IL pescatore di stelle

di saccuz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V. ***
Capitolo 7: *** VI ***
Capitolo 8: *** VII ***
Capitolo 9: *** VIII ***
Capitolo 10: *** IX ***
Capitolo 11: *** X ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
Il maestro Udra fissava da un boccaporto della sua nave l’immenso nero dello spazio, interrotto da una miriade di puntini luminosi gialli, rossi e blu, mentre passava lentamente una mano sul bordo della console di comando… “Chissà se anche questa volta mi riporterai a casa” disse affettuosamente alla nave. Sullo schermo sotto i suoi occhi decine di puntini luminosi prendevano posizione, mentre là fuori, nell’immenso vuoto cosmico, i grandi motori degli incrociatori rombavano nel silenzio siderale, disponendosi nello schieramento.
Lentamente, con un sibilo, si aprì una porta alle sue spalle
«Signora – disse il suo intendente – l’arrivo della nave è previsto in tre minuti.»
«Molto bene, arrivo.» rispose quella.
Udra distolse gli occhi dall’esterno, dirigendosi verso il sottoposto. I gradi dorati che la indicavano come comandante designato delle forze difensive della Confraternita brillavano sotto le luci artificiali dei ponti della nave, risaltando sulla tuta grigia, che portava come di consueto.
In plancia ferveva l’attività, mentre ogni vascello terminava la disposizione.
Con un unico movimento prese posto sulla poltrona di comando.
«I sensori la indicano in avvicinamento!! Dieci secondi! – urlò l’addetto alla strumentazione – tre, due, uno!»
 La nave uscì all’improvviso da un lampo di luce. Era immensa, proprio come la ricordava. Aveva visto quella nave soltanto una volta nella sua vita, ma era una di quelle immagini che non si dimenticano facilmente. Ricordava di aver ammirato con invidia e desiderio quell’immenso vascello, ne aveva percepito subito le immense potenzialità, anche se all’ora non era nulla di più che uno scheletro, un’ombra del colosso che sarebbe diventato. E ora era lì di fronte a lei, a non più di una manciata di minuti luce dal suo schermo. Dentro di se Udra percepiva chiaramente una forte ammirazione per quella nave. Era indiscutibilmente maestosa, di certo la più potente nave che avesse mai solcato la galassia. Eppure ogni cosa ha due facce, e non poteva fare a meno di ricordare la lunga scia di distruzione che il vascello aveva lasciato dietro di se: una scia così vasta e pericolosa da non poter essere ignorata. Si parlava addirittura di avvistamenti di Antichi nelle foreste più profonde di Aerdis 4…
 
«Non rispondono alle chiamate!» La voce del marinaio la richiamò al presente.
«Puntano le armi!»
Improvvisamente dai cannoni della nave nemica partirono raggi multicolore, che si abbatterono senza pietà sul centro dello schieramento.
Udra sentì la sua nave tremare, mentre gli scudi assorbivano l’energia della scarica.
«Scudi al quaranta per cento!»
«Danni sul ponte tre e nove!»
«A tutte le navi, fuoco al mio comando! - Urlò Udra - Tre, due, uno, ora!!»
L’intero schieramento iniziò a brillare, mentre i velivoli scaricavano l’energia di tutte le loro batterie. Una pioggia di raggi di luce si abbatté sul vascello avversario, che rimase invisibile per alcuni istanti, circondato da un alone fosforescente, niente più che una distorsione dovuta ai disgregatori della flotta.
Improvvisamente l’alone venne attraversato dalla nave che, perfettamente intatta, si dirigeva a forte velocità verso di loro.
«Scudi nemico al novantotto per cento » riferì l’addetto ai sensori
«Impossibile – mormorò il maestro – si è ricevuto addosso diverse centinaia di miliardi di kiloLauren, nessuno scudo nella galassia è così potente…»
«Signore, il vascello nemico ha modificato la rotta, punta al centro del sistema!»
«Dannazione! A tutta la flotta, attacco ravvicinato, impediamole di avanzare!» disse la comandante.
Dalla postazione Udra osservò l’intera flotta scivolare in avanti, mantenendo un fuoco ininterrotto contro il nemico.
Dal suo schermo vedeva l’avversario procedere incurante sotto i colpi delle navi, mentre con i suoi cannoni devastava uno dopo l’altro gli incrociatori che gli si paravano davanti.
Improvvisamente un puntino dal suo schermo sparì, mentre all’esterno una grande luce rossa entrava dalle finestre.
«Hwius distrutta signora, non si rilevano segni vitali superstiti! La Keldo e la Nie hanno falle su tutti i ponti, la Fmedr ha perso le armi e gli scudi, e inizia a ritirarsi. La Rudie, la Denfi e la Bidn sono disabilitate, presto perderanno il supporto vitale. Khaln e Aot hanno gravi danni al reattore e stanno preparandosi a evacuare!»
La voce concitata del marinaio rappresentava alla perfezione quello che Udra vedeva sul suo schermo, dove osservava la sua squadra navale, la migliore del quadrante e una delle migliori cinque della galassia, venir scompaginata e messa in rotta da un solo vascello. Alla fine, prese una decisione:
«Udra a sala macchine, massima potenza, avanti tutta! Rotta di intercettazione!»
La nave, sotto la spinta dei possenti motori, prese a tremare, mentre il vascello schizzava in avanti, contro il nemico. Il maestro si immaginò per un attimo come dovesse apparire la scena dall’esterno, con due delle più grandi navi mai costruite che si lanciavano a tutta velocità una verso l’altra. 
«Ci punta con le armi!». La voce del guardiamarina la riportò bruscamente alla realtà.
«Tutta l’energia agli scudi!» Urlò la comandante
Dalla nave avversaria partì una pioggia di fasci disgregatori, che si abbatterono con violenza sul vascello.
Il colpo fu talmente forte che il maestro venne sbalzata in aria dalla poltrona, per poi andare a sbattere contro il pavimento. Tutto divenne improvvisamente nero. Quando rinvenne, dopo pochi secondi, la vista le fu oscurata da un fiotto di sangue, che colava da un largo taglio sulla fronte. In pochi attimi lo rimarginò, e alzandosi chiese informazioni sullo stato della nave.
«Gli scudi hanno assorbito solo una parte dell’energia prima di cedere, le corazze sono depolarizzate, abbiamo danni e falle su tutti i ponti, i sistemi di puntamento sono usciti dalla linea, le armi sono fuori fase. L’infermeria riferisce di centinaia di feriti, settantatre morti e diverse decine di dispersi. La sala macchine segnala una frattura nel reattore e una fusione del nocciolo imminente.»
«Il nemico da di nuovo energia alle armi!» L’urlo del guardiamarina risuonò nella plancia. Era il segnale della fine, senza scudi e corazze non avrebbero retto nemmeno un colpo. Non avevano scampo.
Udra si sedette per terra, con gli occhi chiusi, dondolando avanti e indietro. Se proprio doveva morire, se ne sarebbe andata a modo suo.
«Una nave esce dall’orbita T! Si sta dirigendo verso la nave nemica!»
“Troppo tardi”, pensò la comandante, mentre il vascello nemico liberava l’energia dei suoi banchi armi.
Il bagliore giallo-rossastro invadeva ormai l’intera visuale dell’equipaggio della nave, facendo lacrimare gli occhi e togliendo ogni dubbio sulla loro sorte.
Udra, mentre iniziava a percepire sulla pelle il calore dei raggi disgregatori, chiuse gli occhi, preparandosi ad abbandonare il suo corpo.

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Capitolo 2
*** I. ***


IL PESCATORE DI STELLE
 
Cap I
 
-Abisso Chalossiano, 3.2 parsec dopo Theren Beta, ex gigante rossa di classe 5
 
La Relios era lì, con i motori a repulsione attivi e pronti al lancio. Tutti i sistemi della nave fremevano; la tensione dei reattori faceva scricchiolare tutto lo scafo, mettendo a dura prova i campi di contenimento. Eppure era lì, ancora. Immersa nella luce verde della nebulosa, con nubi di gas ad alta temperatura che soffiavano tutto intorno. Ma lei non si muoveva. Era lì, ferma, maestosa, pronta a sfidare, e a vincere, chiunque le si avvicinasse.  Le nubi di gas scorrevano lungo lo scafo, facendo brillare il lucido rivestimento di terilio, qua e là improvvise scariche elettrostatiche scoppiavano nelle nubi, quasi a protestare per la presenza di quell’oggetto esterno, di quella grossa nave, che con la sua stazza rompeva l’armonia di quel capolavoro della natura, di quell’opera d’arte cosmica.
 
Due occhi, marroni scuro, fissano l’interno delle palpebre, seguono contorti disegni geometrici che si formano sulle retine: seguono spirali, inseguono rombi, rincorrono triangoli, si tuffano in cascate di quadrati dai mille colori; sono in pace, si riposano… si aprono di botto, lo sguardo vaga ansioso sul quadro comandi, una mano scatta ad impugnare il pad di comando, preme un pulsante, digita una sequenza sul tastierino, tutta la nave è un solo fremito; un attimo, il vapore verde all’esterno scompare, le stelle si deformano, si allungano fino a diventare una linea, in un attimo la Relios smette di tremare, i suoi motori non ringhiano più, il loro ronzio adesso somiglia più a delle fusa, sono felici, stanchi ma felici; in pochi secondi hanno superato un centinaio di migliaia di anni luce, hanno attraversato città, pianeti, sistemi solari, interi settori stellari, e adesso è dall’altra parte della galassia. Lontana, al sicuro, e di nuovo affamata.
 
***** 
Quinn era alto, magro e, nonostante facesse di tutto per nasconderlo, irrimediabilmente grigio. Aveva i capelli grigi, le sopracciglia grigie, i baffi grigi, la lunga barba grigia, anche la pelle ormai aveva una lieve sfumatura grigiastra, colpa delle luci artificiali delle navi stellari; l’unica nota di colore della sua persona consisteva in una lunga tunica blu e viola e un lungo bastone di legno, che si portava ovunque andasse. Era ormai un mese che si trovava a bordo della Jenio, che consumava ogni goccia del suo potere per ridare energia a quella dannata gigante rossa, era un mese che le sue profonde rughe si facevano ancora più accentuate, era un mese che nel suo animo cresceva l’angoscia, perché aveva riconosciuto il marchio di fabbrica… per far ripartire una stella solitamente ci metteva dalle due ore ai cinque giorni, a seconda della stella, ma a questo punto era un mese che perdeva tempo, poteri e pazienza intorno a quel sole; e ormai la verità si era fatta strada in lui, solo una persona era capace di ridurre una stella in quelle condizioni... ormai sapeva cosa fare.
Si fece portare più vicino alla stella, era nella sua tuta, all’esterno. Chiuse gli occhi, stringendo il bastone fra le mani, trasse un profondo sospiro e si concentrò sulla sua essenza, la prese, la imbrigliò nel suo bastone, la modellò finché non assunse la forma da lui desiderata, e a quel punto, la liberò, lasciando che fluisse libera nell’unico luogo vuoto adatto ad accoglierla in tutto quel sistema solare, lasciò che scorresse fin dentro la stella, le permise di raggiungere il vuoto dove una volta c’era il nucleo della gigante rossa, e lasciò che ne prendesse il posto.
 
Erano due settimane che giaceva su un letto a campi di forza, completamente immobile, in stato di trance. Poi d’improvviso spalancò gli enormi occhi verdi, boccheggiò freneticamente in cerca di aria, e poi si rilassò. Adagiando la testa sulla barriera di energia.
 
<< La vostra stella non vi darà più problemi, continuerà a illuminare tutto il sistema di Theren Beta per altri due miliardi di anni !>>
<< Noi tutti le siamo grati, ma lei sta bene? >> << Sì sì, sto benone, ma incantesimi di quel livello non si possono mai fare impunemente, specialmente alla mia età! >> << Spero che allora si vorrà fermare ancora un po’ di tempo da noi >> << La vostra offerta mi onora, presidente, ma purtroppo devo partire immediatamente, ho affari urgenti da sbrigare dall’altro capo della Galassia >> << Se mi è permessa la curiosità, di cosa si tratta? >> << Devo dare la caccia a un fantasma. >>

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Capitolo 3
*** II ***


Cap II
 
I due occhi marroni vagavano inquieti lungo la mappa olografica, scorrendo stelle, pianeti, colonie, sistemi solari, il tutto cercandone una, una che fosse adatta. Ad un certo punto le due grandi macchie marroni si fermarono, osservando accanitamente un singolo puntino sulla mappa, un segnetto annegato in un oceano di altri segnetti, un sole affogato in una distesa sterminata di stelle.
 
Di nuovo, all’improvviso, la mano scattò in avanti, premette dei numeri sul tastierino, e nuovamente i motori tornarono a far sentire la loro voce, nuovamente fasci di luce azzurra risplendettero nell’immensità dello spazio, nuovamente le stelle si deformarono, e lo spazio fece bruscamente un balzo indietro.
La nave comparve all’improvviso sui sensori del pianeta Hesid, mentre si dirigeva a tutta forza verso il sole del sistema; ignorando le richieste di contatto, i messaggi e gli avvertimenti. Alla fine dalla terza luna del pianeta più interno si sollevò la flotta di stanza lì, con l’ordine di intercettare la nave sconosciuta. Le navi, vecchie corazzate di classe Apex si lanciarono contro la Relios, sparando con i loro disgregatori; intensi fasci di luce rossa attraversarono lo spazio, rimbalzando contro la fiancata del bersaglio, e disperdendosi nell’immensità cosmica.
I due occhi marroni si spalancarono ancora, questa volta accesi da una rabbia profonda; la mano volò sulla tastiera del computer di bordo, facendo risuonare l’allarme in tutti i ponti, mentre all’esterno i cannoni aprivano il fuoco, scatenando un’intera bordata di disgregatori contro le corazzate nemiche, che, colpite in pieno dal fuoco avversario, esplosero in un tripudio di rossi e gialli. Appianato l’ultimo ostacolo, la Relios riprese la sua rotta verso il sole, ancorandosi a poche centinaia di chilometri da esso. Gli abitanti del sistema, dovettero osservare impotenti la loro stella venir colpita da un raggio partito dalla nave, che lentamente attraversava gli strati infuocati del corpo celeste, che si faceva strada nella stella fino a raggiungerne il nucleo e, una volta raggiunto, strapparlo via, pezzo dopo pezzo, mentre il sole lentamente smetteva di brillare, diventando sempre più scuro, finché non rimase altro che un lieve bagliore, lì dove fino a pochi attimi prima reazioni di termonucleari generavano masse enormi di energia, visibili a milioni di miliardi di chilometri, che scaldavano e illuminavano interi pianeti.
La Relios, completato il suo tragico pasto, con un altro guizzo dei motori, sparì dai sensori del pianeti, lasciando i suoi abitanti soli, a osservare il loro sole spegnersi.
 
***
 
Quinn detestava i viaggi interlimitari, il dover andare da un lato all’altro della galassia in un colpo solo gli provocava notevoli fastidi, per un mago come lui perdere del tutto il contatto con le essenze circostanti era una cosa estremamente seccante. Eppure lo aveva fatto, aveva attivato i motori della sua piccola navicella, di per se questa avrebbe si e no potuto andare non più lontano di una decina parsec, ma i vantaggi di essere un mago erano notevoli, adesso quella navetta, con imbrigliate al suo interno numerose essenze, era in grado di attraversare la galassia, rivaleggiando con le grandi corazzate di ultima generazione.
Era da tre giorni che girava quel settore stellare, e ancora non si era imbattuto in nessuna delle reti che Lui doveva aver sicuramente lanciato; eppure doveva essere in zona, percepiva la sua scia, non doveva essere lontano, lo sentiva, eppure…
Finalmente, due giorni dopo, mentre vagava nel vuoto interstellare, percepì qualcosa, un’onda che si propagava per l’universo, finalmente l’aveva trovata! Non era facile percepirla, a meno che non la si stesse cercando era impossibile distinguerla dal rumore di fondo presente nello spazio; eppure c’era riuscito, aveva trovato la rete! Adesso mancava solo il pesce e il pescatore.
Il pesce era facile da trovare, bastava seguire la rete. Ma il pescatore? Quando sarebbe arrivato?
 
Poi finalmente i suoi sensori percepirono qualcosa, un flusso di energia, quel flusso di energia, lo aveva trovato, il pescatore stava tirando la lenza!
 
Senza indugi ordinò mentalmente alla nave di fare rotta verso quel sistema solare, sperava di essere ancora in tempo. Le stelle si deformavano mentre i motori a repulsione entravano in azione, lanciando la nave a miliardi di chilometri di distanza. Quando giunse nel sistema si accorse di aver trovato la rete troppo tardi; ormai Lui se ne era andato, lo testimoniavano i relitti delle corazzate, che andavano alla deriva nello spazio, e il sole alle loro spalle, che lentamente si spegneva, diventando sempre più pallido. I suoi sensori registravano soltanto una colonia di qualche decina di migliaia di abitanti, in altre circostanze li avrebbe aiutati, ma adesso aveva bisogno di tutti il suo potenziale per fare quello che doveva fare. La colonia era piccola, si disse, avrebbe presto trovato un altro pianeta da colonizzare, ce n’erano così tanti nella galassia.
 
Adesso aveva una traccia fresca, e Lui aveva appena “mangiato”, poteva farcela. Presto lo avrebbe trovato e fermato, una volta per tutte.

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Capitolo 4
*** III ***


Cap III
 
Il raggio si spense, il nucleo venne trasferito nella camera di assorbimento, i reattori riversarono enormi quantità di energia in quei congegni, togliendole ai sistemi della nave. La Relios, lenta, resa goffa dalla mancanza di potenza al timone si diresse fuori dal quel sistema solare, andandosi a nascondere in una nube di gas a pochi anni luce da lì, mentre i complessi meccanismi della nave smembravano pezzo dopo pezzo quel nucleo appena rubato, dando in pasto ai meccanismi di raffinamento fiumi di energia grezza, pronta a essere resa utilizzabile.
 
I due occhi marroni osservavano gli indicatori dell’assorbimento, senza più nessuna traccia della furia che li aveva controllati poco prima, erano tranquilli, assonnati, come dopo un abbondante pasto. Con tutta calma la mano si allungò su un pulsante, lo premette, una voce avvisò che la rete era stata ritirata, mentre i sistemi della nave entravano in stand by per velocizzare la raffinazione. Le luci, salvo quelle di emergenza, si spensero, i sensori ridussero il loro raggio d’azione, le armi andarono off-line, il generatore di gravità venne portato al minimo; tutta la Relios stava come dormendo, cullata dai venti stellari. La mano si ritrasse dal pannello, ritornando nell’ombra; le due iridi si concessero un po’ di riposo, chiudendosi e cadendo in un sonno leggero.
 
***
 
La nave di Quinn, la Rhaedius uscì dalla repulsione entrando in navigazione ordinaria, i gas della nebulosa la circondavano, oscurando i normali sensori di navigazione, ma non disturbando affatto le essenze nella nave che, incuranti degli strati di nubi ionizzate, scandagliavano quel settore dello spazio alla ricerca della loro preda.
Ed eccola, nel punto più profondo della nebulosa, dove i gas formavano una coltre quasi impenetrabile, si trovava una nave delle dimensioni di una corazzata, con scudi rotanti, reattori in funzione, le armi in linea, tutti i sistemi in allerta. Quinn alzò gli scudi, attivò le armi, iniziò a salmodiare, finché i suoi sensi non si fusero con i sensori della nave, diventando una cosa sola; i geroglifici incisi sulla nave iniziarono a brillare, mentre questa usciva dalla nube in cui si era nascosta. L’altra nave aprì il fuoco, i disgregatori colpirono la Rhaedius, ma rimbalzarono via al contatto con gli scudi. Quella nave aveva scudi capaci di resistere ad armi molto più potenti di quelle, e Lui lo sapeva, non avrebbe mai aperto il fuoco con quelle armi su di lui… c’era qualcosa di strano, Quinn lo percepiva chiaramente, mentre compiva una manovra evasiva scansionò a fondo l’altra nave… contrabbandieri! Ecco cos’erano! Si era sbagliato, Lui non era lì!
Un altro colpo, non potevano fargli danni quei colpi, ma erano ugualmente fastidiosi, prese il controllo delle armi, mirò ai loro disgregatori, infuse parte del suo potere in quei colpi, poi sparò. I raggi superarono la distanza che li separava in un lampo, attraversando gli scudi e distruggendo i sistemi d’arma; poi sparò ancora, colpendo i motori e disabilitandoli. La nave era in balia delle correnti gravitazionali, l’ultimo colpo doveva aver annientato i reattori, e adesso un incendio divampava per la nave, che, senza energia, senza vita, rollava nella profondità della nebulosa. Quinn si disconnesse mentalmente dalla nave, impostò la rotta per tornare da dove era partito e abbandonò la nebulosa, senza più curarsi dei contrabbandieri.
 
Tornato a Hesid iniziò ad analizzare tutte le tracce di reattori della zona, la sua nave emetteva glifi di un colore azzurro acceso, che si disperdevano nello spazio, facendo brillare scie di navi altrimenti invisibili. E lì, nel mezzo di questa spirale di luci azzurre, c’era Quinn, dentro la sua nave, con gli occhi chiusi e i muscoli tesi, mormorando parole oscure, mentre lentamente le scie delle navi si disperdevano, una dopo l’altra, finché non ne rimase solo più una, quella che cercava lui.

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Capitolo 5
*** IV ***


Cap IV
 
I due occhi erano inquieti, vagavano sulla plancia di comando, tracciavano rotte, ingaggiavano combattimenti, viaggiavano per migliaia di parsec, e poi tornavano sempre a fissare quel punto, il punto, il riferimento di tutte le coordinate galattiche, l’origine, l’unica stella che, pur provandoci, non erano riusciti a pescare, il Sole. Ricordavano ancora tutto alla perfezione, i raggi di disgregatori che si abbattevano sugli scudi, rimbalzando inerti, le armi che aprivano il fuoco, facendo scempio degli incrociatori avversari; l’ inarrestabile marcia verso la stella, e poi, all’improvviso, quella nave, sbucata dal nulla, come per magia, che colpiva la Relios con raggi di enorme potenza, aprendo falle sullo scafo, massacrando i circuiti interni, ferendola profondamente. Ricordavano di aver risposto al fuoco, con ogni arma a disposizione, ma era inutile, quegli scudi erano impenetrabili, erano quasi vivi, si modificavano a seconda delle necessità; ricordavano la cruenta battaglia, i raggi che illuminavano lo spazio, che facevano splendere di mille riflessi lo scafo della Relios, ricordavano quella specie di fastidioso insetto che vi ronzava intorno, provocando alla nave mille piccoli tagli, mille piccole ferite da cui guarire; ricordavano quello scontro fra titani, quasi alla pari, erano anni che non vivevano uno scontro simile, erano anni che non brillavano di divertimento, mentre cercavano di eliminare quell’ostacolo; e poi, cambiò tutto… da quella nave partì un’onda, un’onda trasparente, che investì in pieno la Relios, e in quel momento, per la prima volta nella loro vita, sentirono la maledizione che li colpiva, che li imbrigliava, che li costringeva in quella forma, che li mutava profondamente, per sempre. Ricordavano come, con le loro ultime riserve di energia, erano riusciti ad attivare la propulsione, scomparendo all’orizzonte, al sicuro. Dopo, gli occhi ricordavano solo di essersi riaperti, ancora una volta, volgendo il loro sguardo famelico per tutta la galassia, alla ricerca di nuove stelle, di nuova energia. Dopo, ricordavano solo di essere diventati il pescatore.
 Ora quelle stesse iridi marroni vagavano per la mappa della galassia, alla ricerca di nuovo nutrimento, di nuove sfide, la mano era protesa sul pad, pronta a far scomparire nuovamente la nave, ma improvvisamente ricadde, gli occhi si concentrarono su una spia, su una piccola lucina che si accendeva a intermittenza, gli occhi si incresparono di una luce misteriosa, un insieme di divertimento, di furia sanguinaria e di desiderio. Sapevano che li aveva trovati, alla fine, non aveva senso scappare, l’assorbimento era ormai completo, la nave pulsava di energia, potevano permettersi di attenderlo.
 
***
 
Il volto grigio di Quinn sorrideva, l’aveva trovata, era quella giusta, finalmente l’aveva localizzata; c’erano voluti due giorni di continue ricerche, di scansioni con i sensori interni e di incantesimi di ricerca per isolare la traccia giusta. Doveva ammetterlo, con il passare del tempo Lui era migliorato, la sua nave era molto più difficile da trovare adesso, doveva aver imparato la lezione. Chiuse gli occhi, si concentrò su quella scia, sentì pian piano la mente abbandonare il suo corpo, uscire dalla nave, raggiungere quella striscia azzurrina, l’unica traccia della direzione presa dalla Sua nave, la seguì, percorse con la mente miliardi di chilometri, fino a raggiungere il suo obiettivo. Questa volta voleva essere sicuro di non sbagliare. Infine, accertatosi di aver trovato la scia giusta, tornò indietro. Sapeva di essere stato individuato, ma poco importava, era riposato e con le riserve di essenze piene, era pronto, proprio come lo era Lui.

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Capitolo 6
*** V. ***


Cap V
 
La navetta, già da qualche minuti rilevata dai sensori, comparve finalmente a pochi chilometri di distanza. I due occhi ammiccarono quando videro i glifi che si spandevano dal veicolo, evidentemente loro non erano stati gli unici ad apportare modifiche al loro vascello in quel periodo.
 
Una spia lampeggiante attrasse la loro attenzione, una richiesta di contatto da parte sua… patetico… non si degnarono di rispondere. La Relios aveva gli scudi alzati e le armi in linea, e i sensori segnalavano che l’altra nave fosse ugualmente preparata…
Trascorsero alcuni minuti, tutti e due aspettavano la mossa dell’altro. Poi, improvvisamente, la mano guizzò fuori, e premette una serie di comandi; immediatamente la nave iniziò a sparare, i grandi cannoni al plasma iniziarono a scaricare i loro colpi sugli scudi del piccolo vascello, che sembrava non subire nessun danno, i sensori registravano strane fluttuazioni di energia in quegli schermi, ondeggiavano, presentando sempre al colpo in arrivo la zona più carica di energia, oppure lo deviavano, sfruttando il moto rotatorio. Poi, all’inizio lentamente, poi sempre più veloce, la Rhaedius si mise in movimento, aprendo anche lei il fuoco, raggi multicolori illuminavano lo spazio mentre le due navi si avventavano l’una contro l’altra, in uno scoppio di colori. Le armi della Rhaedius, per quanto potenti, non riuscivano a fare breccia negli scudi avversari, stessa cosa anche per la Relios. Dopo alcuni minuti di questo scontro, la mano, con la sua solita velocità, scattò verso altri comandi; all’esterno, i cannoni al plasma interruppero l’attacco e vennero ritirati; immediatamente altri cannoni si sollevarono dallo scafo.
Quinn rimase interdetto quando vide quelle grosse armi comparire all’improvviso sulla superficie della nave nemica, e rimase ancor più sorpreso quando spararono. Un colpo di un giallo intenso, non un semplice raggio come prima, ma un vero e proprio proiettile di pura energia che, quando colpì la nave, per poco non aprì una falla nello scafo. Il vecchio grigio allora plasmò un’essenza, la modificò alla radice, la rese profondamente instabile, e poi la infuse nel colpo che stava per partire, il tutto ovviamente mentre, con il resto dei suoi pensieri governava la nave, schivando un colpo che sarebbe stato quasi sicuramente fatale.
 
I due occhi osservavano con preoccupazione il picco di potenza che si registrava in prossimità delle armi del nemico; videro quella massa di energia allo stato puro ingrandirsi, crescere, diventare sempre più pericolosa, e infine partire, andando a scontrarsi contro gli scudi della loro nave. Il colpo, di una potenza devastante, aveva provocato uno squarcio nel fianco della nave. I due occhi si strinsero, come soffrendo, poi riaprirono il fuoco con quelle armi, ugualmente devastanti; sorridendo al pensiero che Quinn si scontrasse con l’energia dei nuclei delle stelle che lui stesso aveva curato.
 
Il combattimento durava ormai da mezz’ora, ed entrambe le navi erano state gravemente danneggiate, la Rhaedius perdeva liquido di repulsione da un reattore, dando la sensazione di essere immersa in una nube di vapore; a bordo della Relios invece avvampavano numerosi incendi, causati dalle falle nello scafo. Sia Quinn che i due occhi mostravano segni di fatica, dovuti ai devastanti colpi che avevano dovuto sparare e subire.
Il mago allora decise di giocare il tutto per tutto, chiamò a raccolta tutte le essenze che rimanevano, e le concentrò in un solo, unico, devastante raggio.
La Rhaedius aprì nuovamente il fuoco, e il colpo che sparò era così potente che vaporizzò completamente gli scudi avversari, e poi rimase immobile, assolutamente inerte. L’auto puntamento della Relios fece il resto, istantaneamente tre cannoni a energia stellare aprirono il fuoco, e tre proiettili di un giallo intenso attraversarono lo spazio che separava le due navi, colpendo in pieno il vascello più piccolo, passandolo da parte a parte e disintegrandolo.
 
I due occhi si rallegrarono, finalmente si erano liberati del grigio, finalmente erano liberi!
 
Poi, con lentezza ma altrettanta inesorabilità, una spia iniziò a lampeggiare. 

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Capitolo 7
*** VI ***


Cap VI
 
Era la spia dell’allarme intruso. La mano scattò fuori e premette un bottone, subito per tutta la nave si accesero luci rosse e iniziò a suonare l’allarme.
 
***
 
Quinn era su uno dei ponti inferiori della Relios. Approfittando della distruzione degli scudi avversari si era teletrasportato a bordo nella nave nemica, salvandosi dalla distruzione.
 
Sentì dei passi, molti passi, girò l’angolo, davanti a lui si trovava una precisa fila di esseri di colore nero pece, uno ordinatamente di fianco all’altro, tutti armati fino ai denti. “Droidi!” Non appena li vide questa consapevolezza colpì Quinn, che, senza indugiare oltre, si lanciò all’attacco.
 
Si gettò contro la prima fila di quegli esseri, staccando la testa al primo con un colpo, di bastone, poi puntò al secondo, che premette il grilletto, Quinn deviò il raggio, che colpì un altro droide, perforandolo; poi si girò puntò il bastone e lanciò un’essenza. La sfera di energia impatto contro un gruppo di nemici, vaporizzandoli. Il mago ormai non pensava più, lasciava che fosse il corpo ad agire per lui: affondo, respingi, spara, ruota, colpisci; ormai era un turbine incontrollabile, intorno a lui volavano teste, braccia di droidi, falciati via dal suo bastone; dalle mani lanciava glifi che facevano saltare in aria decine di droidi, ma erano sempre di più, per ogni droide che distruggeva ce n’erano tre che comparivano; eppure lui andava avanti, imperterrito, distruggendo, spezzando, facendo esplodere. Lentamente si stava aprendo un varco, i droidi iniziavano a ritirarsi, cercavano di riorganizzarsi, ma lui non lasciava loro il tempo, si gettava nuovamente nella mischia, lì dove ve ne erano di più, e li spezzava, uno dopo l’altro o più insieme, incurante dei raggi mortali che passavano intorno a lui.
 
Dopo mezz’ora di scontro il bastone iniziava a mostrare segni di cedimento; per quante essenze Quinn vi avesse infuso, era sempre un pezzo di legno, e non poteva durare in eterno. Lui stesso sanguinava da diverse ferite, provate da colpi che gli piovevano alle spalle, senza che lui potesse farci niente. Ma ormai era quasi fatta, la plancia era a poca distanza, c’era quasi riuscito; iniziò a correre, sempre più veloce. All’improvviso un ultimo gruppo di droidi sfuggiti al massacro gli si parò davanti, lui lo distrusse senza esitazione. Infine raggiunse le paratie del ponte di comando. Percepiva qualcosa in più del semplice metallo lì davanti; un semplice colpo di energia non sarebbe bastato.
Tirò indietro il bastone, caricò il colpo, infuse le sue ultime energie nel bastone, compresa un po’ della sua stessa essenza; poi fece partire il colpo, il braccio scattò in avanti, imprimendo una forza molto superiore a quella che qualsiasi braccio umano avrebbe potuto imprimere. Il basto impattò contro la paratia, il rimbombo fu così forte che fece tremare la nave, una cratere sempre più profondo si aprì nel metallo, e mentre questo crollava miseramente, Quinn osservò il suo fedele bastone, compagno di mille avventure, che si sgretolava, dopo aver dato anche l’anima in quell’ultimo, glorioso colpo.

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Capitolo 8
*** VII ***


Cap VII
 
Gli occhi osservavano impietriti quel vecchio pazzo che, nonostante l’età e la stanchezza combatteva accanitamente contro i suoi droidi di guardia; erano soldati perfetti quelle macchine, nessuna paura, nessuna esitazione, fedeli fino alla morte, completamente sottomessi a lui, composti da una lega plastica quasi indistruttibile, armati di raggi a particelle, dotati di un elaboratore personale e di uno centrale, in grado di prevedere le mosse del nemico, e di anticiparlo. Osservava quelle meraviglie della tecnologia fatte a pezzi da un vecchio pezzo di legno e da un uomo ancora più vecchio; e in cuor loro ebbero paura, e ripensarono a una scena, avvenuta molti anni prima, una scena remota e quasi dimenticata, eppure sempre rimasta presente nella sua mente, anche se a livello inconscio.
“Erano in una piazzetta, era un caldo pomeriggio di inizio estate sulla Terra, e i due occhi e un altro ragazzo stavano parlando animatamente seduti su una panchina.
«Ti dico che non è possibile, è una cosa che va contro le più profonde leggi fisiche! Non puoi tramutare questo foglio di carta in un gatto, sono formati da elementi troppo diversi, nessuno è in grado di trasformare i loro atomi! » «Certo che no! È ovvio che è impossibile, non ci proverei nemmeno!»
«E allora, come pensi di fare!??»
«Beh, ovvio, modificherei l’essenza, sarà poi lei a fare il resto! Aspetta, ti faccio vedere!» Il secondo giovane, con dei biondi capelli lunghi e gli occhi verdi, appoggiò un lungo bastone di legno fresco, appena tagliato, sul foglio di carta, chiuse gli occhi, si immerse nell’essenza, nell’anima del foglio e, lentamente, la prese, se la passò fra le mani della mente, la plasmò a suo piacimento, ci diede la forma che voleva, in quel caso, quella di un gatto. Poi riaprì gli occhi, lasciando che l’essenza modificata rifluisse nel corpo originario, operando le modifiche per cui era stata riplasmata. Dopo pochi attimi il foglio si contorse, fino a diventare un piccolo gatto rossiccio, con il pelo lungo, il muso un po’ schiacciato e le gambe storte.
«Ok, non è un gran che come gatto, però sono solo all’inizio, è già una fortuna che il gatto non sia morto… però vedrai, in un paio di mesi sarò in grado di plasmarne uno bellissimo e in perfetta forma. Quello tienilo tu se vuoi.».
Il giovane dagli occhi verdi si alzò sorridendo, e se ne andò.” Che fine aveva poi fatto quel gatto? Quegli occhi si ricordavano di averlo tenuto con loro, incuranti del brutto aspetto del felino; quell’animale gli era sempre rimasto accanto, almeno fino a quando non aveva ricevuto la maledizione. Le due iridi marroni erano sicure che fosse morto quella volta… ed effettivamente, cercando di ricordare, era così, rammentavano di aver visto il corpo senza vita del gatto, di un colore violaceo malato, crollare a terra e rimanere immobile. Probabilmente qualche drone della pulizia lo aveva buttato nei rifiuti.
Il crollo della paratia li riscosse dai loro ricordi, e una voce gioviale, una voce che non sentivano da molto tempo disse: «Quanto tempo che non ci si vede, fratello.»
 
*****
Chiedo scusa a tutti i lettori per la lunghezza del capitolo, però ho preferito farlo corto ed evidenziare il rapporto fra i due personaggi piuttosto che seppellirlo in mezzo a molte altre cose (non preoccupatevi, nel prossimo tornerò alla lunghezza standar).
Ne approfitto inoltre per ringraziare Aurelianus per i consigli che mi ha dato e che spero continuerà a darmi!
Buona lettura a tutti!

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Capitolo 9
*** VIII ***


Cap VIII
 
I due occhi si fecero sottili, cercando di capire l’inganno che gli stava giocando, non poteva essere così gioviale, stava sicuramente escogitando qualcosa. Però ormai lui era lì, e visto che erano in ballo... tanto valeva ballare.
Lentamente, con un immenso sforzo, una voce metallica,  uscì da un punto misterioso posto sotto le due iridi «Già, fratello, è passato quanto, un secolo dall’ultima volta che si siamo scontrati?» continuò «Sì, se la memoria non mi inganna sono passati cent’anni dal mio tentativo di denucleare il Sole, ho forse torto?» mentre parlavano i due occhi scandagliavano mentalmente la nave, alla ricerca di qualcosa che assomigliasse a un droide, a un arma da poter scagliare contro quell’uomo, ma evidentemente Lui doveva aver lanciato uno dei suoi incantesimi, perché non riuscivano a collegarsi a nessun sistema della nave al di fuori della plancia di comando. I loro recettori uditivi sentirono che il grigio chiedeva spiegazioni per la voce, , sul perché continuasse a pescare nuclei, già che la sua ricerca non aveva più ragione di esistere, su come avesse fatto a sopravvivere alla maledizione, su che cosa… al sentir nominare la maledizione i due occhi si infiammarono di una rabbia cieca, che gli fecero cadere la maschera di buone maniere che avevano indossato fino a quel momento «Sopravvivere dici?? Secondo te sarei sopravvissuto, piccolo dannato omino? Credi davvero che un essere organico avrebbe potuto sopravvivere a una maledizione annichilente? Eh? Non è sopravvissuto il gatto che avevi mutato, figurati se avrei potuto sopravvivere io! È solo grazie alle mie ricerche sulle navi bio-organiche e sugli armamenti a energia stellare, che secondo te non avrebbero più ragione di esistere, se la mia coscienza esiste ancora!»
 
***
 
Al sentire quelle parole Quinn rabbrividì e, temendo di aver capito tutto, pronunciò a mezza voce una formula, e d’improvviso un globo luminoso riversò un grande fiotto di luce per la stanza, sollevando così quell’opprimente penombra.
Lo spettacolo che si presentò ai suoi occhi gli fece però rimpiangere quella penombra: di fronte a lui, infatti, sulla poltrona di comando, vi si trovava un’enorme cilindro di metallo, alla cui metà si trovava una piccola vaschetta, piena di uno strano liquido trasparente e, immersi dentro, vi erano, circondati da una miriade di piccoli cavi e cavetti, due occhi marroni, comprensivi di palpebre, che lanciavano nella sua direzione sguardi omicidi; sulla sommità della macchina vi era posto in bella mostra, anche questo immerso in un liquido trasparente, un cervello, anch’esso connesso al resto del cilindro tramite lunghi e aggrovigliati cavi. A completare lo spettacolo c’era una mano, una vera mano del fratello, connessa un lungo braccio meccanico, che al momento stava contratta a pugno sulla console di comando. D’improvviso capì tutto: era impossibile che qualcuno potesse sopravvivere ad una maledizione come quella, e infatti, mentre era in fin di vita, la nave, danneggiata anche lei nei suoi circuiti organici, rilevato un valido sostituto ai vecchi elaboratori ormai morti, lo avesse salvato, almeno in parte, trasformandolo, de facto, in una vera e propria parte della nave… ora tutto aveva un senso, per mantenere in funzione circuiti di quel tipo era necessaria una quantità enorme di energia, così grande che l’unico modo per ottenerla era quello di spegnere una stella… In quell’attimo lo colse un pensiero e, aprendo di scatto gli occhi che aveva chiuso mentre pensava, urlò al fratello: «E così è questa la verità! Almeno una volta spegnevi stelle per cercare di rendere quei circuiti bio-organici meno dispendiosi, ora invece lo fai solo per rimanere in vita, un parassita, ecco cosa sei diventato, un parassita galattico!» quello che una volta era suo fratello gli rispose, incolpandolo della sua situazione; a quel punto non ci vide più, e gli disse: «Ah, e poi sarebbe ancora colpa mia! I costi energetici del tuo progetto erano improponibili, già la marina te lo aveva bloccato, ma tu hai voluto fare a modo tuo, invece che concentrarti su un modo per produrre l’energia di cui avevi bisogno hai pensato bene di rubarla! Ecco perché ti ho lanciato la maledizione, non potevo permetterti di distruggere la stella che da calore alla fonte di tutta la magia, non potevo permetterti di lasciar morire la Terra fratello, non potevo permettertelo, Etan!»
 
*****

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Capitolo 10
*** IX ***


Cap IX
 
I due occhi, una volta appartenuti a Etan si infiammarono ancora di più al sentir pronunciare il suo vecchio nome: «Non chiamarmi più così, Quinn, Etan non esiste più, tu lo hai ucciso cento anni fa, ora io faccio parte della Relios, ne più ne meno come il più misero cavetto di fibra ottica!» Mentre parlava però, il suo cervello era finalmente riuscito ad aggirare l’incantesimo del fratello, almeno parzialmente, riuscendo a riattivare soltanto un comando, ma era quello che gli serviva. «E come la Relios ha distrutto la tua nave, così distruggerà te!» e mentre parlava bracci meccanici intorno al cilindro, in meno di un secondo, lo rivestirono di un pesante esoscheletro, che, azionate le armi, sparò contro Quinn.
 
***
 
Il mago sospettava che presto o tardi il fratello avrebbe reagito, e così era pronto, con un balzo incredibile anche per un atleta nel fiore dell’età, schivò i raggi laser che andarono a scavare un cratere nel punto in cui c’era lui cinque secondi prima. Sfortunatamente non aveva più un bastone, e quindi non era più in grado di attaccare, poteva però agire in modo diverso, più sottile e sicuramente efficacie.
Etan faceva contorcere la sua armatura, cercando invano di inquadrarlo nel mirino, tentando inutilmente di colpirlo con dei pugni, pugni che Quinn si limitava a schivare all’ultimo momento, facendo però perdere energie all’esoscheletro avversario, che, nonostante la nave avesse pescato un nucleo da poco, aveva consumato quasi tutta l’energia nello scontro con la Rhaedius. La plancia era ormai un ammasso di macerie, cerchi neri mostravano dove i laser avessero cercato di colpire Quinn, crateri e ammaccature nelle pareti erano il segnale che, nonostante la mancanza di energia, gli arti meccanici dell’armatura erano in grado di essere altamente letali.
Anche il grigio iniziava a mostrare segni di stanchezza, e infatti, mentre schivava un ennesimo pugno, si inciampò in un cavo ottico, cadendo rovinosamente a terra. In un attimo Etan gli fu addosso. Per prima cosa lo immobilizzò mettendo un piede sulla sua schiena, in modo che non potesse fuggire, poi, attingendo alle ultime riserve di energia della nave, lo agganciò con il mirino e, mentre i cannoncini laser caricavano i loro colpi mortali, vide i due occhi osservare deliziati il contorcersi del suo corpo, che, schiacciato sotto il peso di diversi quintali di metallo e ormai conscio di stare per morire, tentava inutilmente di liberarsi. Finalmente le armi furono cariche e quelle due iridi marroni, luccicanti di gioia, diedero il comando di sparare.
Quinn vide due sottili raggi rossi lasciare l’alveolo di metallo che li aveva finora contenuti, e dirigersi verso la sua schiena, colpendola in pieno. Immediatamente un forte bruciore gli si diffuse per tutto il corpo, sentì i due raggi di luce concentrata scavare in profondità nella sua pelle, aprirsi un varco nella sua carne, sciogliere le vertebre, perforare lo stomaco, uscire dall’altro lato, e cicatrizzare tutto al loro passaggio. Con gli ultimi residui di vita il mago guardò negli occhi il fratello e sorridendo gli disse:
«Ti ho battuto un’altra volta!».
 
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Capitolo 11
*** X ***


Cap X
 
Al sentire quelle parole i due occhi si spalancarono di meraviglia, quella frase, era forse dovuta ai dolori che precedevano la morte? Era forse stata prodotta da un ultimo delirio prima di spirare? Etan non riusciva minimamente a capire… Osservò il corpo ormai privo di vigore del vecchio, i suoi vestiti, un tempo di un blu e viola acceso, ora era ricoperto di polvere, di macchie d’olio, di sangue; la sua pelle, già grigiognola di suo, aveva assunto quel colorito tipico dei morti, il sangue era defluito dalla sua faccia che, indurita dal rigor mortis, era diventata una maschera recante l’impronta della sua ultima sofferenza. Quell’uomo, un tempo suo fratello, ora era un inutile corpo a base di carbonio nella sua plancia, un qualcosa che, con il passare dei giorni, avrebbe appestato tutta l’aria della nave con il suo puzzo di decomposizione; andava rimosso assolutamente, si disse. E poiché tutti i droidi erano andati distrutti nell’attacco e quei pochi rimasti continuavano a essere bloccati dall’incantesimo, decise che l’unico in grado di spostarlo era lui. Si abbassò, impugnò saldamente nella mano bionica la caviglia del cadavere e, consumando le ultime risorse di energia della nave, lo alzò, dirigendosi verso il condotto di scarico. Mentre si muoveva in quella direzione sentì il peso del corpo diminuire gradualmente. Incuriosito guardò la sua mano, e vide i resti d Quinn diventare sempre più chiari, uniformi, iniziò a vedere cosa c’era dietro di lui, ormai quel corpo assomigliava ad uno spettro, finché, quasi evaporando nell’aria, non scomparve completamente, lasciando vuota la mano che lo teneva.
 
***
 
«Come dicevo: ti ho battuto ancora».
Da dietro il foro della paratia entrò ancora una volta un vecchio, grigio, con aria seria.
«Credevi che fossi così ingenuo da pensare che non avresti cercato di uccidermi? Sono sempre stato buono, ma sciocco? Non credo di esserlo mai stato.». Vide l’armatura del nemico voltarsi di scatto, alzare il braccio, armare i laser e rimanere immobile, come fosse stata congelata
«A quanto vedo non sei ancora riuscito a risolvere il problema dell’alto consumo di energia, vero Etan?» disse Quinn con un sorriso
«Anzi, sono portato a ritenere che l’attivazione di energia ti sia costato l’ultimo milliwatt di energia, è esatto?»
Il profondo silenzio che seguì la sua affermazione gli confermò di aver visto giusto. Nella mano stringeva nella mano un tubo di metallo pieno, che brillava nella penombra della stanza.
«Vedi, ero sicuro che durante il combattimento tu avessi dato fondo a tutte le tue risorse, e quindi ho pensato che fosse inutile rischiare la vita per niente, tanto valeva lasciarti consumare le tue ultime riserve di energia, e poi prenderti una volta che fossi rimasto immobilizzato. Quindi, approfittando della polvere sollevata dalla distruzione della paratia ho modellato un po’ di essenza, in modo che fosse uguale a me, e poi l’ho controllata dall’esterno…»
Man mano che parlava Quinn vedeva i due occhi marroni fissarlo con sempre maggiore astio.
«Ho inoltre utilizzato il tempo che hai passato a inseguire la mia ombra a creare un sostituto per il mio bastone. Purtroppo su questa nave di legno non ce n’è neanche l’ombra, quindi ho dovuto improvvisare.» E mentre diceva ciò faceva sventolare davanti ai due occhi marroni quel luminoso tubo di ferro che teneva in mano. Poi, improvvisamente, come ricordando una cosa, smise di sorridere:
«Su una cosa comunque avevi ragione, tu sei morto cent’anni fa.»
E così dicendo, tirò indietro il braccio, infuse potenza nel bastone e lo lanciò in avanti, colpendo l’armatura avversaria. Istantaneamente un forte lampo di luce bianca invase la stanza, accecando completamente Quinn. Pochi istanti dopo il bagliore scomparve e il mago riaprì gli occhi; dove prima si ergevano almeno trecento chili di metallo, un cervello, due occhi e una mano, ora vi era soltanto più un cratere largo un paio di metri.
 
Lentamente il grigio si sedette sulla poltrona di comando, chiuse gli occhi, si connesse al computer centrale, bypassò tutti i sistemi di controllo e di sicurezza in un attimo, grazie ad un semplice incantesimo, poi attivò l’autodistruzione.
Mentre i circuiti si surriscaldavano e lo scafo iniziava a cedere, Quinn, con gli occhi colmi pieni di soddisfazione, pensò che alla fine ce l’aveva fatta. Poi scomparve, come evaporando nell’aria..
 
La Relios esplose in un’unica vampata rossa, disintegrando ogni cosa nel raggio di diversi chilometri.
 
Un vecchio, grigio, con la tunica viola e blu, aprì gli occhi, era seduto a gambe incrociate su un tappeto; la luce solare filtrava da una finestra, da fuori il verde degli alberi e il canto degli uccelli si distingueva chiaramente, nonostante le imposte socchiuse.
«Finalmente si è svegliato maestro Quinn! Erano tre mesi che non si muoveva da lì, alcuni maestri della confraternita dei maghi stavano iniziando ad inquietarsi!»
Il vecchio si alzò in piedi, sfregando gli arti, intirizziti per la prolungata immobilità
«Sì maestro Perseo, finalmente mi sono svegliato, e ho portato a compimento la mia missione, alla fine il Pescatore è morto! Ora però, se vuole scusarmi, ho assoluto bisogno di muovermi, le dispiacerebbe continuare la chiacchierata mentre passeggiamo? »
«Mi sembra un’ottima idea maestro, tanto più se considera che oggi è il primo giorno di sole senza nuvole da una settimana.»
«Ottimo, avevo proprio voglia di tornare a vedere con i miei occhi la Terra.».
 

******
E con questo capitolo si conclude questo racconto, non mi rimane quindi altro da fare che ringraziare quei poveretti che mi hanno seguito fino alla fine.
Ringrazio particolarmente Aurelianus per tutti i consigli che mi ha dato, sperando non li finisca mai ed anche AleSunrise, per tutto il sostegno che mi ha fornito mentre scrivevo questo raccontino.
 
Avviso inoltre che questo è stato il primo racconto ambientato in questo universo in cui magia e tecnologia convivono, è stato il primo ma non sarà l’ultimo, ho infatti l’intenzione di approfondire questo universo, come non lo so, ma state certi che prima o poi lo farò. Quindi state all’erta, che un altro racconto come questo potrebbe giungere da un momento all’altro!
 
Ancora ringraziandovi per avermi seguito fin qui… vi auguro Buona Lettura

Saccuz

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