli informazioni che non avrebbe dato, non potevano cercare Lena. Ogni secondo lì dentro era un secondo regalato a lei, ogni pugno, ogni frustata, ogni calcio ed ogni insulto erano dolore che le risparmiava.
Ed il suo viso talvolta veniva a consolarlo da qualche colpo più duro degli altri, l'acqua in quel secchio in cui gli tuffavano a forza la testa gli ricordava quel mare che una volta avevano visto nella sua stanza ed i suoi occhi, blu come nient'altro, rischiaravano il buio fatto d'incoscienza dove sprofondava quando il suo corpo spossato cedeva.
Lena era ovunque, Lena era ogni cosa.
Era ogni uomo che usciva dall'ombra per torturarlo. Era il pugno che affondava nella carne. Era la frusta sospesa in aria pronta a calare. Era il suo sangue che imbrattava le pareti. Era le catene che lo costringevano a rimanere immobile, che segavano la pelle. Era lo svenimento che veniva a sottrarlo dal dolore. Era le lacrime che gli uscivano da sole dagli occhi. Era i suoi denti stretti per non gridare, stretti a mordere le labbra fino a farle sanguinare. Era il dolore. Ed era il tempo che sembrava non passare mai. Lena era lui e lui era Lena. E più la sentiva, più l'allontanava perché non potesse a sua volta sentirlo, perché fosse al sicuro, lontana corpo e mente ed ignara di ciò che gli stava accadendo.

Passi trascinati sul pavimento di pietra, uno schiocco metallico, rumore di ferro che stride su ferro. La porta della cella si aprì cigolando, Ben non aveva la forza di alzare le palpebre per vedere chi fosse appena entrato. All'Inquisitore Marknight però non interessava che non ne avesse la forza. Lo tirò su dal pavimento gelato come fosse una piuma, gli anelli delle catene tintinnarono quando lo sbattè contro il muro di pietra della cella.
- Allora? Hai meditato in questi giorni? Hai pensato a ciò che ti ho detto? - ringhiò strattonando i brandelli sudici di camicia che erano rimasti addosso al ragazzo.
- Hai pensato a lei? A perché non è qui? - Silenzio.
- Dov'è lei ora? - La mano dell'uomo si scontrò col suo viso: un pugno che gli tolse il respiro e che gli fece spalancare gli occhi.
- L'ha sentito questo? Eh? Lei l'ha sentito? - Lena.
- Il tuo dolore è solo tuo, Benjamin - Lena.
Lena. Lena dove sei? Ho così bisogno di te. Dove sei, Lena?
- Se n'è andata. Lei non è qui, ragazzo -.

Basta. Non ce la faccio più. Basta. Uccidetemi. Basta.
Forse lo urlava, forse implorava la morte già da tempo, non se lo ricordava. Sapeva solo che ogni attimo il dolore presente sembrava infinitamente di più di quello passato, ogni attimo desiderava un colpo finale che mettesse fine a tutto, ogni attimo non arrivava.
Dove sei, Lena?
Quando aveva riaperto gli occhi? Quando li aveva chiusi? Quando tempo aveva passato lì dentro? Ore? Minuti? Giorni? Anni? Non lo sapeva. Non lo sapeva. Non lo sapeva. Sembravano secoli.
- Alzati - Che richiesta assurda. Non sentiva più il corpo, oppure forse lo sentiva troppo per poterlo muovere.
- Alzati, ho detto! - urlò e mille aghi arroventati si conficcarono nella testa di Ben. Solo a pensare di alzare un piede sentiva salire al nausea.
- Alzati! - Fare forza sulle gambe significava prenderle a bastonate, le ossa scricchiolavano, sembravano rompersi ad ogni centimetro di corpo che tirava su. Forse erano già tutte rotte. Si sentiva come se lo fossero: un burattino a cui hanno tagliato i fili, un palloncino che non ha aria per riempirsi.
- Sei pronto per il processo? - Processo? Quello che aveva passato in quella cella non era forse già la sua condanna?
- Suvvia, cos'è quella faccia lunga? Si è riunito tutto il Conclave per te, dovresti esserne onorato, Benjamin - Onorato? Sputò per terra, ecco quant'era onorato. L'Inquisitore afferrò il suo viso in una mano, lo forzò ad alzarsi per guardarlo negli occhi, sulle labbra un sorriso macabro. Avvicinò la sua bocca all'orecchio del ragazzo.
- Sai che ti dico? Scommetto che in questo momento, mentre tu sei rinchiuso in questa cella, lei non ti sta pensando affatto. Scommetto che il principe Blackshade la sta tenendo piuttosto occupata - La sua risata amara gli esplose nelle orecchie.
- Sì, perché la verità è che ho sempre saputo che Alena si trovava in Bulgaria. Quando sono venuto a prenderti all'Istituto lo sapevo già, quando te l'ho chiesto in questa cella ancora ed ancora lo sapevo già, mentre i miei uomini ti torturavano cercando di strapparti anche solo una parola, lo sapevo già. Lo sapevo, Benjamin, l'ho sempre saputo. Con quale ammirevole devozione hai cercato di proteggerla, impressionante, sul serio... Bene, io ti dico che è stato tutto completamente inutile. Tutto. Tutto quello che hai passato... Inutile! - Forse stava piangendo, o implorando ad occhi chiusi che non fosse vero, poco importava.
Tutto inutile.
- Se solo mi avessi detto dov'era, se solo l'avessi tradita, mi sarei convinto che il tuo era solo un amore carnale. Ma tu non solo non hai detto una parola, eri pronto a morire per lei, sei pronto a morire per lei - C'era disgusto sul suo volto e avrebbe potuto coglierlo anche Ben se solo non fosse stato impegnato ad assistere alla demolizione di se stesso.
- La tua parte mondana la ama come farebbe un umano, la tua parte angelica la ama come farebbe un angelo. Persino il sangue di Raziel che ti scorre nelle vene la ama e questo è imperdonabile. Più che imperdonabile, è inconcepibile, disgustoso, vergognoso, perverso e sbagliato. Terribilmente sbagliato. Ora non ti resta che accettarlo, accettare che in te ci sia qualcosa di profondamente sbagliato. Ammettilo e forse potremo evitare il peggio - Ammetterlo è il peggio.
L'uomo lo prese per i capelli e lo lanciò a terra come si fa con uno straccio.
- Tra poco arriveranno i miei uomini a prenderti. Se ti resta ancora un po' di dignità, fatti trovare in piedi -.


Dopo la faccenda della cenere, Lena era diventata introvabile, aveva costruito un'imponente palizzata di risentimento dietro la quale giocava a nascondersi. E così, da qualche parte dentro di sé, aveva trovato la forza necessaria per ritirare fuori Alena, la sua palizzata personale, il caleidoscopio attraverso il quale amava guardare il mondo per sentirsi un po' meno persa. Perché Alena non si perdeva mai, aveva una bussola al posto del cuore il cui ago indicava sempre la direzione giusta da prendere, la decisione giusta da prendere. Alena per esempio non si era lasciata scoraggiare dal fatto che non avessero ancora portato luce sulla questione di Ignis e sul suo nascondiglio, non era intimorita per non aver trovato uno straccio di indizio, non l'aveva disorientata non avere neanche la più pidocchiosa delle pista da seguire. Si era rimboccata le maniche e aveva cercato un altro punto da cui partire, perché semplicemente era fatta così. Non contemplava la sconfitta, non contemplava l'arrendersi.

Libera di girovagare a suo piacimento per la residenza dei Blackshade, ficcava il naso ogni giorno in un posto diverso senza mai essere soddisfatta. Cercava una stanza in particolare, credeva che le ricerche non potessero dirsi ancora finite e dato che Lena sembrava essere sprofondata in una specie di letargo non aveva neanche quella parte di se stessa ad intralciarla. Fortunatamente le stanze in quel castello non erano infinite, come aveva temuto all'inizio, e dopo vari giorni finalmente la trovò.
Per un istante quel cuore-bussola che aveva nel petto si fermò e fu come tuffarsi nel mare dei ricordi. Era rimasta incantata dalla stanza piena di libri all'Istituto di San Francisco, in realtà non lei, Lena, ma faceva lo stesso...ma questo perché non aveva ancora visto la biblioteca dei Blackshade. Frugò nei ricordi di infanzia per cercare di capire se c'era stata almeno una volta quando giocava con Dimitry in quella casa, ma il padre del ragazzo aveva proibito al figlio di entrarci e Dimitry non era Alena: ubbidiva sempre al padre. Perciò no, era la prima volta che la vedeva.
La investì un'eccitante sensazione di proibito, il pericolo di essere scoperta la faceva vibrare e l'accendeva. Mentre una parte di lei non avrebbe mai pensato che qualcosa di proibito potesse farla sentire in quel modo, una parte che aveva un nome che iniziava con L e finiva con ena, Alena in quella sensazione ci sguazzava dentro e, nonostante quella specie di sciopero che aveva intrapreso l'altra parte di sé, la voglia di stuzzicarla era troppa.
Ma come? E Ben? Non era forse qualcosa di proibito? Vuoi dirmi che non ti eccitava? Non te lo faceva desiderare ancora di più? Questa sensazione, non far finta di esserle indifferente. Ti piace, come piace a me. Siamo la stessa persona. Due facce opposte della stessa medaglia.
Si avvicinò agli scaffali, sfiorò con la punta delle dita le copertine perfettamente lucidate, indugiò a lungo con i polpastrelli sul dorso di un libro che era certa fosse il genere di Lena, così, per farle un dispetto.
Avanti, vieni fuori, lo so che muori dalla voglia di sfogliarlo.
Niente. Si mese l'anima in pace dicendosi che infondo meno Lena si faceva vedere, più c'era spazio per lei e cominciò la seconda ricerca della giornata. Era conscia del fatto che appariva un po' ambizioso cercare una pagina in mezzo ad una stanza piena di libri, ma doveva trovarla. Quella pagina strappata era diventata un'altra delle innumerevoli fissazioni che aveva acquisito ultimamente. Ma erano le sue fissazioni? Non lo sapeva. Il confine era costantemente sfumato e sempre più sottile.
È solo una pagina, protestava, nonostante si stesse sforzando di trovarla, solo per indispettire Lena ed anche se si rifiutava di venir fuori, poiché erano due parti di un'unica persona, riusciva ad immaginare chiara e nitida la sua voce nella testa. È molto di più invece, avrebbe detto, è il ponte che permetterà al presente di collegarsi al passato e di pensare al futuro.
Le sembrò di rivedere suo padre. Il fumo lo circonda e le fiamme minacciano di inghiottirlo, le grida di scappare, la spinge verso il portale. Con un braccio stringe a sé la moglie e con l'altro tiene stretto un libro. Quel libro.
Avrebbe dovuto sentirli, quei passi rumorosi di chi non ha mai avuto la necessità di nascondersi. Lena li avrebbe sentiti e li avrebbe riconosciuti.
Quando la porta della biblioteca che aveva accostato cigolò, era troppo tardi per nascondersi. Dimitry si infilò nella fessura tra i due battenti ed entrò nella stanza. I suoi occhi si poggiarono prima su di lei, come facevano ogni volta che era presente e solo dopo sulla baraonda di libri sparpagliati ovunque.
La invase un piccolo, ma devastante, moto di panico.
Beccata.


Il Conclave riunito era uno spettacolo maestoso che intimoriva e ti faceva sentire, chiunque fossi, nient'altro che un minuscolo moscerino in balia del vento. Quando gli tolsero la benda dagli occhi Ben vide le balconate, ogni posto riempito da un membro; al centro, come la scena di un palcoscenico, c'era una zona circolare libera che non aspettava nient'altro che essere riempita da lui: unico attore costretto a recitare in uno spettacolo il cui finale era fin troppo scontato.
Si ritrovò inginocchiato in quello spazio circolare con gli occhi di tutti puntati addosso senza sapere se lo avessero costretto o se fosse crollato a terra da solo. Non era importante: il risultato non cambiava.
L'Inquisitore Marknight si avvicinò con passi lenti e gli porse dalla parte dell'elsa la Spada che gli avrebbe impedito di mentire. Ben l'afferrò con un po' di fatica, aveva i polsi legati tra loro come se avesse potuto alzarsi da un momento all'altro, brandire quell'arma contro di loro e sconfiggere con pochi colpi tutte le persone in sala. Come se ne avesse avuto la forza. Come se non l'avessero torturato per giorni e giorni.
- Benjamin Fairway, il Conclave ti sottopone alla prova della Spada affinché nient'altro che la verità venga da te pronunciata. A nome di tutto il Conclave qui riunito, dichiaro iniziato il processo -.


- Cosa stavi cercando? - chiese Dimitry scrutandola in volto. Avrebbe voluto dirglielo, ma qualcosa dentro di sé la dissuase velocemente e le suggerì che, anche se non poteva nascondere che stava cercando qualcosa, poteva nascondere cosa stava cercando.
Pensa, Alena. Cosa stavi cercando? Inventati qualcosa, cosa si può cercare in una biblioteca? 
- Un libro - Ma che originalità.
Quale libro? - fece un passo avanti, la cacciatrice represse l'istinto che le nasceva dentro di farne uno indietro - Potrei aiutarti - Quale libro? Quale libro? Quale libro? Pensa, Alena, pensa! 
- Il libro delle fiabe che ci leggeva sempre tua madre quando eravamo piccoli - Le vennero in aiuto tutti i pomeriggi passati ad ascoltare la voce di Dara. Erano passati molti anni, eppure li sentiva tremendamente vicini.
- Quella in cui c'era la storia della principessa Macienka. Era la mia preferita - Com'era prevedibile, Dimitry sorrise a quei ricordi. I suoi piedi si mossero da soli, la sorpassarono, si fermarono davanti ad uno scaffale e ne estrassero un libricino dalla copertina blu e dal titolo sbiadito. Con una naturalezza che la ragazza non ricordava gli appartenesse si sedette sul parquet, batté il palmo sul legno lucido e, quando Alena lo raggiunse e gli si mise vicino, aprì il libro e cominciò a sfogliarlo accarezzandone le pagine.
Rilessero insieme molte di quelle storie che avevano sentito e risentito fino allo stremo da bambini. Ad Alena sembrava non fosse cambiato niente.
- Vedi, la principessa non voleva sposarsi, perché lei...lei era... - Dimitry si bloccò cercando la parola giusta, aprì e chiuse il palmo della mano come a volerla afferrare, ma gli sfuggiva. Era la prima volta che Alena lo vedeva in difficoltà nell'esprimersi
- говори вашия език - Parla la tua lingua, lo invitò in bulgaro. Lui la guardò.
- и вашият, Алена - E la tua, Alena, aggiunse Dimitry. Era chiarissimo il messaggio celato in quello sguardo ed in quelle parole.
La tua lingua. La tua terra. La tua casa. La tua infanzia. La tua favola preferita. Il tuo migliore amico.
и моят - E la mia.

Forse fu quella strana aria che aleggiava fra loro, o forse fu l'aver rivangato quel passato che per Alena era presente. Forse fu lei, che non solo accettò quello sguardo, ma lo ricambiò. Forse fu tutto insieme. Qualunque cosa fosse la fece sentire bene, come se il suo posto nel mondo fosse sempre stato là, non incastrata tra il suo corpo ed un'altra parte della sua personalità con cui doveva dividerlo, non relegata in un angoletto del subconscio pronta per essere interpellata. Semplicemente là, in quella libreria, seduta a terra a gambe incrociate a leggere favole, insieme a Dimitry. Ed era lei. Solo lei. Era Alena.
La tua vita, Alena. E la mia.
Ecco perché, quando le dita di Dimitry si avvicinarono sfiorando il libro aperto davanti a loro, lei non si scostò, ma lasciò che si intrecciassero alle sue.


- Ti dichiari dunque colpevole? - Il sangue gli ribolliva nelle vene implorando il corpo di resistere, la bocca di parlare e le parole di uscire decise.
- Colpevole di amare? - Voci soffuse si diffusero nella sala, parole d'incredulità serpeggiavano fra i presenti alla reazione sfrontata di quel giovane cacciatore incosciente.
- Rispondi! - tuonò l'Inquisitore sovrastando ogni altro suono e riportando l'ordine. I muri sembrarono vibrare per la sua voce infuocata d'ira, ma quel calore bruciante non toccò minimamente Ben che richiamò in appello quel poco di forza che gli rimaneva, alzò la testa verso l'uomo, strinse i palmi intorno all'elsa della spada, come a rimarcare che ciò che stava per dire era la pura e semplice verità, e parlò. Senza paura, consapevole che forse era la sua ultima occasione, forse non avrebbe mai più rivisto i suoi occhi blu o baciato le sue labbra screpolate, non avrebbe più accarezzato la sua pelle pulita con la paura di sporcarla, non avrebbe più respirato il suo profumo di lavanda e farina. Immaginò un futuro non molto distante in cui avrebbe chiuso gli occhi e non l'avrebbe sentita, scavando in fondo a se stesso non l'avrebbe trovata lì sepolta nel profondo. Parlò.
Perché quando non hai niente, non hai niente da perdere.
- Sono colpevole di aver amato oltre ogni misura, terrena e celeste. Sono colpevole di aver ignorato la ragione e di aver seguito il cuore, di aver infranto ridicole leggi imposte da chi l'amore non sapeva nemmeno cosa fosse. Sono colpevole di essere me stesso e di non vergognarmene, di essere pronto a morire per difendere la mia parabatai. Sì, sono colpevole, signori. Se reputate che tutto questo sia sbagliato e degno di essere punito, condannatemi. Uccidetemi pure se lo ritenete necessario, ma lasciatemi dirvi che sarà inutile. Mi avete tenuto prigioniero per un tempo che mi è sembrato infinito, mi avete torturato senza pietà, avete sfiancato il mio corpo, avete demolito il mio spirito, ma... non è servito a nulla. Strappatemi il cuore dal petto e continuerà a battere per e con Alena Silverkey. Seppellitemi nelle profondità della terra, bruciate la mia carne. Il mio corpo può morire, la mia anima no e non si pentirà mai di ciò che è stato. - Mi dica Inquisitore, come ci si sente a sapere che è stato tutto inutile?
Sull'assemblea si stese un silenzio irreale e le parole di Ben rimbalzarono addosso a tutti i presenti, risuonarono contro le pareti, riempirono gli spazi tra un corpo e l'altro. Ferme, sicure, sfrontate: non c'era più alcun timore, né alcun freno, non c'era più niente.
Tutto inutile, era stato tutto inutile. Lena. Tutto inutile.
- Bene - Il tono crudo dell'uomo contrastava con ciò che aveva appena detto e faceva presagire a Ben che nulla sarebbe andato bene.
- Benjamin Fairway, poiché tu stesso hai confessato le tue colpe, il Conclave qui riunito ti condanna. Penso che d'ora in poi non avremo più bisogno del tuo aiuto come cacciatore - E tutto si fece soffuso, attutito e ovattato come in un sogno. Confessato. Colpe. Condanna. Non avremo più bisogno del tuo aiuto come cacciatore. Un incubo.

L'ultimo ricordo furono le mani dell'Inquisitore che gli premevano il ferro arroventato contro, la pelle bruciata del petto che urlava di dolore, la runa che prima pulsava convulsamente e poi ad un tratto smetteva di farlo, il cuore sotto di essa che faceva lo stesso. Poi più niente. Solo un rumore nella sua testa che, pur essendo lieve, riecheggiò impazzito dentro Ben. Un suono sottile, ma tremendo: come di un filo che veniva tagliato.


Dove sei, Lena?




Dimitry fissò prima le loro dita intrecciate, poi i suoi occhi blu e pensò che stavolta la sua Alena non sarebbe scivolata via, stavolta era tornata a casa, da lui, per restare. Non poteva immaginare che da lì a pochi attimi la sua mano, che stringeva quella calda e sottile di lei, avrebbe stretto nient'altro che l'aria.
Successe all'improvviso. Guardò le loro dita intrecciate e di colpo le parve la cosa più sbagliata del mondo, qualcosa che Lena non avrebbe mai fatto. Un'ombra arrivò repentina e spazzò via l'espressione da bambina che solo pochi istanti prima aveva dipinta sul viso. La sostituì con una più adulta, quasi rovinata dal tempo. L'espressione di chi è davanti ad un burrone e si sta per lanciare nel vuoto, di chi sa che quello potrebbe essere l'ultimo istante della sua vita: l'espressione di chi si sta per spezzare.
Quando Dimitry la guardò di nuovo negli occhi quasi non la riconobbe.
- Alena... - Alena non rispose. Alena non c'era più. 
La mano sfuggì dalla stretta del ragazzo, così come la sua mente sfuggì alle azioni del corpo. Lena si alzò di scatto, le gambe che potevano essere in procinto di rompersi o di sollevarsi da terra. Corse per la stanza come un topo corre in una gabbia, si schiacciò ansimando senza fiato contro una parete di libri, si aggrappò ad alcuni volumi, ne face cadere altri, le braccia mulinavano nell'aria tracciando percorsi senza senso. Quale senso? Niente sembrava avere più senso.
Aveva pensieri stampati addosso ed il panico negli occhi.
Crollò a terra di botto, come se qualcuno avesse staccato la spina che la teneva animata, le mani artigliarono i vestiti come se volessero strapparseli di dosso. Si fermarono sul petto, all'altezza del cuore, dove strinsero la pelle dell'uniforme convulsamente, gli occhi strizzati come a cercare di arginare un dolore troppo grande. Le urla che scivolavano fuori dalla sua bocca non erano abbastanza per coprire quelle che sentiva nella testa.
Una voce spiccava tra le altre mille, sovrastava le urla senza sforzo, veniva da dentro.
Non era la sua, eppure era la sua.

Dove sei, Lena? 

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Capitolo 22
*** Il pezzo mancante ***


22. Il pezzo mancante

Are you lost or incomplete?
Do you feel like a puzzle
You can find your missing piece?
(Coldplay~Talk)



C'è un momento nella vita di una persona che è il centro di tutto, che sembra il primo, o forse l'ultimo. Quel momento che ti fa stringere i denti e spegnere il cervello, che ti fa perdere la testa. Ed è come se tutta la vita fino ad allora sia stata un grande conto alla rovescia, una sequenza di numeri che ti avrebbe portato a questo, qualsiasi cosa avessi fatto, qualsiasi decisione avessi preso. Inevitabilmente.
Perché da qualche parte è scritto, qualcuno da qualche parte ha messo in pausa la vita, ti ha preso per le spalle e ti ha detto: "È il momento, lo zero dopo il conto alla rovescia".
Tocca a te. Devi solo sperare di riuscire a contare abbastanza.
Quello era il momento di Lena.


Non erano serviti a niente i tentativi di Dimitry di farla ragionare, a nulla erano valse le sue parole, le sue braccia tese verso di lei, gli abbracci forzati con cui credeva di poterla trattenere. Non c'era niente al mondo che avrebbe potuto trattenerla. Lena era la molla schizzata via dall'ingranaggio, era il fulmine sfuggito al cielo, inafferrabile, irraggiungibile; era il vento di San Francisco, la tigre uscita dalla gabbia, inarrestabile, incontrollabile. Era le urla che uscivano dalla sua bocca ed i calci sferrati per non lasciarsi avvicinare. Graffiava, mordeva, scansava tutto ciò che si metteva sulla sua strada.
Era se stessa ed era tutto ciò che non era mai stata.

E bastava chiudere gli occhi per sentire echi lontani di emozioni che, pur non avendo provato, erano sue.

Dov'è? Non sei neanche un po' incazzato con lei? Perché non è qui? Dov'è? Ti ha lasciato solo, ragazzo. Com'è scoparsi la propria parabatai? È bella la tua Lena... È lei il tuo peccato, liberatene! Dov'è ora? L'ha sentito questo, eh? Lei l'ha sentito? Scommetto che in questo momento, mentre sei chiuso in questa cella, lei non ti sta pensando affatto. Dov'è? Alzati! La tua parte mondana la ama come farebbe un umano, la tua parte angelica la ama come farebbe un angelo. Dov'è? Penso che d'ora in poi non avremo più bisogno del tuo aiuto come cacciatore.

Le scoppiava la testa, le scoppiava il cuore, era un'esplosione continua, una bomba di carne e sentimenti che era stata innescata da tempo. Bastava chiudere gli occhi, respirare, per soffrire un dolore che era stata lei a procurare.
Ben. Lo sentiva, con un'intensità straziante, dolore fisico e mentale, dolore ed ancora dolore.
Ben. Lo sentiva, soffriva per sé, soffriva per lui. Era vittima e carnefice con una semplicità disarmante.
Ben. Lo sentiva, come non aveva mai fatto prima, ora che era certa che qualcosa si stesse spezzando, lo sentiva pur non sentendolo.
Ben. Uno schiaffo in pieno viso. Ben. Calci nello stomaco. Ben. Una ferita molto più profonda che non si sarebbe mai rimarginata.
Ben.

In uno spasmo che non avrebbe saputo dire se fosse stato volontario o meno strinse nel pugno la stoffa sul suo petto. Qualcosa bruciava, sotto la divisa da cacciatore, appena sopra il cuore. Come se mille ferri arroventati le avessero trapassato la carne, come se le avessero strappato la pelle del petto a morsi, come se...se...
Come se le stessero portando via un pezzo di sé. 
Non si era ancora staccato del tutto eppure riusciva benissimo ad immaginare il buco che la sua assenza avrebbe comportato, una voragine incolmabile, un dolore straziante. Lena sapeva con certezza che si sarebbe sentita persa a partire da quel momento, si sarebbe sentita come un puzzle per sempre incompleto senza il suo pezzo mancante.
Come poteva stare calma? Come poteva non piangere, urlare, buttarsi a terra, alzarsi solo per ributtarsi, tirare i propri capelli fino a strapparli, desiderare di strapparli, desiderare un modo per scappare dal dolore... come poteva? Come? Ben. Come? Ben. Faceva così male. Come?

Perché ti stai allontanando, Ben? Perché?
- Alena, fermati! Ti prego, aspetta! - Ben.
- Dove vai? Aspetta! - Ben.
- Alena...- Tu non sei Ben, io non sono Alena.

Il portale nel castello dei Blackshade l'aveva attirata a sé come fa una calamita e Lena ci si era lanciata contro come se, oltre quello, ci fosse stata la soluzione ad ognuno dei suoi problemi. In un attimo aveva chiuso gli occhi e... Dove?
Nella sua mente aveva rievocato immagini viste solo nei dipinti o scaturite dai racconti dei suoi genitori: prati verdi, canali tra le vie strette e un lago sulla cui superficie cristallina si poteva rimirare il proprio riflesso meglio che su uno specchio.


Esattamente nello stesso istante, senza averne la minima idea, Ben e Lena stavano attraversando un portale. La differenza era che: mentre Lena ci si era lanciata di sua spontanea volontà con la furia cieca negli occhi e la speranza nel cuore di trovarlo, Ben ci era stato spinto contro mentre era quasi completamente incosciente.


L'impatto con il suolo e quella strana sensazione di essere fatto a pezzi e riassemblato in fretta che seguiva a quel genere di trasporti non fu certo di aiuto. Così, barcollando per le strade di San Francisco con nemmeno una runa di invisibilità a proteggerlo dagli sguardi indiscreti dei passanti, si ritrovò accasciato davanti la soglia di Magnus Bane senza saper dire come c'era arrivato. Ebbe la disgraziata prontezza di spirito di bussare con un piede prima di svenire.
Lilian aprì quasi subito la porta. Dietro di lei suo fratello chiedeva chi fosse, ricevette come risposta un urlo.
Una colorita imprecazione sfuggì dalle sue labbra quando raggiunse la soglia di casa e lo vide; prese per le spalle Lilian che era rimasta pietrificata sull'uscio con una mano davanti la bocca e la spinse di nuovo nell'appartamento, poi si chinò sul ragazzo e, cercando di non fermarsi troppo sulle penose condizioni in cui si trovava, se lo caricò in spalla portandolo dentro.
Dopo una breve e per niente rassicurante occhiata lo appoggiò con delicatezza sul suo letto, anche se cercare di essere delicato con quel corpo martoriato era un'impresa: sembrava impossibile compiere qualsiasi movimento sperando di non fargli del male. Per lo meno ora che era svenuto il dolore doveva essere momentaneamente svanito, quello esterno almeno. Chi poteva sapere cosa infuriava dentro il cacciatore? Sperò con tutto se stesso che la mente di Ben non fosse ferita quanto il suo corpo.
Lilian lo raggiunse reggendo tra le mani bende ed abiti puliti che posò ai piedi del letto, poi si chinò sul ragazzo ed aiutò Magnus a liberarlo dai suoi logori e sudici stracci. Ora che non c'erano più quei brandelli di stoffa a coprirli, sulla pelle del ragazzo spiccavano lividi scuri, segni di frustate ed altre ferite di dubbia provenienza. Aveva sicuramente qualche costola rotta ed un braccio penzolava ostinato ad andare in un'altra direzione rispetto al corpo, ma ciò che da subito attirò l'attenzione dei due fratelli fu una bruciatura dai contorni irregolari all'altezza del petto.
Ci volle poco più di un secondo per rendersi conto di cos'era, o meglio: di cos'era stata.
Lilian, abbandonata ormai da tempo la sua dura facciata, non poté trattenersi dallo scoppiare a piangere. Era una strega e non una shadowhunter e perciò certe cose non poteva capirle fino infondo, poteva solo immaginare cosa volesse dire, ma anche solo l'immaginarlo era troppo. Provò un' infinita compassione per quel giovane cacciatore, a stento trattenne l'orrore mettendosi al lavoro insieme ad un Magnus completamente sconvolto.
Mentre scintille colorate sprizzavano frenetiche dalle loro dita animandosi per curare Ben, seppero con assoluta certezza che chiunque aveva commesso quella brutalità non era degno di essere chiamato Nephilim. 


Idris sarà pure stata la terra magica, la patria intoccabile degli Shadowhunters, eccetera, eccetera... Ma la terra era dura esattamente come quella di qualsiasi altro luogo ed il fatto di essere un cacciatore non ti rendeva più dolce l'impatto con il terreno. Non che quel piccolo particolare avesse potuto attirare l'attenzione di Lena, aveva dentro di sé dolori ben più forti da sopportare. Non si prese nemmeno il disturbo di togliersi la terra di dosso, da qualche parte trovò la forza per rimettersi in piedi e cominciò a camminare in maniera più o meno dritta verso le mura di Alicante.
Disse il suo nome ai due cacciatori dall'aria minacciosa e, se solo non si fosse sentita così persa, se solo non si fosse sentita così arrabbiata, sarebbe rimasta stupida quando questi non fecero obiezioni e si scansarono per lasciarla passare.
Perché non l'avevano fermata? Il Conclave non aveva emesso un ordine di cattura nei suoi confronti?
La verità era che non le importava, avrebbero anche potuto arrestarla, non le sarebbe cambiato nulla, anzi, sarebbe stato un modo più veloce per entrare alla Guardia e per raggiungere Ben.
Ben.
Mise un piede dietro l'altro ed oltrepassò le mura della città senza dire un'altra parola.

Più si addentrava nei viottoli pittoreschi, ai cui lati sorgevano edifici in pietra dorata e tegole rosse, più le era spaventosamente chiaro come la sua non fosse una gita turistica. Non si fermava ad ammirare gli scorci caratteristici, non abbassava lo sguardo quando si trovava ad attraversare un ponte su un canale, non guardava con meraviglia le torri innalzate a proteggere la città come avrebbe fatto ogni Shadowhunters che fosse per la prima volta giunto in quella terra. Per lei Idris rispecchiava la disperazione e la rabbia che aveva in quel momento nel cuore, le sue vie sembravano grottesche imitazioni di qualcosa che avrebbe dovuto suscitare armonia; l'oro con cui erano dipinti i muri delle case le appariva un colore pazzo ed esasperato.
Alicante era la città dei Nephilim, un posto magico dove ogni cacciatore avrebbe dovuto sentirsi a casa.
Lena la odiava.

Appena apparì nella sua visuale seppe che, quell'edificio in pietra scura ed elementare nella sua architettura, era quello che stava cercando: la Guardia. La osservò ed odiò anche quella.
Era una semplice fortezza, evidentemente costruita per la sicurezza e sostenuta su tutti i lati da pilastri non decorati da caratteristiche architettoniche, ma naturalmente iscritti in tutta la loro estensione con Marchi di protezione. Quattro torri antidemoni, più piccole di quelle che si trovavano a guardia della città, si innalzavano dai quattro punti cardinali dell'edificio. I cancelli erano parecchie volte più alti di un uomo, ricavati da una combinazione di argento e ferro freddo, decorati con statue angeliche di pietra, ma soprattutto completamente sguarniti. Non c'era nessun cacciatore infatti a proteggere l'ingresso e, seppur era una cosa unica e straordinaria, non toccò minimamente Lena che, appiattendosi come un gatto e quasi slogandosi una spalla, riuscì a passare tra le imponenti sbarre dei cancelli.
Non fu difficile ignorare il dolore al braccio e qualsiasi altro impulso che avrebbe potuto tentarla a fermarsi, non esisteva niente che avrebbe potuto convincerla a desistere. C'erano solo i suoi piedi che calpestavano il terreno e quella rabbia cocente ed irrazionale che le cresceva dentro e le dava la spinta per ogni passo.
Ben.
Quella che da fuori appariva come una fortezza dalla struttura semplice ed essenziale, all'interno assomigliava più ad un labirinto. Corridoi: stretti, dritti, ampi o con molte curve si snocciolavano indisturbati nella complessità di quell'edificio. E per le centinaia di corridoi che i i suoi piedi avevano calpestato, c'erano altrettante porte e rampe di scale, nicchie scavate nel muro che sembravano nascondere loschi passaggi segreti degni di un thriller. Lena camminava incessantemente, imboccava ogni rampa di scale ed apriva ogni porta che le si parava davanti con la cieca speranza di trovare ciò per cui era venuta.
Ben.
E dietro ogni passo che faceva, ogni scalino che scendeva, dietro ogni porta che richiudeva, lasciava un pezzo di cuore, un pezzo di anima per ogni volta che la speranza di trovarselo davanti si era trasformata in illusione.
Ben.
Accelerò il passo.
Ben.
Respirava a fatica, sentiva che ogni secondo poteva essere l'ultimo, sentiva di poter cadere a terra da un momento all'altro e non trovare la forza per rialzarsi. Non sarebbe importato. Se solo l'avesse trovato, se solo l'avesse visto per un'ultima volta, non sarebbe importato.
Ben.
La runa parabatai pulsava dolorosamente sul petto, bruciava e gridava di stare per spegnersi, come una luce ad intermittenza che si sta fulminando.
Ben.
Ormai correva, il pavimento scivolava sotto i suoi piedi, le porte si aprivano quasi al suo passaggio e non le interessava fare rumore, non le interessava essere scoperta. Forse non le era mai interessato.
Perché non arrivava nessuno?
Dannazione, mi sono introdotta nella Guardia, sto camminando, anzi correndo, indisturbata per questi corridoi, sto urlando esattamente da adesso, o forse da molto di più, sto...sto... Perché non mi portate via? Perché non mi rinchiudete in una cella? Torturatemi, accusatemi, processatemi, disprezzatemi. Portatemi da lui.
Perché non arriva nessuno?
I suoi passi divorarono l'ennesimo corridoio. Non si curò nemmeno che fosse diverso dagli altri, quando sfondò con un calcio l'unica porta a cui conduceva, non si curò che fosse diversa dalle altre e quando si ritrovò in quell'enorme sala dalle pareti specchiate, completamente diversa dalle altre, lei semplicemente... Non si curò. Si bloccò oltre la soglia, immobile, come fosse stata di pietra e mentre il cuore batteva feroce nel petto gridando che non era una statua, che era viva e che doveva trovarlo, la invase una strana ed agghiacciante sensazione di inquietudine. E si rese amaramente conto di essersi sbagliata, un piccolo madornale errore che bruciava sfrigolando nella rabbia.
Perché non arriva nessuno? 
Non c'è nessuno.
Poi un rumore attirò la sua attenzione, un fruscio così sottile che sarebbe risultato non udibile a chiunque. Lena lo percepì come fosse stata un'esplosione nel bel mezzo del sonno. E capì che aveva commesso un altro errore.
Sbagliato, Lena. Continui a sbagliare. Non fai che sbagliare.
Non è vero che non c'era nessuno.
Qualcuno c'era.
Una figura avanzò verso di lei, non c'era fretta nei suoi passi, camminava come fa un predatore verso una preda che non ha più scampo. Quello che non sapeva era che quella stessa preda che considerava ormai arresa era stata temprata dal dolore, come una spada che viene aggiustata: il punto che una volta era quello di rottura ora era il più forte della lama.
Quando alzò lo sguardo, Lena vide il riflesso dell'Inquisitore Marknight davanti a sé. Occhi chiari, che avrebbero dovuto ricordare il ghiaccio ma che sembravano bruciare, perforarono la parete e si inchiodarono nei suoi. I capelli grigi erano tirati indietro e risultavano ordinati nella loro uniformità cromatica, il corpo slanciato era abbracciato da un abito grigio che si sarebbe detto appena uscito dalla sartoria, il passo era disinvolto e per nulla sforzato, solo le sottili rughe sul viso tradivano l'effettiva età che doveva avere.
Si voltò di scatto per fronteggiarlo e le mille identiche immagini che le restituirono le pareti specchiate per un attimo la disorientarono.
- Dov'è? - ruggì, una leonessa. La risata dell'uomo riecheggiò per tutta la sala.
- Domanda interessante questa - C'era qualcosa nella sua espressione che la faceva sentire come se si stesse profondamente prendendo gioco di lei. Inutile dire come questo la fece infuriare molto di più di quanto già non fosse.
- Dov'è? - ripeté e quasi le cedettero le gambe quando quella stessa domanda le riecheggiò nella testa tante di quelle volte da stordirla. Era ripetuta ancora e ancora, voci pesanti e minacciose, il tutto era contornato da un sottile strato di nebbia, come un ricordo.
Non era suo, ma era suo e faceva un male atroce.
- Chi? - Non ebbe più dubbi sul fatto che si stesse prendendo gioco di lei. Prima di poter anche solo articolare un pensiero coerente il suo corpo si mosse scagliandoglisi contro.
- Non giocare con me, brutto bastardo! Non provarci neanche - gli ringhiò a pochi centimetri dal viso. Una scintilla gli illuminò gli occhi chiarissimi.
- Ti sembra questo il modo di rivolgerti all'Inquisitore? - Il ghigno sul suo viso tradiva l'odioso divertimento che sembrava provocato da qualcosa che solo lui poteva capire. Poggiò una mano su quella di lei che artigliava sgraziatamente la stoffa liscia dell'abito elegante. A quel tocco Lena mollò la presa di scatto, ustionata da quel viscido tocco, si allontanò di un passo e gli rivolse uno sguardo furioso.
- Sai cosa mi importa di chi sei? Potresti essere Raziel in persona e, per l'Angelo, giuro non potrebbe importarmene di meno! - Una strana soddisfazione si dipinse sul viso dell'uomo a quelle parole sputate con sfrontatezza. Si lisciò la stoffa della giacca, le si avvicinò di un passo e la guardò negli occhi.
- Chi sei venuta a cercare, Alena? - C'era qualcosa nel modo in cui pronunciò il suo nome che faceva male, qualcosa che lo faceva sembrare un suono antico e terribilmente familiare. In un attimo Lena gli fu di nuovo addosso, le mani strizzarono la stoffa costosa, il corpo dell'Inquisitore era schiacciato contro la parete specchiata e lei, la furia negli occhi e un'espressione selvaggia in viso, gli era chinata sopra.
- Devi essere un dannato masochista perché ho come l'impressione che tu sabbia benissimo di chi sto parlando - sibilò - Ben. Benjamin Fairway, figlio di Eleanor Carlight e Nicholas Fairway. Il mio parabatai. Nephilim, Cacciatore, Shadowhunter o come diavolo vuoi chiamarlo. Ben - Prese fiato, ma solo per ributtarlo fuori urlandogli in faccia.
- DOV'È? - Una ciocca grigia sfuggì dal perfetto ordine dei suoi capelli e gli ricadde suo viso, non si prese il disturbo di rimetterla al suo posto.
- Oh, quel Ben - Sorrise serafico - Ho paura che tu abbia fatto un viaggio a vuoto, mia dolce Alena -.
- Perché? È qui o no? Parla! - L'Inquisitore si prese un attimo per gustare l'urgenza che c'era nella sua voce, come fosse preziosa, come fosse qualcosa di cui nutrirsi. Poi parlò.
- In effetti è stato qui - ammise ostentando noncuranza - È stato un mio...ospite, direi. Non è un tipo di compagnia, non trovi? Si ostinava a non voler rispondere alle domande che gli porgevo, nonostante mi sforzassi di essere piuttosto persuasivo, non voleva proprio dirmi dov'eri - Un sorriso crudele gli deformò il viso e un ricordo lancinante sorprese Lena facendo allentare la sua presa su di lui. Immagini confuse gli balenarono in mente, voci sconosciute e dolori che era certa di non aver provato, ma che non avrebbero mai potuto fare più male di così.
- Suppongo bastasse aspettare, dato che alla fine sei stata tua a venire da me e di tua spontanea volontà, per giunta. Non è magnifico? - Con una semplicità sconcertante capì che quei ricordi appartenevano a Ben e perciò erano effettivamente un po' suoi. Il dolore di Ben era il suo e l'odio verso l'uomo che aveva davanti non avrebbe mai potuto essere più giustificato. La rabbia le annebbiò la vista e per un attimo credette di volerlo uccidere, per un attimo fu completamente convinta che avrebbe potuto ammazzarlo, lì, in quel momento: sfilare la spada angelica dalla cintura e mozzargli la testa, calpestare il suo sangue e sputarci sopra.
Si trattenne. Qualcosa la trattenne.
- So che è qui. Dimmi dov'è e risparmierò alla mia spada di sporcarsi col tuo sangue - La voce appena udibile, gli occhi chiusi e il respiro che cercava disperatamente di controllare. L'uomo sbuffò una risata senza divertimento e Lena lo sentì avvicinarsi, il suo respiro le lambiva il collo. 
- Ah... Tu sai che è qui. Lo senti, non è vero? È il tuo parabatai, queste cose uno Shadowhunter le sente e basta - Lena si trovò suo malgrado ad annuire impercettibilmente, gli occhi che non osavano aprirsi. Voleva solo trovarlo, voleva solo vederlo e sapere che stava bene.
- Povera Alena, deve essere successo qualcosa qui - Sollevò una mano, le sue dita sfiorarono l'uniforme di pelle proprio là, dove la runa parabatai pulsava dolorosamente. Un bruciore intermittente, come intermittente era diventata la sensazione che Lena aveva di Ben. 
- Evidentemente si è rotta la bussola che avrebbe dovuto portarti da lui. È così che funziona per voi parabatai, no? - Il suo fiato le arrivava sul collo in una carezza crudele, ad ogni sussurro che soffiava sulla sua pelle sentiva il cuore sprofondarle un po' di più nel petto.
Si è spezzato il filo. Non riesci più a sentirlo, Lena. 
No - ansimò cercando di allontanarsi, ma la stretta dell'Inquisitore era una morsa di ferro. La sua mano chiusa a pugno strattonò la stoffa dell'uniforme che si lacerò sotto il suo attacco come se avesse artigli rapaci al posto delle dita. Con una sola potente spinta la scaraventò dalla parte opposta della sala facendole urtare rumorosamente lo specchio dietro di sé. La raggiunse con un ghigno perverso solo per rialzarla e sbatterla con ancora più forza contro la parete. L'uniforme squarciata lasciava intravedere il petto, la runa parabatai spiccava sulla carne chiara come una ferita ancora aperta, leggermente sbiadita, tormentava la pelle come il morso di una bestia feroce. Infilò una mano nel buco della stoffa e la toccò con un'apparente delicatezza che disgustò la ragazza.
- Sei rotta, Alena. Non riesci più a sentirlo come prima, vero? È come una lampadina che si sta fulminando: un attimo di luce e poi torna il buio. Sempre più buio - Si dimenò sotto di lui cercando di sfuggire dalla sua presa e da quelle parole.
- Non ti sei chiesta perché? Perché tutt'un tratto è così difficile sentirlo? Era così scontato, così naturale, ci riuscivi senza neanche sforzarti, era parte di te senza che te ne rendessi conto ed ora non riesci nemmeno a capire dov'è - Rise, una risata amara, rise di lei.
- Allora? Non hai capito perché? Vuoi che te lo dica io? Vuoi sentirtelo dire? Pensi che così sia più facile per te accettarlo? - Era vicino, disgustosamente vicino - Ti rivelo un segreto: non lo sarà - Un brivido freddo la scosse e sentì l'improvviso bisogno di scappare, di correre il più lontano possibile da lui e da quelle parole che non voleva sentire. Ma arrivarono lo stesso, furono tremende più di quanto potesse immaginare e la trovarono impreparata, la distrussero.
- È morto, Alena. Il tuo Ben è morto - Gelo, per un momento. E poi fuoco. Fuoco, fuoco, fuoco.
- No - Le sue unghie scivolarono quando cercò di reggersi dietro di sé, stridettero contro lo specchio - No, non è vero. Sei un bugiardo, un maledetto bugiardo! Lo sentirei, questo lo sentirei. No, no, no. Lui non è... No! Non è vero, bugiardo, no! No! - Tutto dentro di lei lo stava cercando, perfino il sangue che le scorreva nelle vene lo stava chiamando.
- Ben...- Un bisbiglio disperato tra le lacrime - Ben! - gridò a squarciagola. 
- Come se potesse sentirti, come se potesse correre a salvarti... Dov'è ora, Alena? Sei sola - Sola.
- Lui è il tuo peccato, il motivo per cui sarai dannata per sempre e non è qui. Non è qui a sentirti urlare il suo nome. Non è qui -.

Dove sei, Ben? 



Quando fu certo di aver curato insieme a Lilian ogni ferita, tranne una, e Ben continuava a contorcersi anche nel sonno dell'incoscienza in preda a dolori atroci, Magnus si rese conto di essere stato uno sciocco a sperare. Era impossibile che la mente e sopratutto il cuore di Ben fossero messi meglio del suo corpo.
La pelle del petto, là dove prima c'era la runa, nonostante i suoi sforzi e tutti gli incantesimi pronunciati, continuava ad essere di un rosso cupo: la bruciatura non accennava a volersi cicatrizzare e continuava ad essere bollente come appena fatta. Era puro orrore pensare che la ferita fisica non era che una pallida conseguenza di quella per cui Ben stava soffrendo dentro di sé.
In quel momento era adagiato tra le lenzuola sporche del suo sangue e, ancora in bilico in quel sottile stato di incoscienza, si dibatteva senza trovare pace. Tra le tante urla confuse solo un nome appariva chiaro, tremendo alle orecchie nella sua perfetta e disperata nitidezza. Lilian, appoggiata alla spalla di suo fratello, avrebbe tanto voluto fare qualcosa; sapeva però di essere completamente impotente sotto quel punto di vista, non serviva a nulla, come d'altronde tutto il resto del mondo.
Solo una persona avrebbe potuto placare il dolore di Ben ed era quella per cui stava soffrendo.

Forse si era appena svegliato, forse aveva aperto gli occhi molto tempo prima, non avrebbe saputo dirlo, era tutto così confuso. Sembrava che niente avesse più valore, spariti tutti i sapori del mondo, gli odori, lavati via i colori di ogni cosa. L'unico punto chiaro in quel neutro caos, che sovrastava e zittiva tutto il resto, era ciò che non avrebbe voluto sentire. Era dolore e rabbia, profonda disperazione e panico accecante. 
- Lena...- Dopo averlo urlato così tanto quel nome suonava allarmante se sussurrato come aveva appena fatto. Ed infatti in un batter d'occhio Magnus e Lilian furono sulla soglia della camera da letto, lo fissarono in attesa di un qualsiasi segno. Ben soffocò un gemito, liberò una mano dall'abbraccio delle coperte e con un dito tremante si sfiorò il petto, lì.
Fu allora che la sentì.
Era come una luce intermittente, una sensazione strana ed inaspettata, la più bella della sua vita. Il pezzo mancante che ritorna al suo posto.
Allora non te ne sei andata.
Scalciò in fretta e furia le lenzuola e si mise in piedi senza domandarsi se le sue gambe avrebbero retto tanto impeto. Non lo fecero. Cadde almeno tre volte, si rialzò sempre e quando riuscì a fare qualche passo senza baciare il pavimento, per poco non andò a sbattere contro Magnus.
- Dove credi di andare? Per Lilith, ti si è fuso il cervello? Tu non sai quanti incantesimi abbiamo dovuto farti, non puoi alzarti! Benjamin, sii ragionevole, tu non... -
- Cacciatore, non muoverti! Sei ancora troppo debole, vieni qui! - Cercavano in tutti i modi di trattenerlo, il che in effetti non sarebbe dovuto risultare particolarmente difficile dato lo stato di debolezza in cui si trovava il ragazzo, ma aveva come una marcia in più che lo rendeva inarrestabile, un fuoco dentro che muoveva i suoi passi. 
- La sento, la sento! - gridò tra le lacrime e i due stregoni si immobilizzarono - La sento... - mormorò Ben a nessuno in particolare, aveva semplicemente bisogno di dirlo. Quando gli avevano bruciato la runa... Credeva di averla persa per sempre. Era stato terribile, avrebbe preferito morire. Ma ora...ora la sentiva di nuovo. Era un'eco debole e lontana, ma la sentiva. Un faro intermittente, la fiamma di una candela mossa dal vento, una lampadina che si stava fulminando. Non si sarebbe dato pace finché rimaneva un po' di luce in cui sperare.
- Lena. È in Bulgaria. Devo trovarla prima che la trovino loro! - La sua mente viaggiava alla velocità della luce e la consapevolezza di quanto era successo arrivò insieme a quelle parole.
- Loro chi? Che cosa stai dicendo? - chiese Lilian passandosi una mano tra i capelli lisci.
- Spiegati, ragazzo! - Il viso di Ben si fece cinereo.
- Il Conclave - Ora era il loro turno di sbiancare.
- È il Conclave che ti ha fatto questo? - chiese Lilian con un soffio di voce indicando la bruciatura sul petto che Ben non si era reso conto di starsi toccando. Il Nephilim annuì.
- Vengo con te - affermò sicura.
- Oh, non penserete mica di lasciarmi qui, voi due! - minacciò Magnus agitando in aria un dito, subito si affrettò ad attraversare il corridoio, sparì dietro una porta infondo a questo. Poco dopo ne sbucò fuori con in mano una spada angelica ed uno stilo.
- Tengo sempre un po' di roba da Nephilim in casa. Non mi lasciate un attimo in pace e non so mai quando me ne si presenta uno alla porta - si giustificò. Ben lo fissò per un attimo stupito, poi gli sorrise, prese la spada e lo stilo e se li assicurò alla cintura.
- Avanti, ci serve un portale - disse Lilian, pratica.
Ben li seguì fin giù nella cantina e, quando i due stregoni si fermarono davanti ad un muro di mattoni, seppe che là avrebbero aperto il portale. Le loro dita sottili si mossero nell'aria mentre cominciavano già a sprizzare scintille. Per un attimo si chiese quanto potesse essere più forte un incantesimo pronunciato da due stregoni insieme, per di più fratelli, ma fu solo un momento perché subito dopo lo spiacevole ricordo di tutt'altre dita si fece spazio prepotente nella mente di Ben. Erano lunghe e avvolte da un paio di guanti scuri. No, solo una mano era coperta da un guanto, quella che stringeva il ferro arroventato prima di premerglielo contro il petto. L'altra...l'altra...
Solo un guanto. Scuro. Così simile a quello che avevano trovato al covo dei licantropi. Solo un guanto. Un...
- Magnus...Lilian... - 
- Cosa? -  
- Siamo un tantino occupati al momento, Benjamin, non vedi? -
- Si può cambiare la rotta del portale? - 
- Ma...Lena...la Bulgaria... Dove vuoi andare? -
- Ad Idris -.

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Capitolo 23
*** L'abbraccio buio ***


Ritardo imperdonabile, I know it. Se c'è qualcuno che ancora segue questa storia, batta un colpo!

Piccolo riepilogo: Lena si trova nella Guardia e sta avendo, ormai da tempo, un'inquietante conversazione con l'Inquisitore; mentre Magnus, Lilian e Ben, dopo la geniale (?) intuizione di quest'ultimo, hanno attraversato il portale per raggiungerla...
Ultima cosa: molto probabilmente alcuni tratti del carattere di Magnus in questo capitolo si discostano dal reale personaggio descritto nei libri di Cassandra Clare.







23. Un abbraccio buio

When something is broken
and you try to fix it
trying to repair it anyway you can
(Coldpaly~X&Y)




Tutto ciò che ricordava era che ad un certo punto i suoi occhi si erano chiusi. Li aveva aperti con la speranza che tutto fosse stato solo un incubo. Ma non era un incubo, era peggio: era reale. Avrebbe tanto voluto richiuderli.
Due iridi chiarissime la fissavano, la persona a cui appartenevano era china su di lei e sorrideva. Senza gioia.
- Sei stanca? Stavamo chiacchierando così amabilmente ed un certo punto ti sei accasciata a terra - Le accarezzò una guancia, un contatto disgustoso e terribilmente sbagliato.
- Ti annoio, forse? Non è esattamente il modo più carino di farmelo sapere - imitò un grottesco tono di rimprovero e si avvicinò ancora di più. Lena riusciva a sentire il suo fiato sulla pelle.
- Come sei debole, Alena... - bisbigliò con voce graffiante, si scostò di botto porgendole una mano che la ragazza non accettò. Un accenno di furia gli colorò il viso, poi tornò impassibile e, abbandonata la galanteria, la afferrò per un braccio e la tirò sù.
- Debole ed ingenua - Avrebbe voluto rispondergli che non era né l'una né l'altra, ma sentiva che se avesse parlato si sarebbe spezzata. L'Inquisitore iniziò a camminare per la sala, gli specchi attaccati alle pareti riflettevano la sua immagine riempiendo la stanza di tanti lui.
- Sai, è un po' di tempo che... Ti tengo d'occhio - Si girò a guardarla, sbuffò una risata gelida - Molto tempo - si corresse. Ricominciò a camminare e per un po' non parlò.
- Ti piacciono le favole? - domandò all'improvviso e non aspettò nemmeno una risposta - Oh, io so che ti piacciono -.
- C'era una volta una ragazzina di nome Alena. Lei era una Shadowhunters, una cacciatrice di demoni, ma la notte, quando il sole tramontava ed il buio la circondava, non sapeva nemmeno tenere a bada i suoi incubi. Quando il padre e la madre morirono, lei fu mandata a vivere in un'altra città e pensò che, lontana dalla sua terra e dai suoi ricordi, sarebbe potuta diventare un'altra. Si faceva chiamare Lena, così da coltivare segretamente l'illusione che nessuno la conoscesse davvero - Parole come schiaffi sul viso.
- Era fragile, non riuscì a proteggersi, permise ad un bambino di conoscerla davvero, di sapere il suo nome senza pronunciarlo. Crebbero insieme, diventarono parabatai, fingevano di essere fratelli, fingevano gli andasse bene - Smettila. Non parlare di lui.
- Poi lei gli permise di entrare nel suo letto e rovinò tutto. Sporcò un legame sacro e infangò il nome della sua famiglia. Chissà cosa avrebbero detto di lei i suoi amati genitori se fossero stati ancora in vita...avrebbero detto che era... - Si fermò di fronte a lei... - Debole - ... e le sputò le parole in faccia. Riprese a camminare.
- Fa caldo qui dentro, non trovi? - Si levò la giacca e la lanciò in un angolo della sala, sbottonò i polsini della camicia sorridendo e si arrotolò le maniche in un gesto naturale. Ritornò a fronteggiarla e gli occhi di lei per un attimo volarono alle sue braccia lasciate scoperte dalle maniche tirate sù. Molti marchi gli decoravano la pelle, uno fra tutti spiccò agli occhi di Lena. 
Resistenza al fuoco.
Le afferrò il mento con una mano e la costrinse ad incrociare il suo sguardo.
- Come sei debole, Alena. Debole ed ingenua -.


- Grazie - Il portale li aveva trasportati appena fuori le mura di Alicante ed ora, si trovavamo in cima ad una collinetta. Uno osservava la città degli Shadowhunters con pacata saggezza, l'altro stava già camminando cocente d'impazienza e la terza li guardava in disparte.
- Non usare quel tono con me, ragazzo - Magnus lo riprese per il colletto dell'uniforme - Come se volessi liquidarmi... Se pensi che me rimarrò buono qui, allora lasciami dire che sei un... -.
- Magnus... - Ben sospirò gettando una rapida occhiata al panorama sotto di loro. Alte mura abbracciavano la città e creavano un muro la cui unica breccia visibile era l'entrata nord, accuratamente sorvegliata da due cacciatori.
- Ah, è di quelli che ti preoccupi? Pensi che non ci lasceranno passare? O pensi che non lasceranno passare te? - Prima che Ben potesse anche solo formulare una risposta le due guardie si erano già accasciate al suolo come due burattini a cui erano stati tagliati i fili.
- Non li avrai uccisi... - esclamò interdetto il ragazzo, ma un attimo dopo aveva già ripreso a camminare verso le mura della città.
- Io non ho fatto proprio niente - si difese Magnus.
- Infatti sono stata io - Entrambi su voltarono storditi verso Lilian. La sua presenza, in quel trambusto di emozioni, era quasi passata inosservata.
- Comunque no, non li ho uccisi. Stanno solo dormendo, rilassati - Ma non serviva a troppo dirlo, le due figure afflosciate a terra erano già un vago ricordo ai margini della mente. C'era solo una cosa che interessava a Ben in quel momento: batteva incastrato nella gabbia toracica e pulsava attraverso la runa sul petto.

Appena oltrepassarono le mura i due stregoni si resero subito conto che c'era qualcosa di profondamente sbagliato nell'Alicante davanti ai loro occhi. Le strade, un tempo animate e piene di voci, erano silenziose, vuote. Non incontrarono una sola persona, non un solo cacciatore incrociò la loro strada. E se i sensi di Ben erano accecati dall'impazienza di trovarla, quelli di Magnus e Lilian erano lucidissimi.
- C'è qualcosa che non va - sbottò l'uomo quando, arrivati alla piazza dell'Angelo, la trovarono deserta. Ben non si fermò neanche e Magnus dovette accelerare il passo per raggiungerlo. Lilian a poca distanza da loro si guardava intorno fiutando l'aria come un segugio.
- Forse è il silenzio. Come negli horror: non è mai un buon segno quando c'è troppo silenzio - Lo stregone lo agguantò per l'uniforme costringendolo a voltarsi nella sua direzione. Ben aveva una faccia stranita, ma continuava a camminare, all'indietro.
- Ma che te lo dico a fare? Voi Nephilim non sapete neanche cosa sia un televisore! - Si avvicinò alla finestra di un'abitazione e schiacciò il naso contro il vetro per cercare di scorgere l'interno.
- Magnus...non... -  Con chissà quale diavoleria magica aveva già aperto la porta. Ben sbuffò esasperato, ma lo seguì.
- Non è il silenzio, è la magia - bisbigliò allora Lilian entrando anche lei, con una certa urgenza, nell'abitazione.
Sotto un primo sguardo sembrava non esserci assolutamente nulla di strano. I mobili erano un po' impolverati forse, ma certamente in buone condizioni; la carta da parati era nuova, ornata con rune ed angeli; dal soffitto penzolava un lampadario di stregaluce. Tuttavia in quella che doveva essere la cucina, il lavandino era pieno di piatti sporchi, la stregaluce brillava senza che nessuno si fosse preso la briga di spegnerla e un silenzio surreale avvolgeva ogni cosa. Sembrava che nessuno si fosse accorto del loro arrivo.
- Qui non c'e ness... Per l'Angelo! - Proprio quando si era convinto che la casa fosse deserta l'aveva visto: il corpo di una donna accasciato a terra, vicino al tavolo della cucina. Aveva le braccia piene di marchi sbiaditi, un grembiule legato in vita e i cocci di quello che doveva essere stato un piatto sparsi tutt'intorno.
Richiamato dall'esclamazione di Ben, Magnus lo raggiunse in fretta, Lilian dietro di lui. Appena videro la fonte di tanto stupore le furono subito accanto. Lilian si buttò a terra, scostò i capelli dal viso della donna e le passò una mano che scintillava d'azzurro sulle palpebre abbassate, mentre Magnus controllava il battito cardiaco.
- Sembra che stia dormendo. Qualcuno deve aver avuto la tua stessa idea, Lilian - I due stregoni ignorarono le parole del ragazzo. All'improvviso Magnus si alzò di scatto abbandonando il corpo della donna tra le braccia di Lilian, uscì in fretta da quella casa ed entrò in quella accanto. Qualche secondo ed anche Lilian fece lo stesso. Ben li seguì confuso e quando vide con i suoi occhi una scena fin troppo simile a quella precedente, si sentì ancora più confuso. Stavolta erano quattro i corpi privi di sensi. Uno era accasciato sul piano di legno, un braccio penzolava verso il pavimento. Era un bambino.
- Qualcuno ha addormentato tutta Alicante - mormorò confuso il cacciatore. I due fratelli si guardarono negli occhi.
- Non stanno dormendo, Ben - sussurrò la strega.
- Stanno morendo. Quest'incantesimo gli succhia via la vita lentamente -.


- Tu... - Sentiva la gola secca, il sangue le si era gelato nelle vene e le parole non volevano saperne di uscire fuori. 
- Tu! - ripeté e stavolta c'era rabbia nella sua voce. Sul viso dell'uomo si dipinse un odioso sorriso. Lena sentiva l'irrefrenabile impulso di allungare le braccia e graffiarglielo via dal viso. Non riuscì a trattenersi e le sue unghie gli lasciarono una scia di sangue in faccia. Fu veloce a bloccarle le mani, Lena lottò per liberarsi e gli assestò un calcio all'altezza delle costole. L'uomo incassò il colpo stoicamente, agitò una mano in aria e, prima che potesse rendersene conto, la scaraventò dalla parte opposta della sala, per la seconda volta.
Magia.
Il pavimento la accolse duramente, la sua testa picchiò con violenza su una parete specchiata rompendone la superficie ed imbrattandola del suo sangue. Le palpebre tremolarono per lo sforzo di riaprire gli occhi, si serrarono istintivamente quando un colpo le spostò brutale la testa di lato. Sentì chiaramente il labbro rompersi ed un familiare sapore metallico invaderle la bocca.
- Sì, Alena. Io. Sono sempre stato io - Gli occhi erano ancora chiusi, ma percepiva chiaramente la sua voce ed era vicinissima.
- Ogni singolo avvenimento, ogni tua singola azione... Era tutto previsto, tutto meticolosamente calcolato. Tu credi di essere libera in questi anni, di aver deciso per te, di essere stata padrona della tua vita. È una bugia, mia dolce principessina. Tu sei una bugia. Sei sempre stata parte di un piano più grande di te. Non sei altro che una minuscola pedina, un granello di sabbia che posso facilmente spazzare via - Le soffiò in faccia e per un attimo Lena si sentì davvero un granello di sabbia, si sentì così piccola da poter essere spostata con un soffio. Per un attimo.
Aprì le palpebre di scatto, rabbiosa, lo guardò negli occhi e gli sputò in faccia. Saliva e sangue. Lui non si prese neanche il disturbo di pulirsi, invece rise facendole accapponare la pelle.
- Non hai idea di quanto mi divertirò con te -.


Era una scena macabra ed era sempre la stessa. In ogni casa. Magari erano a terra, gli occhi chiusi e gli arti scomposti; oppure erano afflosciati contro una sedia, un tavolo; uno aveva il viso sepolto in un piatto di minestra ormai fredda. Corpi immobili all'interno dei quali stava imperversando una guerra, strappati alla vita, messi in pausa mentre compievano gesti quotidiani. Bloccati, forse per sempre.
- Qui sta succedendo qualcosa... Bisogna avvisare gli altri! - Il tono di Lilian era concitato e non ammetteva repliche. Eppure ne ricevette.
- E chi vorresti avvisare, sorella? Quel Conclave che ha torturato Benjamin? - gli fece amaramente notare suo fratello. 
- Questa è magia e potente. Riguarda anche noi stregoni - obiettò allora lei.
- Non si intrometteranno in queste faccende, Lily, dovresti saperlo... - Lilian sbuffò esasperata, una mano le scivolò sul viso segnato dalla preoccupazione. Per un minuto stette zitta, tra quei muri silenziosi e quella gente con gli occhi chiusi, poi non ce la fece e sbottò.
- Questi cacciatori stanno morendo, questo riguarda anche noi stregoni. Lasciarli in balia del destino sarebbe infrangere le leggi degli Accordi. Dovrà pur interessargli, almeno questo! Bisogna avvertirli, Magnus, bisogna subito tornare indietro ed avvertire gli stregoni - Ora era lui a stare in silenzio. Ciò che diceva Lilian era vero, quei cacciatori stavano morendo ed andavano aiutati, ma oltre questa inconfutabile verità c'era dell'altro. Continuava a pensare che il Conclave avrebbe faticato a credere ad una strega, soprattuto quel Conclave che aveva ridotto Ben ad uno straccio; e volendo essere ottimisti, anche se gli stregoni l'avessero ascoltata, i loro tempi di reazione rimanevano decisamente troppo lenti, calibrati su chi non ha bisogno di correre, fatti su misura per la loro immortalità.
- Non pensateci neanche, io non torno indietro! - La voce di Ben si intromise decisa nella loro conversazione. Tutto quello che aveva sentito di quello che si erano detti era che Lilian voleva andarsene, tutto quello che aveva sentito era che lui non poteva andarsene. 
- Andrò io, tu e mio fratello resterete qui - gli rispose la strega con una nuova sicurezza, poi si rivolte al fratello - Devi cercare di salvarli nel frattempo che io sono via, Magnus, devi provarci - gli sfiorò un braccio in punta di dita, un contatto così semplice eppure tanto intimo. Era da almeno un secolo che non lo toccava così. Si sentì incredibilmente più giovane sotto il tocco di sua sorella, incredibilmente più confuso.
- Che mi dici di lui? - accennò con la testa a Ben, che dopo quel suo intervento deciso era tornato a vagare in tondo per la stanza in modo inquietante e totalmente privo di senso.
- Non resisterà ancora a lungo, credimi, deve andare da lei. Io... Come... - Eccola quella confusione che trasudava dalle sue parole, confusione alla quale Lilian non aveva tempo di badare.
- Magnus... Non so quanto tempo rimane a questa gente, comunque non molto, e una volta che sarò tornata indietro mi aspetta un bel discorso per convincerli ad aiutarci: devo andare. Ora - Si sentiva tanto un bambino a cercare di trattenerla in un momento del genere. Lilian dove andare e lui doveva cercare una soluzione mentre lei era via.
- Hai ragione, vai, io e Ben ce la caveremo - le disse.
- Bada a questa gente ed a lui, fratello - I loro sguardi si cercarono e si trovarono poco dopo.
- E tu convincili, sorella - Strano come solo ora che gli voltava di spalle di nuovo, esattamente come aveva fatto l'ultima volta che se n'era andata, riuscì a perdonarla.

- Smettila di girare in tondo - Lilian era uscita da quella casa da meno di un minuto e ora tutta l'attenzione di Magnus si era spostata su Ben. Il cacciatore, ridestato da quelle parole, si fermò di botto.
- E tu smettila di stare fermo! Prova a curarli, che aspetti? Deve esserci qualcosa che puoi fare, no? - Solo un attimo prima non sembrava più sveglio di quei corpi accasciati a terra ed ora gli sbraitava contro.
Magnus scosse la testa. Percepiva il fremito che muoveva il ragazzo, la sua voglia di aiutare quella gente, ma vedeva anche nei suoi occhi il dolore che gli imperversava dentro. Un dolore che era mentale e fisico, come se la lontananza dalla sua parabatai lo stesso logorando dall'interno. Ogni attimo che veniva sottratto alla sua ricerca vitale era nient'altro che agonia.
Doveva trovarla, o sarebbe impazzito. Doveva trovarla, perché perdere lei era perdere se stesso.
- Non è così semplice... - si ritrovò tuttavia a dire. Ed era vero, non era affatto semplice ed in quel momento più che mai Magnus si sentiva inutile. Per un momento rifletté davvero su un incantesimo che avrebbe potuto tentare, era una pazzia...
- Non funzionerà mai - si rispose da solo.
Si passarono all'unisono le mani nei capelli, poi Ben drizzò la schiena, mosse qualche passo verso di lui e gli poggiò le mani sulle spalle, gli occhi spiritati. Lo scatto di rabbia di soli pochi attimi prima già sfumato nell'aria.
- Magnus, ascoltami bene. Non conosco uno stregone più potente di te, probabilmente nemmeno esiste. Mi hai salvato da parecchi pasticci in passato senza mai pretendere nulla in cambio, hai un cuore buono e poteri che non riesco neanche ad immaginare. Perciò se c'è qualcuno che può aiutare questa gente, se c'è qualcuno che può spezzare quest'incantesimo, quel qualcuno sei tu! Sei Magnus Bane, maledizione, ti conosco: non rinunceresti a provare a curare questa gente neanche per tutti i glitter del mondo! - Magnus lo guardò negli occhi e, anche se non erano blu, ci rivide lo sguardo di un ragazzo a cui, più di un secolo prima, aveva voluto bene.
- Beh, magari per tutti i glitter del mondo...- Sorrise lievemente e si chinò sul corpo di una Nephilim bionda. Serrò con forza i pugni e quando li riaprì scintille azzurrine vibrarono nell'aria.
Nonostante la concentrazione, percepì ugualmente i passi di Ben. Lo sentì mentre si allontanava da lui, mentre la camminata impaziente si trasformava in corsa. Non lo fermò. Lasciò che corresse verso ciò che stava cercando, lasciò che andasse da solo perché era così che doveva essere. Stava solo cercando di curarlo. Non era poi tanto diverso da quei corpi accasciati a terra: non si stava forse spegnendo a poco a poco anche lui? Ogni secondo lontano da lei non era forse un passo in più verso la morte?
Ci sono persone che non puoi separare, ci sono legami che niente e nessuno può spezzare.
Non poteva fermarlo.
Corri, cacciatore. Corri da lei.


- Eri tu, fin dall'inizio... - ansimava schiacciata contro la parete, combattuta tra la rabbia e lo sconforto.
- Cominci a diventare noiosa, Alena - Lui invece era il ritratto della calma.
- Pensi che possa aiutarti sapere che non ho fatto tutto da solo? - L'espressione persa sul viso della ragazza era eloquente - Immagino di no - sbuffò una risata senza divertimento - C'erano altri aiutanti, persone che non immagineresti neanche, persone che... -
- Chi? - Sembrò stranamente divertito dal modo brusco con cui l'aveva interrotto, un sorriso perverso sul suo viso.
- Stèphka, ad esempio. C'era bisogno di qualcuno che ti tenesse sotto controllo in Bulgaria. Lui sapeva ci saresti tornata, ti conosce molto meglio di quanto credi - Lui. Ignis.
- Nadia, la licantropa dall'aria innocua. Si è persino presa gioco della sorella di Magnus... - Dire che fosse confusa sarebbe stato un eufemismo.
- No, Nadia era... - bisbigliò con un filo di voce, ma lui la interruppe subito.
- Innamorata di tuo zio? Non dirmi che ci hai creduto... - Lo scherno nella sua voce la schiaffeggiava duramente. Prese una boccata d'aria, le sembrava di soffocare.
- Irina. Anche lei stava dalla vostra parte? - L'uomo inclinò la testa di lato e la guardò socchiudendo gli occhi. Scosse la testa.
- Allora Alaric - tentò di nuovo. Le tremava un angolo della bocca, come sempre quando cercava di trattenersi. Aria, aveva bisogno di aria, in quella stanza sembrava essere finita completamente, risucchiata tutta dalla figura che aveva di fronte.
Curioso come i tuoi sospetti ricadano sulle persone sbagliate - Era divertito. Bastardo
No, neanche lui. Anche se devo ammettere che quella sera al teatro si è rivelata piuttosto utile la pagliacciata messa in scena da quell'inietto - Lena socchiuse gli occhi, profondamente avvilita da quelle rivelazioni. Si insultò e maledisse mentalmente più volte per essere stata così stupida. Come aveva fatto a lasciarsi abbindolare a quel modo? Come... Una voce si fece spazio nella sua mente.
Debole ed ingenua. Ecco cosa sei. 
Provò ad alzarsi, ma subito ricadde a terra bloccata dalla magia dell'Inquisitore che aveva alzato in aria una mano ancor prima che potesse darsi la spinta con le gambe. Come se sapesse perfettamente cosa avrebbe fatto, come se fosse nella sua mente.
Debole.
In un attimo di estrema confusione non seppe cosa fare. Era bloccata, in trappola. Alla mercé di qualcuno che si era preso gioco di lei fin dall'inizio. Aria, non c'era aria. Ogni azione che aveva compiuto, ogni decisione che aveva preso... Tutto calcolato, aveva giocato al suo gioco senza neanche rendersene conto.
Ingenua.
Aveva voglia di piangere. Debole. Aveva voglia di urlare, invece sussurrò.
- Ben...- E per un attimo credette di sentirlo di nuovo, per un attimo fu come se le avesse risposto, per un attimo... Ingenua.
- Lena... - Anche il suo era un sussurro, ma lei lo udì benissimo, non era stata la sua bocca a parlare e non erano state le sue orecchie a sentire.
Non è possibile. Non è...
- Ben! - era già in piedi, stava già correndo. In un attimo era sparito tutto, c'era solo quel bruciore all'altezza del cuore e c'era solo lui. Ora lo vedeva, gli specchi nella sala riflettevano la sua immagine mentre, proprio come lei, si muoveva calamitato per raggiungerla. Non riusciva a pensare a nient'altro.
Sei vivo, sei qui, ti vedo, ti sento. Quanto mi sei mancato, Ben.
- Lena! - Non riusciva a credere ai suoi occhi mentre correndo disperato la fissava e tuttavia non erano gli occhi ad averla vista per primi. Un bagliore accecante, uno spasmo improvviso, un lampo interno che lo rischiarava e faceva vibrare ogni fibra del suo essere, ecco cos'era stato. L'aveva sentita prima di vederla, la sentiva.
E non esisteva più nient'altro al mondo all'infuori di loro due. Se aveste potuto guardarli avreste visto due anime che si correvano incontro.
Ben non riusciva a capacitarsi di averla davvero trovata e nello stesso tempo era certo che ce l'avrebbe fatta, dualismo troppo singolare per essere descritto a parole. Loro stessi erano troppo singolari per essere descritti a parole.
Lena per un momento aveva creduto di averlo perso per sempre, aveva rifiutato l'idea artigliando quel poco di speranza che le era rimasta, si era aggrappata alle sensazioni che il loro legame implicava. Lo sentiva distante, terribilmente distante, ma lo sentiva, un tocco estremamente leggero dentro di sé. Lo sentiva.
Ed ora era lì, correvano l'una contro l'altro, i piedi che calpestavano il pavimento, mattonella dopo mattonella, di quella stanza che tutt'un tratto sembrava enorme. O era il tempo che stava rallentando? Forse si era addirittura fermato. Sì, forse la vita si era fermata, forse... Forse erano già morti e non se ne erano accorti.
No, erano vivi. Gridavano il nome dell'altro fino a perdere la voce. Erano vivi. Correvano pur non avendo un briciolo di forza in corpo solo un secondo prima.
Vivi, come non lo erano mai stati.
Vicinissimi, solo un passo, le braccia stese nello spasmodico bisogno di toccarsi. Erano vicinissimi, solo un respiro, le dita proteste per sfiorare quelle dell'altro. Un respiro, aria che aveva il sapore della speranza e della gioia, quella vera, quella che eclissa tutto il resto... Quella che non sentirono.
Beh, qualcosa sentirono. A dire il vero, sentirono tutto.
Tutto.
Perché proprio in quel momento accadde. La materializzazione di tutte le loro paure.

Cosa vuoi, Lena? Potresti smetterla di fissarmi? Sei proprio uno stupido! Voglio qualcosa di tuo sulla pelle. Guardati intorno, non è forse il mare questo? Mi piace il tuo profumo. Possiamo essere pessimi insieme. Hai paura di vivere, Lena! Te lo prometto. Non baciarmi più. Sono tua, Ben. Solo tua. Chi siamo io e te? Cosa provi? Cosa dovremmo nascondere? Perché lui non è te. Sei mio fratello. Questa non è una favola. Perdonami, Lena. Non ho mai voluto che fosse facile, Ben. È sbagliato. Sei davvero una pessima bugiarda! Cosa ci sta succedendo? Buon compleanno, Alena! Ho bisogno che tu mi dica che è questo che vuoi. Sei diventata dello stesso colore delle rose, Alena. Non alzare gli occhi al cielo! Ti amo. L'Angelo faccia a me questo e anche peggio se altra cosa che la morte mi separerà da te.

Sempre.

Ovunque.



Quando le dita, protese per sfiorare quelle dell'altro, si toccarono, fu dolore, sale gettato su una ferita appena aperta. Fu la conferma di ciò che era appena accaduto.
Le rune tutt'un tratto non pulsavano più, non facevano più male ed era proprio questo, ora, a fare male.

Dicono che perdere la vista sia un po' come morire. Il mondo fatto di immagini, quel mondo di forme e colori non ti appartiene più, sei ufficialmente morto per i tuoi occhi. Un nuovo mondo ti abbraccia ed è un abbraccio ruvido, un abbraccio buio. Un momento prima di chiudere gli occhi sei perfettamente cosciente che non li riaprirai mai più e che, seppure lo farai, non avrai più niente da guardare.

Ben e Lena si guardarono negli occhi ed ebbero il loro abbraccio buio. Si guardarono negli occhi e seppero, con la stessa straziante certezza di chi si rende conto di essere cieco, di non essere più parabatai.

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Capitolo 24
*** Ad occhi chiusi ***


Beh, se c'è anche solo una persona che sia ancora interessata a questa storia, direi che questo è il momento per farsi viva...





24. Ad occhi chiusi

Chiudi gli occhi e vedrai
(Joseph Joubert)



Non avevano percepito le lacrime fin quando non gli avevano bagnato i visi, non avevano sentito le urla fin quando non avevano ferito perfino le loro orecchie. Erano stramazzati al suolo, come due torri demolite con dell'esplosivo e l'avevano fatto all'unisono, sincronizzati fino all'ultimo, in un movimento a specchio che desse loro l'illusione di essere ancora insieme.
Ma erano soli. Chiudevano gli occhi ed erano soli. Non c'era più nei pensieri la voce dell'altro, non c'era più dentro di loro quella scia reciprocamente onnipresente. Soli. Erano una ad un passo dall'altro eppure non sarebbero potuti essere più distanti.
Una voce parlava chissà dove, chissà chi era, chissà che diceva. Non importava. Qualcuno parlava e loro non sentivano, il dolore era assordante, unico e prepotente: calamitava tutta l'attenzione, non lasciava spazio a niente.
Ed insieme, ma senza più saperlo, pensarono che sarebbero morti là, così, senza spiegazione e senza perché. Sarebbero morti, perché era impensabile vivere una vita con quella sensazione dentro ed era ancora più impensabile illudersi che se ne sarebbe andata. Sarebbe rimasta per sempre, una cicatrice che non è mai tale, una ferita sempre aperta, sempre pronta a gettare sangue fino a prosciugare le vene. Come se all'improvviso ti avessero strappato un braccio... Ma no. Di più. Ti avevano rubato una parte di te, ti avevano cambiato, era come... Era come non essere più se stessi, guardarsi dentro, respirare, camminare... E non riconoscersi.
Avete la minima idea di come ci si può sentire? No che non ce l'avete. Non avete la minima idea di cosa voglia dire tutt'un tratto essere morti, sentirsi vivi, ma essere morti.

Qualcuno disse qualcosa. Urlò. In un attimo Lena fu scaraventata lontano. Aprì gli occhi, forse non li aveva mai chiusi, riconobbe davanti a sé il viso arcigno dell'Inquisitore e in meandri nascosti della sua mente formicolarono informazioni confuse: premevano e sgomitavano per riportare a galla qualcosa che era sicura di sapere, che cercava disperatamente di ricordare.
L'Inquisitore parlava e lei non ascoltava una parola. Uno schiaffo, che in quel momento, con ciò che aveva dentro, somigliava più ad una carezza. Due. Tre. Qualcun altro urlò ed il solo suono di quella voce, la sua voce, fu abbastanza per farla brancolare di nuovo nel buio.
Dimenticò il fuoco, la Bulgaria, dimenticò suo padre che le carezzava il viso, gli incendi, il Golden Jug avvolto dalle fiamme, Ignis, gli incubi, il sangue sparso sul pavimento, dimenticò quella runa dai contorni antichi che brillava nel buio...
C'era solo lui, lui che c'era sempre stato e che ora non c'era più. 
- Ben - l'Inquisitore scimmiottò la sua voce. Doveva averlo chiamato, doveva aver ripetuto il suo nome migliaia di volte.
Una risata squarciò l'aria e la sua voce arrivò con cattiveria.
- Allora, come ci si sente? Dimmi, fa male, Alena? - Gocciolava crudeltà. Le prese la testa tra le mani e con forza la girò verso un Ben che ansimava e si contorceva sul pavimento.
- Diglielo quanto fa male, digli quanto stai soffrendo! Diglielo, perché ora non può più sentirlo da solo! - La voltò con la noncuranza che avrebbe usato con una bambola di pezza mentre le lacrime le rigavano le guance e lei non provava neanche a fermarle.
- Perché piangi? Dovresti essere felice, solo poco fa credevi fosse morto, invece è vivo - Serrò gli occhi per il tono derisorio. Ben era davvero morto, dentro di lei. Era quella la morte che stava piangendo.
Ancora per poco, ma è vivo - Le lacrime continuavano a scendere e quelle del dolore e della perdita si mescolavano a quelle della rabbia. Sollevò le palpebre di scatto, negli occhi una tacita minaccia che era la sua ultima arma.
- Oh, non guardarmi così. Morirete entrambi, lo sai, ma mi assicurerò che tocchi prima a lui così che tu possa guardarlo mentre la luce abbandona i suoi occhi e sapere dentro di te che è tutta colpa tua -
Mia. Tutta colpa mia. È tutta colpa mia.
- Lena...- Ben, un corpo accartocciato sul pavimento, pronunciò il suo nome con cautela, come se gli costasse fatica anche solo avere in bocca quelle lettere. La chiamò nonostante lei lo stesse già guardando - È lui...- e parlò come se ci fosse solo lei ad ascoltarlo. 
- Il cacciatore dietro gli incendi, l'aiutante... È lui! - La voce gli uscì frenetica, quasi stridula per la foga di averlo detto. Aveva corso con il cuore in gola per recapitarle queste parole ed ora che le pronunciò Lena non fece una piega. Non c'era stupore, né smarrimento sul suo viso; invece era stranamente piatto, come scolpito nella pietra. E quella stessa pietra ce l'aveva nella voce quando con troppa calma per essere qualcosa di buono disse - No - Secca ed incolore. Fissava il vuoto per non guardarlo negli occhi.
Lui è Ignis -.
L'aria si mosse, come spostata da un vento improvviso ed imprevisto. Spire di fuoco vorticarono intorno all'uomo, lo avvolsero, lo trafissero, lo abbracciarono come servi fedeli che tornano dal loro padrone. Turbini di fiamme si alzavano nella piccola sala, gli specchi le riflettevano diffondendo bagliori rossi tutt'intorno. Quando un'ultima esplosione rovente incendiò l'aria, Ben e Lena si ripararono come poterono e senza nemmeno rendersene conto si ritrovarono vicini. Poi il fuoco pian piano si disperse, come quando il mare richiama a sé le proprie onde per poi scagliarle di nuovo contro gli scogli.
Per un momento tutto tacque. Tra le nuvole di fumo qualcosa si mosse ed un suono stridente ruppe quel silenzio surreale.
Una figura emerse lentamente dalla nebbia grigiastra, il muro di fumo si diradava al suo passaggio offrendole un corridoio sicuro nel quale passare. Aveva coriandoli di cenere come pelle ed il suo corpo, anche se manteneva le sembianze umane, era un mosaico di braci che ad ogni passo sfrigolavano, piccoli sbuffi di fumo come respiri si mescolavano all'aria. Immateriale, inafferrabile, sembrava che potesse sgretolarsi da un momento all'altro con un solo tocco. Poi aprì gli occhi. Su quello che non si poteva chiamare viso due tizzoni ardenti bruciavano come torce. E se anche a Lena fosse rimasto un solo dubbio sulla sua reale identità, venne istantaneamente spazzato via quando parlò. La sua voce lambiva le parole sinuosa come la fiamma che balla in cima alla candela. 
- Правилен отговор, принцеса - Risposta esatta, principessa.
Per un tempo che parve infinito regnò il silenzio, poi Ben disse qualcosa, mormorii che Lena non colse. C'era un punto interrogativo che vorticava in quel disordine che era la sua testa, tutto girava ad una velocità impressionante, confuso e irraggiungibile. Sputò quella domanda con una smorfia in faccia.
- Perché adesso? - Il viso di cenere del demone si contorse in un'espressione accigliata.
- Non essere scortese, Alena... C'è chi non conosce tutta la storia - disse in tono di falso rimprovero.
- Vedi, Ben, secoli fa fui vittima di un torto. Dopo uno scontro durato anni contro le forze celesti e l'arcangelo Michele, mio fratello Sammael venne rinchiuso in una prigione dimensionale da un Nephilim, un Silverkey. Com'è ovvio giurai vendetta e promisi di cancellare dalla faccia del Mondo Invisibile ogni membro di quella famiglia di vigliacchi...- A quelle parole la ragazza ebbe un fremito.
Vigliacchi - ringhiò, i pugni stretti lungo i fianchi. La mano di Ben si poggiò subito sulla sua spalla per infonderle calma, tentativo che andò in fumo quando quel lieve tocco fu sufficiente a far rabbrividire entrambi. 
Oh, Alena, lasciami finire... Dicevo che, allora, trovai il modo di divertirmi e passai gli ultimi due secoli a tormentare ogni cacciatore che avesse la disgrazia di portare quel cognome. Poi commisi un errore, non provo vergogna nel dirlo perché grazie a quell'errore riuscii finalmente a trovare un modo per vendicare mio fratello. Più che vendicare, in verità... - Un sorriso crudele sul suo viso di brace. 
Per cortesia, Alena, puoi dirci chi è Sammael? - Silenzio.
Avanti, sono sicuro che lo sai - Aveva un che di severo, persino le braccia intrecciate dietro la schiena contribuivano a conferirgli quell'aria da professore intransigente e tutte quelle movenze da umano non facevano altro che evidenziare il fatto che lui non lo fosse affatto.
- Il demone del peccato, della tentazione, della vendetta. Allo stesso tempo seduttore ed accusatore degli uomini - rispose suo malgrado Lena, come l'alunna diligente che non può fare altro che rispondere se interrogata.
- Poi? - la imboccò non soddisfatto.
Del fuoco, assieme a suo fratello Ignis - Il tono che andava scemando piano piano che le parole prendevano un significato nella sua testa.
Eccellente! - Quando batté le mani tra di loro queste si sbriciolarono, non ci fece troppo caso, comunque. Nell'aria volteggiarono coriandoli cinerei, poi come boomerang tornarono indietro al loro posto e ricomposero dita e tendini.
Ora, sono certo che voi siate a conoscenza di come si evoca un demone, come si faccia per rafforzare i suoi poteri, o nel nostro caso per restituirglieli. Ma perché tutti i pezzi si incastrino manca ancora un tassello, anzi, due - Ben e Lena non osavano muoversi, lui aveva ancora la mano poggiata sulla sua spalla e nonostante fosse quasi doloroso mantenere quel contatto, nessuno dei due sembrava intenzionato a scioglierlo.
Il primo è la Pietra Runica, che è con me da quel famoso giorno in cui feci visita a te ed ai tuoi cari genitori nella vostra casa in Bulgaria. L'avevo presa come souvenir, poi ho capito che poteva essere qualcosa di più... È curioso che lo stesso oggetto che intrappoli possa anche liberare, non credi? - Altre parole dette per colpire, un altro fremito, una stretta più forte delle altre.
- Ed il secondo sei tu. Rispondendo alla tua domanda di prima, principessa, posso solo dirti che dovevo aspettare. Nello stesso momento che ho concepito questo piano, fin da quel medesimo istante, sono stato consapevole che dovevo aspettare. Aspettare te. Così ho aspettato -
No...- Ma non stava rispondendo a lui. Rincorreva immagini nella sua testa, era a loro che dicava di no. 
- Oh sì, a cosa pensavate servissero quegli incendi? Tutti quei Nascosti sacrificati, quei luoghi dove la magia era persino nell'aria... Era tutto parte di un piano, un incantesimo, o un'evocazione, se preferite. La più grande di tutti i tempi -
Non puoi, non c'è modo di riportare indietro Sammael - Era stato Ben a parlare e nell'impeto di affermare le proprie parole la sua mano era scivolata via dalla spalla di Lena.
C'è eccome e sarà proprio lei ad aiutarmi. Ciò che è stato legato da un Silverkey può essere sciolto solo da un Silverkey - Come ridestata dal quel contatto spezzato Lena tornò in sé, i suoi occhi si puntarono sul demone colmi di ira.
- Cosa ti fa pensare che ti aiuterò? Non lo farò mai, non di mia spontanea volontà almeno. Smetterò di combatterti solo da morta ed in quel caso dubito di poterti essere ancora utile - Ignis si bloccò. Renderebbe l'idea dire che era stato come congelato da quel tono minaccioso, ma l'immagine di un demone fatto di braci congelato richiede fin troppa fantasia. 
- Su un'unica cosa hai ragione: tu morirai, Alena - Non furono le parole pronunciate a rendere quell'affermazione spaventosa, quando il fatto che in esse di non ci fosse traccia di alcuna minaccia. Dalle sue labbra grigie era uscita una constatazione e quasi si stupiva che, quello che lui considerava un dato di fatto, non fosse altrettanto scontato anche per chi aveva davanti.
- Non c'è alcun dubbio al riguardo. Ti ucciderò con le mie stesse mani e mi impegnerò perché non sia una cosa piacevole, ma non prima che tu mi abbia dato ciò che voglio. Sai perché sono certo che mi aiuterai? Perché so che sei dannata e non c'è modo che tu sfugga alla tua dannazione, perché questa sta in ciò che sei, in ciò che siete. Shadowhunters: metà angeli, metà umani. Un potere così grande in un involucro di debolezze... Sei umana, Alena, perciò ami ed è l'amore che ti rende debole. È l'amore che mi da la certezza che tu farai esattamente ciò che ti chiederò - Oh, avrebbero voluto... Avrebbero tanto voluto... Cosa? Ucciderlo? Picchiarlo? Era già impossibile l'idea di sfiorarlo. Era cenere. Era fuoco inafferrabile e loro non erano altro che due ragazzini che giocano con le fiamme a mani nude.
Ma se incroci le mani dietro la schiena quello non ti può bruciare.
Lena chiuse gli occhi e trattenne il respiro.
Ben li lasciò aperti e respirò per lei.
Saremo anche solo metà angeli, ma ognuna delle nostre metà, ogni giorno, uccide tanti di voi, demoni per intero, che nemmeno ti immagini. E non è vero che l'amore ci rende deboli, tutt'altro. Quell'amore che tanto disprezzi ci rende forti, unisce le nostre metà e ci rende completi - Se soffi forte, con tutto il fiato che hai in corpo, se soffiate in due...
- Vi rende completi!? - 
Sì, ci rende completi - ...forse puoi addirittura coltivare dentro di te la speranza di spegnerlo.
Voglio proprio vedere senza quegli inutili scarabocchi neri sulla pelle come siete completi! -.
Spire di fuoco si levarono dalle sue mani ed un secondo dopo ogni specchio intorno a loro rifletteva l'immagine dei demoni che avevano di fronte. Erano già decine e continuavano ad aumentare, ogni secondo che passava ce ne era uno in più. All'improvviso lo sguardo di Lena venne catturato da un lieve bagliore vermiglio. Aguzzò la vista verso il punto esatto dove lo aveva scorto, proprio lì in mezzo al petto di Ignis, da dove provenivano i vortici neri come icore che generavano i demoni. Qualcosa brillava sotto quello strato di pelle cinerea, ma non era fuoco e Lena, per un innato istinto di cui ancora non si capacitava, lo sapeva bene. Quando si accorse che ognuno dei demoni che aveva davanti era mutato, strano ed anomalo come quelli che avevano affrontato negli ultimi tempi, quell'istinto innato non ci mise molto a trasformarsi in certezza. 
Si sentì afferrare per il polso, qualcuno la voltò in tutta fretta.
- Lena - Strinse gli occhi, persino pronunciare il suo nome faceva male - Dobbiamo fermarlo. Ora. Se uccidiamo lui se ne andranno anche i demoni che sta evocando - urlò per sovrastare i latrati delle creature.
- Il problema è arrivarci a lui! - fece notare lei facendogli voltare la testa.
Una schiera di demoni era allineata davanti ad Ignis, quelli nelle prime file cominciavano già ad avanzare verso i due ragazzi, ordinati ed efficienti come un esercito pronto alla battaglia. Non c'era modo di arrivare a lui senza prima affrontare tutti i suoi soldati. 
- Che facciamo? - aveva il panico nella voce. Lui la attirò in un abbraccio violento che durò un secondo, l'elettricità di quel contatto li fece tremare internamente. Poi si staccò e le lanciò uno sguardo intenso da far male.
Siamo Shadowhunters. Combattiamo -.
Ben non aspettò che fosse un demone a raggiungerlo, gli corse incontro. Sguainò le sue due spade e pronunciò i loro nomi angelici nello stesso momento in cui un Drevak si impennò pronto a saltargli addosso, dalla bocca spalancata le spine velenose che aveva al posto dei denti erano minacciosamente vicine. In un movimento a forbice le spade incendiate di fuoco celeste fenderono l'aria e reciso la testa da larva del demone con un solo colpo.
Qualche metro più in là Lena affondò il suo pugnale nel ventre di un cane infernale, ma non le venne data la possibilità di estrarlo, perché subito un altro si avventò su di lei buttandola a terra. La cacciatrice si dimenò sotto la creatura quel tanto che bastava per permetterle di agguantare il suo stilo, in un'unica mossa lo conficcò con forza nel suo collo. Alla vista di quell'arma improvvisata, Ben, a cui i demoni Drevak avevano dato un attimo di respiro, la chiamò a gran voce e quando si voltò dalla sua parte le lanciò una delle sue spade. Con un salto afferrò saldamente l'elsa argentata, sfuggì al morso di uno dei due mostri e balzando in avanti affondò la lama dell'arma nel suo ventre. Quando la estrasse si accorse di essere pressoché circondata da altri cani identici, scodinzolavano agitando in aria la coda irta di chiodi e ringhiavano mostrano canini affilati come pugnali. Cominciò a menare fendenti verso il branco cercando senza troppo successo di occuparsi di uno tenendo indietro tutti gli altri.
Questa volta Ben non si accorse delle difficoltà della ragazza fin quando non lo avvertì un suo urlo. Si sfilò alla svelta la giacca che portava sopra l'uniforme e la lanciò a terra nel tentativo di raggirare due demoni Shax, superdotati nell'olfatto quanto mancanti di intelligenza. Funzionò, i demoni si mossero confusi verso l'indumento intriso del suo odore dandogli il tempo di raggiungere Lena. Atterrò con un calcio violento un cane che stava per saltarle addosso e lo finì conficcando l'arma nel suo petto. Balzò subito in avanti, la sua spada si muoveva veloce verso la carne di un altro demone...ma trovò un ostacolo: quella di Lena.
Le due lame cozzarono una contro l'altra mentre i cacciatori si accorgevano di aver puntato lo stesso bersaglio. Fu un attimo di distrazione fatale. Uno dei cani infernali ne approfittò per farsi avanti e affondare i canini affilati nella gamba di Ben che lanciò un grido di dolore e cadde in ginocchio. Lena finì il cane, ma non poté accertarsi bene delle condizioni del ragazzo, era troppo impegnata a scongiurare l'attacco degli altri demoni che si facevano avanti. Finì con l'indietreggiare troppo e si scontrò con il cacciatore che si stava rialzando. La sua salda stretta le impedì di cadere, ma fu comunque destabilizzante. Per un po' combatterono fianco a fianco e sarebbe potuta sembrare la stessa scena già vissuta tante volte... Se non fosse stato che nulla era più lo stesso.
Non bastava più uno sguardo per capirsi, un'occhiata per leggersi dentro, non c'era più quel sesto senso con cui prevedevi ogni mossa del tuo compagno. Niente più movimenti perfettamente coordinati, addio a quell'innata consapevolezza che ti avvertiva ovunque fosse l'altro. Certo, c'erano anni di allenamento e c'era l'abitudine, il ricordo di com'era naturale percepirsi anche distanti chilometri. Ma appunto, era solo un ricordo. Un triste ricordo ora che erano a due passi e finivano per calpestarsi i piedi. Traballanti, insicuri, era un po' come imparare a camminare da adulti.
Com'era possibile tanto impaccio quando avevi imparato a conoscere il corpo dell'altro meglio del tuo? Avevano combattuto insieme centinaia di volte, solo che ora lo stavano facendo ad occhi chiusi.
- Lena! - La ragazza si voltò giusto in tempo per vedere un Raum agitare uno dei suoi tentacoli muniti di denti in faccia a Ben. I piccoli aghi si arpionarono sul suo collo lasciando una scia di sangue lungo il loro passaggio. Si accanì sul demone con cui lottava ormai da parecchio senza riuscire a prevalere, con questa nuova motivazione che aveva in corpo lo finì con un affondo letale.
- Dov'è finita la tua spada angelica? - ansimò dopo averlo raggiunto. Fece mulinare in aria l'arma che stringeva nel pugno e il tentacolo che artigliava la pelle del ragazzo volò lontano, schizzi di icore bruciarono a contatto con la pelle non coperta dall'uniforme. Ben con un cenno della testa le indicò un punto parecchi metri più in là, la spada brillava a terra. Non c'era tempo per raggiungerla, né per chiedergli come diavolo avesse fatto a farla arrivare laggiù. Continuarono a combattere alternando la spada al proprio corpo. Erano sfiniti, provati da quel combattimento ad occhi chiusi, avviliti, doloranti, erano niente più che l'ombra dei cacciatori che erano stati. Ma i demoni non conoscevano certo la pietà, gli si paravano davanti senza tregua, ne avevano uccisi centinaia e ce n'erano ancora il doppio da affrontare.
Non ce la faccio più - urlò Lena allo stremo delle forze. Un demone Rahab approfittò di quell'attimo di debolezza per infierire sulla sua spalla già ferita. Nello stesso istante Ben venne atterrato da un Ravener, il suo corpo da lucertola lo sovrastava, le zanne velenose ad un centimetro dalla sua giugulare.
Si guardarono negli occhi e capirono che era finita, che sarebbero morti lì, uccisi non per difendere il Mondo Invisibile ma per il capriccio di un Demone Superiore. Non era questo che avevano sognato ricevendo i marchi da cacciatori, non era a questo che li avevano preparati i duri allenamenti e le lezioni severe. Niente avrebbe potuto prepararli a questo. Sarebbero morti divisi, con nel cuore il ricordo di com'era essere Parabatai, di quanto avevano perso. Sarebbero morti ad occhi chiusi.
Fu un attimo, il tempo di schioccare le dita e tutti i demoni nella stanza erano spariti. Tutti tranne uno, ovviamente.
- Li ho mandati via perché non volevo che vi uccidessero. Quello è un piacere che spetta solo a me - I due cacciatori si guardarono intorno e realizzarono di essere effettivamente ancora vivi, moribondi, ma non morti. 
- Ed ora non dite che noi demoni non proviamo pietà - lo disse con un perfido sorriso di brace, consapevole che quella era la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. Per uno Shadowhunter sarebbe stato meglio morire ucciso da un demone che vivere salvato dalla sua pietà. 
Ben si alzò, in tutta la dignità che può avere solo chi ha guardato negli occhi la morte senza distogliere lo sguardo, e brandendo la spada angelica corse incontro ad Ignis.
Il demone lasciò che si avvicinasse. Quando non c'era che qualche passo a dividerli Ben si rese conto che il suo pugno non stringeva più l'elsa dell'arma. La spada era sospesa in aria, a metà strada tra i due, Ignis la sorreggeva con una mano aperta. Lo guardò negli occhi, nessuna espressione sul suo viso di cenere. Con lentezza chiuse il pugno e la lama di adamas si sbriciolò in un secondo, una pioggia di schegge scintillanti piovvero a terra.
Come diavolo è possibile?
Con un altro movimento della mano l'aria si spostò docile e Ben venne bruscamente scaraventato dall'altra parte della stanza. Lena urlò il suo nome e corse verso il suo corpo rimasto senza fiato dall'urto; gli prese il viso tra le mani mormorando parole senza senso. Sentiva i passi di Ignis farsi sempre più vicini, sfrigolavano sul pavimento in maniera inquietante, ma non ci badava. Che la uccidesse in quello stesso momento, non avrebbe distolto gli occhi dal volto di Ben. 
- Non è morto, non ancora. Puoi salvarlo ma devi unirti a me, Alena. Aiutami a liberare Sammael e ti prometto che a lui non torcerò nemmeno un capello - Certamente mentiva. Aveva evocato centinaia di demoni in pochi secondi, sbriciolato una spada angelica senza nemmeno toccarla, aveva ogni sorta di potere immaginabile e non si faceva scrupoli ad usarlo. Perché mai Ignis avrebbe avuto bisogno del suo aiuto?
Lena... - Ben mormorò il suo nome preoccupato, si era ripreso abbastanza in fretta per sentire le parole di Ignis.
Se vieni con me, se ora vieni con me, risparmierò la sua vita e la tua. Rinuncia ad essere una Shadowhunters, avrai un posto nel mio regno e vivrai con la consapevolezza di avergli salvato la vita. Di' di no e condannerai sia te stessa che lui. Accetti? - Aveva paura. Dove c'è una speranza c'è sempre paura.
Sta mentendo, sta mentendo, sta mentendo.
Avrebbe voluto essere sorda pur di non sentire le parole che uscivano da quella bocca, avrebbe voluto strapparsi le orecchie dal viso.
Sta mentendo...
Convincersi che era solo una trappola, convincersi che mentiva.
Sta...
E se invece stesse dicendo la verità? Se avesse davvero potuto salvare la vita di Ben? Allora non avrebbe avuto più importanza morire, finché il suo cuore batteva era viva anche lei.
Non aveva più paura. 
Accetto - Non guardarmi così, Ben.
Non... Lena! - No, ti prego, non piangere.
Lena, no! Non farlo! Lena... - Ma Lena lo aveva già fatto.
Un ghigno vittorioso si aprì sul volto cinereo del demone, le fiamme nei suoi occhi divamparono mentre lei gli si avvicinava. Si fermò. Solo un passo li divideva e Lena percepiva sulla pelle il calore del fuoco. 
Accetto - ripeté e a quelle parole Ignis le prese una mano e la spinse contro il proprio petto. Le dita del demone guidarono le sue attraverso la cenere che formava il suo corpo, Lena sentiva la pelle bruciare, si strinsero intorno a qualcosa di liscio e duro. Quando estrasse la mano nel suo palmo brillava una piccola pietra rossa, aveva un'aria insignificante ma le sue sfaccettature irradiavano luce cremisi tutt'intorno.
La pietra runica.
Ora è tutto pronto, manchi solo tu. Stringi la pietra nel tuo pugno e ripeti le parole dopo di me... - Ma Lena non sentì nessuna delle parole che avrebbe dovuto ripetere. La sua mente alla vista della pietra era volata altrove, lontana anni da lì. 

Allora, sai dirmi cos'è questa? La piccola guardò prima il ciondolo poggiato sul suo comodino e poi il padre chiedendosi dove fosse l'inganno in una domanda tanto semplice. È la pietra, quella di cui parlavi. L'uomo si chinò verso di lei con un sorriso, le accarezzò il viso con dolcezza. No, Alena, non è la pietra. Non riusciva a capire, un cipiglio si disegnò sul suo piccolo viso. Lui prese il ciondolo in mano, la piccola pietra stretta nel suo pugno era sparita. Ora è la pietra.

Ciò che è stato legato da un Silverkey può essere sciolto solo da un Silverkey.

Perché mai Ignis avrebbe avuto bisogno del mio aiuto?

Ora è tutto pronto, manchi solo tu.

La Pietra Runica.



E finalmente capì.
Chiuse gli occhi e vide.

- Questa non é la Pietra Runica - Io sono la Pietra Runica.

Sentì l'energia fluirle dentro e quando non riuscì più a contenerla lasciò semplicemente che uscisse fuori.
Un'immensa esplosione di luce investì ogni cosa.

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Capitolo 25
*** Ad occhi aperti ***


Un grazie grande così a principessac e a Grace0191 per aver recensito lo scorso capitolo, questo è per voi... :) 






25. Ad occhi aperti

I want so much to open your eyes 
Cause I need you to look into mine 
Tell me that you'll open your eyes
(Snow patrol ~ Open your eyes)



Magnus era chino sul corpo di uno Shadowhunters quando un'esplosione di luce lo costrinse ad alzarsi. La prima cosa che pensò quando lo shock iniziale si dissipò, fu che non aveva mai visto niente del genere.

Distolse le mani dal viso con cautela, gli occhi che ancora bruciavano per l'intensità con cui erano stati serrati. Poi vide.
- Per Lilith... - Qualcosa si muoveva sul pavimento, qualcuno. Il cacciatore che fino ad un attimo prima sembrava spacciato si alzò lentamente, si guardò intorno: un po' spaesato, un po' confuso. Il suo sguardo si posò sullo stregone.
- Che diavolo ci fai in casa mia? - chiese sinceramente sorpreso. Non fece in tempo ad aggiungere nient'altro che Magnus non era già più lì.
Uscì dalla casa senza proferire parola, persino le imprecazioni contro l'ingratitudine dei Nephilim gli rimasero incastrate in gola. Con suo grande stupore guardò gli abitanti di Alicante riversarsi un po' alla volta per le strade e, mano a mano che si svegliavano, anche la città magica ricominciò a prendere vita. Mossi da chissà quale impulso, si guardavano intorno spaesati ma alla fine tutti camminavano nella stessa direzione. Chi correva, chi andava avanti con passi incerti, chi ciondolava ancora parecchio stordito dalla lunga incoscienza. Magnus si mischiò un po' incerto alla folla di Nephilim, ne spostò alcuni, ne strattonò altri, a tutti chiese cosa stesse succedendo, da nessuno ebbe risposta. Continuavano a camminare senza rivolgergli la parola, senza prestargli più attenzione di quella che avrebbero riservato ad un moscerino che per caso si era imbattuto sulla loro strada. Lo stregone continuò a sgomitare per indovinare cosa stesse accadendo senza ottenere grandi risultati. Alla fine si rese conto che, anche se si fosse letteralmente arrampicato su quelle persone, loro non solo non lo avrebbero degnato di un solo sguardo, ma non avrebbero neanche smesso di marciare verso il loro obiettivo. Così risoluto saltò appoggiandosi alle spalle di un cacciatore parecchio robusto. Oltre le teste, riuscì a scorgere un grande spazio: al centro il sole rifletteva un bronzeo luccichio che gli fece immediatamente riconoscere la statua di Raziel al centro della Piazza dell'Angelo. Oltre gli Shadohunters spiccava una figura, era inginocchiata proprio ai piedi della statua. Il cuore da stregone di Magnus raddoppiò i battiti ed un presentimento incredibilmente umano riverberò nel suo petto.
Si fece largo tra la folla senza aver cura di essere gentile e quando scostò anche l'ultimo Nephilim si bloccò di scatto davanti ad una scena che aveva sgomitato per poter vedere, ma che ora non voleva guardare.
Al centro della piazza un cacciatore era chino su un corpo, i capelli impiastrati di icore gli cadevano sul volto, i brandelli dell'uniforme sventolavano come nere bandiere mossi dal leggero vento che si stava alzando. Con le mani sporche di sangue posava carezze tremanti sul viso della donna sotto di lui, il suo corpo era scosso da singhiozzi silenziosi. Magnus lo riconobbe quando alzò di scatto il viso nonostante i tratti distorti dal dolore.
Era Ben.
E quando la sua gola scagliò verso il cielo un grido disumano, era la sua voce.
Così come era Lena il corpo senza vita che stringeva fra le braccia.



* * *

Magnus aveva sempre trovato qualcosa di profondamente inquietante nel gusto estetico dei Nephilim, le loro scelte in fatto di arredamento in particolare potevano risultare agghiaccianti, alle volte. Trasudava disappunto mentre a braccia incrociate fissava la carta da parati dell'Istituto di San Francisco. Scorreva con lo sguardo le cruente scene di combattimento messe in bella mostra sul muro chiedendosi come facessero a non accorgersi che fossero tanto antiestetiche nonché vagamente grottesche. Gli occhi saltavano da una all'altra analizzandole e cercando ogni particolare a cui la sua mente potesse appigliarsi, con cui potesse distrarsi.
Per non vedere nient'altro, per non pensare a nient'altro.
Fissava il muro da quattordici giorni, sette ore e cinquantasei minuti. Ogni tanto gli occhi si chiudevano, ma quando si riaprivano tornavano al loro lavoro.

Sfilava per l'Istituto ogni sorta di creatura del Mondo Invisibile e lui, non ne vedeva nessuna.
Erano tutti arrivati per lei. C'erano voluti solo un paio di giorni perché la storia di Ben e Lena si spargesse per il Mondo Invisibile e da allora continuavano ad arrivare, ad un ritmo costante, creature che volevano vederla. C'erano lupi, streghe, Nephilim, vampiri e perfino qualche membro della corte fatata. Non era chiaro cosa in particolare nella storia di quei due giovani cacciatori avesse toccato le corde dei loro animi, ma l'intero Istituto era assediato da gente che voleva semplicemente mostrare la propria solidarietà.
All'inizio avevano interamente occupato il corridoio, bloccando il passaggio ed oscurando a Magnus la vista della carta da parati, poi, con il passare dei giorni, il numero si era dimezzato ed ora solo pochi ostinati continuavano a vegliare davanti alla stanza di Lena.
Ciò che faceva desistere più di ogni altra cosa e mieteva rinunciatari, a dispetto della stanchezza, era Ben. Sembrava che l'unica cosa che sapesse fare fosse camminare avanti ed indietro soffiando come un toro. La moquette sul pavimento ormai consumata dal suo passo smanioso.
Magnus doveva ammettere, suo malgrado, che quei pochi rimasti fossero dotati di un instancabile determinazione e di un certo coraggio.
Al suo passaggio si scansavano tutti e chi era troppo lento o troppo distratto veniva subito rimesso in riga da un suo ruggito e si faceva frettolosamente da parte.
Un leone in gabbia, ecco cosa sei.
Non mangiava e gli zigomi che sporgevano pericolosamente dal viso ne denunciavano la salute precaria, i vestiti gli penzolavano sul corpo sciatti e sporchi, eppure si rifiutava di cambiarli, si rifiutava di farsi un bagno, di poggiarsi su un letto e passare qualche ora di sonno come si deve. A detta di tutti non dormiva e persino gli occhi attenti di Magnus non erano riusciti a coglierlo assopito, nemmeno un attimo, e per quanto sapeva che fosse umanamente impossibile, sapeva anche che Ben non si sarebbe certo piegato ai limiti umani quando si trattava di Lena.
Non avvertiva la fame, né il sonno, non sentiva il bisogno di scambiare qualche parola con nessuno, né di piangere. Non aveva pianto quando i Fratelli Silenti avevano detto che il cuore di Lena si era fermato, quando si erano chiusi dentro la camera con lei per cercare di compiere il miracolo, non aveva pianto nemmeno quando gli avevano proibito di entrare, né quando aveva rotto a spallate la porta della sua stanza senza riuscire a vederla ed il giorno dopo aveva trovato l'uscio richiuso da un'altra.
No, non aveva pianto. Persino le lacrime sembravano un inutile spreco, provare qualsiasi tipo di emozione sembrava un inutile spreco. Vivere, ora che il destino aveva messo in pausa la vita di Lena, era nient'altro che uno spreco.

- Smettila! - L'urlo arrivò forte e chiaro e fece vibrare l'aria stantia del corridoio. Lo avvertirono tutti, tranne colui a cui era rivolto. Ben, un corpo che si muoveva ormai per inerzia, continuò il suo percorso.
Avanti, indietro. Avanti, indietro. Avanti...
- Basta così! - Una mano si poggiò con forza sul suo petto artigliando i vestiti sudici e un'irritata Grace apparve all'improvviso nel campo visivo del ragazzo. Ben era sicuro di non aver mai visto quello sguardo sul volto della zia, era sicuro che i suoi occhi non possedessero per alcuna ragione uno sguardo simile.
Rabbia. Frustrazione. Paura. Dolore.
E all'improvviso capì che non poteva avere la presunzione di essere l'unico a soffrire. 
- Smettila di annientarti, bambino mio - Il corpo minuto di Grace circondò il suo inerme, consumato dall'attesa e lui si afflosciò come un fantoccio di pezza tra le sue braccia. Permise alle sue mani di accarezzargli il volto, e sentì sulle guance ispide per la barba la pelle liscia e rassicurante di chi non ha mai impugnato un'arma.
Molti altri si unirono a quell'abbraccio: tanti erano familiari, alcuni erano nuovi, tutti erano lì per lui. 

Dopo quattordici giorni, otto ore e dodici minuti, Magnus trovò qualcosa di meglio da fare che fissare la carta da parati.
La voce atona di un fratello silente entrò nelle menti di tutti quando nessuno se lo aspettava più e gettò l'intero Istituto nel più profondo caos.
Ognuno reagì come si sentiva di fare: c'era chi era rimasto in silenzio, appoggiato alla parete per poter reggere il peso della notizia, altri avevano sentito il bisogno di ripetere ciò che avevano appena udito, come se dirlo lo rendesse ancora più vero. E per ognuno che gridava in una lingua ce n'era uno che bisbigliava in un'altra. Infiniti modi di dire la stessa cosa. 
E poi c'era Ben. 
C'era Ben che correva come un proiettile, che scansava la gente, che si scrollava di dosso le braccia di chi cercava di trattenerlo. C'era Ben che entrava dalla porta, ma solo perché qualcuno si era preso la briga di aprirla, altrimenti l'avrebbe buttata di nuovo giù quella dannata porta, l'avrebbe sfondata fino a rompersi entrambe le spalle. C'era Ben che dopo tanta furia si fermava di botto, immobile sulla soglia come una statua di cera che sta per sciogliersi.
E c'era Lena.
Che aveva aperto gli occhi e lo aveva visto in piedi, troppo lontano. Lena che si era sbracciata tra le lenzuola bianche quanto la sua pelle. C'era Lena, il corpo proteso verso di lui e c'era Ben, i piedi che mangiavano quei pochi, eppure troppi, metri che li dividevano.
C'erano Ben e Lena, i respiri corti di chi ha trattenuto troppo a lungo il fiato ed ora ritorna a respirare, i battiti impazziti di due cuori sincronizzati.
E le "parole" dei Fratelli Silenti cadevano nel vuoto.
Non avvicinarti troppo.
I loro avvertimenti e le loro raccomandazioni erano inutili.
È ancora debole.
Perché le loro menti erano sorde a tutto ciò che non fosse l'altro.
Chissà quanti germi hai addosso. Non toccarla.
La toccò.
Le farai...
E quel contatto fece bene e fece...
...male.


Passarono la notte abbracciati e nessuno si azzardò anche solo a pensare di impedirglielo. Lena, ancora molto provata, si era assopita subito e Ben la teneva in un abbraccio delicato, il timore reverenziale di farle del male.
I Fratelli Silenti, prima di lasciarli da soli, avevano chiesto di parlare con lui, ma si era rifiutato di staccarsi da Lena e aveva risposto che se volevano parlargli lo avrebbero fatto lì.
Così ora si ritrovava a parlare, tra pensieri e parole, con uno di loro e i suoi ricordi si mescolavano alle spiegazioni del Fratelli su quanto era accaduto in quei giorni. Lì ad Idris, al centro della piazza dell'Angelo, sotto la statua di Raziel, il cuore di Lena aveva smesso di battere e Ben, anche se non era mai stato un asso in biologia, era ugualmente riuscito a capire che qualcosa dentro di lei non stava funzionando come avrebbe dovuto. Quando erano arrivati all'Istituto Lena per Ben era morta. Morta. Il suo petto non si alzava e non si abbassava, il polso era freddo ed immobile, gli occhi rimanevano chiusi. I Fratelli erano accorsi subito a seguito della chiamata di Magnus, li avevano separati a forza e si erano chiusi in quella dannata camera con Lena. Poco dopo era scoppiato il finimondo. Il corpo di Lena, completamente immobile fino a qualche minuto prima, era improvvisamente scosso da spasmi disumani. Ogni fibra del suo corpo era impegnata in una furiosa battaglia, ma il nemico che cercava di sconfiggere era invisibile agli occhi di tutti. Provare a tracciare rune sulla sua pelle era come provare a scrivere sull'acqua, ogni rimedio che si ingegnavano a trovare veniva vanificato in pochi secondi. I suoi polmoni si contraevano nella disperata ricerca di aria, il cuore sembrava impazzito. Aveva ripreso a battere, ma ad intermittenze incredibili, un'aritmia che era frenesia allo stato puro un secondo prima ed immobile silenzio un attimo dopo.
Lena non c'era, c'erano lunghi intervalli di tempo in cui il suo cuore cessava di battere e Lena era, secondo ogni principio logico, morta.
Infatti non era Lena che si dimenava, che strappava le lenzuola, che artigliava il muro fino a farsi sanguinare le unghie.

Il suo corpo...ma non Lena. Capisci, Benjamin?
La figura incappucciata parlava alla sua mente già da qualche minuto, ma Ben non capiva.
Cos'è successo esattamente ad Idris?
Davvero, Ben non capiva. 
C'è qualcos'altro che dovremmo sapere?
C'era qualcosa? Lena aveva preso in mano la pietra, l'aveva guardata per un tempo che gli era parso infinito, in quel tempo Ben l'aveva chiamata, aveva urlato il suo nome, ma lei non sembrava in grado di sentire niente. E poi aveva detto quelle parole: "Questa non è la pietra runica", ma la stringeva in mano, era lì. Un secondo dopo c'era stata l'esplosione di luce e Ben aveva avuto quella strana sensazione di essere risucchiato più che spinto lontano, era inciampato in avanti.
Gli disse tutto.
Dopo? Dopo non ti sei accorto di cosa fosse accaduto?
Ma cosa diavolo pensava? Che gli stesse nascondendo qualcosa? Che non gli avesse detto tutto? Ben era confuso quanto lui e voleva capire cosa era successo, quanto lui, anzi di più. 
- Dopo? Nessun dopo. Quando ho riaperto gli occhi ho visto solo Lena - Vedi sempre solo Lena - Era a terra, non rispondeva, la scuotevo e non si alzava. Di cos'altro avrei dovuto accorgermi? - Si sforzò di non alzare la voce, perché lei dormiva beata fra le sue braccia, non voleva svegliarla. Voleva solo che la smettesse di fare domande, che se ne andasse come avevano fatto i suoi compagni e li lasciasse un po' in pace. Sapeva che in quei giorni lui e gli altri Fratelli non avevano fatto altro che prendersi cura di lei e per questo gli sarebbe stato grato per sempre. Ora però, voleva solo che li lasciassero soli. 
Dov'era il demone?
- Ignis? Per l'Angelo, era lì, poi c'è stata l'esplosione, tutto era luce e Lena... - 
Dopo l'esplosione, dov'era?
- Non c'era. C'era solo... - E non finì la frase, le braccia che istintivamente si strinsero di più al corpo di lei. Era così calda contro di lui, il suo respiro gli soffiava sulla maglietta sudicia, il petto spingeva contro il suo e sotto gli strati di pelle e vestiti il cuore batteva. Ci mise una mano sopra, lo sentiva.
- No... - 
Chi c'era, Benjamin?
Si alzò di scatto, sollevandola di peso e portandola con sé, come se dovesse essere pronto a scappare da un momento all'altro.
- Lena. C'era solo Lena - disse con un filo di voce e subito rise delle sue stesse parole. Scosse la testa.
- No che non c'era solo Lena - parlò quasi a se stesso.
Ecco contro cosa combatteva il suo corpo, contro chi. Ecco chi era che le mozzava il respiro, che le soffocava il cuore, che le chiudeva gli occhi. La battaglia contro Ignis non era finita e Ben non se ne era nemmeno accorto. Aveva lasciato Lena a combattere da sola e si odiava per questo. Si odiava ed in quei giorni si era martoriato, aveva cercato ogni modo per distruggersi, massacrarsi, aveva cercato di provare almeno un decimo di quello che stava passando Lena. Perché ora non la sentiva più, il dolore di lei non era più il suo dolore, le sue sensazioni erano estranee e la sua mente era un luogo ermeticamente chiuso per lui. Inaccessibile, inarrivabile. Lena era inaccessibile ed inarrivabile. Lena non era più la sua parabatai.

Capisci, Benjamin?
No. No. No, per l'Angelo, no. No che non capiva. 
La Pietra Runica appartiene dall'alba dei tempi alla famiglia dei Silverkey, fu un omaggio di Jonathan Shadowhunter. Sono sempre stati una famiglia particolare, che godeva della riconoscenza di tutt...
- Ehm... La prego potremmo saltare la lezione di storia ed arrivare al dunque? - Ben era convinto che, sotto il cappuccio, il Fratello Silente gli avesse appena fatto una smorfia. Aveva la sensazione che ci fosse qualcosa di fin troppo umano in lui.
In realtà il vero potere della pietra non è la pietra.
- Fratello... La prego, gli indovinelli no - I suoi nervi già molto provati cominciavano a non poterne più.
Si tratta dell'incantesimo con il quale è stata legata. Magia potente, antica, angelica. Il punto è che non è stata compiuta sulla pietra.
Certi ingranaggi cominciarono a muoversi nella testa di Ben.
Il potere della Pietra Runica è in ogni Silverkey, nel loro sangue per la precisione. 
- Cos'ha il loro sangue? - 
È quasi completamente angelico.
Gli stava dicendo che Lena era un angelo? Guardò quel corpo raggomitolato che cullava tra le sue braccia. Non ci voleva certo un Fratello Silente per dirlo, lui c'era arrivato da tempo.
Devi amarla molto...
Nel suo tono ora c'era qualcosa di profondamente diverso.
- Sai... Dicono che voi Fratelli, quando ricevete i marchi, vi dimentichiate della vostra vita precedente e con essa di tutte le sensazioni umane. Ma tu parli come se te lo ricordassi bene cosa vuol dire amare una persona... - 
Un tempo ho amato una donna con tutto me stesso.
Fu l'input che spinse Ben a guardarlo in modo diverso e la conferma che non era affatto come qualsiasi altro Fratello Silente.
- E non l'hai dimenticata - parlò, come lui non poteva fare.
No, non la dimenticherei neanche tra un milione di anni.
Trovò che quello fosse un punto che avevano maledettamente in comune.
- Già, certe persone semplicemente non si dimenticano - Il silenzio fu il miglior assenso.
- Mi sa che sotto quel cappuccio ci somigliamo più di quanto pensassi - Il cappuccio in questione ondeggiò leggermente. Forse fu una sua suggestione, ma Ben era convinto di aver sentito una risata riecheggiare nella sua mente.
Non molto, credo... Però somigli al mio parabatai.
- Hai un parabatai? - 
Avevo.
A Ben si gelò il sangue nelle vene.
- Capisco... -
Non penso.
Ora cominciava a mancare di tatto. Stava per aprire bocca e farglielo notare, ma lui lo precedette.
Posso immaginare quanto sia doloroso ciò che vi è accaduto, ma... Tu ce l'hai ancora una parabatai.
Lo lasciò completamente interdetto. Avrebbe voluto rispondergli, chiedergli una spiegazione, ma ancora una volta fu più veloce lui. 
Il suo sangue, dicevamo. È stato solo grazie al suo sangue angelico che Lena è riuscita a liberarsi di Ignis.
Avrebbe voluto chiedergli una spiegazione, scavare dietro le parole che aveva lanciato poco prima nella sua testa, ma si trattenne e lasciò che cambiasse discorso.- E come diavolo avrebbe fatto a ritrovarselo dentro? - 
Penso che neanche lei lo sappia e sfortunatamente non abbiamo un altro episodio con il quale confrontare quello che è accaduto. Ciò a cui hai assistito, Benjamin, è senza precedenti. Il corpo di Lena ha risucchiato dentro di sé l'essenza demoniaca di Ignis e nonostante il suo sangue e tutto il resto è un miracolo che sia ancora viva per poterlo raccontare. 
Ben fu scosso da un tremito. Il pensiero che fosse stata sola, a combattere una battaglia più grande di lei, il pensiero che avrebbe potuto non farcela... Solo il poterla stringere tra le braccia lo conteneva dall'alzarsi in piede ed urlare.
Evidentemente quaggiù c'era qualcuno che non era pronto a lasciarla.
La figura incappucciata si voltò e a piccoli passi cominciò a muoversi verso la porta.
- Fratello... - lo richiamò Ben. Sentiva che c'era ancora così tanto che voleva chiedergli, eppure non riusciva a spiccicare parola.
- Volevo solo sapere il nome del Fratello Silente per il quale dovrò ringraziare l'Angelo - 
Puoi chiamarmi Geremia. 


* * *

Era... Strano. Ben non avrebbe saputo dirlo in altro modo. Aveva passato così tanto tempo a sperare che Lena si svegliasse, aveva desiderato con tutto se stesso che aprisse gli occhi ed alla fine era successo.
Quindi ora era strano, perché Lena quegli occhi che lui aveva pregato si aprissero preferiva tenerli chiusi. Preferiva fingersi cieca, fingere di non vedere una realtà che non voleva accettare.
Lena non si sentiva più a suo agio, ad occhi aperti.

Per Ben il bisogno di capire ciò che provava era diventato un tormento. In quei giorni aveva assistito alla sua lenta ripresa, pian piano l'aveva guardata ricominciare a compiere quei gesti quotidiani che avrebbero dovuto segnare una normalità che ormai non c'era più. Ben voleva disperatamente capirla, voleva entrarle dentro e leggere tutto ciò che ora poteva solo intuire. Era strano trovarsi a decifrare le sue espressioni, non era mai stato un problema leggerle il viso. Certo, in quei casi gli venivano in soccorso i ricordi, le abitudini, quei suoi gesti che negli anni aveva imparato a memoria e che avrebbe riconosciuto in mezzo a mille altri. Ma non era la stessa cosa. Occorreva pensare, occorreva porsi il dubbio, occorreva talvolta chiedere ed era uno strazio. Chiedere equivaleva a sbatterle in faccia la realtà e, seppure Ben odiava quando succedeva, odiava vederle il viso oscurato e gli occhi colorati di malinconia, si rendeva conto che a volte era necessario.
Lei era diventata avara di parole e a lui ne sarebbero servite così tante per capire.
Non ti sento più, Lena. Ti prego, parlami.
Ma per Lena il silenzio era diventato un metodo per anestetizzare il dolore. Se lui non poteva più sentirla, allora nessuno doveva sentirla. Era un comportamento patetico, che sapeva tanto di un'infantile ripicca, ma era troppo distratta per accorgersene. Distratta da tutte quelle piccole cose che le apparivano diverse, il mondo intero le appariva diverso, come se lo stesse guardando con un altro sguardo, come se lo stesse guardando con un paio di occhi di meno.
I giorni trascorrevano in un'intensa frenesia, tra il via vai continuo di gente che voleva vederli, dimostrargli solidarietà, molti non riuscivano proprio a capire come Lena avesse fatto ad assorbire dentro di sé un demone, ma soprattutto ad essere ancora viva. Beh, difficile da spiegare dal momento che neanche lei lo capiva.
Infine c'era anche qualcuno che andava da loro per chiedere scusa. Di cosa volessero scusarsi poi, Ben e Lena non avrebbero saputo dirlo con precisione. Persino l'Inquisitore Marknight era andato all'Istituto, era così mortificato per quanto era accaduto... Ricordava lucidamente ogni cosa dei momenti in cui Ignis aveva posseduto il suo corpo e forse era proprio questa la parte peggiore: essere cosciente degli orrori che la sua stessa mano compieva senza poter fare nulla. Eppure l'Inquisitore era solo il primo delle tante persone che Ben e Lena erano costretti ad incontrare ogni giorno, solo uno dei tanti smaniosi di rivangare un dolore troppo profondo.
Ogni singolo cacciatore che si fermava a parlare con loro per strada rispolverava un ricordo che per Lena era troppo penoso ricordare e allora il suo sguardo vagava disperato in cerca di quello di Ben e muto faceva sempre la stessa domanda.
Dov'era questa gente quando avevamo bisogno di loro?
Ogni cacciatore era colpevole di averli giudicati, di torturato Ben, ogni stregone di aver sottovalutato le parole di Lilian, di non essere arrivato in tempo quel maledetto giorno ad Idris, ogni vampiro, ogni licantropo, l'intero Mondo Invisibile... Colpevole in un modo così tanto spregevole ai suoi occhi che finiva col diventare quasi buffo. Era buffo come ora che tutti sapevano la verità su di loro fingevano andasse bene, ora che avevano perso tutto non importava più a nessuno se si amassero o meno.
Non siamo più disgustosi? Non eravamo sporchi? Non saremo dannati per sempre? Non siamo maledetti, blasfemi, non abbiamo demoni dentro di noi? Non è più sbagliato, ora?
Ogni parola di malcelata pietà, ogni sguardo compassionevole, ogni gesto, sincero o meno, non faceva altro che ricordargli cosa avevano perso per sempre.
In Lena cominciava a ribollire la rabbia, come in una pentola a pressione. Sembrava che nessuno avesse l'accortezza di spegnere il fuoco, anzi, facevano di tutto per attizzarlo e le fiamme si alzavano, le fiamme la incendiavano, la divoravano. Le fiamme l'avrebbero bruciata viva e a nessuno sarebbe importato, forse nessuno se ne sarebbe accorto.


Il colmo arrivò con la riunione speciale che il Conclave aveva organizzato in loro onore.
Onore... Quale onore?
Non c'era onore nel sentire un consiglio di cacciatori che, comodamente seduto, discuteva su di loro. Proprio nessun onore nel sentirsi giudicati da quella gente. Molti di loro non sapevano nemmeno come fosse fatto un Demone Superiore. Erano shadowhunters che erano invecchiati nella pace, le cui uniche battaglie erano state combattute contro un paio di demoni Raum. Vecchi presuntuosi la cui barba era più lunga del loro valore.
Come avrebbero potuto onorare Ben e Lena? Come?
Quando serpeggiò nell'assemblea la proposta di offrire ai due giovani Nephilim una ricompensa per le loro imprese, Lena si sentì quasi svenire. Per un attimo si crogiolò nel desiderio di scavalcare i banchi e di malmenare ognuno dei presenti, prenderli a schiaffi fino a farsi bruciare le mani, sputargli in faccia e calpestare quell'onore che non sapevano nemmeno cosa fosse.
Non fece niente di tutto ciò.
Invece si alzò con una calma glaciale, sull'assemblea calò il silenzio e per tutta la sala rimbombò il rumore di un seggiolino pieghevole che sbatteva contro lo schienale, poi di un altro. Lena salì composta ogni gradino verso l'uscita, Ben, che le era dietro, scavalcava due gradini alla volta. Erano seduti in prima fila, i posti più in basso, nel lungo percorso verso la porta gli occhi di ognuno dei presenti erano puntati su di loro.
Non si voltarono neanche prima di uscire, non una parola di congedo, non una scusa inventata sul momento. Esattamente quello che meritava tutta quella gente: niente di niente.

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Capitolo 26
*** Non fermarti ***


Grazie grazie grazie a principessac, Grace0191 e Stellina1993 che hanno recensito l'ultimo capitolo!
Piccolo cambio di programma: i capitoli saranno 27 più l'epilogo, uno in più di quanti avevo detto precedentemente. 
Ecco a voi il 26: l'ultima metà l'ho scritta mesi fa, all'inizio è stata un travaglio, ma poi si è scritta da sola, tant'è che un paio di giorni fa quando l'ho riletta non ho osato cambiare una sola virgola...
Vi faccio un <3 sperando così di addolcirvi e che non mi uccidiate finito di leggere ahahahahah 






26. Non fermarti

Can you help me?
Can you let me go?
And can you still love me 
when you can't see me anymore?
(Kt Tunstall ~ Other side of the world) 



Di fuori il cielo confermava che era scesa da qualche ora la sera e che avevano perso già troppo tempo con quella pagliacciata. La brezza primaverile li accolse e gli rinfrescò il viso. Scompigliò leggermente i lunghi capelli ambrati di Lena, lei in uno scatto li mise a posto, le dita tremanti che li appiattivano e li sistemavano dietro l'orecchio. Quel gesto spezzò qualcosa dentro Ben che rimase a guardarla, alle sue spalle, immobile, sorpreso, un po' rattristato dal fatto che oramai lei non accettasse più nemmeno le carezze del vento.
Lena - la chiamò piano. Lei sembrò ridestarsi, come se fino a quel momento avesse dormito. Si voltò, lo sguardo spaurito, poi sul suo viso comparve la rabbia.
- A quelli non gliene importa niente di noi! - urlò ed era la prima volta da quando si era svegliata che pronunciava qualcosa che non fosse la risposta ad una domanda o una frase di circostanza. Aveva parlato per lei, perché voleva dire qualcosa e basta. Ed era arrabbiata, urlava, mostrava senza filtri un'emozione tanto forte.
Ben sentì il disperato bisogno di abbracciarla.
A nessuno importa veramente di noi! Se ne fregano di quello che abbiamo passato, se ne fregano del fatto che ho avuto dentro un demone superiore per settimane e che ho dovuto sconfiggerlo da sola perché chissà dove diavolo erano! Non hanno idea che sarebbe bastato un passo falso per rievocare Samael, non hanno neanche lontanamente idea di... di... - E le mancò la voce, chiuse gli occhi e strizzò i pugni. Urlò ancora di più.
Li odio, li odio tutti! Odio i loro sorrisi tirati e le loro mani sulla spalla. Li odio quando mi dicono che gli dispiace, quando abbassano la voce appena entro in una stanza, quando non ci condannano solo per pietà. Per l'Angelo, li odio quando pensano di "sapere come ci si sente", no che non lo sanno! Niente, ecco cosa sanno! Non sanno niente di me e di te, non sanno niente di noi, di quanto abbiamo sofferto, di quanto soffriamo ancora ogni volta che siamo nella stessa stanza. Loro non lo sanno che non riusciamo più a guardarci negli occhi, che abbiamo paura di non riconoscerci. Non lo sanno che soffriremmo di meno se l'altro fosse morto. Loro non lo sanno che non so per chi devo piangere. Non lo sanno che non ho nemmeno una tomba, su cui piangere. Non lo sanno, non lo sanno, non lo sanno... - Ben le si buttò letteralmente addosso, il corpo spinto contro il suo, le urla soffocate sul suo petto. Aspettò che piangesse, per asciugarle il viso, per piangere con lei. Ma quelle lacrime che aspettava non arrivarono.
Portami a casa, ti prego, Ben - chiese alla fine. Lo stava davvero pregando.
Tornarono all'Istituto aggrappati l'una all'altro.

Quella notte non si sentiva di lasciarla sola, né di lasciarsi solo. Così quando lei diede voce al desiderio di entrambi — Dormi come me stanotte — non si sentì di dirle no, né di dirsi no.
Bastò avvertire da sotto le coperte la presenza dell'altro per far comprendere ad entrambi che non sarebbero riusciti ad addormentarsi subito come niente fosse.
- Spegni la luce, per favore - Non sapeva perché glielo avesse chiesto: lei era più vicina, Ben invece per arrivare all'interruttore dovette sporgersi dall'altra parte del letto. Si allungò sul suo corpo e nel farlo i loro addomi si sfiorarono. Quel breve contatto strappò inevitabilmente un sospiro ad entrambi. 
Ora che era più facile guardarsi Ben era deciso a non staccare un attimo lo sguardo dal volto di lei. Incoraggiati dal buio gli occhi ripercorrevano il ricordo dei suoi tratti, di tanto in tanto arrivava poi il tocco delle sue dita a chiedere una conferma che Lena concedeva in silenzio.
Riconobbe ogni linea del suo corpo e baciò ogni centimetro della sua pelle. Quando arrivò lì, dove la runa era ormai sbiadita, sentì Lena irrigidirsi tra le sue braccia. La strinse più forte quando i singhiozzi cominciarono a scuotere il suo corpo, baciò quella cicatrice che avevano in comune e baciò anche le sue mani ogni volta che cercavano di fermarlo. Anestetizzò con le labbra il dolore e mischiò le sue lacrime con le proprie.
Perché non si sentisse sola, per non sentirsi solo.
Poi nel buio, con le lacrime asciutte sul viso ma fresche nella mente, Lena parlò con un filo di voce.
- Era bello, eh? - Ben non rispose, la avvicinò un po' di più al suo petto ed ad occhi chiusi posò un bacio tra le sue scapole. Sotto la maglia leggera riusciva a sentire con le labbra il calore della sua pelle. Lena era inquieta e quel leggero tocco di labbra, invece di calmarla, la agitò ancora di più. Si voltò impaziente, le coperte attorcigliate intorno alle sue gambe, e lo fronteggiò. Ma erano finiti i tempi in cui non serviva la luce per vederlo, ora davanti aveva solo il buio. Si agitò ancora di più, il respiro le diventò corto, le mancava il fiato. Erano vicinissimi, eppure si spinse ancora di più contro di lui.
Se non poteva vederlo, doveva almeno sentirlo.
- Non ti manco, Ben? Non ti manca essere il mio parabatai? - Era così vicina che poteva sentire il suo cuore batterle nel petto. Ed anche se era buio non era difficile immaginare la piccola piega che si era formata tra le sue sopracciglia, o il labbro stretto tra i denti per quella sua tremenda abitudine di punirsi da sola.
Ben si chiese per cosa si stesse punendo in quel momento.
- Tu mi manchi così tanto - Oh, Lena, ti prego, non fare così.
Ma io sono qui - La voce tremante lo tradì. 
Sono qui, Lena. Non mi senti? - Il suo abbraccio si era fatto urgente, le sue mani le percorrevano la schiena e lasciavano una scia bollente al loro passaggio.
Sentimi, Lena. Io sono qui. Tu sei qui. - La baciò, un tocco leggero di labbra, rispettoso, così diverso dai baci che si erano sempre scambiati. Lena prese quel bacio ma non lo diede. Sciolse una mano del loro abbraccio e poco dopo Ben avvertì il piccolo palmo di lei posarsi sulla parte sinistra del suo petto. Avrebbe giurato di sentire la vecchia runa bruciare sotto il suo tocco.
Ma non sono più qui - disse accarezzando con tocco leggero e struggente quel segno che un tempo li aveva uniti e che ormai era ridotto alla cicatrice di una bruciatura. L'abitudine e i ricordi suggerivano a Ben che probabilmente era appena comparso un sorriso triste sul viso di lei ed i suoi occhi sorprendentemente blu si erano aperti più che mai. Se si sforzava, poteva quasi vederli brillare in quel buio.
E se non sono più qui, è come non esserci - Ben sentì le lacrime scendergli dagli occhi e non aveva né la forza né la voglia di provare a fermarle. Arrivarono le mani di Lena sul suo viso. Arrivarono non con la pretesa di asciugare le lacrime, ma con la premura di dare conforto, in un gesto a cui solo lei avrebbe potuto dare quell'intensità. Ben sentiva il suo tocco e le sue parole facevano un po' meno male, tutto diventava un po' più sopportabile. Perché era lì, nonostante tutto. Perché se non poteva più sentirla dentro di sé era un conforto poterla almeno sentire accanto a sé.
Evidentemente però per lei non era lo stesso.
Non c'era alcun conforto nella sua voce, né nelle parole che gli aveva rivolto. C'era piuttosto una malinconica rassegnazione.
Ma tu invece ci sei ed anche io ci sono. Non ti basta questo, Lena? - Il suo silenzio fu la risposta più efficace ed in quel silenzio Ben la accolse ancora una volta fra le braccia. Le sue parole la cullavano, una dolce ninnananna in quella notte così buia.
- Un giorno basterà... -.


Ben non avrebbe saputo dire con precisione cosa fu a svegliarlo. Non era ancora giorno, si intravedeva la sagoma del sole verso est e la luce non era entrata nella stanza filtrata dalle tende. Eppure era sveglio. Prima di vederlo, sentì che Lena non era più tra le sue braccia. Nell'incoscienza del dormiveglia tastò l'altra parte del letto senza trovare il suo corpo. Quando le sue dita si chiusero intorno alle lenzuola aprì gli occhi.
- Lena... - Non rispose.
Gli ci volle un attimo per rintracciarla nella penombra, un attimo per mettere a fuoco la sua mano sulla maniglia, un attimo per rendersi conto del borsone che stringeva nell'altra mano. Infine gli ci volle un attimo, un attimo ancora, per capire la situazione.
Non gli sarebbero bastati tutti gli attimi, da qui all'eternità, per farsene una ragione.
Si alzò di scatto e la raggiunse con una rapidità che non sapeva di possedere. 
Che fai? Dove stai andando? - Le dita serrate intorno al suo polso minacciavano di bloccarle la circolazione. I suoi occhi passarono dal borsone alla mano ancora poggiata sulla maniglia. Si fermarono nei suoi e vi lessero dentro una verità sconcertante.
- Tu te ne stai andando... - Lo disse quasi senza rendersene conto, ma non per questo fece meno male. 
Lena era una statua di cera, il corpo rivolto verso la porta, il viso verso di lui. Se ne stava immobile, incapace di muoversi mentre Ben farfugliava frasi sconnesse, disperate, senza senso. Non riusciva a capacitarsi di ciò che stava accadendo.
Ben... - lo chiamò con voce cauta. Abbassò gli occhi sulle dita di lui strette intorno al suo polso sottile.
- Lasciami, ti prego - Vide accendersi nei suoi occhi un fuoco che conosceva bene.
No che non ti lascio! - In risposta le sue dita si serrarono ancora di più, avrebbero lasciato un livido, Lena lo sapeva. La tirò per il braccio, verso il centro della stanza, dove non c'era assolutamente niente a cui potesse appigliarsi. Il borsone le cadde di mano.
Spiegami cosa stavi facendo - Si stava sforzando di mantenere un tono calmo, di mandare avanti una conversazione civile, perché non poteva davvero essere come sembrava. Eppure la sua mascella era contratta, la postura rigida, gli occhi un po' troppo aperti. Poteva mentire al resto del mondo, ma non a lei. Lena scoprì di essere ancora brava a leggere i piccoli indizi del suo corpo.
Ma non basta, Lena. Non basta.
- Ben... - Perché diavolo continuava ad usare quel tono accondiscendente? I suoi pugni si serrarono lungo i fianchi.
Dimmi cosa stavi facendo! - urlò così forte che Lena chiuse gli occhi, non le aveva mai gridato contro in quel modo.
Quando non gli rispose in un secondo gli fu di fronte. Lena aveva lo sguardo abbassato verso il pavimento, Ben verso di lei. Sentiva il suo respiro accelerato sulla fronte. Sfilò la pelle dalla morsa dei suoi denti ed afferrandole il mento la costrinse a guardarlo. Quante volte in quegli anni aveva compiuto quello stesso movimento? Ora non urlava più e forse era peggio.
Dove credevi di andartene, eh? - Se non fosse stato così vicino Lena avrebbe potuto fingere di non aver sentito. Combatté contro le sue dita per cercare di distogliere lo sguardo.
- Lontano... - Lui sbuffò una risata amara. A quel suono Lena reagì visibilmente. Sentì sotto le dita il viso di lei contrarsi, vide le spalle chiudersi impercettibilmente su loro stesse ed agì di conseguenza.
- Lontano? Lontano da cosa? - chiese in tono di scherno. Voleva che reagisse, voleva che esplodesse.
Parlami, Lena.
Lontano da tutto questo, lontano dal dolore... - Lontano da te.
Le dita del cacciatore si allentarono leggermente e Lena ne approfittò per sfuggire dalla sua presa. Fece un passo indietro e quella piccola distanza messa tra loro non era che il riflesso di una molto più grande. Il primo dei tanti passi indietro che stava per fare. O forse avanti? Sperava che sarebbero stati passi avanti, era per questo che se ne stava andando. No? 
Sei una pessima bugiarda, Lena - Le parole le riecheggiarono dentro e la sua voce le ricordò di una volta, tempo prima, in cui lui le aveva pronunciate, allo stesso modo. Sì tuffò in ricordi che ora sembravano appartenere ad un'altra vita e ad un'altra persona. Troppo lontani per essere raggiunti, persino troppo lontani per essere ricordati. Era così stanca.
Quando Ben fece un passo avanti, lei ne fece uno indietro e quando lui avanzò ancora, lei si impegnò a mantenere tra loro quella piccola distanza che aveva conquistato.
- Un attimo fa, quando ti ho beccata con la valigia in mano, con le dita sulla maniglia, quando te ne stavi andando come una ladra, tu non stavi scappando dal dolore... - La sua voce era così bassa... - Tu stavi scappando da me. Proprio come stai facendo ora - Un ultimo passo indietro in risposta a quello di lui in avanti e la stanza le ricordò che non era infinita. Lena percepì dietro di sé il duro della parete e più sù il freddo della vetrata della finestra. Si sentì in trappola. La sua fuga sembrava finita, lui avrebbe potuto facilmente azzerare le distanze tra loro, li separava solo un passo... 
Dimmi, pensavi di andartene così? Senza una parola, senza una spiegazione... - Ogni fibra del suo corpo rispecchiava la tensione che c'era nella sua voce. In un gesto frustrato sollevò le braccia ai lati della testa, le dita divaricate fra loro, i tendini tesi spasmodicamente tremavano. Chiuse gli occhi ed urlò di nuovo buttando fuori tutta l'aria che aveva in corpo.
Per l'Angelo, Alena! Pensavi che non me la meritassi una spiegazione? - Ora tremava tutto, visibilmente. Anche le palpebre tremavano incapaci di sollevarsi. Per qualche secondo Lena dondolò sui talloni lottando contro impulsi contrastanti. Doveva muoversi, doveva andarsene, doveva fare qualsiasi cosa, ma non doveva restare ferma. Ferma no. Fermarsi voleva dire pensare e se pensava...
Non fermarti. Non fermarti. Non fermarti.
Si mosse con una velocità che rifletteva la sconsideratezza del suo gesto, si mosse impulsiva come non era mai stata. Ben artigliò l'aria alla sua sinistra, la zampata di un leone. Le cinse i fianchi senza nemmeno aprire gli occhi. La imprigionò in una gabbia di braccia.
Braccata, costretta, in trappola. Il cuore di Lena batteva così forte che riusciva a sentirlo. Le tremavano le labbra, le tremava il viso, tremava tutta e tremava anche lui.
Perché mi fai questo? - Ansimò - Perché ci fai questo. Perché, Lena? - Il suo abbraccio forzato era come un nodo: più si dibatteva e più le si stringeva addosso.
Fermati, Lena.
Non fermarti.
Non ce la faccio - Si sentiva soffocare - Non ce la faccio. Non ce la faccio. Non ce la faccio... - Lo ripeté finché le parole non persero il loro significato - Non ce la faccio a sopportarlo, a starti vicino, ad avere sotto gli occhi quello che ho perso... Per me è insopportabile già ora, ma sarà sempre peggio - Non sapeva decidersi se guardarlo o meno. I suoi occhi non si fermavano abbastanza a lungo in un punto per poter guardare veramente qualcosa - Sempre peggio, sarà sempre peggio. Non ce la faccio... - 
Non fermarti. Non pensare.
Era tentato di urlare, ancora, sovrastarla con la voce come stava facendo col corpo. Ma anche se li avesse coperti, i suoi sussurri agitati non sarebbero svaniti. Ce li aveva dentro, ecco cos'era. La sua voce sottile che ripeteva le parole in una litania sincopata, la preghiera di una disperata, ce l'aveva dentro, ce l'aveva in testa.
Parlò a voce bassissima.
- Pensi che i tuoi problemi lontano da me scompariranno come per magia? È questo che pensi, Lena? - Quando lei si interruppe ed alzò lo sguardo verso il suo fu la dimostrazione che parole sussurrate potevano arrivare alle orecchie più in fretta delle grida.
Annuì con la testa. Gli occhi arrossati sembravano così grandi in quel momento, luccicavano all'orlo delle lacrime, due pozzi blu in cui potevi perderti.
C'era lo sguardo di una bambina sul quel viso di donna.
- Non sono io il tuo dolore, non è da me che devi scappare - Le accarezzò i capelli e lei chiuse gli occhi abbandonandoglisi contro. Tremendamente incoerente eppure giustissimo.
Fa così male, Ben. Voglio solo che non faccia più così male - Avrebbe dovuto rassicurarla, avrebbe dovuto dirle che il dolore presto se ne sarebbe andato, che se rimaneva con lui sarebbe andato tutto bene. 
Lena... - Avrebbe dovuto mentire, incatenarla a sé con vane promesse, avrebbe dovuto...
Non smetterà mai di fare male - La sentì irrigidirsi contro di lui e, quando si divincolò dalla sua presa, schiuse impercettibilmente le braccia lasciandole credere di essersi liberata con le sue sole forze. Lena fece qualche passo indietro e più si allontanava, più il respiro si faceva meno sincopato, le spalle si raddrizzavano un po', le mani smettevano di tremare.
Ben la guardava, avrebbe voluto strapparsi la pelle di dosso.
- Se penso che sarà così tutti i giorni, per il resto della mia vita... - Non fermarti. Non pensare.
Preferirei essere morta, Ben. Preferirei morire in questo istante piuttosto che passare un altro minuto a guardarti sapendo che non potrò mai più averti - Aspettò che si vuotasse completamente la bocca di quelle parole, poi non resistette più e dovette riavvicinarsi.
Sembrava che la storia della loro vita si fosse concentrata in quel breve lasso di tempo. Non era esattamente ciò che facevano sempre? Si cercavano e si respingevano, si avvicinavano così tanto da fondersi insieme, si allontanavano senza mai perdere d'occhio la strada per ritrovarsi. Si erano sempre ritrovati.
Come avrebbero potuto perdersi? Tu puoi perderti un braccio? Ecco, loro non potevano perdersi. Erano legati. Erano uno in due. Erano... Erano.
Ora il filo si era spezzato. Ora se si spingevano troppo lontano non si sarebbero più ricongiunti come gli estremi di una calamita. Ora occorreva essere bravi a non cadere.
I cacciatori hanno un buon equilibrio, no?
- Pensavo che avessimo deciso di comune accordo che spettasse a me la parte dell'egoista, Lena - le soffiò in faccia. Era così vicina... 
Riesci ad immaginare cosa vorrebbe dire la tua morte per me? Puoi immaginarlo? - Certo che posso.
- Ma certo che puoi... - La sua voce si spense inseguendo un discorso chiaro nella sua testa, ma invisibile agli occhi di Lena. Gli vennero in mente Geremia e le sue parole.
Tu ce l'hai ancora una parabatai.
Come poteva essere così cieca da non vedere? Come poteva ostinarsi a tenere gli occhi chiusi?
- L'abbiamo scelto, Lena. Abbiamo scelto di essere parabatai - Le mani scivolarono sulle sue spalle, la scossero come fecero le sue parole.
- Si, ma io... Io non ho scelto questo - Parlava il panico per lei, cieca paura. Ecco qual era la verità: aveva paura. Ora che aveva sperimentato il più profondo dei dolori aveva paura perché sapeva cosa voleva dire. 
Dicono che la sofferenza più grande sia quella che stai vivendo, se ti guardi indietro, non c'è niente che ti sembri confrontabile con ciò che stai attraversando. È nella natura umana sfuggire dal dolore ed in quel momento Lena era ciecamente convinta che stare fermi significava aspettare che arrivasse il dolore. Doveva muoversi, doveva andarsene, doveva scappare dal dolore. Era stanca, così stanca. Voleva solo andare via dal dolore.
- Mi consumerà, Ben. Non riuscirò mai a sopportarlo, mi ucciderà. Devo andarmene, non capisci? È troppo, è... - Non la lasciò finire, le parlò sopra, la zittì con parole che, anche se non erano sue, lei avrebbe riconosciuto. Parole su cui un tempo aveva giurato.
Dove andrai tu andrò anch'io. Dove morirai tu morirò anch'io, e vi sarò sepolto. L'angelo faccia... -
Smettila! Ti prego, smettila! Non siamo più parabatai, Ben! - Dopo che l'ebbe urlato, per un momento, tutto tacque. La lasciò di botto, come scottato. 
Non dire così - Per un attimo si voltò dall'altra parte, un vano tentativo di impedirle di leggere sul suo viso quanto quelle parole l'avessero ferito. Un tempo sarebbe stato lo stesso, ma ora Lena era troppo distratta dal proprio dolore per pensare anche al suo. Lena non aveva intenzione di fermarsi.
Stavolta fu lei ad avvicinarglisi. Aveva addosso la paura travestita da rabbia quando alzò una mano e se la batté sul petto, un tocco che un tempo avrebbe sentito anche lui.
Perché non dovrei dirlo? Non c'è più. Te l'hanno bruciata addosso, Ben. Non c'è più nessuna maledettissima runa che ci lega! - Era diventata così egoista? Credeva forse che non ricordasse il ferro che calava su di lui ustionandogli la carne? Credeva che non sognasse ogni notte le torture che aveva subito?
Tornò a guardarla, in faccia un'espressione disgustata.
Come puoi ridurre tutto ad una questione così materiale? - Fermati, Lena.
- Quando hai giurato davanti a Raziel, quando mi guardavi le spalle in battaglia, quando mi tracciavi sul braccio un'iratze... Eri legata alla tua stupida runa o a me? - Gli bolliva il sangue nelle vene. Si abbassò su di lei, così vicino che poteva vedere le vene del suo collo pulsare.
Fermati, Lena.
Quando facevamo l'amore... - disse nel tentativo di colpirla a fondo. La vide irrigidirsi, le ciglia che cercavano disperatamente di non lasciar passare le lacrime.
O aveva fatto centro...
E tu come puoi confondere quello che c'è stato tra noi con il nostro legame? - 
... O aveva completamente mancato il bersaglio.
Mai avrebbe immaginato di sentire quelle parole uscire dalla sua bocca.
- Oh, Lena... Come puoi tu pensare che le due cose siano divise! - Piangi, Lena. Disperati. Urlami contro. Ma non guardarmi così.
Dov'è che vedi questo netto confine? Non ci siamo forse battuti per far capire che il nostro amore non era solo una questione di carne, Lena? Come fai ora a banalizzarci in questo modo? Perché mi mortifichi così? - No, non voleva banalizzare ciò che c'era stato tra loro e no, non stava cercando di mortificarlo. Quello che Ben non riusciva a capire era che, mentre lui sapeva esattamente ciò che voleva, Lena si sentiva più che mai divisa. Era una guerra civile quella che aveva dentro, stava solo cercando di limitare i feriti. Non poteva impedirle di proteggersi.
Mi sembra di parlare con una sconosciuta... Non ti riconosco più, Lena - Senza rendersene conto aveva appena detto le uniche parole che non avrebbe dovuto. Quella frase, pronunciata con collera per scuoterla, giunse alle orecchie di lei come un'amara conferma.
Non sono più la tua parabatai.
La rabbia che l'aveva invasa poco prima scemò velocemente. Era come se stesse guardando la scena fuori dal proprio corpo. Si sentiva lontana, distante, come se non stesse accadendo tutto a lei. Come quando leggi un libro di cui sai già la fine: sai come andranno le cose, però lo leggi uguale ed in cuor tuo hai già accettato quel finale, perché sai che è così che deve andare. E quando arrivi a quella fine che sapevi già in partenza, ti convinci che è valsa comunque la pena di intraprendere quel viaggio di parole, che in qualche modo ti ha cambiato, o che magari ti ha aperto gli occhi su chi sei. Quello che accade subito dopo è che vuoi altre pagine. Non importa che ti piaccia o meno quel finale, ne vuoi un altro. Uno che non conosci, che non puoi prevedere, uno che ti sorprenda. Vuoi un'altra possibilità.
Lena avrebbe tanto voluto che quella non fosse la sua ultima pagina, voleva un altro finale ed un'altra possibilità.
Non lo stava ascoltando.
- Lena! - la scosse per attirare la sua attenzione volata chissà dove. Si ridestò bruscamente con Ben che le ripeteva per la terza volta una domanda che era in realtà un'accusa. Si chiese come faceva, lui che come lei li aveva provati entrambi, a confondere il sentimento degli innamorati a ciò che lega due parabatai. Glielo avrebbe spiegato, avrebbe difeso le proprie ragioni, ma all'improvviso non trovava la forza di gettarsi in una discussione come quella, non ne trovava un senso. Aveva la bocca asciutta e la testa vuota, le parole non le erano mai sembrate tanto inutili. Troppe, troppe parole. Leggere, piume in balia del vento, volavano via quelle parole. Era così stanca.
- Lena! Ti prego... Di' qualcosa! - Parole, altre parole. Troppo leggere per rimanere, sarebbero volate via, portate dal vento. Proprio come Lena. Il vento avrebbe portato via anche lei. Troppo leggera per rimanere, stava già volando via...
- La Lena che ti ama non ti lascerebbe per niente al mondo - Parole pesanti quanto piume vorticarono per la stanza. Lo guardava mentre pronunciava quella che era al tempo stesso una dichiarazione ed una condanna. Così tanta intensità in un solo sguardo.
- Eppure è colpa sua se adesso siamo divisi - Oh, Ben, se solo non mi avessi amata, se solo non ti avessi amato... Mi avresti ancora. Ti avrei ancora.
- Questo, la tua parabatai, non riesce proprio a perdonarglielo - L'intensità del suo sguardo e di quelle parole lo colpirono come uno schiaffo in pieno viso. Per un attimo barcollò confuso, un'instabilità emotiva che si ripercuoteva sul suo corpo. Si appoggiò alla parete, avrebbe giurato di poter cadere.
Forse i cacciatori non hanno un equilibrio così buono.
Tu sei sconvolta. Tu non sai quello che dici. Magari non oggi, magari non domani, ma abbiamo tutta la vita davanti. Hai una vita davanti a te, Lena, un futuro. Ma se te ne vai... - Gli si ruppe la voce e per qualche secondo non fu in grado di continuare. La mano con cui non si appoggiava al muro copriva il suo viso, le dita scosse da un tremolio che solo lei era in grado di percepire.
- Se te ne vai, Lena, non c'è futuro. Se adesso te ne vai, sarà stato tutto inutile - Non osava guardarla, il suono della sua voce era già abbastanza per destabilizzarlo.
Se non me ne vado impazzirò. Il dolore mi ucciderà - Nei lungi attimi di silenzio che seguirono l'unico suono che si percepiva era quello che producevano le sue unghie mentre raschiavano il muro. Non si mosse di un millimetro.
Alla fine fu Lena a muoversi. Non col corpo, però. La sua voce si mosse per lei.
- Ma non lo senti quanto mi fa male, Ben? - La stanza non era vuota, allora perché sentiva l'eco intorno a sé?
Non lo senti quanto mi fa male, Ben? Ben? Non lo senti? Mi fa male, non lo senti? Ma non lo senti quanto mi fa male? Lo senti, Ben?
Perché quando si è parabatai basta chiudere gli occhi per sentire ciò che sente l'altro. 
Ma non lo senti quanto mi fa male, Ben?
Chiuse gli occhi. Tutto ciò che sentiva era il grande vuoto che gli si era aperto dentro.
Con quale coraggio le diceva che poteva sopportarlo?

Si staccò di scatto dal muro, aveva un disperato bisogno di sfogarsi su qualcosa, e si ritrovò lei davanti. Frustrato fece dietrofront. Tutto ciò che aveva voglia di prendere a pugni in quel momento era il proprio viso, ma si accontentò ugualmente di colpire il muro.
Successe così velocemente che Lena se ne accorse solo quando vide la rientranza che era comparsa nella parete e i pezzetti di intonaco che venivano giù tra scie di polvere. Lo sguardo si spostò automaticamente su Ben.
E questa vorresti chiamarla abitudine?
Il suo petto si alzava e si abbassava in movimenti rapidi e sincopati, teneva la mano destra vicino alla gamba, penzolava con le dita semichiuse in una posizione rigida. Dalle nocche sbucciate goccioline di sangue cadevano sulla moquette. Anche lui la guardava. Niente ebbe più importanza.
Lena ci mise meno di un secondo a raggiungerlo.
Che ti sei fatto? - una domanda mormorata come un rimprovero mentre si inginocchiava ai suoi piedi e sfiorava in punta di dita la mano ferita. Avrebbe voluto fargli un'iratze, ma non era più la sua parabatai e quella runa avrebbe avuto più effetto se se la fosse tracciato da solo.
Oh, Ben... Che ti sei fatto? - Di battaglie ne aveva combattute, di ferite ne aveva viste e subite eppure non riusciva ad essere insensibile quando a versare il sangue era lui. Se solo si fosse resa conto che una mano rotta non era nulla in confronto al male che gli stava facendo...
- Non è niente - E per un attimo fu tentato di spostare il braccio perché l'orgoglio del guerriero gli diceva di non lasciarsi compatire, eppure non lo fece. Non c'era orgoglio davanti a Lena. Non si sottrasse a quel tocco leggero, anche se bastava a ricordargli che non era fatto d'acciaio.
In un gesto spontaneo e tremendamente giusto Lena avvicinò il viso e lentamente baciò ognuna delle nocche ferite.
Il suo sangue sulle sue labbra.
Sapeva che non avrebbe resistito a lungo senza toccarla, non ci provò nemmeno a resistere. L'altra mano, quella sana, si posò come calamitata sul suo viso. Accarezzò la guancia morbida, lo zigomo scolpito; sfiorò le piccole efelidi vicino la curva dolce del naso; e poi ancora su: le palpebre di quegli occhi che aveva chiuso, le sopracciglia, la fronte liscia, l'attaccatura dei capelli ambrati. Qualcosa brillò agli angoli dei suoi occhi, l'attirò a sé e non servì vedere le lacrime per sapere che stava piangendo. Piangeva inginocchiata davanti a lui, abbracciando la sua gamba. Ad un punto smise di contenere i singhiozzi, li lasciò uscire rumorosi, disperati, sinceri. Piangeva e non c'era modo di farla smettere.
Ma non lo senti, Ben?
- No. Non lo sento, Lena. Mi dispiace così tanto. Non lo sento. Non lo sento più -.

Piangeva mentre spostava il viso dalla sua gamba. Piangeva mentre si alzava in piedi, mentre afferrava per il manico il borsone. Piangeva mentre spingeva in basso la maniglia, mentre apriva la porta, mentre passava accanto a quelle persone che, là fuori, attirate dalle grida, avevano probabilmente origliato tutto il loro discorso. Piangeva quasi correndo per quel corridoio che non avrebbe più attraversato, per quei ricordi che stava scansando. Piangeva perché sentiva dietro di sé i passi di Ben e perché sapeva che stavolta non poteva raggiungerla.
Pianse quando uscì dall'Istituto, quando fuori il vento la spinse indietro. Quando lui la chiamò per la centesima volta.
Quando urlò una parola a cui, prima di allora, aveva sempre risposto.

Non fermarti.
Si fermò. Immobile per un attimo mentre tutto dentro di lei correva.
Non si voltò. Non rispose. Riprese a camminare.
Sul suo viso c'erano lacrime che non si sarebbero mai asciugate.


La parola rimase sospesa nell'aria mentre se ne andava.
Urlata, come una domanda.





«Sempre».

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Capitolo 27
*** L'unica sola verità ***



Eccomi!
No, non mi ero persa chissà dove, solo che non credevo fosse una buona idea pubblicare questo ultimo capitolo prima di aver scritto l'epilogo, che in effetti ora come ora ho solo iniziato a scrivere.
In realtà all'inizio questo doveva essere l'epilogo (ovviamente la parte finale sarebbe stata diversa, ci sarebbe stata un'effettiva fine) poi però sono subentrate altre idee, nonché il sospetto che finirla qui sarebbe stato un po' troppo semplicistico.
Ma parliamo di cose serie... Udite, udite: in questo capitolo fanno da comparse (?) due personaggi di cui non ho ancora scritto ( in realtà di cui non ho ancora neanche letto). Avendoli stalkerati a lungo (ahahahah) ho cercato di rimanere fedele a quel poco che sapevo di loro, ma per vari motivi potrebbero non corrispondere a quelli originali. Anzi, sicuramente ci sarà qualcosa che non corrisponderà e Cassandra voglia perdonarmi se ho osato violentarli in questo modo! Ahahahah
Devo ringraziare principessac, Grace0191 e Stellina1993 innanzitutto per le loro belle parole, poi per la pazienza dei miei ritardi e per il tempo che spendono a leggere la mia storia: grazie davvero!
Spero che questo ultimo capitolo non sia una delusione ed anche se lo fosse, in effetti, apprezzerei se qualcuno me lo dicesse...
Un bacio (anche a voi cari lettori silenziosi), Akilendra


Ah, le frasi in inglese centrate ed in corsivo all'interno del capitolo appartengono al testo di due canzoni: la prima è da Ink dei Coldplay, le altre sono da I Bet my life degli Imagine Dragons.
Boh, questo capitolo mi ispirava molta musica... 
Secondo Ah (mi ricordo le cose all'ultimo minuto) proprio alla fine ci sono delle frasi che dice Ben, prese dal capitolo 18 (Questa non è una favola), probabilmente si capisce ma volevo specificarlo.
Detto ciò, non ci sarà più nessun "Ah"...  Credo.







27. L'unica sola verità





Tre anni dopo, a Los Angeles



Il sole ondeggiava indeciso se spegnersi oltre l'orizzonte o continuare a brillare. I suoi raggi si riflettevano sull'asfalto, sui vetri specchiati dei grattacieli, sulle palme nelle aiuole dei marciapiedi. Non un filo di vento smuoveva quell'aria intrisa di salsedine, Lena la sentiva addosso; i capelli, ramati alla luce del tramonto, le pesavano sulle spalle. Sfilò dal polso un elastico sperando di riuscire a domarli in una crocchia, quando questo si spezzò, le onde ambrate le ricaddero addosso, alcune ciocche le si appiccicarono alla pelle sudata del collo. Alzò gli occhi al cielo.
Sbuffando per spostare un ciuffo di capelli dal viso, si chiese come facessero gli Shadowhunters di lì ad indossare la divisa da cacciatori con quel caldo. A lei sembrava ancora insopportabile, ma del resto non era una che si abituava in fretta alle cose. Non le era bastato un anno per abituarsi a Los Angeles, sospettava che ormai non sarebbe più accaduto.
Forse avrebbe continuato a meravigliarsi di quelle strade che si accavallavano una sull'altra come le gambe di una signora, del sole cocente che faceva apparire piccole efelidi sulle sue guance e le schiariva i capelli , della gente che in estate girava in costume. Forse non si sarebbe mai conformata alla pazzia locale ed avrebbe continuato ad aspettare che scattasse il verde del semaforo per attraversare la strada. Forse non l'avrebbe mai sentita casa, eppure era rimasta dopo tutto quel tempo passato ad andarsene.
Aveva viaggiato, due anni con la valigia in mano, aveva oltrepassato più portali di quanti se ne potessero contare, conosciuto persone difficili da dimenticare. Non si era fermata mai. Mai, fino a quando non si era imbattuta nell'Istituto di Los Angeles.
Era stato strano dopo due anni trascorsi rimbalzando da un luogo all'altro — nessuno mai le sembrava abbastanza lontano — fermarsi, ancora più strano era stato tornare indietro. Indietro, di nuovo in America, così vicina ai ricordi, così vicina a quella che per lei sarebbe sempre stata casa, così vicina a...
Accelerò il passo concentrandosi solo sul suo respiro, l'aria che entrava ed usciva dal polmoni.
Dentro e fuori, fuori e dentro, ancora e ancora: un trucco che aveva imparato in India. I pensieri sbiadirono, si consumarono piano, scivolarono via come sabbia tra le dita e azzerarono la mente.
Funzionava sempre, per poco, ma funzionava sempre.

Il sole era appena tramontato e una sottile nebbiolina avvolgeva già ogni cosa. La chiamavano June gloom* e non c'era modo di sfuggirle; la prima volta che ci si era trovata dentro Lena aveva pensato ad una sauna naturale. Umidità, soffocante, appiccicosa; l'uniforme aderiva perfettamente al suo corpo come una seconda pelle. Quel giorno toccava a lei la ronda e Lena sperò con tutta se stessa che, se ci fossero stati demoni nei paraggi, anche loro avrebbero sofferto il caldo.
Gli occhi setacciavano la foschia, facevano lo slalom tra le persone, cercavano bersagli su cui provare i suoi nuovi coltelli. Si trattenne più del dovuto ma, con tutta la buona volontà, tornò all'Istituto con le lame ancora perfettamente intonse.

L'Istituto di Los Angeles non era antico come quello di Roma, né alto come quello di Hong Kong, eppure ispirava una certa ammirazione. A Lena era sembrato fin da subito, con la sua architettura simmetrica, un luogo accogliente. Col tempo aveva capito che ciò che possedeva di più prezioso, lo serbava al suo interno.
Mentre si avvicinava all'edificio sollevò lo sguardo come faceva sempre, una figura se ne stava appoggiata dietro il vetro della finestra più alta, Lena fece incrociare i loro sguardi, come sempre.
Blu contro blu.
Rallentò il passo per non arrivare prima di lei e si ritrovò a sorridere quando fu la ragazza ad aprirle il portone.
- Più veloce! - Come sempre
- Si, Emma, sei la più veloce - ridacchiò scompigliandole le chioma bionda e lei si scansò per lasciarla passare. Mentre si aggiustava i capelli con le mani, chiuse la porta con un piede.
Emma Carstairs era una forza della natura, una di quelle che solo a guardarla ti veniva il mal di testa. Fiera, orgogliosa, una tipa tosta; nei combattimenti dava del filo da torcere ai cacciatori più grandi di lei. Tutti pensavano che un giorno sarebbe stata una cacciatrice degna di questo nome. Secondo Lena lo era già.
I primi tempi all'Istituto l'aveva considerata una ragazzina piena di sé, con i suoi quindici anni credeva di poter mettere a soqquadro il mondo. Un anno era servito non a farla cambiare, ma a far cambiare l'opinione di Lena. Aveva imparato che sotto quella maschera di presunzione si nascondeva un dolore troppo grande per la sua giovane età; le avevano raccontato la sua storia e lei non aveva potuto fare a meno di rispecchiarsi in quegli occhi blu così simili ai suoi. Vivere da orfana non era una passeggiata, vivere con il desiderio di vendetta ti faceva crescere in fretta.
Oh Lena, non è per quello che le somigli. 
Gli occhi corsero al braccio della ragazza, scorsero una runa che lei un tempo aveva incisa sul petto e lì si fermarono. Ancora una volta, come tante altre, solo per torturarsi un po'.
Emma aveva un parabatai.
Emma lo guardava in uno strano modo.

Julian Blackthorn era il cucchiaino di zucchero senza il quale non puoi bere il caffè. Jules addolciva Emma e lo faceva in un modo in cui non te lo saresti mai aspettato. Riflessivo, caparbio, trovava sempre il modo migliore per uscire da una situazione, portava sulle spalle una grande responsabilità senza mai lamentarsene. Divertente senza mai essere offensivo, onesto ma mai cinico, un grande ascoltatore, un fedele amico, un artista. Un buon parabatai.
Emma aveva iniziato a fidarsi di Lena solo quando l'aveva fatto anche Jules.
Jules... Lui era così diverso da...
- Allora? La cena è pronta, non vieni? - Fu una liberazione essere trascinata via dalle grinfie dei propri pensieri. Lena tirò un respiro di sollievo e seguì Emma.
Attorno al grande tavolo scuro erano riuniti i piccoli Blackthorn: Drusilla era intenta da fabbricare palline con la mollica del pane; Octavius aveva già cominciato a mangiare ignorando bellamente chi non si era ancora seduto a tavola; Tiberius aveva girato la sedia ed ora parlava sottovoce con la gemella Olivia; Ariadne piagnucolava in braccio a Julian mentre questo cercava di imboccarla. Lena si fermò sulla soglia della sala e si prese un attimo per ammirare l'insolita banda.
- Dov'è Arthur? - chiese al più grande notando l'assenza dello zio. Come spesso capitava, Emma rispose per lui.
- È in soffitta a leggere qualche stupido libro più vecchio dell'interno Mondo Invisibile - Lena si accigliò. Arthur Blackthorn avrebbe dovuto dirigere l'Istituto, prendersi cura dei nipoti e di Emma... Tutte cose di cui si occupava Julian.
Fece dietrofront intenzionata a trascinarlo giù per le scale a forza, ma Jules, che si era alzato dal tavolo, la raggiunse afferrandola per un braccio.
- Per favore, lascia stare, Alena. Non è importante - Avrebbe avuto qualcosa da ribattere, ma poi lo guardò. La piccola Ariadne aggrappata al corpo come un koala, schizzi di purè sui pantaloni, i capelli scompigliati dalle manine della sorella; pensò che fosse più intelligente dargli una mano che buttarsi nell'ennesima crociata contro lo zio. Tese le braccia in avanti in una tacita offerta di aiuto, Julian le affidò la sorella con la gratitudine negli occhi.

Lena aveva girato il Mondo Invisibile, era stata ospitata negli Istituti più prestigiosi, trattata con i guanti perché, anche se cercavano di non darlo a vedere, tutti conoscevano la sua storia. Lì era diverso. I Balckthorn vivevano in una specie di bolla di sapone, un po' staccati da tutto; per Jules era già abbastanza prendersi cura dell'Istituto e dei suoi fratelli, non poteva preoccuparsi anche del resto del mondo. Ciò che sapevano di Lena era ciò che vedevano tutti i giorni e quel poco che lei stessa aveva raccontato.
Così quando la guardavano non vedevano niente di più di quello che era, niente preconcetti o pregiudizi, niente frasi mormorate sottovoce quando passava, niente occhiate impietosite. Nessuno all'Istituto di Los Angeles provava pietà per lei o per le cose che le erano successe e Lena non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Dopo due anni passati a scappare si era finalmente sentita al sicuro, aveva sentito di poter avere ancora una possibilità. Per essere un'altra, per essere se stessa, una possibilità per dimenticare e per ricordare. Era tornata a farsi chiamare Alena, il suo nome, ciò che comportava, non la spaventava più: il passato era tale e non poteva fare più male. Solo una cosa continuava a fare male...
No. Non doveva pensarci.
Aiutò la domestica a sparecchiare la tavola per non soffermarsi su certi pensieri, trovando nei lavori di casa un ottimo diversivo. Certo, non era come affondare la lama nel corpo di un demone, ma poteva accontentarsi. Aveva imparato ad accontentarsi di tante cose.
Salì i gradini consumati della grande scala che portava al secondo piano, stava per passare oltre quando si accorse che all'interno della sala della musica la luce era accesa; c'era qualcuno, ma non stava suonando. Si avvicinò silenziosa allo spiraglio della porta, all'interno due figure parlavano fitto fitto.
- ...ci hanno sbattuti in questo Istituto per tenerci all'oscuro di tutto, vogliono tenerci lontani, così non possiamo dargli fastidio, hanno avuto un piano contro di noi per tutto questo tempo. Io non ci sto più, Jules, non lo accetto -
- Abbassa la voce, Emma, vuoi farti sentire da tutti? Non penso che il Conclave... -
- E allora cosa pensi? - 
- Penso che a quelli non gliene importi proprio niente di noi. Non c'è nessun complotto, se ne sono fregati per tutto questo tempo e continuano a farlo -
- E a te sta bene? Che mi dici di Mark e di Helen? Sono passati anni... E i miei genitori? Chi farà giustizia ai miei genitori? Non dirmi che ti sta bene così, Jules. Non ci credo - 
- E cosa vuoi fare? Cosa possiamo fare? - 
- Qui si parla della vita dei tuoi fratelli, della memoria dei miei genitori... Non me ne starò con le mani in mano, non più. Io... Io... - Nel lungo silenzio che seguì, Lena non riuscì a muoversi. Sapeva che doveva andarsene, che non avrebbe dovuto ascoltare una conversazione tanto intima, solo che non ci riusciva. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Il modo in cui si guardavano...
- Emma... - 
- Jules... - 
Il modo in cui ognuno dei due pronunciò il nome dell'altro...
Attraverso il sottile spiraglio, li vide abbracciarsi e provò qualcosa nei confronti di Emma. Una sorta di gelosa malinconia. Si sentì come vittima di un grande torto e si vergognò tremendamente di provare un sentimento del genere nei suoi confronti, a maggior ragione perché sapeva benissimo che non era Julian quel qualcosa che le invidiava...
Emma era la sorella che non aveva mai avuto, Emma non se lo meritava. Era ingiusta.
Si scostò bruscamente dalla porta costringendosi ad ignorare il discorso che proseguiva a bassa voce all'interno della stanza. E sapeva tanto di punizione quell'obbligarsi ad andarsene, quell'arrancare per le scale senza una meta precisa. 
Da cosa stai scappando questa volta, Lena?
Smetterai mai?

Quella sera non si fermò davanti alla porta dietro la quale i bambini fingevano di dormire, non gli diede la sua buonanotte silenziosa, come era solita fare. Camminò lungo il corridoio senza guardarsi indietro e quando arrivò alla sua camera ci si barricò dentro chiudendosi l'uscio alle spalle. Sarebbe stato certamente un piano efficace per isolarsi dal mondo, se solo non avesse condiviso la stanza con Emma.
Quando la ragazza entrò, Lena non era ancora pronta ad uscire da quella piccola bolla di isolamento in cui si era rinchiusa da sola. Emma, com'era sua abitudine, si tuffò accanto a lei sul suo letto, ignorando completamente il proprio. Le gambe incrociate, lo sguardo puntato verso il soffitto, le braccia intrecciate dietro la nuca. Si accorse di conoscerla molto bene quando seppe che stava per farle una domanda prima ancora che aprisse bocca e si preparò a rispondere ad una delle solite domande sui suoi viaggi. Avrebbe chiesto di Tokyo questa volta? Di Amsterdam? O di Londra? Le avrebbe parlato volentieri dell'Africa.
- Alena, posso farti una domanda? - Me l'hai già fatta.
Norvegia? Portogallo? Ad Emma non avrebbe detto di no, le avrebbe raccontato anche della Bulgaria, se solo lo avesse chiesto, le avrebbe...
- Come faccio a sapere quando una cosa è sbagliata? - Oh...
- Voglio dire: so che è sbagliata... Cioè, sarebbe sbagliata per chiunque.. - Ma tu, Emma, non sei chiunque.
- Però... - Però non è così semplice.
- Oh, ti prego, dimmi qualcosa. Non ci capisco più niente! - Che ironia bastarda aveva la vita. Le stava davvero chiedendo quello che aveva appena sentito?
Lena si prese un attimo per riflettere. Non aveva la minima voglia di aprire un discorso del genere e per un attimo fu tentata di liquidare la sua domanda in modo sbrigativo. Tuttavia Emma meritava una risposta migliore e lei le diede la migliore che aveva.
- Vedi... A volte, ciò che è sbagliato per chiunque è tremendamente giusto per te - Certo, la migliore che aveva, ma Lena era sempre stata piuttosto a corto di risposte. Non le aveva per lei, come poteva darle a qualcun altro?
- E allora come si fa? Come faccio a capire quando è giusto e quando non lo è? - Sfilò la testa da sotto il cuscino e si girò per guardarla, ora che anche lei aveva smesso di fissare il soffitto, si ritrovarono occhi negli occhi.
Blu contro blu.
- Lo senti, Emma. Lo senti e basta - A quelle parole la ragazza si alzò in piedi sul letto, il materasso rimbalzò ad ogni suo movimento infervorato.
- E se io lo sentissi? È possibile che io lo senta proprio in questo momento? Mi stai dicendo che non dovrei cercare di forzarmi, se lo sento non devo reprimerlo, giusto? Se lo sento non può essere sbagliato - Per l'Angelo, che stava combinando? Non doveva immischiarsi in certe faccende, non ne aveva forse avuto abbastanza? Non doveva incoraggiarla, non doveva spingerla verso qualcosa che aveva portato lei stessa verso la rovina.
Nessuna rovina, Lena. Nessuna rovina. Stai benissimo, va tutto a meraviglia. Nessuna rovina. Nessuna...
Suonava patetica persino a se stessa. 
Se pure si era persa in quei pensieri, Emma non lo notò intenta com'era nel perdersi nei suoi. Si lasciò ricadere sul materasso. Il braccio corse al petto, la runa incisa su di esso, quella runa, poggiava sul cuore. 
- Io lo sento. Proprio qui, Alena - Pensò che era un disastro e subito si sentì in colpa: solo perché lo era stato per lei, non significava che doveva esserlo anche per Emma. Lei era diversa, lei non avrebbe fatto i suoi stessi errori.
Emma avrebbe lottato perché era una cacciatrice nata.
Emma non sarebbe scappata perché era coraggiosa.
Emma sarebbe rimasta perché non era Lena.

Fece finta di non accorgersene quando nel pieno della notte si alzò dal letto e sgattaiolò fuori. Fece finta di non sapere che stava andando da Jules.

La mattina seguente quando Lena aprì gli occhi, Emma non c'era. Ancora sotto le coperte, stiracchiò i muscoli come un gatto, poi si alzò dal suo letto e si avvicinò a quello rassettato disordinatamente della ragazza. Lo disfece e lo rifece da capo.
Si trascinò fino al bagno e si fermò davanti al lavandino; poco più in alto una tipa con la sua stessa faccia la fissava assonnata. Ciocche sudate di capelli le si erano appiccicate al collo e le pesavano sulle spalle, Lena le spostò distrattamente. Riacquistò l'attenzione quando lo specchio le restituì il suo riflesso, alzò una mano e sfiorò in punta di dita la pelle imbrattata di inchiostro dietro l'orecchio.
Era successo quattro mesi prima, Emma era tornata dalla ronda insieme a Julian con in testa un'idea bislacca. Voglio un tatuaggio, aveva detto. Lena lì per lì le aveva riso in faccia. Era a dir poco ridicolo infatti desiderare un altro segno sulla pelle, erano Shadowhunters e di segni che sarebbero rimasti per sempre ne avevano fin troppi. A cosa le serviva un altro che, a differenza degli altri, era anche inutile?
No, non glielo avrebbe lasciato fare.
A dimostrazione del fatto che avrebbe dato ad Emma anche la luna, se solo gliel'avesse chiesta, non solo il giorno dopo le permise di incidersi sulla pelle quello scarabocchio mondano che voleva, ma si lasciò convincere perfino ad accompagnarla. Non vorrai mica lasciarmi da sola? Non l'aveva lasciata da sola. Per solidarietà aveva imbrattato anche un po' della sua pelle.
Era una piccola rosa, al lato del collo, proprio dietro l'orecchio destro; aveva petali che sembravano morbidi solo a guardarli ed un bel gambo su cui spuntavano delle spine. Era rossa.
L'aveva scelta perché era il suo fiore preferito, perché le piaceva, perché trovava che...
Sei una pessima bugiarda, Lena.



Got a tattoo and the pain's alright
just wanted a way of weeping you inside



Era il 15 Febbraio, era il suo compleanno. Ne aveva già passati due da quando se n'era andata, due senza ricevere una rosa rossa. Per il terzo se l'era regalata da sola, incisa sulla pelle per non passare un altro compleanno senza.
Sospirò appannando un po' il vetro dello specchio. Fece una smorfia al suo stesso riflesso mentre cercava di tirare su i capelli così che non le dessero fastidio; si rese conto ben presto che era un'impresa a dir poco impossibile. Faceva troppo caldo ed erano troppo lunghi per non dare fastidio. Le passo per la testa un'idea per nulla da lei, per questo decise di metterla in atto.
In un'insolita determinazione mattutina cercò, per tutta la stanza e senza troppo successo, un paio di forbici, quindi tornò davanti allo specchio impugnando uno dei coltelli da lancio che le aveva regalato Emma. Tra poco avrebbero smesso di dare fastidio.

Era rimasta a guardarli sulla porta della sala d'addestramento. Emma e Julian erano intenti in un combattimento corpo a corpo che poteva essere riassunto come: "Emma attacca, Julian si difende". L'ammaliava guardare quella furia bionda, era energia allo stato puro, velocità, potenza, un uragano in miniatura. Julian non spiccava altrettanto nei combattimenti a distanza ravvicinata, in compenso era un bravo arciere, un fine stratega. Nella sua mano stava meglio un pennello che una spada ed andava bene così, Jules era un artista. 
- Hai della pittura tra i capelli - Il ragazzo si voltò verso di lei a quella osservazione, notando solo in quel momento la sua presenza. Si fermò, accigliato, la testa inclinata verso sinistra come tutte le volte che osservava con attenzione qualcosa.
- E tu non ce li hai più, i capelli... - Emma approfittò della sua distrazione per metterlo al tappeto. Piccola bastarda. Poi si voltò per vedere cosa aveva attirato l'attenzione del suo parabatai. Le si avvicinò curiosa, alzò una mano e la fece scorrere per tutta la lunghezza delle sue ciocche, dalla nuca fino alla fine del collo. C'erano ancora, erano solo più corti, e Lena sospettava che avrebbero continuato a dare fastidio.
- Stai bene - decretò alla fine. Si sorrisero a vicenda.
- Ora che sei arrivata anche tu ci divertiamo -.

Il divertimento per Emma consisteva nell'inventarsi finti attacchi di demoni a cui lei e Jules dovevano far fronte, inutile dire che Lena finiva sempre col recitare la parte della cattiva.
Quando combattevano insieme si completavano. Julian diventava più intraprendente, Emma dimostrava una maggiore temperanza, anche se a volte tendeva ancora a fare tutto lei. Voleva parare tutti i colpi, proteggerlo da tutto.
Parabatai.
Allenarsi con loro per Lena era un po' come riavvolgere il nastro del tempo. Li guardava battersi fianco a fianco, guardarsi le spalle, proteggersi a vicenda secondo quell'istinto naturale che veniva da dentro. Era una dolce tortura alla quale non poteva rinunciare. Rubava con gli occhi quei momenti a loro che li vivevano ed incoscienti non si rendevano conto di quanto fossero preziosi, rari. Di quanto facilmente avrebbero potuto perderli. Perdersi. 
Lena viveva di ricordi ed aveva paura che sbiadissero, rubava quelli degli altri per non consumare i propri.

Finita una sessione Julian era sempre il primo ad andarsene, correva a fare una doccia perché non sopportava il sudore addosso. Emma e Lena rimanevano sempre qualche minuto da sole prima di andare ed ogni volta, in muto accordo, si sedevano a terra e si prendevano cura dei coltelli. Le loro erano decisamente le lame più affilate di tutto il Mondo Invisibile.
- Quando la smetterai di lasciarci vincere? - sbuffò la bionda, le gambe incrociate ed un broncio da bambina.
- Quando vuoi la smetterete di farmi fare la parte del demone - ribatté Lena. Sorrisero, sincronizzate.
- Dovresti essere un po' meno apprensiva nei confronti di Julian quando combattete insieme. Non puoi parare tu tutti i colpi, lascia che ogni tanto sia lui a difendere te. È importante, Emma - La ragazza non alzò nemmeno gli occhi dalla lama, non era la prima volta che glielo diceva.
- Mi viene naturale - si difese come faceva ogni volta.
- Lo so - Silenzio. Suoni di metallo nell'aria. Emma si bloccò, riprese ad affilare i coltelli, si bloccò ancora. Lena era sicura che le stesse per chiedere qualcosa, ma poi tornò al suo lavoro. Si disse che fu per quello che quando la domanda arrivò la trovò completamente impreparata, ma la verità, e lo sapeva anche lei, era che non sarebbe mai stata pronta ad una domanda del genere. Non sarebbe mai stata pronta a sentire di nuovo quel nome quando aveva passato tre anni a non nominarlo neanche con la mente.
- Chi è Ben? - Era scappata, se n'era andata, aveva messo tra loro quanti più chilometri aveva potuto, aveva girato il mondo. Era tornata al punto di partenza.
- Chi... Chi te ne ha parlato? Chi te l'ha detto? - Aveva giurato che ci avrebbe messo una pietra sopra, provato a levare dalla testa ogni pensiero che lo riguardasse. Era rimasta vuota.
- Chiami il suo nome ogni notte - Aveva provato a cancellarlo. Se l'era tatuato sulla pelle.
- È il tuo parabatai? Perché non sei con lui? - Strinse nella mano la lama del coltello e questa affondò nella carne; l'impugnatura divenne viscida a causa del sangue. Si era illusa che quel dolore potesse essere abbastanza per non scivolare via, ma non lo sentì nemmeno.
Emma le si buttò addosso togliendole il coltello di mano. I lineamenti contratti ed il respiro corto, come se fosse stato suo il sangue che imbrattava il pavimento. Aveva accantonato completamente il discorso e si rigirava tra le dita le sue mani ferite. Lena rispose comunque.
- Era. Era il mio parabatai, ora non lo è più - Emma ansimò, sul suo viso si alternarono confusione, incredulità, rabbia persino. Quella rabbia che nasce perché vuoi troppo bene. Le scivolò di bocca una risata nervosa, parlò con una spontaneità disarmante.
- Questa è la più grande cazzata che io abbia mai sentito! - Lena avrebbe voluto urlarle contro che non capiva - Non si smette mai di essere parabatai -.

La sua giornata passò a rallentatore, la sequenza di fotogrammi all'interno di una pellicola. Guardò accadere le cose senza viverle, faceva tutto senza fare niente. Ritirata in un angolino della mente, accovacciata tra pensieri che turbinavano, immobile mentre tutto si muoveva. Era più semplice far finta che non stesse accadendo a lei, che i ricordi appartenessero ad un'altra persona e ad un'altra vita. Era più semplice far finta di non aver mai avuto un parabatai, o almeno così si costringeva a credere.
La verità era che Emma non poteva capire.
Per tutto il tempo non fece che ripetersi che era una fase, l'ennesima prova, se lo ripeté così tante volte che finì col non avere più dubbi al riguardo. Una fase. L'avrebbe superata e sarebbe tornata alla sua vita: a Los Angeles, con Emma e Julian. Sì, non doveva fare nient'altro, era semplice, così semplice... tremendamente semplice. Eppure un tempo, che ora sembrava lontano anni luce, aveva detto di non aver mai voluto che fosse semplice.



I know I took the path that you would never want for me
I know I let you down, didn’t I?
So many sleepless nights
Where you were waiting up on me
Well I’m just a slave into the night



Sospirò stanca e questa era forse l'azione che aveva compiuto con più vitalità in tutta la giornata. Dato che non poteva tenere occupata la testa, si impose di tenere occupate almeno le mani; così piegò la divisa che aveva indossato quel giorno, la piegò tre volte, ognuna peggio della precedente. Spalancò le ante dell'armadio e cominciò a tirare giù dalle stampelle un indumento alla volta, lo buttava sul letto e lo piegava fin quando non perdeva il conto delle volte. Impilò tutti gli abiti sul materasso, poi tornò davanti all'armadio. Ne mancava solo uno, l'aveva ignorato fin quanto c'erano stati altri vestiti davanti che potevano coprirlo, ma ora non c'era più niente dietro il quale potesse nasconderlo. Era una divisa da Shadowhunter, la pelle nera ormai logora sui gomiti e sulle ginocchia, la misura leggermente più piccola di come le portava ora.
Le mani corsero ai lembi della maglietta che indossava, li afferrarono e li sollevarono fino a sfilarla dalla testa, poi slacciarono i pantaloni, lasciò che scivolassero a terra e li scavalcò. Fece un passo e poi un altro, si ritrovò dentro l'armadio. Come aveva fatto con tutti gli altri abiti tirò giù anche quella divisa dalla sua stampella, quando la indossò la sentì aderire addosso come una seconda pelle. Tremendamente familiare.
Le dita accarezzavano il tessuto morbido e confortante: il colletto alto, i rinforzi sui gomiti e sulle ginocchia, la pelle elastica sulle spalle, il piccolo taschino all'altezza del petto... Lì si fermarono.
Qualcosa sporgeva oltre l'orlo, le sue dita vi indugiarono a lungo. Lena sapeva cos'era, l'aveva messa lì perché pensava che quella divisa non l'avrebbe indossata mai più.



Now remember when I told you that’s the last you’ll see of me
Remember when I broke you down to tears
I know I took the path that you would never want for me
I gave you hell through all the years



Lentamente la sfilò dal sul nascondiglio. I bordi, lì dove era stata piegata, erano consumati e segnati da piccoli strappetti. Una lettera. 
Quante volte l'aveva stretta tra le mani i primi tempi che se ne era andata? Quante volte ci aveva pianto sopra prima di addormentarsi? Poi l'aveva relegata nella tasca di quella divisa che non usava mai, infondo all'armadio per non doverla vedere ogni volta che lo apriva. L'aveva nascosta lì e aveva fatto finta di dimenticarsene, così come aveva fatto finta per altre mille cose.
La stese piano stirandola sulle ginocchia; in alto, attaccate al bordo, spiccavano parole più volte ricalcate. La grafia storta e pendente. 
Non leggere.
Una richiesta, che richiesta non era, a cui non era mai andata contro. Prima di allora...

"...perché, Lena, sei la compagna di sempre, l'unica amica che ho e che vorrei, sei la sorella oltre il sangue, sei la mia parabatai ed infinitamente di più. Di più di quanto riuscirei mai a scrivere o a dire, di più di quanto riuscirei mai a rendermi conto o a pensare. Sei di più e basta, un punto fermo nel mio mondo che non smette un attimo di girare. Io non smetto un attimo di girare, ma per quanto possa farlo, per quanto possa perdermi, vagare, allontanarmi, sono tornato, torno e tornerò sempre da te. Sempre..."

Forse non era Emma quella che non capiva, forse era stata lei, per tutto quel tempo a non capire.

Non si smette mai di essere parabatai.



So I bet my life on you



Smise di leggere, tutt'un tratto le parve assolutamente inutile. Si rese conto che c'erano molte altre cose che doveva fare, cose che avrebbe dovuto fare molto tempo prima. Uscì dall'armadio con la vecchia uniforme addosso e cercò per tutta la stanza un foglio ed una penna.
In cima alla lista di quelle cose c'era: "scrivere".



* * *

Julian non sopportava la sensazione del sudore quando ti si asciuga addosso. Era inutile il sudore, qualcosa di veramente inutile. Nella sua personale classificazione del mondo ciò che non aveva colore e non poteva essere disegnato era inutile ed il sudore quasi non aveva colore.
Julian vedeva colori ovunque.
No, non come tutti. Se per chiunque una bottiglia era verde, per lui poteva benissimo essere viola. Il fatto era che non si fermava all'apparenza delle cose, scavava a fondo, non si accontentava dello strato più esterno, vedeva senza usare gli occhi. Lo faceva anche con le persone ed era inquietante, tutti quelli che conosceva avevano un colore e a volte più di uno. L'unica che rimaneva una tela bianca era Emma.
Un controsenso a pensarci bene, dato che la conosceva come le sue tasche avrebbe dovuto trovarle tavolozze e tavolozze di colori diversi... Ma no, Emma non aveva un colore, Emma non poteva avere un colore e neanche più di uno, non c'era sfumatura che poteva darle giustizia.
Per Emma non bastavano i colori.
Ed era per questo che nella camera di Julian, vicino la finestra ed in mezzo a tutte le altre tele, ce n'era sempre una diversa dalle altre.
Sempre la stessa, sempre bianca.

Emma non aveva mai bussato prima di entrare nella stanza di Jules. Non lo fece neanche quella volta e quando mise piede nella sua camera lo trovò di spalle, a fare ciò che faceva sempre quando aveva un po' di tempo libero. Seduto sull'immancabile sgabello, fissava quella tela bianca con un'intensità disarmante ed Emma non avrebbe saputo dire se l'amasse o l'odiasse, se un giorno l'avesse colorata o se sarebbe rimasta così: bianca e vuota.
Forse per Julian era già piena.

Gli si avvicinò da dietro e sollevò una mano per poggiarla sulla sua spalla ed attirare così la sua attenzione, ma questo si voltò prima, negli occhi i colori che mancavano sulla tela. Il suo sguardo vagò sul viso di Emma, poi si spostò sulla mano che teneva stesa vicino al fianco ed a ciò che stringeva nel pugno.
Un foglio?
- Una lettera - disse la ragazza sollevando il pezzo di carta tra le sue dita. Gli occhi blu tradivano il bisogno di condividerne il contenuto con il suo parabatai.
- Da parte di Alena - Aspettò che Emma si sistemasse sulle sue gambe e la cinse con le braccia.
- La leggiamo? - chiese, dato che lei non accennava a volerla aprire. Era agitata anche se cercava di non darlo a vedere; ma Julian non vedeva, Julian sentiva.
- Sì, ma facciamolo insieme - gli rispose in un soffio, lui sorrise. Afferrò un lembo del foglio e lasciò a lei l'altro.
- Come sempre -. 


* * * 


Non aveva mai corso così in tutta la sua vita.
E dire che era una Shadowhunter, avrebbe dovuto essere allenata, avrebbe dovuto essere preparata. Solo che non c'era assolutamente nessun allenamento che avrebbe potuto prepararla a quello.
Non aveva mai corso così in tutta la sua vita.

E quando era arrivata dal Sommo Stregone di Los Angeles, che non era Magnus ma un portale sapeva farlo, per poco non le restava più un filo d'aria per far muovere le sue corde vocali. Alla fine cercando di non sputare un polmone, che le servivano ancora entrambi, era riuscita a fare la sua richiesta. Ed era stata esaudita, la sua richiesta.
Mai era stato più difficile concentrarsi per evocare nella propria mente un'immagine davanti al portale. Aveva in testa un turbinio di pensieri annodati ad emozioni e ricordi, una matassa talmente incasinata da risultare quasi impossibile da districare. Il risultato era stato che, mentre lo attraversava, il portale aveva fatto così tanta fatica a riconoscere la destinazione che l'aveva catapultata praticamente dall'altra parte di San Francisco. Poco importava: aveva attraversato la città a piedi, era arrivata all'Istituto, aveva spalancato la porta come una furia, aveva urlato — con quale fiato non lo sapeva. Era tornata a casa.
Si era illusa che l'Istituto di Los Angeles fosse il luogo per lei, ma ora che era di nuovo lì, come mai avrebbe immaginato, si rendeva conto di quanto fossero sciocche le sue presunzioni. Non c'era un solo posto nel mondo, e lei lo aveva girato quasi tutto, che fosse come San Francisco. Aveva passato così tanto tempo a raccontarsi bugie, quando c'era un'unica sola verità. Lei era lì per un'unica sola verità.




I’ve been around the world and never in my wildest dreams
Would I come running home to you
I’ve told a million lies
But now I tell a single truth
There’s you in everything I do




In quei tre anni in cui credeva di star cercando di dimenticarlo la verità era che gli aveva dedicato ogni gesto. Se ne rendeva conto solo ora in effetti: ogni cosa era per lui, in ogni singola cosa che aveva fatto c'era un po' di lui.



- Non ho capito bene - disse cinerea, Eleanor ripeté addolorata ciò che cercava di dirle da quando era entrata come un uragano nell'Istituto.
- Benjamin non c'è. Non è più qui con noi - Lena scattò in avanti, azzerando la distanza tra di loro ed urlandole senza controllo in faccia.
- Come sarebbe? Che vuol dire che non è più qui con voi? Rispondimi! Che vuoi dire? - La donna investita dalla sua furia le posò una mano sul petto cercando di fermarla.
- Voglio dire che lui non è qui, non è all'Istituto né a San Francisco - La vide appoggiarsi al muro, incapace di reggersi in piedi. L'espressione sconvolta, esausta, sollevata infondo. Per un attimo aveva pensato...
- Okay... Va bene, okay. Dove... Ora. Dov'è andato? Dov'è ora? - Articolare un'intera frase di senso compiuto, nel tremendo stato confusionale in cui si trovava, sembrava impossibile.
- Non lo so, è terribile: io e Nicholas non abbiamo sue notizie da un paio di anni ormai... Oh, Lena, fatti abbracciare! Non sai quanto mi dispiace! Non sai quanto sono in pena per lui e quanto lo sono stata per te, in un colpo solo ho perso due figli! - Due anni... E non avevano la più pallida idea di dove fosse...
- Non è possibile... - Sentì mancarle il terreno sotto ai piedi.
- Per l'Angelo! -  Eleanor corse a sorreggerla prima che potesse cadere a terra.
- No, non è possibile... - No...
- Oh, Lena, ti prego... - Non le interessava minimamente per cosa la stesse pregando, la interruppe prima. Una determinazione così disperata nella voce che nessuno avrebbe mai potuto dubitare delle sue parole.
- Io lo trovo. Mi hai sentito, Eleanor? Io lo trovo Ben, ti giuro che lo trovo - Le prese il viso tra le mani mentre lo diceva e quella non poté fare a meno di notare che fosse incredibilmente più donna di come l'aveva lasciata. Era cresciuta, poteva leggerglielo in faccia, nel tocco delle sue mani, nella sua voce... Quando avrebbe voluto rivedere suo figlio, chissà se anche lui era finalmente diventato un uomo...
La lasciò di botto, infervorata, fuori controllo, ma pur sempre determinata.
- Lo trovo. Dammi un mano, sbrigati! Un cartina, un planisfero, un mappamondo... deve esserci un cazzo di mappamondo in questo Istituto! - imprecò tra i denti. 
- Sì... Nella biblioteca, credo - Non se lo fece ripetere due volte e corse verso le scale. 
Quasi la buttò giù la porta della biblioteca quando la aprì ed entrò dentro. Lo sguardo corse veloce ad ogni angolo della sala e si fermò smanioso su un antico mappamondo di legno; da come lo puntò Eleanor avrebbe detto che avrebbe distrutto anche quello ed in effetti non si sbagliò di molto. Lo raggiunse in fretta e lo agguantò con una prepotenza — che mai le era appartenuta — da far spezzare i vecchi e fragili assi di legno che lo tenevano dritto.
Si rigirava fra le mani la palla di legno su cui era dipinto tutto il mondo, la guardava e la riguardava come se lei stessa avesse potuto darle una risposta da un momento all'altro. Ci passò dieci minuti buoni, finché non la fermò tra le sue dita; aveva le mani ai lati opposti della sfera, in modo da farla rimanere in equilibrio. Eleanor non osò chiederle a cosa stesse pensando.
Dove sei, Ben? Dove sei?
Lentamente, in un movimento così diverso da quelli con cui l'aveva maneggiata finora, spostò la sfera tra le sue mani. Un dito cercò San Francisco, il palmo ci si posò sopra; l'altra mano si spostò automaticamente dall'altra parte del mappamondo. Il punto opposto della terra.
Oceano Indiano, il punto opposto della terra.
C'era qualcosa di fastidiosamente errato in quell'affermazione, Lena lo sentiva, lo ricordava... Solo che le sue mani ce le aveva davanti agli occhi, inconfondibili, perfettamente ai punti opposti del mappamondo. No, non due punti, due poli... Sì, ai poli opposti della terra... Ci spediranno ai poli opposti della terra... Era un ricordo sfocato. Inclinò la testa di lato, respirò rumorosamente.

...Stai delirando, non ti rendi nemmeno conto di quello che stai dicendo, Lena... Pensi di essere pronta a dire la verità?... Ho già detto che ci divideranno? Ci spediranno ai poli opposti della terra...

Stette ancora ferma un momento e poi la sua mano si mosse da sola, risalì piano la curva della sfera tra le sue dita e si fermò in un punto. Non era esattamente il polo opposto della terra rispetto a San Francisco, era dalla parte opposta sì, ma alla stessa altezza.
Dopotutto Ben non era mai stato un asso in geografia.

... una a San Francisco ed uno... In Tibet. Mi spediranno nel fottuto Tibet e mi lanceranno dall'Everest...



Il fottuto Tibet.

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Capitolo 28
*** Epilogo {Parabatai} ***




Dopo un'attesa che neanche la Claire, eccomi finalmente qui! Ce l'ho fatta, più o meno...
È un piacere e un dovere ringraziare ogni singola persona che ha seguito, ricordato, preferito e recensito questa storia, un piccolo grande risultato considerando che le mie aspettative erano pari a zero. Devo averlo già detto, ma lo ripeterò, abbiate pazienza: questa storia è nata dal nulla, dai miei stupidi filmini mentali da lettrice in astinenza; perciò in fin dei conti, da come è partita, devo dire che è andata fin troppo bene. Mi lusinga e mi scalda il cuore sapere che qualcuno l'abbia apprezzata e che qualcuno, oltre me, abbia in parte acquietato il suo bisogno di leggere grazie alle "mie" parole.
Ci ho messo un'infinità di tempo a portare a termine quest'epilogo perché mi sentivo in dovere di tirar fuori una roba più o meno decente... Credo che Ben e Lena siano i due personaggi più "strutturati" che ho creato finora, so che sono quelli di cui ho più amato scrivere.
Inutile dire che non sono sicura di aver centrato l'obiettivo, ma ci ho provato e questo francamente mi basta per raggiungere una certa pace interiore ahahah
C'è da dire che io la storia l'avevo praticamente scritta tutta quando ho iniziato a postarla qui su efp, solo che poi i capitoli hanno cominciato a mutare in corso d'opera (molto da me, in effetti) e sull'epilogo, così come me lo ero immaginato (e l'avevo immaginato nei minimi dettagli, credetemi) ci ho messo una bella pietra sopra. L'unica cosa che è rimasta intatta di quello vecchio è la scena finale, la sua atmosfera. È un po' il senso di tutta la storia, è così e lo era fin da quando ho iniziato a scriverla. E mi scuso fin da ora se qualcuno avrebbe voluto qualcosa di diverso, se non è come se lo aspettava... Potevo cambiarlo in effetti, scrivere tutt'altro, ma non ho voluto. 
Sento che ci sarebbero altre mille cose da dire, ma non vorrei davvero che queste note finissero con l'essere lunghe quanto l'epilogo stesso, epilogo per cui vi ho fatto aspettare giorni e giorni, sarebbe a dir poco ironico!

Grazie per il sostegno, per le belle parole che qualcuno mi ha scritto, per averci creduto... Grazie.

Grazie.










Epilogo

{Parabatai}





Due mesi dopo, nel fottuto Tibet



Il vento tibetano le sferzava la pioggia in faccia come un padre scorbutico che distribuisce schiaffi alla figlia ribelle. Lena non aveva mai provato sulla propria pelle una pioggia del genere, con quel caldo poi: c'era un sole che spaccava le pietre e l'Angelo la mandava giù a secchiate.
Incoerente, ecco come avrebbe descritto il clima del Tibet, volendo essere fine.
Di merda, ecco come avrebbe descritto il clima del Tibet, volendo essere realistica.
Anche sforzandosi non riusciva proprio a capire cosa ci avesse trovato Ben in un posto del genere.
Ben. Ben. Ben.
Erano due mesi che era là e di Ben neanche l'ombra. Avrebbe dovuto aspettarselo, insomma, era piombata lì in fretta e furia trascurando ogni cosa: il fatto che non conosceva assolutamente quel posto, per esempio; o magari il fatto che non avesse la più pallida idea di dove potesse essere.
Magari non è più neanche qui. Magari se n'è andato tempo fa. Magari ti sei sbagliata. Magari non ci è mai venuto in Tibet.
Le prime settimane aveva girato alla cieca inseguendo un'utopia.
Speravi forse di andare a sbattere contro di lui per strada?
Il primo mese era passato tra vesciche ai piedi per aver camminato troppo e decine di rune delle lingue che le erano servite per chiedere in giro se qualcuno...
Sì, ecco, un ragazzo, è americano: capelli scuri, occhi tra il verde e il marrone, molto più alto di me. Ha la mascella un po' squadrata, un neo vicino all'orecchio, una cicatrice dietro la schiena, il sopracciglio destro è leggermente più alto di quello sinistro. Ha... Una bruciatura sul petto... È bellissimo, una persona merdosa... Cioè no, volevo dire meravigliosa! Per l'Angelo, credo stia finendo il potere della runa... Cos'è una runa? Ehm, lasci stare... Ecco, dicevo, è un tipo un po' arrogante in realtà, non so... Forse lo ha visto, probabilmente è stato scortese con lei, ma la prego mi aiuti, le prometto che lo costringerò a scusarsi, ma deve aiutarmi a trovarlo. Lui è il mio migliore amico, mio fratello, è la persona a cui tengo di più al mondo, io lo amo e gli ho fatto così male... No, non l'ho ucciso, ma che dice? No, aspetti! Perché se ne sta andando? L'ha visto? La prego... No! Non chiami la polizia! Aspetti, aspetti, aspetti, venga qui...
Inutile dire che le sue ricerche non avevano prodotto granché: se non qualche chiacchierata con la polizia locale ed un paio di spiacevoli equivoci. Era capitato in effetti che qualcuno rispondesse affermativamente alla sua domanda, due volte, ma erano stati solo gli ennesimi fallimenti. Nel primo caso il ragazzo in questione avrà avuto cinquant'anni e l'indirizzo che le era stato dato era quello di un bar perché, a detta dell'uomo che aveva fermato per strada, stava più lì che a casa sua; era fondamentalmente un ex-marine alcolizzato che l'aveva tenuta qualcosa come tre ore incollata ad un sudicio sgabello in un sudicio locale a parlare della sua vita e successivamente ci aveva spudoratamente provato con lei. Il giorno dopo si era svegliato con un micidiale dolore alla testa ed era stata colpa di una bottiglia in effetti, ma no: non dell'alcol che c'era dentro, proprio della bottiglia, quella che Lena gli aveva rotto in testa.
Il secondo in cui si era imbattuta e che, da come aveva riferito quella simpatica signora del negozio di spezie, era proprio identico al ragazzo che lei le aveva descritto... Beh, in realtà non era americano e neanche inglese se era per quello, forse veniva dalla Macedonia o comunque da quelle parti. Era stato molto gentile a dire la verità, Lena ci aveva scambiato qualche parola, aveva chiesto di Ben anche a lui dato che c'era e, quando quello aveva risposto che nessun americano sano di mente si sarebbe trasferito in Tibet, Lena lo aveva ringraziato accennando un sorriso e se n'era andata dopo averlo salutato con una stretta di mano. 
Non è difficile immaginare come il suo iniziale entusiasmo si fosse progressivamente trasformato in una sempre più profonda sfiducia alternata talvolta a picchi pericolosamente alti di disperazione.
Il secondo mese era passato tra i momenti di sconforto e le lettere che scambiava con Magnus ma che inevitabilmente — lo sapeva — leggeva anche Lilian, così finiva sempre con lo scrivere ad entrambi. Per questo quella specie di stazione di posta da dove partivano ed arrivavano lettere e pacchi era diventata una sua meta fissa. Era parecchio distante in effetti dal posto in cui si era sistemata, ma dicevano che fosse la più efficiente e la più sicura di tutto il Tibet e poi spediva — e consegnava — davvero sempre e ovunque. Dicevano.

- Come sarebbe a dire che non potete svolgere la consegna? - chiese stridula. L'unica cosa che la teneva ancora appigliata a quel poco di sanità mentale che si ritrovava erano quelle lettere. In tutta risposta il tipo dietro il vecchio bancone ribadì monocorde quello che aveva già detto.
- Gliel'ho detto, signorina: non possiamo far partire nessun carico con questa pioggia. Quest'anno è decisamente peggio del solito ed i nostri operatori si rifiutano di intraprendere qualsiasi tipo di viaggio. Dovrà aspettare che smetta di piovere - Questo non la fece sentire affatto meglio.
- E quando smette di piovere qui? - Era quello che si domandava un po' chiunque non fosse di quelle parti, in effetti. 
- Penso che alla fine di questo mese potremo cominciare a far ripartire tutti i carichi - Lena strabuzzò gli occhi. Lo fissò minacciosa, come fosse stata tutta colpa sua.
- Ma agosto è appena iniziato! - Lo sguardo di sufficienza che le restituì la diceva lunga su quanta voglia avesse di ribadire un concetto fin troppo chiaro: non le avrebbe spedite le sue dannate lettere. Lena sbuffò esasperata, in un gesto automatico si passò una mano tra i capelli — erano leggermente cresciuti, le toccavano le spalle ora — e quando quella rimase incastrata tra i nodi che non si sognava neanche di districare ebbe l'unico effetto di indispettirla ancora di più. Adocchiò una sedia abbandonata in un angolo che aveva tutta l'aria di essere più fragile dell'aria e ci si sedette sopra sperando si rompesse, tutto pur di gustarsi l'espressione infastidita dell'omino dietro il bancone. Il fatto che quella reggesse inaspettatamente il suo peso confermò il suo presentimento e cioè che tutto in quella specie di pidocchioso ufficio postale fosse parte di un gigantesco complotto contro di lei.
Riflettendo sul fatto che la verità per la quale non se n'era ancora andata da quel posto era che non aveva niente da fare — a parte farsi prendere per una pazza dai passanti — e che pioveva come se non ci fosse un domani, ovviamente; si alzò per avvicinarsi al bancone, con l'unico intento di dar fastidio. Per un po' si limitò a fissare in modo molesto l'uomo;  poi finalmente, quando questo si abbassò su un grosso pacco con una scritta rossa su un lato e lo aprì, trovò a sua volta il pretesto per aprire qualcosa: la bocca.
- Non pensa che dovrebbe rispettare il significato della parola privacy? I suoi clienti lo sanno che apre i pacchi che le affidano? - domandò impertinente, la frustrazione per la mancata spedizione di quelle lettere che ristagnava velenosa in ogni parola. Lui rispose distratto, non le diede neanche la soddisfazione di voltarsi dalla sua parte.
- Questo è un cliente abituale, gli consegnamo un pacco come questo ogni mese... Che lei ci creda o no, il signore si fida molto di me: è stato lui a chiedermi di aprire il suo pacco  - Lena ne rimase leggermente interdetta.
- E perché mai avrebbe dovuto... - Si ritrovò ancora più interdetta quando la interruppe e le parlò sopra con lo stesso tono accondiscendente che avrebbe usato con una bambina.
- Esattamente come le sue lettere non può arrivare al destinatario che lo aspetta, ma a differenza delle sue preziosissime lettere il contenuto di questo pacco potrebbe rovinarsi col tempo se non lo si maneggia con cura - Questo non fece altro che farla sentire davvero una bambina. Il che probabilmente giustifica in parte il perché, da perfetta ficcanaso quale in effetti non era, le uscì dalla bocca la seguente domanda.
- E cosa contiene? - L'uomo estrasse entrambe le mani dal grande scatolone e si voltò finalmente verso di lei dedicandole un poco di attenzione. Sorrise vagamente soddisfatto, estremamente divertito.
- Non pensa che dovrei rispettare il significato della parola privacy? -  controbatté quello usando le sue stesse parole.
Maledetti Tibetani! 
Represse un verso lamentoso e si ributtò inferocita sulla vecchia sedia, in risposta quella produsse uno scricchiolio preoccupante ed un paio di nuvolette di polvere. Per qualche minuto se ne stette lì, tra sbuffi e sospiri, ad aspettare chissà cosa; poi, forse intuendo l'improduttività di quella sua attesa, si alzò dalla sedia malconcia e si diresse, con un'andatura offesa, verso l'uscita.
- Che fa se ne va? - La voce dell'omino dietro al bancone la raggiunse pungente, appena un attimo prima che aprisse la porta.
- È un vero peccato... - Lena lo fulminò con lo sguardo prima di rispondergli impudente con quella che suonava tanto come una minaccia.
- Tanto torno - E non perse occasione di sbattere la porta.

In effetti tornò davvero. Ogni giorno. Per ventitré giorni. 
Era ormai diventata un'abitudine ritagliarsi un francobollo di tempo da dedicare a quello strampalato ufficio postale — o qualunque cosa fosse. Solitamente ci passava la sera, quando stava per chiudere e l'omino dietro al bancone non faceva altro che cercare di cacciarla via e tornarsene a casa. Una volta le aveva tirato dietro una scopa.
Si era instaurato tra loro un bizzarro rapporto di simpatico odio reciproco — con educazione infondo dato che continuavano a darsi del lei — che prevedeva che lui continuasse a fare quelle sue battute dal caustico umorismo tibetano e lei continuasse ad essere dispettosa come una scimmia; il che non le risultava neanche troppo difficile dopo un'intera giornata passata a cercare Ben senza — puntualmente — alcun risultato.
Nonostante gli ormai innumerevoli fallimenti, Lena non mollava: si alzava la mattina con l'unico pensiero di trovarlo, andava a dormire la sera col medesimo pensiero. Non c'era nient'altro all'infuori di Ben che avesse posto nella sua mente, non c'era nient'altro per cui valesse la pena di respirare ancora.
Dopo dodici ore di ricerche, continuate almeno tanto quanto improduttive, chiunque si sarebbe sentito a pezzi. Chissà perché alcuni dei pezzi di Lena sembravano poter tornare a posto solo dentro quel pidocchioso ufficio postale.
Il ventitreesimo giorno quando vi arrivò era una sera come le altre, forse la pioggia era un po' più insistente del solito, in effetti. Profetica.
Spalancò l'uscio e la porta che si apriva azionò il solito fastidioso campanello che avrebbe dovuto segnalare la presenza di un cliente, ma dato che con quel tempo maledetto a nessuno veniva in mente di andare in quel posto — Lena si chiedeva a che pro fosse aperto — l'unica presenza che avrebbe mai potuto segnalare era la sua. Si scrollò l'acqua di dosso e sbatacchiò l'ombrello inzuppando tutto nel raggio di due metri.
- Ehiiii, le ho trovato qualcosa da fare! Venga ad asciugare qui per terra che ho combinato un macello, guardi! - Il fatto che non le arrivasse alle orecchie nessun tipo di colorato insulto le risultò piuttosto sospetto, a dire la verità. Buttò in un angolo l'ombrello e mosse qualche passo in avanti svoltando l'angolo che portava al vero e proprio ufficio; si guardò intorno leggermente spaesata prima di bloccarsi, interdetta. Non solo l'omino dietro al bancone non era dietro al bancone, non era proprio da nessuna parte. 
Dire che fosse strano era quantomeno riduttivo: la porta era aperta e lui non c'era.
Per un po' la mente di Lena fu un via vai di catastrofiche ipotesi che contemplavano l'uomo ucciso da un demone e ridotto in tanti piccoli pezzi; i quali pezzi successivamente sarebbero stati ficcati in uno qualunque di quei numerosi scatoloni che aveva davanti. E questo se si voleva essere ottimisti, ovvio.
Tra una macabra previsione e l'altra sentì il naturale impulso di sporgersi un po' di più verso il bancone, quantomeno per controllare che qualche pacco non fosse imbrattato di sangue. Gli occhi saettavano tra i vari imballaggi e puntualmente rimbalzavano tornando indietro. Sempre su uno, sempre lo stesso.
Il grosso pacco dalla scritta rossa che aveva adocchiato ventidue giorni prima spiccava inspiegabilmente tra gli altri, con tanto di immaginario cartello luminoso al di sopra su cui nella mente di Lena si potevano notare le sobrissime lettere lampeggianti che formavano le parole: "Guarda qui".
Si avvicinò di soppiatto; non era mai stata dall'altra parte del bancone e a dire la verità ora le faceva un certo effetto. Aggirò con facilità i vari pacchetti che avrebbero dovuto attendere la fine del mese per essere spediti e si inginocchiò davanti a quello che i suoi occhi non avevano smesso un secondo di guardare. Per la centesima volta, almeno, si chiese cosa contenesse di così delicato da valere le attenzioni dell'irritante omino e a chi fosse destinato. Non che le importassero più di tanto le ricchezze, ma doveva essere davvero molto prezioso quel pacco.
Chissà cosa c'è dentro...
L'assalì una curiosità morbosa ed inquietante, il cervello per un momento smise di ragionare. Si sporse ancora un po', più vicina, ancora più vicina; fin quando non sollevò i lembi che tenevano chiuso l'imballaggio e guardò dentro...
Si immobilizzò.
Ora che aveva finalmente sciolto il mistero si accorse che il contenuto di quel benedetto pacco non era nulla di prezioso, in realtà. Non nell'accezione comune del termine, almeno. Eppure non riusciva a smettere di fissarlo, non riusciva a smettere di pensare alla possibilità che...
Le si mozzò il respiro in gola.
- Ma che cosa sta facendo? Non può... - L'omino era spuntato all'improvviso da una porticina al lato del bancone ed ora sbraitava frasi sconnesse agitando le mani nella sua direzione.
Lena non sentiva nemmeno una parola.



* * *


C'erano giorni nei quali la vita in Tibet conservava intatta quell'idea di pace ed armonia che lo aveva spinto fin lì un paio d'anni prima; giorni nei quali il lavoro nei campi e la falce in mano non gli pesavano e le rune, il sangue, i demoni, gli incantesimi... Non gli mancavano. Giorni nei quali desiderava dimenticare ogni cenno della sua precedente vita, giorni nei quali desiderava dimenticarsi anche chi era. C'erano giorni buoni e giorni un po' meno buoni e poi c'erano giorni, tutti, in cui pensava a lei.

Costruirsi quel piccolo angolo di mondo non contaminato dalle faccende degli shadowhunters non era stato affatto semplice, estraniarsi a poco a poco da quella realtà lo era stato ancora meno.
Era nato cacciatore, addestrato fin da bambino al combattimento, allevato secondo le leggi del Conclave, le sue favole della buonanotte erano tutte ambientate ad Idris; la sua prima spada angelica l'aveva ricevuta a sei anni, la sua prima ferita ad otto. Ecco perché ritrovarsi a fare la vita del piccolo contadino gli era parso leggermente estraniante all'inizio; la massima violenza che commetteva ora era falciare lo stelo di una spiga di grano, lui che a quattordici anni si andava a cercare le risse per strada. Eppure c'era una sorta di poesia in una vita tanto semplice; così ordinaria e rassicurante da fargli sembrare che laggiù, nel culo del mondo, nessun male potesse raggiungerlo. Una vita silenziosa, che era praticamente quel che ci voleva per provare a zittire, o imparare a convivere, con tutte le voci nella sua testa. Voci di un passato rumoroso, voci che parlavano di un destino — il suo — già scritto — da qualcun altro —  di sangue angelico e di un istinto naturale per il quale avrebbe dovuto sentire lo spasmodico bisogno di andare in giro per il mondo a difendere i mondani.
Beh... Non lo sentiva. Non più. L'unico bisogno che davvero gli apparteneva ormai era difendere se stesso, un del tutto nuovo istinto di auto conservazione: primordiale, ma dannatamente efficace.
Lame, rune e demoni avevano preso il sapore del passato. L'aveva amata così tanto quella vita, l'aveva amata fino ad odiarla.
Gli aveva negato un'infanzia, tolto la spensieratezza, strappato l'orgoglio. Gli aveva portato via la sua parabatai.
Questa vita di cicatrici e morte.
Quella vita che aveva rinnegato.
Senza più pudore, nessun altro inganno; il suo senso del dovere era sempre stato poco saldo, l'onore l'aveva seppellito chissà dove.
Erano due anni che non tracciava una runa, che non maneggiava un'arma, che non adempiva al suo dovere di cacciatore. Erano due anni da quando se n'era andato, che il Conclave lo considerava un traditore, e persino un codardo, forse.
Aveva passato due anni a ricordarsi di dimenticare.
C'erano troppe cose da dimenticare: le posizioni di attacco, l'odore dell'icore, le linee che compongono un'iratze, tutte quelle meravigliose lingue morte che ti avevano costretto a parlare fluentemente, come fare un buon nodo, il momento giusto per scoccare una freccia, le paranoie, le citazioni del codice, gli occhi senza pupille di un Raum, l'attimo in cui il tuo sensore si accende e vibra, tutte quelle leggi che accetti di rispettare, i nomi di ogni angelo rigorosamente imparati in ordine alfabetico, le parole del giuramento...
La sensazione di non essere più parte di qualcosa di tanto grande, di essere solo, a volte era orribilmente opprimente. In momenti come quelli il silenzio del Tibet non era esattamente il genere di conforto che avrebbe voluto. E allora serviva tutto quel poco autocontrollo che aveva per non lasciarsi sopraffare, serviva ripetersi decine di volte che era stata una sua scelta — una vera scelta, una di quelle su cui il Conclave non può riversare le sue disgustose pressioni — e che l'aveva intrapresa perché non c'era più verso di continuare a vivere una vita non più viva.
Benjamin Fairway, il cacciatore, era morto. Un pezzo alla volta: nella Guardia durante il processo contro di lui, quando aveva sentito spezzarsi il legame parabatai, mentre ascoltava il Conclave proporgli una ricompensa per "le loro imprese".
Quando lei se n'era andata...

E cosa rimaneva di un cacciatore che non vuole più essere un cacciatore?
Niente. Ecco cosa.
Aveva passato due anni a ricordarsi di dimenticare. Se solo si fosse accorto che continuava ad impugnare la falce come una spada angelica...


La pioggia continuava a picchiare il suolo con la stessa violenza che ormai portava avanti da giorni. Rancorosa, incollerita: con chiunque ce l'avesse, c'era da averne paura. Eppure Ben, segregato a causa di quella in quel buco di casa che si ritrovava — e che per giunta si era pure costruito da solo — guardandola attraverso i vetri appannati della piccola finestra, non riusciva a non provare una sorta di meravigliata ed ammirata eccitazione. Quella sensazione tanto particolare l'avrebbe chiamata in greco, δεινός, l'unico modo per renderle davvero giustizia; se solo un concetto del genere non avesse fatto parte di quel bagaglio di ricordi che, semplicemente, stava cercando di non ricordare.
Meravigliosa e terribile.
Le ricordava lei.
Più o meno tutto gliela ricordava. L'unica cosa che dimenticava di dimenticare. Un tocco familiare.
Si allontanò bruscamente dalla finestra con addosso un calore bruciante, anche se c'era da morire dal freddo con quelle temperature e si voltò di spalle, come se le orecchie avessero potuto percepire quella pioggia meno degli occhi...
Gli capitava talvolta — ogni giorno praticamente — di ritrovarsi letteralmente investito da sensazioni del genere. Mentre lavorava, mentre mangiava una di quelle deliziose scodelle di thukpa che la vecchia Shiwa gli preparava sempre, durante quel pezzo di strada che faceva da casa sua ai campi, quando la sera davanti al camino leggeva poesie tibetane (sì, ci sono poeti anche in Tibet) fingendo di capirci qualcosa, più spesso ancora la notte mentre dormiva. Si svegliava di soprassalto, ansante e completamente sudato, cucita addosso una sensazione di smarrimento sempre contornata da una specie di isterica insoddisfazione. Per cosa non sapeva mai dirlo e forse era proprio quello il particolare più frustrante di tutta la vicenda. Faceva male più o meno come un rimpianto e durava qualcosa come un paio di secondi: troppo poco per capire da dove provenisse, ma abbastanza per rimanerne folgorato.
E questa volta... Questa volta quell'emozione era stata sottile ed affilata con non mai, bruciante, nonostante facesse troppo freddo anche solo per pronunciarla una parola del genere. Bruciante. Un tocco familiare.
Si accorse di star tremando e se ne sarebbe in effetti sorpreso se solo non stesse andando a fuoco. Sì, a fuoco.
I piedi si muovevano da soli, aveva perso il conto di quanti giri avesse fatto intorno a quel tavolo di legno grezzo e aveva perso il conto di quante volte si era tirato i capelli. Erano molto più lunghi di quanto non li avesse mai portati, ma continuando in quel modo lì avrebbe sicuramente strappati tutti; anche la barba era lunga, non abbastanza per tirarla, ma un modo di certo lo avrebbe trovato per strappare anche quella.
Si fermò di botto artigliandosi al tavolo, qualche scheggia gli entrò nella pelle, ma figurati se le sentiva. Tutto quello che sentiva era fuoco. Bruciante.
Cercare di regolarizzare il respiro, buttare fuori l'aria dalla bocca... Tutte merdate. No, che non funzionava, non funzionava, perché non funzionava? Probabilmente aveva appena raggiunto il livello di isteria di una donna incinta in pieno travaglio.
Un guaito sommesso lo distolse per un attimo da se stesso, una specie di benedizione, facendogli voltare la testa verso la fonte del rumore. La piccola palla di pelo trotterellò con la coda fra le gambe fino al tavolo e, intuendo forse il malessere del padrone, cominciò a strusciarsi sui suoi piedi con le migliori intenzioni del mondo.
- Diki - la chiamò piano e quella in risposta abbaiò rumorosamente. Due mesi prima l'aveva trovata accasciata sulla strada di casa sua, l'aveva portata dentro e aveva curato la sua zampa ferita. Quando poi quella si era finalmente ripresa e aveva riaperto gli occhi Ben si era ritrovato davanti due fari di un blu mai visto. Beh... In effetti un blu del genere lo aveva già visto...
Gli era sembrato che il caso si stesse prendendo gioco di lui, ma l'aveva tenuta comunque e l'aveva chiamata Diki, in tibetano. Felicità.
La cognolina doveva aver intuito il suo disagio perché se ne stette per qualche minuto accoccolata sulle sue scarpe, poi l'indole da cucciola prevalse e cominciò a raspare per terra con l'intento di convincerlo a giocare con lei, la lingua penzoloni e gli occhi luccicanti. Ben l'avrebbe certamente assecondata in un'altra circostanza, ma in quel momento era già tanto avere puntati addosso quei suoi occhi blu.
Così simili ai suoi...
Un fitta al petto, forte da mozzare il respiro e far salire le lacrime agli occhi. Per un attimo di quel delirio giurò di intravedere, attraverso i vetri appannati della finestra, la neve. Ed anche se sapeva che era un miraggio — una parte di lui lo sapeva —  questo non lo fermò affatto dal raggiungere la porta e precipitarsi di fuori.
Diki cominciò ad abbaiare come un'ossessa: curioso come quel cane avesse più giudizio di lui.
Subì ad occhi chiusi una prima sferzata di vento gelido, che tuttavia non diede affatto conforto al fuoco che lentamente lo stava bruciando dall'interno, prima di accorgersene: non solo stava davvero nevicando, ma lui era davvero uscito fuori nel pieno di quella tempesta che andava avanti da giorni mezzo svestito e tutto questo non lo stava davvero facendo sentire meglio.
Cadeva la neve dal cielo e lui andava a fuoco.
Probabilmente sarebbe potuto morire di lì a pochi minuti se non fosse subito rientrato in casa, probabilmente sarebbe morto dato che, l'aveva deciso in quel momento, non sarebbe rientrato in casa.

Non avrebbe saputo spiegare di preciso con quale ritmo il tempo stava passando, né da quanto fosse là fuori a congelare e bruciare, né cosa stesse aspettando, né se stesse davvero aspettando qualcosa. Tuttavia, e di questo era certo, non sarebbe rientrato in casa. Solo, in un momento imprecisato, si sentì scivolare a terra; l'urto alle ginocchia attutito un poco dalla neve, la stoffa dei pantaloni ormai fradicia, il gelo ed il fuoco. Non sentiva neanche più Diki abbaiare da dentro casa. Forse sarebbe davvero potuto morire lì fuori, forse stava morendo proprio in quel momento e tuttavia la cosa non lo toccava tanto quanto avrebbe dovuto.
Le dita iniziarono a formicolare, mentre dentro bruciava fuori i denti sbattevano tra di loro minacciano di rompersi, le palpebre si facevano più pesanti ogni secondo che passava, l'istinto gli urlava da qualche minuto ormai di chiudere gli occhi. Non lo ascoltava.
Cominciò a percepire cose strane... Suoni, luci, colori, odori... Ad un certo punto gli parve persino di vedere una figura camminare nella tempesta...
Non era reale, lo sapeva. Stava impazzando, stava diventando matto. Sicuro. Ma quella sensazione? Quel buco nel petto? Quella lava che gli divorava la carne? Quel senso di dolorosa nostalgia... Come poteva non essere reale quello? Come poteva qualcosa di così totalizzante non essere vero? Assomigliava...
No che non è vero, niente di tutto questo lo è. Non è vero. Non c'è nessun fuoco, il fuoco non ti ucciderà. Lo farà il freddo, però. Il freddo. Non è vero.
Un gemito strozzato. Il suono della catena di una bicicletta che si inceppa. Un... buon odore
Conta i fiocchi di neve... Ha iniziato a nevicare? Una bicicletta? Ha iniziato a nevicare. Conta i fiocchi di...
Respiri concitati. Piedi che affondano nella fanghiglia. Odore di...
Una bicicletta? La neve. La pioggia. Il vento. Una bicicletta? Non è vero.
Una figura sta correndo, verso di lui. 
Non.
Quell'odore...
È.
Una figura stava correndo, verso di lui. Ora ha smesso, ma è ancora molto lontana. Un grosso pacco le è appena caduto sulla neve rovesciando a terra quello che conteneva, il cartone è tutto rovinato, la scritta rossa sul lato si legge appena.
Fiori di lavanda in mezzo alla neve sporca.
Vero.
Non erano i fiori però, quell'odore...


Lena.


Per un istante si fermò tutto: il cuore, il respiro, il fuoco, la neve, il vento, il tempo, il mondo.
Tutto era fermo, tutto taceva. Immobile, morto. Poi in quel silenzio una parola si sparse per l'aria, gli arrivò addosso, lo trapassò da parte a parte. Lo ferì a morte e lo riportò alla vita.
Eppure lei non l'aveva neanche pronunciata.
Il cuore ricominciò a battere seguendo uno spartito tutto suo. Le gambe cominciarono a correre animate da vita propria. Il respiro gli riempì i polmoni dopo quella che era parsa un'apnea. Il fuoco sciolse la neve. Il vento spense il fuoco. Il tempo iniziò ad essere scandito secondo una legge del tutto nuova, in quel preciso momento, come se prima di allora non fosse stato tutto nient'altro che un grande conto alla rovescia. Il mondo tornò a girare nell'unico senso possibile.
Meravigliosa e terribile.

La verità è che, dopo essere stati bendati per anni, ora vedevano.

Ben glielo leggeva negli occhi con commovente chiarezza: semplicemente quello che li aveva divisi non solo non aveva importanza in quel momento, ma non ne aveva avuta mai. Niente avrebbe mai avuto importanza, ora lo sapeva. Niente era paragonabile all'emozione di rivederla, di averla lì, davanti au suoi occhi e di poterla toccare solo per sentire che tra loro non era cambiato assolutamente niente, che mai sarebbe cambiato.
Una runa sulla pelle, un giuramento nell'anima. 

Allora è questo essere parabatai? 

Quante cose capivano ora e quanto insignificante gli appariva tutto ciò che era accaduto da due anni a quella parte... Avrebbero subìto dieci volte tanto, per arrivare a questo, niente sarebbe mai stato così giusto. Avrebbero barattato un'intera vita per un istante, quello.
Ora lo capivano: che non avrebbero mai potuto stare davvero lontani, che qualcosa li avrebbe sempre uniti a discapito di tutto e tutti, che amarsi nel modo più profondo che conoscessero era l'unico modo che avevano di esistere.

Parabatai.

Anche senza una runa, anche se non fossero stati Shadowhunters, anche in un altro universo, anche se fossero stati demoni. Questo era qualcosa che non poteva cambiare, in nessuna vita.
Dopotutto due anni per capire questa verità sembrava un tempo piuttosto ragionevole... L'ultima volta — vita — ci avevano impiegato decisamente di più.










Quella parola rimase sospesa nell'aria mentre correvano l'una nelle braccia dell'altro.
Sussurrata, come una risposta.
Eppure lei non l'aveva ancora pronunciata.






«Ovunque».










Fine... Inizio.





 

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