Vincent's story

di MaryKei_Hishi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** lui ***
Capitolo 2: *** Un mondo a parte ***
Capitolo 3: *** capitolo III ***
Capitolo 4: *** Victor ***
Capitolo 5: *** sleza ***
Capitolo 6: *** falsi ricordi ***
Capitolo 7: *** Horge ***
Capitolo 8: *** L'inganno del potere. ***
Capitolo 9: *** capitolo IX: l'agnello e il lupo ***
Capitolo 10: *** capitolo X: special I Victor p.o.v. ***
Capitolo 11: *** capitolo XI: le cose non dette sono le peggiori ***
Capitolo 12: *** capitolo XII: Trapnest. ***
Capitolo 13: *** capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** capitolo XVII- Nelsn P.O.V. ***
Capitolo 18: *** capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** capitolo XX ultimo capitolo ***



Capitolo 1
*** lui ***


CAPITOLO I: “lui”

Quando iniziai a vivere la mia omosessualità era appena iniziato il secondo semestre del secondo liceo.
Prima di allora avevo paura di me stesso come della gente che mi circondava, temevo che la loro ottusaggine e i loro pregiudizi verso quel qualcosa che non si uniformasse alla massa mi avrebbe fatto male.
Con questo non sto dicendo che non ha fatto male, anzi... ma... beh, con me c'era lui.

Lui, era un ragazzo strano, un ragazzo di una grande città, trasferito in una cittadina piccola come quella in cui sono nato per qualche motivo sconosciuto a chiunque.
Era arrivato nella nostra scuola a semestre iniziato, non dava confidenza a nessuno ne era propenso ad instaurare rapporti d'amicizia con alcuno.

Lui era.. come avvolto da un alone di mistero affascinante e seducente.
Era strano, molto strano; attirò fin dalla prima volta che lo vidi -nell'aula di chimica un mercoledì mattina- la mia attenzione.
Era misterioso, taciturno, con quella sua aria di superiorità mista ad indifferenza, ma sopratutto era estremamente bello.
Era bellissimo e io sentivo che non avrebbe mai rivolto la sua attenzione verso un insulso ragazzino come me.
Sentii fin dalle prime volte che ci incrociammo nei corridoi o per le scale o quando condividevamo le aule di lezione, che qualcosa ci accomunava, ci rendeva simili.
Solo dopo molti mesi, quando era appena iniziato il secondo semestre capii cosa.

L'omosessualità.

A fine semestre, nella nostra scuola, in bacheca venivano usualmente appesi i risultati di fine semestre.
Quell'anno non fu il solito ragazzo ad essere il primo in quella lista.
Anche se arrivato a semestre iniziato il suo nome svettava lì in cima.

Vincent Duglas.

Il suo essere così “odiosamente” asociale lo rendeva artefice e vittima del suo essere solitario.
Non era propenso alla comunicazione e molte volte non interagiva con gli altri nemmeno se direttamente interpellato. Era strano, troppo per una cittadina bigotta e ipocrita come la Nostra...
più passava il tempo più io rimanevo affascinato dal quel suo modo di essere e rapportarsi agli altri -e a se stesso- lui non dipendeva da nessuno, non aveva bisogno di nessuno, era unico e perfetto, lui era Vincent.
Durante la pausa pranzo spesso si appartava in giardino, all'ombra di un albero, uno dei tanti.
Solitamente quando era seduto su quell'erba scura d'ombra prendeva il cellulare e se lo poggiava sulle gambe mentre scribacchiava su un quaderno arancione cose che solo lui sapeva.
E sempre quel cellulare squillava e lui metteva l'auricolare e parlava ascoltava e continuava a scrivere.
Ben presto, durante quel semestre già cominciato gli altri frequentanti la nostra scuola iniziarono ad iconizzarlo come un qualcosa di sbagliato, da evitare, lui non era come loro, lui era diverso, e non si uniformava. Lui non avrebbe fatto parte di loro, mai e questo mi faceva piacere.
Cominciarono a girare delle strane voci su di lui, che fosse un assassino, che fosse un deviato e un satanista, lui ignorava tutto come sempre, non gli tangeva nessuna delle parole che gli venivano rivolte se pur indirettamente.
Di quel semestre di scuola, ricordo solo avvenimenti che io vissi passivamente, senza coinvolgimenti.
Lui non mi parlava e molto semplicemente non sapeva nemmeno che esistevo, ma io volevo che lui mi conoscesse. Io volevo essere definito da lui come un qualcosa che equivalesse per il resto delle persone “amico” -non so esattamente come nemmeno adesso-.
Lascivo è uno degli aggettivi che fin da subito trovai gli calzasse a pennello, lui era lascivo, senza interessi, sembrava vivere passivamente una vita che non desiderava vivere più di tanto, era lascivo perfino con il sol respirare.

Vincent non era diverso, Vincent era semplicemente particolare.

Del secondo semestre mi torna alla mente un avvenimento in particolare, ancora non sapeva che esistessi, ma... quel giorno, era aprile, un anonimo giovedì mattina un po' più freddo della media, iniziata come una giornata orribile, grigia e uggiosa che si rivelò invece il mio trampolino di lancio.

Quel giovedì mattina io fui guardato.

Biologia era noiosa come al solito e la nostra aula era cremita di persone che non erano per nulla interessate alla materia, era un dovere star li, un obbligo e ci si stava, ovviamente disturbando, altrimenti che razza di ragazzi sarebbero stati?
La professoressa ormai era rassegnata e spiegava quel noioso argomento cercando di sovrastare le chiacchiere dei suoi allievi, non aveva polso ma non le importava se non avessero seguito. Problemi loro a fine semestre. Una teoria invidiabile che le permetteva di non procurarsi ulcere dovute al nervoso.
Vincent era seduto due banchi avanti a me e guardava fuori la finestra annoiato da tutto, lezioni e chiacchiere che raggiungevano le sue orecchie anche se non non avesse voluto.
Era assorto in non so che pensieri, quel che sempre gli vorticava nella testa non è mai stato argomento di conversazione con nessuno, i suoi pensieri sono sempre stati suoi, credo che nemmeno a oggi riuscirei a capire quel che gli passava per la testa in quel momento, capire Vincent è stato sempre un qualcosa di impossibile.
In quel momento Nelson, dietro di me mi passò un biglietto, lo lessi e sorrisi lievemente, Nelson era uno dei miei amici più cari, la nostra amicizia era longeva, durava dalle elementari, e credo che non finirà molto presto, ha superato tutte quelle fasi di crescita che avrebbero dovuto differenziarci ma che non è mai successo.
Però, nemmeno a Nelson avevo detto di Vincent e del mio interesse verso di lui.
Non era un interesse fisico o sessuale, era bello ma non sono mai stato il tipo da “questo me lo farei” imparai solo alcuni mesi dopo che Vincent invece era tipo da dire quelle cose -dipendeva dal momento e da come stava- su quel bigliettino c'era scritto “perditi, perditi nei tuoi pensieri perversi William ma non pensare che poi io ti passi le risposte al compito” Nelson contava di un ironia unica, causa tutti quei telefilm irriverenti che era solito guardare, aveva una memoria incredibile, e molte volte se leggeva un libro o una storia che gli piaceva mi imprigionava raccontandomi tutto, in uno di quelli che lui osava definire “riassunti” ma che comprendevano esattamente ogni singola parola del testo se non di più.
Feci per dirgli qualcosa e lui prima che le mie labbra si muovessero cambiò posto venendomi accanto “ma come sei spiritoso” gli sussurrai e lui ridacchiò.
Assottigliò lo sguardo che brillò di furbizia. “tu non puoi permetterti di vagare con la mente, come fa lui.” ammiccò con la testa nella sua direzione e io arrossì e lui rise di nuovo, l'aveva capito e in fondo non me ne stupii, Nelson era molto perspicace e intuitivo.
Dopo quel “lui” detto con enfasi Vincent si alzò lasciando l'aula nonostante i richiami della professoressa -nemmeno troppo insistenti- io volli uccidere Nelson.
Prima di uscire dalla classe si voltò, vidi il suo sguardo volgere verso di noi e... mi ghiacciai, lo ricordo ancora ora quello sguardo era inespressivo; sempre in quel giorno per un altra volta provai una situazione simile, ero in corridoio, con Nelson e lui ci passò accanto, senza dire ne fare nulla, semplicemente camminava guardando un punto nullo davanti a sé, nell'attimo in cui mi oltrepassò, un colpo di vento mi fece spostare i capelli e raffreddare le guance, lo sentii anche attraverso i vestiti, lo sentii nel corpo.

Io dovevo conoscerlo.

Per il resto della giornata non lo intravidi più, ma quel giorno mi aveva guardato, avevo sentito il suo sguardo su di me, da quel giorno lui era a conoscenza della mia esistenza e io ne fui contento.

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Capitolo 2
*** Un mondo a parte ***


Pochi giorni più tardi quel fatidico sguardo compresi che Vincent era effettivamente strano, uno strano particolare, uno strano al di fuori di qualsiasi schema, uno strano che anche un pazzo avrebbe identificato con tal aggettivo: strano.

Era sabato pomeriggio e come eravamo soliti fare io e Nelson girovagavamo senza meta nella nostra cittadina che ormai conoscevamo palmo per palmo, anche ad occhi chiusi avremmo potuto girare per le viette senza perderci, proprio perché conoscevamo esattamente TUTTO della città nella mente più forte degli altri mi passava il pensiero di dove abitasse Vincent, in un piccolo centro tutti conoscono tutti e la domanda più frequente che mi saltava alla mente era se Vincent fosse stato ospite di qualche parente e soprattutto chi fosse quel fantomatico parente.
Avevo già escluso il fatto che lui abitasse solo, nessuno a Castel River affittava casa o stanze, men che meno se si trattasse di stranieri, in oltre nessuno aveva recentemente lasciato il paese indi per cui non c'erano case con disponibilità immediata; l'unico albergo della cittadina aveva prezzi abbastanza abbordabili ma uno studente, trasferito dalla grande città ad un piccolo centro per chissà quale ragione o per chissà quanto tempo -lungo visto che frequentava la scuola- avrebbe potuto permettersi di vivere per tanto tempo in un albergo? Era da escludere, forse era fattibile come soggiorno momentaneo, ma non come luogo di vita per un lungo periodo.

Tutti quei pensieri e calcoli mi avevano portato ben presto a pensare che Vincent fosse ospitato da un parente, un qualcuno che nonostante conoscesse tutta la cittadina non avesse detto a nessuno del suo fantomatico parente cittadino che a breve si sarebbe trasferito.
Un qualcuno che conviveva nella comunità ma che non ne faceva parte attivamente, ma quella era solo una mia deduzione.
Quel sabato stavo discutendo con Nelson del nostro soggetto preferito -non che oggetto di discussioni accese in quegli ultimi giorni- proprio lui.
Non so se Nelson era geloso, probabilmente lo era, forse vedeva spodestato il suo ruolo di amico, forse altro, non lo so, non sono mai voluto andare a fondo di questa storia e lui non me ne ha mai voluto dare delucidazioni. Quel sabato la nostra discussione arrivò a toccare parole forti.
Lui non voleva che io entrassi in contatto con Vincent perché credeva ci fosse un fondo di verità nelle voci che giravano su di lui, voci che Vincent non confermava, ma che nemmeno smentiva diceva sempre Nelson.
Come arrivò a darmi un pugno non saprei dirlo, era tutto confuso e le parole si mischiavano e la mano si era alzata repentina e mi aveva colpito e io avevo risposto.
Ci fu un sinistro filo conduttore di quel discorso dai toni crescenti e incitatoti che ci portò alle mani, ben presto mi trovai nel parco a camminare da solo e a ripensare.
Dovrei solo ringraziarlo Nelson se penso che se lui mi ha rivolto quelle sue strambe prime parole è stato solo merito suo e del suo pugno.
Camminavo e rimuginavo senza prestare attenzione a quel che c'era intorno a me, spesso mi succedeva mi isolavo pensando -mi capita ancora ora, se penso i miei pensieri mi risucchiano rendendo ciò che ho fuori di me ovattato e improvvisamente silenzioso- e così camminavo in un qualcosa che non sentivo e non vedevo, stavo, in quel momento, ripensando al discorso confusionario che ci aveva portato alle mani, il risultato di quel momento di ricordi fu un “devo scusarmi con nel” e senza interessarmi di chi o cosa mi fosse vicino scattai correndo dietro di me convinto di andare da Nelson per porgergli le mie scuse.

A casa di Nelson non ci andai in quel giorno.

Appena due passi dopo urtai contro qualcosa, che solo dopo molto -appena riuscii ad alzare lo sguardo- compresi fosse un chi non un cosa.

Il chi imprecò contro di me mandandomi al diavolo e senza neppure guardarlo io di risposta lo mandai a quel pese con toni decisamente emh.. meno carini.
Quel che mi rispose lui fu l'ultima cosa che sinceramente pensavo si potesse rispondere a quell'imprecazione.
Sentii un chiaro e sonoro “di nuovo?!” detto anche con un certo tono do ovvietà, alzai gli occhi stupito, e... me lo trovai davanti.

Rimasi impietrito, sconvolto e shoccato, non ero preparato ad un incontro del genere, incontro che potrei meglio definirlo come “scontro”.

Lui si alzò dandosi delle pacche sul sedere per spolverarsi del terriccio del parco e nuvolette color ocra abbandonarono quella bella visione.

Mi alzai da solo non gli passò nemmeno per un istante nella mente il pensiero di porgermi la sua mano per aiutarmi, gli chiesi se stava bene e lui mi rispose che gli faceva male il culo.
Non capii se per la botta o per qualcos'altro.

Anche se l'ambientazione non era delle migliori e gli accadimenti erano stati disastrosi, lui mi stava parlando, mi stava parlando.
Mi resi conto fin da subito che la cosa più sbagliata che avessi potuto dire per continuare quel discorso era un normale “piacere io sono William, tu?” no mai, mi avrebbe sputato in faccia andandosene, lui era Vincent e Vincent era un mondo apparte.
“beh così impari a farti scopare in giro”
credetti di averlo solo pensato, ma vederlo inarcare un sopracciglio e poi ridacchiare per darmi ragione mi fece render conto che io lo avevo detto.
Per un attimo volli sotterrarmi.
Poi sorrisi, consapevole che per Vincent non poteva esserci approccio migliore.

“lo vuoi un caffè?”
io accettai anche se il caffè mi faceva schifo. Solo mesi più tardi mi ci abituai, iniziò a piacermi, e in fine lo adorai, proprio come faceva lui.

Andammo in un bar, Nelson ormai era un pensiero accantonato in un angolo del mio cervello, angolo sbruffoncello che veniva spesso dimenticato, così come i pensieri che conteneva.
Bevemmo il caffè, eravamo silenziosi e io ero nervoso, lui no.
Era silenzioso, stava bevendo il suo caffè come se fosse l'ambrosia degli dei, non ci misi molto a capire che per Vincent, il caffè era un surrogato di un ipotetica linfa vitale.

Quella giornata terminò con me e Vincent che con un gesto della mano ci salutavamo, era ormai l'imbrunire e avevamo parlato di tutto e di niente. Era l'imbrunire e Nelson me lo ero dimenticato, era l'imbrunire e il giorno dopo a scuola avrei avuto qualcuno da salutare, qualcuno che avevo bramato poter salutare. Vincent a quel tempo era per me il mio personale trofeo.

Entrai in casa e la cena stava per essere messa in tavola, non erano quattro come al solito i piatti, erano cinque, Nelson era venuto a cercarmi a casa qualche ora prima e mia madre l'aveva praticamente costretto a rimanere a cena.

Mi guardò così intensamente per potermi leggere dentro che mi sentii improvvisamente spogliato, nudo, forse senza nemmeno la pelle, sentii di arrossire, e volsi lo sguardo altrove.
“vado a lavarmi le mani” annunciai e Nelson mi seguì con la medesima scusa.
Nel bagno, immersi nel silenzio rotto solo dallo scroscio dell'acqua che tintinnava nel lavandino vedevo dallo specchio che lui mi guardava, e io guardavo lui.

Mentre prendevo la saponetta glielo dissi, pensai che si sarebbe infuriato, che mi avrebbe urlato contro per poi andarsene, ma non fece nulla che mi sarei aspettato.

“beh allora dovresti ringraziarmi”

lo disse con un tono ammiccatore, con uno sguardo furbesco e con l'aria di chi a capito tutto della vita, Nelson era sorprendente e mi strappò un sorriso, poi ovviamente lo schizzai con l'acqua, anche se in seconda liceo, eravamo dei ragazzini, incasinati, ma dei ragazzini.

Il giorno dopo a scuola -ovviamente con Nelson- ero davanti al mio armadietto, lo stavo appena chiudendo dopo aver preso il libro di algebra e lui ci passò davanti, non mi aspettavo niente, da lui aspettarsi qualcosa è totalmente sbagliato, Vincent è un mondo apparte e non segue regole né schemi, lui fa quel che vuole quando vuole e mai si pente delle sue scelte.

Io non feci nulla, fingendo il più totale disinteresse, e lui passando mi fece un cenno con il capo. Probabilmente se avessi alzato la mano in segno di saluto, lui mi avrebbe ignorato, io non lo feci ignorandolo e lui mi fece presente con quel suo gesto che era tutto ok.

Quel giorno avremmo avuto biologia in terza ora e Vincent si mise vicino a noi.
Nelson non era propriamente al settimo cielo ma cercava di sopportarlo.

Vincent entrò nell'aula e mentre poggiava il suo anonimo zaino verde militare sul nostro banco annunciava che i gatti erano infidi.
Nelson inarcò un sopracciglio non capendo, nemmeno io capii ma non mi stupii avesse iniziato un discorso con quella frase puramente impensabile, nessun “ciao” ne tanto meno un falsissimo “come va” voleva dire che i gatti erano infidi e l'aveva fatto.

Una volta seduto si tolse la felpa e si alzò la manica della maglia che indossava, lungo l'avambraccio tre solchi rossastri lo deturpavano, sì, i gatti erano infidi.

“lo stavo accarezzando, era nero, e gli giravano i coglioni.”
Nelson rise “mai fidarsi dei gatti dunque” aggiunsi io, tutta la classe si era girata a guardarci, stavamo parlando con Vincent di un argomento assurdo e Nelson rideva divertito.
Era fantastico.

Durante la lezione lui scrisse due o tre cose su un quaderno, era un rebus irrisolvibile quel che scriveva, era strano, era folle.
Anche Nelson lo guardo strano vedendo quei segni e quelle parole mozzate sul quaderno, eppure... beh lui sembrava capirci.

Nelson non mancò di chiedergli spiegazioni durante la pausa pranzo, prima di andarsene fuori con una bottiglietta d'acqua, Vincent gli disse che erano una convenzione quelle parole, che si sarebbe capito da solo e che non avrebbe avuto rotture dagli altri.

Imbambolati, stupiti e scettici rimanemmo fermi l'uno accanto all'altro guardandolo allontanarsi e uscire fuori. Per quella giornata fu l'ultima volta che lo vedemmo.

********** grazie di aver letto marykei-hishi

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Capitolo 3
*** capitolo III ***


Questo capitolo è osceno, orrendo, e mi vergogno addirittura di averlo scritto. chiedo venia in anticipo

***

CAPITOLO III:

Il giovedì dopo la pausa per la ricreazione avevamo educazione fisica. Anche Vincent. Da quando era arrivato a scuola non lo avevo mai visto in tuta o con le scarpe da ginnastica, semplicemente non lo avevo mai visto fare educazione fisica.
Ogni settimana rifilava al professore una scusa diversa, scusa che lo impossibilitava a seguire le sue lezioni.
Una volta, lo ricordo bene e sorrido tutt'ora ripensandoci, gli disse come se fosse stato una ragazza che era indisposto.
Era una palese presa per il culo. Glielo disse perché quella volta il professore aveva già smesso di tollerare le sue giustifiche.
Il professore si infuriò e lo prese per la maglia, pensai che volesse picchiarlo.
Vincent sorrise soddisfatto
-vuole picchiarmi per caso? Non credo le convenga.-
quando il professore lo lasciò andare Vincent rise, rise di gusto, come mai l'avevo sentito fare.
Tutti lo guardavano basito; pensai che il professore stesse per esplodere di rabbia, le sue orecchie erano diventare rosse e una vena sul collo aveva iniziato a pulsargli.
Quello era il gioco preferito di Vincent. Sfinire psicologicamente le persone, portarle dove lui voleva portarle e abbatterle.
Il professore e Vincent andarono dal preside e fecero ritorno solo venti minuti più tardi.
Vincent si mise seduto su una panca a guardarci far lezione.
Aveva vinto lui contro un professore e probabilmente contro il preside.

A fine lezione non venne con noi negli spogliatoi, rimase con il professore, ci disse, solo il pomeriggio fuori la scuola quel che aveva detto al preside e cosa aveva discusso con il professore mentre noi eravamo a cambiarci.
Semplicemente che lui non aveva ancora un medico qui e quindi non poteva portargli un certificato medico che lo esentava dalle lezioni pratiche di educazione fisica. E che aveva proposto al preside di fare come faceva nella vecchia scuola.
Non avevo nemmeno minimamente idea che esistessero di educazione fisica lezioni non pratiche. Il giovedì dopo andò dal professore per fargli vedere il suo libro e questo gli disse che andava più che bene e che la settimana dopo l'avrebbe interrogato.
Vincent non gli chiese su cosa, e il professore aggiunse un “ovviamente prenderò un argomento a casa dall'indice” lo disse come atto intimidatorio ma Vincent non fece una piega rispondendogli che se voleva poteva farlo sin da subito.

Il professore rimase a bocca aperta rifiutando, rimandando il tutto alla settimana dopo, Vincent aveva avuto la meglio anche in quell'occasione.

Il certificato medico, per quell'anno non arrivò mai, le interrogazioni di Vincent per quella materia furono tutte impeccabili e il professore non poté far nulla per incastrarlo in alcun modo.

Per un periodo di tempo al posto del nostro professore venne un supplente, più giovane e stronzo del titolare di cattedra.

Lui fu chiaro nelle otto settimane in cui vigevano le sue regole.
Una sola giustifica non di più.
La prima settimana non batté ciglio su quella che usò Vincent. La settimana successiva non volle sapere nulla.
Il certificato non c'era e se ne sbatteva di altri cavilli che Vincent cercava di trovare. Vincent avrebbe fatto educazione fisica.
E gliela fece fare. In jeans e con gli anfibi.

Lo sguardo che rivolse al supplente, se avesse avuto poteri sovrannaturali, probabilmente lo avrebbe incenerito.

Io e Nelson ci avvicinammo a lui.
-me lo ha messo nel culo, e sta volta non era gradito-
lo disse incazzoso e noi ridemmo. Quelle erano le tipiche uscite con cui Vincent non si faceva problemi a ribadire che per lui prenderlo non era un problema.

Era normale per lui fare allusioni alla sua omosessualità, riderci e scherzarci su con un accennato spirito sarcastico.

Quel giovedì, durante la partita di basket che avevamo organizzato durante la lezione le occasioni per spingere Vincent o tiragli delle pallonate con cattiveria non mancarono. Lo marcarono, oltretutto stretto.

-guarda che se me lo spingi fra le natiche mi piace!-

lo urlò quasi al suo marcatore che fece un passo indietro arrossendo e schifandosi allo stesso tempo.

Quando una pallonata lo colpì allo stomaco gemette, si tastò; gli avevano fatto male. Bestemmiò senza farsi scrupoli alzandosi la maglia e abbassando il jeans, il segno della pallonata già si vedeva con un rossore anomalo della pelle.

Mandò a fanculo generico alla sala uscendo diretto negli spogliatoi, educazione fisica non era cosa per lui.

Il supplente lo seguì sgridandolo.
Vincent, semplicemente, lo ignorò.
Visto che ne Vincent ne il neo-temporaneo-professore uscivano dagli spogliatoi io e Nelson andammo a vedere come stesse, visto che in palestra le uniche cose che si sentivano erano elogi a quello che aveva tirato la pallonata.

Entrammo e il professore ci riprese dicendoci che dovevamo aspettarlo in palestra, nemmeno lo sentii, Vincent era seduto su una panca intento a tenersi lo stomaco.
Lanciando maledizioni e bestemmie a raffica.
Doveva fargli male.
Mentre gli chiedevo se andava tutto bene lui guardò il professore, lo guardò malissimo, come se avesse voluto ucciderlo.

-torniamo di là-

ci disse il professore in evidente disagio.

-spero vivamente che sia contento ora. Se lo goda perché, a costo di farmi espellere da scuola non me lo metterà più nel culo.-
-linguaggio! Come ti permetti di rivolgerti così ad un tuo insegnante?-
-scherza?! Lei mi ha obbligato a prender parte ad un qualcosa da cui ero esonerato, mi sono ferito, tutto questo è da denuncia!-
-obbligato, che parola grossa, e poi una pallonata non ha mai ucciso nessuno.-
-lei sa il motivo per il quale sono esonerato dalle lezioni? no. Non può sapere se a che fare con lo stomaco. E poi sì, obbligato. Mi ha obbligato.-

Vincent era un grande, e sapeva usare la lingua.

Quel sabato ci vedemmo a casa di Nelson, tutti e tre, riuniti a vedere un film tra schifezze varie e qualche birra.
I suoi genitori erano fuori dalla zia in quel week and e a lui di stare solo proprio non andava.
Eravamo tre e stavamo da dio.

A Vincent era uscito un livido a forma di palla sullo stomaco, ci chiese di fargli una foto con la sua digitale non ne capimmo il motivo ma lo facemmo.

Il film che stavamo per guardare era un giallo ispirato alla serie CSI dove i delitti erano complicati e per niente facili da scoprire.

Un facoltoso uomo d'affari era stato ammazzato, il sospetto ricadeva su un suo amico/nemico.
Ma la balistica diceva che non era stata la sua pistola a sparare, se pur dello stesso calibro dei proiettili che l'avevano devastato, una nove millimetri se non ricorco male.

Vincent a nemmeno metà film aveva decretato chi era il colpevole, perché lo aveva ucciso e le dinamiche dell'omicidio. Lo disse con leggerezza, sorseggiando la -forse- seconda birra della serata.
-pizza?-
Nelson sbucò dalla cucina in una pausa con un cartone di pizza in mano, di quelle precotte che in 5 minuti in forno erano pronte, io annuii Vincent era distratto, non disse nulla. Mentre i minuti rendevano la pizza in forno commestibile Vincent prese il cellulare se ne andò verso la finestra e compose un numero.
Mentre parlava, mentre respirava vicino al vetro della finestra questo si opacizzava di condensa, mentre ascoltava senza dir nulla il vetro tornava alla sua normale trasparenza, mentre lo osservavo, ricordo che stavo mangiando delle pop corn fatte in casa, erano un po bruciacchiate, ma sinceramente avevo proprio fame.
Allora Vincent non toccò cibo dicendoci che lo stomaco gli dava dei fastidi in quei giorni, non ci diedi peso, sinceramente, almeno fino ad un paio di ore più tardi.
Mentre io e Nelson stavamo assaporando qualcosa di commestibile e non bruciato -la pizza- a Vincent arrivò un SMS.
-probabilmente sabato prossimo viene un mio amico qui-
drizzammo le orecchie mentre lui rispondeva al messaggio.
-Victor- ci rispose ancor prima che glielo chiedessimo.
-com'è?-
gli chiese masticando Nelson.
-un tipo...mh... particolare.-
con quell'unico aggettivo ambiguo sul suo amico Victor terminò la descrizione, non lo nominò più fino al sabato successivo.
Finito lo spuntino il film riprese il suo corso.
L'investigatore, di lì a mezz'ora recitò i pronostici che ci aveva illustrato Vincent molto tempo prima.
-io non ci pensavo minimamente a quello.-
si lasciò andare sul divano, Nelson, dicendolo, era abbattuto che i suoi sospetti non l'avevano indirizzato al vero colpevole.
-non poteva essere che lui.-
sentenziò calmo Vincent, per lui era ovvio fin dall'inizio, tanto che mi venne il dubbio che l'avesse già visto, quel film.
-in fondo il ragionamento filava...alla fine.-
Nelson era sempre più abbattuto.
-però- cominciò il nostro amico- non sono d'accordo con l'ultima frase dell'investigatore. Quella frase del cazzo, che doveva essere ad effetto, quando si toglie gli occhiali da sole e con la faccia da cazzo gli dice che-
-non esiste crimine perfetto.-
mimò Nelson nelle mosse e nel tono di voce ridendo subito dopo risi anch'io, era perfetta quell'imitazione, compresa l'espressione da cazzo che aveva il tizio dai capelli color carota, l'investigatore con gli occhiali da sole.

-esatto, il crimine perfetto esiste.-

lo disse certo del concetto, sicuro, serio, tanto serio da spaventarmi, tanto serio e perso in se stesso che mi fece drizzare i peli sulle braccia.

Domande da fargli su quella teoria ce n'erano ma ne io ne Nelson ci azzardammo a porle.


Alle due del mattino, Nelson dormiva accovacciato su un bracciolo del divano, in una posizione assurda che l'indomani -certezza poi appurata- l'avrebbe fatto svegliare indolenzito.

-questa birra fa schifo.-

sentenziò nel silenzio.

-fa schifo ma ne bevi.-

gli feci notare.

-non c'è di meglio.-

mi ribbattè e io ridacchiai, mai che Vincent non rispondesse, lui doveva avere sempre l'ultima parola e sopratutto sempre la meglio, su tutto e su tutti.

-non vuoi proprio mangiare niente? Nemmeno provare? Magari non ti fa male.-
-no no per carità, non voglio assolutamente niente.-

alzò le braccia in aria mostrandomi i palmi, negando poi ancora con la testa.

-lasciatemi in pace quando non mi controllano-

ridacchiò alzandosi, si sgranchì le gambe e poi andò in bagno.

***

scusate lo scempio, vado a nascondermi, oh siate spietate, mi raccomando ^^

kiss
marykei-hishi

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Capitolo 4
*** Victor ***


vorrei scusarmi ancora una volta per le mie risposte sottoforma di commenti. e ringraziare tifa >*<
ora, ecco il capitolo, buona lettura a tutti ^^
maryke-hishi

******

Il giovedì e il venerdì seguenti Vincent non venne a lezione. Nel suo primo giorno di assenza vidi il supplente di educazione fisica tirare un sospiro di sollievo per non doverselo trovare davanti. Probabilmente sperava che le sue 5 settimane di supplenza restanti passassero in fretta.

Sabato sarebbe arrivato Victor, il suo amico “particolare”, dovevamo andare tutti e tre alla stazione a prenderlo, ma Vincent non si era fatto sentire quindi io e Nelson ci trovammo altro da fare.

Stavamo togliendo le erbacce dal giardino di casa mia per una retribuzione di quindici dollari da dividere in due quando, alle undici, con l'aspetto di chi si era appena svegliato dopo una notte movimentata, Vincent si era presentato davanti a casa mia, con al seguito quello che doveva essere probabilmente Victor.

-ci siamo appena svegliati-

confermò la mia ipotesi sbadigliando.
Si stiracchiò e scricchiolò tutto per poi informarci che il suo amico era arrivato il mercoledì sera.
Frugò nelle tasche fino ad estrarne un pacchetto di sigarette, ne prese una e l'accese mentre il suo amico gli prendeva dalle mani il pacchetto elemosinando poco dopo anche del fuoco per poter accendere.

Vincent aveva ragione, il suo amico era particolare.

capelli castani e lievemente ondulati mantenuti legati in una coda bassa e sfatta, la frangia gli ricadeva ai lati del viso, a volte davanti agli occhi e lui la spostava continuamente mandandola indietro.
Aveva le sopracciglia fine, femminee, e, non ne ero certo la prima volta che lo vidi, i suoi occhi sembravano truccati da una sottile linea di matita nera, tanto per rafforzare quello sguardo che già era molto penetrante di per sé.

Quando si spostava i capelli temevo sempre che qualcuno degli anelli voluminosi che portava rimanesse incastrato tra i capelli, sì, Victor era un tipo a dir poco particolare.

Tutto in lui aveva quel tocco di eccentrico e particolare. Dalla sua postura al suo modo di porsi, al suo abbigliamento. Sì, Vincent aveva scelto il termine più appropriato per descriverlo.

-ho fame-

disse ancor prima di presentarsi, entrammo in casa e fecero colazione da me, come vecchi amici di famiglia che erano soliti frequentare casa mia, la cosa non mi dispiacque affatto.

-potevi chiamarci mercoledì, saremmo venuti con te in stazione ad accogliere Victor-

c'era una nota di acidità in quel che disse Nelson. In fondo, aveva ragione.

-alle tre di notte? Ok, la prossima volta lo terrò a mente-
-le...tre?-
-sì, avevo appena finito il servizio e ho deciso di venire prima, l'ho chiamato, tanto vin ha sempre il cellulare acceso, mi sono preso i vestiti che mi piacevano e sono partito-

forse fu per la confusione visibile dai nostri volti, forse perché sapeva che non potevamo capire, senza dei particolari in più, la spiegazione che ci aveva dato il suo amico, Vincent ci spiegò che Victor lavorava saltuariamente come modello per dei piccoli servizi fotografici di marchi d'abbigliamento non affermati che puntavano al mercato nazionale.

In effetti aveva un corpo perfetto, le spigolature maschili del suo corpo erano appena accennate, aveva veramente un corpo bellissimo.

Mentre masticava l'ultimo boccone di merendina al cioccolato ci invitò a vedere i vestiti che si era preso dall'ultimo servizio, la reazione di Vincent fu una gomitata nelle sue costole seguita da un “ehi quelli sono per me!”. Tossì ridendo, il suo amico.

-mi stavi facendo strozzare.-
-te lo meriti, fottiti-
-oh anche io ti amo-

l'espressione di Vincent era di finta offesa, il suo amico ridacchiò facendolo girare verso di se, poi lo baciò tenendogli il viso con una mano, come a volerlo mantenere in quella posizione, solo che, dal modo in cui rispondeva Vincent, non credo avesse voluto sottrarsi da quel bacio.

Era strano, sembrava che in quel gesto ci fosse possesso.

-la prossima volta te ne porto altri, a casa non ho più spazio.-

Vincent annuì -mi piacciono i vestiti che ti fanno indossare.-

andammo a casa di Vincent, o meglio, nella casa in cui lui era ospitato. Come avevo previsto era ospitato da un parente, suo zio.

Non era in casa quando arrivammo e ci sistemammo nel salone. Per farci posto sul divano Vincent si mise seduto su Victor, che lo prese per la vita stringendoselo addosso.

Mentre parlavamo del lavoro di Victor, ai quali servizi Vincent fin quando era ancora in città, qualche volta era andato ad osservare, lui iniziò a baciargli il collo, e Vincent non li rifiutava, le carezze sulla vita passarono ben presto la barriera di cotone della maglia, e Vincent non rifiutò nemmeno quelle.
Ridacchiò poi farfugliando un “fermo che si impressionano” dopo di che si alzò dall'amico.
-venite dai che vediamo i vestiti.-

si alzammo tutti e lo seguimmo fino alla stanza che occupava come ospite, c'era un disordine assoluto, le cose erano messe alla rinfusa in quella camera, appena entrato Vincent si stese sul letto.
-oddio ho sonno cazzo.-
-a chi lo dici-
lo rimbeccò Victor e come risposta ottenne un dito medio alzato.
Victor inarcò un sopracciglio.
-ma se l'hai detto tu che poi si impressionano.-

Nelson era a dir poco sconvolto.
Gli sembrava esser precipitato in una realtà parallela.

Vincent gli tirò un cuscino ridendo e poi girandosi su se stesso.

-Dio sei pazzo Vic-

era un altro Vincent quello che avevamo davanti, ed era un Victor totalmente inimmaginabile quello che ci si era parato di fronte.
Quella che avevamo vissuto fino a quel tempo non era una verità, non era nemmeno una finzione, era un aspetto che nessuno si sarebbe aspettato si presentasse.

Noi c'eravamo, io e Nelson intendo, ma era come se non ci fossimo stati, il loro equilibrio, se pur distorto era perfetto.
Noi sembravamo quasi un elemento di disturbo il quel quadro dai colori vivaci e diversi, che si amalgamavano perfettamente confondendosi quasi.

Se avessi dovuto descrivere Vincent come un quadro avrei sempre risposto un quadro di Salvador Dalì. Erano quadri folli, apparentemente dominati dal caos più supremo ma con un filo logico ben descritto.

Quando Vincent smise di trovare divertente quel che aveva detto Victor con quel cipiglio serio si tirò su dal letto.

-oddio mi fa male la pancia. Mi hai fatto ridere troppo-

Victor lo spinse, facendolo ricadere disteso sul letto.

-io ho solo detto la verità-

in tutto quello io e Nelson eravamo decisamente in più.
E non era una bella sensazione.
E mi resi conto che conoscere Vincent non voleva dire parlarci dei gatti che secondo lui erano infami, o fare battute sulla mia presunta omosessualità o sulla sua meno presunta e più accurata omosessualità.
Conoscere Vincent era quello che stavamo guardando.
Era Victor che conosceva Vincent.
Io e Nelson eravamo solo dei diversivi per ingannare il tempo.

-oh no non preoccupatevi, a noi piace scaldare le sedie, ma si sono comode e anche piuttosto carine, si ci piacciono, dove le hai comprate vin?-
ci guardarono.
-Vic è colpa tua-
-no, io sono l'ospite è colpa tua.-
-anche io sono un ospite.-

quel discorso assurdo sarebbe potuto continuare all'infinito credo.

-io me ne vado non è la mia massima aspirazione vedervi scopare, ne assistere ad insensate liti, Victor, vorrei dirti che è stato un piacere conoscerti ma così non è stato visto che sembriamo trasparenti. Will vieni ce ne andiamo.-

mi prese la mano e mi lasciai trascinare via. Aveva detto tutto quel che c'era da dire infondo.

Tornammo nel giardino di casa mia a strappare erbacce e raccogliere foglie secche, passando il tempo a modo nostro e guadagnando quindici dollari alla maniera dei provinciali.

*

il lunedì a scuola Vincent non venne, semplicemente perché Victor non se ne era andato.
Ripartì alla volta della grande città il pomeriggio.
Eravamo lì, alla stazione, Vincent aveva addosso i vestiti che gli aveva portato Victor, tutti si giravano a guardarli.
Sembravano veramente due modelli finiti per caso in una cittadina piccola e sperduta come la nostra.

Quel pomeriggio lo passammo tra i negozi del centro commerciale, tutti e tre privi totalmente di intenzioni a comprare.

Privi di intenzione di parlare.
Privi di intenzione di chiarimenti.

Allora era solo un impressione, ma... beh io e nelsono eravamo un passatempo negli intervalli irregolari nei quali victor veniva a trovarlo.

************

credo che pubblicherò un altra storia, su questo sito, sempre come original benchè non nasca di quel genere, nasce come una storia su persone realmente esistenti ma per non far torto a nessuno e non ricevere ramanzine (XD) cambio i nomi, tanto è talmente AU e talmente OOC che dubito che chi legga possa capire quale genere fosse questa storia. se vi farebbe piacere leggerla, ditemelo che posto il primo capitolo XD
grazie di aver letto
kiss
MaryKei-Hishi

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Capitolo 5
*** sleza ***


Capitolo V: sleza*

chiedo scusa per l'enirme ritardo! Ma in questo periodo il lavoro mi eclissa completamente da ogni strascico di vita, fiction comprese!
grazie a tutti di leggere!
kiss
marykei-hishi

***

la pioggia mi ha sempre lasciato indifferente, è un agente atmosferico, è acqua che cade dal cielo, nulla di più.
Non mi sono mai soffermato a pensare che avrebbe potuto rappresentare altro.

la pioggia può rappresentare sentimenti?

nel suo caso, sì.

La pioggia mi ha sempre lasciato indifferente, è qualcosa di normale che avviene in determinate situazioni, è utile a volte, dannosa altre.
e... collegato ad un ricordo può essere distruttiva.

*

era estate e le belle giornate avevano preso il sopravvento, a breve sarebbe finita la scuola e noi, io, Nelson e Vincent, già non seguivamo più le lezioni;
era decisamente più divertente bighellonare in giro e morire di caldo nel parco che morire di caldo stando in classe seguendo una lezione annoiandosi, no?
Era qualche mese che Victor non veniva da noi, Vincent non lo nominava più spesso come prima, pensai che avessero litigato.

No, non avevano litigato, avevano semplicemente altro a cui pensare e non si tenevano informati a vicenda della propria vita.

Era quando doveva riferirgli qualcosa della sua vita che allora Victor chiamava Vincent.
Come quel giorno.

Vincent aveva messo il viva voce, così da poter fare una conferenza assieme a noi due.

Il tatto non era il forte di Victor, o forse, più semplicemente conosceva così tanto Vincent che tutto il resto passava in secondo piano.

Stava sgranocchiando delle patatine e la sua voce si percepiva impastata e ovattata, quasi non sembrava la sua.

-oh, poi, ieri,- ingoiò il boccone si sentì chiaramente il rumore -tua madre è venuta a casa mia -addentò un altra patatina, si sentì lo snack scricchiolare tra le sue fauci -mi sembrava ingrassata a dire il vero, infatti ha detto a mia madre di-

Vincent attaccò spegnendo il cellulare.
Io e Nelson ci guardammo non capendo la situazione.

-mandategli un messaggio dicendo che avevo la batteria scarica e che lo chiamo più tardi.-

la prima cosa che mi passò per la testa in quel momento fu che quella frase, lasciata forzatamente a metà, potesse terminare con un “essere incinta”.
Ipotizzai che Vincent potesse sentirsi geloso, in fondo lui era stato allontanato, per qualche motivo oscuro a tutti, dalla propria famiglia,
e sentirsi dire che la propria mamma era di nuovo incinta poteva farlo sentire ancora più escluso da quella che doveva essere la sua famiglia.
Il nuovo figlio l'avrebbe eclissato del tutto.

Quanto mi sbagliavo...
la faccenda era molto più grossa e al di là di ogni mia immaginazione.

È vero quando si dice che la realtà supera la fantasia.

Ma questo lo compresi lentamente, tanto quanto lentamente conoscevo Vincent.

Mentre tornavamo a casa lui non accennava a dir nulla; prepotentemente dei goccioloni d'acqua caddero dal cielo.
Uno, due, dieci, cento e ancora e tanti altri.
Il sole faceva ancora la sua apparizione tra le nuvole bianche: stava piovendo con il sole.

Fu una doccia fredda in una calda giornata estiva e mentre eravamo intenti a guardare il cielo beneficiando di quel refrigerio improvviso non ci accorgevamo che Vincent era corso via.

Era stata la pioggia?
O la telefonata?
Oppure... entrambe le cose?

Lo scoprimmo due settimane più tardi, nelle medesime condizioni ma con Victor fisicamente presente.

*

erano le sei del pomeriggio e il treno sul quale viaggiava Victor stava arrivando in stazione, parecchie volte mi ero chiesto se lui studiasse veramente,
se frequentasse una qualsiasi ipotetica scuola, i miei dubbi erano dati dalle visite che faceva al suo amico e per il tempo per cui si protraevano.
Oltretutto visti gli orari assurdi in cui si presentava, che andavano dal pomeriggio a notte inoltrata, mi chiesi anche se alle sue spalle ci fosse o meno una famiglia.

A differenza delle altre volte in cui era venuto, questa volta Victor scese dal treno tirandosi dietro tre valigie.

Avevano l'aria di essere molto pesanti.

-i tuoi mi hanno preso per un fattorino, a quanto pare.-

furono le prime parole che Victor rivolse al suo amico, alquanto scocciate oltretutto, gliele disse ancor prima di un, forse più corretto, termine di saluto, un “ciao” ad esempio.

Vincent in risposta aveva grugnito qualcosa di poco somigliante ad una qualsiasi parola, era solo un suono, sommesso che stava ad indicare tante cose, prima fra queste: il suo pessimo umore.

I suoi occhi sembravano aver perduto quell'azzurro cristallino assumendo un tono grigiastro, era strano vederli così plumbei.

-non mi hai più chiamato da quella volta, mi stupisco addirittura di trovarti qui, pensavo che non avessi nemmeno letto i miei SMS.-

a me sembrò lievemente acida quella risposta. Probabilmente Victor era arrabbiato...

Vincent non gli rispose, andò davanti a lui e con poco garbo prese una valigia iniziando a trascinarla. Benedetti trolley.
Erano veramente pesantissime quelle valigie. Le altre due le portammo Victor e io, tipico di Vincent: anche se era roba sua delegava altri del loro trasporto.
Nelson se ne tenne fuori, a lui non piacevano né Victor né Vincent e non trovava una ragione per la quale avrebbe dovuto portare la valigia a quest'ultimo.

Capitava spesso, in quel periodo, che mi dicesse cose su di loro.

Mi diceva che secondo lui non erano persone normali e non intendeva perché facevano quelle cose bensì perché sembravano avere una concezione un po' distorta della vita.

Ma questo... era perché non sapevamo niente.

arrivammo presto a casa di Vincent, e salimmo in camera sua, c'era aria viziata e un forte odore di fumo.

Le valigie le lasciammo accanto al letto, nessuno diceva niente e Victor frugava nella sua borsa.

-oh eccola. Tuo padre mi ha dato questa per te.-

gli porse una busta da lettere, era aperta, Vincent non la lesse, ne ne estrasse il foglio di carta, la accartocciò e la gettò sul pavimento, vicino alla scrivania.

-usciamo.-

non era una richiesta, o una proposta, alle orecchie di tutti risuonò come un ordine.

Andammo in giro senza una meta precisa, entrando a volte in un qualche negozio senza la minima intenzione di comprare qualcosa.

-quanto ti trattieni sta volta Vic?-
mi ritrovai a chiedergli così tanto per dare fiato alla bocca, senza pensarlo e senza volerlo, soprattutto.
Forse mi uscì con un tono un po seccato e infastidito.
Giuro che non era mia intenzione.
Le parole mi uscirono da sole mentre lui e Vincent ridevano e Nelson mi dava una gomitata nelle costole.
In quel frangente volevo sotterrarmi.

Vincent era intento a guardare delle maglie alle appenderie, ne stava guardando una nera con una stampa, probabilmente l'avrebbe comprata se ci fosse stata una misura adeguata alle sue fattezze.
Nelson era lì accanto a lui con un sopracciglio alzato nel guardare la rappresentazione materiale del gusto di Vincent.

Io avevo una maglia tra le mani, bellina ma non eccezionale, mi aveva attratto per il colore, un comunissimo verde militare poi.
Victor era vicino a me.

Mi sorrise, come mai aveva fatto prima di allora, era un sorriso sbieco, un sorriso sornione, un sorriso compiaciuto.
Aveva poi assottigliato lo sguardo, sembrava qualcosa di malvagio.
Sembrava la faccia di chi aveva capito tutto dalla vita e si diverte a giocare con chi non è al suo livello.

Mi si avvicinò ancor più e parlò quasi a bassa voce.

-Vincent non sarà mai tuo, Vincent non è di nessuno, Vincent non vuole essere di nessuno: attento a non avvicinarti troppo, provinciale, o lo farai scappare-

ma io non avevo mire su Vincent!
Perché tutti pensavano il contrario?

Io non volevo che Vincent fosse mio, io volevo che fosse mio amico. il mio scopo era quello di conoscerlo, non avevo altre mire su di lui.

L'avevo capito fin troppo bene che Vincent era un tipo “libero”, fin troppo libero.

-è per questo che se n'è andato dalla vostra città?-

lo chiesi senza pensarci, e feci male.

-no, se n'è andato per qualcosa più grosso di te, non interessartene, è meglio per tutti.-
-è ora di stare zitti.-

dalle spalle di Victor emerse Vincent, il suo tono era agghiacciante, fermo e freddo.
Mi fece rabbrividire.
Con poca grazia mi prese la maglia dalle mani, andò alla cassa annunciando che avrebbe preso quella.

La comprò e non la usò mai.
Solo tempo più tardi ne compresi il motivo.
Era legata ad un ricordo, il ricordo di quelle frasi.
Capii solo con il tempo quanto Vincent potesse essere maniacalmente legato ai ricordi.

Mentre rientravamo a casa iniziava ad imbrunire, erano le otto e un altro acquazzone ci colse.

Quella volta Vincent non scappò, rimase lì a farsi bagnare dalla pioggia.

Lasciò cadere la busta a terra, rivolse i palmi delle mani verso l'alto e in breve tempo si bagnarono completamente, li stava guardando.

Se li passò sul viso e portò poi i capelli indietro.

Alzò il viso e guardò il cielo prima di chiudere gli occhi per lasciarsi bagnare, mi apparve privo di difese in quel frangente.

-è pazzo, ecco cosa non andava in lui, il cervello.-

era Nelson.

No, Vincent non era pazzo, una persona che si concede in quella maniera alla natura non può essere pazza.
Il pazzo era Nelson, solo per averlo pensato.

Victor andò da lui, raccolse la busta e lo prese per una mano trascinandolo via, al riparo, fino a casa.

La pioggia può rappresentare un sentimento?
sì, lo fa, sempre.

ogni goccia di pioggia era una lacrima invisibile che cadeva dentro di lui senza rendere coscienti gli altri del suo dolore.

****

sleza è una parola russa, tradotta significa lacrima.

grazie di aver letto,
kiss
marykei-hishi

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Capitolo 6
*** falsi ricordi ***


Capitolo VI: falsi ricordi.

Victor rimase meno di una settimana, quella volta.
Era rimasto per aiutare vincent a disfare i bagagli, fu quello che ci dissero, almeno;
non si fecero sentire molto in quei giorni, rimanendo per conto loro in casa o chissà dove.
Fortunatamente i giorni di pioggia sembravano essere finiti.

A luglio la calura ci uccideva e il sole continuava a picchiare senza pensare che se avesse continuato imperterrito a farlo noi poveri esseri umani avremmo potuto benissimo squagliarci, ad esempio.

Nelson stava, in quel momento, preparando le valigie e io invece di aiutarlo me ne staco steso sul letto a godere del poco refrigerio che donava il ventilatore.
Vincent?
Non si era più fatto sentire dall'ultima visita di victor, ne fatto vedere, s'intende.

-e non mi stai nemmeno ascoltando. Stai pensando a lui.-
-non è vero.-
-ah no?! Allora come sai a chi mi riferisco?-

non gli risposi. Aveva maledettamente ragione.

-ho quasi paura a lasciarti solo nelle sue mani.-
-ehi! Punto uno: ho una volontà propria. Punto due: in che senso, scusa?!-
-lui ti sta contagiando, lo sta già facendo, solo che non te ne accorgi.-
-ma non è vero!-
-sì che lo è!-
-Nel.-
-io non voglio che cambi.-

s'imbronciò come un bambino e io lo stuzzicai.

-sei geloso?-
-NO! Come ti salta in mente?! Io non sono frocio come-
-come me?-

conclusi io la frase per lui.

-tu non sei frocio, idiota.-
-e se invece lo fossi?-
-non lo sei, vedi?! È lui che ti influenza.-

alzai gli occhi al cielo, Nelson era un caso perso per queste cose.

Un paio di giorni dopo la sua partenza vincent si presentò a casa mia e credo ipnotizzò mia madre.

Erano le sei del pomeriggio, ero solo a casa davanti al pc quando vincent mi chiamò al cellulare.

-vienimi ad aprire che sono davanti a casa tua.-

usare il campanello come le convenzioni voglio no?
Evidentemente no.

-ospitami, will.-
-come?-
-lo zio è andato in ferie e mi ha amabilmente sbattuto fuori di casa, vuole che torni in città per queste due settimane, ma io non voglio tornare in città.-
-ospitarti per due settimane? Io tra due giorni parto! E come la scuso una cosa del genere? Come lo chiedo ai miei? Vin è impossibile.-
-io starò qui, vedrai, sarà tua madre a chiedermelo.-

un ora più tardi mia madre era rincasata portando con se tre buste del supermercato.

-vincent! Era tanto che non venivi a farci visita, su aiutatemi con la spesa!-

la aiutammo ambedue.

-ti fermi a cena?-
-non vorrei disturbare, signora.-
-guarda che mi arrabbio. Sai che gli amici di willy non disturbano mai.-

aiutammo la mamma a preparare la cena, durante il pasto vincent rigirava nel piatto, con la forchetta, il cibo.

-ehi.. non ti piace?-
-mh...? oh no signora, è ottimo... è che... beh non ho molta fame...-

vincent stava recitando incredibilmente bene, un interpretazione da oscar.
Se non lo avessi visto in altre occasioni avrei giurato che quello che avevo davanti agli occhi era una persona originale turbata da qualche pensiero, non un'artefatta interpretazione.

Mia madre gli prese il mentro fra le mani, gli puntò lo sguardo negli occhi scrutandolo attentamente e io temetti che capisse quanto falso potesse essere vincent in quel frangente.

-questi occhi... dicino molte cose.-

mi sentii agitato per lui... ecco ora l'avrebbe cacciato a calci nel culo.

-cosa c'è che non va vin?-

mia madre... si era fatta prendere in giro ben bene!

-vede.. mio zio... lui mi ospita, ma tra due giorni parte e a non vuol lasciarmi a casa solo...
e vuole che io torni in città, ma io... non mi sento pronto...
non voglio tornare in città... non da solo per lo meno... due settimane sono tante da sopportare...-

giurai di averlo sentito tirar su con il naso.

Vidi mia madre ascoltare le parole di vincent con amore, attentamente, lanciando sguardi che volevano dire molte cose a mio padre, sguardi d'intesa.

Poi si annuirono.

-ascoltami, noi andiamo in capeggio questa settimana, ci andiamo da anni, tu sei mai stato in campeggio?-

vincent negò con la testa e con gli occhi da bambino

-mia sorella ha quattro figli, tutti più grandi di voi, da un po loro non vengono più con noi in vacanza, dicono di essere troppo cresciuti per andare con i genitori-

ridacchiò mentre lo diceva

-noi siamo abituati alla confusione e sinceramente un po mi manca, vincent, vuoi venire con noi?-
-ma... signora, io non posso.. disturberei troppo-
-non farmi arrabbiare ancora con questa storia vin! Ok allora è deciso!-

mamma batte un pugno sul palmo dell'altra mano e papà annuì.

-signora.. grazie.. per sdebitarmi, se per voi va bene ovviamente, william potrebbe venire da me in città la settimana seguente.-

mamma e papà si gettarono uno sguardo.

-intanto andiamo in capeggio poi vedremo ok?-
vincent annuì nuovamente e sempe come se fosse un bambino.

Due giorni più tardi partimmo alla volta del campeggio, in riva al lago tra bambini capricciosi e zanzare giganti.
Mamma e papà si erano sistemati nel camper, io e vincent nella mia tenda da lancio.

Mi stupì e anche molto quanto vincent poitesse essere maniaco del sole e dell'abbronzatura, nei giorni di vacanza rimaneva steso ore al sole e io mi annoiavo essendo un amante dell'ombra.

Rimaneva ore al sole e non si scottava, io provai a stare al sole un oretta, tanto per non tornare a casa con il mio candore cadaverico con l'unico risultato di arrossarmi come un aragosta,
decisamente poco invidiabile, e faceva maledettamente male, avrei fatto molto meglio a rimanere nella mia ombra vantandomi poi del mio pallore.
E vincent sembrava amare il mio dolore, divertendosi a colpirmi sulle spalle arrossate tanto da farmi vedere le stelle. E lui, normalmente rideva divertito dal mio dolore.

Era l'ora di pranzo, ed eravamo al bar del campeggio, seduti ad un tavolino.

-se riesco ad abbronzarmi un altro po' appena torniamo a casa mi decoloro i capelli-
-decolorare?-
-sì, sono tinti, io al naturale sono biondo.-

a quel punto si spiegavano gli occhi chiari e le sopracciglia castane chiare.

Si toccò una ciocca inclinando la testa da un lato, erano lievemente mossi i capelli per via della naturale piega che avevano preso dopo il bagno, mentre si asciugavano al sole, assottigliò gli occhi con fare ammiccante.

Ci stava provando con me?

-ci starei bene, no? Pelle scura, abbronzata, capelli chiari, un ottimo contrasto, non trovi?-

provai ad immaginarlo... e, beh effettivamente era come diceva.

Fece perno con il gomito sul tavolino e posò sul palmo il mento e una guancia continuando a tenere la testa inclinata, sorrise sbieco e gli occhi gli brillarono.

-in città ci divertiremo.-
-mia madre ancora non ha detto di sì.-
-lo dirà lo dirà, le mamme mi adorano sempre e non sanno mai dirmi di no.-
-e io mi chiedo come tu faccia-
-molto semplice, tutte le mamme, beh quasi tutte, hanno un istinto materno molto accentuato, sopratutto quando i figli iniziano a crescere ed ad allontanarsi dalle loro ali protettive,
si sentono inutili, si sento per certi versi spodestate dal nulla dal loto trono, le mamme sono sempre le mamme ma i figli iniziano a sentire meno il bisogno di loro e della loro protezione,
e vedere un povero e piccolo pulcino bagnato le fa impazzire e riaccendere quel bisogno di proteggere qualcuno, le mamme -quasi tutte-
ucciderebbero per proteggere i propri pulcini e a volte anche se non sono i loro di pulcini si sentiono di dover assolutamente far qualcosa.-

lo sguardo che assunse mentre diceva quelle cose rimase impresso nella mia mante con un marchio a fuoco, era vuoto.
Quel “quasi” aveva spento ogni luccichio di vita presente nei suoi occhi.
Quello mi spaventò.

Non gli chiesi nulla, su quel quasi, le risposte ai miei interogativi arrivarono la settimana successiva in città.

Dopo un attimo di silenzio decretò che aveva voglia di caffè, lo ordinò e glielo servirono al tavolo.
Lo macchiò con del latte freddo tanto da renderlo opalescente, e lo bevve in un unico sorso.
Si accese una sigaretta, me ne offrì una, rifiutai per due motivi fondamentali: i miei erano con noi e tutti mi conoscevano lì;
senza contare che io non avevo mai fumato, e di morire per un suo capriccio o per farlo divertire mentre io soffocavo, beh proprio non era cosa.

La discussione si spostò su argomenti inutili, quali la bellezza del capeggio e la sua funzionalità e sui bagni, fortunatamente puliti ad ogni ora del giorno che lui regolarmente usava dopo ogni pasto.

Tornati in città decretò di essere abbronzato al punto giusto per potersi decolorare i capelli, peccato che i barbieri erano ancora chiusi per ferie. Intanto avevo ricevuto il permesso di andare in città con vincent, peccato che io quel permesso non l'avessi mai chiesto.

Erano le tre del pomeriggio, papà era tornato al lavoro e mamma stava sistemando la cucina, vincent stava tornando dal bagno mentre io facevo, noiosamente zapping in tv.

D'estate non fanno mai nessun film interessante. Solo catastrofi naturali o meno di tutti i generi, o in alternativa qualche animale strano che minaccia la vita terrestre.

Maremoti, eruzioni vulcaniche, terremoti, meteoriti, strani vermi giganti striscianti, api assassine, pipistreli killer, formiche giganti e altre forme di vita inclassificabili erano ciò che più spesso trasmettevano durante l'estate.
Era noioso.

Ero indeciso se vedere per la terza volta “Tremors II” -giusto perche uno degli attori non era niente male- o godermi la visione di Los Angeles invasa dalla lava, quando la mia attenzione fu catturata dalla richiesta che vincent fece a mia madre.

-signora mi decolora i capelli?-

era impazzito??
a mia madre...? una domanda del genere?!

Era follia, pura follia.

-..mh... se vuoi possiamo fare qualche meches.-

il mondo aveva iniziato a girare al contrario e io sembravo essere rimasto l'unico a continuare a girare per il verso giusto.

Vincent le sorrise. Gli occhi di mia madre si illuminarono...
quasi mi sembrava vedere mia madre gestire una nuova figliA,

forse mia madre avrebbe voluto una figlia femmina? Da come si occupava e preoccupava di vincent sembrava di sì...

mentre mamma preparava quella poltiglia maleodorante che avrebbe messo sui capelli di vincent, lui aveva iniziato a ritagliare strisce di carta stagnola, li avevo raggiunti, in cucina, tanto per non stare solo, lì a due metri e mezzo di distanza.

-will! Facci il video!-

mi indicò la sua borsa appesa ad una delle sedie accanto a me, la presi e vi frugai dentro, presi la macchinetta fotografica e dopo essermela rigirata tra le mani un paio di volte pensai bene di fare impostare a lui la modalità video.

Io dovetti solo mandare in play e inquadrare loro due.

-quando torniamo dalla città mi porto dietro il portatile, così ce lo carico sopra assieme alle altre foto e agli altri video.-

spostò lo sguardo sull'obbiettivo salutando poi con la mano

-signori e signore benvenuti ad un nuovo episodio de “il brutto anatroccolo”-

lo dissi io con la mia voce fuori campo

-ehi!! io non sono un brutto anatroccolo-

continuò poi alla volta del nostro pubblico.

-non dategli retta, stava solo scherzando miei cari.-

mamma ridacchiò divertita mentre continuava a mescolare la poltiglia color avorio. Puzzava quella roba.

-la signora Margaret che voi tutti conoscerete senz'altro per altre trasmissioni culinarie come “mezzo giorno di cuoco” oggi ci delizierà con una delle sue molteplici attività, oggi, signori e signore proverà, qui in studio un esperimenti di chimica, difficilissimo e pericolosissimo. La decolorazione.-

spostai l'inquadratura verso mamma che salutò verso l'obiettivo.

-oh si gentili telespettatori questo è un esperimento molto difficile-

disse lei, me ne stupii, non pensavo che avrebbe “giocato” anche lei a questa stupida messa in scena.

Vincent usò termini di cui sinceramente ignoravo l'esistenza per spiegare che tipo di elementi chimici aveva mischiato la mamma e che reazione avrebbero avuto con i capelli.

Continuò a sparare cavolate fin quando la memory-card della fotocamera non fu piena.

Il risultato delle meches fu un vincent con più capelli chiari che scuri in testa e ci stava veramente bene.

Una volta messi in piega i capelli andò a specchiarsi all'ingresso, tornò da noi con un espressione di pura soddisfazione

-sono carino?-

sia io che mamma annuimmo.

Quel filmino sembrava uno di quei classici ricordi di famiglia, quelle riprese furono un falso ricordo.
Un momento felice quanto carico di finzione.
Non era un ricordo di famiglia, vincent nemmeno ce l'aveva una famiglia, l'avevano mandato via, lontano da loro.
Mi chiesi che tipo di filmini potesse avere una famiglia come la sua e mi chiesi di che ricordi viveva vincent, ce n'era qualcuno vero o erano tutti costruiti come quello?

Due giorni dopo partimmo alla volta della grande città.

questo capitolo non mi piace per niente, è insulso e insipido ._. vi chiedo scusa per lo scempio ._.

kiss

marykei-hishi

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Capitolo 7
*** Horge ***


salve a tutti!

due cose importanti prima di lasciarvi alla lettura del capitolo: prima cosa: grazie a tutti quelli che leggono e grazie anche a chi commenta e scusate immensamente del
ritardo, non aggiorno da quasi un mese!

seconda cosa: dio non vedo l'ora di scrivere questo cazzo di capitolo! del tipo: è una di quelle scene che hai in mente dall'inizio e non vedi l'ora di inserirla, di arrivare al punto di inserirla.

mh.. altro da dire? si, ovvio che si.
apparte qualche parte di questo capitolo, in linea di massima MI PIACE si signori e signore, mi piace, cazzo XD
un altra cosa e poi vi lascio in pace, giuro: se andate sulla mia pagina personale potete vedere una bella etichetta: è quella del copyright, si, come tutto quel che scrivo, anche questa storia è sotto licenza ^^
ora che vi ho detto tutto: buona lettura ù.ù

kiss
MaryKei-Hishi

Capitolo VII: “Horge”

Il primo giorno in città non fu molto movimentato, in fondo era mercoledì.
Ci sistemammo nella sua enorme casa, non c'era nessuno.
I suoi genitori sarebbero rientrati due giorni dopo; me lo disse lui stesso dopo aver
gettato uno sguardo alla casella mail del padre; mi disse che era facile capire
una password quando conosci la persona che l'ha impostata.

-ha usato il nome di mio fratello e la sua data di nascita, patetico, non trovi?-
-hai un fratello?-
-avevo.-
-oh...mi dispiace.-
-non importa, non ha saputo stare la mondo.-

la sua risposta mi lasciò interdetto, che stava a significare?
Perche a volte sembrava parlare in un codice che non mi era concesso caspire?

Era estremamente fredda, mi apparve quasi come un ricordo da cancellare, un
qualcosa di doloroso bisognoso di essere rimosso.

Il silenzio che si venne a creare mi mise un'agitazione inspiegata addosso, me la sentì
vibrare addosso e attraversarmi sotto la pelle. Un silenzio durato poco meno
di due minuti reali ma che mi apparvero come molto di più, sembravano interminabili;
poi, come svegliato da un profondo sonno mi propose di giocare.

Giocare...?

mi rispose come se mi avesse letto nella mente, più semplicemente la mia espressione
palesava i miei pensieri.

-ti do una sistemata!-
-io non ho bisogno di una sistemata!-
-oh questo lo dici tu, credimi.-

ma... ma come?!

Mi trascinò nel bagno -che era grande più o meno come il salone di casa mia- le
maioliche erano di un turchese così intenso che mi fecero male gli occhi, a guardarle.

-ti risistemo i capelli-

l'aver inforcato in mano un paio di forbici non fu affatto rassicurante.

-non credo di avertelo mai detto, ma sono osceni.-

mi guardai nello specchio, non mi sembravano tutto quel gran osceno che diceva lui.
Mi si parò davanti e si piegò avvicinandosi, mi prese i capelli e con un gesto me li portò
dietro, lasciandomi la faccia completamente scoperta.
Mi sentii nudo in quel momento, come se mi avesse tolto ogni protezione, eppure erano solo capelli.
Mi scrutò attentamente con un aria assorta, sono certo di essere arrossito quella
volta, anche se non sembrava star a guardare me, sta guardando la mia esteriorità, poi
volse il suo sguardo veramente a me e mi lasciò i capelli, e mi sorrise allontanandosi.

Mi affidai alle sue mani, sperando che non mi conciasse come un pagliaccio.

Era così tanto assorto in quel che stava facendo che non sembrava nemmeno essere
lui, totalmente preso da i miei capelli, stette così per tutto il tempo in cui si
occupava dei miei capelli, io mi ritrovai immerso nel silenzio studiando ogni suo movimento.
Ad un certo punto si morse il labbro, poi lo leccò appena per riprendere subito dopo la tortura dei denti.

Vederlo mentre era in quello stato di totale concentrazione era come vederlo privo di
difese. Era una visione bellisima quanto rara vedere così vincent.
Era come vederlo privo di quel muro, che se pur trasparente, mutava la sua immagine.
Un muro che lui stesso aveva costruito, oltretutto.

Per il resto del tempo che impiegò per creare la mia acconciatura rimasi a pensare a
lui intrappolato in quell'immagine che il mio cervello aveva registrato.

-lo sapevo che saresti stato benissimo con questo taglio.-

mi richiamò alla realtà la sua voce che dopo quel complimento a me iniziava a farsene
auto elogiandosi a divinità, o giù di lì, s'intende.

Mi guardai, la prima cosa che mi venne in mente fu con che faccia mi sarei
ripresentato a casa con quel taglio.
Era bello e mi stava bene, non potevo negarlo, ma... era eccentrico.
Troppo per uno come me.

Non mi lasciò il tempo di finire le mie paranoie sui capelli che decise di dare una
scossa anche al mio abbigliamento.
Protestai ma ci fu molto su cui puntare i piedi.

-non vorrai uscire con quella.... felpaccia?!-
-uscire?-
felpaccia? Non era una felpaccia, era stupenda e a me piaceva... beh non era proprio stupenda, ma a me piaceva!

-si questa sera usciamo.-

non ribattei, non che non volessi o che non avessi argomenti, semplicemente lo lasciai
trascinarmi, mi aveva preso la mano, e sembrava un bambino che giocava con il suo
nuovo amico, e sentirmi il “nuovo amico” di vincent non mi dispiaceva affatto, anzi, stavo ottenendo quel che volevo. Lo assecondai.

Mi portò in camera sua lasciando la mia mano solo quando entrambi fummo entrati,
andò al suo armadio e prese a tirar fuori cose, pantaloni, maglie, anche una camicia; li buttava alla rinfusa sul letto

-i vestiti di quando ero ancora grasso dovrebbero entrarti.-

io portavo una quaranta quattro. NON ero grasso, nè mi ci sentivo, nè mi importava a
dire il vero. Stavo bene, era una quaranta quattro santo Dio.

Non ero grasso, eppure mi ci fece sentire.

Finì di tirar fuori cose e si avvicinò al letto iniziando a sistemarli in probabili
abbinamenti, probabilmente stava pensando a cosa abbinava con cosa quando ancora
era lui ad indossarli, mentre era impegnato a pensare mi avvicinai all'armadio, una
maglia aveva attirato la mia attenzione.

La presi tra le mani e la tirai su spiegandola, era bella. Nera con un disegno bianco e
argentato sopra, una bella ragazza in desabiliè stava suonando una chitarra
elettrica che teneva tra le cosce, portava delle calze a rete e tacchi vertiginosi,
fortuna per lei che era inginocchiata a terra, beh era una tela di ragno.

Sì, mi piaceva e anche tanto.

La stavo guardando da cinque secondi e in minor tempo lui mi fu addosso per strapparmela dalle mani.
Mi urlò di non toccarla e la ripiegò per rimetterla poi nell'armadio, esattamente dove era prima.

Non c'era bisogno di farmi prendere un infarto per una maglietta. Cavolo.

-e che modi! Scusa tanto!-
-non è mia. È di Horge.-
-beh anche se è di un tuo amico non vedo il motivo per farmi infartuare! È una maglia mica la consumo con gli occhi!-
-horge è mio fratello.-

mi sentì un idiota bisbigliando un “oh.”

-me l'ha prestata e non gliel'ho resa. Questa me la porto al paesello.-
-non è un paesello-
-sì che lo è.-

inarcò un sopracciglio come se fosse ovvio e palese che la nostra cittandina fosse un “paese”.

-è una cittadina.-
-che è un termine carino per definire un paesello.-

inutile ribattere avrebbe trovato scuse assurde per aver ragione, però... quella
discussione assurda sembrava una di quelle che intavolavano lui e victor, e la cosa mi fece piacere.

-scegli quel che vuoi tra le cose che sono sul letto. Te le regalo anche tutte.-
-perche non le hai buttate?-
-perche mi hanno tenuto a mente il periodo in cui ero grasso, e quel periodo sono ricordi, o meglio queste cose, sono la parte tangibile di un ricordo.-
-non eri grasso vincent, cavolo era una quaranta quattro.-
-si che lo ero e lo sei anche tu.-
-non è vero! Non lo sono io e non lo eri tu quando entravi in questi jeans!-
-sta zitto.-

prese il cellulare avvicinandosi alla finestra, non mi diede il tempo di ribattere.

-indovina dove sono?-

scostò la tenda e si appoggiò al vetro. Ridacchiò

-no no, hai sbagliato, da nessuno sconosciuto; ti do un indizio: sto guardando casa tua. Ok vic, ti aspetto.-

io avevo iniziato a provare i vestiti.
Quindi lui e victor erano vicini di casa...

il campanello risuonò per tutta la casa e lui scese verso l'ingresso per andare ad
aprirgli, finii di infilarmi almeno i pantaloni e scesi anche io.

Iniziai a sentire le loro voci ancora dalle scale, non potevano vedermi, mi soffermai a
sentirli nell'oscurità del non sapere che io ci fossi già.
Victor gli aveva appena dato dello stronzo, gli aveva detto che poteva avvertirlo che
sarebbe andato a prenderlo, e poi gli chiese che cazzo avesse fatto ai capelli.
Quell'ultima cosa... gliel'aveva detta con un tono diverso, la burla e lo scherzo erano
andati via... non ne compresi il motivo.

-sta zitto.-
mi ero appena affacciato e vincent sembrava sapere già che io fossi lì.

-pensavo ti fossi perso.-

il suo tono era cambiato, c'entravano forse i suoi capelli?

-mi avevi detto niente sconosciuti-
-infatti lo conosci, è la mia nuova opera d'arte-

e alla fine imbarazzato come non mai entrai nel salone, dove dall'ingresso potevano vedermi.

-oh cristo.-
-sto male?-
-cazzo no. Non mi aspettavo che... cazzo!-

mi venne naturale sorridere, forse ero diventato scopabile.

Il resto del pomeriggio lo passammo tra chiacchiere inutili, discorsi incoerenti, e immersi nel dolce far nulla.
La sera uscimmo, noi tre, solo noi tre, andando in un locale che loro sembravano conoscere bene.

Che vincent era ubriaco era palese, che lo fossi io, un po meno visto che tra i tre
sembravo l'unico che conservava ancora un briciolo di lucidità, o almeno di riuscire a
ragionare un minimo; fu per quello che successe a casa che mi venne qualche dubbio sulla mia sobrietà.

Le sue risate erano sguaiate e faceva ciondolare la testa prima verso victor e poi
verso di me, cercava attenzioni ridendo e dicendo cose impastate e poco chiare mentre tornavamo a casa.

-vic, a casa, scopami.-

questo lo capii, fin troppo chiaramente.
Lo ripetè tante volte, finquando victor non gli prestò attenzione.

-sono stanco, ti scopo domani, davanti a tuo padre.-
-oh sì!! e chiamami horge!-

rise ancora, ma amaramente, forse provando a celarlo, con scarsi risultati, però.
Era diversa quella risata, un po amara e un po triste. Non era bello sentirlo ridere a quel modo.

-chiamami horge quando mi scopi davanti a lui.-

gli uscirono atone, quelle parole. Piatte e prive di qualsiasi vitalità, ma sopratutto prive di alcool.

davanti casa victor mi lasciò solo a gestire vincent.
E rimasi impressionato della forza che quel corpicino esile possedeva.

In un attimo mi ritrovai attaccato alla porta, non mi resi conto come vi ero finito se non dopo, ma solo per un induzione mentale;
le sue mani stringevano la mia maglia tenendomi attaccato al legno.

Era calda.

Mi ritrovai a pensarlo della sua lingua.

Non mi fu molto chiaro come ma entrammo e camminammo inciampando un pò ovunque,
attaccati l'uno all'altro in un bacio così duraturo da accompagnarci fino alla camera da letto, era quella di vincent?
No, c'era il letto matrimoniale.
Con un po' meno vestiti eravamo arrivati al letto, me ne accorsi quando mi ci spinse sopra; con un solo gesto volarono via anche gli ultimi, di vestiti.

stavo per farlo per la prima volta.

stavo per farlo per la prima volta, con un maschio.

era sopra di me e si muoveva, e anche solo così era in grado di farmi mandare a fanculo la ragione.

Mi ripeteva di scoparlo, lo ripeteva in continuazione, quel termine volgare.

Me lo misi sotto, avevo paura di schiacciarlo con il mio corpo; mentre alzava il bacino, in modo che si scontrasse con il mio, me lo chiese.
-chiamami horge quando mi scopi.-

mi rifiutai di farlo, non volevo chiamarlo con il nome del fratello morto mentre lo scopavo.

Si infuriò chiedendomelo ancora, anche se dal tono la sua non sembrava una richiesta, bensì un'imposizione.

-no! Non ti chiamerò come tuo fratello!-

non sapevo perche volesse che lo chiamassi così, non ne sapevo niente di quella storia, allora, e non mi sarei mai potuto immaginare quel perchè.
Un ossessione così pesante da portare non doveva essere facile. Ma almeno apparentemente sembrava scivolargli bene sul corpo, come la pioggia.

Lui mi scansò, voleva andassi via, me lo disse esplicitamente tra i vari insulti che mi aveva rivolto.
Non gli permisi di scacciarmi, mi misi al suo fianco e me lo strinsi addosso.

-vattene cazzo. Lasciami.-

mi scacciava con le mani facendo presa sulle mie spalle.

-non ti lascio. Non ti permetto di mandarmi via!-

si bloccò per un attimo, poi si coprì gli occhi con i palmi delle mani.
Sussurrando un “Cristo” si portò i capelli indietro in un movimento lento e continuo.

Fece per alzarsi, lo fece con calma e lo lasciai libero di farlo.
Mi mandò al diavolo e riprese i suoi boxer, si alzò andando da qualche parte, in bagno presumibilmente.

Mi rivestii anche io, non mi pareva proprio il caso di rimanermene nudo.

Tornò svariati minuti dopo, apparentemente calmo; si mise seduto sul letto.

-sei un maledetto stronzo.-

lo ringraziai.
Proprio come erano soliti fare lui e victor rispondendo ai reciproci insulti;
mi venne spontaneo rispondere a quel modo, ne compresi le motivazioni.

Non importava se appariva un insulto, se ero un maledetto stronzo per aver dato
ragione a me stesso comportandomi di conseguenza allora era un complimento.

Lo compresi e lo approvai.

Forse era la prima volta che comprendevo qualcosa della mentalità distorta di vincent e victor.

Vincent sorrise al mio grazie, anche lui si era reso conto che stavo entrando a far parte del loro mondo.

Si schiaffeggiò una natica.

-non avrai il mio culo-
-non avrai il mio cazzo.-
-non sei l'unico cazzo al mondo!-
-non sei l'unico culo al mondo-

allargò gli occhi sorpreso.

-ma che testa di cazzo!!!-

me lo disse ridendo e venendomi addosso, in quel momento mi sembrò di essere victor, immerso assieme a vincent in uno di quei loro
discorsi assurdi che erano soliti fare, risi anche io.
Poi ci addormentammo.

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Capitolo 8
*** L'inganno del potere. ***


Ringrazio tutti coloro che leggono, vi ringrazio enormente ^^
kiss
marykei-hishi Nuova pagina 1

Capitolo VIII:

“L'inganno del potere.”

 

La sera prima del rientro dei suoi genitori a casa l'aria era talmente pesante e tesa che sembrava quasi condurre elettricità, la sentivo pesare addosso e premermi contro.

I suoi maledetti silenzi non miglioravano di certo la situazione.

 

Era come essere immersi in profondità nell'acqua e sentire la pressione atmosferica amplificata sulla pelle e sentivo qualcosa che mi stava schiacciando lentamente; senza contare che quella casa enorme era immersa nel silenzio, con me e lui che non ci scambiavamo parole, aveva un aria spettrale.

 

Quel silenzio arrivò a toccare molte ore: tutta la serata, tutta la notte e anche il mattino seguente.

Per me è stato brutto passare tutto quel tempo immerso nel silenzio, io non ci sono abituato, casa mia è sempre stata rumorosa, fin troppo.

 

Di quel che successe dopo io ne fui letteralmente sconvolto.

Avevo nella mente un certo modello di famiglia alquanto imperfetto ma che, proprio per quello, era un qualcosa che ritrovavo molto spesso nella mia quotidianità.

 

Se quella che vidi poteva definirsi famiglia, infrangeva completamente la mia idealizzazione di quel concetto.

 

Vincent sembrava ancora catturato in un suo mondo ed era distratto nel nostro, di mondo; chissà la sua mente dove era arrivata nel viaggio che aveva intrapreso; forse era un posto migliore, o molto più probabilmente era solo rapito dalla sua stessa essenza.

 

Forse era tornato in quel passato dove c'erano altri colori oltre al bianco, al nero e al rosso. -unici colori che indossava e che da non molto tempo lo rappresentavano.

 

viveva in un monocromo tinto di rosso

 

quando lo pensai, rabbrividii, un monocromo tinto di rosso, non doveva essere bello, né facile... né felice.

 

Tanto era il silenzio che sentii chiaramente il tintinnio delle chiavi dal di fuori della porta.

Per un attimo riuscii a sentire il corpo di Vincent irrigidirsi, come se di lì a tre secondi si sarebbe alzato per andare via, non avevo mai visto Vincent teso e in quella condizione.

 

La serratura scattò e il suono lo percepii amplificato nelle mie orecchie, mi volsi a guardare Vincent, volevo vederlo con i miei occhi se mi voleva, se voleva il mio aiuto; non si mosse ne fece nulla per molti secondi che sembrarono minuti, ore, interminabili.

 

Tutto sembrava andare a rallentatore, e io mi sentivo consumare dall'agitazione, non osavo immaginare come potesse sentirsi lui, con tutta quella tensione nell'aria.

 

La porta si aprì mostrando la sua figura: un uomo sulla quarantina -seppi molto dopo che ne aveva quaranta tre, di anni.- capelli scuri carnagione d'orata e occhi del colore del caffè.  Curato nell'aspetto e nel fisico.

 

Trattenne la porta aperta per far entrare la moglie, che entrò subito dopo di lui.

La pancia si vedeva appena, ma aveva la tipica forma di chi a breve sarebbe diventata mamma, anche lei si aggirava sulla stessa età di lui, occhi chiarissimi, lineamenti delicati per una pelle diafana, bionda, proprio come Vincent.

Sì, Vincent le somigliava parecchio; chissà se anche Horge le somigliava...

 

si fermarono a guardarci, si fermò tutto a guardarci, a dire il vero; sembrò quasi che per quei quattro secondi anche la terra aveva arrestato i suoi moti per rimanere anche lei con il fiato sospeso e sapere cosa sarebbe successo.

 

Vincent gli dava ancora le spalle.

 

-Cristo.-

 

Biascicò suo padre stupito nel vederlo.

 

-Cosa ci fai tu qui?-

-Prenditela con il fratello di tua moglie.-

 

Non era “mamma”? Era “tua moglie”? 

 

-Cos'ha fatto?-

- È andato in vacanza.-

 

Io stavo iniziando a sentire freddo, lo percepiva anche lui?

Mentre la discussione continuava Vincent si era alzato e si era voltato a guardarli. Lui, lei... E il nascituro prossimo.

Scosse lievemente la testa con un velo di rassegnazione negli occhi per poi andare via.

 

E io?

 

-Ehm... Salve, io sono William, un amico di Vincent.-

 

Andava bene no? Cordiale ma senza prendersi libertà gratuite.

 

Mi guardò dall'alto in basso, storse la bocca ed arricciò il naso, mi diete terribilmente fastidio quel gesto.

 

-Ok, non fate baccano.-

 

Forse sarebbe stato più indicato se avesse detto “siate invisibili” di certo meno carino ma sicuramente avrebbe rispecchiato maggiormente i suoi pensieri. Ne ero certo.

 

Annuii comunque, era pur sempre il padre di Vincent, non che un uomo più grande di me al quale, anche se non me ne dava la giusta motivazione, dovevo portare rispetto.

 

Mi diressi verso la camera di Vincent, convinto di trovarcelo. Non fu così la camera era vuota e io mi misi a guardare in giro.

Sulla scrivania, vicino alla finestra, c'era una cornice, in vetro satinato, dai toni del celeste, ricordava terribilmente il mare.

La foto che adornava era infatti uno squarcio di spiaggia sulla quale Vincent, Victor e una ragazza posavano per essere immortalati.

Presi la cornice per guardarli meglio: Vincent sorrideva, era ancora biondo e stava bene, Victor non era poi così distante dall'immagine che mi si era presentata davanti agli occhi in carne ed ossa, con la sua solita coda bassa e i capelli della frangia che gli finivano davanti, l'acqua del mare glieli aveva fatti arricciare, e sembravano ancor più ribelli del solito.

La ragazza non l'avevo mai vista, ne Vincent non me l'aveva mai nominata.

La cosa che risaltava di più nell'azzurro del cielo, che poi finiva col confondersi nel blu dell'alto mare, erano i capelli di quella ragazza. Neri. Neri come la pece. Tenuti legati in una coda di cavallo piuttosto alta da un elastico voluminoso e dal colore rosso brillante.

Rosso come il costume, come il pareo e le infradito.

Rosso come lo smalto, rosso come il rossetto.

 

Al mare con il rossetto? Chi mai andrebbe in spiaggia con il rossetto?....beh, lei.

 

-Che stai facendo?-

 

Trasalii e mi spaventai, tanto da perdere la presa della cornice, che finì irrimediabilmente sul pavimento.

 

Fortunatamente non si ruppe, ma si aprì. La foto uscì e ne uscì anche un foglio strappato in parte.

 

Mi scusai e raccolsi tutto.

 

In tre passi mi fu addosso togliendomi dalle mani le foto.

 

-Stavo semplicemente guardando una foto messa in bella mostra su una scrivania.-

-E distruggere la cornice rientra in “guardare una foto”?-

-Tu mi hai fatto prendere un infarto, è il minimo che mi sia caduta dalle mani.-

 

Fece per dirmi altro, ma mosse solo le labbra per poi richiuderle senza dar voce al nulla, in effetti non c'era molto da dire, avevo oggettivamente ragione, prima per la foto e poi per l'infarto.

 

Ricompose la cornice facendola scattare, in modo che non si aprisse di nuovo e la ripose al posto che occupava prima che io la toccassi.

 

-Come stai?-

 

Mi ritrovai a chiederglielo tanto per spezzare il silenzio non perché mi aspettassi una risposta sincera. Considerando che quando ero entrato in camera lui non c'era, ipotizzai che fosse andato in bagno, lui lo usava spesso il bagno, per vomitare;

lo faceva spesso e non si faceva problemi ad ammetterlo, non con me, almeno.

Mi aspettavo che mi rispondesse “ho vomitato” o qualche analogo appellativo per comunicarmi che aveva rimesso, invece mi stupii della risposta che mi diede.

 

Mi disse che gli faceva male lo stomaco.

 

La diretta conseguenza era che comunque si era ritrovato chino sul water intento a vomitare -chissà cosa, poi.- ma l'approccio che aveva usato in quella risposta mi colpì particolarmente.

Se avesse palesato la realtà dei fatti con quella sua risposta, come era solito fare mi avrebbe dato il senso che gli fosse scivolata addosso come tutte le altre volte, come quando sembrava parlare di cose che sembravano non riguardarlo, come quando mi diceva che aveva vomitato come se non fosse un problema suo, quello di andare a vomitare. Come se non stesse parlando di un problema che lo riguardava.

Quella volta mi rispose dicendo che gli faceva male lo stomaco, dicendomi, tra le righe che stava male. Mi stupii di averlo compreso, Vincent non mi sembrava più così tanto distante.

 

Dopo quel momento di silenzio mi informò, probabilmente perché era proprio in quel frangente che l'aveva deciso, che quella sera saremmo usciti.

Quando facemmo ritorno a casa era già il giorno seguente da almeno quattro ore.

 

Morivo dal sonno e non appena messo piede in casa ci fiondammo nel suo letto.

Il mattino seguente -che poi erano le due del pomeriggio come minimo- quando mi svegliai nel letto, c'ero solo io.

 

Mi sentii imbarazzato a girare per quella casa dove era palese che ne io ne lui eravamo graditi.

Pensai a come dovesse sentirsi lui a viverci per anni, in quella casa fredda ed inospitale.

Chissà se era così da sempre la situazione...

 

...Forse prima della scomparsa di Horge le cose erano differenti.

 

Quelle cose, allora, non potevo saperle. Rimasero degli interrogativi irrisolti per molto tempo.

 

La freddezza di quella casa mi entrò dentro arrivando fino alle ossa, era inquietante.

 

Non c'era solo freddezza, c'era qualcos'altro, c'era indifferenza.

 

In una famiglia fredda i cui componenti non si interessano gli uni degli altri può continuare a chiamarsi con tale nome? Un legame di sangue può definire un concetto così caldo e bello quale una famiglia?

 

Io e Vincent apparivamo come fantasmi non voluti che appestavano la casa, che non si vedevano ma si sentivano anche se non si volevano sentire.

 

Sperai che i giorni passassero in fretta.

Sperai di rivedere al più presto i miei genitori, che se pur un po' invadenti e un po' pazzerelli mi volevano tutto il bene di questo mondo.

 

La sera non uscimmo, rimanemmo chiusi in camera sua.

Erano le undici e io avevo fame, quando lo informai del mio stomaco brontolante stava guardando fuori la finestra, non so bene cosa, il buio faceva confondere tutto. Forse nemmeno mi ascoltava.

 

Sembrava distratto.

 

Se volevo mangiare non potevo contare sul suo aiuto. Era poco ma sicuro.

 

Un po' di faccia tosta e un'avventura solitaria in cucina.

 

Proprio mentre stavo sbirciando nel frigo mi tornarono alla mente delle parole che Vincent mi aveva rivolto, rimproverandomi in un certo qual modo di “rompergli le palle”, prima dell'estate.

 

“Lasciatemi in pace quando non mi controllano

 

I suoi genitori non mi sembravano molto interessati a lui... Quindi... Chi lo controllava quando abitava ancora in città?

 

Scartai a priori la possibilità che potesse essere il fratello;

 

lo scartai per le dimensioni della maglia nera che Vincent mi aveva detto essere del fratello.

Se gliel'aveva prestata stava a dire che nei limiti del possibile gli andava bene, era dimagrito dopo la morte del fratello.

 

Chi fosse questo qualcuno che si preoccupava di lui fu una domanda che gli porsi, da solo non ci sarei mai attivato.

 

Mi rispose sorridendo; un sorriso che non gli avevo mai visto fare, un sorriso vero. Mi rispose con un nome: Victor.

 

Non mi sarei mai immaginato che Victor tenesse veramente a Vincent, l'avevo iconizzato con un immagine che non gli apparteneva; l'avevo catturato in un fermo immagine  astratto, in un misto di spietatezza ed egocentrismo, con un pizzico di indifferenza, quello, non era Victor, non quello che vedevano gli occhi di Vincent.

Victor era molto più colorato, e forse io stavo pretendendo di arrivare in luoghi che non erano alla mia portata.

 

Volli incastrarmi in quella conversazione mentre mangiavo quel che avevo racimolato in cucina, mi disse tante cose legate da un filo conduttore spesso e pesante,

-Victor mi conosce, andavamo a scuola insieme, fin dalle elementari.-

Mentre mi parlava si rigirava tra le mani ila foto.

-Da che ho ricordi di lui non è mai cambiato, sempre  con la sua aria scocciata fin dalle elementari, è arrivato in terza elementare, aveva i capelli mossi, assomigliavano a boccoli, osceno, non trovi?-

 

Guardò fuori la finestra, in quel frangente sembrava distante milemila anni di distanza, tornato indietro forse proprio a quella terza elementare che l'aveva fatto incontrare con Victor.

 

-Non parlava affatto bene la nostra lingua-

-Non è americano?-

-No, lui è nato in Russia-

-Che figata!-

 

Ci fu un momento di silenzio in cui Vincent, credo, si perse un po' nel proprio corpo con la mente. Poi riprese a parlare, quasi privo di volontà, quasi come se fosse una frase automatica.

 

-Credo sia la mia amicizia più longeva.-

-Non è da tutti sopportati e sopportarlo.-

-Sì, vero.-

 

Di come Vincent fosse sopravvissuto in quella famiglia era un mistero per me, io non ci sarei riuscito.

 

Iniziai a capire, però, il perché di molti dei suoi atteggiamenti.

 

Il suo costruirsi del ricordi, come quella volta che a casa mamma gli aveva fatto le meches, il tenere così tanto ad un mondo rappresentato da oggetti che simboleggiavano ricordi, il suo abbandonarsi ad un ossessione prepotente e morbosa per l'ordine...

 

...Era a causa dell'inganno del potere.

 

Il suo potere decideva e il suo corpo eseguiva illudendosi di poterla dare a bere anche alla sua anima tormentata.

 

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Capitolo 9
*** capitolo IX: l'agnello e il lupo ***


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Capitolo IX:

“L'agnello e il lupo”.

 

 

Quel che più mi preoccupava del ritorno a casa erano i miei capelli, andavano senz'altro bene per un cittadino, decisamente meno per un provinciale.

 

Vincent aveva insistito così tanto per acconciarmi a quella maniera che non avevo avuto cuore di oppormi più di tanto.

 

Durante il tragitto in treno non parlammo molto, lui era intento, per lo più, a guardare fuori dal finestrino, perso in chissà che pensieri; mi chiesi in quel momento se io sarei mai stato in grado di capire i suoi pensieri semplicemente guardandolo negli occhi, e di conseguenza mi domandai anche se Victor riuscisse a “leggerlo” o meno.

 

Così il viaggio passò con lui perso in sé e io perso in lui.

 

Alla stazione Nelson ci aspettava, quando ci vide fece una faccia strana.

Ci avvicinammo, camminando relativamente vicini, lui era due passi dietro di me, lo sentivo.

Nelson mi scavalcò con lo sguardo arrivando immediatamente a Vincent.

 

-ecco, lo sapevo.-

 

il suo tono era scocciato, terribilmente scocciato.

 

-oh buon giorno anche a te, Nel.-

 

sapevo che lui gl'avrebbe risposto a quel modo.

 

-sisi, bla bla bla, che cazzo gli hai fatto ai capelli?-

-e i miei?? non mi dici niente del biondo?-

-è orrendo e ti sta male, perché gli hai fatto i capelli a quel modo?-

-cosa ti fa credere che Will non abbia una volontà propria?!-

 

mi voltai a guardare Nelson. Vincent aveva ragione, ok tralasciando il fatto che Nelson aveva ragione sui miei capelli, non poteva saperlo. Lo aveva dato per scontato, e non era bello.

Io una volontà ce l'avevo, semplicemente avevo ceduto, ecco.

 

Stette un secondo in silenzio per poi rispondergli. Come se stesse cercando argomentazioni convincenti da esporre per rispondere a Vincent.

 

-si vede che è opera tua, sono osceni e inappropriati.-

-ma così sta meglio che con quel taglio da frate che aveva.-

-non è vero, questi sono osceni.-

 

ok, stavano decisamente andando al di là della mia linea della sopportazione. Era divertente all'inizio vederli battibeccare sui miei “nuovi”capelli, ma il fatto che non mi stessero minimamente tenendo in considerazione anche se ero lì mi stava realmente facendo irritare.

 

-ragazzi.-

 

-questo lo dici tu perché sei un provinciale, qui tutti hanno il gusto dell'orrido, non sapete cosa sia l'eccentricità, vi disgusta tanto non uniformarvi alla massa?!-

-meglio essere un provinciale non eccentrico che essere come te.-

 

basta. Avevano decisamente superato quella linea.

 

Vincent respirò affondo, sorrise e si morse il labbro inferiore, era compiaciuto, intuii cosa stava per dire e come prospettiva non mi piaceva per niente.

 

-abbiamo scopato.-

 

lo disse lentamente facendo scivolare ogni parola sulla lingua quasi volendole assaporare, con un aria assolutamente assuefatta, contento di quel che aveva detto per la semplice ragione che avrebbe fatto arrabbiare di brutto Nelson.

E lui lo sapeva.

E lo sapevo anche io.

 

-non è vero!-

 

mi sbrigai a negare, anche perché era vero, alla fine, anche se ci eravamo andati vicini, non lo avevamo materialmente fatto.

Lo ripetei altre volte, con più convinzione se pur con meno tono, ma era già irrimediabilmente tardi.

...però quella frase aveva avuto il potere di zittire Nelson.

 

-non è vero.-

 

di nuovo negai l'esperienza molto più fermo e deciso delle volte precedenti.

 

-la lingua in bocca me l'hai messa.-

-ma che c'entra ora? Quello non è scopare!-

-non è questo il punto.-

 

si, infatti. Non era quello il punto, qual'era? Me l'ero perso, il benedetto punto; Nelson era silenzioso, sin troppo.

 

Ci voltammo verso di lui, accorgendoci entrambi di quell'immotivato silenzio.

 

-...nel?...-

-avevo ragione.-

 

non capii subito a cosa si riferisse con quella frase, lo compresi la notte, che con il suo consiglio mi regalò il collegamento che mancava.

 

Anche quella notte Vincent fu mio ospite, il giorno seguente sarebbe tornato suo zio e con lui anche Vincent sarebbe tornato ad abitare in casa sua.

 

Ero sul letto, perso nei miei pensieri quando lui rientrò in camera, era di ritorno dal bagno; mi si stese accanto.

 

Lo sentii avvicinarsi con le labbra al mio collo, sentii il suo respiro sulla mia pelle e mi fece venire i brividi, mi alzai sedendomi al mio posto, a casa quelle cose non si potevano fare. Non con la porta aperta e i miei ancora svegli che vagavano per casa, per lo meno.

 

-hai vomitato?-

 

glielo chiesi tanto per distrarlo dal fatto che mi ero sottratto alle sue attenzioni, senza sperare che ci cadesse, oltretutto. Probabilmente il mio era solo un modo per non rimanere in silenzio, dicendo cose che a malapena il cervello approvava.

 

Mi rispose inarcando un sopracciglio con un “certo”dal tono  tipico di chi ti dice la cosa più normale  e ovvia del mondo e allo stesso tempo si stupisce che tu non te ne capaciti. Lo stesso identico tono.

 

-non è normale.-

-e blablabla.-

 

mi rispose sfottendomi, mimando con la mano un becco di una papera che starnazza. Provai a controbattere ma mi interruppe chiedendomi se sapevo l'ora.

Lo informai di quanto tardi fosse, quella sera.

 

-non era questa la domanda.-

-sei pazzo? Mi hai appena chiesto l'ora.-

 

non era proprio sera di giochetti, sentivo che se avesse continuato gli avrei risposto male, quella sera, cavolo.

 

Non capivo il nesso e nemmeno mi ci volevo mettere a capirlo, in quel frangente.

 

-non ti ho chiesto di dirmela , l'ora, ti ho chiesto se la sapevi, sono due cose diverse. Tu volevi dirmi qualcosa del tipo “fa male” e quelle altre cazzate che so e che me le hanno già dette e ripetute fino alla nausea, il punto c'è ed è che io non ti ho chiesto nulla.-

 

...E aveva maledettamente ragione, come al solito.

Il discorso filava, non solo: aveva intuito cosa volevo dirgli e aveva giocato d'anticipo facendomi finire in una trappola, oltretutto.

 

Quella sera Vincent rimase a dormire nel mio letto, anche se la brandina che con tanto amore aveva preparato mia madre per il suo soggiorno in casa nostra era lì, in bella mostra; lui le cose non le chiedeva, mai. Se le prendeva, o faceva in modo che fossi tu stesso ad offrirgliele. Vincent non era il tipo da chiederti niente, semplicemente se voleva fare una cosa -come dormire nel mio letto- ci dormiva senza prendere minimamente in considerazione il tuo parere. Era così ed era Vincent anche per questo.

 

Il letto con lui era più caldo;

le coperte sembravano più soffici e il cuscino più morbido;

ma la cosa più bella era il suo respiro caldo sulla mia pelle.

 

Era lui ad emanare quel calore particolare che dormendo da solo non avevo mai sentito. Era la vicinanza di un corpo nello stesso letto.

...forse un po' troppa vicinanza.

 

Vincent le cose non le chiede, le prende, e non solo le cose, anche le persone. Che io fossi diventato un comodo giaciglio me ne accorsi quando venni usato come cuscino e in parte come materasso.

 

Però era piacevole averlo sopra.

Mi persi a carezzargli i capelli e chiusi gli occhi approfittando di quel momento.

 

Il tempo, non sembrava scorrere, io non sentivo la stanchezza, anche se la mano  che era ancora persa tra i suoi capelli sembrava intorpidita e non si muoveva più carezzandoli, era semplicemente ferma tra i suoi capelli ossigenati.

 

Lo sentii agitarsi su di me, e poi girarsi e dopo ancora mettersi seduto sul letto.

Sentii la sua presenza venir meno tra le lenzuola; aprii gli occhi e in un fruscio presi il cellulare per vedere l'ora: erano le due del mattino. Non mi ero minimamente accorto di quanto tempo avessi passato nel dormiveglia semplicemente assorbendo il suo calore   e approfittando passivamente di chi avevo accanto.

Lo guardai, era in piedi di fronte alla finestra, stava fumando e apparentemente non si era reso conto di avermi svegliato. In effetti aveva fatto tutto molto silenziosamente, se fossi stato realmente addormentato non mi sarei svegliato affatto ne mi sarei reso conto che lui era sceso dal letto.

Aveva il suo cellulare in mano e smanettava con la tastiera, solo quando lo avvicinò all'orecchio capii che stava componendo un numero di telefono.

 

-Vic.-

 

gli orari nel loro mondo non esistevano, e non era la prima volta che ce ne davano mostra.

 

-ho sognato.-

 

non aggiunse altro e per molto tempo fu l'altro a parlare, beh a meno che non stessero zitti entrambi ai due capi del telefono e sinceramente non me ne sarei stupito più di tanto se così fosse stato.

 

-si. Voglio che vieni. Venerdì vieni da me?-

 

dal fanculo che ne seguì immaginai che la risposta di Victor avesse risuonato nelle orecchie di Vincent come una negazione fatto sta che gettò la sigaretta dalla finestra, così ancora accesa e spense il cellulare tornando al letto.

 

Mi si avvicinò, non badò se fossi sveglio o meno, si mise a cavalcioni su di me e io non sapevo se fingere di svegliarmi, fargli capire che ero sveglio o fingere di dormire ancora. Ero confuso ma volevo capire cosa voleva fare con me in quel momento.

Mi scosse un paio di volte dicendomi che voleva scopare.

Si chinò, baciandomi qua e là e io me lo scansai da dosso.

 

Io non ero un giocattolo.

 

-che cazzo fai?-

-niente che non apprezzerai.-

 

stette interminabili minuti a baciarmi il collo, ma fu quando sentii la sua mano fra le mie gambe che lo fermai, con una semplice domanda: che sogno hai fatto?

 

Si alzò di scatto sentendo quella parola: sogno; mi guardò con un paio di occhi che sentii arrivare nel profondo, entrarmi dentro e discendermi nelle viscere, mi guardarono fino a giungere in qualche parte del mio corpo che non sono sicuro possa essere tangibile; mi sentii messo a nudo, inerme e colpevole tutto insieme, e sentii il bisogno di abbassare lo sguardo. Non riuscivo a sopportare il suo di sguardo. Era troppo cristallino per poterlo sopportare.

 

-non sono cose che ti riguardano.-

-ma Vic..-

-Victor può. Lui sa, lui è speciale. Tu no.-

 

si alzò dal mio letto e si mise sul suo ancora intatto.

Mi ero fottuto da solo e gli avevo servito su un piatto d'argento la possibilità di farmi male.

 

Non dormii molto quella notte, per niente a dire al vero; ero lì, steso sul letto e immerso nel buio nel freddo della solitudine a fare il punto della situazione:

Nelson ce l'aveva con me perché ero stato con Vincent -relativamente stato, poi. A voler essere pignoli; tra me e lui c'erano stati solo baci e, a voler essere più spinti, cose comunque fatte con la bocca.-

non capivo la sua gelosia, quella sua reazione spropositata e la situazione di per sé mi mandava ai pazzi. Nemmeno fosse stato qualcosa di più di un amico, quale era sempre stato.

...E se al posto di Vincent ci fosse stata una ragazza? Se la sarebbe presa alla medesima maniera?

Provai anche ad immaginarmi una  vicenda verosimile.

 

-situazione di merda del cazzo.-

 

lo sussurrai senza accorgermene, credevo di averlo pensato.

 

-dormi. Io sono incazzato e Nelson è solo geloso, passerà sia a me che a lui. Ho sonno, almeno sta zitto o fatti le tue seghe mentali in silenzio.-

 

I giorni seguenti Vincent era tornato a stare dallo zio e Nelson sembrava tutt'altro che interessato a farsi vedere e sentire.

 

Era frustrante e non avevo fatto niente di male. Sperai che Vincent avesse ragione, quella notte.

 

*

 

un giorno, poco prima che la scuola ricominciasse, mi ritrovai a parlarne; la sua incazzatura passò in pochi giorni da quella notte in cui l'avevo respinto e in cui mi aveva risposto in quel modo. Ed era tornato quello di sempre.

Eravamo in sala e stavamo risolvendo le equazioni di matematica che il professore ci aveva assegnato... beh io le stavo facendo, lui no, mi disse che lui non faceva mai i compiti, che non li aveva mai fatti e che non li avrebbe mai fatti. 

-questa non mi viene.-

 

probabilmente era per il mio scarso interesse per quell'equazione eclissato quasi totalmente da Nelson.

 

Sospirai senza accorgermene.

 

-al quadrato, non alla quarta, ci credo che non ti viene il risultato. Sei distratto.-

 

era vero sia che era al quadrato e non alla quarta sia che ero distratto.

Lui non disse nulla e -anche se non lo era- io interpretai quella pausa come un esortazione a continuare. Gli dissi di Nelson e di come grazie a lui non mi parlava praticamente più.

 

-vuoi che ti dica quello che penso o quello che vorresti sentirti dire?-

-prima una e poi l'altra.-

-ok, ragiona: tu e lui siete cresciuti insieme, no? Siete sempre stati voi due, eravate un nucleo, capisci?- annuii e lui continuò – ora ci sono io. È chiaro che non mi sopporti sono una sorta di “lupo cattivo” -fece il segno delle virgolette con le dita- pronto ad attaccare la povera pecorella smarrita, che poi saresti tu, e lui ti sente sfuggirgli da sotto le mani, è geloso.-

....- ma... è come un fratello!-

-l'incesto esiste; non mi hai nemmeno chiesto quale delle due fosse, come risposta.-

-beh è quel che pensi, no?-

-assolutamente no.-

-e cosa pensi allora?-

-che è un omofobo del cazzo. E poi che è geloso, ma dopo. Penso anche che se potesse mi ucciderebbe volentieri-

 

forse fu solo una mia impressione ma sembrava che i suoi discorsi si allacciassero alla perfezione l'uno con l'altro.

Forse poteva sembrare più verosimile o umano o detto da un amico il primo discorso, o forse, più semplicemente, aveva ragione: le parole del primo discorso erano  quelle che qualsiasi persona al mio posto avrebbe voluto sentire.

 

Aveva la capacità di confondermi, Vincent. E ancora non capivo se mi piacesse o meno, come cosa.

 

Il punto era che quel discorso, anche se non pensato, lo aveva detto, e io l'avevo ascoltato, capito e assimilato.

 

-non è geloso.-

 

lo dissi dopo un momento di prolungato silenzio durante il quale lui aveva preso il mio quaderno e aveva corretto l'equazione.

 

-chi?-

-Nelson.-

-ancora che ci stai pensando? Resetta, io l'ho già fatto.-

 

resettare? Il cervello? In che senso, poi?

 

Me lo lesse negli occhi che glielo stavo per chiedere e mi precedette rispondendomi direttamente: mi disse che il cervello è una macchina imperfetta. Mi chiese se io ricordavo tutto -ogni singolo particolare- della mia vita e io gli risposi -ovviamente- di no. Cosa voleva dimostrarmi?

 

-il cervello potrebbe contenere tutto, potrebbe. Ma non lo fa. Il cervello dimentica, o per meglio dire e per farla più pratica, mette alcune informazioni, alcuni imput al buio. In modo che non vengano più a galla e che tu non te ne ricordi più, il cervello lo fa sempre, lo fa in continuazione, e lo fa da sé. Puoi anche imporglielo.-

 

non capii molto, mi sembrava così inconcepibile un discorso del genere...

però... mentre diceva tutte quelle parole sul cervello una sensazione mi colse: stava parlando di me e Nelson o aveva glissato il discorso su se stesso?

Dopo un processo del genere, i ricordi, non c'erano più o non li si guardavano per molto tempo illudendosi di non ricordarli?

 

Quando era Vincent a parlare era tutto così complicato. Mi faceva fare ragionamenti che io da solo non avrei nemmeno lontanamente sognato di fare. Mi faceva vedere cose da punti di vista inaspettati.

 

Vincent era proprio un mondo a parte.

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Capitolo 10
*** capitolo X: special I Victor p.o.v. ***


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Capitolo X:

Special I: Victor pov.

 

In terza elementare feci l'angelo nella recita di natale. Ero biondo e avevo tanti boccoli ed ero perfetto per quella parte, non dovevo dire una parola e la parte era perfetta per me: dovevo solamente mostrarmi nella mia più totale bellezza.

 

Erano pochi mesi che ci eravamo trasferiti in America, e con mamma, a casa, io e lei, parlavamo ancora russo, non conoscevo altre lingue oltre a quella della mia terra natia.

 

Ho sempre amato il mio paese, la Russia, amo un po' meno il mio nome, Dmitri, comunissimo e stra usato, come un “Ted” o un “Jeck” qui. Victor è il nome che mi sono scelto, mi piace e tutti mi chiamano così. Peccato che sul mio documento ci sia ancora il mio vero nome.

 

Parecchie volte in questi anni siamo tornati per qualche rapido viaggio a Mosca, a trovare la nonna e gli altri parenti, il periodo che preferisco da sempre è il carnevale.

 

Il carnevale a mosca è qualcosa di unico, ai miei occhi, per lo meno. Mi è sempre piaciuto, fin da piccolo, anche se, i motivi per il quale mi piace sono cambiati con il mio crescere.

 

Visto dagli occhi di un bambino il carnevale è colori, divertimento, giubilo e scherno.

Visto con gli occhi di un adolescente, di un ragazzo, il carnevale moschevita è perdizione. Qualunque sia il senso che si attribuisce a quella parola.

I colori e il divertimento sono una maschera pittoresca e deviante di quel che è realmente.

 

Guardare il carnevale è come vedere una città addormentata riprendere vita dopo un acquazzone; colorarsi e diventare gaia e rumorosa, durante il giorno e durante la notte, senza sosta, rilasciando quella vitalità repressa durante il grigio del resto dell'anno.

 

Mosca è sorprendente durante il carnevale, io in quella città ci sono nato e anche se ci sono cresciuto in parte quando ci ritorno sento che è quella, casa mia.

 

La neve da sempre per me ha un buon odore. Ha l'odore di casa. E quel freddo che ti punge le guance per quanto è rigido è una bella sensazione, mi ricorda casa.

Mi alzavo la mattina e guardando fuori vedevo un paesaggio fermo, come in una foto immacolata.

 

Il trasferimento non fu molto traumatico: David, il marito di mia madre, ci accolse a casa, anche lui aveva figli, due, entrambi più piccoli di me. Un maschio e una femmina della stessa età, gemellini che non si assomigliavano per niente, né di fisionomia né tanto meno di carattere.

 

Con me, David era stato chiarissimo fin dal principio, di figli ne aveva già due e non aveva intenzione di acquisirne un altro. Non gli interessava quel che facevo a patto che non creassi casini. Bene, non potevo chiedere di meglio.

 

Io un padre non ce l'ho mai avuto e l'idea di poterne avere uno non mi piaceva, non lo volevo, quell'infiltrato, come padre.

 

David è il perfetto compagno per mia madre ed è un perfetto conoscente per me.

 

Lui non fa domande su quel che è la mia vita, non ne ha mai fatte, io non gli ho mai creato grane, è il mio modo di dirgli grazie.

Io e lui viviamo una simbiosi perfetta, lui non fa domande e io non gli devo risposte, ognuno di noi rimane al proprio posto e viviamo tutti felici e contenti.

 

Un anno e mezzo fa i fratellini sono diventati tre. E questo ha voluto dire tante cose, belle e brutte.

 

Delle belle fa parte il fatto che ho ancor più libertà: non da parte di David, da parte di mia madre.

Il pargolo la occupava quasi a tempo pieno e quel quasi era poi completato dagli altri due.

 

Di problemi economici non ne abbiamo mai avuti, David guadagna abbastanza per mantenere tutti, me compreso.

Guadagna abbastanza da permettere a mamma di non lavorare, per farla stare a casa con i bambini e con me;

guadagna abbastanza da mandare noi tre più grandi ad una di quelle scuole private d'élite ristrette, che comprendeva anche Vincent.

Lui non l'ha mai fatto per me in senso proprio, l'ha fatto più che altro per quel che la gente penserebbe se... se gli altri due ci fossero andati e io no. Un “etichetta” che io preferisco chiamare ipocrisia.

 

Non lo disdegno, questo mondo, per carità; e anche se non mi piace mi ci sono adagiato e l'ho reinterpretato assieme a Vincent.

 

Mi sono  sempre divertito con lui in tutte le follie che abbiamo messo in piedi.

 

Conosco Vincent dalla terza elementare, -anche se sono due anni più grande di lui per farmi ambientare meglio mi fecero tornare indietro di due classi, più che altro perché io di americano non sapevo una parola, figurarci a studiare, in quella lingua.- ed entrò nelle mie grazie quando, usando quelle poche parole che conoscevo nella sua lingua mi propose di indossare delle corna da diavolo alla recita.

 

Anche se non le misi la maestra me le trovò tra le mani e ci finì di mezzo, come se avessi compiuto chissà che scempio. Lui ne uscì fuori pulito come il bravo ragazzo che mostrava essere.

Imparai ben presto che a lui bastava fare “pat pat” con le ciglia ostentando un sorriso casto e puro  e otteneva tutto quel che voleva.

 

Beh, quasi tutto.

 

La prima volta che lo portai a casa ufficialmente come mio nuovo amico mia madre se ne innamorò; anche David, non appena sentì il suo nome: Vincent Duglas. Fu contento della mia amicizia con lui. Già che frequentasse la mia stessa scuola la diceva lunga sul conto in banca della sua famiglia.

A quel tempo era frequente che Vincent venisse a dormire a casa mia, non il contrario, però; se pur sveglio e alquanto calcolatore io ero pur sempre un bambino, non ne capito il motivo.

Con il tempo vidi tutti i suoi cambiamenti e con il tempo varcai anche quella soglia che mi sembrava tanto distante.

 

Due anni dopo il nostro primo incontro.

 

Due anni di amicizia serrata alquanto particolare, tanto da forgiare due caratteri complementari.

Il giorno che mi chiese se volevo andare a dormire da lui mi sentii speciale.

 

Quella serata me la ricordo veramente come se fosse il ricordo di un attimo appena trascorso, è una serata incancellabile per tanti motivi, alcuni convenzionali altri meno.

 

Ero bambino ed ero contento: due condizioni che avrebbero reso normale qualsiasi cosa avessi visto/sentito/provato, anche se, nella realtà dei fatti, non sarebbe dovuto essere così.

 

Quel pomeriggio lo passammo a casa sua tra videogame e chiacchiere varie.

La casa era deserta, c'eravamo noi e la cameriera che, finito di preparare la cena, sarebbe andata via lasciando le cose da scaldare, così da avere il fine settimana libero per un po' di personale svago.

Il primo a rincasare della sua famiglia fu suo fratello che, dopo aver salutato Rose, la cameriera -l'avevo sentito chiamarla così-, fece capolino nella stanza in cui io e Vincent stavamo giocando togliendosi la giacca.

 

-ehi vin-

 

Mise in pausa il gioco di combattimento proprio mentre stavo per uccidere un altro alieno verde, andò da lui e lo abbracciò tirandogli la maglia affinché si abbassasse, arrivato al suo livello lo baciò a stampo, sorridendo.

Vidi negli occhi di suo fratello che stava per dire qualcosa del tipo “sai che non si fa” ma Vincent no gli diede tempo per quella sorta di richiamo affettuoso presentandoci a vicenda. -Victor Horge, Horge Victor.- e via discorrendo.

 

Ci chiese se volevamo fare merenda con un sorriso tipico dei fratelli maggiori e noi annuimmo entrambi, erano gli stessi sorrisi che io facevo ai miei due fratelli acquisiti e loro ne erano contenti fino allo spasmo, mi sentii fratello minore per la prima volta.

 

Occupammo la cucina con la nostra presenza e Rose ci sgridò con un sorriso, ci preparò un classico latte e biscotti e, al tavolo, Vincent si mise seduto sulle gambe del fratello che se lo strinse tra le braccia.

 

-Vin, se papà te lo chiede, io sono rientrato alle quindici ok?-

 

vincenti annuì pronunciando un “no problem” che non era affatto da lui.

Per il resto del pomeriggio fu raro vederli staccati, tant'è che il mio quasi morto alieno fu lasciato libero di insediare la terra nel videogame che venne spento. Vincent gli era sempre addosso, voglioso e bisognoso di un contatto fisico con lui.

Quasi si addormentò quando Horge gli carezzò i capelli, dovevano essere molto uniti.

 

Horge era cordiale con me e non mi nascose il fatto che era contento che suo fratello avesse un nuovo amico, io sorrisi, quel giorno mi sentivo decisamente speciale, speciale più del solito.

 

Il clima di quella casa era rilassato e caldo tanto che mi sembrava di essere arrivato in primavera saltando qualche stagione.

Erano le sei e mezza di quel pomeriggio quando a fare ingresso nella casa fu loro madre che, una volta dato il proprio soprabito alla cameriera, ebbe da ridire sull'acqua nella vasca che non c'era e che non era pronto per il bagno che aveva intenzione di fare, senza considerare che non aveva informato nessuno delle sue intenzioni di fare un bagno caldo appena rientrata a casa.

 

Rose spense sotto i cibi che ancora dovevano finire di cucinarsi andando nel bagno, con la signora Duglas che aveva l'evidente intenzione di non lasciarla andare in un orario decente; ma quelle non erano cose che mi riguardavano.

 

Mi colpì che non ci salutò, ne me -di cui probabilmente non aveva nemmeno notato la presenza- ne dei suoi figli.

Era passata davanti a noi e non ci aveva nemmeno guardati o presi in considerazione. Non potei far a meno di confrontarla con la mia, e non c'erano paragoni, mia madre era migliore su tutti i fronti. Mi venne anche da chiedermi so fosse realmente loro madre.

Proprio mentre rose stava andando a preparare la vasca per la signora Horge la fermò dicendole che ci avrebbe pensato lui; le sorrise dolcemente proprio come sorrideva a Vincent e come aveva sorriso a me per tutto il pomeriggio.

 

Una volta chiusa nel bagno la casa sembrò sospirare, come liberata di un peso. Quel clima di ritrovata calma durò fin quando la porta d'ingrasso non scattò di una nuova presenza.

 

Erano le sette e mezza di sera quando il signor Duglas stava rincasando.

 

L'aria divenne elettrica in un secondo ed entrambi i fratelli si volsero a guardare la porta.

Una scintilla passò per lo sguardo di Vincent mentre Horge gli ripeteva l'orario in cui doveva essere rincasato quel pomeriggio. Orario che ricordava sicuramente Vincent, me lo ricordavo perfino io.

Era alla soglia del soggiorno e Horge si alzò in piedi guardandolo. Non era lo stesso sguardo con cui lo guardava Vincent.

Gli era andato incontro dicendogli della mia presenza ancor prima di salutarlo, lui mi guardò , più incuriosito che interessato, io lo guardai dalla poltrona e lui mi sorrise per poi portare di nuovo la sua attenzione sul maggiore dei suoi figli.

 

Tutta quella agitazione in casa per il suo rientro mi aveva fatto pensare ad una sottospecie di mosto, che, con quel sorriso, si era rivelata solo una fantasia bambinesca.

-papà..?-

 

Vincent si era avvicinato, aveva tirato la maglia del fratello che lo aveva preso in braccio e, come un automa, il padre  -forse per movimenti consolidati nel tempo.-l'aveva tolto dalle braccia di Horge per accoglierlo nelle proprie.

-sta sera c'è Victor, rimane a dormire.-

glielo disse Horge, come a volerglielo ricordare e mi fece segno di avvicinarmi e io lo feci e mi mise una mano su una spalla

 

-lui è il nuovo amichetto di Vincent.-

 

il signor D mi sorrise di nuovo e mettendo giù Vincent ci disse di non fare troppo baccano.

ero piccolo e non capivo i motivi di quell'elettricità nell'aria, ma una cosa la sapevo, mi sembrava tutto estremamente artefatto, come se fosse una recita del buon costume.

 

Un concetto più degli altri mi rendeva contento: ero speciale.

Non che non lo pensassi, di me stesso, ma sentirselo ricordare ogni tanto non guasta per un eccentrico dall'ego smisurato come me.

 

La notte io e Vincent dormimmo nello stesso letto e lui sorridendo mi baciò sulle labbra. Io ne fui sorpreso, non sconvolto.

Gli chiesi il parche di quel gesto che io consideravo intimo -a quell'età- e lui mi rispose che quello era il modo di dimostrare affetto.

Me lo disse come se fosse convinto che un bacio, e tutto il resto fosse la rappresentazione universale di un TVB.

Gli sorrisi e lo baciai a mia volta senza stare a pensare a cosa volesse realmente dire quel concetto che altro non era che un coperchio di un mondo.

Un mondo che avrei scoperto poco dopo senza nemmeno volerlo realmente scoprire, semplicemente mi ci trovai, in quel mondo: il mondo della famiglia Duglas.

 

Vincent mi leccò le labbra. Io a quel tempo non avevo mai baciato nessuno a quel modo; gli unici baci che avevo ricevuto sulle labbra erano quelli di mia madre che erano decisamente privi della malizia che ci stava mettendo Vincent.

 

Quello era l'unico modo di dimostrare affetto che conosceva.

Non un abbraccio o una carezza, ma un bacio bagnato.

 

-è tuo fratello a volerti bene così ?-

-anche, a volte papà ma solo quando non c'è Horge. Papà non mi vuole sempre bene.-

 

con quella domanda avevo tolto il coperchio e con quella risposta Vincent mi ci aveva fatto entrare, lui non sembrava dispiacersene di quella situazione, anzi;

sembrava rammaricato del fatto che il padre non gli volesse sempre bene, non il contrario.

 

Se guardo indietro ad ogni momento importante Vincent c'è. Beh Vincent c'era sempre.

Da che fossimo soli, in un letto a che fossimo nel mezzo di una folla di giovani ragazzi che, come me, stavano per affrontare l'audizione per un provino per fare il fotomodello.

 

La differenza tra me e loro?

 

Io lo facevo per vincere una scommessa con Vincent, e poi io ero certo di passare, loro tremavano al giudizio, io no.

 

...e per ovvie ragioni fui preso: un piccolo lavoro, una ventina di scatti per un atelier emergente.

Un modello alternativo per abiti decisamente alternativi.

In ogni servizio che ho fatto c'era quella punta di sensualità che io rendevo perfettamente anche solo con uno sguardo. Non ho mai lavorato per grandi marchi, solo per piccole case locali. La mia faccia, il mio corpo, sui maxi cartelloni pubblicitari non ci sono mai stati, forse, in futuro, chissà.

 

Vincent ha vissuto a mio fianco molti alti e molti bassi, è cambiato e impazzito molte volte per poi trovare un barlume di sobrietà mentale, lo ha sempre fatto, si è sempre salvato da solo.

Lo fa elevato a potenza, credo che quello sia il suo modo per risorgere dalle proprie ceneri, un po' come il mito della fenice di fuoco.

Ogni vita è fatta di cicli, più o meno ampi, che si ripetono, più o meno volte: Vincent li vive in maniera forte e io, di questi cicli, ne faccio parte da quel nostro primo bacio; come se fosse stato il segno tangibile di una sua accettazione di me. Il segno di un alleanza che aveva deciso di avere con me.

 

La mia amicizia, Vincent non l'ha chiesta, se l'è presa e io, comunque, non glie l'avrei negata.

 

Ricordo che non erano rare le volte che si presentava a casa mia, salutava mia madre e i miei fratelli con un sorriso e veniva in camera mia, un bacio, poi un altro e poi parole.

 Creava un discorso complesso e decisamente tutto suo con riferimenti a suo fratello e a suo padre, quando lo definiva stronzo o pezzo di merda beh aveva terminato il suo discorso, avendo trovato una o più argomentazioni che gli avevano dato ragione a prescindere.

Non ho mai pensato che Vincent fosse deviato mentalmente parlando per quel che mi diceva di suo padre; lui me ne ha sempre parlato come se fosse qualcosa di normale e io non avendocelo mai avuto, un padre, non ho mai messo nulla a confronto.

Lui era Vincent ed era così, non c'era molto altro da dire.

 

Quando Vincent aveva quattordici anni io ne avevo sedici e in quell'anno lo vidi perdere la ragione più volte e riacquistarla non sempre.

 

Quando Vincent aveva quattordici anni Horge ne aveva diciotto e in quell'anno Horge decise di morire.

 

Per quanto frequentassi quella casa, Horge l'avevo sempre visto come un ragazzo inquadrato e tranquillo e sopratutto ligio ai suoi doveri, di fratello maggiore e non solo. A scuola,  da quel che sapevo io era un ottimo studente, e da quel poco che mi raccontava Vincent, non aveva mai dato problemi ne per la scuola ne per altre cose, una sorta di ragazzo perfetto, e privo, almeno apparentemente di ragioni per togliersi di mezzo privando il mondo della sua presenza.

Horge non era come Vincent e si capiva anche dal modo in cui entrambi guardavano loro padre.

Odio ed ira il maggiore

adorazione ed un pizzico di rammarico l'altro.

 

Credo che in cuor suo, Vincent abbia sempre invidiato suo fratello, un invidia folle, tipica di Vincent; allo stesso tempo lo adorava, mi aveva detto qualche volta -quando capitavamo in argomento,- che se Horge non ci fosse stato probabilmente lui sarebbe stato trasparente.

Quando è morto Horge ho letto -per la prima volta da anni- la paura negli occhi di Vincent.

 

Paura di diventare invisibile

paura di aver perso tutto, avendo perso, dicendola in modo spicciolo, il suo ponte.

 

Al funerale era due file davanti a me; quando andai da lui lo vidi incassato nelle spalle timoroso di guardare altrove. Perso, in quel momento, in qualche anfratto buio di se stesso.

 

Paura di guardare suo padre, più che altro paura di leggere qualsiasi cosa nei suoi occhi.

 

Quelle paure non durarono molto, nemmeno una settimana. Il giorno che venne da me era sorridente e suo fratello era morto da otto giorni.

Mi raccontò della sua settimana passata e di come avesse atteso il padre e di come questi non ci fosse andato, da lui. Mi raccontò come fu lui ad andare dal padre forte di un proverbio che vedeva protagonista un monte e una divinità di qualche paese lontano dal nostro. Mi raccontò quello che successe dopo, più volte, a riempire quella settimana.

 

Era contento e non aveva smesso di sorridere una sola volta durante il suo racconto e io ero contento per lui che non smetteva di raccontare  mentre, tra le mie braccia  gli accarezzavo i capelli, diventati scuri come quelli di orge sempre nell'ultima settimana.

 

Il perché di quel colore ai miei occhi era palese, non mi misi nemmeno a chiederglielo, a lui andava bene e io non ero nessuno per mettere bocca, e nemmeno volevo, a dirla tutta.

 

Per qualche altro tempo non venimmo strettamente a contatto, periodo durante il quale non venne nemmeno a scuola.

Per sapere di lui chiedevano a me, ma io, se non era Vin a dirmele le cose, non andavo a chiedergliele.  Come era prevedibile si sconvolsero in molti nel sapere che io non ne sapevo niente, mi resi conto che visti da di fuori, io e Vincent, dovevamo sembrare un' unità, solo che la concezione del resto del mondo di quel che io e Vincent eravamo era diversa da quella che avevamo noi due.

 

“quando vorrà aggiornarmi verrà lui” continuavo a pensare ripetendolo nella testa, però lui non veniva.

Non rispose ne alle mie chiamate ne ai miei messaggi e questo voleva dire solo due cose: o stava bene, talmente bene da ignorare totalmente il resto del mondo, o era l'esatto opposto; e giusto per accurare quale delle due fosse mi decisi ad andare io da lui.

Venne ad aprirmi lui, in pantaloncini e ciabatte.

 

-benvenuto all'inferno.-

 

me lo ricordo come se me lo avesse detto un secondo fa.

 

Fece dietrofront e tornò nella sua stanza, io lo seguii fin nella stanza come lo raggiunsi sul letto quando lui ci andò sopra.

Non gli chiesi niente, non sapevo cosa avesse, ma ero certo di una cosa sola: se aveva a che fare con la morte di suo fratello non c'entrava niente con la sua  di metabolizzazione del lutto, lui l'aveva vissuto e era andato avanti fin troppo bene.

 Nel letto mi si avvicinò baciandomi, non voleva coccole o carezze, non voleva parole, e forse nemmeno per forza la mia presenza, io gli risposi e il dopo avvenne in un secondo; mi salì sopra mosso da una voglia che non era la sua; animalesco come non lo era mai stato. Assuefatto da quel qualcosa mi chiese di chiamarlo horge mentre lo scopavo.

 

Quella volta esitai nel pensare che come al solito si sarebbe salvato, in un modo o nell'altro, da solo.

 

Vincent non era mai stato tipo da lacrime, ed effettivamente nemmeno in quel momento aveva mai pianto, non fisicamente almeno.

Vederlo così era come vedere qualcun'altro disperarsi, ma lui non le riversava all'esterno, le lacrime, le faceva cadere dentro di sé.

Non rendeva partecipe gli altri. Lui, delle sue lacrime, ci si nutriva assorbendole nel profondo.

 

-io non ti farò del male, te ne stai facendo già abbastanza da solo.-

 

per quanto mi fu possibile il mio tempo, in quel periodo, lo dedicai completamente a lui, che sembrava vivere su un altro pianeta.

Sembrava svuotato e sembrava che solo io me ne accorgessi.

Non era raro in quel periodo che, una volta entrato in casa sua, lo trovassi in camera sua, sul letto intento a far nulla, perso in un mondo prettamente suo, puramente inesistente, sfatto come se non dormisse da giorni.

Vincent si stava lasciando andare, per colpa di suo padre.

 

I miei occhi hanno visto parti di vincent che nessuno ha mai avuto la possibilità di vedere, perche lui non l'ha permesso a nessuno, di vederla. Tranne me, ovvio.

 

Mi faceva tenerezza e rabbia allo stesso tempo, lui non era assolutamente il tipo da piangersi addosso, come non lo ero io, era una delle cose che ci accomunava, questa. Non era nemmeno tipo da deprimersi o quant'altro.

 Quelle, altro non erano che prerogative di gente che da sempre io e lui consideravamo incapaci di stare al mondo e che, oltretutto, non avevano capito un cazzo della loro vita.

Vincent non era una di quelle persone.

 

Quello fu uno dei cicli più lunghi di vincent, finito con uno “stronzo” e un “pezzo di merda” che avevano fatto tornare la luce nei suoi occhi.

 

Credo che ad oggi vincent non viva, sopravviva, e lo fa grazie ad un sentimento che si addice ad entrambi: l'odio.

L'unica differenza tra noi è che io non ho ancora incontrato persone su cui riversarlo.

 

 

 

 

 

grazie a tutti di aver letto, diciamoche questo capitolo dice tante tante cose, chiedo scusa per il ritardissimo e spero che il prossimo arrivi in un tempo decente *incolpa il lavoro* kiss a tutti!

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Capitolo 11
*** capitolo XI: le cose non dette sono le peggiori ***


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Capitolo XI:

“Le cose non dette sono le peggiori”

 

La scuola era ricominciata da pochi giorni, le lezioni ancora non erano riprese a pieno ritmo e quelle che era già presenti nei corsi che frequentavo non erano ancora cariche di parole; giusto qualche professore aveva ritirato i compiti assegnati per le vacanze;

tutte quelle, però, erano cose che a me importavano relativamente,

io volevo vedere e incontrare Nelson.

 

Era sparito, praticamente. Non si faceva sentire né trovare, si era comportato malissimo nei miei confronti e volevo trovarmelo di fronte per vedere la sua faccia; più che altro volevo vedere con che coraggio avrebbe guardato me in faccia.

 

Con chi scopavo, se ci scopavo, erano cose che non dovevano in alcun modo riguardare lui, e, se non fosse stato realmente geloso, come diceva invece Vincent, non ci sarebbe stata ragione alcuna per la quale lui fosse dovuto sparire; cosa che invece aveva fatto buttando nel cesso me e la nostra amicizia.

 

Ma, in quei giorni, con quelle poche ore di lezione non riuscii a vederlo nemmeno una volta.

Fu la settimana seguente che lo vidi, all'entrata della scuola, con il gruppo di quelli fighi che erano per lo più la squadra di football e puttanelle al seguito non ché la squadra delle cheerleader

lui in mezzo a quelli non c'entrava niente: per ovvi motivi non era una cheerleader, ne aveva il fisico dell'atleta.

Teneva per mano una ragazza, indossava la classica gonnellina a pieghe verde acido e giallo; mi trovai a pensare che fosse lui la sgualdrina della puttanella e non il contrario.

Evidentemente tale pensiero doveva aver toccato anche Vincent visto che lo palesò dicendomelo.

Non potei non ridere sia per quel che avevo visto sia per il nostro pensiero comune. Entrammo a scuola andando ai rispettivi armadietti

 

-Che scena patetica-

 

Mi disse tornando verso di me e il mio armadietto che come sempre faceva i capricci per aprirsi.

 

-Sì, da morire.-

 

La giornata passò in tranquillità, nessuno di noi due sembrava intenzionato a rivolgere la propria attenzione all'altro e Vincent trovava la cosa estremamente divertente.

 

Più il tempo trascorreva più erano le volte che mi capitava di incrociare Nelson nei corridoi o di stare nella stessa classe per seguire le medesime lezioni e lui era sempre con la sua ragazza e io avevo sempre Vincent che mi gironzolava attorno.

Del nostro distaccamento repentino quanto forte se ne accorse anche mia madre, ma io che ci potevo fare?

 

-Figurati è un bambino, è geloso di Vincent.-

 

E di quella confessione ne fu sorpresa, come lo fui io, al tempo, quando aveva iniziato ad evitarmi.

 

-Tanto lo so che sta con quella solo per dispetto, di cosa poi?- continuai sempre io alla volta di mia madre -non ci capisco nulla, io trovo un nuovo amico e lui si fa la ragazza.-

-Dai che forse le vuole bene veramente.-

-Oh si certo, lo vedessi infatti quanto è divertito dalla compagnia di lei.-

 

Il cellulare mi squillò, Vincent era fuori la porta.

 

-Ma perché non suona?-

-Boh, ha sempre fatto così per farsi aprire la porta, turbe mentali, probabilmente.-

 

Gli aprii e tornammo da mamma, in cucina.

 

-Buon giorno signora mamma.-

-Ciao Vin, li vuoi un po' di biscotti?-

 

Negò dicendoci che aveva mangiato delle patatine prima di uscire di casa, ovviamente non era vero.

 

-Indovina di cosa stavamo parlando!-

 

Lui guardò prima mia madre, poi me, e poi provò a rispondere: biscotti?

 

Mia madre rise dicendogli che no, non stavamo parlando di biscotti ma di persone.

 

-Stavate parlando di me?-

-Eh alla fine nel discorsi ci sei rientrato anche tu, stavamo parlando di Nelson.-

-Omofobo del caz- si mise una mano sulla bocca per bloccare quella parola che così naturalmente gli stava uscendo dalle labbra anche se da davanti a mia madre.

Il timer del forno scattò e mamma di dedicò alla sfornatura di quei biscotti che aveva offerto a Vincent; lui ne sembrò sconvolto urlando un “ommiodio!” e continuando poi con un “ma li ha fatti lei?! Mia madre, tipo, non ci è nemmeno mai entrata in cucina.”

sembrava aver visti la luna.

 

Di come il discorso tornò su Nelson fu un qualcosa di incontrollato e naturale, un'associazione di idee che era partita dai biscotti ed era arrivata ad una persona.

 

-Tipo ora è nel gruppo di quelli che ha sempre odiato-

 

Mi ritrovai a dire.

 

-Dai tesoro, non vedere tutto nero adesso.-

-Non sto vedendo tutto nero.-

-Signora guardi, io non so che pensa lei di Nelson, però io posso dirle che con me non è mai stato carino, non mi ha mai potuto soffrire, secondo lui io sono pazzo, secondo me lui è geloso dell'amicizia che ho con Will.-

-E dite che quello è il suo modo di vendicarsi?-

Annuimmo entrambi.

-Se Will lo ignora gli farà rodere il fegato.-

-Ma non è facendovi la guerra che risolverete la cosa.-

 

E anche mamma aveva ragione. Però a me Nelson, come il suo comportamento, dava il nervoso.

Una cosa sola era chiara: quella situazione andava risolta; che fosse finita nel bene o nel male un punto di fine andava messo perché, allo stato delle cose era proprio una merda.

 

Andammo in camera e lì Vincent mi disse espressamente cosa ne pensava della situazione Nelson annessi e connessi.

Fece un analisi di tutta la situazione che mi lasciò senza parole: ai suoi occhi, il fatto che Nel avesse trovato una ragazza poteva essere interpretato non necessariamente come indice di un'insana ripicca nei miei confronti; mi disse che poteva essere una dimostrazione.

Di cosa però?

 

-Magari si è accorto che la sua gelosia non è propriamente “normale”, per uno che si considera un amico, ovvio.-

 

Non ero sicuro di non capire o di non voler capire

 

-Vincent ti stai facendo dei film immensi, secondo la tua visione del mondo sono tutti gay gli uomini?-

-Stai a sentire! Forse qualche dubbio è venuto anche a lui; e se avesse capito che a lui piace il cazzo? Il tuo  cazzo. Si sarà sconvolto da solo capendolo, non trovi?-

-Tu mi stai dicendo che secondo te Nelson ha capito che è gay, che gli piaccio io e che si è trovato la ragazza per dimostrare al mondo che non è gay?-

-Esattamente, al mondo e a se stesso, infatti ha trovato la prima puttanella disponibile per dimostrare a se stesso prima che agli altri quanto gli piaccia la gnocca.-

 

Il suo discorso filava, però..

 

-Io mi rifiuto di pensare che a lui possa piacere il mio cazzo.-

-Guarda che parlo seriamente!-

-Eh anche io.-

 

I giorni passarono e si portarono via intere settimane  di silenzi.  Tra me e Nelson, ovviamente. Fu Vincent a dirmi che quando ero distratto era solito guardarmi di sfuggita, ma io da tempo avevo imparato a non fidarmi di quel che Vincent diceva e di non prendere le sue parole come oro colato dal cielo, era bravo a mentire e visto che quella volta in mezzo c'ero io volevo andarci con i piedi di piombo.

Vincent riusciva a mescolare finzione e realtà in una maniera allucinante e a volte mi veniva da pensare che lui, quelle menzogne, le raccontasse anche a se stesso, rimanendone vittima, io non volevo rimanere vittima di cose che lui credeva vere ma che non  erano reali.

Avevo iniziato a non fidarmi di quel che usciva dalla sua bocca facendomi forte del detto “se non vedo non credo” e io in quelle settimane non avevo visto e di conseguenza non avevo creduto.

 

Un venerdì mattina la professoressa Smith decise di darsi malata così da prolungarci la pausa di metà mattina di due ore. Erano passate le dieci quando ci dissero che non sarebbe venuta e ci informarono di rimanere in classe tanto per non creare disordine nella scuola.

 

Il cielo quel giorno era carico di nuvole scure che preannunciavano una pioggia fitta e impetuosa, mi pentii di non aver preso l'ombrello che mia madre, quella mattina, mi aveva preparato, ma c'era il sole alle otto e io non potevo immaginare che a due ore di distanza venisse giù il mondo.

Appoggiai il mio banco alla colonna tra le due file di finestre, mi ci sedetti sopra e mi appoggiai al muro con la schiena trovando una posizione comoda in cui passare la maggior parte delle due ore. Presi l'ipod che  mi avevano regalato i miei genitori al compleanno passato e mi misi ad ascoltare la musica.

Mi accorsi che Vincent si stava avvicinando quando, per attaccare il suo banco al mio mi chiese di spostare una gamba.

Si sedette sul banco che aveva avvicinato e con la schiena si adagiò su di me prendendo una delle cuffiette che avevo alle orecchie.

Se la mise e mi disse che la musica che ascoltavo era musica di merda, io non ci feci molto caso, era seduto tra le mie gambe, adagiato su di me e io trovavo quella posizione eccitante che dicesse quel che voleva sulla musica di merda che ascoltavo.

 

-C'è ancora la cartella di musica mia dentro questo coso?-

-Sì non ho tolto nulla da quando c'hai messo mano tu.-

 

Smanettò un po' sul monitor touch-screen fino a giungere alla sua cartella e mise in play quelle canzoni.

 

Io stavo ad occhi chiusi ad ascoltare quelle parole che non capivo visto che erano in lingue diverse dalla nostra e sentivo che lui le canticchiava. Mi resi conto che il tempo, per quanto mi riguardava, poteva anche fermarsi lì; con me e Vincent che ascoltavamo musica, che il resto andasse anche in malora.

 

Ero fuori dal mondo e me lo stavo godendo tutto quel momento e poi un “froci” detto a mezza bocca mi fece tornare con i piedi per terra riacquistando coscienza della realtà che mi circondava.

 

Quel “froci” lo riconobbi in un secondo. Non avevo bisogno di guardare per riconoscere la voce. Era stato Nelson a dirlo, e ne trovai conferma, non appena spostai il mio sguardo su di lui, vicino alla sua ragazza intento ad avvicinarsi alla porta della classe per uscirne.

 

-Non gli dici niente tu?-

 

Chiesi a Vincent, convinto che lui si alterasse e alzasse un polverone, ne ero certo e invece..

 

-Mi ha chiamato con il mio nome, dovrei prendermela?-

 

Nel mentre un vocio lievemente confusionario arrivava da Nelson e la sua ragazza, stavano discutendo, lei ci stava difendendo, gli aveva lasciato la mano e sembrava irritata da come aveva pronunciato quel carinissimo appellativo che aveva rivolto a me e a Vincent. Un gesto carino da parte sua, che a conti fatti non aveva nulla a che spartire con noi due.

 

-Non so se te ne sei accorto ma non stanno facendo nulla di male, sono lì, seduti ad ascoltare musica, dimmi nel, quante volte l'hai fatto tu con i tuoi amici?! Cosa ci vedi di omosessuale in questo?-

 

Feci segno a Vincent di farmi alzare, era ancora spalmato su di me, e lui si spostò prendendo la cuffietta che mi ero appena tolto e gli stavo porgendo. Andai da loro e ringraziai lei delle belle parole che ci aveva regalato. Più mi avvicinavo più Nelson si metteva in trappola addossandosi alla parete della classe. Mi rivolsi poi a lui.

 

-Quello non è essere froci.-

 

Lo inchiodai al muro prendendolo per il viso con una mano tanto da costringerlo a guardarmi negli occhi. Non so quel che mi era passato nella testa, ne so perché mi mossi in quel modo e disse quel che dissi  con quel tono, so solo che in quel momento non sembravo io, sembravo un altro. Credo che la mia testa fosse completamente vuota in quel momento. Nel momento in cui lo baciai, davanti a tutti.

 

-Questo  è essere froci.-

 

Non mi disse nulla, rimase lì a guardarmi sconvolto e sorpreso. Per tutto il tempo, da quando avevo lasciato il mio banco fino a quando l'avevo baciato tutto intorno si era zittito tutto, io non percepivo nulla era tutto ovattato; la prima cosa che raggiunse le mie orecchie dopo quel momento fu la risata di Vincent, sentita e divertita. Lo guardai un secondo e vidi che si teneva lo stomaco con una mano per quanto rideva, vidi anche che per scendere dal banco dovette rotolare da una parte. Mi avviai verso l'uscita della classe conscio che Vincent m'avrebbe seguito fin dove sarei andato, e lo sentii ripetermi più volte quanto in quel momento mi stava adorando.

Mi raggiunse ripetendomelo continuando a ridere e dandomi delle pacche sulle spalle.

 

Lui per quel gesto mi stava adorando, io me ne ero già pentito.

 

Quando nella testa tornarono a fluire i pensieri; quando mi resi conto che non solo avevo baciato Nelson, ma che con quel gesto folle atto a dimostrare solo Dio sa cosa a Nelson mi ero fottuto palesando tutto davanti a tutti; solo in quel momento mi resi conto che se prima avevo ancora una speranza di chiarimenti con lui quella piccola speranza l'avevo persa. L'avevo buttata nel cesso.

 

Me ne pentii perché essere un ragazzo omosessuale dichiarato non è semplice in un paesello di provincia.

 

Perché se uno guarda Vincent lo da per scontato che lui è gay, come se ce l'avesse scritto nel DNA, come se non ci fossero se o ma con lui, è così e lo è sempre stato e fa anche impressione immaginarlo diversamente.

Per me però non era la stessa cosa.

 

...L'unica consolazione era l'ammirazione di Vincent.

 

-Dio che cazzo ho fatto!-

-Scherzi? Sei stato un grande!-

 

Si mise a ridere di nuovo dicendomi di non ricominciare a pensare seguito da tanti altri bla.

Si fomentò da solo con tutte le sue parole e io lo smontai facendoglielo notare; però io quel bacio a Nelson l'avevo dato e che vin fosse esaltato o meno dal mio comportamento sarei stato io a sopportare le conseguenze del mio gesto, come poi sarebbe giusto che fosse. Oltretutto.

 

Nessuno disse niente e non so se sia stato un bene o un male perché, quel tacere, mi faceva solamente crescere dentro un ansia prepotente che mi faceva sudare le mani e venire la gola secca.

 

Forse nessuno disse niente perché in ogni cosa facessi, in ogni luogo andassi con me c'era Vincent e i miei compagni, beh la scuola a dirla tutta -con qualche rara eccezione- evitava di entrare in contatto con lui, troppo stravagante e austero.

 

Passarono pochi giorni che Nelson, una sera, venne a bussare alla mia porta.

 

...In quel momento mi venne il panico.

 

Non sapevo cosa volesse dirmi, anche se una vaga immaginazione mi sussurrava un argomento vago e delicato e la mia mente non mi aiutava facendo vorticare insulti che immaginavo mi avrebbe lanciato addosso.

Che dovevo dirgli io?

Che l'avevo baciato perché mi aveva fatto raggiungere il limite massimo della sopportazione umana?

Come minimo mi avrebbe ammazzato.

 

A casa ero solo, mamma e papà erano con gli zii a cena fuori; io ero stato tutto il pomeriggio con Vincent, stavo per prepararmi qualcosa da mangiare quando mi ha bussato.

 

Era lì con una faccia che era un misto stra l'incazzato e il cane bastonato. Entrò in casa senza guardarmi e solo quando chiusi la porta d'ingresso so volse a guardarmi.

 

-Io non sono frocio.-

 

Questo? Voleva dirmi questo?

 

-Oh andiamo Nelson sei venuto qui per dirmi questo?! Non mi è mai passato per la testa che tu potessi esserlo.-

-Certo, che altro dovevo dirti?-

-Oh beh non so un qualcosa come “ scusami per il mio comportamento di merda da perfetto imbecille”?!-

-Ma guarda, pensavo la medesima cosa detta da te!.-

-Da me? Tu vaneggi, caro mio, io non ho niente di cui scusarmi; se parli del bacio, non era niente per l'amor del cielo! Nemmeno ti avessi ficcato la lingua in gola.-

-Questo, spero te ne renderai conto, non sei tu. Tu, William che io da sempre conosco non avresti mai agito a quel modo. Ne tanto meno avresti mai parlato a questo modo.-

-Nel, sta volta sono io a fare una citazione, una di un telefilm che  da piccolo ti piaceva anche se sei un maschio e presumibilmente etero: le persone cambiano, evolvono.* -

-Sì, in special modo  con cittadini  rompicoglioni al seguito.-

-Oh andiamo Nel, Vincent qui non c'entra niente.-

-No, c'entra invece. Lo stare con lui ti sta cambiando. Solo che tu non te ne accorgi. Inizia ad essere in ogni cosa che fai, in ogni cosa che dici, inizi a pensarla come la pensa lui.-

-Cosa c'è di male nel migliorare?-

-Migliorare? Stiamo scherzando?! Lui ti influenza, ma in peggio!.-

 

Gli risposi pacatamente a quell'affermazione: non era vero e già ci stavamo scaldando un po' troppo entrambi. Mi misi seduto sul divano, si preannunciava una chiacchierata lunga la nostra, meglio stare comodi, visto che nessuno dei due sembrava voler venir meno alle rispettive convinzioni. Imitò il mio gesto e si mise seduto vicino al bracciolo opposto a quello dove ero io; non che fosse uno di quei divani enormi, ci divideva appena un posto.

 

-Non cercare di ipnotizzarmi come fa lui con te!.-

-Io, e nemmeno lui, ipnotizzo la gente, forse con ipnotizzare intenti “far ragionare”?!-

-No assolutamente.-

-Eppure sembra la stessa cosa.-

 -Non sembra, ne è la stessa cosa.-

 

Stammo in silenzio per alcuni attimi contemporaneamente. Poi glielo chiesi: perché?

 

-Cosa?-

-Perché mi hai allontanato? Perché sei sparito. Perché mi hai buttato nel cesso assieme alla nostra amicizia? Scegli tu sono tutti i perché che vorrei.-

 

Stette molto a pensare alle risposte da darmi, a quei perché diversi ma collegati indissolubilmente; forse passarono pochi attimi che mi apparvero come molti di più. Volevo sapere e quello faceva diventare un minuto di centoventi secondo.

 

Si alzò dal divano dicendomi che era tardi e che doveva andare via; vigliacco: quello che pensai e quello che gli dissi.

 

-Se esci da quella porta, ora, mi perdi. Ma, considerando come sono andate le cose fino ad ora, non penso sia un prezzo alto da pagare per te, no?-

-Oh Will non fare la scena del melodrammatico ora.-

-E cosa dovrei dirti? “Ciao ci vediamo domani”?! Oh no Nel io non funziono così. Io non ho paura di dire le cose.-

 

Lo punsi sul personale; sapevo che se fosse uscito da quella porta non sarebbe stato lui a perdere me-come nella minaccia che gli avevo rivolto-, sarei stato io a perdere lui e, nonostante tutto, io non volevo accadesse. Speravo che , se doveva finire, fosse finito con un chiarimento.

 

-Nel. Ci conosciamo da quando avevamo quattro anni, praticamente da sempre. Perché vuoi rovinare tutto per colpa di una mia nuova amicizia?-

-La vostra non è solo amicizia.-

-No ti prego no, non rientrare in quel circolo vizioso!.-

-Allora non ho proprio altro da dire.-

 

Le cose non dette sono le peggiori;

lasciano in sospeso cose che non vengono espresse e rimandano il loro significato.

Le cose non dette sono le peggiori;

non sono verità e nemmeno menzogne.

 

Le cose non dette non dovrebbero esistere.

 

-Di cose da dire sembrano essercene tante, invece, Nel.-

 

Quasi non finii di dirlo che Vincent mi fece uno squillo sul cellulare, che ignorai, e subito dopo me ne fece un altro e poi un altro ancora.

-Beh? Rispondi no?-

-No, sono squilli.-

 

E lui solitamente me li faceva quando era davanti alla porta invece di suonare al campanello per avvertirmi che era arrivato.

Andai ad aprire alla porta e infatti lui era lì.

 

-Che cavolo ci fai qui?-

-Buona sera anche a te amore mio!.-

-Non fare il coglione.-

 

Entrò e vide Nelson.

 

-Ma amore, mi tradisci?? come puoi?! Io non ti basto più??-

-Smettila Vincent-

 

Volevo la smettesse per due ragioni: non ero sicuro che Nelson comprendesse che era una presa in giro e in oltre sentire Vincent parlare a quel modo era puramente osceno.

Non era proprio da lui usare quei termini melensi.

 

-Ok va bene, la smetto, ma non guardarmi come se volessi ammazzarmi!-

-Io me ne vado. Buona notte a tutti e due.-

Fu Vincent a fermare Nelson.

 

-Ehi. Fermo. Ti sto sul cazzo, ok, non mi pare di averti mai imposto la mia presenza, no? Ti sei fatta un idea tutta tua su di me che rispetto dal primo giorno e non ti ho mai fatto pressioni per cambiarla. E non ti ho detto niente. Non gradisci la mia presenza ma tutto questo, tu non puoi imporlo a William. Non imporgli il tuo pensiero, non lo vedi? Lo stai perdendo per un capriccio. Io ora vivo qui in questo paese di tre anime e vuoi o non vuoi ci incrociamo, siamo noi, non è che ce ne sia molta altra di gente qui. Se non gli fregasse nulla di te non avrebbe rotto le palle a me con tutte quelle parole fino a farmi venire il mal di testa e se non fosse fregato a te, non te ne saresti uscito con quel dolce nomignolo, tanto per irritare. Quindi tutti e due, fatela finita. Buona notte. Me ne vado io.-

 

Quella volta Vincent ci lasciò tutti e due come degli imbecilli. Come degli ebeti a guardare il punto in cui aveva lasciato un vuoto.

In quel momento credetti che quel suo discorso fosse stato di “addio mi ritiro dalla scena” e mi prese l'ansia.

 

Erano le undici passate quando Nel lasciò casa mia, era stanco e voleva andare a dormire.

Quella sera, dopo che Vincent se ne era andato sembrava esser giunto il momento della verità, quello in cui ti scatta qualcosa dentro e parli, come con un confessore dei tuoi mali e dei tuoi peccati, di tutto quello che è sporco e che tieni chiuso dentro di te. Quel momento lì sembrava essere arrivato tra me e Nelson per le cose che riguardavano me e Nelson, ovviamente. Parlammo allungo sul divano lasciando fuori accuse e quant'altro di irritante, se volevamo chiarimenti, domande e risposte erano necessari.

Fu un discorso calmo e lungo il nostro. Un armistizio a cui avevamo dedicato la nostra più totale serietà.

Un argomento toccato fu anche “il bacio”; mi ribadì più volte il concetto che lui non era così e che l'avevo colto alla sprovvista. A me, quelle, sembrano più scuse raccontate a lui stesso che per me.

 

-Non ho reagito per quello, non per altro.-

Incalzò lui.

-Perché, avevi intenzione di rispondere al bacio?-

Gli chiedi più per prenderlo in giro che per altro.

-No! No assolutamente!.....però..-

 Inarcai un sopracciglio; però cosa?!

-Però... Non è stato così traumatico come credevo.-

-Nel! Era un bacio a stampo! Come quelli dell'asilo, hai presente?!-

-Sì, però...io..-

-Ommiodio Nelson! Tu vuoi baciarmi! Vincent aveva ragione! A te piace il mio uccello oh mio dio.-

-Sta zitto, e poi che c'entra Vincent?! A me non piace l'uccello di nessuno!-

 

La sua sicurezza andò sciamando quando mi confessò che mentre lo baciavo si era sentito il copro diventare di pietra.

 

-Dai, magari era la reazione ad un gesto che non ti aspettavi.-

-...Will, mi aiuti a capirlo?-

 

Non mi fece rispondere che mi baciò. Frettolosamente, con impeto. Come se fosse una cosa che doveva fare di fretta, tanto di fretta che io non lo realizzai subito che mi stava baciando.

 

-Potevi avvisarmi che mi stavi per baciare, Nel.-

Non mi rispose nulla quindi continuai.

-Dubito fortemente che capirai quel che tu vuoi capire con dei baci del genere.-

 

Non mi rispose, era tardi e doveva andare a casa, in fondo erano le undici passate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*- frase tratta da “Dowson's creek”.

 

 

 

 

 


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grazie a tutti di aver letto e scusate per il ritardo

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Capitolo 12
*** capitolo XII: Trapnest. ***


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Capitolo XII:

Trapnest.

 

 

Vincent era una persona estremamente complicata; va curato dalle proprie ferite auto inflitte, va coccolato -a modo suo ovviamente-, va curato quasi come se fosse un animaletto domestico o una pianta da soggiorno.

Ignorare Vincent equivale ad ucciderlo.

 

A lui va bene anche essere odiato, da quel che ho capito di lui deve in ogni modo suscitare qualcosa nel prossimo, che sia anche l'odio più profondo.

Per lui è meglio un insulto, il detestarlo, l'odiarlo pur che siano cose che prevedono la sua presenza in un pensiero altrui; come se tutto ciò fosse a dimostrazione della sua esistenza. Non prenderlo in considerazione vuol dire fargli del male.

Lui come tutti gli altri esseri umani vuole sentirsi vivo e nel suo modo distorto di vedere vita e affini scaturire sentimenti -positivi o negativi che siano- nel prossimo è il modo per sentirsi tale; lui fa di tutto purché gli altri lo facciano sentire tale e sono certo che non è sicuro di scaturire nel prossimo sentimenti positivi nei suoi confronti e per quello calca la mano per farsi detestare.

Per quel che so io Vincent è sempre stato invisibile per la persona della quale realmente gli interessava essere osservato e credo che essere invisibile anche per gli altri credo lo ucciderebbe.

 

Questo l'ho capito un venerdì, dopo un intera settimana di assenza da scuola che lui aveva fatto e dopo una chiamata di Victor. Mi aveva detto che aveva provato a chiamare Vincent sul cellulare e che questi era spento; cosa mai successa: Vincent il cellulare lo teneva perennemente acceso. Giorno e notte, sempre. Anche mentre ricaricava la batteria: sempre.

 

Quando compresi quel che mi stava dicendo il cervello andò a mille in automatico e il panico mi colse entrandomi nel corpo tanto da trascinare anche Nelson a casa dello zio di Vincent.

 

 

Sembrava non esserci nessuno a casa; sicuramente lo zio era al lavoro, ma lui? Dove poteva essere lui?

Il campanello sembrava suonare muto in quella casa e noi continuavamo a suonare, imperterriti, nella speranza che infastidito ci rispondesse, anche solo con un “vaffanculo” o meglio: io lo speravo, Nelson probabilmente no ma non aveva il ben che minimo coraggio di dirmelo, ne sono certo. Aveva capito fin troppo bene che ero seriamente preoccupato. Iniziavo a capire il codice comportamentale di Vincent e di Victor e intravedevo tra le parole che si scambiavano un discorso più ampio fatto di consuetudini private. Standoci tanto a contatto iniziavo a vedere quel che vedevano loro e a comprenderlo per una minima parte, per lo meno.

Forse Nelson non mi diceva niente per altri motivi che, pensati un po' meno malignamente, mi portavano ad avanzare l'ipotesi che anche lui avesse interpretato le ultime parole che ci aveva rivolto come un addio ad entrambi. Un ammissione di colpa che lo vedeva vittima di rovinare le cose a cui si avvicinava.

 

Dopo un tempo che non so quantificare la serratura scattò e lui ci aprì: aveva un aspetto orribile.

Pallido come un cadavere e dalle pronunciate occhiaie che gli deturpavano tutta la sua bellezza. Sembrava il fantasma di se stesso.

 

Era il fantasma di se stesso.

 

Non ci disse nulla, ci aprì semplicemente la porta lasciandoci l'entrata libera, non fui nemmeno sicuro che avesse visto chi eravamo. In pochi passi  tornò sul divano era pacato nei suoi movimenti, fin troppo per un tipo esuberante come lui.

 

Mi venne automatico pormi una domanda: se qualcun altro avesse avuto la mia stessa insistenza nel suonare al campanello, gli avrebbe comunque aperto?

Probabilmente l'avrebbe fatto per non sentire quel trillo insistente.

 

-Ehi, Vin..?-

 

Continuò a non prestarci attenzione.

Sia io che Nelson entrammo in casa sua vagando con lo sguardo: sul divano sembrava esserci tutto l'indispensabile per garantire sopravvivenza; telecomandi -di TV e DVD- custodie di film presi a noleggio; c'era anche una rivista di giochi matematici, sudoku e affini e visto e considerato che anche il quiz in copertina era stato risolto mi venne naturale pensare che tutti quelli interni fossero nel medesimo stato.

 

Nelson ben presto andò via sentendosi presumibilmente un pesce fuor d'acqua con me e Vincent. Io non mi trovavo in una bella situazione e non sapevo che fare, ne tanto meno ero in grado di gestire Vincent. Non avevo la più pallida idea su cosa fare o cosa dire, in fondo io non sono mai stato Victor, sono sempre stato un palliativo alla sua lontananza.

 

Mi misi seduto sul divano vicino a lui.

 

-Che cosa c'è che non va?-

-Tutto.-

Mi rispose caustico, come se dovesse essere ovvio quello non andava.

-Tutto?-

-Sì.-

-E che fine ha fatto il “fottitene del mondo”?-

-È andato a fanculo. -

Quella risposta avrei dovuto immaginarla...

Il tono con cui rispondeva alle mie domande mi fece gelare il sangue nelle vene; non sembrava un tono di voce, era privo di tonalità, quelle risposte erano prive di vita, erano solo un indotto alle mie domande.

-Fa strano vederti così, sai?-

 

Senza rispondere mi guardò, mi sorpresi e non poco di costatare che aveva gli occhi lucidi.

 

Fisicamente non avevo mai visto Vincent piangere.

 

-Vorrei chiudere gli occhi e riaprirli tra due anni. Così che io possa andarmene da tuta la merda che mi circonda. Non voglio la luna Will. Voglio un lavoro e una casa mia da dividere con Victor. -

 

Mi si mozzò il respiro a sentirlo parlare così, c'era disperazione in ogni parola che pronunciava. Una disperazione mista a pazzia che gli aveva indotto la sua famiglia.

Era un discorso così distorto, il suo: un posto in cui sentirsi bene. Quello che voleva e quello che nella normalità doveva aver già avuto. Eppure lui lo cercava così disperatamente quel posto solo per lui dove trovare affetto. Io ce l'avevo quel posto: era la mia famiglia, Nelson anche lo aveva e relativamente anche Victor. Lui non lo aveva ma lo desiderava con tutto se stesso.

 

Ma un ragazzo della nostra età doveva cercarlo o gli era dovuto?

 

Nella normalità di una famiglia doveva esserci.

 

-Vin... Devi dare tempo al tempo; due anni passano in fretta.-

 

Gli dissi senza realmente crederlo, due anni sono un enormità di tempo, ma non potevo distruggerlo compatendolo.

In quel frangente Vincent mi sembrava un bambino che sognava un mondo diverso, dove tutto per lui era bello; un bambino che voleva un papà.

 

-È da quando è morto Horge che aspetto. È  solo per colpa sua.-

-Sua di Horge?- Non compresi.

Negò dicendomi che si riferiva a suo padre.

-Vin, che cosa è successo dopo che è morto Horge?-

Guardò a sinistra vagando nei ricordi, si morse le labbra rientrando in quel periodo con la mente e iniziò a torturarsi una manica stringendone il tessuto tra i polpastrelli.

 

-Quando è morto ho avuto paura di diventare invisibile. Che lui non mi guardasse che non mi considerasse; avrei voluto assomigliare ad Horge, invece non ci somigliavamo per niente. Lui era speciale per papà; io no. A volte ho pensato che se Horge non ci fosse mai stato le avrei avute io le attenzioni che papà riservava a lui.-

 

Ad ascoltarlo mi si drizzarono i peli delle braccia.

 

-Vin?.-

-Io volevo solo che papà mi guardasse..-

 

Quella frase mi inquietò moltissimo: perché mi sapeva tanto di “confessione”?

Non poteva essere possibile; io dovevo avere una mente perversa solo per aver pensato ad una cosa del genere.

Lo abbracciai e lui di fece stringere bisognoso di qualcuno che scaldasse la sua anima infreddolita anche se non ero io quello da cui voleva essere abbracciato e sta volta non era nemmeno desideroso di riceverlo da Victor, l'abbraccio.

 

Guardandolo vedevo un predatore leccarsi le ferite, sperando che gli guarissero in fretta, quelle ferite dell'anima.

 

Passò tanto tempo che fuori divenne scuro.

Mi prese per mano e mi condusse in camera sua mettendosi poi seduto sul letto, ero di fronte a lui che ancora mi teneva per un angolo della maglia, lo tirò appena facendomi intendere che voleva lo raggiungessi sul letto. Feci come voleva e si avvicinò a baciarmi. Fu uno sfiorarsi di labbra, un bacio che non avevo mai pensato potesse provenire da Vincent. Non mi era mai sembrato il tipo, lui era più da baci bagnati.

Quel bacio non fu nulla di erotico o volgare e me ne sorpresi, non credevo che vin ne fosse capace.

Furono tutte molto lente le azioni che seguirono; lente e consolidate. Tanto che non mi resi conto che aveva iniziato a stendersi trascinandomi con lui tra le lenzuola.

Si limitò a stendersi sul proprio materasso e a volermi vicino  a lui; sopra a lui come se fossi una coperta di protezione.

Mi limitai a dargli il mio calore in uno scambio al limite dell'equo accarezzandogli il collo mentre respiravo il suo stesso respiro.

Le mie carezze scesero un poco e lui cominciò a sbottonarsi la casacca del pigiama mostrandomi il suo corpo minuto; la sua pelle ormai era tornata bianchissima.

Passai un dito sui suoi pettorali delineando ogni piccolo muscolo di quella zona e sentii che lui ad ogni mio tocco fremeva.

Scesi a solleticargli l'addome mentre le nostre bocche continuavano a congiungersi. Gli baciai il collo quando arrivai con la mano alle sue anche.

Le solleticai appena intrufolandomi al di sotto dell'elastico del pantalone che indossava.

Iniziai ad abbassarlo lentamente e lui mi facilitò i movimenti alzando il bacino; guardai distrattamente la sua zona inguinale e scorsi di sfuggita dei segni rossi che aveva tra le cosce, sembravano dei graffi accennati, li toccai appena e lui si inarcò tutto.

 

-Che cosa sono?-

 

Non mi rispose tirandomi per la maglia affinché tornassi con il volto vicino al suo.

Mi spostai salendogli sopra; in quel momento lui allargò le gambe e me le strinse poi sui fianchi; lo sentii vicino a me per la prima volta, irrimediabilmente vicino a me.

 

Mi intrappolò per i capelli curvando il collo a destra, lo presi per un invito e iniziai a baciargli quella parte di collo ostentata. Lo sentii fremere nuovamente mentre rinsaldava la stretta ai miei capelli.

 

Si mosse arrivando con le mani ai miei pantaloni iniziando a tastoni a slacciarmi la cinta per  poi tirare un lembo di stoffa affinché i bottoni uscissero dalle asole.

 

Mi alzai da lui e mugolò contrariato, scesi i pantaloni lasciandoli calati a metà coscia; mi prese per il collo della maglia facendomi tornare vicino a lui stringendomi di più le gambe attorno ai fianchi.

 

A dispetto dei pensieri di Nelson, che mi vedevano protagonista di chissà quali animalesche scopate con lui quella era realmente la prima volta che eravamo così prossimi dal farlo.

 

Quando entrai in lui sentii che era caldo, che si muoveva venendo in contro ai miei movimenti  e che gli piaceva; tanto.

Era tutto un sussurro soffocato e ansante, la sua voce usciva roca e incredibilmente bassa, quasi graffiata, tanto che non sembrava  lui.

Lo guardai, era bellissimo: guance arrossate e fronte imperlata di sudore, i capelli gli si erano arricciati e appiccicati sul viso; gliene spostai una ciocca baciandolo e assaggiandogli la pelle salata.

 

Vincent era uno spettacolo da vedere e sentire e io gli avevo dato la mia verginità.

 

 

Proprio mentre eravamo ancora stesi sul suo letto, vicini e sporchi di noi il mio cellulare squillò, era a terra poco distante dal letto, evidentemente nei vari movimenti era scivolato dalla tasca dei pantaloni ed era rotolato a terra.

Lui lo raccolse rispondendo
-Signora mamma- Passò del tempo che lui annuì.-Sì è qui glielo passo subito.-

Mi fece una sorta di ramanzina sull'avvertire quando e se rientravo tardi seguita da tanti altri bla che non sentii minimamente, aveva ragione non potevo darle torto, cosa che poi, se avessi fatto, avrebbe allungato non di poco il suo giusto discorso.

Ero steso vicino a Vincent mentre lei continuava a parlare, con ancora gli strascichi dell'orgasmo in corpo e nel cervello, non era proprio cosa né starla a sentire né, tanto meno, controbattere, in quel momento.

 

Attaccai stendendomi accanto a lui, era caldo, fin troppo. I suoi amanti santuari godevano sempre del suo calore? Era un caldo bello, quasi rassicurante, quello che senti la mattina quando ti svegli non vorresti lasciare nel letto e che se non senti più vicino a te, sempre nel letto ti svegli in automatico per tastare il letto e sentire che non c'è; aprire gli occhi e chiederti: dov'è il mio calore? E cercarlo per casa.

 

Cosa che probabilmente avrebbe fatto con Victor -e viceversa- in un domani che li vedeva  convivere.

 

Quando si poggiò con la testa sul mio petto gli carezzai i capelli e lui sospirò, mi venne da chiedergli come fossi andato, ma non lo feci, era decisamente una cosa squallida da chiedere.

Ripensai a quando avevo iniziato ad accarezzargli il corpo, ai segni a cui non avevo dato peso. La maglia del pigiama ormai gli copriva solo le braccia del suo corpo e mi lasciava intravedere che quegli stessi segni li aveva anche sui fianchi e vicino all'ombelico.

Glieli toccai piano e lui si retrasse ai miei tocchi sgridandomi di non toccarli.

 

-Che cosa sono vin?-

 

Non mi rispose muovendosi fino a salirmi sopra a cavalcioni mostrandomi la perfezione del suo corpo terreno.

Si adagiò sulle mie forme in un incastro perfetto tanto che meschinamente pensai che fosse fatto appositamente per quello.

 

-Non sono niente, rimani a dormire qui? Sei caldo.-

 

Si mosse lievemente su di me ondeggiando sulle mie anche, si teneva con le mani sulle mie spalle muovendosi tutto nel tentativo di convincermi per indotto sessuale.

 

-Vincent non fare il bambino, che cosa sono?.-

 

Si fermò all'istante scendendo dal mio corpo. Capendo, evidentemente, che non avrei ceduto se pur la tentazione era a livelli indecenti.

Si stese nuovamente accanto a me, usando i miei pettorali come cuscino, con una mano iniziò a tracciare linee distorte partendo dalla spalla arrivando all'areola del capezzolo; anche la mia maglietta era andata mentre lo facevamo, avrei dovuto cercarla per vedere dove fosse finita.

-Ero arrabbiato.-

 

Disse dal nulla dopo un tempo indefinito che si era preso per rispondere.

 

-E..? - Lo incitai a continuare accarezzandogli la testa.

-E niente, ero qui solo e arrabbiato con me stesso.-

-Ti sei graffiato?!-

 

Si guardò uno dei segni rossi, lo toccò appena inarcando le sopracciglia -Non è nemmeno uscito il sangue.-

 

-Perché eri arrabbiato?- Ignorai la sua noncuranza per quel che aveva fatto continuando la mia indagine profana.

 

Lui si alzò mettendosi seduto sul ciglio del letto, non mi rispose raccogliendo i propri boxer. Li infilò prendendo poi dal pavimenti anche la mia maglia, me la tirò addosso dicendomi di andarmene.

...Ma come?! Non mi aveva appena chiesto di rimanere?

-Entro in un discorso che non ti va di sentire e scappi, Vin?

-Non sto scappando.-

-Stai intimando me di andarmene, è la stessa cosa.-

-Tu non sai niente, non puoi permetterti di parlare.-

-Tra te e Victor non fate altro che ripetermelo! Che io non so niente e che non posso comprendere. Rendimi partecipe allora! Come fai a sapere a priori che io non comprenderei? Non pensare di conoscermi così bene vin, siamo allo stesso livello.-

-Sei proprio un ragazzino.-

 

Me lo disse con uno sguardo fermo tanto che mi diede l'impressione che se solo ne avesse avuto le facoltà mi avrebbe eliminato. Si mise in ginocchio sul letto gattonando verso di me; mi si mise a cavalcioni sopra, aveva la testa bassa, non riuscivo a guardarlo negli occhi, la frangia glieli copriva.

 

Si abbassò su di me venendo a contatto con il mio bacino facendomi vedere bianco per un secondo.

-Facciamolo di nuovo.-Alzò lo sguardo e mi impaurii vedendolo; sembravano gli occhi di un predatore affamato.

-No.-

Feci per togliermelo di dosso spintonandolo per le spalle, lui mi prese i polsi e me li bloccò sul cuscino, scese a rinsaldare la presa poggiando sulla presa sui miei polsi tutto il suo peso avvicinandosi con il busto al mio.

Mi morse una spalla e ovviamente continuai nei tentativi per divincolarmi.

Quel suo comportamento mi mandò nel panico più totale, mi sentivo bloccato su un letto e a prescindere che era lui a bloccarmi la sensazione che mi dava non mi piaceva per niente.

Ero più grosso e pesante di lui, senza contare che ero più forte. Passato il primo momento di panico, sensazione che aveva annullato tutte e tre le cose nella mia mente lasciandomi in balia di un fuscello, me lo tolsi di peso da dosso.

 

In un attimo scesi dal letto allontanandomi di qualche passo da lui mentre con movimenti frettolosi rimettevo apposto i miei vestiti.

Lui era rimasto seduto intento a guardare le lenzuola sfatte e sporche di bello; perché prima lo era stato, bello; bellissimo e lui aveva rovinato tutto. E se ne rendeva conto.

 

Guardava le coperte e sembrava distante con la mente, i suoi pensieri irraggiungibili per un comune mortale come me lo stavano riempiendo. Non ebbi cuore di lasciarlo così, la paura e la rabbia mi erano passate e mi avvicinai di nuovo al letto, lentamente, quasi a voler tastare il terreno.

Vestito mi sedetti sul letto, vicino a lui; i nostri corpi non venivano a contatto e se non l'avessi guardato, per quanto era silenzioso anche nel respirare, avrei giurato che fossi stato solo.

Con un gesto prese il lenzuolo coprendosi e a me sembrò un antico romano vestito dalla propria toga candida. Era bellissimo e dannato.

 

-Ti va di essere sincero con me per una volta?-

Tralasciai di puntualizzare che no, non ero un ragazzino e che tra i due, anche se lui era più grande di me, il ragazzino sembrava lui.

 

Stette in silenzi per parecchi attimi interminabili, si mosse in fruscio passandosi una mano sul collo, carezzandolo lievemente.

 

-Dopo che è morto Horge è tutto cambiato; nel tutto sono compreso anche io.- fece una pausa sospirando. -Non mi piace parlare di queste cose.- puntualizzò ma poi riprese a parlare senza che io lo incitassi, forse non era abituato a domande del genere perché nessuno si era mai interessato a porgergliele.

-Forse sono proprio quello che è cambiato di più. Ho sempre ottenuto qualsiasi cosa, tranne, ovviamente, l'unica cosa che volevo in maniera più forte delle altre. Un papà, Horge lo aveva; io no.-

Temetti due cose opposte: di non aver capito nulla del suo discorso e di aver capito fin troppo bene, e non riuscii a decidermi su quale delle due opzioni fosse la peggiore.

 

-Ti ascolto.-

 

Lo incitai a continuare.

 

-per qualche tempo- emise un risolino divertito puramente sarcastico misto a pietà che stava rivolgendo a se stesso –fui contento che era morto. Davvero.-

Lo vidi afferrarsi il braccio e stringerlo senza pietà. Faceva male parlare di suo fratello, così tanto male? Gli presi la mano che stava usando per ferirsi e la strinsi nella mia. Lo guardai in viso, il suo era rivolto altrove. Quella era la vera forma di Vincent, quella più intima che si prova vergogna a mostrare.

Mi avvicinai di più al suo corpo, lo feci stendere e mi misi accanto a lui, steso, ci mise un secondo ad avvicinarsi a me per accoccolarsi al mio petto. Era strano da pensare se si trattava di Vincent.

Gli tenevo ancora la mano e gliela accarezzavo con dei movimenti del pollice lisciandogli il dorso.

-non serve a nulla fare così.-

-compresi che io potevo essere solo un corpo di carne da toccare ad occhi chiusi immaginando Horge.-

 

vidi la pelle delle sue braccia accapponarsi per un pensiero che probabilmente non mi aveva rivelato lasciandolo intrappolato nella sua mente.

 

-Tu non sei un corpo di carne, cioè Vin lo sei, come tutti gli altri esseri umani, ma non sei un corpo vuoto. Sei pieno. Di te stesso.-

 

era chiaro che, in quel racconto, c'erano particolari che non mi aveva detto e che erano l'anello di congiunzione tra Vincent  e il suo dolore.

Un dolore che aveva imparato ad ignorare usandosi.

 

-al funerale tutti hanno pensato che stessi male per la sua perdita.-

 

rise ironicamente per poi continuare. -gli volevo bene, ma non fino a tremare impaurito su una panca in una chiesa. Non avevo coraggio di guardare lui, non osavo alzare la testa per timore di vedere il suo dolore. C'era tanta gente che io non avevo mai nemmeno visto e nella confusione io me ne stavo in un angolo, seduto su un divanetto. Poi arrivò Victor che mi portò via, a casa sua. E lì ci ubriacammo da morire, vomitai per tutta la notte. Ovviamente il giorno dopo ci subimmo due ramanzine da far girare la testa a chiunque. A lui non è fregato niente però perché aveva fatto una cosa bellissima.-

 

annuii -nel vostro mondo deve essere stata bellissima.-

-sì, nel nostro mondo lo è stata.- sospirò -mio padre si arrabbiò tantissimo perché Victor mi aveva portato via nel dopo cerimonia, dove tutta l'ipocrisia si concentrava in una stanza, ma ero troppo ubriaco per rendermene conto, gli risi in faccia.-

-tu sei pazzo Vincent.-

 

sorrise arricciando un angolo della bocca dicendomi che probabilmente lo era.

 

-lui non veniva da me e io stavo morendo. Ti giuro.-

 

-che successe poi?-

-fui io ad andare da lui. Molto semplicemente. Dopo una settimana di attese, allo stremo delle mie forse andai da lui. Poi ovviamente andai a dirlo a Victor. Non riuscivo a smettere di sorridere.-

 

mi feci mentalmente due conti su quel che mi aveva detto e la sua persona. Qualcosa continuava a non tornare.

 

-perché poi si è deteriorato tutto?-

-perché ero solo un sostituto. Tolto Horge io non sono diventato il primo, ma la scorta del primo che non c'era più. Quando... cazzo fa ancora male. Quando l'ho capito ho mandato a fanculo il mondo, me stesso compreso.-

 

io invece compresi un altra cosa: era in ogni gesto, ogni pensiero, in ogni suo respiro che Vincent si faceva del male. Non volli accettare l'induzione a tutti quei pensieri che rispondeva alla domande perché lui se ne facesse. Non volevo pensare di avere un piccolo assassino tra le braccia.

 

 

 

 

Note finali: mi scuso con voi tutti per il ritardo ai limiti della decenza. Anzi, togliamo anche “ al limite” l’ho decisamente passato. Spero che con il capitolo mi sia fatta perdonare!

Grazie a tutti di leggere!

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Capitolo 13
*** capitolo XIII ***



scusatemi per l'enorme ritardo ._. comprendo perfettamente che posso sembrare una persona orribile, e in effetti lo sono anche se non si misura dalla puntualità nel postare una storia XD spero che in futuro questa pausa di mesi non si verifichi più *-*
buona lettura!
grazie a tutte le ragazze che commentano, apprezzo veramente tanto *-*


Nuova pagina 1

Capitolo XIII:

 

erano passati giorni di silenzi nei quali Vincent non si era fatto vedere ne sentire, io mi ero sentito inutile in una maniera così opprimente da stare male: possibile che non potessi essergli d'aiuto nemmeno un minimo?

-tesoro me lo fai un favore mentre vado dalla signora Wendy?-

mi alzai dal divano raggiungendo la mamma -dipende- le risposi e lei ne rimase stupita, non le aveva mai risposto con qualcosa di differente da un “sì”; -mentre sono via puoi togliere le erbacce dal giardino? Sono così brutte a vedersi, danno un senso di non curatezza.- le sorrisi annuendo, lo facevo sempre, perché non avrei dovuto sta volta?

 

Proprio mentre ero inginocchiato a terra a chiedermi che razza di erbacce resistenti erano quelle che così rapidamente infestavano i giardino con la loro presenza, mi sentii chiamare. Era lui, era la sua voce.

-buon giorno- mi disse pacato e io lo guardai; mi sorrise e io mi alzai sormontandolo con la mia altezza. -perché ti sei messo il cerchietto?- lo notai immediatamente -non li ho piastrati erano osceni come natura li ha creati- non potei non ridere, era tornato, era veramente tornato!

-vieni dentro su, mi lavo le mani-gliele mostrai- sono tutte sporche di terra- ridacchiò osservandole -ti fanno ancora fare i lavori forzati?-

non so bene come spiegarlo ma da come parlava, dai sorrisi che faceva, mi sembrava più... come dire, sereno; e calmo per certi versi, non sembrava più teso in ogni istante, sempre allerta in attesa di qualcosa. Entrammo in casa e ci accampammo in cucina, mi sciacquai le mani mentre lui prendeva posto al tavolo.

-come mai qui?- mi voltai vagamente incuriosito dalla sua visita -mi andava di vederti- ammise mentre si toglieva il cerchietto e passava le mani tra i capelli districandoli e portandoli indietro. -sai sono successe un po' di cose inaspettate dopo l'ultima volta che ci siamo visti.- mi confidò senza che io gli chiedessi nulla, mi fece veramente molto piacere. -ma la signora mamma non c'è?- la cercò con lo sguardo -no, non c'è, è andata dalla signora Wendy, in fondo al viale, ci va ogni settimana con le altre loro amiche, credo giochino a carte- Vincent arricciò il naso negando -mai sentita nominare no-  lo raggiunsi al tavolo -il marito le è morto una decina di anni fa, era un medico, vive sola da quando i figli sono entrati nella scuola privata della città a sud, credo che sia una sorta di collegio perché non tornano molto spesso, molto di rado, a dire il vero.-  mi alzai -ehi andiamo in camera mia?- Vincent si alzò dal tavolo seguendomi fino in camera; -vuoi scopare?- mi chiese abbracciandomi da dietro -cosa?- mi precedette andandosi a sedere sul letto, accavallò le gambe -beh mi pare naturale scusa, mi hai invitato in camera tua e tua madre non è in casa, cosa dovrei pensare?- mi sorpresi di quel che aveva pensato -no. Non erano le mie intenzioni- mi affrettai a rispondergli -peccato, vabbeh- peccato? Si stese sul letto guardando il soffitto e io mi sedetti sul mio letto a mia volta. -allora che mi racconti?- mi guardò e compresi subito che doveva essere un racconto lungo e probabilmente dettagliato su non osavo immaginare cosa; mi stesi con lui contento che fosse venuto lui a dirmi qualche verità.

-ti ricordi l'ultima volta che ci siamo visti? Eravamo a casa mia e non stavo propriamente bene. - annuì me lo ricordavo ed ero stato in ansia tutti i giorni non vedendolo – poi ho discusso pesantemente con lo zio.-

-oddio mi dispiace.- lui negò con la testa girandosi dalla mia parte, mi sfiorò il petto con un dito -avevo preso le sue medicine per far abbassare la febbre e poi lui quando le ha viste stappate ha pensato che volessi usarle per sballarmi un po'...-

 

-ehi ragazzino!- l'uomo avanzò con il tubetto di compresse nella mano, l'aveva trovato stappato sul ripiano del lavandino del bagno, fuori posto, era ovvio le avesse prese il nipote.

Vincent l'aveva guardato a lungo, cercando di capire per quale insano motivo ce l'avesse con lui quella volta. Non fece caso a quel che stringeva nella mano fin quando in uno scatto di rabbia non gliele scagliò contro; fu mentre gli urlava che in casa sua non c'erano altri tipi di medicine. Sentì amplificato il rumore delle compresse medicinali che rimbalzavano sul pavimento dopo averlo colpito.

-inutile che frughi tra le mie cose, non ci sono anti depressivi, come quelli che prende tua madre.-

volle rispondergli ma quel gesto lo ruppe in pezzi, era un gesto di assoluto disprezzo.

 

Come ad una prostituta alla quale vengono tirati in faccia i soldi per saldare conto.

 

Vincent sentì improvvisamente la rabbia montargli, strinse i pugni respirando a fondo, pesantemente. -che c'è non ti ritrovi in una vita pulita?- gli chiese con strafottenza.

-sta zitto.- i pensieri gli si accavallarono nella mente come in una roulette e quando cercava di dar retta ad uno di questi parevano scomparire lasciandolo solo con la sua rabbia.

-perché dovrei? Che c'è, la verità fa male?-

 

parlava di verità, si faceva grande con parole di cui non conosceva nemmeno l'origine nei fatti della sua vita.

 

-pensi che non mi abbiano informato di tutto? Mi pensi così ingenuo? Chi caccerebbe di casa proprio figlio assicurandosi di non farlo tornare grazie ad una cospicua somma di denaro mensile?-

 

il ragazzo gli intimò più volte di stare in silenzio -nemmeno i tuoi genitori ti vogliono-

 

quella frase ruppe qualcosa dentro l'altro. Con pochi passi raggiunse lo zio facendolo arretrare fino alla parete. Lo colpì sul petto con i pugni chiusi -sta zitto!- gli urlò con tutta la sua rabbia continuando a colpirlo.

-tu non sai niente! Niente! Non parlare di cose che non sai!-

lo colpì nuovamente perdendo gradualmente la sua forza. -nessuno chiede mai a me...-

sussurrò; strinse la maglia tra le dita -perché nessuno mai si ferma quando dico basta...?- lo zio non fu sicuro a cosa si riferisse con quell'ultima domanda.

-nessuno domanda mai “perché” ma si ferma a giudicare le azioni- sussurrò perdendosi con lo sguardo dentro di se, cercando inutilmente una luce che non c'era.

-questa è una vita insostenibile...- confidò in ultimo stringendo si più la maglia dello zio che si ritrovò a stringerlo a sua volta in un abbraccio.

 

Vincenti si lasciò andare nelle braccia dell'altro -piangi vin- gli disse mentre continuava a tenerlo tra le braccia, ma lui aveva ancora voglia di piangere?

Lo prese in braccio portandolo nella propria stanza, lo poggiò delicatamente sul letto stendendosi poi con lui, tenendolo stretto fra le braccia.

Capendo che quello che aveva tra le braccia non era il mostro che gli avevano descritto, ma un bambino cresciuto in fretta che nessuno mai aveva ascoltato.

 

Vincent mi si accostò di più addosso sospirando appena -è stato strano- mi confidò -cioè immagino che rientri nella normalità, ma io non ci sono abituato.- era la prima volta che lo sentivo dire una cosa del genere, era la prima volta che la sua concezione di vita non era presa come fonte assoluta di realtà, anche quello fu strano ma non glielo dissi, lo tenni per me.

-poi la sera dopo mi ha preparato la cena.-

-davvero? E hai mangiato?- lui annuì -che altro potevo fare?-

 

L'uomo era appena rientrato a casa, era pomeriggio inoltrato e aveva finito i suoi lavori di manutenzione. Aveva poggiato silenziosamente le sue cose del divano e si era diretto in bagno per darsi una ripulita; si era fatto una rapida doccia per togliersi da dosso un po’ della sua stanchezza. Si diresse verso la propria camera e sul letto, acciambellato come un gatto c’era Vincent che sonnecchiava tra le coperte.

Si avvicinò silenziosamente per non svegliarlo, gli posò delicatamente una mano sulla fronte per sentire se avesse ancora la febbre, fortunatamente era fresco.

Si chiese se fosse almeno sceso dal letto quel giorno mentre si dirigeva al proprio armadio per mettersi addosso qualcosa di pulito.

Si voltò nuovamente verso Vincent e vide che lo stava osservando –oh sei sveglio- si sentì vagamente imbarazzato per essersi spogliato dell’accappatoio in sua presenza.

-sì, ero sveglio anche prima- si mise seduto sul letto strofinandosi un occhio con il dorso della mano –la febbre non ce l’ho, l’ho misurata poco fa- scese con le gambe dal letto poggiandole sul pavimento. Si alzò del tutto dirigendosi verso la porta –mettiti qualcosa di più pesante addosso e vieni giù in cucina- gli disse lo zio prima che questi potesse sparire dalla camera.

Poco convinto che il nipote l’avrebbe raggiunto scese lui stesso in cucina guardando nelle credenze cosa avrebbe potuto preparare per cena.

Lo vide far capolino dalla porta e lo richiamò a sé proprio mentre stava scolando la pasta, la saltò con il condimento nella padella e poi la versò nei loro piatti. Vincent li guardò, da cosa gli nascevano tutte quelle premure nei suoi confronti? Da quando era lì non l’aveva mani nemmeno guardato; figurarsi cucinare per lui.

-non mi va di mangiare.- era ancora sulla porta, appoggiato allo stipite con le braccia incrociate al petto che guardava lo zio –oh su andiamo un po’ di pasta non ha mai fatto male a nessuno.- Vincent fece qualche passo entrando in cucina e percepì fin troppo forte l’odore di cucinato che solitamente quando lo zio mangiava in solitaria non inondava la casa ne era così buono. –come mai ora fai tutto questo? È una punizione auto imposta, forse?- le persone non cambiano in maniera radicale da un giorno all’altro, era pena quella che provava nei suoi confronti lo zio?

-non voglio gentilezze elemosinate con le lacrime.- li riferì duro accostando la sedia che avrebbe dovuto ospitarlo.

-no non si tratta di elemosina; si tratta di qualcosa che meriti di cui non mi ero reso conto. Ho sbagliato e ho intenzione di rimediare; che tu lo voglia o no. Ora seduto che si cena.-

Vincent avanzò di qualche passo ridendo di sarcasmo -qualcosa che merito- ripeté cinico. Lo zio lo guardò -è quando fai così che mi fai capire quanto hai bisogno di attaccare gli altri per sentirti meglio.-

il ragazzo si mise seduto al tavolo davanti al suo posto -io non ho bisogno di sentirmi meglio, io già sono migliore.-

guardò l'altro che gli indicò il piatto -mangia.- dopo di che si voltò posando la padella nel lavandino e si diresse al frigo prendendo due birre che portò a tavola.

-buon appetito.-

si mise a mangiare osservando il nipote che circospetto rigirava la pasta nel piatto; la guardava e la studiava, storse la bocca quando inforchettò un filo di quella pietanza.

Lentamente la portò alla bocca guardando di sfuggita lo zio per vedere se lo stesse osservando. Lui aveva già distolto lo sguardo riportandolo sul proprio piatto e Vincent  assaporò la prima forchettata della sua cena. La masticò appena ingoiandola subito.

Sentì il sapore del condimento nella bocca più forte che mai, fu qualcosa di inaspettato; si morse le labbra quando si rese conto di volerne ancora.

Inforchettò ancora nel piatto e rapido lo mangiò colpevole.

 

Nell'immediato dopo cena Vincent non si mosse dal tavolo mentre lo zio gli toglieva il piatto vuoto da sotto il naso trasportandolo nel lavandino; -vieni, guardiamo un po' di TV.- gli disse categorico l'uomo e Vincent obbedì all'ordine.

Lo raggiunse sul divano percependo un vago senso di ebbrezza, la testa gli girava appena, gli sembrò di essere vagamente brillo, come quando imboccava la strada giusta dei liquori preferiti.

Si mise seduto sul divano vicino allo zio e lo guardò con circospezione mentre cambiando canale cercava qualcosa di interessante da vedere.

-odio lo sport- gli fece notare quando questo si fermò su un canale sportivo -preferisci per caso un canale sull'economia domestica?- fece dell'ironia l'uomo guardandolo mentre inarcava un sopracciglio. -no, assolutamente, potrei tagliarmi le vene per una cosa del genere- rise lui sentendosi leggero; -allora che vuoi vedere?- gli chiese dandogli il telecomando -dubito che abbiamo gli stessi gusti in fatto musicale – si ritrovò a ridere nuovamente -opterei per un film.-

 

nel mezzo del film giallo che avevano trovato casualmente girando tra le miriadi di canali della TV by cavo Vincent ipotizzò chi potesse essere l'assassino.

-è stato lui- indicò lo schermo non appena si vide in primo piano quello che per la scientifica di Las Vvegas era al di fuori di ogni sospetto.

-ma no, quello è un santo.- il ragazzo accanto a lui negò. -è un modo per espiare.- ammise -espiare?- Vincent annuì -sì non so tu come la intendi questa cosa, è un modo egoistico di fare del bene, lo fa solo per lavarsi la coscienza.- spiegò continuando a guardare lo schermo dove ormai, la pubblicità aveva preso il sopravvento.

-credo di comprendere quel che dici.- alla fine del film Vincent si era addormentato appoggiato allo zio così da non poter avere conferma della sua teoria.

L'uomo lo prese delicatamente tra le braccia portandolo al piano superiore, fino alla propria stanza, lo posò sul letto coprendolo con la coperta; si mise seduto accanto a lui accarezzandogli i capelli -hai ragione espiare è solo un modo egoistico di fare del bene per lavarsi la coscienza.- sospirò guardandolo dormire -e gli esseri umani, nella loro imperfetta esistenza ne hanno bisogno, anche io.- gli confidò conscio che l'altro non avrebbe mai udito quelle parole.

Si stese con lui nel proprio letto per espiare.

 

Lui aveva sentito tutto, la prova era che me lo stava raccontando. -almeno lui ne è cosciente.- mi disse mentre si stiracchiava venendomi addosso.

-già, però è lodevole il fatto che cerchi di capirti, no?- lui annuì avvicinandosi per baciarmi -Will, sai che quasi ho sonno?- gli sorrisi, era proprio un bambino, bastavano due coccole per stenderlo. -allora dormi, tanto con te non esistono orari, ormai nemmeno con me- quando glielo riferii mi resi conto che stavo diventando il suo nuovo Victor, sia per modo di stare con lui che per modo di rapportarmi a lui e la cosa mi piacque molto.

Mi usò come cuscino impedendomi, così facendo, di lasciarlo solo nel mio letto. Gli accarezzai i capelli allungo, gli tolsi il cerchietto per sentirli scorrere tra le dita, quando non ci metteva tutti i prodotti che era solito usare erano morbidi, tanto morbidi.

Averlo lì, tra le braccia mi fece rendere conto di una cosa; quando l'avevo incontrato per la prima volta, quando ancora lui non sapeva nemmeno che io esistessi, l'avevo visto come una persona fiera e forte, una colonna indissolubile, mi sono reso conto conoscendolo che Vincent aveva, al contrario, moltissimi punti deboli mantenendo la propria fierezza intatta. Su una cosa avevo ragione fin dall'inizio: Vincent era speciale.

 

Tanto imperfetto da essere vero aveva un ego smisurato che lo rendeva fottutamente lui, possessore di un carisma che sapeva di avere ma che non ostentava semplicemente sopravviveva nella sua realtà.

 

-ehi vin?- mugolò in risposta -buona notte- gli risposi con un sorriso che lui non avrebbe visto. Le cose sembravano star migliorando un po' per tutti, e io avevo sperato che continuassero con quella tendenza. Purtroppo la settimana dopo la tendenza si arrestò. Il bambino era nato e il battesimo era prossimo.

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Nuova pagina 1

Chiedo umilmente scusa a tutti per il terribile ritardo, ormai aggiorno, qualsivoglia cosa. A cadenza trimestrale –se tutto va bene!- spero che ci siate ancora, e vi prego, non uccidetemi XD

Vi amo!

MaryKei-Hishi

 

 

Capitolo XIV

 

 

Vincent sempre più spesso era a casa mia durante il pomeriggio in quella settimana, aveva veramente tanti compiti arretrati, si era deciso finalmente a farli ed era la prima volta che aveva la volontà di comportarsi bene nella vita, di fare quel che gli veniva chiesto di fare e a me era sembrato un enorme passo avanti per quello che all'inizio della nostra conoscenza era un ragazzo lasciato allo sbaraglio.

-Will facciamo una pausa?- mi tolsi gli occhiali -assolutamente no- avevamo appena iniziato e se pur con l'intento di impegnarsi era svogliato, era venuto da me proprio per questo e io l'avevo accolto con un sorriso. -sapevo che non dovevo chiederti nulla- mi mise il broncio -non fare il bambino, mi hai chiesto aiuto proprio perché ti conosci meglio di chiunque altro e, sì, grazie della fiducia ma ora finisci quei compiti, perché se solo lo volessi li faresti tutti in un quarto d'ora.- borbottò qualcosa riprendendo i suoi esercizi; era bello vederlo come un bambino svogliato, era naturale.

-ma quanto sei indietro sul libro di testo?- mi guardò inarcando un sopracciglio -nemmeno ce l'ho, io, il libro- aggrottai la fronte -scusa e come fai?- nel modo pi naturale possibile mi rispose che semplicemente lui “non faceva” -ascolto in classe, a volte mi prendo un appunto, è tutto così noioso, non c'è un minimo di niente nelle lezioni in classe; i prof non ci rendono partecipi e io mi annoio da morire.-

nominando i professori mi fece ricordare di una cosa importante che dovevo dirgli -a proposito ci hanno chiesto che fine hai fatto a scuola e stai rischiando l'anno con tutte le tue assenze, quando ti decidi a riprendere a frequentare?-

Lo vidi arricciare il naso e sbuffare -domani andrò a parlare con i professori, che gran rottura- si grattò la testa -a natale andiamo a mangiare l'anguria sulle spiagge californiane?- si rinvigorì in un istante lasciandomi interdetto.

-da qui a natale saranno successe tante di quelle cose che te ne sarai completamente dimenticato, pensa a cose più prossime; alla scuola, ad esempio. E poi non ho i soldi per fare un viaggio del genere.- puntualizzai; del fatto che poi io lo passassi con la mia famiglia, il natale, non ne feci parola. Sicuramente lui l'avrebbe passato con suo zio ma nell'incertezza preferii tacere, sopratutto se prendevo in considerazione il fatto che, magari, anche lui  quella festa avrebbe voluto passarla con i suoi genitori.

 

Più ci pensavo più li odiavo per quanto erano due esseri totalmente orribili.

 

Riprese con i suoi esercizi e io ripresi con la storia che dovevo imparare per il test della settimana successiva.

-domani pomeriggio mi accompagni a scuola?- ripresi a dargli attenzione. -a che ora?-

sembrò pensarci un secondo -ti porto il pranzo e mi aspetti lì dopo le lezioni?- annuii -che mi porti di buono?- lui rise -al massimo un insalata- mi riferì prendendomi un fianco -altrimenti 'ste maniglie quando le togli?- rise venendomi in contro per baciarmi -sto scherzando- disse in fine  baciandomi subito dopo.

Risposi al bacio puntualizzando che io non ero grasso come diceva sempre lui e lo vidi guardarmi attentamente -hai ragione, non sei grasso, stai bene così- mi sorrise e mi stupii di quanto aveva detto, era la prima volta che non faceva appunti sulla mia presunta “non magrezza” mi diede l'idea che quella sua patologica fissazione stesse finendo. Una cosa ottima, oltretutto.

Forse Vincent stava iniziando a stare bene, con il cervello; forse iniziava a trovare una stabilità.

-vuoi fermarti a cena? Mamma dovrebbe tornare tra un oretta, sicuramente ti inviterà a fermarti, lo sai no? Ti adora- lui negò -non posso, mi dispiace sono in punizione.- lui? In punizione? -come?! Tu?- mi annuì e io ridacchiai -lo so è una cosa patetica, ma ci devo stare, non ho molto altro da fare, pensa che zio non vuole nemmeno che io fumi, beh questo se lo scorda- lo mandò anche benfattamente a quel paese mostrando un dito della mano -ti sta mettendo intorno delle regole?- annuì guardandomi con uno sguardo truce, io gli sorrisi, non poteva esserci nulla di migliore per aiutare Vincent e suo zio l'aveva capito.

Vincent era cresciuto senza regole ed era come vedere una persona prova di confini. Non era una persona vuota, ma senza barriere lui non riusciva a riempirsi di cose vissute, non aveva combattuto per ottenere qualcosa l'aveva sempre avuta, la cosa;

 

il mio cellulare squillò all'improvviso, era Nelson; gli risposi -ehi Will- feci segno a Vincent di stare in silenzio e non ne compresi nemmeno io il motivo, probabilmente lui sì; si alzò dal tavolo senza fare rumore e si mise a girovagare per la camera soffermandosi ad osservare gli oggetti assurdi di mia madre.

Nelson mi chiese se ero solo e io stupidamente gli risposi di sì. -perfetto, sto venendo da te, così mi aiuti con storia, sai che la odio.-

 

Panico.

 

Passarono al massimo due minuti e sentii suonare alla porta. Panico, panico.

Presi Vincent per una mano e lo trascinai al piano di sopra, spingendolo dentro la mia camera -scusami- gli sussurrai prima di chiuderlo dentro -non uscire da questa porta- gli ordinai e riscesi giù; nella mente il pensiero che i due si vedessero mi terrorizzava, sentii il campanello suonare ancora e più insistentemente. Discesi di corsa andando ad  aprire a Nelson -ehi, come mai tutto questo tempo?-

cercai di sorridergli -ero in bagno- mi sentii una merda. Vidi lui annuirmi ed entrò in casa, richiusi la porta osservando i suoi movimenti per il salone. Lo vidi guardare le fotocopie di Vincent. Cazzo. -queste?- mi chiese continuando a guardarle. -oh beh quelle sono per Vincent, me le hanno date i suoi professori. Mi ero stufato di ripassare e mi sono messo a dargli un occhiata.- inventai sul momento sentendomi in modo ben peggiore.

Lo vidi posare il suo sguardo su di me, lo vidi scrutarmi; da come mi guardava sembrava non averla bevuta, quella balla; mi sorrise assottigliando gli occhi. -ehi Will posso connettermi un attimo dal tuo PC? A casa mia manca la connessione da giorni- boccheggiai. Mi aveva fregato, non potevo rifiutarmi e il PC era in camera mia; mi aveva aiutato lui a spostarlo dal soggiorno quando mio padre si era comprato il portatile.

Non attese risposta dirigendosi alle scale diretto in camera mia.

-ehi aspetta, non è il caso-

senza fermarsi mi chiese il perché -è tutto in disordine- che scusa patetica. -oh dai Will pensi che io guardi il tuo disordine? Mi pare che la conosci la mia camera! Non esiste un ordine per le cose no?- arrivò alla camera e ne spalancò la porta guardando dentro. Io già mi aspettavo una sua reazione atomica, simile a quella di una bomba di quello stesso genere chiusi gli occhi attendendo le sue urla, non sentendo nulla li riaprii.

La camera era vuota e la finestra aperta mi fece pensare che Vincent se n'era andato usando quella. Filandosela come in qualche vecchio telefilm. Forse avrei dovuto mettere una scala per lui, tanto per facilitargli quel genere di operazioni.

-dove sarebbe questo disordine?- mi chiese -mi ero dimenticato di aver messo apposto- gli risposi andando a toccare la tenda che svolazzava per la corrente d'aria.

Lasciai Nelson alle prese con il mio PC e io scesi giù per controllare il mio cellulare, magari mi aveva mandato un messaggio. -ti aspetto con storia giù in salone.-

non mi aveva scritto, probabilmente si era offeso e io mi diedi dell'imbecille pi e più volte.

Solo la sera mi mandò un messaggio -domani ti porto qualcosa di ipercalorico comprato in un fastfood- ne fui sollevato, era tutto ok; -mi dispiace per oggi, mi dispiace tantissimo- mi rispose subito dopo -ah figurati il coprifuoco stava per scadere e io mi ero stufato di studiare, è stato divertente arrampicarmi, voglio iscrivermi ad un corso di roccia, che dici?- Vincent era fantastico nella sua follia, ecco cosa dicevo. -sei unico- gli risposi e lui se ne vantò dicendo che per persone come lui gli stampini con cui venivano fatti venivano gettati via.

Non lo capii subito a cosa si riferiva, la presi come un altra delle sue stranezze prive di ragione.

 

Il giorno seguente Vincent era all’uscita della scuola con un sacchetto del fastfood in mano; in breve tempo il cortile della scuola si svuotò e io mangiai il mio pranzo ipercalorico sulla scalinata dell’ingresso; lui mangiucchiò qualcuna delle mie patatine  -non guardarmi, Will.- mi colse sul fatto –mi da fastidio essere guardato mentre mangio- non ne riuscii a comprendere il perché ma il fatto che la sua voce fosse così tanto seria e che non mi avesse guardato mentre me lo riferiva mi fecero demordere dal chiedere delucidazioni.

Quando posò le  patatine sulla busta mi spiegò che lo faceva sentire a disagio e io mi chiesi come poteva essere possibile. –scusami non lo sapevo.- dissi solamente.

Il silenzio ci fece compagnia fin quando non finii di mangiare –quando mangio mi sembra che tutti stiano guardando me.- mi spiegò vagando altrove con lo sguardo;

-vin?- non lo guardai, semplicemente richiamai la sua attenzione senza pretendere che mi guardasse.

-mh?- esortò affinché io continuassi.

-come è iniziata questa tua fissazione?- lo sentii alzarsi e lo guardai, si stava spolverando il sedere dalla polvere raccolta sullo scalino –è tardi i professori mi aspettano.- non voleva parlarne, forse avevo osato troppo con quella domanda.

-vuoi che rimanga in corridoio?- negò –voglio che entri, sarai un “testimone” così non potranno dirmi cazzate che ipoteticamente potrebbero rimangiarsi.- mi stupii della sua scaltrezza, io ad una cosa del genere non ci avevo minimamente pensato.

 

L’incontro non durò eccessivamente tanto, entrati nella sala c’erano la maggior parte dei suoi docenti schierati e lui avanzò verso di loro, mi sembrò quasi un condannato alla sentenza della corte suprema di giudici. Vincent si mise seduto di fronte a loro; alcuni prima di cominciare gli chiesero se era successo qualcosa in famiglia e io lo vidi tentennare; probabilmente era in forse se mentire o meno.

-no è stato solo un momento di sbandamento personale.- ammise in fine.

Alcuni dei docenti si misero a parlare tra loro e Vincent cominciò ad esporre la sua proposta.

Discussero un po’ tra tutti e alla fine accettarono che lui facesse dei test per valutare se fosse realmente in passo con gli altri studenti.

Vincent si voltò verso il professore di educazione fisica –proverò a fare pratica con la sua materia- e lui ne sembrò entusiasta. Lo vidi avvicinarsi a quell’uomo e dirgli qualcosa che non riuscii a sentire, vidi solo il prof annuire.

Gli altri professori stavano lentamente andando via da quel consiglio improvvisato ed eravamo rimasti io lui e l’insegnante di educazione fisica.

-Will, puoi aspettarmi fuori?-

Aveva un non so che di pacato, quella sua richiesta; mi sembrava quasi di vederlo in una resa.

Uscii fuori rimanendo vicino alla porta, li sentii parlare, l’intero edificio era immerso nel silenzio e le parole si sentivano anche da fuori quella stanza.

Lo sentii chiedergli di poter fare le cose lentamente, nella sua materia. Lo immaginai intento a guardare il pavimento come a vergognarsi di quella piccola richiesta d’aiuto.

Facile immaginare un atteggiamento del genere da un tipo come Vincent che preferiva combattere e venire sconfitto miseramente ma affrontando sempre le cose a testa alta.

Non amava raccontare i suoi problemi, non volendo sembrare la vittima indifesa, odiava sia ricevere compassione che donarla in giro, odiava essere la vittima e odiava le persone che facevano la vittima, non fu difficile intuire il suo disagio nel confidarsi.

Lo sentii ammettere di avere un problema al livello alimentare ed era la prima volta che lo definiva un problema, era la prima volta che lo definiva un qualcosa, a dire il vero.

-sei allergico a qualcosa?-

Immaginai lo sguardo di Vincent quando il prof con quella sua frase rendeva noto che non aveva capito nulla.

-no prof, non in quel senso.- glielo disse quasi seccato.

Visto che nessuno dei due continuava a parlare intuii che il professore avesse capito di che genere di problema si trattasse. Alla fine sentii solo Vincent ammettere che non gli piaceva parlare di quelle cose.

 

Mi scostai dalla porta,  non era giusto origliare. Lo attesi poco più in là vicino agli armadietti; pochi minuti ancora e Vincent mi raggiunse -scusami se ti ho fatto aspettare fuori, vieni a casa mia?- gli annuii dimenticandomi completamente che nel pomeriggio Nelson sarebbe dovuto venire da me per finire di preparaci al test. -ah comunque ti ho riportato le tue fotocopie-  le cercai in borsa, quella mattina ce le avevo messe. -eccole- gliele diedi. -ehi ieri che ha detto Nelson?- mi sentii un idiota per come l'avevo messo in condizioni d'andarsene, dalla finestra per di più, ponendolo alla stregua di un amante da tener nascosto, oltretutto. -dio mi dispiace per ieri vin, ne sono mortificato; non so che mi sia preso, è che tra me e Nelson è tornato tutto normale e non so che mi è passato per la testa, avevo paura si arrabbiasse ancora- lui sorrise -ehi è normale, è lui il tuo amico- mi accigliai -no questo non è vero anche tu sei mio amico.- lui negò con la testa -intendevo, lui è il tuo amico vero, io sono il tizio che è arrivato e che per il momento c'è ma che domani potrebbe non esserci. Varrebbe la pena perdere la certezza per l'incertezza?- mi lasciò interdetto quel suo discorso, ero io paranoico o c'era qualcosa dietro? -c'è qualcosa che vuoi dirmi?- e come se m'avesse letto nella mente mi rispose -Will, non cercare qualcosa dietro le parole altrui, a volte sono solo parole e non nascondono nulla.- gli annuii ma non ne fui tranquillo.

 

La sua camera era in ordine, la finestra era aperta e non c'era puzza di fumo in giro -ehi ti ci stai impegnando per piacere a tuo zio eh?!- lo vidi arrossire un poco -già- mi rispose in imbarazzo. Non potei non sorridere, finalmente aveva qualcosa per cui uscire dal suo oblio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** capitolo XV ***


Nuova pagina 1

Ecco il capitolo quindici, dio sono esausta!

L’ho scritto in due giorni, tre per le correzioni e veramente veramente sono tanto stanca XD attualmente le pagine di vincent, della sua storia sono centosette, e l’idea originaria –decisamente più lineare e semplice- è andata a puttane intensificandosi tantissimo, ci sono aspetti di lui che anche io scorpro con voi e questo mi esalta tantissimo *-*

 

Alla prossima!

MaryKei-Hishi

 

 

Capitolo XV

 

Quando Victor tornò a farci visita portò con se anche un biglietto di ritorno in città per Vincent. Lo vidi cambiare espressione più volte, dalla contentezza di vedere il suo amico alla rabbia fino a toccare la rassegnazione. Non ne sapevo il motivo ma sapevo che Vincent sarebbe tornato cambiato dalla sua rimpatriata a casa; il destino non sembrava vederlo di buon occhio visto che, appena stava andando un minimo meglio gli si rivoltava contro mescolando le carte in tavola fino a disorientarlo nuovamente.

 

*

 

quando per telefono gli dissi che sarei andato da lui dopo quella lunga pausa che ci aveva tenuti divisi per un lungo periodo urlacchiò contento che mi avrebbe picchiato perché mi stavo dimenticando di lui, poi quando fui in stazione nei panni di mercurio mi abbracciò prima di sapere del mio oneroso compito; gli mostrai il suo biglietto alla volta della grande città e come era suo solito intuì immediatamente quel che rappresentava. In fondo gliel'avevo detto che era nato. Due giorni dopo avevamo il treno ma non sembrava volerci pensare, la sera del mio arrivo andammo a bere in un pub, mi stupii che ce n'era uno in quel paese orribile e triste; in fondo non mi ci aveva mai portato. -allora che mi racconti?- gli chiesi davanti alla mia vodka alla pesca e lui mi rispose dopo aver sorseggiato la sua bitta scura alla spina -ho iniziato a fare educazione fisica- ammise quasi imbarazzato -davvero?- era da anni che non prendeva parte a quelle lezioni e il fatto che me ne parlasse come se fosse un segreto da mantenere era indice del fatto che ci si stava impegnando ad essere un normale liceale. Annuì guardandomi appena -quindi ne hai parlato con qualcuno, no?- annuì ancora -con il professore, esplicitamente, qualcun altro credo l'avesse comunque intuito- fui io ad annuire -lo zio è una brava persona, anche se sembra un burbero falegname dei boschi- risi, non potei farne a meno, aveva perfettamente ragione, specialmente quando si ostinava a mettere quelle oscene camice a quadri che tendevano al rosso slacciate con la canotta della salute sotto. -comunque tuo zio non è male nemmeno visivamente se solo stesse un po' più attento al look- gli dissi, ormai per me era deformazione professionale – già ma perderebbe quel non so che di burbero che si ritrova- sospirò -Vincent. Ti piace?- inarcai un sopracciglio, quel sospiro non mi piaceva per niente -è dolce con me- ovviamente dai suoi racconti, per lo meno dagli ultimi che mi aveva fatto, non c'era assolutamente nulla di dolce in lui. -che è successo che mi sono perso?- lui mi sorrise -un sacco di cose che non ti racconterò così impari ad escludermi dalla tua vita- mi mostrò l'indice come puro segno d'amore. Ridacchiai, non potevo far altro due giorni più tardi tornammo entrambi in città, sul treno era più che silenzioso, tanto che se non mi fossi accertato visivamente che lui era lì con me avrei potuto cadere nel dubbio che fossi partito dimenticandomelo in stazione come un vecchio bagaglio d'esubero.  Guardava fuori e osservava il suo respiro appannare il vetro tanto ci era appiccicato. -non ti sei portato niente- costatai e lui mi guardò -ho ancora tanti vestiti a casa- faticò nel dire “a casa” quel luogo non l'aveva mai sentita una casa, men che meno dalla morte di suo fratello -mi fa strano andare al battesimo di... non so nemmeno come si chiama. Mi sembra tanto che sia un sostituto di Horge.- mi disse vacuo -si chiama Steve.- lo illuminai e lui sospirò -sono tagliato fuori, lo vedi no? Allora perché per una cosa del genere dovrei tornare?- mi chiese ma la risposta la sapevamo perfettamente entrambi. -sono degli ipocriti di merda – lui mi annuì -oggi farò il bravo- mi confidò quasi come se si stesse aggrappando all'ultima speranza di sopravvivenza che aveva, con un aria piatta, di rassegnazione. Negai automaticamente con la testa, non che non volessi che facesse il bravo, ma quello non era Vincent, lui non era una natura morta, lui era vivace ed esuberante. -stare  lì ti fa pi male che bene.- lui tornò a guardare fuori, lo sapeva perfettamente. Mi avvicinai a lui baciandogli piano il collo e ben presto si voltò per ricevere quelle attenzioni sulle proprie labbra rispondendo ai miei contatti. Una coppia vicino a noi s'impose di distogliere il proprio interesse da noi iniziando a porgerlo altrove. Su una rivista di trekking ad esempio, come quella che c'era abbandonata da chissà quanto nel sedile accanto al loro. A vederli nessuno dei due aveva una minima vena di sportività in corpo, cosa si arriva a fare pur di non rimanere intrappolati in qualcosa di cui non si è certi di voler scoprire, eh?

-Vic, non lasciarmi solo con lui- mi chiese nascondendosi sul mio collo e gli carezzai i capelli annuendo -stava iniziando ad andare bene, avevo la mia dimensione, e arriva lui e distrugge le fondamenta che iniziavo a costruire, come ha sempre fatto. Ha il potere innato di farmi quel che vuole e io non so se lo voglio più-  lo zittii continuando ad accarezzargli i capelli -tu finirai in carcere per averli ammazzati tutti.- gli dissi e lui si mise a ridere -no, ucciderò loro due e scapperò con Steve, e tu verrai con me in qualche isola sperduta dove ci nasconderemo vita natural durante.- fui io a ridere -non ti aspettare un amore di bambino, è orribile- lui s'alzò incuriosito, -davvero?- annuii -non ha ripreso ne da tua madre ne da tuo padre, è completamente differente da te e non assomiglia nemmeno ad Horge.- lo vidi ridacchiare -menomale- ammise per poi continuare -mia madre si sarà fatta scopare da qualche barbone, quella puttana- i due davanti a noi ne furono allibiti tanto che si alzarono per cambiare posto, evidentemente potevano “passare sopra” al fatto che ci fossimo baciati ma non all'appellativo di un figlio nei confronti della madre.

Il viaggio continuò vedendomi a tranquillizzare Vincent e a infondergli coraggio. Appena arrivati in stazione prendemmo la metropolitana per arrivare al quartiere signorile in cui vivevamo, dovetti lasciarlo solo per quella mezza giornata, ci saremmo visti il giorno dopo, a casa sua dove la cerimonia avrebbe preso corpo.

 

*

 

non avevo mai visto casa loro addobbata come in una grande festività; non erano mai stati soliti adornare con lustrini colorati e festoni nessuno dei compleanni dei loro bambini o per i giorni di festa comune che potevano essere il natale, la pasqua o che so io. Non ero abituato a vedere Vincent vestito elegante, le due cose, per me, non si accoppiavano, era come abbinare un paio di infradito con i calzini, non erano indicate le une con le altre. A conti fatti non ci stava male ma non sembrava lui;  se ne stava accanto al padre con lo sguardo perso mentre questi gli teneva le spalle come a volerlo tenere sotto controllo. Con sua moglie poco distante tutta contenta di avere la sua nuova creatura tra le mani.

 

Quando provai ad avvicinarmi a lui fui sorpassato dal fotografo che voleva immortalare la famiglia al completo, beh per lo meno i sopravvissuti.

Anche se c'era tanta confusione in quella casa che sciamava in un chiacchiericcio infernale mi sembrava di essere di fronte ad un patibolo; come vedere un condannato a morte che pensa a chissà quali stranezze prima di essere appeso per il collo. A che stava pensando Vincent? Cosa aveva in mente di fare? Lo vidi prendere aria, come se nella testa le immagini del “dopo” gli fossero passate nitide come un presentimento dalle solide basi piantate nella realtà.

 

Il padre lo attirò più vicino a sé e la moglie li raggiunse, sorrisero compiaciuti di tutte quelle attenzioni per il loro figliolo, Steve. Il fotografi gli ripeteva che erano perfetti e io sentii dire ad una signora, altolocata quanto tutti gli altri, a bassa voce ad una sua amica pettegola “se pure questo gli dura” la guardai ma lei non se ne accorse, come poteva dire una cosa del genere?

La morte di Horge era stata un mistero quanto un fulmine a ciel sereno; si era ucciso per una delusione d'amore, avevano detto ai pochi intimi di turno, consci che anche quelli non avrebbero tenuto la bocca chiusa; sembrava quasi una mossa studiata.

 

Mi venne il dubbio che avessero mandato via Vincent con l'intento di avere un altro figlio, come se fosse qualcosa da fare senza che lui lo sapesse se non a fatti avvenuti, come poi era stato, visto e considerato che non sapeva nemmeno come si chiamava il suo nuovo fratello.

 

-prendi tu il bambino, piccolo- lo esortò il fotografo e lui guardò il padre che gli annuì, come in un tacito accordo di mafia lei guardò il marito, che era il boss, e gli annuì e lei eseguì gli ordini. Lo tenne fra le braccia e lo guardò a lungo e lui cercò di allungare una manina per toccargli il viso, vagendo un gridolino divertito, evidentemente gli piacevano i suoi capelli biondo cenere;  lo vidi allontanarlo da se e restituirlo alla madre per poi andare via, lo seguii per potergli parlare ma il signor D, suo padre, mi precedette. Erano al piano superiore e io ancora sulle scale quando sentii che avevano iniziato a discutere.

 

Ormai sul suo patibolo ci era salito, non poteva che morire decorosamente.

 

Lo guardai dallo scorcio che mi offrivano le scale, colmo di lacrime troppo a lungo trattenute; -è il sostituto di Horge vero?- gli chiese rabbioso -lo amerai come facevi con lui no?!- sembrò un accusa -che ti ho fatto io?!- gli ringhiò in faccia e prima che lui potesse quantomeno desiderare di rispondere lui riprese a sputargli addosso il suo veleno -perché non sono mai stato come lui e come questo nuovo mostro che avete messo al mondo?!- si sfregò una mano sugli occhi e mi fece tanta tenerezze, la sua disperazione aveva toccato il fondo. - non solo ho cercato di essere come Horge, ho cercato di essere più di lui ottenendo che cosa?! Indifferenza. Mi odi fino a questo punto??- tirò su con il naso, il padre sembrò annoiato e volenteroso che quel discorso finisse al più presto -tu sei malato nel cervello- gli disse semplicemente con aria seccata -ora se hai finito torniamo alla festa di tuo fratello.- Vincent negò -tu mi hai mai amato?- gli chiese esaurendo ogni forza e lui non rispose avvicinandoglisi -rispondimi!- scattò lui sulla difensiva allontanandosi -quando hai iniziato ad odiarmi così tanto?!- gli urlò in faccia -quando mi hai tolto la cosa più bella della mia vita.- gli rispose atono il padre e vidi Vincent gelarsi. Cosa gli aveva tolto di così importante? Mi si bloccò il respiro quando capii. Non poteva essere realmente fattibile. 

 

Vidi il signor D fare dietrofront e fuggii via per nascondermi se m'avesse visto sarebbero stati cavoli amari per tutti. Attesi che passasse dal mio nascondiglio e ritornai sulle scale per andare dal mio amico. Era seduto per terra, intento a soffocarsi di lacrime -voglio andare via- mi disse quando mi misi seduto accanto a lui -Vic voglio andarmene.- lo consolai senza dirgli nulla, gli accarezzai i capelli e gli asciugai le lacrime baciandolo, le parole erano le ultime cose di cui aveva bisogno.

 

*

 

durante il resto della cerimonia apparì impassibile a tutto, non osai immaginare cosa potesse montargli dentro dopo quella discussione. Fu la prima volta che sentii che c'era una barriera che mi impediva di raggiungerlo e non mi piacque affatto come sensazione. La sera lo trascinai a casa mia rubandolo al suo ruolo di figlio non voluto nella sua famiglia.

Non appena entrati in casa endrew e Andrea ci sono saltati addosso, sono due pesti quei due gemelli, lui odia Vincent lei lo adora e, di conseguenza non sopporta me. È strano come siano sempre riusciti ad andare d'accordo rappresentando uno l'antipodo dell'altra. Eddy ha provato a seguirci, ma non era aria di avere marmocchi lamentosi ed appiccicosi, per quel giorno; entrati in camera lo vidi mettersi seduto sul mio letto -non ti azzardare- gli dissi e lui mi guardò stupito -a tagliarmi fuori intendo.- gli spiegai ma lui aveva già capito a cosa mi riferissi, in fondo aveva la coscienza sporca era ovvio che intuisse in un secondo. -non lo sto facendo apposta Vic.- ammise guardandomi quasi tristemente -è che penso e penso e voglio prima capire bene come mi sento e devo farlo da solo- negai -tu lo sai come ti senti, solo che hai paura di ammetterlo. Il Vincent che conosco io non ha paura, non teme niente e nessuno- lo informai, evidentemente di era scordato chi era Vincent.

Lui annuì  -Vincent non avrebbe paura di dire che vuole tornare da suo zio- disse parlando di sé in terza persona e io annuii -di cosa altro non avrebbe paura Vincent?- gli domandai spronandolo a continuare -non avrebbe paura di dire che qui non ci vuole stare perché vuole stare bene- gli sorrisi avvicinandomi a lui -e con chi starà Vincent non appena sarà maggiorenne?- lo vidi sorridere -con l'amore della sua vita- lo baciai annuendo -Miami, mi raccomando, mi piace e poi ti ci vedo a fare la pubblicità dei costumi da bagno, con la treccia, posso farti la treccia?- cambiò argomento così repentinamente che mi venne da ridere, era tornato ad essere l'esuberante Vincent che andava a tremila. Annuii e gli diedi la schiena e lui mi pettinò i capelli passandoci in mezzo le dita -stai bene con la treccia, sembri un australiano, ti manca solo la tavola da surf e la collana con il dente di squalo. Appena ne trovo una te la regalo.- mi confidò dividendomi i capelli in tre ciocche pressappoco della stessa stazza. Iniziò ad intrecciarle -perché non provi a fare la pubblicità dei costumi da bagno?- risi -non sono io a chiedere in giro se mi vogliono per le pubblicità Vin, sono loro che mi cercano- risi della sua inesperienza e lui mi strattonò i capelli adirato dalla mia ironia -tu farai la pubblicità in veste di australiano a Miami. Punto.- gli annuii come si faceva ai bambini che dovevano, per forza di cose, avere sempre ragione -mi sembri Eddy, ti giuro.- lui se ne sorprese -non sono come lui Vic, Edward è insopportabile!-me lo abbracciai facendolo stendere sul letto -appunto- gli dissi -solo che tu sei un amore, oltre che insopportabile, e più grande, lui è insopportabile e piccolo e basta- mi mostrò nuovamente con amore il medio accigliandosi e io glielo baciai facendolo arrossire; da quanto non vedevo Vincent arrossire? Troppo tempo. -senti domani torni con me? Stai un po' di giorni a casa con me e zio, mi farebbe piacere- sospirò probabilmente sentendosi sulla pelle la mia risposta negativa -lo sai che io non vado molto a scuola e ogni tanto devo fare dei test, in questi giorni devo farli piccolo, non prendertela, appena escono i risultati sono da te, promesso.- gli baciai la fronte -mi hai chiamato “piccolo”- mi fece notare -uhm, si credo di si- Vincent annuì illuminandomi poi sul fatto che ci aveva letto una sorta di libro dove il maggiore dei due personaggi era solito chiamare “piccolo” il compagno più giovane di qualche anno sorrisi chiedendo di raccontarmelo e lui anziché parlarmi della storia di per sé mi parlò dei personaggi, delle sensazioni che gli avevano trasmesso, proprio come era solito fare lui, non guardando affatto contenuti e stile ma concentrandosi su emozioni e sensazioni. -il più grande infondeva sicurezza, come se avesse il libro del destino fra le mani e potesse scriverci su a piacimento. Era sempre tranquillo e pacato e bastava una sua carezza per far sentire la sua principessa tranquillo. Invece quel deficiente di quello piccolo mi stava antipatico. Era una zoccola.- risi, non potei farne a meno. -più che altro il”grande della storia” ci chiamava un po' tutti i suoi amori “piccolo”- notò lui stesso tra i suoi ricordi facendomelo notare -magari me lo presti sto libro- proposi e lui si illuminò tutto.

 

Lo accompagnai in stazione il giorno seguente, poco prima di pranzo, lo vidi salire il primo gradino del treno e poi si voltò -vado a conquistare il mondo- affermò deciso e io gli annuii -buona conquista, piccolo.- e lui mi sorrise tornando indietro per baciarmi, non l'avrei lasciato andare se non l'avesse fatto un'ultima volta prima si salire su quell'ammasso di ferraglie. Gli annuii dopo il bacio e lui salì sul vagone andandosi a mettere seduto, lo seguii passo passo dalla banchina fermandomi dove lui si era seduto, vicino al finestrino; lo vidi abbassarlo e poco prima del fischio che annunciava l'imminente partenza mi urlò di crescere in fretta gli sorrisi -idem vin, cresci in fretta!- ma la mia voce venne coperta dal fischio e lo vidi rientrare dal vetro abbassato tappandosi le orecchie.

Prese il cellulare mentre la vettura iniziava a muoversi mandandomi un messaggio che diceva che era diventato sordo, pressapoco. “non si può non amarti” gli scrissi prima di uscire dalla stazione, una valanga di libri mi aspettavano, a casa.

 

*

 

Vincent era davanti a casa mia e mi aveva un messaggio così andai ad aprirgli, non sapevo fosse già tornato, non mi aveva avvertito altrimenti sarei andato a prenderlo in stazione. -e tu che ci fai qui?- gli chiesi inarcando un sopracciglio, Nelson mi raggiunse in un attimo avendomi visto alzarmi repentinamente dal divano quando mi era squillato il cellulare, sbuffò scontroso tornando a sedersi, feci entrare il biondo e sgridai Nelson. Basta stare tra l'incudine e il martello.

-scusate l'intrusione, ma non mi sono portato le chiavi di casa di zio e lui è fuori e non posso entrare- lo tranquillizzai, aveva fatto bene. -allora? Racconta, come è andata?- lui mi guardò allungo -una merda.- Sospirò -sta volta è come se mi sia reso conto che mi ha cacciato.- ci confidò e Nelson sembrò addolcirsi guardandolo, forse provando tenerezza nei suoi confronti. -mi dispiace- gli dissi con tutta la mia sincerità, era triste e si vedeva. Forse si perse nel ripensare al suo rimpatrio e probabilmente ripensò alle parole che dovevano essersi scambiati, perché in un momento di sconforto venne ad a rifugiarsi tra le mie braccia e lo sentii piangere. Tipo non l'avevo mai visto piangere. Lo rassicurai carezzandogli la schiena e Nelson rimase in silenzio -ha detto che mi odia- ci confidò e io lo strinsi più forte tra le mie braccia, Nelson gli accarezzò i capelli -si dicono tante cose che non si pensano- gli disse  con voce calma e rassicuratrice. Lui negò strusciando il capo sulla mia maglia, -allora è un deficiente che non ha capito niente.- sbottò all'improvviso Nelson, quasi seccato, come se fosse stato veramente dentro l'argomento. -e se lo dico io, cavolo se puoi crederci- gli sorrise quando si voltò a guardarlo, gli diede un pugno su una spalla -non dargliela vinta, non se le merita quelle.- gli indicò le lacrime e Vincent se le asciugò; -ecco, meglio.- era strano sentir Nelson incoraggiare Vincent, consolarlo, per un certo qual modo, proprio lui che non l'aveva mai sopportato? Forse aveva capito che non era quel demonio che credeva.  Una volta calmato prese posto sulla poltrona di fronte al divano che occupavamo io e Nelson, che, a detta sua era più che affamato -tu vuoi qualcosa da mangiare?- chiesi a Vincent mentre mi alzavo per andare in cucina, lui negò e io mi soffermai a guardarlo -no, mi sono abbuffato al battes- mi guardò senza terminare quella frase iniziata velocemente -no non ho fame e basta.-  mi rispose sinceramente -ok, vieni comunque in cucina con noi- non fu una domanda e lo vidi annuire e alzare. Aprii la credenza e tutti e tre sbirciammo dentro, Nelson mi indicò delle merendine a cui non non arrivava e io gliele presi tranquillamente, poi vidi Vincent prendere dei fiocchi di mais, quelli con i quali io facevo regolarmente colazione -vuoi una tazza con il latte?- lui negò – solo un piattino, o un tovaiolo,- gli presi il piatto che mi aveva chiesto e ci mettemmo seduti al tavolo della cucina. Lo vidi versarsene un po' nel piatto, li mangiò così prendendone uno alla volta dal piatto spiluccando come un pulcino -non ho mai visto mangiare i cereali in questo modo- lo scricchiolio dell'incarto della crostatina al cioccolato di Nelson coprì quasi la sua voce e lui inveì contro la pellicola trasparente, era buffo, sembrava essere imbarazzato da una situazione che presumibilmente non si era mai trovato davanti e che non sapeva gestire. -il latte puzza e poi se ce li metto dentro diventano viscidi, a me piacciono solo cose dure- vidi nelson alzare lo sguardo imbarazzato mi misi a ridere, era bello andare d'accordo tutti  e tre -ma sono cose da dire?!- lo sgridò e Vincent non capì a cosa si riferisse, fece mente locale aggrottando le sopracciglia e poi s'illuminò all'improvviso -aah! Beh ma è vero.- la sua spontaneità fece arrossire Nelson -tu devi smettertela di farti dei problemi inutili, ti piace l'uccello, è evidente, ma per qualche strana ragione bigotta te ne vergogni.- gli parlò seriamente e Nelson cercò di dirigere la propria attenzione altrove, cercando, senza riuscirci, oltretutto, di nascondere il suo imbarazzo. -ehi non sto scherzando- gli lanciò un cereale e lo colpì sul collo -che mira- ridacchiò compiacendosi da solo -guardami negli occhi e dimmi “non ho mai pensato ad un ragazzo mentre mi masturbavo”- lo punse sul personale assottigliando gli occhi e Nelson si alzò furente, perfetto, il momento di pace comune era finito; in fondo la faida è faida.

Mi fece sobbalzare quando batté le mani sul tavolo e i cereali di Vincent sussultarono con me. -ok ok lo ammetto, ma non era per piacere ma per gelosia!- sbottò all'improvviso Nelson e io lo guardai inarcando un sopracciglio, sentii Vincent scoccare una risatina sarcastica -non era per piacere?- gli chiese retorico -tranquillo William non te lo porto via- gli fece l'occhiolino e Nelson boccheggiò oltraggiato dal suo comportamento e dalle parole che aveva appena pronunciato; lui mi guardò -gliel'hai detto??!- vidi Vincent illuminarsi all'improvviso, voltarsi verso di me -cosa? Cosa avresti dovuto dirmi?- era curioso come un bambino ed esuberante in egual modo. -no, non mettetemi in mezzo- mostrai ad entrambi i palmi delle mie mani, io in quella discussione c'ero già fin troppo dentro, non ci avrei messo bocca, oltretutto. -spicciatevela tra voi- e comunque ero curioso di vedere come sarebbe andata a finire.  Vincent chiese nuovamente cosa avrei dovuto dirgli, ma lo chiese a Nelson che avvampò  all'istante senza però rispondergli -so essere petulante eh- ci minacciò iniziando a chiedere a raffica “cosa? Cosa? Cosa?” dopo una ventina di quei “cosa” ripetuti costantemente senza fermarsi Nelson si rimise seduto -ci siamo baciati ok?- e vidi Vincent sorpreso per la prima volta, -oohh- batté le mani entusiasta, una volta e le lasciò unite -che carini- ce lo disse come se avesse visto il cucciolo più dolce del mondo -raccontatemi!- ci ordinò ma io già avevo detto che ne sarei rimasto fuori -quando?- Nelson negò -già sai troppo!- negò fortemente con la testa -non devi sentirti in imbarazzo!- lo rimproverò alzandosi per poi andare a sedersi vicino a lui -devi imparare a parlare di quel che senti.- gli disse serio -anche tu- gli disse in risposta Nelson -ti conosco poco e non ti ho mai sopportato, però piangere presumibilmente di nascosto, da solo senza parlare con nessuno non fa bene, come non lo fa a me, non lo fa nemmeno a te.- Vincent sembrò gelarsi e non gli rispose, sospirò, molto semplicemente.

Lentamente si morse le labbra cosciente del fatto che stava predicando il giusto senza muoversi in quelle direzioni tanto decantate. -è un po' più complicato, rispetto ad un bacio tra adolescenti- gli disse più che calmo, non era per manie di grandezza, ne per nascondersi, l'aveva detto pacato, quasi rassegnato. -l'importante poi è trovare una dimensione dove stare bene.- giurai di aver visto venirgli la pelle d'oca sulle braccia; Nelson annuì e gli carezzò i capelli come se fosse stato un cane -giusto e non dirlo solamente, fallo.- gli ordinò e quello annuì con la testa -vale anche per te.- a me sembrò che venissi tagliato fuori, per quel momento, ma andava bene così, si erano chiariti in parte e mi parve che ci fosse stato un armistizio.

 

Nei giorni seguenti, a scuola, per le lezioni che seguivamo in comune eravamo sempre tutti e tre vicini e Vincent sembrava avere delle premure nei confronti di Nelson. Mi piaceva quel nuovo status. Eravamo tre, stavamo bene insieme e gli screzi iniziali dopo un lungo periodo sembravano essere stati superati.

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Capitolo XVI

 

Mercoledì mattina aveva un ora di buco appena dopo chimica e il professore che l'ora seguente non avrebbe avuto classi decise, di comune accordo con il preside, di farci supplenza, tanto per non lasciarci scoperti, ci annunciò che avrebbe fatto un ripasso collettivo soffermandosi appena sulle lacune che avevamo nello specifico, niente voti, c'aveva promesso, e a noi era andata bene come cosa, chimica era una materia ostile a molti. -quindi se noi sciogliessimo una medicina in acqua cosa otterremmo?- chiese e ci fu un silenzio imbarazzante -Vincent?- lui alzò la testa per guardarlo -un miscuglio tra i componenti del medicinale e l'acqua.- ok, detto così era ovvio -se invece mischiassi acqua e aspirina effervescente?- Vincent si accigliò -la stessa cosa- rispose ovvio -sei sicuro?- sembrò ragionarci un istante -cazzo l'anidrite carbonica! È vero!- il professore si accigliò -giusto, ma eviterei certe imprecazioni- Vincent si scusò con il professore nemmeno troppo convinto appuntandosi il particolare, lo punzecchiai da dietro -sei un secchione da quando ti sei messo in testa di non perdere l'anno- lo informai -ma che dici- rise -so che posso essere il migliore- si indicò la testa -qui dentro c'è una macchina perfetta- intendendo il suo cervello -ci fai ripetizioni?- gli chiese Nelson seduto accanto a me -certo, ma pretendo un compenso- lo informò -soldi?- Vincent gli negò -pensavo ad un altro tipo di pagamento- lo guardò malizioso e Nelson comprese quando lo vidi arrossire -deficiente!- lo accusò Nelson imbarazzatissimo, Vincent rise compiaciuto dal suo imbarazzo e la cosa fece sorridere anche me.

 

Nei giorni a seguire Nelson sembrava sempre più infastidito dalla presenza di Vincent, gli era sempre intorno.

Vedevo Nelson che iniziava a stare sul suo limite della sopportazione, non gli erano mai piaciuti i tipi appiccicosi; ma evitavo di intervenire, ognuno doveva spicciarsela per conto proprio.

Vincent un giorno fece il passo sbagliato che diventò la goccia che fece traboccare Nelson.

 

Stavamo cambiando aula, andavamo al laboratorio di scienze e ci eravamo fermati davanti agli armadietti per prendere i nostri libri, e Peter si fermò per parlare con Nelson, era uno dei suoi nuovi amichetti, da quando avevamo allentato la nostra amicizia passava ancora del tempo con loro.

Diceva di trovarli simpatici e questo Peter aveva, sempre secondo lui, le carte in regola per diventare il suo nuovo migliore amico.

Certo un migliore amico che non sa che da piccolo avevi paura del fruscio del vento tra le fronde degli alberi perché credevi che erano mostri che ti seguivano e che non sa quanto tempo sei riuscito a stare in apnea al lago durante una gara idiota indetta dai ragazzi più grandi probabilmente per vederci moribondi entro la fine della giornata.

Un normale migliore amico che hai incontrato per caso e miracolosamente diventa una sorta di dio minore sceso in terra per prendere il posto dell'originale.

 

...non che io mi sia mai creduto un dio, ovviamente, ma qualcosa di Nelson l'ho sempre saputa.

 

Questo ragazzo si avvicinò a noi e sorrise amabilmente a tutti quanti fermandosi ad interloquire con il suo amiketto*, Vincent li guardò e abbracciò da dietro Nelson poggiando la testa sulla sua spalla e guardò quell'altezza smisurata di Peter e gli sorrise, non amabilmente, non in maniera malvagia o maliziosa, sorrise come sapeva fare lui, sorrise con quel sorriso lì, quello che precede un casino immenso e imminente e irrimediabile.

-non intrattenerti troppo con il mio ragazzo, sono un gelosone io.-

il fatto che fosse una fandonia ovviamente andava da sé; aveva usato un aggettivo improponibile per se stesso in quella frase e quello era la prova inconfutabile del suo scherzo.

Da la fatto poi che, ne Nelson ne il suo amico lo compresero io mi resi conto che iniziavo a conoscere Vincent e i suoi modi di fare come un “miglior amico” decisamente migliore di quello che sarebbe mai potuto essere Peter per Nelson.

Vincent poteva autodefinirsi perfetto, egocentrico, ovviamente al di sotto di qualsiasi altra persona, decisamente intelligente non che bellissimo ma non un “gelosone”. Sapeva veramente tutto quanto di ridicolo e ripensare a lui che si definiva a quel modo mi fece ridere, di cuore e lo vidi sorridere mentre il gelo era sceso tra noi e gli altri due.

Nelson aveva balbettato qualcosa mentre il suo amico si era ammutolito totalmente e Vincent lasciò la presa e venne vicino a me -sei uno stronzo ridi delle mie disgrazie- mi disse puntandomi uno di quei suoi ossuti gomiti contro un fianco -potevi trovarti un ragazzo migliore.- gli dissi continuando quel suo scherzo -te ad esempio- mi chiese senza domandarmelo chiudendo gli altri due fuori da ogni scherzo, da ogni discorso avvicinandosi così da farmi arrivare con le spalle agli armadietti -me?- domandai io, cos'era, lo scherzo mi si era ritorto contro?

In quel momento non pensai ad altro se non a guardare Vincent negli occhi e vidi che per una volta era serio. -me.- ripetei senza chiederglielo e mi sentii così importante da mandare realmente in malora tutto quanto, la scuola, la famiglia, anche Nelson.

Probabilmente non ero così valoroso come migliore amico a conti fatti.

Sentii le mani di Vincent arrivare al mio viso e toccarmi le labbra e tutto il resto era sparito, in un sottofondo nella cassa armonica del mio corpo il battito del mio cuore suonava in un accelerato volume e io non capivo più niente.

-non è vero!- sentii dire poi alle sue spalle e un Nelson davvero arrabbiato lo prese per una spalla imponendogli di girarsi, li vidi guardarsi e vidi il sorriso di Vincent smorzarsi alle sue parole di sdegno e offensive.

-non sono come te, lo capisci? Mi hai fatto pena quella sera ma tutto si ferma lì, mi fanno schifo i maschi!- urlò e i ragazzi nel corridoio con noi si fermarono a guardare cosa stesse succedendo, Nelson sembrava un fiume in piena che non si decideva si smetterla e io non ci stavo capendo niente.

Vidi l’amichetto di Nelson poggiargli una mano sulla spalla e sussurrargli di calmarsi, che era ovvio che lui non era “così”.

Nelson sembrò riprendersi a quelle parole –ovvio che non sono così- disse guardando un ultima volta Vincent, meno incattivito e decisamente schifato da quel termine che come un tabù non pronunciavano.

Vidi Vincent prendere il suo libro e andarsene e mi parve di vedere un cane bastonato e denigrato che si allontanava con le orecchie basse e la coda tra le gambe.

Scossi la testa guardando Nelson, aveva sbagliato e di grosso e raggiunsi Vincent.

 

-vin?- lo richiamai ma mi fece segno di stare zitto per poi allontanarsi anche da me –ehi no, che fai?- gli dissi prendendogli la mano e lo vidi guardarmi con cattiveria -stai zitto, stronzo- mi intimò e mi azzittì per come mi aveva chiamato e il suo tono –andate a fanculo tutti.- sibilò lasciandomi il suo libro e prese la via dell’uscita.

Lo inseguii arrivando con lui fino al cortile della scuola che a quell’ora era deserta e lo presi per un braccio ma lui mi scansò –cosa cazzo hai da dire ora eh?- mi chiese e io non riuscii a capire, cosa intendeva? –oddio ti prego aggiungi merda su di me, ti prego, mi fa piacere sai?- mi disse ironicamente –cosa stai dicendo?- gli chiesi, cosa voleva…?

-taci, ora stai zitto, ora non ha senso che parli, con quello che dici, ora, mi ci pulisco il culo.- mi disse ancora facendomene una colpa.

Mi morsi appena le labbra anche se non avevo capito ancora perché ce l’aveva con me in quel momento, io non avevo fatto niente…

 

-vaffanculo.-

 

Mi disse ancora prima di andarsene e lasciarmi lì, solo e senza una risposta.

 

Nei giorni seguenti non lo vidi ne lo sentii e mi disse Victor qualche giorno più tardi che si era piantato a casa sua e stava lì e mi chiedeva cosa fosse successo, semplicemente con me non ci aveva più parlato come se fosse la cosa più semplice da fare.

 

Uno di quei pomeriggi vuoti senza di lui Victor mi chiamò al cellulare, chiedendomi cosa fosse successo -non lo so nemmeno io, speravo potessi dirmelo tu- mormorai lo speravo veramente.

-ieri sera mi ha detto qualcosa ma non ci ho capito assolutamente niente, ha farneticato cose assurde- mi sentii dire -ma puoi passarmelo?- lo sentii negare e sospirai -non vuole ancora parlarmi?- gli chiesi e rimase in silenzio per dei lunghi attimi -no veramente finalmente sta dormendo, è crollato poco fa- ammise e lo sentii sospirare come se stesse guardandolo premurosamente come un fratello maggiore -pensi di poter venire domani? Forse dovreste chiarire- cosa? -io venire lì?- chiesi -è troppo per un piccolo bambino di paese?- mi chiese e mi accigliai, ma che diceva? -no ovvio che no, ma, solo?- e fui sicuro se pur senza vederlo che a quella frase fosse stato lui ad accigliarsi. -ti serve l'accompagno? Tranquillo non venire, probabilmente non sei tanto importante da farlo star male ancora per molto, si riprenderà perfettamente tra pochissimo.- e dopo quella frase priva di punteggiatura e pause, detta così, in fretta e senza darmi il tempo di rispondere sentii che aveva attaccato e quando provai a richiamarlo una voce meccanica mi avvisò che il suo cellulare era spento.

Probabilmente aveva premuto il tasto rosso tanto forte da far spegnere il cellulare.

Era stato sprezzante e io non capivo cosa stesse succedendo, era come se gli avvenimenti mi fossero girati attorno tanto velocemente da confondermi, era come se la vita fosse andata avanti senza aspettarmi, non credevo che una cosa del genere fosse stata mai possibile ma io ne ero la prova stessa.

Probabilmente non sei tanto importante da farlo star male ancora per molto.

Era vero? Ero stato io a farlo star male? A farlo fuggire e a rifugiarsi da Victor?

Ero diventato veramente tanto importante?

 

Mi sentii in colpa ma non riuscii a non sorridere e il giorno dopo mentii ai miei genitori per la prima volta in vita mia, prima di allora non ne avevo mai avuto bisogno;

con i soldi che avevo nella mia cassettina di latta mi pagai un biglietto per la città e una volta in quella stazione mi sentii un cretino, completamente spaesato, di certo non era una stazione con due soli binari come quella della cittadina dove sono nato e cresciuto e tutta quella gente mi aveva messo addosso un’inquietudine che era simile ad una fobia.

Nonostante ci fossi già stato non sapevo dove andare, quando ero stato lì c’era Vincent con me e io mi ero affidato completamente a lui lasciandomi guidare completamente.

A meno che non volessi passare lì il resto della giornata non mi rimaneva che chiamare Victor e quello mi rispose riluttante.

-che vuoi?- chiese –mi vieni a prendere?- gli chiesi e quello subito mi domandò ancora un “cosa?!” decisamente infastidito –ehm, c’è un uomo inquietante che mi guarda e non so dove andare per venire da voi.-gli confidai –oh- lo sentii dire e poi stette in silenzio per un secondo –questa è una cosa interessante- mi confidò e la sua voce in quel momento aveva un non so che di divertito nel tono.

-sbrigatevi- gli dissi ancora e quello mi annuì sulla cornetta riagganciando subito dopo, sicuramente nel tempo che ci misero a venire Victor stava convincendo Vincent

sperai che quasi come a saper sfruttare qualche sorta di teletrasporto in pochi minuti sarebbero stati lì a prendermi ma quando furono passati pi di dieci minuti mi misi seduto su uno scalino pronto con il cellulare in mano a chiamare la polizia se qualcuno m'avesse avvicinato, rivolevo il mio paesino di provincia dove tutti conoscono tutti, dove non c'è bisogno di chiudere a chiave la porta perché non ci sono malintenzionati e dove se ti servono due uova vai dalla vicina e entri in casa salutandola come se fosse la cosa pi naturale del mondo.

La città è completamente diversa, piena di persone schive che pensano solo a loro stesse piena di ragazzini tenuti buoni con i loro giocattoli interattivi e costosi, ragazzini che non hanno mai giocato con una gallina o falciato un prato per guadagnarsi la paghetta.

Mi resi conto che ero contento di non aver vissuto in città, appena tornato a casa avrei ringraziato i miei genitori per tutto e per niente allo stesso tempo, in fondo avevo mentito per la prima volta per andare nella fogna a salvare qualcuno.

 

Quando vidi Victor in lontananza che avanzava verso di me mi sembrò di aver visto l'apparizione della Madonna, finalmente un viso conosciuto, finalmente qualcuno che mi avrebbe salvato.

 

-ehi, come mai Vincent non c'è?- gli chiesi ancor prima di salutarlo e lo ammetto, quella volta la battuta caustica glie l'avevo messa su un piatto d'argento. -oh si, sto bene, sono contento che tu me l'abbia chiesto, credo anche io che la treccia mi valorizzi maggiormente.- sospirai, aveva ragione. -scusami è che sono preoccupato.- lo vidi annuire e prendermi per un braccio -andiamo è già tanto che non t'abbiano violentato, fortuna che sei venuto di giorno, la sera qui è invivibile, in special modo per uno che viene dalla provincia come te.- io non sono mai riuscito a capire perché quando erano loro che dicevano quelle cose lo facevano apparire come una vergogna essere vissuto e cresciuto in provincia, era bello, verde e tranquillo e specialmente non dovevi star attento ad essere violentato ad ogni vicolo, parole loro eh, non di certo mie.

Mentre mi facevo tirare per il braccio da Victor notai quanto era diversa la sua stretta da quella di Vincent, lui m'aveva preso per il braccio, la mia mano era libera e penzolava dietro ai nostri movimenti, era seccato mentre mi tirava però nonostante tutto mi trainava verso casa sua e verso Vincent, quando invece era stato il biondo a portarmi in città appena scesi dal treno sembrava un ragazzino, era contento e mi stringeva la mano, forte, come a non volermi perdere e mi indicava ogni cosa assurdamente interessante che incontravamo, piccioni compresi.

 

Forse per Vincent non sarei mai dovuto esistere come amico, era evidente che nonostante tutti cercassero di farmi notare il contrario ero diventato importante nel mio piccolo e nella realtà alternativa del paese in cui Vincent era stato catapultato.

-Vincent torna a casa con me.- gli dissi all'improvviso e Victor si girò a guardarmi come se con quelle parole avessi pronunciato la più grande bestemmia esistente, e probabilmente quella non l'avrebbe sconvolto tanto come le parole che avevo pronunciato.

-non guardarmi così, a parte questi rari casi sta meglio lì, con me, lo sai Vic, non fare l'egoista.- gli confidai e lo vidi sospirare e mollare la presa sul mio braccio -aveva ripreso a mangiare e si stava impegnando per non essere bocciato, di nuovo, ho sbagliato ma ancora non sono del tutto abituato al suo modo di vivere, mi dispiace ma...- non finii la frase, mi serviva ossigeno e un secondo per trovare le parole giuste -ma credo che possiamo funzionare in una vita migliore di quella che potrebbe portare avanti qui.- ammisi, solo che non potevo dirgli che una delle poche cose importanti che aveva qui e che lo teneva attaccato quasi morbosamente alla città era lui stesso, non potevo dirglielo, loro erano speciali.

Lo vidi sorridere appena e girarsi per continuare a camminare senza di me mentre si scioglieva la treccia e lasciava i suoi capelli ondulati ricadere liberi -fai in modo che questi rari casi spariscano.- mi disse semplicemente e quella a me sembrò una sorta di benedizione, in un certo senso mi aveva lasciato ufficialmente il mandato della “custodia” di Vincent.

Era chiaro come la città l'avrebbe rovinato fino al midollo e se c'era del salvabile doveva stare lontano da tutti e da tutto, se pur egoisticamente i suoi genitori gli avevano fatto del bene a mandarlo lì, dove c'ero io ad aspettarlo.

 

Quando Victor l'aveva svegliato Vincent mi aveva guardato a lungo senza dirmi nulla, senza muoversi ed era rimasto nel suo fermo immagine di staticità; in un certo qual modo in quel senso mi faceva impressione osservarlo, Vincent per me era sempre stata una delle persone più dinamiche al mondo in grado di mutare in ogni senso, in ogni forma e in ogni situazione, era come una pasta polimera malleabile, solo che in quel momento sembrava indurito, come cotto dal sole. Era totalmente fermo.

Gli accarezzai piano una guancia e sospirai osservandolo, -tutti erano preoccupati, sai?- gli disse e lui sembrò ignorare le mie parole -mi dispiace non averti difeso.- alla fine ci ero arrivato io stesso a come aveva ragionato Vincent in quel momento -hai ragione e ti chiedo scusa- e se pur non fossi del tutto convinto che erano tanto doverose quelle scuse le pronunciai ugualmente, erano quelle che Vincent voleva sentirsi dire.

 

Lo vidi girarsi appena e guardarmi -anche lo zio?- mi chiese e annuii -ha dato di matto, un pò- gli confidai e se pur se fossi stato in lui mi sarei preoccupato delle conseguenze di quel che avevo fatto lui sorrise appena, contento, quasi timidamente.

-anche Nelson?- mi chiese e non potei che inarcare un sopracciglio, da quando Nelson era diventato tanto importante per lui?

Mi sentivo quasi offeso.

Cioè io ero andato lì a mio rischio e pericolo, io ero andato lì a scusarmi per una cosa che non avevo fatto ed evidentemente quella era stata solo un'aggravante alla situazione che aveva scatenato Nelson. Non io; Nelson.

 

Incrociai le braccia al petto -si anche lui.- gli comunicai totalmente afono -adesso andiamo il treno parte anche senza di noi.- gli confidai e intravidi Victor che mi guardava tra l'allibito e lo sconvolto, ovvio, non mi conosceva affatto.

 

Se c'era una cosa che avevo imparato da Vincent era l'essere preso in considerazione e iniziava ad infastidirmi essere il trasparente della situazione.

 

Il ritorno alla stazione fu meno traumatico e tortuoso della mia solitaria andata, in fondo mi era bastato seguire Vincent; non avevo guardato la strada da fare, non mi ero soffermato sui nomi delle vie e sopratutto non avevo preso punti di riferimento sul dove svoltare, che fossero stati negozi o pseudo monumenti, semplicemente avevo seguito il mio amico con la speranza recondita di non doverci più tornare lì, da solo, e sopratutto di non dovermene mai andare da lì a mani vuote.

 

Victor ci aveva accompagnati e si salutarono con un bacio tenero e decisamente poco da loro, quasi mi davano la nausea e con quel pensiero mi resi conto che da qualche ora a quella parte ero insofferente; su tutto quanto.

 

Provai ad identificare il momento dal quale la mia insofferenza si era fatta sentire e compresi che aveva a che fare con Nelson, con il Nelson che aveva nominato Vincent. Mi morsi il labbro, era qualcosa di molto simile alla gelosia, e non era la prima volta che la provavo.

Sicuramente potevo star sicuro, Nelson e Vincent non si sarebbero mai avvicinati tanto da mettermi in disparte, né da farmi sentire in pericolo.

Quella considerazione così saccente che avevo fatto dentro di me non si rivolgeva a Vincent, lui era una mina vagante ingestibile, ma Nelson, lui lo conoscevo da troppo tempo e la sua appurata gelosia nel miei confronti quando mi ero avvicinato a Vincent era qualcosa che mi dava uno spunto cattivello e di controllo.

Probabilmente stare vicino a Vincent per così tanto tempo iniziava a dare i suoi frutti, per quei pensieri distorti che avevo appena avuto mi sembravo un Vincent in miniatura, un piccolo Vin allo stato primordiale probabilmente e beh, era una bella sensazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  • - la parola è appositamente scritta con la K per rafforzare il concetto di bimbominkia intrinseco nella frase

 

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Capitolo 17
*** capitolo XVII- Nelsn P.O.V. ***


 

capitolo XVII

 

Nelson P.O.V.

 

***

 

 

Al mondo ci sono decisamente troppi tipi di amicizie, ci sono quelle di circostanza, ci sono quelle che nascondono un'alleanza, ci sono quelle incondizionate e ci sono quelle di convenienza.

Di questi tipi di amicizie io ne ho vissute la maggior parte e alla fine ho capito che essenzialmente ne esistono solo due tipi, quelle che sono vere e quelle che non lo sono.

 

Da ragazzino sono stato amico di un altro bambino come me perché aveva dei giocattoli migliori dei miei e ho potuto giocare con quei balocchi che io non potevo avere.

 

Alle elementari sono stato amico di un tipo perché mi divertivano gli scherzi che faceva alle bambine e siamo stati puniti insieme... al resto dei maschietti della classe.

 

Alle medie sono stato amico con il secchione della mia classe perché mi aiutasse a passare un anno senza rimandi di alcun genere, e non sono mai stato bocciato.

 

Poi c'è William.

Non posso raccontare alcun aneddoto su di lui perché la mia stessa piccola esistenza è cresciuta con lui e pensare a lui è come raccontare della mia vita stessa.

È sempre stato un amico perfetto per me, non c'è molto altro da dire.

Siamo sempre stati invidiati per la nostra amicizia di ferro e io non potevo che gongolare per quel motivo ma poi...

beh poi è arrivato un finto biondo con i suoi occhi grandi come il mare che l'ha abbindolato e Will c'è cascato come un pesce lesso.

Grande, grande errore.

 

Di tutte le amicizie, autentiche o fasulle che siano io proprio non riesco ad imbarcarmi in una di queste con lui, con Vincent.

Non ho mai voluto nulla da lui e non sono mai stato interessato che la gente pensasse che realmente lo trovassi simpatico e se non gli sono saltato al collo fin da subito era solo per rispetto a William.

 

Che ancora mi chiedo cosa ci trovi di simpatico in lui.

 

Mi ha detto più volte che uno come lui non l'aveva mai incontrato, che era figo lui e quel che faceva e diceva e io me lo guardavo, il mio amico totalmente fuori di testa per dire una cosa del genere e non potevo che inarcare un sopracciglio.

 

Mai vista persona più patetica di quel Vincent.

 

Sì, ha un modo patetico di dimostrarsi forte, non c'è bisogno di avere tutti i riflettori puntati contro per dimostrare di essere fighi o forti, se una persona lo è, lo è. Punto.

 

In tutti i mesi che sono dovuto stare comunque accanto a lui una sola volta mi ha fatto tenerezza perché una sola volta in tutti quei mesi mi aveva mostrato che anche lui possedesse un animo proprio come il mio o quello di chiunque altro.

 

Ma c'è da dire che uno contro cento non vince di certo e ho preferito ampliare il mio cerchio di amicizie tornando miseramente a partecipare ad amicizie di secondo genere, quelle di circostanza, quelle che nascondono un alleanza e quelle di convenienza.

 

E comunque a parte le battute idiote e per niente spiritose non è male l'amicizia con i tipi atletici e il gruppo delle chear leader.

Per lo meno, quando William ha i suoi momenti di chiusura totale con Vincent io non sono solo, credo sia una sorta di preservazione naturale della specie apportata al genere umano questa, quindi niente di strano.

 

 

-Nelsooooon!!- dio, detesto il modo in cui mia madre mi chiama dal piano di sotto, inutile tergiversare, non demorderà dal chiedermi quel che deve chiedere solo perché fingo di non sentirla;

la vedo lì in fondo alle scale con un cestino di vimini adornato da due fiocchetti celesti -tesoro, puoi portare questo a Margaret?- mi ha disturbato per rendermi fattorino dei suoi muffin, tipico di lei, e dire che Will abita dall'altra parte della strada.

Ho sempre avuto poco per cui discutere con mia madre, tanto alla fine ha sempre ragione lei, -certo, nessun problema.- almeno così lei è contenta e io non devo elemosinare regali più costosi a natale, sono meritati così, no?

 

Quando la mamma di Will mi apre non riesco a non notare le valigie, sono davvero tante -buongiorno- la saluto come sempre e lei mi fa entrare accarezzandomi i capelli -signora, ma che succede?- e mi guarda e mi sorride -ci trasferiamo per un paio di settimane a Chicago- cosa? E William quando pensava di dirmelo?

La sua mamma deve aver intuito il mio stupore, anche se d'intuibile c'era poco, era palese che m'avesse sorpreso con quella notizia, -questi li manda mia madre- tagliai corto dandole il cestino -ehm, mamma è sicura che una volta finiti vorrà renderle il cestino- e mi sorrise teneramente -ma certo, nessun problema, li metto dentro un contenitore così puoi riportare il cestino a tua madre oggi stesso- ammise prendendo il cestino -tesoro, William è in camera sua, sono sicura che gli farà piacere vedere che sei passato a salutarlo.- e la vidi sorridere e gli annuii semplicemente, oh sì, William sarebbe rimasto sinceramente di stucco nel vedere che ero passato a salutarlo nonostante lui non mi avesse minimamente parlato della piccola vacanza che stavano apprestando a farsi.

 

Quando aprii la porta lo vidi che stava mettendo un'orribile camicia nel bagaglio e si fermò a guardarmi -nel.- si alzò lasciando la camicia sul letto e mi venne incontro sorridendomi -come mai qui?- mi porse una mano ma la scansai chiudendomi la porta alle spalle e lo vidi inarcare un sopracciglio.

-oh già, tu parti, che strano che io sia qui, nonostante tu non mi abbia detto assolutamente niente.- gli risposi caustico. Lo vidi boccheggiare, che c'è, non sapeva come ribattere?

-beh è stata una cosa improvvisa.- ammise -oh certo e il piccione viaggiatore ci avrebbe messo troppo a volare dall'altra parte della strada per informarmi, oh già che sbadato, a parte questo avresti potuto mandarmi un messaggio, una mail, o che ne so, parlarmi oggi a scuola?!- lo accusai e sapevo di avere ragione, io ero sempre stato piccolo, minuto e basso; l'unica mia arma era la bocca, potevo difendermi solo a parole perché quanto a forza fisica non ne ero molto dotato.

-Nelson, calmati dai...- ammise prendendomi per le spalle ma scansai le sue mani -dio che brutta persona che sei diventato.-

-ma come ti permetti?- mi chiese indietreggiando di un mezzo passo -perché non è vero forse?- gli chiesi accusatore, -fino a l'anno scorso sarei stato il primo a saperlo e sarei stato qui a preparare con te il bagaglio assicurandoti che avrei preso i compiti a scuola e te li avrei lasciati nell'armadietto, già perché l'anno scorso sapevo ancora la combinazione poi boom, niente più.- lo vidi negare con la testa -scusami mi sono dimenticato di dirti la nuova combinazione- si, certo.

 

-che c'è Vincent ti ha regalato un vibratore e lo tieni nascosto lì? Immagino che lui la sappia la combinazione così può usufruire dei suoi stessi giochetti.- sibilai e mi arrivò un ceffone che non mi sarei mai aspettato. Non da lui almeno.

 

-ripeto, sei diventato una persona orribile.- gli dissi un ultima volta prima di andarmene.

 

Se c'era una cosa che mia madre mi aveva insegnato era che i miei affari dovevo gestirmeli da solo e senza arrecare fastidi a nessuno che non fosse coinvolto.

 

-ora devo andare, non ti disturbare ad avvisarmi che sei tornato, immagino lo scoprirò vedendoti a lezione-

 

quando scesi al piano sottostante la mamma di Will aveva in mano il cestino di vimini -poi riportarlo a tua madre e ringraziarla tantissimo dei muffin per il viaggio- mi confidò, quindi mia madre sapeva e solo a me non era stato detto niente da Will a riguardo.

Le sorrisi amabilmente -la ringrazio per il tempismo, sono convinto che farà contenta mia madre.- la rassicurai e mi resi conto che in quello mia madre aveva fatto un ottimo lavoro: i miei affari dovevano riguardare solo me e il mio interlocutore, e non avrei mai arrecato inutili fastidi ad altri.

 

In oltre mia madre mi aveva anche insegnato un'altra cosa: l'arte della guerra ma io non mi ero mai dilettato nel praticarla.

 

Tornando a casa non riuscivo a credere di come si fosse comportato Will, con me e c'era una sola spiegazione a tutto quel cambiamento: Vincent.

Era l'unica cosa che era cambiata nella sua vita, la sua vicinanza era stata una cosa a dir poco negativa.

Fin da quando era arrivato non mi era mai piaciuto, quel tipo e continuava a non piacermi, in special modo dopo quello che avevo appena passato sulla mia stessa pelle, che andasse all'inferno.

 

 

Partito Will la vita è ovviamente continuata come se nulla fosse cambiato, Vincent non si faceva vedere a scuola e io non riuscii ad impedirmi di pensare che fosse andato con lui, che William glie l'avesse detto mentre a me aveva taciuto tutto proprio perché puntava ad invitarlo.

 

-ehi!- mi sentii colpire alle spalle proprio mentre ero nel mio mondo di pensieri rabbiosi e mi voltai con uno sguardo poco accondiscendente e vidi Peter -ehi ciao.- cambiai totalmente atteggiamento vedendo che era lui -wow siamo nervosetti eh?- scherzò -se non fossi stato io mi avresti incenerito con lo sguardo – ammise e ridacchiai di circostanza -beh capita quando non si dorme bene- gli mentii io non mi andava di rendergli noti i miei pensieri, erano miei e dovevano rimanere tali.

-senti un po' domani sera pensiamo di stare un po' in giro e magari di andare in quel nuovo pub che ha aperto un paio di mesi fa, sei dei nostri?- la proposta era allettante ma mia madre e il suo stupido coprifuoco mi avrebbero rovinato tutto -ho sempre il problema di mia madre.- ammisi -beh vorrà dire che le diremo che come al solito dormirai da me- propose sorridendomi e non trovai altro da obbiettare -Susan viene?- gli chiesi -da quando vi siete lasciati siete rimasti amici eh?- e non potei che annuire anche se non mi pareva proprio una amicizia tanto profonda, visto che la sua massima aspirazione era avere un mega poster di hello kitty, a u t o g r a f a t o.

-allora ci vediamo domani- mi disse e io annuii -vengo da te per le sei e lascio lo zaino- lo informai e lui alzò il pollice -oki a domani- ribadì e poi se ne andò da Karl che lo aspettava poco più in là con il suo voluminoso libro di biologia.

 

*

 

visto che l'appuntamento era alle nove con gli altri e considerando che io mi ero presentato alle sei del pomeriggio a casa di Peter lui propose di farci un giro prima dell'incontro con gli altri e a me andò bene, quando vidi che prendeva la sua palla da basket storsi un po' il naso, io non ero un tipo sportivo e lo si capiva da subito, bastava solo guardarmi per tre secondi di fila.

Dal momento che aveva preso la palla mi aspettavano le seguenti ore a guardarlo giocare, perché io non sapevo nemmeno fare un palleggio.

 

Mi stupì che si propose di insegnarmi i basamenti del basket -ma non sono troppo basso per provare a giocare?- gli chiesi e si mise a ridacchiare -se punti a diventare un professionista probabilmente si, ma per puro diletto credo che tu possa fare qualsiasi cosa.- mi lasciò interdetto quello che mi disse sapeva di qualcosa di dolce se pur fosse una normale frase d'incoraggiamento a superare i miei “limiti” fisici.

Mi spiegò come tirare e visti i miei fallimenti mi propose di tirare con entrambe le mani;

“ una dirige il tiro e l'altra spinge il pallone” le mie mani erano totalmente scoordinate, una sola non era abbastanza forte da raggiungere il canestro e l'altra non sapeva cosa fosse la direzione giusta.

-ora prova a smarcarti- a fare cosa? Inarcai ovviamente un sopracciglio -se hai la palla in mano e stai per tirare è ovvio che gli avversari cerchino di impedirti il tiro- beh in effetti è pur sempre uno sport è ovvio che gli avversari mettano i bastoni tra le ruote all'altra squadra.

Mi fece girare e mi si mise dietro -io non posso toccarti con le mani, sarebbe fallo- mi spiegò -e tu devi raggiungere il canestro alle nostre spalle- e fui contento che me lo avesse detto io stavo per andare a tirare all'altro.

-quindi io devo impedirti di raggiungerlo usando il mio corpo.- questa fu la parte che mi piacque meno.

-su forza smarcati- mi incitò spingendomi appena con il suo corpo -ogni tanto palleggia non puoi fare più di tre passi consecutivi con la palla in mano.- mi rammentò e io provai a fare un palleggio e lui mi tolse la palla miseramente subito -ehi hai detto che non potevi usare le mani!- lo rimbeccai e lui ridacchiò facendo girare la palla su un dito -ho detto che non potevo usare le mani su di te- ed in effetti anche questo discorso aveva senso.

-spiegami come uno che fa parte della quadra di rugby sappia giocare a basket così bene.- gli dissi e lui mi sorrise -mio fratello gioca a basket e io gioco con lui da quando siamo piccoli- rispose ovvio e io andai a rubargli la palla cercando in quel momento di distrazione di andare sotto il canestro ma lui mi si parò davanti e poi per istinto di protezione verso la palla gli diedi la schiena e quando cercò di spingermi fuori area mi resi conto di una cosa: il basket era uno sport frocio.

 

-allora come è stato giocare a basket?- mi chiese mentre distrutto sedevo su un muretto di bordo campo -distruttivo, sono esausto e sudato praticare sport non è per me- e non era una novità tutti me lo ripetevano fin da quando ero piccolo e io oltre che fermamente convinto che fosse una verità impugnabile lo dicevo a mia volta.

Ridacchiò come se la mia fosse stata una battuta -su andiamo a farci una doccia così siamo di nuovo presentabili per sta sera- propose e io fortunatamente mi ero portato almeno un paio di cambi per la sera e per il “giorno dopo”.

 

*

 

il punto d'incontro con gli altri del gruppo era al parco e io e Peter arrivammo con un lieve ritardo tra la doccia, il chiacchierare, il prepararsi, e sì, anche il giocare ai suoi videogame ci era sfuggito il tempo e nonostante la corsa il mio fiato non era mai stato un buon compagno.

-scusate scusate- sibilai tra un respiro affannoso e l'altro, ero decisamente poco atletico.

Ci avviammo subito per quel pub tra il chiacchiericcio di tutti e le conversazioni di pochi, non vedevo l'ora di mandare giù un paio di birre e di parlare di cose frivole con gli altri per lasciarmi il ricordo di Will alle spalle, visto che al solo ricordarmene mi tornavano i nervi.

 

Una serata sublime è quella che passa allegramente, senza intoppi di alcun genere ed era quella che sembrava stesse uscendo fuori.

Mi interessavo alle loro problematiche di gioco e agli schemi delle ragazze pon pon dimostrando anche un certo interesse in quei discorsi che, lo ammetto mi annoiavano un minimo, non avevamo molto in comune a parte i videogiochi e i problemi con chimica, ma loro avevano assicurata una borsa di studio io no.

-ehi Nelson- mi richiamò Jake -si- mi voltai verso di lui -quello lì non è l'amico frocio del tuo amichetto?- mi chiese e io guardai il suo dito indice indicare a destra e cercai quella stessa traiettoria con lo sguardo incrociando una chioma biondo platino: addio serata sublime.

 

Potevo fingere e ignorarlo vero? Vero??

 

-già pare proprio lui- ammisi prendendo il mio bicchiere per continuare a sorseggiare la mia birra, mi era venuta improvvisamente sete. Tanta, tanta sete.

-pare si stia divertendo- ridacchiò sempre lui -uhm buon per lui- mormorai io afono, sinceramente? Non me ne fregava niente.

-dio si stanno baciando che schifo- ammise Lucky -e le mani di quell'altro non si vedono- commentò Debra più che interessata, ma, quell'altro? Con quante persone era Vincent?

Guardai a mia volta vedendolo realmente a differenza della prima occhiata quando avevo inquadrato che effettivamente sì, era lui e mi soffermai fino a scorgere anche gli altri due tizi, che sinceramente non avevo mai visto.

 

Erano... grandi.

 

Dio erano grandi, avranno avuto trent'anni quei due.

I miei amici persero poi interesse per il trio quando qualcuno asserì che le mani dell'altro si vedevano e continuarono a parlare di rugby, cearleader, schemi di giochi, l'allenatore e scuola e io continuai ad ascoltarli guardando però altrove.

Li ascoltai osservando Vincent e i suoi due amichetti che lo stavano mettendo in mezzo in tutto quello che potevano fare in un pub.

 

Vincent mi sorprese quando i nostri sguardi si incrociarono, mi sarei aspettato da lui che mi facesse uno di quei suoi sorrisetti del cazzo, uno di quelli compiaciuti che sapeva fare alla perfezione e che magari tanto per beffeggiarmi un po' alzasse la sua ordinazione alcoolica incitandomi ad un “cincin” che non avrei voluto fare, mi aspettavo questo da lui o comunque qualcosa del genere, sicuramente di cattivo gusto e strafottente; mi lasciò perplesso il fatto che una volta notatomi deviò lo sguardo e cercò di coprirsi con una mano cercando di non darlo a vedere.

 

Inarcai un sopracciglio osservando le vicende con maggior interesse e notai che dopo avermi visto cercava di allontanare da se gli altri due. Che fosse vergogna per quel che stava facendo quella che mi stava dimostrando?

Non ne capivo il motivo, aveva finto di non conoscermi e sopratutto in caso sarei dovuto essere io quello che avrebbe dovuto cercare di ignorarlo e di far finta di non conoscerlo.

 

Era evidente che qualcosa non andava.

 

Continuai ad osservarlo e vidi chiaramente che quel che facevano gli altri due non era più così gradito come prima, uno a quei piccoli rifiuti gli bloccò le mani lasciando che l'altro si divertisse -cazzo no, non vuole.- imprecai sbattendo una mano sul tavolo e i ragazzi alla mia tavolata si zittirono mentre io mi alzai deciso ad andare da lui, c'era un limite a tutto, a tutto.

Arrivai al tavolo e i due tizi mi guardarono interrogativi mentre Vincent cercava di deviare il suo sguardo dal mio.

-buona sera- esordii e vide che il moro tra i due inarcava un sopracciglio -dovrei chiedervi di usarmi la cortesia di lasciarlo andare visto che è evidente che non gradisce più le vostre, uhm, come posso chiamarle, uh, sì, premure.- dissi loro e notai che si guardarono interrogativi l'un l'altro -ma chi diamine è?- si chiesero e ovviamente non potevano darsi una risposta -vieni forza- tesi la mia mano a Vincent e in quel momento mi guardò -no- rispose il castano, che effettivamente era anche il più bruttino tra i due -no?- chiesi io -vediamo prima le ho chiamate premure vero?- chiesi al nulla con fare interrogativo e mi toccai il mento pensieroso -credo che legalmente abbiano un altro nome- mormorai conscio che era ovvio avessero sentito -credo che abbiano qualcosa a che fare con “abuso sessuale su minore”- li illuminai e la rapidità con la quale lo lasciarono andare fu impeccabile.

Vincent mi raggiunse spinto più che altro dagli altri due che evidentemente non volevano grane, grosse grane e quando mi fu vicino quello che lessi nei suoi occhi fu tutto fuorché gratitudine -perché lo hai fatto?- mi chiese in un sibilo -nessuno ti ha chiesto niente, oltretutto mi stai rovinando la reputazione!- continuò cercando di non farsi sentire dai due ragazzi che aveva abbordato -reputazione? Da quel che vedo come minimo te la sei rovinata a tredici anni.- gli dissi sprezzante conscio che non stavo parlando solo della sua reputazione. -ti accompagno a casa- lo presi per la manica della maglia e lo tirai fino al mio ex tavolo -ehi, il lavoro da balia mi attende, grazie della bella serata- dissi al gruppo e lasciai i soldi per la mia consumazione -lo zaino vengo a riprenderlo domani in mattinata- avvertii Peter e quello mi annuì -forza cammina- incitai Vincent tirandomelo dietro.

Per la strada del ritorno fummo abbastanza silenziosi, le vicende si erano pienamente espresse e io non avevo altro da dirgli, di certo non era compito mio fargli dei rimproveri sul suo alquanto peculiare e scadente stile di vita.

Proprio in quel silenzio sentii che strattonò la mia mano così da lasciarlo andare -ora hai fatto la figura del bravo samaritano puoi evitare di fingere oltre.- mi disse appoggiandosi al muro lì vicino. Era palesemente ubriaco.

-si, certo e lasciarti qui che nemmeno ti reggi in piedi? Molto etico, veramente.- bofonchiai mettendomi le mani in tasca e feci qualche altro passo prima di fermarmi e girarmi verso di lui che era rimasto indietro -ti ho salvato come minimo dovresti ringraziarmi, è questo che fanno le persone civili- lo vidi negare -ma sentiti come parli con le tue idee assurde – e lo vidi guardarmi -io non ti ho chiesto niente, io non volevo essere salvato- mi rinfacciò -perfetto, ritorna dai tuoi bei ragazzi di mezz'età e fatti scopare fino all'alba- lo vidi negare ancora e questa volta proprio non riuscii a capire a cosa si riferisse -non è per quello- mormorò, sembrava che tutto il suo astio nei miei confronti fosse terminato.

Si toccò le labbra mentre guardava per terra e io non potevo far a meno di osservarlo mentre era lì fermo a pensare chissà cosa.

L'altra mano era quasi nascosta e la teneva stretta in un pugno -Vincent?- lo richiamai e sembrò quasi sorprendersi del fatto che ero ancora lì. Si morse le labbra smettendo di toccarle con le dita, tirò su con il naso -erano undici.- mi disse e io non compresi e lui doveva averlo capito visto che specificò -gli anni che avevo quando ho perso la, come l'hai chiamata? R e p u t a z i o n e.-

era ovvio che il termine reputazione era una comunissima convenzione per parlare d'altro -quindi visto che ora la reputazione non ce l'hai più ti butti via così?- gli chiesi e mi venne naturale chiederglielo -ma cosa vuoi saperne tu con il tuo mondo perfetto, dalla famiglia perfetta e dalla vita perfetta.- c'era un qualcosa di saccente nella sua voce, si chinò appena per poi darsi una vaga spinta dal muro e riprendere a camminare -dalla tua imperfetta vita che dici posso aiutarti almeno a tornare a casa?- sorvolai sul fatto che la mia vita era tutto fuorché perfetta.

-se torno a casa ora mio zio mi uccide, quindi no, mi terrei la mia imperfetta vita e me ne andrò da qualche altra parte.- ammise e annuii -anche io non posso tornare a casa, mia madre mi crede a dormire da un amico.- e quando glielo confidai sembrò stupirsene -che c'è? Non ho mai detto che la mia vita, famiglia e mondo siano tanto perfetti come tu te ne sei convinto!- lo rimbeccai lo vidi toccarsi lo stomaco -scusa per prima- mormorò e io negai -tranquillo non mi stavo divertendo più di tanto con i miei amici- ammisi, tanto pure se lo avesse detto in giro nessuno gli avrebbe creduto, a dirla tutta se ci ripensavo non parlava con nessuno a scuola eccezion fatta per me e William. Lo osservai e mi sembrò quasi che lui avesse compreso i miei pensieri, ogni volta che lo guardavo dopo una considerazione del genere su di lui lui deviava il suo sguardo cercando di non incrociarlo con il mio -ho voglia di vomitare.- mormorò semplicemente -troppo alcool?- gli chiesi anche se era ovvio che era per l'alcool.

-no, non per quello.- mi confidò toccandosi di nuovo le labbra -nel senso che vuoi infilarti due dita in gola?- avevo ben compreso questa volta?

-se lo dici così sembra una cosa brutta.- mormorò e io non potei che inarcare un sopracciglio, -è una cosa brutta.- affermai e lo vidi tentennare nel rispondermi, perché era convinto che non fosse una cosa tanto brutta?

In casa mia non se ne era mai realmente parlato ma rientrava nelle cose che non si devono fare e quelle rare volte che era la televisione a parlarne la mamma liquidava il tutto decretando che c’era qualcosa di sbagliato nel loro cervello che gli imponeva di fare quelle cose, non lo chiamava nemmeno con il suo nome, come se senza pronunciarlo non sarebbe entrato, quel male, nella sua casa perfetta.

 

-posso guardarti mentre lo fai?- gli chiesi senza nemmeno accorgermene. Era come se, non so, quando si toccava le labbra avrebbe voluto aprirsele a forza e spingere le dita all'interno, non era come quelle rare volte che avevo visto in televisione persone scheletriche che il grasso ce l'avevano nel cervello.

-no- rispose subito lui spingendomi via e lì non compresi il perché di quella negazione -ti saresti fatto vedere nudo da quei due sconosciuti e- mi interruppe negando ancora -è diverso- mormorò -in che senso diverso? - gli domandai, non riuscivo a comprenderlo.

-quello non sarei stato io.- mormorò -questa è una cosa più intima.- ammise, riuscii per un certo verso a comprenderlo a quel punto, in quel momento non avrebbe avuto addosso la sua corazza di strafottenza, come, me ne resi conto in quel momento, non ce l'aveva nemmeno quel momento con me e probabilmente l'aveva lasciata dentro al pub.

-ora andiamo a casa di Will, sai che ha una chiave nascosta sotto la statuetta fatta a rana del giardino?- gli comunicai -tu non puoi tornare, io non posso tornare e l'aspirazione di dormire con i barboni nel parco non mi esalta molto e Will, beh ce lo deve no?.- gli dissi sorridendogli, mi era uscito spontaneo, e notai, guardandolo il suo sguardo stupito -grazie.- mormorò camminando insieme a me.

 

Arrivati davanti a casa di William andammo a prendere dal giardino sul retro la chiave sotto la statua ed entrammo facilmente -cerchiamo di non accendere nessuna luce ok?- gli dissi e lo vidi annuire -i vicini penseranno a dei ladri- e annuì ancora probabilmente aveva ben inteso -quando è partito?- mi chiese e mi stupì -non lo sapevi?- negò e mi sembrò un bambino, gli spiegai le vicende -omettendo qualche piccolo particolare ovviamente- mentre salivamo al piano superiore.

Si mise seduto sul letto del nostro amico e cominciò a spogliarsi poi mi guardò mentre cominciavo a fare lo stesso e lo vidi mordersi le labbra -vado in bagno- si giustificò -perché lo fai?- non riuscii a starmene zitto e buono ad annuire semplicemente, anche se non lo vedeva come una cosa tanto brutta di certo non gli giovava, farlo.

-beh- si toccò un braccio guardando distante da me -ogni tanto mi fa male lo stomaco, tanto male e quando lo faccio va meglio.- mi confidò e quelle sono state le parole più autentiche e sentite che lui mi abbia mai rivolto -e succede indipendentemente se mangio o meno- specificò quindi era evidente che fosse un qualcosa di psichico.

Forse mia madre aveva sempre avuto ragione, il male ce lo avevano nel cervello persone come lui.

Quella volta non ci trovai nulla di negativo in quell'affermazione.

 

Lo attesi seduto sul letto spogliato dei miei vestiti che nel pub si erano impregnati di fumo di sigaretta e li lasciai sulla scrivania di Will, lo vidi entrare e drizzai le antenne, avevo il timore che stesse ancora male -come va?- gli chiesi aspettandolo e senza rispondermi mi si mise accanto -meglio- mormorò anche se non ne ero tanto certo.

Quando mi stesi immaginai che mi seguisse per poi darmi la schiena e invece lo vidi che mi osservava e che mi prendeva per le spalle salendo a cavalcioni sul mio bacino.

Mi alzai con il busto per quanto mi fosse possibile con lui seduto sopra e semplicemente lui passò le sue mani sul mio collo quasi a volermi abbracciare.

 

Quando mi baciò ero tanto confuso che non riuscii a ribellarmi -sono tanto diverse?- mi chiese guardandomi con quei suoi cazzo di occhi cristallini, tanto da farmi arrossire, sembrava osservare la mia anima.

-cosa?- chiesi -le mie labbra da quelle della dolce Susy- mi specificò -aspetta forse non le hai sentite bene.- disse ancora prima di posare ancora più lentamente le sue labbra sulle mie, le accarezzò con quelle e no, chiudendo gli occhi la differenza non era minimamente percettibile.

Non riuscii a comprenderne il motivo ma risposi a quel bacio e mi lasciai andare sul materasso quando lui con ben poca forza mi spinse giù muovendosi su di me.

Vidi bianco, bianchissimo quando si premette sul mio bacino e non potevo negarlo che in quello Vincent fosse un maestro.

Quando i baci si fecero più profondi sentii il respiro mancarmi, era strano ed eccitante e... proibito.

Era eccitante anche per quello.

 

Mi morsi le labbra e lui mi accarezzò le guance e mi sembrò che stesse appena sorridendo e poi mi accarezzò i pettorali con la mano e sembrava tutto così giusto da spaventarmi.

Io ero totalmente impacciato, non sapevo cosa fare, dove toccare, cosa toccare e sinceramente allungare una mano e sentire quello che non avrebbe dovuto esserci mi spaventava notevolmente.

Quando infilò la mano nelle mie mutande mi inarcai prendendolo per le spalle, volevo si fermasse -vin aspetta.- mormorai ma sembrò poco interessato alle mie parole o probabilmente le avevo pronunciate tanto piano da essere travisate in quel sussurro.

-no- disse un po' più forte -è...la prima volta.- ammisi e lui si bloccò guardandomi.

Scese dal mio corpo mettendosi accanto a me e mi sorrise -la prima volta va fatta con qualcuno di importante e non sono io.- ammise stendendosi accanto a me -non era la prima volta che baciavi, vero?- negai, no ovvio -allora – si avvicinò baciandomi ancora -posso, vero?- me lo chiese e io ero ancora lì che lo guardavo del tutto fuori da ogni avvenimento, non ci stavo capendo più niente.

Dopo un lungo bacio si appoggiò sulla mia spalla -a scuola si vociferava del fatto che lo avevi fatto con Susan, non era vero allora.- mormorò -beh sarebbe stato un po', come dire, deprimente raccontare che non ero andato a segno.- ammisi come in una reale confessione -ma vi siete baciati ed è già qualcosa.- annuii, si era ben poco ma era qualcosa -e lei dove altro te le ha messe le labbra?- mi chiese come se fosse la domanda più banale della terra e io avvampai -oh interessante.- mormorò per poi baciarmi nuovamente -perché mi baci?- gli chiesi -e tu perché non ti divincoli?- evidentemente nessuno dei due sapeva rispondere a quelle domande.

 

Lo vidi avvicinarsi e pensai ad un nuovo bacio ma lui non mi baciò affatto, mi guardò negli occhi -mi innamoro troppo facilmente.- sussurrò sulle mie labbra prima di baciarmi a fior di labbra.

 

E quella frase fu in grado di non farmi chiudere occhio per le due ore che vennero a seguire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note finali: ok, con questo capitolo posso ritenermi soddisfatta al 98%; finalmente Nelson, finalmente quello scricciolino insipido ha avuto modo di tirare fuori tutti i suoi pensieri, essendo voce narrante non ha potuto farne a meno.

So che a molti Nelson non piace, più che altro non c'è mai stato il modo di fargli spiegare perché non avesse una spiccata simpatia per quel biondo e, oddio come sono carini *-*

spero che ora Nelson possa piacere oppure riscuotere ancora più odio, quello che mi auguro con tutta me stessa è che non rimanga un personaggio marginale e insipido.

 

Kiss a tutti

MaryKei-Hishi.

 

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Capitolo 18
*** capitolo XVIII ***


 

Capitolo XVIII

 

 

A scuola le lezioni erano tranquille e fortunatamente non mi permettevano di incontrare Vincent, lui aveva dei corsi per recuperare le materie che non aveva seguito per il suo modo di essere che c'era e poi spariva e quello non era un punto a favore dal punto di vista dei nostri docenti.

Per i due giorni seguenti a quella notte a casa di Will stetti decisamente vicino a Susan e lei non pareva esserne infastidita, al contrario, mi chiese di rimetterci insieme e io in quel momento ne avevo bisogno, molto più del pane.

Non solo dovevo dimenticare che mi ero baciato con Vincent, dovevo dimenticare che mi era piaciuto farlo.

 

Mentre ero fermo nel corridoio con gli altri del gruppo lo vidi, fuori in cortile che fumava una sigaretta, si era tinto di nuovo i capelli di nero ma portava un cappellino, lo vidi osservarmi per un attimo e poi dal taschino del suo giacchetto di jeans aveva preso gli occhiali inforcandoli sul naso, ecco, con quel piccolo particolare era irriconoscibile.

 

Seguendolo con lo sguardo lo vidi avvicinarsi al mio armadietto e fermarsi a quello accanto facendo per aprirlo. Non mi guardò più da quel momento e forse voleva parlarmi e io ero perfettamente conscio che qualsivoglia cosa avesse voluto dirmi, nel bene e nel male non era la scuola un luogo adatto, beh, non lo era per me.

-ragazzi, devo prendere un libro, ci vediamo dopo.- dissi ai miei compagni prima di allontanarmi;

aprii l'armadietto e attesi che lui parlasse, ma non sembrava averne la minima voglia, forse voleva solo vedere se l'avessi seguito o meno -volevi parlarmi?- gli chiesi a quel punto senza guardarlo, cercando un qualsiasi libro nell'armadietto -forse, tu volevi?- mi rigirò la domanda cercando una combinazione fattibile sul lucchetto dell'armadietto -non qui, non di quello, sono fidanzato con Susy, di nuovo.- ammisi e lo vidi annuire, sinceramente pensavo avesse dimostrato una qualsiasi reazione al fatto che sì, di nuovo mi ero messo con lei. -volevo chiederti se vuoi ancora quelle ripetizioni che mi avevi chiesto.- mormorò cercandomi con lo sguardo e io non fui certo che con il termine ripetizioni intendesse esattamente le ripetizioni.

Tentennai nel rispondere e lui si appoggiò con la schiena all'armadietto, -sai non mi è mai dispiaciuto fare l'amante.- ammise e compresi che avevo ben capito.

Quelle parole non dette, il parlarsi in una sorta di codice con termini fraintendibili, sembravamo uno spacciatore e un cliente, almeno nella mia testa, sembrava quasi che nell'ombra stessimo macchinando qualcosa di poco ortodosso.

-non deve saperlo nessuno- ammisi io e lui annuì guardandosi poi intorno -stesso posto, ti aspetto lì- decretò ma il suo tono non era affatto categorico o imperativo, aveva sorriso dicendomelo, molto semplicemente.

Senza dirmi altro si allontanò dall'armadietto uscendo di nuovo in cortile e io mi guardai intorno per vedere se qualcuno ci avesse visti complottare a quel modo e non notai nessuno che in particolare stava guardando me o lui, semplicemente tutti avevano continuato a fare quello che stavano facendo e io mi resi conto che le paranoie sono decisamente una brutta bestia e che, oltretutto il mondo non gira attorno ad una creaturina di nome Nelson.

 

*

 

Il fatto che ero decisamente agitato non aiutava. Ero arrivato nel giardino sul retro di casa di William

avevo cercato la chiave sotto la rana ma non c'era quindi lui era già dentro ed effettivamente aveva detto che mi avrebbe aspettato, chissà da quanto, mi domandai e spinsi la porta che si aprì.

Entrai nella cucina e non lo vidi e provai a chiamarlo e arrivato sulla soglia lo vidi che era nel salone intento a guardarsi intorno come se non avesse mai avuto modo di osservare realmente la casa di William.

Quando mi vide ci fu un silenzio imbarazzante, non che prima la casa fosse inondata di suoni e parole ma da quando i nostri sguardi si erano incrociati eravamo consapevoli di esserci, entrambi.

Mi avvicinai e lasciai il mio zainetto a terra, vicino ad una sedia; ero agitato, sapevo che sarebbe successo ancora.

 

Il secondo bacio è consapevole e lo attendi con il cuore in gola

 

l'avevo sentito in quei stessi giorni in un telefilm che seguiva Susan e probabilmente la mia agitazione era montata tanto anche perché ero influenzato da quelle vicende che avevo seguito con lei.

 

-non speravo ne che saresti venuto né che avremmo parlato oggi- mi disse e ci avvicinammo reciprocamente -che significa tutto questo?- gli chiesi io ma non mi rispose verbalmente, mi baciò prendendomi il viso tra le mani, lo scansai da me, a costo di rovinare il momento dovevo dirgli assolutamente una cosa -quello che succede qui dentro rimane qui dentro.- ammisi e lo vidi annuire e a quel punto fui io a baciarlo, confuso e con la testa che mi girava.

Ero confuso, quando avevo baciato Will non avevo provato niente, assolutamente niente, era stato più un senso di viscido che avrei evitato volentieri.

Sospirai sulle sue labbra e lo vidi sorridermi e non riuscii a non sentirmi imbarazzato; era nuovo e diverso da tutto il resto, quella in cui mi stavo imbarcando sembrava una nuova realtà che mi confondeva da quella che era al di fuori di quella casa.

 

Ridacchiò ad un certo punto e sentii le guance andare a fuoco, stava ridendo di me? -sei troppo buffo- mormorò coprendosi la bocca con la mano e io ci misi un secondo e mezzo a tornare dalla mia borsa e raccoglierla -no!- mi sentii dire alle spalle e quando mi prese il braccio con le sue mani mi voltai a guardarlo, -non lo faccio più- ammise guardandomi speranzoso che rimanessi e si tranquillizzò quando rilasciai cadere a terra il mio zainetto.

-mi dispiace, non lo faccio più- mormorò e in quel momento mi sembrò solo, tremendamente solo -andiamo su, dai- gli dissi io prendendogli le mani -credo che fare quatto chiacchiere ci farà bene.- io non avevo capito assolutamente niente di lui.

 

Si stese sul letto e mi sembrò un bambino quando si divertì a rimbalzarci sopra e io lo raggiunsi sedendomi vicino a lui -dimmi la verità, io non sono niente vero? Sono uno dei tanti, no? Come quei due nel pub- gli chiesi e lui si fermò guardandomi -anche di loro ti saresti innamorato subito?- si mise seduto tra le coperte anche lui e negò -certo che no- ammise e sinceramente avrei voluto che continuasse a parlare invece che bloccarsi guardando le lenzuola -vin?- lo richiamai cercandolo con lo sguardo -mi dispiace che lo pensi.- mormorò.

Lo vidi toccarsi lo stomaco e ebbi il timore che di lì a poco si ritirasse in bagno per fare quelle cose che non trovava così brutte e allora d'istinto gli presi le mani -dimmi che non ho motivo di pensarlo e non lo penserò- gli dissi -e sopratutto guardami mentre lo fai.- gli dissi accarezzandogli le nocche con i pollici -non devi pensarlo, non devi.- mi disse e io mi resi conto che i suoi occhi erano lucidi -lo so che la gente pensa che io sia una puttana e sono io stesso a dargli modo di fare questi pensieri però odio le bugie, le detesto- mi avvicinai a lui abbracciandolo -non lo penso- gli dissi semplicemente accanto all'orecchio -almeno sei consapevole che sei tu stesso a dar modo alla gente di pensarti come ad un puttana- scherzai e lo sentii ridacchiare mentre tirava su con il naso -non sono così ipocrita sai?- mi disse e annuii -lo so ed è una bella cosa.- stesi rimase tra le mie braccia.

 

-sai, io non ho ancora capito perché sei venuto a vivere qui- gli dissi dopo un momento di silenzio -ero ingestibile e i miei genitori mi hanno scaricato qui.- mi disse semplicemente -e non chiedermi perché ero diventato ingestibile perché dovrei mentirti perché anche se odio le bugie alcune le devo dire per forza.- ammise -ok, stai tranquillo- gli accarezzai i capelli -è questo il tuo colore naturale? Perché sinceramente, lo cambi così radicalmente che stento a capire quale sia.- si toccò una ciocca guardandola -ho i capelli chiari ma non sono biondissimi come quando li decoloro- ammise -non li ho ripresi da nessuno in famiglia.- mi raccontò giocando con quella ciocca -magari da qualche nonno, ho letto che alcuni caratteri escono fuori dopo due generazioni- e lo vidi annuire -non mi ricordo dei miei nonni, probabilmente sarà così- si voltò verso di me e mi accarezzò uno zigomo e poi ci avvicinammo l'un l'altro come se fossimo stati consapevoli che quello era il finale a quella scena, il finale giusto per quella scena.

 

*

 

ogni pomeriggio ci vedevamo a casa di William e passavamo ore nel dolce far nulla, chiusi in una casa buia a trastullarci a vicenda, mi piaceva stare lì e mi rilassava la sua presenza lì dentro. Era come una nostra realtà privata, un mondo parallelo nel quale solo io e lui potevamo entrare.

Il mondo fuori da quella casa era meno sicuro dal mondo dentro quella casa.

 

-Nelson- mi richiamò mentre mi saliva sopra e io gli accarezzai le spalle, ricordava la prima notte; risalii a toccargli il collo e lui mi prese una mano strofinandoci poi la guancia sopra. Non avevo occhi che per le sue labbra.

Sembrò comprenderlo quando baciò le mie dita e le prese in bocca succhiandole appena e quel piccolo particolare mi fece uscire fuori di testa. Era eccitante solo a guardarlo.

Quel tipo di pensieri mi venivano quando eravamo soli, dentro la camera di Will, fuori mi impedivo categoricamente di provarne;

si mosse appena sul mio bacino e scese a baciarmi il collo, sapevo di essere totalmente impacciato quanto sapevo che lui aveva alle spalle anni di pratica, in quel senso.

-ehi, vin...- mormorai prima di mordermi le labbra, lui mi zittì con un dito -faccio solo lo stesso percorso della dolce Susy- ammise e compresi immediatamente quando cominciò a scendere fino ad arrivare ai miei pantaloni che sbottonò.

 

Dovetti tapparmi la bocca con le mani per non essere troppo rumoroso e chiudere gli occhi per impedirmi di guardarlo mente mi baciava . Avevo incrociato il suo sguardo per un secondo mentre... e avevo visto i suoi occhi neri d'eccitazione.

Mi ero gettato con la testa sul cuscino a quel punto per non impazzire del tutto, anche se a conti fatti la mia sanità mentale me l'ero già lasciata alle spalle, come Vincent aveva abbandonato la sua reputazione a undici anni.

 

Si buttò sul materasso affannato toccandosi le labbra con due dita prima di leccarle e mi guardò -sei buono sai?- mi disse e io arrossii istintivamente -che sapore ha?- gli chiesi ingenuamente e lui inarcò un sopracciglio -non ti sei mai assaggiato?- no, per l'amore del cielo, no.

-oh, beh rimediamo.- mi sorrise venendomi a baciare -qui c'è il tuo sapore.- mi disse e io non riuscii a dischiudere le labbra.

Mi prese una mano mentre mi leccava le labbra e quando sentii dove voleva portarla cercai di retrarla.

-aspetta- temporeggiai -stai tranquillo, non è molto diverso da quel che fai da solo.- cercò di rasserenarmi – sentilo, è per merito tuo.- mi confidò parlandomi all'orecchio come se certe cose non andassero dette ad alta voce e mi fece rabbrividire con quella sua voce bassa e calda.

 

Mi morsi le labbra e mi lasciai guidare da lui teso come una corda di violino.

Ansimò sul mio orecchio e mi baciò sul collo mentre continuavamo entrambi a muovere la mia mano sul suo sesso, ebbi voglia di dirgli di aspettare ma non mi pareva il momento per dei ripensamenti sopratutto con una pessima tempistica.

 

Mi strinsi a lui quando gemette più forte e sentii che si tendeva tutto e chiusi gli occhi: non volevo vedere.

 

Nonostante tutte le mie convinzioni lì dentro riuscivo a fare cose che al di fuori non provavo nemmeno a pensare come fattibili.

 

 

*

 

con il passare dei giorni in quella casa il mio approccio con Vincent era cambiato, era stato lui stesso a dirmelo, aveva notato che prendo anche io l'iniziativa di tanto in tanto e mi aveva confidato che non sembrava più che stessi facendo quel che facevamo per una mia pura imposizione ma che iniziassi a provare reale piacere nel farla.

In effetti fin quando eravamo lì i suoi baci e le sue carezze non mi dispiacevano affatto, era il fuori che mi spaventava.

Ed era passata una settimana e avevamo un'altra intera settimana solo per noi davanti.

 

 

Mentre Vincent sonnecchiava vicino a me non riuscii a non pormi un interrogativo. E se William non fosse mai tornato?

 

Mi morsi le labbra guardando Vincent e la confusione che avevo in testa per un solo singolo attimo sparì completamente: volevo fare l'amore con lui.

 

Un pomeriggio mentre stavamo parlando dell'ultimo gioco per la play che era uscito sentii il suo stomaco brontolare -oh da cenni di vita- scherzai e gli baciai la pancia -andiamo a vedere se c'è qualche merendina poi però domani le ricompriamo uguali ok?- e lo vidi annuire -ho fame.- mi confidò e non compresi perché ma mi rese felice saperlo.

Mentre mangiava la sua merendina pensai a quanto fosse magro; anche io lo ero ma in un certo senso era diverso specialmente se paragonavo i nostri due corpi.

Senza rendermene conto mi ero avvicinato e gli avevo toccato una clavicola che sporgeva e l'avevo baciata riuscendo per la prima volta a metterlo in imbarazzo.

Lo vidi arrossire come un bambino e ridacchiai comprendendo il perché dei suoi risolini il primo giorno della nostra storia segreta dentro al nostro mondo parallelo.

 

-non fermarti- gli dissi spingendo la sua mano che ancora teneva la merendina, alla bocca -mi piace vederti mangiare.- ammisi sorridendogli.

Sarebbe stata una bella scena se si fosse seduto sul ripiano ma la mia statura non m'avrebbe permesso di poterlo baciare.

Alla fine gli cedetti anche la mia merendina, di certo ne aveva più bisogno lui di me.

-sai, mi ricordo che una volta sono entrato in un supermercato, avevo discusso con mio padre per colpa di mio fratello.- mi confidò e lo guardai interrogativo -c'erano delle merendine tipo queste, di un altra marca e presi in mano la scatola con la voglia di divorarle, le ho guardate per una decina di minuti tipo e poi me ne sono andato.- mi disse -volevo farmi male- ammise in ultimo osservando le mie reazioni -lui mi ha fatto tanto male.- gli accarezzai i capelli -chi?- mi baciò una guancia prima di abbracciarmi -papà-

gli passai le mani sulle spalle e poi scesi sulla schiena, mi ricordai che l'unica volta che l'avevo visto piangere era stata per colpa di quell'uomo -dimenticati che esiste qua dentro.- gli dissi e mi venne spontaneo farlo.

Mi tremò tra le braccia e in quel momento mi sembrò un esserino microscopico -voglio fare l'amore con te.- ammisi e mi guardò sorpreso, gli sorrisi tirandogli indietro i capelli e mi sporsi a baciargli la fronte -tu fai tanto il grande ma in realtà sei piccolo proprio come me- gli dissi sorridendogli e lo vidi arrossire -ed è più bello così- mormorai e mi prese per mano e risalimmo in camera.

 

I vestiti li perdemmo appena entrati in camera, caduti lentamente dalle sue mani, spogliò entrambi mentre io mi lasciavo guidare dalle sue labbra.

Lo seguii fin sul materasso e mi piacque particolarmente assaporare la sua pelle.

Era buono.

Lo vidi che mi sorrideva -lo sai che ti piace stare sotto?- mi chiese e io arrossii anche senza motivo ed in effetti mi piaceva vederlo seduto sopra di me.

E fu così, che senza chiedermelo mi salì sopra sedendosi sul mio inguine e con la sua disinvoltura cominciò a muoversi su di me con una maestria tale da fare invidia ad una signorina di mestiere.

Fu in grado di farmi vedere le stelle con il suo corpo che ondeggiava sul mio e io mi sentii uno stupido la sotto, un buono a nulla.

Scese a baciarmi e i suoi capelli mi solleticarono il viso, e fu nello stesso momento che pensammo di scansarli e di porli dietro il suo orecchio così le nostre dita si sfiorarono e lui mi guardò negli occhi arrossendo appena mentre mi sorrideva.

Lo baciai mentre era ancora curvo su di me e gli passai una mano sulla nuca accarezzandogli i capelli, probabilmente avevano nuovamente cambiato colore, passava dal nero al biondo come se nulla fosse e gli stavano bene entrambi, come colori.

Massaggiò il mio corpo prima di puntarlo contro il proprio e vi si premette sopra mordendosi appena le labbra;

era così stretto.

Mi morsi le labbra anch'io per poi tapparmi la bocca con le mani e buttai la testa indietro sul cuscino, era troppo, era decisamente troppo.

 

-Nel...- mi richiamò e lo guardai, era rosso in viso e i suoi occhi erano lucidi d'eccitazione e lo vidi mordersi le labbra mentre mi permetteva di entrare completamente in lui chiuse gli occhi raggiungendo le mie anche con il suo corpo e sospirò sembrando quasi di provar dolore.

Gli accarezzai una guancia e con il pollice gli impedii di mordersi ancora le labbra massaggiandole con il polpastrello -fermo o ti esce il sangue- riuscii a dirgli con un tono quasi normale, mi aveva fottuto il cervello e non sapevo più quello che facevo.

 

Cominciò a muoversi su di me e lì persi totalmente ogni sprazzo di razionalità che ancora mi rimaneva in corpo. Lo presi per i fianchi mosso da un Nelson che non era me e lo aiutai nei suoi movimenti -ti...piace?- mi chiese -dimmi che ti piace- aggiunse subito dopo senza guardarmi -mi piace- gli dissi io e mosso da una forza che non sapevo nemmeno di avere me lo misi sotto coprendolo con il mio stesso corpo, raggiunsi il suo orecchio -mi piace- gemetti lì e lo sentii stringermi le spalle con le braccia prima di mordermi così da nascondere un gemito.

 

Quel gesto mi fece schizzare il sangue al cervello e me lo fece ribollire dentro, sentii caldo all'improvviso e mi mossi più velocemente in lui.

-cazzo- imprecò stringendomi i fianchi con le sue cosce; sentii che una delle sue mani abbandonava il mio corpo e lo sentii iniziare a donarsi piacere da solo, lo bloccai prendendo il suo posto e lui boccheggiò nascondendo il viso sul mio collo -forte- mormorò e io lo accontentai, in ogni modo nel quale potevo.

 

*

 

 

Era su di me che mi baciava e mi aveva appena sorriso quando la porta cigolò e mi girai a guardarla, impallidii scorgendo la figura di Will con il borsone ancora in spalla -che cazzo?- domandò senza in realtà chiedere niente e lasciò cadere la borsa a terra.

Mi misi seduto e Vincent scese dal mio corpo -tu cosa ci fai qui?- gli chiesi io -io? È casa mia!! voi che diamine stavate...? stavate scopando nel mio letto- ci disse sprezzante lo si vedeva ad occhio nudo che era furibondo.

-non stavamo scopando.- puntualizzai e ero totalmente conscio che era del tutto fuori luogo il concentrarmi su quello ma effettivamente non aveva tutti i torti, eravamo entrati in una proprietà privata senza alcun permesso, potevamo passare dei guai e decisamente seri, però sapevo che a Will non importava niente del fatto che avevamo commesso quel crimine, era di un altro crimine che si preoccupava, del fatto che teoricamente io e Vincent l'avevamo tradito avvicinandoci.

Quelle parole sprezzanti erano per quello non per la violazione civica.

 

Mi alzai dal letto -hai qualcosa da ridire per caso?- gli chiesi fin troppo spavaldo incrociando le braccia al petto e lui mi guardò inarcando un sopracciglio -si che ce l'ho.- e io non avevo calcolato che m'avrebbe risposto a quella maniera e mi maledii di aver preso la parola.

-ma come ti sei permesso? Entri in casa mia e vieni a scopare nel mio letto?!- mi chiese offeso -l'ultima volta che ti ho visto non facevi che straparlare sul fatto che la sua orrenda persona avesse fatto diventare me un altrettanto orrenda persona!- mi accusò avanzando; guardai indietro osservando Vincent che era ancora sul letto bianco in faccia che respirava a fondo, sembrava in procinto di un attacco di panico.

-aspetta un attimo- dissi a Will ma lui non parve accorgersi di niente, troppo furibondo dal nostro tradimento -aspettare? Che cazzo dovrei aspettare?- mi prese per una spalla imponendomi di guardarlo ancora -da te proprio non me l'aspettavo.- mi disse e Vincent si alzò andando ai suoi jeans e prese il suo cellulare uscendo dalla camera, lo seguii con lo sguardo e varcai la soglia per vedere dove stesse andando, quando si chiuse in bagno mi voltai verso William -guarda cosa hai fatto! Prima aveva mangiato, capisci?- lo spintonai -aveva mangiato, aveva avuto fame!- lo lasciai lì raggiungendo il bagno ma ovviamente si era chiuso dentro.

William arrivò provando a bussare -e tu pensi che basta che gli dici che ti serve il bagno per farlo uscire?- gli domandai io -sta zitto- mi disse -sta zitto anche tu, è colpa tua.- l'accusai -colpa mia per essere tornato a casa mia?- mi domandò prima che potessi rispondergli sentimmo la voce di Vincent da dietro la porta che nominava Victor, probabilmente l'aveva chiamato al telefono -stanno litigando- sentimmo stando in silenzio e ben vicini alla porta -papà e Horge, è successo un casino- ammise e guardai William -chi?- vidi Will sospirare -Horge è il fratello, quello che è morto.- mi spiegò io non avevo molto ben chiara la situazione. -ti prego vieni qui e portami via.- lo sentimmo dire e vidi William che si metteva seduto vicino alla porta lo imitai subito dopo.

-abbiamo fatto un casino- mi disse e anche io ne ero totalmente convinto.

Lo vidi prendere il cellulare -ora mi chiamerà Victor- si grattò la tempia, -sentirai come urla per telefono.-

passarono alcuni minuti ed effettivamente Victor lo chiamò e lui rispose riluttante -sì...- mormorò conscio di essere parzialmente nel torto -si lo so, ma- evidentemente dall'altra parte non gli permetteva di parlare -ehi ma che vuoi da me? Che dovevo fare??- chiese alterandosi appena -si scusa, non c'entri niente. Va bene, ci sentiamo dopo.- attaccò -complimenti siamo appena entrati in uno dei bassi di Vincent.- mormorò e poggiai la testa alla porta -ehi, vin, non stiamo più litigando, ti va di uscire?- chiesi -ti vogliamo bene tutti e due e William era geloso perché non poteva averti solo per se- gli dissi guardando il mio “amico” -davvero?- sentimmo chiedere e ci rizzammo immediatamente -certo.- disse lui complice in quella bugia che poi tanto bugia non sembrava.

Sentimmo la chiave scattare nella serratura e quando uscì lo presi dal polso stringendomelo addosso -non farlo più- gli dissi -non fatelo più- rispose lui con le mie stesse parole rivolte a me e al mio amico.

 

-papà ci ha visti e ha litigato tanto con Horge e se l'è presa tanto con me.- mormorò senza un perché, forse per spiegarci quale parabola della sua intensa vita avevamo riesumato nel cimitero dei suoi ricordi. -vin, torniamo in camera- disse Will prendendolo per mano -sai vin, anche se non siamo perfetti credo che non abbiamo bisogno di sentire bugie a quella domanda.- gli dissi io -cosa è successo?- gli domandai e mi guardò con gli occhi lucidi e poi guardò anche William che annuì -non siamo poi così fragili sai?- gli disse lui sorridendogli -ho paura di dirlo ad alta voce.- ammise mentre entravamo in camera e ci mettevamo seduti sul letto.

 

-Horge aveva una relazione con il suo professore di filosofia e non lo sapeva nessuno, solo io perché una volta li avevo visti ed ero contento- sorrise al ricordo -egoisticamente contento.- specificò -mi prendi la maglietta? Ho freddo- mormorò a William e lui annuì allungandogliela così che potesse rivestirsi -era felice e gli piaceva veramente, penso che fosse l'unica persona che abbia mai veramente amato in vita sua, beh anche perché dopo è morto.- mormorò e lo vidi ridacchiare un poco -quasi inizio a non ricordare più i dettagli- negò con la testa -mi hanno ripetuto troppe volte l'altra storia, dio.- si strofinò gli occhi con la mano -aveva in mente di finire le superiori e poi di andare via con lui, una fuga d'amore a tutti gli effetti e io non vedevo l'ora se ne andasse, volevo andasse via, lontano senza lasciare traccia.- lo disse con cattiveria come ad infierire su se stesso -lo volevo con tutto il cuore.- mormorò -così sarebbe potuto essere felice- gli disse William ma lui negò -non era per quello che lo desideravo.- ammise lui e ci guardò cercando qualcosa nel nostro sguardo -lo volevo perché così non avrei avuto più rivali- ci confidò -che stupido, come se l'assenza di Horge avrebbe cambiato qualcosa- negò con un sorriso triste dipinto sul viso.

-papà lo scoprì- continuò il racconto -e fece radiare l'insegnante dalla scuola, probabilmente non solo dalla nostra scuola, papà è molto geloso delle sue cose, non vuole che nessuno le tocchi.- ci disse -e mi pare ovvio che io non sia una sua cosa, di me non è affatto geloso.- puntualizzò -e Horge ci stette malissimo perché l'unica possibilità che aveva di scappare l'aveva persa, mi confidò di vedersi incatenato a casa, a nostro padre e di sentirsi soffocare e io non feci assolutamente niente.-

-è per questo che si è suicidato?- chiese William e io non avevo il coraggio di dire niente, troppo piccolo per argomenti del genere mi resi conto di aver sempre e solo giocato a fare il grande.

-più o meno.- ci confidò iniziando a torturarsi una manica della maglia -una notte lo trovai nella vasca da bagno, vestito e sotto il getto d'acqua, mi disse di chiamare aiuto.- ci guardò -non era nemmeno capace a farla finita come si deve.- sibilò, come si poteva essere così cattivi da parlar male di un morto? -e in quel momento mi passarono per la testa tanti di quei pensieri che io non seppi riconoscerne nessuno, erano un fiume e per quanti erano io sentivo la testa vuota.- ammise -lo vidi assopirsi un attimo, doveva aver fatto un bel mix con le pasticche che c'erano in casa e probabilmente si era pentito. L' avevo pensato subito e poi mi disse che il suo amore l'aveva chiamato che voleva scappare con lui comunque- ammise -ma in quel momento era più facile mentirgli che salvarlo, papà forse l'avrebbe dimenticato più facilmente da morto che come fuggiasco, perché nel secondo caso avrebbe sempre covato la speranza di ritrovarlo.- ci comunicò e sta volta non ebbe il coraggio di guardarci in faccia. -gli dissi di stare tranquillo che avevo già chiamato il 911 e gli accarezzai i capelli fin quando non respirò più.-

vidi Vincent respirare a fondo e vidi Will prendergli una mano accarezzandogliene il dorso – ehi?- lo richiamò ma Vincent negò -mi hanno trovato la mattina dopo seduto vicino alla vasca avevo perso il mio ponte, ho perso il mio ponte.- su quel particolare aggettivo con il quale aveva descritto il fratello non compresi bene il senso ma tralasciai per quel momento, ero totalmente sconvolto. Io credevo che quelle cose succedessero solo nei telefilm scritti da persone con una mente decisamente malata.

-dovevo rimanere solo io, dovevo essere l'unico.- ci disse prima di chiudersi a riccio abbracciandosi le gambe – volevo solo che mi amasse come amava lui.- disse ancora prima di singhiozzare senza farsi vedere e mi venne spontaneo accarezzargli le spalle, in un certo senso quella mostruosità la comprendevo, e non mi sembrava così osceno, mi sembrava solo un bambino in cerca d'affetto lasciato allo sbaraglio nel labirinto della vita. -ma io gliela farò pagare, gliela farò pagare.- ci disse pieno di rancore -me ne andrò a fanculo ad essere felice lontano da lui e gliela farò pagare- ci confidò e vidi William sorrise -è bello sentirtelo dire.- gli confidò.

 

Li guardai in una dimensione che io non riuscivo a comprendere ne ad accettare, mi alzai dal letto cominciando a rivestirmi -mi dispiace.- mormorai e sapevo che era sbagliato, che avrei dovuto stare lì con Vincent e per Vincent ma io non ci riuscivo, era più forte di me, non ci sapevo stare con loro due complici in un qualcosa che non era fatto per me.

Avevo appena detto una di quelle bugie che Vincent odiava tanto, gli avevo detto che ero pronto ad ogni sua verità ma mi resi conto che non era vero, ero solo una persona mediocre e non ne stavo andando orgoglioso.

 

 

Una volta... una volta Vincent aveva descritto la mia vita come perfetta; io ad oggi sono totalmente convinto che non sia mai stata una vita perfetta ma che fosse monotona. Un monotono tranquillo senza morti e psicosi da anni e anni di analisi freudiane.

 

-Nelson?- mi richiamò Will ammiccandomi di non fare quella stupidaggine di andarmene in quel momento ma io proprio in quel momento ero invischiato in un mondo che non mi comprendeva.

Erano loro due, un unità fin troppo pesante da sopportare per me e io. Da solo.

-mi dispiace- negai -scusatemi.- dissi loro sperando che non se la prendessero poi troppo con me.

Vincent mi guardò per un secondo privo d'espressione e mi fece venire i brividi guardarlo e poi mi sorrise appena -bugiardo- mormorò -fa male- aggiunse per poi abbracciare William -tu sei come il mio Vic, lui no.- lo vidi afferrare il cellulare e guardarlo per un attimo -vattene- mormorò subito dopo -vattene!- urlò tirandomi poi dietro il cellulare. Era pazzo, completamente pazzo.

Io semplicemente feci quello che Vincent mi aveva urlato di fare: me ne andai.

 

 

 

Ok, questa volta il capitolo non è arrivato TANTO in ritardo come l'altro!

Mi scuso comunque e cercherò di finire presto il prossimo capitolo!

Sono di ritorno da lucca dove si è appena concluso il lucca comics e sono ancora in estasi per essere stata due giorni bellissimi nel mio altrettanto bellissimo mondo!

Passate sul mio profilo e andate a guardare la foto!

Tutti i cosplayer erano fantastici!!

kiss

marykei

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Capitolo 19
*** capitolo XIX ***


Capitolo XIX
 
Quando vidi Nelson per i corridoi me ne sbattei altamente che fosse con i suoi amici  o con la sua ragazzi di copertura, ero decisamente arrabbiato con lui.
Lo raggiunsi -ehi, buono giorno, la sai la novità? Dobbiamo parlare.- gli dissi ammutolendo tutti i suoi amichetti e lo vidi guardarmi con lo sguardo colmo di sorpresa, evidentemente non si aspettava che l'avrei raggiunto mentre era con il suo personale scudo fatto di carne umana.
 
Me lo trascinai via sotto gli occhi increduli dei suoi compagni e della sua beh, ragazza.
-ehi non potevi aspettare..- provò a dirmi ma lo interruppi subito -cosa? Che fossi stato solo per rispettare il bonton del cazzo di tua madre? Neanche per sogno, non asseconderò i tuoi giochetti, non saresti stato solo perché non ti piace esporti e parlare delle cose di cui sei conscio esserne il responsabile.- gli dissi e lui non disse più alcun che.
Uscimmo in cortile e con la campanella che suonava rimanemmo soli io e lui, perfetto avremmo avuto un ora di pace nella quale parlare.
Me lo trascinai fin sul retro della scuola così che ne insegnanti ne ausiliari avrebbero potuto vederci, interromperci e portarci in classe.
-mi hai messo in trappola.- ammise seguendomi -era il mio scopo perché ho due-tre cosette da dirti.- gli confidai, sapevo che dovevo calmarmi ma tutta la vicenda mi stava dando veramente sui nervi.
Lo misi seduto sul muretto e lo guardai proprio da lì' davanti -bene, non devi dirmi niente? Non vuoi iniziare a parlare tu?- gli chiesi e lui mormorò un mi dispiace senza nemmeno guardarmi in faccia -non è con me che devi dispiacerti- lo ammonii e lui non disse altro -ti rendi conto di quello che hai fatto?- gli chiesi e lo vidi sospirare -io non credo che me ne devi fare una colpa- mi disse per poi guardarmi- non ho detto che avrei sopportato tutto quello che gli sarebbe uscito dalla bocca con la chiara intenzione poi di andarmene comunque- ammise -io credevo realmente di riuscire e invece poi mi sono reso conto che non sono così, non sono come voi, non riesco a sentir parlare male di uno che si è tolto la vita e poi dirgli che è stato bravo perché non lo penso- ammise e sì, da una parte aveva ragione, era legittima la sua reazione ma d'altro canto non era quello il punto del discorso.
-il fatto è un altro, più che altro- gli dissi prendendolo per le spalle -nessuno ti ha chiesto di avallare le sue scelte ne di appoggiarlo ne di dirgli bravo o quant'altro, Nel, nessuno ti ha chiesto di giudicare nessuno, saresti solo dovuto rimanere lì con me e Vincent- gli dissi.
Lo vidi negare -io non posso, non ci riesco- lo vidi guardarsi intorno -ha ucciso una persona, ha ucciso suo fratello.- mormorò guardandomi come a farmi capire quelle parole -come posso stare con lui? È un assassino- continuò -lo stai facendo ancora- gli dissi e lui inarcò un sopracciglio -cosa?- mi chiese non arrivandoci -giudicare.- lo vidi storcere il naso -Will, vuoi sapere cosa penso?- mi chiese ed era ovvio che volessi saperlo -che se ci fossi stato io al tuo posto da quando è arrivato qui ad ora la penserei come te perché in un certo senso ti ha plagiato con il suo solo essere Vincent- ammise – e credo che se ad oggi tu non fossi mai venuto a contatto con lui a sapere quel che ci ha detto ieri, beh, avresti reagito proprio come me, perché una volta eri come me eri una persona razionale e normale.- mi lasciò del tutto basito quello che mi disse.
-ma non eri tu quello che odiava le persone normali che facevano gruppo per sentirsi forti?- lo accusai -non eri tu che odiavi quel conformismo osceno?- chiesi ancora e lo vidi annuire -ma il mio anticonformismo si limitava a non stare con quei tizi e non dare fastidio a nessuno, non uccidere una persona.- riuscì a zittirmi -puoi metterla come ti pare, rimane il fatto che il mio anticonformismo non contemplava reati per i quali ti puniscono con la pena di morte.- aggiunse scendendo dal muretto -poi un altra cosa, mi dispiace che Vincent ci sia rimasto male, gli dici una cosa da parte mia?- mi chiese e annuii senza dirgli altro, tutta la grinta che vantavo di avere prima di quella conversazione era morta con le sue parole. Aveva ragione e dovevo ammetterlo a forza.
-digli che quello che è successo in quel mondo rimane in quel mondo- inarcai un sopracciglio, non aveva senso.
-non ho capito.- gli dissi e lui annuì -non sei tu a dover capire, tu riferiscigli quelle parole e basta, ok?- mi limitai a mimare un sì con la testa e lo vidi guardarsi intorno prima di venire accanto a me, si alzò sulle punte dei piedi per parlarmi all'orecchio e io mi abbassai per agevolarlo -da oggi in poi non voglio più sentir parlare di cadaveri, finti suicidi e fratelli morti a meno che non sia qualche puntata di telefilm crime scritti da persone con la mente decisamente disturbata, intesi?- mi disse -quindi?- quindi era tutto ok? -quindi prima digli quelle parole e poi vediamo come si risolve la questione.- mi disse ancora prima di andarsene.
 
 
*
 
 
quel pomeriggio andai a casa di Vincent e incrociai suo zio uscire per andare al lavoro -buona giornata- gli dissi e lui mi sorride -vedi se riesci a farlo uscire, ha una pessima cera e star chiuso in casa non gli fa bene.- mi disse e io annuii ci avrei provato ma non sarebbe stato facile.
Entrai in camera sua e l'odore di fumo in una stanza totalmente chiusa mi fece pizzicare il naso, era un odore pessimo.
Andai ad aprire la finestra, e tirai su la tapparella così che la luce illuminasse quella camera.
Lo vidi nascondersi sotto le coperte e raggiunsi il letto -non ho voglia- ammise subito -ehi non sai nemmeno quello che volevo dirti.- gli confidai e lo vidi tirarsi ancora più su il lenzuolo sulla testa -lasciami perdere, sto bene così- mi disse lamentoso -dio come sono patetico, ti prego vattene non voglio che mi vedi così- disse ancora e mi fece sorridere -se me ne andassi non sarei io- gli riferii e mi resi conto subito dopo che sì, potevo risparmiarmela.
Ci fu un attimo di silenzio, sì sarebbe stato meglio non dire quella cosa.
 
-a proposito.- cominciai trovando il momento giusto per riferirgli quelle parole. -oggi ho parlato con lui e mi ha detto di ripeterti una frase, premetto che non so a cosa possa riferirsi ne se abbia un senso logico o meno- specificai e lo vidi riemergere appena dalle coperte - quello che è successo in quel mondo rimane in quel mondo- gli dissi e lo vidi allargare gli occhi sorpreso e poi sorridermi -grazie di avermelo detto.- mi disse timidamente riferiscigli che mi fa piacere- mi disse e fui solamente io ad essere tagliato fuori in quel momento e non mi parve giusto, ora in una ipotetica graduatoria ero sceso al terzo posto dietro a Victor e a Nelson. No, non era giusto.
 
*
 
a scuola Vincent non si vide molto nei giorni a seguire, e uno di quei pomeriggi decisi di andare con i miei libri da lui, doveva recuperare anche se era ovvio che ormai avrebbe perso anche quell'anno.
Il fatto che fosse così tanto coinvolto dagli eventi e che non riuscisse a rimanere in equilibrio nonostante tutto non era di certo un punto a suo favore per quanto riguardava la carriera scolastica.
Probabilmente Vincent avrebbe avuto bisogno di un aiuto costante che lo spronasse ad andare avanti perché in quanto ad intelligenza era una spanna dinnanzi a tutti, anche a qualche professore.
Se fosse contato solo il test di fine semestre per passare lui non avrebbe mai avuto problemi ed ero anche certo che un tipo come lui all'università avrebbe fatto scintille.
Consapevole del fatto che a lui non interessava minimamente nulla di tutti quei miei pensieri sugli studi non mi restava che aiutarlo nella maniera più pratica possibile.
 
Carta, penna e tanta volontà.
 
Quando arrivai a casa sua mi venne ad aprire in pigiama e quando mi vide mi prese per una mano -guarda che mi ha inviato Victor- mi disse trascinandomi dentro e riuscii a chiudere la porta per un pelo; un gioco di ultima generazione troneggiava sul tavolino davanti alla televisione e un comando manuale era distrattamente abbandonato sul divano, vicino a dove Vincent tornò a sedersi -mi ci sono chiuso in una maniera allucinante, guarda che figata- mi disse entusiasta del proprio risultato.
 
-ehi vin, dovremmo studiare.- gli dissi e lui rimettendo in play e tornando a giocare annuì -tra un po', prima finisco questo livello- mi disse -no- mi imposi -prima studiamo e poi giochi quanto ti pare- gli dissi e lui non mi prese minimamente in considerazione.
-Vincent Douglas.- mi imposi a quel puntoe mi misi davanti allo schermo -non costringermi a staccare la spina.- lo minacciai e sembrò prendermi in considerazione -salva e poi spegni- gli dissi e gli vidi fare esattamente quello che gli avevo detto di fare, il che mi fece sorridere, mi ero imposto su di lui e per me era decisamente tanto.
 
Finalmente ci mettemmo a studiare come era consono, con il cervello impegnato in quello e mi sorpresi come tutte quante le volte di quanto lui fosse veloce nello svolgere le esercitazioni che i professori ci davano in classe.
-se tu volessi saresti il primo di tutta la contea- gli dissi senza pensarci -sì lo so, ma poi che noia. - ammise giocherellando con la penna -e poi penserebbero tutti che sono un nerd secchione senza vita sociale.- aggiunse guardandomi e gli scoppiai a ridere in faccia -sarebbe lì' che li lasceresti tutti di merda- gli confidai e lo vidi interessarsi alle mie parole -pensaci, tutti con quell'icona di studente e ti vedi entrare tu, che ammettiamolo non hai propriamente l'aspetto di uno studente modello- gli dissi indicandogli i capelli, nuovamente biondo chiarissimo, -niente occhiali, capelli stravaganti e sopratutto con un fisico...- mi imposi di non continuare la frase -con un fisico?- mi chiese -da favola vin, tu non ti guardi intorno, fai girare la testa tanto alle ragazze quanto ai ragazzi, non so come fai a non accorgertene- mormorai, era una cosa che non gli avevo mai detto perché non volevo che in qualche modo trovasse qualcuno migliore di me come amico.
-sinceramente?- gli chiesi in maniera ovviamente retorica -non so perché ti crei tutti i tuoi problemi, ti complichi la vita in una tale maniera che a volta non posso impormi di non pensare che tu ci goda in qualche modo nella tua stessa sofferenza. Come se avessi paura di dire che sei felice, o tranquillo o sereno, è la stessa cosa- cominciai a dirgli senza riuscire a fermarmi -potresti goderti le piccole cose, invece ti applichi in battaglie inesistenti, contro dei mulini a vento.*-
lo vidi ascoltarmi in silenzio e poi mordersi appena le labbra -la vita è molto più elementare vin, prendila per come viene e godi di quello che ti da, combatti per avere qual che desideri, ma non cercare di ottenere il sole, Icaro è morto per quello.- aggiunsi palesando nuovamente la mia passione per i racconti epici di tanti anni fa.
-lo vuoi- iniziò -lo vuoi un caffè?- mi chiese -da solo non mi piace, ce l'hai il latte?- domandai in risposta e lo vidi annuire -allora sì, andiamo a prepararlo- gli dissi alzandomi da tavola e lo vidi precedermi in cucina -guarda che b ella- mi disse mostrando la nuova macchinetta elettrica per fare il caffè -lo zio l'ha comprata con i soldi che ci mandano i miei genitori e mi ha detto che dovevamo sceglierla insieme- ammise e ne sembrò felice, si una piccola cosa come quella ne sembrò veramente felice.
 
Si mise a preparare il caffè e dopo la ripulì con cura, sembrava essere qualcosa a cui teneva veramente -il caffè ancora non è prefetto, devo trovare la miscela giusta e la macchina è nuova ma è sicuramente meglio di quello liofilizzato che usava prima- mi disse e mi portò il caffè al tavolo con il bricco del latte -freddo, giusto?- mi chiese e annuii -se vuoi posso farlo come quello del bar- mi indicò il braccetto e in quel momento lo vidi bene a gestire un'attività commerciale come un bar, appunto.
 
Il latte mi andava bene più che freddo -mi farai da barista un altra volta.- gli dissi e lui annuì contento alla fine il mio sembrava un latte macchiato e lui mi guardò berlo, mi piaceva.
-la prossima volta ti faccio trovare il caffè freddo, viene più buono se è tutto freddo.- ammise e io annuii -oddio potrei comprare la macchina per fare la granita di caffè- si gasò -o quella per fare il gelato- si illuminò di colpo -ehi ma dove le metteresti? Non è che molto spazio qui.- gli dissi e mi diede ragione -però finiti gli studi potresti mettere in piedi un attività- proposi e lui mi sorrise -a Miami con Victor- specificò -quando divento maggiorenne ce ne andiamo- mi confidò e io non riuscii ad impedirmi di pensare al fatto che sembrava un qualcosa macchinato da tempo, una decisione drastica arricchita negli anni di particolari.
 
Regali, maggior età, compleanno.
 
Quelle tre cose mi portarono nella mente, come illuminata da un fulmine, un pensiero repentino. Quando era il compleanno di Vincent?
Ormai era decisamente più di un anno che stava in città e che era mio amico eppure mai una volta aveva accennato al proprio compleanno e sinceramente nessuno gli aveva posto quella domanda.
 
Lo vidi sorseggiare il proprio caffè e poi guardarmi e quando si rese conto che era stato colto sul fatto deviò repentino i suoi occhi sul piattino sul quale aveva poggiato la tazzina poco prima, lo vidi poi guardarmi di nuovo -senti- mormorò cominciando e deviò lo sguardo ancora una volta e io lo trovai adorabile. -ma Nelson?- mi chiese; Nelson.
 
...Nelson?
 
-vuoi sapere se mi chiede di te? Sì lo fa- ammisi senza molta enfasi la cosa mi dava ancora alquanto fastidio anche se ero conscio non ci sarebbero dovuti essere motivi a giustificarlo.
 
Una cosa era ovvia entrambi volevano parlarsi ancora ma nessuno dei due faceva il primo passo verso l'altro. Probabilmente dovevo fare qualcosa, e l'unica cosa che mi venne in mente in quel momento, forse vittima dei pensieri passati da poco, fu una fasulla festa di compleanno per Vincent, organizzata con Nelson.
Certo una festa alquanto esclusiva, Vincent non aveva molti amici. Forse un po' troppo esclusiva.
Sarebbe stato meglio di niente.
 
Quella sera stessa, dopo essere andato via da Vincent andai di filato a casa di Nelson, sua madre mi salutò come sempre e mi disse che Nelson era in camera sua e io andai, la strada la conoscevo a memoria.
 
-ohi- lo vidi sorpreso di vedermi, in effetti poco prima di cena non era consueta una visita.
-Nel mi devi aiutare ad organizzare una cosa- gli dissi e lui inarcò un sopracciglio -basta progetti di economia dove sei un ragazzo padre.- mi disse immediatamente e il brutto ricordo di quel progetto tornò alla mente anche a me -no per carità- alzai le mani e lo vidi ridacchiare -dimmi il tuo piano malefico.- mi indicò il letto per farmi sedere e io cominciai a spiegargli tutto -da quanto Vincent vive qui?- gli chiesi -eh saranno due anni quasi- mi disse cercando di ricordare almeno quanti esami avevamo passato da quando c'era lui -eh si quasi.- mormorò in risposta -quante volte ha festeggiato il suo compleanno?- e a quella domanda mi guardò inarcando un sopracciglio -mai.- ammise, quindi non ero l'unico il cui particolare era completamente sfuggito.
-organizziamogli una festa di compleanno a sorpresa- proposi e lo vidi lì titubante -e dovrei uscire solo io a gridare sorpresa nascosto dietro un divano?- domandò e in effetti aveva ragione -tu e Victor?- proprosi anche se ero completamente consapevole che anche se in due l'effetto sarebbe stato orribile comunque.
-io e Victor?- mi chiese lui di rimando come se avessi detto un'eresia abnorme.
-ragiona, tra me e Victor no c'è mai stato dialogo, che cosa gli dico quando sono solo con lui? “ah che bella giornata”?- mi disse inarcando un sopracciglio -già- mormorai -farai uno sforzo- gli confidai -per Vincent potresti farlo, oggi mi ha chiesto di te e questo è un modo di rincontrarvi in qualche modo, Dio siete così dannatamente ottusi.- lo ammonii io e lui arricciò di poco il naso 
-uhm, che gli regaliamo?- il sentiglielo chiedere mi fece sorridere, aveva già accettato tutto il resto.
Effettivamente Vincent poteva avere qualsiasi cosa se solo l'avesse chiesta e non era di certo di un regalo costoso ed impersonale che andava alla ricerca.
-potremmo regalargli qualche gioco per la play che ha comprato di recente- ipotizzò Nelson ma lo bollai subito, di dargli altre distrazioni proprio non ne avevo voglia.
-uhm non saprei proprio che regalargli, di cose iper tecnologiche ne avrà a bizzeffe.- mormorò e aveva ragione -uhm nel- lo richiamai, avevo avuto un idea -quando sono andato a casa sua in città, teneva come una reliquia una foto in una bella cornice di vetro che sembrava fatta d'acqua, era molto curata e bella e c'erano lui Victor  e una ragazza.- gli confidai -noi abbiamo una foto tutti e tre?- gli chiesi e lo vidi pensarci un secondo -forse sì mi sa che ce l'ha fatta Victor con la mia digitale- mi disse e prese il portatile e lo aprì accendendolo -mi prendi l'hardisk?- mi chiese e io andai a prenderlo mentre lo vedevo mettere la pass per l'accesso nel suo account.
-ehi ma perché hai un account personale sul pc se poi non ci tieni niente dentro?- quel computer lo usavano tutti in quella casa anche se per la maggior parte lo adoperava Nelson però non capivo per quale motivo nascondersi dietro una password se poi era completamente vergine quel suo personale accesso.
-mamma usa internet- mi spiegò -non vorrei vedesse i siti che frequento.- mi disse -frequenti siti porno?- gli chiesi inarcando un sopracciglio -ma che e poi abbassa la voce- lo vidi impanicarsi -mi da semplicemente fastidio che possa vedere quello che faccio- lo vidi deviare lo sguardo -un paio di volte ci sono andato- ammise arrossendo vistosamente e io rimasi lì con gli occhi allargati dallo stupore visto che tutto mi sarei aspettato meno che lui andasse a guardarsi qualche porno on line.
-dammi quel dannato coso- mi disse tenendo una mano e prendendomelo e lo attaccò iniziando la ricerca delle foto.
Ce ne erano alcune decenti e una più carina delle altre -pensi che possa piacergli come regalo?- mi chiese e io gli risposi di sì, ne ero certo. 
 
-non pensi che dovremmo chiamare Victor?- mi chiese alla fine Nelson, decisamente poco incline all'idea che avevo avuto prima di invitalo; effettivamente non aveva tutti i torti e ci pensai su un attimo -no- risposi subito dopo -sicuramente Victor sa il giorno del suo compleanno e sicuramente hanno festeggiato insieme e non ci ha detto nulla, quindi no, niente Victor a questo nostro personale compleanno.- lo vidi sorridere alla mia idea per poi annuire, era decisamente il momento di non renderlo più così onnipresente nella sua vita, quel Victor; specialmente visto che ormai Vincent viveva stabilmente nella nostra cittadina lontano dalla grande metropoli che lo aveva portato ad un passo dall'oblio.
 
*
 
Avevamo preparato tutto nel dettaglio, mamma ci aveva aiutato più che contenta e anche la mamma di Nelson aveva preparato qualche muffin da mangiare durante il pomeriggio... ovviamente era certa che avremmo usato nei suoi confronti la cortesia di renderle quei cestini adornati da fiocchetti celesti che aveva preparato per l'occasione.
 
Mentre mamma e Nelson preparavano le ultime cose tra cui i giochi di ruolo con i quali passavamo sempre i miei compleanni e soprattutto la telecamera per riprendere i momenti di quel giorni di compleanno fittizio io ero andato a casa sua con la scusa di aiutarmi in un qualche compito di matematica che non mi riusciva.
Sapevo che non si sarebbe tirato indietro.
 
Quando arrivai lo trovai con i guanti di gomma alle mani intento a pulire da cima a fondo la cucinasi grattò la fronte con il dorso della mano e cercò di non farsi andare i capelli davanti agli occhi -ehi, vengo a chiederti aiuto.- gli dissi tranquillamente -matematica- specificai e lo vidi annuire -hai portato almeno il quaderno?- mi chiese vedendomi a mani vuote e io feci spallucce -speravo venissi da me così passavamo anche il pomeriggio insieme- ammisi.
-allora vado a cambiarmi- mi disse e io annuii, mi faceva strano vederlo con quegli abiti da casa e con quei guanti come una brava domestica.
Quando entrai in camera sua la luce e la freschezza di quell'ambiente mi stupirono, la finestra non era mai stata tanto aperta come quel giorno e la luce del sole li fuori non aveva mai invaso tanto quell'ambiente.
Le tende che filtravano di un poco vista la loro chiarezza, la luce del sole sembravano fatte di nuvole che ad ogni sospiro del vento si gonfiavano.
Tutto profumava di limoni.
Tutto sapeva d'estate.
-come mai oggi giorno di pulizia?- gli chiesi, non mi era mai sembrato che Vincent tenesse tanto a quel tipo di cose -beh c'era una macchia che mi diceva “puliscimi puliscimi”- ammise -in cucina e sono andata a pulirla, mi dava un fastidio allucinante vederla lì- ridacchiò -e poi sai da cosa nasce cosa e...- lasciò in sospeso per un secondo la frase e andò all'armadio prendendo quello che avrebbe indossato -e sono finito con il pulire tutta la casa- concluse valutando due paia di jeans -quello chiaro.- gli suggerii per quanto riguardasse i suoi pantaloni -ti stanno meglio.- annuii e lui si decise per quelli.
-quanto tempo ci hai messo a pulire tutto?- gli domandai mentre lo guardavo cambiarsi e lo vidi fare spallucce -ho cominciato questa mattina alle nove- mi rispose solamente e quando inarcai un sopracciglio mi domandò che ore fossero -sono quasi le quattro del pomeriggio- gli spiegai -oh- mormorò stupendosi -quando pulisci casa il tempo è relativo allora, sì.- ammise -pensavo fosse più o meno mezzo giorno- mi confidò ridacchiando -dai andiamo che altrimenti non abbiamo tempo per le ripetizioni- gli dissi per farlo muovere e lui annuì infilandosi la maglia alla svelta e prese un cerchietto dalla scrivania portandosi con quello i capelli indietro -sono cresciuti tanto eh?- gli dissi toccandoglieli -e sono anche decisamente rovinati.- ammisi sentendone la consistenza -l'ultima volta che li ho decolorati li ho lasciati troppo- mi disse -dovevo togliere il nero della tinta.- mi spiegò.
 
 
Ci avviammo a casa mia e io fremevo per dirgli della sorpresa, era più forte di me ma allo stesso tempo l'altra parte di me stesso mi imponeva di stare in silenzio di non dirgli nulla e di non rovinare il lavoro di tutti.
La curiosità di vedere la sua espressione quando avrebbe capito che era una festa di buon compleanno in un giorno in cui non era il suo compleanno aveva comunque preso il sopravvento e non gli dissi nulla fino alla porta d'ingresso. 
-tu mi nascondi qualcosa.- mi disse e io mi sentii in imbarazzo per come riuscisse a leggermi bene. 
-ma no, che dici.- pronunciai imbarazzato e aprii la porta di casa con le chiavi facendogli intendere che non ci fosse nessuno all'interno, entrammo e trovai le luci spente, probabilmente mamma e Nelson volevano proprio sbucare fuori dal divano e gridargli “sorpresa” come in quei telefilm americani con decine e decine di invitati. 
Probabilmente non avrebbe avuto lo stesso effetto con solo due persone che saltavano fuori, ma sicuramente il pensiero sarebbe bastato.
 
Entrammo e chiusi la porta prima che la luce esterna che filtrava illuminasse qualche addobbo e accesi la luce e proprio come avevo ipotizzato sia mamma che Nelson uscirono fuori dal divano con quella frase ad effetto.
Vidi Vincent immobile arrossire vedendo quei crucci gridare quel sorpresa solitario di due soli membri.
Boccheggiò appena continuando a fissare gli addobbi di buon compleanno e i panini sul tavolino -buon compleanno- gli dissi io per poi baciargli una guancia e i due ci raggiunsero -sappiamo che oggi non è il tuo compleanno ma non sapevamo quando fosse quindi, beh, buon compleanno- gli disse Nelson 
rimase zitto, evidentemente troppo imbarazzato per dirci anche solo grazie, di certo non si aspettava cose del genere per il suo compleanno, figurarsi per un giorno a caso nel vasto calendario.
-abbiamo anche immortalato tutto- ridacchiò Nelson e la mamma annuì mettendo in pausa -vado a prendere la torta- disse tutta orgogliosa -era da parecchio che non ne facevo una tanto bella.- ammise contenta di essere stata parte attiva di quella sorpresa.
La portò in soggiorno facendola finalmente vedere a tutti, nella sua preparazione aveva vietato a me e a Nelson di entrare in cucina -wow- esalò Nelson -perché la mia non era tanto bella?- si lamentò storcendo il naso -Nelson la tua era stupenda, tua madre con i dolci ci sa fare- lo rimproverò bonariamente mia madre -su vin, vieni a spegnere le candeline- lo invogliò la mamma -ho preparato anche dei giochi di società che potete fare dopo mentre pulisco la cucina – ammise sempre lei -benvenuto in un compleanno tipo di casa mia- gli dissi e lui ridacchiò -mi piace questo non compleanno.- ammise ringraziandoci.
 
Spense le candeline e mamma tagliò la torta e la mangiammo tutti quanti, Vincent compreso, dopo di ché la mamma ci lasciò per tornare in cucina e io e Nelson demmo il nostro regalo a Vincent.
-scusaci per il numero approssimativo di candeline...- mormorai e un po' mi vergognai di non sapere la sua età -ho compiuto diciassette anni lo scorso venti aprile- ci disse;
-immagino che sei abituato ad un altro genere di regali- ammise Nelson -e a delle feste diverse- continuò ma Vincent negò -questa è la prima festa come questa- ci rivelò e Nelson inarcò un sopracciglio -Victor non ti ha mai organizzato una festa?- chiese lui e Vincent negò -per il mio compleanno i festeggiamenti sono stati bere fino a stare male e poi fare sesso sfrenato tutta la notte- ci confidò e fu capace di farci arrossire per quel regalo che ci aveva rivelato avergli fatto Victor.
-oh beh no, dimenticati il sesso a tre.- mormorò Nelson facendolo ridacchiare -e dimenticati gli alcoolici, qui non sono  molto benvisti- ammisi io -tua madre ancora ti bagna la fronte con lo spumante a natale e al compleanno- rise Nelson di cuore -cosa che fa anche tua madre con te.- ribattei io e lui smise di ridere -no, basta ci conosciamo da troppo tempo.- negò beffardo con finto rammarico.
Mentre parlottavamo, Vincent scartò il regalo e ne rimase sorpreso -era l'unica che piaceva ad entrambi- si giustificò Nelson vedendo che osservava la cornice -è molto bella- ammise sincero 
-ora avrò due foto e due cornici da mettere in bella mostra in camera- mormorò continuando a guardarla -grazie- aggiunse per poi baciare me e Nelson sulle labbra in un casto bacio che ci lasciò interdetti ed imbarazzati.
 
Da quel giorno le cose sembrarono andare meglio, Vincent veniva tutti i giorni a scuola, studiava con impegno e rimaneva anche oltre l'orario per delle lezioni che li avevano imposto di seguire i professori per recuperare le ore in cui si era assentato, se non le avesse seguite o se avesse fatto anche solo un altra assenza sarebbe stato bocciato.
 
Sorrideva di più e aveva anche iniziato a dare confidenza a persone che non eravamo io e Nelson; pensandoci bene mi resi conto che anche il suo essere stravagante stava pian piano affievolendo, niente cinte borchiate ad esempio o anfibi con i pantaloncini corti, o maglie decisamente scollate per un maschio.
In un certo qual modo era come se quando andasse bene qualcosa nella sua vita non avesse più bisogno di quegli escamotage che sembravano urlare “guardatemi, sono qui, esisto” il che mi rattristò un poco, doveva essere disarmante combattere contro un se stesso tanto distruttivo.
 
In quel momento era tutto o, comunque e lo stare con un Vincent negli schemi -per quanto potesse essere tale Vincent, ovviamente- era bello e semplicemente tranquillo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** capitolo XX ultimo capitolo ***


 

Capitolo XX

 

So perfettamente di essere una pessima persona, di certo mio padre non si esula mai dal farmelo notare.

L'ho sempre saputo e lui me lo ha sempre sottolineato in tutti i modi.

 

Il desiderio di chiunque è vivere una vita felice e io non ho mai fatto eccezione, rimane a tutt'oggi il mio desiderio più grande, solo che mentre tutti gli altri ne hanno la possibilità io non ne ho mai avuta alcuna.

 

Mi sento soffocare.

 

Ho vissuto in apnea troppo tempo e temo di aver dimenticato come si fa a respirare.

 

Quando ero piccolo c'era mio fratello che nonostante tutto mi sorrideva, credo di essermi innamorato di quel suo sorriso e poi di averlo odiato così repentinamente di non essermi accorto di quel momento in cui l'amore si era tramutato in un odio profondo.

 

Se porto indietro la mente nei miei ricordi credo di poter individuare un momento nel quale ero ancora innamorato di lui e poi, in un ricordo successivo lo odiavo, con tutto me stesso.

Probabilmente quella transizione si è verificata nel lasso di tempo intercorso in quei due momenti.

 

A tutti gli effetti Horge era il ponte che mi congiungeva con Dominik, nostro padre.

 

-ehi, devo dirti una cosa- mi aveva rivelato sorridente in una serata che avremmo trascorso da soli, in casa; io gli avevo annuito e gli ero salito sopra scalandolo come un animaletto domestico e lui mi aveva abbracciato, erano tanto calde le sue braccia e io li in mezzo ci stavo bene.

-mi sono innamorato.- mi aveva palesato poi arrossendo un poco e mi ricordo che lo guardai inarcando un sopracciglio non riuscendo a capire.

Non ho mai saputo dare un senso a quella parola, purtroppo.

Il giusto e lo sbagliato nella mia vita sono stati così ambigui che ad oggi non so dire se i miei siano stati veri innamoramenti o solo una sensazione di benessere che il chi di turno mi faceva provare.

Ho letto di un batticuore che ti coglie all'improvviso ma il mio cuore è morto da troppo tempo per battere più forte.

 

-sei l'unica persona alla quale dirò queste parole, perché sei importante- mi aveva detto -nel fine settimana scappiamo, io e lui, andiamo via di qui.-

 

ancora oggi non so descrivere cosa riuscii a provare dopo quelle parole. Probabilmente senso di abbandono.

 

So che qualcosa cambiò tra me e lui e solo a causa mia.

 

Probabilmente era invidia rivestita di parole più grosse.

 

Fu quello il momento in cui impazzii per la prima volta, fu quello il periodo nel quale lo odiai per la prima volta; lui sarebbe stato felice con il suo amore, io non avevo nemmeno trovato un amore tutto per me, il mio cuore a quel tempo era quello di un ragazzino che aveva imparato a fare il grande e che non riceveva le premure necessarie, a quel tempo il cuore mi batteva ancora abbastanza forte ma io non sapevo che avrei riconosciuto l'innamoramento da quello così ho tralasciato tutto quanto, battiti compresi.

 

È difficile ammettere che fui io a far scoprire a Dominik del suo piano e del modo in cui Horge fu totalmente devastato da quell'occasione, forse la sua unica occasione di andarsene da quella merda, ma era l'unico modo che avevo per tenerlo con me, per non farlo andar via, perché se pur come seconda scelta di papà io in un certo senso ci stavo bene, mi bastava o più che altro me lo facevo bastare.

 

Un giorno lo sentii parlare al telefono, rimasi nascosto per origliare e scoprii che volevano organizzare un altra fuga, sentii dire ad Horge che era troppo rischioso a quel punto.

Da lì a poco ci fu una litigata mostruosa, io la ricordo come spettatore nascosto dietro un divano per paura che se la prendessero con me.

Quel giorno ebbi veramente paura che si uccidessero a vicenda.

Parlavano di cose che non capivo e facevano riferimenti ad un qualcosa che era troppo distante da me.

 

Non è colpa mia se Horge è morto è che lui era una persona debole, non avrebbe saputo stare comunque al mondo.

 

I ricordi di quel periodo sono essenzialmente confusi da farmaci che ho smesso di prendere da un po', farmaci che mi faceva prendere la mamma.

 

I giorni di pioggia mi ricordano il giorno in cui è morto Horge, bagnato dallo scroscio dell'acqua della doccia, sembrava proprio un accquazione estivo di quelli che arrivano senza avvisare e ti inzuppano da capo a piedi.

 

Dopo la morte di Horge sono diventato insostenibile, ne sono consapevole. Avevo perso il mio ponte, l'unico appiglio che mi congiungeva con papà.

 

So di essere una persona corrotta nell'animo ma non posso farci niente, sono così.

L'essere arrivato dallo zio è stato un sogno vissuto ad occhi aperti, mi piaceva stare da lui, stare con William e stare con Nelson, mi sembrava di poter essere una persona nuova, come l'attore di un film che interpreta un nuovo se stesso in un'opera.

Pensavo che quel sogno potesse durare di più. Purtroppo mi hanno svegliato proprio mentre stava andando tutto bene.

 

Mio zio ricevette una chiamata da parte di mia madre e mi guardò quasi inorridito, gli stava raccontando tutto, ne ero certo.

Non c'erano bisogno di parole, era tutto così palese.

Me ne andai in camera a preparare le mie cose e poi, mentre ero indaffarato sul mettere nel borsone i miei vestiti lo vidi allo stipite della porta, in quel momento sperai che mi dicesse una cosa del tipo “ehi piccolo cosa stai facendo?” adoravo quando mi chiamava “piccolo” purtroppo non disse nulla del genere -vogliono riaprire il caso della morte di tuo fratello- sibilò solamente, mi venne la pelle d'oca sulle braccia quando udii il tono con il quale l'aveva detto e il volta stomaco dopo tanto tornò ad attanagliarmi l'anima.

Dovevo tornare lì perché in un certo qualmodo volevano vederci chiaro, evidentemente qualche corrotto dell'epoca aveva chiesto la redenzione dell'anima spifferando qualcosa.

Se solo l'avessi saputo per tempo, probabilmente sarei andato ad uccidere anche lui.

 

 

Passai la mia ultima giornata con i miei amici, non avevo il coraggio di riferirgli che me ne stavo per andare via, quasi a sperare che se non lo avessi detto ad alcuno non si sarebbe realizzato.

Fu una giornata molto divertente, eppure in cuor mio sentivo che stavo sbagliando, dovevo dirglielo, dovevo essere sincero con loro che si erano dimostrati veri amici -come lo era sempre stato Victor, oltretutto.

-andiamoci a prendere una birra- non so perché ma non rifiutarono, probabilmente ce l'avevo scritto in faccia che quel sorriso che gli mostravo non era uno dei miei soliti sorrisi, non era vero, non era quello che solitamente mi decorava il viso, quello di uno che la sa lunga, perché io adesso non la so affatto lunga.

 

Sono ancora diviso a metà tra il dire tutto quanto e pagare per quello che ho fatto e il tacere e lasciare tutto com'è. Probabilmente mio padre mi vuole lì per istruirmi su come non far scoppiare uno scandalo. Io nel mio piccolo cuore mal funzionante vorrei far pagare lui per non aver permesso al nostro Horge di coronare, almeno lui, il suo eterno sogno d'amore.

 

Hanno annuito e nonostante siano appena le sei del pomeriggio andiamo in un supermercato e compriamo da bere, andiamo da me, zio è al lavoro e questa sera fa il turno più lungo, probabilmente rincaserà verso le due del mattino.

Sono io a stappare le birre e le distribuisco a tutti e prima ancora che loro se ne rendano conto faccio tentennare le bottiglie sussurrando un cincin a mezza bocca, non ci metto molto a berne la metà -assetato eh?- mi dice Nelson e io non posso far a meno di ridere, se bastasse così poco a dissetare la mia sete.

Gli sorriso sempre in quel modo che non è da me e lo vedo guardarmi storcendo la bocca -allora ci dici che cazzo succede?- ovviamente è sempre lui a parlare, william non è solito usare quei toni -almeno non se è arrabbiato, ma di brutto.

Mi siedo sul divano e me li guardo, ancora in dubbio, ma si sono dimostrati dei buoni amici tra i bassi e gli alti dello stare con me -sei sicuro di volerlo sapere?- gioco io, almeno in questo non sono cambiato, lo vedo annuire e poggio la testa sullo schienale -sono stanco, e domani torno in città- gli dico ed è vero ma dallo scatto di Nelson comprendo che non ha capito affatto il mio sono stanco, anzi lo ha interpretato a modo suo, dipingendomi come una testa di cazzo che si è stufata di giocare al provincialotto di paese.

-non nel senso che hai capito tu- ci tengo a precisare, stiamo mettendo in chiaro le cose no? Allora mi avranno al cento per cento.

-hanno riaperto l'inchiesta sulla morte di mio fratello.- gli dico -e devo tornare lì per gli interrogatori- aggiungo e vedo che loro non capiscono -anche se il caso è stato archiviato la prima volta io ero indiziato lì, come assassino.- gli dico e continuano a stare in silenzio, al che o non hanno capito un cazzo o hanno capito troppo. Ancora non lo so però.

 

Sospiro e riprendo a bere, almeno lei non se ne sta zitta, mi parla tra le sue bollicine -pensi ancora che il crimine perfetto esista?- mi chiede William e io gli annuisco -dobbiamo stare a vedere se riesco a tornare qui, allora si, esiste.- gli rispondo e qui credo che sia chiaro a tutti che sono io che ho ucciso mio fratello, facendogli credere mentre era scosso sotto la doccia che avevo chiamato l'ambulanza per farlo rilassare troppo pieno di sedativi e sonniferi che già di per se aveva preso, ma troppo vigliacco per portare a termine il tutto, e io gli ho solo dato la forza di continuare in una speranza che è finita con il suo scopo.

Mi hanno trovato bagnato dell'acqua che continuava a piovere dal telefono della doccia, come una pioggia improvvisa che prende nelle giornate estive, quella che ti coglie impreparato e ti bagna fin dentro le mutande.

Mi hanno trovato lì e mi hanno portato via prima ancora che potessi aprire bocca, c'era già chi urlava molto più forte delle mie parole e io volevo solo attapparmi le orecchie e piangere della morte del mio ponte.

Io ho distrutto il mio ponte con la fasulla convinzione che sarei diventato io stesso Horge. La realtà è stata diversa, io che lo amavo con tutto me stesso non potrò mai avere il suo amore, perché come ho scoperto tempo dopo non sono sangue del suo sangue.

Sono figlio dell'adulterio e di sua moglie e questo non potrà mai tollerarlo, a prescindere da come mi tingo i capelli, a prescindere da quanto mi impegno per assomigliare al suo amato Horge.

Voglio la mia giustizia e se riuscirò ad averla tornerò qui per continuare a viverla.

 

Penso che siano allibiti dal mio racconto ma io questa volta non volevo sorprenderli, se ci rivedremo gli racconterò ogni singola cosa di me, tutto quello che non ho permesso a nessun altro di vedere, di sentire, di toccare, tutto me stesso, fin dentro al sentimento più intimo e distorto, perché se sono ancora qui adesso, dopo tutto questo, allora meritano tutto quanto, davvero.

 

Vorrei veramente chiudere gli occhi e sentirmi solo essenza, o essere morto io al posto di mio fratello, o essere impazzito del tutto, e invece sono solo rimasto in equilibrio sull'orlo di una fossa che io stesso mi sono imposto di scavare, nel mio cuore e sembra che stare qui, sull'orlo del precipizio sia l'unica cosa che mi tenga in vita.

 

Voglio uno scopo, ho vissuto senza nulla di tutto ciò troppo a lungo e ora, qui, lontano dalle mie radici irrisorie, sento di poter volere un qualcosa a lungo termine, ma prima di poter coronare questo sogno devo sistemare le cose con mio padre e l'indagine.

È per questo che il giorno dopo parto, senza salutare nessuno, all'ora che voglio sparendo all'improvviso; non voglio che mi ricordino come un condannato a morte, voglio che si rendano conto che non ci sono all'improvviso, e si dicano che sono partito senza salutare e che capiscano che l'ho fatto perché voglio tornare.

Dopo anni di superficialità sentirmi rendere conto che voglio qualcosa mi fa sentire vivo e provare un battito nuovo in questo cuore solitario.

 

*

 

mio padre forza la mano nel tenere tutto in ordine, si vede che cerca di nasconderlo ma è chiaro come l'acqua che nulla è sotto il suo controllo, è solo un apparenza che ha bisogno di mostrare per sentire nuovamente il potere tra le sue dita.

Mi guarda e cerca di incutermi timore, il fatto che il potere questa volta ce l'abbia io tra le dita mi da un senso di onnipotenza, una mia parola alla persona giusta e il suo regno di carte cadrebbe inesorabilmente a terra, basta l'alito caldo dello strascico d una singola parola e io già sto godendo eccitato di vederlo tremare e piegare sotto al mio viziato volere.

Sai papà, quando non diventi null'altro che rancore dentro una persona, quando il pensare di poterti far del male con un minimo di sforzo inizia a darti gusto, probabilmente lì capisci che è il primo vero cerchio che si ripete, nonostante il tuo sangue non mi scorra nelle vene io e te siamo della stessa putrida pasta, io non sono una brava persona, ho imparato dal migliore in questo senso. Ho uno scopo, tornare lì perché è lì che voglio stare, vaffanculo te e tutta la tua merda, ho uno scopo e voglio raggiungerlo, il costi quel che costi, come sai non mi ha mai spaventato.

 

-Vincent, io- lo blocco con un sorriso -tu cosa?- lo incito a finire la patetica frase fatta per tenermi buona -ora mi guardi? Ora mi vedi?- gli dico andandogli incontro nella sala, mamma fa finta di niente, come sempre, lei guarda solo i soldi, sarebbe dovuta nascere sterile. -ti piace quel che vedi, papà?- gli chiedo e la marco di più quella parola, perché se la merita tutta la mia cattiveria -probabilmente se parlassi, ti accuserebbero di concorso in omicidio, non che molestie su minore.- mi si allarga spontaneo un sorriso -e tu non vuoi che il “buon” nome della tua famiglia vada in malora per le parole di un piccolo innocente ragazzino trovato al capezzale del fratello morto suicida perché tu volevi impedirgli di andare con il suo amore vero per gelosia vero?- e detta così fa paura, fa veramente paura che glielo vedo negli occhi che trema dalla fottuta paura e so che ce l'ho in pugno, se avessi una pistola sarei il suo dio per un secondo, ma io non sono un santo e le preghiere non mi piacciono e quindi morirebbe.

Ma io sono magnanimo.

Io lo voglio far vivere nella sua merda e nella paura che una mattina io mi svegli più chiacchierone del solito e sputtani tutto quanto, tutto il suo malato amore paterno.

E lui lo capisce, capisce tutto, perché nonostante non sia biologicamente mio padre io e lui siamo padre e figlio più di quanto non fossero stati lui e mio fratello.

-cosa vuoi.- e li sorrido ancora perché ho fatto bingo.

Gli dico le mie condizioni e dice di non potrà accettare, che peccato, quelli come te in carcere durano poco, sai agli altri detenuti prudono un po' le mani di essere paragonati alla feccia come te.

Il mio bisogno di stare bene ora è di fronte a tutto e credimi, papà, sta volta non guardo in faccia nessuno.

 

*

 

l'ultima volta che ho visto Vincent era sorridente, credo che me lo ricorderò sempre con quel sorriso, come se avesse cercato di cancellare tutti i momenti bui con quell'ultima giornata insieme.

Ricordo che era estate e che il sole batteva forte tanto da farmi mettere la crema protettiva onde evitare ustioni che poi lui non avrebbe potuto punzecchiare, tanto per ridere della mia sofferenza, come era solito fare, visto che quella sarebbe stata l'ultima giornata con lui.

 

Nell'ultimo periodo ci era sembrato strano, anche Nelson me l'aveva confermato, anche secondo lui era come se non avesse in un certo qual modo il coraggio di dirci qualcosa, qualcosa di grosso e importante che cci rivelò solamente l'ultimo giorno.

 

I suoi genitori avevano deciso di riprenderlo quindi il suo bel sogno era finito, era il momento di svegliarsi.

 

Ha detto anche tante altre cose ma io voglio ricordarmelo così, e ogni giorno che passa un po' di speranza di rivederlo in me muore un po', controllo su internet se ci siano indagini in città che riguardino vicissitudini passate ma ogni giorno che controllo non c'è mai niente di nuovo.

Ora che è iniziato il nuovo anno le speranze di rivederlo si sono rassegnate in un numero piccolissimo vicino allo zero, con Nelson non ne parliamo quasi mai di lui, perche anche se all'inizio non lo sopportava lo so che se ne è affezionato, una volta mi ha detto che probabilmente se fosse nato e cresciuto con noi sarebbe stato una splendida persona, io quella volta gli ho risposto che lui lo è,una splendida persona e che in caso contrario non sarebbe comunque stato Vincent e da allora abbiamo gradualmente smesso di parlarne.

Ho provato a chiamarlo ogni tanto sul cellulare ma risultava sempre staccato e non so se a quest'ora sia stato arrestato o cosa, io di queste cose non ci ho mai capito nulla e veramente è una cosa che mi fa piacere, non perché voglio crogiolarmi nell'ignoranza ma perché sono cose che voglio scoprire il più tardi possibile, per ora mi limito a guardarle nei telefilm ma ultimamente nemmeno più tanto lì, cambio canale quando ci sono quelle cose, perché irrimediabilmente penso a lui e mi intristisco perché ancora non mi ha dimostrato che il crimine perfetto esiste.

È così strano come quando qualcosa riguardi lui diventa così ambivalente quello è il “bene e il male” certe volte mi spaventa pensarlo perché parliamo di una persona morta, indagini della polizia, si un amore traviato e quant'altro e nell'immaginario delle persone queste cose non sono normali eppure io ancora sono qui a sperare che Vincent mi dimostri che che il crimine perfetto esista perché vorrebbe dire rivederlo e convivere almeno un altro po' con lui tra i piedi ma allo stesso tempo vorrebbe dire che il sistema è sbagliato ha delle falle e lascia un assassino in liberà, è per questo che non voglio pensarci.

 

Vincenti prima di andarsene ha detto anche che un giorno, se fosse tornato ci avrebbe spiegato veramente tutto quello è stato e ora sono passati poco più di sei mesi e non è tornato ed è come se giorno per giorno le speranze finissero.

 

*

 

William è un po' cambiato da quando il biondo è partito, per certi versi, sotto alcuni aspetti è tornato come prima, Vincent lo influenzava terribilmente ma sotto altri punti di vista lo ha anche migliorato, o probabilmente io sono impazzito vicino a lui e ora ho un altra visione delle cose, non lo so, ma quando torniamo a casa, lo vedo un po' triste di non fare quella tappa per salutare Vincent che prende un altra strada e quindi cerco di parlare il più possibile perché il silenzio mi fa un po' ansia.

-e quindi a chimica la biondona mi parla e io credo che lo abbia fatto solo perche crede che io sia bravo, io, capisci?! In chimica- e mi segue a ruota con una risata, io a chimica faccio schifo, non ero io il genio delle pozioni magiche.

Mentre ridacchia lo vedo bloccarsi di colpo come se qualcuno lo avesse trattenuto dallo zainetto e mi giro pronto a maltrattarlo a parole, sto deficiente.

Ma poi mi zittisco.

E si gira anche Will e lui proprio non respira per un attimo -beh io mi aspettavo un bentornato.- ci dice e siamo increduli -il crimine perfetto esiste ragazzi- e ci fa l'occhiolino ed è un secondo quello nel quale lo abbracciamo, sono contento che sia tornato, sinceramente sono contento.

-avete perso la lingua?- ci dice e vedo Will negare ma senza aprir bocca, probabilmente crede che se fiata la magia si interrompe e lui sparisce così come è arrivato e pare quasi leggercelo centro perché si rassicura che non se ne andrà tanto presto -ho parecchie cose da raccontarvi- ci dice -ma è tardi, lo zio mi aspetta per il pranzo, quindi ci vediamo dopo!- e quel “a dopo” è reale perché alle quattro ci vediamo tutti a casa di Will e sembra proprio un per sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

Grazie a tutti quanti di aver letto, probabilmente se non ci fosse stata una ragazza che mi ha spronato a concluderla non avrei mai messo fine a questa stramba storia, <3

grazie a chi c'è a chi non c'è più e chi ha abbandonato tutto quanto, grazie a tutti e arrivederci

MaryKei-Hishi

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