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di ilike_you
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2 Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3 Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4 Capitolo ***



Capitolo 1
*** 1 Capitolo ***


«Questa é la tua camera.» Disse Chelsea spalancando la porta. Entrai posando l'unico borsone che avevo sul piccolo letto mal ridotto, mi guardai attorno, la stanza era piccola, spoglia e triste ma non mi importava, mi serviva solo un posto dove stare.
«Sistemati pure, appena hai finito raggiungimi in cucina.» Chelsea si voltò camminando verso il corridoio sistemandosi i cortissimi capelli rosso fuoco. Mi voltai anche io però verso il borsone, sospirando l'aprì prendendo la prima cosa: la nostra foto, la guardai a lungo e un dolore mi attraversò il petto, la infilai in fondo al borsone cercando di non pensarci. Perché è così che si fa: si va avanti, nonostante il dolore, nonostante le mancanze, si va avanti perché non si ha altra scelta. Tirai fuori una maglietta sgualcita e la sistemai dentro una piccola cassettiera. Quella stanza era orrenda. Dopo aver sistemato altri vestiti raggiunsi la mia nuova coinquilina in cucina. «Allora come ti sembra?» Mi chiese aprendo il frigorifero e tirando fuori un cartone di latte «Per me va bene» Risposi «Quindi rimani?» Mi chiese con tono sorpreso bevendo il latte direttamente dal cartone. «Certo.» Restò un momento in silenzio per rimettere a posto il latte «Te lo chiedo perché quella stanza fa pena e non ho mai tempo di riverniciarla, tutti quelli che volevano trasferirsi qui prima mi hanno conosciuta e soprattutto visto la camera, mentre tu non hai fatto nessuna di queste due cose, hai accettato immediatamente» Si appoggiò al piccolo tavolo che ci divideva. «Ho solo bisogno di un posto dove stare, andrò via fra qualche mese.» Smise di guardarmi prendendo una felpa sul piccolo divano della cucina. «Comunque, divideremo l'affitto, ecco le chiavi della casa.» si avvicinò porgendomele. «Adesso scappo, ho le prove con la mia band.» Infilò la felpa mentre mettevo le chiavi nella tasca dei jeans. «A dopo Hayley.» Mi salutò con la mano uscendo dalla porta d'ingresso, l'appartamento tornò silenzioso, andai in camera per finire di sistemare il resto delle poche cose che possedevo. In un anno mi ero già trasferita in dieci posti diversi, sempre più lontana da quel posto, nuovi lavori, nuove coinquiline, anche da qui me ne sarei andata presto, dovevo soltanto raccogliere un po' di soldi con un nuovo lavoro. Dopo aver finito di sistemare le cose che avevo dentro borsone, tranne la foto, lo gettai dentro l'armadio, andai in bagno sistemando lo spazzolino accanto a quello di Chelsea dentro un bicchiere e appesi l'accappatoio dietro la porta. Andai in cucina e guardai il grande orologio appeso al muro: erano già le sette di sera così decisi di riposarmi un po' distendendomi sul piccolo divano e accendendo la tv. 
«Dai Jacob, vai adesso.» Mi svegliai sentendo la voce di Chelsea. «Fammi prendere la giacca, non spingere Chelsea!» Una voce maschile rispose a quella della mia coinquilina che intanto rideva, ero ancora sul divano, avevo dormito lì? Mi alzai e andai verso l'ingresso, da dove provenivano le voci, vidi Chelsea e un ragazzo molto alto con i capelli lunghi intento a baciarla e a stringerla a se. Rimasi ferma un secondo e poi imbarazzata indietreggiai rientrando in cucina senza fare rumore. «Ora vai.» Disse Chelsea dopo qualche minuto, sentì bisbigliare e poi la porta chiudersi. Mi sedetti sul divano mentre Chelsea rientrava in cucina. «Ti sei svegliata adesso?» Mi chiese sedendosi su una sedia di fronte a me mentre annuivo «Ieri sono rientrata tardi e ti ho vista dormire sul divano, non volevo disturbarti.» Annuì di nuovo. «Hai sentito me e Jacob?» Arrossì «No, tranquilla» Lei rise. «Vuoi fare colazione? Ho latte e cereali.» Si alzò andando verso il frigorifero e prendendo il latte di ieri. «No grazie, faccio colazione fuori.» Rifiutai pensando che Chelsea aveva bevuto da quel cartone. «Qui non c'è molto da fare ti avverto.» Sorrise prendendo i cereali. «Hai già trovato un lavoro?» Mi chiese cogliendomi alla sprovvista. «No ma comincio oggi a cercare.» Decisi sul momento. «Sei di poche parole Hayley.» Mi fissò come se volesse leggermi dentro. «Sono fatta così...» Risposi mentendo, volevo soltanto non legarmi più a nessuno.
Pochi minuti dopo ero fuori casa.L'aria fresca di settembre mi soffiava sul viso mentre camminavo svelta per le vie di quella piccola città, decisi di non allontanarmi troppo perché non conoscevo bene la zona così mi fermai davanti un piccolo bar per prendere un caffè, entrai e mi avvicinai al bancone ma sembrava non esserci nessuno.
«Buongiorno.» Dissi ad alta voce per farmi sentire ma nessuno rispose.
«Non puoi continuare a tenerlo, fa schifo questo posto!» Sentì una voce femminile gridare. «Basta Carol, so cosa fare.» Rispose una voce maschile.
La porta da dove venivano le voci si aprì e la donna si precipitò fuori dal bar senza nemmeno guardarmi, mi voltai per guardarla uscire.
«Scusaci, dimmi pure» Mi voltai sentendo la voce maschile dietro di me, era un anziano signore. «Si... solo un caffè...» Dissi sedendomi al bancone. «Sei appena arrivata?» Mi chiese avvicinandosi alla macchinetta del caffè. «Ehm si...» Risposi confusa, come faceva a saperlo? «Te lo chiedo perché nessuno viene mai qui a parte i soliti clienti.» Rise prendendo una cialda. «Sei solo di passaggio?» Chiese guardandomi. «No, mi sono trasferita ma in un certo senso si.» Perché me lo chiedeva? «Posso chiederti come mai? Sai, non è una cittadina molto conosciuta.» Avevo finito quasi tutti i soldi quindi mi serviva un lavoro per ricominciare a viaggiare sempre più lontana da quel posto ma non potevo dirglielo. «Mi piace viaggiare...» Risposi solamente. «Se avessi la tua età lo farei anche io... posso chiederti come ti chiami?» Il caffè cominciò ad uscire dalla macchinetta. «Ehm... Hayley...» Sospirai a disagio. «Hayley,scusa per averti fatto assistere alla lite di poco fa... mia figlia crede che vendere questo bar per trasformarlo in uno stupido fast food sia la cosa migliore, io sono molto legato a questo posto e voglio tenerlo anche se ormai la gente non viene quasi più...» Non capivo perché si confidava così con me. «Non spaventarti Hayley sono solo un povero vecchio che ama raccontare la propria vita alla gente.» Risi guardandolo mentre mi porgeva il caffè fumante. «Grazie mille...» Dissi portando la tazzina alle labbra. «Che sbadato, io sono Adam.» Annuì sorseggiando il caffè bollente. «La vita qui non è facile Hayley, se non hai un lavoro non hai niente, per questo mi rifiuto di andare in pensione anche se alla mia età, dovrei» Sospirò scuotendo la testa e io abbassai lo sguardo. «Tu hai un lavoro?» «No... mi sono trasferita solo ieri.» Adam rimase silenzioso per qualche minuto. «So che questo non è quello che hai sempre sognato ma posso offrirti un posto qui.» Spalancai gli occhi. «Davvero?» Poggiai la tazzina sul bancone fissandolo sbalordita, come poteva? Mi conosceva appena. «Si, lo vuoi?» Avevo disperatamente bisogno di un lavoro per pagare l'affitto. «Certo, grazie tante!» Sorrisi al signore che avevo appena conosciuto ma che mi aveva già presa a lavorare nel suo bar. «Purtroppo non posso pagarti molto Hayley, ma voglio aiutarti un po'.» Si appoggiò al bancone prendendo la tazzina ormai vuota. «Per me è veramente fantastico, la ringrazio tantissimo.» Lui rise. «Chiamami pure Adam, puoi iniziare da domani.» Sorrisi di più di prima, lo ringraziai di nuovo e felice mi incamminai verso casa. 
«Sei tornata» Disse Chelsea vedendomi entrare nella piccola cucina. «Si, ho trovato un lavoro.» Lei mi sorrise. «Congratulazioni Hayley» La ringraziai. «Sai, avevo pensato alla tua stanza, quelle pareti scure fanno rabbrividire, non trovi? Potremmo dipingerle.» Propose entusiasta. «Si, va bene» Annuì. «Perfetto, vado a cambiarmi e poi usciamo a comprare la vernice» Corse nella sua stanza mentre io andai in bagno a cercare un elastico per legarmi i capelli castani che tanto odiavo, lo trovai e guardandomi allo specchio cercai di fare una cosa di cavallo decente, mi soffermai a guardare i miei occhi verdi: erano spenti e tristi, sapevo che non si sarebbero mai riaccesi di emozioni. «Io sono pronta!» Gridò Chelsea dalla cucina.
Dopo qualche ora la stanza riprese un po' di vita con le nuovi pareti azzurro cielo, mi piaceva, avevamo sporcato tutto ma ne era valsa la pena. «Vado a farmi una doccia, sono tutta sporca.» La mia coinquilina rise lasciandomi sola dentro la stanza, sentì l'acqua della doccia scorrere e mi coricai sul pavimento invasa dal l'odore di vernice fresca

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Capitolo 2
*** 2 Capitolo ***


«Buongiorno Hayley.» Mi accolse Adam. «Buongiorno.» Entrai notando la donna di ieri: Carol, appoggiata al muro. «Lei è mia figlia Carol.» Annuì. «Puoi dare una spolverata ai tavolini e una pulita alla vetrata, i detersivi sono sul bancone prendili pure» Disse mentre Carol continuava a fissarci. Mi avvicinai al bancone e presi un prodotto per spolverare i tavolini, erano talmente sporchi, da quanto tempo qualcuno non puliva? «Oggi non resto, stare qui é tempo sprecato.» Carol si avvicinò alla porta dicendo quelle acide parole. «Ti dimostri solo una bambina facendo così.» Rispose suo padre andando verso di lei, abbassai lo sguardo facendo finta di essere invisibile e continuando a spolverare il tavolino. Carol non parlò, uscì senza dire più niente mentre Adam sospirava passandosi una mano sui capelli bianchi, tornò dietro il bancone per asciugare delle tazzine. 
Dopo aver spolverato per bene il primo, passai al secondo mentre la porta si apriva, un cliente finalmente! Alzai lo sguardo, era una ragazzo alto con i capelli del mio stesso colore. «Scusa per il ritardo Ad.» Si scusò con Adam. «Tu arrivi sempre in ritardo, sono abituato.» Li guardai confusa. «Ma come faresti senza di me? Sono unico!» Scherzò il ragazzo voltandosi e accorgendosi di me, i suoi occhi erano molto scuri, più dei suoi capelli, a quel contatto visivo sobbalzai abbassando lo sguardo e arrossendo. «Non sei più l'unico, ho assunto Hayley ieri, posso anche licenziarti se continui ad arrivare in ritardo.» Adam rise guardandomi. «Lui é Davis, lavora qui da sei anni.» Annuì continuando a spolverare cercando di ignorare il ragazzo che mi fissava. «Ora che sei arrivato, posso andare a parlare con Carol, torno presto.» Voleva lasciarci soli? Arrossì ancora di più. «Avete di nuovo litigato?» Chiese Davis con aria preoccupata mentre Adam annuiva. «A dopo ragazzi.» Ci salutò uscendo. Deglutì passando all'altro tavolino mentre Davis si sfilava il giubbotto di pelle mostrando i bicipiti. «Ti sei trasferita da poco?» Mi chiese poggiando il giubbotto sul bancone. «Si...» Bisbigliai, perché ero così agitata? «Vuoi che ti aiuti?» Si avvicinò a me. «No, no, ho quasi finito.» Passai all'ultimo tavolino molto goffamente e lui rise facendomi arrossire ancora di più. «Non mordo, puoi guardarmi.» Si avvicinò ancora di più e io alzai lo sguardo incontrando il suo. «Ecco bene.» Disse sorridendomi mentre io arrossivo di nuovo, non potevo sopportarlo ancora, mi voltai concentrandomi sul tavolino. «Hai due occhi verdi bellissimi, sai?» Sentì la sua voce dietro di me e mi irrigidì. «Grazie...» Lo sentì allontanarsi e mi rilassai. «Di niente occhi verdi.» Mi voltai di scatto, occhi verdi? Mi aveva veramente chiamata così? Decisi di ignorarlo. 
Spruzzai sulla pezza del detersivo passando alla vetrata, cominciai dal basso mentre sentivo gli occhi scuri di Davis fissarmi, quando passai alla parte superiore mi alzai sulla punta dei piedi ma ero troppo bassa per arrivarci e Davis rideva di questo, era insopportabile. «Ci penso io occhi verdi.» Si avvicinò di nuovo e il mio respiro accelerò, allungò la mano verso di me e io ci appoggiai sopra la pezza, le nostra dita si sfiorarono e io sussultai di nuovo ma Davis non se ne accorse. Senza bisogno di mettersi sulla punta dei piedi, allungò il braccio arrivando facilmente alla parte superiore della vetrata. «Sono tornato.» Adam entrò e io tirai un sospiro di sollievo. «Non è ancora arrivato nessuno Ad.» Davis finì di pulire poggiando la pezza su un tavolino. «Ah, va bene.» Non appena finì di pronunciare quelle parole la porta si aprì, un grosso signore entrò, «Ehi, fammi il solito Adam.» Andò verso il bancone sedendosi su uno sgabello. «Lui è Mr. Redman, viene qui ogni mattina.» Mi sussurrò all'orecchio Davis, era così vicino, mi irrigidì spostandomi. «Cosa c'è occhi verdi? Non mordo, lo sai.» Schiacciò un occhio sorridendomi mentre sospiravo rumorosamente. «Non ti piaccio?» Mi metteva terribilmente a disagio. «Non chiamarmi occhi verdi.» Dissi piano prendendo le distanze. Mi fece un sorriso a trentadue denti e io socchiusi gli occhi irritata.
La giornata finì tra le continue occhiate di Davis e le mie guance arrossate.
«A domani ragazzi e Davis, davvero, niente più ritardi.» Lo rimproverò Adam. «Sta tranquillo!» Rispose uscendo insieme a me dal bar. «Beviamo qualcosa insieme?» Mi chiese scombinandosi i capelli, a quella richiesta spalancai gli occhi. «No, devo andare a casa.» Abbassai lo sguardo voltandomi e cominciando a camminare. «Davvero?» Sembrava sorpreso, non era abituato a sentirsi dire di no? «Anche se sei un ragazzo molto carino non significa che tu mi piaccia, Davis.» Mi voltai verso di lui arrossendo immediatamente. «Però pensi che io sia carino.» Piegò la testa da un lato infilandosi le mani in tasca. «Devo andare a casa.» Bofonchiai, camminando alla svelta. «Lascia che ti riaccompagni a casa!» Gridò e io sospirai. «Lasciami stare Davis!» Gridai in risposta. Sentì la sua risata e poi il rumore di un motore a scoppio, mi voltai, Davis stava salendo sulla sua moto. «Dico davvero occhi verdi, sali, ti accompagno.» Si avvicinò con la sua moto nera e mi passò un casco. «Solo se la smetterai di chiamarmi così.» Gli puntai un dito contro e lui rise. «Ora sali, si sta facendo buio.» Afferrai il casco non molto convinta, salì indossandolo e tenendomi ai lati della moto. «Scherzi?» Mi chiese afferrandomi le mani e portandole sugli addominali scolpiti. «Devi tenerti così, dimmi dove stai.» 
Per tutto il viaggio il mio cuore batté all'impazzata, non potevo sopportare tutta quella vicinanza, non lo conoscevo nemmeno. «Arrivati, a domani occhi verdi.» Mi salutò mentre scendevo dalla moto restituendogli il casco. «Oh no, tienilo, ti accompagno anche domani.» Dicendo questo accese il motore sgommando via lasciandomi lì, con il suo casco. Esasperata rientrai a casa. «Hayley! C'è pizza per cena!» Gridò Chelsea dalla cucina, la raggiunsi, sulla tavola c'erano due cartoni per la pizza. «Dai siediti, mangiamo.» Feci come aveva detto poggiando il casco accanto a me. «Hai una moto?» Prese la prima fetta fissandomi. «No, un ragazzo che lavora con me mi ha accompagnata a casa.» Dissi diventando rossa. «Un ragazzo, eh?» Alzò un sopracciglio divertita. «Siamo solo colleghi.» Lei rise notando il mio imbarazzo. «Come si chiama?» Chiese sorseggiando una lattina di coca cola. «Davis...» Risposi piano. «È carino?» Perché non mi lasciava in pace? Ripensai ai lineamenti perfetti di Davis e i suoi occhi penetranti. «Si, ma lavoriamo insieme solo da un giorno e non mi piace.» Chelsea annuì smettendola con le domande.

La vidi, era davanti a me e sorrideva facendomi segno di avvicinarmi, provai a muovermi ma non ci riuscivo, ero bloccata, mi chiamava,  provai a rispondere ma non avevo voce e a quel punto gridò e mi svegliai urlando anche io. «Dio santo Hayley, stai bene?» Chelsea piombò in camera mia, era in pigiama. «Cosa? Io...» Confusa mi misi a sedere sul letto. «Hai fatto un incubo?» Mi chiese sedendosi accanto a me mentre annuivo. «Tranquilla, capita anche a me, mi sono spaventata sentendoti urlare.» Ripensai al sogno. «Mi dispiace.» Abbassai lo sguardo ricacciando indietro le lacrime. «Ti è mai mancato qualcuno così tanto da stare male fisicamente?» Le chiesi trovando non so come il coraggio. «Si, la gente che sparisce dovrebbe almeno avere la decenza di portarsi via i ricordi, non trovi?» Restammo un minuto in silenzio, io per assimilare le sue parole. «Hai sognato una persona che ti manca?» Annuì lentamente. «Ma adesso sto bene, torniamo a dormire.» Lo sguardo di Chelsea diventò  preoccupato ma mi ascoltò uscendo dalla mia camera, sospirai distendendomi e riprendendo sonno

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Capitolo 3
*** 3 Capitolo ***


«Buongiorno occhi verdi.» Sorrise Davis entrando al bar insieme a me. «Ciao...» Sospirai allungando il suo casco davanti a lui. «Si, tienilo.» Mi rispose mentre mi accigliavo. «Non ho bisogno di essere accompagnata ogni giorno.» Mi avvicinai poggiandogli il casco contro il petto. «É buio quando finiamo di lavorare, lasciamelo fare occhi verdi.» Mi guardò addolcendo lo sguardo. «Nemmeno mi conosci, non ho bisogno di queste attenzioni.» Posai il casco sul pavimento. «Hai sofferto, ti si legge negli occhi. Per questo sei così riservata. Quindi ti servono.» Spalancai gli occhi a quelle parole. «La gente pensa che tu abbia un cuore di ghiaccio, ma non sanno che anche il ghiaccio si scioglie, non é così?.» Rimasi immobile, come faceva a sapere? Mi irrigidì il mio non si sarebbe mai sciolto. Lui continuava a fissarmi sembrava capirmi, ma non poteva. «Siete arrivati, bene, oggi ci sono io.» Carol uscì dal retro fissandoci. «Tu al bancone e alla cassa Davis e tu pulisci il pavimento.» Fece un gesto con la mano per indicarmi un secchio d'acqua per poi tornare nel retro del bar. «Sempre molto simpatica eh?» Disse Davis ironico.
Quel momento tra me e Davis svanì per fortuna e io mi rilassai cominciando a pulire per terra.
«La mattina è sempre noiosa qui...» Disse e io alzai lo sguardo guardandolo appoggiato con un gomito sul bancone, non risposi continuando a pulire. «Arrivano i soliti clienti nel pomeriggio.» Sospirò tirando fuori dalla tasca il suo iPod. «Ti piace la musica occhi verdi?» Mi chiese avvicinandosi a me. «Si...» Tornai indietro con la mente ricordando quanto mi divertivo a casa mia quando mettevo la musica alla radio. «Bene...» Le sue dita sfiorarono lo schermo è una canzone degli Imagine Dragons partì, era davvero bella, muoveva la testa al ritmo della canzone, era buffo, un sorriso mi scappò dalle labbra. «Ridi di me occhi verdi?» Mi chiese fingendosi arrabbiato. Merda se ne era accorto. «No, no...» Mi sorrise avvicinandosi. Cosa voleva adesso? 
Mi prese le mani e cominciò a muoverle a tempo. «Davis cosa fai? Devo pulire.» Mi ignorò mentre arrivava il ritornello mi mise la mano su un fianco e io mi irrigidì sentendo dei brividi scorrermi su tutto il corpo. Perché lo stava facendo? È perché glielo stavo facendo fare? Perché non mi stavo scansando? «Tranquilla, balliamo.» Disse ridendo e accorgendosi di quanto ero tesa. «Lasciami pulire Davis!» Gridai mentre mi sollevava da terra e mi faceva volteggiare, rideva come un bambino. «Ragazzi ma che fate?!» Carol riapparve stupita trovandoci così. «Balli con noi?» Scherzò Davis rimettendomi per terra. «Tornate a lavoro.» Borbottò fissandoci mentre andava nel retro. «É stato bello.» Rise. «Fantastico.» Risposi ironica. Davis rimise l'iPod in tasca fermando la musica. «Come si chiama questa canzone?» Gli chiesi bagnando la pezza. «Ti piace?» «Si.» Risposi aspettando il titolo. «Allora se mi dai il tuo iPod te la scarico.» Mi sorrise dispettoso e io alzai gli occhi al cielo, perché non era per niente facile con lui? Non risposi sospirando. «Avanti occhi verdi non te lo rubo mica!» Gli avevo già dato il permesso di toccarmi, non gli avrei dato il mio iPod. «Hai paura?» Rise avvicinandosi. «No, lasciami pulire Davis.» Sospirai, mi avrebbe mai lasciata in pace? «Allora dammelo, te ne scarico anche altre ancora più belle.» Continuavo a guardare il pavimento fino a quando non mi alzò delicatamente il viso per il mento, erano troppi contatti quelli dovevo scostarmi ma non ci riuscivo. «Va bene Davis, tieni.» Lo presi dalla tasca e glielo porsi mentre mi lasciava andare e sorrideva.
Carol ci permise di andare via prima visto che oggi soltanto due clienti abituali ci avevano fatto visita.
«Beviamo qualcosa insieme stasera?» Mi chiese Davis indossando il giubbotto di pelle, me lo chiedeva di nuovo? «No, non uscirò mai con te mettitelo in testa.» Davis indietreggiò fingendosi offeso. «Questo è da vedere occhi verdi.» Mi sorrise mentre i suoi occhi diventavano più scuri. «Prendi il casco, ti accompagno.» Ritornò il solito porgendomi il casco. «Davis...io...» Fece di no con il dito. «Niente scuse!» Mi prese per mano uscendo dal bar e trascinandomi fino alla sua moto. «Indossalo e sali.» Presi il casco e obbedì. Mi tenni stretta a lui mentre mi riaccompagnava a casa in moto ma non mi dava fastidio era una strana sensazione, erano brividi. «A domani.» Mi salutò mentre scendevo dalla moto lasciandomi come ieri il casco tra le mani e quella strana sensazione addosso.
Rientrai in casa trovando Chelsea che si truccava in bagno. «Ehi, sei tornata prima?» Mi chiese mettendosi una matita nera sotto l'occhio. «Si, non c'erano clienti.» Annuì finendo di truccarsi e guardandosi allo specchio. «Sta sera ho le prove, vieni a vederci? Sempre se non hai niente da fare.» Mi guardò. «Ma no tranquilla, non voglio disturbarvi.» Lei rise. «Davvero Chelsea e poi domani lavoro.» . «Faremo presto.Non disturbi per niente Hayley, ti prego vieni a sentirci, ti faccio conoscere i miei amici.» Mi schiacciò  l'occhio e accettai un po' titubante, come sempre, non appena ci finimmo di preparare scendemmo giù. «Prendiamo la mia macchina, vieni.» Disse, non sapevo che avesse un'automobile. Il tragitto fu silenzioso tranne l'ultima parte quando Chelsea mi disse: «Sono tipi simpatici, scusali se sono invadenti a volte.» Sorrise accostandosi a una piccola villetta «É casa di Lucy, la cantante del nostro gruppo.» Annuì strofinando le mani contro i jeans, scendemmo dalla macchina diretti verso il garage accanto alla casa. Chelsea bussò forte e un ragazzo con i capelli neri e grandi occhi azzurri venne ad aprirci. «Chad, lei è Hayley la mia nuova coinquilina.» Chad mi sorrise a mo' di saluto e io ricambiai. Entrammo, il garage era piccolo, due ragazzi e una ragazza stavano seduti attorno a un piccolo bancone. «Chelsea!» Gridò la ragazza con i capelli blu, doveva essere Lucy. «Ciao ragazzi, lei è Hayley la mia nuova coinquilina, ci sentirà suonare oggi.» Si avvicinò al tavolo presentandomi.  «Sai suonare qualcosa Hayley?» Mi chiese un ragazzo alto con i capelli lunghi, lo riconobbi, era Jacob. «Ehm no...» Risposi arrossendo ricordando la prima volta che l'avevo visto. «Comunque, loro sono: Lucy, Mark, Jacob e Chad.» Tutti mi salutarono in coro e io ricambiai con un cenno della testa. «Dai 
sedetevi,fra un po' iniziamo a suonare.» Rispose Jacob sorridendomi, Chelsea si sedette accanto a lui mentre io trovai posto solo accanto a Chad. «Birra?» Chiese Lucy guardandoci, la mia coinquilina accettò mentre io no. Lucy continuava a raccontare cose che facevano ridere tutti tranne Mark che restava silenzioso e Chad che forse sorrideva per educazione. «Da quanto stai da Chelsea?» Mi chiese a un tratto Chad voltandosi verso di me. «Da pochissimi giorni.» Risposi soltanto torturandomi le dita. «Penso ti abbia già parlato del nostro gruppo.» Sorrise. «No, non abbiamo avuto molto tempo per parlare.» Lui annuì aprendo di più gli occhi. «Suoniamo insieme da quando eravamo adolescenti, abbiamo cambiato tante volte il nome ma adesso siamo i Freedom.» Sembrava fiero di quel nome. «È un nome bellissimo.» Ammisi. «É stata di Lucy l'idea.» La indicò. «Ok ragazzi, ora suoniamo, Chelsea e Hayley devono andare a casa presto.» Disse Jacob alzandosi mentre arrossivo sentendomi in colpa. «Lascialo perdere, lui è Jacob.» Bisbigliò Chad alzando le spalle. «Hayley, puoi restare seduta qui mentre ci ascolti.» Chelsea si avvicinò informandomi e io annuì. Presero posto vicino gli strumenti: Chelsea la chitarra, Lucy il microfono, Jacob il basso, Mark la batteria e Chad la tastiera. 
Attaccarono con un pezzo lento, erano davvero bravi e Lucy aveva una voce bellissima.
Suonarono altre cinque canzoni e poi Chelsea annunciò che dovevamo tornare a casa. «Vieni a sentirci altre volte.» Disse Chad salutandomi mentre annuivo.
In macchina Chelsea accese lo stereo. «Sono stati piuttosto tranquilli, per fortuna niente domande imbarazzanti.» Rise mettendo le mani sul volante. «Siete molto bravi.» Dissi guardando fuori dal finestrino. «Grazie Hayley.» Sorrise uscendo dal piccolo vialetto.
La settimana passò velocemente tra le occhiate di Davis e le sue continue richieste di portarmi a bere qualcosa dopo il lavoro.
Mi svegliai agitata e guardai l'orologio:  erano le dieci, mi alzai in fretta inciampando nella scarpe, come mai non avevo messo la sveglia? Mentre mi rialzavo ricordai: era domenica, il mio giorno libero, cosa avrei fatto? Mi affacciai alla finestra e l'aria fredda mi colpì le guance, decisi di fare una doccia, uscì dalla camera non sentendo alcun rumore, di sicuro Chelsea stava ancora dormendo, mi infilai in bagno aprendo l'acqua calda e spogliandomi. 
Appena uscì dal bagno corsi in camera mia, aprì la cassettiera e tirai fuori un paio di jeans e una maglietta a maniche lunghe, mentre indossavo i jeans Chelsea bussò alla mia porta. «Entra pure.» Dissi sistemandomi. «Buongiorno, vuoi della cioccolata calda?» Mi chiese entrando con due tazze in mano, era già vestita. «Grazie...» Risposi prendendo una tazza, lei si guardò in giro mentre ne bevevo un po'. «Dove sono le tue lenzuola, Hayley?» Mi chiese indicando il letto spoglio. «In lavatrice...» Abbassai gli occhi sentendomi colpevole. «Non ne hai altre?» Feci di no con la testa e lei si accigliò. «Oggi andiamo a comprarle, preparati.» Uscì dalla camera lasciandomi sola, sospirai, perché mi dava queste attenzioni? 
Legai i capelli in uno chignon evitando di guardarli, li odiavo così tanto.
Andai in cucina trovando Chelsea al telefono. «No, non mi importa Jacob...» Lei sospirò. «Perché continui a fare così allora? Ora è meglio che vada... si, certo, ciao.» Riattaccò voltandosi. «Ah,sei pronta.» Annuì evitando di farle capire che avevo ascoltato la sua conversazione. «Si... ma Chelsea davvero, non c'è bisogno, ci andrò da sola un'altra volta.» Fece di no con la testa. «Se siamo coinquiline ti porterò a fare shopping e ti accompagnerò in tutti i negozi del mondo per rendere quella camera accogliente, ti devi abituare.» Mi sorrise debolmente prendendo le chiavi della macchina. 
Uscimmo di casa e io per poco non inciampai nel casco di Davis messo accanto alla porta. «Ti accompagna ancora a casa vedo.» Mi schiacciò l'occhio mentre salivamo in macchina. «Siamo solo colleghi, davvero lui non mi interessa.» Questa situazione mi imbarazzava. «Ne sei sicura?» Mi domandò spalancando gli occhi. «Sicurissima.» Sospirai frustrata, il resto del tragitto lo passammo in silenzio ascoltando la radio.
Arrivate al negozio optammo o meglio dire: optò per delle lenzuola che si abbinassero al colore delle pareti. «Non pensare che questa sia l'unica cosa che ti comprerò.» Disse Chelsea mentre rientravamo in macchina. «Non ho bisogno di queste cose, davvero.» Sospirai rumorosamente e lei rise poco convinta della mia affermazione. 
A casa misi le nuove lenzuola sul letto con l'aiuto di Chelsea e poi mi costrinse a guardare un film con lei, mi addormentai è quella domenica passò in fretta.
Il lunedì mattina mi svegliai presto e dopo essermi preparata uscì con il casco di Davis fra le mani, dovevo trovare il modo di non farmi riaccompagnare più, non c'era nessuno per le strade e quella calma mi rilassava, svoltai l'angolo, quel silenzio mi fece piombare nei ricordi, É come quando da piccola ti mettevi a fissare il sole e la mamma diceva di smetterla, tu continuavi e lei ti ripeteva 'Ma lo sai che fa male?'. Allora abbassavi lo sguardo e c'era ancora la luce accecante negli occhi, sull'asfalto, sulla punta delle scarpe, sulle targhe delle macchine che provavi a leggerle. Non vedevi più niente, solo sole. E succede così. Ti metti a fissare i ricordi, 'Ma lo sai che fa male?' E ti riempi gli occhi di passato e non vedi più niente. «Occhi verdi!» Sentì la voce di Davis e il rumore della sua moto dietro di me, mi voltai alzando gli occhi al cielo e smettendo di pensare ai ricordi. «Buongiorno anche a te Davis.» Lui mi sorrise guardando il casco che stringevo in mano. «Sali, prima di andare al bar però devo passare da un amico.» Un amico? «No grazie, voglio camminare.» Continuai ad andare avanti. «Ci vediamo a lavoro!» Gridai mentre lo sentivo ridere, accese la moto andando via, strano, mi aveva ascoltata per una volta, sorrisi compiaciuta continuando a camminare, svoltai ancora sentendo dei passi dietro di me, mi voltai fermandosi ma non c'era nessuno. «Davis?» Lo chiamai ma non rispose,doveva essere stata la mia impressione, accelerai il passo sentendo qualcuno correre mi voltai ancora, doveva esserci qualcuno ma niente, mi rivoltai spaventata per cominciare a correre ma una mano mi afferrò con prepotenza il polso bloccandomi contro il muro, mi voltai era un uomo coperto in viso, terrorizzata provai ad urlare ma mi tappò la bocca. «Dammi i soldi.» Ringhiò, spalancai gli occhi, non riuscivo a muovermi. «Ti ho detto dammi i soldi!» Disse ancora colpendomi sul viso.

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Capitolo 4
*** 4 Capitolo ***


Caddi a terra sentendo un dolore lancinante allo zigomo, e poi più niente: solo buio.
«Non lo so, portami del ghiaccio!» Sentì una voce urlare, aprì lentamente gli occhi ma quel dolore ritornò, mugolai. «Occhi verdi mi senti?» Doveva essere Davis, non vedevo bene ma sospirai un si. «Ok, sta tranquilla.» Sentì le sue mani scostarmi i capelli dal viso. «Eccolo, eccolo...» Rispose una voce. Provai a mettere a fuoco quello che vedevo, sta volta aveva parlato Adam, vidi Davis, mi teneva sulle sue ginocchia e aveva uno sguardo preoccupato. «Allora, sta ferma ti metto del ghiaccio va bene?» Mi chiese dolcemente e io annuì. Il ghiaccio alleviò un po' il dolore, provai ad alzarmi. «No ferma, sei svenuta poco fa.» Rimasi immobile ricordando quell'uomo mentre Davis mi teneva le braccia un brivido mi corse lungo la schiena. «Ti fa ancora tanto male?» Feci di no con la testa mentre annuiva un po' sollevato. «Posso alzarmi ora?» Chiesi. Quella posizione mi metteva a disagio. «Ti gira la testa?» Mi domandò lasciandomi le braccia e sollevando il ghiaccio per controllare lo zigomo, guardai le sue mani erano sporche di sangue. «Di chi è quel sangue?» Mi spaventai alzandomi di scatto e notando che la testa mi girava ancora, mi sedetti su una sedia lasciandolo lì, con il ghiaccio in mano. «Non è tuo, non hai perso sangue ma ti ha dato un brutto colpo devi tenere il ghiaccio.» Si avvicinò a me e io mi alzai allontanandomi, la testa non girava più. «Ferma, cosa fai? Devi tenerlo.» Disse dolcemente vedendo il mio spavento. «Dimmi di chi è...» La voce mi morì in gola. «Dillo Davis, deve saperlo.» Aggiunse Adam prendendo altro ghiaccio sul bancone e porgendomelo, lo misi sullo zigomo e il dolore ritornò, sospirai sedendomi a terra cercando di non crollare. «É dell'uomo che ti ha aggredita.» Rimasi senza parole, Davis era serio, come non lo avevo mai visto. «Vi lascio da soli...» Disse Adam sparendo nel retro del negozio, lo seguì con lo sguardo e poi ritornai a fissare Davis. «Cosa è successo?» Chiesi quasi bisbigliando. «Occhi verdi, davvero lasciamo stare adesso è dietro le sbarre, non devi preoccupartene.» I suoi occhi diventarono più scuri mentre mi alzavo. «Devo saperlo Davis.» Dissi stringendo i pugni, lui sospirò lasciandosi cadere sulla sedia. «Ti ho seguita, non volevo che arrivassi da sola al bar.» Abbassò lo sguardo, per la prima volta lo vedevo imbarazzato. «E poi hai visto che mi ha fermata?» Dissi piano. «Si, sono sceso dalla moto e mentre vi raggiungevo lui...» Mi guardò negli occhi con rabbia. «Mi ha colpita?» Feci un espressione di dolore sentendo lo zigomo dolorante, lui annuì accigliandosi. «Stava per sferrarti un altro pugno ma vi ho raggiunti e... l'ho picchiato, avrà la faccia sfigurata per sempre.» Socchiuse gli occhi cacciando indietro la rabbia mentre rimanevo di nuovo senza parole, mi aveva salvata.
Adam chiamò Chelsea per riportarmi a casa lasciandomi tutta la settimana per riposo, Davis aveva insistito per riaccompagnarmi ma avevo rifiutato in quel momento desideravo restare da sola. «Hayley!» Corse ad abbracciarmi la mia coinquilina. «Sto meglio, davvero.» Sorrisi debolmente. «Adam mi ha detto tutto, devi tenere il ghiaccio. Ora torniamo a casa.» Mi voltai guardando lo sguardo affranto di Davis e lo salutai con la mano. Arrivata a casa Chelsea mi accompagnò in camera mia, buttai sul pavimento la borsa e il giubbotto. «Voglio fare una doccia.» Dissi debolmente mentre Chelsea annuiva, la guardai e poi con fatica raggiunsi il bagno, aprì l'acqua calda e dopo essermi spogliata entrai nella doccia, bagnai lo zigomo gonfio, faceva meno male per fortuna, poi i capelli che con estrema lentezza spostavo dalla spalla, ripensai ad oggi: mi aveva salvata, aveva salvata proprio me: io che sono un estranea per lui, io che cercavo sempre di restare lontana da tutti, io che morivo dentro e mi ripetevo che non aveva importanza, chi salverebbe una come me? Davis mi aveva salvata e non l'avevo nemmeno ringraziato. Mentre l'acqua scorreva delle lacrime salate cominciarono a scendermi sulle guance, mi aveva salvata.

La mattina dopo mi svegliai molto presto per colpa del solito incubo, erano le sei di mattina, mi alzai diretta verso il bagno, entrai e con coraggio mi guardai allo specchio, avevo lo zigomo meno gonfio ma di un colore simile al viola, era orrendo corsi in cucina a prendere del ghiaccio per metterlo sul viso ma mentre tornavo in camera mia sentì Chelsea urlare dalla sua stanza, mi voltai verso le sue urla mentre spalancava la porta, mi vide, con un espressione sorpresa, aveva gli occhi bagnati dal pianto, il trucco sbavato e il cellulare all'orecchio, come me era ancora in pigiama. «Ora basta, parleremo di persona, devo andare.» Disse seria riattaccando. «Tutto ok?» Le chiesi, socchiuse gli occhi e poi annuì. «Non pensavo fossi già sveglia, come ti senti?» Si avvicinò mettendo il cellulare in tasca e asciugando le lacrime. «Meglio grazie.» Sospirai. «Bene, hai fatto colazione?» Feci di no con la testa. «Vieni, faccio i pancake.» 
Li preparò in silenzio e io evitai di farle domande su con chi stava parlando. «Ecco sono pronti.» Disse poggiando il piatto sul tavolo, ne presi uno e lo assaggiai. «Molto buono.» Lei mi sorrise debolmente. «Scusa per poco fa...» Disse piano portandosi alla bocca la forchetta. «Non devi scusarti.» Sospirò. «Le cose tra me e Jacob non vanno bene, litighiamo spesso.» Mi guardò triste. «Mi dispiace molto...» Lei scosse la testa finendo di mangiare.
Dopo aver finito lavai i due piatti. «Il ghiaccio Hayley.» Mi ricordò Chelsea, annuì asciugando le mani e prendendo il ghiaccio, tornai finalmente in camera chiudendo la porta dietro di me, mi avvicinai ai jeans cercando l'iPod dentro le tasche, ma poi ricordai: l'aveva Davis, mi portai la mano sulla fronte cominciando a indossarli ricordando anche il casco, dopo l'aggressione... io, l'avevo lasciato per strada, dovevo comprargliene un altro. Infilai anche una vecchia maglietta poggiando il ghiaccio sullo zigomo, piegai il pigiama come mi aveva insegnato mia madre e lo sistemai sotto il cuscino. «Hayley?» Mi chiamò Chelsea da dietro la porta distraendomi dai miei pensieri. «Si, entra.» Entrò con gli occhi spalancati. «C'è Davis, vuole parlarti.» Il cuore mi si fermò mentre arrossivo. «È all'ingresso?» Chiesi con un fil di voce. «È dietro questa porta...» Bisbigliò, cosa dovevo fare? «Fallo entrare.» Dissi, perché non era al lavoro? Chelsea uscì e al suo posto entrò Davis con il casco il mano nel suo giubbotto di pelle. «Occhi verdi... credevi di potertene sbarazzare?» Scherzò alzando il casco. «L'hai preso?» Lui scosse la testa sedendosi sul mio piccolo letto e poggiandolo a terra. «Prima o preso te, poi quando sei andata via sono andato a riprenderlo.» Annuì con un groppo in gola. «Come stai?» Mi chiese avvicinandosi, smisi di respirare sentendo il suo profumo. «Meglio, grazie...» Risposi piano irrigidendomi mentre sorrideva scostandomi i capelli dal viso, il mio cuore si bloccò non riuscivo a muovermi sotto il suo tocco, poi si allontanò lasciandomi respirare di nuovo. «Quando sei svenuta mi sono veramente preoccupato...» Perché mi diceva così? «Davis, perché? Perché hai fatto questo per me? Ci conosciamo da poco e perché non sei a lavoro ora?» Lui si alzò avvicinandosi alla finestra. «Perché con te è diverso e Adam ha dato la settimana libera anche a me...»  Ero confusa, mi alzai avvicinandomi a lui. «Cosa è diverso?» Chiesi mentre si voltava verso di me, sospirò senza rispondere, mi guardò con i suoi scuri aggrottando la fronte per poi sedersi di nuovo sul lettino mal ridotto. «Vorrei saper interpretare i tuoi silenzi, Davis.» Lo guardai mentre si toccava i capelli. «E io i tuoi, occhi verdi.» Abbassai lo sguardo appoggiandomi al muro. «Se ascoltassi il mio silenzio sentiresti solo urla.» Mi guardò di nuovo con quello sguardo: come se mi capisse. «So cosa significa...» 
Non so per quanto tempo restammo in silenzio ma a me sembrò un'infinità, non appena lo accompagnai alla porta d'ingresso Chelsea mi schiacciò l'occhio avvicinandosi a noi. «Domani io e la mia band suoniamo dentro un locale qua vicino, ti va di venire Davis?» Gli chiese, mi voltai verso di lei per fulminarla con lo sguardo, cosa stava facendo? «C'è anche Hayley naturalmente.» E quando aveva intenzione di avvisarmi? Spalancai la bocca senza farmi vedere da Davis. «Certo, ci sarò.» Disse lui sorridendo, lei ricambiò il sorriso per poi sparire in cucina. «Allora a domani occhi verdi.» Alzò le sopracciglia. «A domani...» Mi appoggiai alla porta mentre lui usciva dall'appartamento. «Davis?» Lo chiamai. «Si?» Si voltò. «Grazie...» Abbassai lo sguardo. «Per cosa?» Mi chiese sorpreso. «Per avermi salvata.»
Quella sera andai a letto cercando di convincere la mia coinquilina a lasciarmi restare a casa, odiavo i locali e il fatto di dover vedere Davis mi spaventava, sentendo le urla di Chelsea, di sicuro stava parlando al cellulare con Jacob, mi addormentai anche senza incubi per fortuna.
Mercoledì mattina lo zigomo era meno viola e anche meno gonfio, la sera però prima di uscire Chelsea non fece altro che insistere nel volermelo coprire con un po' di trucco e alla fine accettai, non appena misi un piede fuori la paura si impossessò del mio corpo, ripensando a lunedì. «Sta tranquilla prendiamo la macchina.» Disse Chelsea vedendomi spaventata,allora annuì lentamente con il cuore in gola, raggiungemmo il locale e non appena vidi Davis con il suo giubbotto di pelle mi irrigidì sentendomi nel frattempo al sicuro, che strane emozioni. «Davis!» Lo chiamò Chelsea mentre si voltava e ci sorrideva. «Ragazze!» Gridò. La musica era troppo forte. «I ragazzi sono già sul palco.» Ci fece notare Chelsea, ci voltammo e vedemmo Lucy che agitava le mani chiedendo alla mia coinquilina di salire. «A dopo ragazzi, io vado.» Gridò a sua volta Chelsea lasciandoci soli. «Come va lo zigomo?» Mi chiese Davis avvicinandosi per farsi sentire. «Il dolore sta quasi scomparendo.» Risposi irrigidendomi. Mi sorrise mentre annunciavano l'inizio della musica dal vivo dei Freedom, ci voltammo verso il piccolo palco e vidi Chelsea con una bottiglia di birra in mano. «Vuoi sederti?» Mi chiese indicando un tavolo e annuì nervosa. Il cameriere arrivò subito per prendere le ordinazioni ma nessuno dei due prese qualcosa in quel momento. «Sono bravi.» Commentò Davis riferendosi alla band e io annuì guardando di nuovo Chelsea mentre si scolava una bottiglia, come faceva? . «Perché sei così nervosa?» Mi chiese a un tratto, spalancai gli occhi. «No, io...» Alzò un sopracciglio scombinando i capelli scuri. «Dimmelo occhi verdi.» Appoggio il mento sulla sua mano fissandomi divertito. «Questo non è un appuntamento, lo sai vero?» Lui rise alla mia domanda. «Sta tranquilla.» Non risposi cercando di evitare il discorso. «Ma ti ho salvata, come dici tu.» Il mio cuore smise di battere per alcuni secondi a quelle parole. «E di questo te ne sarò sempre grata Davis, ma noi dobbiamo restare amici.» Abbassai lo sguardo evitando il suo. «Non ci vedi bene come coppia o hai paura? E poi hai mai avuto un ragazzo?» Sbarrai gli occhi, ma cosa voleva sapere? Guardai altrove cercando di ignorarlo. «Non ne hai mai avuti allora...» Sorrise divertito, dove era finito il Davis preoccupato di lunedì? «No e allora?» Arrossì visibilmente. «Niente per sapere...» Rise. «E tu?» Sbottai frustrata, spalancò gli occhi. «Non sono il tipo di ragazzo da fidanzate, ne ho avuta una tempo fa.» Che voleva dire? Arrossì ancora di più. «Vai a letto con le ragazze e poi le scarichi?» Ero disgustata. «Ora è diverso.» Spalancai la bocca. «Cosa è diverso?» Dove trovavo il coraggio di fare quelle domande? Lui sembrava molto agitato infatti non rispose. Mi voltai, volevo andare via ma stavano ancora suonando naturalmente, quella serata sarebbe durata ancora molto e io non potevo resistere un minuto di più accanto a Davis, mi voltai di nuovo verso di lui. «Vuoi andare a casa?» Mi chiese, come faceva a saperlo? Annuì lentamente mentre i Freedom finivano un'altra canzone è Chelsea la seconda bottiglia di birra. «E Chelsea?» Mi chiese ancora, di sicuro ci sarebbe rimasta malissimo. «No, hai ragione: meglio restare...» Sospirai guardandolo con la coda dell'occhio. Eravamo entrambi a disagio. «Vuoi qualcosa da bere?» Domandò cambiando discorso. «No, io non bevo.» Risposi guardando Chelsea mandare giù la terza bottiglia di birra. «Allora nemmeno io...» Disse guardando insieme a me Chelsea. «Sta bevendo troppo.» Disse serrando le labbra. Continuai a guardare mentre gli altri le dicevano di smetterla Jacob parlava con una ragazza con dei tacchi a spillo vertiginosi. «Hayley!» Gridò Chad facendomi segno di venire, mi alzai correndo verso il palco con Davis dietro di me. «Che succede?» Chelsea aveva gli occhi chiusi e borbottava qualcosa. «Portala a casa per favore, non può più suonare.» Sospirai prendendola per un braccio. «La porto io.» Disse Davis prendendola in braccio, era veramente forte, aveva preso anche me così? «Se continua a stare qui si metterà a urlare contro Jacob, c'è tensione fra di loro, sai se hanno litigato?» Mi chiese Chad mentre Lucy intratteneva il pubblico in altri modi. «No, non so niente...» Mentii. «Va bene, chiamami appena arrivate a casa, ecco il mio numero.» Chad prese un foglietto dalla tasca dei jeans e me lo porse, annuì salutandolo mentre facevo cenno a Davis di uscire dal locale. «Chelsea?» La chiamai toccandole la spalla. «Starà dormendo, si è bevuta un bel po' di birra.» Sospirò Davis. «Lì c'è la macchina.» Dissi indicandola.
Durante il tragitto coprì Chelsea con la mia giacca mentre Davis guidava, arrivati a casa la portò a letto e io la coprì con le lenzuola. «Mettile accanto una bacinella, è possibile che vomiti sta notte.» Sussurrò Davis mentre uscivamo dalla stanza diretti verso l'ingresso. «Grazie per tutto.» Dissi sorridendo debolmente, ricambiò il sorriso e poi mi sfiorò lo zigomo con le dita sospirando. «Potevo evitare anche questo...se solo fossi stato più veloce a raggiungervi...» Abbassò lo sguardo e io istintivamente presi la sua mano stringendola forte mentre brividi mi attraversavano il corpo. «Hai fatto già tantissimo per me.» Mi guardò negli occhi con uno sguardo triste. «Tu sei speciale occhi verdi...» Sussurrò mentre mi irrigidivo. 
Quella sera mi coricai diversa, sentivo delle emozioni dopo tanto tempo.
Dopo quella notte la mattina quando mi svegliavo non sentivo niente, guardavo il soffitto e non sentivo niente. Ma proprio niente. Non ero né felice né triste, né serena né irritata. Non sentivo niente. E ora era tutto diverso.

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