Dark love, shining hatred

di Chloe R Pendragon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It starts with a mug ***
Capitolo 2: *** It grows with her thug ***
Capitolo 3: *** It ends with a hug ***



Capitolo 1
*** It starts with a mug ***


Dark love, shining hatred

Dark love, shining hatred

 

1)    It starts with a mug

 

 

Finalmente sei tornata da me, sorella, sebbene la nostra riconciliazione non sia avvenuta nel modo migliore: ti ho dovuto portare via dalla tua casa, strappare dalle braccia di quel servo infame, colui che ti ha avvelenato a tradimento. Hai sofferto così tanto per quel gesto ignobile, lo so bene: hai versato lacrime colme di rabbia e gridato al vento il tuo dolore, mentre ti chiedevi cosa avessi fatto di male per meritarti questo. Hai passato due settimane chiusa in quella camera spartana, distruggendo quel poco che si trovava al suo interno per non sentire il suono del tuo cuore che andava sgretolandosi come arida pietra. Per un attimo temevo di averti perduta pur vivendo sotto lo stesso tetto, visto che mangiavi a malapena e non proferivi parola.

Ora però hai aperto la porta della tua stanza e con passi lenti ma decisi mi hai raggiunta nell’angusta cucina, il viso pallido incorniciato dalla lunga cascata di boccoli neri che un tempo erano acconciati con cura, mentre adesso sembrano un informe intrico di serpi iraconde. Sussulti quando mi volto e ti sorrido, stordita dalla dolcezza che leggi nei miei occhi, eppure riesci a ricambiare timidamente, piegando leggermente le labbra sottili: sei così bella, fulgida nonostante le tenebre che ti avvolgono, algida pur essendo lambita dalle roventi fiamme del rancore.

«Buongiorno, sorella! Spero di non averti disturbato...» cominci riverente, un’eredità di quella carogna di Uther, proprio come quella sorta di primordiale timore che vorrei tanto strappar via dalla tua anima tormentata; d’impulso ti afferro le mani, suscitando nuovamente il tuo stupore, e osservo il tuo sguardo spostarsi rapidamente dappertutto e, nello stesso tempo, da nessuna parte. Stai ancora cercando di risanare le tue ferite e temi di essere respinta un’altra volta, lo sento; ti sposto una ciocca di capelli ribelli e la porto dietro l’orecchio, facendoti rabbrividire per la delicatezza del mio gesto inaspettato.

«Come ti senti, Morgana? Va meglio?» ti domando con un misto di apprensione e dolcezza, scuotendo quel muro che hai innalzato per proteggere il tuo cuore; ti limiti ad annuire, per poi sciogliere l’intreccio delle nostre dita e avviarti con passi misurati verso una mensola posta sul muro alla tua destra. Il tuo sguardo passa in rassegna tutti gli oggetti stipati su di essa, per poi indugiare con curiosità su uno in particolare: un teschio umano in perfette condizioni, adagiato sopra un panno di lino nero, come a volerne mettere in risalto il candore.

Istintivamente, tendi le braccia verso di lui, come un bambino di fronte a un misterioso arnese, e con i polpastrelli sfiori la superficie liscia dell’osso frontale, studiando le mistiche sensazioni che tale contatto ti trasmette. Un indecifrabile lampo ravviva le tue iridi per una frazione di secondo, per poi estinguersi nell’oscurità senza fine delle pupille leggermente dilatate; un desiderio morboso attraversa ogni fibra del tuo essere, inebriandoti la mente con un’immagine nitida e peccaminosa.

«Dove hai preso questo teschio?» mi chiedi con distaccata curiosità, come se stessi cercando di occultare il macabro, indicibile quesito che pervade la tua anima: posso prenderlo? Con un paio di ampie falcate ti raggiungo e afferro rapidamente l’oggetto del tuo desiderio, porgendotelo subito dopo con un sorriso materno; il tuo viso s’illumina nuovamente, acceso da una lugubre gioia, così ti volti e riscaldi la mia gelida anima con il tocco gentile della mano che mi sfiora il braccio, inducendo il mio cuore a palpitare febbrilmente. Dischiudo le labbra per risponderti, ma m’interrompi scuotendo la testa e prendi la parola al mio posto.

«Ho avuto modo di riflettere in questi giorni, sorella, e infine ho preso una decisione: intendo vendicarmi di Uther e porre fine alla sua ignobile persecuzione. Ha ucciso troppi innocenti e continuerà a farlo se indugerò ancora nel mio dolore!»

Ti guardo con orgoglio mentre pronunci queste frasi e mi smarrisco nelle tue fantasie di un futuro migliore per quelli come noi: i tuoi occhi fiammeggianti mostrano sublimi immagini della nostra vendetta, trasformando il teschio di quello sconosciuto in un simbolo di speranza e di riscatto. La tua determinazione è palpabile, così come il tuo inconsapevole bisogno di supporto; dal momento in cui sei venuta a conoscenza della tua vera natura, hai portato sulle tue spalle un peso troppo grande per te ed è giunta l’ora di condividerlo con qualcuno che ti ama incondizionatamente come me.

«Hai perfettamente ragione, Morgana. Questo regno di terrore deve finire! Lascia che ti aiuti a compiere la tua vendetta: posso insegnarti come controllare i tuoi poteri e trasformarli in un’arma invincibile, insieme renderemo Camelot un posto migliore!» esclamo con trasporto, posando le mani sulla superficie fredda delle ossa che stringi delicatamente al petto, quasi volessi giurarti perpetua lealtà. Ti ritrai spaurita, soppesando la mia proposta e chiedendoti se sia davvero il caso di fidarsi di me; sei disposta a mettere ancora una volta in gioco il tuo cuore, nonostante tutte le vessazioni che ha dovuto subire?

Per quanto grande possa essere la gratitudine che provi nei miei confronti, puoi basarti solo su di essa per abbassare la guardia? Hai vissuto nell’ombra per troppo tempo, nascondendoti da tutti coloro che amavi e fidandoti della persona sbagliata, per poter concedere la tua fiducia così a buon mercato... No, non sei nella posizione adatta per commettere errori, non dopo la ferita infertati da Merlin: hai preso una decisione importante dalla quale dipendono i destini di tanti innocenti, primo fra tutti quello del tuo adorato Mordred, il giovane druido per il quale faresti qualunque cosa, perciò non puoi concederti il lusso di sbagliare.

«Perdonami, Morgause, ma non sono ancora pronta ad accettare il tuo aiuto: ho bisogno di un po’ di tempo per riflettere, ti dispiace se faccio una passeggiata nei paraggi per schiarirmi le idee?» mi domandi con un misto di timore e di risolutezza, confidando nella mia comprensione senza però mostrarti debole.

«Capisco perfettamente, sorella: hai il mio benestare, tuttavia non posso lasciarti andare in giro in queste condizioni...» rispondo con una punta di apprensione e mi dirigo spedita verso il baule posto sotto la finestra, frugando al suo interno con il tuo sguardo turbato addosso; trovato ciò che cercavo, torno da te e ti porgo un pugnale in corno di cervo, lama donatami dall’onorevole Nimueh in persona qualche anno fa: «Prendilo, sorella, così non sarai del tutto indifesa!»

I tuoi occhi scorrono estasiati lungo il piccolo fodero, per poi soffermarsi sull’elegante impugnatura ricca di rune e di pietre magiche incastonate. Mi guardi con immensa gratitudine, toccata dal mio gesto come se avessi appena compiuto un atto di fede nei tuoi confronti, così mi porgi riverente il teschio, ti volti ed esci dalla mia umile dimora; non immagini con quale rapidità io sia tornata al baule per estrarre un cristallo stregato, grazie al quale potrò vedere dove andrai e se sarai in pericolo.

Attraverso la superficie candida e discontinua, osservo le tue movenze incerte ma regali mentre ti destreggi leggiadra tra le fronde degli alberi del boschetto che circonda la casa; avvolta nel logoro mantello verde, cammini circospetta in quel dedalo silvestre, facendoti largo tra i rami bassi e superando le radici sporgenti con la grazia di una ninfa. Immersa in quella natura selvaggia, la tua bellezza risplende come il sole tra le nubi scure, irradiando quel luogo cupo e donando alla vegetazione nuovi colori sgargianti: sembra quasi che il tuo passaggio possa donare nuova vita a ciò che ti circonda.

Questa visione idilliaca purtroppo non è destinata a durare: d’un tratto, infatti, si avverte un vociare rozzo e confuso che turba la quiete della foresta e rovina la mia estatica contemplazione. Ti vedo sobbalzare nell’udire quei suoni inattesi, così irruenti da spazzar via le tue riflessioni su di me e sulla tua vendetta. Incuriosita, ti avvii verso la fonte di quei rumori, le pallide dita strette attorno all’arma che ti ho donato; grande è la tua sorpresa quando scorgi una taverna nel mezzo del nulla, acuita ancor di più dalla folla che si è radunata al suo interno, per lo più viandanti esausti e banditi pronti a derubare innocenti. Un flebile sorriso si affaccia sul tuo volto, segno che hai trovato il posto adatto per decidere in tutta calma; nonostante io non sia del tuo stesso avviso, non posso non ammirare la tua ferrea determinazione e la fiducia che riponi nei tuoi acerbi poteri, amplificata dal familiare contatto con il pugnale che ti ho donato. Con passi rapidi e decisi, raggiungi l’ingresso del locale e superi l’uscio senza esitare, puntando dritto verso il bancone dove si trova solo l’oste e un giovane viaggiatore.

Il tuo sguardo indugia per qualche secondo sull’omone di fronte a te, un tipo impostato sulla quarantina intento a pulire un boccale con un panno consumato, ma la tua attenzione viene completamente assorbita dal ragazzo al tuo fianco: i lunghi capelli castani incorniciano il viso ispido come fosse un’opera d’arte, mettendo in risalto gli occhi nocciola e rendendo le labbra rosee quasi appetitose. Indossa degli abiti lerci, prova tangibile del suo peregrinare, tuttavia al suo fianco tiene una spada di buona fattura, che mal si concilia con il suo umile aspetto.

 

«Che ti porto da bere, dolcezza?» la voce roca del taverniere ti riscuote dalla tua analisi, facendoti voltare di scatto verso il tuo interlocutore in un fruscio di vesti e boccoli scombinati; fai per rispondere, ma qualcuno ti anticipa e prende la parola al posto tuo.

«Portaci due boccali d’idromele, amico: offro io per la signorina!» afferma raggiante il vagabondo, suscitando la mia irritazione e la tua perplessità.

«Cosa ti fa pensare che io voglia un boccale d’idromele, straniero?» domandi con modesta curiosità, sottolineando l’ultima parola per accentuare il disappunto generato dalla sua intromissione. Per tutta risposta, lo sconosciuto scoppia a ridere e fa cenno all’oste di proseguire, per poi rannicchiarsi su se stesso e tenersi la pancia: questa reazione t’irrita a dismisura, così sfili il pugnale dalla cintura e cominci a soppesarlo tra le mani, valutando se sia il caso di trafiggere quel maleducato e punirlo per quell’affronto o se sia meglio lasciar correre e considerarlo un ubriacone qualunque. Visto che non sai con esattezza per quanto tempo ti tratterrai da me, preferisci risparmiargli momentaneamente la vita, per la mia tristezza...

«Perdonami,» afferma il giovane una volta placate le risate «non sono riuscito a trattenermi; diciamo solo che chi entra in un posto del genere non lo fa per fissare l’oste, che oltretutto non mi sembra sia proprio un bel vedere...»

Quello sfrontato ammicca e tu non riesci a trattenere una risatina, scuotendo la testa divertita; c’è qualcosa di speciale in lui, lo senti, anche se non sai dire cosa sia di preciso...

«Non hai tutti i torti, senza offesa chiaramente.» aggiungi alla vista dell’omaccione in avvicinamento con i boccali riempiti fino all’orlo. Lanci uno sguardo complice al ragazzo al tuo fianco, che ricambia con un sorriso sempre più ampio, quasi voglia avvolgerti con la sua gioia. Una volta prese le bevande, i tuoi occhi si socchiudono leggermente, muta richiesta di brindisi che viene accolta con entusiasmo da quell’individuo misterioso.

«Direi che d’obbligo un bel brindisi: al nostro fortunato incontro, e che l’alcool lo renda ancor più memorabile!» proclama raggiante, avvicinando il boccale al tuo; ti prendi una manciata di secondi per osservare lo straniero, confusa da quello strano discorso, poi cedi di fronte alla sua espressione speranzosa e fai cozzare i boccali. Mentre lui si avventa avido sul liquido dorato, tracannandolo senza ritegno, tu ti limiti a sorseggiarlo, apprezzandone il retrogusto lievemente acidulo e quel fine bruciore che ti pervade la gola.

«Mi chiamo Gwaine!» esclama gioioso non appena ha terminato il suo idromele, piantando il suo sguardo su di te, ansioso di conoscere il tuo nome. Cosa farai ora? Sai bene di non poter rivelare la tua identità, specie a un individuo losco e pieno di alcool come questo forestiero: il dubbio ti attanaglia le viscere, paralizzando la tua mente e serrando le tue labbra.

«Piacere, Gwaine!» mormori a fatica, finché non trovi un modo per ribaltare la situazione: «Non è un nome che si sente tutti i giorni, per caso appartieni a una famiglia nobiliare?»

Formuli quella domanda con apparente noncuranza, celando il sollievo per essere sfuggita dai carboni ardenti e la reale curiosità, giacché quel nome stride con l’aspetto trasandato del ragazzo; questi sospira e alza le spalle, rivolgendoti un sorriso amaro al pensiero delle sue origini, cosa che t’incuriosisce ancor di più.

«Ti prego, non farmelo ricordare...» risponde vagamente, per poi aggiungere: «Preferirei non doverne parlare, piuttosto ancora non mi hai detto il tuo nome!»

«Preferirei non doverlo rivelare, puoi chiamarmi... Gwen!» esclami dopo un attimo di esitazione, scegliendo il nome della tua serva per non lasciar trapelare le tue nobili origini; una fitta al cuore ti lascia senza fiato, pensando all’amicizia che un tempo vi univa e che ora deve cedere il posto al tuo desiderio di vendetta. Chissà se lei si schiererà dalla tua parte quando tornerai a Camelot per distruggere Uther, in fondo anche lei è stata vittima della sua folle persecuzione, dato che il re ha fatto uccidere suo padre. Il turbine di emozioni ti assale con violenza, rendendoti dimentica di tutto, dalla taverna al viandante: un solo pensiero si agita nella tua mente, il teschio umano che hai trovato a casa mia e che simboleggia il tuo cammino. La mano destra torna a stringere l’elsa del pugnale che avevi lasciato sulle tue gambe, dissipando le ombre funeste che ti avvolgono e rendendo chiaro ciò che devi fare.

«Mi spiace, Gwaine, ma ora devo andare!» affermi con decisione, per poi alzarti dallo sgabello su cui sedevi e andartene a grandi passi dall’osteria, ignorando il giovane che ora ti fissa interdetto. Attraversi spedita quell’intricato labirinto di rami e radici, muovendoti aggraziata e sicura nonostante l’oscurità si sia addensata in quel bosco rispetto all’andata. In pochi minuti sei di ritorno e bussi con febbricitante impazienza, chiamandomi a gran voce: quando ti apro, mi getti le braccia al collo e mi stringi con passione, facendo imbizzarrire il mio cuore che ora sembra volermi uscire dal petto.

«Avevi ragione, sorella: ho bisogno del tuo aiuto per compiere la mia vendetta. Ti prego, insegnami tutto ciò che sai, così metteremo Uther in ginocchio e libereremo la nostra gente dal terrore!»

Il tuo corpo sembra essere sul punto di esplodere, i tuoi occhi brillanti fissi nei miei: come si può resistere a un tale misto di dolcezza e ardore?

«Puoi contare su di me, sorella, ora e sempre!»




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Capitolo 2
*** It grows with her thug ***


It grows with her thug

Dark love, shining hatred

 

 

2)    It grows with her thug

 

 

Sono passati tre giorni da quando mi hai chiesto di insegnarti tutto quello che so riguardo le arti magiche: da allora non sei più uscita dalla nostra umile dimora, ti sei concentrata unicamente sulla lettura degli antichi testi, determinata ad apprendere quante più cose possibili sulla Triplice Dea e sul suo culto. Per questo motivo, sentirti aprire la porta della tua camera mi fa sussultare, così mi volto di scatto verso l’uscio in attesa della tua esile ed elegante figura. Nel vederti, non posso non restare ammaliata dalla tua bellezza: persino con quella semplice tunica di lino nera sembri una creatura eterea, brillante e dirompente come un’indomita fiamma.

Ti avvicini silenziosamente, come se i tuoi piedi non toccassero il terreno, e mi sorridi con dolcezza e un pizzico di soddisfazione, mentre le tue braccia stringono due voluminosi tomi al petto con fare protettivo, quasi fossero dei bambini indifesi. I tuoi capelli ondeggiano a ogni passo, volteggiando aggraziati nell’aria nonostante il disordine in cui versano, donando al tuo pallido incarnato una sorta di lucentezza lunare per via del contrasto con le ciocche corvine: la tua presenza riesce a ravvivare ogni cosa intorno a te, in particolare il mio cuore, che di fronte a te non può fare a meno di palpitare selvaggiamente. Hai rinnovato la mia fermezza nel voler distruggere quel verme di Uther, alimentando il mio odio con il sentimento unico e puro che hai inavvertitamente generato dentro me; al desiderio di vendetta si è indissolubilmente intrecciata la volontà di renderti felice.

«Ho terminato di esaminare questi volumi, sorella, e devo dire di esserne rimasta affascinata: è così emozionante conoscere la natura intrinseca dell’universo, mi sembra di aver riacquistato la vista!» esclami con un entusiasmo quasi puerile, avvolta da un’aura brillante e magnifica, degna di una stella del firmamento. Trattenere un sorriso è impossibile d’innanzi a tale travolgente visione, dolce come il nettare più puro, appagante come un arcobaleno dopo un acquazzone; ti raggiungo e ti libero a malincuore dai libri, cogliendo con la coda dell’occhio l’impercettibile brivido che attraversa il tuo corpo minuto nel sentire venir meno il contatto con le vetuste rilegature. Colpita dalla tua reazione involontaria, mi affretto a riporre i manuali nel mio indispensabile baule, per poi volgermi e tornare da te, così da cingerti tra le mie braccia e colmare quel vuoto.

«Le tue parole mi riempiono d’orgoglio, Morgana: la tua passione non può che rendermi soddisfatta, di questo passo potrai tornare a Camelot entro un anno, o forse anche prima» ti sussurro fiera e ti sento sorridere sulla mia chioma bionda, mentre le tue mani ricambiano timidamente il mio abbraccio: è meraviglioso percepire la tua fiducia e il tuo affetto sulla mia pelle.

«Qual è il prossimo libro nella lista?» mi domandi improvvisamente nello stesso istante in cui ti discosti, spezzando prematuramente la testimonianza fisica del legame che si sta consolidando tra noi. Nel tuo sguardo concentrato e distante, scorgo una gelida paura capace di oscurare quelle meravigliose iridi azzurre al punto da rendere il tuo volto simile a quello del teschio, tuo inseparabile compagno di stanza e di studi: da quando lo hai visto, non hai potuto fare a meno di tenerlo al tuo fianco, conservandolo gelosamente e dedicando buona parte del tuo tempo libero a lucidarlo, sussurrandogli i tuoi più intimi pensieri come se dovesse custodirli. Paradossalmente, è proprio quel teschio a suggerirmi come proseguire il tuo addestramento, così da riaccendere quella scintilla di travolgente entusiasmo che i miei tomi hanno sprigionato nella tua anima.

«Niente libri stavolta, sorella: è il momento di una lezione all’aperto, andiamo!»

Il tuo sguardo interdetto e il sorriso titubante che si affaccia per una frazione di secondo sul tuo viso tradiscono la tua curiosità e la tua inossidabile diffidenza, tuttavia annuisci decisa e stringi i pugni per infonderti sicurezza, cercando di non far riaffiorare i dubbi passati sulla fiducia che hai riposto in me. Raggiungiamo il tavolino vicino la porta d’ingresso e prendo due mantelli neri e il pugnale di Nimueh, che ti porgo con gentilezza: la luce che per un istante saetta nei tuoi occhi dimostra il fascino che quella piccola lama esercita su di te, mentre ne afferri saldamente l’elegante fodero e lasci che il suo mistico potere attraversi il tuo corpo e invada la tua mente. Sei talmente concentrata sull’arma da dimenticare completamente dove ti trovi e cosa stai facendo, il che mi fa sfuggire una flebile risatina e mi spinge ad assicurarti il mantello sulle spalle; questo gesto ti strappa dalla tua contemplazione e ti permette di ricomporti, rimembrando nuovamente il nobile scopo al quale hai deciso di consacrarti.

Senza indugi varco la soglia e mi avvio lungo il sentiero che conduce a una radura nel bosco, chiudendo la porta con un blando incantesimo dopo essermi accertata che mi stia seguendo. La selva si presenta come un fitto intrico di legno e di verde, un naturale dedalo di rami, radici ed erba fresca che inebria i sensi con i suoi profumi salubri; i raggi del sole trafiggono la ricca trama delle fronde degli alberi, spandendo la loro tiepida luce sul terreno sottostante, creando dei suggestivi chiaroscuri. Ti guardi intorno circospetta, tutti i sensi all’erta mentre mi segui senza fiatare; sei visibilmente incuriosita, fremi al pensiero di imparare qualcosa che potrebbe porre fine al regime di terrore di Uther, eppure senti di non poter abbassare la guardia nemmeno per un istante, poiché passo dopo passo ci addentriamo nei meandri di un luogo a te ignoto, dal quale potresti rischiare la vita alla minima distrazione.

Stringi con forza l’elsa del fido pugnale, pronta a sfoderarlo in qualunque momento, come una bestia famelica scopre le candide zanne quando si avventa sulla sua preda; ripensi al teschio che hai lasciato nella tua stanza e nelle sue orbite vuote ti sembra di scorgere il palazzo reale e tutte le persone al suo interno. Rivedi il sorriso troppo gentile di Gwen, le passeggiate a cavallo con Arthur, le ingannevoli attenzioni di Merlin: ognuna di queste visioni scatena una tempesta dentro di te, spingendoti ad accelerare il passo nonostante il terreno accidentato, la rabbia che si mescola al sangue nelle tue vene. Rischi di perdere l’equilibrio quando mi fermo bruscamente, colta alla sprovvista dalla mia figura immobile, e dopo aver piantato saldamente i piedi nel terreno osservi con attenzione il luogo designato: si tratta di una piccola distesa d’erba circondata da imponenti querce secolari, le cui fronde impediscono alla luce del giorno di filtrare fino al terreno, donando alla radura un aspetto oscuro e minaccioso.

Senza scomporti, slacci le cinghie di cuoio che assicurano il mantello sulle tue spalle, lasciando che l’indumento scivoli sinuoso lungo la tua schiena e si adagi mollemente al suolo; mi scruti con attenzione, il pugnale sempre stretto tra le dita come un amuleto, il petto che si solleva e si abbassa con apparente naturalezza mentre aspetti con muta trepidazione una spiegazione. Passerei ore a contemplare la tua bellezza, così selvaggia e regale al tempo stesso, eppure so di non potermi concedere questo lusso: la tua espressione parla chiaro, non sei disposta a tollerare ulteriori indugi da parte mia, almeno per il momento.

«Bene, sorella, siamo arrivate: questo posto è perfetto per quello che ho in mente...» affermo allusiva, riuscendo a strapparti un rapido sorriso sghembo e un lieve cenno del capo per esortarmi a proseguire: «Voglio vedere quanto hai imparato dalla lettura del primo volume del grimorio: dovrai scoprire a quale elemento sono principalmente legati i tuoi poteri e cercare di dominarlo!»

La tua emozione è quasi palpabile, basti vedere come brillano i tuoi occhi e con quanta forza serri le dita attorno all’elsa della lama di Nimueh; in verità, anch’io stento a trattenere l’eccitazione al pensiero di ammirare le tue straordinarie capacità, tuttavia cerco di trattenere l’entusiasmo per aiutarti a concentrarti. Senza perdere altro tempo, annuisci vigorosamente e chiudi gli occhi, cercando di svuotare la mente da ogni pensiero e di fondere la tua energia con le forze che permeano l’universo. Focalizzi la tua attenzione sul teschio, rimasto in camera a vegliare su di te da lontano come fosse il tuo idolo, e sul pugnale, simbolo tangibile della forza che ci appartiene e pegno della mia fede in te.

Lentamente, i ricordi della tua vita a Camelot si dissipano e lasciano spazio a una piacevole leggerezza, come se la tua coscienza stia fluttuando tra i rami degli alberi, impalpabile come la delicata brezza che fa danzare i tuoi capelli e svolazzare la tua veste. Tutto intorno a te si abbandona alla corrente d’aria che va diffondendosi nella radura, facendo frusciare ogni filo d’erba e producendo un’armoniosa sinfonia. Non ti accorgi di essere proprio tu a richiamare quel vento, portatore di una benevola freschezza che ti trascina lontano, in un luogo sconosciuto e pieno di pace: vorresti restare lì per sempre, ma una voce carica di meravigliato stupore di riporta nella radura, spezzando la tua concentrazione e bloccando la raffica che hai generato con la forza di un nome.

«Gwen!» esclama quel maledetto ragazzo della taverna, correndo verso di noi con un largo sorriso dipinto in volto; nel sentire il nome della tua serva pronunciato da quel tipo, sgrani gli occhi e ti volti di scatto, il viso tramutatosi in una maschera di rabbia e paura. Ti domandi cosa ci faccia lui in un posto del genere, spaventata al pensiero della mia presenza e di quello che potrebbe aver visto: vedi ancora il tuo dono come qualcosa da temere e di cui provare vergogna, perciò temi chiunque possa venire a conoscenza della tua vera natura. Riacquisti a fatica il tuo solito contegno e cominci rapidamente a riflettere su come uscire da questa situazione, mentre ogni passo del forestiero rimbomba nelle tue orecchie come il suono di un tamburo e il mio sguardo incombe su di te come una novella spada di Damocle, affilato come la lama del pugnale che non hai mai lasciato neppure per un istante.

«Gwaine! Non so come tu abbia fatto ad arrivare fin qui, ma non importa: possiamo scambiare due parole?» gli rispondi a denti stretti appena ti raggiunge, per poi prenderlo per un braccio e trascinarlo dietro le querce senza dargli modo di ribattere; prima di scomparire dietro quegli imponenti alberi, mi lanci uno sguardo enigmatico e mi lasci da sola nella radura, ignara della presenza del cristallo con cui ti ho spiato alla locanda. Ti allontani più del dovuto per prendere tempo e decidere il da farsi: nonostante l’immagine del teschio sia scolpita nel tuo cuore e il pugnale che stringi nella mano libera ne rafforzi il messaggio, non sai cosa fare con quel teppista da due soldi. Hai ancora l’impressione che ci sia qualcosa di speciale in lui, anche se non sai dire cosa sia, senza contare che mentre parlavate al bancone ti sei sentita bene dopo tanto tempo: quel tipo riesce in qualche oscura maniera a colmare il vuoto che avverti nella tua anima, al punto da desiderare di non stare più da sola. Contemporaneamente, però, hai paura di quello che potrebbe pensare se gli rivelassi la verità, per non parlare di quello che potrei pensare io se tu decidessi di dargli fiducia...

«A che gioco stai giocando, eh?» reagisci improvvisamente, voltandoti di scatto e inchiodando Gwaine al tronco di un albero. Lo schiacci contro la ruvida corteccia con tutto il peso che riesci a imprimere con il tuo corpo minuto, mentre liberi la lama di Nimueh dal suo fodero e la punti contro la gola nuda e ispida dello straniero: lo guardi con gli occhi socchiusi come se volessi scrutare dentro il suo cuore, almeno così sapresti come muoverti. Lui invece ridacchia sommessamente e con un gesto fulmineo ti disarma e ribalta le vostre posizioni, bloccandoti contro il fusto e puntando l’arma all’altezza del petto, che ora si alza e si abbassa freneticamente per via dello stupore; rimani a bocca aperta per qualche secondo, sbigottita dalla rapidità del giovane, poi ti ricomponi assumi un atteggiamento di sfida, certa di non correre alcun pericolo mortale.

«Vuoi vedere un vero gioco?» ti soffia sulle labbra con un sorriso beffardo e, senza permetterti di rispondere, ruota il polso con cui impugna il pugnale, facendo apparire al suo posto una margherita. Istintivamente sussulti alla vista del fiore, sbattendo più volte le palpebre perché non riesci a capire dove voglia andare a parare: quel ragazzo è un’incognita, un rompicapo vivente che non riesci a risolvere e questo ti attrae e ti spaventa nello stesso tempo. Ma allora cos’è quel timido sorriso che si affaccia sul tuo viso quando lui sistema la margherita dietro il tuo orecchio? Come fa quel criminale da due soldi a vincere ogni tua resistenza con apparente facilità? Che cos’ha di tanto speciale?

«C’è qualcosa di speciale in te, Gwaine. Non so dire cosa sia...» mormori più a te stessa che a lui, rendendo l’atmosfera tra voi ancora più intima: difatti, il vagabondo aumenta un altro po’ la pressione esercitata dal suo corpo contro il tuo, avvicinando il volto fino a fondere il suo respiro con il tuo, le labbra che si sfiorano a ogni parola.

«Tu credi? Eppure non sono io quello che ha creato dal nulla una tromba d’aria...» risponde con un filo di voce, sufficiente per udire quella frase e farti irrigidire, cosa che non passa inosservata agli occhi di quel ragazzo, che prontamente aggiunge: «Hey! Stavo scherzando! Come se fosse questo a renderti speciale... Anch’io so fare delle magie, lo hai visto!»

«Piantala! Non è divertente!» ribatti con amarezza cercando di divincolarti, ma è tutto inutile: fisicamente è più forte di te e ancora non sei in grado di controllare i tuoi poteri come vorresti. Lo guardi con un misto di emozioni contrastanti, divisa tra la speranza di comprensione da parte di quello sconosciuto e la sensazione di esserti illusa per l’ennesima volta. Una mano grande e callosa si posa sulla tua guancia e comincia a carezzarla dolcemente con il pollice, facendoti rabbrividire per quel contatto imprevisto; vorresti opporti di nuovo, però lui ti anticipa e riprende a parlare.

«Hai ragione, perdonami! Tanta gente è stata uccisa per questo motivo e molti altri ne moriranno per colpa dell’ottusità di quei nobili che non hanno alcun rispetto della vita umana...»

Basta quella semplice frase per farti rimettere tutto in discussione a partire dal teschio, che ora ripete nella tua testa le parole di Gwaine come un pappagallo, e dal pugnale, la cui lama non ti appare più bagnata dal sangue di Uther come la immaginavi, bensì si trasforma in un sottile specchio che riflette il sorriso radioso di quel giovane forestiero. Se non ci fosse quell’albero, probabilmente stramazzeresti al suolo per quel vortice di emozioni che si è scatenato dentro di te: non puoi più aspettare, è necessario mettere le carte in tavola oramai...

«Vorresti dirmi che non hai paura di quelli come me? Non temi la magia? Non pensi che dovrei provare vergogna per ciò che sono?» lo incalzi con le tue domande, riuscendo a stento a mantenere un tono dignitoso, sebbene nel tuo sguardo si legge chiaramente una supplica: dalla sua risposta potrebbe cambiare il tuo mondo. Lui sgrana gli occhi, rendendo le iridi nocciola sgargianti, quasi brillino di luce propria, poi reagisce d’impulso: azzera la distanza che vi separa e ti bacia con tutto il trasporto di cui è capace. Quell’effusione è così violenta e autentica da rendere vano qualunque tentativo di resistenza: ormai in balìa di quel travolgente bacio, ti avventi su di lui con foga, come se fosse fatto interamente di ossigeno e tu fossi a corto d’aria. Le vostre lingue s’intrecciano e danzano furiosamente al ritmo dei vostri cuori, mentre le mani di entrambi scorrono lungo il corpo su cui hanno trovato appoggio in cerca di una valvola di sfogo per quella passione che vi brucia l’anima. Quell’ultimo barlume di razionalità t’impone di fermare quel bacio in cerca delle parole che stai ancora attendendo e che finalmente arrivano.

«Come potrei anche solo pensare una cosa simile? Dal primo istante in cui ti ho vista ho perso la testa per te e ogni secondo trascorso insieme mi ha ricordato il perché sono andato via dalla mia famiglia, pur avendo un futuro apparentemente roseo ad attendermi: qualche volta devi fare ciò che ritieni sia giusto, e al diavolo le conseguenze!»

Di fronte a una frase del genere non riesci a non porti un’unica domanda: come si fa a non smarrirsi in un ragazzo speciale come Gwaine?

«Il mio nome è Morgana Gorlois» affermi con un sorriso radioso e senza attendere la reazione dell’affascinante teppista della taverna ricominci a baciarlo.

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Capitolo 3
*** It ends with a hug ***


It ends with a hug

Dark love, shining hatred


3)    It ends with a hug

 

 

Dopo interminabili minuti trascorsi a baciarvi, finalmente vi separate, i volti radiosi illuminati da estatici sorrisi: non ti ho mai visto così felice, sembri quasi risorta dalle tue ceneri come una fenice, più bella che mai. D’un tratto ti prende per mano e comincia a camminare insieme a te, diretti allontanandovi sempre di più da me, che frattanto sono rimasta nella radura a osservare il cristallo stregato con crescente rabbia.

«Dove stiamo andando?» gli domandi ancora sorridente, un sopracciglio inarcato per la curiosità.

«Andiamo alla taverna dove ci siamo incontrati, così festeggiamo e frattanto mi spieghi meglio la faccenda Morgana Gorlois...» risponde allusivo Gwaine, piegando le labbra in un ghigno divertito; deglutisci impercettibilmente e abbassi lo sguardo, bloccandoti di colpo con un’espressione colpevole. Sembra come se ti fossi svegliata da un bellissimo sogno a occhi aperti: la mente, prima ottenebrata dalla passione travolgente del ragazzo, si è liberata da quell’insolito incantesimo, rievocando tutti i ricordi con una violenza tremenda.

Le gambe minacciano di cedere, troppo minute per sostenere il peso di tutto ciò che hai vissuto in questi ultimi giorni; sotto le palpebre vedi scorrere come un fiume in piena immagini confuse e frammentarie, il viso pallido di Mordred, i druidi che ti avevano accolta nel loro villaggio e che poi sono morti, gli scherzosi battibecchi con Arthur, la furia omicida di Uther, la mia amorevole presenza, il tradimento di Merlin, il teschio abbandonato nella tua camera, i baci roventi di questo giovane, la margherita che ti accarezza dolcemente con i suoi petali e...

«Il pugnale! Dove l’hai messo?» esclami di botto, spiazzando il tuo compagno con quella domanda fuori contesto, tuttavia riacquista subito il suo contegno e dalla giacca di cuoio sgualcita estrae la tua fidata arma, riposta con cura nel suo fodero. Senza troppe cerimonie gliela strappi di mano, ma la lasci sfuggire dalla tua presa con un sussulto, per cui lui la riprende e te la porge nuovamente con un’occhiata interrogativa: coloro che non possiedono poteri magici non possono avvertire il potere che impregna quel pugnale, figurarsi se uno come lui può carpire i messaggi che esso manda a chi lo afferra.

Tu invece hai avvertito nitidamente il calore che emana l’impugnatura in questo momento ed è proprio per questo che lo hai fatto cadere, perché ti sei scottata. Ancora scossa dall’accaduto, lo riprendi con cautela, cercando di combattere contro quel fastidioso dolore, ma non sai che le sorprese non sono ancora finite: difatti la foresta si riempie improvvisamente di presenze sinistre, spiriti inquieti che vagano per il mondo in cerca di pace e che l’anima del pugnale ha evocato attraverso il tuo tocco. Centinaia di volti cerei ti circondano fissandoti con occhi vacui e spenti, a eccezione di uno, quello feroce ed eloquente della grande Nimueh; lei ti osserva con uno sguardo penetrante, turbandoti più di quanto tu non riesca a dire per la sua repentina comparsa insieme a quei dannati, rendendo vano l’effetto lenitivo dei baci di Gwaine. Il tuo cuore viene stretto da una violenta morsa, mozzandoti il fiato e spingendo le lacrime sempre più su, pronte a cadere: dentro la tua testa cominciano a insinuarsi delle parole gelide come schegge di ghiaccio, capaci di atterrirti e paralizzarti.

 

Morgana, cosa stai facendo qui? Dov’è finita la tua ferrea determinazione? Non vorrai abbandonarci, vero?

Quelle domande incalzanti ti turbano, mentre senti un’ombra densa allungarsi all’interno del petto e risucchiare la tua anima in un vortice di dolore e sofferenza. Nelle tue pupille dilatate si susseguono una serie di immagini terrificanti, tra cui interi villaggi rasi al suolo, bambini in lacrime che cercano disperatamente i loro genitori e persone consumate dalle implacabili fiamme dei roghi di Camelot: la Grande Epurazione voluta da Uther ti viene mostrata in tutta la sua crudezza dallo spirito della Sacerdotessa, il quale osserva le tue reazioni con serietà e approvazione. Per quanto orribile, è l’unico modo per riportarti sulla retta via, spezzando il deleterio ascendente che quel ragazzo ha su di te. L’orrore delle persecuzioni perpetrate dal re scatenano la rabbia e il desiderio di vendetta in ogni fibra del tuo essere, donando nuovo vigore al teschio che hai eletto come simbolo dei tuoi propositi qualche settimana fa.

 

Morgana... Morgana...

«Morgana! Ti senti bene?» ti chiama con crescente preoccupazione il giovane al tuo fianco, interrompendo in tal modo le visioni scatenate dal pugnale e riportando il bosco alla normalità. Tu lo guardi smarrita, il volto pallido e la gola serrata: tutto quel dolore ti ha letteralmente spiazzata, lasciandoti divorare dal senso di colpa. Ti senti improvvisamente egoista, come se fossi stata così abbagliata dalla possibilità di un futuro tranquillo con quell’uomo meraviglioso e intrigante da non vedere quanta sofferenza ti circonda. Hai dimenticato le sofferenze del tuo popolo, tutte le promesse e i buoni propositi sono stati offuscati dalla radiosa incursione di quel forestiero nella tua vita, ma ora sei si nuovo consapevole: sai che devi riprendere il controllo della tua esistenza, nonostante il prezzo da pagare possa essere elevato...

«No, Gwaine: non sto affatto bene!» esclami con voce rotta dall’inevitabile pianto, il viso rigato da lacrime colme di una pena troppo profonda per essere tradotta in mere parole: come si fa a lasciar scappare la felicità quando sfiora le tue dita? Come si può spezzare il cuore a qualcuno che sta risanando il tuo? Ancora una volta, la vita ti costringe a compiere una scelta terribile: condannare te stessa alla solitudine per poter compiere il tuo destino.

«Per favore, abbracciami adesso: non voglio più stare da sola!» lo anticipi con un tale misto di dolcezza e imperiosità da rendere vana qualunque replica, perciò il ragazzo non può non stringerti tra le sue braccia forti e rassicuranti, cullandoti dolcemente per placare quell’improvvisa sofferenza che non riesce a comprendere. Chiudendo gli occhi e godendoti quel momento di tenerezza, continui a stringere l’arma e ti concentri su un unico pensiero: vuoi rievocare quella raffica di vento e far sì che questa possa portar con sé tutti i ricordi e le emozioni che Gwaine custodisce nel suo cuore.

Focalizzi l’attenzione su tutta la brutalità che hai visto perpetrarsi nel corso della tirannia di Uther, tutti quei poveri bambini perseguitati e uccisi senza ritegno, braccati come fossero criminali della peggiore risma, e tutte le madri che imploravano pietà per la loro prole, chiedendo inutilmente di essere bruciate vive al loro posto; lasci che tutta quell’amarezza per le sorti di coloro che possiedono poteri magici e che sono costretti alla fuga ti domini, pensando intensamente all’espressione di puro terrore negli occhi del piccolo Mordred la prima volta che lo hai visto, così simile alla tua. Elenchi mentalmente tutto ciò che quel monarca indegno ti ha portato via, tutta la gioia e la serenità dopo la perdita di tuo padre erano solo un’effimera menzogna, una maschera che celava la crudeltà di quell’uomo malsano e spregevole che merita di morire più di chiunque altro al mondo: pensi a quel povero ingenuo di Arthur, che si lascia ancora abbindolare dalle bugie di suo padre, incapace di vedere la vera natura del re. Indugi per qualche secondo sul tradimento di Merlin, quell’infame che ha condannato la tua anima all’oblio, facendoti sprofondare in una spirale di odio e di solitudine senza il benché minimo scrupolo. Accumuli così tanta sofferenza da seppellire tutto l’amore che hai riscoperto pochi minuti fa in un pozzo di oscurità, capovolgendo ogni cosa dentro di te: ora quel sentimento dolce e spensierato ti appare buio e corrotto, mentre il tuo desiderio di vendetta brilla come neve baciata dal sole.

«Mor...ga...na...» urla Gwaine per cercare di contrastare la corrente violenta che vi avvolge come un vortice, ma la tua mente è così distante che ti sembra di udire un flebile sussurro: i tuoi capelli si agitano al vento come fruste, sferzando i vostri volti e facendo cadere dal tuo orecchio la margherita, pegno del legame che si era creato tra voi. Così, mentre il candido fiore si perde nell’aria insieme alla vostra passione, il teschio e il pugnale tornano a imporsi nelle tue intenzioni, donando nuovo vigore al nostro legame e offuscando tutto il resto. La potenza della tromba d’aria da te evocata è talmente grande da spingervi lontano e farvi sbattere contro due alberi distanti, facendoti perdere i sensi e, simultaneamente, strappando via l’ultimo ricordo rimasto nella tua memoria.

 

 

Qualche volta devi fare ciò che ritieni sia giusto, e al diavolo le conseguenze...

 

 

Ti risvegli dolorante nel tuo letto, stordita da quella misteriosa frase che risuona ai margini della tua coscienza con una voce misteriosa e sconosciuta: ti domandi a chi appartenga, ma per quanto ti sforzi non trovi risposta. Trasali quando ti accorgi della mia presenza al tuo capezzale, lanciandomi un’occhiata interrogativa di fronte al mio sguardo preoccupato e alla mia spontanea carezza sul capo.

«Cos’è successo, sorella? È tutto così confuso...» biascichi ancora intontita dall’impatto con il tronco, le dita che attorcigliano nervosamente una ciocca di capelli per l’irritazione causata da quest’amnesia: detesti sentirti impotente, ancor di più se si tratta di una lacuna che senti di non riuscire a colmare, abituata come sei ad avere tutto sotto controllo. Ti sorrido bonaria e ti accarezzo la guancia con il dorso della mano, poi avvicino il mio viso al tuo orecchio e ti rassicuro.

«Nulla di grave, Morgana, si è trattato solo di un piccolo incidente durante l’allenamento: hai dimostrato di avere una particolare inclinazione verso l’aria, tuttavia non sei ancora in grado di controllarla a dovere. Non temere, con un po’ di pratica affinerai la tua abilità!» mento per proteggerti dalla dura verità, in fin dei conti non mi crederesti: hai evocato un incantesimo così potente che nemmeno io saprei come spezzarlo, il che dimostra che c’è qualcosa di speciale in te, anche se non so dire di preciso cosa sia. Faccio per andarmene, ma la tua mano scatta verso il mio braccio, trattenendomi.

«Puoi restare qui con me stanotte? Non voglio più stare da sola...» mormori con un certo imbarazzo, guardandomi negli occhi con una dolcezza che mai hai rivolto verso di me; incapace di resisterti, mi stendo al tuo fianco e poso delicatamente le mie labbra sulle tue, mozzandoti il respiro e spiazzandoti.

«Buonanotte, sorella» ti soffio sulla bocca per poi scostarmi e lasciarti poggiare la testa sulla tua spalla; tu sorridi compiaciuta e ti accoccoli tra le mie braccia, la mente rivolta al nostro sodalizio e alla fulgida vendetta che si apre davanti a noi come un fiore. Sotto le palpebre, tre immagini si susseguono ininterrottamente, accompagnando la tua coscienza oltre i confini della veglia: il teschio, inossidabile vessillo del tuo riscatto, il pugnale di Nimueh, il cui potere inebria ancora ogni fibra del tuo essere, e una margherita, piccolo fiore trasportato dal vento della tua furia.

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