Words As Weapons

di malpensandoti
(/viewuser.php?uid=400627)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** zero ***
Capitolo 2: *** uno ***
Capitolo 3: *** due ***
Capitolo 4: *** tre ***
Capitolo 5: *** quattro ***
Capitolo 6: *** cinque ***
Capitolo 7: *** sei ***
Capitolo 8: *** sette ***
Capitolo 9: *** otto ***
Capitolo 10: *** nove ***
Capitolo 11: *** dieci ***
Capitolo 12: *** undici ***
Capitolo 13: *** dodici ***
Capitolo 14: *** tredici ***
Capitolo 15: *** quattordici ***
Capitolo 16: *** quindici ***
Capitolo 17: *** sedici ***



Capitolo 1
*** zero ***




Words As Weapons
Zero
 
A Cecilia
Grazie a te

 


“Dovresti parlargli, sul serio”
Georgia inclina appena il capo, aggrottando le sopracciglia senza capire.
“Sul serio – ripete Oscar, arricciando le labbra spesse e scure – Dovresti, non so, per lo meno guardarlo negli occhi”
La Hall Cross Academy è un grosso edificio in mattoni nel centro della città, con uno spiazzo privato davanti e un campo da calcio sul retro. La campanella è suonata da qualche minuto ormai, ma il cortile è ancora pieno piccoli mucchi di studenti coi maglioni blu e le cravatte a righe.
Georgia è seduta sul cemento che circonda la fontana ovale, lo zaino tra i piedi e lo sguardo confuso, incerto.
“Georgia” il ragazzo la richiama e batte la suola della Vans nera sul mosaico a forma di stemma della scuola.
Lei si riprende subito, sbatte gli occhi azzurri un paio di volte e li punta contro quelli neri del suo migliore amico. “Cosa?” blatera, scuotendo appena la chioma bionda.
Oscar allora si volta verso la direzione del cancello, accennando al ragazzo con le mani infilate in tasca e l'espressione indifferente.
Devi parlargli” le dice poi, tornando a fissarla.
La ragazza accenna una risata, perché è un consiglio stupido, tanto stupido. “Per dirgli cosa?” esclama, e nella sua testa la sola idea le fa venire i brividi.
“Non lo so – Oscar fa un gesto incurante con la mano scura, arricciando le labbra per l'ennesima volta – Non è importante! Ma, insomma, fallo
Georgia scuote la testa velocemente, s'impunta come una bambina perché il suo migliore amico semplicemente non può capire.
“Neanche tra un milione di anni – borbotta e accavalla le gambe coperte dalle calze nere velate – Non ho niente da dirgli, e questo tu lo sai”
Oscar sbuffa in quella maniera che ricorda tanto sua madre, alza gli occhi al cielo e “D'accordo – dichiara secco – allora continua a far finta che quello che fissi sempre come un'idiota non sia tuo fratello”
“Non lo è, infatti – Georgia finge di esserne sicura, in realtà cerca solo di convincere sé stessa per convincere lui – Abbiamo solo...solo stesso padre”
Con lo sguardo chiaro poi, corre di nuovo verso il cancello d'ingresso, dove Louis Tomlinson adesso regge lo zaino arancione di sua sorella Charlotte, lasciandole un leggero bacio tra i capelli.
“Solo lo stesso padre” ripete, a bassa voce.
 
 
 
 
 
 
La storia è molto più semplice di quanto sembri, davvero.
Johannah e Marshall si sono appena messi insieme convinti di essere una di quelle coppie.
Lei fresca di laurea in infermieristica, lui ha appena intrapreso la carriera da giardiniere nell'agenzia di famiglia. Con i primi stipendi, prendono in affitto un piccolo appartamento vicino ai genitori di lui, con una stanza degli ospiti ancora da riempire.
Lei rimane incinta nel '91, quando i Nirvana cantano Smells Like Teen Spirit e al cinema esce The Silence of The Lambs. Con la scusa del parto, Marshall evita di spendere soldi in regali di Natale per amici e parenti, e lui ne è contento, eccome se lo è.
Louis Marshall Greenwich viene al mondo il 24 dicembre di quell'anno, tra le mura pallide della sala parto e i commenti deliziati delle colleghe di Johannah, che cercano di capire a chi assomigli il pargolo. I lineamenti sono di lei, ma forse gli occhi sono tutti del padre.
A ogni modo, non c'è bisogno del matrimonio per completare l'amore, Johannah sa che se il suo compagno tarda all'ora di pranzo è perché il suo lavoro lo tiene impegnato. Sa che di Marshall ci si può fidare, che non è quel genere d'uomo. E lei, che è una brava moglie, lo aspetta tutte le sere per cenare insieme, con quel fagottino tra le braccia e il sorriso candido.
Lo aspetta, e aspetta i suoi minuti di ritardo che aumentano con l'andare avanti.
Anche Jodie Allen aspetta Marshall, lei però al mattino, dalla finestra dello studio dentistico dove fa da segretaria. Lo guarda lavorare tra le piante dei giardini comunali e poi lo aspetta nel parcheggio sotterraneo dell'edificio, tra i vetri oscurati della macchina che suo padre le ha prestato.
Arriva poi il giorno in cui Johannah vuole solo fargli una sorpresa sul lavoro, perché Marshall ha dimenticato il telefono sul tavolo e lei è ancora in maternità. Spinge il passeggino tra i fili d'erba che il suo compagno sta potando e lo segue senza che Marshall se ne accorga, convinta che sia una cosa giusta.
Quella notte e per le notti che seguono, Marshall dorme nel letto di Jodie.
Johannah piange tanto, mentre tiene in braccio suo figlio. È una donna fragile in fondo, innamorata dell'idea di un uomo sbagliato, un uomo preso da un'altra, un uomo che dimentica di andare a prendere Louis nei week-end e che si scorda di avvisare che non verrà.
È il 1996 e Tupac Shakur è appena morto, Johannah ha incontrato William Tomlinson, il chirurgo irlandese appena arrivato nel reparto, e Marshall ha chiesto a Jodie di sposarlo. Vede Louis una volta al mese per un paio di giorni, e il bambino lo chiama papà solo se capita, perché non è stupido. Sa.
Charlotte Tomlinson e Georgia Greenwich nascono in quello stesso anno, separate da un paio di mesi. Louis ha due sorelle adesso, ma solo Lottie ha il privilegio di essere guardata, sfiorata.
Non dovrebbe fare distinzioni tra famigliari, soprattutto da bambino. Il fatto è che Georgia non è sua sorella, esattamente come Marshall non è suo padre. Glielo dice sempre Johannah, e lui ha iniziato a crederci.
Diventa un Tomlinson nel 2002, con la nascita delle gemelle Phoebe e Daisy e la consegna del secondo Pallone D'Oro a Ronaldo.
I rapporti con Marshall si interrompono così come i pensieri su una possibile famiglia allargata e felice.
Sua sorella Georgia è figlia unica.
Il problema è che Johannah può essere ferita quanto vuole, ma non ha tutti i torti quando dice che Marshall è uno stronzo, ecco. Diciamo che gli piace bere e gli piace l'autorità, il controllo. E quando qualcosa non torna, il suo cervello va in escandescenza. All'inizio sono piccole cose che riesce a gestire, poi la voce inizia ad alzarsi ogni sera, mentre Jodie continua a strillare di essere stufa e lui le ripete che non può parlargli in questo modo.
Continua a lavorare come giardiniere e a fliltrare con le clienti, poi torna a casa e cambia espressione, come se quell'appartamento piccolo in periferia gli facesse perdere il sorriso.
È il martedì dopo il secondo mandato di Obama, quando Georgia torna a casa da scuola e Marshall semplicemente non c'è. Invece c'è Jodie che piange disperata davanti a un armadio ormai vuoto, con la bocca che sanguina appena e un occhio gonfio, socchiuso per la fatica.
Si ricostruiscono piano piano, insieme, come se non avessero fretta. Coprono l'assenza dell'uomo riverniciando le pareti, sostituendo le fotografie e appassionandosi a programmi di cucina.
Jodie cambia taglio di capelli, modo di pensare, modo di vivere. Adesso è una donna adulta che non crede più all'amore se non per sua figlia, all'amore per se stessa. Ogni giorno il rimorso aumenta fino a sfociare nella rabbia contro gli uomini, contro quei grandi figli di puttana che non fanno altro che andarsene.
Ti scopano e poi se ne vanno.
Georgia ha appena compiuto diciassette anni quando lo sente, quando lo ascolta e quando lo capisce.
Nel buio della sua stanza, con le candele alla vaniglia accese, inizia a pensare al fatto forse - forse ha ragione sua madre.
Inizia a credere che l'allontanamento di suo padre sia un bene, perché loro non hanno mai avuto bisogno di lui, mai.
Gli uomini sull'autobus, i suoi compagni, il postino, il barista, l'uomo seduto alla panchina del parco, ecco!, a tutti manca l'amore, quello vero, quello che ti fa restare, quello che ti fa scegliere.
Jodie lo dice sempre: gli uomini non sanno amare, non ci riescono, non ce la fanno.
Louis Tomlinson ha smesso di amarla da un giorno all'altro, come si fa con quelle cose che stufano, come ciò che non piace, non attira. Forse le voleva bene per convenienza, perché doveva farlo. Ma se n'è andato anche lui e di certo non tornerà. È testardo quanto Marshall, in fondo.
Jodie le sorride di tanto in tanto, le scosta i capelli dal volto e le dice che Louis non ha idea di cosa si stia perdendo a non volere una sorella del genere.
Georgia la ringrazia e tace, alla fine non ci crede più di tanto.
Aspetta piano gli uomini – le persone – della sua vita prendersi qualcosa e sparire, perché è così che funziona, è così che semplicemente vanno le cose.
Vanno via.







 
 

chi lo avrebbe mai detto ahahahah
ero davvero indecisa se continuare a pubblicare o meno su efp, ma riflettendoci avevo ancora qualcosa da dire e per questo eccomi qui :)
questo è solo il prologo, non è nulla di che ma serve per delineare brevemente alcune tematiche che si andranno a sviluppare (niente incesto, tranquille!)
la storia è nata in un modo completamente diverso, poi si è trasformata un paio di volte finché non mi sono finalmente decisa a stravolgere appena la trama e mettere insieme alcune idee che avevo in mente.
georgia e oscar non hanno ancora i loro tipici tratti caratteriali, ma siamo solo all'inizio e spero comunque che il prologo vi abbia incuriosite!
louis sarà fondamentale per la storia (per la gioia di tutti !!!!!) e così anche oscar e harry, che qui ancora non compare!
il banner non rispecchia il nome della storia, ma è una frase che salterà spesso fuori in modo implicito e mi piaceva tenerla lì ahaaha
questa storia è liberalmente basata sulla canzone dei Daughter "Candles" che vi consiglio di ascoltare perché m e r i t a ! ! !
ah, il titolo è preso dall'omonima canzone di Birdy, il riferimento lo capirete nel prossimo capitolo :)
prima di concludere, vorrei ringraziare veronica per avermi sopportata alla stra grande ogni volta (questa storia è anche tua!!!) e tutte le meravigliose persone che nonostante il tempo continuano a seguire le mie storie e apprezzarmi come se fossi importante. voi siete importanti!
fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe molto piacere sentire le opinioni!
spero di sentirvi partecipi anche in questa nuova avventura :)

un bacione!
a presto,
caterina



 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** uno ***




Words As Weapons
Be Calm

you hate your pulse because it thinks you're still alive


 
 

Cammina con le mani infilate in tasca e le calze nere velate che non riescono a ripararle le gambe dal freddo della sera inglese.
Georgia ascolta James Bay con l'iPod di prima generazione e intanto pensa a come diavolo abbia fatto Oscar a convincerla – ancora – ad andare all'ennesimo diciottesimo di un loro compagno.
Jodie è sempre felice quando le comunica di star uscendo, quando la vede infilarsi qualcosa di più elegante e truccarsi un po' di più sugli occhi, Georgia quindi non le dice mai che in realtà preferirebbe evitare situazioni scomode come una festa piena di gente, non vuole vedere sua madre ancora più triste. Invece si lascia spazzolare i capelli mentre entrambe ascoltano Morrison Hotel dei The Doors sotto le luci chiare delle candele sparse per la casa.
Oscar è seduto sul muretto che circonda la piccola villetta della sua famiglia, le spalle ricurve verso le ginocchia e il volto scuro illuminato dalla luce dello schermo del telefono che tiene in mano, lo sguardo concentrato e le sopracciglia leggermente aggrottate, come se stesse leggendo qualcosa di importante.
“Hey, Kanye West – Georgia sorride alla sua stessa battuta, fermandosi davanti a lui – Hai deciso di ammalarti inutilmente?”
Oscar alza la testa verso di lei, esibendo un ghigno bianco e largo. “Questa era molto razzista, sai? – esclama, balzando giù dal muretto – Solo perché sei bionda con gli occhi azzurri non credo di averti mai chiamata Pavel Nedved”
La ragazza ridacchia, scuotendo la testa esasperata. Lui le mette un braccio muscoloso sulle spalle e insieme prendono a camminare lentamente, un po' sbilenchi.
 
 
 

Il luogo della festa è a Chequer Avenue, nella parte più benestante della città. Ci vogliono almeno una ventina di minuti per arrivare, Oscar continua a imprecare contro le indicazioni di Google Maps mentre Georgia accanto a lui continua a ridere.
Il festeggiato è un certo Lennie Cleveland, che frequenta quasi tutti i corsi di Oscar e che ha invitato tutti gli studenti degli ultimi due anni, senza distinzioni.
Georgia dubita che ci siano davvero tutti, ma a giudicare dalla gente che occupa già solo il giardino della villa, forse si sbaglia.
La musica è alta ma non eccessivamente, lei si fa di riflesso più vicina a Oscar e quello le accarezza la schiena, varcando la soglia del vialetto. Saluta un paio di volti conosciuti, fa strada dentro l'abitazione e poi si guarda intorno, con occhi impazienti.
L'ingresso dà subito su un ampio salotto pieno di persone e dai colori accesi, c'è Loyal adesso e la gente balla, ha in mano bicchieri blu di carta e si muove scoordinata ridendo e parlando a voce alta.
Oscar si china verso di lei, soffiandole contro l'orecchio: “Bello, vero?”
E Georgia è timida, tutta quell'atmosfera non fa che renderla nervosa, un po' triste. Non sono posti a cui appartiene.
Annuisce brevemente e sfoggia un sorriso piccolo e falso, stringendosi contro il braccio muscoloso del ragazzo.
Le situazione in cui si sente così piccola e impacciata hanno sempre avuto il potere di annullarla, facendola stare zitta, immobile come una statua di cera. Ci sono un mucchio di cose che lei potrebbe – vorrebbe – dire anche adesso, a cominciare dal fatto che quel posto e quelle persone non le piacciono, che ha troppo nero addosso, che ha già intravisto quella ragazza che alle elementari le tirava sempre i capelli e che quasi le viene da piangere.
Sta zitta.

“C'è Horan! – Oscar spalanca gli occhi, le afferra un gomito e sembra il ragazzo più contento del mondo – Te lo presento, vieni”
La ragazza inciampa nei sui stessi piedi per l'agitazione di lui, che la conduce verso le scale che portano al piano superiore, larghe e ripide, rivestite di un parquet lucido come quello del salotto.
Seduti sugli scalini, ci sono due ragazzi e una ragazza, tutti e tre armati di birra imbottigliata e sorrisi vispi, per niente sobri.
Oscar si blocca davanti a loro, lascia la presa su Georgia e posa le dita sulla sua schiena, come per confortarla.
“Niall! – esclama poi, ad alta voce – Qual buon vento ti porta da queste parti?”
Niall dev'essere sicuramente il ragazzo biondo, perché l'attimo dopo quello spalanca gli occhi azzurri e arrossati, togliendosi dalla bocca la sigaretta con le dita pallide, appoggiando la bottiglia sul gradino e alzandosi in piedi con le gambe sottili e molli. Il suo snapback rovesciato blu è in contrasto con la pelle chiara del volto e le guance scarlatte, prive di barba.
Si getta letteralmente tra le braccia possenti di Oscar come se fosse piuma, ridendogli nell'orecchio per poi schiaffeggiarlo un paio di volte. “Tu! – strilla – Tu! Il mio eroe
L'altro scoppia a ridere, dalla sfumatura del suo tono sembra quasi che sia imbarazzato. Georgia aggrotta le sopracciglia, confusa.
“Andiamo, Horan – mormora il suo migliore amico – Non esagerare, adesso. Sono solo...il migliore Lock che potresti mai incontrare in tutta la tua vita”
Niall ride, fa un altro tiro di sigaretta e annuisce con veemenza, rifilandogli l'ennesima pacca, stavolta sulla spalla.
“Amici miei, - dice poi, rivolto verso i due ragazzi ancora seduti sugli scalini – Lui è Oscar Gomes, un mio compagno di squadra. Boss, loro sono Zayn e Cyndi”
Quelli alzano una mano in contemporanea, esibendo dei sorrisi storti.
Georgia arriccia le labbra e li osserva, sbattendo le palpebre. Lei ha le gambe coperte da una gonna a fiori larga, un cappotto bianco e lungo e il volto tondeggiante riempito da un paio di occhi sottili. I capelli sono di un biondo cenere, rasati ai lati per accentuare il ciuffo tirato indietro da qualche spilla. Tiene la bottiglia di birra con una mano, stringendola sul collo come se nemmeno ne sentisse il peso.
Il ragazzo invece porta una montatura di occhiali spessa, nera come i suoi capelli fissati con qualche dita di gel. Ha i lineamenti affilati, la pelle mulatta e gli occhi ambrati. Veste una camicia bianca qualche taglia più grande e un paio di jeans neri, arrotolati su un paio di Converse consumate.
Lui la bottiglia la tiene in mezzo alle gambe sottili, e ha un sorriso imbranato, buffo.
A Georgia viene da sorridere, ma non lo fa perché non crede sia opportuno. Invece deglutisce e aspetta che qualcuno si accorga di lei.
“Allora è vero che giochi a rugby – dice Cyndi verso Niall, il tono strafottente – Con quei due stuzzicadenti al posto delle gambe non si direbbe”
Zuccherino – le si rivolge Oscar, elegantemente – Niall Horan è il Centre più cazzuto dell'intero Yorkshire. Non per niente ha sangue irlandese”
Lei fa uno sbuffo divertito, scuotendo appena la testa.
È sorprendente la capacità di Oscar di interagire con qualcuno con così tanta facilità. Può avere le spalle ampie, centottantasei centimetri d'altezza, le mani immense e la voce profonda; resterà comunque abbastanza malleabile per infilarsi in situazioni nuove, adattarsi alla diversità.
Georgia ci pensa per davvero, per questo non si rende conto di essere finita al centro della conversazione. Oscar la scuote con dolcezza, rivolgendole un sorriso divertito: deve averla appena presentata.
“Il mio raggio di sole è un po' timida – spiega lui – Ma per lo meno non morde”
Anche Cyndi le sorride, quasi comprensiva. “Dovete assolutamente assaggiare il cocktail che sta facendo Liam in cucina. È probabilmente l'unica cosa che rende accettabile questa festa da sedicenni. Senza offesa, ovviamente”
A quel punto, Zayn alza gli occhi al cielo e “Dovete scusarla – biascica, guardando Georgia negli occhi – A volte si dimentica di essere stata al liceo”
La ragazzina abbozza un sorriso, non sapendo come comportarsi. Sente il braccio di Oscar circondarla, proteggerla. Lui le lancia un'occhiata complice e poi annuisce brevemente.
“Ci vediamo in giro, allora” si congeda con un sorriso, facendo un passo indietro.
Niall sorride di rimando, brillo e contento. “Ciao, Lock! È stato un piacere, raggio di sole!”
Georgia arrossisce di colpo, il respiro corto.
Camminano per il piano terra della casa un po' alla cieca, facendo sorrisi a volti conosciuti finché non trovano la cucina, la mano di Oscar è ancora ancorata al suo gomito e Georgia di questo ne è felice, si sente al sicuro, più importante e meno sola.
Ci sono bottiglie di alcool sparse un po' ovunque, la stanza è grande e le persone qui parlano con più scioltezza, senza la musica a distrarre le loro conversazioni.
Oscar viene richiamato da un paio di ragazzi che trafficano con vari bicchieri sulla penisola in marmo, lei rimane in disparte, si guarda intorno e cerca di capire perché per gli altri sembra così facile anche solo guardarsi negli occhi e sorridere, camminare, sopravvivere.
Dentro di sé Georgia piange tanto, adesso si guarda semplicemente intorno e tace.
Sta già tirando fuori il telefono dalla tasca della giacca per tenere le mani occupate, quando le arriva una spallata decisa, un po' rozza, che la fa barcollare per via della sua scarsa attenzione.
“Scusami, non ti ho vista”
Da così vicino, le iridi di Louis Tomlinson sono liquide, di un azzurro opaco, burrascoso. Danno il tono alle parole che gli balzano nel cervello, quelle che Georgia non riesce a decifrare. Il suo petto si gonfia di brividi, il suo labbro ha uno spasmo involontario.
Dopo tutto quel tempo a studiarlo da lontano, Louis ha un qualcosa di irreale.
Georgia respira a labbra schiuse, si schiarisce la voce e lo vede rendersi conto di chi lei sia. Se prima quegli occhi erano semplicemente indifferenti, adesso trasmettono prima consapevolezza e poi rabbia. È come un'onda che si ritira per distruggere di più.
“Non fa niente – mormora lei, la voce sottilissima – Scusami tu”
Louis le volta le spalle senza che abbia terminato la frase. Cammina con disinvoltura, con quella giacca imbottita che gli indurisce il portamento, il busto. Ha le gambe toniche, i jeans scuri e stretti, le scarpe basse e le mani in tasca.
Lei sbatte le palpebre, cercando di fermare quel vuoto che le sta riempendo i muscoli, quei brividi ghiacciati contro le scapole e tra le vertebre. Sente l'improvvisa e disperata voglia di uscire da quella casa al più presto.
La mano di Oscar è come una certezza attorno al suo polso così piccolo in confronto a quelle dita così lunghe.
Le sorride con amore alla vista dei suoi occhi azzurri e bagnati.
Dice solo: “Andiamo a casa”
 
 
 
 
La casa della vedova Styles è abitata, Jodie glielo dice quella domenica mattina.
“Suo nipote è tornato in città – spiega, appoggiata al mobile della cucina mentre beve il suo solito cappuccino con tanta schiuma – È molto carino”
Georgia arrossisce a quell'affermazione mirata, scuotendo appena la testa.
La vedova Styles abitava nella casa davanti alla loro, quella in cui si sono trasferite dopo l'abbandono di Marshall. Era una donna minuta e dolce che aveva perso il marito da poco e che faceva le migliori torte del mondo. Sono passati diversi mesi da quando i suoi figli l'hanno fatta mettere in un centro di cura specializzato, a Georgia le si stringe sempre il cuore quando ci pensa.
“Dovremmo restituirgli il vaso che sua nonna ci ha prestato, magari è uno a cui piacciono i fiori – sua madre incrocia le gambe affusolate e fa finta di pensarci – Vai tu? È quello all'ingresso”
“Mamma...” la ragazza inizia, le guance gonfie.
Jodie continua: “Oggi ho un impegno e poi sarebbe un modo perfetto per fare amicizia, avrà più o meno la tua età e non credo abbia familiarità col quartiere” poi le sorride come quando conclude una conversazione e appoggia la tazza dentro al lavello, scompigliandole appena la chioma bionda e uscendo dalla cucina.
Georgia non le ha detto di Louis, né del suo imbarazzo della sera prima. Invece le ha fatto capire di essersi divertita e di aver fatto amicizia. E Jodie ha avuto gli occhi orgogliosi per diverti minuti, perché è così che vorrebbe sua figlia, è così che vorrebbe che crescesse.
Georgia lo sa, per questo non accenna al pianto contro la spalla di Oscar, distruttivo come solo le cose silenziose sanno essere.
Per questo quella stessa domenica è davanti alla porta della casa della vedova Styles, con il vaso blu tra le dita sottili e il labbro infilato tra i denti per evitare che tremi.
Continua a sbattere le palpebre e a respirare forte, cercando di controllare i suoi gesti dettati dall'imbarazzo, dalla voglia di essere altrove e stare bene.
Il portone d'ingresso si spalanca all'improvviso minuti dopo, facendola sobbalzare per la violenza di quell'azione.
Davanti a lei c'è un ragazzo invecchiato, alto e massiccio, con la pelle del volto leggermente abbronzata e gli occhi socchiusi e verdi, diffidenti come una notte senza stelle. I suoi capelli sono trascurati e bruni e lui è rigido, fermo e quasi ansante, pronto a difendersi. Sembra una preda che sa come attaccare e questo per un attimo le toglie il fiato, facendola indietreggiare appena.
Quei lineamenti duri e affilati sembrano sciogliersi appena quando la mette a fuoco, il ragazzo sbatte le palpebre un paio di volte e raddrizza la schiena.
“Sì” le dice e non sembra una domanda, non c'è confusione né nel suo sguardo né in quella voce così intorpidita, corrosa. Sembra più che altro un invito – un ordine a parlare.
Georgia si tende tutta, smette di guardarlo negli occhi fissa il legno dello stipite, deglutendo.
“Abito qui di fronte – inizia, insicura – Mi chiamo Georgia e questo vaso appartiene a tua nonna. Mia madre, mh, mia madre pensava potesse servirti, ecco. Ecco a te”
Si sente i suoi occhi addosso, mentre allunga le braccia verso di lui. Il vaso di vetro trema per la presa instabile, Georgia si morde forte le labbra e lancia un'occhiata al suo volto.
Il ragazzo le fissa le mani, le fissa le mani e sembra talmente in difficoltà da non capire cosa fare, da non poter gestire le proprie emozioni. Guarda quelle dita bianche ed è come se volesse...spezzarle, frantumarle tra le proprie.
È solo un guizzo sulla gola, un lampo negli occhi smeraldo grezzo e le spalle che semplicemente tremano, poi tutto sembra smettere di rimbombarle in testa, così come il suo respiro cadenzato.
“ Harry – lui afferra velocemente il vaso e si presenta in modo statico – Harry Styles”
Poi richiude la porta, la lascia sola.
Georgia torna a respirare.






 

buona domenica a tutti :)
come sono contenta di sapere che già il prologo vi sia piaciuto, avevo molte incertezze a proposito e mi fa piacere che voi - ancora una volta - le abbiate disintegrate!
prima di commentare il capitolo, ci tengo a spiegare qualche nome all'interno del testo:
  • kanye west e pavel nedved sono entrambi personaggi famosi. il primo penso lo conosciate tutti, mentre il secondo è un ex calciatore che continua a farsi vedere in televisione ogni volta che si parla della juventus
  • lock e centre sono ruoli del rudby a 15: il lock è di solito il giocatore più possente della squadra, mentre il centre è più agile e svelto. mi reputo molto ignorante sotto il punto di vista di questo sport, però non avrà che un ruolo secondario, di contorno
detto questo, questo è il primo vero capitolo della storia! l'ho scritto qualche mese fa per poi aggiungerci e toglierci pezzi per via della trama completamente stravolta, e sono ancora un po' diffidente! vedremo come si evolveranno le cose, no?
sono stati quasi indrodotti tutti i personaggi principali della storia, a iniziare da quel matto palato di niall horan - ho una crush per i frat boy, non posso farci nulla! -, per poi concentrarci su cyndi e il suo anticonformismo e anche su zayn, tranquillo e bilanciato come mai prima d'ora ahaha
louis credo che lo odierete, ma perché non lo capirete, ecco! io per prima inizio a rendermi conto del suo carattere solo adesso, solo dopo aver immaginato molto meglio l'andamento della storia! e anche jodie, che è un personaggio complesso, visto sempre in modo superficiale per via delle sue azioni, delle sue parole.
e poi, last but not least, harry styles!
allora, SO perfettamente che il concesto neighbors è qualcosa di visto almeno cento volte, nel plot iniziale loro si conoscevano alla festa, però c'è da dire che harry non era quell'harry, quindi sono voluta stare sul banale per cercare di andare fuori dagli schemi un'altra volta! incrocio le dita adesso :)

non credo di aver reso l'idea della sua inquietudine, ma spero di riuscirci meglio nelle prossime volte!
aaaaaaah!, prima che mi dimentichi! vorrei specificare il fatto che georgia è timida, moooolto timida! e io, come ben sapete, non ho mai scritto niente del genere, i miei personaggi femminili hanno sempre avuto una cerca indipendenza e temperamento che lei non possiede! è tutto nuovo per me, spero di migliorarmi!
la frase ad inizio capitolo è presa da "be calm" dei fun, che dà anche il titolo al capitolo stesso!
grazie di cuore a tutte le persone che hanno messo questa storia tra le seguite dopo solo il prologo, e grazie anche a cui si è fermato a lasciarmi il proprio pensiero, lo apprezzo infinitamente!
vi risponderò entro stasera!
un bacione immenso e grazie di cuore di nuovo <3
a presto,
caterina


 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** due ***




Words As Weapons
Slow It Down

 

I feel her filth in my bones
Wash off my hands til it’s gone



 
 

Oscar ha un sorriso malizioso anche mentre cammina fiero tra i corridoi della scuola, la mano bruna che regge la cinghia dello zaino sulla spalla e la schiena dritta come quella di un leader, un padrone. Georgia al suo fianco invece sembra una piccola formica pallida e insicura, cammina con gli occhi bassi e i capelli legati che per la fretta di quella mattina non è riuscita a sistemare.
Il suo migliore amico continua a parlare della partita che lui e la sua squadra hanno vinto – stra vinto – quella domenica e ciò la rende contenta, in qualche modo distratta dagli avvenimenti del week-end.
“Niall era ancora ubriaco, quando il Mister lo ha fatto giocare – dice Oscar con uno sbuffo divertito, lanciandole una breve occhiata – Mi ha detto di salutarti, a proposito”
“Saresti dovuto restare di più, sabato sera – bofonchia lei in risposta, evitando per un soffio una spallata da parte di un ragazzo – Mi dispiace”
Oscar arriccia le labbra, le sfiora il braccio con le dita e allarga appena gli occhi neri: “Nah, figurati. Non conta quanto, conta come – le fa l'occhiolino – E da quello che ho saputo, abbiamo entrambi fatto colpo”
Entrano nell'aula di inglese con Georgia che arrossisce vistosamente, sembra all'improvviso fare molto caldo nonostante le finestre che si affacciano sul giardino interno siano spalancate. Si siedono nel banco a due al centro dell'aula, senza che il resto degli studenti possa in qualche modo dare loro fastidio.
“Cosa intendi con 'fatto colpo'?” lei gli chiede, facendo un sorriso impacciato.
Oscar scrolla le spalle larghe, incrocia le braccia sulla camicia bianca della divisa e allunga le gambe sotto il banco, mettendosi comodo sulla sedia di plastica.
“Niall mi ha detto che a Zayn piacerebbe ritrarti, dice che hai un bel viso – spiega e sorride al suo imbarazzo – In quanto a me, Cyndi mi trova particolarmente petulante. In altre parole, è già mia”
Georgia ride coprendosi il volto con entrambi le mani, scuote la testa e non sa cosa dire.
“È una bella cosa, no? – lui continua, vedendola in difficoltà – Insomma, sarai come Marilyn Monroe mentre il tuo personale Andy Warhol ti dipinge. È una figata, a pensarci bene. Potrei esserne geloso”
La ragazza arrossisce ancora di più, ora la divisa sembra essere così attillata da farla bruciare tutta. Appoggia le mani contro le guance calde e i gomiti sul banco, sbuffando e ridendo.
“Sei un imbecille, te l'ho mai detto?” esclama.
Oscar arriccia le labbra spesse per l'ennesima volta, inarca le sopracciglia e “Un paio di volte, qualcosa di più” borbotta, annuendo.
La campanella della prima ora suona, facendo pian piano silenziare l'aula.
“Horan vorrebbe che venissi anche tu, domani – le dice ancora lui, come se  sifosse ricordato di quel particolare solo adesso – Andiamo al luna-park insieme a qualche ragazzo della squadra e sono sicurissimo che ci saranno anche Cyndi e Zayn e un mucchio di altra gente divertente. In più, ci sarò io
Georgia ridacchia appena e appoggia la guancia contro il suo avambraccio nero, chiudendo gli occhi e facendo un respiro pesante, liberatorio.
Sente le dita calde del suo migliore amico scostarle i capelli che non è riuscita a stringere nell'elastico, la sua voce torbida che mormora: “Che razza di persona si lascia sfuggire un raggio di sole come te”
Preferisce non pensarci.
 



 
 
Quando entra in casa, tra le mani stringe la posta presa dalla piccola cassetta di ferro verde bosco che c'è accanto alla porta. Sua madre non è ancora tornata e Georgia non vede l'ora di provare le candele al cocco che s'è fermata a comprare da Tesco.
Appoggia lo zaino accanto al vaso di vetro e sbadiglia sciogliendosi i capelli con un gesto secco della mano.
Ha in mano solo pubblicità, buoni sconti per negozi online dove Jodie è solita a comprare e qualche bolletta, sta per togliersi le scarpe quando la lettera sotto al volantino di Forever 21 cattura la sua attenzione come un unico punto nero in mezzo a una tela bianca.
È sigillata, professionale e triangolare. La calligrafia sul retro è ben leggibile, blu scuro.
C'è scritto: Harry Styles.
Le vengono subito in mente gli occhi, lo smeraldo sfregiato che l'ha messa a disagio, in imbarazzo. Si ricorda la tensione, la voglia di non essere lì e quella rigidità quasi irreale con la quale le si è posto di fronte. Si ricorda quella bellezza scheggiata, quella bellezza appassita, spenta.
Fa un respiro profondo e si volta, aprendo la porta un'altra volta con le chiavi che penzolano dalla tasca della giacca.
La casa della vedova Styles è una casa triste, Georgia lo ha sempre pensato, sa di solitudine e nostalgia. Nelle rare volte in cui ci è addirittura entrata, ha sempre percepito un'atipica freddezza perfino alle pareti, come la mancanza di qualcosa che prima c'era e ora non c'è più, i contorni di un quadro che è stato tolto e adesso manca. Sono assenze che pesano, la signora Styles sorrideva sempre in quelle situazioni e le diceva che l'inquietudine che sentiva allo stomaco era l'amore consumato con suo marito tra quelle mura. E Georgia arrossiva, si sentiva di troppo perché non capiva, l'amore per lei è sempre stato astratto e comunque distruttivo, non duraturo.
Tiene in mano solo la lettera, il resto lo stropiccia fino a chiuderlo nella tasca della giacca. Stringe le dita libere fortissimo prima di respirare e suonare al campanello.
Lui ci mette ancora diversi minuti per aprirle e quando lo fa, è talmente austero da far tremare i muscoli delle braccia chiusi nella stoffa della maglietta nera.
Georgia spalanca gli occhi, di riflesso fa un passo indietro e dentro di lei percepisce una scarica partirle dalla colonna vertebrale che la fa tendere come le corde di una chitarra.
“Stai sanguinando”
Non si rende conto di averlo detto ad alta voce finché la mano del ragazzo non si apre e si chiude a scatti, dandole una chiara visione di come le schegge di vetro gli abbiano perforato la pelle, il palmo grande ora completamente zuppo di sangue.
“Stai sanguinando – ripete, il respiro spezzato dall'ansia – Stai-”
“Sto bene – lui la interrompe, secco – Non è niente”
Georgia tentenna a quel punto, si morde il labbro e si sente piccola, un po' stupida.
“Sembra profonda” prova allora a dire, lentamente.
Harry fa uno sbuffo sarcastico: “Niente che del disinfettante non riesca a guarire”
“Forse c'è bisogno di una fasciatura”
“Sto bene” alza la voce e lei indietreggia ancora e abbassa gli occhi.
Vorrebbe solo aiutarlo, davvero. Anche Marshall si feriva con il vetro, certe sere: Jodie lo medicava con cura per poi insultarlo e fasciargli la mano e il polso.
Non vuole che rendersi utile, rimediare al loro primo incontro, eppure lui non fa che spaventarla e renderla nervosa, insignificante.
“C'era questa lettera, dentro la nostra cassetta – allunga il braccio come ha già fatto e deglutisce – Suppongo sia tua”
Harry afferra la busta velocemente, la osserva con gli occhi guardinghi che quasi lacrimano per il contatto dei tagli con la carta finché non sembra riprendersi. Allora respira forte, il suo petto ampio si alza e si abbassa e così le collane di ferro che porta al collo.
Guarda la lettera ora macchiata di rosso e poi il palmo scorticato che continua a sanguinare. Poi la fissa negli occhi e semplicemente chiede: “Sai come si disinfetta una ferita?”
 
 
 
 
Il bagno della casa della vedova Styles è quadrato, ricoperto di mattonelle azzurre e con una vasca lunga e stretta addossata alla parete. Harry è seduto sul bordo, le spalle curve e lo sguardo fisso davanti a lui, a guardare i pensieri che gli fanno tremare le ginocchia di tanto in tanto, il palmo ben spalancato e il volto apatico, come se non sentisse neanche il più piccolo dolore.
Georgia gli ha rimosso le schegge con una pinzetta e gli ha disinfettato la ferita già timorosa che lui si lamentasse, Harry invece non ha fiatato, non s'è nemmeno mosso. Sembra quasi che lui non ci sia, che siano solo pezzi di ossa e pelle e legamenti.
È un silenzio che sa d'imbarazzo e tensione, lei lo riesce a sentire ovunque e ciò non fa che aumentare il suo nervosismo, la sua voglia di finire al più presto e andare via.
È comunque Harry il primo a parlare dei due. Lancia una breve occhiata alla ferita quasi del tutto pulita e poi “Dove l'hai imparato?” le domanda, con tono neutro, per niente curioso.
Lei sobbalza appena per la sorpresa, deglutisce e riprende a tamponare col cotone imbevuto. “L'ho visto fare da mia madre, qualche volta” risponde piano.
Lui annuisce, con l'altra mano si scosta i capelli dalla fronte e poi sorride appena, senza allegria: “Dalle mie parti ci si disinfetta con la saliva” borbotta, come se fosse un ricordo buffo.
“Da dove vieni?” lei non può che chiedergli, a quel punto.
Harry alza la testa, incontrando i suoi occhi leggermente più in alto. Il suo tono è aspro mentre le risponde: “Dall'Afghanistan”
“Sei un-”
“Un soldato, sì – la interrompe, allargando le narici come se dirlo gli costasse energia, fatica – O almeno, lo ero. Congedo a tempo indeterminato, a quanto parte il British Army non ha più bisogno di me”
Gli occhi di Georgia vagano per le piastrelle chiare come per cercare una via di fuga a tutto quel disagio che le si sta impigliando in mezzo agli organi. Le sue labbra tremano per lo sforzo di stare in silenzio, per cercare di dire qualcosa che sia empatico, d'effetto.
Ora capisce per esempio i tagli sulle sue nocche, la piccola cicatrice sulla tempia sinistra e gli occhi distrutti, frantumati, senza modo di essere aggiustati. Capisce la medaglietta di metallo incastrata con il ciondolo a forma di aereo, capisce le spalle tese fino allo spasmo e il corpo che trema a ogni movimento più azzardato.
Capisce, ma non comprende. Rimane in silenzio e s'immagina la guerra dentro le sue ossa, i pensieri che gli lasciano le occhiaie di notte e gli spari, tanti spari. S'immagina il sangue che in quelle mani grandi si mischia col sangue di altri, quel volto come l'ultimo di una vita intera, una vita spazzata via sotto il rumore dei proiettili, la paura, la rabbia, l'oblio.
La casa della vedova Styles è triste, fatta apposta per le mani di Harry, per il suo petto e la sua voce che sa di ruggine.
Si respira la mancanza di qualcosa, il silenzio che copre rumori che sono loro dentro la testa, suoni che strillano e fanno la guerra.
“Ci vorrebbero delle candele” si ritrova a sussurrare lei, con le labbra che nemmeno si muovono.







 

buonasera a tutti!
puntuale come un orologio svizzero, ecco qui il secondo capitolo della storia! scriverlo è stato un vero e proprio parto, specie perché non avevo idea di cosa succedesse, ma spero che il risultato finale vi sia comunque piaciuto!
la storia di harry come soldato è nata da una chiacchierata con acinorev, lei stra in fissa coi soldati (:-)) parlava parlava parlava finché non le ho detto "un giorno ti scrivo una storia con un soldato" ed eccoci qui!
in realtà è un tema che ho già affrontato in No church in the wild, ma lì non era che una cosa di contorno e sapete che a me lasciare le cose senza scriverci su fino allo sfinimento non piace, perciò...
il british army è ovviamente l'esercito inglese, che è l'unico nell'unione europea ad accettare che i minori si arruolino. dal 2013 sono stati ritirati dall'afghanistan poco meno di 4000 soldati, perciò quello di cui harry parla non è del tutto inventato. ho colto l'occasione al balzo, ecco
spero che l'inquietudine/imbarazzo/disagio/timidezza di georgia siano stati capiti appena un po' di più! giuro che per me è difficilissimo trovarmi a scrivere di un personaggio così, ma è qualcosa di nuovo e mi auguro possa portare piano piano soddisfazioni!
fate caso ai particolari, come ad esempio le candele (!!!!!!!) o il continuo accennare a louis da parte di jodie/oscar/georgia stessa (che risalterà più avanti, non vi preoccupate), oppure zayn (raga finché avrò vita per me saranno sempre in cinque non vi preoccupate ahahah) e la sua arte!
la strofa iniziale e il titolo del capitolo sono presi dalla canzone dei the lumineers, che vi consiglio di ascoltare!
come sempre, grazie a tutte di cuore!
spero di ricevere più pareri questa volta, la storia è appena iniziata e mi piacerebbe veramente che mi diceste ciò che vi frulla per la testa nel leggerla, cosa c'è che non va e via dicendo!
mi demoralizza il vostro silenzio, perché è peggio di una critica, sapete?? ahaha
a ogni modo, grazie di nuovo per essere qui a leggere un'altra strampalata storia della sottoscritta!
un bacione gigantesco e a presto,
caterina





 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** tre ***




Words As Weapons
Winter


There's no heat from our mouths
Please take me back to my rich youth
 

 
 


Qualcuno le dà una spallata, lei di riflesso si stringe al braccio di Oscar, che si volta e “Imbecille! – esclama, il tono rabbioso – Guarda dove metti i piedi!”
Georgia gli mette una mano sul gomito e scuote appena la testa, esasperata: “Non puoi insultare tutti quanti, lo sai vero?” gli domanda, continuando a camminare.
Lui fa un sorriso e il suo viso si distende all'istante, le mette un braccio attorno alle spalle e si guarda appena intorno, senza rispondere.
È come se l'intera popolazione giovanile – e non – di Bootle si sia rintanata dentro le mura invisibili del luna park, creando quell'ammasso indistinto di corpi che camminano in direzioni diverse impugnando stecchi di zucchero filato e mele caramellate.
A Georgia non piacciono i posti troppo affollati, questo non è un mistero. Tuttavia oggi è stata una gran bella giornata: fino a qualche ora fa c'era ancora il sole, sua madre le ha ricomprato le candele neutre che aveva finito ormai da tempo e il quiz a sorpresa di letteratura inglese è andato bene, John Keats sarebbe assolutamente orgoglioso di lei.
Avverte quello strano tremito simile all'aspettativa, le sue guance sono gelate e rosse per via dell'aria fredda e continua a mordersi le labbra, cercando di calmare i nervi e l'agitazione che quel contesto le fa provare.
Le luci riempiono il cielo con finte stelle e gli danno una tonalità di rosso violaceo, i bambini urlano sulle giostre e si sentono i classici rumori di una vittoria, come un lungo fischio e dei falsi applausi.
Oscar cammina verso il chiosco con le ruote dove un uomo coi baffi e la camicia macchiata frigge patatine, adocchia i tavoli in legno che ci sono lì accanto e sorride, alzando una mano bruna quando individua i suoi amici. “Eccoli! Vieni, te li faccio conoscere”
La prima cosa che Giorgia vede sono le gambe gracili di Niall Horan che stanno improvvisando quello che ha tutta l'aria di essere un goffo balletto irlandese. Seduta sul tavolo di assi, Cyndi fuma una sigaretta con un'espressione esasperata in mezzo a Zayn e un ragazzo che lei non ha mai visto. Accanto a loro ci sono altri due giovani che hanno occupato la panca, Georgia li riconosce come alcuni dei compagni di squadra del ragazzo che adesso la sta letteralmente trascinando.
Oscar è ovviamente al centro dell'attenzione, poi. Lascia pacche su spalle possenti e china il capo elegantemente verso Cyndi, che ridacchia e scuote la testa.
“E questo zuccherino è con te?” il ragazzo accanto a lei lancia un'occhiata maliziosa a Georgia, che arrossisce e spalanca appena gli occhi.
Oscar annuisce energicamente: “Signori, ho l'immenso piacere di presentarvi la luce della mia vita. Giorgia, loro sono Douglas, Floyd e Liam”
Douglas è più massiccio di Oscar ma molto più basso, ha i capelli di un biondo cenere e gli occhi piccoli e incavati nel volto pallido. Floyd invece ha la testa rasata e la mascella tondeggiante, le iridi di un azzurro cielo e il sorriso scheggiato.
Liam tra i tre sembra il meno muscoloso, è il ragazzo che l'ha interpellata e il suo viso è lungo, riempito da un paio di occhi ambrati, un naso gonfio e delle labbra scarlatte.
Georgia fa un sorriso timido e di circostanza, facendo vagare lo sguardo tra le giostre e le persone a lei attorno. È quando Cyndi si rivolge a Zayn con tono saccente che torna a prestare attenzione al gruppo.
“Smettila di guardare il telefono come una fidanzatina apprensiva – dice, osservando l'amico pescare un vecchio Nokia dalla tasca della giacca nera – Sai come sono fatti. O stanno scopando o stanno litigando”
“Magari fanno entrambe le cose. Contemporaneamente” Niall ride alla propria affermazione, facendo alzare gli occhi al cielo dell'amica.
“In realtà, attendo segnali di vita da Harry – si spiega Zayn a quel punto – Mi aveva detto che forse sarebbe venuto”
Quel nome le fa sbattere le palpebre velocemente in modo del tutto inconsapevole, Georgia raddrizza le spalle e osserva per un attimo i tratti orientali di Zayn, la montatura degli occhiali sul naso dritto e l'espressione tranquilla, come se niente fosse in grado di toccarlo tanto da cambiargli l'umore, l'atteggiamento pacato.
Poi Floyd ride e sputa per terra e la testa di Georgia si volta verso di lui tanto velocemente da sentire il collo tirare.
“Non è nemmeno in grado di uscire di casa, figurati di venire in un posto del genere!” esclama, col tono ironico che maschera solo cattiveria.
Adesso Georgia guarda la punta delle sneakers bianche di Liam davanti a lei e si morde forte le labbra, cercando di placare quell'improvvisa inquietudine che vuole farla parlare, alzare la testa e dire qualcosa. Pensa solo: parlano di lui. È lui.
È lui.
“Sei un vero coglione, sai? – Cyndi balza giù dal tavolo con rabbia, il suo corpo minuto freme, brucia – Come cazzo...chi potrebbe dire una cosa del genere?”
Niall allunga un braccio, le ferma il gomito. “Cyndi...”
Lei nemmeno lo ascolta, continua a fissare Floyd con tale decisione e forza che per un attimo Georgia si ritrova a invidiarla.
“Vacci tu, coglione, a combattere una guerra! – è lui, è lui – Al posto di scopare le sedicenni nei parchi, perché non provi a fare almeno un briciolo di ciò che ha fatto lui alla tua stessa età?”
“Stavo scherzando, Cyndi” Floyd sbuffa esasperato, come se conoscesse quelle parole a memoria.
“Scherza sulla tua vita del cazzo, la prossima volta” ringhia lei in risposta, dando una spallata a Niall nell'andarsene.
Intorno a loro la confusione non è che un brusio di sottofondo del silenzio che li ha invasi, quel mutismo dettato dalla mancanza di parole adatte, parole che non siano quelle appena urlate e che adesso rimbombano un po' nella testa di tutti.
Georgia vorrebbe semplicemente andare via, chiudere gli occhi e sparire da quella situazione piena di domande che stanotte non la faranno dormire.
“Scusate il ritardo, Louis non è in grado di parcheggiare”
La voce le arriva alle spalle, facendola sobbalzare appena. La ragazza che compare al fianco di Niall è alta e slanciata, indossa un cappotto da uomo e un paio di jeans larghi, strappati sulle cosce. Il suo volto elegante è tirato in un'espressione di disappunto e i capelli neri contrastano con gli occhi grigi e la pelle chiara, fredda.
“Ti ricordo che stavi guidando tu” è la risposta che le arriva a quel punto, dal ragazzo che si sta sedendo nello spazio vuoto lasciato da Cyndi.
“È lo stesso – la ragazza scuote la testa, alza gli occhi al cielo e fa un sorriso – La macchina è tua, quindi se la portano via, per Legge sarai tu quello che non sa parcheggiare”
E Georgia è talmente sopraffatta da milioni di emozioni che quasi non sente la terra sotto i piedi.
Bootle è piccola, forse lei se lo sarebbe dovuta aspettare. Eppure è la stessa storia tutte le volte, perché tutte le volte che Louis le è davanti, lei vorrebbe solo piangere. Ascoltare Medicine dei Daughter e pregare a bassa voce che dopo tutti quegli anni, l'idea di essere lasciata da sola non le faccia così paura, così male.
E proprio perché è la stessa storia tutte le volte, gli occhi di Louis – quelli uguali a suoi, dannazione – hanno un semplice lampo di consapevolezza che subito viene nascosto dalla più totale indifferenza, come se lei nemmeno si meritasse l'odio, il disprezzo.
Niente, niente.
Si guardano e lei batte i denti, fa un passo indietro e trattiene un singhiozzo mangiandosi le labbra, stringendo le mani, desiderando che ciò che esplode dentro si allievi, vada via.
Oscar al suo fianco è teso, si sente la sua rigidità semplicemente nel punto in cui le loro braccia si sfiorano, ha perso l'espressione amichevole e la voglia di ridere, di fare amicizia.
“Suki e Louis, loro sono il mio lock e il suo raggio di sole – è Niall che fa le dovute presentazioni, ha di nuovo il sorriso e gli occhi luminosi mentre batte una pacca contro la schiena dritta di Oscar – Oscar e Georgia, loro sono la coppia che scopa e litiga in contemporanea
Scoppiano tutti a ridere, compreso Louis. La sua è una risata tirata, forzata all'inverosimile.
Marshall rideva così quando era nervoso, quando qualcosa gli faceva arricciare il naso.
Suki spalanca gli occhi grigi e batte una mano smaltata di nero sui jeans scuri del proprio ragazzo: “Cazzo!, glielo hai detto?” esclama e gli altri ridono più forte.
Poi guarda Georgia e Oscar con un sorriso confidenziale e “In realtà non succede spesso – tende a precisare – Ma capita, sapete, di doversi sfogare in più modi...”
“Per l'amor del cielo, Suki! Sei una ragazza!” esclama Douglas, ma ride.
“Popolo maschilista –  lei fissa l'altra ragazza – Cosa ci vuoi fare, però? Quando capiranno di essere solo un branco di idioti sarà sempre troppo tardi”
Georgia ridacchia, è in soggezione e Suki la guarda con occhi che la mettono a disagio, non è abituata a persone così tanto amichevoli. Si sente impacciata, di nuovo vorrebbe andare via.
Per un attimo si chiede se Suki sappia chi lei sia, effettivamente. Se Louis glielo abbia mai raccontato, se le abbia mai parlato di com'è successo che i suoi abbiano divorziato, della fine di suo padre.
Poi però l'altra ragazza continua a parlare, ruba dalle labbra di Louis la sigaretta appena accesa e inizia a raccontare della sua giornata passata sul treno per Liverpool per via di un guasto, dell'uomo accanto a lei che le sonnecchiava sulla spalla e della storia che l'anziana sedutale davanti le ha raccontato per passare il tempo. E Georgia allora sorride, perché la risposta è no, no di certo.
Probabilmente per Louis lei non è che una ragazza appena presentata, un altro volto di cui scordarsi appena tornati a casa. Il particolare dei genitori divorziati lo avrà tralasciato, invece forse avrà fatto capire un po' a tutti quanto il cognome che porta lo renda orgoglioso, lo faccia sentire parte di una famiglia, una famiglia vera.
Quella consapevolezza la soffoca, non le lascia respirare l'aria di fritto e grida che le riempie i polmoni. Guarda un'ultima volta Louis e lo vede che ride e scuote la testa alle affermazioni di Suki, con gli occhi che brillano di amore, un amore che secondo Jodie non esiste.
All'improvviso si sente risucchiata da se stessa, le tremano le dita delle mani e tutto ciò che riesce a dire è un piccolo “Devo andare”, prima di voltarsi e lasciarsi alle spalle chi da tempo s'è lasciato alle spalle lei.
 
 
 
 
 
 
Harry è fermo in mezzo al suo vialetto.
Fa buio, Georgia è sola e nelle tasche il telefono è pieno di messaggi di Oscar che le dice di fargli sapere quando tornerà a casa, che le vuole bene, che è tutta colpa sua.
Lo ha chiamato appena fuori dal luna park dicendogli di star aspettando l'autobus e che aveva semplicemente voglia di stare da sola. Lui ha capito, ha smesso di cercarla tra la gente, le ha detto: “Andrà tutto bene”.
Harry è fermo in mezzo al suo vialetto e questa è la prima cosa lucida che lei riesce a formulare nella sua testa dopo aver camminato per mezz'ora in mezzo alle sette di sera.
Lo guarda dal marciapiede, con le guance rosse e il naso congelato.
Fermo come il marmo, lui fissa la casa di Georgia dall'altra parte della strada, con gli occhi vuoti, le pupille dilatate per lo sforzo di cercare una luce tra tutto quel nero pece.
Lei lo guarda tremando dal freddo e dal dolore, tira su col naso e sbatte le palpebre più volte. Capisce dal modo in cui le sue nocche si sono bruciate per via del vento che lui è lì fuori da ore. È pallido, inverosimile.
Non è riuscito a uscire di casa.
“Ogni passo rischia di farti saltare in aria” Harry dice all'improvviso, la voce così tanto bassa da disperdersi col fischio del vento.
Abbassa appena gli occhi sul prato secco, poi sulle sue mani arrossate e tagliate.
“Non so nemmeno più camminare – mormora, sembra parli con se stesso – Non riesco più a camminare senza la paura di morire”
Studia le sue dita scheggiate con maniacale attenzione, gli occhi vitrei sono rossi così come il naso dritto e le guance prive di barba.
Non dice nient'altro, torna indietro senza darle la schiena, un passo dopo l'altro finché non è dentro casa.
Quando Georgia accende le candele in camera, sente ancora freddo.







 



buonasera a tutti!
scusatemi, sono di fretta perché dovrei essere fuori di casa tra 9 minuti e non ce la farò mai !!
prima di dire qualcosa di sensato, vorrei precisare che:
  • john keats è stato un letterario inglese
  • bootle è una piccola cittadina vicino liverpool dove io non sono mai stata
  • il titolo del capitolo è preso da winter dei daughter, così come la frase iniziale
eccoci qui! sono stati introdotti - a grandi linee - tutti i personaggi più importanti!
floyd e dauglas, così come liam, credo avranno un ruolo marginale, ma ancora non ne sono sicura! importanti invece saranno senza dubbio suki - vista per la prima volta - e louis - of course!
questo capitolo è incentrato su georgia, su ciò che lei sente e su quello che louis è in grado di farle provare. è un capitolo abbastanza pensate, credo, ma non riuscivo proprio a non scriverlo in altre maniere.
che ve ne pare? come vi sembrano i personaggi nuovi?
liam nel ruolo di donnaiolo è qualcosa di nuovo anche per me, scrivere di lui che flirtra con qualcuno è assolutamente irreale...aahahahah
l'ultimo pezzo serve a rimarcare quanto harry sia distrutto dalla guerra in tutti i sensi, non riesce nemmeno a mettere un piede fuori dal suolo della sua casa senza pensare di saltare in aria. credo che faccia paura, specie per una ragazza fragile come georgia ((((mi piace complicarmi la vita))))
con l'ultimo capitolo mi avete riempito di gioia e di speranza! le vostre recensioni mi hanno resa talmente orgogliosa da farmi sorridere come un'ebete ahahah grazie di cuore veramente, per me è davvero importante!
non siete obbligate a recensire certo, ma sapere che c'è gente che mi dedica il suo tempo per raccontarmi cosa ne pensi di ciò che scrivo è gratificante, molto di più dei numeri dei lettori!
quindi quando volete, sono qui :-)
spero che il capitolo vi sia piaciuto!
grazie di cuore a tutti <3
a presto,
caterina



 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** quattro ***




Words As Weapons
Tear In My Heart

sometimes you've got to bleed
to know that you're alive





 
Lottie Tomlinson è una puttana.
C'è scritto sul muro nel bagno femminile del primo piano. È stata Melissa Fox, Georgia lo sa perché lo ha sentito durante la lezione di matematica, un lunedì pomeriggio.
Lo ha scritto contro le piastrelle rosa dopo che sono iniziate a circolare voci sul suo ragazzo e Charlotte. Voci non carine, per niente.
All'inizio si parlava solo di una scopata da ubriachi, poi Melissa ha quasi rischiato di investire il suo (ormai ex) ragazzo finché lui, con occhi finti, le ha confessato più di un mese di tradimenti.
Ma era solo sesso, amore – le ha detto davanti al cancello principale della scuola – ti giuro, Melissa. Tu vali molto di più
Lottie Tomlinson è una puttana, c'è scritto sul muro nel bagno del primo piano ma di questo Georgia non ne è così sicura.
Non conosce Lottie, non è il tipo di persona che giudica qualcuno in partenza. Quel poco che sa di lei, lo ha appreso tramite voci di corridoio e dal suo comportamento. È carismatica, Lottie, circondata sempre da persone – per lo più maschi – e sempre col sorriso malizioso sulle labbra truccate, da bambina grande.
Gira per la scuola come se le appartenesse, ridendo e parlando ad alta voce senza preoccuparsi di ciò che possano gli altri pensare di lei, senza preoccuparsi di quel puttana scritto con l'indelebile sul muro davanti alla porta, così che chiunque possa guardarlo e rifletterci su.
Georgia sa anche che Lottie la conosce, ha capito chi è lei. Si vede dalle occhiate che le rivolge in mensa e durante l'unica lezione – arte – che hanno in comune: ha gli occhi che quasi ridono, gli occhi azzurri che si prendono gioco di lei come farebbero quelli di un vincitore avido nei confronti di chi ha sconfitto.
E, a pensarci bene, è proprio così.
 


 
 
La mensa scolastica è grande, col pavimento chiaro e le pareti fatte a finestre per quando c'è il bel tempo e si riesce a mangiare fuori, nei tavoli da picnic.
Georgia mangia la sua patatina fritta con lo sguardo allucinato fisso sulla poltiglia di patate, carne e ketchup che Oscar ha appena creato nel suo piatto con orgoglio. Mangiano in uno dei tavoli rotondi l'uno davanti all'altra come al solito, mentre intorno a loro qualcuno ride più forte e altri aspettano ancora di essere serviti.
Oscar ha la lingua incastrata tra la fila di denti bianchissimi e lo sguardo affamato mentre mescola con la forchetta il proprio pasticcio di legumi, salsa e carne, Georgia sbatte le palpebre e si riprende, scuote la testa e addenta un'altra patatina. “Sei davvero disgustoso” dichiara.
Hey! – lui protesta subito, risentito – Sono un atleta, io. Ho bisogno di nutrirmi adeguatamente”
La ragazza afferra la banana nel suo vassoio, porgendogliela, ma Oscar arriccia le labbra in modo schifato e “Credi che del misero potassio basti a sfamare uno stallone come me?”
Georgia ride e alza gli occhi al cielo, senza dire altro.
Restano in silenzio per qualche istante, finché lui non se ne rende conto e la guarda, smettendo muovere la forchetta. Si inumidisce le labbra scure e “Come stai?” le domanda, inclinando appena il capo.
Lei lo fissa di rimando e ha le sopracciglia aggrottate e l'espressione spaurita, piena di incertezze.
“Me lo hai chiesto almeno quattro volte, oggi – mormora – Non sono...non sono fatta di vetro, Oscar. Posso sopportare certe cose”
“Puoi?” chiede subito lui, col tono scettico.
“Certo che posso – gli risponde, dispiaciuta che lui pensi il contrario – Sono solo...”
Sbuffa a quel punto, perché l'agitazione riesce a bloccarle le parole in gola come ogni volta. È come se la potenza dei suoi pensieri fosse talmente lesionante da farla tremare ancora prima che questi si trasformino in concretezza, diventino parole dette ad alta voce.
Pensa tanto, anche adesso. Pensa che ci sono situazioni in cui vuole semplicemente stare da sola, situazioni (persone, persone) a cui è abituata ma che comunque ogni volta hanno il potere di romperla un pochino.
Pensa tanto, talmente tanto che la forza di parlare a volte manca, a volte non è sufficiente.
A volte, tipo adesso.
“Sono solo..?” Oscar cerca di aiutarla, le viene incontro.
Georgia si morde forte le labbra e guarda lontano, verso il cortile interno.
Lottie Tomlinson ride apertamente a una battuta che il ragazzo in piedi davanti a lei ha appena detto, si scosta i capelli lunghissimi e biondi dal volto grande e paffuto e accavalla le gambe da nuotatrice. È seduta sulla superficie in legno di uno dei tavoli, circondata da persone sempre diverse, sempre così sorridenti e false.
Georgia non la invidia, non vorrebbe mai essere come Lottie. Non ne sarebbe nemmeno in grado, dopotutto.
“Parlavano di un certo Harry, l'altro pomeriggio”
Riporta gli occhi spenti dentro quelli di Oscar, la sua voce adesso è controllata, quasi lontana. Lui annuisce e aggrotta le sopracciglia senza capire.
“È il ragazzo che vive nella casa della vedova Styles. Suo nipote. È...era un soldato”
“Come fai a saperlo?” le chiede l'amico, ma dal tono che usa sembra che lui per primo sappia quella storia.
Georgia respira profondamente, si appoggia allo schienale della sedia. “Ho...collegato i pezzi. Ci siamo parlati un paio di volte, per caso”
“E..?”
“E lui è strano
Oscar ridacchia appena, spazza via quella tensione che si era creata qualche istante prima. “Raggio di sole, detto da te è davvero buffo”
Lei sbuffa ma sorride, più tranquilla. “Davvero, però – insiste – Lui è veramente strano. Ma non lo biasimo, insomma, hai sentito Cyndi, no?”
A quel nome gli occhi di occhi di Oscar scintillano. “Come non sentirla” esclama, facendola ridere.
Georgia decide che è il momento di cambiare argomento, passare a tematiche che non la coinvolgano fino a farla sentire minuscola.
“Ci sei proprio rimasto con quella ragazza” insinua.
Allora Oscar, a cui piace parlare e parlare di sé, ride e racconta di come lui e Cyndi potrebbero stare benissimo insieme, come Kim e Kanye West inglesi.
Lottie Tomlinson bacia leggermente il ragazzo davanti a lei e spezza il cuore a qualche altra povera ragazza.
 


 
 
Jodie è a cena fuori con le sue amiche e la casa è buia perché serate come queste sono magiche.
Ci sono le luci delle candele che tracciano i sentieri sul pavimento, decine di luci destinate a spegnersi che sanno di limone e rose, vaniglia e cioccolato.
A Georgia le candele piacciono più di quanto ci si potrebbe immaginare, forse per questo Oscar la considera strana, forse per questo lui ha ragione nel farlo.
È una passione nata per caso, lei nemmeno si ricorda bene come.
Le candele hanno effetto su di lei, in un certo senso. La calmano, spengono i rumori dentro la sua testa, le parole fioche bloccate contro la gola.
Con le candele si sta in silenzio, per lo meno nella loro casa. Si ascoltano le fiamme bruciare la cera bollente, se è una bella giornata magari anche qualche cd non ancora rigato.
A Georgia piacciono le candele perché le piace il fuoco, la sensazione di calore protettivo contro i palmi delle mani prima di sentire il dolore, ama ciò che le candele significano, l'illuminare solo i dettagli importanti, essenziali.
Da camera sua si sente la voce di Ed Sheeran che contro un microfono sussurra Would you take away my hopes and dreams and just stay with me? mentre lei ha gli occhi chiusi sul tappeto dell'ingresso, le mani appoggiate sul ventre piatto e i capelli sparpagliati.
Le candele sotto le pareti le respirano contro facendola sorridere e nella sua testa tutte le paure sono liquide, scappano dalle dita aperte lasciando solo un fresco ricordo di bagnato, come acqua.
Con le candele, Georgia è forte.
È un bel contrasto, un bel pensiero.
Non ci sono più quelle parole da sputare, niente più ansia e voce piccola, occhi grandi e feriti. Ci sono le candele, il respiro, c'è lei.
Poi qualcuno suona il campanello ed è come spalancare una finestra e far entrare dentro il sole. La sensazione di smarrimento e rabbia è la stessa, Georgia è tanto così dallo scoppiare a piangere per la frustrazione.
Apre gli occhi e fissa il soffitto che la luce fioca non riesce a raggiungere e perciò è solo nero, una macchia d'inchiostro secca. Si alza in piedi a fatica, controlla che intorno a lei vada tutto bene e sbatte le palpebre localizzando il portone d'ingresso.
Non accende la luce, non lo farebbe mai.
È Harry quello che ha un braccio alto appoggiato contro lo stipite e il volto chinato a terra come le sue spalle, a fissare lo zerbino con espressione confusa, incerta.
Georgia non ha nemmeno il tempo di capire che lui alza gli occhi verdi e “Mi dispiace” butta fuori, con difficoltà.
“C-come?” lei sbatte le palpebre, perfino la luce dei lampioni è più forte di quella a cui è abituata.
Il ragazzo toglie il braccio dallo stipite, si schiarisce la voce e raddrizza le spalle. “Mi dispiace, per l'altro pomeriggio – mormora, le sfugge con gli occhi – Io non...non credo di ricordarmi quello che ho detto, ma può essere che ti abbia spaventata e-”
No
Le esce spontaneo, forte, talmente tanto che Harry sembra sorpreso quanto lei. Georgia deglutisce, si spiega meglio: “Non mi hai spaventata. Non c'è bisogno che tu mi chieda scusa”
“Ho avuto una brutta giornata ed ero stanco...”
“Non fa nulla, davvero – le dita piccole della ragazza si stringono alla maniglia con forza – Non devi giustificare qualcosa che non hai commesso. Non è successo niente”
Harry la osserva con circospezione a quel punto, e Georgia s'irrigidisce tutta per la paura di arrossire per quegli occhi diffidenti che la guardano senza rivelare nulla.
Le candele alle sue spalle continuano a bruciare.
“Tu continui a...a trattarmi bene e io non...non riesco a capire” le parole di Harry sono basse, veloci e incisive come pugni, lei trattiene appena il fiato e le dita contro il metallo della maniglia rischiano di avere degli spasmi per la forza con cui stringono.
“Cosa?”
“Cosa stai facendo?”
Adesso lui guarda oltre la sua schiena, osserva duramente l'interno della casa spenta per non lasciare nulla che la luce gialla delle candele. Il suo sguardo giudicante la sentire quasi in colpa, stupida. Ed Sheeran da qualche parte dice Just hiding my misguiding thoughts that I'm trying to kill.
“Volevo solo...smettere di pensare a qualcosa” sussurra lei, vaga, colpevole.
“E ci sei riuscita?” la voce di Harry sembra per la prima volta curiosa, cauta.
Georia scuote appena la testa, i suoi occhi gli guardano il maglione grigio: “Non più”
Lo vede fare un passo indietro, si sente il sussurro pigro dentro un sorriso morto. “Come immaginavo”
Le dà la buonanotte con uno sguardo che Georgia non coglie, uno sguardo che neanche riceve.
Le finestre bloccate chiudono fuori una luce che non c'è più, lei torna sdraiata sul tappetto e con gli occhi di nuovo serrati pensa finché non ci sono più lacrime.







 

mia madre per pasqua mi ha regalato il nuovo cd di ed sheeran quindi perché mai non inserirlo??
buonasera a tutti!
allora, prima che mi dimentichi e mi senta in colpa, ecco le mie precisazioni anche oggi:
  • lottie tomlinson non è di certo una mia creazione BUT ci tengo a sottolineare che ciò che è scritto qui - e vale per gli altri personaggi ispirati a persone vere, of course - e tutti frutto della mia fantasia ! ! ! lottie non è ! ! ! una poco di buono ! ! ! ad essere sincera volevo cambiarle nome per non coinvolgere altre persone reali, poi mi sono accorta di averla menzionata nel prologo e quindi it was tooooo late
  • le due canzoni citate nell'ultimo paragrafo sono opere (d'arti) firmate ed sheeran, la prima è "one" e la seconda "the man"
  • il titolo del capitolo e la frase iniziale sono presi dalla canzone dei twenty one pilots

detto questo, passiamo al capitolo! sono contenta di aver finalmente introdotto lottie, perché avrà un ruolo abbastanza rilevante per la storia. che ne pensate?
comunque, direi che le protagoniste indiscusse qui siano le famose candele! ho amato scriverci su, perché fino ad adesso non avevo mai avuto modo di dettagliare (esiste?) con chiarezza il rapporto che georgia ha con loro e sono abbastanza soddisfatta del risultato. spero che sia chiaro il fatto che georgia, a contatto con le candele, in situazioni come queste, si senta coraggiosa, forte. è contenta, perché chiude tutto fuori e riesce a pensare solo a se stessa.
poi c'è harry che beh, è harry, insomma. il suo comportamento è il classico one step forward two steps back (scusate ma in queste vacanze ho parlato più inglese che italiano e non capisco più nulla), quindi non pensate che abbia abbassato la guardia o che si sia "aperto" (eh veronica!!!) perché non è così!
niente, spero con tutto il cuore che il capitolo nuovo vi sia piaciuto, e spero che abbiate passato delle vacanze serene come le mie!
vi mando un bacione gigantesco e aspetto con impazienza qualsiasi cosa vogliate scrivermi!
a presto,
caterina


 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** cinque ***




Words As Weapons
Green Eyes




I came here with a load
And it feels so much lighter now I met you




 
“Indovina chi uscirà con Cyndi oggi pomeriggio!”
Georgia si volta di scatto verso Oscar, irrigidendo le spalle per lo spavento.
Il cortile della scuola è pieno di studenti e il suo migliore amico ha il volto stravolto dalla contentezza, come quello di un bambino davanti a un mondo ancora da esplorare, tutto nuovo.
Lei è seduta sul gradino della fontana e adesso sta sorridendo lievemente, osservandolo sistemarsi la giacca della divisa e aspettare compiaciuto e impaziente che lei gli faccia domande.
Quindi “Tu?” gli chiede, alzando un sopracciglio con finto scetticismo.
Oscar annuisce solennemente, mordendosi il labbro inferiore. “Tecnicamente, non è un vero appuntamento – chiarisce – La settimana prossima è il compleanno di Niall e andiamo a cercare un regalo decente. Ma andiamo insieme, capisci?”
“Capisco, capisco” lei bofonchia, in realtà non capisce perché con le persone non sa starci.
Il petto del ragazzo si gonfia per un sospiro estasiato, assolutamente teatrale. “È proprio una magnifica giornata, non trovi?” esclama a occhi chiusi.
A Georgia non sembra così, ma non lo dice. Si alza dal muretto e lo affianca verso l'entrata della scuola, mentre la campanella da dentro l'edificio segna gli ultimi cinque minuti prima dell'inizio delle lezioni.
“Qualcosa ti turba, raggio di sole?” le chiede poi Oscar, lungo il corridoio affollato.
Lei sbatte le palpebre, aggrotta le sopracciglia e sospira appena tra le spalle strette, chiuse per via dei pensieri ingombranti.
“No – risponde, piano – Sono solo stanca. Non ho dormito granché stanotte”
“Pensavi a qualcosa in particolare?”
“A tutto e a niente, come al solito”
Entrano nella classe di scienze ancora vuota, scegliendo la coppia di banchi nell'angolo vicino alla finestra. Oscar la osserva togliersi la giacca e sistemarsi i capelli sulla sedia, sembra che voglia dire qualcosa – chiedere, magari – poi ci ripensa e semplicemente scuote il capo, leccandosi le labbra.
Mama Gomes consiglia della buona camomilla, prima di andare a dormire – le sorride quindi, facendole l'occhiolino – E lo sai meglio di me che mia madre ha sempre ragione”
La classe intorno a loro inizia a riempirsi, la conversazione finisce lì e Georgia gli sorride anche se un po' le dispiace.
 
 
 
 
L'iPod è scarico perché stanotte l'ha passata ad ascoltare in loop gli M83, lo tiene tra le mani fredde con i fili bianchi delle cuffie che pendono verso il marciapiede e dentro di sé è arrabbiata per qualcosa – con qualcuno – a cui ancora non riesce a dare un nome.
Aspetta l'autobus alla fermata prima della piazza con gli occhi spalancati verso la città e lo zaino di scuola appoggiato all'asfalto. Dentro, c'è un altro pacco di candele pagato una sterlina e mezzo.
Non è riuscita a farne a meno.
Sono quasi le cinque di pomeriggio e lei è uscita da scuola da nemmeno un'ora per via di un progetto di scienze che l'ha tenuta in biblioteca insieme ad altri suoi compagni.
Georgia sospira lentamente, vorrebbe ascoltare i The xx e invece deve accontentarsi dei rumori cittadini e dei negozi che iniziano a chiudere.
Nella sua visuale fissa contro il marciapiede, si fanno largo un paio di anfibi rossi e bassi, rovinati.
Poi qualcuno le chiede: “Scusa, hai una sigaretta?”
Lei alza la testa di scatto ed è Suki quella che, con un accendino blu in mano, la sta osservando con la stessa espressione con cui l'ha conosciuta. Sembra quasi contrariata, in disaccordo con l'eleganza sinuosa del suo fisico slanciato, delle sue mani affusolate come candele bianche.
Si guardano per qualche secondo, poi la più grande sembra avere un'illuminazione e il suo viso si distende, fa un sorriso grande, sorpreso.
“Io ti conosco, vero? – esclama, facendo un piccolo passo indietro per osservarla meglio – Sì, certo che ti conosco. Sei Georgia, sì? La fidanzata dell'amico di Horan”
Georgia arrossisce vistosamente a quel nome, ridacchia in modo nervoso e si morde appena il labbro inferiore, scuotendo la testa. “Noi non...non siamo fidanzati” tende a precisare, timida.
“Avrei giurato in contrario – Suki aggrotta le sopracciglia nere mentre il suo sguardo grigio si sposta verso la strada e poi verso i negozi dall'altra parte, come se stesse riflettendo – Beh, mi dispiace per te, allora. Lui è davvero figo”
Le si siede accanto poi, con un'eleganza distratta e leggera tale da farla sembrare come il vento. Si tocca i capelli neri lunghi fino allo stomaco e se li scosta dal volto, stiracchiando le gambe dentro ai jeans slavati.
Georgia ridacchia ancora, si sente stupida e in imbarazzo.
“No, davvero. Sono seria! – Suki sbatte gli occhi, s'imbroncia come una bambina – È, tipo, veramente figo. Mi spiego, no? Voglio dire, sembra quasi Drake, però è molto più Kanye West di faccia. Per non parlare dello sguardo, mi ricorda vagamente Frank Ocean. Sì, decisamente Frank Ocean. Oh dio, per caso è gay anche lui?”
Il cielo si è già inasprito, non ci sono più le ombre.
Georgia adesso ride davvero, perché la parlantina di Suki è stranamente piacevole e perché lei è strana, di una stranezza che non ti aspetteresti mai da cinquantatré chili scarsi di gambe da modella e volto signorile.
“No, non è gay” mormora come risposta.
L'altra ragazza ci pensa, poi annuisce velocemente e “Sì, hai ragione. D'altronde è uscito con Cyndi oggi, no? Diavolo, quella ragazza è peggio di un animale! Sarà pure la mia migliore amica ma non ha pudore per uscire con quelli più piccoli. Spero solo che non l'arrestino...Insomma, dobbiamo andare in Spagna quest'estate, sarebbe un peccato”
Georgia continua a ridacchiare a bassa voce e si sente bloccata dalla timidezza, dalla paura di dire qualcosa di sbagliato, di non essere tanto quanto Suki.
È la fidanzata di suo fratello, realizza, e questo lei non lo sa.
Dal bauletto verde bosco che indossa, la mora pesca un sacchetto di carta da pasticceria, ne tira fuori un cookie gigante e “Vuoi un morso? E prendilo adesso o non ne avrai più l'occasione” le dice, allungandolo verso l'altra.
Georgia nega con la testa, “Sono celiaca – spiega – Ma grazie lo stesso”
“Davvero? Anche Louis!”
“Lo so”
Lo dice prima di pensarlo, prima quasi di aprire effettivamente bocca. Però succede e lei lo capisce solo dopo, quando Suki smette di sorridere come chi ha appena scoperto qualcosa di speciale e la guarda, gli occhi grigi pieni di malizia.
Ah, ho capito – sibila, il tono divertito – Sei una di quelle ragazzine che lo fissavano in corridoio quando andava ancora al liceo, giusto? Tipo le amiche di sua sorella. Tranquilla, posso cap-”
“Non è così, davvero – Georgia quasi balza in piedi per la fretta con cui vuole chiarire. Non è così, dio!, certo che non è così – Non mi piace Louis. Nemmeno lo conosco. Me lo...me lo ha detto Niall, ecco tutto”
Bugia, ma Suki sembra crederci perché forse conosce meglio di lei la lingua lunga di uno come Niall Horan.
Mangia il suo biscotto con pigrizia e intanto dice: “Oh, sì certo. Beh, a ogni modo non ti biasimerei. Voglio dire, io ho fatto dei commenti su Oscar, è giusto che tu ti possa scatenare sul mio uomo”
“Non sei gelosa?” Georgia le domanda curiosamente, la tensione creata qualche istante prima già svanita.
Mentirebbe se dicesse che non le piaccia parlare di Louis, perché nonostante l'inquietudine e la tristezza di non far parte della sua vita, l'idea di pensare di conoscerlo appena un po' di più è bella, la fa sentire appena meglio, illude di poter riempire quel vuoto.
Suki arriccia il naso, manda giù un boccone. “Nah, perché dovrei? O meglio, sono gelosa quando per esempio andiamo a ballare a Liverpool e in pista ci sono delle ragazze che lo toccano, o ragazze che provano a ballarci insieme. Ecco, sì. Ma non sono gelosa se qualche diciassettenne fa qualche commento su, che so, il suo fondoschiena o sulle sue mani. Non mi tradirebbe mai neanche se io tradissi lui, mi spiego? È troppo leale, ecco”
Ne parla con gli occhi seri, scuri per l'emozione. Dalla sua voce trapela la sorpresa continua di un amore sempre nuovo, Suki parla di Louis quasi come se si rendesse conto solo adesso di avere accanto una persona così straordinaria, vera.
E Georgia la invidia, si morde le labbra e la invidia.
“Invece, lui si che è geloso! – Suki ora ride forte – Cazzo, è probabilmente la persona più gelosa che abbia mai conosciuto. È, tipo, possessivo, veramente tanto. Io faccio sempre finta che questo lato del suo carattere mi faccia arrabbiare, così lo provoco e anche spesso. È che, cazzo!, è veramente sexy quando diventa geloso, capito? Quindi io interpreto il ruolo di femminista accanita mentre lui non fa che rincorrermi e incazzarsi. È molto divertente”
Ridono entrambe, anche se per motivi diversi.
Georgia per esempio ride del fatto che Suki ha gli occhi pieni d'amore e nemmeno se ne rende conto. Ride perché è un amore che le mette ansia, malinconia.
E questo è triste.
Il 39 arriva in quel preciso istante, Suki balza in piedi e si pulisce le mani sfregandole tra loro.
“Suppongo che questa sia la fine – borbotta, verso Georgia – È stato un piacere rivederti. Salutami Oscar. O forse no, dato che sta uscendo con la mia migliore amica proprio in questo istante...”
La bionda le sorride e “Sarà fatto” le risponde, gentile.
Suki sospira forte, guarda le porte dell'autobus rosso spalancarsi. “Vado a dare il grande annuncio ai miei”
La signora che scende in quel momento spalanca gli occhi, la guarda male. Lei scoppia a ridere e “Signora, non sono incinta. Mi sono appena licenziata”
 
 
 
 
 
Jodie è a casa, la si sente parlare anche dal vialetto.
Georgia non capisce il suo interlocutore finché non si chiude la porta d'ingresso alle spalle, appoggiando lo zaino ai piedi dell'attaccapanni e il cappotto in uno dei suoi rami.
Lancia un'occhiata allo specchio sopra al mobile e si sistema i capelli che il vento ha scombinato, poi deglutisce e respira profondamente.
Harry è come un pesce fuori dall'acqua in mezzo a quell'arredamento strettamente femminile, tiene le gambe intirizzite sulla poltrona e le spalle rigide come il cemento.
Indossa un maglione blu scuro e un paio di pantaloni neri, leggermente larghi sulle cosce. Ha il volto congelato e le mani chiuse su una tazzina da tea rosa che rischia di sgretolarsi sotto la sua presa.
Jodie continua a parlare a voce alta con tono pettegolo mentre spolvera con uno straccio una mensola che Georgia non ha mai visto, di fianco al mobile del televisore.
“Eccoti qui! – la donna si volta verso di lei, sorridendole in modo strano – Harry ti cercava, così gli ho offerto una tazza di tea mentre ti aspettavamo. Ah, ti piace? L'ha montata lui. È quella mensola dell'Ikea di cui non abbiamo mai capito le istruzioni”
Continua a guardare verso il ragazzo che tiene gli occhi verdi puntati sulla rivista appoggiata al tavolino in vetro, le mani dure sulla tazza bollente.
A Georgia basta un'occhiata più sicura verso sua madre per capire il suo gioco: Jodie tasta il territorio, l'unico motivo per cui ha spinto Harry a fermarsi in casa loro è perché voleva capire fino in fondo le sue intenzioni, perché è una madre e soprattutto una donna. E può scherzare quanto vuole, spingere sua figlia a essere più sciolta nelle relazioni, ma è comunque sempre in allerta, come l'orso che protegge i suoi piccoli.
“È...bella” Georgia deglutisce, fissa la mensola nuova e ha le mani che prudono.
Harry si alza in piedi e risulta talmente possente in quel piccolo salotto da non sembrare neanche umano. Appoggia la tazza sul tavolino basso e guarda Georgia, il volto scolpito da un nervosismo che vuole restare a bada.
“Posso parlarti?” le domanda, il tono studiato.
Georgia finge di non vedere sua madre sbattere le palpebre con curiosità, invece annuisce veloce e gli fa cenno di seguirla fuori, sul vialetto.
Harry si chiude la porta alle spalle e sembra riprendere via, l'aria fredda gli riempie i polmoni e gli rilassa le spalle, Georgia lo intravede dalla luce dei lampioni e pensa che sia bello.
Bello e distrutto.
Lo sente fare un respiro profondo, chiudere gli occhi e aprirli contro i suoi.
“La...la... – sospira, si passa le mani tra i capelli, ricurva appena le spalle – Ho parlato di te alla mia analista. Voleva che te lo dicessi”
E Georgia non s'immaginava di certo il tono così arrendevole, e nemmeno quella confessione sincera, piccola. Lo osserva con sorpresa, senza sapere come muoversi, cosa dire per non rovinare quel momento.
Ed è...strano, sì. Le vengono appena i brividi sulla schiena, perché Harry la guarda e lo dice con importanza, come se fosse qualcosa che segna, qualcosa da ricordare.
“È una bella cosa?” mormora, abbassando appena gli occhi.
“Non lo so. Devo ancora capirlo”
Lui sospira ancora, gonfia il petto e fa un passo indietro, stanco.
A Georgia viene da sorridere e nemmeno lei sa perché. “Buona serata” lo saluta.
Intanto ha deciso: è una bella cosa.

 






 

ho zero tempo, devo studiare e in più è un periodaccio!
scusate per il ritardo, spero di essermi fatta perdonare?
la canzone del capitolo è green eyes dei coldplay, io vi mando un bacione enorme e vi ringrazio di cuore per tutto!
a presto,
caterina

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** sei ***




Words As Weapons
How About Now

 


Crazy how you gotta wait until it's dark out
to see who really with you







 
Anche la nonna di Georgia è in una casa di riposo, lei però da molto più tempo della vedova Styles.
Georgia le fa visita tutti i mesi e tutti i mesi Margareth fa fatica a riconoscerla. A volte la scambia per Jodie o per un'amica durante la guerra, lei quindi le prende le mani e le dice che in realtà non è che sua nipote.
La donna ogni tanto chiede di Marshall, ma le infermiere pensano che sia meglio non recarle il dolore di un figlio pressoché scomparso. È comunque probabile che lo dimentichi da lì a mezz'ora circa, sì.
Il Wood Care Home è un edificio nel cuore della cittadina, in mattoni e vetri cambiati da poco. È circondato da un cancello basso e da un giardino pieno di fiori, anche se all'interno l'odore è quello di chiuso, di cibo preconfezionato e tea caldo.
Georgia saluta con un sorriso timido la ragazza alla reception e imbocca il corridoio a destra, quello lungo e pieno di porte che conduce al grande salone dove, dopo le quattro di pomeriggio, tutti i pazienti vengono riuniti per delle attività di gruppo (questo è ciò che dice il coupon dato alle famiglie, la verità è poi un'altra).
“Ciao, Georgia!” Izzy, l'infermiera di colore, serve con una tazza di latte un anziano seduto a uno dei tavoli in mezzo al salone e le sorride calorosamente, sventolando appena una mano.
“Ciao” la ragazza ricambia il gesto cordialmente, si guarda appena intorno.
“Tua nonna è fuori in giardino” quella le fa l'occhiolino complice e le indica il corridoio che porta al giardino posteriore dell'edificio.
Georgia la ringrazia e cammina con lo sguardo piantato a terra, non le piace la visione tutte quelle persone anziane e sole, le mettono tristezza.
Fuori è soleggiato, il praticello è pieno di sedie a rotelle e lei aguzza la vista cercando i capelli bianchi e il volto pallido di sua nonna.
La trova vicino alla panchina di marmo con il maglione di lana rosa e una spilla dorata a forma di fiore, il volto rilassato e il sorriso tenue.
Georgia all'inizio non capisce, ha lo sguardo troppo distratto per concentrarsi sulla figura accanto alla donna, poi semplicemente sente qualcuno ridere e smette di respirare.
Perché è...è Louis quello che sta facendo sorridere sua nonna, lui che è seduto sulla panchina e parla con una postura imbarazzata, ricurvo sulle ginocchia come se fosse incerto, emozionato.
Ed è strano per Georgia guardarlo insieme a qualcuno che fa parte della sua quotidianità. Strano e incomprensibile, perché non credeva che lui fosse ancora in contatto con quella parte di famiglia.
Si chiede se quindi non abbia semplicemente rimosso solo lei, allora. Non vuole rispondere.
Batte i piedi contro il terreno freddo e sospira a occhi chiusi, mordendosi le labbra per capire cosa fare.
Alla fine inizia a camminare verso i due, piano, cercando di combattere quell'instabilità emotiva che non fa altro che farla piangere, stringere i denti e chiudere gli occhi.
Louis cambia faccia, quando la vede. Il suo sorriso scompare, i lineamenti s'induriscono e lui smette di parlare, osservandola dal basso mentre Georgia respira a bocca aperta e non sa cosa dire. Sa che si sente in colpa, ma di cosa?
“Georgia – Margareth allunga una mano venosa e sorride, intrecciando le loro dita in modo leggero – Come sono contenta che tu sia qui”
Lei distoglie gli occhi da quelli diffidenti di Louis, balbetta un po' mentre “Ciao, nonna” mormora, facendo un sorriso piccolo.
“Siediti, siediti” la incita poi la donna, e lei non ha proprio bisogno di guardare Louis negli occhi per vedere il disappunto affiorare tra le sue pupille. Le fa comunque spazio sulla panchina, scostandosi quel che basta per farla sedere.
Georgia si accomoda imbarazzata, con le ginocchia che tremano per tutto e per niente. Margareth le sorride e sembra stare bene, perfettamente consapevole di quel ritaglio di apparente vita quotidiana.
“I miei bambini! – esclama guardandoli, la voce rotta dall'emozione – Quanto siete cresciuti”
Nessuno dei due risponde, lei appoggia una mano venosa sul ginocchio della ragazza e prosegue: “È passato così tanto tempo...” e i suoi occhi grigi sembrano perdersi nei ricordi vecchi, spezzandole il respiro.
È Louis quella che torna a farla sorridere, muovendosi nervosamente come per liberarsi da quella situazione scomoda. “Ti ricordi la torta all'arancia, nonna?”
Deve averla mangiata quelle volte in cui Marshall, durante i week-end previsti dal giudice, lasciava entrambi i suoi figli a casa dei genitori per avere l'appartamento tutto per sé e Jodie. È bello però che lui ancora ricordi dettagli così piccoli, è passato davvero tanto tempo.
Margareth s'illumina, ride: “Vostro nonno era così bravo! Grande uomo, sì” dice, orgogliosamente.
Georgia le sorride e le stringe le dita ancora ferme sui propri jeans, si schiarisce la voce.
È come rivedere dopo anni quello stesso amico dentro una fotografia da piccoli senza ricordarsi il suo nome, quello che insieme si è vissuto. Georgia sa che quello che le sta sfiorando la spalla è suo fratello, ovviamente lo sa. Il vuoto di memoria si concentra sui minimi particolari, su quello che c'è stato un tempo e che adesso non riesce a ricordare. E questo la fa arrabbiare, perché si sente impotente, stupida, perché quello che poteva avere lo ha perso negli anni, restando priva di qualsiasi dettaglio a cui aggrapparsi.
“E vostro padre come sta? – Margareth esclama improvvisamente – Ditemi, vi porta ancora a Liverpool la domenica mattina?”
Lo ha mai fatto? Georgia non lo ricorda, di nuovo si sente invadere da quel formicolio fastidioso che non le fa trovare le parole adatte.
Prima che possa rispondere, Louis interviene ancora, prontamente: “Certamente – risponde – Almeno una volta al mese”
Margareth sembra quasi commuoversi, continua a fare domande e Louis continua a inventare, a farle allargare gli occhi di gioia.
Georgia non capisce ma non osa ribattere.
Se ne vanno mezz'ora più tardi, mentre lei spinge la carrozzina sul prato verso l'entrata e lui saluta la donna con un caloroso abbraccio e il rossetto stampato sulle guance. Margareth intrattiene Georgia qualche minuto di più, facendole le solite raccomandazioni sugli uomini che la fanno sempre sorridere e imbarazzare.
Quando raggiunge la reception per uscire, Louis sta parlando con Izzy fittamente. Lei gesticola come al solito e lui ha le braccia incrociate e lo sguardo serio.
“Chiedeva di te da tanto tempo – l'infermiera sta dicendo – Non credo che ricorderà di averti visto tra qualche ora, ma è stato molto gentile da parte tua venire. Grazie per aver accettato il nostro invito”
“Si figuri – Louis mormora, sfoggia un piccolo sorriso – Posso tornare, qualche volta?”
Izzy annuisce entusiasta: “Certo! – esclama, battendogli la mano sul fianco in modo amichevole – Quando voi, sempre dopo quattro del pomeriggio”
Georgia a quel punto smette di guardare la scena dall'angolo, china la testa verso il pavimento e inizia a camminare verso le porte scorrevoli cercando di rendersi invisibile.
È andata, riflette poi, all'aria aperta. Ciò che il suo corpo sta provando in questo momento non è descrivibile a parole, invece parlano le dita chiuse a pugno e il respiro corto, nemmeno udibile. Raccontano gli occhi pieni di paura e domande, sono le gambe che cercano di scappare quelle che riescono a definire le emozioni.
È tutto confuso, è una tempesta, parole che si sovrappongono fino a mangiarsi.
Ci vorrebbero delle candele.
Louis le afferra il braccio appena fuori i cancelli, sul marciapiede che porta verso il centro. Il suo sguardo è così tanto duro che Georgia per un attimo si chiede se riuscirà mai a vedergli qualcosa di diverso, di più importante.
Respira e sbatte gli occhi, in attesa che lui parli.
“Hai detto qualcosa a Suki?” le chiede, il tono accusatorio, destabilizzante.
“No, non-”
“Io e te non siamo nulla, okay? – Louis alza la voce, copre la sua piccola piccola – Non abbiamo assolutamente niente in comune. Siamo solo nati dallo stesso uomo, ti è chiaro come concetto? Io ho un'altra famiglia, altre sorelle, un altro padre, un altro cognome, un'altra vita”
“Lo so” Georgia risponde semplicemente, senza tono.
Non fa male, brucia appena un po'.
“Non voglio che qualcuno sappia di...di tuo padre – lui continua, sembra appena più in difficoltà – Quindi non-”
“Non ho detto niente – lei deglutisce, fa un respiro rumoroso – Non dirò niente”
Louis annuisce a quel punto, sembra che voglia aggiungere qualcosa, poi ci ripensa e semplicemente la supera, lasciandola sola.
E ciò che Georgia prova adesso è molto semplice, si riassume con poco.
Non sente niente e ci vorrebbero delle candele.
 
 



 
 
Il pacco di plastica ancora chiuso nella sua mano produce un rumore fastidioso mentre attraversa la strada. È ancora relativamente presto, il sole illumina il quartiere e Georgia sta cercando di non pensare.
Suona il campanello della vedova Styles con l'ansia tipica per le cose – persone – nuove.
Mentre aspetta, si ricorda come un mantra: è una bella cosa.
Harry le apre qualche secondo più tardi, le labbra hanno uno spasmo piccolo, come un sorriso non abituato a nascere.
Indossa una felpa verde sopra a una maglietta bianca e un paio di jeans chiari, larghi sulle gambe lunghe.
“Ciao” dice e sembra una costatazione. Lei è lì.
“Ciao” Georgia risponde, si morde il labbro e tentenna.
“Hai bisogno di qualcosa?” le chiede, il tono forzatamente cortese.
“Io...”
“Hai portato delle candele”
“Sì”
Entrambi guardano il pacchetto trasparente, quei piccoli cilindri di ferro e cera bianca che si sfregano tra di loro.
“Ti servirebbero delle candele” Georgia si costringe a dire, irrigidendo le spalle.
Lui la osserva in silenzio, nei suoi occhi c'è una certa diffidenza che la fa preoccupare. C'è di nuovo quel niente che quasi le si appiccica addosso.
“Non saprei come usarle” le risponde allora, lentamente.
La ragazza quasi si mangia le parole per la fretta. “Posso farti vedere io – si morde la lingua – Voglio dire, è...è facile
“D'accordo, allora” Harry si scosta per farla entrare, in silenzio.
 


Chiudono tutte le finestre della casa, spengono qualsiasi cosa possa illuminarli.
Le candele le posizionano per terra, tra l'ingresso e il salone. Harry è rigido, anche mentre si sdraia sulla moquette scura, Georgia lo osserva di sfuggita e quasi sembra un'altra persona: le luci gli induriscono il volto, gli evidenziano le occhiaie. Sembra a pezzi ed è una situazione che la fa sentire nel posto giusto, tra macerie proprio come quelle che lei stessa si porta dietro.
Harry si stende come se fosse pronto a scattare in piedi da un momento all'altro, respira veloce e sembra a disagio.
Hanno le braccia che quasi si sfiorano quando lei gli dice: “Lasciati andare”
Georgia tiene gli occhi aperti, si concentra sul profumo di rose selvatiche, sui loro respiri così diversi, sugli scricchiolii di una casa ormai vecchia, sul soffitto e su una famiglia di cui non fa parte.
È un processo lento, qualcosa che affonda piano fino a non essere più visibile in superficie, i pensieri si mischiano, diventano un brusio e poi nient'altro che un soffio.
“Lo senti?”
“Non sento niente”
“Va bene così”





 

 
buonasera!
sono in ritardo anche stavolta, come ho spiegato su facebook purtroppo è un periodo durissimo e scrivere mi risulta davvero pesante. a ogni modo, eccoci qui!

finalmente troviamo looooouuuuissssss! ero troppo emozionata scrivendo su di lui, ogni volta mi sembra di non rendergli giustizia perché il ruolo che interpreta è fondamentale, in questa storia!
alla fine non è un senza cuore cinico bastardo (....) come appare, accetta addirittura di far visita alla nonna paterna malata dopo anni che non si vedono. è umano, louis, molto più di quanto voglia far credere, e proprio perché è così vero, il suo odio per georgia è quasi viscerale. mi spiego??
harry è poi il bicchiere di vino rosso dopo una giornata disastrosa, ci avete fatto caso che ogni capitolo si chiede quasi sempre con lui? non è un caso, giuro!!
l'ultima scena è preziosa per il loro rapporto, forse un po' affrettata ma non c'è niente di più vero (per me) di qualcuno che va veloce, rischiando di farsi male.
dal prossimo capitolo cambieranno le cose però, e non vedo l'ora di approfondire il personaggio complicato di harry ahahaha
ah, come non inserire drake in una mia storia???? il titolo del capitolo/la citazione iniziale sono presi da "how about now" che vi consiglio di ascoltare!
per il resto, grazie di cuore a tutte!
sono curiosa di sapere cosa ne pensate del nuovo capitolo!
a presto,
caterina

 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** sette ***




Words As Weapons
Elastic Heart

 
And another one bites the dust
Oh, why can I not conquer love?
And I might have thought that we were one
Wanted to fight this war without weapons

 

 



L'appuntamento con Cyndi è andato molto più che bene, dice Oscar.
Georgia lo ha sentito parlare per due giorni interi a proposito di quanto si siano divertiti, continuando a ripetere quanto siano i nuovi Posh&Becks del rugby, senza nemmeno fermarsi quando è stato richiamato durante le varie lezioni.
È buffo, quando gli piace qualcuna. Diventa sempre imbarazzato e imbarazzante, logorroico e iperattivo. E siccome è uno a cui le ragazze piacciono tanto, Georgia assiste a questo genere di cose quasi ogni mese, e ogni mese ride per quel sentimento quasi bambinesco che lei non ha mai sperimentato fino in fondo. Ha avuto piccole cotte, cose innocenti, ma nulla che sia sfociato in qualcosa come un appuntamento, come con Cyndi e Oscar.
È troppo timida anche solo per pensarci.
Il suo migliore amico sta fumando una sigaretta appena rollata, gli occhiali da sole gli coprono lo sguardo scuro e dalla sua bocca sorridente qualche volta esce il suo respiro condensato che si mischia al respiro di tabacco americano.
I loro zaini giacciono ai loro piedi sul marciapiede che ospita i tavoli del bar dove lavora Miguel, il portoricano gay che continua a provarci con Oscar. È piccolo ma è proprio davanti ai giardini francesi, nel cuore di Bootle.
“Sei silenziosa in questi giorni” dice lui all'improvviso, guardandola.
Georgia inarca subito entrambe le sopracciglia, scettica come non mai.
Oscar si corregge all'istante: “Voglio dire, più silenziosa del solito, ecco – sorridono insieme – Sei per caso gelosa di Cyndi? Nessuna sarà mai come te, raggio di sole”
Lei gira il suo tea al mandarino col cucchiaio, fa un verso di disapprovazione e “Non sono gelosa – ribatte – sono più che altro molto riconoscente. Insomma, per lo meno potrò dividere le sue stupidate con un'altra, adesso”
Oscar fa una risata luminosa, è così bello alla luce di quel sole freddo che quasi le viene voglia di immortalarlo.
“Seriamente però – le dice poi – C'è qualcosa che non va? Sicura di stare bene?”
Georgia si morde la lingua e sotto il tavolo di metallo le sue mani si chiudono a pugno, vorrebbe chiedergli che cosa intenda lui con lo stare bene, poi ci ripensa e semplicemente scrolla le spalle, alza un angolo della bocca e sospira.
“È per Louis?” Oscar riprova di nuovo, il tono più calmo, confidenziale.
È un insieme di cose. È tutto.
Santo cielo!, parla! parla!
Quasi le si inumidiscono gli occhi perché dannazione!, è così difficile. Come lo spieghi a qualcuno che semplicemente sei triste? Che è solo voglia di stare meglio e non riuscirci, è solo tempo che non aggiusta ma ferisce. Come glielo dici a una persona che hai bisogno di aiuto senza colpevolizzarti di essere fragile, di stare ferma mentre tutto si muove, va avanti, ti lascia sola.
Apre bocca per parlare ma non lo fa, si inumidisce le labbra, un altro sospiro.
“Sei arrossita – Oscar fa un sorriso piccolo – Si tratta quindi del tuo vicino di casa, il soldato. Giusto?”
Di nuovo quell'impotenza che non le lascia urlare che quello che è dentro le sue guance è il sangue rabbioso, non di certo sangue d'imbarazzo. Ma è molto più facile così alla fine, Georgia annuisce impercettibilmente e “Forse” mormora a bassa voce.
Il sorriso di Oscar si allarga, diventa malizioso. Spegne la sigaretta dentro la sua tazza bianca sporca di caffè amaro e si gratta la nuca rasata nello sgranchirsi le ossa robuste.
“Beh, avete condiviso un gran bel momento insieme. Soli, a lume di candele...Potremmo chiamarlo quasi un appuntamento, sai?”
Il tono che usa non è dispregiativo o sarcastico, non vuole offenderla, questo Georgia lo sa. È il tipico tono di chi non può capire, di chi non capirà mai.
Quindi lei sorride e basta, tristemente. Questo Oscar non lo coglie e passa oltre, ordina un altro caffè a Miguel e inizia a parlare della partita di sabato che lui e la sua quadra dovranno assolutamente vincere.
 

 
 
Sull'autobus c'è Zayn, l'amico di Niall.
Georgia lo vede ancora prima che le porte si aprano del tutto, timbra il biglietto e lo cerca in fondo.
Il veicolo è praticamente vuoto e lui tiene le cuffie bianche nelle orecchie e un fascicolo di fogli tra le mani. Indossa una giacca scura e la solita montatura spessa di occhiali, ha il capo basso e l'espressione concentrata.
Poi però alza gli occhi e la vede accanto alla cabina del conducente, la mette a fuoco e le sorride, facendola arrossire. Con un cenno la invita a sedersi accanto a lui, Georgia deglutisce e sorride, perché ne è contenta.
Le piace Zayn, molto di più degli altri amici di Niall che ha conosciuto. Sembra uno di quelli che ha tante cose da dire, uno di quelli che non parla mai.
Uno come lei.
Si sfila una cuffia quando Georgia si siede sul sedile in fondo accanto a lui e “Ciao” mormora, quasi imbarazzato.
È un comportamento che la mette subito a proprio agio, lei gli sorride e “Ciao” risponde, ancora più timida.
“Stai tornando a casa?” le viene chiesto poi, mentre Zayn con un cenno indica lo zaino appollaiato ai suoi piedi.
Georgia si schiarisce la voce, annuisce velocemente. Si sente veramente andare a fuoco e non perché Zayn è così bello e così particolare, no. È molto meno complicato: si sente andare a fuoco semplicemente perché lui è un ragazzo, perché è una persona nuova, da scoprire.
Per un attimo paragona il suo rossore alle guance con l'incertezza dei suoi momenti con Harry.
Harry è diverso, Harry è freddo, tremante, ogni suo gesto sembra sempre calcolato, studiato per nascondere altro, per nascondere lui.
Zayn è molto più sciolto, timido ma spontaneo, vero.
“Hai un bellissimo profilo”
Spalanca gli occhi per la sorpresa e si volta a fissarlo quando l'autobus si ferma per far salire una signora. Zayn si schiarisce la voce in modo rabbioso, strizza gli occhi bruni e “Scusami, non volevo dirlo – blatera, grattandosi uno zigomo scolpito – O meglio, volevo dirlo. Cioè, lo penso. Insomma, ecco, scusa”
“Non fa niente – Georgia ribatte subito, il sorriso che quasi buca le guance – Ti ringrazio”
È lusingata, anche se non sa come farglielo capire. Continua a sorridere in mezzo al silenzio, mentre lui tamburella con le dita sul cartone grigio che ingloba il plico di fogli.
“Sono i tuoi disegni?” gli domanda allora con curiosità, cercando di cambiare argomento.
Gli occhi di Zayn sembrano illuminarsi, la guarda come si possono guardare solo le persone belle, le dice: “Vuoi vederli?” e nel mostrarglieli ha un sorriso nuovo, emozionato.
Alcuni hanno i colori, colori sgargianti, irreali, altri sono solo tratti di una matita dura, senza alcun cenno di ombre, sfumature. Sono ritratti di persone concrete con gli occhi di un artista che di concreto ha solo le mani, un artista che ha in testa un mondo rovesciato, completamente suo.
Georgia è affascinata, riconosce gli occhi piccoli di Cyndi e il sorriso esasperante di Niall, i capelli lunghissimi di Suki e i tratti di Louis, duri come la sua espressione.
Sono fogli riempiti di passione, di sentimenti contrastanti e quasi le si mozza il fiato a osservare la devozione di Zayn per tutto ciò. Forse i fogli sono per lui ciò che per lei sono le candele, forse hanno entrambi lo stesso effetto, lo stesso potere intossicante.
“Sono...bellissimi” si ritrova a mormorare, in modo stupido.
Zayn arrossisce dietro i suoi occhiali, si morde il sorriso: “Alcuni sono ancora da finire, altri semplicemente da buttare, ma-”
“Sono davvero stupendi, Zayn – lo blocca allora Georgia, guardandolo negli occhi – Non...non buttarne neanche uno, dico sul serio”
Lui ridacchia, richiude tutto e sospira. “Sto andando a ritratte un amico. È...passato un po' dall'ultimo suo ritratto. Vorrei vedere quanto sia cambiato in tutto questo tempo”
L'autobus entra nel quartiere popolare a sud della città, Georgia chiama la fermata e poi dice: “È...è una bella idea. Come con le fotografie”
Si alzano insieme e lui annuisce, mettendosi sotto al braccio il plico di fogli: “Già, sì”
Scendono anche insieme e insieme fanno un tratto di strada, si sorprendono e ridono perché stanno andando nella stessa direzione e nemmeno lo sapevano.
“L'ho ritratto un paio di volte, ma non faccio quasi mai vedere i miei disegni a chi ritraggo – Zayn continua a parlare del suo amico, nel suo tono c'è tanta nostalgia, così come nel suo sguardo perso tra le case e la strada – Lui e Cyndi avevano una...storia?, se così si può definire. Ma erano molto belli insieme, li disegnavo continuamente. Credo che si amassero molto”
“Oscar andrebbe letteralmente fuori di testa, se lo disegnassi” commenta Georgia, s'immagina un ragazzo biondo e robusto al fianco di Cyndi e il suo sguardo fiero. Lui ne parla con malinconia, come una storia di amanti finita male, persone spazzate via dall'amore stesso.
“Potrei pensarci – dice Zayn, serio – Ma prima vorrei ritrarre te”
Di nuovo lei che arrossisce e lui che mormora scuse, ridono entrambi e si fermano davanti casa di Georgia.
“Allora ci vediamo in giro, sì?” Zayn dice, grattandosi la nuca bruna.
Lei si schiarisce la voce e sorride, perché è bello trovare qualcuno impacciato, la fa sentire meno in soggezione, più sciolta.
“Volentieri – risponde, gentile – Ciao, Zayn”
Pesca dalla tasca piccola dello zaino il mazzo di chiavi che tentenna, attraversa il vialetto con un sorriso contento e infila il ferro nella toppa.
Si volta un'ultima volta prima di entrare in casa e Zayn adesso è dall'altra parte della strada, sul prato sfiorito della casa della vedova Styles.
L'immagine che le passa dentro gli occhi è quella delle mani di Harry sulle cosce di Cyndi, i loro respiri vicini mentre altri parlano e fanno finta di niente.
Rimane lì fuori a guardare Zayn entrare, la porta che scatta velocemente, tutt'intorno rimane la stessa identica scena, lo stesso tempo, la stessa luce.
Cambia solo Georgia: si chiude il portone alle spalle e non sorride più.

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** otto ***




Words As Weapons
What Kind Of Man

 
You were on the other side
Like always, you could never make your mind





 
Jodie entra in modo incerto, col sorriso insicuro. Indossa ancora il completo da segretaria e i suoi piedi nudi contro il pavimento la fanno sembrare una bambina cresciuta un po' troppo in fretta. Si siede sul letto di Georgia, le accarezza i capelli biondi con dolcezza e “Il mio sesto senso mi dice che qualcosa non va” mormora.
In risposta, Georgia apre un occhio contro il cuscino e sospira forte.
Mh, vediamo – la donna sorride e le scosta tutte le ciocche dal volto, iniziando a ingarbugliarli in una treccia – Si tratta della scuola?”
Un grugnito leggero, negativo.
“Si tratta di Oscar?”
Un altro suono, più lungo e riflessivo.
Quindi si tratta del nipote della signora Styles”
È naturale il tono di Jodie, scontato. Georgia si volta di schiena a quel punto, osservandola con confusione.
“Non ho mica cent'anni, sai? – esclama subito sua madre – So riconoscere una cotta, quando la vedo”
Sono le otto di sera, fuori è buio e Georgia arrossisce di colpo, schiarendosi la voce. Ha una cotta per Harry?
Non ci aveva mai riflettuto veramente.
Jodie le accarezza il volto caldo, chiede: “Cos'è successo?” e la sua espressione appare dolce, materna. Fa tenerezza perché ci prova davvero.
Il fatto è che Georgia ha bisogno di stare da sola ed evitare che i suoi pensieri prendano voce e forma. Non vuole sentirli, vuole chiuderli dentro e farli morire.
Le luci delle candele sulla scrivania sono coperte dalla lampada del corridoio che Jodie ha lasciato accesa, spezza l'atmosfera e rovina l'umore, ma questo Georgia non glielo dice e, anzi, non dice proprio nulla.
“Sono solo stanca” risponde leggermente, sperando che basti.
Il sorriso di sua madre si spegne, diventa una linea dura piena di rammarico capace di farla sentire in colpa. Sospira forte e “D'accordo – dice, alzandosi in piedi – Ma se stai così per causa sua, allora lui non è che uno dei tanti. Gli uomini sono tutti uguali, amore”
 

 
 
 
Ha deciso che è gelosa di Cyndi.
Lo scopre il pomeriggio successivo, quando la vede fumare una sigaretta appoggiata al palo davanti a scuola. Lo scopre perché smette di sorridere, sbatte le palpebre più e più volte e si morde le labbra.
Cyndi indossa un paio di jeans bianchi e delle scarpe alte che allungano la sua figura minuta, conferendole un'aria superiore, di un altro livello rispetto a quello degli studenti del liceo. Il suo cappotto lungo e scuro è aperto, fa intravedere il maglione rosso e la camicia azzurra. Il suo volto è contrariato, per niente contento di essere in mezzo a tutti quei ragazzini.
Oscar di fianco a Georgia si blocca di scatto, spalanca gli occhi e la bocca, fa un sorriso larghissimo.
“Ma guarda chi non riesce a resistere al mio fascino” esclama, contento.
Cyndi si guarda intorno con gli occhi socchiusi, quando adocchia il ragazzo la sua bocca si allunga appena, in una sfumatura di orglioglio mal celato.
Georgia non vorrebbe andarle incontro, ma Oscar la raggiunge lo stesso e lei lo stesso lo segue.
“Bene, bene, bene – il suo migliore amico si ferma davanti a Cyndi sul marciapiede e s'infila le mani dentro le tasche dei pantaloni – Ti mancavo così tanto?”
Quella alza gli occhi al cielo e guarda l'altra ragazza: “Ciao, Georgia” la saluta.
Non vorrebbe neache ricambiare, invece lo fa perché non è giusto ed è stupido.
“Ciao, Cyndi” le sorride, in modo tenue.
È bella, ed è come uno spillo contro la pelle, fastiodiosamente presente. Non dovrebbe avercela con lei per una semplice cotta – cotta?, specie perché non è colpa di nessuno, lei non è nessuno. Eppure Georgia si sente quasi arrabbiata nel pensarci, s'immagina la loro storia d'amore e Harry che si apre al sorriso di Cyndi, Harry che parla, che ride, che la fissa negli occhi ed è felice.
Ha deciso che ne è gelosa, sì.
“Sabato c'è la festa di Niall. Tu vieni, vero? – continua Cyndi, finendo la sigaretta – Suki non vede l'ora di rivederti, a proposito”
Gli occhi di Louis le lampeggiano in testa per quella frazione di secondo in cui le pare di sentire appena un sussurro rabbioso, Georgia si schiarisce la voce e incerta si tocca la manica della giacca scolastica, senza sapere come rispondere.
“Ci saremo – la salva Oscar, esibendo un sorriso bianco – Non si può di certo mancare a una festa di un irlandese”
“Oh, ma sentitelo! – esclama Cyndi, scendendo il marciapiede e sfiorando una bicicletta azzurra con la mano – L'animal party di turno che non ha nemmeno diciotto anni”
Di certo Oscar non si offende, le fa l'occhiolino e “Ti ricordo – ribatte – che sei tu quella che è uscita con il minorenne”
Le braccia piccole di Cyndi s'incrociano sul suo petto stretto, si guarda intorno e sembra quasi disgustarsi. “Sì. E me ne sto già pentendo. Io odio i leceali”
È curioso, non è la prima volta che Georgia glielo sente dire e ancora non capisce il perché. E poi è sciocco, perché nella sua testa se la immagina litigare e innamorarsi tra i corridoi scolastici, con qualcuno al suo fianco con cui arrabbiarsi e abbracciarsi.
Fa un respiro profondo, Oscar alza gli occhi al cielo e si avvicina a Cyndi, mettendole un braccio bruno sulle spalle minute.
Conferma: Georgia ha deciso che ne è gelosa.
La ragazza, però, quel contatto sembra che neanche lo abbia sentito. Guarda verso il cancello Lottie Tomlinson stretta tra le mani da portiere di Michael Odili, il loro bacio plateale che fa voltare la testa a diverse persone.
Woah” commenta Oscar, sbalordito.
E woah è anche quello che pensa Georgia nell'osservare la scena. Vede Lottie staccarsi dal ragazzo con un sorriso malizioso, dargli le spalle coi capelli lunghi e biondi che svolazzano sulle spalle da nuotatrice e iniziare a camminare lungo il marciapiede come se ne fosse la regina.
Quando passa accanto a loro sistemandosi lo zaino, Cyndi la ferma. “Credevo ti sentissi con il tipo biondo” le dice, il tono confidenziale.
Lottie non si premura neanche di guardarla, nel risponderle: “Troppo noioso” mormora, continuando a camminare.
È il turno di Cyndi, alza gli occhi al cielo e mormora: “Louis non ne sarà contento – seguito da – Odio i liceali”
Oscar la stringe un po', Georgia è solo d'impiccio a quel punto. Si schiarisce la voce e guarda per terra per qualche secondo, dondolando il peso da un piede all'altro.
“Non prendertela, tesoro – sorride Oscar verso Cyndi – Rovinerai questo entusiasmante pomeriggio tutto dedicato a noi due”
“Allora io vado – esclama Georgia all'improvviso, spalancando gli occhi – Ci vediamo”
Oscar la chiama raggio di sole mentre la saluta, ma non la guarda negli occhi e invece fissa quelli di Cyndi e Georgia sì, ne è gelosa.
 
 
 


Harry ha in mano il sacco dell'immondizia e la sta guardando. Georgia se ne accorge solamente quando nel suo campo visivo sbucano le Adidas macchiate del ragazzo. Alza la testa di scatto e sbatte le palpebre, respirando appena più velocemente.
Lui ha la mano a mezz'aria che stringe il nodo di plastica, la osserva per qualche secondo e poi lascia la presa all'improvviso, facendo sprofondare il sacco in mezzo a tanti altri dento al contenitore sul ciglio della strada. Si strofina il palmo sui pantaloni larghi della tuta e strizza gli occhi verdi.
Georgia vorrebbe e non vorrebbe che parlasse, vorrebbe e non vorrebbe essere lì, vorrebbe e non vorrebbe che lui smettesse di guardarla, vorrebbe e non vorrebbe essere meno rigida, meno in gabbia.
Cotta.
È così?
“Ciao”
Harry non le sorride nel salutarla, il suo tono è pieno di incertezze. Lei deglutisce appena e si morde il labbro inferiore, poi: “Ciao” risponde, lentamente.
Il silenzio imbarazzante, quel tutto di vorrei e non riesco, i forse che bruciano le tempie.
Cotta.
È così?
Gli osserva la mascella dura mentre il ragazzo si guarda intorno e quando ritorna su di lei, i suoi occhi sono circospetti, diffidenti come la prima volta.
(Si chiede: è così?)
“Sei tu – esclama Harry, non è di certo una domanda – Sei tu la ragazza. Quella di Zayn. Quella di cui parlava Zayn”
Georgia annuisce lenta, nella sua testa prende luogo una conversazione di cui non conosce le parole ma solo l'argomento. Lei.
Arrossisce di colpo perché non le piace, no.
Guarda verso casa sua allora, cercando di nascondere l'imbarazzo di essere messa al centro di un'attenzione non rischiesta, cercando di non apparire bedole, scoperta.
Pensa al fatto che sia così bello stare incastrata in fondo, messa dietro una porta o all'angolo. Non ci sono rischi, non c'è il panico di non essere adatta (abbastanza).
Cotta.
È così?
“Ha ragione” le dice poi dal nulla.
Georgia torna a guardarlo con le palpebre spalancate, le guance tinte dall'esasperazione perché se esiste qualcuno più complicato di lei è proprio il ragazzo che le sta davanti e che sicuramente non si spiegherà. Harry non lo fa, è come stretto e inchiodato a terra, costretto a un personaggio. E non c'è niente di peggio di qualcuno che implode piano, senza far rumore.
“Come?” gli domanda.
“Vuoi entrare?”
Il suo corpo risponde che no, non vuole entrare nella casa della vedova Styles. Scuote la testa energicamente e lo vede tentennare, mordersi la lingua dalla rabbia contro se stesso. Si è espsosto ed è stato rifiutato.
Implode (muore).
Georgia gli volta le spalle perché sguardi come quelli non sai mai come affrontarli.
Pensa a quanto si stia sentendo in colpa, quanto sia stupida. Pensa a quanto si stia perdendo e a come lui le abbia chiesto: “Aiuto”.


Mordere il cuscino in una notte in bianco con la mente che vaga verso universi paralleli, la fantascienza che aiuta a creare la stessa situazione di quelle stesse ore notturne in cui lei, ipoteticamente, sta pensando a quanto quella giornata sia andata bene, a come Harry si sia aperto, a come siano stati bene.
Ipoteticamente hanno fatto tante cose e lei ipoteticamente ora non riesce a dormire perché è stato troppo bello, coinvolgente.
A conti fatti Georgia ha gli occhi che non si chiudono e il petto stretto nell'attanagliante convinzione di aver perso quell'unica possibilità di fare chiarezza nella sua vita. Le candele intorno a lei sono spente, qualcuno dall'altra parte della strada ha gli stessi occhi aperti e lo stesso petto chiuso.
Cotta.
Pensa: è così?
Dentro ancora non sa che forse è già qualcosa di più.

 

 

 

mi dispiace, sono un'autrice pessima!
purtroppo in questo periodo la voglia di scrivere si è completamente frantumata, siamo alla fine della scuola e devo assolutamente concentrarmi, perciò mi dispiace, ma non posso fare altrimenti.
questo capitolo è molto boh, tante domande e molti forse. mi piacerebbe sentire il vostro parere su cyndi, su oscar, su lottie, sul perché georgia abbia detto di no a harry e su tutti i suoi pensieri insicuri di una persona che fondamentalmente non riesce a fidarsi nemmeno di se stessa.
sono curiosa, specie perché non vi sento più "attive" come una volta e questo mi fa davvero dispiacere! ma, come per me, capisco che esistano cose più importanti!
la canzone dello scorso capitolo è "elastic heart" di sia, mentre questa è "what kind of man" di florence + the machine. non appena ho sentito quel "other side" mi sono immaginata harry e georgia e non potevo non inserirla nella loro playlist (ho deciso di crearne una vera su 8tracks con le canzoni dei capitoli, se siete interessate!).
a ogni modo, grazie di cuore per esserci nonostante tutto. siete sempre dei tesori e mi dispiace per essere sempre così lunatica/in ritardo/dispiaciuta.
chissà che l'estate non porti fortuna!
vi mando un bacione gigante, fatemi sapere!
a presto,
caterina


 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** nove ***




Words As Weapons
Run

 
When I powder my nose
He will powder his gun
And if I try to get close
He is already gone

 

Forse si sarebbe dovuta mettere un paio di jeans scuri, si sarebbe di certo trovata appena più a suo agio.
È la prima cosa che pensa mentre entra nella dimora degli Horan, mentre osserva il lampadario che pende dal soffitto giallo dell'ingresso e mentre Oscar affianco a lei ha le mani infilate in tasca e il mento alto.
Georgia odia i jeans chiari, sul serio. Le fanno le gambe corte e in più sono stretti, quasi opprimenti.
Casa di Niall è grandissima, non troppo lontana dal liceo dove lei trascorre la maggior parte dei suoi giorni. È elegante e piena di piccoli dettagli arrivati da ogni parte del mondo che la rendono sfarzosa, sicuramente più accogliente del misero trilocale dove Georgia e sua madre hanno messo le radici da qualche anno.
“So a cosa stai pensando – le dice Oscar, osservando la sua espressione – Sì. Niall Horan è un irlandese pieno di soldi”
Le afferra il braccio e la conduce verso il salotto che sembra l'unione di due stanze, è lungo e pieno di gente, pavimentato con un parquet bianco e tappezzato di arazzi e quadri firmati da artisti contemporanei. C'è ancora un lampadario che pende e trema ogni volta che il volume supera la potenza delle casse vicino al televisore al plasma, la gente che si accalca sui divani e quella che invece opta per bere in piedi e improvvisare qualche passo scordinato.
Georgia respira a narici aperte e , avrebbe dovuto indossare i jeans neri.
“Non perdiamoci, d'accordo? – le strilla Oscar all'orecchio, facendola sobbalzare – Stai vicino a me e divertiti”
Georgia annuisce ma sa che non riuscirà a divertirsi nel momento esatto in cui entrano in cucina e Louis è seduto sul bancone accanto ai fornelli in acciaio. I gomiti di Suki sono piantati sulle sue cosce muscolose mentre lei gli da le spalle e parla gesticolando rivolta al tavolo rotondo di vetro.
Stanno bene insieme, sembrano una di quelle coppie forti anni e anni futuri.
“Tanti auguri, Centre!” esclama Oscar, avanzando verso Niall con le braccia aperte.
Quello balza in piedi facendo tremare i bicchieri sul tavolo e lo abbraccia, stampandogli un bacio sulla guancia scura mentre le sue si tingono di divertimento. Poi abbraccia anche Georgia, di slancio, e lei è talmente impacciata da non sapere dove mettere le mani su quel corpo gracile. Percepisce l'odore di anice e deodorante maschile e non può che sorridere con le labbra che tremano appena, senza dire nulla.
“Grazie per essere venuti – dice Niall, le pizzica il naso affettuosamente e fa un passo indietro – Assaggiate il cocktail di Payne però, o mi toccherà cacciarvi da qui ancora prima che la festa inizi davvero”
“Oh, ma sta zitto, Niall! – lo rimprovera Cyndi, seduta su una sedia con un bicchiere di plastica in mano – Smettila di intimidire i tuoi ospiti o finirai per festeggiare con quattro stronzi”
“Sempre presente” Suki alza un palmo della mano e fa un sorriso smagliante, scuote la coda di cavallo appoggiata su una spalla e si sistema la maglietta di seta che indossa e che funge da vestito.
Niall respira forte, sembra contentissimo nel vedere la cucina piena di amici e fa cenno ai nuovi arrivati di accomodarsi sulle sedie ancora libere. Georgia segue Oscar e saluta Liam, Zayn e Cyndi con un sorriso, prima di sedersi e fissarsi le mani con insistenza.
Riesce solo a pensare: c'è mio fratello e non è mio fratello.
“Tu non bevi, bellezza?”
Alza gli occhi dalle sue dita bianche e incontra lo sguardo ammaliante di Liam, il suo braccio tonico mentre le porge un bicchiere di vetro pieno di un liquido trasparente. Georgia si schiarisce la voce e le sue pupille tremanti guizzano involontariamente verso Louis. Lui però ha le mani impigliate tra i capelli lunghissimi di Suki e le sta mormorando qualcosa all'orecchio, con l'espressione rigida e seria.
“Sì, grazie” risponde poi, facendo un sorriso tirato a Liam nell'accettare il bicchiere.
Lo tiene in mano, assaggia il sapore brusco di fragola e pesca e strizza gli occhi, facendo ridere Oscar che “Raggio di sole, non ti facevo così intraprendente!” esclama, mentre lei arrossisce.
Cyndi, bella e invidiabile come al solito, sbuffa rumorosamente e “Noioso – lo rimprovera, con le braccia incrociate e i piedi appoggiati al tavolo con un'innata indifferenza – Perché siete tutti così petulanti stasera?”
“Che vuoi farci? Sono uomini” sospira Suki sconsolata, e Zayn sorride aggiustandosi gli occhiali sul naso dritto.
 
 
 
“Mamma, non ti sento”
Jodie dice di nuovo qualcosa, ma la casa di Niall è così rumorosa e grande che Georgia proprio non capisce. Si fa largo tra la calca dell'ingresso e quasi inciampa quando raggiuge il porticato esterno, sentendo l'aria fredda filtrare dai buchi del maglione.
“Georgia? Ci sei?” riprova Jodie dall'altra parte della cornetta.
“Mamma?”
“Finalmente! – la ragazza scende gli scalini e si morde il labbro, guardando la strada buia disturbata dalla musica e gli schiamazzi che provengono da quella casa – Volevo dirti sto andando a dormire. Ti ho lasciato le chiavi dentro il vaso, d'accordo? Come sta andando?”
Georgia si morde il labbro e si sente stanca, spossata. E anche molto meno coordinata.
Forse avrebbe dovuto mangiare qualcosa a cena, il bicchiere che s'è imposta di bere per rilassarsi avrebbe fatto meno effetto. Non che sia ubriaca o altro, semplicemente ha voglia di dormire e stare lontano da tutta quella confusione in cui non riesce a trovare un posto adatto a lei. Ha passato la maggior parte del tempo a guardarsi i jeans seduta in cucina mentre intorno a lei le persone parlavano e ridevano fino alle lacrime, poi ha tirato fuori il telefono dalle tasche e ha controllato ininterrottamente l'orario per due minuti, finché non ha ricevuto la chiamata di sua madre quasi come un'illuminazione.
“Alla grande” risponde, rabbrividendo.
Inciampa su un sasso del giardino e per poco non cade per terra, Jodie esclama: “Bene! – e poi – Non fare tardi, okay?” e le dà la buonanotte, lasciandola col telefono attaccato all'orecchio per qualche secondo.
Quando si volta verso l'ingresso, anche Louis ha in mano il telefono. Lo schermo gli illumina l'espressione concentrata e le sopracciglia aggrottate, il ciuffo arricciato sulle punte che gli copre l'occhio destro e la bocca piegata in una linea dritta.
Georgia inciampa di nuovo, i suoi piedi si muovono veloci non appena lo vede voltarsi verso la porta per rientrare.
È tardi, è buio e lei adesso ha le mani che gli stringono il polso piccolo. Nella sua testa è una scena che sta avvenendo diversamente: lei aspetta di vederlo sparire in casa prima di rientrare a sua volta, in realtà Louis la sta guardando senza apparente espressione e Georgia gli sta stringendo il polso, lo sta bloccando, tenendo.
Respira forte come dopo una maratona e strizza gli occhi come dopo un pianto.
Sussurra: “Non odiarmi”
Le sue dita gli lasciano la manica del parka nero mentre le pupille si abbassano, incapaci di sopportare uno sguardo talmente uguale al suo da farle venire i brividi. Hanno lo stesso mare negli occhi.
“Non odiarmi, per favore – mormora, tirando su col naso – So che mi odi. E mi dispiace, ma. Non odiarmi, per favore. Io...”
Resta sospesa, in bilico tra un sospiro e una sillaba. Non lo guarda in faccia, Louis torna dentro e non dice nulla.
Il cervello di Georgia connette qualche istante dopo, facendole desiderare semplicemente di scomparire.
 

 
 
Lasciano la festa due ore dopo, a braccetto perché Oscar è brillo e felice.
Non ha ancora baciato Cyndi, ma manca poco, lo sa.
Non le fa domanda e Georgia gliene è grata, si sente in colpa e stupida perché poteva essere una grande occasione per stare bene e invece non è successo nulla, e invece è anche peggio.
Si danno la buonanotte a metà strada, poi entrambi si stringono nelle spalle e camminano velocemente verso le proprie abitazioni.
Georgia ha freddo, osserva l'asfalto arancione e poi i ragazzi che stipati nell'angolo del parco del quartiere fanno esplodere petardi e fumo denso.
Quando finalmente raggiunge il vialetto di casa, respira forte e si siede sul marciapiede con le ginocchie al petto e le spalle che tremano.
Piange.
È un pianto vuoto, solo, un pianto che scuote e logora dentro, uno di quelli senza fine e pieno di domande. Ma è notte e lei è triste, non c'è niente di sbagliato in questo.
Il vento le taglia le guance nascoste dalle mani, Georgia si asciuga gli occhi coi polsi freddi e strizza le palpebre dolorosissime e rosse.
Strilla appena nell'accorgersi di una figura davanti a lei, indietreggia sul marciapiede finché Harry non alza i palmi della mani e “Sono io” sussurra, velocemente.
Lei respira a bocca aperta e si schiarisce la voce, le guance le si arrossano vistosamente ed è una fortuna che faccia così buio da non distinguere i particolari.
“Scusa” dice di getto, senza nemmeno accorgersene.
Harry è chiuso dentro una giacca nera e un paio di pantaloni larghi, ha le mani infilate in tasca e la voce incerta, bassissima. “Di cosa?”
Lei non lo sa, tira su col naso e proprio non lo sa. Forse per non essere forte abbastanza da sopportare tutti quei buchi dentro.
(scusa)
C'è un botto improvviso lontano che rimbomba nel silenzio pesante del quartiere, facendo volare i pipistrelli.
Georgia si sta chiedendo perché diavolo qualcuno debba scoppiare i petardi in piena notte, quando lo nota.
Harry ha cambiato postura, la sua schiena è dritta come un palo e le sue mani spalancate, bianche e lunghe come lame di coltelli. Ha lo sguardo fisso verso la strada e respira in modo impercettibile, come per non far alcun tipo di rumore.
“Stanno arrivando” sussurra.
C'è un altro scoppio più potente, l'antifurto di una macchina che prende a urlare tremendamente e il respiro secco del ragazzo che accelera.
“Stanno arrivando” dice ancora e fa un passo indietro, ansima ed è spaventoso, sembra un animale chiuso in gabbia, un lupo famelico e pronto a correre.
Georgia non capisce, ha la nebbia tra i pensieri e i movimenti lenti, che non coincidono con le azioni dentro la sua testa.
“Stanno arrivando. Nasconditi – le mani lunghe di Harry hanno uno spasmo tremante, si chiudono e si aprono a intervalli brevi e regolari – Vattene via, sono qui. Sono qui”
C'è un ultimo botto nel momento esatto in cui Georgia si alza in piedi. Viene sbattuta di nuovo sul marciapiede con una forza tale da farla singhiozzare, tale da mandarla in panico finché non connette.
Harry la sta abbracciando e anzi, la sta stringendo, soffocando. È ricurvo su di lei su quel cemento freddo con le braccia marmoree che non le permettono di respirare, con quel fiato impazzito che le rimbomba nel timpano e l'odore di caffè impregnato tra quelle labbra.
“Va tutto bene, va tutto bene” rantola lui come un mantra, petto contro petto a ritmi e paure diverse.
Georgia ha la fronte contro il suo mento e gli occhi spalancati che cercano l'aria che i polmoni non riescono a raggiungere.
“Mi stai facendo male” sussurra senza voce, ma è un male che picchia dentro, un male che è solo paura.
Finisce tutto qualche secondo dopo, Harry stringe ancora più forte – quasi come frantuarla in polvere – e la lascia andare all'improvviso. Georgia respira pentemente e deglutisce con la gola secca, lo vede correre dall'altra parte della strada e la vista le si offusca appena.
Il quarto botto esplode mentre Harry si chiude la porta dietro le spalle grandi e i pipistrelli si alzano in volo strillando, terrorizzati.


(scusa)

 





 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** dieci ***




Words As Weapons
Antichrist


 
 
She said:
"How can I relate to somebody who doesn't speak?"
I feel like I'm just treading water.
Is it the same for you?
 



 
Georgia piange tanto.
Piange contro il cuscino del letto, contro le piastrelle della doccia e contro le mani fredde non appena sua madre esce di casa la mattina dopo.
Piange perché è triste, di quella tristezza che lascia le ossa intorpidite e gli occhi irritati, quella tristezza grigia di cui la sua vita s’è colorata velocemente negli ultimi mesi. E la cosa che più la fa disperare è quella sensazione di solitudine che non riesce a staccarsi dalla sua pelle nemmeno in mezzo a una festa piena di gente più grande, la sensazione destabilizzante di essere sola e di non poterne parlare con nessuno.
Sua madre non capirebbe nonostante gli sforzi e Oscar neanche si sforzerebbe, di capire.
Quindi Georgia piange, ha le spalle che ancora scricchiolano per la forza con cui è stata stretta la notte prima e piange, i gomiti sul tavolo della cucina e il ronzio del frigorifero nelle orecchie.
È una domenica come le altre, in cui lei rimane tutta la mattinata da sola e Jodie invece guida fino a Liverpool per fare spesa al mercato. Tornerà dopo le due.
Georgia piange in modo confusionario, coi gomiti fa cadere le posate e i capelli si bagnano contro le guance arrossate nella fretta di tenerli dietro le spalle. Piange con i denti che mordono le labbra per non urlare e la testa che pulsa, le tempie che battono e tolgono un respiro che, ansante, sembra l’unica cosa capace di farla sentire ancora viva.
È sola, diavolo!, è sola e non fa paura? Non è qualcosa di distruttivo? Perché fa così male?
Per un attimo riesce quasi di nuovo a sentire le parole di suo padre attraverso le pareti.
Chi piange alla tua età – diceva sempre – piangerà per il resto della sua vita
 
 
 

 
Il campanello suona in modo quasi impercettibile, una frazione di secondo così breve che per un attimo si chiede se non sia semplicemente frutto della sua immaginazione. Stacca gli occhi dal televisore e si volta sul divano, guardando fuori dalla finestra.
È Harry, è senza dubbio Harry. Non riesce a vedergli il volto, ma la postura, i vestiti scuri e larghi, le spalle curve e tutto il resto  possono essere solo sue caratteristiche.
Si alza piano, passandosi una mano tra i capelli per farli risultare per lo meno presentabili. Poi però ci ripensa, perché è così stanca che non le interessa, non le interessa più nulla oggi.
Apre la porta e nello stesso istante lui alza lo sguardo da terra. I suoi occhi hanno un’insolita sicurezza che si sgretola nell’attimo esatto in cui osserva quelli di Georgia. Ora sembrano quasi spaventati, pieni d’incertezza.
“Hai pianto – mormora, le labbra che si muovono appena – Hai pianto tanto”
Georgia di riflesso si stringe nelle spalle, distoglie lo sguardo e sbatte le palpebre.
“Ti ho fatta piangere io?” riprova il ragazzo, col tono studiatamente calmo.
Lei respira a bocca aperta e non sa cosa rispondere: l’ha fatta piangere lui? Forse (anche).
“Georgia. Rispondi”
Quel tono perentorio le fa aggrottare le sopracciglia mentre si costringe a guardarlo di nuovo: Harry sembra freddo, il suo volto s’è indurito drasticamente.
“Tu mi confondi” sbotta allora, stringendo forte i pugni.
Le pupille del ragazzo si dilatano in mezzo al verde, raccogliendo la sorpresa di quel gesto. “Ti confondo?” ripete, come se non avesse capito.
Lei annuisce velocemente, alle guance salgono gli stessi brividi del pianto.
“Per questo hai pianto? Perché ti confondo?”
Si morde forte il labbro inferiore e il suo corpo si tende tutto, reprimendo l’istinto di urlare. Chi diavolo si crede di essere? Pensa di essere così importante? Così fondamentale?
Sono considerazioni che hanno vita breve però, l’attimo dopo già si sta sentendo in colpa. Georgia respira e “Tu non mi aiuti in questo modo” gli risponde, osservandogli il maglione verde.
Sono ancora sulla soglia della porta e nessuno dei due sembra intenzionato a spostarsi. Rimangono lì, fermi e tremanti.
“Vuoi che me ne vada?” prova Harry qualche secondo più tardi.
Lei scuote la testa di riflesso, perché davvero non lo sa. Forse sarebbe meglio se lui andasse via, per lo meno non si vergognerebbe delle lacrime che stanno minacciando i suoi occhi. Eppure la sua presenza, il fatto di sentirsi – in qualche modo – cercata ha il potere di scaldarla un pochino, nonostante la freddezza con cui Harry semplicemente respira.
“Accendiamo le candele – propone allora lui, il tono quasi addolcito – Sarà più semplice”
Quindi accendono le candele e Georgia pensa che sia un bene che lui sia rimasto.
 
 
 
 
Per evitare Jodie e i suoi occhi che mai capirebbero, si rifugiano nella casa della vedova Styles.
Accendono le candele che Georgia ha regalato ad Harry che ancora non sono state consumate e chiudono il sole fuori dagli scuri.
Il salotto adesso sa di vernice bianca e cera fusa e il tappeto è stranamente comodo sotto la schiena.
Georgia ha gli occhi chiusi e potrebbe piangere di nuovo, stavolta per la serenità che il buio le sta donando. Bastava così poco, basta sempre così poco.
Harry ha ragione: con le candele è tutto più facile, perfino districare i nodi dei suoi pensieri risulta possibile se gli stoppini sono accesi.
Non parla però, non dice nulla. Deve ancora capirsi, capire perché quella domenica sia più dolorosa del solito, capire perché Louis non abbia detto niente la sera prima, capire perché Harry l’abbia stretta in quel modo.
È infatti lui a prendere la parola, quando il clima è sufficientemente confortante, sicuro.
“Hai mai visto qualcuno morire? – mormora, spaventandola – La vita sparire in un solo istante dagli occhi di qualcuno? Non ti ci abitui. Non lo fai, non puoi. Il Maggiore Enderson me lo diceva tutti i giorni in caserma, ‘Non ti ci abitui mai, mai’. Io avevo poco più di sedici anni, mi ero arruolato la settimana dopo il mio compleanno ed ero cresciuto con i film di Rambo. Non ci credevo, non credevo a un cazzo. Volevo solo combattere, volevo vendetta. L’Inghilterra fa schifo anche per questo, permette a dei bambini di entrare in una caserma facendo credere loro di essere importanti, di fare la differenza. Ho fatto due anni di addestramento a Liverpool con la convinzione di andare in missione e trovare finalmente la pace. Riesci a crederci?”
No, non può.
“Ero uno dei più bravi, e questo perché non mi ribellavo, non ho mai rischiato di essere cacciato, non ho mai disubbidito agli ordini dei miei superiori. Ero lì con un solo obiettivo. Per questo quando Enderson mi ha detto che a Londra stavano reclutando i battaglioni per l’Afghanistan non mi sono tirato indietro. Con un curriculum come il mio non ho avuto di grandi sforzi a entrare ufficialmente nell’esercito inglese. Sai la cosa più assurda? Non credo di ricordarmi un momento in cui sono stato più felice in vita mia di quando ho visto la base inglese dal finestrino dell’aereo militare, un attimo prima di atterrare sul suolo nemico. La mia analista mi sta mangiando il cervello a furia di trovare qualcosa di più bello, ma non c’è e se c’era, non me lo ricordo più. Non c’è assolutamente niente che mi abbia fatto sentire meglio di quel fucile tra le mani e gli occhi coperti dall’elmetto. Quando sono sceso, pensavo stupidamente che avrei avuto caldo, invece l’Afghanistan è fredda di notte, peggio dell’Inghilterra a novembre. La sera battevo i denti e non mi sentivo i piedi, ma ero felice. Ero davvero felice”
Ha il cuore in gola, si sente nella voce e nel modo in cui respira. Vibra di quella stessa cosa che per il resto delle volte lo immobilizza, lo irrigidisce. Georgia non capisce dove li stia portando quel racconto, ma mentirebbe se dicesse che non è un posto che la inquieta.
“La mia prima missione comprendeva due battaglioni: il 26A e il 12C. Eravamo tutti pressoché dei novellini e avevamo tutti la stessa voglia spietata di…di uccidere. Mi sembrava di camminare su un altro pianeta, con un altro tipo di gravità. Ero forte, col mio L85A2 avrei potuto perforarti il cranio in tre millesimi di secondi. Puoi immaginarlo?”
Di nuovo no, non può.
“Lì ho conosciuto Quentin. Era la prima missione anche per lui e mi ha letteralmente salvato il culo coprendomi le spalle. Quando siamo tornati alla base gli ho offerto una sigaretta, siamo diventati amici così. Era il miglior bastardo che potessi mai conoscere, dentro quella gabbia di matti. Facevamo tutto insieme, anche pisciare. La notte continuavo a battere i denti e a leggere ciò che qualcuno ogni tanto si ricordava di spedirmi, il tempo passava e lentamente non ricordavo nemmeno come fossero fatti gli alberi, i bar, i libri, le strade piene di gente, la neve. C’erano solo gli stessi giorni, le stesse azioni e le stesse persone. Stavo iniziando a impazzire e non avevo neanche il tempo materiale per accorgermene. Guardavo le gente morire per causa mia e pensavo: ‘Basterebbe così poco per finire come loro’.  Ero partito con l’intenzione di…tornare a vivere e guarda adesso. Sono morto. Sono morto. Sono qui, vicino a te, respiro, parlo, ma sono morto”
Si spegne una candela intorno a loro, Georgia lo vede con la coda dell’occhio adesso spalancato verso il soffitto. Ascolta senza quasi respirare, segretamente stringe i denti in attesa che arrivi il punto di una conversazione come quella. Vorrebbe fare centinaia di domande ma non trova la voce, la voce adatta.
“È stata una morte lenta, la mia. Fino all’ultimo respiro…fino all’ultimo battito di ciglia. Ho sentito ogni tipo di dolore, ogni piccola particella del mio corpo andare a fuoco fino a ridurmi in cenere. Lentamente, giorno dopo giorno. A Quentin è andata meglio, però”
C’è una pausa, qualcuno trattiene il fiato pregando che lui non continui.
“A lui è bastata una pallottola in pieno cranio, per tornare in vita”
E va tutto bene.
Va
tutto
bene.


 




 

 

 
  • la canzone del capitolo nove è 'run' dei daughter, la canzone di questo capitolo è 'antichrist' dei the 1975
  • il british army arruola tutti gli inglesi maggiori di 16 anni, harry si riferisce a questo
  • non conosco assolutamente nulla dei gradi e della struttura dell'esercito, mi sono presa la libertà di immaginazione. l'arma citata però è quella realmente usata dai soldati inglesi
  • non ci sono parole per scusarmi del ritardo, ma vi auguro di poter passare una grande estate e faccio tanti tanti auguri a chi dovrà affrontare gli esami. forza e coraggio!
  • siete dei raggi di sole e non mi sono scordata di voi!
  • ho finalmente creato la playlist di questa storia su 8tracks, se vi va di ascoltarla il link è questo
  • un bacione! <3
  • grazie di cuore :)

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** undici ***




Words As Weapons
Rosylin

 
 
You barely are blinking
Wagging your face around
When'd this just become a mortal home?


 
 



Georgia non parla ancora, con le mani traccia linee invisibili sul suo stomaco e aspetta disperatamente che quella sensazione angosciante allenti appena la presa sui suoi polsi.
Non succede, ovviamente: sarebbe fin troppo semplice.
Harry però sembra voler rispondere a una domanda che lei non ha avuto il coraggio di chiederle. Si tira a sedere sul pavimento, appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
“Mio padre è morto – dice semplicemente, con un tono di voce così abituato da mettere i brividi – Avevo quattordici anni, credo. Erano appena iniziate le vacanze estive e i miei avevano in progetto di andare in Irlanda. Lui era sceso a Londra per qualche giorno per lavoro, mentre mia madre continuava a fare le valige e a mormorare che ci saremmo divertiti tanto”
“Non sei obbligato a raccontarmelo” lo interrompe di scatto la ragazza, lasciandosi sfuggire un singhiozzo.
Anche lei si siede, lo guarda di sfuggita. Harry fa un sorriso tirato e scuote appena la testa.
Riprende a parlare: “Quella mattina mi ero svegliato col suono del telefono di casa, mio padre voleva darci il buongiorno e io volevo soltanto dormire. È arrivata mia madre nella mia stanza, rideva e mi ha chiesto se volessi parlare con lui, io mi sono semplicemente girato verso il muro e ho chiuso gli occhi. Hanno riso entrambi e lei ha detto: 'È assolutamente tuo figlio'”
Gonfia i polmoni a quel punto, e tra la luce fioca delle candele, Giorgia riesce a distinguere i pugni delle sue mani grandi chiudersi lentamente, pallidi come le nocche di un'opera d'arte marmorea.
È tutto così intenso.
“Te lo ricordi? – le domanda, la voce come un sussurro – Il sette luglio duemilacinque. Lui è morto nell'esplosione della terza bomba, sulla Piccadilly Line, circa dieci minuti dopo che mi ero rifiutato di parlare con lui. Per sempre”
Sì, Georgia se lo ricorda. Si ricorda di essersi svegliata tardi e di aver trovato il televisore acceso in salotto e sua madre al telefono con la mano davanti alla bocca, senza parole. Si ricorda di aver fatto un progetto scolastico a scuola al ritorno dalle vacanze, e di aver taciuto un minuto intero in mezzo ai suoi compagni, seduta sul banco della classe. Si ricorda i discorsi da grandi che ha sentito nelle settimane a seguire e si ricorda di non aver compreso a fondo, di non aver capito ciò che la sua mente da bambina ancora non sapeva mettere a fuoco.
Un inglese, semplicemente, il sette luglio duemilacinque non lo dimentica.
“Era un padre normale, un uomo normale, una persona come tante. Eppure è...era lì, ed è morto. Non aveva fatto niente di male, niente che potesse farlo rischiare di saltare in aria e invece è successo. È successo e io non...”
Un altro respiro, i suoi occhi si chiudono per un attimo e Georgia resta immobile, inerme come un corpo morto.
Non vorrebbe abbracciarlo, accarezzargli il volto o cercare di farlo sorridere, no. Vorrebbe soltanto portargli via quel dolore che gli fa stringere e sbiancare le dita.
Gli si avvicina senza far rumore, cogliendolo di sorpresa. Harry sobbalza e spalanca gli occhi, guardandola inginocchiata davanti a lui, alla sua altezza, disarmata.
Georgia apre le mani, si morsica il labbro e gli osserva lo sguardo confuso mentre piano gli accarezza le nocche chiare, che come un fiore in mezzo all'acqua sbocciano prendendo colore.
Tra le dita non ha che un ragazzino di sedici anni che ha sofferto tanto, un bambino a cui qualcuno ha strappato via il padre e che semplicemente voleva colmare il vuoto con le ragioni sbagliate, fino a rovinarsi, fino a morire.
Davanti a lei, Georgia non vede più quel volto duro e controllato con cui lo ha imparato a conoscere, ma quello di una persona vera, fragile, piena di paure.
“Quando mio padre è andato via – gli spiega, come un segreto sottile – mia madre non ha fatto che accarezzarmi i polsi, prima di andare a dormire. Così, lentamente, senza fretta. È bello, vero? Credo che aiuti”
Le sue dita fresche corrono sui polsi venosi di Harry, accarezzando con i polpastrelli la pelle tesa e percependo con sollievo il respiro del ragazzo farsi più tranquillo, sicuro.
Tu aiuti” lo sente sussurrare, quasi timidamente.
Georgia gli regala un sorriso piccolo, traccia sulle sue vene una via di fuga per tutti i e due.
Si spegne un'altra candela.
 
 
 
 
Il pub è tranquillo, abbastanza spazioso e pulito. È il classico locale inglese, pieno di stemmi nazionalisti e una sfilza di liquori messicani esposti dietro il bancone vittoriano.
Georgia si guarda intorno con aria distratta e non segue la conversazione del tavolo, continuando a osservare prima le luci soffuse appese alle pareti e poi la vetrina che si affaccia su una trasversale della pizza.
Oscar le tira una piccola gomitata, facendola sobbalzare. Con gli occhi spalancati lo guarda senza capire: le è seduto affianco a quel tavolo rettangolare e sembra osservarla con un sorriso tirato tra le labbra scure.
“Come?” gli chiede, certa di aver ricevuto una domanda.
Infatti “Niall ti ha chiesto se stai bene, raggio di sole” le comunica, inarcando le sopracciglia.
“Oh – lei si schiarisce la voce e si volta verso l'irlandese, a capotavola in mezzo a Cyndi e Liam – Sì, io...sì”
“Sicura? – le domanda, arricciando il naso – Non hai una bella cera. Sembri, tipo, morta”
“Oh, oh! – esclama Suki ad alta voce, mentre Georgia arrossisce. Le è davanti, stipata tra la spalla grossa di Liam e quella di Louis – Il tuo tatto mi stupisce sempre di più, Horan. Non riesco davvero a capire come diavolo tu non abbia ancora trovato una ragazza. Voglio dire, chi non vorrebbe concedersi a te dopo apprezzamenti di questo tipo?”
Tutti ridono, Suki fa l'occhiolino a Georgia e lei la ringrazia con un sorriso.
“Ero sinceramente preoccupato, vipera che non sei altro – ribatte prontamente Niall, fingendosi offeso – Georgia è molto timida e io molto curioso. Vorrei sapere un po' di più riguardo a questo raggio di sole”
La ragazza in questione si fa piccola contro la spalla di Oscar e si schiarisce la voce, facendo un sorriso di circostanza.
Louis, accanto a Suki e a Zayn, continua a scrivere qualcosa sul telefono.
“Non c'è molto da dire” mormora Georgia, sperando che questo basti.
Non basta. “Oh, andiamo! Non farti pregare – esclama Niall – Non lo so, anche le cose più semplici. Hai qualche fratello o sorella?”
Silenzio. Louis continua a scrivere qualcosa sul telefono.
“Preferirei non parlarne” lei risponde, tendendosi tutta.
“Che c'è? Non ne sei sicura o c-”
“Niall”
Il ragazzo ammutolisce, gli occhi chiarissimi viaggiano velocemente contro quelli altrettanto chiari di Louis, sorpreso. “Cosa?”
“Smettila” lo ammonisce di nuovo, prima di tornare con gli occhi fissi sullo schermo tra le sue mani.
“Già, tappati la bocca, bello – Oscar interviene con un sorriso, spezza la tensione che si è improvvisamente venuta a creare – Solo perché la sua vita fa schifo, non c'è bisogno di rompere le palle agli altri”
“Spiritoso – esclama Niall, come se non fosse successo niente – Vorrei ricordarti che senza di me, la tua vita farebbe schifo”
Intervengono anche Zayn e Liam a quel punto, iniziando a raccontare tutte quelle volte in cui hanno ringraziato Niall per essere loro amico, mentre Cyndi fa finta di essere esasperata e Suki infastidisce il suo ragazzo con minuziosa attenzione, facendolo sbuffare e ridere.
Georgia ovviamente non dice più nulla, le sue mani fremono sui jeans sotto al tavolo e lei vorrebbe sorridere. È un inizio, vero? Lo è, sì?
Louis non ha fatto nulla, in fondo. Eppure lei non può fare a meno di sentirsi lusingata, in qualche modo. Forse è solo un'illusa, un'illusa che si sta mangiando un sorriso.
Vorrebbe dirlo ad Harry.

 

 

 




non sono morta, sono viva e vegeta pronta a farmi perdonare di questo eeeeenorme ritardo!
scusatemi, ho avuto così tante cose da fare da non potermi concedere alla scrittura come avrei voluto!
spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero che stiate bene ! ! !
fatemi sapere, mi siete mancate tantissimo <333


((((((se avete qualche domanda riguardo al 7 luglio 2005, guardate
qui)))))

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** dodici ***




Words As Weapons
Is there somewhere?


I'm sorry, but I fell in love tonight
I didn't mean to fall in love tonight
You're lookin' like you fell in love tonight
Can we pretend that we're in love?




 
 
 
“Sei strana”
La voce di Oscar sembra lontana, come un eco gracile. Georgia sbatte le palpebre e improvvisamente si sente stanchissima: non si era resa conto di essersi incantata così tanto a guardare fuori dalla finestra, non si era nemmeno accorta che il suo migliore amico avesse preso posto accanto a lei.
La classe si sta riempiendo velocemente, le luci al soffitto illuminano la stanza buia per via del brutto tempo e Oscar, con il colletto della camicia che spunta fuori dal maglione non stirato, le sta rivolgendo uno sguardo eloquente.
“Grazie” gli risponde, sforzandosi di sorridere.
Si sistema i capelli dietro le spalle e accavalla le gambe sotto il banco, schiarendosi la voce. Si sente a disagio, non vuole che Oscar continui a fissarla come se sapesse, vorrebbe che tornasse a fare finta che lei stia bene come ha sempre fatto e dio!, da quando la sua presenza è diventata così frustrante?
“Sai cosa voglio dire, Georgia – continua lui, usando il suo nome come quando è arrabbiato – Anche l'altra sera, al pub. Anche adesso. Sei strana, sempre sopra alle nuvole, non ascolti nessuno e sembri distante. È successo qualcosa? Perché non mi dici niente?”
Perché non capiresti, è ciò che le viene spontaneo rispondere, senza nemmeno pensarci. Si morde il labbro però, frenando le parole sul nascere. Lo guarda negli occhi e sospira.
“Non c'è niente da dire” risponde, a bassa voce.
“Stronzate – la liquida velocemente lui, facendole arricciare il volto – So che non è così. Ti conosco, Georgia, e so che c'è qualcosa che non va. È per Louis? Per il soldato? Per il fatto che finalmente sei riuscita a farti degli amici?”
Alza la voce, sembra arrabbiato sul serio. Ha la faccia seria e gli occhi neri che riescono a intimidirla e renderla piccola, una formica sotto le sue scarpe. Georgia si scosta di riflesso, indietreggiando con la sedia finché non è completamente attaccata al muro.
Mentirebbe se dicesse che non fa male.
“Non tutti sono come te, Oscar” mormora, la voce che vacilla.
“Non ci vuole una forza sovrannaturale per spiaccicare tre parole, sai? – ribatte lui, incalzante e nervoso – Davvero, non riesco a capirti. Qual è il problema? Cosa c'è che non va?”
Oscar non perde quasi mai la pazienza, il rugby gli dà gli stimoli necessari per sfogarsi in campo, contro avversari che sanno come respingerlo e difendersi: davanti a Georgia, è una battaglia vinta in partenza.
Lei non ha armi, non ha scudi, non ha niente.
“Mi manca mio padre” è ciò che dice a fatica, chiudendo gli occhi subito dopo per evitare di scoppiare a piangere.
E non è propriamente una bugia: gli manca un padre, in fondo, un padre qualsiasi. È solo una piccola verità: a Oscar, comunque, basta lo stesso.
Sente le sue braccia muscolose attorno al suo corpo indifeso, i baci dolci tra i capelli e sulle tempie, i suoi mormorii che mi dispiace, raggio di sole e sono un coglione, non darmi retta.
Nessuno in classe sembra accorgersi di quel momento intimo, Georgia si appoggia contro la sua spalla e non dice niente.
 
 
 
Insieme ad Harry va a fare la spesa, quel pomeriggio.
Harry le ha spiegato che non gli piace uscire, non si fida abbastanza di se stesso e del mondo intero per permettersi serate fuori o passeggiate lunghe.
La sua analista gli ha consigliato di non sforzarsi, di prendersi il tempo necessario per tornare lentamente a una quotidianità, lui ha suonato al campanello di casa di Georgia e le ha chiesto di accompagnarlo.
Vanno da Sainsbury's, quello accanto alla chiesa protestante, dove sulla panchina accanto al parcheggio c'è sempre lo stesso uomo di colore che mangia un panino al tonno e cetrioli.
Georgia è contenta, ha scoperto che passare del tempo con Harry ha iniziato a renderla più sciolta, quasi serena. Harry ha iniziato a farla sentire meglio, è una distrazione e un rifugio che non aveva mai capito di star cercando.
Non saprebbe definirlo il loro rapporto, ma non crede di essere in grado di fare domande. Si prende ciò che le viene dato, dà tutto ciò che può dare, e per adesso va bene così.
“Di cosa hai bisogno?”
Harry varca le porte scorrevoli e pesca dalla tasca dei suoi pantaloni della tuta un foglietto giallo, assottigliando gli occhi: “Latte, uova, avocado, pane e banane” legge.
Ha le spalle rigide, la schiena dritta in allerta e lo sguardo che sfreccia da una parte all'altra del locale, dalla signora dietro al bancone che sta vendendo tabacco al reparto surgelati, accanto a quello per il cibo degli animali domestici.
Georgia annuisce lentamente, seguendolo in silenzio.
Harry tasta con le mani grandi almeno sei avocadi, prima di storcere il naso e sceglierne uno non troppo maturo, lei lo osserva e si ritrova ad esserne meravigliata: sono gesti normali, situazioni normali nelle quali non lo aveva mai visto. È quasi strano vederlo fuori da quattro mura domestiche, a fare ciò che la gente comune fa cercando di mischiarsi a tutti gli altri.
Non è che un'illusione, però: Harry sobbalza, quando qualcuno dentro agli altoparlanti si schiarisce la voce, respira appena più forte quando una signora fa cadere la propria borsa accanto a lui e deglutisce forte nel momento in cui Georgia gli afferra una mano chiusa a pugno, cercando di fargli capire che è okay, che può farcela.
Lo vede inclinare la testa verso il pavimento giallo, serrare gli occhi verdi con rabbia e respirare lentamente, il petto ampio che sotto alla felpa verde si alza e si abbassa alla ricerca di un ritmo stabile.
Puoi – ha la voce scura, il volto contratto come se gli stessero facendo del male – Puoi raccontarmi qualcosa?”
Sono davanti allo scaffale del latte adesso e Georgia si guarda intorno in modo quasi disperato, quasi a sperare che da un momento all'altro qualcuno intervenisse e semplicemente lo facesse sentire meglio.
Non succede, ovviamente. Non interessa a nessuno. C'è solo lei.
“Ho un migliore amico – esclama quasi, sbattendo gli occhi più e più volte e iniziando ad accarezzare il polso rigido di Harry con le dita, le vene in rilievo per la forza con cui sta cercando di difendersi – Si chiama Oscar e gioca a rugby. È...è un periodo strano, per noi due. Ci...ci stiamo allontanando e lui non...non capisce. È...lui sta uscendo con una ragazza e io-”
“Cyndi – la testa di Harry scatta, i suoi occhi sembrano più scuri mentre la fissano – Sta uscendo con Cyndi, vero? Me l'ha detto Zayn”
Georgia si stringe nelle spalle e annuisce in modo meccanico, la bocca completamente asciutta.
È irritante, scopre, il modo in cui lui pronuncia quel nome, quasi fosse un soffio, un sussurro. Una parte di lei sa che è tutto frutto della sua immaginazione – dettata dalla gelosia, diamine! – eppure non riesce a fare a meno di pensare a quanto sia fastidioso anche solo un misero nome. Zayn ha detto che è stato amore, e Georgia proprio non riesce a non sentirsi invidiosa e piccola: le sarebbe piaciuto conoscere Harry quando ancora era in grado di sentire qualcosa senza per questo aver paura degli altri, delle sue stesse azioni.
“Già... – lei deglutisce, arriccia le labbra e si scosca– I suoi amici...i tuoi amici sono fantastici, ma non...non credo facciano per me”
Harry pare essersi calmato quasi del tutto, afferra una bottiglia di plastica di latte organico e fa un sorriso ironico, che gli evidenzia le fossette accanto alle labbra scure. “Non sono miei amici – ribatte, in un sibilo – Non più, almeno. I miei amici sono morti, loro non sono che persone con le quasi sono cresciuto, con cui forse un tempo riuscivo addirittura a divertirmi. Adesso è tutto diverso, falso. Loro non capiscono, io non voglio che lo facciano”
“Ma Zayn...”
Il suo sorriso cambia, si fa più gentile e piccolo: “Lui è diverso, vero? – le chiede, guardandola negli occhi – Zayn non fa domande, non ha bisogno di sentirti parlare per capire come stai. Lui...disegna”
Riprendono a camminare con più lentezza, entrambi persi in pensieri diversi.
Georgia si chiede se sembrino, dall'esterno, una di quelle coppie che ogni tanto vede fare la spesa, quelle non troppo rumorose, che infilano nel carrello i cibi preferiti l'una dell'altro e si guardano spesso, in un modo che lei ancora non sa comprendere.
“Ti dispiace?” buffa fuori a fatica, facendolo fermare.
Vuole saperlo.
Harry aggrotta le sopracciglia in mezzo al corridoio, non ha di certo compreso il filo logico dei pensieri di Georgia, non sa perché lei si sia sentita quasi obbligata a chiederlo. “Cosa?”
“Che Oscar stia uscendo con Cyndi – spiega lei in modo lento, la voce piccola e gli occhi grandi – Zayn mi ha detto che...sì insomma, voi due...”
“No, certo che no – risponde il ragazzo, la voce confusa – È passato tanto tempo ed eravamo dei bambini. Non...non provo più nulla per lei”
Non dovrebbe, ma quella confessione le alleggerisce il petto. Georgia annuisce e fa l'indifferente, guarda per aria e poi le sue Converse rotte, cerca di colmare quel silenzio con altro che non sia un sorriso.
“E a te? – la voce di Harry sembra saccente, la riporta ai suoi occhi verdi, a quel mare notturno – A te dispiace che Oscar stia uscendo con Cyndi?”
“È complicato – gli spiega senza troppi giri di parole, facendo un passo indietro – Lui è...Oscar è fantastico, davvero. Ma è...superficiale, per certi aspetti. Le candele. Ecco, le candele. Per lui sono solo...un gioco, non ci vede niente di importante”
È la prima volta che lo dice ad alta voce, la prima volta che forse pare realizzarlo davvero. Oscar è superficiale, sì. Forse non in modo cattivo, non intenzionalmente, ma lo è.
Harry aggrotta le sopracciglia per diversi secondi e assottiglia gli occhi, come per dare forma concreta alle parole della ragazza. Annuisce velocemente poi, rafforzando la presa sui prodotti che tiene tra le mani per poi dire “Ora capisco perché esce insieme a Cyndi”
“Che vuoi dire?”
“Le persone come te – le spiega a bassa voce – le persone come me la mettono a disagio. È superficiale quanto il tuo amico Oscar, ma solo perché certe cose non le hanno mai viste. È tutto dato dalla loro inesperienza, da quello che non hanno passato. Vorrebbero capire, forse, ma non possono. Non ci riescono”
Parla in modo quasi asettico, come se stesse ripetendo un copione. Harry ha una postura chiusa su se stessa, marmorea quasi. Sembra freddo in ogni parte del corpo, in ogni sillaba, in ogni respiro. Ha una bellezza consumata da colpi di fucile e morti, una bellezza che nonostante tutto toglie il fiato e il sonno.
Georgia ne è attratta come il più oscuro dei segreti, se ne rende conto all'improvviso: è molto più di una stupida cotta, molto di più di qualcosa che forse riuscirà a passare. È il desiderio di riuscire a entrare appena un po' di più, riuscire a pulire i suoi scheletri, ad annebbiargli la mente con un bacio, un tocco sottile.
“Me lo dirai, un giorno? Il motivo per cui tu stai combattendo? La tua guerra. Riuscirai a parlarmene?”
“Sì” gli risponde senza esitazione.
Lo vede quasi sorridere e spera che davvero – un giorno – sia così.

 






 

bbbbuoooonasera !!
farò schifosamente finta di non avervi fatto aspettare decisamente troppo per questo capitolo e mi concentrerò più sul fatto che finalmente georgia stia aprendo gli occhi su oscar e stia capendo che in fondo non è tutto okay come si era sempre immaginata !!!
ve ne eravate mai accorte? in effetti a un sacco di voi oscar è sempre piaciuto tanto...
harry è...beh, lui è semplicemente harry, un casino su due gambe, non c'è niente da aggiungere !!
prima che mi dimentichi, quest'estate ho pubblicato una long di tre capitoli su louis tomlinson come calciatore (ripeto !!!! louis !!!!! as !!!!! football player !!!!!!!) che vi lascio qui, nel caso vogliate leggerla. in questi giorni ho anche pubblicato una oneshot immensa su harry, il link è qui!
e niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto! il prossimo sarà molto incentrato su louis e spero di riuscire a scriverlo in tempi accettabili, purtroppo la scuola fa schifo e così anche la mia vita BUT troverò un modo <33333
grazie di cuore a tutte quante !!
un bacione immenso e a presto!
caterina



(((canzone del capitolo: is there somewhere? by halsey)))



 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** tredici ***




Words As Weapons
Scars

But you’re miles away
You’re breaking up, you’re on your own
It’s hard to take
I need an hour just to say hello
And I can’t make the truth of this work out for you or me


 
 


 
Si è scordata per l'ennesima volta la sciarpa a casa e Bootle, quella sera, sembra anche più fredda del solito.
Il campo da rugby che si estende davanti ai suoi occhi lucidi è illuminato da grossi lampioni quasi accecanti, e i ragazzi che lo stanno occupando in questo momento sembrano immersi in una lunga e seria conversazione con il proprio allenatore, il signor Graham, un uomo sulla quarantina che Georgia ha conosciuto a una partita del genere, qualche anno prima.
Oscar è impeccabile come sempre: dentro alla sua divisa bianca e azzurra sembra incredibilmente a suo agio. Sorride e prende in giro le gambe da gallina di Niall, che in risposta gli afferra il collo da dietro e cerca di farlo sbilanciare. Vengono rimproverati l'attimo successivo.
Georgia è nervosa, ha i denti che battono all'impazzata e sa che non si tratta del freddo: ha paura e nemmeno lei sa il perché.
Gli spalti sono pieni di genitori e amici di entrambe le squadre e Cyndi, sotto di lei, non fa che finire e accendere sigarette. “È l'unico modo per non patire il freddo” si è giustificata, quando Zayn glielo ha fatto presente.
Sono tutti spostati verso sinistra, in linea con la panchina dove adesso Oscar sta appoggiando la felpa con lo stemma della loro squadra, lasciando scoperta tutta la pelle bruna delle braccia.
Georgia rabbrividisce involontariamente.
“Quanto amo i rugbisti”
Con la coda dell'occhio, vede Suki sospirare in modo plateale, mordendosi le labbra con fervore.
È seduta sulla gradinata più alta rispetto alla sua e sembra che nemmeno il freddo riesca a deturpare la bellezza del suo volto. Tiene il mento alzato e i capelli legati in una coda alta, che le evidenzia gli zigomi pronunciati e la pelle chiara, simile alla neve. Indossa un cappotto lungo e nero e Georgia quasi si sente in imbarazzo a vederla così bella e a suo agio anche in mezzo al freddo e a sconosciuti.
Di fianco a lei, si vede Louis alzare gli occhi al cielo, senza replicare all'evidente frecciatina.
“Concordo – risponde però Cyndi di fianco a Zayn – Hanno il loro perché. A parte Niall, ovviamente. Guardalo lì, sembra una ragazzina in mezzo a un branco di uomini muscolosi”
Sono ormai passate le sei e c'è buio e freddo, sono due giorni che Georgia non vede Harry ed è la prima volta che gli amici di Niall si fanno vivi a una partita di rugby. L'ha sorpresa trovarli tutti lì in una sola volta, Oscar non gliel'aveva detto.
“Niall è la mascotte della squadra – ridacchia Liam, che accanto a Louis sta fumando una sigaretta con lunghe boccate – Non credo lo faranno giocare. Non credo nemmeno che giochi veramente a rugby”
Non è la prima volta che Georgia li sente ridere di Niall e, nonostante sia quasi certa che lo facciano semplicemente per scherzare un po', non l'è mai piaciuto il modo con cui sembrano trattarlo, come se fosse un bambino ridicolo.
È qualcosa che fa funzionare la loro amicizia, questo lei lo sa, ma c'è comunque una parte dentro la sua testa che la fa rattristare a quelle parole.
È come se nemmeno ci provassero, a credere in Niall.
Così “Niall è davvero bravo, in realtà – mormora, guardando verso il campo per evitare gli sguardi curiosi che ora si sente addosso – Insomma, è veloce. E il suo ruolo richiede di essere, sì, veloce”
Si schiarisce la voce e si fa più piccola dentro al giaccone imbottito, cercando di nascondere il rossore delle sue guance struccate contro la cerniera gelida.
Nessuno parla e lei si sente un'idiota, si sforza di rimanere immobile con gli occhi fissi su Oscar e nella sua testa sa che sarebbe dovuta restare zitta.
“Georgia, tesoro – la richiama Suki a quel punto, e quando la guarda, lei riesce a vederle un'espressione seriamente preoccupata, come la sua voce – Non hai una cotta per Niall, vero?”
No! – Georgia spalanca gli occhi e si tende tutta – No, certo che no”
Ha le guance in fiamme e tanta voglia di tornare a casa, Suki tira un sospiro di sollievo e “Grazie a Dio” mormora, appoggiandosi a Louis che non dice niente.
“Credi che sia così disperata, Suki? – domanda a quel punto Liam con una risata, per poi scivolare sulla gradinata e sedersi accanto a Georgia – Scommetto che ci sono milioni di ragazzi che stanno aspettando questo zuccherino”
Non le sono mai piaciuti i modi maliziosi di Liam, Georgia si è sentita a disagio con lui fin dal primo momento in cui l'ha visto. È un bel ragazzo, simpatico anche, ma tipi così determinati e così pieni di insinuazioni l'hanno sempre fatta sentire fuori posto e rigida.
Anche adesso, mentre lui la guarda con quel sorriso, lei non può che sbattere gli occhi e mordersi il labbro, incerta su cosa rispondere.
“Grazie?” prova, in modo stupido.
Cyndi scoppia a ridere e “Lasciala stare, Payne. La stai mettendo a disagio” esclama, scuotendo la testa con esasperazione.
È Zayn, comunque, quello davvero in grado di rassicurare Georgia. Mentre Liam e Cyndi iniziano a discutere su chi sia più imbarazzante di chi, lui le si avvicina, le mostra dallo schermo del suo telefono ormai vecchio i suoi quadri preferiti, le chiede se come lui sia appassionata d'arte e chi sia l'artista che più le piace.
Georgia torna a sorridere, a stare un po' meglio e, quando il fischio d'inizio rimbomba verso gli spalti, è decisamente più leggera.
 

 
 
La squadra di Bootle vince contro quella in trasferta di Halifax, in una partita regolare e divertente.
Un compagno di Oscar dà una festa nel suo appartamento per festeggiare la vittoria e lui è troppo felice perché Georgia si rifiuti di venire.
Ci sono entrambe le squadre, diversi amici dei giocatori e fin troppe ragazze semi nude e ubriache.
Nonostante questo, Georgia è contenta di essere venuta. Stranamente, si sta divertendo.
Sono al quarto giro di poker e Liam non fa che perdere, Suki invece sembra una giocatrice professionista e lei sta giocando con Zayn che con un sorriso le sta bisbigliando dentro all'orecchio le regole della partita. Ha deciso che il poker non fa per lei, ma finché è al sicuro nella cucina di quell'appartamento vittoriano, può andare bene.
Sul tavolo ricoperto da una tovaglia a fiori, oltre alle carte, ci sono bottiglie vuote e bicchieri di plastica dimenticati da qualcuno, Liam beve un sorso dal suo e commenta: “Questa mano è anche peggio di quella prima”
“Woah, Liam – dice Suki, intenta nell'osservare le carte tra le sue mani e fumare la sua sigaretta senza sporcarsi i pantaloni con la cenere – Non fai schifo solo in amore, ma anche nel gioco”
Georgia e Zayn ridono appena, lui beve un sorso di birra dalla sua bottiglia di birra e poi “Dovresti ritirarti, amico” suggerisce a Liam, mentre un paio di ragazzi dell'altra squadra entrano in quel momento nella cucina.
“Va' a farti fottere, Malik” risponde il suo amico, con un sorriso.
Georgia osserva i due nuovi arrivati scoppiare a ridere ubriachi e appoggiarsi al frigorifero rosso, cercando un modo per aprirlo, inutilmente.
Si fa vivo anche Niall a quel punto, varcando la soglia della stanza con le braccia alzate in aria e le mani che reggono due bicchieri. Ha gli occhi arrossati dalla situazione e un sorriso grande, bianco e dritto.
“Raggio di sole! – strilla, quando le sue pupille dilatate incontrano quelle confuse di Georgia – Ti abbiamo cercata dappertutto. Tieni, questo è per te”
La raggiunge dentro i suoi jeans strettissimi e a quella camicia in flanella rossa, allungandole un bicchiere e sorridendole, come per incoraggiarla.
Georgia aggrotta le sopracciglia e non capisce, quindi Suki dà bocca alle sue domande: “Stai cercando di drogarla, Horan?” domanda, scetticamente.
Niall si finge parecchio offeso, rotea gli occhi e sbuffa. “Certo che no. Ma è una festa e tutti devono bere. Quindi anche Georgia. Parola di Oscar, che si sta mangiando la faccia di Cyndi sul divano”
Lei ha la decenza di arrossire, mentre afferra con un sorriso gentile il bicchiere e lo stringe tra le dita. È un liquido non troppo denso, di un arancione indefinito.
“Beati loro – commenta Suki monocorde, appoggiando una carta sul tavolo – A proposito, hai visto il mio ragazzo?”
“Sì – Niall ritorna sui suoi passi, lascia una pacca sulla spalla a uno dei due ragazzi accanto al frigo e si finge serio – Si stava baciando con una ragazza molto figa, l'ultima volta che ho controllato”
Suki nemmeno alza gli occhi dal gioco mentre canticchia: “'Fanculo, Horan”
Il ragazzo scoppia a ridere ed esce dalla stanza, Georgia si bagna le labbra con il proprio bicchiere e sorride.
Si sta divertendo, sì.
 
 
 
Le si è addormentata l'intera gamba sinistra.
Georgia socchiude gli occhi e cerca di muovere l'arto sotto il tavolo, senza troppi risultati.
Non sono passati nemmeno cinque minuti da quando ha appoggiato il bicchiere vuoto sul tavolo e sa per certo di non essere ubriaca. Eppure la sua testa pesa, la sua mente fa fatica a connettere e lo stomaco sembra arricciarsi su se stesso da quanto sia acuto il fastidio.
Si è a malapena accorta che Louis ha affiancato Suki al tavolo e che Liam ha perso di nuovo, la vista è quasi sfocata e i suoi pensieri lenti, scostanti.
“Hai detto qualcosa?” sente la voce Zayn ovattata chiederle e quando si volta nella sua direzione, il ragazzo ha le sopracciglia inarcate dalla confusione.
Georgia contorce il volto in una smorfia di dolore e scuote la testa, il respiro appena più pesante. “No, io...io devo andare in bagno” mormora, ma non sa quanto effettivamente le sue parole siano state sentite.
Ha improvvisamente caldo, nonostante la giacca appesa alla sua sedia. Si sente la fronte bruciare, così come lo stomaco, i polmoni.
Sta cercando di non andare nel panico, di non lasciarsi travolgere da quella sensazione di angoscia che sembra appesantirle il passo e le ossa. Ha disperatamente voglia di dormire e di strapparsi il ventre.
A malapena capisce di essersi alzata in piedi, le sue gambe si muovono per qualche secondo prima di cedere come edifici instabili contro il pavimento che sembra troppo freddo contro i palmi delle sue mani.
Emette un gemito di dolore e chiude gli occhi, come se potesse scomparire e far scomparire il malessere.
È Zayn il primo ad aiutarla, Georgia lo riconosce dalle mani d'artista contro i suoi vestiti, dal profumo intenso che gli ha sentito per tutta la serata.
Le scosta i capelli dal volto arrossato, con cura le fa aprire gli occhi.
“Mi...mi fa male lo stomaco” Georgia balbetta, piange.
È quasi patetica.
“Solo lo stomaco? – le domanda gentile lui, inginocchiatole di fianco con gli occhi velati dalla preoccupazione – Riesci a camminare? A respirare?”
“Io...” non lo sa, non ne ha idea.
È tutto troppo lento, le parole non arrivano alla bocca, i pensieri non raggiungono il filo logico che basta per farli risultare coerenti, sensati. Si sente impotente, sopraffatta dal dolore e il fastidio.
“Non lo so, è stato Niall. Credo birra, non so – sente Zayn dire, prima che torni a concentrarsi su di lei, le mani ancora strette alle sue braccia sottili – D'accordo, Georgia. Adesso calmati, okay? Non succede niente”
Lei non capisce perfettamente, sa solo che a un certo punto le lacrime iniziano a pungerle gli occhi come spilli e ogni cosa sembra ancora più lontana e dolorosa. Ha il ventre che si contrae disperato.
“Georgia” qualcuno la richiama, in modo quasi autorevole.
Alza gli occhi in modo involontario, percependo le tempie pulsare. C'è lo sguardo di Louis adesso, le sue ginocchia contro il pavimento, le presa delle dita contro il suo gomito tremante.
“Stai avendo una reazione al glutine nella birra – vede le sue labbra sottili muoversi in modo lento, preciso – Va tutto bene. Ti sentirai spaesata e debole per un po', ma è okay. Respira, devi respirare”
Non si è era nemmeno accorta di aver smesso di respirare, ma la presenza di Louis ha il potere di tranquillizzarla. La sta guardando con gli occhi socchiusi, seri e vivi che per un attimo Georgia si chiede se siano solo immagini dettate dal delirio della sua testa.
Sembra che lui ci tenga davvero.
“Louis...” grazie.
Non riesce a parlare.
Le vengono in mente le spalle larghe di Harry, il modo in cui forse a questo punto le stringerebbe i polsi, le guance. Il modo in cui le parlerebbe a bassa voce, le sue parole forti, i suoi occhi acquosi.
“Lou, portala a casa – è la voce di Suki questa, ora molto più rigida e allarmata – Sei l'unico con la macchina che riesce a guidare”
Georgia lo vede tentennare, guardare Zayn come se nei suoi tratti potesse leggerci una risposta. Louis poi sospira e annuisce velocemente, leccandosi il labbro inferiore.
“Okay – dice – Andiamo”






 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** quattordici ***




Words As Weapons
Hello

Hello, it’s me
I was wondering if after all these years
you’d like to meet
To go over everything
They say that time’s supposed to heal ya,
but I ain’t done much healing

 



 
La Jeep grigio metallizzato di Louis ha i sedili posteriori pieni di disegni di bambini e vestiti piegati male.
Georgia respira a bocca aperta, in modo frettoloso, cercando di scacciare le lacrime mentre continua a sbattere gli occhi. La sua vista è confusa, le palpebre sembrano più pesanti che mai e il dolore allo stomaco pare essersi dilatato in tutto il suo corpo tremante.
Tra i finestrini appannati dal freddo di quella macchina, lei percepisce solo il suo respiro forte e il ronzio del motore. Non riesce nemmeno a ricordare come effettivamente sia finita in quella macchina, l'unico ricordo pressoché dettagliato della serata è quello in cui Liam ha imprecato per la prima volta durante la prima partita di poker. Dio, sembra essere passata un'eternità.
Louis guida silenzioso, con gli occhi vigili puntati contro la strada buia e l'espressione indecifrabile, come priva di emozioni. Georgia sbatte le palpebre per l'ennesima volta e respira, emettendo un singhiozzo.
“Mi...mi dispiace” gli dice, quasi obbligata dai sensi di colpa.
È spaventata, spaventata dalla situazione, dal dolore lancinante allo stomaco e i pensieri sconnessi.
Ha già provato questa sensazione: a sette anni era talmente timida da non essere riuscita a rifiutare un pezzo di torta di compleanno alla festa di Claire Tylor. La signora Tylor aveva chiamato l'ambulanza nel momento esatto in cui l'aveva vista cadere per terra, con le guance arrossate e il respiro pieno di panico. L'avevano tenuta in osservazione per l'intero week-end, i suoi genitori si erano preoccupati da morire e Georgia non era più riuscita a mangiare niente per quasi una settimana intera.
Adesso però è diverso, adesso oltre al dolore e all'impotenza, lei si sente in imbarazzo e in colpa, soprattutto agli occhi duri di Louis.
Si chiede a cosa stia pensando, a cosa sia dovuta la fronte aggrottata in modo così serioso e soprattutto perché siano lì, a quel punto di un rapporto che lei non sapeva avessero instaurato.
Si chiede: dovrà pur significare qualcosa, no? Deve. Come quella sera al pub, come quando si è sentita – in qualche modo – importante, importante per lui.
“Non è colpa tua” ribatte Louis, il tono incolore.
Ha ragione, non è colpa di Georgia. Lei non beve alcool e non assume glutine, fino a due ore prima nemmeno sapeva che sapore avesse la birra. Eppure nella sua testa confusa non può che rimanere il pensiero di essere un che di fastidioso e inutile, per Louis. È la convinzione con cui è cresciuta.
Tossisce e chiude gli occhi, stringendo le dita a pugno per evitare che continuino a tremare.
“Ti ricordi dove abiti?” lo sente chiederle, qualche minuto più tardi.
Georgia riflette: non è difficile ricordare casa sua. Nella sua mente ci sono i colori, la sistemazione delle finestre e dei mobili, l'odore di cera e fiori. Ci sono le scale ripide, i muri vuoti e le lenzuola chiare, eppure qualcosa manca.
Non ricorda più il colore del pavimento, l'ampiezza del salotto, i sorrisi dentro alle cornici e il rumore sottile della via residenziale fuori dai vetri.
“Io... - mormora, con gli occhi che si riempiono di lacrime un'altra volta per via della frustrazione – Io...Harry”
Non ne distingue i lineamenti, il volto spigoloso, le mani grandi. Gli vede gli occhi però, la postura marmorea.
“Harry?” Louis non capisce, ma non ne è sorpresa.
Nessuno capisce, nessuno può capire. È una cosa solo sua e di Harry.
“Io abito...Harry. Abito davanti ad Harry. Il...il soldato” il guerriero caduto in battaglia.
Sente la bocca impastata e le labbra pesanti, come se perfino mormorare iniziasse a stancarla. Si preme le mani contro lo stomaco serrato dal dolore e respira.
“Styles? Harry...Harry Styles?” ripete Louis, la voce improvvisamente piccola, timorosa.
La presa sul volante si fa più serrata, i suoi occhi più umani, fragili. Georgia lo osserva con confusione e per un attimo si chiede se anche a lei quel nome scateni lo stesso effetto.
Inclina la testa, sbatte gli occhi. “Sì”
Il restante del viaggio lo passano in silenzio, e Georgia non è minimamente sorpresa nel constatare – come già previsto – il fatto che Louis sappia alla perfezione in quale via si trovi la casa di Harry.
Il brusio del motore cessa del tutto, il ragazzo si slaccia la cintura di sicurezza e si schiarisce la voce.
“C'è qualcuno in casa tua? Tua madre o tuo...tuo padre?” sembra in difficoltà, i suoi occhi azzurri fanno di tutto per non incontrare quelli uguali di Georgia.
Lei si sente stanca e triste, lo stomaco ancora brucia e le sue palpebre sembrano ancora più pesanti, le sbatte un paio di volte e scuote appena la testa.
Sua madre è all'addio al nubilato di una sua collega a Liverpool, lei se ne ricorda all'improvviso e quasi ne è sollevata. Slaccia la cintura e sua volta e afferra la maniglia della portiera, guardando verso la piccola villetta buia.
“Grazie, Louis” dice, la voce che trema un po'.
Lo pensa davvero: gli è grata per aver messo da parte il rancore e la rabbia per aiutarla. Forse qualcosa di buono, in fondo, anche Marshall l'ha fatta.
Non lo sente rispondere, scende dalla macchina e cerca di restare in piedi mentre chiude la portiera e cerca le chiavi dentro alla giacca.
Camminare è quasi divertente, sembra di calpestare qualcosa di durissimo con le gambe simili alla gelatina, il freddo è insopportabile e sotto le guance arrossate Georgia riesce a distinguere la sensazione di vertigine.
La toppa del portone è troppo per le sue mani incerte e lei sobbalza in modo spaventoso quando le dita di Louis afferrano le chiavi al suo posto e aprono la porta.
Non si era resa conto che fosse sceso con lei.
È praticamente impossibile vederlo in mezzo alle mura di quella casa, Georgia si domanda quanto ancora potrà reggere quell'apparente preoccupazione che Louis sembra starle dimostrando.
È quasi goffo adesso, mentre accende le luci del corridoio e si guarda intorno come un ladro, eppure è lì e lei ancora non riesce a capire.
Ci penserà domani.
“Stai ancora male?” le chiede, a disagio.
Georgia annuisce flebilmente e si morde il labbro inferiore, colpevole.
Louis accenna con la testa al piano superiore: “Ti aiuto a salire le scale” dice in modo quasi meccanico.
La ragazza non protesta, non lo farebbe mai. Le dispiace che lui sia lì con lei e non altrove, dai suoi amici a divertirsi e stare bene, eppure dentro la sua testa l'egoismo nell'averlo vicino – finalmente, dopo troppo tempo – è anche più forte del senso di colpa.
È suo fratello, e gli vuole così tanto bene da sentire gli occhi bruciare per l'emozione.
Salgono le scale in silenzio, in silenzio Georgia apre la porta della sua stanza e si spoglia, respira, lo sente dietro di lei. In silenzio appoggia la giacca alla sedia e accende le candele sul comodino e sulla scrivania, in silenzio spegne la luce e lo osserva, come un ricordo.
Louis tra le fiamme piccole sembra una persona diversa, più sensibile. I suoi occhi sono scuri e pieni di confusione e il suo corpo è teso, agitato, intrappolato in una tela di sentimenti scomodi.
Sta provando qualcosa, lei nota. È come se stesse cedendo alle sue stesse bugie, a quei silenzi schematici di chi ha sofferto tanto e ha chiuso tutto fuori, di chi non riesce a perdonare e pare indistruttibile.
Georgia non è più imbarazzata alle luci delle candele, l'agitazione è sparita come un soffio, così come l'angoscia, la paura che ciò possa finire.
Louis si guarda intorno, respira in modo rumoroso e sembra stia cercando qualcosa da dire.
“Dovresti cercare di dormire – opta infine – Ti sentirai meglio domani mattina”
Lei si siede sul letto alto, annuisce leggermente e si sente stanca da morire. Lo stomaco si stringe e “Grazie, Louis” mormora.
L'odore di rose selvatiche è fin troppo rilassante, il sovraccarico di emozioni le fa chiudere gli occhi come una bambina. Si raggomitola sul piumone con ancora le scarpe addosso, il sonno così vicino da risultare soffocante.
“Puoi andare, se vuoi – dice, la voce impastata – Ma lui non tornerà, se è questo ciò a cui stai pensando. Lui non torna”
Anche il dolore sembra affievolirsi in modo dolce, la sensazione di casa è così forte da farla quasi sorridere.
“L'avevo immaginato – Louis dice, il tono pieno di tristezza – Si vede dal tuo sguardo. Mia madre aveva i tuoi stessi occhi”
Si addormenta subito dopo.
 
 
 
Nel sonno, dita sottili come aria le scostano i capelli dalla fronte calda, le accarezzano il volto rosso dall'irritazione.
Quando si sveglia il mattino dopo, Georgia ha la propria giacca a coprirle il corpo ricurvo e le scarpe sul tappeto.
Sulla pelle delle guance magre, c'è ancora il ricordo dei polpastrelli di Louis.
 

 
 
 
Harry ha gli occhi duri quando le apre la porta.
È un pomeriggio più buio del solito e Georgia non ha fatto nulla fino a quel momento, si solo è rintanata in camera ad aspettare che il dolore alle tempie e allo stomaco cessasse del tutto.
Jodie è tornata verso le dieci, si è preoccupata da morire e con i capelli spettinati le si è coricata vicino, raccontandole di una serata esclusivamente contro gli uomini e facendola ridere un poco.
Oscar le ha scritto diversi messaggi, così come numeri sconosciuti che si sono firmati con il nome di Suki e Zayn a cui lei ha risposto con parole gentili, un po' impacciate.
Non ha raccontato a nessuno di quello che è successo con Louis, non se l'è sentita.
L'unica persona che merita di sapere qualcosa di così grande adesso è proprio davanti a lei e sembra non aver assolutamente voglia di ascoltarla.
“Harry” lei esclama, osservandogli il volto più teso del solito.
Il ragazzo non le risponde, si scosta per farla passare e richiude la porta quando Georgia entra in casa e si sfila la giacca, leggermente a disagio.
Ha attraversato la strada con la convinzione di aprirsi e parlare, adesso però sembra tutto un pensiero lontano e stupido. Il comportamento di Harry le ha fatto venire voglia di tornare indietro in meno di trenta secondi.
Con la giacca ancora tra le braccia, si schiarisce la voce e sbatte gli occhi, guardando per terra. “Stai bene?” gli domanda.
Lo sente prendere un respiro profondo, un po' combattuto. Con la coda dell'occhio nota le sue spalle incurvarsi appena come un uomo arreso, le sue mani tra i capelli scuri e sul volto perennemente stanco, di chi non è capace di dormire.
Si dirige verso il salotto senza aprire bocca, sedendosi sul divano vecchio e aspettando che Georgia lo segua.
Dice: “Louis. Louis Tomlinson. Era lui ieri notte, vero?”
La guarda dal basso, la osserva arrossire e tendersi come un colpevole.
Non era così che lei avrebbe voluto iniziare la conversazione, però annuisce e attende che Harry continui.
Lui fa la stessa cosa e storce la bocca un paio di volte, passandovi sopra la lingua per cercare le parole. Le sue mani si stanno torturando a vicenda sulle sue ginocchia e a Georgia viene voglia di stringerle e sopprimere quel tormento.
“Eravamo amici, prima – lo sente mormorare poi – Migliori amici. Lui mi ha...scongiurato di non partire. Credo non mi abbia mai perdonato per non avergli dato retta”
Un altro tassello ad aggiungersi a quella confusione, Georgia respira in modo quasi impercettibile e sente le ginocchia tremare.
Vuole essere forte.

“È mio fratello – esala, per poi schiarirsi la voce – Insomma, mio...noi abbiamo lo stesso padre. Lui mi odia, credo. Intendo Louis, ma forse anche mio padre. Ieri sera sono stata male e lui mi ha accompagnata a casa e credo sia rimasto per un po'. È stato bello. Lui non vuole essere mio fratello, me l'ha detto. Lui ha un altro padre e un'altra famiglia, io sono solo...solo una ragazza come tante. I suoi amici non lo sanno perché lui di me non ha mai parlato, mia madre dice che sia stupido rifiutare una sorella come me. Io non la penso così”
Il volto di Harry si trasforma, i suoi lineamenti si fanno quasi dolci, comprensivi. Anche i suoi occhi sembrano riempirsi di sincera tristezza. Lei rimane in piedi a torturare il tessuto della sua giacca con forza, a chiedersi quanto lui possa capire, se si comporterà come Oscar, come chi pensa di capire e non è nemmeno vicino.
“È rimasto più di un po' – Harry rompe il silenzio con un tono di voce morbido, l'accenno di un sorriso invisibile – Per quasi tre ore. Non riuscivo a dormire, ma quella non era la faccia di chi non vuole avere una sorella”
La vuole far sorridere.
Ci riesce.
Accendono le candele e guardano un film con le braccia che quasi si sfiorano.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** quindici ***




Words As Weapons
Little Bit


So we don't confirm the fling
Keep avoiding all the questions
You could teach me many things
I'm just scared to learn a lesson

 


 
 
A scuola le è difficile concentrarsi sulle parole degli insegnanti. Georgia non è mai stata una studentessa modello: il massimo, la perfezione non sono di sua competenza; ci sono troppe responsabilità in mezzo e tutta quella pressione lei non riuscirebbe mai a gestirla. La sua media è comunque buona, senza alcun voto negativo o a rischio. A Jodie non dispiace e, quando suo padre si interessava alla faccenda, le ha sempre fatto capire quanto la scuola – per lui – fosse inutile.
Oggi però sembra tutto troppo difficile da capire.
In letteratura hanno ripreso Hamlet per l'ennesima volta per via della rappresentazione teatrale che ci sarà da lì a pochi mesi e Georgia non riesce proprio a capire quello che il professore Kaine sta dicendo.
Le piace Hamlet, è la sua tragedia preferita di quelle scritte da Shakespeare, eppure la sua mente è così piena di altro che non riesce a concentrarsi.
Oscar le lancia qualche occhiata curiosa di tanto in tanto, aggrottando le sopracciglia ai suoi movimenti nervosi e goffi che fanno cadere penne e matite.
A fine lezione lei è l'unica a non avere uno straccio di appunto e ciò la fa sentire terribilmente in colpa, come se avesse mancato di rispetto a qualcuno.
“Probabilmente è l'effetto del glutine” è ciò che le suggerisce il suo migliore amico a pranzo.
Lei scrolla le spalle e arriccia le labbra, addentando una mela. “Non credo – risponde – Insomma, è successo diversi giorni fa e io sto bene. Sono solo...un po' nervosa”
La mensa è meno piena del solito, quelli del primo anno sono in gita a Londra e i tavoli in mezzo alla sala sono quasi tutti vuoti. Nonostante ciò – in qualche modo – c'è molto più chiasso, c'è un ronzio costante che non vuole andare via.
Oscar finisce il suo panino ai cetrioli e “Già, è sicuramente così – riflette poi – Voglio dire, hai vissuto più cose nell'ultimo mese che in tutta la tua vita! Devi abituarti a tutta questa vita sociale”
Finisce la frase con una risata di pancia e, davvero, Georgia sa che Oscar scherza e che il più delle volte non ragiona prima di dire qualcosa, ma ciò non allevia il dolore che le morsica il petto, proprio sotto al cuore.
Sa di non essere la persona più socievole del mondo, sa di avere difficoltà nel fare amicizia e che molto spesso le persone non fanno che procurarle altra ansia. Ma ci prova, okay? Si sta sforzando, sta tentando di aprirsi a degli sconosciuti per il bene di Oscar, per non deluderlo. Non è abbastanza questo?
Di nuovo, vorrebbe solo che lui capisse che è difficile a volte stare nel corpo piccolo di una persona insignificante come lei. Vorrebbe che lui capisse che non sono solo capricci, che non si considera superiore a nessuno ma che anzi, la paura di non poter dare a qualcuno quello che le viene chiesto ogni tanto non la fa dormire la notte.
Non è solo timidezza, è il terrore di essere vista per quella che è realmente. Vuota e insicura, come cristallo in bilico.
Sforza un sorriso – l'ennesimo – e ingoia insieme alla mela anche le parole attaccate alle corde vocali.
Dov'è il mio vecchio migliore amico?


 
“Ti va di andare al parco, oggi?”
Il suo tono è meticolosamente calmo, studiato qualche minuto prima nel silenzio della sua camera.
Georgia sposta il peso da un piede all'altro, si tortura le mani dietro la schiena e attende impaziente che Harry, davanti a lei, le dia un qualsiasi tipo di cenno.
Le ha aperto la porta con addosso un paio di jeans scuri e un maglione pesante, blu come la notte.
Ha gli occhi incerti, curiosi e diffidenti. Georgia si pente immediatamente di averglielo chiesto. Poi lo vede annuire, come dopo un ragionamento lungo e interiore.
“Sì – le risponde, la voce bassa e seria – Credo di averne bisogno”
Lei sorride a denti scoperti quindi, sollevata e quasi orgogliosa. Il nervosismo di quella giornata si è sciolto come un nodo sottile e per un attimo si domanda come diavolo faccia quel ragazzo a influire così tanto sul suo umore. 
Non è ancora pronta per darsi una risposta, però.
Harry si copre con un giaccone militare e un cappello di lana azzurro, si chiude la porta di casa dietro le spalle e respira forte.
“Grazie” le dice guardandola di sfuggita.
Poi iniziano a camminare.

 
Il parco lo raggiungono in meno di dieci minuti, la maggior parte dei quali la trascorrono in silenzio.
Non che Georgia si aspettasse qualcosa di diverso.
L'inquietudine di quella mattina è completamente sparita dalle sue articolazioni, rimpiazzata da un sorriso timido, genuino.
Quando entrano nel parco accanto alla scuola materna, Harry continua a guardarsi intorno con gli occhi vigili e spalancati. Non sembra avere paura, piuttosto risulta attento, in guardia.
“Va tutto bene?” gli chiede lei, notando la rigidità delle sue spalle.
Il tempo non è dei migliori, il vento è freddo contro la pelle delle mani e c'è odore di pioggia.
I ragazzini delle medie in divisa si fingono grandi lanciando bastoni sul prato mentre i più piccoli giocano sugli scivoli e le altalene.
“Sto cercando di non impazzire – ammette Harry, il tono forzatamente leggero – Non credo di riuscirci granché, però”
Accenna a un sorriso poi, guardandola da sopra la sua spalla. A Georgia viene voglia di sorridergli in risposta.
“Stai andando alla grande, invece – lo tranquillizza, infilandosi le mani dentro alle tasche del giaccone – Anzi, visti da lontano, potremmo quasi apparire come due persone normali”
La risata di Harry la coglie impreparata, facendola arrossire.Lo vede socchiudere le palpebre, gettare la testa verso l'alto e incastrare la lingua divertita tra i denti bianchi. Ride in modo sospirato, gentile, puro.
Le piace, così come le piace la sensazione che quella risata le fa provare: è bello prendersi cura di Harry.
“Hai ragione – dice poi lui – Solo da lontano, però”
“Sì, solo da lontano”
Continuano a camminare sul viale asfaltato senza più parlare. Georgia però continua a sorridere.
Sorriso che si spegne nel momento in cui il ragazzo in tuta sportiva che corre a lato del viale si ferma di scatto, togliendosi le cuffie bianche dalle orecchie come se scottassero.
Harry
Si fermano anche loro due, spiazzati. Chiaramente, l'idea di incontrare una faccia conosciuta non era tra i progetti di nessuno.
Niall ha il volto arrossato dalla fatica e l'espressione scioccata di chi non riesce a credere ai propri occhi. Sbatte le palpebre più e più volte, scuotendo leggermente la testa bionda.
“Niall” risponde Harry, la voce impostata, il corpo di nuovo teso come un violino.
“Harry – ripete di nuovo l'altro – Georgia!”
Lei stringe i pugni dentro alle tasche e “Ciao Niall” mormora, cercando di apparire tranquilla.
“Ragazzi, voi...woah! – Niall scoppia a ridere – Siete davvero la cosa più strana e bella che abbia mai visto”
Si avvicina saltellando entusiasta, lasciandoli senza parole per qualche secondo. Poi Georgia sorride, perché nonostante il poco tempo trascorso insieme a lui, Niall le è sempre parso una bella persona. È invadente, certo, un po' troppo esuberante forse, ma è intelligente e sa quando è giusto non fare domande.
“Quanto sei grosso, amico – è il suo commento, mentre osserva la figura di Harry  - Hai mai pensato di iniziare a giocare a rugby?”
Gli appoggia una mano sulla spalla e Harry trasalisce, facendo un passo indietro. È un riflesso involontario, non sembra davvero spaventato.
“Merda, hai ragione. Sindrome post-traumatica o qualcosa del genere, vero? L'ho visto in The Sniper, un film davvero figo, cazzo. Beh, a parte la fine, certo”
Il tatto di Niall è così inesistente che perfino Harry sorride. “È bello rivederti, Niall”
“Anche per me amico, dico davvero – per un attimo rimane in silenzio a osservarlo come stregato – Merda, Harry. È davvero fantastico rivederti qui, all'aria aperta. Con Georgia!”
Il suo sguardo chiaro si concentra su quello della ragazza adesso, che s'è fatta più vicina al braccio di Harry senza nemmeno rendersene conto.
“Già, sì – è il mormorio di quest'ultimo, che la fa arrossire – È bello essere qui”
Il sorriso bianco di Niall si allarga. “Non sapevo foste amici. Come diavolo si possono essere conosciuti due come voi?”
Per la seconda volta, Georgia non è imbarazzata dai commenti esuberanti del ragazzo. Non così tanto, per lo meno. Niall non è cattivo e anzi, è una buona persona. Non li sta prendendo in giro, non sta ridendo di loro e tanto meno li sta accusando di essere strani in modo negativo. Piuttosto sta riconoscendo il loro essere diversi, dicendo che nonostante possa non capirli, per lui è okay. Loro sono okay. Non è come stare con Oscar.
Harry guarda Georgia per qualche istante, incerto su cosa rispondere. Ha le sopracciglia aggrottate e la bocca socchiusa, come un bambino confuso.
Quell'immagine le scalda il cuore, per un attimo ci sono solo loro due; un attimo e c'è solo lui.
“Grazie alle candele – risponde Georgia con un piccolo sorriso – Ci siamo conosciuti grazie alle candele”
Entrambi tornano a guardare Niall, il quale fa scattare le pupille sull'una e sull'altro come se cercasse di capire che cosa possa implicare una frase del genere. Non ci riesce, come potrebbe?
“Beh, figo, no? Mi piace come cosa – sorride e torna a scaldare i muscoli saltellando sul posto – Vi lascio andare, allora. Torno a fare finta di saper correre”
Si salutano amichevolmente, Niall li ha già superati quando Harry lo richiama.
“Io...” sembra in procinto di scusarsi.
Il suo vecchio amico scuote la testa e sorride. “Non mi devi alcuna spiegazione, Harry – dice, la voce gentile e adulta – Io non sono Louis”
Georgia vede gli occhi del ragazzo a fianco a lei ingrandirsi e farsi consapevoli al suono di quel nome. Apre e chiude la bocca senza emettere suono e anche dopo che Niall ha voltato loro le spalle, lui continua a fissare il vuoto, l'espressione persa e nostalgica.
Quello di Georgia è un istinto: intrufola le dita sotto alla manica del suo giaccone militare e gli accarezza il polso caldo, vivo.
Harry scuote la testa, si riprende e non si ritrae. Abbassa gli occhi per guardarla e accenna un sorriso fantasma.
“Solo da lontano” ripete.





 
 

lo so, lo so. sono davvero pessima!
presentarmi così, con questa cosa, dopo mesi di silenzio è davvero orrendo, eppure non potevo lasciare stare. nonostante il lungo tempo senza aggiornare, non potevo permettermi di non cercare di finire questa storia. odio lasciare le cose a metà, anche in periodi bui come questi.
probabilmente sarete rimaste in cinque gattini a leggere e sperare in questa storia, ma da brava e stupida ragazza che scrive, spero che ci sia comunque qualcuno a leggermi (anche se non me lo merito)
avevo giurato che compiuti i diciotto anni avrei abbandonato questo maledetto sito, eppure eccomi qui due mesi dopo la maggiore età ad aggiornare una storia triste, tristissima.
è triste, vero? georgia è triste. e io ho davvero bisogno di approfondire questa tristezza - possibilmente in tempi mortali, ecco.
a ogni modo, ho ancora qualcosina in cantiere prima di sperare davvero di chiudere tutto qui: sto scrivendo la mia prima larry e nonostante non segua più gli one direction sono davvero intenzionata a finirla, insieme a questa storia.
e niente, cosa aggiungere? grazie a te che stai leggendo, grazie perché hai aspettato una persona in ritardo come me.
spero che il capitolo non sia uscito troppo assurdo, in realtà la scoperta della loro amicizia è solo il primo gradino della scaletta che ho in mente e che spero di scrivere il prima possibile.
e niente, fatemi sapere!
un bacione immenso anzi due,
caterina

 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** sedici ***




Words As Weapons
Born To Die

 
 
 

Don’t make me sad, don’t make me cry
Sometimes love is not enough and the road gets tough
I don’t know why




 

 

 
Quando torna a casa – salutato Harry fuori dalla porta con un sorriso emozionato – Georgia nota con la coda dell'occhio sua madre in piedi al centro del salotto, intenta a stirare le sue camice da lavoro. Di sottofondo, Marvin Gaye intona la sua Let's Get It On.
“Che sorrisone! – esclama Jodie nel vederla entrare nella stanza – È per via del ragazzo che sta camminando sul nostro vialetto per tornare dell'altra parte della strada?”
Georgia arrossisce vistosamente. Si lecca le labbra e si schiarisce la voce, guardandosi intorno con fare imbarazzato.
Ha voglia di parlare: con Harry i discorsi sono intensi ma sempre brevi e lei adesso è così contenta da voler discutere per ore e per ore.
Era da un po' che non sentiva questa sensazione.
“Ho conosciuto delle persone – dice all'improvviso, di fretta. Sua madre ferma il movimento della mano destra e la guarda – Tramite dei compagni di squadra di Oscar. Sono tutti ragazzi più grandi. Sono...simpatici”
Jodie si apre in un sorriso raggiante: “Ma è fantastico, tesoro!”
Georgia annuisce velocemente, infilandosi le mani nelle tasche posteriori dei jeans.
“C'è...c'è anche Louis. Tra queste persone, voglio dire. C'è anche lui”
Il sorriso di sua madre s'incrina come una sinfonia con una nota stonata, facendole perdere l'aria sbarazzina che nonostante gli anni non è mai invecchiata. Adesso la sua espressione è quasi disgustata, sicuramente timorosa.
“Oh” mormora, a corto di parole.
“Già...”
Jodie sembra parecchio in difficoltà e per un attimo Georgia vorrebbe non aver detto nulla. Entrambe si mordono le labbra simili e rimangono in silenzio.
“E...ti ha riconosciuta? – le domanda sua madre poi – Voglio dire, sa chi sei?”
Le viene da ridere nel rispondere. Pensa a tutti gli sguardi astiosi, alle parole di sufficienza, alla rabbia di Louis nel constatare la sua presenza, il fatto che lei semplicemente respiri vicino a lui. Come si può continuare a voler bene a chi ci vuole così male?
“Sa decisamente chi sono – mormora – E mi odia. Mi odia davvero tantissimo”
Nonostante io l'abbia pregato di non farlo, vorrebbe aggiungere.
Nonostante si sia preoccupato per lei, nonostante – in qualche maniera – si sia preso cura del suo stare male.
Jodie fa una faccia rammaricata che non le si addice per nulla. Lascia perdere il ferro ancora caldo e le si avvicina, abbracciandola un po'.
“Tesoro – cantilena – Non dargli retta. Tu vali molto di più di una persona così. Non volendoti nella sua vita è lui-”
“È lui a perderci – conclude Georgia come da copione – Lo so, mamma. Lo so”
Non è mai stata brava a credere a queste parole, però.
La donna le accarezza le guance calde e “Gli uomini sono fatti così, amore mio – le dice – Hanno tanti pregi, certo. Ci fanno sognare, ci fanno ridere, ci fanno innamorare. Guarda come diventi rossa appena accenno al nipote della vedova Styles! Eppure hanno anche milioni di difetti, Georgia. E uno di questi è quello di non saper restarci accanto. Loro scappano come ladri, sempre”
Georgia sente i suoi occhi iniziare a pizzicare inevitabilmente: è come un riflesso. Ogni volta che si parla di suo padre – delle sue azioni, del suo abbandono – lei comincia a piangere come una bambina. Non è ancora pronta ad andare avanti.
Jodie le sorride dispiaciuta, ma non capisce.
“Sono davvero contenta per la tua cotta, così come sono contenta se stare vicino a Louis ti faccia in qualche modo piacere. Ma sta' attenta, d'accordo? Non lasciare che ti facciano del male”
Georgia – le lacrime che le fanno il solletico sul mento e gli occhi rossi – annuisce mestamente e sorride.
Vorrebbe rispondere: male come quello che mi fai tu?
 
 
 
 
 
Usciti da scuola, Oscar ha trascinato Georgia verso il parco, dove Suki, Louis, Zayn, Cyndi e Niall hanno occupato un tavolo lungo di legno per giocare a carte e fumare erba.
Lei è finita all'angolo della panchina, accanto a Niall e di fronte a Oscar, il quale non appena adocchiata Cyndi le ha lasciato la mano per baciare platealmente le labbra della sua pseudo-ragazza.
Niall le ha sorriso in modo incoraggiante e Georgia s'è sentita arrossire fino alla punta delle Vans nere: entrambi custodiscono un segreto importante.
Adesso tutti e sette stanno stretti su quelle due panchine e parlano della prossima festa da organizzare.
“Potremmo farla a tema” sta dicendo Suki, che con le mani affusolate è intenta a chiudere una sigaretta.
“Che tipo di tema?” le chiede Cyndi, un po' scettica.
La sua migliore amica fa spallucce e passa la sigaretta a Zayn, che insieme a Louis è seduto sullo schienale della panchina, i gomiti sulle ginocchia e gli occhi un po' piccoli e arrossati.
“Antica Grecia?” propone Niall.
“Vuoi partecipare a un'orgia, Boss?” ride Oscar.
Georgia ascolta impassibile, le mani che giocano con l'accendino rosa chiaro del biondo.
La piccola fiamma le scalda il palmo della mano per quella frazione di secondo un cui lei lo avvicina al fuoco, mandandole una minuscola scarica di adrenalina che la fa sorridere.
“Non sarebbe la prima” bofonchia Cyndi.
Zayn ride e si aggiusta gli occhiali sul naso dritto.
“Tema sport? Del tipo che ognuno si veste con una divisa sportiva diversa?”
Il pollice gira la ruota spigolata, la fiamma compare alta prima di affievolirsi e seguire il movimento del vento, in attesa di bruciare qualcosa.
“Fanno feste del genere tipo ogni quattro anni. Le chiamano Olimpiadi
La sua bocca si schiude a quel meccanismo così semplice ed essenziale, gli occhi spalancati non perdono il sentiero dell'indice libero che cerca di accarezzare il pericolo.
“Come sei simpatica, Suki. Te l'hanno mai detto?”
“Un paio di volte, sì”
La fiamma scompare, il pollice inizia a dolore. Il movimento non si ferma, qualcosa brucia dentro. Di nuovo il calore sulla pelle, la mano che piano scende a toccare, prova a rinchiudere il fuoco nel suo abbraccio.
“Tema film?”
“Scontato”
“Tema libri?”
“Sì, e chi diavolo ne ha mai letto uno, lock?”
Il suo sorriso ha uno spasmo contemporaneo al dolore: è come se qualcosa spingesse nella sua carne per arrivare ai tendini della sua mano, si fa spazio tra le pieghe della vita per-
Georgia!”
L'urlo angosciato di Oscar la riporta alla realtà: balza fuori dalla panchina, l'accendino che finisce contro il prato umido e la mano ustionata che davanti a lei fa fatica a restare aperta.
Deve stringere i denti fino a sentirli far rumore per non imprecare. Brucia da impazzire.
Oscar è in piedi davanti a lei e la guarda come se non la riconoscesse neanche. Osserva la bruciatura, la pelle morta del suo piccolo palmo e “Hey – sussurra – Stai bene? Ti sei completamente ustionata”
“Io... – Georgia inizia a balbettare per via del dolore, gli occhi diventati umidi all'improvviso – Non so, non me ne sono neanche accorta”
Suki cerca velocemente nella sua borsa una bottiglietta d'acqua, si alza in piedi anche lei e le bagna la ferita aperta, l'espressione che cerca di trasmettere rassicurazione.
“Devi andare in ospedale, raggio di sole – interviene Niall, il volto preoccupato – Tipo, subito
“Come?” gli domanda Georgia, come stordita.
Il rugbista apre bocca per ripetere, Louis però salta fuori dalla panchina e “L'accompagno io” esclama, senza guardarla.
Georgia allora lancia un'occhiata di puro panico verso Oscar, il quale ha le sopracciglia alzate e l'espressione severa: le sta dicendo con gli occhi 'va', stupida!'
È preoccupato, lo si capisce dalla mascella tesa e lo sguardo duro. Georgia non ci vuole pensare adesso, non con il dolore lancinante alla mano: Oscar inizierebbe a fare domande se venisse con lei, la sgriderebbe come un padre perché semplicemente non potrebbe capire e nemmeno sforzarsi di farlo.
Louis lascia un bacio sulla tempia di Suki, la quale gli sorride e “Fateci sapere” dice, sistemandosi i capelli scuri.
 
 
 
 
 
Georgia cerca invano di appiattirsi contro il sedile del passeggero per tutto il viaggio. Tiene gli occhi blu fissi sulla mano ustionata e si morde il labbro. Dovrebbe chiamare sua madre, riflette.
Louis guida attentamente, senza staccare la visuale dalla strada nemmeno per un secondo. Il cielo grigio sopra alla macchina non promette nulla di buono e lei si domanda se suo fratello sia ancora spaventato dai temporali come quando erano piccoli. Quel pensiero – in mezzo al dolore pungente – la fa sorridere un poco.
Arrivano in dieci minuti, senza dire una parola. Louis le afferra senza troppi complimenti il gomito della mano non ferita e la conduce verso le porte automatiche del pronto soccorso. Georgia lo segue come una bambina ubbidiente e si morde la lingua per non fargli quella domanda che sa per certo lo farebbe arrabbiare: nonostante Louis creda il contrario, è pur sempre figlio di Marshall.
L'interno è affollato e grande, con i muri dipinti di un rosa chiaro e le sedie piene di teste agitate e chine sul pavimento lucido.
Il bancone è al centro, ruota attorno a un paio di infermiere che parlano al telefono e scrivono qualcosa su un computer vecchio e nero.
“Aspettami qui” le intima Louis, lasciando la presa dura sul suo giaccone.
“Va bene”
Georgia lo osserva avvicinarsi con circospezione al personale indaffarato, raggiungere il bancone pallido e picchiettare la mano sulla superficie.
Il volto scuro dell'infermiera in camice giallo si apre in un sorriso smagliante non appena lo vede: “Louis! – esclama – Ma guardati! Sei proprio come tua madre, ti fai più bello ogni giorno che passa”
Il ragazzo sembra quasi arrossire. “Ti ringrazio, Queen” mormora sorridendo.
“Di cosa hai bisogno? Tua madre è al secondo piano, vuoi che te la chiami?”
Georgia inorridisce solo al pensiero: preferirebbe che le amputassero la mano per infezione piuttosto che conoscere la donna alla quale sua madre ha rovinato la vita.
Fortunatamente, Louis sembra pensarla allo stesso modo. “No, grazie – dice, poi fa cenno a Georgia di avvicinarsi – La mia...amica, qui, si è ustionata con la fiamma di un accendino”
Georgia accanto a lui tenta un sorriso tremolante mentre mostra la bruciatura alla donna, la quale impassibile annuisce e “Una gran bella ferita, non c'è che dire – mormora, prima di digitare qualche numero sul telefono fisso e alzare la cornetta – D'accordo tesoro, sta' tranquilla. Adesso chiamo il dottor Shelley e ti faccio subito medicare”
Conduce entrambi verso il corridoio, in una stanza piccola e vuota che odora di cotone e disinfettante. Georgia si siede sulla carta che riveste il lettino e fissa il pavimento grigio.
Quando sono da soli, si schiarisce la voce e “Puoi andare, se vuoi – mormora – Voglio dire, non sei obbligato a restare. Grazie, però”
Con la coda dell'occhio lo vede muoversi a braccia incrociate per la stanza.
“È questa l'idea che ti sei fatta di me, vero? – le domanda poi, la voce piena di sarcasmo – Pensi che me ne andrei, lasciandoti qui?”
Georgia alza gli occhi verso di lui. “Non mi sono fatta nessuna idea – gli risponde, piano – Credevo solo che non sopportassi la mia compagnia, tutto qui”
“È molto più complicato di così – sospira lui – Non capiresti, però”
Cosa? Cosa non capirebbe?
La porta si apre prima che lei possa fare qualsiasi tipo di domanda.
L'uomo appena entrato è alto, di bell'aspetto. Ha i capelli biondicci e gli occhi verdi, il naso sottile e un sorriso dolce.
Lou!” esclama, nel vedere il ragazzo.
Papà – balbetta questo, improvvisamente a disagio – Credevo...Queen ha detto che sarebbe venuto Frank”
“Frank si sta occupando di un altro paziente – ribatte l'uomo – Che c'è? Non sei contento di vedere il tuo vecchio?”
Georgia, gli occhi di nuovo incollati verso la punta delle sue scarpe, sta cercando disperatamente di non far cadere alcuna lacrima. È così frustrante.
In meno di dieci secondi, quell'uomo – Papà – è riuscito a distruggere quel piccolo legame che stava iniziando a formarsi nella stanza.
Lo chiama papà perché è suo padre, e questo brucia più di qualsiasi altra fiamma contro la pelle.
“Ciao, biondina – l'uomo si siede sul seggiolino rotondo accanto a lei e le sorride con fare gentile, una cartella in mano – Come ti chiami?”
La voce le esce tremante. “Georgia. Georgia Greenwich”
La penna smette di scrivere le sue credenziali, il dottor Tomlinson alza la testa di scatto e la guarda allucinato. Osserva poi la ferita e suo figlio, “Non ti ha bruciata lui, vero?”
Papà! Come diavolo ti viene in mente?”
“Beh, una qualche idea ce l'avrei – ribatte stizzito, prima di scuotere la testa e sospirare – D'accordo, mentre ti medico quest'orrenda ustione mi racconti tutto. Va bene, Georgia? E non piangere, tesoro. Non è successo nulla”
Lei annuisce, sbatte gli occhi e lascia che le lacrime intrappolate tra le sue ciglia cadano veloci sul volto bianco.
 
 
 

 

 

 

 

 

so di essere pessima, ma - davvero - non sopporto di non riuscire a concludere questa storia.
non so se ci sia ancora qualcuno disposto ad aspettare mesi e mesi per un aggiornamento, ma ti ringrazio di cuore se stai leggendo adesso. vuol dire davvero tanto per me.
siamo al capitolo sedici e io ho così tanto da scrivere ancora su questi personaggi, su georgia e su harry, su louis, su oscar, su suki...
concluderò quello che ho iniziato, lo prometto.
a breve partirò per l'america e spero con tutto il mio cuore di riuscire a trovare la giusta energia per andare avanti con questa storia e le mille altre che alla sera non mi lasciano dormire.
di nuovo, grazie ancora.
un bacio immenso!
seguitemi su wattpad se avete voglia, mi chiamo mmalpensandoti.
caterina


 




Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3061716