Un'estate insidiosa

di Amantide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bentornato al campo Percy ***
Capitolo 2: *** Grazie Grover ***
Capitolo 3: *** La pazzia dei figli di Ares ***
Capitolo 4: *** Una nottata improbabile ***
Capitolo 5: *** L'avvertimento di Poseidone ***
Capitolo 6: *** Annabeth ha voglia di fare una corsa ***
Capitolo 7: *** Scopro la vera natura delle figlie di Afrodite ***
Capitolo 8: *** Annabeth mi dà una lezione di storia dell'arte ***
Capitolo 9: *** Corriamo il rischio di fare una sosta ***
Capitolo 10: *** Combatto con una montagna ***
Capitolo 11: *** Una nuova speranza ***
Capitolo 12: *** Capisco il senso della profezia ***



Capitolo 1
*** Bentornato al campo Percy ***




Angolo dell'autrice: Ciao a tutti. Oggi pubblico la prima FF su Percy Jackson. E' un periodo che sono ossessionata da questo libro/film e questa storia ne è il risultato. :-) Vi informo che per ora ho letto solo i primi due libri (sono in attesa degli altri tre... speriamo che la feltrinelli si muova a spedirmeli perchè voglio assolutamente sapere come continua la storia!) quindi non so nulla di come va a fine la saga e tanto meno come si evolve la situazione sentimentale tra i protagonisti. Per tanto questa FF è totalmente frutto della mia immaginazione. E' la prima volta che scrivo in prima persona (di solito prediligo la terza) ma sono felice di essermi messa alla prova con qualcosa di diverso, e devo ammettere che è stato divertente calarmi nei panni di Percy e raccontarvi la storia come lo farebbe lui! Mi sono trovata a dover sostituire parole e frasi che da autrice mi piacevano molto ma che Percy non avrebbe mai detto e devo ammettere che non è stato facile, ma il libro è narrato da lui e volevo scrivere qualcosa che fosse fedele al testo originale! Concludo invitandovi a commentare, commentare, commentare (senza spoilerarmi nulla ovviamente!) Come dico sempre, le vostre opinioni sono preziose per noi autori che siamo costantemente alla ricerca del pelo nell'uovo per poter migliorare!




 
Bentornato al campo Percy



Ci risiamo. Un’altra estate stava per cominciare, e io mi preparavo a trascorrerla nel posto che più preferivo al mondo: il Campo Mezzosangue. Nonostante fossi arrivato solo da un paio d’ore non avevo perso tempo. Avevo raggiunto la casa numero tre, quella dedicata a figli di Poseidone, il che significava che era a mia completa disposizione, dato che il mio fratellastro se n’era andato alla fine della scorsa estate per lavorare nelle profondità del mare. La casa era esattamente come la ricordavo: con le pareti tinte di blu, oggetti che richiamavano il mare in ogni angolo ma soprattutto impregnata di odore di salsedine da cima a fondo.
Non avevo saputo resistere, appena arrivato avevo abbandonato i miei averi sul pavimento dell’ingresso ed ero corso fuori al molo.
Ora, con i jeans arrotolati fin sotto il ginocchio sedevo sul pontile in legno con i piedi a mollo nell’acqua e le Nereidi che mi fissavano dal fondale.
Per un attimo avevo visto il viso di una di loro trasformarsi in quello di Annabeth e la cosa non mi aveva stupito dato che erano mesi che non facevo altro che pensare a lei.
Ne erano trascorsi quasi nove da quando c’eravamo salutati l’ultima volta e questo era uno dei motivi per cui ero felice di essere qui, ritornare al campo per l’estate significava rivederla. Anche se, diciamocelo, durante la maggior parte delle nostre giornate al campo lei non faceva altro che cercare di uccidermi o mutilarmi in duello.
Si lo so, fa strano anche a me parlare in questo modo di una ragazza, ma Annabeth sa il fatto suo ed è meglio non farla arrabbiare quando ha un’arma a portata di mano. Forse era proprio questo che amavo di lei. La sua tenacia e il suo sangue freddo erano caratteristiche rare tra le ragazze mortali e poi insieme ne avevamo passate delle belle, e ad essere sincero non vedevo l’ora di partire per una altra avventura con lei.
“Percy!” Una voce terribilmente simile a quella di Annabeth mi rimbomba nella testa. ‘Ok, sto impazzendo del tutto, adesso oltre a vederla sento anche la sua voce!’ Penso mentre con i piedi faccio dei cerchi nell’acqua che infastidiscono le Nereidi.
“Percy!” La voce chiama ancora e stavolta mi giro a guardare il pontile alle mie spalle. Annabeth corre verso di me con i capelli biondi che ondeggiano al vento. Non ho nemmeno il tempo di realizzare che quella è la vera Annabeth che me la ritrovo già appesa al collo.
“Mi sei mancato Testa d’alghe!” Dice sciogliendo l’abbraccio e scompigliandomi i capelli.
“Anche tu!” È l’unica cosa che riesco a dirle con tono inebetito. Ancora non mi sembra vero.
“Anche tu?” Mi domanda alzando un sopracciglio un po’ irritata. “Tutto qui?”
Arrossisco pensando a qualcosa di meglio da dire ma lei sposta lo sguardo sull’acqua e parla prima che io riesca a mettere insieme una frase decente.
“Ah ho capito… ho interrotto una piccola riunione di famiglia…” Dice alludendo all’acqua che s’increspa ai piedi del molo.
Non sapendo cosa dire di più sensato colgo la palla al balzo e annuisco a testa bassa. “Si, beh… se vogliamo chiamarla così…”
“Taciturno come sempre?”
“Già…” Mormoro un po’ abbacchiato scrutando le onde.
“Eddai Percy! Sai come sono gli Dei! Ormai dovresti averci fatto l’abitudine!”
La verità è che non ti abitui ad essere figlio di un Dio, questo ve lo posso garantire. Annabeth dice così ma sono certo che anche lei vorrebbe poter passare più tempo con sua madre.
“Com’è andata quest’anno?” Mi chiede per cambiare discorso mentre ci sediamo sul pontile.
“Considerando che sono riuscito a finire l’anno scolastico senza farmi espellere direi… alla grade!”
Lei spalanca gli occhi e mi guarda come se non mi credesse. Effettivamente, se la scuola non fosse finita solo il giorno prima non ci avrei creduto nemmeno io. Eppure era tutto vero. Per la prima volta nella mia carriera scolastica avevo chiuso l’anno accademico senza espulsioni e mia mamma ne era stata talmente entusiasta che per festeggiare si era chiusa in cucina un giorno intero e aveva cucinato ogni dolce che possiate immaginare, ovviamente rigorosamente di colore azzurro.
Questo pensiero mi fa venire un’idea. Mi alzo di scatto e corro verso casa scalzo, lasciando Annabeth seduta al pontile che mi guarda come se fossi matto.
Recupero il mio zaino dal pavimento e trovo il tapper pieno di dolci che mia mamma ha preparato il giorno prima. Torno sul pontile stringendo la piccola scatola di plastica come se fosse qualcosa di prezioso. È giunto il momento che Annabeth sperimenti la cucina di mia madre.
“E quello cos’è?” Mi chiede accigliata fissando il contenitore.
“I dolci di mia madre… ama cucinarli e la mia promozione l’ha mandata fuori di testa, ne ha cucinati a sufficienza per tutto il campo!” Spiego un po’ in imbarazzo offrendole i dolci.
Lei sorride e ne sceglie uno ricoperto di glassa. Lo assaggia e subito sul suo viso si dipinge un’espressione stupefatta. Mia madre ha fatto centro. Il problema è che non è mia mamma ad avere una cotta per Annabeth, sono io. E io, nonostante le nostre avventure insieme, non penso di aver mai fatto colpo su di lei. Anzi, sono quasi certo che lei abbia una cotta per Luke e la cosa non mi rasserena visto che lui è più grande, più affascinate, più alto e più bello di me. Ah giusto, dimenticavo la cosa più importante, Luke è anche un traditore e sta cospirando con il Re dei Titani per distruggere l’Olimpo… ma questi sono solo dettagli!
“Bene, bene!” Esclama una voce familiare in avvicinamento. Io e Annabeth ci giriamo giusto in tempo per vedere Grover trotterellare sul molo con indosso la maglia arancione del campo. “I tuoi migliori amici tornano al campo e invece di salutarti s’imboscano a mangiare dolcetti come due piccioncini!” Il suo commento mi fa arrossire ma sono così felice di rivederlo che mi alzo per abbracciarlo e soprattutto per nascondere ad Annabeth il colore della mia faccia. Quando ho la sensazione di aver ripreso un colorito normale mi stacco da Grover dicendogli: “È un vero piacere rivederti amico! Serviti pure!”
Grover non se lo fa ripetere due volte e si siede accanto ad Annabeth che gli tende il contenitore. Lui lo studia attentamente, poi estrae il tovagliolo che avvolge i dolci e comincia a masticarlo.
Lo guardo esterrefatto mentre lui mi dice: “Cellulosa! Voi umani non sapete cosa vi perdete!”
Io e Annabeth scoppiamo a ridere, Grover era mancato a entrambi.
Poco più tardi io e Annabeth ci salutiamo, lei torna verso la casa dei figli di Atena e io e Grover ne approfittiamo per fare una passeggiata tra i campi di fragole.
 
Il giorno successivo vengo svegliato all’alba dal suono del corno che rimbomba nella valle. Apro gli occhi a fatica ma l’idea di essere al campo e di non dover andare a scuola mi basta per farmi rotolare giù dal letto. Tyson in un certo senso mi manca, lui non aveva problemi ad alzarsi presto ed era sempre curioso di sapere cosa la giornata aveva in serbo pe lui. Forse dovrei imparare da lui.
Raggiungo la Casa Grande ancora mezzo addormentato, un gran numero di eroi sono già riuniti intorno a Chirone che sta annunciando le sessioni di allenamento della giornata. Nella folla scorgo Annabeth in mezzo ai suoi fratelli e la giornata improvvisamente mi sorride. Oggi avremmo potuto allenarci insieme.
Poco più tardi raggiungo l’armeria, se Annabeth non ha cambiato le sue abitudini, la prima attività a cui si dedica la mattina è il duello con le spade. Inizio a scegliere l’elmo e lo scudo mentre mi guardo in torno nella speranza di vederla, poi una voce mi fa trasalire.
“Ehy Percy! Pronto per essere fatto a pezzi?” Mi volto e vedo Clarisse impugnare due spade, l’elmo già allacciato in testa.
“Buongiorno anche a te Clarisse!” Esclamo sorridente mentre scelgo il mio elmo. “Devo dedurre che sei felice di rivedermi?”
“Vuoi scherzare? Certo che sono felice di vederti, la mia spada ha sentito la tua mancanza!”
‘Bentornato a casa Percy!’ Penso mentre afferro lo scudo più grande di tutti, contro Clarisse mi servirà.
“Scordatelo Clarisse!” Annabeth entra nell’armeria in assetto da battaglia. I capelli che ieri ondeggiavano al vento oggi sono legati in una lunga treccia e l’espressione dolce è stata sostituita dal fuoco della guerriera che c’è in lei. “Il primo duello dell’anno Percy lo fa con me, ormai è una tradizione.”
Che poi qualcuno mi deve spiegare per quale ragione le donne in questo campo vogliono farmi a pezzi.
“Nulla di personale.” Aggiunge Annabeth mentre Clarisse prende uno scudo ed esce alla ricerca di un nuovo avversario.
“Allora Testa d’alghe, ti ricordi ancora come si maneggia una spada?” Mi chiede con il tono austero che si riserva per i duelli.
“Se non ti conoscessi bene, direi che mi stai prendendo in giro!” Le dico mentre mi preparo a togliere il cappuccio a Vortice che stringo nella mano destra.
“Allora mi conosci proprio bene Testa d’alghe!”
A quelle parole estraggo Vortice dalla tasca e attacco Annabeth frontalmente. Lei non si fa cogliere impreparata e si difende alla grande. Le nostre spade s’incrociano altre cinque volte prima di riuscire ad uscire dall’armeria. Senza rendermene conto finiamo nell’arena di allenamento, dove sono in corso almeno altri dieci duelli. La cosa importante quando combatti con una come Annabeth è non abbassare mai la guardia. Non devo farmi distrarre da quello che ci circonda. Potrei stare ore a guardarla senza staccarle gli occhi di dosso, il problema è che corro il rischio di mettermi a fantasticare su di lei e la cosa potrebbe costarmi caro. Annabeth parte all’attacco un’altra volta e sento un fendente aprirmi la coscia destra. Mi rotolo sulla sinistra per schivare un secondo attacco e sento la sua spada sferzare l’aria dove un istante prima c’era la mia testa. Ok, se qualcuno non l’avesse ancora capito sono un po’ fuori allenamento, nelle scuole per mortali non si maneggiano spade, mi domando Annabeth come diavolo faccia ad essere sempre così in forma.
Mi rialzo giusto in tempo per parare un nuovo attacco, la ferita alla coscia si fa fastidiosamente sentire, sento il sangue pulsare forte all’altezza del taglio ed è proprio in quel momento che Annabeth decide che a suo parere mi starebbe bene un’altra ferita all’altezza del costato. Sento la lama infilarsi tra l’allacciatura dell’armatura e squarciarmi la maglietta. Quando vuole Annabeth sa essere più precisa di un cecchino.
“Forza Percy!” Grover ha raggiunto l’arena insieme ai suoi amici satiri e sembra intenzionato a godersi lo spettacolo.
Rincuorato dalla sua voce trovo la forza di rialzarmi e attacco Annabeth ad una velocità che sorprende anche me. Lei ha degli ottimi riflessi e si difende come può, la mia foga la mette in difficoltà ed è costretta ad arretrare fino ai margini dell’arena. È in quel momento che riesco a disarmarla e metterla letteralmente con le spalle al muro tra le grida degli spettatori. Finalmente ho la situazione sotto controllo, impugno entrambe le spade e gliele punto al collo. Lei mi guarda soddisfatta, evidentemente il combattimento è stato di suo gradimento, forse sono riuscito ad impressionarla. Ho ancora il fiatone e sento il sangue gocciolarmi lungo il fianco ma non mi azzardo ad abbassare le armi.
“Non ci siamo Percy.” Mi dice con le lame che le sfiorano la gola. “Ci sono andata piano e guarda che ferite ti ritrovi!” Mi apostrofa lei con  faccia schifata ammiccando ai miei tagli che sanguinano copiosamente. Mi sento ferito nell’orgoglio, le sento bruciare è vero ma sono le solite ferite che ti ritrovi alla fine degli allenamenti, o almeno credo. Abbasso lo sguardo per controllare l’entità della ferita alla coscia che ha ripreso a pulsare intensamente ed è in quel momento che Annabeth ne approfitta per assestarmi un calcio in faccia.
‘Grazie Annabeth!’ Penso mentre cado a terra rotolando sul fianco ferito, le mani a coprire il volto tramortito dal calcio della mia avversaria. E mentre mi gusto il sapore del sangue misto a quello della sabbia, sento i passi di Annabeth che si avvicina alle mie spalle.
“Mai abbassare la guardia Testa d’alghe!” È il suo unico commento mentre mi aiuta ad alzarmi. “Andiamo… in infermeria sentono la tua mancanza!”

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Capitolo 2
*** Grazie Grover ***


Angolo dell'autrice: Ciao a tutti voi che state leggendo la mia storia. Vi ringrazio per le recensioni e soprattutto per i vostri giudizi positivi. Siete troppo buoni! Ed è per questo che ho deciso di premiarvi con il secondo capitolo! L'ho scritto in tempo record perchè avevo le idee già ben chiare e sono felice di essere riuscita ad inserire un po' di leggerezza e comicità nella storia. Ma non vi dico altro... leggerete tutto da voi e capirete a cosa mi riferisco! ;-) Finisco solo specificando che l'età dei ragazzi non corrisponde a quella dei libri. Come ho già fatto presente a qualcuno che me l'ha chiesto, ho preferito immaginarli più grandi in modo da poter sviluppare meglio la storia. Scusate se l'altra volta mi sono scordata di precisarlo! Buona lettura e mi raccomando non abbiate paura di commentare! Io son qui che non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate! A prestissimo!



 
Grazie Grover



Nel corso delle passate estati avevo perso il conto delle volte in cui ero finito in infermeria. Solo il primo anno Luke mi aveva procurato una quantità di ferite con la spada che mi sarebbero bastate per l’eternità. Clarisse non era stata da meno, anche se lei , essendo figlia del Dio della guerra prediligeva armi più brutali e decisamente meno convenzionali rispetto alla solita spada. L’avevo vista maneggiare ogni genere di arma: mazze chiodate, asce e lance erano solo alcune delle armi che aveva nel suo arsenale, e nel corso della passata estate le avevo sperimentate quasi tutte sulla mia pelle. L’anno scorso quel pazzo di Tantalo aveva avuto la brillante idea di reinserire la storica corsa con le bighe, cosa che aveva mandato quasi tutti su di giri rendendo la gara ancora più pericolosa. Dovevo ringraziare Tyson se ne ero uscito quasi illeso, le sue invenzioni mi avevano letteralmente salvato la pelle. E come se tutto questo non fosse sufficiente, riuscivo a farmi del male anche nel corso degli allenamenti individuali. La parete di free-climbing e il percorso a ostacoli mietevano una vittima più o meno a settimana e io ovviamente ero stato una di quelle.
“Avanti, siediti qui e comincia a toglierti la maglietta. Io vado a chiamare qualcuno.” Mi dice Annabeth appena raggiungiamo l’infermeria che è allestita come un ospedale da campo.
Mi siedo su una branda e comincio a slacciarmi l’armatura. La sfilo e mi rendo conto che è impregnata di sangue più di quanto mi aspettassi.
‘Certo che Annabeth poteva anche andarci un po’ più piano!’ Penso tra me e me mentre mi sfilo quello che resta della maglietta mezza squarciata.
Annabeth rientra accompagnata da un satiro anziano e un bicchiere in mano.
“Inizia col berti questo.” Dice porgendomi il bicchiere.
Il Nettare è un’altra di quelle cose che mi mancavano del campo. Berlo è qualcosa d’indescrivibile. Ne bevo una sorsata e subito mi sento meglio, come se quel liquido divino avesse il potere di mandarmi l’adrenalina alle stelle.
Sono talmente inebriato da quel sapore che non mi accorgo nemmeno che il vecchio satiro mi sta sciacquando la ferita.
“Temo che questa volta l’acqua non basterà…” Mormora il satiro osservando con attenzione il taglio. Abbasso lo sguardo e per la prima volta vedo che bel lavoro ha fatto Annabeth. Il taglio sul costato è netto e molto profondo. Le scocco un’occhiata e lei mi guarda come per dire ‘non è colpa mia se sei fuori allenamento!”, poi torno ad osservare la ferita preoccupato. Due anni fa avevo scoperto che l’acqua era in grado di curarmi, il suo contatto faceva riassorbire graffi e piccoli tagli, ma in questo caso anche il potere di mio padre sembrava limitato. Il satiro continua a rovesciarci acqua speranzoso. Mentre io osservo la ferita ripulirsi, i lembi di pelle stracciati si riallineano ma il taglio è talmente profondo da rimanere ben visibile.
“Questa è opera tua Annabeth?” Chiede il satiro con leggerezza.
Lei annuisce quasi soddisfatta mentre a me sale il nervoso. Sembra quasi che ci provi gusto a farmi del male. Ma lei è fatta così, ha l’animo da guerriera.
“Percy! Amico mio!” Strilla Grover scostando la tenda d’ingresso. “Non sei tornato nemmeno da ventiquattro ore e già ti trovo in infermeria!” Commenta divertito mentre mi assesta una pacca sulla spalla. “Stai battendo ogni record!”
Sono infastidito.
Sono al campo solo da un giorno e sono già riuscito a fare una figuraccia con Annabeth. Perdere il duello con lei non è sicuramente la migliore idea per farmi notare e adesso ci si mette anche Grover a farmi sentire un’idiota. Forse era meglio se mi facevo fare a pezzi da Clarisse. Almeno lei mi avrebbe abbandonato sul campo di battaglia e adesso me ne starei qui per i fatti miei senza nessuno che mi prende in giro.
“Qui ci vogliono dei punti!” Esclama il vecchio satiro rassegnato. “Tutti fuori, questo è un ospedale!” Aggiunge rivolto ad Annabeth e Grover che assistono curiosi. Gliene sono grato. La loro presenza non mi stava aiutando.
 
Dopo essere stato ricucito me ne torno alla casa numero tre. Questo ricovero imprevisto mi ha fatto saltare il pranzo ma non m’importa. Ho voglia di farmi un bagno. Uno di quelli come dico io. Uno di quelli che i mortali non possono fare. Appena arrivato a casa indosso il costume da bagno e corro lungo il molo, giunto alla fine mi tuffo di testa obbligando le Nereidi a scansarsi.
Il rumore dell’acqua mi riempie le orecchie mentre vengo avvolto da un turbinio di bollicine. Nuoto verso il basso e mi siedo sul fondale. Amo stare sott’acqua. Riesco a trattenere il fiato per quasi dieci minuti, è una cosa che ho imparato da piccolo e che non ho mai smesso di fare. Sott’acqua tutto mi sembra lontano anni luce, compresi i miei problemi che ho bellamente abbandonato in superficie prima di tuffarmi. Qui sotto sono a mio agio. Il movimento delle onde mi culla e l’unico suono che sento è il battito del mio cuore. Cuore che, diciamocelo, in quest’ultimo periodo è stato messo a dura prova dalla mancanza di Annabeth. D’istinto mi guardo la coscia destra, la prima ferita che mi ha inferto si è rimarginata dopo un paio di risciacqui, il fianco invece è stato ricucito, ma fa ancora male. Inizio a sentire i polmoni esigere ossigeno. Il mio tempo sta scadendo. Penso a mia madre. Penso che non sarebbe contenta di vedermi affettato da una spada, ma questa è una cosa che avrebbe dovuto mettere in conto prima di fare un figlio con un Dio.
È ora Percy. È ora di tornare in superficie ad affrontare la realtà.
A malincuore, muovo le braccia e mi do una spinta verso l’alto. Riemergo un istante dopo avido di ossigeno, apro gli occhi e vedo Annabeth seduta sul molo che mi guarda con i suoi occhi magnetici.
“Ma sei matta?” Esclamo spaventato cercando di non arrossire. “Mi hai fatto venire un infarto!”
“Io ti ho fatto venire un infarto?” Dice lei arrabbiata. “Te ne sei stato sott’acqua dieci minuti!” Mi urla con gli occhi fuori dalle orbite. “Credevo ti fossi sentito male!” Aggiunge incrociando le braccia al petto.
“Non mi sembri una che si preoccupa della mia salute!” Commento sprezzante uscendo dall’acqua e mostrandole la ferita rattoppata. In realtà sto facendo un po’ di scena, voglio vedere come reagisce lei.
 “E comunque sono figlio di Poseidone, non ci vedo nulla di strano a stare sott’acqua dieci minuti! Ma forse la figlia della Dea della saggezza non ci era arrivata!”
Lei cambia espressione. Ok, l’ho fatta grossa. Annabeth non sopporta quando si mette in dubbio la sua intelligenza.
“Volevo solo sapere come stavi Testa d’alghe!”
Me ne rientro in casa facendo una faccia poco convinta, ma in realtà sono felice di averle sentito dire quella frase. Mi vesto e decido di uscire nuovamente sul molo. Lei è rimasta fuori. Sta guardando il cielo. Forse anche lei cerca un modo di comunicare con sua madre. Mi domando se sia il caso di interromperla.
“Che fai? Mi spii?” Mi domanda voltandosi.
“No!” Esclamo preso alla sprovvista. “Ma ti pare!”
Le vado incontro mentre mi rendo conto di non essere già più in collera con lei. Mi siedo al suo fianco e rimaniamo un attimo ad osservare l’orizzonte. Sento il battito del mio cuore aumentare e mi auguro che lei non lo percepisca.
“Scusa per quella…” Dice ammiccando verso il mio costato. “Per colpa mia hai passato tutta la prima giornata in infermeria.” Aggiunge con rammarico.
“Ah, non è niente, è già quasi a posto!” Sto mentendo bellamente. La ferita mi fa ancora male, e penso che lo farà anche per i prossimi giorni, ma non voglio apparire debole davanti a lei. Non dopo quella pessima figura nell’arena.
“Il sole sta già tramontando.” Aggiunge rimirando gli ultimi bagliori di sole che si riflettono sulla superficie dell’acqua.
Si volta di scatto e mi sorprende a fissarla. ‘Dannazione che figura!’ Penso sentendomi un completo imbecille. Rimaniamo un istante a guardarci negli occhi, l’istinto di baciarla mi pervade ma sono terrorizzato dalla sua reazione. Indugio sul da farsi ancora un secondo e noto che nemmeno lei sembra riuscire a staccarmi gli occhi di dosso.
“Hai ragione… il sole sta tramontando.” Balbetto ancora completamente rapito dai suoi occhi.
“Sai cosa significa questo?” Mi chiede avvicinandosi con uno sguardo che la dice lunga.
“Che voi due state per perdervi la cena, ecco che cosa significa!” Grida Grover alle nostre spalle facendoci sobbalzare.
“Mie Dei! Ma da quanto ci stava guardando?” Sibila Annabeth indignata mentre ripercorre il pontile.
“E… e io che diavolo ne so!” Rispondo ancora sbigottito da tutta quella situazione mentre la seguo.
Raggiungo Grover e gli faccio un sorriso di circostanza. Mi sento un idiota. “Scusa amico.” Mormora lui. “Ma sono il tuo custode e non posso permetterti di saltare un altro pasto.”
“Si certo, come no!” Dico superandolo e avviandomi verso il cuore del campo. Annabeth ci ha seminati e non credo che sia un buon segno. Mi domando cosa sarebbe successo se Grover non ci avesse fatto un’imboscata. A quel pensiero sento le viscere contorcersi e sono convinto che non sia per la fame.
“Ehi!” Mi dice Grover assestandomi una pacca sulla spalla. “Non essere arrabbiato!” La mia faccia gli basta come risposta. In quel momento passano un paio di ragazze dai lunghi capelli biondi che fanno l’occhiolino a Grover camminando come due modelle in passerella. Il mio amico ricambia l’occhiolino e mi sussurra: “Ho un paio di cosette da raccontarti su quelle due!” Mi servo del pollo e faccio finta di non aver sentito ma lui rincara la dose. “Sono figlie di Afrodite… non so se mi spiego!”
“La vuoi smettere con questi occhiolini!” Sbotto alla sua ennesima strizzata d’occhi.
“No ma dico… le hai viste?” Mi chiede lasciandosi scappare un belato.
Mi faccio convincere a dedicargli uno sguardo più attento ed è proprio mentre mi sto rifacendo gli occhi sul loro lato B che interviene Annabeth.
“Attento, Eroe! O ti cadranno gli occhi nell’insalata di riso!” Commenta mentre cerco di ricompormi sapendo di aver fatto la figura del maniaco. ‘Grazie Grover!’ Penso mentre mi rendo conto che il mio amico si è già dileguato e sta brindando con la tavolata dei figli di Ares.
Non so cosa dire. Non penso sia una buona cosa essersi fatti beccare dalla ragazza che stavi per baciare con gli occhi incollati sul fondoschiena di un’altra. Decido che il silenzio è meglio di qualunque cosa io possa dire in mia difesa e finisco di mangiare. Annabeth mi guarda ammutolita. Forse si aspettava che dicessi qualcosa, ma la verità è che ho fatto una figura talmente pessima che ogni mia giustificazione sarebbe ridicola. Lei si lascia scappare un sospiro sconsolata e finisce di mangiare a testa bassa. Poi si alza, prende del cibo e va a bruciarlo nel fuoco come omaggio agli Dei.
Peggio di così non potrebbe andare.

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Capitolo 3
*** La pazzia dei figli di Ares ***


Angolo dell'autrice: Ciao a tutti! Sono lieta di pubblicare il terzo capitolo. Finalmente si entra nel vivo della storia. Sono proprio curiosa di sapere cosa ne pensate... a me piace molto. Spero che lo troverete divertente e appassionante. Vi avverto che questo è solo un assaggio di quello che succederà nei prossimi capitoli, spero che continuerete a seguirmi! Forza, forza, vi aspetto con i commenti!!! Buona lettura!
Ringrazio di cuore tutti coloro che si sono espressi nei precedenti capitoli e che spero lo faranno ancora!





 
La pazzia dei figlia di Ares

La mia seconda notte al campo non fu migliore della prima. Cominciavo a detestare la solitudine della casa numero tre. Sarò anche il figlio di uno dei tre pezzi grossi, ma sono comunque un ragazzo e vorrei poter passare le serate facendo tardi chiacchierando con i miei coetanei invece che passarle a rimirare il soffitto ascoltando il rumore dell’acqua in sottofondo. Non fraintendetemi, amo questa casa e apprezzo il fatto che mio padre l’abbia costruita per me, sono le regole del campo che non mi vanno a genio. Questo maledetto coprifuoco mi costringe a stare segregato in casa dopo le ventitré, e io vi garantisco che è una noia mortale. Penso a tutti gli altri ragazzi del campo che in questo momento staranno facendo festa con i loro fratelli. Tyson non mi è mai mancato così tanto. I discorsi con lui non erano certo stimolanti, ma se non altro era di compagnia. Mi stendo sul letto indeciso sul da farsi ma non resisto più di dieci minuti. Scatto in piedi come se fossi caricato a molla, indosso le scarpe ed esco di casa. Al diavolo il coprifuoco. Io sono Percy Jackson e sono impertinente di natura, le regole non sono mai state un problema per me e non lo saranno nemmeno stasera. Attraverso il bosco a passo svelto. Dubito che ci sia qualcuno di guardia ma, nel dubbio, cerco di essere il più silenzioso possibile. Mi avvicino di soppiatto alle case dedicate agli altri Dei. Come immaginavo le luci sono ancora tutte accese. Dalle finestre scorgo le sagome degli altri semidei e ascolto le loro risate che filtrano dalle abitazioni. D’un tratto mi sento stupido. Di preciso cosa sono uscito a fare? A vedere gli altri che si divertono? Non posso certo bussare alla casa dei figli di Apollo e chiedere di poter fare baldoria con loro. E tanto meno posso presentarmi a casa di Annabeth e chiederle di fare due passi. Senza contare il fatto che, dopo la serie di figuracce che ho collezionato nelle ultime ore, sarei fortunato se lei non mi lanciasse un coltello in fronte.
Improvvisamente sento un fruscio alle mie spalle. Mi volto e vedo Talia appoggiata ad un albero poco distante. Lei fa un cenno con la mano in segno di saluto e io ne approfitto per avvicinarmi.
“Ciao Percy.” Dice mentre scorgo il suo sorriso nella penombra.
“Talia!” Bisbiglio sottovoce. “Che ci fai qui?” Domando curioso mentre mi assicuro che non ci stia vedendo nessuno.
“La stessa cosa che fai tu suppongo.” Dice guardandosi le unghie un po’ annoiata. “Pensi di essere l’unico a rompersi nella sua super-villa?”
Talia ha perfettamente ragione. Non avevo mai pensato al fatto che lei ed io siamo nella medesima situazione. Anche lei non ha fratelli e si trova segregata in una reggia dalle ventitré in poi.
“È insopportabile, non trovi?”
“Si, lo è!” Dico sedendomi ai piedi dell’albero. “All’idea di passare tutta l’estate così mi viene la nausea! Che mi diano un’impresa!”
“Visto com’è andato il tuo ultimo combattimento, direi che prima di un’impresa ti serve parecchio allenamento!” Mi dice con una mezza risata.
“Ma cos’è?” Sbotto toccato sul vivo. “Grover l’ha detto a tutti?”
Talia ride. “Dai Percy! Non te la prendere. Mi hanno detto delle tue imprese passate. So quanto vali!”
Quella frase mi rasserena. A quanto pare, ai suoi occhi, non sono lo zimbello di tutto il campo.
Passeggio con Talia ai margini del bosco, parlare con lei mi fa sentire meglio. Le nostre storie sono simili, nessuno può capirmi come lei. Certo, lei ha passato parte dell’infanzia trasformata in un albero e questa è un’esperienza che non le invidio per niente.
Senza rendercene conto ci ritroviamo nei pressi della casa numero sei e proprio in quel momento vedo Annabeth dalla finestra. È di profilo e la vedo sciogliersi la treccia e pettinarsi i lunghi capelli biondi. Cerco di non fare notare a Talia che la sto osservando. Non posso fare a meno di ripensare a quanto stava per accadere sul molo.  
“Forse è ora di tornare verso le nostre case. Domani ci tocca una doppia sessione di allenamento.”
Distolgo lo sguardo dalla finestra di Annabeth e annuisco. Se non altro non ho passato la serata da solo.
Saluto Talia e mi avvio verso casa. Appena rientro mi cambio e crollo sul letto, se non altro adesso sono stanco. Chiudo gli occhi pensando all’indomani, le doppie sessioni di allenamento di Chirone sono famose per essere massacranti. Domani sarà una giornata tosta, ne sono più che certo.
 
La mattina mi sveglio prima che il corno risuoni nella vallata. Non so come sia possibile, ma sono più riposato del solito. Ho voglia di mettermi alla prova e dimostrare a tutti quello che valgo. Arrivato alla Casa Grande mi servo un bicchiere di nettare mentre Grover viene a darmi il buongiorno tutto sorridente.
“Buongiorno figlio di Poseidone!” Dice sgranocchiando una mela con gusto. Lo saluto con un cenno del capo. Sono ancora incavolato nero per il pasticcio in cui mi ha cacciato. In quel momento passa Annabeth, la vedo servirsi del nettare e avviarsi verso il campo di allenamento. Starmene qui seduto a guardarla non risolverà la situazione. Faccio un bel sospiro mentre mi alzo per raggiungerla.
“Ciao Annabeth!” Dico sorprendendola alle spalle. “ Dopo quello che mi hai fatto ieri mattina non ti aspetterai che io non voglia riscattarmi!”
Lei indossa l’armatura in silenzio e io decido di imitarla. Afferra un elmo e una spada ed esce nell’arena in cui solo ventiquattro ore prima mi ha fatto a pezzi.
“Allora?” Domando a disagio. “Che ne dici?”
Annabeth sembra decisa ad ignorarmi e non credo che sia una buona cosa. Continuo a seguirla. È diretta fuori dall’arena. Raggiungiamo la vallata che si estende tra i campi di fragole ed è proprio quando sto per tornare sui miei passi che lei parte alla carica con la spada sguainata. Schivo il suo primo attacco e rispondo con energia. Nel silenzio della vallata risuonano solo i colpi e lo stridio delle nostre spade. Annabeth ha giocato d’astuzia, mi attaccato proprio mentre stavo per abbassare la guardia, ma sono troppo carico per farla vincere anche oggi. Annabeth è ancora più agguerrita di ieri ma io non sono da meno. Non posso assolutamente farmi umiliare due volte di fila. Vorrei che ci fosse qualcuno a vederci perché mi sento un leone. Le nostre spade s’incrociano senza sosta e ad ogni colpo mi sento più forte. Annabeth arretra quasi spaventata dalla mia furia. Ci allontaniamo a vicenda e ne approfittiamo per riprendere fiato. Leggo nei suoi occhi che a perdere non ci sta e me lo dimostra partendo alla carica con un nuovo attacco. Lo paro con facilità mentre mi sposto alle sue spalle. Lei si volta, ma ormai è troppo tardi. Con la rapidità di un felino riesco a disarmarla e una frazione di secondo dopo si ritrova in ginocchio con le lame di entrambe le spade che le sfiorano la gola.
Riprendo fiato mentre continuo a puntarle le spade al collo. Lei mi guarda intensamente negli occhi e dal suo sguardo capisco che ha accettato la sconfitta.
“Adesso si che ti riconosco!” Esclama soddisfatta. Mi lascio scappare un sorriso. I complimenti di Annabeth mi hanno sempre lusingato. Richiudo Vortice e restituisco ad Annabeth la sua spada.
Lei si rialza e insieme ci avviamo verso il percorso ad ostacoli, dove ci aspetta Chirone che sta già dividendo i semidei in due squadre. La prima dovrà affrontare l’insidioso percorso il più velocemente possibile, mentre la seconda avrà il compito di rallentare gli avversari bersagliandoli con ogni genere di arma. Io e Annabeth finiamo nella squadra che deve attraversare il percorso e prendiamo posto sulla linea di partenza. Mentre aspettiamo il via, vedo Talia e Clarisse arrampicarsi sugli alberi e nascondersi nella vegetazione. Qualcosa mi dice che raggiungere il traguardo non sarà per niente semplice, ma ho Annabeth di nuovo al mio fianco e questo mi rassicura.
Chirone dà il via alla gara con uno sparo ed io e Annabeth scattiamo verso il primo ostacolo. Ci ritroviamo davanti ad un’enorme torre di legno da scalare. Per fortuna gli appigli non mancano e ci ritroviamo in cima più velocemente di quanto potessimo immaginare. Raggiungo l’apice della torre proprio mentre gli avversari cominciano a bersagliarci con le lance. Tendo una mano ad Annabeth schivandone due e appena lei sale corriamo verso il ponte sopraelevato che parte proprio dalla cima della torre. Il ponte è piuttosto pericolante ma sembra essere l’unica via per proseguire il percorso. Non ci resta molto tempo per pensare perché i figli di Efesto hanno appiccato il fuoco alla base della torre e le fiamme divampano velocemente. Io e Annabeth ci intendiamo con uno sguardo e insieme cominciamo a correre sul ponte che si rivela più instabile del previsto.
Mentre lo attraversiamo una pioggia di frecce ci coglie di sorpresa. Riusciamo a schivarne la maggior parte ma una sfiora il mio braccio destro mentre un’altra ferisce Annabeth di striscio sulla coscia.
“Tutto bene?” Le grido mentre continuiamo a correre.
“Sì, non ti fermare Percy!” Mi grida in risposta.
Ubbidisco. Continuiamo a correre ma il ponte sembra infinito e i nostri avversari sembrano decisi ad impedirci di raggiungere il traguardo illesi. Finalmente scorgo in lontananza la fine del ponte ed è proprio in quel momento che vedo uno dei figli di Ares lanciare un petardo. Seguo il suo lancio con lo sguardo e lo vedo atterrare sul ponte un metro dietro Annabeth.
“Annabeth!” Urlo in preda al panico. Ma è troppo tardi. L’esplosione sovrasta la mia voce e Annabeth non ha nemmeno il tempo di girarsi per capire cosa sta accadendo alle sue spalle. La parte iniziale del ponte salta in aria e di conseguenza tutto il resto comincia a cadere a pezzi. Mi tengo ad una corda e afferro Annabeth per un polso nell’istante esatto in cui il ponte le frana sotto i piedi. Ci ritroviamo appesi in aria a circa cinque metri di altezza ma la cosa peggiore è che sento che il mio unico appiglio sta per cedere. Annabeth è pesante e fatico a tenerla. Non sento quasi più il braccio che la sta sorreggendo e la corda mi sta letteralmente scavando un solco nel palmo della mano. Vedo la fune sfilacciarsi a poco a poco e mi rassegno all’idea che saremmo precipitati. Un istante dopo la corda si spezza e cominciamo la caduta. Ho ancora Annabeth per mano e l’unica cosa che riesco a fare è spingerla verso l’alto nella speranza che cada su di me e non sul selciato. Il mio piano funziona anche se non ricordo di aver mai preso una botta così forte. Ho la schiena a pezzi e il peso di Annabeth sul torace mi ha mozzato il respiro per qualche secondo, ma almeno lei sembra illesa.
Sento Chirone decretare la fine della gara. I nostri avversari hanno vinto. E io, a giudicare da come mi sento, ho vinto un altro giro in infermeria. Annabeth è ancora sul mio petto. La vedo rialzarsi tossendo mentre si toglie la polvere di dosso.
“Percy! Percy come stai?!” Dice chinandosi per accertarsi delle mie condizioni.
“Una meraviglia…” Mormoro ironico mentre cerco di mettermi seduto. A dire il vero sono sorpreso di essere vivo.
Vedo Chirone galoppare verso di me ed è solo in quel momento che mi rendo conto che, al momento dell’esplosione, sul ponte dovevamo essere almeno una dozzina.
Cerco di rimettermi in piedi mentre vedo la squadra avversaria scendere dagli alberi e venire in nostro soccorso. Tutti concordano sul fatto che i figli di Ares abbiano esagerato tranne Clarisse che ovviamente è dalla parte dei suoi fratelli.
“Niente di rotto, Jackson?” Mi chiede mentre zoppico il più lontano possibile da quell’inferno.
Non ho neanche la forza di rispondere. Mi siedo su una panchina e guardo Annabeth. Se l’è cavata alla grande. Ha una coscia che sanguina per via della freccia, i capelli sono bruciacchiati e ha il viso ricoperto di polvere mista a terra.
“Ehi! Tu stai bene?” Le chiedo preoccupato togliendole della fuliggine dal naso.
“Si, sto bene.” Risponde arrossendo. “Ed è solo merito tuo.” La vedo distogliere lo sguardo imbarazzata. “Perché l’hai fatto?”
“Cavalleria suppongo.” Dico con finta disinvoltura. “Ora scusami ma penso che me ne andrò un po’ a casa. Penso che tu possa capire cosa intendo se ti dico che sono a pezzi.”
Lei sorride e io mi dirigo verso casa.
 
Passo l’intero pomeriggio a letto bestemmiando per il dolore. Tutta quella cavalleria nei confronti di Annabeth mi è costata cara. ‘Speriamo che almeno sia servita a qualcosa!’ Penso cercando di distrarmi dal dolore. Devo aver dormito parecchie ore perché scorgo sull’acqua i riflessi del sole che sta tramontando.
“Ehilà!” La voce di Grover rimbomba nell’ingresso.
“Percy! Amico mio! Ti ho portato la cena!” Annuncia avvicinandosi carico di cibo.
“Grazie!” È l’unica cosa che riesco a dire.
“Non devi ringraziarmi… sono il tuo custode! Fa parte dei miei doveri!” Annuisco perché anche parlare mi costa caro e in quel momento le uniche energie che ho voglio impiegarle per mangiare.
“Va bene… visto che non sei in vena di chiacchierare direi che ora che ho portato a termine i miei compiti di custode posso andare a cenare anche io!”
“Grazie amico!” Gli dico mentre si allontana. Lui mi fa un cenno con il capo e io torno a concentrarmi sulla mia cena.
Un’ora più tardi inizio ad essere stufo di starmene a letto. Sono tornato al campo soltanto da due giorni e ho passato più tempo sdraiato che ad allenarmi. Deciso ad archiviare i dolori mi alzo desideroso di uscire. Raggiungere il molo mi sembra un’impresa ma vedere l’acqua mi fa stare meglio. In quel momento realizzo che l’unica cosa che può alleviare i miei dolori è un bel bagno. Mi do dell’idiota per non averci pensato prima. Tolgo la maglietta maledicendo tutti gli Dei e scivolo in acqua. Ci voleva proprio. Una sensazione di benessere mi pervade mentre vedo le Nereidi che nuotano poco più in là. Il tempo qui sotto sembra fermarsi, ma sono cosciente che prima o poi dovrò riemergere e combattere con i dolori dovuti alla caduta. Mi si prospetta la serata peggiore della mia vita.
Riemergo dall’acqua e mi arrampico sul pontile. Come previsto tutti i dolori tornano a farsi sentire. Cammino lungo il molo deciso a rientrare in casa ed è in quel momento che vedo Annabeth raggiungere la mia abitazione.
“Ehi Percy!” Esclama salendo i gradini del molo. “Sono venuta a vedere come stavi.”
“Ciao!” Dico sorpreso. “Diciamo che stavo meglio lì sotto.” Aggiungo ammiccando all’acqua mentre mi tampono la faccia con l’asciugamano.
Lei si avvicina e mi accarezza la guancia.
“Ti sono debitrice Percy.”
Quel contatto mi stordisce e per un attimo tutti i dolori sembrano svanire nel nulla. Istintivamente mi avvicino a lei mentre le immagini della sera prima si affollano nella mia testa.
Mi sembra di vivere un déjà-vu, con la differenza che questa volta Grover non sembra essere nei paraggi. Le nostre labbra si sfiorano ed è proprio quando le afferro delicatamente la testa con le mani deciso ad approfondire il bacio che lei si stacca e guardandomi negli occhi dice: “Percy… non posso.”
Tutti i dolori che sembravano essere momentaneamente svaniti si ripresentano molto più intensi di prima. E in più sento peso grande quanto un macigno all’altezza dello stomaco.
“Che… che cosa significa questo scusa?” Balbetto sbigottito.
Lei mi guarda e noto un velo di tristezza nei suoi occhi.
“Percy, ti prego! Non rendere le cose più difficili!” M’implora.
Sono senza parole. Un gong risuona nella vallata, comincia il coprifuoco.
“Per tutti gli Dei! È già iniziato il coprifuoco” Esclama Annabeth guardando l’orologio.
“Come scusa?” Domando sbalordito. “Mi baci, poi dici che non puoi e ti preoccupi del coprifuoco?”
Lei si mette le mani tra i capelli e sospira alzando gli occhi al cielo.
“Percy, ti prego. È complicato!”
“Cosa è complicato?” Domando. “Ti spiacerebbe essere più chiara?”
“È una storia lunga… e non sono neanche sicura che ti riguardi a dire la verità.”
“Io penso che mi riguardi eccome, visto che a quanto pare ti impedisce di baciarmi!”
“Senti, adesso devo solo pensare a come tornare alla casa dei figli di Atena, hai qualche idea?”
A quanto pare Annabeth non è esperta quanto me a infrangere le regole, altrimenti saprebbe che aggirare il coprifuoco non è poi così difficile. Decido di tenermi questo commento per me, forse posso ancora rigirare la situazione a mio favore.
“È complicato!” Le dico ripagandola con la stessa moneta. “Ti direi di restare a dormire qui ma probabilmente non puoi, dico bene?” Ok, lo ammetto, questa è una provocazione bella e buona ma mi sento ferito nell’orgoglio e onestamente tutto questo mistero da parte di Annabeth mi manda su tutte le furie. Le scocco un’occhiataccia e rientro in casa curioso di sapere cosa deciderà di fare.

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Capitolo 4
*** Una nottata improbabile ***


Angolo dell'autrice: Ciao a tutti! Finalmente potrete scoprire se Annabeth resta a dormire da Percy oppure no! Anche questo capitolo ha una buona dose di comicità ma spiega anche un po' di cose sulla storia, la mia storia, perchè quella originale ancora non so come va avanti! Mi sono arrivati il quarto e quinto libro ma non ancora il terzo! Povera me! Quest'attesa mi distrugge... ma a voi va bene, perchè nell'attesa scrivo! Ma ora basta con le fesserie, vi lascio leggere il capitolo! Grazie a tutti per i commenti!!! Vi aspetto per sapere se avrete apprezzato anche questo! Un abbraccio!


 
4- Una nottata improbabile


 
Sono furioso. Avevo pensato ad Annabeth per tutto l’anno ma a quanto pareva non si poteva dire lo stesso di lei. Nonostante le nostre labbra si fossero solo sfiorate in un leggero bacio, mi sembra ancora di assaporare quel momento. ‘Sono messo proprio male.’ Penso dandomi dello stupido. Che poi cosa mi aspettavo? So fin troppo bene che lei ha una cotta per Luke da quando erano bambini, e io che mi sono anche spaccato la schiena pensando di fare colpo su di lei. Sono un completo imbecille.
Cosa diavolo voleva dire Annabeth con quel ‘non posso’ proprio non lo so. Decido che è meglio evitare di pensarci perché più ci penso, più m’innervosisco. Cambio i vestiti bagnati e mi lascio cadere sul letto. Chissà Annabeth cosa starà facendo lì fuori.
Quasi come se avesse udito i miei pensieri la vedo comparire sulla soglia della porta, i lunghi capelli mossi dalla brezza serale.
“Percy…” Dice a bassa voce mentre le vado incontro. “Volente o nolente credo di essere bloccata qui per questa notte.” Inarco le sopracciglia come a dire che non me ne importa. “Non ho intenzione di prendermi una strigliata dal signor D per colpa tua!” Aggiunge infastidita dal mio silenzio.
“Colpa mia?” Ripeto sgranando gli occhi allibito.
“Senti, le mie intenzioni erano buone! Sono venuta qui perché non ti ho visto a cena e volevo sapere come stavi!”
“E di preciso quale parte di tutto questo sarebbe colpa mia?”
“Sei stato tu a baciarmi!” Esclama quasi stizzita.
“Certo! E se non te ne fossi uscita dicendo ‘non posso’ puoi star certa che avrei continuato.”
“Non tornare su questo argomento!” Mi ammonisce lei irritata.
“È Luke il problema, non è vero?” Chiedo mentre sento montare l’odio nei confronti del figlio di Ermes. In questo momento vorrei averlo qui davanti e farlo a pezzi con le mie mani.
“Sei fuori strada più di quanto tu possa immaginare.” Mi risponde entrando in casa. “Ti posso garantire che tutti i sentimenti che ho provato per Luke in questi anni sono andati distrutti nel momento in cui l’ho visto tradire gli Dei con i miei occhi!”
Ricordo perfettamente quel giorno, fino a quel momento anch’io avevo creduto Luke un amico.
“E allora perché non puoi?”
“Per più di un motivo.” Dice con rammarico. Sarà, ma a me non ne viene in mente nemmeno uno.
“Rifletti Percy... hai mai sentito parlare di un figlio di due semidei? No! E questo perché i semidei non hanno storie fra loro! Abbiamo un ruolo troppo importante per dedicarci ai sentimenti.”
“Partendo dal presupposto che nessuno qui sta parlando di figli…” commento perplesso “non m’importa di quello che fanno gli altri semidei o delle assurde regole cui dobbiamo sottostare!”
Tutto questo mi sembra surreale. Io detesto le regole, sono insofferente a qualunque tipo di disciplina mi venga imposta. Poco importa se si tratta delle regole di mia madre, del campo o di quelle divine. Sono sempre stato abituato a fare le cose di testa mia e ad affrontare ogni problema di pancia e non capisco come faccia una persona intelligente come Annabeth a non ribellarsi a tutto questo.
“Percy, te l’ho già detto! È complicato! E come se non bastasse ti ricordo che i nostri genitori si odiano!”
“Ancora con questa storia? Stiamo parlando di quei genitori che ci hanno abbandonati e che hanno avuto chissà quanti altri figli con chissà chi, e adesso ti aspetti che io voglia la loro benedizione per poterti baciare?”
“Percy smettila!” Sbotta Annabeth. “Questa conversazione non ha senso!”
“Ce l’avrebbe se solo tu ti decidessi a dirmi le cose come stanno!”
“Non posso farlo…” Dice quasi dispiaciuta.
Improvvisamente ricordo le parole di Grover quando me l’aveva presentata due anni fa, aveva detto qualcosa riguardo al fatto che anche a lei l’Oracolo aveva fatto una profezia.
“Annabeth…” Dico mentre un pessimo presentimento si fa strada dentro di me. “ Tutto questo… ha qualcosa a che fare con la tua profezia?” Domando cercando di sembrare comprensivo. Lei mi guarda quasi spaventata, poi abbassa lo sguardo e resta in silenzio.
Allargo le braccia sconsolato e le chiedo quello che più mi spaventa: “Parla di me, non è vero?”
Lei prende a fissare un punto indefinito della stanza e fa finta di non aver sentito. Questo suo comportamento è sufficiente a farmi capire che ho fatto centro. Respiro profondamente e alzo gli occhi al cielo.
“Annabeth, se la tua profezia mi riguarda… devi dirmelo.”
“Non sono certa che la profezia parli di te…”
“E allora perché non puoi baciarmi?”
“Non posso rischiare Percy!”
Quella frase mi uccide. Nonostante non conosca la profezia di Annabeth percepisco che la posta in gioco deve essere alta. Realizzo di essermi comportato da egoista, fino ad ora non avevo mai considerato l’ipotesi che anche altri potessero portare sulle spalle un fardello pesante quanto il mio. E in ogni caso non avevo mai pensato che Annabeth potesse essere una di loro.
“Annabeth ti prego… cosa dice la tua profezia?”
“Come ti ho già detto l’anno scorso… la conoscenza non è sempre una buona cosa.”
“Beh, almeno puoi dirmi cosa ti fa pensare che potrei essere io quello di cui parla la profezia?”
Annabeth allarga le braccia in segno di resa. “Ti dirò solo una parte della profezia…” Dice guardandomi severa. “A patto che tu non insista per sentire il resto.”
“Va bene.” Balbetto incapace di nascondere un po’ di agitazione.
Annabeth fa un profondo respiro e comincia a recitare la profezia:
 
“Da un giovane eroe ti dovrai guardare,
o il prezzo più alto finirai per pagare.
Avrà gli occhi del colore del mare,
ed un grosso fardello da portare.”
 
Sento il sangue gelarsi nelle vene. La tentazione di sentire il resto della profezia è enorme, ma ho promesso ad Annabeth che non avrei insistito.
“Quando sei arrivato qui non ti ho collegato subito alla profezia…” Mi spiega girovagando per la stanza. “Voglio dire, indubbiamente hai gli occhi più blu che io abbia mai visto… ma è stato solo quando è venuta fuori la faccenda che sei destinato a salvare o a distruggere l’Olimpo che ho fatto due più due…”
Sono nel panico più totale. Questa storia non mi piace per niente.  Indubbiamente sono di parte, ma non posso fare a meno di pensare che la profezia parli di me. Annabeth mi guarda in silenzio, penso che stia cercando di interpretare la mia reazione.
“Beh…” Borbotto cercando di mascherare il mio disagio. “Il campo mezzosangue è pieno di eroi dagli occhi blu!”
Lei mi fissa senza l’accenno di un sorriso. Ok, era meglio se continuavo a stare zitto.
“Percy… c’è un netto riferimento al mare nella mia profezia. E tu sei figlio di Poseidone! Non può essere un caso!”
Vorrei non aver baciato Annabeth. Se non l’avessi fatto ora me ne starei sdraiato sul letto a sognare di lei senza sapere nulla della sua profezia e senza avere il dubbio di farne parte.
“Ecco, lo sapevo, non avrei dovuto parlartene! Per tutti gli Dei, quanto sono stata stupida!” Dice mentre la sento imprecare in greco antico.
“Annabeth, Annabeth.” Le dico avvicinandomi con l’intenzione di calmarla. “Va tutto bene!” Metto da parte il rancore e l’abbraccio sperando di infonderle un minimo di sicurezza.
Lei mi stringe forte, cosa che mi avrebbe fatto molto piacere se solo non fossi pieno di dolori dovuti alla caduta.
“Scusa.” Mormora non appena si rende conto che la sua stretta mi provoca dolore. “Dovresti riposare.”
“Anche tu.” Dico sdraiandomi sul letto e apprezzando la morbidezza del materasso ad acqua come mai avevo fatto prima.
Lei si guarda in giro un po’ imbarazzata, ha appena notato che in tutta la casa c’è un solo letto: il mio.
“Indipendentemente da quello che dice la profezia… per me puoi dormire qui.” Le dico sperando che non reagisca male.
Per un attimo ho la sensazione che lei sia arrossita, ma poi mi volta le spalle e si toglie la felpa, la ripone con delicatezza sul tavolo e si sfila le scarpe, poi si avvicina e si stende al mio fianco.
Sento il materasso ad acqua muoversi sotto il suo peso mentre lei si mette a ridere sorpresa da quel movimento improvviso.
“Materasso ad acqua.” Spiego come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Ma non mi dire!” Esclama lei ridendo.
Mi giro di lato per guardarla meglio e un’onda del materasso la fa sobbalzare.
“Smettila!” Mi dice divertita.
“Non ho fatto niente!” Dico in mia difesa.
“Bugiardo, l’hai fatto apposta!”
Ridiamo insieme.
“Mi stai facendo venire il mal di mare!”
“Mi spiace, non so di cosa parli!” Dico ridendo. Dopo tutto è la verità, io il mal di mare non so cosa sia.
Le risate si placano e cala un silenzio imbarazzante. Mi perdo a guardarla. È bellissima.
“Annabeth…” Dico tentando di tenere a freno gli ormoni. “Sei sicura che la tua profezia m’impedisca di baciarti?”
“Più correttamente impedisce a me di baciarti.” Dice seria.
Ok, non che io sia un grande esperto di psicologia femminile, ma credo che lei mi stia palesemente dicendo che posso baciarla. Esito un istante ma poi la bacio senza pensarci un momento di più.
Lei risponde al bacio ma percepisco che è combattuta. Un istante si lascia andare cingendomi il collo e scompigliandomi i capelli, e quello dopo cerca di respingermi. Desidero baciarla da troppo tempo per smettere, ma ad un certo punto mi sento in difetto. Lei è in difficoltà e non voglio infierire. Tutto sommato ho già ottenuto più di quanto avessi sperato. Mi stacco delicatamente e la vedo riaprire gli occhi.
“Lo sapevo che sarebbe successo!” Esclama disperata mettendosi le mani tra i capelli.
“Ok, ok, non è successo niente Annabeth.” Dico mentre lei si agita mandando in subbuglio il materasso.
“Invece abbiamo fatto un casino.”
“No, non abbiamo fatto nulla di male.” Cerco di rassicurarla, ma la verità è che vorrei baciarla ancora. Lei mi guarda poco convinta e cerca di rilassarsi.
“Senti, forse è meglio che adesso dormiamo.” Dico cercando di autoconvincermi. “Al resto penseremo domani.”
Annabeth sembra accettare la mia proposta perché chiude gli occhi e cerca di dormire. Decido di imitarla e mi accoccolo al suo fianco cercando di non muovere troppo il materasso.
“Buona notte eroe.” Sussurra ad occhi chiusi.
“Buona notte Annabeth.”
 
La mattina seguente vengo svegliato dai primi raggi di sole che filtrano dalla finestra. Sono quasi sicuro che sia presto perché non mi sembra di aver udito il corno suonare. Mi volto e noto Annabeth che dorme a pancia in giù al mio fianco. Ha le guance rosate e i capelli che le ricadono in modo disordinato sul volto. Mentre la osservo vengo investito dalle immagini della sera precedente. I suoi baci ardono ancora sulle mie labbra come se fossero infuocati. Vorrei poterla baciare ancora. Ricordo ogni parola della profezia, ce le ho tutte ben stampate nella mente come se fossero tatuate. Mentre continuo a guardarla sento la porta aprirsi. Mi volto verso l’ingresso spaventato e sento la voce di Grover.
“Percy, Percy!” Urla come un matto mentre sento i suoi zoccoli avanzare sul pavimento. Mi guardo intorno cercando una soluzione a questa situazione imbarazzante. “Percy! Annabeth non è rientrata a casa questa notte! I suoi fratelli sono…” entra in camera da letto prima che io possa pensare a qualcosa da dire “preoccupati!” Conclude mentre vede me e Annabeth nello stesso letto.
“Ciao Grover.” Mi limito a dire accettando il fatto che ho appena fatto la più grossa figuraccia della mia vita. Grover mi guarda a bocca aperta e io continuo a non sapere cosa dire. Annabeth si risveglia e non appena vede Grover sobbalza per lo spavento.
“Ma che diavolo ci fai qui?” Grida presa dal panico.
“Cosa ci faccio qui? Tu cosa ci fai qui? Io sono il suo custode!” Esclama Grover che sembra essere parecchio stupito.
“Ok, ok, cerchiamo di stare calmi!” Dico cercando di prendere in mano le redini della situazione.
“Io sono calmissima!” Urla Annabeth su tutte le furie.
“E allora perché stai gridando?” Le chiedo infastidito.
“Io non sto affatto gridando!” Strilla Annabeth spaccandomi i timpani.
“Ehi, ehi, ehi!” Urla Grover cercando di sovrastare le nostre voci. “Ma dico siete forse impazziti?” Domanda mentre noi ci azzittiamo. “Potevate almeno assicurarvi che la porta fosse chiusa!”
“No, no, no, non è come pensi!” Dico sperando di mettere le cose in chiaro. Annabeth si è sotterrata sotto le coperte per la vergogna.
“Amico! Non ti hanno insegnato a mettere una cravatta sulla maniglia?”
“Per tutti gli Dei, Grover! Non è come pensi.”
Sentiamo il corno risuonare nella vallata.
“Bene, tempo scaduto!” Esclama Grover. “Ora è meglio che voi due vi prepariate per la colazione.” Poi si rivolge ad Annabeth. “Ed è meglio che tu pensi ad una scusa plausibile… ne avrai bisogno.”

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Capitolo 5
*** L'avvertimento di Poseidone ***


Angolo dell'autrice: Ciao lettori! Il quinto capitolo è pronto per la lettura! Ci tengo a ringraziare personalmente tutti voi che state seguendo la storia perchè mi state dando un sacco di soddisfazioni. Un grazie di cuore a tutti quelli che stanno commentando, ad ogni capitolo si aggiunge sempre qualcuno di nuovo ed è fantastico vedere in quanti state apprezzando la storia! Adesso via con la lettura e poi sotto con i commenti! Vi aspetto tutti con grande curiosità! Buone feste! :-)


 
L'avvertimento di Poseidone


 
Vedo Grover lasciare la stanza facendo un gran baccano con gli zoccoli. Mi volto e mi accorgo che Annabeth è già in piedi, si è rimessa le scarpe e sta chiudendo la zip della felpa.
“Non hai una spazzola?” Mi domanda inviperita mentre litiga con i capelli che non riesce a legare in una treccia decente.
“No!” Le rispondo dal letto dove sono ancora seduto aggrovigliato nelle lenzuola. Quello di questa mattina non è certo stato uno dei miei risvegli migliori.
Lei sbuffa indispettita dalla mia risposta e finisce per legarsi i capelli in uno chignon.
Senza degnarmi di un’occhiata si avvia verso la porta.
“Ehi, ehi!” Grido quasi offeso. “Te ne vai così?” Domando avvilito.
“Percy… nel caso in cui tu non l’avessi capito, sono nei guai fino al collo!”
“Si ma…” Cerco di ribattere senza sapere bene cosa dire.
“Ti prego.” Mi dice in tono grave. “Ne parliamo dopo.”
E così dicendo lascia casa mia dopo avermi fatto passare una delle notti più belle e allo stesso tempo più assurde della mia vita.
Mi lascio cadere sul letto e sprofondo nel materasso ad acqua che profuma ancora di lei. Mentre mi perdo nei ricordi della notte appena trascorsa riaffiorano i dolori della caduta e mi rendo conto che sono più forti del giorno prima. Respiro profondamente cercando di non dar peso al dolore fisico. La mia terza giornata di allenamento non si prospetta per niente buona.
Raduno le forze e mi alzo imprecando in greco antico. Da questo punto di vista ormai Annabeth mi ha contagiato.
Dieci minuti più tardi sto camminando, o meglio zoppicando, verso il centro del campo. Sono talmente affamato che praticamente mi muovo per inerzia. Mentre faccio colazione, mi guardo intorno alla ricerca di Annabeth, non la vedo alla tavolata dei suoi fratelli e nemmeno agli altri tavoli. Spero che non prendano dei provvedimenti troppo severi nei suoi confronti. Mi siedo in un angolo deciso a finire la mia colazione e vedo Grover avanzare verso di me.
“Amico non metterti nei casini, dammi retta.” Dice sgranocchiando una lattina.
“Buongiorno anche a te Grover!” Dico scuotendo la testa sconsolato.
“Buongiorno Percy! Bene, ora che abbiamo esaurito i convenevoli possiamo finalmente parlare di cose serie… stai alla larga dai guai amico!”
“Non so di che parli!” Rispondo sorseggiando il mio nettare.
“Percy non prendermi per stupido.”
“Te lo dico di nuovo… non so di che parli.”
“Del fatto che ho passato tutta la mattina in preda al panico credendo che fosse successo qualcosa ad Annabeth, quando invece lei se ne stava bella bella tra le tue braccia! Ecco di cosa parlo!”
“Ma quali braccia? Non eravamo abbracciati!” Protesto in mia difesa.
“Ah scusa!” Dice lui ironico. “Non era tra le tue braccia! Era solo nel tuo letto!”
“Eh allora?” Dico come se nulla fosse. “È venuta a trovarmi per sapere come stavo e abbiamo parlato un po’… e poi è scattato il coprifuoco, così è rimasta a dormire da me per non rischiare di passare un guaio.”
“Ah certo! E scommetto che eravate entrambi troppo… presi per accendere il cervello e pensare che il giorno dopo i fratelli di Annabeth avrebbero notato la sua assenza!”
 “Hai ragione, non ci abbiamo pensato!” Esclamo infastidito. “Hai intenzione di farmelo pesare per il resto dei miei giorni?” Mi alzo e prendo a camminare verso i boschi sperando di liberarmi di Grover e delle sue insinuazioni.
“E comunque ti ribadisco che non è successo niente!” Grido quando sento il rumore dei suoi zoccoli che mi seguono.
“Quindi, mi stai dicendo che quello che hai sul collo non è un succhiotto?” La voce del mio amico satiro m’impietrisce.
Mi fermo di botto e mi volto tastandomi il collo con le mani. Nella fretta stamattina non mi sono nemmeno guardato allo specchio, non ricordo nessun succhiotto, ma adesso ho il terrore di sbagliarmi.
Grover scoppia a ridere e mettendomi una mano sulla spalla mi dice: “Il tuo collo è a posto, ma io ho ottenuto la risposta che volevo.”
‘Maledetto Grover e i suoi tranelli!’ Penso mentre capisco di essermi appena tradito.
Grover continua a camminare nel bosco e adesso sono io che gli vado dietro.
“Grover… ci siamo soltanto baciati.” Dico cercando di fargli capire che non do peso a quanto è successo, anche se ovviamente non è vero.
“Percy! Per amore degli Dei e di tutto l’Olimpo. Lascia stare!”
“Lascia stare cosa?”
“Percy, io non posso permettertelo, lo capisci questo?” Mi dice in tono quasi paterno. Cosa che mi fa strano, perché io un padre non ce l’ho mai avuto.
“A dire il vero no!” Dico sconsolato.
“Senti amico! Io sono il tuo custode! Il mio compito è quello di proteggerti! E non sto parlando solo dei mostri…”
“Cosa vorresti dire? Che devi proteggermi anche da Annabeth?” Chiedo ridendo.
“Anche i sentimenti se mal dosati possono rivelarsi dei mostri!” Mi sussurra all’orecchio mentre incrociamo altri satiri che stanno attraversando il bosco. “E non t’immagini neanche quanto pericolosi essi possano essere.” Con quelle parole mi saluta con una pacca sulla spalla e si unisce ai suoi simili.
Ho voglia di spaccare qualcosa. Questa storia del custode inizia a darmi sui nervi. Mi sembra di avere una balia. Una balia che in questo caso mi fa da psicologo dato che sembra conoscere i miei sentimenti meglio di me.
Cercando di non pensare a Grover e alle sue perle di saggezza, mi avvio verso l’arena, dove spero di vedere Annabeth, magari impegnata in qualche bel combattimento.
Appena arrivato mi accomodo sugli spalti e osservo i miei compagni dall’alto. L’unica donna a combattere in quel momento è Clarisse. Sento le sue urla rimbombare nel campo di battaglia e decido di fermarmi a guardarla. Passo un’ora ad osservare la sua tecnica e la sua ferocia, mentre batte un avversario dopo l’altro senza pietà. Di Annabeth nemmeno l’ombra.
Inizio ad essere stufo di starmene con le mani in mano così mi avvio verso il campo pratica per il tiro con l’arco. Conciato come sono, mi sembra l’unica attività fattibile.
Scelgo un arco e tendo la corda prendendo la mira.
“Ciao Percy!” Dice una voce familiare.
Mi volto e vedo Talia scagliare una freccia che va a conficcarsi nel centro esatto del bersaglio.
“Talia!” Dico felice di vederla.
“Ieri niente scappatelle notturne?” Mi domanda scagliando una seconda freccia che affianca la precedente con una precisione disarmante.
“Vizio superato!” Esclamo scoccando la mia prima freccia che va a disporsi vicino alle due di Talia.
“Peccato!” Mi dice scegliendo una terza freccia. “Non è male avere della compagnia!”
“Già!” Dico ripensando alla serata con Annabeth.
Allenarmi con Talia è sempre piacevole. Lei è estremamente potente e saggia. C’è sempre qualcosa da imparare con lei.
Passo circa un’ora in compagnia di Talia e di altri giovani arcieri, poi entrambi decidiamo che abbiamo fame e insieme andiamo a pranzo.
Ci serviamo da mangiare e scegliamo un posto per sederci. Non posso fare a meno di pensare ad Annabeth e continuo a cercarla con lo sguardo. Talia sta parlando ma la sua voce mi risulta ovattata perché non la sto minimamente ascoltando. Non fraintendetemi, apprezzo la sua compagnia ma in questo momento non ci sono con la testa.
“Percy? Mi stai ascoltando?”
“Come?”
“Ti stavo chiedendo se il pomeriggio ti va di allenarci un po’ con le spade.” Mi dice Talia un po’ scocciata.
“Scusami… in verità sono esausto. La caduta di ieri mi sta mettendo a dura prova, penso che me ne tornerò un po’ a casa a riposare.” Così dicendo mi alzo e me ne torno verso la casa numero tre. Attraverso i campi di fragole pensando ad Annabeth. Nonostante lei sia quasi sicuramente in punizione, non sono minimamente pentito di quanto è accaduto tra noi. Entro in casa e respiro l’odore della salsedine che caratterizza la mia dimora, oggi mi sembra quasi più intenso del solito. Attraverso l’ingresso diretto in salotto ed è esattamente in quella stanza che rischio l’infarto. Mio padre siede su una poltrona con indosso degli abiti casual. Vestito così stento quasi a riconoscerlo, mi fa sempre strano quando gli Dei si travestono da comuni mortali, ma i suoi occhi di un blu intenso quanto i miei non lasciano spazio a dubbi.
Resto paralizzato da quella visione. Non so nemmeno io se sono più stupito o incavolato. Ora che ci penso, per quanto ne so, Zeus ha vietato a tutti gli Dei di avere contatti con la loro progenie, quindi non riesco a spiegarmi la sua presenza nel mio salotto. Restiamo in silenzio a scrutarci a distanza per qualche minuto, nessuno dei due sembra in grado di rompere il silenzio.
“Percy, so bene che non ti aspettavi una mia visita.” Comincia lui mentre io resto a debita distanza, quasi fosse un animale feroce. “E come ben sai non dovrei essere qui.”
“Hai detto bene… non me lo aspettavo.” Dico in tono piatto incrociando le braccia al petto.
“Ascolta Percy…” Dice alzandosi e venendo verso di me. “Non ho molto tempo.”
“Già! Sono solo sedici anni che non hai molto tempo per me…” Dico più a me stesso che a lui mentre distolgo lo sguardo.
“Percy, sono qui per un altro motivo.” È evidente che ha captato le mie parole.
“Sarebbe?” Domando allargando le braccia seccato.
‘Prima dice di essere di fretta e poi perde tempo a fare giri di parole.’ Penso tra me e me mentre mi sale il nervoso.
“Sono qui per avvertirti… non sfidare gli Dei, figliolo!”
Ok, non so se mi manda in bestia di più quel ‘figliolo’ o la frase nel suo complesso. Io non sto sfidando proprio nessuno.
“Un po’ presuntuoso detto da un Dio, non credi?” Domando con freddezza. Lui sospira abbattuto, il nostro rapporto non è mai stato facile.
“Percy, sarò breve…”
“Te ne sarei grato.” Commento a disagio.
“So quanto è accaduto tra te e la figlia di Atena.” Dice lui andando subito al punto. Il suo tono è spaventosamente serio.
D’un tratto realizzo che se mio padre è a conoscenza di questo particolare significa che probabilmente può vedere molte altre cose. Questo pensiero mi fa sentire terribilmente in imbarazzo.
“A quanto pare non ho più diritto ad una vita privata.” Commento scocciato.
“Non è questo il punto. Dopo tutti questi anni di assenza non voglio immischiarmi nella tua vita, comprendo la tua posizione, ma ti prego di ascoltarmi.”
“Hai detto bene.” Dico con voce decisa. “Non immischiarti nella mia vita privata.” Mi allontano diretto al molo, facevo meglio a restarmene con Talia.
“Percy, ho il dovere di metterti in guardia.” La voce di Poseidone rimbomba alle mie spalle.
“Senti” dico deciso a concludere la conversazione una volta per tutte “non m’interessa se tu e Atena nutrite antichi rancori.”
“Percy non siamo né io né Atena ad opporci. I vostri sentimenti vanno al di là del nostro controllo. Ma c’è qualcun altro che non la pensa così.”
Lo guardo accigliato. Detesto sentirmi dire che la mia vita è già stata programmata. Ho già scoperto che il mio destino a quanto pare è legato ad una antica profezia e adesso mio padre viene a dirmi che anche i miei sentimenti sono sotto il controllo di qualcun altro. No, questo non posso proprio sopportarlo.
 “Non capisco a cosa ti riferisci.” Dico confuso. “Davvero pensi che qualcuno sia in grado di governare i miei sentimenti?”
“Se così non fosse, non esisterebbe una Dea dell’amore, non credi?”
“Che cosa?” Domando incredulo.
“Afrodite è su tutte le furie.”
“Afrodite?” Domando strabuzzando gli occhi. Non riesco a credere alle mie orecchie.
“Beh, adesso che mi hai messo al corrente cosa ti aspetti che faccia, sentiamo.”
“Non deviare dalla tua strada Percy… il tuo sentiero è già stato tracciato, nel bene o nel male sei destinato a grandi cose, ma l’esito delle tue imprese dipende solo da te.”
“La profezia parla di un figlio dei tre Dei più antichi, non è detto che si tratti di me!”
“Hai ragione, ma non possiamo nemmeno escluderlo, pertanto comportati come se fossi tu l’eroe della profezia.”
Un tuono improvviso mi fa sobbalzare e noto solo in quel momento che il cielo non è più terso ma velato da minacciose nuvole nere.
“Il mio tempo è scaduto, Percy.” Dice Poseidone scrutando attentamente il cielo. “Penso che mio fratello abbia voglia dirmi due parole.”
“Non hai altro da dirmi?” Domando sperando di capire qualcosa di più di questa assurda storia.
“Per stasera ho già infranto più di una regola…” Dice mettendomi una mano sulla spalla. Quel contatto mi fa venire i brividi ma non so dire se siano dovuti al suo tocco divino o al fatto che mio padre stia cercando di manifestarmi affetto.
“Non mi deludere Percy!” Si avvia verso il fondo del molo lasciandomi in balia di mille dubbi e domande.
“Come sta Tyson? Questo almeno puoi dirmelo?” Riesco a chiedere prima che se ne vada.
“Se la cava alla grande.” Risponde con un sorriso. “Ma tu gli manchi un sacco.” E con queste parole lo vedo tuffarsi in acqua e sparire tra le onde.
Resto sul molo impietrito per qualche minuto. Non so se sono più sconvolto dalla visita di mio padre o dal suo messaggio. Mentre rifletto sul suo monito, inizia a diluviare intensamente. Tuoni e fulmini irrompono tra le nuvole nere e l’acqua inizia ad agitarsi come fosse in arrivo una tempesta.
Sono certo che tra Zeus e Poseidone sia in corso una lite, e la cosa peggiore è che so di esserne la causa.

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Capitolo 6
*** Annabeth ha voglia di fare una corsa ***


Angolo dell'autrice: Scusate se vi ho fatto attendere più del solito ma finalmente mi sono arrivati i libri e quindi ero presissima dalla lettura del terzo (che ho già finito) e del quarto (che è a metà). Spero che abbiate passato tutti delle buone feste e che siate pronti per leggere questo capitolo che sono certa apprezzerete poichè spiega un bel po' di cose! Concludo ringraziandovi per l'attesa e per i commenti (a cui si aggiungono sempre persone nuove!). Vi aspetto tutti alla fine del capitolo per sapere cosa ne pensate! Non vedo l'ora!



 
Annabeth ha voglia di fare una corsa
 

La visita di mio padre mi ha sconvolto talmente tanto che sono iperattivo più del solito. Cammino per la casa irrequieto, se vado avanti così rischio seriamente di scavare un solco nel pavimento.
Mi costringo a fermarmi e cerco di riordinare le idee. Sento il bisogno di parlare con qualcuno. Il mio primo pensiero va ad Annabeth ma è da stamattina che non la vedo e pertanto mi resta un’unica alternativa: Grover. Esco di casa come una furia. Non ho idea di dove possa essere, ma farò del mio meglio per trovarlo e lo costringerò ad ascoltarmi, dopotutto è il mio custode, e sono quasi certo che questo rientri tra i suoi doveri. Attraverso i campi di fragole a passo svelto pensando a tutti i luoghi possibili in cui potrebbe trovarsi il mio amico satiro.
Dopo un paio di buchi nell’acqua decido di tornare verso i campi di allenamento sapendo che avrei sicuramente incrociato Talia e che avrebbe fatto di tutto per convincermi a combattere con lei.
Risalgo la collina con il morale a terra ed è proprio in cima a quella che mi scontro violentemente con Annabeth che arriva di corsa.
“Percy!” Mi dice massaggiandosi un braccio indolenzito dallo scontro.
“Scusa, non ti ho vista arrivare.” Dico ancora sorpreso di averla incrociata. Improvvisamente Grover diventa un lontano ricordo e capisco che quello potrebbe essere il momento ideale per parlare con Annabeth.
“Annabeth… io devo parlarti…” Dico un po’ nervoso. A dire il vero non so proprio da che parte cominciare.
“Lo so Percy… me l’hai già detto stamattina.” Distoglie lo sguardo imbarazzata. Mi sento a disagio, ho la netta sensazione che lei stia cercando di evitarmi e la cosa non mi piace.
“Si, si, lo so. Ma è successa una cosa.” Cerco di spiegare mentre l’immagine di mio padre in salotto mi assale prepotente facendomi venire i brividi.
“Percy… davvero...” Lei è sfuggevole e mentre parla cerca di allontanarsi. “Il Signor D mi ha fatto passare tutta la mattina nell’armeria… in punizione. Sono quasi le quattro e non ho ancora pranzato. Muoio di fame!”
“Ok, allora cosa ne dici se ti accompagno e mentre mangi ti racconto quello che è successo?”
“Va bene.” Si arrende mentre io tiro un sospiro di sollievo. Adesso non mi resta che decidere da che parte cominciare. È da stamattina che vorrei parlarle dei miei sentimenti ma la visita di mio padre e il suo avvertimento penso che abbiano la precedenza.
Mentre continuo a riflettere su cosa dire, Annabeth fa razzia di tutto quello che trova al buffet. Non penso di averla mai vista così affamata.
“E così il Signor D ti ha messo in punizione…” Dico sentendomi un completo imbecille. Con tutto quello che ho da dire perdo tempo a sottolineare che Annabeth è in punizione, sono un genio!
“Già…” dice lei con un sorriso di circostanza. “Ho passato tutta la mattina a lucidare elmi e spade, ma non è la cosa peggiore, perché domani mi tocca la pulizia delle stalle dei Pegasi!”
Deglutisco imbarazzato. Anche a me era capitato di dover pulire le stalle dei Pegasi e vi garantisco che non è il massimo della vita.
“Mi dispiace.” La mia voce suona sincera e lei sembra apprezzarlo, anche se è troppo impegnata a mangiare per proferire parola.
“Cosa mi dovevi dire di così importante?” Chiede sgranocchiando una mela e fissandomi con i suoi occhi grigi.
“Io… io, beh, a dire il vero è un po’ complicato…”
Lei mi guarda accigliata e mi fa sentire sotto pressione.
“Un’ora fa ho parlato con mio padre.” Dico come se fosse una cosa normale. Spero di non sembrare troppo sconvolto.
Annabeth mi fissa pensierosa con la mela davanti alla bocca.
“Ok…” Esclama dopo una breve riflessione. “Questa volta hai avuto qualche risposta?” Chiede alludendo alle mie passate conversazioni con la superficie del mare.
“No, no… non mi sono spiegato. Io gli ho parlato veramente questa volta…”
“Ti riferisci a quando senti la sua voce che ti guida, che ti dà delle indicazioni…”
“Mi riferisco al fatto che sono rientrato in casa e ho trovato mio padre in salotto!” Sbotto stufo di essere frainteso.
“Ma questo non è possibile!” Esclama Annabeth quasi turbata. “Agli Dei non è consentito entrare in contatto con noi!”
“Si, lo so… è quello che mi ha detto anche lui, ma ha fatto uno strappo alla regola per avvisarmi!” Sento che quella conversazione sta per prendere una piega assurda, ma Annabeth è figlia della Dea della saggezza e pertanto spero che sia in grado di dare un senso alle parole di mio padre.
“Avvisarti di cosa esattamente?” Chiede con una nota di preoccupazione nella voce.
“È venuto a dirmi di non sfidare gli Dei!” E mentre lo dico mi viene quasi da ridere. Annabeth invece è terribilmente seria.
“Che cosa hai fatto, Percy?” Mi chiede in tono grave. Quella domanda mi fa innervosire.
“Ti ho baciato.” Dico con naturalezza.
“Che cosa?” Mi domanda Annabeth guardandomi come se fossi matto.
Adesso sono io che la guardo come se fosse una malata di mentre. Ci siamo baciati meno di dodici ore fa e già se l’è dimenticato?
“Ok, bel tentativo ma non fa ridere!” Dico infastidito. “Ieri sera ci siamo baciati, anche se a quanto pare stai facendo di tutto per dimenticarlo! Evidentemente bacio proprio da schifo…”
“Non essere stupido!” Mi rimprovera scattando in piedi. “Mi riferivo al fatto che tuo padre si sia scomodato per un semplice bacio.”
‘Ah, quindi è così, per lei si è trattato solo di un semplice bacio… che poi a dirla tutta di baci ce ne sono stati parecchi…’ Penso tra me e me deluso dalla sua reazione.
“Ehi, Percy!” La voce di Annabeth disturba la mia fase di depressione. “Ti ho chiesto cos’altro ti ha detto tuo padre…” Insiste lei visibilmente allarmata.
“Niente…” Borbotto mesto. La reazione di Annabeth mi ha fatto passare la voglia di parlarle. “Mi ha detto di non deluderlo, eccetera, eccetera.”
“Percy… sicuro che non ti abbia detto altro?”
“Si.” Rispondo annoiato. Me ne voglio andare.
“Quindi, tu mi stai dicendo che Poseidone si è fatto trovare nel tuo salotto per dirti di non sfidare gli Dei?”
“A quanto pare…” Il mio tono di voce è talmente mogio e abbattuto che sembra provenire direttamente dagli abissi del Tartaro.
“Percy, tutto questo non ha senso…”
“È proprio per questo che ho voluto parlarne con te… sei o non sei la figlia di Atena? Speravo riuscissi a trovare un senso a tutto questo!” Spiego con tono piatto.
Annabeth resta in silenzio, la vedo alzare gli occhi al cielo come se si aspettasse una risposta direttamente dagli Dei. Mentre la guardo ammaliato ricordo un altro particolare della conversazione con mio padre.
“Ah!” Esclamo per attirare la sua attenzione. “Adesso ricordo un’altra cosa. Mio padre ha detto che Afrodite è su tutte le furie a causa di quello che è successo tra noi…”
“Che cosa hai detto?” Annabeth si volta di scatto con un’espressione che non le ho mai visto prima. È un misto di gioia, paura e curiosità. Nei suoi occhi vedo uno scintillio e ne resto sbigottito.
“Ha detto che Afrodite è su tutte le furie…” Ripeto quasi impaurito.
Resto in attesa di una spiegazione, ma la reazione di Annabeth è forse la più assurda. Senza dire una parola mi prende per un braccio e strattonandomi mi obbliga ad alzarmi. Io sono così sconvolto da sembrare un burattino nelle sue mani. Mi alzo e non appena sono in piedi Annabeth parte a correre come se stessimo scappando da chissà quale mostro. Io le vado dietro mentre nella mente mi si affollano mille domande, ma stiamo correndo così veloce che non ho fiato per pronunciare nemmeno una parola.
Scendiamo la collina alla velocità della luce, e io inciampo almeno due volte rischiando di cadere. Davanti a me vedo comparire il blocco di case disposte a ferro di cavallo e sono felice che il cortile sia sgombro, almeno non ci vedranno correre come dei disperati, e se dovessi inciampare un’altra volta non ci sarà nessuno a ridere di me.
Una volta raggiunto il cortile, Annabeth si dirige inaspettatamente verso casa mia. Stiamo correndo così veloce che andiamo a sbattere contro la porta di legno che finalmente arresta la nostra folle corsa.
“Ahi!” Dico massaggiandomi la spalla che si è dolorosamente scontrata con la porta. Annabeth non mi dà nemmeno retta, sta cercando disperatamente di aprire la porta e io comincio seriamente a preoccuparmi. Mi sembra impazzita.
“Annabeth ma che succede?” Le domando inserendo la combinazione che apre la porta. Mi guardo le spalle spaventato, comincio ad aver paura di essere inseguito da dei mostri che non vedo. Lei non risponde, spalanca la porta e mi trascina dentro richiudendola alle mie spalle. Barcollo nell’ingresso ancora stordito dal suo comportamento ed è proprio lì che fa l’ultima cosa che mi sarei aspettato. Mi bacia.
Sono così sbigottito da quel gesto che non riesco nemmeno a reagire. Il cuore mi batte a mille e ho le gambe molli. Entrambe le cose potrebbero essere dovute alla folle corsa appena conclusa, ma io penso che anche il bacio di Annabeth stia contribuendo e non poco. Finalmente riesco ad accantonare tutti i pensieri e le domande che mi assillano e mi godo quel bacio. Non ho mai visto Annabeth così. Questo bacio non ha nulla a che vedere con quello precedente. Ieri sera lei era tremendamente combattuta ed ero stato io a baciarla perché lei sosteneva di non poterlo fare a causa della profezia. Baciarla ieri era stata quasi un’impresa perché continuava a cercare di allontanarmi e di ritrarsi, ma oggi, oggi è diverso. Lei mi bacia con foga, quasi come se ne andasse della sua stessa vita. Io sono ancora in affanno per la corsa e la cosa mi dà fastidio perché sento di poter fare di meglio.
Spero con tutto me stesso che Grover non arrivi a rovinare tutto un’altra volta.
Annabeth continua a baciarmi e io non potrei chiedere di meglio. Ho le sue braccia strette al collo e respiro il suo profumo mentre lei mi scompiglia i capelli. L’unica tregua che mi concede è quando si stacca dalle mie labbra un istante per mormorare qualcosa che suona come: “Sei tu…” “Lo sapevo, sei proprio tu, Percy!”
Io la guardo e ne approfitto per riprendere fiato, ma alla quinta volta mi sento in dovere di rispondere: “Si, sono io Annabeth.” Anche se la cosa mi fa sentire un idiota perché non so cosa sto dicendo.
Inizio a preoccuparmi seriamente, non vorrei che lei fosse vittima di qualche incantesimo o qualcosa di simile.
Vorrei chiederle qualche spiegazione, ma allo stesso tempo ho voglia di baciarla ancora. Lei sembra leggere perfettamente le mie intenzioni perché riprende a baciarmi, anche se appena può continua a sussurrare ‘sei tu’ fissandomi intensamente negli occhi.
“Annabeth” riesco a dire tra un bacio e l’altro “io non capisco cosa sta succedendo…” Lei si ferma a guardarmi e finalmente dice una cosa sensata, anche se le sue parole mi sconvolgono: “Sei tu quello della mia profezia Percy, adesso lo so.”
“Non… non credo di aver capito…” Balbetto a disagio.
“Quello che hai detto prima, mi ha fatto capire che sei tu quello della profezia.”
“Non ti seguo…”
“Perché non conosci il resto della mia profezia…” Dice con aria misteriosa.
“E cosa stai aspettando a dirmela?” Il cuore ha ripreso a battere a mille ma non sono sicuro che sia un buon segno.
Annabeth prende un profondo respiro e finalmente si decide a recitare la sua profezia per intero.
 
“Da un giovane eroe ti dovrai guardare,
o il prezzo più alto finirai per pagare.
Avrà gli occhi del colore del mare,
ed un grosso fardello da portare.
Ad una Dea adirata dovrai dimostrare,
l’amore sincero, divino e mortale.
Un solo pegno d’amore la potrà conquistare,
e con esso le sue ire riuscirete a placare.
La sua gratitudine vorrà manifestare,
affinché il vostro amore possa trionfare.”
 
Annabeth mi guarda con gli occhi che brillano, ma io non sono sicuro di aver capito bene.
“Capisci?” Chiede scrutando la mia faccia dubbiosa.
“Più o meno…” Mi vergogno di ammettere che non ho capito nulla.
“Percy, avevamo già parlato della prima parte della profezia e del fatto che ti si adattasse perfettamente, ma adesso… adesso è evidente! La mia profezia parla di una Dea adirata e tuo padre è venuto ad avvisarti che Afrodite è furiosa!”
Annuisco in silenzio mentre cerco di mettere a posto tutti i pezzi del puzzle.
“È Afrodite la Dea di cui parla la mia profezia, parla di un pegno d’amore, e lei è la Dea dell’amore! Tutto torna!”
Adesso ci capisco qualcosa di più ma ho ancora dei dubbi che preferirei chiarirmi.
“Ma… per amore divino e mortale s’intente l’amore di un semidio? Cioè dato dall’unione di un Dio e un mortale?” Annabeth mi guarda come se fossi scemo.
“Certo. Cos’altro potrebbe significare?”
“Per un attimo ho pensato che si trattasse dell’amore di un Dio, quindi divino, ma mortale… cioè che ti uccide.”
Annabeth cambia bruscamente espressione, non sembrava aver minimamente considerato questa chiave di lettura. Ci riflette per qualche secondo e poi parla di nuovo. “No, non può essere come dici tu… a noi è proibito avere relazioni con le divinità!”
Il suo ragionamento fila perfettamente e ne sono più che lieto.
“E poi l’inizio della profezia parla chiaramente di un eroe, e un eroe è per forza un semidio.”
Annabeth mi si avvicina e penso che voglia baciarmi di nuovo, si ferma a un palmo dal mio naso e sussurra: “Sei tu Percy, tu sei un eroe, tu hai gli occhi del colore del mare, hai un fardello da portare e il nostro bacio ha fatto infuriare Afrodite, che è la Dea dell’amore. Adesso non ci resta che trovare questo pegno d’amore per rimettere le cose a posto.” Sembra parlare più a se stessa che con me e alla fine mi bacia di nuovo. Non pesate male, adoro Annabeth e sono felice che mi baci, ma ho la terribile sensazione che abbia scordato alcuni versi della profezia… quelli che secondo me sono i più importanti. I primi due.
Da un giovane eroe ti dovrai guardare, o il prezzo più alto finirai per pagare.
Questa storia non mi piace per niente, ma i baci di Annabeth mi piacciono eccome e finisco per dimenticarmi di farle notare questo particolare.

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Capitolo 7
*** Scopro la vera natura delle figlie di Afrodite ***


Angolo dell'autrice: Buon anno e buone feste a tutti voi! Incominciamo questo 2015 con un capitolo un po' piccante ma come sempre divertente! Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità perchè mi aspetto un sacco di commenti per questo capitolo un po' sopra le righe. Continuate a seguire la storia perchè ci saranno un sacco di altre sorprese e colpi di scena... più scrivo e più cose mi vengono in mente! Tutto ciò è meraviglioso! 
Buona lettura, vi aspetto nei commenti! :-)




 
 
7- Scopro la vera natura delle figlie di Afrodite

 
 
Nel caso in cui non fosse abbastanza chiaro, lo ribadisco: se siete un semidio scordatevi una vita tranquilla. Avevo passato due ore in casa mia solo con Annabeth, probabilmente le due ore più belle della mia vita, dal momento che Annabeth invece di parlarmi di edifici storici e strani progetti di architettura, aveva passato la maggior parte del tempo a baciarmi, ma non avevo la minima idea di quello che sarebbe successo nel corso della serata.
“Si è fatto tardi.” Dice lei mascherando un mezzo sorriso. “Direi che non è il caso di farci trovare insieme un’altra volta.”
Sorrido ripensando alle imbarazzanti scene a cui Grover ha assistito di recente.
“Sono d’accordo!”
“Allora ci vediamo a cena!” Dice lei facendomi l’occhiolino e uscendo rapidamente dopo aver controllato di non essere vista da nessuno.
Mi lascio cadere sul letto sfinito. Gli ultimi eventi mi hanno messo duramente alla prova e io sento il bisogno di tirare il fiato. Chiudo gli occhi per quelli che credo essere pochi secondi e vengo bruscamente risvegliato dal gong che annuncia la cena. Guardo l’orologio a forma di conchiglia appeso nell’ingresso e mi stupisco, altro che pochi minuti, ho dormito un’ora buona. Annabeth mi ha sfinito. Afferro la felpa ed esco prima di cadere di nuovo tra le braccia di Morfeo.
Al padiglione della mensa mi siedo al tavolo di Poseidone dove, come prevedere il regolamento, sono solito mangiare da solo o con Grover.
Quasi come se il nostro legame empatico si fosse attivato improvvisamente, lo vedo comparire tra le boscaglie e raggiungermi tutto sorridente.
“Ehilà.” Dice sedendosi al mio fianco e scrutandomi con attenzione. “Ma che hai?” Chiede curioso notando il mio aspetto sfatto e i capelli scombinati. Viste le sue prediche recenti, mi guardo bene dal raccontargli come ho trascorso le ultime ore, e soprattutto con chi. Distolgo lo sguardo alla ricerca di una risposta evasiva.
“Sono solo un po’ giù.”
“So io cosa ti ci vuole!” Esclama lui fin troppo su di giri. So per esperienza che Grover così entusiasta porta solo guai.
“Che cosa?” Domando non troppo sicuro di voler sapere la risposta.
“Una botta di adrenalina!”
Lo guardo accigliato sorseggiando del nettare. “Credo mi basti questo come adrenalina.” Dico accennando al bicchiere.
“Stasera…” Comincia lui posando le sue natiche pelose sul tavolo. “Casa delle figlie di Afrodite…”
“No!” Esclamo a voce così alta da far voltare l’intera tavolata dei figli di Apollo. “Non se ne parla.” Aggiungo rivedendo il mio tono di voce.
“Ma se non sai nemmeno di cosa si tratta!” Grover non intende arrendersi.
“Ti conosco! E quando si parla delle figlie di Afrodite tu non capisci più niente!”
“Sono figlie di Afrodite! Tutti i maschi vanno fuori di testa in loro compagnia! E se tu uscissi dal tuo tempio che puzza di salsedine un po’ più spesso… sapresti di cosa parlo!”
Io e Grover andiamo avanti a battibeccare per una buona mezz’ora.
“Senti, stasera danno una festa! E non ti permetterò di perderla!” Dice Grover sperando di avermi messo a tacere.
“E tutto questo immagino che rientri nei tuoi doveri di custode!” Esclamo sarcastico.
Lui assume un aspetto fiero e gonfiando il petto come un pavone dice: “Ovviamente!”
“Sei incorreggibile!” Commento sconsolato.
“Lo prendo per un sì! Sei un fenomeno Percy Jackson!” Grida tutto contento assestandomi una pacca sulla spalla. Per fortuna la maggior parte dei semidei ha già lasciato il padiglione e nessuno fa troppo caso alle sue parole.
“Non ho detto di sì!” Protesto.
“Alza quelle chiappe da eroe e vieni con me! Spero che il nettare ti abbia ridato un po’ di energia perché ne avrai bisogno!” Quella frase non preannuncia nulla di buono. Non conosco più di tanto le figlie di Afrodite, certo, qualche volta mi era cascato l’occhio sulle loro curve o mi ero imbambolato a guardarle per qualche attimo di troppo, ma queste cose sono all’ordine del giorno quando si tratta delle figlie della Dea dell’amore. Resta il fatto che loro passavano la maggior parte del giorno a prendere il sole e ad ammaliare gli eroi, qualunque cosa andava bene piuttosto che allenarsi con l’arco o la spada, e di conseguenza non passavo molto tempo in loro compagnia. In tutte le estati trascorse al campo, non posso certo dire di aver fatto amicizia con loro.
Grover mi afferra per un braccio e comincia a trascinarmi di forza verso il cortile principale.
“Fate largo gente!” Grida Grover mentre superiamo i figli di Efesto. “Stasera Percy Jackson va ad una festa!”
Spero vivamente che Annabeth non sia nei paraggi.
“Hai finito di farmi fare la figura dell’imbecille?” Protesto cercando di liberarmi dalla sua presa.
“Sei pronto?” Domanda con un mezzo sorriso ignorando bellamente la mia ultima protesta. Sbuffo sconsolato. L’unica cosa che mi rasserena è sapere che abbiamo perso un sacco di tempo a bisticciare a cena e adesso manca poco più di un’ora al coprifuoco, il che significa che sarò costretto ad abbandonare la festa nel giro di poco.
“Questa è la porta del paradiso, amico mio!” Annuncia passandosi una mano tra i capelli per mettere bene in mostra le corna.
“Si, si, è fantastico.” Mormoro poco convinto.
Grover spalanca la porta della casa delle figlie di Afrodite e mi trascina dentro contro voglia. L’interno è qualcosa d’incredibile. Nel corso delle ispezioni avevo visto quella casa un paio di volte ma oggi fatico a riconoscerla. Avete presente il rosa? Bene. Le figlie di Afrodite lo adorano. Prendete tutte le sfumature di quel colore e gettatele a casaccio in un appartamento e otterrete la casa delle figlie di Afrodite. Come se questo non bastasse c’è un odore di fiori talmente forte da far girar la testa e una musica soffusa che ti intorpidisce completamente i sensi.
“Ciao Percy!” Dice una voce ammaliante che precede una cuscinata. “Allora erano vere le voci che dicevano che saresti venuto alla nostra festa.” Una giovane semidea dai lunghi capelli ramati ha appena richiuso la porta d’ingresso e adesso mi fissa appoggiata all’uscio come se volesse impedirmi di fuggire. Indossa solo un babydoll rosa shocking bordato di morbida pelliccia bianca e giocherella con un cuscino fuxia a forma di cuore.
“Grover…” Bisbiglio in cerca di un sostegno morale. Troppo tardi. Il mio amico satiro si è già buttato nella mischia. Lo individuo sdraiato su un letto rotondo circondato da tre giovani semidee. Una gli sta massaggiando le spalle e il collo mentre le altre due litigano per chi debba mettergli lo smalto sugli zoccoli. Sono talmente sbalordito da quello spettacolo che resto a bocca aperta, ma subito qualcuno si preoccupa di chiudermela. La ragazza dai capelli ramati si è liberata del cuscino e adesso si è spostata di fronte a me. Il suo indice si posa sulle mie labbra prima che io riesca a dire qualsiasi cosa.
“Cercavi il tuo amico satiro, eh? Dovresti ringraziarlo, sai? Una volta scoperti i piaceri della casa numero dieci non potrai più farne a meno.” Mentre parla mi gira in torno come uno squalo e io ho quasi la sensazione di essere ipnotizzato. I suoi capelli emanano un profumo intenso e mi sembra quasi impossibile staccarle gli occhi di dosso.
“Sai, fino a prima che varcassi quella soglia credevo che non ti saresti mai fatto vivo da queste parti.” Mi prende per mano e mi guida verso il fondo della capanna. Non sono così convinto di volerla seguire ma le mie gambe sembrano muoversi da sole. La cosa non mi piace per niente. È come se il mio cervello fosse in blackout totale e io non fossi in grado di dare ordini al mio corpo. Camminando noto Beckendorf e Silena che amoreggiano appartati in un angolo. Mi sento come se mi avessero narcotizzato. Continuo a camminare dietro di lei incapace di ribellarmi. Dentro questa maledettissima casa è come se il tempo si fermasse e le figlie di Afrodite possano fare di te quello che vogliono.
“Pensavo che visto il tuo interesse per quella figlia di Atena non sarei mai riuscita a conoscerti veramente…” Continua lei mentre mi fa sedere su un divano. Un divano rosa chiaramente. “Sono in tante qui che vorrebbero conoscerti, Percy.” Adesso sale sul divano anche lei e si avvicina pericolosamente mentre continua a parlarmi con voce sensuale.
“Fi-fi-figlia di Atena?” Balbetto ammaliato dal suo profumo e dai suoi limpidi occhi azzurri. L’immagine di Annabeth mi compare vagamente davanti agli occhi ma sono troppo stordito per riuscire a metterla a fuoco.
“Parli di Annabeth?” Chiedo bloccando il suo primo tentativo di baciarmi.
“Scorda quella sapientona.” Mi sussurra all’orecchio facendomi venire la pelle d’oca. “Posso darti io tutto ciò di cui hai bisogno… Guarda Beckendorf… da quando ha conosciuto Silena non può più fare a meno di lei. Ci sarà un motivo, non credi?” E con quelle parole mi stampa un bacio sulle labbra. Io non so come spiegarlo, ma baciare una figlia di Afrodite è un’esperienza assurda. E sottolineo assurda, non bellissima. Mi sento come una marionetta nelle sue mani e ho l’impressione che possa fare di me ciò che vuole. “Sono figlia della Dea dell’amore, hai idea di cosa significhi questo?” Continua a parlarmi a un centimetro dalle labbra e io non posso fare a meno di desiderare che mi baci ancora.
Ho il fiato corto, sento il desiderio esplodermi nel petto. È come se questa giovane semidea baciandomi mi avesse reso dipendente. Fino a quel momento ignoravo i poteri delle figlie di Afrodite, ma adesso mi rendo conto di quanto possano essere pericolose anche senza saper maneggiare minimamente le armi. In un certo senso mi ricordano la maga Circe, sembrano avere più o meno lo stesso effetto sugli uomini e la cosa mi spaventa. La ragazza si siede sulle mie gambe e continua a baciarmi mentre io mi guardo bene dall’opporre resistenza. Sono così in balia degli eventi che non mi accorgo nemmeno che siamo sdraiati sul divano e che lei è sopra di me.
Vorrei parlare ma non ci riesco. Non riesco a smettere di baciarla. Sembra che sia possibile solo se lei decide di staccarsi dalle mie labbra. Lei mi toglie la felpa e mi sfila la maglietta mentre io mi rendo conto che non conosco nemmeno il suo nome. Sono a torso nudo sotto di lei e mi sento completamente impotente. Le sue mani si muovono sapientemente sul mio petto, ormai credo di essere completamente sottomesso quando succede una cosa inaspettata. Le sue mani sfiorano la ferita che ho sul costato. Quella che Annabeth mi ha inferto il primo giorno. Nel momento in cui le sue dita sfiorano i punti di sutura sento come una scossa attraversarmi il petto. L’immagine di Annabeth mi appare chiara e nitida davanti agli occhi. Scosto la ragazza con il babydoll dal mio petto e mi alzo in piedi di scatto. La semidea cade dal divano e finisce contro al tavolino di cristallo che si sposta facendo un gran chiasso. Vedo molti ospiti delle figlie di Afrodite voltarsi per guardare cosa sta succedendo, ma dopo un istante tutti tornano alle loro attività come se nulla fosse successo.
Scuoto la testa ancora frastornato. Non capisco cosa diavolo ci faccio in una casa completamente rosa.
“Perseus Jackson!” Strilla la ragazza in babydoll. “Come osi rifiutare una figlia di Afrodite.”
“Senti…” Dico ancora stordito. “Io non dovrei essere qui!” Afferro la maglietta e la felpa e mi avvio a passo svelto verso l’uscita di quel covo di ammaliatrici. Mi gira la testa e quel profumo mi sta facendo venire la nausea.
“Percy!” Grida Grover ancora svaccato sul letto rotondo.
“Con te faccio i conti più tardi!” La mia voce suona come una minaccia, ed è proprio quello che voglio.
Mi richiudo la porta alle spalle e respiro il profumo del bosco che circonda le capanne. Adesso tutto mi sembra di nuovo normale. Basta profumo di fiori, basta rosa e soprattutto basta semidee in babydoll che ti rendono incapaci di intendere e di volere. Sono ancora a torso nudo. Passo una mano sulla ferita ricucita e penso ad Annabeth. Non so di preciso cosa sia accaduto, ma è come se Annabeth avesse rivendicato la sua proprietà attraverso la ferita. O per lo meno mi piace pensarla così. Sorrido. Non pensavo che sarei mai stato grato ad Annabeth per una ferita, ma se non fosse stato per lei non so proprio come sarebbe andata a finire. Sospiro profondamente ancora sconvolto da quello che ho appena scoperto. La casa numero dieci non è altro che un bordello. Un bordello rosa.
Sono madido di sudore. Uso la maglietta per tamponarmi la fronte e decido di avviarmi verso casa. È solo in quel momento che noto una figura che si sta avvicinando. Mi rendo conto di aver perso la cognizione del tempo, non ho idea di che ore siano. Forse è già scattato il coprifuoco e Argo sta per venire a mettermi in punizione. Aguzzo la vista sperando di non riconoscere il guardiano ricoperto di occhi. La luce delle torce illumina la figura in avvicinamento e io sento un nodo all’altezza dello stomaco. È Annabeth.
“Percy.” Dice accigliata. “Quella è la casa numero dieci.” Mi volto come un imbecille per controllare il numero della capanna alle mie spalle.
“Si…”
Annabeth mi guarda quasi disgustata. Sta notando solo adesso che ho metà dei miei vestiti in mano invece che addosso. Mi sembra quasi di vedere gli ingranaggi nella sua testa che stanno per farle capire quello che è appena successo. Sento puzza di guai. E vi garantisco che preferirei sentire puzza di mostri.
“Ecco dov’erano tutti.” Dice lei incrociando le braccia al petto e scuotendo la testa in segno di disapprovazione. “Quelle oche della casa numero dieci hanno dato un’altra delle loro feste. E tu…”
“Annabeth aspetta…” Dico cercando di avvicinarmi, anche se ho un po’ paura che lei mi molli un pugno.
“E tu ci sei andato!” È così arrabbiata che le trema la voce. “Io… io, non posso crederci.”
“Annabeth…”
“Ho passato tutta la sera a cercare di capire quale potesse essere il pegno d’amore per Afrodite di cui parla la mia profezia, e tu te la spassavi con una delle sue figlie. O forse due, non lo so…”  Continua a scuotere la testa incredula.
“Una.” Dico senza pensare. Annabeth mi rivolge un’occhiataccia e mi sento uno schifo.
“Grazie per averlo precisato.” La voce di Annabeth è più acuta del solito.
“Pensavi che come pegno d’amore Afrodite si aspettasse di vederti compiacere una delle sue figlie?” Non aspetta nemmeno la risposta. Mi volta le spalle e si avvia verso la casa dei figli di Atena senza aggiungere altro. Tento di replicare ma non so cosa dire così m’infilo la maglietta al volo e le corro dietro.
“Annabeth… io sono finito in quella casa per sbaglio, te lo giuro! Le figlie Afrodite sono delle…”
“Zoccole?” Domanda lei senza smettere di camminare per la sua strada.
Effettivamente non mi viene un termine più adatto per descriverle.

“Vai a letto Percy… possibilmente nel tuo, perché tra cinque minuti scatta il coprifuoco.” Quelle ultime parole le pronuncia senza nemmeno voltarsi e degnarmi di un’occhiata. La sua voce suona triste e delusa.
Ok, ho fatto un bel casino, e la cosa peggiore è che non so come uscirne.

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Capitolo 8
*** Annabeth mi dà una lezione di storia dell'arte ***


Angolo dell'autrice: Ciao a tutti! Il capitolo 8 è pronto! Lo pubblico sperando, come sempre, che vi piaccia. Sono molto fiduciosa perchè vedo che le visite stanno aumentando e che in molti stanno mettendo la storia tra le seguite/preferite/ricordate. Grazie anche ai nuovi e vecchi recensori! C'è chi non manca di commentare un capitolo e la cosa vi garantisco che è veramente appagante! Spero che questo capitolo vi aiuti a capire un po' di più la storia in generale... come sempre con un pizzico d'ironia! :-) Vi aspetto nei commenti!




Annabeth mi dà una lezione di storia dell’arte
 



Quella notte fu infestata dagli incubi. Per prima cosa sognai di essere ancora intrappolato nella casa numero dieci, dove la semidea dai capelli ramati si trasformava in un mostro nel momento esatto in cui rifiutavo le sue attenzioni. Poi il sogno cambiò e mi mostrò qualcosa di decisamente peggiore. Vedevo Annabeth parlare con Grover sulla riva del laghetto delle canoe. Lui tentava di convincerla che la sua profezia non poteva riferirsi a me e che se avesse continuato a frequentarmi le cose si sarebbero messe troppo male per porvi rimedio. Lei non sembrava d’accordo ma non vidi cos’altro si dissero perché il mio sogno cambiò di nuovo. Adesso mi trovavo in un luogo che non conoscevo, sulla cima di una montagna probabilmente, e c’era Annabeth sull’orlo delle lacrime. Non capii mai il perché del suo pianto perché quella visione mi scosse talmente tanto da farmi svegliare di soprassalto.
Apro gli occhi di scatto con l’immagine di Annabeth in lacrime ancora ben stampata in testa. Mi metto a sedere accendendo la luce sul comodino. Sono madido di sudore. Il sogno mi ha turbato e non poco. Fuori è ancora buio, l’alba sembra essere ancora parecchio lontana. Mi alzo deciso a scacciare quelle immagini dalla mente. Dopotutto era solo un sogno. Raggiungo la fontana che ho all’interno dell’abitazione e comincio a sciacquarmi la faccia con l’acqua gelata. Guardo fuori dalla finestra tamponandomi la fronte con un asciugamano. I primi bagliori dell’alba cominciano a comparire all’orizzonte, mi sembra di intravedere i primi raggi di luce che si riflettono sulla superficie dell’acqua.
Resto incantato a godermi quello spettacolo ma improvvisamente sento qualcuno bussare alla mia porta con insistenza. Sobbalzo sorpreso da quel rumore e mi avvio alla porta domandandomi chi possa essere così mattiniero.
Sulla soglia di casa mia c’è Annabeth, i capelli legati in una coda alta e uno zaino sulle spalle.
“Buongiorno Testa d’alghe!” Esordisce allegra.
Evidentemente la mia faccia parla per me perché lei cambia espressione e riprende a parlare.
“Sono felice di trovarti già sveglio perché non abbiamo molto tempo.”
“Molto tempo per cosa?” Chiedo confuso e anche un po’ stordito dal sonno.
“Adesso tutto mi è chiaro, Percy!”
“Beata te!” Commento appoggiandomi alla porta in cerca di un sostegno.
“So cosa dobbiamo fare. Ho capito qual è il pegno d’amore di cui parla la profezia.”
“Ti dispiace essere più chiara?”
“Più tardi ti spiegherò tutto ma adesso dobbiamo andare!”
“Andare dove?”
“Percy Jackson! Prendi le tue cose e vieni con me!”
Il tono di Annabeth non ammette repliche e io sono troppo stanco per porre ulteriori domande che non avranno una risposta. Vado in camera e raduno le mie cose domandandomi in quale guaio sto per cacciarmi.
Cinque minuti più tardi io e Annabeth stiamo attraversando i campi di fragole a passo svelto, il sole sta sorgendo rapidamente, ma noi abbiamo quasi raggiunto l’uscita del campo.
“Annabeth, non possiamo lasciare il campo senza aver ottenuto un’impresa.” Commento nel momento in cui l’albero di Talia compare davanti ai nostri occhi.
“Non abbiamo tempo di aspettare che ci affidino un’impresa, Percy!” Protesta lei. “E poi da quando ti fai problemi ad infrangere le regole?”
La determinazione di Annabeth mi basta come motivazione per continuare a seguirla senza pormi ulteriori domande.
Oltrepassiamo la barriera magica che protegge il campo e continuiamo a camminare diretti a ovest illuminati dalla prima luce del mattino.
Annabeth mi conduce fino alla fermata di un autobus che si fa aspettare per quasi venti minuti, tempo più che sufficiente a farmi addormentare seduto sulla panchina della fermata. Mi sveglio di soprassalto grazie ad una gomitata di Annabeth e allo sferragliare dell’autobus che ha l’aspetto di essere abbastanza vecchiotto.
Una volta a bordo occupiamo i posti più in fondo mentre io soffoco uno sbadiglio guadagnandomi un’occhiataccia da Annabeth che, al contrario, sembra parecchio sveglia.
Dopo circa mezz’ora di strada decido che non posso più aspettare. Ho bisogno di saperne di più. “Adesso posso sapere dove siamo diretti?”
Annabeth incrocia il mio sguardo e per un primo momento ho paura che sia intenzionata a darmi un pugno. Poi rovista nello zaino e ne estrae un tablet di ultima generazione. Lo accende e nel giro di cinque minuti la vedo aprire un’infinità di finestre con testi scritti talmente piccoli che manderebbero a male anche uno non dislessico.
Distolgo lo sguardo da quel garbuglio di parole e attendo in silenzio che lei si decida a darmi spiegazioni.
“Lo vedi questo?” Domanda ruotando il tablet in modo tale che possa vedere il frutto delle sue ricerche. Lo schermo mostra un famoso quadro che ho avuto occasione di studiare a scuola.
“La nascita di Venere di Botticelli.” Dico sforzandomi di capire cosa abbiano in comune la storia dell’arte e la nostra impresa non ufficiale.
“Ti ricordo che per noi Venere è Afrodite.” Ringhia lei quasi infastidita.
“Si, questo lo so anche io, ma non capisco dove vuoi arrivare.”
“Percy, Afrodite è nata dalla spuma del mare e ha raggiunto la riva su una conchiglia spinta dal soffio di Zefiro.”
Guardo Annabeth nella speranza di afferrare il concetto prima che lei mi dia dell’idiota.
“Avanti Percy!” Tenta di spronarmi, ma io mi sento esattamente come quando a scuola faticavo a leggere le cose scritte alla lavagna. “Zefiro ha spinto Afrodite fino a Cipro! Ed è esattamente lì che deve trovarsi la conchiglia.”
“Tutto questo per dirmi che stiamo andando a Cipro?” Domando incredulo.
“Tutto questo per dirti che stiamo andando a Cipro a recuperare la conchiglia perduta di Afrodite, sono certa che è quello il pegno di cui parla la profezia!” Annabeth è talmente convinta di quello che sta dicendo che parla così veloce da dimenticarsi di respirare.
Nonostante l’assurdità di tutta la faccenda riesco a porre la domanda più stupida: “E pensi di arrivare a Cipro in autobus?”
“No Testa d’Alghe!” Sbraita lei facendo girare un paio di vecchiette sedute qualche posto più avanti. “Siamo diretti all’aeroporto ovviamente!”
Sento un brivido salirmi lungo la schiena.
“Aeroporto?!” Domando allarmato. “Annabeth ti ricordo che io non posso volare!”
“Sciocchezze!” Replica lei riponendo il tablet nello zaino.
“Annabeth non posso volare. È fuori discussione!”
“E va bene…” dice roteando gli occhi per la disperazione “allora penseremo a un piano B.”
Dieci minuti più tardi scendiamo alla prima fermata e Annabeth mi fa strada verso la città.
“Io non andrei da quella parte se fossi in te.” Dico con tono deciso. Un’idea piuttosto allettante mi ha appena attraversato la mente.
Lei si volta e mi guarda accigliata senza dire una parola.
“Hai detto che ci serve un piano B, no?”
“A cosa stai pensando?” Chiede curiosa.
“Blackjack!”
“Come scusa?”
“Blackjack!” Ripeto sempre più convinto di aver avuto un’ottima idea. “È un pegaso!”
“Lo so chi è! Ti ricordo che grazie a te sono finita a pulire le loro stalle.” Avevo dimenticato quel particolare.
“Andremo a Cipro con Blackjack!”
“Percy, non abbiamo tempo di tornare al campo e chiedere ad un pegaso di accompagnarci a Cipro!”
“Non c’è bisogno di tornare al campo, posso comunicare con lui anche a distanza, sta arrivando, ma non può certo atterrare in mezzo alla gente quindi allontaniamoci dalla città.”
Annabeth è sbigottita. Penso non abbia ben capito il fatto che posso comunicare con i pegasi in quanto fu mio padre a crearli. Poco importa, avrò tutto il viaggio per spiegarle i particolari.
Prendo Annabeth per mano e la guido in un piccolo boschetto al di là della statale.
“Qui è perfetto! Ora non ci resta che aspettare.”
Ci sediamo ai piedi di un albero e sgranocchiamo qualcosa in attesa del nostro destriero alato. Tutto sommato sono felice di aver intrapreso questo viaggio con Annabeth, era da un po’ che avevo voglia di una nuova avventura, tuttavia sento che i recenti avvenimenti della casa numero dieci hanno incrinato il nostro rapporto. Se fino a poche ore fa Annabeth non sembrava riuscire a fare a meno di baciarmi, adesso sembra fredda e tiene le distanze.
“Riguardo la casa numero dieci…” comincio senza sapere perché ho deciso di affrontare l’argomento “io voglio che tu sappia che…”
“Lascia stare Percy.” Dice lasciandomi di stucco. “Non m’interessa quello che è successo li dentro.”
Ancora una volta l’intelligenza e la superiorità di Annabeth mi lasciano a bocca aperta.
“Sei sempre convinta che sia io l’eroe della tua profezia?” Chiedo impaurito dalla possibile risposta.
Annabeth sospira e la vedo riflettere intensamente.
“So che dobbiamo recuperare la conchiglia di Afrodite insieme, se è dispersa nel mare tu sarai in grado di trovarla. Se è sull’isola, sarà tutto più facile.”
Il discorso di Annabeth mi sembra sensato ma resta il fatto che non ha risposto alla mia domanda. La guardo sollevando un sopracciglio per farle capire che la sua risposta non mi soddisfa del tutto.
“Si, sono ancora convinta che sia tu, contento?” Percepisco il suo imbarazzo e la cosa mi rassicura perché mi sento imbarazzato quanto lei.
“Beh… ieri però non ti sei solo limitata a dirmelo.” Mentre pronuncio quelle parole mi avvicino pericolosamente al suo viso. Dopotutto un altro bacio non mi dispiacerebbe.
“Cosa stai cercando di ottenere di preciso?” Domanda con un finto broncio. Adesso mi sembra quasi che non riesca a trattenere un sorriso.
Quel mezzo sorriso m’incoraggia e decido di afferrarla passandole un braccio intorno alla vita. La tiro verso di me mentre lei si dimena scalciando come una matta. Un attimo dopo si è già arresa e ci stiamo guardando negli occhi.
Da un giovane eroe ti dovrai guardare… forse era scritto che un po’ avrei dovuto farti soffrire.” Ironizzo mentre gioco con i suoi capelli biondi.
“Ma stai un po’ zitto Testa d’Alghe!” E con quella frase mi bacia lasciandomi senza fiato.
“Eccomi capo!” La voce di Blackjack fa irruzione nella mia mente nel momento più sbagliato.
“Bel tempismo, amico!” Gli rispondo mentalmente, staccandomi da Annabeth che non capisce cosa sta succedendo. Poi si volta e fa un cenno di saluto al pegaso nero.
“Ho interrotto qualcosa, capo?”
“Tu che dici?” Replico un po’ scocciato.
Lui nitrisce in risposta e io ne approfitto per spiegare ad Annabeth che posso comunicare telepaticamente con Blackjack.
“Beh mi piacerebbe sapere cosa vi state dicendo…” Sembra essere ancora imbarazzata per essere stata colta in flagrante da un pegaso.
“Blackjack abbiamo bisogno di un passaggio per Cipro!”
“Nessun problema capo! Per te questo e altro! Salite a bordo!”
Il pegaso fa una sorta d’inchino che ci consente di salirgli in groppa. Aiuto Annabeth a sistemarsi dietro di me e sento un brivido percorrermi da capo a piedi nel momento in cui lei si stringe a me. Mi volto a baciarla e insieme partiamo alla volta di Cipro.

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Capitolo 9
*** Corriamo il rischio di fare una sosta ***


Angolo dell'autrice: Ciao a tutti! Scusate se vi ho fatto attendere più del solito ma sono alle prese con gli ultimi esami e il tempo per scrivere, ahimè, è un po' poco. Volevo ringraziare tutti voi perchè la storia ha quasi raggiunto le mille visite e per questo non posso che essere felice! :-) Ora vi lascio alla lettura di questo nuovo capitolo che per certi aspetti è un po' mieloso... ma so che alcuni lo apprezzeranno proprio per questa ragione. Non faccio nomi! :-) Buona lettura e grazie in anticipo a chi vorrà commentare!!!






Corriamo il rischio di fare una sosta
 



Il viaggio fu così lungo da essere quasi insopportabile. Annabeth si è addormentata sulla mia schiena due ore fa, mentre sorvolavamo l’oceano. Ma io sono troppo felice che le cose tra noi si siano sistemate per lamentarmi. Appena raggiunta l’Europa, Blackjack si fionda in picchiata verso una piccola radura dove atterra con un tonfo poco aggraziato. Mi sembra il posto perfetto per fermarci a riposare dato che siamo stremati. Blackjack più di tutti. Scegliamo una zona isolata ai margini di un bosco e ci accampiamo per la notte. Per mia fortuna siamo nei pressi di un piccolo specchio d’acqua e io so esattamente cosa fare per rigenerarmi. Annabeth si è svegliata di malumore per il brusco atterraggio, così decido di lasciarla sbollire mentre io ne approfitto per fare un bagno.
Raggiungo la sponda del piccolo laghetto e, dopo essermi sfilato la maglietta, m’immergo completamente. In realtà avrei anche potuto tenerla, perché sono in grado di evitare che mi si bagnino i vestiti, ma la verità è che sono curioso di vedere se Annabeth mi dedica un’occhiata.
Con quel pensiero raggiungo il fondo del laghetto e mi sdraio a pancia in su osservando le bolle che risalgono verso la superficie. Solo in quel momento realizzo che ho realmente abbandonato il Campo Mezzosangue per seguire Annabeth in un’impresa, tra l’altro non ufficiale, di cui non mi ha ancora spiegato i particolari. Poco importa, Annabeth è fatta così ed io la seguirei anche in capo al mondo.
Devo aver chiuso gli occhi per qualche secondo perché un rumore improvviso, anche se ovattato, mi obbliga a riaprirli. Scorgo delle ombre in superficie e avverto delle vibrazioni vigorose scuotere le acque che mi circondano. Tutto questo non mi fa pensare a niente di buono. Nuoto velocemente verso la superficie e mentre raggiungo la sponda più vicina, vedo una scena che mi fa gelare il sangue nelle vene. A pochi metri da me c’è un enorme figura semiumana che mi è familiare. È il Minotauro che ha attaccato me e mia madre il giorno in cui ho varcato per la prima volta i confini del Campo Mezzosangue. Lo stesso Minotauro che ha spedito mia madre negli Inferi e che ho sconfitto con il suo stesso corno. Annabeth lo sta combattendo con il suo coltello ma non riesce ad avvicinarlo a sufficienza per affondare il colpo decisivo. Blackjack si rende utile come può, volando basso colpisce il Minotauro alle spalle con gli zoccoli, ma la creatura non sembra nemmeno accorgersene. Ho visto abbastanza. Estraggo Vortice dalla tasca e corro in loro soccorso. Per mia fortuna sono alle spalle del Minotauro, il che significa che lui non può vedermi arrivare. Corro per una trentina di metri brandendo la spada con una foga degna di Clarisse ed è proprio in quel momento che vedo il Minotauro scagliare in aria Annabeth con un colpo di corna. Sento il cuore mancare un battito nel momento stesso in cui lei atterra malamente su un ammasso roccioso perdendo i sensi. Mi sono distratto quanto basta per far si che il Minotauro si accorga della mia presenza. Lo vedo caricarmi e ho giusto il tempo di schivare il suo primo attacco rotolando su un fianco prima che lui m’incorni violentemente. Con la coda dell’occhio vedo Blackjack raggiungere Annabeth, ma lei è ancora completamente inerme sul suolo roccioso. Sento una fitta stringermi lo stomaco e capisco che devo liberarmi di questo mostro il più in fretta possibile. Impugno Vortice a due mani e vado all’attacco del Minotauro. Lui sarà anche grosso e forte ma io sono nettamente più agile e veloce e, come mi ha insegnato Chirone, in battaglia questo può fare la differenza tra la vita e la morte.
Nonostante la sua mole, la creatura riesce a schivare i primi due fendenti ed io finisco a terra sbilanciato dal peso della mia stessa spada. Il Minotauro mi sta caricando di nuovo ed io sono costretto ad allontanarmi in fretta e furia lasciando Vortice a terra. Corro verso gli alberi con il Minotauro alle calcagna e intuisco che la cosa migliore è giocare d’astuzia. Lascio che il mostro guadagni qualche metro e all’ultimo momento mi sposto lasciando che si schianti contro il fusto di un albero. Il mio piano funziona alla perfezione e il mio avversario resta incastrato con le corna nel tronco. Quell’imprevisto mi lascia il tempo di andare a recuperare la spada, ma ho appena fatto in tempo a raggiungerla, quando vedo il Minotauro sradicare l’albero e sfilarsi il tronco dalle corna come fosse carne su uno spiedino. Quella visione mi lascia di stucco. Comincio a correre nella direzione opposta sperando che mi venga un’idea. Il peso della spada mi rallenta così la richiudo e me la metto in tasca. Mi guardo le spalle terrorizzato, il Minotauro sta avanzando minacciosamente. Tento di non cedere al panico ma è la mia caviglia a cedere nel momento stesso in cui inciampo in una buca. Finisco a terra spaccandomi un sopracciglio e sento il sangue sgorgare a fiotti inondandomi la faccia. Mi volto appena in tempo per vedere il Minotauro fare un balzo verso di me e capisco di avere un’unica possibilità. Tolgo il cappuccio a Vortice e lo trafiggo nel momento stesso in cui lui sta atterrando sopra di me. Per mia fortuna esplode in mille pezzi un attimo prima di schiacciarmi con il suo peso.
Trattengo il fiato per un secondo, ancora incredulo di essere riuscito a batterlo per la seconda volta. Stringo Vortice così forte che mi fanno male le mani. Mi metto a sedere e richiudo la spada. Ho un unico pensiero: Annabeth. Corro verso di lei con un groppo in gola, è ancora nella stessa posizione in cui l’ho intravista prima. La cosa non mi piace.
“Annabeth!” Urlo a perdifiato correndo verso lei e Blackjack.
Mi chino al suo fianco e le prendo la testa tra le mani. Ha gli occhi chiusi ma la sento ansimare. Le controllo minuziosamente la testa sperando di non trovare nessuna ferita dovuta alla caduta sulla roccia e scopro solo qualche piccolo livido sul viso.
“Ehi capo, penso che il problema sia un altro.” La voce di Blackjack mi fa trasalire, mi ero quasi dimenticato della sua presenza.
Seguo lo sguardo del Pegaso e vedo solo in quel momento che Annabeth si sta tenendo entrambe le mani premute sul bassoventre. Con orrore noto che le mani sono sporche di sangue. Gliele scosto delicatamente e scopro la ferita, il corno del Minotauro le ha procurato un grosso taglio. Ignorando il brivido di terrore che mi pervade prendo Annabeth in braccio e mi avvio verso il laghetto. Non sono sicuro che funzioni ma la verità è che non so cos’altro fare. Entro nell’acqua stringendo Annabeth ancora incosciente tra le braccia nella speranza che la mia amica acqua sia in grado di curare anche lei.
“Annabeth… ti prego parlami.”
Blackjack ci osserva dalla riva del lago, le ali e le orecchie basse.
“Annabeth…” Tento di nuovo. Lei continua a mugugnare per il dolore ma dopo qualche minuto trova la forza di aprire gli occhi.  La stringo più forte sperando di trasmetterle l’energia necessaria a riprendersi.
“P-Percy.” Dice in un sussurro che sembra costarle decisamente troppa fatica.
“Va tutto bene… stai tranquilla.” La mia voce trema e spero che lei non ci faccia caso.
Mi decido a riguardare la ferita sperando di notare un miglioramento e provo una sensazione di leggerezza quando vedo che si è quasi rimarginata.
Tiro un sospiro di sollievo e la bacio sulle labbra. Lei riapre gli occhi come succede alle principesse delle fiabe e mi guarda dolcemente.
“Mi hai salvata…” Commenta riconoscente.
Non so cosa dire e abbasso lo sguardo perché ho paura di mettermi a piangere.
Dopo dieci minuti torno verso riva e, con l’aiuto di Blackjack, tiriamo Annabeth fuori dall’acqua. Si sta facendo buio e comincio ad avvertire la stanchezza.
Aiuto Annabeth a stendersi sul sacco a pelo e le porto del nettare e dell’ambrosia.
“La ferita si è rimarginata, ma sei ancora molto debole…” Dico preoccupato.
“Lo so, è normale, ho perso un sacco di sangue… questo mi aiuterà!” Sorride e mette in bocca un pezzo di ambrosia.
“Domani dovremmo riuscire a raggiungere Cipro in un paio d’ore.”
La metto a tacere con un bacio.
“Annabeth, non ti preoccupare, voglio che tu dorma adesso.”
“Ma noi dobbiamo… la profezia dice…”
“La profezia può aspettare.” Commento deciso. “Non ti lascio andare da nessuna parte finché non starai meglio.”
Lei sembra decisa a voler conservare le ultime energie, così evita di ribattere. Si gira su un fianco e chiude gli occhi esausta.
La osservo per qualche minuto per assicurarmi che dorma, poi piego la testa indietro appoggiandola ad un albero alle mie spalle. Sospiro profondamente. Oggi ce la siamo vista brutta.
Chiudo gli occhi e un orribile pensiero mi assale. Ricordo la profezia di Annabeth e non posso fare a meno di pensare che tutto questo sia colpa mia. Lei ha appena rischiato la vita ed io ho paura di essere la causa di quello che è successo. Ho come l’impressione che avvicinandoci a Cipro finiremo per correre altri pericoli. Forse avrei dovuto esporre ad Annabeth i miei dubbi prima di partire, so di non averlo fatto per egoismo, perché tutto sommato ero eccitato all’idea di partire solo con lei. Mi sento un idiota. Vorrei non essere stato tanto stupido, ma adesso è troppo tardi per tornare indietro, o almeno credo.
“Percy…” Gli occhi grigi di Annabeth mi scrutano nell’oscurità. “Cosa ti turba?”
“Niente, niente…”
“Non mentirmi Percy. Ti vedo preoccupato, ma adesso io sto bene, quindi c’è qualcos’altro che non va… e gradirei che tu me ne parlassi.”
Perché Annabeth deve essere così intelligente? Non le si può nascondere nulla, ormai mi legge come un libro aperto.
“È solo che da quando mi hai rivelato la tua profezia, non riesco a fare a meno di pensare che potrei farti del male.”
“Percy, le profezie non vanno prese alla lettera. Vanno interpretate.” Spiega con voce calma e chiara. Mi sembra tutto meno che spaventata. Vorrei poter esser così tranquillo anche io.
“Resta il fatto che oggi hai rischiato la pelle…”
“…e tu mi hai salvata!” Mi interrompe concludendo la frase al mio posto.
“Si, ma…” Lei mi mette un dito sulle labbra e io mi zittisco all’istante.
“Percy, abbiamo solo incontrato un mostro com’è successo altre mille volte. Siamo mezzosangue, queste cose sono all’ordine del giorno per quelli come noi.”
Su questo ha ragione, non posso darle torto, ma ho come una sorta di presentimento e, nonostante i miei sforzi, non riesco ad ignorarlo.
“Adesso spegni quel cervello e vieni qui con me, Testa d’alghe.” Mi ordina sorridendo. Il suo sorriso è troppo bello per disubbidire, così m’infilo nel suo sacco a pelo e ci addormentiamo abbracciati ascoltando il fruscio degli alberi.

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Capitolo 10
*** Combatto con una montagna ***


Angolo dell'autrice: Ciao lettori! Il nuovo capitolo è finalmente pronto e io non vedo l'ora di farvelo leggere perchè, come scoprirete tra poco, è un capitolo chiave. Mi aspetto un sacco di commenti perchè non ci credo che quando finirete di leggerlo non avrete nulla da dire. :-) Forza ragazzi, leggete e commentate perchè io non sto più nella pelle!!! Sono troppo curiosa di conoscere la vostra opinione! Concludo ringraizandovi perchè siete veramente fantastici, state seguendo la storia in molti e io spero che diventerete sempre di più! Buona lettura!





 
Combatto con una montagna


 

La mattina seguente apro gli occhi infastidito dai raggi di sole che filtrano dalle chiome degli alberi inondandomi il viso di luce. Mi rigiro nel sacco a pelo ancora disorientato e mi accorgo che Annabeth non è più al mio fianco. Il pensiero che le sia accaduto qualcosa mi assale di colpo così scatto in piedi sguainando Vortice come se mi aspettassi di doverla difendere da un altro mostro. Resto in piedi a scrutare la foresta che mi circonda stringendo saldamente la mia fedele arma.
“Non perdi tempo eh?” La voce di Annabeth giunge inaspettata alle mie spalle. “Sei già pronto a salvare il mondo!”
“Ehi!” Dico sollevato di vederla tutta intera. “Come ti senti?”
“Io molto meglio… tu invece? Hai una faccia strana e impugni una spada di prima mattina…”
Richiudo vortice e le sorrido. “Si, sto bene, ho solo sentito un rumore nella foresta.” Mento con disinvoltura perché la verità è che mi vergogno di ammettere che ero in pensiero per lei. Certe volte so essere peggio di mia madre.
Le vado in contro per accertarmi delle sue condizioni e, perché no, anche per rimediare un bacio. Mentre cammino, vedo un’ombra oscurare il sole. Blackjack atterra con eleganza al mio fianco, il mantello lucido e il portamento altero.
“Eccomi capo! Avevo bisogno di sgranchire un po’ le ali, ma adesso sono pronto a partire!”
“Ciao bello! Raduniamo le cose e si parte! Ti faccio un fischio appena siamo pronti!”
“Blackjack è pronto a partire!” Dico rivolto ad Annabeth che non può prendere parte alle nostre conversazioni telepatiche.
“L’avevo intuito! Sei tu quello che non è pronto!”
Ci scambiamo un sorriso e insieme cominciamo a radunare i nostri averi. Dieci minuti più tardi siamo in groppa al nostro pegaso pronti ad affrontare un nuovo viaggio. Blackjack spiega le ali e fiuta il vento in cerca delle correnti d’aria favorevoli, il mantello più lucente che mai nella prima luce del mattino. Annabeth si prepara al decollo cingendomi i fianchi ed io mi sento percorrere dal consueto brivido che solo lei sa provocarmi.
Dopo tre ore di volo, Blackjack inizia a planare e finalmente scorgo i contorni di una piccola isola. Per essere la terra che ha visto nascere Afrodite, vista dall’alto, non è proprio il massimo della bellezza.
“Ci siamo!” Esclama Annabeth osservando la spuma del mare che s’infrange contro le alte scogliere occidentali.
“Avanti Blackjack! Ancora un ultimo sforzo, amico! Portaci giù!”
Il pegaso ubbidisce e si getta in picchiata tra le nuvole per poi atterrare in cima alla scogliera sollevando una fitta nube di polvere.
Smontiamo dal pegaso e cominciamo a perlustrare la zona mentre Blackjack ne approfitta per riposarsi dopo il lungo volo.
“Bene” commento guardandomi intorno un po’ spaesato “e adesso da dove cominciamo?”
“Qualcosa mi dice che la conchiglia di Afrodite sarà difficile da recuperare…” Annabeth sembra riflettere ad alta voce.
“Fantastico.” Commento con così scarso entusiasmo da non riuscire nemmeno ad attirare l’attenzione di Annabeth.
Intanto lei continua a passeggiare lungo la costa come un segugio che cerca di stanare la sua preda. Decido di non interrompere le sue riflessioni e comincio a perlustrare la zona anch’io.
Percorro la costa nella direzione opposta a quella in cui si è diretta Annabeth e, dopo una decina di minuti, m’imbatto in qualcosa che attira la mia attenzione. A pochi metri di distanza intravedo un irto sentiero che s’inerpica sulla parte più alta e scoscesa della scogliera.
Chiamo Annabeth a gran voce e poco dopo, lei e Blackjack mi raggiungono col fiato corto.
“Che succede?”
“Credo di sapere dove dobbiamo andare!” Non so spiegarlo con precisione, ma è come se avessi un presentimento. Tutto d’un tratto so esattamente che quello è il posto giusto dove andare, come se emanasse una luce particolare, una luce dalla quale sono immensamente attratto.
Annabeth è al mio fianco ammutolita e scruta la vetta che si staglia davanti a noi indecisa sul da farsi.
“Ne sei certo, Percy?” Chiede titubante, gli occhi ancora rivolti verso la cima.
“Più che certo!”
Ci incamminiamo lungo il sentiero una dietro l’altro e avanziamo verso la vetta senza fermarci. Non ho idea di cosa ci aspetti alla fine della salita, ma sono certo che qualsiasi cosa troveremo lassù darà un senso alla nostra missione. Annabeth mi segue senza dire una parola, non ha la minima idea di cosa dovremo affrontare, ma è evidente che si fida di me.
Raggiunta la cima veniamo investiti da una raffica di vento così forte da renderci quasi impossibile proseguire ad occhi aperti.
Annabeth si ripara alle mie spalle, il vento sta alzando una fastidiosa nube di polvere ed entrambi cominciamo a tossire.
Poi, come se Eolo avesse improvvisamente deciso di lasciarci stare, il vento cessa di botto e noi rimaniamo in piedi ad osservare le particelle di polvere turbinare nell’aria e depositarsi a terra.
Quando finalmente la nube si è diradata e l’aria è tornata limpida e respirabile, ne approfitto per guardarmi in torno. Mi basta una breve occhiata per riconoscere quel luogo e sentire la terra mancarmi sotto i piedi.
“Che succede?” Devo essere sbiancato talmente tanto che Annabeth ha capito che c’è qualcosa che non va.
Sospiro cercando di prendere tempo, ho una brutta sensazione e non so da che parte cominciare a spiegarmi.
“Annabeth, vattene!” Dico sapendo fin troppo bene che lei non mi avrebbe mai dato retta.
Lei si volta e comincia a guardarsi intorno guardinga, la mano destra pronta a sfoderare il suo coltello.
“Ma cosa succede?” Chiede confusa.
“Blackjack! Porta Annabeth lontano da qui!” Dico con voce ferma, il cuore che batte all’impazzata.
Vedo Blackjack avvicinarsi ad Annabeth pronto ad eseguire i miei ordini, ma lei non ha nessuna intenzione di abbandonare quel luogo.
“Blackjack, fermo dove sei!” Ordina con un tono che non ammette repliche. “Percy, vuoi spiegarmi cosa sta succedendo?”
“Annabeth, questo posto è pericoloso!”
“Come fai a saperlo?” Chiede senza smettere di perlustrare la zona con lo sguardo.
“Perché sono già stato qui!” Dico cercando di mascherare ogni timore.
“Come sarebbe sei già stato qui?”
“In sogno…” Non riesco a finire la frase perché le immagini del sogno si ripresentano al mio cospetto più reali che mai, riconosco perfettamente la scogliera e la cosa che mi preoccupa più di tutte è che nel mio sogno Annabeth piangeva.
“Percy, cosa hai visto in sogno?”
“Ho visto te, sulla cima di questa montagna… l’immagine era sfocata, ma sono certo che si trattava di questo luogo, e tu… tu eri in lacrime…”
Annabeth mi ascolta in silenzio, la mano destra ancora stretta sul coltello e le bionde ciocche che danzano mosse dal vento.
“Annabeth, io sono preoccupato dalla profezia e ho paura che ti possa accadere qualcosa a causa mia. Ti prego, lascia che Blackjack ti riporti giù. Cercherò io la conchiglia di Afrodite. Non voglio rischiare che il mio sogno si avveri.”
Lei sembra riflettere sulle mie parole, finalmente abbandona l’idea di sfoderare il coltello e mi stringe le mani. Guarda Blackjack e trae un profondo respiro.
“Ehi amico! Hai sentito gli ordini del capo?” Domanda rivolta al pegaso che stranamente sembra riuscire a comprendere le sue parole.
Blackjack si avvicina ed io aiuto Annabeth a salirgli in groppa. In quel momento la terra comincia a tremare accompagnata da un rumore sordo. Io e Annabeth ci scambiamo un’occhiata interrogativa, poi veniamo sorpresi da una seconda scossa, molto più intensa della precedente, che sbilancia Blackjack e fa cadere Annabeth tra le mie braccia.
La sostengo aiutandola a riacquistare l’equilibrio ma è tutto inutile perché adesso la terra trema senza sosta e anch’io fatico a reggermi in piedi. Finiamo malamente a terra mentre la montagna emette dei rumori assordanti che sembrano provenire dall’interno.
Vedo le rocce intorno a noi sgretolarsi come se fossero fatte di pastafrolla. Blackjack è in preda al panico. I suoi zoccoli perdono di aderenza sul terreno che vibra, e lui è così terrorizzato da non riuscire nemmeno a prendere il volo.
Incrocio lo sguardo di Annabeth sperando che abbia una risposta logica a questo imprevisto, ma lei sembra confusa e spaventata.
“Annabeth, cosa sta succedendo?” Domando schivando una roccia in caduta libera dal versante.
“Non ne ho idea… sembra un terremoto!”
“O peggio…” Commento osservando più attentamente la montagna che sta per rilevare la sua vera natura.
Annabeth si volta e insieme vediamo un’enorme figura umanoide emergere dalla roccia mandandola letteralmente in frantumi. È uno spettacolo talmente agghiacciante da essere quasi indescrivibile.
“Per tutti gli Dei!” Esclama Annabeth incapace di staccare gli occhi da quell’enorme figura. “Quello è Crio!”
“Crio?” Domando mentre una nuova scossa mi travolge facendomi cadere di schiena.
“Stai giù!” Mi ordina Annabeth muovendosi a quattro zampe verso di me.
“Crio è uno dei Titani! Percy… fino ad oggi ci siamo preoccupati solo di Crono ma, a quanto pare, non l’unico ad essere riemerso dal Tartaro.”
“Dannazione! Credevo che avessimo più tempo!” Commento sperando di farmi venire in mente un piano.
“Crono è il più forte dei Titani e per questo ha bisogno di più tempo per rigenerarsi, ma i suoi fratelli a quanto pare sono già tornati in vita e questo significa che presto anche Crono sarà nuovamente in possesso dei suoi poteri.” Spiega Annabeth in un sussurro, il che è assurdo perché, con tutto il putiferio che ci circonda, avrebbe anche potuto gridare che tanto l’avrei sentita solo io.
Crio è quasi completamente emerso dalla montagna, ormai riesco a distinguere perfettamente i suoi rozzi contorni. È alto quasi sei metri, la testa è sproporzionata rispetto al corpo ed è dotata di enormi corna ricurve, come quelle di un ariete. Il corpo sembra ricoperto di uno strato di roccia così spesso da renderlo apparentemente invulnerabile, e gli arti sono muniti di lunghissimi artigli affilati come lame che scintillano minacciosi alla luce del sole. Nel complesso diciamo che non è uno che vorresti incontrare sulla tua strada.
“Percy…” La voce di Annabeth è talmente colma di paura che stento a riconoscerla. “Credi che il tuo sogno stia per avverarsi?”
Le sue parole mi giungono come una pugnalata ed è in quel momento che capisco che sarei disposto a fare qualsiasi cosa pur di proteggerla. Un attimo dopo la montagna esplode definitivamente permettendo al titano di emergere completamente dalla roccia. Vedo pezzi di pietra saltare in aria generando una pioggia di frammenti litici che si schiantano al suolo creando una miriade di piccoli crateri, e noto con orrore che uno di questi ha colpito violentemente un’ala di Blackjack. Il pegaso crolla a terra sfinito dal dolore e io sento la rabbia montarmi dentro come mai prima di allora. Finalmente trovo la forza di rispondere ad Annabeth: “No lo so, ma una cosa è certa… non glielo permetterò!” Così dicendo sguaino la spada e mi rimetto in piedi deciso ad attirare l’attenzione del titano.
“Percy!” Annabeth cerca di fermarmi trattenendomi per un braccio. Conoscendola, avrebbe sicuramente preferito ideare una strategia per attaccarlo, ma la vista di Blackjack a terra mi ha reso troppo furioso per mettermi a tavolino a studiare un piano efficace.
Corro verso di lui schivando pietre e calcinacci. Spero che Annabeth se ne stia al riparo, ma la conosco troppo bene per credere che lo farà veramente. Butto l’occhio alle mie spalle e non mi sorprendo di vederla correre ad un paio di metri da me, armata di coltello e carica come una bomba ad orologeria.
Il titano si sta avvicinando alla costa ed io continuo a correre nella speranza di riuscire a farlo fuori prima che Annabeth debba intervenire. Dentro di me qualcosa mi dice che è una pazzia ma non ho altra scelta, non posso permettere al mio sogno di avverarsi.
Sono alle spalle di Crio e studio la sua schiena coriacea nella speranza di trovare un punto debole.
“Guarda!” Esclama Annabeth indicando un punto alla base del collo che sembra essere più vulnerabile del resto. Quasi come se il titano l’avesse sentita, si volta e ci guarda torvo. È talmente ripugnante da essere quasi difficile da guardare.
“Hai un piano di riserva?” Domando ostentando una sicurezza che in realtà non ho per niente.
“Si… scappiamo!”
Per essere un piano ideato da una figlia di Atena non mi sembra un granché, ma decido di non lamentarmi. Corriamo nella direzione opposta ma la strada ci viene immediatamente sbarrata dal titano che con un balzo ci sorpassa bloccando l’unica via di fuga facendo tremare violentemente il terreno.
Adesso siamo proprio nei guai. Siamo circondati da pareti rocciose, l’unica via di salvezza è ostacolata da un titano e alle nostre spalle c’è uno strapiombo di circa duecento metri d’altezza. Vi sembrerà assurdo, ma credo che Crio adesso stia ridendo di noi.
“Questo non l’avevo previsto.” Dico mascherando la paura che sta crescendo a dismisura dentro di me.
“Già… non l’avevo previsto nemmeno io!”
“Quindi che si fa?”
“Se usassi il mio cappellino, potrei provare a passargli in mezzo alle gambe e a distrarlo in modo che si volti… a quel punto tu potresti scappare!” Propone con gli occhi che le brillano colmi d’astuzia.
“Adesso si che ti riconosco! Mi sembra un ottimo piano!” Le faccio l’occhiolino e lei arrossisce vistosamente.
Sarebbe tutto perfetto se solo avessimo agito subito invece di stare lì a farci le moine. Crio scaglia un pugno sul terreno così forte da farci cadere. Rotoliamo a terra mangiando la polvere e appena riesco a riaprire gli occhi vedo un’enorme crepa dipartirsi dal punto in cui il pugno del titano ha sfiorato il terreno. Un attimo dopo sento la roccia sotto i miei piedi spaccarsi di netto e cominciare a precipitare nel vuoto. I miei riflessi mi consentono di afferrare Annabeth per un polso mentre con la mano destra riesco ad aggrapparmi ad una sorta di liana che pende da un albero mezzo sradicato dal terreno. Se prima eravamo nei guai, adesso siamo nei guai fino al collo.
Annabeth penzola nel vuoto, so di essere la sua unica possibilità di salvezza, ma ho la sensazione che mi si stia spaccando una spalla. Come se questo non bastasse, l’altro braccio, quello che ci ha impedito di precipitare nel vuoto, è arrotolato intorno ad una sorta di fune che mi sta scarnificando il braccio. Sento la carne dell’avambraccio lacerarsi a causa dell’attrito mentre un bruciore diffuso mi assale tutto il braccio. Questa situazione mi ricorda terribilmente quella che pochi giorni prima abbiamo vissuto al campo, quando i figli di Ares hanno fatto saltare il ponte del percorso ad ostacoli. L’unica differenza è che sotto di noi non c’è la sabbia del campo di allenamento e un esercito di satiri anziani pronti a rimetterci in sesto, c’è una caduta di duecento metri e poi il mare.
Vedo gli occhi lucidi di Annabeth che mi fissano infestati dal panico. Poi le lacrime cominciano a sgorgare copiose e capisco che non sono riuscito nel mio intento, il mio sogno si sta avverando ed io non so più cosa fare per impedirlo.
Cerco un appiglio per i piedi sperando di trovare la forza di issarmi verso l’alto ma fatico a fare anche solo il minimo movimento.
Come un idiota, spreco le mie uniche energie per imprecare in greco antico ed è in quel momento che Annabeth mi chiama.
“P-Percy…” La sua voce è rotta dal pianto ed io ho paura di ascoltare quello che ha da dire. “Percy devi lasciarmi andare…”
“Che cosa?! No, io non ti lascerò mai… piuttosto cadremo insieme.”
“No!” Protesta lei in un tono che non ammette repliche. “Tu non puoi farlo! Non capisci…” Annabeth piange a dirotto e io non so se mi faccia più male vederla in quelle condizioni o il braccio che sanguina copiosamente. Sono talmente sconvolto da non riuscire a proferire parola.
“Perché non posso farlo?!”
“Perché tu non puoi morire oggi!” Esclama con rabbia singhiozzando. Io la guardo sbigottito mentre sento la rabbia crescere dentro di me. “E per quale ragione tu invece potresti morire oggi?!” Ringhio in risposta mentre sento le lacrime invadermi gli occhi.
“Perché io non sono destinata a salvare l’Olimpo. Se tu muori oggi sarà stato tutto inutile.” Mi dice sforzandosi di sorridere. Quell’immagine mi spezza il cuore perché so che ha ragione. Mi perdo nei suoi occhi, adesso Annabeth non piange più, sembra perfettamente consapevole di quanto debba accadere. Sono io a non essere per niente pronto. Voglio trovare una soluzione, so che non sarò mai capace di mollare la presa.
“Percy, lasciami andare e uccidi Crio.”
Improvvisamente un barlume di speranza mi pervade. Le possibilità di salvarla sono minime ma io devo tentare.
“Annabeth, guardami!” Lei solleva lo sguardo nel momento in cui la liana comincia a cedere.
“Percy, non c’è più tempo, devi lasciarmi andare adesso, o non riuscirai a salvarti!”
“Annabeth, ascoltami… se sopravvivi alla caduta e raggiungi il mare viva, io posso salvarti!”
Annabeth mi fissa incredula, come se per un attimo considerasse la possibilità di sopravvivere. Poi sposta lo sguardo verso il basso, dove il mare si è fatto burrascoso e le onde s’infrangono con insistenza sulla costa rocciosa.
“Percy, saranno più di duecento metri…” Dice con voce spezzata. “Non ho possibilità di farcela.”
“E invece si che ce l’hai! So che ce la farai Annabeth.” Mentre parlo, sento la fune sgretolarsi nella mia mano e capisco di non avere più tempo. Ancora pochi istanti e sarà troppo tardi. Devo decidermi a lasciare Annabeth.
“Annabeth, fidati di me!” Ci scambiamo un’ultima occhiata e, con il cuore che mi urla di non farlo, lascio andare la presa. Sento la pelle delle sue mani accarezzare la mia mentre lei comincia la caduta verso il basso. Non ho il coraggio di continuare a guardare, devo risalire per uccidere Crio e poi concentrarmi sul mare per salvare Annabeth.
Con un colpo di reni risalgo la scogliera tenendomi alla liana quasi distrutta. Appena in cima impugno vortice e mi lancio all’attacco del titano.

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Capitolo 11
*** Una nuova speranza ***


Angolo dell'autrice: Ciao lettori! Il nuovo capitolo è finalmente pronto. La storia parla da sé quindi non ho altro da aggiungere, come sempre vi aspetto dopo per i commenti! Grazie mille a tutti voi perchè siete tantissimi! Alla prossima! :-)





Una nuova speranza


 
 
Ora, voi penserete che per un semidio affrontare un titano sia all’ordine del giorno, ma in realtà non è proprio così. Tanto per cominciare il mio avversario è gigantesco ed è ben lungi dall’essere socievole. Secondo, sono abituato a battermi con Annabeth al mio fianco e l’idea di affrontare Crio da solo, sapendo che lei sta precipitando da una scogliera di duecento metri perché io ho lasciato la presa, non mi aiuta di certo.
Basandomi su questi pensieri riesco a convogliare tutte le mie energie sull’unica cosa veramente importante: distruggere Crio.
Corro verso il titano ignorando tutti i dolori che mi affliggono, ho un braccio talmente ricoperto di sangue da sembrare il make-up perfetto per un film horror. La spalla sinistra probabilmente si è slogata sotto il peso di Annabeth, ma questo è un problema di cui mi occuperò più tardi.
Nella mia disperata corsa riesco a vedere Blackjack con la coda dell’occhio. È a terra, l’ala nettamente spezzata e l’espressione così afflitta da impedirgli anche solo di alzarsi in piedi. Mi domando se sarà mai in grado di volare di nuovo. Quell pensiero mi distrugge, si è ridotto così per colpa mia, non avrei mai dovuto coinvolgerlo in questa missione. Sembra che tutti quelli a cui tengo finiscano per farsi del male. Avrebbero fatto meglio a starmi alla larga.
Blackjack ha bisogno di aiuto, e l’unica cosa che mi viene in mente è contattare Grover telepaticamente. Sono combattuto, mi sembra l’idea migliore ma allo stesso tempo ho paura di mettere a rischio anche la vita del mio amico satiro.
“Sono il tuo custode! Farei qualunque cosa per salvarti la vita, non disturbarti a ringraziarmi!” La sua voce risuona con fierezza dall’alto della montagna semidistrutta.
“Grover!” Esclamo talmente stupito da rischiare di finire schiacciato dal titano.
Schivo il gigantesco piede mentre mi allontano da Crio nella speranza di riuscire a concludere la conversazione con Grover.
“Come facevi a sapere dov’eravamo?” Domando mentre vedo il titano cominciare a scagliare pietre nella mia direzione.
“Cosa ne dici di rimandare le spiegazioni a più tardi?” Risponde mentre scende dal ripido versante con l’abilità che solo un satiro può avere.
“Andata! Tu adesso occupati di Blackjack!” Grido mentre studio un piano per affrontare il mio nemico con saggezza.
Vortice è nella mia tasca e so di doverla estrarre solo all’ultimo momento perché ho le braccia così deboli da riuscire a stento a sostenere il peso della spada.
Osservo il titano e i suoi movimenti e capisco che la cosa migliore è sfruttare la sua lentezza. Devo riuscire ad avvicinarmi per conficcare Vortice nel punto vulnerabile identificato da Annabeth. Quel punto si trova alla base del collo ed è quasi impossibile da colpire se non lo si attacca alle spalle. Sarebbe stato tutto molto più semplice con Annabeth pronta a distrarlo. Per un attimo rivedo i suoi occhi grigi invasi dalle lacrime e sento le viscere contorcersi come serpi. Il titano si sta avvicinando minacciosamente e capisco di non avere più molto tempo per le strategie. Corro verso il mio avversario senza un’idea precisa quando improvvisamente Grover comincia a gridare.
“Ehi! Ammasso di roccia!” Le sue urla sono accompagnate da sassi che colpiscono il titano in modo talmente lieve da rendere totalmente ridicola la scena. “Si, dico proprio a te! Dico, ma ti sei guardato allo specchio stamattina?” Grover continua a blaterare in modo così convincente da attirare completamente l’attenzione di Crio. Senza perdere tempo comincio ad arrampicarmi sulla sua gamba destra. La sua mole gli impedisce di percepire il mio peso, il che mi rende facile la scalata. Sarebbe tutto fantastico se solo Grover non avesse esagerato con gli insulti. Adesso il titano ha ripreso a muoversi, si piega per raccogliere pietre da lanciare verso il mio amico che però, muovendosi agilmente sulla superficie rocciosa, riesce a schivare con facilità.
Il movimento del titano rende difficile la mia scalata, ma il suo corpo è talmente rozzo e bitorzoluto da offrire un sacco di appigli. Riesco a raggiungere la spalla e mi decido ad estrarre Vortice.
‘Adesso o mai più’ penso sguainando la spada e conficcandogliela nell’incavo tra spalla e collo. Inizialmente non sembra accadere nulla, poi, improvvisamente, il titano si piega in due. Crolla a terra distrutto dal dolore, le urla strazianti che risuonano così forti da essere udibili probabilmente in tutta l’isola. Nonostante il titano si sia accasciato, mi trovo ancora a tre metri d’altezza. Mi guardo intorno alla ricerca della soluzione più rapida per scendere ma Crio esplode senza preavviso in una gettata di lava e roccia, scagliandomi a metri di distanza. Improvvisamente tutto diventa nero.
 
Credo di aver perso i sensi per qualche minuto perché al mio risveglio vedo Grover e le sue corna chini su di me.
“Sei vivo!” Esclama con un enorme sorriso dipinto in volto.
Mi metto a sedere tossicchiando, Crio deve aver fatto proprio un bel lavoretto perché in torno a me sembra essere stato tutto raso al suolo.
“Come ti senti?” Domanda Grover mentre mi rendo conto di avere un orecchio completamente fuori uso.
“Come se fossi appena saltato in aria.” Commento cercando di alzarmi.
Ora, io i nomi di tutte le ossa non le so, ma dubito di averne intere anche solo il cinquanta per cento.
“Prendi questo.” Grover mi offre un termos di cui non mi è difficile immaginare il contenuto. Lo porto alla bocca e sento il sapore del nettare rinvigorirmi.
“Grazie amico.”
Un rumore di zoccoli mi fa trasalire, Blackjack si sta avvicinando. Fatico a guardarlo negli occhi ma devo ammettere che vederlo almeno in piedi mi rasserena.
“Perdonami.” Sussurro mentalmente.
“Non hai nulla da rimproverarti capo! Fa tutto parte del mestiere.” Blackjack riesce sempre a strapparmi un sorriso. È una delle sue migliori qualità.
Quel sorriso è destinato a durare poco, mi sono appena ricordato di Annabeth. Sussurro il suo nome e vedo Grover avvicinarsi, mi dà una pacca sulla spalla e poi mi stringe in un abbraccio.
“Non potevi fare nient’altro.” Dice sciogliendo l’abbraccio e sforzandosi di trattenere le lacrime.
Sono stordito.
“Tu non capisci, io posso salvarla!” Finalmente mi riscuoto e corro verso la scogliera. Tendo una mano per richiamare le onde ma sono così debole da non riuscire a controllare neanche le acque più superficiali.
“Dobbiamo scendere!” Grido mentre una pessima sensazione si fa largo dentro di me. Non posso aver fallito.
“Percy…” Grover tenta di farmi ragionare.
“Ho detto che dobbiamo scendere!” La mia voce suona così preoccupata che stento a riconoscerla.
Blackjack e Grover si scambiano un’occhiata, poi si decidono a seguirmi senza aggiungere una parola.
Imbocco il sentiero che meno di un’ora fa mi aveva condotto in cima a quella dannatissima montagna. Ormai la ricerca della conchiglia di Afrodite mi sembra solo uno stupido, lontanissimo ricordo.
Sono talmente messo male da far fatica a reggermi in piedi, ma so di non poter crollare. Non adesso. Annabeth è ancora viva e ha bisogno di me. Voglio raggiungere il mare per rigenerarmi. Voglio raggiungere il mare per cercare Annabeth. Ovunque sia, io la troverò.
Una volta raggiunta la costa mi volto a guardare i miei amici. Blackjack e Grover mi hanno seguito in silenzio per tutta la camminata e adesso osservano il mare con aria abbattuta. Sono così sconvolto da non sapere nemmeno cosa dire pertanto, in silenzio comincio a camminare verso il mare. M’immergo fino alla vita ed è in quel momento che Grover si avvicina alla battigia con aria preoccupata.
“Percy… che cosa stai facendo?” Domanda con dolcezza. La verità è che nemmeno io so cosa sto facendo. Non ho un piano, perché ai piani di solito ci pensa Annabeth, e l’idea di non averla più al mio fianco è inaccettabile.
“Vado a riprendermi Annabeth.” Dico sapendo che ho molte più probabilità di trovarla morta piuttosto che viva.
Volto le spalle a Grover e m’immergo completamente.
 
Dopo un tempo incalcolabile riemergo nel punto esatto in cui mi sono immerso con la differenza che adesso ho recuperato una buona parte delle energie e che ho tra le braccia il corpo inerme di Annabeth. Mi ergo in tutta la mia altezza chiedendo alle onde di farsi da parte. Una sorta di passerella di sabbia si stende davanti a me contornata dalle onde che si scansano per favorirmi il passaggio. Cammino lungo la striscia di sabbia con il cuore che martella nel petto. Un passo dopo l’altro mi avvicino alla costa, dove vedo Grover e Blackjack attendermi ansiosi. Anche da quella distanza riesco a cogliere le loro espressioni. I loro volti riflettono il mio animo, sono cupi e preoccupati. Decido di ignorarli e mi sforzo di affrettare il passo. Ogni istante potrebbe essere fondamentale. Raggiungo la costa e depongo il corpo di Annabeth sulla sabbia. Le scosto i capelli bagnati dal viso e le parlo come se lei stesse solo dormendo. I miei amici si tengono a debita distanza.
Le stringo i polsi, come ho già fatto ripetutamente sott’acqua, alla ricerca di un battito che ormai so che non c’è. Il suo cuore è fermo e per quanto io la stringa forte al mio petto so che non basterà a farlo ripartire. Mi sento inutile, mi sento terribilmente vulnerabile, mi sento un comune mortale.
Grover trova il coraggio di avvicinarsi, le fa una carezza e poi si asciuga le lacrime.
“Mi dispiace, Percy!” Mormora senza staccare gli occhi da Annabeth.
“A cosa serve essere un eroe se non puoi salvare la persona che ami?” Ormai non sono più in grado di frenare le lacrime.
“Percy, tu sei un eroe, ma una parte di te sarà sempre mortale, errare è umano.” Le parole di Grover invece di rassicurarmi mi mandano in bestia.
“L’ho lasciata morire! Non potrò mai perdonarmelo.”
“Percy, tu non puoi tutto, non sei un Dio!
Improvvisamente un lampo attraversa la mia mente. Tutto d’un tratto so esattamente cosa devo fare.
Mi rialzo stringendo Annabeth tra le braccia, finalmente pervaso da una nuova speranza.
“E adesso dove stai andando?”
“Sull’Olimpo naturalmente!”
Vedo Blackjack e Grover scambiarsi un’occhiata e so che nessuno dei due proverà a fermarmi.

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Capitolo 12
*** Capisco il senso della profezia ***


Angolo dell'autrice: Ciao lettori! Vogliate perdonare questa lunghissima attesa ma sto scrivendo la tesi di laurea e non avete idea di quanto tempo mi porti via. :-( Detto questo, sono lieta di annunciarvi che pubblico il capitolo conclusivo. Spero che sia di vostro gradimento e che spieghi tutto quello che era rimasto in sospeso. Nel caso in cui abbiate domande o curiosità non esitate a commentare, rispondo sempre volentieri! :-) Non rattristatevi per via del fatto che questa storia si conclude qui, perchè vi annuncio che ho un sacco di altre idee che mi ronzano nella testa e non vedo l'ora di metterle per iscritto, quindi continuate a seguirmi perchè troverete altre nuove storie. Concludo ringraziandovi tutti uno a uno perchè siete stati fantastici, vi siete fatti coinvolgere dalla storia, mi avete fatto un sacco di domande e avete lasciato un sacco di bellissimi commenti! Grazie a tutti voi per le bellissime parole spese nei miei confronti e per tutti i complimenti che mi avete fatto. Ora vi lascio alla lettura e conto di trovarmi un sacco di commenti per il gran finale! Mi raccomando non deludetemi proprio alla fine. :-) Grazie di cuore.






Capisco il senso della profezia
 


 
L’idea di raggiungere l’Olimpo e implorare gli Dei di riportare Annabeth in vita mi pervade di nuova energia, se non altro fino al momento in cui guardo Blackjack e la sua ala spezzata e sento svanire ogni minimo barlume di speranza. Contavo sul mio pegaso per raggiungere l’Olimpo, ma avevo dimenticato il brutto incidente di cui il mio amico era rimasto vittima in cima alla montagna. Guardo Blackjack in preda alla disperazione, poi Grover si avvicina e mi posa una mano sulla spalla.
“Percy.” Dice in tono rassicurante. “Non puoi raggiungere la città degli Dei in groppa a Blackjack… ma siamo a due passi dalla vecchia sede dell’Olimpo, e penso che ad Atene ci sia ancora un ingresso secondario per entrare nell’Olimpo attuale.”
Le sue parole mi rigenerano più dell’ambrosia. Sento il cuore battere all’impazzata e i miei occhi tornano a brillare pieni di speranza.
Scruto le onde del mare e mi concentro sulle correnti più profonde. Ho bisogno di una barca e sono certo che quelle acque custodiscono antichi relitti, devo solo trovare il modo di farne riaffiorare uno. Concentro tutte le mie energie sulla superfice del mare e, con mia grande sorpresa, riesco a creare un vortice del diametro di circa due metri. Improvvisamente le acque s’increspano rivelando l’albero maestro di un piccolo veliero. È perfetto. Grover e Blackjack mi guardano sbalorditi.
“Wow! Sei troppo forte Percy!” Grover saltella sulla spiaggia come un matto, ma io sono troppo in ansia per Annabeth per gioire quanto lui.
In men che non si dica siamo a bordo del veliero ed io faccio subito rotta verso la Grecia. Annabeth giace in un angolo dell’imbarcazione avvolta nelle vele. Io tengo lo sguardo fisso sull’orizzonte, ma inevitabilmente torna sempre su di lei, come se mi aspettassi di vederla riaprire gli occhi da un momento all’altro.
Giunti ad Atene, Grover comincia ad inerpicarsi tra le ripide vie che conducono alla parte alta della città, mentre io e Blackjack cerchiamo di tenere il suo passo. Il mio amico satiro ci guida tra le rovine dell’Acropoli e giunti difronte a un grande tempio mi guarda annuendo: “Ci siamo! L’antico ingresso dell’Olimpo si trovava qui, nel Partenone.”
Mi guardo intorno reggendo il corpo inerme di Annabeth. Non ho idea di cosa aspettarmi, di certo non l’ascensore dell’Empire State Building.
“Deve esserci un simbolo o qualcosa che segnala l’ingresso.” Spiega Grover zampettando come un matto tra le rovine.
“Cerchiamolo, presto!”
Ho il fiato corto. Ho corso come un pazzo per tutta l’Acropoli cercando di stare dietro a Grover e adesso l’idea di essere a un passo dall’Olimpo mi lascia con il fiato sospeso. Sono certo che gli Dei potranno fare qualcosa per Annabeth.
“Ci siamo!” Strilla Grover dall’altra parte del Partenone. “L’ho trovato!”
Lo raggiungo col cuore che palpita e quando sono al suo fianco lo riconosco anch’io. Il simbolo dell’Olimpo è inciso in un cerchio dorato incastonato nel pavimento del tempio. Decido di deporre Annabeth a terra per studiare meglio il simbolo insieme a Grover.
Lo sfioro con le dita e percepisco qualcosa. Quello è più di un semplice simbolo.
“Bel lavoro Grover!”
“Pensi che dovremmo…”
“Premere, si penso che dovremmo premerlo, è pulsante.” Così dicendo schiaccio il marchio lucente verso il basso e improvvisamente una botola oscura si apre davanti a noi.
“Cavoli!” Esclama Grover mentre io riprendo in braccio Annabeth. “Cos’è questa roba? Più che la porta dell’Olimpo a me sembra l’ingresso degli Inferi!” Brontola guardando accigliato la botola buia.
“Non dire idiozie Grover!” Lo rimprovero avvicinandomi all’orlo della botola. “Negli Inferi ci siamo stati, sai bene che l’ingresso non è un buco nel pavimento di un tempio.” Gli scocco un occhiolino e lui sembra rabbrividire ricordando il tempo trascorso negli Inferi.
“Sarà… ma sembra in disuso da parecchio, speriamo che conduca ancora all’Olimpo.”
“Non ho più tempo, Grover. Devo andare, tu resta qui con Blackjack. Contatta Chirone e fate ritorno al campo.”
Grover sembra sul punto di ribattere, poi guarda Annabeth, le accarezza il viso per poi spostare lo sguardo su di me. Mi guarda dritto negli occhi e con voce decisa dice: “Fatti valere, Percy Jackson. Annabeth merita una seconda opportunità.”
“Sono d’accordo… e sarà meglio per Zeus che lo sia anche lui.”
Salto nella botola stringendo saldamente Annabeth al mio petto. La caduta sembra infinita e per un secondo ho veramente paura che quel tunnel mi conduca di nuovo da mio zio Ade nell’oltretomba. Poi, come se la gravità smettesse di esistere, la mia caduta rallenta. È quasi come se stessi galleggiando, ma qualcosa mi dice che sto ancora cadendo. L’oscurità comincia a diradarsi e improvvisamente vengo investito da una luce inaspettata. Un bagliore dorato, quasi accecante, mi costringe a chiudere gli occhi, poi la luce diventa nuovamente normale e i miei piedi toccano finalmente terra. Mi guardo intorno. Alle mie spalle c’è l’ascensore dell’Empire State Building, come se avessi raggiunto l’Olimpo nella maniera tradizionale. Non perdo altro tempo, conosco la strada. M’inerpico sulle candide scalinate che conducono alla sala dei troni facendo i gradini tre alla volta. Sono talmente determinato da non sentire minimamente la fatica.
La sala dei troni è affollata e tra gli Dei sembra essere in corso una discussione parecchio accesa. Talmente accesa da impedirgli di accorgersi della mia presenza, il che forse è un bene dato che ho il fiatone, e non è che sia proprio un bel biglietto da visita per un semidio.
Riprendo fiato e non appena ne ho abbastanza per parlare decido di attirare l’attenzione.
“Oh Dei” butto lì non sapendo in che altro modo iniziare “vogliate scusare la mia impertinenza nell’interrompere le vostre riunioni.” Non ho idea di quello che sto dicendo, ma adesso tutti mi stanno guardando e questo mi basta.
“Come osi venire quassù dopo quello che hai fatto!” Atena mi apostrofa con disprezzo, sembra aver abbandonato il tono saggio e pacato che la contraddistingue. Il suo sguardo si sofferma sul corpo di Annabeth e la vedo lanciarmi un’occhiata carica di odio.
“Dovrei distruggerti all’istante ma lascerò che sia Zeus a scegliere come eliminarti.” Così dicendo scocca un’occhiata d’intesa al signore del cielo e mi volta le spalle uscendo dalla sala.
“Divino Zeus, il destino mi ha imposto una scelta. Ho sacrificato la vita di Annabeth per proteggere l’Olimpo dalla minaccia di Crio. Ero convinto di poterla salvare…” Sento la mia voce incrinarsi ma cerco di non perdere il controllo, tutti gli Dei sono in ascolto. “…ma mi sbagliavo. Ora, vi chiedo umilmente di riportarla in vita. Annabeth è morta per causa mia, ma lei merita di vivere. Datele una seconda possibilità.”
Senza neanche rendermene conto mi ritrovo in ginocchio, nella sala dei troni è calato il silenzio assoluto. Zeus mi scruta dall’alto e così mio padre e tutti gli altri Dei.  Sembrano essere tutti in attesa del verdetto finale.
“Eroi…” Commenta Zeus con tono disgustato. “Poche gocce di sangue divino scorrono nelle vostre vene, eppure vi sentite in dovere di giocare con la vita e la morte… come se foste immortali.”
Le parole di Zeus mi gelano il sangue, non sembrano preannunciare nulla di buono. Resto in ginocchio a scrutare il pavimento anche se la tentazione di guardare Zeus negli occhi è enorme.
“Tu hai fatto una scelta, Percy Jackson, l’hai detto tu stesso. Io non intendo cambiare le cose. Che quanto è accaduto ti serva di lezione.”
“No!” Grido incapace di accettare quel verdetto. “Lei non può fare questo ad Annabeth!”
Io non posso fare questo ad Annabeth?” Ruggisce Zeus talmente furioso da sovraccaricare la sua folgore così tanto da provocare un tuono tremendo. “È solo colpa tua se quella semidea è morta, non cercare di scaricare la tua responsabilità su qualcun altro, ragazzo! Il fato ha in serbo per te un’infinità di altre scelte, e io non sono qui per riparare ai tuoi errori. Pensi che abbia tempo di stare dietro alle vostre inutili vite mortali? Ho cose più importanti di cui preoccuparmi!”
Zeus mi guarda con gli occhi scintillanti di odio e così tutti gli altri Dei. Non ho il coraggio di guardare mio padre.
Sento una rabbia incontrollabile montarmi dentro, so che probabilmente Zeus finirà per incenerirmi, ma vale la pena tentare.
“Lei mi deve un favore!” Grido con voce ferma. “Ho sconfitto Crio e preservato l’Olimpo, se non fosse per me in questo momento non avrebbe nemmeno un trono su cui sedersi! E ho potuto fare tutto questo perché Annabeth si è sacrificata, se io non l’avessi lasciata andare a quest’ora saremmo morti entrambi, e l’Olimpo sarebbe stato distrutto.”
Mio padre mi guarda scuotendo la testa, come se questa volta l’avessi fatta più grossa del solito.
“Fingerò di non aver sentito quest’ultimo affronto.” Sono le uniche parole che Zeus si degna di pronunciare. Capisco che il signore del cielo non ha la minima intenzione di interferire con il volere delle Parche e sento il mondo intero crollarmi addosso.
“Padre…” Imploro Poseidone con lo sguardo alla ricerca di un ultimo aiuto.
“Mi dispiace, figliolo.” Il suo sguardo è affranto e deluso e io sento le ultime speranze abbandonarmi definitivamente.
“La nostra seduta finisce qui.” Dice Zeus rivolto agli altri Dei che iniziano a mormorare tra di loro. Li guardo uno a uno e riconosco Afrodite. Non posso fare a meno di pensare che sia tutta colpa sua, Annabeth è morta nel tentativo di compiacerla e io la odierò per sempre per questo.
“Aspettate.” La mia voce rimbomba nella sala facendo voltare tutti i presenti. “Se non potete riportarla in vita… rendetele grazia.” E con quelle parole trovo la forza di rialzarmi e depositare il corpo di Annabeth al centro della sala, sull’altare in marmo accerchiato dai troni.
Sento che sto per mettermi a piangere, così scappo a gambe levate da quel luogo. Odio essere un semidio, odio la crudeltà degli Dei, odio il pensiero della mia vita senza Annabeth. La verità è che ho sacrificato la vita della persona che amavo per salvare quella degli Dei. Dei che mi hanno appena dimostrato di non avere un cuore. E quel che è peggio è che non sembrano essere nemmeno minimamente grati. Avrei dovuto fare la scelta opposta, salvare Annabeth e vivere con lei. Anche un modo dominato dai Titani, con Annabeth al mio fianco, sarebbe stato migliore della vita che mi si prospetta davanti adesso.
Mi avvicino ad una delle mille fontane che abbelliscono l’Olimpo sapendo che l’acqua è una delle poche cose in grado di farmi stare meglio. Siedo sul bordo della vasca marmorea e osservo il mio riflesso. Stento a riconoscermi. Sono pallido ed emaciato. Gli occhi sono rossi a causa delle lacrime e ho l’espressione sconfitta. Sposto lo sguardo da quell’orribile riflesso ed è solo in quel momento che mi accorgo di avere un braccio ricoperto di sangue. Immergo il braccio scorticato nella fontana per ripulirlo, quando una voce calda e profonda mi coglie di sorpresa sussurrando il mio nome. Afrodite è alle mie spalle. Ha dimensioni umane, ma riesco comunque a percepire la sua aurea di potere. Tra tutte le divinità è l’ultima che voglio vedere.
“Con tutto il rispetto… vorrei stare un po’ da solo.” Pronuncio queste parole dandole volutamente le spalle. Mi vergogno del mio aspetto.
“Percy Jackson.” Ripete con un filo di voce mentre sento i suoi passi avvicinarsi. “Voi eroi siete tutti uguali…” Commenta con rammarico.
“Io non sono un eroe, forse ho creduto di esserlo, ma non è così.” Mantengo lo sguardo fisso sulla mia immagine e mi sforzo di trattenere le lacrime.
“Certo che lo sei.” Ribatte la Dea quasi indignata.
“Senta…” sbotto desideroso di dare un pugno a quel bel faccino “ci tengo che lei sappia che la ritengo complice di quanto è accaduto.”
“Per cosa?” Domanda Afrodite fingendo di non capire. “Per avervi permesso di amarvi?”
Quelle parole mi suonano strane. Mi sento indignato.
“Lei e quella stupida profezia… avete convinto Annabeth ad andare a Cipro alla ricerca di una conchiglia perduta.” Tremo di rabbia. Non capisco cosa voglia Afrodite da me. Voglio solo essere lasciato in pace.
“No, giovane eroe, è qui che ti sbagli.”
Finalmente trovo il coraggio di sorreggere lo sguardo della Dea dell’amore e resto incantato dai suoi occhi arcobaleno.
“Io… io non la seguo. So solo che dovrebbe essere contenta, Annabeth non c’è più e pertanto non avremo più occasione di farla infuriare.”
“Oh si, è vero, quanto è accaduto tra voi mi ha mandato su tutte le furie.” Spiega scrollando la lunghissima chioma bionda.
“E mi sto ancora domandando il perché.” Brontolo riprendendo a fissare la superficie dell’acqua.
“Suvvia!” Esclama scattando in piedi. “Sono la Dea dell’Amore! Sono io a decidere chi ama chi!”
“Che cosa?!” Domando allibito.
“Hai capito bene. Io creo le coppie a mio piacimento e invio Eros a inaugurarle.” Ascolto la Dea rapito dalle sue parole. Non posso credere che tutto l’amore del mondo possa dipendere da lei. “Ma voi, voi siete sfuggiti al mio controllo…” Ammette posando lo sguardo su di me. “Certo… non che sia la prima volta. Giulietta e Romeo, Cleopatra e Antonio…”
“Come scusi?” Sento il cervello che sta per esplodere, spero che si tratti di un brutto sogno ma mi sento più sveglio che mai. “Mi sta dicendo che quando una coppia s’innamora senza il suo permesso lei finisce per ammazzarli?” Domando inorridito.
“Ma certo che no, sciocco!”
“Ammetterà che le coppie da lei citate non hanno fatto proprio una bella fine…”
“Certo, andare contro il mio volere comporta dei rischi, ma non mi permetterei mai di togliere la vita a degli innamorati.”
“Continuo a non capire…”
“La nascita di una coppia ‘spontanea’ m’irrita terribilmente perché sono tremendamente precisa e detesto che mi sfugga qualche particolare. Quindi si, tu e Annabeth mi avete mandando su tutte le furie, ma è intervenuta Atena che mi ha illustrato la profezia di sua figlia. Parlava di un pegno d’amore e ho deciso di lasciarvi tentare.”
Ormai pendo completamente dalle sue labbra. Sapevo che le parole di Afrodite non avrebbero mai potuto riportare Annabeth in vita ma non riesco a fare a meno di ascoltarla.
“Quella stupida conchiglia… se non fosse per quella, Annabeth sarebbe ancora viva.”
“Hai detto bene, ragazzo! Quella stupida conchiglia. Non so perché la tua ragazza avesse pensato a quell’orribile cimelio. Non ho mai desiderato riaverla… anzi, in tutta sincerità spero proprio che sia andata distrutta.”
Fantastico, pensai, tutta questa fatica per scoprire che Afrodite nemmeno la voleva quella maledetta conchiglia. Poteva anche evitare di dirmelo. Adesso si che sono depresso.
“Eppure… la sua determinazione nel recuperarla mi ha dimostrato il suo amore per te, era così convinta che fosse l’unico modo per placare la mia ira da rischiare la vita per recuperarla. Questo si che è un pegno d’amore.”
Mi gira la testa. Giuro che se le sento dire un’altra volta la parola ‘amore’ vomito.
“Ma Annabeth non ha finito di stupirmi. Quando ti ha espressamente chiesto di lasciarla andare ho capito dai suoi occhi che aveva finalmente compreso il senso della profezia.”
Come si spegne questa Dea? Non voglio più sentire una parola uscire dalla sua bocca. Ogni sillaba che pronuncia è come una pugnalata dritta al cuore. Una carica di mitra direttamente da Ares farebbe meno male.
“Annabeth ha dimostrato di essere degna figlia di sua madre. La sua saggezza le ha permesso di capire cosa volesse dire veramente la profezia. Il pegno d’amore di cui si parlava non doveva dimostrare il suo amore per te…”
Ecco ci manca solo che adesso mi dice che Annabeth amava un altro così poi posso morire felice.
“…doveva dimostrare l’amore per gli Dei e l’Olimpo, e l’ha fatto implorandoti di lasciarla andare per permetterti di salvare tutti noi.”
Non so se le parole di Afrodite corrispondano alla realtà dei fatti, ma una cosa la so: non mi fanno stare meglio.
“Beh, buon per voi!” Esclamo carico di rabbia. “A quanto pare questo non è bastato a farle meritare una seconda possibilità.” E con queste parole decido che non voglio stare sull’Olimpo un momento di più.
Mi alzo deciso ad abbandonare per sempre quel luogo.
“Tu credi?” Domanda la Dea con tono regale.
“C’era anche lei mi pare, quando ho supplicato Zeus di riportare Annabeth in vita…”
“Voi uomini siete tutti uguali…” La vedo roteare gli occhi sconsolata. “Solo perché siete un concentrato di ormoni in subbuglio pensate di poter dominare il mondo!”
Ci mancavano solo i commenti femministi adesso. Torno sui miei passi e mi avvio verso l’ascensore.
“Non hai mai pensato di esserti rivolto al Dio sbagliato?” Domanda la voce suadente di Afrodite.
“Ho fatto tutto quello che potevo fare. Ho chiesto aiuto a Zeus, a mio padre, Atena mi ha voltato le spalle ancora prima che potessi aprire bocca e tutti voi non avete mosso un dito per aiutarmi.”
“Ascoltami bene, Percy Jackson, sto per darti una grande lezione di vita e voglio che tu non la dimentichi mai.”
“Sono tutto orecchie.” Esclamo sarcastico sperando che dopo quest’ultima massima potrò finalmente andarmene.
“Quando hai un problema di cuore… la prossima volta prova a rivolgerti alla Dea dell’Amore e non a quel pallone gonfiato di Zeus.”
Le parole di Afrodite m’investono come un treno ad alta velocità. Sento le gambe cedere, ma mi sforzo di raggiungere nuovamente la Dea.
“Lei può riportare Annabeth in vita?” Domando aggrappandomi all’ultimo filo di speranza.
“Posso farlo solo se mi giuri di amarla.”
“Lo giuro, lo giuro con tutto me stesso.” Sento gli occhi tornare umidi. Le lacrime stanno per prendere di nuovo il sopravvento.
“Allora va da lei… penso che ti vorrà al suo fianco quando riaprirà gli occhi.”
In quell’esatto momento un bagliore dorato si sollevò dalla sala dei troni, qualcosa di mistico sta accadendo tra quelle mura.
Mi volto deciso a ringraziare la Dea dell’Amore, ma lei parla prima che io riesca a mettere insieme una frase di senso compiuto.
“Va da lei… prima che cambi idea.”
Non me lo faccio ripetere due volte e comincio a correre come un pazzo verso la sala dei troni, dove meno di mezz’ora prima ho deposto il corpo di Annabeth privo di vita. Riesco a raggiungerla nonostante la luce abbagliante. Ha ancora gli occhi chiusi, ma sento che a breve potrò perdermi di nuovo nei suoi occhi grigi. Sono pronto a rivederli, sono pronto a riabbracciarla, sono pronto a dirle che la amo.
Come promesso da Afrodite, vedo Annabeth tornare a respirare, le stringo una mano con l’emozione alle stelle e finalmente i suoi occhi si riaprono e incontrano i miei. Non riesco a dire una parola. Sto piangendo dalla gioia. Annabeth si mette a sedere, si guarda intorno stupita e mi osserva sbalordita.
“Percy, hai salvato l’Olimpo!” Commenta, riconoscendo il luogo in cui si trova.
“No Annabeth… tu hai salvato l’Olimpo.” Non le lascio il tempo di farmi domande e la bacio come se non fossi nato per fare altro.
E mentre lei ricambia, capisco il senso degli ultimi versi della profezia.
 
La sua gratitudine vorrà manifestare,
affinché il vostro amore possa trionfare

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