Just one dream

di Caramel Macchiato
(/viewuser.php?uid=796532)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sogno di una notte di mezza estate ***
Capitolo 2: *** La bisbetica domata ***
Capitolo 3: *** Coriolano ***
Capitolo 4: *** La tempesta ***
Capitolo 5: *** I due ***
Capitolo 6: *** Amleto ***
Capitolo 7: *** Toilo e Cressida ***
Capitolo 8: *** La dodicesima notte ***
Capitolo 9: *** Il racconto d'inverno ***
Capitolo 10: *** Otello ***
Capitolo 11: *** La commedia degli errori ***
Capitolo 12: *** Misura per misura ***
Capitolo 13: *** Molto rumore per nulla ***
Capitolo 14: *** Il mercante di Venezia ***
Capitolo 15: *** Antonio e Cleopatra ***
Capitolo 16: *** Primo passo/ Castiel ***
Capitolo 17: *** Secondo passo/ Lysandre ***
Capitolo 18: *** Terzo passo/ Armin ***
Capitolo 19: *** Quarto passo/ Kentin ***
Capitolo 20: *** Quinto passo/ Azzurra ***
Capitolo 21: *** Sesto passo/ Nathaniel ***
Capitolo 22: *** Tutto è bene quel che finisce bene ***
Capitolo 23: *** Epilogo: Nathaniel e Azzurra ***



Capitolo 1
*** Sogno di una notte di mezza estate ***


“Svegliati”
Il tuo senso dell’umorismo è piuttosto pessimo.
“ Ti sto ordinando di svegliarti”
Come se potessi. Ti manderei al quel paese, ma non so chi sei. Lasciami stare.
“ D’accordo, non mi lasci altra scelta”
Ed ecco che i miei occhi sono aperti, o meglio: nel mio sogno ho gli occhi aperti, e vedo solo bianco davanti a me. Mi giro su me stessa ma il panorama non cambia.
Che posto è questo?
“Questo è il fulcro del mondo dei tuoi sogni”
Carino. Molto… D’ispirazione. Ora, se vuoi scusarmi…
“ No, non andrai da nessuna parte, perché ormai ti ho svegliata”.
Ma cosa sei tu: il Gesù dei miei sogni?
“Qualcosa del genere: io sono il creatore dei tuoi sogni, il fulcro estremo di ogni tuo sogno”.
Allora sei tu la causa di certi sogni perversi che quando ci ripenso mi imbarazzo!
“No. Io uso solo alcuni pensieri o ricordi particolarmente potenti che tu hai nella tua testa e li traduco in sogni. Che genere di sogno poi dipende dal tuo stato d’animo”.
Sento una nota sarcastica nel tuo tono.
“ Ammetterai che è divertente fare lo spettatore”
In verità non vedo la parte divertente, ma proseguiamo. Perché diavolo mi hai “svegliata”, cosa vuoi dal mio sonno.
“ Oggi è un giorno speciale, cara mia. Il giorno in cui il sogno più profondo può essere realizzato”
Maddai. Sarebbe anche comico se non fossi costretta a “dormire” da… Neanche so quanto.
“Non ci credi?”
Oh no, ti credo! Giuro! Certo, se me lo dici in questa… Cosa bianca…
“ Farò finta di non avertelo chiesto. Per tutta la durata del tuo sonno potrai vivere il tuo sogno più grande”.
Ah, eccola la fregatura! Il sogno nel sogno, quindi non lo vivo davvero! Quindi non si realizza sul serio. Quindi potrà durare in eterno perché non so quando mi sveglierò!
“Tutto dipende da come lo vivrai. Se farai le cose per bene, resterà un ricordo”
Grazie tante, me lo ricordo anche senza doverlo sognare.
“ Non parlavo di te”
Vuoi dire che chi sognerò potrebbe ricordarsi di me?
“Chi o cosa o dove. Ci sarà sempre un lieve ricordo inafferrabile”
Okay senti: sei frutto dei miei sogni e temo che ieri l’infermiera abbia alzato un po’ troppo il gomito con i medicinali, quindi me ne torno a dormire. Ciao.
“… Non ho bisogno del tuo consenso per vedere nel tuo cuore…”
 
La luce bianca si spegne d’un tratto e mi ritrovo nel solito mare nero in cui vivo da anni, in parte cosciente e in parte no. Un vegetale umano. Una ragazza di diciotto anni in coma. Ecco, l’ho detto. Questa è una delle poche parti della mia coscienza attiva, palpitante che mi tormenta in ogni attimo di questo stato surreale. Sei in coma. Sei in coma. A volte sento delle voci raggiungermi da lontano, ovattate e a volte incomprensibili. A volte la coscienza mi suggerisce che è mia madre o mio padre, a volte resta muta, ad ascoltare senza capire pienamente il significato di ciò che sente.
Nel mare nero in cui mi trovo, mi giro su un fianco e mi rannicchio su me stessa, cercando il conforto del mio corpo fatto di fumo. Chiudo gli occhi e cerco di scappare da quella sensazione di disagio che mi attanaglia da prima, da quella stanza bianca. Il primo colore differente che ho percepito da molto tempo…
 
La prima cosa che percepisco è che sento chiaramente. Il cinguettio degli uccellini mi perfora le orecchie con insistenza. La seconda cosa è che, attraverso le palpebre chiuse, vedo puntini di luce colorata, segno che ci vedo. Esalo un lungo sospiro e mi sento rinascere quando riconosco il sapore fresco dell’ossigeno che mi entra dal naso e scende fino ai polmoni.
Se riconosco tutte queste sensazioni, vuol dire che sono uscita dal coma? La voce ha detto il mio sogno più grande… Possibile che si sia avverato sul serio? Cioè, non mi sono mostrata molto disponibile, però…
Decido di fare una prova così, tremando di eccitazione e di paura, provo a sollevare una palpebra. Quella segue la mia volontà senza problemi e subito viene abbagliata da raggi di sole. Concentrandomi mi accorgo di essere stesa ai piedi di un albero, la luce che gioca tra il fogliame creando un’atmosfera di pace. Decido di aprire anche l’altro occhio e mi sento scoppiare il cuore di gioia quando tutte e due le pupille cominciano a lavorare assieme, mettendo a fuoco le venature delle foglie e le cicatrici della corteccia dell’albero.
Metto in moto anche le mani, sentendo sui polpastrelli la freschezza dei fili d’erba che giocano tra le mie dita e sulle gambe. Non posso farci nulla, è forse il giorno più bello da quando me ne ricordo, e un sorriso di beatitudine mi si allarga sulla bocca, mentre gli occhi si riempiono di lacrime. Eccitata come non mai, decido di provare a vedere se anche le ossa e i muscoli rispondono al mio volere provando a mettermi seduta. In un battito di ciglia mi ritrovo con la schiena diritta e uno spettacolo incomprensibile davanti: dall’albero contro cui mi trovo, il panorama e completamente bianco, ad eccezione del cielo terso sopra di me ( almeno: credo sia sopra) e una striscia d’erba che, da dove mi trovo, continua fino ad un cancello d’argento. D’un tratto vicino al cancello vedo una persona, un ragazzo che mi dà le spalle.
Stringo ciuffi d’erba tra le dita, improvvisamente spaventata da quel luogo, persa e con una sensazione opprimente d’inquietudine sul cuore.
Il ragazzo si gira proprio in quel momento, scrutandomi con due occhi dorati da far paura, mentre un sorriso gentile gli increspa le labbra fini.

- Ah! Eccoti finalmente!-La sua voce mi raggiunge come una ventata calda e soave, lenendo un po’ della paura che mi pervade. Lui mi scruta per un po’ e, vedendo che non accenno a muovere un singolo muscolo, scrolla la testa ricoperta di capelli biondi e ridacchia.
- Non mi riconosci?-
- Dovrei?- Rispondo audacemente, decidendo che se mi alzo in piedi ho più possibilità di sfuggirgli, se si dovesse rivelare un incubo anziché un sogno del sogno, bla bla… Quella cosa lì insomma.
- Ci siamo parlati poco fa, speravo che non mi liquidassi in così breve tempo-.Strabuzzo gli occhi e, involontariamente, gli punto contro un dito.
- Sei quel pazzo del sogno della mia vita!-Lui ignora gentilmente la mia sgarbatezza e annuisce.
- Pare di sì-.
- Sei una persona? Ma mica eri un fulcro?-Lui ridacchia di nuovo e si scosta con eleganza la frangia dagli occhi.
- Sono opera tua. Tu hai deciso che mi sarei presentato in forma umana quest’oggi, ed eccomi qua. In fondo è stata una scelta saggia: almeno non ti sei spaventata troppo-.Gli lancio un’occhiata eloquente: evidentemente non era a conoscenza di tutte le paranoie che mi avevano attanagliata nell’attimo in cui avevo visto tutto questo… Bianco. Di nuovo bianco?
- Dove siamo?- Chiedo, non osando ancora spostarmi da quell’isoletta di erba.
- Questo?- Chiede allargando le braccia – Questo è il tuo sogno di quest’oggi: il tuo sogno speciale-.
- Oh andiamo! Come può essere un sogno questo?- Protesto incrociando le braccia delusa.Lui muove una mano con fare impaziente.
- Lasciami finire di spiegare una buona volta: come dicevo, questo è il tuo sogno di quest’oggi, che probabilmente durerà fino alla fine del tuo coma. È stato un caso che capitasse a te, un caso fortunato oserei aggiungere: potrai sognare per un sacco di tempo! Solitamente le persone hanno a disposizione dalle 6 alle 10 ore di sonno per vivere questo tipo di sogno-.
Ignora la mia occhiata disgustata.
- In ogni caso, questo e solo l’inizio: dal momento che è il tuo sogno, sta a te disegnarlo-.
- Cosa? Dovrei disegnare il mio sogno?-
- È quello che ho detto, sei tu a decidere come impostare il tuo sogno. Per prima cosa vieni qui-
- No guarda, penso che stare qui vada bene…-
- Non puoi cominciare stando lì! Quello è l’albero della vita che ti riporterà indietro quando sarà il momento!-
- Ma… È vuoto qui intorno!-
Lui rotea gli occhi spazientito e mi raggiunge a grandi falcate superando la striscia di erba che ci collega, borbottando qualcosa sui clienti difficili e con poca immaginazione. Appena mi è accanto afferra la mia mano destra e mi conduce fino al cancello argentato. La sua mano è pallida come la neve e altrettanto fredda, ma incredibilmente umana. Lo seguo docile come un cagnolino e mi sorprendo di non sprofondare nel baratro attorno a me.
- È tutto stabile qui, dal momento che hai da subito creato il cielo: una mossa intelligente, nonostante il soggetto- Mi spiega una volta raggiunta la nostra meta – Guarda-.Così dicendo balza fuori dalla striscia d’erba e, prima che possa cominciare ad urlare, atterra nel bianco e ci resta sopra, perfettamente stabile. Io resto paralizzata con gli occhi sgranati e una mano sulla bocca, mentre lui ritorna sull’erba con noncuranza.
- Sarà un’impresa, me lo sento… Beh, prima di iniziare con il lavoro vero e proprio, perché non cominci col darmi un nome?-.Lo guardo sbigottita, cominciando a riprendermi dal recente shock.
- Maddai, non ce l’hai un nome? Tutti hanno un nome!-
- Primo: non tutti hanno un nome razza d’ignorante, secondo: vorrei ricordarti che non sono qualcuno ma piuttosto qualcosa, e sono frutto della tua coscienza ( purtroppo) e quindi spetta a te darmi un nome-.Rifletto un po’ sulle sue parole contorte, poi scrollo le spalle.
- Okay. Tony-
- Un momento… Tony?! No, non esiste, non puoi essere seria-.
- Mi hai chiesto un nome, e io te l’ho dato razza di fulcro suscettibile!-
- E io ti ho detto che mi rifiuto! Dal momento che saremo insieme per un po’ esigo qualcosa di almeno lontanamente decente!-.Sbuffo spazientita e gli rivolgo una smorfia, prima di guardarmi attorno sconsolata e finire col fissare il cielo blu intenso sopra le nostre teste, su cui svettano le foglie verdi e grasse dell’albero.
- Nathaniel-. Bisbiglio dopo un attimo, completamente persa nella mia contemplazione.
- Come dici?-
- Nathaniel! Ti chiamerai Nathaniel!- Ripeto convinta, riscuotendomi dai miei pensieri.Lui ci pensa su un po’, poi si passa una mano nei capelli con un sospiro.
- Non è così malvagio: d’accordo. Un po’ all’antica ma… Non è importante. Allora, cominciamo?-Lascio perdere le sue critiche e fisso intensamente il cancello d’argento. Ormai ci sono dentro fino al collo e preferisco provare anziché tornare al vuoto in cui “vivo” ogni giorno.
- Sono pronta-. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La bisbetica domata ***


Nathaniel annuisce soddisfatto e si gira a studiare il cancello d’argento, poi torna a fissarmi, come se stesse aspettando qualcosa da me.
-    Uhm-. Mi avvicino cauta senza riuscire a capire.
-    È chiuso-. Risponde come se fosse ovvio.
-    Oh-
-    Già-
-    Quindi… Niente sogno? Si torna indietro?-
Lui sembra sul punto di darmi un calcio volante, ma si limita ad esalare un lungo sospiro e a chiudere gli occhi per qualche secondo.
-    Quindi, visto che ti ho già spiegato che qui sei tu a decidere come funzionano le cose, ora ti concentri e tiri fuori la chiave del cancello-.
D’un tratto capisco: devo “disegnarla”, come aveva detto lui, ma non ho la più pallida idea di come fare. Non ho nemmeno una penna con me.
-    Immaginala nei dettagli, e scegli dove la vuoi far comparire-. Mi suggerisce come se avesse letto nei miei pensieri, per poi passare un dito sull’argento.
Studio la serratura del cancello e comincio a disegnare nella mia mente la chiave per aprirlo, per poi desiderare di trovarmela in tasca. Appena ho finito sento un peso nella tasca sinistra del pigiama e, infilandoci una mano con eccitazione, scopro una chiave d’argento finemente lavorata e spessa poco più di una matita.
-    Eccola!- Esclamo trionfante.
Nathaniel si limita ad annuire spazientito e ad indicarmi la serratura. Mi avvicino col cuore che batte a mille per l’emozione, la paura che avevo provato fino poco fa completamente svanita, ed infilo la chiave nella serratura, girandola con cautela finché un sonoro clak non rimbomba in quell’universo bianco e spoglio. Con gli occhi sgranati e le guance arrosate dalla curiosità, mi rinfilo la chiave in tasca e mi appresto ad aprire il cancello quel tanto che basta per farci entrare. Non so bene cosa mi aspettassi da quel grande gesto, fatto sta che mi sento profondamente delusa nel constatare che dall’altra parte del cancello il panorama è identico. Mi fermo sul bianco con le mani sui fianchi e mi giro verso Nathaniel, che sta sgusciando attraverso il cancello, senza espressione.
-    Perché diavolo ho dovuto aprire un cancello se mi bastava passarci attorno?- Sbotto appena mi raggiunge.
-    Vuoi mettere la solennità dell’inizio tramite serratura e chiave, con l’inizio tramite circumnavigazione? Tu non hai proprio stile-.
Mi sento arrossire, per la rabbia questa volta, e sto per cominciare un’accanita discussione, quando Nathaniel mi gela con uno sguardo.
-    È anche un inizio facile per farti capire come disegnare il tuo sogno: devi creare qualcosa di indispensabile e funzionale per iniziare-.
Lancia un’occhiata ai suoi piedi, poi ritorna su di me.
-    Beh, una strada non sarebbe malaccetta…- Borbottò infilandosi le mani in tasca.
Mi limito a gonfiare le guance e a rimangiarmi la rabbia, concentrandomi poi sul bianco davanti a noi e, per la prima volta, rendendomi conto che non è poi tanto diverso da un foglio di carta. Ricordo lievemente che avevo amato disegnare, e che ero anche piuttosto portata… Ricaccio indietro i ricordi e mi concentro di nuovo sul disegno del mio sogno. Immagino una strada lastricata di pietre irregolari, molto medievale a dirla tutta, ma è a a questo che associo la parola “strada”. Le ordino di comparire ai nostri piedi e d’un tratto sento le pietre irregolari sotto i piedi nudi. Mi giro trionfante verso Nathaniel, ma lui si limita ad annuire.
-    Bene. E ora?-
Questa volta non faccio la figura della stupida chiedendo cosa intende, è evidente: la strada c’è, ma dove porta?
Dove mi piacerebbe andare?
-    Al mare-.
 Decido, cominciando a disegnarlo nella mia mente, ignara dell’occhiata perplessa del ragazzo.
Poco dopo m’incammino sulla strada, l’immagine del mare ben definita nella mia mente e, appena la strada finisce, getto l’immagine davanti a me e subito sento la consistenza della sabbia sotto i miei piedi, mentre il colore splendente dell’acqua comincia a giocare con i raggi del sole che vi si riflettono sopra.
-    Waaa!- Non riesco a trattenere l’entusiasmo e comincio a saltellare di qua e di la sul bagnasciuga, ridendo e strillando come una bambina quando schizzi d’acqua salata mi toccano. Mi giro ridendo e vedo che Nathaniel, che è ancora fermo sulla strada, incuriosito da come mi sto comportando.
-    Vieni qua! L’acqua è stupenda!-. Lo richiamo a gran voce.
Lui getta uno sguardo al perimetro della spiaggia, seguendo i contorni del bianco che l’avvolge, poi scrolla la testa trattenendo a stento un sorriso e, dopo essersi tolto le scarpe, mi raggiunge.
-    Ma tu guarda che razza di spensierata che sei: mi aspettavo un villaggio o una città come prima impresa-. Commentò quando fu a pochi passi da me.
-    E perché mai? È il mio sogno e desidero da tanto rivedere il mare!- Rido, afferrandolo per un braccio e costringendolo a fare l’idiota come me schivando le onde.  Appena l’acqua gli bagna i piedi lui rabbrividisce.
-    Ma è gelata!-
-    Ma no, prima non lo era!-
-    Vuol dire che l’hai resa gelata adesso, apposta!-
-    Cosa? Perché dovrei farlo?-.
Replico indignata, pronta a saggiare con un piede la temperatura, ma lui non ci pensa due volte e mi spruzza con un ghigno.
La bocca mi si apre in una “o” perfetta quando l’acqua mi sfiora gli avambracci e la faccia.
-    È gelata!-
-    Te l’avevo detto!-
Ma non ha importanza, ora devo solo pensare a vendicarmi: tiro un calcio alla superficie dell’acqua e quella sia alza in una piccola onda scoppiettante verso il mio avversario, che comincia a scappare ridendo, così mi appresto a seguirlo dicendogliene di tutti i colori. Quando siamo esausti di corre cominciamo a cercare tesori tra la sabbia e gli scogli che delimitano la spiaggia, finché il sole non comincia ad abbassarsi sulla superficie dell’acqua.
-    Ehi Nathaniel, ma il sole sprofonda nel bianco quando cala?-
Lui segue il mio sguardo e scrolla le spalle.
-    Non ne ho idea, normalmente le persone normali creano tutto il loro mondo il primo giorno nel mondo dei sogni, non soltanto una strada e una spiaggia, quindi non so risponderti-.
Nonostante la critica, vedo che sorride, così ricambio.
-    Beh, sarebbe troppo strano. È strano anche questo mare che finisce nel bianco-.
Stringo gli occhi e poco dopo una parete di cielo si forma alla fine del mare, e sorrido soddisfatta.
-    Così va meglio-.
Non faccio in tempo a finire la frase che mi prende un capogiro e mi aggrappo al braccio di Nathaniel per non crollare. Lo sento reagire ed afferrarmi, dicendomi qualcosa, ma ormai non c’è più nulla da fare e perdo conoscenza, finendogli svenuta tra le braccia.

“ Guarda Azzurra! Un granchio! Urgh, fa schifo! Mi insegue”
Di chi è questa voce? Sembrerebbe un bambino da quanto è stridula e allegra. Lo sento ridere e correre nell’acqua.
“Lascialo stare!” Questa che strilla sono io da bambina, ne sono sicura.
D’un tratto vedo la spiaggia, il tramonto e un bambino che mi viene incontro ridendo, si volta a vedere se il granchio lo segue e, quando vede che non lo fa, torna indietro a stuzzicarlo per farsi seguire. Non riesco a mettere a fuoco il suo viso, ma i suoi capelli brillano alla luce del tramonto, un colore caldo e brillante. Io comincio a seguirlo, le mie gambette corte da bambina che si muovono goffamente sulla sabbia…

Apro gli occhi lentamente, la testa dolorante e un incredibile senso di spossatezza nelle ossa.
-    Come ti senti?-
Mi giro piano al suono della voce di Nathaniel, piena d’apprensione. Gli sorrido debolmente.
-    Un po’ stanca. Cos’è successo?-.
Lui scrolla la testa amaramente.
-    È colpa mia, hai usato più energia del dovuto e non me ne sono reso conto. Probabilmente è stato il mare a prosciugarti tutta l’energia, perché è una cosa grande e incredibilmente dettagliata… Comunque prima dobbiamo pensare ad alcune cose importanti: pensi di riuscire ancora a disegnare?-
Mi fermo ad ascoltare il mio corpo, poi annuisco.
-    Qualcosa di piccolo-.
-    Okay, allora dormiremo all’aperto. Ora ho bisogno che tu disegni acqua potabile e cibo, il minimo indispensabile, non pensarci su troppo-.
Annuisco e comincio a disegnare due bottigliette d’acqua e un po’ di frutta, presa dall’ambiente estivo e quasi tropicale.
Subito mi sento ancora svenire, ma maschero il tutto tracannando una gran sorsata d’acqua, che mi fa sentire meglio.
-    Se le cose stanno come hai detto, posso usare solo un tot d’immaginazione al giorno per creare il mio sogno?- Chiedo dopo aver dato un morso a un mango.
-    Esatto. In fondo il ruolo di creatrice è duro: Dio ci mise sette giorni a creare il Mondo e la vita-.
Replica con un sorriso, chiudendo la sua bottiglietta d’acqua e fissandola nella sabbia per non farla cadere.
-    Se me lo dicevi subito mi mettevo a fare una sorgente d’acqua, un ristornate e quelle cose lì-.
-    Sì, non so come scusarmi per non averci pensato-.
-    Non importa, sopravvivremo-.
Non mi aspettavo che avrebbe ammesso la sua colpa così facilmente, perciò cerco di sdrammatizzare.
-    E poi guarda che cielo!- Esclamo, indicando la meraviglia che ci sta sopra le teste: sembra che l’intera galassia abbia deciso di far capolino nel mio mondo dei sogni.
Lui annuisce e restiamo per un po’ a contemplare il cielo notturno.
-    Sai, quando ho perso conoscenza penso di aver rivissuto un mio ricordo legato al mare. Non in modo chiaro: ero con un bambino di cui non sono riuscita a ricordare a faccia. Però credo fosse un bel ricordo-.
-    Di sicuro. È probabile che tu avessi un buon rapporto con il mare, se è la prima cosa che hai voluto vedere-.
Ci scambiamo un’occhiata poi scoppio a ridere.
-    È strano: si parla di me ma io non riesco a ricordare nulla per via dello stato vegetativo in cui mi trovo-.
-    È già qualcosa sapere di essere in coma-.
-    Lo so perché ho sentito il dottore dirlo, se no avrei pensato di essere già morta-.
Lui annuisce con aria grave e, per la prima volta da quando l’ho incontrato, mi sembra serio, triste e un po’ stanco.
-    In ogni caso, se devo passare il resto del mio coma in questo posto, avevi ragione: è una fortuna!- Esclamo allegramente, dondolandomi sul posto.
-    Per te forse, pensa a me che devo tenerti d’occhio...-.
Gli sorrido e gli tiro una spallata scherzosa.
-    Non fare l’uomo di ghiaccio caro mio: è come se fossi la tua mamma, visto che ti ho dato alla luce e ti ho dato un nome-.
-    Ma che roba inquietante ti esce dalla bocca? Cos’è: ti ha messa incinta lo Spirito Santo? No aspetta… Perché ti sto dando corda?-
-    Perché sotto sotto ti piaccio, ma non vuoi ammetterlo perché sei un fulcro suscettibile-.
-    Ma per carità, mettiti a dormire e fai un po’ di silenzio-.
Mi butta addosso la sua giacca antracite e si stende con un sospiro, le mani dietro la testa.
Io mi rannicchio accanto a lui, coprendomi per bene con la sua giacca e prendendo a studiarlo: certo che da vicino è proprio un bel ragazzo… Lo avevo immaginato bene! Mi faccio mentalmente i complimenti e mi riprometto che, se mai mi sveglierò, devo disegnarlo. Il naso dritto svetta sopra due labbra fini con gli angoli piegati leggermente all’insù, gli occhi dorati sono ornati da lunghe ciglia chiare. Seguo la linea dei tendini del collo e arrivo al colletto della camicia.
-    Smettila di fissarmi come una depravata-. Sbotta d’un tratto.
-    Scusa, è che sei proprio bello. Sembri un principe…-.
-    Non farti complimenti per questo. Ho scelto io di comparire in forma umana-.
Sorrido e decido di non cominciare un’altra discussione inutile. Chiudo gli occhi e mi rilasso sulla fresca sabbia. Mi sento così viva che dubito riuscirò a prendere sonno, eppure anche terribilmente esausta. Nonostante tutto, il mio cuore batte emozionato, batte forte e il sangue passa nelle vene come un’auto da corsa… È una sensazione che non sentivo da molto tempo ed è stupenda.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Coriolano ***


La sveglia del mattino è inevitabilmente fastidiosa: il sole spunta dal mare e ci investe con la grazia di un rinoceronte su due zampe, impedendomi perfino di sfuggirgli da sotto la giacca di Nathnaiel. In barba a ciò che avevo pensato la notte precedente, mi ci erano voluti tre nano secondi per prendere sonno e…au revoir mondo dei sogni!
Borbotto e mugolo con gli occhi ancora pesantemente chiusi e cerco lo stesso di trovare una posizione da quadro di Picasso per sfuggire alla luce mattutina. Ovviamente è inutile, stupido e ridicolo.
-    Si può sapere che stai facendo?-
Sento la voce di Nathaniel in un orecchio e mi giro verso di lui, intenzionata a tirargli una testata, ritrovandomi con la fronte appoggiata a qualcosa di fresco e molliccio che sembra proprio…
Apro una fessura tra le mie palpebre e ne ho la conferma: è un ammasso maleodorante di alghe. D’un tratto sono sveglia e balzo a sedere disgustata, stringendomi la giacca addosso a modi scudo. Nathaniel è dietro di me, non di fianco come pensavo, e mi guarda perplesso.
-    È l’alba-. Piagnucolo, rinunciando a cercare di tenere aperti gli occhi.
-    Già. Gli svantaggi di dormire all’aperto-. Commenta lui senza scomporsi, sfilandomi dalle mani la sua giacca e spolverandola dalla sabbia, prima di rimettersela.
-    Non riesco a svegliarmi, è inutile-. Borbotto ributtandomi a peso morto sulla sabbia.
-    Beh, c’è solo una soluzione a questo-.
Mi sento sollevare senza fatica e mi rendo conto che Nathaniel mi sta portando verso il rumore delle onde. Vuole buttarmi in acqua!
-    Fermo! Guarda, sono sveglissima ora! Ta-da! Non preoccuparti, anzi ho una fame da lupi! Che ne dici di far colazione?-
Mi dimeno come un’ossessa e lui mi rimette a terra senza il minimo sforzo. Mi rendo conto di tremare dall’imbarazzo e cerco di darmi un contegno aggiustandomi i capelli biondo cenere.
-    Okay: colazione. Di cosa hai voglia?-
Nathaniel si fa pensieroso, poi una faccia sognante gli deforma i tratti severi. Che strano, mi ricorda esattamente la mia, di faccia.
-    Pancakes-.
-    Ottima scelta, ne ho voglia pure io!-
Mi giro verso la strada e il limitare della spiaggia, cominciando a disegnare il fastfood incaricato di farci la colazione quella mattina. Appena ho finito sento Nathaniel sbottare.
-    Ma ti sembra coerente mettere una catena famosa per i suoi pancakes proprio vicino alla spiaggia?!-
-    Silenzio, la vuoi la colazione o no?-
Lui borbotta qualcosa ma poi mi segue rassegnato.
L’interno è geniale come lo avevo immaginato: le pareti gialle zafferano sono ricoperte di lampade a forma di bolle bianche di tutte le dimensioni, i tavolini e le sedie sono color caramella e il bancone per le ordinazioni sembra un enorme torta a strati. Ad accoglierci però non c’è nessuno.
-    Oh, ho dimenticato la cosa più importante-. Borbotto, concentrandomi su un nuovo disegno.
In due secondi ecco un ragazzo sorridente che ci accoglie calorosamente e alcune ragazze in roller che sfrecciano tra i tavoli.
-    Benvenuti! Oggi siete i primi clienti quindi vi offriremo un piatto di pancakes gratis per ringraziarvi!-
-    Geniale! Ti rendi conto: saremo sempre i primi del giorno!- Bisbiglio a Nathaniel.
-    Non ci pensare, esigo che tu disegni altre persone: non voglio esserci solo io con te!-
-    Non ci sei solo tu: pancake’s boy!- Esclamo indicando il ragazzo delle ordinazioni, che ricambia il mio sguardo con un sorriso perplesso.
Nathaniel mi afferra per un braccio e mi trascina a un tavolino, evidentemente tentato dall’idea di urlarmi contro.
-    Pensarti a capo di questo regno mi mette i brividi- Borbotta una volta seduto.
-    Eddai rilassati un po’ tu, quando ti diverti, come ieri, sai essere anche simpatico!-
-    Non stiamo parlando di me, ma di te e del tuo tatto pari a zero-.
Roteo gli occhi ed esulto quando vedo pancake’s boy arrivare con quattro piatti in equilibrio e due tazze di caffè.
Tutta la mia concentrazione viene assorbita dalla mia parte e m’ingozzo con mala grazia: ci avevo messo poco a digerire la frutta della sera prima e a sentire i morsi della fame.
Quando ho finito di ripulire accuratamente anche il secondo piatto dallo sciroppo d’acero, mi appoggio allo schienale della sedia con un sospiro soddisfatto, rimirando la pancetta che mi è spuntata.
-    Un secondo: ma io sono ancora in pigiama!-
-    Lo sei sempre stata-. Mi fa notare lui, sorseggiando con noncuranza il suo caffè.
-    Non posso andare in giro così! Devo cambiarmi. Subito!-
Lui mi gela con lo sguardo, prima che possa cominciare a disegnare un negozio di vestiti nella mia testa.
-    Ci sono alcune cose più importanti da fare prima: una sorgente d’acqua potabile, una casa per noi, un posto più decente per mangiare (niente contro i pancakes, ma non voglio che mi escano dalle orecchie)… Queste sono solo alcune cose-.
Sospiro come una povera vittima e mi appoggio su una mano.
-    Ma si, tanto chi vuoi che mi veda-. Dico sarcastica.
-    Infatti. A me non importa molto del tuo stile-.
Gli scosso un’occhiata, incredula che non abbia colto il mio sarcasmo, ma lui si sta già alzando e dirigendo verso l’uscita.
Io lo seguo, poi mi fermo di botto e torno dal ragazzo dietro il bancone.
-    Quanto ti dobbiamo per la colazione?-
Lui mi guarda confuso.
-    Quanto di dobbiamo pagare-. Ripeto pazientemente.
-    Nulla, dovreste pagare qualcosa?-
Restiamo lì impalati, uno più confuso dell’altro, poi mi deciso a sorridere e scusarmi, per poi uscire e raggiungere Nathaniel.
-    Non ci ha fatto pagare!-
-    Sì: l’economia del tuo mondo dei sogni andrà in rovina-.
-    Vero? Con tutta sta massa di persone che si scannano per un pancake…-.
-    Appunto, anche per questo dovresti creare altra gente-.
Si ferma di botto e io gli finisco contro.
-    Non so nemmeno come ti chiami-.
-    Ma ti sembra il momento di chiedermelo?-
-    Sì! Una volta che questo regno sarà più grande avrò bisogno di chiamarti probabilmente, e non posso farlo con cose del tipo “ tu che giri in pigiama” o simili-.
-    Non ritiriamo fuori il mio pigiama-
-    Allora?-
Fisso il bianco al di là dalla strada, cercando di riafferrare un ricordo che cerca di far capolino nella mia testa.
-    Azzurra… Credo-. Mormoro alla fine.
-    Hai detto una sorgente? Andiamo a farla allora!- Esclamo, cercando di mascherare la tristezza che mi ha inondato rendendomi conto di non ricordare nemmeno bene il mio nome.
Sento la mano di Nathaniel stringermi gentilmente una spalla.
-    Facciamo che sei veramente Azzurra, come io sono veramente Nathaniel-.
Mi soffermo sul suo viso, che ora mi sembra gentile e rincuorante, dopodiché gli sorrido con gratitudine e annuisco, per poi riprendere a camminare in direzione del cancello.
-    Vorrei disegnare la sorgente vicino all’albero, cosicché le sue radici possano nutrirsi d’acqua senza problemi-.
-    In verità l’albero non ha bisogno di nutrirsi-.
-    Non importa: è lì che la metterò-.
Lui scrolla le spalle e mi segue senza ribattere, e poco dopo raggiungiamo il cancello. Mi soffermo a guardare la striscia di strada che si trasforma in una piccola zolla d’erba, ed infine il grande albero. Tutto è avvolto da una calma e un pace surreale e, ovviamente dal bianco. Sfioro il cancello d’argento mentre gli passo accanto, per poi fermarmi alla sua estremità, indecisa sul da farsi. A differenza di ieri, ora mi preoccupa l’idea di passare di fianco al cancello, senza attraversarlo.
-    Vuoi farla qui?- Chiede Nathaniel.
-    Penso di sì-.
Lui annuisce e si ficca le mani in tasca, girovagando attorno al cancello, in attesa. Sospiro capendo che non mi avrebbe dato alcun parere e comincio per prima cosa ad immaginare la sorgente di acqua pura che mi avrebbe dissetato per il resto del mio soggiorno in quel posto. Quando la vedo chiaramente nella mia mente, ispeziono la zona e decido di gettarla appena al di là del cancello, poco lontana dall’albero della vita.
Una piccola pozza d’acqua comincia a comparire, facendo sprofondare il terreno e spuntare rocce attorno a se stessa. Nathaniel mi raggiunge e restiamo a fissarla affascinati, mentre quella si ingrandisce e poi si ferma, riempiendosi piano piano di acqua che sembra squisita solo a guardarla.
-    Bel lavoro!- Esclama lui, sinceramente ammirato.
Io gli sorrido poi, d’un tratto, mi sento stordita, mentre un eco lontano cerca di raggiungermi. La vista comincia a sdoppiarsi e a moltiplicarsi all’infinito, mentre l’eco comincia a farsi sempre più chiaro. Mi aggrappo a Nathaniel con gli occhi sbarrati, mentre lui si è già accorto che qualcosa non va e mi sostiene.
-    Ti senti svenire?- Chiede preoccupato.
Scuoto la testa e mi concentro su ciò che mi rimbomba con insistenza nelle orecchie, chiudendo gli occhi per ritirarmi in me stessa ad ascoltare.
“… Ti prego piccola, devi tornare, devi combattere! Non puoi mollare così, noi ti stiamo aspettando, io e la mamma siamo qui al tuo fianco…”
La voce sembra allontanarsi, poi ritorna più chiara e straziante.
“… Sei troppo giovane per tutto questo. Non sarebbe mai dovuto succedere e mai riuscirò a perdonarmi, sia che tu torni o che tu… Voglio solo poterti riabbracciare, piccola mia, dirti quanto mi strazia questa tua situazione…”
Sento quello che so essere mio padre interrompersi per via di un singhiozzo, poi piano piano i suoi gemiti soffocati si spengono e io torno al presente, rendendomi conto che sto piangendo.
Nathaniel mi sta ancora sostenendo e, appena incontro i suoi occhi dorati, lo vedo terribilmente preoccupato.
-    Devo tornare indietro, Nathaniel. Mio padre sta… Lui pensa di avere… Devo tornare indietro da lui e dalla mia famiglia!-
La sua presa sulle mie spalle si fa più  forte, mentre una grande tristezza gli pervade gli occhi.
-    Tornare indietro non ti farà uscire dal coma, Azzurra. Se anche tu volessi proprio farlo, torneresti allo stato vegetativo di prima, riuscendo a sentire ciò che ti sta attorno ma non avendo la forza di risvegliarti-.
Quella verità mi fa ancora più male di mio padre che piange sul mio letto d’ospedale. Mi sento un dolore straziante al petto e le forze sciamare dalle mie gambe, mentre mi accascio su me stessa ,obbligando Nathaniel a farmi sedere per terra. Il viso mi si contrae in smorfie di dolore e gli occhi lasciano andare lacrime bollenti che mi rigano le guance e si infrangono sul terreno bianco ai miei piedi. Appena le mani del ragazzo lasciano le mie spalle, quelle prendono a tremare incontrollate ad ogni singhiozzo. Mi sento svuotata di qualsiasi energia.
Non so di quanto tempo ho avuto bisogno per sfogare tutto quel dolore ma Nathaniel è rimasto sempre lì di fronte a me, pronto a cogliere anche solo un minimo segno di cedimento ma senza dire una parola, aiutandomi solo con la sua compagnia. Quando anche l’ultimo singhiozzo si smorza nella mia gola affaticata, gli occhi mi bruciano e le palpebre sono pesanti. Lascio ciondolare la testa dolorante, desiderando solo un letto comodo e un piumone caldo.
Sento le mani fresche del ragazzo tastarmi gentilmente le guance bollenti e la fronte, poi mi cinge le spalle e mi aiuta ad alzarmi, per portarmi alla sorgente che ho appena creato ed aiutarmi a rinfrescarmi il viso. L’acqua fresca e revitalizzante mi aiuta a schiarirmi la mente annebbiata e placa un po’ del bruciore agli occhi. Giungo le mani e le immergo nell’acqua, per poi portarmele alla bocca, piene di acqua, e bere una sorsata, sentendola scendere nella gola con un brivido gelato.
Mi giro verso il mio compagno, sempre con quell’espressione preoccupata ed apprensiva, poi mi volto verso il mare e il ristorante di pancakes, prendendo le misure del posto, poi comincio a disegnare, seguendo ciò che sto facendo. Disegno un’altra strada che si estende dalla parte opposta del ristorante e la faccio zigzagare un po’, per darle un po’ di carattere, e in fondo comincio a disegnare una piccola casettina in stile chalet di montagna o casetta di marzapane. Salgo la scaletta che porta al porticato, seguita da un silenzioso e intimorito Nathaniel, poi apro la porta e scopro un piccolo soggiorno caldo ed accogliente, subito affiancato da una piccola cucina. Io mi volto subito a destra e mi dirigo verso un’altra porta che apro con mani tremanti. La mia stanza. So che è la mia vera stanza, non ho bisogno di sforzarmi di ricordarla.
Prima di accasciarmi esausta e allo stremo delle forze sul letto, lancio un sorriso a Nathaniel, che è rimasto sulla porta della stanza sbalordito e senza parole, poi mi lascio andare a un meritato riposo.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La tempesta ***


Mi sveglio di scatto, ma rimango stesa con gli occhi chiusi, assaporando la comodità del materasso e il tepore del piumone. Chissà che ora si è fatta, ieri mi sono esaurita prima ancora del tramonto. Resto a crogiolarmi in quella sensazione e mi sento ricadere nel sonno, quando un pensiero mi fa riprendere di colpo: dov’è andato Nathaniel?
Apro gli occhi e sguscio malvolentieri fuori dal piumone, rabbrividendo per via del cambio di temperatura. Do un’occhiata fuori dalla finestra che sta appena sopra al letto e vedo il cielo tinteggiato di violetto, rosa e azzurro: probabilmente l’alba. Apro piano la porta della mia stanza ed entro in soggiorno. Lo vedo steso su uno dei due divani bordeaux, un braccio sulla fronte e l’altro abbandonato lungo il bordo del divano. Più silenziosamente che posso, chiudo le tende della grande vetrata che copre parte del soggiorno e della cucina, vado in camera e prendo il mio piumone per poi tornare dal ragazzo e rimboccarglielo con cura. Dopodiché sgattaiolo fuori di casa, stiracchiandomi e assaporando l’aria fresca del mattino, per poi incamminarmi verso il ristorante di pancakes.
Non mi sento triste, però ho ancora una sensazione di vuoto nel cuore: ieri ho capito appieno che questo è solo un sogno, posso sfuggire quanto voglio alla realtà ma questo non sarà per sempre… Spero.
Entro nel fast food e sorrido al ragazzo dietro al bancone, prima di ordinare la colazione e sedermi a un tavolino vicino alla finestra, ad ammirare il cielo che piano piano si fa più caldo con l’arrivo del sole. Una volta che arriva la mia colazione comincio a riflettere sul da farsi: ieri volevo creare un fiume che dalla sorgente arrivava fino al mare, poi desideravo costruire un ristorante e infine. Mi serviva il parere del ragazzo biondo prima di cominciare?
Appena finisco di svuotare il piatto, una delle ragazze in roller arriva a sparecchiare e mi sorride.
-    Grazie della visita!-.
Ricambio il sorriso ed esco sulla strada medievale, fredda sotto i miei piedi nudi. No, non mi serve il suo parere.M’incammino verso la sorgente, sentendo per la prima volta il silenzio di quel luogo, rotto solo dal lieve frusciare delle onde del mare. È strano sentirsi vivi in un sogno, eppure è così che mi sento: viva e vogliosa di vivere. Mi ritrovo a sorridere senza sapere bene perché, mentre il mio cuore triste dà i suoi ultimi singhiozzi.
Arrivata alla sorgente mi soffermo ad ammirarla, mangiando con gli occhi i colori dell’alba che si riflettono su quell’acqua pura. Intingo una mano e un brivido mi percorre il braccio sentendo quanto è gelida. Fissandola intensamente, comincio a disegnare il ruscelletto che da lì si ingrosserà fino ad arrivare al mare. Lentamente si forma un buco sul bordo delle rocce, che si spinge con insistenza su di esse, obbligandole a formare una piccola falda. Un piccolo rivoletto d’acqua scende dalle rocce e comincia a seguire il buco nel terreno, che si fa più largo man mano che scende verso il mare. Seguo con lo sguardo quella striscia argentea e rosa che si staglia sul bianco, gioca con esso e con la strada, fino a tuffarsi nel mare.
Sorrido di nuovo, felice di aver visto qualcosa di così bello.
Torno su miei passi che il sole si è alzato e bagna tutto il mio mondo e, appena raggiungo l’incrocio che porta verso casa, ritrovo Nathaniel con gli occhi sbarrati e il fiatone, i capelli con una strana piega che mi farebbe anche ridere, se lui non fosse un po’ fuori di sé.
-    Dove sei stata?-
-    Alla sorgente. Ho disegnato il fiume-.
-    Perché non mi hai svegliato?-
-    Dormivi così bene…-
-    Non è importante! Dovevi farlo!-
Mi sento subito infastidita dalla sua rabbia senza spiegazione.
-    Ma che cavolo hai? Non ho bisogno di un cagnolino che mi segua ovunque! Cosa vuoi che mi possa succedere? Qui comando io!-
-    Potevi svenire, o sentire di nuovo le voci di chi è rimasto di là!-
Lo fermo con lo sguardo e lui si passa una mano nei capelli.
-    Anche se sei nel tuo sogno, io ho il compito di vegliare su di te, soprattutto visto lo stato in cui ti ritrovi…-
Mi ritrovo a stringere le mani a pugno, le unghie che premono sulla pelle.
-    Non ho chiesto io tutto questo. Sei tu che hai deciso che era il momento del mio sogno speciale. L’hai deciso tu! E ora decidi anche che non posso muovere un passo in santa pace?-
Le mie argomentazioni fanno un po’ pena, eppure riesco a lasciarlo interdetto e senza una risposta, così mi volto e mi metto quasi a correre verso il mare, sperando che non mi segua. Ma stiamo parlando di Nathaniel.
-    Un attimo, io non ti ho mai detto…-
-    Zitto!-
-    No, lasciami parlare!-
-    Non voglio ascoltarti!-
Mi metto a correre, le mani sulle orecchie. Taglio di fianco al ristorante e mi accorgo che sotto ai miei piedi si sta disegnando un prato, come una pennellata di acquarello su un foglio bgnato, che segue la mia traiettoria parallela al cancello. Non so se, con la parte lucida del mio cervello, sto disegnando, ma non m’interessa, continuo a correre sentendo il terreno duro sotto i miei piedi, e la voce di Nathaniel sempre più fioca. Mi giro a lanciarli un’occhiata e lo vedo fermo poco dopo il ristorante, uno sguardo confuso e un po’ irritato, ma non sembra aver intenzione di seguirmi. Meglio così. D’un tratto, davanti al prato cominciano a crescere degli alberi. Mi ci addentro senza fermarmi, il cuore che batte all’impazzata e i polmoni che bruciano. Sento aghi di pino secchi pungermi i piedi nudi, soffice e umido muschio, la durezza delle radici degli alberi e il calore dei lievi raggi che s’addentrano tra il fogliame. Mi fermo solo quando non riesco più ad intravedere il prato e il limitare del bosco, allora mi siedo contro un albero, cercando di non morire per la mancanza d’ossigeno. Mi sento la fronte sudata e i capelli appiccicati ad essa, le labbra secche che annaspano in cerca d’aria e la mente congelata dall’aria fredda. Ci metto un po’ a rallentare il respiro e a calmarmi e solo allora mi accorgo dei rumori del bosco attorno a me: alcuni uccellini si richiamano con il loro canto dolce, sento il raspare di un qualche animale in lontananza e i salti degli scoiattoli sui rami più vicini. Ho disegnato tutto questo inconsapevolmente?
Chiudo gli occhi affascinata da tutta la vita che c’è in quel luogo pacifico, un vago calore che mi avvolge le membra…

“ È un tasso, vedi la forma dell’impronta? Non è né piccola come quella di un procione né grande come quella di un orso.”
“ Un tasso? Sono così carini i tassi!”
“ Sì, ma sono anche molto timidi e goffi: una volta mio papà ne ha incrociato uno in macchina mentre tornava a casa, e lui si è messo a scappare, solo che era un po’ ridicolo perché era lentissimo e stava scappando nella direzione sbagliata”.
Metto a fuoco la scena: sono in un bosco terribilmente simile a quello che ho disegnato, accucciata per terra, poco più grande di quando ero in spiaggia. Un bambino mi è accanto e sta sorridendo mentre racconta, i limpidi occhi verdi che emanano una gentilezza incredibile…

Uno schiocco improvviso mi fa riaprire gli occhi di scatto, subito seguito da altri rametti spezzati e un sonoro “ouch”, seguito da svariate imprecazioni poco aggraziate.
Mi alzo allarmata, pronta a correre di nuovo verso il prato, cercando di appiattirmi contro la corteccia dell’albero. Sento una voce maschile avvicinarsi borbottando e, sono pronta a scattare, quando un ragazzo esce allo scoperto, togliendosi foglie e rametti dai capelli e guardandosi le mani e gli avambracci ricoperti di tagli e terra. Dovrei andarmene, ora, eppure non riesco a scappare. Il ragazzo si massaggia la testa e d’improvviso s’accorge della mia presenza, pietrificandomi con un’occhiata dei suoi occhi verdi intenso. Come quelli del bambino.
-    Oh! Sei qui! Ti stavo cercando!-
La sua voce profonda e virile mi entra ovattata nelle orecchie.
-    Cercavi… Me?-
-    E chi se no? Carina la tua idea di venire a cercare i tassi, peccato che mi sono impiantato in una radice nascosta e sono capitombolato all’inverosimile! Guarda qua-
Stende le braccia muscolose davanti ai miei occhi, guardando incredulo le sbucciature e i tagli su di esse.
-    Io ho proposto di venire a cercare i tassi… Con te?-
Lui mi guarda convinto e annuisce, una piccola smorfia che gli deforma il labbro superiore.
-    Ma io… Non ti conosco! Non ti ho mai visto, qui non c’è nessun’altro oltre me e Nathaniel e la gente del fast…-
La mia voce si spegne man mano che parlo, mentre il ragazzo si scosta i capelli color cioccolato dagli occhi e prende a ripulirsi dalla terra. Mi fissa di nuovo, con più attenzione e subito mi sento arrossire: niente di strano, in effetti è un ragazzo davvero bello, così alto…Anche se il suo viso e un po’ troppo marcato, con gli zigomi alti e le guance un po’ incavate.
-    In effetti neanch’io sono proprio sicuro di averti già visto-. Borbotta dopo un po’, piegandosi di più per studiarmi da vicino, mentre io mi sento arrossire ancora di più.
-    E-ecco appunto. Caso risolto! Mi chiamo Azzurra-.
-    Io Kentin, tanto piacere-. Sorride allegro, tornando al suo metro e ottantacinque circa e porgendomi una mano, che stringo.
-    Piuttosto: perché siamo in un bosco?- Chiede, come se si fosse reso conto solo ora di dove siamo.
-    Mmm… Perché ti ho proposto di cercare tassi?- Chiedo con un sorriso, che lui ricambia ridacchiando.
-    Sono davvero confuso, eppure mi sento stranamente in pace col mondo-.
Lo studio mentre si guarda attorno e mi sorride, poi fa un cenno col capo verso il limitare del bosco.
-    Che ne dici di aiutarmi a trovare una farmacia per disinfettarmi le braccia?-
Mi riscuoto, non riuscendo ancora a capire bene se sono stata io a far comparire questo ragazzo.
-    Ma certo! Vieni, ti porto a casa mia!-
Lui mi segue allegramente, fischiettando una qualche melodia allegra che non conosco. Usciamo dal bosco e veniamo investiti dal sole di mezzogiorno.
-    Guarda che roba, Azzurra! L’erba è ovunque!- Esclama lui, e rimango a bocca aperta nel constatare che è vero: tutto ciò che prima era bianco, ora è ricoperto di erba grassa e verde. Il mare bianco è stato sostituito dal mare verde. Non riesco a capire: possibile che la mia mente abbia disegnato senza che ne fossi cosciente? E se così fosse, come mai non mi sento esausta o svuotata dall’energia?
Un groppo d’inquietudine mi blocca lo stomaco e sento improvvisamente freddo. Kentin dev’essersene accorto, perché mi prende una mano, facendomi sobbalzare, e mi sorride.
-    Non preoccuparti: se c’è verde vuol dire che la natura sta bene!-
Non capisco il perché, ma la sua stretta mi fa subito bene, riscaldandomi e facendomi persino comparire un sorriso, che lui ricambia allegramente. Sembra un ragazzo semplice, ma anche un po’ ingenuo, sicuramente gentile. Non mi lascia la mano mentre percorriamo il prato in direzione della strada, e chiacchiera allegramente del più e del meno, senza aspettarsi una mia partecipazione. Mi sembra di conoscerlo da tanto, eppure è la prima volta che lo vedo in vita mia. Lancio un’occhiata al suo profilo sorridente, ma la mia memoria resta muta.
Imbocchiamo la stradina che porta a casa e scorgo una figura bionda seduta sui gradini davanti all’entrata.
-    Ehi Azzurra, chi è quel tizio depresso?-
In effetti, ora che lo guardo meglio, pare proprio che Nathaniel sia giù di corda. E ho il forte presentimento che sia colpa mia.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** I due ***


-    Mi hai urlato contro quando non ce n’era motivo-.
Sono le prime parole che gli sento uscire da bocca, con una voce da oltretomba e la testa abbassata.
-    Sei scappata da me come se fossi un criminale-.
Alza lentamente il capo in una parvenza di killer pazzo che mi fa rabbrividire.
Il suo sguardo da martire riprende vita non appena si accorge di Kentin, prendendo a studiarlo, incredulo. Lui si limita ad aprirsi in un largo sorriso.
-    Yo! Sei il ragazzo di Azzurra o lei ti ha appena scaricato?-
Gli tiro un sonoro ceffone, mentre la bocca di Nathaniel si apre dalla sorpresa.
-    Non farci caso, è un tipo un po’ bizzarro. L’ho trovato nel bosco-.
-    Quale bosco?-
-    Ma quello che ho disegnato, ovviamente. Cioè, non è che l’ho fatto volontariamente però…-
Lui m’interrompe alzandosi di scatto e guardando il nuovo panorama, come se fosse la prima volta, mentre io e Kentin ci scambiamo un’occhiata.
-    È un po’ fuori questo?- Sibila il ragazzo, indicando il biondo.
Prima che posso rispondere, Nathaniel si gira di scatto e mi afferra per le spalle con violenza, gli occhi sgranati da pazzo furioso, di nuovo.
-    Stai bene? Non hai giramenti? Sei svenuta prima? Hai fame o sete?-
-    Sto bene! Davvero! In verità è come se avessi disegnato senza rendermene conto!-
Gli poggio le mani sulle sue, costringendolo gentilmente a lasciare la presa ,mentre torna piano piano in sé.
-    Non vorrei disturbare ma…- S’intromette goffamente Kentin.
-    Giusto, la farmacia!-
Mi ricordo all’improvviso, lasciando lì Nathaniel e i suoi pensieri. Entro in casa seguita dal ragazzo moro, che subito prende a studiare ogni minimo dettaglio del soggiorno. Entro in bagno e frugo nell’armadietto del pronto soccorso sopra al wc e, appena trovo il disinfettante e alcuni cerotti, torno indietro, trovando Kentin svaccato su uno dei divani, la più pura soddisfazione dipinta in faccia. Mi siedo accanto a lui e prendo a disinfettargli le braccia.
-    Tu abiti qui?- Chiede d’un tratto.
-    Sì-
-    E anche quell’altro tipo?-
-    Sì. Si chiama Nathaniel, comunque-.
-    Siete sposati?-
-    Cosa? Ma ti pare?-
Alzo lo sguardo e mi ritrovo i suoi occhi serissimi addosso.
-    E allora perché vivete insieme? Siete innamorati?-
-    No, niente del genere.  Se sono qui, lo devo a lui. E siamo gli unici in questo posto, almeno, prima che arrivassi tu-.
-    Quindi ora non abiterete più insieme?-
Lo guardo esasperata, sentendomi come un adulto che cerca di spiegare che la terra è rotonda ad un bambino. In effetti, l’ingenuità di Kentin era davvero simile a quella di un bambino.
-    Qual è il nocciolo della questione?-
Lui si stringe nelle spalle, improvvisamente a disagio, evitando il mio sguardo.
-    Hai detto… Che qui non c’è nessuno oltre voi… E io sono comparso all’improvviso… Non ha molto senso in verità, perché io mi sento qui da sempre, però…-
Si ferma e dopo un po’ di silenzio capisco dove sta cercando di andare a parare.
-    Vuoi fermarti qui con noi?-
S’illumina subito e la sua figura muscolosa si scioglie dalla sua rigidità
-    Posso?-
-    Certo-.
Torna immediatamente al suo solito buon umore e salta in piedi.
-    Non preoccuparti del posto, mi posso anche arrangiare con una tenda in giardino, sai: sono abituato alla vita all’aria aperta!-
Lo seguo con lo sguardo, mentre lui ciancia allegramente e tocca tutto ciò che gli arriva a portata di mano. Proprio allora Nathaniel rientra in casa e si ferma a fissare con diffidenza l’altro ragazzo, che gli rivolge un sorriso angelico e s’infila le mani in tasca. Mi trattengo dallo scoppiare a ridere quando mi viene in mente che Nathaniel potrebbe essere cosi sulle sue per il fatto che Kentin lo supera in altezza di una buona testa.
-    Beh, immagino che abbiate bisogno della vostra privacy… Io vado a farmi un giro-. Il ragazzo moro riesce a stento a trattenere un sorriso mentre dice queste parole, ignorando spudoratamente tutte e due le occhiate di ghiaccio che gli lanciamo, prima che si richiude la porta alle spalle.
-    Non c’è dubbio che sia opera tua-. Borbotta il ragazzo rimasto, passandosi una mano nei capelli e lasciandosi cadere sul divano da parte a me.
-    Ehi, cosa vorresti dire con questo?-
-    Nulla di particolare…-
-    Non mentire! Sputa il rospo!- Lo minaccio afferrando un cuscino.
-    Piuttosto: dove lo sistemiamo?-
-    Ha detto che una tenda gli basta…- Sgrano gli occhi quando realizzo una cosa fondamentale – Devo disegnarti una stanza-.
-    Posso usare il divano senza problemi-.
-    No, hai bisogno una stanza, sei un uomo e hai bisogno della tua privacy… Da uomo-.
-    La tua mente sta sfornando qualcosa di perverso?-
Gli rivolgo una smorfia nascondendo l’imbarazzo e mi metto all’opera, avendo una chiara immagine della stanza che volevo dargli. Poco dopo una porta identica a quella della mia stanza si materializza di fianco al televisore, in faccia ai divani. Mi alzo con un sorriso e mi avvicino curiosa, nonostante già so cosa ci aspetta al di là della porta. Lui s’avvicina con un’espressione diffidente di chi si aspetta qualcosa di losco.
Apro la porta con fare teatrale e lo seguo con lo sguardo, mentre lui entra in una stanza non molto coerente con il resto della casa, trattandosi di un mansardato luminoso, grazie al grande lucernario al centro del tetto. Le pareti color crema riflettono la luce su un letto alla francese in legno scuro, una libreria che segue l’angolo di un’intera parete, una piccola scrivania ordinata e un cassettone sotto il lucernario.
Lui resta a guardarsi in giro, poi si volta con un sorriso.
-    Che non ti venga mai l’idea di fare architettura!-
Nonostante la critica immeritata, visto che ora aveva una sua stanza, leggo nei suoi occhi una gran gratitudine e mi limito a ricambiare il sorriso.
-    Bello qui dentro!-
Saltiamo in aria tutti e due al suono della voce di Kentin, che fa capolino dalla porta con due occhioni curiosi.
-    Ahhh qualcuno che apprezza-.
Gesticolo con fare teatrale mentre esco dalla stanza, completamente ignorata dal diretto interessato alla critica, che sta già sfogliando un libro della libreria a muro.
Scrollo la testa sconsolata, poi ritorno al ragazzo appena comparso, che mi sta seguendo senza capire bene, con un sorriso idiota che gli incurva esageratamente le labbra.
-    Pensiamo a te ora-. Gli dico, prima di disegnare il materiale per montare una tenda ai nostri piedi.
Kentin comincia ad ispezionare il materiale incuriosito, solo allora mi sento un’idiota: avrei potuto disegnarla già montata.
-    Ci sai fare con le tende, vero?- Chiedo inginocchiandomi di fianco a lui.
-    Con quelle piccole sì, ma questa mi sembra una specie di tenda militare per dieci persone…-
Lo guardo incredula, mentre lui scrolla le spalle e mi sorride.
-    Che vuoi che sia: una tenda è sempre una tenda!-
Così dicendo solleva il tendone, con una smorfia di chi non si aspettava qualcosa di così pesante, mentre io mi affretto a raccogliere picchetti e stanghe varie, per poi raggiungerlo fuori.
-    A vedere il sole sembra che abbiamo l’intero pomeriggio per capire come funziona-.
Commenta lui allegramente, cominciando a srotolare il primo tendone.
Quella che sembra un’impresa da qualche minuto si rivela un vero e proprio tranello: cominciamo col tendone interno, cercando di piazzare i pali che sorreggono il tutto dall’nterno e poi i picchetti all’esterno, ma qualcosa va storto e la tenda crolla a terra come un sacco di patate( con fare molto teatrale, per essere una semplice tenda), allora Kentin suggerisce che magari abbiamo usato i pali e i picchetti del tendone esterno, allora smontiamo e ricominciamo,… Quando finalmente riusciamo a montare il tendone interno, Nathaniel fa capolino nella piccola veranda, studiandoci per un po’ prima di rientrare in casa, beccandosi una marea di insulti da parte mia per non aver nemmeno pensato di aiutarci.
Il sole sta calando rapidamente verso il mare quando, distrutti e sudati, ci lasciamo cadere sul prato, fissando esausti la tenda completa.
-    Certo che è proprio enorme, eh?- Commento boccheggiando.
-    Sì, ci starò come un re! Grazie-.
-    Figurati-.
-    Intendo, grazie per tutto quanto: per non essere scappata dal bosco quando ti sono piombata davanti, per avermi portata qui e per avermi medicato le sbucciature, e infine per avermi aiutato con la tenda-.
Mi rivolge un caldo e largo sorriso che mi fa arrossire e distogliere lo sguardo.
-    Per così poco-. Borbotto, fissando intensamente un ciuffo d’erba .
Lui si alza con un gemito e si stiracchia soddisfatto, mentre io mi ritrovo ad osservare attentamente la sua muscolatura che si tende e si rilassa.
-    Direi di darci una ripulita!- Esclama, notando poi il mio sguardo e facendosi beffardo – Magari potremmo farci un bagno assieme, così risparmiamo sull’acqua-.
Mi sto rialzando quando lo sento, e le mie gambe si muovono di scatto sferrandogli un calcio dietro alle ginocchia, che lo fa ricadere a terra, ridendo come un matto.
-    Stupido selvaggio-. Borbotto rientrando in casa, seguita dalle sue risate.
Trovo Nathaniel in cucina che sta ispezionando il frigo. Mi rivolge un’occhiata incuriosita, ma io mi limito a scrollare la testa e a dirigermi verso la mia stanza.
-    Cena tra trenta minuti circa!- Mi urla dietro lui, ricordandomi terribilmente una mamma, cosa che mi strappa un sorriso. Già. Chissà la mia di mamma. Quando ho sentito mio padre, da dove in realtà sono addormentata, aveva detto che lui e la mamma mi stanno aspettando. Ma tornerò sul serio prima o poi, o vivrò il resto del tempo che mi resta tra un selvaggio pazzoide e uno stupido fulcro snob?
Per la prima volta apro l’armadio scacciando quei, e i pensieri tristi vengono smorzati non appena mi rendo conto che è pieno di vestiti. Resto per un attimo a fissarli stupita, poi scoppio a ridere al ricordo di quando volevo disegnare un enorme centro commerciale per fare shopping. Mi complimento con me stessa per l’accuratezza dei dettagli che ci ho messo nella mia stanza, prima di afferrare un maglione extra large rosa antico e dei jeans stretti grigi, per poi finalmente dirigermi in bagno. Chiudo a chiave per precauzione e abbasso le tapparelle, terrorizzata dall’idea di Kentin la fuori, pronto a spiarmi come un maniaco. Riempio la vasca di acqua calda e ci butto dentro schiuma profumata e sali da bagno, in un tripudio di odori dolciastri che mi danno un po’ alla testa.
M’immergo con un sospiro e mi godo quel caldo profumato, rischiando di addormentarmi e di ispirare schiuma dal naso…

“… Sai, oggi sono andata alla biblioteca dove lavoravi part-time. Il proprietario mi ha detto di salutarti e mi ha dato un libro da leggerti. Lui dice che appena lo sentirai te lo ricorderai, ma io neanche so se mi senti…”
Sento tirare su con il naso.
“Però tentar non nuoce, giusto? Quindi…”
Sento le pagine che vengono sfogliate, sempre più flebilmente…

Mi riprendo di scatto, sputacchiando acqua profumata e schiuma dalla bocca, che era finita sotto il livello dell’acqua mentre sentivo qualcuno all’ospedale, nella realtà. Qualcuno… Ma chi? La sua voce dolce e timida mi era famigliare, era una ragazza che conoscevo… Ma chi?
Mi rendo conto di str tremando, nonostante l’acqua tiepida della vasca, così cerco di calmarmi ispirando profondamente per poi espirare. Piano piano il mio cuore rallenta e anche il tremolio comincia a scomparire. Ormai rilassarmi nella vasca è impensabile, così esco e mi cambio in fretta, esco dal bagno con i lunghi capelli biondo cenere ancora bagnati che mi sgocciolano sul maglione.
-    Se vuoi è libero-. Annuncio a Kentin, ora seduto al tavolo della cucina a leggere un libro, mentre io mi rannicchio sul divano, incrociando lo sguardo con Nathaniel ai fornelli, capendo che ha intuito al volo che qualcosa non va, ma restando in silenzio.
Kentin richiude il libro e si appoggia al bancone della cucina attaccato al tavolo, incrociando le braccia sotto il mento.
-    Ehi Nath, prestami dei vestiti puliti-.
-    Scordatelo-.
-    Quanto sei freddo! Perché?-
-    Primo: io non sono Nath. Secondo: non ti presterei dei vestiti nemmeno se girassi nudo… Il solo pensiero dei miei vestiti su di te mi fa venire la pelle d’oca…-
Kentin sospira teatralmente.
-    Allora non mi resterà altro da fare che girare nudo, visto che i miei vestiti sono conci-
-    Prestagli dei vestiti, per l’amor del cielo!- Strillai io dalla mia postazione, ringraziando il cielo di essere girata e di poter nascondere il rossore della mia faccia.
Nathaniel borbotta qualcosa che non riesco a sentire, ma al suono della risata di Kentin mi convince che probabilmente è meglio non aver sentito.
-    E va bene, solo per il bene della nostra prima donna qui presente-.
Acconsente alla fine, spegnendo i fornelli e scolando la spaghettata che aveva preparato.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Amleto ***


Dopo cena frugo in camera fino a trovare un materassino gonfiabile, un cuscino e un piumone per gli ospiti da dare a Kentin.
-    Sicuro che non avrai freddo?- Gli chiedo, non appena lui risbuca dalla tenda con un sorriso.
-    Naaa, tranquilla: sono abituato a sopravvivere a situazioni estreme-.
-    Non pensavo a nulla di così drammatico, però farà freddo-.
I suoi occhi si accendono di un lampo malizioso che ho presto imparato a riconoscere, quindi lo freno prima che possa anche solo aprire bocca.
-    Contento tu, contenti tutti!-
Lui ridacchia, poi diventa improvvisamente pensieroso.
-    Mi chiedevo: perché un mansardato per Nath?-
 La domanda improvvisa e decisamente sensata mi coglie alla sprovvista, e per la prima volta mi fermo a rifletterci.
-    In realtà non lo so. Mi è uscito spontaneo, come se fosse naturale che Nathaniel avesse una stanza così-.
-    È estremamente dettagliata però-.
-    Già-.
Lui ci pensa su un po’, poi mi trafigge con i suoi occhi, per la prima volta colmi di qualcosa di diverso dalla malizia o dalla gioia.
-    Dì, Azzurra, ma tu come ci sei finita qui?-
Avevo dato per scontato che lui già sapesse il perché di questo sogno, in fondo era una mia creatura, invece mi ritrovai con le gambe molli e un senso d’oppressione al petto.
-    Io…- Decisi che era meglio accucciarmi vicino a lui, per evitare crisi di tremarella.
-    Io… Sono partita per un viaggio. Un viaggio molto lontano, non so bene quando tornerò indietro, ma per ora sono ferma qui…-
-    Davvero? Certo che non è proprio un posto vivace-
-    Hai ragione, però tra poco lo sarà. Vedi: essendo la prima arrivata ho guadagnato una specie di posto privilegiato, una specie di potere se vuoi, e con questo posso fare e disfare come mi pare e piace qui. È così che ti ho fatto arrivare-.
Lui piega la testa da un lato, riflettendo su quello che ho appena detto e cercando di trovarci un filo logico.
-    Lo so: l’ho messo un po’ sul piano fiabesco, ma è più meno così che funziona, quindi potrei anche farti diventare una lumaca di mare se me le fai girare-. Aggiungo.
Sgrana gli occhi dall’entusiasmo.
-    Dev’essere fortissimo! Devo solo farti proposte oscene?-
Gli tiro una gomitata, mentre scoppiamo a ridere come due idioti all’immagine del ragazzo versione lumaca del mare felice.
-    Scherzi a parte: dici che un giorno tornerai indietro, ma dove?-.
-    Oh, lontano. Davvero troppo lontano-.
Il mio sguardo si sofferma sulle stelle sopra la nostra testa, sentendo d’un tratto una forte malinconia. Di questo passo avrei perso la cognizione del reale.
Kentin mi stringe una spalla gentilmente e mi sorride.
-    Beh, se poi diventa troppo lontano, non esitare a chiedere aiuto! Non ho mai nulla d’interessante da fare… Tranne perdermi nelle foreste-.
-    E piantare tende-. Aggiungo ridendo.
Lui mi concede un sorrisetto di sbieco mentre mi alzo, poi mi augura la buona notte e s’infila nella tenda, chiudendola con un sonoro “zip” della cerniera.
Rientro in casa felice di tornare al calduccio, ma subito il mio entusiasmo viene smorzata da un Nathaniel impassibile che mi sta aspettando.
Neanche a farlo apposto le mie ginocchia si piegano, le braccia si lasciano andare mogie contro il busto e la testa mi si alza verso il soffitto.
-    Cosa!- Sbotto, calandomi subito nella parte del martire.
-    Non ho detto niente-. Sbotta lui, incrociando le braccia.
-    Ma l’hai pensato!-
Sbuffa infastidito, poi mi rivolge un’occhiata pungente.
-    Quel tizio non mi piace per niente-.
-    Quel tizio ha un nome: Kentin-.
-    Beh, allora Kentin non mi piace per niente-.
-    E quindi? Cosa vuoi che faccia? Vuoi che prenda una gomma e lo cancelli?-
Sembra turbato al pensiero, e prende a mordicchiarsi un’unghia, come una ragazzina da manga.
-    Non intendevo questo. Quel… Kentin, è troppo accurato, è troppo… Umano, direi-.
-    Guarda che hai sempre messo in dubbio le mie capacità di “regina del regno dei sogni”. Io mi trovo incredibile: hai visto che roba la tua e la mia stanza? E la casa in generale! Dico: ma l’ha vista?-
Allargo le braccia con fare teatrale, gli occhi fuori dalle orbite come un’esaltata.
Lui alza gli occhi al cielo e mi si avvicina con fare minaccioso.
-    Non è questo il succo della questione. Ma possibile che tu non ti faccia mai delle domande? E soprattutto che non ti preoccupi di niente? Non ti sei chiesta come accidenti hai fatto a ricoprire tutto il regno d’erba e continuare tranquillamente a vivere la giornata come se non avessi fatto nulla? E non ti sei chiesta come sia saltato fuori sto selvaggio?-
-    No, non me lo sono chiesta, perché a differenza di te se vedo una persona in difficoltà la aiuto, non sto a chiedermi se magari è un criminale, o magari uno psicopatico o altro!-
Tralascio accuratamente la prontezza con cui me la sarei data a gambe se Kentin avesse fatto un passo falso, quel giorno nella foresta.
-    E invece avresti dovuto! Tu hai una mente ingestibile, quindi sarebbe potuto comparire anche un orso per quello che ne so-.
-    Nathaniel-.
Sobbalza sentendo tono pacato ma gelido, che lascia di stucco pure me.
-    Non ho a che fare con persone fisiche da… Anni, per quello che ne so. Possibile che tu non possa rilassarti un attimo e lasciarmi vivere quello che dovrebbe essere il mio dannatissimo sogno?-.
Sento le prime lacrime bruciarmi negli occhi, così mi volto e raggiungo a grandi passi la mia stanza, senza dimenticare di sbattere la porta in grande stile, mentre le prime lacrime rabbiose sgorgano dagli angoli degli occhi.
Quel dannatissimo fulcro! Non è possibile che sia davvero il fulcro dei miei sogni! Semmai quello dei miei incubi!
Mi rannicchio in mezzo alla stanza, la faccia affondata nelle braccia, incrociate sopra le ginocchia.
Ero stufa delle voci, non mi bastavano più. Tutto ciò che volevo era qualcuno. In carne e ossa. Più meno, visto che si trattavano sempre di immagini proiettate dalla mia mente, però erano sempre immagini calde, in cui scorreva qualcosa di simile al sangue. Avevo bisogno di qualcuno di famigliare, qualcuno che mi aiutasse…

“ Ti ho preparato il pranzo”
“ Oh, grazie, non dovevi”
“ Certo, tu ti nutri di parole, giusto?”
Vedo solo due occhi, uno verde e uno dorato, che mi sorridono come solo gli occhi sanno fare…

Alzo la testa di scatto, una smorfia idiota e la faccia tutta rossa. Cos’è stato? Un ricordo, possibile?
-    Seee, certo, ricordo di quando ero una principessa alla corte di Pandora-.
Borbotto, irritata da me stessa. Mi sto rialzando quando sento bussare alla porta.
Opzione A: Kentin è veramente intenzionato a diventare una lumaca di mare. Opzione B: Nathaniel è un masochista voglioso di riceversi un calcio in faccia È chiaramente l’opzione B, chi voglio prendere in giro.
-    Quando imparerai a strisciare sotto la porta parleremo!- Gli dico, godendo del mio tono velenoso. Mi siedo sul letto congratulandomi con me stessa.
Peccato che avevo dimenticato l’inutilità di una semplice porta che non è chiusa a chiave. Nathaniel la spalanca senza scrupoli, un’espressione indecifrabile sul viso, ma di certo tendente al “ ma sei da ricovero?”.
-    Ehi! Ma mi ascolti? Potevo essere mezza nuda!- Strillo, sempre più propensa a dargli battaglia.
-    Anche se fosse, dopo certi sogni che mi hai costretto a procurarti, non mi faresti rizzare nemmeno un pelo dall’eccitazione-.
Afferro il cuscino e gli centro violentemente la faccia, facendolo quasi finire a gambe all’aria.
-    Ma ci godi proprio a rovinarmi ogni singolo istante della mia esistenza?!-.
Lui si massaggia il naso e si ricompone, d’un tratto serio.
-    No, in verità ero venuto a chiederti scusa, ma ora mi è passata un po’ la voglia-
Mi blocco all’istante, uno sguardo ebete e la mano allungata verso il secondo cuscino.
-    Tu chiedere scusa?-
-    Sì. Prima mi sono espresso male e ho finito per fare la figura del gendarme-.
-    Sai che novità…-
-    Azzurra, sono serio. Non sono qui per rovinarti il sogno, solo che c’è qualcosa che non mi torna. Quando stavi scappando da me, tra parentesi mi hai mandato in bestia quella volta, ed è cominciato a comparire quel prato sotto i tuoi piedi… Sono rimasto scioccato all’inizio, poi quando ho visto la foresta crescerti davanti mi sono sentito mancare, una bruttissima sensazione mi ha pervaso tutto… Volevo raggiungerti, portarti via da lì, ma le mie gambe erano come paralizzate. Tu hai disegnato un blocco alle mie gambe, capisci? E l’hai mantenuto per tutto il tempo in cui eri lì dentro, intenta a scappare. Poi all’improvviso, l’ho sentito svanire e ho avuto paura. Ti era successo qualcosa, ne ero certo. Poi però mi son reso conto che io ero sempre lo stesso, che anche questo posto strampalato restava così com’era, non scompariva-.
Fa una pausa per riprendere fiato, mentre io pendo ancora dalle sue labbra, incapace di mettere assieme quel puzzle.
-    Finché non ti ho visto con i miei occhi, ho pensato al peggio: magari eri svenuta in quel posto che, solo tu sapevi cosa poteva contenere. Magari avevi disegnato un luogo estremamente lontano da qui, magari ti eri sfinita, magari… Insomma, quando ti ho visto mi sono sentito così sollevato… Poi però ho visto quel tipo con te, e quando l’ho guardato negli occhi ho visto emozioni, e vita…-
So di avere gli occhi sbarrati e la faccia incredula. Tutto è fermo, la stanza è bagnata solo dalla luce della luna che entra dalla finestra. Voglio sentire il suo giudizio finale, non provo più alcuna traccia di rabbia nei suoi confronti, ho solo bisogno di quelle ultime parole, anche se sono spaventata…
-    Non so, magari sto solo lavorando di fantasia, eppure, dal momento che sono parte di te, ho come l’impressione che questo ragazzo non sia del tutto frutto della tua fantasia-.
-    Vuoi dire che… È un fantasma?-
Sembra pronto a ricambiare la cuscinata di prima, poi si ferma e si fa pensieroso.
-    Un fantasma… Della realtà?-
La mia bocca si apre in uno strillo muto, poi mi lascio cadere sul letto e prendo a scalciare terrorizzata.
-    No no no! No ti prego non un fantasma! Ma se io non mi ricordo niente come può essere!-
Comincio a piagnucolare, stringendomi nella coperta fino a diventare un bozzolo frignante.
Nathaniel all’inizio restò sconcertato dalla mia reazione, poi cominciò ad innervosirsi.
-    Ma che caspita di problema hai tu?-
-    Ho paura dei fantasmi!-
-    Sono indeciso tra prenderti a calci o mandarti in una scuola specializzata… Per il secondo mi serviresti tu, mentre il primo è troppo faticoso…-
Mi calmo e mi metto a sedere, ancora stretta tra le coperte.
-    Non farmi dormire da sola, ti prego!-
-    Ma fammi il piacere! Anzi, rifletti sul significato di “fantasma” nella mia frase, poi ne riparliamo-.
Così dicendo si sbatte la porta della mia stanza alle spalle, lasciandomi da sola in quella stanza buia. Ovviamente avevo capito cosa intendeva, ma avevo voluto fare una sceneggiata da dramma sheakspeariano per vendicarmi. Però, ora mi sento un po’ inquieta.
Mi alzo di scatto e cerco a tentoni l’interruttore della luce, per poi chiudere di scatto le tapparelle. Tanto per farmi un dispetto in più, la mia mente mi fa rivedere gli occhi bicolore di prima. Un sudore ghiacciato mi scende per la schiena, mentre comincio ad autocommiserarmi.
-    Dannazione!- Impreco a mezza voce.
Mi stendo sul letto, ma la luce accesa ha l’effetto contrario di quello sperato e mi sento ancora più inquieta. Mi rotolo per un po’, poi mi decido a spegnere la luce e a ribalzare nel letto, il tutto in un nano secondo, in modo da evitare qualsiasi forma di presenza ultraterrena che, ovviamente, nel letto non può acciuffarmi. Apro uno spiraglio delle tapparelle e trovo conforto nel cielo stellato, dimenticandomi piano piano la fifa blu di poco prima…

“ Cosa scrivi?”
“ Nulla di particolare… Ispirazioni, poesie, storielle, canzoni… Tutto ciò che mi viene in mente e reputo decente”.
“ Potrò leggerlo un giorno?”
Sento un buffetto sul naso e una risata melodiosa e bassa.
“ Non credo, ho intenzioni serie con questo malloppo: non vorrei che tu ne restassi incantata”.
“ Che razza di pavone che sei!”
“ Suvvia, sai che scherzavo”
“ Quindi, potrò leggerlo?”
“Mmm… Forse un giorno…”

Ho gli occhi chiusi, eppure non ricordo di essermi addormentata. Nonostante tutto, la voce incantevole di quel ragazzo mi rimbomba ancora nelle orecchie, come se gli avessi appena parlato. Un secondo: e se fosse così? Apro gli occhi di scatto, per poi richiuderli subito, abbagliata dalla luce del sole che entra dalle tapparelle. È già giorno?! Riapro cautamente gli occhi e metto a fuoco la mia stanza. Solita stanza. No, un secondo. Quel quadernetto verde muschio sul tappeto prima non c’era.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Toilo e Cressida ***


Perfetto. Fantastico. No, è terribile, spaventoso, allarmante, sconvolgente!
Sono schiacciata contro la finestra, gli occhi fuori dalle orbite e la bocca che vorrebbe dar voce ad un urlo glaciale, ma improvvisamente non ne è capace.
Okay, calma, respira. Se quel quadernetto vuol dire qualcosa, di giorno di certo non può far nulla. Facile. Affatto.
La mia mente malata e terribilmente spaventata mi consiglia di catapultarmi in cucina, vergognosamente in pigiama, e chiamare i rinforzi.
Ovviamente Nathaniel è già in piedi e mi guarda senza nascondere il sarcasmo, mentre Kentin sta entrando in casa proprio in quel momento, in canottiera nera e pantaloni militari, le palpebre pesanti dal sonno e i capelli che sembrano un nido.
-    C’è… U-u-un quaderno i-in camera mia!- Butto fuori d’un fiato.
-    Fico-. Risponde Kentin, la voce impastata dal sonno, mentre si siede a tavola.
-    No, non è questo che intendevo! Quel quaderno fino a ieri non c’era!-
-    Sei sicura? I quaderni non compaiono per caso-. Borbotta Nathaniel, versandosi una tazza di caffè. Qualcosa nelle sue sopracciglia mi dice che non ha ancora digerito la storia di ieri. Mi limito a rivolgergli uno sguardo di sbieco.
-    Sarebbe anche una battuta niente male, se le circostanze non fossero così drammatiche!-.
Kentin si è rialzato e mi ha posato pesantemente una mano su una spalla, per poi abbassarsi all’altezza dei miei occhi, cioè a quasi novanta gradi, e fissarmi intensamente(nel limite del possibile, dato che è ancora mezzo addormentato).
-    Ci pensiamo dopo-. Se ne esce poi, rovinando tutta l’aurea rassicurante che aveva creato in quegli attimi di silenzio.
-    Senti Azzurra, capisco il tuo panico dovuto alla paura dell’horror ( cough cough), però non è il momento di panicare: non credo che sia possibile disegnare nel sonno-.
-    Non ne hai la certezza però! Come è successo che Kentin non l’ho “chiamato” perché lo volevo, può essere successo che… Oddio-.
-    Azzurra. Ora. Ti. Calmi-.
Nathaniel pronuncia quelle parole con una lentezza pericolosa, schiaffandomi in mano una tazza di caffè e porgendone una in malo modo a Kentin, che risponde alzando due dita con un debole “peace”, che fa roteare gli occhi al biondo.
Mi siedo accanto al selvaggio mezzo addormentato e stringo la tazza con entrambe le mani.
In effetti sto panicando solo perché ieri siamo finiti sul discorso paranormale. O meglio: ne abbiamo accennato e io ho fatto un putiferio, finendo per spaventare me stessa. Però poi ho sognato quella voce. Parlavamo di un quaderno! Possibile che le due cose siano collegate? Si spiegherebbe come ho disegnato il quaderno inconsciamente. In effetti, se questo è effettivamente i sogni, di fantasmi non ce ne saranno mai.
Mi alzo di scatto e mi dirigo a grandi falcate verso la stanza, con gli occhi perplessi dei due ragazzi sulla schiena. Resto sulla porta a guardare il quaderno, aperto sul tappeto come se vi fosse caduto malamente. Mi siedo e lo osservo ancora un po’ con diffidenza, le mani in grembo. Poi prendo a smanettare un po’, con un teatrale “ sparisci spirito maligno!”, e infine prendo coraggio e allungo le mani per sfiorare la copertina. Lo afferro delicatamente e lo prendo, per aprirlo alla prima pagina, dove c’è una didascalia scritta con una grafia impeccabile ed elegante:

“ I piedi possono portarmi in ogni luogo del Mondo, ma solo la mente può portarti oltre, perché lei non ha i limiti della realtà. Apri la tua mente, Lysandre, ti porterà dove meno te lo aspetti”

Sotto una firma tutta ghirigori, il nome di una donna. Tutto si sta facendo sempre più bizzarro e ora il pensiero di frugare in quel quaderno m’imbarazza. E poi, nel sogno il ragazzo mi ha detto che forse un giorno me lo avrebbe fatto leggere, non dovrei passare sopra la sua fiducia.
Grandioso, ho preso a cuore una persona che ho sognato.
Ritorno in soggiorno, il quaderno stretto in mano, per poi sedermi di nuovo al mio posto immersa nei miei pensieri.
-    È questo?- Chiede Kentin, la bocca piena di pane e marmellata, sfilandomelo di mano e rigirandolo grezzamente.
-    Sì. C’è una dedica dentro.-
-    Solo quello?-
-    Non lo so. Non l’ho letto-.
Kentin mi lancia un’occhiata significativa, a cui rispondo con un broncio da “ non dire nulla, non fare domande”.
Nathaniel lo prende di mano all’altro ragazzo, saggiandolo con fare professionale inaspettato.
-    Sembra stato rivestito a mano. Questa carta è tipica di Venezia-.
Io e Kentin lo guardiamo sbalorditi, per poi avvicinarci a guardare con più attenzione.
Il biondo lo apre e legge la dedica, inarcando le sopracciglia.
-    Ed è di un certo Lysandre. Ti dice niente?- Mi chiede, con un cipiglio da detective.
Scuoto la testa, con l’impressione che anche un semplice “no” stoni con il suo fare professionale.
-    A me sì- S’intromette Kentin, facendoci girare rapidamente verso di lui, gli occhi luminosi dall’eccitazione
-    Non scaldatevi, dico solo che non mi è nuovo, ma non ricordo chi fosse-.
Ci sgonfiamo delusi.
-    Sei inutile così- Borbotto, lasciandomi ricadere sulla sedia e riprendendo la tazza in mano.
-    Ehi, guarda che il nocciolo del problema sei tu! Come ti è venuto in mente un nome così… Uhm…- Kentin alza gli occhi verso il soffitto, con la bocca da pesce mentre cerca la parola giusta.
-    Antico- Nathaniel accorre in suo aiuto – Ma non mi stupirei troppo per quello: anche il mio nome è molto originale. Piuttosto: perché c’è il quaderno ma non il suo proprietario?-
Evito accuratamente il loro sguardo, trovando incredibilmente interessante la foto in bianco e nero di una città appesa sopra al televisore.
-    In effetti dovrei smetterla di farmi domande: il tuo cervello non ha risposte-.
Così dicendo, il biondo se ne va in camera sua, chiudendoci fuori senza troppi complimenti.
-    Okay: o ce l’ha con te, o è in quel periodo del mese…-
-    Non fare l’idiota, lo sai che è la prima- Ribatto subito con un sorriso.
-    E come mai?-
-    Per tutto e per niente-
-    Oddio, non cominciare anche tu con le frasi filosofiche che non vogliono dire niente di sensato-.
Mi rannicchio sulla sedia imbronciata.
-    Stupido Nathaniel, proprio oggi che volevo aggiornare un po’ questo regno…-
Kentin si fa attento, con un’espressione da cagnolino scodinzolante in faccia.
-    No! E posso vedere?-
-    Certo-
-    Fichissimo, non sto più nella pelle!-
Lo fisso, perplessa dalla sua eccitazione, ma lui si limita a rivolgermi un largo sorriso, per poi lasciare la sua tazza nel lavandino e dirigersi in bagno fischiettando.
Quel tipo continuava a restare un mistero. Afferro il quaderno e lo riapro alla pagina con la dedica. Certo, sono parole profonde  intriganti, ma rivelano poco del proprietario…
Richiudo il quaderno di scatto, sentendo la tentazione di sfogliarlo insinuarsi nelle dita. Gli rivolgo una linguaccia e mi decido finalmente a cambiarmi e a darmi una sistemata, non appena Kentin avrebbe liberato il bagno.
Venti minuti dopo ci ritroviamo nel cortile, mani sui fianchi e guance arrossate dall’emozione. Ho optato per una salopette in jeans e una maglia a maniche corte rossa, come le all star basse che porto ai piedi. Mi sono perfino annodata una bandana bianca in testa a modi cerchietto, da perfetta esploratrice-barra-creatrice.
- Allora: cosa vuoi combinare?- Mi chiede lui, gli occhi di smeraldo che brillano all’impazzata.
Metto su un’espressione grave di chi ci ha pensato tutta la notte, quando in verità mi era venuto solo in mente quella mattina che era passato un po’ dalla mia ultima creazione volontaria. Di questo passo tanto valeva vivere in un deserto.
-    Questo posto manca di popolazione, non facciamo altro che ripetercelo, quindi… Creeremo un luogo che attiri la gente!-
-    “Noi”?- Chiede lui, indicandoci con aria dubbiosa.
-    È ovvio che sarò io a farlo, tu ti offrirai come supporto morale-.
-    Ah ecco, fantastico-
-    Infatti! Per prima cosa, troviamo il posto più adatto!-.
-    Non che tu non abbia l’imbarazzo della scelta…-.
-    Smettila di fare il Nathaniel di turno e dammi una mano!-.
-    Sissignora!-
Mi rivolge un saluto militare impeccabile e mi afferra una mano, incamminandosi di buona lena verso l’incrocio, mentre io mi lascio trascinare un po’ allucinata.
-    Che tipo di posto pensavi esattamente? Un parco dei divertimenti? Una sala giochi?-
-    Una gelateria-.
Mi guarda con la bocca spalancata e le sopracciglia aggrottate.
-    Che vuoi? A chi non piace il gelato? Io ne ho proprio voglia…-
-    No, il gelato va benissimo ma… Non hai detto un “ luogo che attiri la gente”? Nessuno verrebbe qua per farsi un gelato e poi, “oh! Guarda che bei prati, perché non ci fermiamo”? Fai la seria, Azzurra! Non puoi costruire una gelateria solo perché tu hai voglia di gelato-.
Sbuffo sonoramente, imboccando la strada che porta alla spiaggia.
-    Prima uno che ha da ridire per il fast food, poi l’altro per la gelateria…-
-    Che ne dici invece di creare un osservatorio?- Chiede ignorandomi, preso da un lampo di genio.
-    Un osservatorio?-
-    Sì! Siamo sul mare, non c’è niente che offusca il cielo e le stelle! E un osservatorio non lo si trova in giro facilmente!-
Ci rifletto su, colpita dall’originalità di quel ragazzo che, per la maggior parte del tempo, sembra solo mosso da istinti primari che gli offuscano la ragione. In effetti non ci devo pensare poi molto: l’idea mi è subito piaciuta. Gli sorrido e gli concedo una sonora pacca sulla spalla(okay, non  proprio la spalla, vista la sua statura).
-    Bella idea, non me la sarei mai aspettata da te! Sarà un po’ impegnativo, ma se ci sei qui tu non mi devo preoccupare!-
Arrossisce sorpreso, ma io sto già progettando la struttura nella mia mente, lo sguardo concentrato sul prato in faccia al fast food. Non ci vuole molto prima che la struttura si colora dettagliatamente nella mia testa, quindi non mi resta che lanciarla sul pezzo di prato misto a sabbia. In effetti, si rivela più impegnativo di quello che pensavo: l’immagine fatica a lasciare la mia mente, come una pasta della pizza che si appiccica insistentemente alle dita. La sollecito, la spingo, ma questa sembra piagnucolare, innalzandosi lentamente davanti a noi, pezzo dopo pezzo, un po’ come per i cubetti lego.
Kentin lancia un fischio ammirato, mentre la cupola bianca che farà da osservatorio si chiude come un enorme igloo.
Mi sento affaticata e la testa gira, ma non ho ancora finito.
-    Ci avviciniamo?- Chiedo con un sorriso stanco.
Il ragazzo annuisce, preoccupandosi nell’istante in cui vede la mia faccia, ma io mi sto già incamminando rapida verso la struttura. Ho disegnato la parte superiore della cupola in modo che si possa aprire per godere della vista notturna vera e propria, mentre di giorno l’interno è illuminato solo dalla via lattea artificiale che ho impresso. Arrivati all’altezza della spiaggia,
prendo una lunga boccata d’aria e mi metto all’opera. Questa volta il disegno scorre senza troppi problemi, mentre una passerella si attacca all’osservatorio e si alza sopra la spiaggia, raggiungendo quasi il limitare del mare.
Concluso il progetto posizionando una panchina in fondo alla passerella, poi mi accascio sulla sabbia sbuffando come un mulo.
-    Ehi! Cosa ti sta succedendo? Ti sei stancata troppo?- Si allarma subito il ragazzo, inginocchiandosi di fianco a me.
-    Un pochino, ma ne è valsa la pena! Questa sera dobbiamo provarlo!- Cerco di rassicurarlo con un sorriso, ma lui non si lascia incantare e mi prende in braccio come se fossi fatta di piume. Non ho nemmeno l’energia per protestare, così mi lascio trasportare, imbarazzata al massimo dal contatto con il suo petto muscoloso. Senza nemmeno rendermene conto, chiudo gli occhi e la fatica mia assale…

“ Ciao Azzurra… Oggi ho saltato lezione per venirti a trovare….”
Pausa.
“ Che strano, sembra che tu stia dormendo… Beh, tecnicamente stai dormendo.”
Pausa.
“ Scusa, non so bene cosa raccontarti e mi sento un po’ stupido a parlare con qualcuno che neanche so se riesce a sentirmi…”
Sospiro.
“ Torna presto, ci manchi… Mi manchi terribilmente…”

Mi sono appisolata. O forse no? Era la realtà quella che ho sentito?
Mi accorgo dei due ragazzi seduti accanto a me, intenti a discutere qualcosa. Però che strano, c’è solo la luce delle stelle ad illuminare quel posto… D’un tratto ho capito: siamo nell’osservatorio! Guardo incuriosita la mia nuova creatura, saggiando le poltroncine color prugna che occupano gran parte della sala, e ammirando il cielo aperto sopra le nostre teste. È così bello da togliere il fiato.
-    Come ti senti?- Sussurra Kentin, che si è avvicinato con un sorriso.
-    Bene! Hai visto che roba, il nostro osservatorio?-
Lui annuisce, un ultimo dolce sorriso prima di riportare lo sguardo al cielo.
Vedo Nathaniel avvicinarsi imbarazzato, stretto nelle spalle e con la bocca corrugata. Io mi limito a dare qualche colpetto al sedile vicino al mio, invitandolo a prendere posto. Lui accetta sollevato il mio invito e tutti e tre restiamo con la testa alzata, in silenzio.
Silenzio che viene improvvisamente squarciato dal rumore agghiacciante della porta principale che viene aperta, facendoci sobbalzare tutti e tre. Ci giriamo come un sol uomo, mentre una macchia più scura della penombra s’avvicina, diventando nitida solo quando viene bagnata dalla luce del cielo notturno: un ragazzo, che si muove titubante, un sorriso confuso gli increspa le labbra.
-    Uhm… Scusate, temo di essermi perso…-

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La dodicesima notte ***


Il primo pensiero che riattiva il mio cervello è: io lo conosco.
Il secondo è: ma come diavolo è vestito?
E poi i miei pensieri finiscono lì, perché incontro i suoi occhi bicolore e mi si mozza il fiato, sia perché sono stupendi sia perché sono identici a quelli del sogno.
-    Ti sei perso?- Gli fa eco Nathaniel, squarciando quella dimensione in cui il tempo si è fermato in cui siamo caduti, dopo l’affermazione del nuovo arrivato.
-    Temo di sì, e ho perfino perso qualcosa di molto caro…-
Il ragazzo biondo ci lancia un’occhiata, poi ritorna a rivolgersi al ragazzo, che sta bilanciando il suo peso da una gamba all’altra, evidentemente a disagio.
-    Non preoccuparti, ti aiuteremo noi. Io sono Nathaniel, Azzurra e Kentin-.
Alziamo una mano in segno di saluto non appena veniamo nominati, ancora rintronati dalla sua improvvisa apparizione. Lui ci concede un debole sorriso.
-    Io sono Lysandre, onorato di fare la vostra conoscenza-.
Kentin si gira con gli occhi sbarrati verso di noi.
-    È quello del quaderno!- Sibila, senza curarsi di farsi sentire, come se non avessimo fatto subito i collegamento anche noi.
-    Un quaderno? Verde muschio per caso?-
-    Sì quello!- Il ragazzo ora si è alzato in ginocchio sul suo sedile, esaltato.
Il nuovo arrivato però sembra turbato e prende a sfregarsi le labbra nervosamente.
-    Che ne dite di spostarci a casa nostra a parlare? Così potrai riprendere il tuo quaderno.
Suggerisce Nathaniel, col suo solito fare pragmatico, alzandosi e invitandoci a fare lo stesso.
Lysandre annuisce esitante. Io mi avvicino a lui e gli rivolgo un sorriso rassicurante.
-    Non preoccuparti, non ti faremo nulla di male-.
Lui annuisce di nuovo e mi segue. Non so perché ma sento lo stesso affiatamento che ho percepito con Kentin, la prima volta che l’ho incontrato. Come se fosse del tutto normale che lui fosse comparso dal nulla, lasciando il suo quaderno sul mio tappeto.
-    Per caso…- La sua voce titubante mi distoglie dai miei pensieri.
-    Per caso lo avete letto?- Riprende dopo un po’- Il quaderno, intendo-.
-    No. In verità sì, la didascalia all’inizio- Mi sento in imbarazzo, lui però sembra sollevato e il suo viso si rilassa, aprendosi in un piccolo sorriso.
-    Meno male!-
-    Come mai?-
-    Quel quaderno è molto importante per me, anche se…-.
I suoi occhi si oscurano, mentre io aspetto una continuazione.
-    Anche se non ricordo il perché- Conclude con un sospiro.
-    Com’è possibile?-
-    Non lo so, magari rileggendolo mi tornerà in mente-.
-    Lo spero-.
Le sue labbra leggermente carnose si piegano in un dolce sorriso, dando vita a  due piccole fossette sulle sue guance pallide.
-    Come sei buona-.
Mi giro sorpresa.
-    Io? Se ti avessero sentito quei due, scommetto che sarebbero scoppiati a ridere!-.
-    Non ne vedo il motivo. Per quale ragione?-
-    Pensano che sono una sconclusionata… E una un po’ fuori di melone-
Mi rendo conto che mi sto confidando con un perfetto sconosciuto, eppure mi sembra una cosa naturale.
Lui annuisce, i capelli candidi che risplendono alla luce della luna.
-    Dovresti prenderlo come un complimento: chi è pazzo è libero e pieno d’idee geniali!-.
Mi viene subito da pensare al regno in cui ora stiamo camminando, all’insieme di costruzioni sconclusionate che ho disegnato man mano che ne avevo bisogno. Studio il suo viso, che sembra privo di qualsiasi intenzione di prendermi in giro: tralasciando gli occhi, la bocca e le fossette, il suo viso è aggraziato come quello di un effemminato, eppure anche incredibilmente elegante. Certo, il suo abbigliamento vittoriano che mi ricorda il cosplay, lo fa sembrare quasi una bambolina di porcellana. Inoltre non è così alto, paragonato agli altri due ragazzi presenti.
Lui si accorge del mio sguardo tipo raggi x e mi sorride gentilmente. Mi affretto a distogliere lo sguardo, sentendo il cuore accelerare inspiegabilmente. Ho appena pensato che è una bambola di porcellana e che è un po’ effemminato, che caspita mi batte il cuore?
Appena raggiungiamo il nostro chalet, colgo l’occasione per scomparire nella mia stanza alla ricerca del quaderno, mascherando le guance rosee e cercando di ridarmi un contegno.
C’è qualcosa che mi esalta più del dovuto: aver ascoltato un sogno e poi scoprire che quel sogno ha preso forma e mi ha ringraziato per averlo ascoltato. Okay, non ha senso, per niente, però mi piace pensarla in questo modo.
Torno in soggiorno, trovandoli tutti e tre seduti al tavolo della cucina: Nathaniel e Kentin stanno studiando sfacciatamente il nuovo arrivato, il primo prendendogli le misure, il secondo con una curiosità genuina. Il diretto interessato è seduto a disagio con le mani intrecciate sul tavolo, gli occhi che sembrano perforarle e studiarne l’ossatura.
-    Eccolo qua!- Annuncio, sciogliendo l’atmosfera pesante che aleggia sul tavolo.
Gli occhi di Lysandre si accendono subito, non appena riconosce la copertina verde muschio del quaderno che gli porgo. Lo prende con estrema cautela, come fosse un neonato, e resta a fissarlo intensamente per un po’.
-    Non dirmelo: è quello sbagliato?- Chiede dopo qualche secondo Kentin, con la sua solita finezza da pachiderma in pigiama.
-    Oh, scusatemi. È quello giusto, non temete. Riaverlo tra le mani mi ha riempito di un tale sollievo… Stavo solo assaporando quella sensazione-.
Lo rassicura con un bel sorriso che gli raggiunge anche gli occhi.
Nathaniel smette solo allora di scrutarlo col suo cipiglio che, ormai ho capito, riserva ai nuovi arrivati. Si accorge che lo sto guardando, con un sorriso significativo che m’increspa gli angoli della bocca, avvertendomi con i suoi occhi dorati di non fiatare.
-    Toglimi una curiosità Lysandre: da quanto sei qui?- Chiedo, sorprendendomi di nuovo per la naturalezza con cui gli parlo.
-    Dunque… Non so rispondere con certezza alla tua domanda: ricordo che stavo andando a scuola, però devo essermi perso perché poco dopo mi sono trovato ad un cancello d’argento, che poi mi si è svelato l’entrata di questo…Paesino? Lo posso definire in questo modo?-
-    No, un secondo: come diavolo hai fatto a perderti andando a scuola?- S’intromette Nathaniel, con uno sguardo scettico di chi non vuol credere a ciò che ha sentito.
-    So che suona terribilmente sbagliato, ma vedete: sono terribilmente sbadato! Disprezzo questo lato del mio carattere, che mi crea svariati problemi, come perdere in continuazione il mio prezioso quaderno, eppure non riesco proprio a cambiare…-
La scena è del tutto comica e Kentin ed io riusciamo appena a trattenere le risate: un Nathaniel, evidentemente incredulo, che sta cercando di incenerire un Lysandre con la testa persa tra i suoi pensieri, che parla a raffica, completamente ignaro degli intenti omicidi del biondo seduto accanto a lui. Se non conoscessi Nathaniel, mi preoccuperei seriamente per il ragazzo con gli occhi bicolore, che ora sta sorridendo ignaro al suo quaderno.
Nathaniel distoglie lo sguardo con una smorfia e prende a guardare il salotto, imbronciato.
-    Ehi Azzurra, dove lo mettiamo questo qua?-.
Kentin lo indica senza mezzi termini, ricordandomi che non abbiamo ancora pensato a dove sistemare quello stravagante ragazzo per la notte.
-    Potremmo farlo stare in tenda con te… Sempre che tu non faccia cavolate…-
-    Naaa, non ho interesse per gli uomini-.
-    Se per te non è un problema dormire in tenda, Lysandre…-
-    Oh, affatto! Sembra divertente! Non ho mai dormito in tenda…-
Stronco sul nascere la sua tiritera sul campeggio, avendo ormai intuito che, se preso nella maniera giusta, quel ragazzo diventava incredibilmente logorroico.
-    Perfetto, allora vado a cercare un piumone e un cuscino in più. Nathaniel tu cerca un materasso-.
Kentin si alza con un’aria di disapprovazione, bloccandomi la strada.
-    Ora che ci penso, non so se mi va bene. Tu e Nath siete sempre qui a dormire da soli, non è che lo stai coccolando perché è il tuo preferito?-.
Resto così perplessa che mi fermo sul posto, dimenticandomi cosa stavo facendo, e vedendo ogni minimo dettaglio del destro micidiale del biondo, che fa finire quello svergognato a gambe all’aria.
-    Usa quel poco di materia grigia che Madre Natura ti ha concesso, per capire che ciò che ti esce dalla bocca non sta né in cielo né in terra-. Ringhia, incenerendolo con una singola occhiata, per poi avviarsi a passo di carica in camera sua a cercare il famoso materasso.
Io sono ancora lì impalata, a guardare Kentin per terra che si massaggia lo stomaco con una smorfia, troppo sbigottita per muovere un muscolo.
-    Non sembrava così forte il biondino-. Borbotta rialzandosi.
-    Fatemi capire: c’è in corso un triangolo amoroso?-.
-    LYSANDRE!-

Quando infine mi stendo esausta nel mio letto, riesco a vedere i primi colori dell’alba all’orizzonte. Quando siamo riusciti a infilare un Lysandre esaltato dalle sue storie mentali, e un Kentin in vena di risse nella tenda, Nathaniel se n’è tornato nella sua stanza quasi fluttuando. Quei due dovevano avergli prosciugato ogni più piccolo granello di sopportazione e pazienza, che comunque erano di principio di una quantità discutibile.
Mi giro sulla schiena e prendo a fissare il soffitto ricoperto di stelline fluorescenti che risplendono solo quando la stanza è buia. Non avevo voluto dire niente, ma quando Lysandre aveva accennato al fatto che stava andando a scuola prima di finire qui, avevo sentito una fitta di malinconia al petto. Okay, questa affermazione mi fa guadagnare occhiate incredule dall’ottanta percento degli studenti dell’intero pianeta, però non posso nascondere che la scuola mia manca: mi manca sapere che devo andarci, mi manca perfino la svogliatezza con cui so che a volte partivo di casa, mi manca considerarla come un punto d’incontro con i miei amici… Gli amici… Chissà se posso considerare quei tre ragazzi miei amici? Non ricordo bene se effettivamente ne avevo, però ricordo la sensazione calda che scaturiva dal mio cuore, iniettandosi nelle arterie quando sentivo di essermi avvicinata a qualcuno. È possibile che le voci che a volte sento, quelle che non riconosco come quelle di mio padre e di mia madre, sono quelle dei miei amici?
Mi volto verso la finestra e vedo l’orizzonte prendere le tonalità pesca e rosa intenso che annunciano i primi raggi di sole. Quei colori mi riempiono di una certezza improvvisa: voglio una scuola. Sì. Disegnerò una scuola!
Un sorriso m’increspa le labbra. Il cielo si rischiara sulla linea del mare e le stelle più vicine ad essa sbiadiscono, come fossero cancellate dalla gomma pane, sempre più intensamente.
Quando il sole fa capolino timidamente dal mare, rischiarando tutto il regno, mi accorgo che qualcosa non quadra: c’è qualcosa che prima non c’era. Ispeziono attentamente il perimetro del mio Mondo dei sogni, poi d’un tratto capisco: ci sono degli alberi, che spuntano come funghi dal prato, e cespugli, e anche fiori!
Quando è successo? Io non ho mai pensato a queste cose. Questa situazione sta diventando sempre più inspiegabile, ma ora sono troppo stanca per pensarci…

“…”
Sento solo un respiro regolare vicino a me.
“ Puoi provare a parlarle”
“ E perché? Tanto non mi sente”
“ Invece sì”
“ Sta dormendo”
“Ma ti sente, fidati”
“ Che cazzata”
“ Devi smetterla di esprimerti così volgarmente: siamo in un ospedale”
“ Che buffonata, allora. Dio quanto sei diventato petulante! Mi sembri quasi quel…”
“ Basta così. Vado a farmi un giro, ti lascio un po’ di tempo per stare con lei”
Sento una sedia gemere mentre il peso di uno dei due ragazzi l’abbandona, poi sento una porta aprirsi e richiudersi. C’è silenzio per un po’, poi sento un verso stizzito.
“ Ciao”
Ciao anche a te, borbottone che non sei altro.
“ Passavo di qua e sono venuto a trovarti. Mi sono rotto un braccio, sai”
Silenzio. Un sospiro. Sento un tocco fresco e pieno di vita.
“ Sembri quasi la bella addormentata. Mi verrebbe quasi voglia di baciarti se non…”
Un verso soffocato. Poi più nulla.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Il racconto d'inverno ***


Non è che mi ero addormentata, mi ero piuttosto incantata, eppure quando ritorno nel mio corpo che vive nel Mondo dei sogni, mi sento fresca e riposata. E con le lacrime che sgorgano copiose dagli occhi, finendo nel cuscino e nei capelli. Rimango stesa per un po’, ancora frastornata da quello che ho sentito, poi mi metto lentamente a sedere e mi asciugo le lacrime, sentendo il ricordo svanire discretamente, come un sogno che ti scivola tra le dita quando  cerchi di afferrarlo e ricordarlo. All’ultimo momento, fermo la memoria e riesco ad acciuffare il tono di voce della persona che ho sentito, prima che anche quello finisca nel dimenticatoio della mia memoria. Sì, lo sento ancora nelle orecchie, flebile, sarcastico, triste,…
Mi metto in piedi, barcollando fino all’armadio, che ha un’anta a specchio, e mi fisso: ho gli occhi scuri sbarrati e un po’ arrossati per le lacrime. Mi passo le dita tra i capelli a modi pettine, cercando di concentrarmi. Sento un groppo di disagio alla bocca dello stomaco, eppure non riesco a mettere assieme i pezzi di ricordi per spiegarmene il motivo: è come se avessi fatto in mille pezzi un pezzo di carta, e ora stessi cercando di rimetterli assieme con il nastro adesivo.
Sento dei leggeri colpetti alla porta, seguiti dalla voce di Lysandre.
-    Azzurra, sei in piedi? Stiamo per andare a mangiare pancake, vieni anche tu?-.
-    Arrivo subito!-
Mi affretto ad infilarmi jeans e felpa, per poi fiondarmi fuori dalla stanza, il pensiero della colazione che prevale sulle mie riflessioni filosofiche mattutine.
-    Buongiorno!-. Saluto i ragazzi, saltando i gradini del portico per atterrare davanti a loro.
-    Buongiorno anche a te!- Risponde Lysandre, rivolgendomi un bel sorriso.
-    Sembri bella pimpante stamattina- Aggiunge Kentin, prendendosi la libertà di passarmi un braccio sulle spalle e stritolarmi.
-    Lysandre ha detto le parole magiche-. Sorrido, ricambiando con una gomitata nelle costole, che mi libera dalle sue grinfie.
-    Oh, insomma! Tutti che mi menano in questi giorni! Vorrà dire che andrò da… Lysandre!-
Vedo Kentin saltare addosso al ragazzo con i capelli bianchi a modi orso, cominciando a punzecchiarlo mentre lui ne rimane sconcertato.
Sento Nathaniel prendermi per un braccio e noto solo ora la sua espressione preoccupata.
-    Ieri questi alberi non c’erano- Sussurra, mentre seguo con lo sguardo i due ragazzi che saltellano in giro come cerbiatti.
-    Oh, giusto! Me ne sono accorta questa mattina, ma me ne stavo per dimenticare: ti giuro che non centro niente!-
-    Ti credo, non preoccuparti… Penso di cominciare a capire, però non ha senso. Mi servirebbe una nuova prova-.
Alzo un sopracciglio senza capire, ma lui si limita a scrollare la testa.
-    Hai nuovi progetti? Continuo a trovare questo regno di una desolazione deprimente-.
-    Ecco, la seconda trovata che mi stavo per dimenticare! Ci ho riflettuto e mi son resa conto di volere una scuola!-
Lui sembra sinceramente stupito, mentre i suoi occhi dorati studiano il mio viso, in cerca di un qualche segno sarcastico.
-    Maddai, sarebbe la prima cosa sensata che fai-.
-    La seconda se permetti: stai dimenticando la sorgente d’acqua. E, dal momento che non voglio più cadere nelle tue provocazioni, chiuderò un occhio sul resto-.
Gli scappa una risatina, smorzata dalla smorfia che contorce la sua bocca. Sta mascherando il fatto che ho detto qualcosa di divertente? Mi avvicino pericolosamente alla sua faccia, ma lui mi rivolge un’occhiata disgustata e si scosta.
-    Se fai così comincio a credere che le soap opere mentali di Lysandre e Kentin siano vere-. Borbotta.
-    Come se potessi perdere la testa per un fulcro! E con il cuore di ghiaccio come te poi!- Ribatto con sdegno, raggiungendo a grandi passi gli altri due ragazzi e dando fine al comportamento infantile e selvatico di Kentin.
Appena raggiungiamo il fast food ed entriamo in modo indisciplinato, vedo il ragazzo dietro il bancone aprirsi in un sorriso eccessivamente entusiasta.
-    Benvenuti, benvenuti! Oggi sarà una giornata fantastica: cominciavamo a temere di non avere più clientela!-
Kentin lo studia perplesso, senza curarsi di nasconderlo, così non ci resta che trascinarlo verso il nostro tavolo.
-    Azzurra, perché non metti al corrente anche loro del tuo prossimo progetto-. M’incalza Nathaniel, studiando il menù.
-    Costruirò una scuola- Annuncio tronfia.
-    Cosa?- Kentin sembra sinceramente disgustato dalla proposta, il viso che si raggrinzisce in una smorfia.
Delusa dalla sua reazione, mi giro a vedere Lysandre, seduto al mio fianco, immerso nei suoi pensieri. Si accorge che lo sto studiando e s’affretta a sorridermi.
-    Potrebbe essere interessante… Però non siamo un po’ pochi?-
-    Andrà benissimo- Lo rassicura Nathaniel. Ha preso a cuore questa storia.
Ora che ci penso su un po’ però, il mio interesse non era didattico.
-    Però il mio intento era quello d’incontrarci a scuola: se viviamo tutti sotto lo stesso tetto, non ha molto senso…-.
Tutti e tre mi fissano con gli occhi sgranati e cominciano a parlare all’unisono, rischiando di mandare a gambe all’aria quelle povere ragazze in roller che stanno portando i nostri pancakes.
-    Era questo il tuo intento? Una scuola non è un bar!- Strepita Nathaniel.
-    Vorresti sfrattarci? Guarda che è solo Nath a vivere con te, noi siamo relegati in una tenda!- Piagnucola Kentin.
-    Io sono appena arrivato, non conosco nemmeno la zona…- Aggiunge Lysandre, leggermente in panico.
Mi passo una mano sulla fronte, rendendomi subito conto che il mio progetto sarà molto più complesso del previsto.
-    Ascoltate, non sto cercando né di sfrattarvi, né di abbandonarvi o che altro: dico solo che forse dovremmo rendere questo posto più… Abitato? E se viviamo tutti nella stessa casa, sarà un po’ difficile rendere il tutto più interessante. E poi, posso costruirvi la casa dei vostri sogni!-
Le mie argomentazioni fanno abboccare subito Lysandre, ma Kentin mi rivolge un’occhiata ostile, infilzando con violenza due pancakes con la forchetta.
-    Allora non dovresti pensare prima a dove sbatterci, invece di pensare alla scuola?-
Sto per ribattere, un po’ ferita dal suo tono tagliente, ma Nathaniel mi precede.
-    In ogni caso, la cosa verrà studiata più attentamente. Per oggi che ne dite di farci una giornata di pausa? Siamo sempre stati assieme da quando siamo qui e penso che sia meglio per tutti godersi un attimo di pace-.
Kentin annuisce, ma Lysandre sembra preoccupato.
-    Se vuoi posso accompagnarti in giro-. Gli propongo.
Lui mi sorride sollevato.
-    Te ne sarei grato-.
Così, quando abbiamo finito di infognarci di pancakes, Nathaniel e Kentin se ne vanno per conto loro, immersi nei loro pensieri, mentre io e Lysandre ci fermiamo all’entrata, lui che si guarda attorno incuriosito.
-    Oh, l’osservatorio! Di giorno fa tutta un’altra impressione!-.
Esclama, resosi conto solo ora che la cupola bianca era sempre stata in faccia al fast food.
-    Cosa ti piacerebbe vedere per prima cosa?- Gli chiedo con un sorriso.
-    Vorrei andare sulla spiaggia: non ho avuto modo di andarci quando sono arrivato!-
-    E spiaggia sia!-.
Non che ci voglia un gran impegno: in pochi passi siamo già nella sabbia, ancora fresca dalla notte. Vedo Lysandre aprirsi in un immenso sorriso spontaneo, mentre s’abbassa e conficca le dita in quella poltiglia umida, ridacchiando come un bambino.
-    Sono passati anni dall’ultima volta in cui ho visto il mare-. Mormora, rivolgendo alla distesa d’acqua uno sguardo amorevole.
-    Te lo ricordi?- Chiedo, accucciandomi accanto a lui.
-    Oh sì! Come potrei dimenticarlo?-
-    È… Bello. Sei il primo a ricordarti qualcosa del passato-
Lui sembra profondamente sconcertato quando si gira a fissarmi.
-    Tu non ricordi?-
Scrollo la testa amareggiata.
-    No, ricordo solo vagamente tutto ciò che c’è stato prima di… Questo. E anche Kentin. Men che meno Nathaniel( d’altronde è parte di me).È come se le persone che arrivano qui, condividono la nebbia che c’è nella mia memoria-.
Lo vedo mimare le mie parole con le labbra, come assaporandole, poi mi prende delicatamente una mano e la stringe, il suo sguardo gentile che non mi lascia gli occhi.
-    Mi dispiace sentirti dire questo, e soprattutto non essermene reso conto-.
-    Sei appena arrivato, come avresti potuto-. Cerco di rassicurarlo con un sorriso, tradendomi con la mia stessa voce strozzata.
-    Io ricordo, però sono smemorato. Non ti sembra un contro senso?-
-    Effettivamente…-
-    Ricordo perfettamente ogni singolo istante dei momenti più belli della mia vita, eppure, se ora mi venisse un ispirazione improvvisa, potrei dimenticarmela ancora prima che quella si imprima nella mia mente. Sono terribilmente distratto dalle piccole cose, cosicché mi perdo quelle più grandi-.
-    A volte le piccole cose sono le migliori-
-    Sì, quasi sempre, ma non le più importanti-.
Restiamo in silenzio a fissare il mare, poi lo sento sospirare e ridacchiare.
-    Perdonami, mi sono infervorato-
-    Oh, no! È bello avere dei discorsi normali con qualcuno: Nathaniel non fa che criticarmi, a volte mi concede qualche parola gentile, ma sembra sempre che darmi ragione gli costi una fatica. Mentre Kentin… Kentin è un selvaggio che ascolta solo l’istinto, che a volte gli suggerisce qualche parola sensata, ma per la maggior parte lo incita a fare l’idiota-.
Lui ride, facendo comparire le due fossette nelle guance.
-    Mi è sembrato un tipo piuttosto schietto… Bisognoso d’attenzione, ma senza peli sulla lingua. Questo può essere visto come un difetto, io invece lo trovo un pregio degno di nota-.
Scrollo le spalle e mi alzo, per poi dirigermi verso l’acqua, togliermi le scarpe e osare infilare un dito nel mare. L’acqua è tiepida, ma il primo contatto con la superficie mi fa rabbrividire. Mi giro con un sorriso, pronta a chiamare il ragazzo, ma qualcosa nella sua espressione mi ferma di botto: mi sta fissando con gli occhi sgranati, le sopracciglia corrugate dallo stupore e la bocca semiaperta.
Mi tasto la faccia, inorridendo al pensiero di essere piena di sciroppo d’acero o baffi da caffè, poi lo vedo scrollare la testa ed avvicinarsi.
-    Non preoccuparti, non hai nulla. Ho solo avuto un dejà vu-.
Si sfila gli stivali e mi affianca, rabbrividendo con un sorriso.
-    Caspita! È freschina!-
-    Le ci vuole un po’ per scaldarsi-. Ne parlo come se fosse la mia bambina.
Lui ridacchia e fissa per un po’ l’acqua muoversi attorno i suoi piedi, poi torna a fissarmi, improvvisamente serio.
-    Siete qui da molto?-
-    A dire il vero non so… A me sembrano giorni, ma chi può dirlo?-
Mi rendo conto di quanto può sembrare stupido quello che ho detto: come si fa a non sapere quanti giorni sono passati da quando sono qui?
Lui però annuisce.
-    Capisco. Questo posto sembra così… Magico. Un po’ come il regno fatato. Ti fa perdere la cognizione del tempo! A me sembrano settimane che sono qui!-
Un brivido mi percorre la spina d’dorsale: è arrivato più vicino di quanto pensa. Per la prima volta mi ritrovo a riflettere su che reazione potrei scaturire in quei due ragazzi, rivelando loro che tutto ciò che vedono è solo un sogno. Il mio sogno. Chissà che effetto fa venire a sapere che non si è reali? Chissà come si sente Nathaniel?
Quei pensieri mi fanno inorridire, mentre mi affretto ad uscire dall’acqua e a rimettermi le scarpe. Se Lysandre nota il mio turbamento, non lo fa notare, mentre mi raggiunge e s’incammina verso la strada, curioso di vedere tutto quel posto.
Camminiamo fino al cancello, dove resta incantato dalla sorgente e dal fiumiciattolo che scorre fino al mare, poi lo porto nella foresta, che in quelle ore viene bagnata da una soffusa e calda luce. Percorriamo i prati in lungo e in largo, e solo al tramonto decidiamo di tornare indietro.
-    Che ne pensi?- Gli chiedo, quando torniamo con i piedi sulla strada acciottolata.
-    È buffo: vedo molte cose che mi sono familiari, nonostante non le abbia mai viste. Lo trovo un posto interessante, stravagante… Molto stravagante. Ma per questo mi piace!-.
Mi vien voglia di buttargli le braccia al collo e ringraziarlo per il primo complimento che mi vien rivolto per la mia creatura, ma riesco a trattenermi e ad annuire.
-    Allora: mi è sembrato di capire che non ti dispiacerebbe una tua casa-. Butto lì con noncuranza. Subito s’illumina.
-    Oh, sarebbe meraviglioso! Ho sempre sognato una viletta in stile vittoriano, con un piccolo cortile ricoperto di rose che s’intrecciano con…-.
Lo lascio sproloquiare, sorridendo con affetto al suo profilo entusiasta. Ancora questa sensazione di conoscerlo da una vita.

-    Ouch!-
-    Oh, scusami, ti ho preso?-
-    Di brutto! Scostati!-
I due si sgrovigliano e si danno un’occhiata attorno e si scambiano un’occhiata, prima di scoppiare a ridere.
-    Dammi uno schiaffo, penso di star ancora dormendo-.
-    Dammelo tu se mai, questo posto non sta né in cielo né in terra!-
Le loro risate si gelano di colpo, mentre i gemelli si girano lentamente verso il cancello d’argento che torreggia sopra di loro, uno strano presentimento che li accomuna: non si sveglieranno con un semplice schiaffo.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Otello ***


Ci stiamo avvicinando a casa, quando incrociamo Kentin, ricoperto di fango, terra e foglie dalla testa ai piedi. Neanche a farlo apposta, gli rivolgiamo uno sguardo critico all’unisono.
-    Non l’ho fatto apposta, okay? Pensavo di riuscire a saltare abbastanza per non finire nella palta…- Borbotta lui, cercando di ripulirsi la faccia e finendo solo per peggiorare la situazione.
-    Vieni qua- Gli ordino pazientemente, costringendolo ad abbassarsi alla mia altezza per pulirgli la faccia con un fazzoletto. Lui arrossisce ed evita accuratamente il mio sguardo, comunque io sono troppo impegnata ad ispezionargli le macchie di fango che ha in faccia a modi maculato.
-    E Nathaniel dov’è finito?- Chiede Lysandre, stiracchiandosi soddisfatto.
-    Non…Non lo so, e-era in… Casa. Penso- Balbetta, prima di scivolare via dalle mie grinfie e ispezionandosi attentamente la frangia di capelli color cioccolato, manco fosse questione di vita o di morte. Io, che non mi ero accorta del suo imbarazzo, lo prendo come un altro segno del suo modo eccentrico di fare, e m’incammino verso casa, rendendomi improvvisamente conto del languorino che sta cominciando a punzecchiare il mio stomaco.
Salto gli scalini del portico e spalanco la porta di casa con fare teatrale, impersonando alla perfezione una principessa Disney(animaletti canterini a parte), e trovando il ragazzo biondo già ai fornelli. Mi avvicino saltellando e mi appoggio al bancone con fare civettuolo.
-    Ricordi cos’ho detto prima, parlando di cotte e non cotte? Sai… Vederti ai fornelli è così… Sexy-.
Lui si gira appena per mostrarmi la sua espressione disgustata e ritorna a rimestare quello che sembra taboulé, facendomi ridacchiare.
-    Dovresti pensare alla tua situazione cara mia: quale uomo vorrebbe una donna che non sa nemmeno fare la salsa dell’insalata?-
-    Ehi, guarda che ci riesco-
-    Mi sorprenderebbe-
-    Io ho doti culinarie che tu nemmeno immagini- Ribatto incrociando le braccia, mentre gli altri due ragazzi entrano dalla porta, lo sguardo di chi non ha seguito il discorso e vuole capirne il fulcro.
-    Ah si?-
-    Oh, si-
Mi rivolge un sorrisetto di scherno da sopra la spalla e indica gli armadietti sopra i banconi con un cenno del capo.
-    Perché non cominci con l’apparecchiare?-
-    Sai cosa ti dico? Ritiro tutto quello che ho detto. Continua pure a cucinare, almeno il tempo in solitudine passa più velocemente-.
Evito per un pelo lo straccio sporco che mi tira, per poi afferrare le stoviglie con uno scatto fulmineo e scappare fuori dalla sua portata per apparecchiare.
-    Non preoccuparti Azzurra, se proprio nessuno ti vorrà sposare, lo farò io-.
S’intromette, leggermente in ritardo, Kentin, con un tono solenne e il mento alzato, in una posa fiera che poco s’addice al momento.
-    Ma perché diavolo avete tutti l’impressione che io resterò zitella?-
Lysandre schiva la mia domanda con un sorriso angelico, decidendo che la brocca dell’acqua doveva essere riempita proprio in quell’istante.
-    Tranquilla, l’amore non è tutto nella vita. Ci vuole anche cervello-
La serietà con cui testuali parole escono dalla bocca di Kentin potrebbe anche essere comica, se appunto, non le avesse dette… Beh, sì: Kentin.
-    Comincio a credere che quello che dovrebbe preoccuparsi sei tu, non io-.
Mi siedo sfiancata in faccia al ragazzo, che piega la bocca in una smorfia sprezzante.
-    Naaa, guarda che io ho orde di ammiratrici. Di tutti i tipi, taglie e colori-.
-    Colori?- Ripete Lysandre- Che cosa vorrebbe dire?-…
Qualcosa si accende dentro di me. È come un battito del cuore più forte degli altri, che mi rimbomba nelle orecchie. Sento qualcosa sfiorare la mia mente e scappare, prima che posso anche solo sfiorarne la consistenza. E così com’è comparsa, questa sensazione si dilegua in un battito di ciglia.
Mi massaggio la testa, perplessa e un po’ spaventata allo stesso tempo, poi mi rendo conto che tutti e tre i ragazzi mi stanno guardando allarmati.
-    Cosa?- Chiedo turbata.
-    Sei sbiancata di colpo, e le pupille ti si sono dilatate… Questione di attimi, così dal nulla- Mi spiega Nathaniel con aria cupa.
-    Davvero? Scusate, non era nulla: solo un pensiero-. Li rassicuro, per poi sbirciare raggiante nelle padelle, arrivate in tavola con Nathaniel.


-    Ascolta: in ogni videogioco il cancello è qualcosa che apre un nuovo capitolo o una scena fondamentale, quindi non puoi dirmi “ Attraversiamolo, no?” come se fosse una cosa scontata. Non lo è!-
Il ragazzo con gli occhi viola muove una mano impaziente e per niente interessato ai vaneggi del gemello.
-    Quanto la fai lunga… Senti: non sappiamo dove siamo, e men che meno come ci siamo arrivati, ma una cosa è certa: quello lì nel cielo è un tramonto, quindi non c’è tempo per le scenate: dobbiamo trovare un posto dove accamparci-.
-    Vorrai scherzare! Io in questo posto non ci sto un secondo di più!-
-    Grande! Beh… Quando trovi l’uscita, fammelo sapere!-
Il gemello con gli occhi color ghiaccio digrigna i denti: odia quando il gemello ha ragione. Basterebbe un semplice pulsante di pausa, un semplice “esc” o “menù”…
-    Bene, se la metti così… Prego, beccati l’onore di attraversare il caspita di cancello-.
-    Oh, Armin… Quanto sei infantile-.
Sbotta l’altro, con un fare superiore che poco gli si addice, ma che a lui piace. Si avvicina all’elegante intreccio d’argento che è il cancello, e lo sfiora. A sentire il freddo del metallo sui polpastrelli delle dita, un brivido d’eccitazione gli percorre tutte le cervicali, una a una. Quest’ambiente poco coerente, quest’aria fresca ed immobile… Ha tutto il gusto di un’avventura! Lui e suo fratello in un’avventura!
-    Senti Alexy: ma c’è proprio bisogno di attraversare quel coso? Insomma: basterebbe passarci da parte, no?- Armin rompe l’atmosfera magica con la sua voce svogliata.
Il gemello vicino al cancello si gira con aria delusa.
-    Armin!-
-    Cosa? Cos’ho detto?-

Dalla finestra vedo il quadernetto di Lysandre nel portico, ma del suo proprietario non c’è traccia.
-    Dov’è Lysandre?- Chiedo a Nathaniel, mentre lui mi passa un piatto appena lavato, che m’affretto ad asciugare e a riporre nel suo armadietto.
-    Mha, in giro penso… Ha detto qualcosa a proposito del quaderno, sul fatto che l’aveva perso di nuovo-
-    Scherzi? E lì sul portico!-
Lui scuote la testa, i capelli color del grano che seguono il movimento della testa in un barlume dorato.
-    Non ho mai conosciuto qualcuno di così sbadato-.
-    Io…-
Sto per rispondere quando la sensazione di prima torna ad inebriare la mia mente, questa volta con più insistenza però, così che riesco a cogliere una piccola sensazione, minuscola eppure intensa. Colgo un barlume d’argento e un profumo che mi è maledettamente famigliare, anche se non ricordo il perché, poi tutto scompare riportandomi al presente, dove sono appoggiata ala bancone con le mani sulla testa. Nathaniel mi sta sorreggendo per le spalle, gli occhi allarmati e la bocca piegata all’ingiù.
-    Cosa ti sta succedendo?-  Sbotta , cercando di mascherare il sollievo che traspare sul suo viso, non appena si rende conto che sono tornata in me.
-    Non so, non capisco. Sembrano… Frammenti di ricordi collegati a quello che dite. Però non riesco ad acciuffarli- Mi interrompo e sento gli occhi riempirsi di lacrime amare – Perché non ci riesco?-
Lui mi lascia andare le spalle con riluttanza, per poi far ricadere le braccia lungo i fianchi.
-    Non so spiegartelo, Azzurra, mi dispiace. Forse perché tu sei in coma, quindi il tuo cervello non è completamente funzionante. Forse perché sono ricordi che hai dimenticato… Non so davvero cosa pensare-.
-    Ma io voglio ricordare!-
Sento la frustrazione impersonare il tono della mia voce, uscendo come un ruggito.
Il ragazzo mi guarda impotente, gli occhi che esprimono dispiacere, per poi passarsi la lingua sulle labbra e schiarirsi la voce.
-    Cosa devo fare? Devo svegliarmi?-
-    Non posso aiutarti, anche se lo vorrei-.
-    Io penso di poterlo fare invece-.
Sobbalziamo tutti e due, sentendo d’improvviso la voce di Lysandre. Mi giro sorpresa e resto senza parole per quello che mi si para davanti: Lysandre, pallido come un cadavere, con gli occhi sbarrati, incassato nelle sue spalle e con il quadernetto stretto tra le dita affusolate delle sue mani.
-    Non… Non volevo origliare ma… Tutto torna ora!-
-    Solo a te, Lysandre- Ribatte Nathaniel, tornando ad occuparsi delle stoviglie da lavare.
-    Azzurra, vieni con me-
Allunga una mano nella mia direzione, gli occhi pieni di paura e speranza allo stesso tempo. Dice che può aiutarmi a ricordare. Io voglio ricordare. Afferro la sua mano, sentendola fredda come un ghiacciolo, e poi mi lascio trascinare fuori sul porticato. Ci sediamo sui gradini, poi lui tira un lungo sospiro e apre con mani tremanti il quadernetto.
-    Azzurra, io penso… Penso di conoscerti. No, suona male: io ti conosco, ti conosco nella realtà!-.
Il sangue mi si gela nelle arterie, mentre i suoi occhi bicolore incontrano i miei.
-    Questo non è reale, vero? Questo posto… Eppure ci sono cose che lo sono, che tu conosci per davvero. Me, per esempio. Questo quaderno… È pieno di frasi che ti riguardano-.
D’un tratto mi sento terrorizzata, tutta la rabbia di prima si è volatilizzata: voglio solo nascondermi da qualche parte e dimenticare tutto. Però non posso, non voglio più dimenticare.
-    Frasi…?- Ripeto in un soffio.
Lui annuisce e apre una pagina, per poi leggerla.
-    “L’amicizia che mi lega a questa ragazza si può definire come un’intricata ragnatela di parole, sentimenti e, soprattutto, luce”…-.
La testa mi scoppia. Quelle parole mi entrano nel corpo come piccoli aghi. Non faccio in tempo a capire cosa mi sta succedendo che sono accasciata sul portico, la coscienza che piano piano si spegne…

I due gemelli sono riusciti a raggiungere un compromesso: scavalcare il cancello.
Terrei a precisare che nessuno dei due è particolarmente atletico o propenso ad azioni clandestine, quindi l’immagine che si vede ora è piuttosto… Sì, è ridicola. Alexy sta saltellando ai piedi del cancello, cercando di far forza sulle braccia per issarsi verso il primo appiglio, ma la sua parte effemminata sta avendo la meglio sul resto. Armin è avvinghiato/incastrato poco più su, allungando mani e piedi in cerca di nuovi appigli, senza trovarne.
-    Armiiin! Non ce la faccio!- Piagnucola il gemello ai piedi del cancello.
-    Trova un modo, sono un po’ incasinato ora-. Ringhia l’altro, sentendo le prime gocce di sudore colargli sulle tempie, quasi con fare beffardo.
-    Ma Armi…-
La voce squillante del ragazzo s’interrompe di botto e, quando l’altro abbassa lo sguardo, scopre che quello è scomparso.
-    Ma che diavolo…-
Non fa nemmeno in tempo a finire la frase, che anche lui scompare. Il cancello e l’ambiente circostante sono tornati deserti e silenziosi.

“ Ciao. Sono ancora io.”
Silenzio.
“ In verità è stato Lysandre a dirmi di venire. Cioè: non che non mi va di vederti, però sai…”
Pausa per un sospiro e un verso stizzito.
“ Fare monologhi con te che dormi è davvero una cazz… Una boiata. Vorrei che mi rispondessi. Mi manca la tua voce…”

Riprendo conoscenza con un sussulto e un sospiro strozzato. Sei paia di occhi mi fissano con apprensione, e subito vengo circondata. Prima che possono anche solo aprire bocca, io afferro le mani di Lysandre.
-    Hai ragione! Noi ci conosciamo! Solo che… Non so perché, non so come!-
Lui apre la bocca un paio di volte, poi la chiude e sorride, un moto di sollievo gli illumina il viso.
-    Cosa vuoi dire?- S’intromette Kentin.
Non riesco a non sorridere, nonostante la spossatezza.
-    Non è tutto un sogno-.

Torniamo al cancello.
-    Armin?-
-    Sono qui!-
-    Cos’è successo?-
-    Non lo so, sembrava come se fossimo… Scomparsi?-
-    Come si fa a scomparire in un posto che probabilmente non esiste?-
-    Non lo so Alexy, sono sempre più confuso. Questa situazione non mi piace-
-    Nemmeno a me. Mi spaventa un po’, in verità-
-    Che facciamo? Riproviamo ad entrare? Come persone civili, questa volta?-
-    … -
-    Alexy?-
-    Sì, proviamo-


ANGOLINO CARAM. MACCH.

Ciao a tutte! Niente paura, non sto per dirvi che la fine del mondo è vicina! Voglio solo avvisarvi che ultimamente sono un po' impegnata, quindi non riuscirò più a postare i capitoli con la frequenza che ho fatto fino a qualche capitolo fa... Ma niente paura! Continuerò questa storia fino al fatidico " fine", quindi vi chiedo solo un po' di pazienza... E se comincio a diventare così pigra da postare un capitolo a settimana, qui e ora vi autorizzo a venirmi a cercare e a prendermi a calci!
Adios!!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** La commedia degli errori ***


-    Fammi capire: questo posto non esiste, se non nella tua testa. Noi non esistiamo, se non nella tua testa. Però Lysandre lo conosci davvero, ma non sai né come ,né perché, né da quanto-.
Ricapitola Kentin, prendendo una sorsata del suo caffè latte, dopo aver ascoltato attentamente tutto ciò che gli avevo tenuto nascosto fino ad ora. Io annuisco, studiando il suo viso in cerca di una qualche reazione negativa, ma lui resta impassibile, rimestando la sua bevanda con il cucchiaino. Lascia andare un sonoro sospiro, poi si appoggia allo schienale della sedia e incrocia le mani sullo stomaco.
-    Fa male, dannazione! Perché non lo hai detto subito?-
-    Non volevo spaventarti… -
-    Beh, lo hai fatto ora! Come pensi che mi sento sapendo che non esisto sul serio?-
Scuoto la testa e la appoggio ad una mano, lo sguardo basso sulla mia tazza.
-    Nonostante so di esserci nella realtà in cui lei è vittima di un coma, nemmeno io ricordo con esattezza… Alcune frasi che ho letto sul quadernetto, non mi dicono assolutamente nulla-. Commenta Lysandre, accanto a Kentin
-    Penso che parta tutto da lei. Dal momento che Azzurra è la burattinaia di questo teatrino, se lei non ricorda nemmeno tu ci riesci-. Interviene Nathaniel.
-    Quindi, non la si può proprio aiutare? L’unica soluzione è che si riprenda dal coma?-
-    Non ne sono più così sicuro… Questi flashback… Non è la prima volta che li ha avuti, non è vero, Azzurra?-
Gli rivolgo un’occhiata a bocca aperta: come lo sapeva?
-    Beh, qualcosa del genere, ma più preciso… Pensavo fossero sogni, però centravate voi. A volte sento anche le voci nel presente di quelli che mi parlano-.
Kentin, che è rimasto in silenzio, immerso nei suoi pensieri, alza gli occhi su di me.
-    Tipo cosa ,su di noi?-
-    Con te, ho visto noi da bambini, in cerca dei tassi per un bosco-.
-    E quello è stato il mio primo ricordo quando sono comparso…-.
Restiamo a fissarci per un po’, una domanda in comune che ci bisbigliava nell’orecchio.
-    Se queste fossero visioni… Vuol dire che Azzurra sta attingendo inconsciamente ai suoi ricordi per creare questo mondo?-
È Lysandre a dar voce al nostro pensiero. Ci giriamo tutti e tre verso Nathaniel, ormai diventato il nostro guru del sapere.
Lui alza le mani in segno di resa.
-    Ragazzi, non lo so. Più sta storia va avanti più sono confuso. Ciò che non capisco ancora è: perché quando è comparso Kentin è comparso il prato, e quando è comparso Lysandre gli alberi, i cespugli e i fiori?-
-    Non ha senso- Concorda Kentin, incrociando le braccia.
Più cerco di trovare un aggancio nei miei ricordi, più la mia memoria me lo impedisce, diventando liscia e inespugnabile.
Mi alzo di scatto, facendo sobbalzare i tre ragazzi, poi mi dirigo in camera mia, improvvisamente colta da un’ispirazione.
-    Magari ho qualche indizio in camera!- Esclamo, dandomi della stupida da sola.
Entro senza badare alla finezza, e comincio a rovistare sulla scrivania e nei cassetti, in cerca di indizi che il mio cervello ha disegnato per me, quando ho riprodotto alla perfezione la mia stanza. Il cuore prende a battermi all’impazzata quando trovo una manciata di fotografie, che però si rivelano tutte bianche, come bruciate. Delusa prendo a trafficare nell’armadio, in cerca di qualche scatolone pieno di vecchie cianfrusaglie. Frugo addirittura tra i vestiti presa dalla forza della disperazione, e per fortuna: faccio passare con violenza i vestiti appesi, quando mi capita tra le mani una cravatta scozzese. Un capo del genere non può non attirare l’attenzione in un guardaroba come il mio; la prendo e scopro che nel taschino sulla punta c’è infilato un foglio di carta. Con mani tremanti lo sfilo, i palmi sudaticci dall’emozione non aiutano, però riesco a toglierlo dal taschino e ad aprirlo lentamente. È un volantino di un concerto. Prima di riuscire a leggerne anche solo una lettera, una fitta assassina mi spacca in due il cranio, costringendomi a lasciare la presa e ad afferrarmi la testa con ambedue le mani. Nemmeno mi rendo conto di star urlando, men che meno mi rendo conto dello schianto delle sedie che i ragazzi spostano con violenza prima di raggiungermi. Puntini colorati cominciano a giocare davanti ai miei occhi, mentre un pensiero che non sembra mio mi rimbomba in testa: smettila di sforzarti!...

Armin richiude con cura il cancello alle sue spalle e lo fissa per un po’ con le mani alzate, pronto per qualsiasi tipo di reazione innaturale, ma quello se ne sta immobile, da bravo cancello. Armin lascia andare un sospiro di sollievo, poi si affretta ad affiancare il gemello, fermo in mezzo alla strada acciottolata con le mani sui fianchi.
-    Dimmi Armin: quando eravamo dall’altra parte mica era notte?-
-    Sì-
-    Com’è che ora il sole sta sorgendo?-
-    Mha… Ho smesso di farmi domande…-
-    Ma siamo appena arrivati! Non senti l’ebrezza dell’avventura?-
-    No, sento solo la brezza, che mi sta congelando-.
Alexy gli rivolge un’occhiata critica, borbottando qualcosa sul romanticismo scomparso nella generazione della tecnologia.
-    Piuttosto: siamo di qua, e ora?-
Armin si guarda attorno con sguardo rassegnato, poi comincia a grattarsi un braccio, sentendo un improvviso prurito.
-    Lì c’è una sorgente d’acqua… Dici che sarà pulita?-
-    Ma che ne so, guardaci dentro!-
Il gemello con gli occhi di ghiaccio continua a grattarsi, sempre più irritato, sia dal prurito che dall’entusiasmo insensato del gemello, che ora si sta voltando verso di lui con un sorriso gigantesco, che subito gli muore sulle labbra non appena incrocia il suo sguardo. Lo afferra per le braccia con gli occhi fuori dalle orbite.
-    Armin! Mi senti! Che ti succede?-
In effetti ora il ragazzo si sente la testa girare e uno strano ronzio irregolare nelle orecchie.
-    Armin stai scomparendo! ARMIN!-
Il ragazzo stringe i denti e cerca di tornare in sé, lo stomaco che comincia a fare le bizze.
Non ha mai creduto nel feeling che sembrano avere i gemelli, eppure sembra l’unica soluzione: blocca lo sguardo violetto del fratello nel suo e pensa intensamente a ciò che ha bisogno. Gli occhi del fratello si accendono di consapevolezza e, senza lasciargli andare le braccia, lo accompagna alla sorgente. Armin non ci crede: ha capito davvero?
Alexy lo fa inginocchiare tra i sassi e d’un tratto, gli ficca la testa nell’acqua cristallina.
Armin torna fuori sputacchiando e tossendo come un pazzo.
-    Ma sei diventato scemo? Ti ho chiesto di farmi bere non di diventare figlio unico!- Ruggisce, paonazzo sia per la rabbia che per il tossire.
-    Pensavo che almeno ti mettevi apposto la testa, e infatti ora sei tornato normale. Prima stavi… Sbiadendo!-
Armin scrolla la testa, facendo volare goccioline d’acqua tutto attorno, e si rende conto che in effetti il malessere sta passando.
-    Non so che diavolo di posto del menga è questo, ma già non mi piace-. Borbotta, lanciando un’occhiata diffidente alla prateria che li circonda. …

Sono seduta sulla spiaggia, il cielo si è rapidamente coperto sopra la mia testa e un manto di nuvole nere sta borbottando, indecise se scaricare la loro pioggia o aspettare. Mi avvolgo più strettamente le braccia attorno alle ginocchia e vi appoggio la testa, sfinita e demoralizzata.
Dopo essere tornata in me mi sembrava di ricordare ancora meno: i ragazzi avevano cercato di tirarmi su di morale, dicendo che mi ero sforzata troppo per oggi, ma io avevo sentito il bisogno di stare sola, così ero uscita ed ero arrivata qui, vedendo appena le nuvole che piano piano si erano ammassate nel cielo. Dovevo distrarmi, ma ogni cosa che provavo a fare non riusciva a tenere la mente lontana dalla tristezza. Nonostante mi stessi divertendo in quel Mondo fatto di piccoli capricci e giornate piene di cose da fare, c’era sempre quel piccolo barlume di consapevolezza che mi sussurrava all’orecchio come stavano veramente le cose. Tutto questo è solo un rifugio dove nascondermi. Sono solo una specie di Alice, caduta nel Paese delle Meraviglie.
Picchio la fronte sulle mie ginocchia, una, due, tre volte, poi mi fermo ed esalo un lungo sospiro, sentendo sopra di me un borbottio più forte degli altri e le prime gocce di pioggia ticchettare sul mare. Alzo lo sguardo e rimango affascinata dalle piccole schegge d’acqua che si tuffano nel mare e sulla sabbia, lasciando colo piccoli puntini scuri a testimoniare la loro breve esistenza. Soltanto quando sono fradicia decido che forse sarebbe il caso di spostarmi, neanche per la pioggia, ma piuttosto per non venire travolta dal mare irritato che si sta gonfiando.
Saltello nella sabbia bagnata e mi metto a correre non appena tocco la strada lastricata, senza una direzione ben precisa in testa: sono confusa in tutto.
Sorpasso il fast food e mi accorgo di una nuova strada che porta ad un cantiere in fase di costruzione. Sono talmente sorpresa che mi avvicino, dimenticandomi della pioggia. L’edificio in costruzione è grande, in cemento armato, molto geometrico. Un grande porticato con tanto di parco e serre lo contorna a modi recinzione. In effetti, ha tutto l’aspetto di…
-    Una scuola- Mormoro sbalordita.
Sento un gran starnazzare alle mie spalle e quando mi giro, faccio in tempo a vedere due figure sfrecciare sulla strada, le braccia alzate contro la pioggia, per poi entrare come due razzi nel fast food. Torno a fissare allucinata la scuola. D’un tratto mi rendo conto che ci sono due persone e una scuola! La domanda di Nathaniel riguardo la comparsa inspiegabile di prati e vegetazione mi ritorna in mente come un campanello, poi le mie gambe si muovono prima del cervello e mi ritrovo a correre verso il fast food. Entro come un tornado e mi fermo a riprendere fiato.
-    AAAARGH! UN MOSTRO!- Una voce pericolosamente alta mi perfora le orecchie.
Alzo lo sguardo e mi ritrovo due paia di occhi che mi guardano sbalorditi. Ad urlare è stato un ragazzo dai capelli di un innaturale azzurro cielo, gli occhi color ametista sbarrati, e le braccia comicamente alzate. L’altro ragazzo, quello con capelli neri e occhi color del ghiaccio, mi sta guardando con una smorfia incredula che mi farebbe scoppiare a ridere in una situazione normale. Il tutto è coronato dal pancake’s boy dietro il bancone, con il suo solito sorriso perplesso, e le ragazze in roller che si sono fermate allarmate dal nostro casino. Faccio passare lo sguardo da uno all’altro, osservandoli più attentamente, poi capisco.
-    Ma siete gemelli!- Esclamo, scostandomi una ciocca di capelli fradici dagli occhi.
-    Così ci han detto-. Borbotta il ragazzo con i capelli neri, distogliendo lo sguardo.
L’altro mi sta ancora fissando spaurito, una mano sul cuore.
-    Alexy, è un essere umano!-
Quello si riscuote e mi si avvicina guardingo, le mani sui fianchi.
-    Dì un po’: ti sembra il momento adatto per un allegro bagno nel mare?-
Sorrido e scrollo la testa, i primi brividi di freddo che mi fanno tremolare.
-    Ho preso la pioggia… Ma piuttosto: siete appena arrivati? Ho visto la scuola, prima non c’era…-
Mi blocco, vedendo i loro sguardi persi.
-    Beh, che ne dite di un pancake? Ah, a proposito: il mio nome è Azzurra!-
-    Azzurra- Ripete il gemello con i capelli neri, come preso da un’ispirazione, poi scrolla la testa e mi porge una mano.
-    Armin. E lui è Alexy-.

Dopo svariate spiegazioni e un paio di pancake, i gemelli si scambiano un’occhiata.
-    Un mondo dei sogni, eh?- Ripete Armin.
-    È fantastico! Puoi fare tutto quello che vuoi? Volendo puoi anche disegnare un gigantesco parco dei divertimenti?-. Continua l’altro, i grandi occhioni che brillano d’entusiasmo.
-    Beh sì, però ho uno spazio limitato… Non siete spaventati, o delusi?-
Alexy mi rivolge un’occhiata stupita, la cannuccia del bicchiere in bocca, mentre Armin si gratta la testa.
-    Beh, è strano. Però almeno si spiegano un paio di cose, come la sparizione improvvisa e quel moneto in cui io stavo sparendo- Risponde, scrollando le spalle.
-    Parlando di questo: dove siete finiti quando siete scomparsi?-
I due si scambiano un’occhiata eloquente prima di rispondere.
-    E chi lo sa, era un tutto e niente, era bianco ma colorato, era pieno ma vuoto… Più mi sforzo di ricordare, più la mia memoria si confonde- Risponde Alexy, misurando le parole con cura.
Mi massaggio le tempie, sentendo quella sensazione che avevo catalogato come “ rifiuto del mio cervello a ricordare”, poi sollevo lo sguardo e incrocio gli occhi di Armin, leggendogli lo stesso pensiero che sta attraversando la mia materia grigia: io ti ho già visto.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Misura per misura ***


Fin da subito mi rendo conto che altri due “profughi” in casa mia non ci stanno, allora mi metto d’impegno e disegno una piccola casettina approssimativa per i gemelli.
Ci separiamo dandoci appuntamento per il giorno dopo, poi torno a casa, sentendo i primi sintomi di un bel febbrone post acquazzone.
In strada incrocio Kentin, che subito mi vola addosso e mi prende in braccio come fossi una bambola di pezza.
-    Dove cavolo eri finita? Stavamo morendo di preoccupazione!- Mi abbaia contro, raggiungendo in poche grandi falcate lo chalet e portandomi dentro, permettendomi di scendere sulle mie gambe solo quando siamo al caldo. Nathaniel e Lysandre si alzano dal tavolo, il primo venendomi in contro, il secondo affrettandosi a cercare un asciugamano. Nathaniel mi posa gentilmente una mano fresca sulla fronte ed emette un verso stizzito.
-    Ti sta venendo la febbre. Che diavolo hai combinato? Ti sei messa a ballare sotto la pioggia?-
-    Ho incontrato… Due nuove persone- Riesco a dire flebilmente.
-    Nuova gente?- Ripete Kentin, afferrando al volo un asciugamano che gli lancia Lysandre, per poi asciugarsi la testa.
Annuisco con un sorriso stanco.
-    Domani… Ve li presento… C’è anche… Una scuola-.
Lysandre mi avvolge in un grande asciugamano e studia il mio volto, preoccupato. Io gli rivolgo un sorriso grato.
-    Ci racconterai meglio più tardi, ora devi riposare- Ordina Nathaniel, con un tono che non ammette repliche. Lysandre mi accompagna gentilmente in camera e mi aiuta ad infilarmi sotto le coperte, per poi rimboccarmele premurosamente.
-    Grazie Lysandre-
-    Per così poco-.
I suoi occhi sembrano malinconici, mentre allunga una mano e mi carezza una guancia con titubanza, per poi scrollare la testa ed afferrarmi delicatamente una mano.
Quel contatto mi rassicura, chiudo gli occhi e mi preparo a un lungo sonno senza sogni. Il primo vero e proprio riposo da molto tempo…

“… Poi ho visto quel tuo amico carino, molto educato… Non ricordo il suo nome, però ci farei un pensierino, quando torni: è davvero stupendo e di buone maniere! Le infermiere mi hanno detto che è passato anche quell’altro… Cielo, ho un serio problema con i nomi! Vabbè, quello con i capelli colorati( santo cielo, un uomo con i capelli colorati!). Dicono che viene spesso ultimamente!”.
La mamma fa una pausa.
“ So bene la sua situazione, me l’hai spiegata tu stessa, ma ha proprio un carattere che non digerisco! Con me non ha mai parlato direttamente, e spero che non succederà mai!”.
Ridacchia e sento il fruscio di una mano passata sul viso ripetutamente.
“ E poi c’è quella ragazzina tutta carina e timidina, quella che conosci dalle medie… Violetta si chiamava?”
“Violet” Sento mio padre suggerirle, da più lontano.
“ Ecco sì, Violet. Pensa che viene quasi ogni giorno! Dice che ti sta leggendo un libro che le ha consigliato il signor Smith, quello del tuo part-time… È davvero un tesoro!”.
“ Una buona amica” Conviene mio padre, sfogliano probabilmente il giornale.
Un attimo di silenzio, rotto solo dalle pagine del giornale che passano.
“ Sai, sapendo che persone meravigliose e fedeli ti si sono accanto, con che dedizione vengono a trovarti… Non riesco a non aspettare con ansia il giorno in cui ti risveglierai e li potrai riabbracciare… Un po’ come aspettare la mattina di natale…”
Sento un piccolo singhiozzo da parte della mamma, e poi la consapevolezza che mi sta carezzando una guancia…

Muovo le labbra, chiedendole di restare, ma è troppo tardi: sono sveglia. Il contatto con la mano di Lysandre è svanito. Contraggo le dita in cerca di un calore umano, ma afferro solo aria. Allora mi decido ad aprire piano gli occhi, sentendo le palpebre gonfie e pesanti, e la testa vuota, greve e calda. Concentrandomi, percepisco delle voci soffuse provenire dal soggiorno, ma non ho voglia di alzarmi, così richiudo gli occhi, una mano tesa fuori dal letto…
Mi risveglio di colpo sentendo un contatto freddo sulla mia fronte, che riconosco come un panno umido.
-    Ah! Ben svegliata!- Esclama una voce squillante.
-     Alexy? Che ci fai qui?-
-    Oh, niente di che: abbiamo incontrato in strada quello biondo… Come fa già di nome?-.
-    Nathaniel-
-    Ecco, lui, e abbiamo parlato un po’ e poi ci ha invitati qui. Abbiamo conosciuto gli altri due e abbiamo parlato un po’ del più e del meno. Ora stanno preparando cena, mentre io mi sto amorevolmente prendendo cura di te-.
Mi rivolge un ampio sorriso, si guarda alle spalle, poi s’avvicina con fare confidenziale.
- Senti, piuttosto mi stavo chiedendo: ci sono solo uomini qui? Ti sei creata il tuo gyakuharem personale?-.
-    Alexy!-
Arrossisco, riconoscendo che in effetti, l’immagine che diamo, combacia a grandi linee.
-    Oh, io non mi lamento! Ho sempre preferito i muscoli!-
Si rallegra lui, mentre la mia faccia si contorce in un’espressione mista al “ mi stai dicendo che…” e al “ oh Gesù!”. Lui ridacchia e mi dà una spintarella allegra al braccio.
-    Tranquilla! Non farò niente di male: a quanto ci hai detto, è il tuo sogno-.
Mi alzo improvvisamente a sedere, il panno umido che mi cade in grembo come un sacco di patate.
-    A proposito di quello: di che parlavate prima?-.
Alexy si fa inquieto e si mordicchia l’unghia del pollice.
-    Beh, un po’ di tutto. E anche di questo posto. Nathaniel dice che per lui, ogni volta che compare qualcuno, qualcosa viene aggiunto al mondo dei sogni, un po’ come un gadget. Però quando siamo comparsi noi è saltata fuori questa scuola in fase di costruzione, quindi non è più così sicuro della sua logica. Mi sembrano tutti molto confusi-.
Mi sento improvvisamente male: tutti loro si stanno dando un gran da fare per aiutarmi, pensando più alla mia memoria che a divertirsi. Non è così che immaginavo il mio Mondo dei Sogni.
Stringo il piumone tra le dita, poi mi alzo, sotto lo sguardo perplesso del ragazzo con i capelli azzurri.
-    Ohi! Piano! Non stai ancora bene!-
-    Stando in un letto non starò mai bene- Gli rispondo sorridendo, infilandomi una felpa e dirigendomi in cucina, dove gli altri quattro ragazzi stanno chiacchierando beatamente mentre cucinano. Mi soffermo a contemplarli, come una madre orgogliosa, poi mi riprendo tornando al mio obbiettivo: d’ora in avanti mi sarei occupata da sola della mia memoria, e avrei esaudito quanti più loro desideri.
-    Ehilà!- Esclamo, con forse un po’ troppo entusiasmo.
-    Azzurra! Che ci fai già in piedi?- Chiede Lysandre, sinceramente sorpreso di vedermi.
-    Si è ribellata alle mie cure- Borbotta Alexy, raggiungendomi.
-    Oh, la croce rossina non è stata apprezzata!- Ribatte Kentin, aprendosi in una risata sguaiata e contagiosa.
Mi giro confusa verso il ragazzo al mio fianco che, mi accorgo solo ora, mi supera soltanto di mezza testa.
-    Aspetta, vuol dire che loro sanno le… Ehm… Tue preferenze?-.
Lo sguardo imbronciato di Alexy cambia rapidamente in uno da ragazzina imbarazzata.
-    Beh, appena ho visto Kentin… Wow… Non ho saputo controllarmi-.
Mi sento arrossire pesantemente, mentre il mio sguardo passa dal ragazzo accanto a me fino a Kentin, svaccato sul divano. Quest’ultimo liquida l’affermazione con un gesto spazientito di una mano.
-    Non farti i teatrini, Azzurra: è solo mezzo svenuto. Lo sai che per me ci sei solo tu!-
Armin, seduto accanto a lui, si mette improvvisamente a sedere, gli occhi azzurri increduli che ci squadrano.
-    Cioè voi state assieme?-
-    No, non ascoltarlo. Kentin è molto… Teatrale- Mi affretto a spiegargli, prima che quell’altro riesca ad inventarsi chissà quale storia di amore passionale tra noi due.
Kentin scrolla la testa con un sorrisetto da uomo vissuto.
-    È questione di tempo: se ora anche gli uomini mi cadono ai piedi, che vuoi che sia sedurti?-.
-    Mah… Magari il giorno che tornerai a casa senza fango in faccia o rami nei capelli-.
Ribatto distratta, curiosando dietro le spalle di Lysandre e Nathaniel per vedere cosa cucinano. Sento i due sul divano borbottare e ridacchiare, ma per me la discussione è conclusa.
-    Ti senti meglio?- Mi chiede Lysandre, con un bel sorriso.
-    Oh sì! Ho una salute d’acciaio io!-
I due mi lanciano un’occhiata indecifrabile e l’atmosfera si fa pesante.
-    Ehi, ehi! Posso fare qualcosa?- S’intromette Alexy, con la sua solita spensieratezza.
-    Ah sì, tagliami queste due cipolle finemente- Risponde Nathaniel distrattamente.
Il ragazzo prende un tagliere, le due cipolle, un coltello e si mette all’opera, la più pura felicità stampata in faccia. Ahhh, che gioia tagliare le cipolle!
Tutto quell’entusiasmo si spegne in breve tempo però, quando i suoi occhi prendono a lacrimare, la sua faccia che si contorce in smorfie improbabili  il naso che cola.
-    Nathaniel! La cipolla mi fa piangere!-
-    Eh? Ah sì, è normale- Risponde il biondo, ascoltandolo solo per metà.
Il ragazzo incompreso alza gli occhietti lucidi su di me in una supplica e, trattenendomi dal scoppiare a ridergli in faccia, mi affretto a bagnare un asciugamano e a passarglielo sugli occhi.
-    Non c’è bisogno di essere premurosi con lui, Azzurra: è più il tempo che passa piangendo o commuovendosi che quello che passa da uomo- Commenta distrattamente Armin.
-    Ho il cuore tenero io!-. Ribatte offeso Alexy, tirando su con il naso.
-    Ci provo io d’accordo? Se non va ci diamo il cambio- Gli propongo.
Lui mi sorride riconoscente e una strana fratellanza si crea tra di noi, mentre afferro il coltello e prendo ad affettare le cipolle con una furia assassina. Da subito gli occhi prendono a pizzicarmi con insistenza e cerco di tenerli a banda serrando forte le palpebre. Alexy è dall’altra parte del bancone, i pugni alzati, la bocca serrata e gli occhi pieni di aspettativa.
Le prime lacrime sgorgano dai miei occhi caldi e pungenti, ma ormai manca poco, non posso arrendermi! Mi sento il viso paonazzo e gli occhi da asiatica. Taglio l’ultimo pezzetto e alzo gli indici al cielo, Alexy che festeggia davanti a me entusiasta.
-    Quante scenate per due cipolle-
Borbotta Nathaniel dietro di me, le sue braccia che mi circondano per prendere il tagliere. Mi sento gelare appena sento la sua presenza ad un soffio da me, lui però non ci fa caso e torna alle padelle con il tagliere.
-    Azzurra, vieni qui che ti facciamo passare noi le lacrime!- M’invita Kentin.
-    Le fate passare anche a me?- Chiede Alexy speranzoso. Vedo l’espressione disgustata del ragazzo e scoppio in una fragorosa risata, cercando di sciugarmi le lacrime, il cuore che trona a battere normalmente.
Io e Alexy ci sediamo sul divano con quei due svitati e prendiamo a scherzare rumorosamente, finché i due ragazzi di casa non ci richiamano a tavola.
-    Devo dirvelo- Comincia Kentin, la bocca piena di riso e carne – Stasera mia siete proprio sembrati una mamma e un papà ai fornelli-
-    Sì! Nathaniel decisamente il papà, Lysandre la mamma-
Le facce dei due diretti interessati si dipingono quasi della stessa espressione diguastata, non appena l’immagine s’affaccia nelle loro menti.
-    Che immagine deleteria- Sbotta Lysandre, prima di prendere un gran sorso d’acqua dal suo bicchiere.
-    Sono sempre più sorpreso dei soggetti che la tua mente partorisce- Aggiunge Nathaniel fissandomi senza mezzi termini.
-    Tra questi soggetti ci sei anche tu, cocco- Gli faccio notare, abituata ormai ai suoi commenti pungenti.
La discussione viene stroncata sul nascere da un grido di Alexy che, da vera volpe di bosco, si è grattato l’angolo di un occhio con un dito su cui ci sono ancora reperti di cipolla. E il caos è partito. Passiamo il resto della cena nel modo meno serio e composto possibile, l’irritazione scompare e resto ad ammirare i bei sorrisi di quei cinque ragazzi, altrettanto belli.
-    Ho un annuncio da fare- Salto su, non appena la tavola è stata sparecchiata.
-    Domani ho intensione di animare un po’ questo posto. Gemelli, fatemi una lista di cosa vi manca a casa vostra, voi altri fatemi una lista di cosa vorreste in questo posto-
-    Come mai tutto questo spirito d’iniziativa?- Chiede Kentin.
-    Non possiamo continuare a stare in un posto così poco invitante! Kentin, Lysandre, voglio dare una casa anche a voi e disfarmi di quella tenda, se per voi non è un problema-
Lysandre annuisce sollevato, Kentin scrolla le spalle indifferente.
-    Bene, allora a domani! Diana presto, mi raccomando!-
Li osservo muoversi, ognuno per la sua strada, il cuore che scoppia di soddisfazione e sollievo. Ora posso occuparmi della mia memoria. Da sola, senza coinvolgere nessuno.











ANGOLINO CARAM. MACCH.

Ehilà, questa volta il mondo finisce davvero: dopo almeno una quindicina di capitoli che mi sono usciti impostati male, una buon'anima mi ha spiegato la storia dell'html( o come si scrive) e, alla vecchia volpona della sottoscritta, si è aperto un mondo XD tutto questo per cosa: chiedervi scusa per l'impostazione terrificante dei miei capitoli fin ora, e anche di quelli a venire purtroppo!
Passo e chiudo

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Molto rumore per nulla ***


Per la prima volta nella mia vita, i miei occhi si aprono di scatto alle prime luci dell’alba. Sono dannatamente sveglia e pimpante! Salto giù dal letto allegramente e m’infilo jeans grigi chiaro, maglia antracite e vans bordeaux, per poi dirigermi in bagno per una sciacquata veloce alla faccia e un spazzolata  ai miei capelli arruffati.
Entro in cucina e ci trovo Nathaniel, gli occhi chiusi e le mani sulle tempie, in una specie di posa meditativa. Lo osservo da vicino ma lui non fa una piega, allora comincio a frugare nella credenza alla ricerca dei cereali, vedendolo sobbalzare quando sbatto l’anta con grazia.
-    Oh sei in piedi- Commenta, serrando le mani attorno alla sua tazza.
-    Già tu pure. Che facevi? Una comunicazione ultraterrena?-
-    Cercavo di dimenticare-
-    Che cosa?-
-    Quello che hai sognato stanotte-
Mi siedo in faccia a lui con un’enorme scodella di cereali e latte davanti, e gli lancio un’occhiata incuriosita.
-    Ho sognato qualcosa? Non me lo ricordo-
-    Già… E mi hai inspiegabilmente reso partecipe-.
Il suo ringhio mi fa alzare la testa, cosicché incontro i suoi occhi d’oro pieni di rabbia.
-    È così brutto?- Mormoro, cercando di tenermelo buono.
-    Hai sognato di Alexy. Che s’imponeva su tutti noi creando una specie di harem…-
Mi cade il cucchiaio di mano, mentre la bocca mi si apre in un’enorme “o”, tra l’incredulo e il disgustato. Una combinazione comica, in effetti.
Nathaniel si passa una mano sugli occhi, sconsolato.
-    E come andava a finire?-
-    Azzurra!-
-    Ma scusa, io non me lo ricordo!-
Lui incrocia le braccia e mi squadra.
-    La tua mente perversa è ancora attiva, vedo-.
-    Ah-ah! Allora c’è un finale di fuoco?-
-    Niente del genere: dopo averci incatenati e svestiti( lasciandoci inspiegabilmente addosso un costume da bagno fino alle ginocchia, che avevamo sotto i pantaloni), si è messo a mangiare un mandarino, spellandolo con una cura maniacale-
Scoppio a ridere fragorosamente, sputacchiando latte e cereali su tutto il tavolo in una vera e propria esibizione di femminilità più pura.
-    E non ridere! È triste!-
-    È geniale invece!-
Si concede un sorriso rassegnato, con scrollata di testa, mentre io mi asciugo le lacrime.
-    Vorrei capire da dove li prendi certi spunti-.
-    Può darsi che lo shock per le preferenze di Alexy non si fosse ancora spento… Per quanto riguarda la censura da parte di costumi da bagno incredibilmente sexy…-.
Mi tira un leggero calcio sotto al tavolo, facendomi ridere ancora più forte. Lo vedo ridacchiare a sua volta, probabilmente rassegnato al mio buon umore.
-    A volte mi chiedo se è stato un gioco del destino a metterci insieme-.
-    Perché dici questo?-
-    Ma guardaci: siamo completamente opposti! Mentre io sto qua a scervellarmi per rendere tutto preciso e normale, tu arrivi e mandi all’aria tutto con… Un mare. Mentre tu vivi il momento senza preoccupazioni, io non faccio che pensare a tutto e a tutti… E fuori di testa-.
-    In senso positivo?-
Lui tentenna un attimo, gli occhi grandi, poi scuote la testa e si porta una mano alla fronte.
-    Nathaniel?-
-    Sì, scusa, ho avuto… Un’allucinazione. In senso positivo. Per la domanda di prima-
Resto a fissarlo con il cucchiaio in bocca, poco convinta, ma lui mi guarda irritato.
-    Smettila di fissarmi-
Scrollo le spalle e gli rivolgo una facciaccia, prima che lui si alza per pulire la sua tazza e poi andare in bagno. Certo che questo suona strano: sogno nel mio sogno? Apro la bocca, ripetendo e saggiando quello che ho pensato, poi scrollo la testa e torno alla mia colazione, mandando a quel paese la mia filosofia mattutina.
La porta d’entrata viene aperta con malagrazia e Kentin fa la sua entrata a torso nudo, facendomi sfuggire di mano il cucchiaio, per la seconda volta quella mattina. Resto ad ammirare tutto quel ben di Dio, poi mi riscuoto imbarazzata.
-    Che cavolo giri mezzo nudo in casa!-
Lui abbassa lo sguardo assonnato sul suo petto e un piccolo “oh” gli sfugge di bocca, si ferma pensieroso, poi mi si siede di fronte con un sorriso malizioso.
-    Mah, non importa-
-    Kentin…-
-    Guarda quanto vuoi, così ti renderai conto di cosa ti perdi!-
Lysandre entra in quel momento e gli lancia in testa una maglietta, evidentemente imbarazzato per me.
-    Scusalo Azzurra, sta ancora dormendo-
Sorseggio rumorosamente il latte nella scodella, evitando di dover rispondere. I due ragazzi si servono la colazione e si siedono con me, mentre Nathaniel esce dal bagno proprio in quel momento, sbadigliando vistosamente.
-    Beccato!- Salta su Kentin, puntandogli il cucchiaio contro.
Il biondo si ferma e gli rivolge un’occhiata attonita.
-    Nulla, vai pure- Ridacchia il moro.
Vedere due ragazzi mezzi addormentati confrontarsi alle prime luci dell’alba è uno spettacolo che vi consiglio vivamente. Nathaniel scrolla la testa e ciondola fino alla porta d’entrata, aprendola e rabbrividendo al primo contatto con l’aria mattutina.
-    Mai visto Nath in questo stato: ha bevuto?-
-    No… Ha solo avuto gli incubi- Rispondo, trattenendo una fragorosa risata, prima di affrettarmi a seguire il ragazzo di fuori.
Lo trovo che si sta stiracchiando sulla strada, gli occhi di nuovo chiusi.
-    Sicuro di non voler riposare oggi?- Gli chiedo avvicinandomi.
Lui scrolla la testa, gli occhi sempre chiusi.
-    Non c’è bisogno che ti sforzi così tanto, per me poi-.
-    Invece si: tu sei preziosa-
Mi trafigge con i suoi occhi dorati.
-    Cosa?-
-    Non so, mi è venuto spontaneo dirlo-
-    Ma non fai altro che criticarmi e sgridarmi e insultarmi!-
-    È il mio modo di mostrare affetto-
-    Scusami tanto se non lo capisco!-
Si gira di scatto e mi prende tra le braccia. La voce mi muore in gola, mentre il cuore si  ferma di botto per la sorpresa. Sento il suo battere regolarmente nella cassa toracica, sotto il mio orecchio, e le sue braccia che mi cingono gentilmente.
-    Così lo capisci?- Mi sussurra in un orecchio.
Si scosta con un sorriso e mi dà un buffetto su una guancia. Sono troppo allucinata per reagire e le gambe sono diventate due budini traballanti.
-    Non perdere la testa per me ora però, sai: sono solo uno stupido fulcro…-.
-    IO TI UCCIDO!-
Mi riprendo di scatto e gli salto addosso, facendolo ruzzolare nell’erba. Lui è troppo assonnato per riuscire ad evitarmi, così si ritrova per terra a subire i miei pugni sulla sua cassa toracica.
-    Ahi! Calma, vacci piano!-
-    Sei uno stupido! Non si fa così con una ragazza pura e innocua! Si vede che sei biondo!-
-    Ehi! Basta!-
Mi afferra i polsi e vedo una nuova espressione sul suo viso: sembra quasi perplesso, sconcertato, e molto emozionato.
Respiro come un bue, arrabbiata ed imbarazzata.
-    Io… Non so che mi è preso. È stato così naturale, non ci ho nemmeno pensato! È come se ti conoscessi da… Una vita-
Abbasso le mani impotente e scrollo la testa amareggiata.
-    È ovvio, sei il fulcro dei miei sogni-
-    No, non ha niente a che vedere con questo-.
Mi scosto da lui e gli permetto di sedersi, i suoi occhi che brillano come due stelle del mattino.
-    È possibile che incarno qualcuno di reale?-
-    Io… Non lo so Nathaniel-
Lui si guarda attorno, lascia andare un sospiro incredulo, e un bel sorriso gli illumina il suo viso sempre severo.
-    Se così fosse…-
Viene interrotto dalla porta d’entrata che si apre. Kentin ci guarda assonnato, poi i suoi occhi si riempiono di consapevolezza e in due balzi mi raggiunge e mi scosta dal biondo.
-    Lo sapevo! Lo sapevo lo sapevo lo sapevo!-
-    Kentin calmati, hai frainteso-
-    Col corno! Non me la fai più biondino!-
-    No davvero, in verità me le stava dando di santa ragione-.
Kentin si gira a chiedermi conferma, io mi limito a passarmi una mano tra i capelli, imbarazzata, che lo fa sorridere con fierezza.
-    Questa è la mia ragazza! Prendilo a calci quanto vuoi!-
Evito accuratamente lo sguardo dei due ragazzi e cerco supporto da parte di Lysandre, che mi sorride e fa un cenno verso la strada.
-    Andiamo?-
Per i pochi minuti di marcia che dobbiamo fare per arrivare a casa dei gemelli, Kentin e Nathaniel se ne dicono di tutti i colori, dimenticandosi di essere in presenza di una giovane fanciulla delicata… Io, non Lysandre.
Sulla porta di casa c’è già Armin, braccia incrociate e bocca piegata da un lato.
-    Niente Tv. Niente internet. Nemmeno il microonde! Ma dove siamo, nel medioevo?-
-    Scusatelo, è un nerd di prima categoria- Sbotta Alexy, comparendogli alle spalle coprendo un enorme sbadiglio con una mano.
-    Scusami Armin, non ci ho proprio pensato-.
-    Vorrà dire che lo farai ora! Avanti marsch!-
Lo seguo docilmente dentro la casetta, sentendo i ragazzi borbottare tra loro a proposito di una seconda colazione.
Riesco appena a dare un’occhiata all’interno della cucina e del soggiorno, piccoli ma luminosi, che Armin mi spinge in salotto senza troppi complimenti. Vedo due divanetti scarlatti, un tavolino in vetro ricoperto di riviste, una libreria, un tappeto a motivi cachemire color terra, e una scrivania di legno scuro con sedia abbinata, il tutto su pareti bianchissime che catturano la luce del sole.
Armin si passa la lingua sulle labbra e rimane lì in piedi come un re, in attesa del miracolo.
-    Sai… Non capisco molto di tecnologia- Comincio, temendo il peggio.
-    Lo avevo immaginato. Per mia grande fortuna, e ora anche tua, ho trovato queste riviste d’elettronica nella mia camera: puoi ispirarti ad alcuni modelli che ho trovato-.
Prende a sfogliare le pagine di un paio di riviste, piazzandomele davanti quando trova quello che cerca. Mi ritrovo immersa da consol varie, computer e televisori.
-    Allora: la tele dev’essere di questo modello, ma più grande… Aggiungici una ventina di pollici. Poi, questa consol sarebbe comoda se unita a quest’altra, così da avere due piccioni con una fava…-
Seguo a stento il suo cianciare d’elettronica, un gran casino che va formandosi in testa.
-    Aspetta, aspetta, frena. Ho perso il filo- Lo interrompo di colpo.
I suoi occhi ghiacciati mi trafiggono impazienti.
-    Non posso semplicemente riprodurre quello che c’è qui e rinviare gli aggiornamenti ad un’altra volta?-
Il suo viso si contrae in una sofferenza teatrale, coronata da un profondo sospiro.
-    Immagino che aspettarsi che dall’uovo esca un uccellino già capace di volare sia troppo…-.
-    Non colgo il lato poetico…-
-    Vabbè, poco importa. La cosa fondamentale è avere un televisore, quindi fai quello che puoi-.
Mi dà una pacca incoraggiante su una spalla e si siede su un divano, l’impazienza percettibile attorno a lui.
Do un’ultima occhiata alle riviste prima di cominciare: non ho idea di come inserire le varie opzioni, pixel e funzionalità, quindi vado di pancia.
Dal pavimento si erge un grande televisore, accompagnato da un paio di consol di cui non conosco le caratteristiche. Sulla scrivania si materializza di botto un computer portatile argentato e di fianco ad esso una centrale wi-fi.
Finisco il disegno e rilasso la mia mente concentrata, esalando un lungo sospiro e girandomi a vedere la reazione di Armin, che sta studiando televisore e consol da vicino.
-    Niente male!- Commenta, rivolgendomi un bel sorriso che mi riempie d’entusiasmo, inducendomi ad inginocchiarmi accanto a lui.
-    Vanno bene?-
-    Altro che! Sei un angelo, Azzurra!-
Mi rialzo di scatto paonazza.
-    Oh insomma, basta con questi complimenti smielati, fra tutti!-
Alexy fa la sua entrata prima che Armin possa chiedermi altro e lancia un lungo fischio alla vista del mega schermo.
-    Che dici Armin: vita sociale addio?-
-    Sta zitto-
Il gemello con i capelli azzurri mi rivolge un largo sorriso, accantonando il fratello in un angolino della sua mente.
-    Tu non vuoi nulla, Alexy?-
-    Mmm… Un poster grandezza naturale di Kentin non mi dispiacerebbe, però per questa volta passo- Scoppia a ridere vedendo la mia faccia preoccupata – Non mi serve nulla, grazie. Ma se ti resta tempo da buttare, potresti fare un pensierino a un bel centro commerciale?-
-    Ricevuto!-
Esco da quella casa con ancora i brividi per il primo desiderio di Alexy, per raggiungere i tre ragazzi seduti nel fast food a discutere e disegnare progetti di case sui tovaglioli.

“ Oh, salve signora!”
“ Ah, ciao… Ehm”
“ Castiel”
“ Sì, Castiel, giusto”
Silenzio pesante.
“ Vieni spesso ultimamente, mi hanno detto”
“ Sì, sto lavorando a un progetto e ne parlo a vostra figlia”
“Davvero? Che tipo di progetto, se posso chiedere?”
“ Una canzone… Sapeva che sua figlia era nel club di musica, giusto? Anch’io lo ero, e lei mi aiutava spesso con questa roba”
“ Ma davvero…”
“ Già”
Silenzio pesante. Di nuovo.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Il mercante di Venezia ***


-    Pensavamo a delle casette tipo quella dei gemelli, un po’ stile campus, ma ognuno con il suo arredamento specifico così non ti sforzerai troppo- Mi spiega Lysandre, mostrandomi alcuni progetti sui tovaglioli.
-    Per esempio nel mio mi piacerebbe un piccolo roseto davanti a casa, di questa forma-.
Mi indica con la matita una macchia deforme nel cortile.
-    No, hai disegnato pure le rose?- Chiede Kentin divertito, sfilandogli il progetto di mano per vederlo.
-    Sì, purtroppo le mie mani non sono consone al disegno-.
Ridacchio e mi faccio passare il progetto per dargli un’occhiata.
-    Ovviamente ci andrebbe bene restare con te per sempre, ma Lysandre dice che non è “consono per una giovine donzella” vivere assieme a quattro uomini-
Mi spiega Kentin, facendo il verso al ragazzo vittoriano, incrociando gli occhi e gonfiando il petto come un’anatra.
-    Non fare l’idiota: tutti noi abbiamo bisogno di un’oasi di pace, e sono sicuro che Lysandre ne ha piene le scatole di condividere una tenda con quel buzzurro che sei tu-.
Sbotta Nathaniel.
Kentin gli rivolge una smorfia sprezzante, prima di chiudersi in un broncio ostinato.
-    Ma siete sicuri? Insomma… È così semplice! Io posso disegnarvi la casa dei vostri sogni, se lo desiderate!-.
Lysandre s’illumina, ma Nathaniel lo blocca con un’occhiata arborea e annuisce a me.
-    Non ce n’è bisogno, sapranno accontentarsi-.
Scrollo le spalle e mi apro in un gran sorriso.
-    Beh, allora facciamolo!-
Lasciamo il fast food chiacchierando allegramente e ci dirigiamo verso la casetta dei gemelli.
-    Qui ce n’è di spazio, che ne dite?- Chiedo, allargando le braccia in quell’enorme pezzo di prato, delimitato a sud dalla spiaggia.
-    D’accordo. Sicura di farcela?- Chiede Nathaniel, porgendomi i tovaglioli con i progetti. Gli propino un pugno giocoso sul braccio.
-    Eddai Nath, smettila di trattarmi come una bambola di porcellana!-.
Lui scrolla le spalle e raggiunge gli altri due, a braccia conserte.
In realtà non mi sento così sicura delle mie capacità, soprattutto vedendo i dettagli minuziosi che ci ha messo Lysandre nel suo progetto. Prendo una grande boccata d’aria e cerco la casetta dei gemelli, copiandola nella mia memoria e trascinando due doppioni davanti a me, facendoli cadere al suolo pesantemente.
Prendo l’interno del progetto di Lysandre e me lo imprimo in testa, per poi chiudere gli occhi e delinearlo con una linea bianca su sfondo nero. Ritaglio i pezzi e gli do una consistenza, per poi piazzarli all’interno della casetta, conoscendola come fosse parte di una mia tasca. I pezzi si posizionano con cura come fossero tasselli di un puzzle per bambini, e mi concedo una piccola pausa quando arrivo al piccolo roseto, che faccio spuntare con un “pop” dalla terra.
Mi asciugo il sudore dalla fronte e mi giro raggiante verso i ragazzi. Lysandre è in estasi e mi sta già raggiungendo con un sorriso entusiasta. Mi supera ed entra in casa, lasciandosi andare ad un sospiro adorante appena varca la soglia di casa. Lascio entrare anche gli altri due e poi li seguo, finendo in un piccolo soggiorno sulle tonalità del turchese e del verde menta, rigorosamente vittoriano.
-    Sembra di essere nella casa di Barbie- Commenta sommessamente Kentin.
-    Tralasciando il rosa- Aggiunge Nathaniel.
Lancio loro un’occhiataccia, ma Lysandre non fa caso ai loro commenti, troppo impegnato a toccare tutto, un indelebile sorriso emozionato sulle labbra.
Mi appoggio a uno dei divanetti presa da un improvviso capogiro, mascherando il tutto con noncuranza. Per un attimo vedo la stanza allontanarsi e i suoni attutirsi.

“… Dannazione. Darei qualsiasi cosa per capire dove sei! Per arrivare dove ora sei!”

-    Allora vieni-
I tre si voltano a guardarmi perplessi, facendomi capire di averlo detto ad alta voce.
Scoppio a ridere nervosamente.
-    Scusate… Pensavo ad alta voce!-
Mi giustifico, cercando di mascherare il turbamento che ho provato per quell’improvviso ritorno alla realtà. So di non averli convinti, soprattutto Nathaniel, ma hanno la finezza di non insistere. Dopo aver fatto il tour completo in quella specie di villetta vittoriana, usciamo di nuovo all’aria aperta e ci fermiamo davanti alla casetta di fronte.
-    Dì Azzurra, com’è ora dentro?- Mi chiede Kentin, curioso.
-    Vuota. Assolutamente vuota. Ma tra poco non lo sarà più-
Prima che gli possa venire la malsana idea di curiosarci dentro, sfilo di tasca il secondo progetto e lo studio. Non che ci sia molto da fare: Kentin è stato molto semplice e concentrato solo sullo stretto necessario.
-    Azzurra…-
-    Non ora, devo concentrarmi-
Nathaniel corruga le sopracciglia e stringe le labbra, ma se ne sta in silenzio. Prendo il progetto di Kentin e provo a lanciarlo, un po’ come quando si prende una manciata di coriandoli da una ciotola per poi buttarli in giro. L’immagine però è appiccicosa, come mi è successo per l’osservatorio, e sembra strillare per non lasciare la mia immaginazione.
Stringo i denti e cerco di farla uscire, spingendola con tutta la mia forza di volontà. Quella rimane sospesa per un attimo tra il concreto e l’immagine, poi lascia di botto la mia mente e schizza al suo posto come una saponetta, dandomi un contraccolpo che mi fa finire a gambe all’aria.
I tre ragazzi mi aiutano a rimettermi in piedi, confusi e a stento capaci di trattenere un sorriso.
Appena sono di nuovo in piedi mi accorgo che le gambe mi tremano, così cerco di mascherarlo dirigendomi spedita verso la porta d’entrata.
-    La tua casa ha fatto i capricci! Voglio vedere se ne è almeno valsa la pena!- Commento con sdegno rivolta a Kentin, che mi segue a ruota, curioso come un bambino.
L’interno è poco luminoso, i mobili sono pochi, il divano e i pouf mi ricordano il Medio Oriente, alle pareti sono appesi elastici da esercizio, sbarre e addirittura un paio di parallele.
Kentin sembra un po’ imbarazzato vedendo che non abbiamo nessun commento, allora ci spinge fuori senza troppi complimenti.
Appena torniamo verso la casa dei gemelli, discutendo animatamente su Kentin, padrone di casa insensibile, troviamo Alexy sulla porta con una faccia preoccupata, e Armin seduto sui gradini ai suoi piedi, le mani in tasca e lo sguardo annoiato.
-    Rieccoci qua!- Li saluto.
-    Azzurra, c’è una cosa strana nella scuola- M’informa subito Alexy.
-    Che tipo di cosa strana?-
Chiedo lanciando un’occhiata alla scuola poco più in la, magicamente terminata senza che me ne fossi accorta.
-    Alexy si sta facendo le paranoie perché dice di aver visto qualcosa, e io gli ho detto che probabilmente era un qualche fantasma di uno studente morto-
Un brivido gelato mi percorre la spina dorsale, mentre sento i peli delle braccia rizzarsi dalla paura.
-    Non è possibile, non conoscete Azzurra: non disegnerebbe un fantasma nemmeno in cambio della realtà!- Sbotta Nathaniel, parlando in mia vece.
-    Però…-
-    E se fosse qualcuno di nuovo?-
Kentin interrompe bruscamente il biondo, guadagnandosi uno sguardo assassino.
D’un tratto tutto sembra terribilmente semplice e scontato.
-    Qualcuno che si è perso nella scuola?- Ghigna Armin, con una voce cupa da brivido.
-    Esattamente! Possiamo andare a controllare!- Cerco di sembrare allegra come prima, ma la mia voce esce stridula.
-    Tu è meglio se stai qua- Obietta Kentin.
-    Ma vorrai scherzare! Sono proprio io quella che dovrebbe trovare le mie creature! Io vengo!-
-    Non sappiamo ancora com’è la scuola all’interno, potrebbe essere pericoloso- Cerca di farmi ragionare Lysandre, un’espressione sinceramente preoccupata sul viso. Mi limito a sorridergli con fare rassicurante.
-    Ragazzi: sono una donna è vero, ma non sono così messa male! E poi vi state dimenticando chi è che comanda qui!-.
Loro si scambiano un’occhiata per niente convinta.
-    Io verrò con te: di certo ho più esperienza e non ti starò tra i piedi, prometto- S’intromette Kentin, con un tono che non ammette repliche.
Gli sorrido riconoscente, rendendomi conto di quanto in verità mi sento insicura.
-    Volete andare adesso?- Chiede Lysandre, cercando il sole che da poco ha superato lo zenit.
-    Sì!- Mi affretto a rispondere, sentendo un leggero panico al pensiero di rimandare il tutto quando non ci sarà più il sole ad incoraggiarmi.
Kentin mi studia poi annuisce.
-    Non ci metteremo troppo. Magari è solo un qualche animale… Tipo un tasso-
Riesce a strapparmi un sorriso, che ricambia, per poi lanciare un’occhiata alla costruzione di calce struzzo che sarebbe il liceo.
-    D’accordo. Vi aspettiamo qui- Conclude Nathaniel, dimostrandosi calmo nonostante la fronte corrugata.
Noi due ci incamminiamo, Kentin pieno di spirito d’avventura, io con le gambe molli e il cuore già stressato dall’ansia.
Raggiungiamo la scuola e Kentin si ferma un attimo ad osservarla, e io ne approfitto per lanciare un’occhiata alle casette appena costruite, a una centina di metri al massimo da li.
-    Sai, a vederla così silenziosa e vuota mi viene in mente una storiella che mi avevano raccontato ai tempi-
-    Che tipo di storia?-
-    Mha, ricordo solo che c’era l’anima irrequieta di questo allievo, in cerca di vendetta…-
Lo spintono per farlo smettere, un ansia orribile che mi ha annodato lo stomaco. Lui sorride e riprende l’equilibrio, per poi darmi un buffetto affettuoso.
-    Dai, Non preoccuparti: come ha detto Nathaniel, è impossibile che tu abbia disegnato inconsciamente uno spettro assassino pronto a farci a pezzi per vendicarsi di torti subiti ai tempi del liceo!-
-    Kentin…-
-    Se vuoi possiamo tenerci per mano!-
-    … Tu lo hai fatto apposta, non è vero?-
-    Ma no, la storiella mi è venuta in mente per caso, poi ho pensato che era uno spreco non approfittarne!-
-    E non dirlo con quella faccia giuliva!-
Mi dirigo a grandi passi verso l’entrata del liceo, i pugni serrati dall’ira e la paura totalmente insabbiata dalla mancanza di tatto del ragazzo, che ora mi sta trotterellando dietro cercando di rabbonirmi.
Apro la grande porta principale e mi ritrovo in un lungo e ampio corridoio ricoperto di linoleum bianco sporco, le pareti quasi coperte da file di armadietti color pervinca e le pareti color panna. Le luci al neon sono spente, ovviamente, così che l’edificio sembra ancora più vuoti e tetro. Quello però non è la mia preoccupazione principale però. C’è una strana sensazione in me, come una piccola scarica che si muove ad intermittenza nelle mie arterie.
Sarà la stanchezza, mi dico, lasciando a Kentin l’onore di fare strada.
Svoltiamo in un corridoio, finiamo nella mensa deserta con le grandi vetrate oscurate dalle tapparelle, saliamo al secondo piano e mettiamo la testa anche in un paio di aule, ma nulla: tutto è terribilmente calmo e in ordine.
-    Magari Armin ha solo giocato un brutto tiro ad Alexy- Ipotizza Kentin, richiudendosi la porta di un’aula alle spalle.
-    Però è stato Alexy ad aver visto qualcosa, Armin ha solo colorito la storia per prenderlo in giro-.
Lui si passa una mano tra i capelli, poi si lascia scivolare lungo il muro fino per terra, sedendosi pensieroso sul linoleum. Lo seguo e mi ritrovo a sospirare di gratitudine non appena il mio sedere si posa per terra. Restiamo in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri e ragionamenti, e senza rendermene conto il mio testone si appoggia su una sua spalla muscolosa. Lo sento sobbalzare, ma non si muove di un millimetro. Lentamente le mie palpebre si chiudono. Ma si, solo un attimo di riposo…

“Ahia!”
“ Te lo meriti! Cos’è sta sbobba che mi hai propinato?”
“ La mia canzone!”
“Non prendermi in giro! Tu vorresti portare in giro questa cosa?”
“ Qualche problema? La melodia è una favola, alla gente non importa il testo”
“ A me si!”
Gli occhi grigi del ragazzo che sto strigliando mi guardano in cagnesco, il labbro superiore è leggermente alzato e mostra i suoi denti in un ringhio.
“ Scrivi tu allora, visto che sei così brava”
“ Non ho detto di esserlo. Io non ci so fare molto con le parole… Però manca di sentimento, questo pezzo di carta”
Gli sventolo davanti il suo testo e lui lo afferra aggressivamente per sbatterlo sul banco e rileggerlo. Vedo le sue labbra muoversi impercettibilmente: probabilmente sta già immaginando la melodia e le parole insieme.
“ Ascolta, io conosco qualcuno che è bravo a scrivere” Dice d’un tratto.
“ Ma è perfetto! Allora chiedi a lui”
“ Sì, potrei farlo, ma poi non ho più una scusa per stare con te”

-    Non ne hai bisogno- Sussurro.
Apro gli occhi e balzo in piedi: d’un tratto ho capito dove devo cercare e chi sto cercando. Accanto a me, la testa di Kentin ciondola addormentata. Gli faccio una carezza affettuosa sui capelli e poi parto di corsa verso il fondo del corridoio, piena di un’adrenalina selvaggia che precede un momento clou. Scendo le scale e salto gli ultimi gradini, incespicando nei miei stessi piedi e rischiando di spalmarmi per terra, riprendo miracolosamente l’equilibrio e curvo nel corridoio di sinistra, raggiungendo l’ultima porta con il cuore che scoppia e una sudorazione nervosa delle mani. Mi fermo un secondo per cercare lucidità, ma il mio corpo si muove da solo: allungo una mano e afferro la maniglia, per poi girarla e spalancare la porta su una piccola aula di musica. E proprio lì, appisolato su un divanetto mal ridotto color prugna, c’è un ragazzo col viso coperto da ciuffi di capelli rosso vermiglio.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Antonio e Cleopatra ***


Mi rendo conto di aver smesso di respirare non appena mi sono fermata davanti al divanetto.
Un’ondata di consapevolezza mi ha invasa appena l’ho visto, mi sono sentita piena di ricordi, anche se non riesco a vederli. Una grande ondata d’affetto per questo ragazzo mi ha investita stordendomi. Mi lascio cadere sulle ginocchia, intontita e incredula, sentendomi appagata. Ma perché?
-    Eri tu a parlarmi?- Gli chiedo in un bisbiglio.
Vedo le sue labbra fini piegarsi di scatto in una smorfia e le sue narici allargarsi. Le sue sopracciglia espressive si contraggono e uno spasmo lo fa tremare.
D’istinto gli afferro una mano, grande e tiepida, sentendone i calli sulle punta delle dita. La stringo gentilmente, continuando a studiare questo misterioso ragazzo, in cerca di ricordi che lo riguardino.
Apre di scatto la bocca in un ringhio e la sua mano si stringe violentemente sulla mia, facendomi sobbalzare dal dolore. Poi la sua stretta smette di colpo e la sua espressione torna indecifrabile.
-    Azzurra…- Gli esce un soffio dalla bocca.
-    Sì?- Gli chiedo dolcemente, in un sussurro.
Vedo i suoi occhi muoversi, poi le sue palpebre si alzano lentamente, scoprendo due occhi fini e un poco a mandorla color ferro. Mi studia, poi la sua bocca si apre e gli occhi si riempiono di dolore, e in un nano secondo mi afferra per le spalle e mi abbraccia, affogandomi nel suo petto.
-    Sei viva, sei sveglia! Sto sognando?-
Vorrei potergli rispondere, ma la mia faccia e schiacciata contro la sua maglietta. E quest’atmosfera mi piace. Scioglie piano l’abbraccio e mi studia di nuovo il viso, gli occhi lucidi e avidi di ogni più piccolo dettaglio.
-    Ascolta... Che schifo, è troppo imbarazzante… Non mi ricordo… Il tuo nome-.
Riesco a mormorare cautamente.
I suoi occhi intensi si riempiono di confusione e amarezza, ma prima che può anche solo aprire bocca, sulla porta dell’aula compare un Kentin trafelato, che mi raggiunge in due falcate e mi scosta dal ragazzo sul divanetto, per poi pararmisi davanti e guardarlo con una furia omicida.
-    Che le hai fatto? Te ne volevi approfittare?-
Gli occhi del rosso diventano due fessure di piombo mentre squadra il nuovo arrivato con un’apparenza di disprezzo. Si alza lentamente dal divanetto per fronteggiarlo e, nonostante è poco più basso di Kentin e deve alzare un poco gli occhi per incrociare quelli verdi, il carisma che lascia trasparire ha un che di pericoloso.
-    Un attimo: ma io ti ho già visto!- Sbotta Kentin sulla difensiva, serrando i pugni pronto a saltare addosso al nuovo arrivato, se necessario.
-    Mah, può darsi, ma poco importa. E ora, se non ti spiace, io e Azzurra stavamo parlando-.
La voce bassa e suadente del rosso ha una nota pericolosa che fa gonfiare le braccia al mio protettore non richiesto. Stufa di questo confronto da bambocci e di non essere minimamente compresa nella loro discussione, mi sposto e mi frappongo tra loro due, incrociando le braccia al petto con fare spazientito.
-    D’accordo, ho capito che non vi piacete, ma ora da bravi calmate i bollenti spiriti-
I due non si curano di mascherare la loro espressione da “ah, è vero che Azzurra era effettivamente qui” e si scambiano un’ultima occhiata in cagnesco, prima di rivolgere la loro attenzione di nuovo a me.
-    Bene. Abbiam trovato la presenza misteriosa, abbiamo pure esplorato il liceo… Direi che ci resta solo da tornare indietro e spiegare tutto a…. Non ti ho nemmeno chiesto il nome-
Il ragazzo stringe le labbra lievemente e distoglie lo sguardo.
-    Castiel. Mi chiamo Castiel-


Dopo aver raggiunto gli altri e aver raccontato tutto a Castiel, ci troviamo seduti nel soggiorno dei gemelli in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri. Appena il ragazzo ha visto gli altri, qualcosa nel suo sguardo ci ha fatto capire che si ricorda di tutti loro, ma non vuole raccontarci il perché. Non con me però. Da subito mi ha rivelato che, nella realtà, siamo grandi amici e che siamo tutti e due nel club di musica, dove lo aiutavo a comporre le sue canzoni.
A parte la reazione tempestosa e sconclusionata di Kentin, l’unico a mostrarsi sospettoso è stato Nathaniel, come sempre. Alexy è subito diventato un suo fan per via dei capelli: mi è venuto il sospetto che mi chiederà un poster anche di lui. Mentre Armin si è dimostrato del tutto indifferente, e Lysandre ha sfoderato il suo sorriso “ sono gentile ma non ho capito niente”.
Insomma: l’arrivo improvviso e inaspettato di questo nuovo ragazzo ha scombussolato un po’ tutti. Proprio ora se ne sta svaccato sulla sua sedia, braccia incrociate e sguardo di metallo.
È da prima però che qualcosa non mi quadra: un costante ronzio nelle orecchie mi sta innervosendo rapidamente.
-    Se Castiel si ricorda di voi…È possibile che siate tutti reali, giusto?- Interrompo il silenzio, un lieve tono speranzoso della voce.
-    Sì. È anche probabile che tutto questo regno sia semplicemente un puzzle dei tuoi ricordi, come già ti avevo detto una volta-. Confermò Nathaniel, uno sguardo concentrato che gli raffredda gli occhi.
-    Quindi sto attingendo alla mia memoria, nonostante lei sta giocando a nascondino con me-.
-    Probabile. Ma a volte riesci a vincere e sprazzi di ricordi ti tornano-.
Il silenzio cala di nuovo sul tavolo, un pensiero comune e inespresso che aleggia sopra le nostre teste: se dovessi recuperare tutti i ricordi, cosa succederebbe?
-    È possibile che… La chiave per uscire dal coma sia questa?- Sussurra Armin, gli occhi intensamente concentrati su un puntino di sporco sul tavolo.
Un brivido mi fa battere i denti e mi stringo più stretta nel mio maglione, insicura di cosa voglio davvero.
-    Se così fosse, basterebbe che Castiel le racconti episodi della loro vita insieme, e il resto verrà da sé- Commentò Lysandre con voce flautata.
-    Sì, lo farei volentieri. Il mio più grande desiderio è che tu ti svegli, Azzurra. Nel mondo reale-.
Castiel mi trafigge con i suoi occhi metallici e ci leggo dentro quanto è importante per lui.
Il mio sguardo li passa in rassegna uno a uno, un pensiero che si fa largo sempre più insistentemente nella mia mente: potrebbero essere tutti reali, oppure no. Castiel potrebbe semplicemente essere il tassello mancante per rincollare il tutto. Però, se dice di avere memoria della nostra vita insieme… Ricordo anche che una delle prime cose che mi ha detto Nathaniel: aveva detto che chi sognavo avrebbe potuto ricordarsi di me. Quindi magari, nela realtà, non li conoscevo davvero.
Scrollo la testa, sempre più innervosita. Ho bisogno di certezze, ho bisogno di qualcuno che arrivi e dica “ prendimi la mano, ti riporto a casa”.
-    Ci devo pensare- Riesco a mormorare flebilmente alla fine.
-    In effetti, oggi è stata una giornata impegnativa- Commenta Kentin, trattenendo a stento un grande sbadiglio.
-    Allora, cena da noi per festeggiare!- Si entusiasma Alexy, gli occhi pieni d’emozione che passano dal ragazzo muscoloso al nuovo arrivato. Averli tutti e due sotto il suo tetto dev’essere un’opportunità d’oro per quell’esaltato.
-    Non cucini tu però- Borbottò Armin, l’episodio della cipolla ancora impresso nella mente.
-    E io nemmeno!- Aggiungo ridacchiando.

“ Ciao piccola! Buon compleanno!”
Mio padre sembra allegro.
“La mamma è andata a prendere la torta: ce la mangeremo tutta, non ti lasceremo neanche una briciola!”
Sospira: un misto di allegria e dolore.
“ Ne è passato di tempo ormai… Quasi un anno… A volte mi chiedo se vada bene, se tu non stia soffrendo… Forse sarebbe meglio spegnere le macchine e lasciarti andare… Ancora non ne ho la forza ma…”
Sta piangendo. Glielo leggo nella voce.

Dopo cena esco dalla casa dei gemelli, evitando per un pelo di finire vittima del loro scontro con la schiuma del detersivo per i piatti, dirigendomi in spiaggia, dove ho visto andare Castiel.
Il collegamento che ho avuto con la realtà è stato flebile e in parte ero cosciente di essere nella casa dei gemelli. Avevo capito di essere in coma da quasi un anno. Era già un bel passo avanti! Ciò che mi aveva spezzato il cuore era stato mio padre, che voleva mostrarsi allegro ed era finito per confidarmi le sue paure.
Intravedo una sagoma seduta sulla spiaggia, oscurata dal sole che sta tramontando. Mi tolgo le scarpe e lo raggiungo, per poi sedermi accanto a lui, lo sguardo rivolto verso la linea del mare e la sabbia che s’infila tra le dita dei piedi.
-    Che storia, vero?- Commento senza staccare gli occhi dal disco dorato.
-    Già… È assurdo. Ma sei tu, quindi non mi sorprende-
-    Perché suona malissimo?-
Ride e mi guarda con affetto.
-    Almeno mi hai creduto-.
-    Già. Strano vero?-
-    No, non tanto-
-    Cosa te lo fa dire-
-    Il fatto che ti ho detto cosa provo per te, poco prima del tuo incidente, e mi hai rifiutato. Dev’esserti rimasto uno shock-
In verità lo shock arriva adesso, e non mi curo di mascherarlo. Lui mi guarda da sotto le sopracciglia alzate, con un sorriso di circostanza.
-    Tu mi stai dietro?-
-    Così pare-
-    Ma come!-
-    Beh, sai com’è… Non è che puoi scegliere, altrimenti avrei preferito una che ce le ha più grosse-
Gli tiro una gomitata e lui mi rivolge un sorrisetto malizioso.
-    Ma che razza di situazione! E io cosa ti ho detto?-
Lui si fa serio, concentrato nel ritirare fuori i ricordi.
-    Mi hai detto che mi volevi bene come a un fratello, ma che ti era impossibile vedermi come qualcosa più di un amico. Neanche ad impegnarti. E poi sei scappata via, inciampando clamorosamente in non mi ricordo più cosa, ma hai rovinato tutta l’atmosfera, questo è certo-.
Mi sorride, ma io sto morendo dall’imbarazzo e dal disagio.
-    Ma poco importa: il passato è andato! E io ci proverò ancora-
Così dicendo mi cinge la vita con uno sguardo mellifluo, a cui rispondo con un’occhiata di puro spiazzamento, che lo fa scoppiare a ridere fragorosamente.
-    Castiel! Dimmi che non mi hai messo le mani addosso in ospedale!-
Evita il mio sguardo, con un sorriso sempre più grande.
-    C’è quasi sempre uno dei tuoi, ma una volta sono riuscito a…-
-    Non voglio sapere! Sei senza scrupoli! In ospedale! E a una paziente! Castiel!-
Lui si lascia cadere sulla sabbia, ridendo come un matto, mentre capisco che me l’ha fatta grossa.
-    Sei un idiota!-
Gli propino un pugno e, senza preavviso, lui afferra il mio polso e mi trascina sul suo petto, per poi cingermi dolcemente con le sue braccia.
-    Uhm… Senti…-
-    Lo so, ma tranquilla, non voglio farti nulla. Solo restare così, per cinque minuti. Me lo devi-
Constato che ha ragione, se tutte le visite che mi ha fatto nella realtà sono vere. Così resto al mio posto sciogliendo piano piano la mia rigidità e abituandomi al battito regolare del suo cuore sotto il mio orecchio.
-    Quando è successo l’incidente mi sono sentito morire. Pensavo che non ti avrei più rivista, non avrei più sentito il suono della tua voce. Non avrei più potuto punzecchiarti e godermi le tue reazioni. Allora mi son messo a scrivere una canzone. Una specie di requiem in tuo onore-
-    Come fa?-
-    Non mi ricordo… Però so che appena la finirò te la canterò. E magari ti sveglierai sul serio-
-    Sì-
-    E magari poi potrò metterti le mani addosso-.
-    Provaci-
Ridacchiamo. Solo un piccolo spicchio di sole spunta dal mare, e le stelle si stanno accendendo una dopo l’altra sopra le nostre teste.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Primo passo/ Castiel ***


Sono passati alcuni giorni da quando Castiel è comparso. Gli ho costruito una sua casa come quelle degli altri ragazzi, e ho deciso di far cominciare la scuola. Oh meglio: di usarla come punto di ritrovo giornaliero. Nonostante le iniziali critiche al riguardo, ben presto la scuola si è rivelata comoda e un nuovo luogo di svago: spesso Castiel e Lysandre(che avevano legato subito, inspiegabilmente dati i loro caratteri opposti) passavano le loro giornate nell’aula di musica, Kentin si divertiva a creare percorsi estenuanti in palestra, che eseguiva con cura maniacale, con Alexy che lo ammirava dalle piccole finestre di tanto in tanto, Nathaniel spariva per intere giornate nella biblioteca e infine Armin preferiva attaccarsi ai computer della scuola, dicendo che c’era più spazio sulle scrivanie. Anch’io avevo trovato la mia oasi di pace nell’aula d’arte, ma ancora non avevo osato toccare una tela, sentendomi appagata soltanto a girare tra i cavalletti e ad inspirare l’aria di tempera e trementina che aleggiava nella stanza.
Ma torniamo al presente: è passato da poco il mezzogiorno, sono appena uscita dalla mia camera da letto e mi sono piazzata davanti a Nathaniel, seduto sul divano a leggere. Alza lo sguardo soltanto quando arriva in fondo alla pagina, senza curarsi di nascondere il fastidio.
-    Ho deciso di recuperare la memoria-. Annuncio.
-    Ah sì?- Non mi sta ascoltando attentamente.
-    Sì. Mi farò raccontare da Castiel quello che ricorda. Qualche giorno fa ho sentito mio padre parlarmi. Ha detto che è poco più di un anno che sono in coma e… Non sanno se lasciarmi andare o no…-.
I suoi occhi diventano improvvisamente presenti, preoccupati e dubbiosi.
-    Vorrebbero spegnere le macchine dopo solo un anno?-
-    Non ne sono ancora sicuri. In effetti suona strano anche a me, si vede che c’è qualcosa di più sotto-
Si passa la lingua sulle labbra, improvvisamente nervoso.
-    Se ciò succedesse… Tu resteresti imprigionata qui, probabilmente… Oppure…-.
-    Oppure cosa?-
Scuote la testa e cerca di sorridermi incoraggiante.
-    Mha, è inutile farsi paranoie ora. È anche vero però che recuperare la memoria non ha nessuna garanzia di essere una strada certa per tornare alla realtà. Insomma: il sogno potrebbe rivelarsi una prigione, ma tentar non nuoce!-.
Pronuncia le ultime parole allegramente, cercando di sdrammatizzare il tutto. Non che serva a cambiare il mio stato d’allerta.
Lui si alza, improvvisamente di buon umore, e posa il libro sul divano.
-    Bene, andiamo a cercare quello scapestrato, allora!-.

Troviamo Castiel e Lysandre seduti fuori dal nuovo fast food che ho disegnato, specializzato questa volta in kebab e hamburger( combinazione un po’ fuori posto, lo so, ma in quel momento avevo voglia di tutti e due).
Nathaniel e Castiel si scambiano un’occhiata di disprezzo, che cerco subito d’interrompere prendendo parola.
-    Ho deciso di ricordarmi- Dico, rendendomi poi conto di quanto stupido suona.
Castiel si lascia sfuggire un sorrisetto di sbieco e annuisce.
-    Ottimo-
Lysandre sembra preoccupato invece.
-    Come mai, così all’improvviso?-
-    Diciamo che… C’è qualcosa che non mi torna, e vorrei capirlo-.
Lui mi scruta per un po’ non convinto, ma io resto impassibile.
-    Allora cominciamo subito!- Esclama Castiel, entusiasta, alzandosi dal marciapiede dov’era svaccato e stiracchiandosi.
-    Penso sarebbe meglio se ci lasciaste soli- Mi rivolgo ai due ragazzi, che strabuzzano gli occhi, per poi allontanarsi di malavoglia.
Un sorriso calcolatore increspa le labbra di Castiel e, prima che posso anche solo aprire bocca, mi afferra per la vita.
-    Bella mossa, ammettilo che lo hai fatto per farci avere un po’ d’intimità-.
Scosto pazientemente la sua mano e gli rivolgo un’occhiataccia d’ammonimento, a cui lui risponde con un sospiro sconsolato, incamminandosi verso l’osservatorio.
Gli trotterello dietro, facendo quasi fatica a tenere il passo. Lui entra nella grande cupola scura e si dirige sicuro verso la porta che dà sulla terrazza sul mare, la percorriamo e ci sediamo sulla panchina, la brezza marina che gioca con i nostri capelli.
Lui mi sorride soddisfatto e torna a fissare la distesa d’acqua sotto di noi.
-    Allora- Si concentra e chiude gli occhi, in una parvenza di “ mi sono dimenticato cosa stavo facendo perché la brezza è bella”. Tira un sospiro e ridacchia.
-    Ci siamo conosciuti tramite Lysandre-
Per poco non picchio una testata sulla balaustra della passerella, dove mi sono appoggiata in attesa.
-    Lysandre?!-
-    Non è credibile, vero? E invece è stato proprio lui!-
Mi lascio ricadere sullo schienale della panca.
-    Praticamente siete amici fino dalle medie, non mi ricordo bene i dettagli, ma io ho conosciuto Lysandre al liceo, per caso in verità-
-    Maddai-
-    Eh sì-
-    E come vi siete conosciuti voi due?-
La sua espressione si trasforma in uno sghignazzo malvagio.
-    È finito per caso in una mia rissa-
-    Cosa? Si è fatto male?-
-    Oh no, niente del genere: stavo pestando un tizio del club di musica che mi mandava in bestia ogni volta che apriva bocca, e sto qua passava di lì per caso, perso ovviamente, e ci ha chiesto indicazioni, senza rendersi conto della situazione delicata. È partito in quarta in un monologo sul fatto che si era perso ed era un quarto d’ora che girava, insomma: quel coglione del club ne ha approfittato per scappare, e intanto è arrivato quel delegato pagato per rompere le palle e ha deciso che Lysandre era coinvolto-.
La sua faccia si rabbuia e sputa al di là del parapetto.
-    Siamo finiti dalla preside, Lysandre non capiva niente di quello che stava succedendo, ma per quei due eravamo colpevoli, niente da fare. Così siamo finiti in punizione e abbiamo passato una settimana ad aiutare a pulire l’aula di scienze-.
-    Cioè tu hai fatto la punizione?-
Mi lancia un ghigno.
-    Non potevo lasciare quel disastro da solo, per di più era capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato( tipico di Lysandre). Durante quella punizione poi abbiamo scoperto di avere in comune più di quanto pensassimo-.
Schiocca la lingua nascondendo un sorriso malinconico.
-    Quando gliel’ho raccontato, qui in questo posto, per poco non mi è svenuto tra le braccia. Poi ha cominciato a blaterare su un quaderno in cui aveva scritto delle cose, sul fatto che tutto combaciava e via verso l’infinito-.
-    Ma ti ha creduto però-
-    Sì. E tu anche-.
D’un tratto mi sento a disagio e mi stringo nelle spalle con indifferenza.
-    Raccontami come ci siamo conosciuti noi due-.
Lui ridacchia e mi da una spintarella.
-    Naaa, non lo vuoi sapere davvero-.
-    Ma se te lo sto chiedendo! È così terribile?-
-    Mmm… Un pochino-
-    Oh cavolo, forse non voglio saperlo-
-    Ormai è troppo tardi, mi sta venendo voglia di raccontartelo-.
Mi giro verso di lui, pronta a fargli una lavata di capo, e me lo ritrovo a pochi centimetri da me, un sorriso accattivante che gli increspa gli angoli della bocca.
-    Però ogni cosa ha un prezzo- Sussurra con crescente divertimento.
Corrugo le sopracciglia e ricambio il suo sguardo, imperturbabile, come se fossi abituata da una vita ai suoi giochetti sporchi. Insomma, forse è proprio così.
-    Ma davvero! Sentiamo allora- Ribatto con tono noncurante.
Lui si avvicina sempre più pericolosamente e comincio a chiedermi se ho fatto bene a dargli corda, la sua mano si avvicina sempre di più alla mia coscia sinistra. Poi, così com’è cominciato, mette fine a quella sceneggiata dandomi un morso sul naso e tornando al suo posto, ridendo della mia faccia sconvolta.
-    Ahhh, quanto mi mancava darti fastidio!-
-    Castiel! Ti butto giù di sotto!-
Gli salto addosso e lo afferro per il giubbotto di pelle, pronta a fargli fare un volo, ma lui sta ridendo come un pazzo e, senza alcuno sforzo, scioglie la mia presa e mi rimette al mio posto come una bambina. Non sembra, ma è dannatamente forte!
-    Dai, adesso ti racconto-
Annuisco imbronciata.
-    Praticamente Lysandre lo sai com’è fatto: si prende l’impegno e poi magari se ne dimentica. Quindi si è iscritto al club, ma erano più le volte che dovevo andarlo a prendere all’uscita della scuola che quelle che lui si presentava di sua spontanea volontà. Sai, non è bravo solo a scrivere, ma ha anche una voce pazzesca! Vabbè, chiudiamo la parentesi: un giorno si è miracolosamente ricordato del club ma aveva già un impegno, allora ti ha incaricata di venircelo a dire al club. Per tua grande sfortuna, ma grande per me, ero solo quel giorno-
Si ferma per lasciare andare una risatina.
-    La scena era questa: sei entrata, io stavo suonando la chitarra, ti ho guardata, tu hai guardato me, ti sei girata e sei uscita, hai controllato la targhetta dell’aula e sei rientrata, per uscirtene con un “ pensavo che questo fosse un club di musica”. Mi hai spiazzato di brutto e all’inizio non capivo, poi mi son reso conto che ti riferivi al fatto che ero solo e un club da soli non si fa. Volevo dartele, lo ammetto, però poi mi sono accorto che non eri niente male e che sarebbe stato uno spreco rovinarti quel bel faccino-.
Fa una pausa per farmi una carezza sfuggente sulla guancia.
-    Poi hai cominciato a snocciolare tutta la storia del perché Lysandre non ci sarebbe stato quel giorno, e ti giuro che non hai preso fiato una volta che sia una! Quando hai finito tutto il tuo tran tran, fai “ così tu suoni la chitarra”. Avrei voluto risponderti qualcosa come “ Oh no, questa qua è solo la chiave della macchina” e ci è mancato poco che mi fosse uscito di bocca… Insomma, dopo il primo catastrofico incontro, sei tornata qualche volta, quando tu e Lysandre avevate progetti per dopo, e non ti sei fatta scrupoli a farmi notare quanto la canzone che stavo componendo faceva schifo. Ti ho detto che le parole non contavano…-
-    Perché la gente prestava più orecchio alla melodia, ma io te l’ho fatta riscrivere lo stesso. Me lo ricordo-
Sorride sorpreso, ma i suoi occhi esprimono dolore. Per un attimo mi pare che mi stia per abbracciare, ma appena batto le palpebre è di nuovo tutto normale e mi chiedo se me lo sono immaginato. Castiel è tornato a fissare il mare.
-    Poi è successo che mi son reso conto che avevo sempre una fottutissima voglia di vederti, che venivo a scuola quasi contento( non esageriamo) e che avevo sempre una gran voglia di picchiare tutti i ragazzi che ti si avvicinavano anche solo per parlare. Sì, anche Lysandre a volte-.
Mi lancia uno sguardo intenso. Troppo intenso.
-    E poi il resto già lo sai-
Restiamo a fissarci per un po’. L’aria ha un che di magnetico e non mi sento padrona del mio corpo.
-    Tu non hai mai dato importanza a nessuno- Non so come faccio a saperlo.
-    No dai, non a nessuno. A Lysandre si. Anche al mio cane. E… Non mi va di parlarne. Tu però sei un gradino più su di loro-
-    Com’è possibile? E come faccio a sapere che non menti?-
Castiel interrompe il contato visivo e ammira il blu sopra le nostre teste, ragionando vistosamente, mentre si passa ripetutamente la lingua da un angolo all’altro delle labbra e socchiude gli occhi. Infine ritorna a fissarmi con una scrollata di spalle.
-    Non so, immagino che tu debba credermi e basta. Vorrei potertelo provare, ma ho paura che finirebbe molto male, quindi non restano che le parole-
-    Buffo-
-    Già-

“ Dottore, non vede proprio altra via d’uscita?”
“ Temo di no, signora Buttercup, sono spiacente. Il coma in cui è caduta vostra figlia è senza ritorno, le percentuali lo dimostrano”.
Fruscio di fogli e un verso strozzato da parte di mia madre.
“ Un mese…”
“ Sì, signor Buttercup. È il tempo massimo in cu si può sperare ancora in un suo risveglio. Dopodiché il suo corpo sarà pressoché morto”
“ Un mese” Ripete mio padre flebilmente.
Il tempo vola.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Secondo passo/ Lysandre ***


Sobbalzo appena la realtà sfiora la mia mente e mi fermo in mezzo alla strada. Un mese. Un mese? Cioè poi mi staccheranno le macchine e adieu?
Mi sorprendo a portarmi le mani alle guance in una perfetta imitazione dell’urlo di Edvard Munch e d’un tratto le mie gambe partono in una corsa sfrenata che potrebbe farmi volare. Dopo pochi metri percorsi in questo modo, l’adrenalina della velocità che mi fa uscire gli occhi dalle orbite, mi fermo piano piano. Avevo detto che mi sarei arrangiata per i ricordi, e invece ho incaricato Castiel di raccontarmeli. Sono una debole. E ora infatti stavo per correre dai ragazzi a dirgli tutto e ad aspettare che tirino fuori un’idea. Disgustoso.
Mi impongo di chiudere gli occhi e respirare piano, per riprendere il controllo delle mie azioni, dopodiché mi incammino più tranquillamente verso scuola.
È tutto stranamente pacifico, probabilmente perché i ragazzi non sono nei paraggi. O almeno, così sembra, finché non mi accorgo di Lysandre, appisolato contro un albero del cortile.
Il suo viso rilassato sembra quello di un angelo. Mi piacerebbe fargli un ritratto.
Inconsapevolmente mi sono avvicinata al ragazzo e mi sono accucciata per studiarlo meglio.
Lentamente le sue palpebre si sollevano e i suoi occhi bicolore si fissano nei miei. Il contatto resta per qualche secondo, terribilmente fiabesco con l’arrivo di una leggera brezza.
-    Ho qualcosa sul viso?-
-    Cosa? No! No tranquillo-
-    Allora perché mi fissi così intensamente?-.
-    Potrei chiederti lo stesso-
-    Ah ecco, per un attimo mi sei sembrata una principessa-.
-    Anche tu sembravi un principe delle fiabe, così addormentato-.
Ridacchiamo imbarazzati, poi lui si siede più comodamente contro l’albero e sposta lo sguardo attorno a sé, evidentemente turbato.
-    Uhm… Hai parlato con Castiel?-
-    Sì. Mi ha raccontato un po’ di cose. Come vi siete conosciuti. Eravamo grandi amici noi due a quanto pare, vero?-
-    Sì. Non riesco ad immaginarlo neppure io, però… Mi sembra incredibilmente vero. E il mio quadernetto lo testimonia-
Sfila da una tasca l’oggetto, lo carezza con il pollice, poi torna a guardarmi seriamente.
-    Non riesco a capacitarmene ma, dopo che Castiel mi ha parlato della nostra amicizia, i ricordi hanno preso a tornare, incoraggiati dalle annotazioni che ho scritto qui-.
-    Cioè… Castiel ti ha aiutato a ricordarti della realtà?-
-    Credo di sì-
Fa una pausa titubante, poi serra saldamente le dita attorno al quadernetto.
-    Vuoi ascoltare?-
Per un attimo tentenno, insicura di riuscire a sopportare una altra secchiata di verità. Ma mi resta solo un mese. Quelli che per me sono stati giorni e settimane, nella realtà possono essere stati mesi. Non ho tempo di esitare.
Annuisco e mi metto più comoda, sdraiandomi sulla pancia di fianco al ragazzo.
-    D’accordo. Posso confermarti con certezza che la prima volta in cui ci siamo rivolti la parola è stato il venerdì della prima settimana di scuola media. Eravamo entrambi in ritardo e rischiavamo di perdere l’autobus, ci siamo scontrati sulla porta dell’automezzo e ti ho dato la precedenza. Ci siamo riconosciuti perché eravamo in classe assieme, ma solo allora abbiamo cominciato a parlarci, avendo un argomento che ci accomunava-.
Cerco d’immaginarmi un Lysandre attorno agli undici anni, ugualmente stravagante, ma più basso e simile ad un angioletto. In un lampo di lucidità, mi viene in mente la piccola Azzurra, grezza e mascolina in quegli anni. Un bel contrasto che spiega perché non ci eravamo mai parlati prima.
-    È incredibile, ma da quel giorno è nata la nostra amicizia: mangiavamo assieme, svolgevamo i progetti di classe assieme, parlavamo di tutto e passavamo quasi ogni week end insieme a giocare. Eri proprio buffa. E schietta: invidiavo questo tuo carattere così solare ed estroverso, mentre io dovevo convivere con una timidezza incontrollabile. Quando hai preso a parlarmi regolarmente, mi sei sembrata un angelo-.
Mi rivolge un’occhiata triste.
-    Vuoi dire che nessun’altro ti parlava?-
-    No. Certo, alle ragazze piacevo, ma i maschi mi detestavano appunto per quello, e per il mio carattere poco mascolino… Da sempre è stato così, e in più la mia timidezza m’impediva di cercare l’amicizia di qualcuno. L’unica soluzione era che qualcuno si offrisse di sua spontanea volontà, come hai fatto tu-.
Fa una pausa e il suo viso torna a splendere quando un sorriso ammorbidisce le sue labbra.
-    I ricordi continuano felici da quel momento. Poi, in seconda media, ti sei infatuata di mio fratello maggiore, Leigh-.
Sento la mia faccia deformarsi in un espressione ebete, mentre lui ridacchia al ricordo.
-    Hai un fratello?-
-    Sì, ha quattro anni più di me-.
-    Ti assomiglia?-
-    No, per niente. Tranne per il gusto nel vestire-
Cerco d’immaginarmi un Lysandre più vecchio, con gli occhi dello stesso colore e i capelli di svariati colori naturali, ma il risultato non mi convince, così lascio cadere la testa dalle braccia direttamente nel prato.
-    Leigh fa il sarto. Ha sempre amato i vestiti e la moda, perciò ha seguito una scuola superiore di sartoria e ora sta facendo un’università specializzata, lavorando in un negozio di vestiti nel tempo libero. Tu ti eri innamorata persa di Leigh, cercavi di passare più tempo possibile a casa nostra e gli stavi appiccicata tutto il tempo, e poi ti confidavi con me. Mi dicevi quante volte ti aveva guardata quel giorno, quale frasi potevano essere interpretate come romantiche. Disegnavi cuoricini ovunque, e le vostre iniziali. Però se ti dicevo di farti avanti, visto che eri così sicura, diventavi rossa come un pomodoro e sproloquiavi sul fatto che doveva essere l’uomo a fare il primo passo-
-    Come… Come fai a ricordarti così bene?- Mi sento nauseata dalla mia idiozia adolescenziale.
-    Oh, me ne hai parlato per così tanto… Per quasi due anni sei rimasta infatuata di mio fratello, anche quando lui trovava occasionalmente una ragazza, che solitamente scappava per via della sua mania per  moda e vestiti-.
Lysandre sembra divertito, ma non si rende conto che ora ricordo perfettamente anch’io quella fase della mia vita. Una fase da dimenticare.
-    Senti, piuttosto: prima che comparissi ho vissuto un ricordo dove tu scrivevi il quadernetto e mi dicevi che forse un giorno avrei potuto leggerlo-
Cambio precipitosamente argomento, ma l’effetto non è quello che ho sperato: Lysandre strabuzza gli occhi e arrossisce.
-    Ti ho detto che te lo avrei fatto leggere?-.
-    Precisamente-
-    Non ricordo di aver mai detto qualcosa di così compromettente-.
-    Perché, quello che scrivi è indecente?-
-    Oh no! Azzurra, non dipingermi così male!-
Sembra ancora più imbarazzato, mentre abbassa lo sguardo e si torce le mani.
-    Però ricordo quando ho cominciato a scrivere. Rileggere le prime righe mi ha fatto tornare tutto in mente. È stato in terza media. Stavo guardando una coccinella che stava faticosamente scalando la piramide di libri che avevo accatastato sul mio banco per poter sonnecchiare a lezione senza farmi notare. Mentre la fissavo, le parole mi sono uscite da sole: erano semplici, uscivano dalla mente di un ragazzino di dodici anni, ma il loro suono mi scaldava. Tornato a casa le ripetei a mia madre…- Fa una pausa e percepisco il dolore che prova a rievocare quel ricordo – Lei stimolava sempre me e mio fratello a coltivare i nostri interessi. Sembrò entusiasta della mia piccola poesia e mi regalò questo quaderno, con la dedica… L’hai vista-
-    Sì-
Fece un sospiro e alzò gli occhi verso il fogliame sopra le nostre teste. Non aveva bisogno di continuare, sapevo cos’era successo e mi stringeva il cuore. Mi avvicinai al ragazzo e posai la testa sulle sue gambe.
La madre di Leigh era costretta in carrozzella per una paralisi alle gambe, successa nell’incidente in macchina in cui il marito l’aveva abbandonata per darsela a gambe, troppo codardo e spaventato per accertarsi che la moglie fosse effettivamente deceduta. Se solo lui fosse stato un buon marito e padre, forse le gambe della donna non sarebbero mai rimaste paralizzate. I due fratelli, di cinque e nove anni ai tempi, accettarono la scomparsa del padre e la paralisi della madre con una forza inaudita per dei bambini.
-    Mia madre è sempre stata un angelo. Se facevamo qualcosa di sbagliato ce lo faceva notare con gentilezza, per poi aiutarci a porne rimedio. Se facevamo qualcosa di buono, le si riempivano gli occhi di lacrime e ci lodava, premiandoci con coccole e dolcetti. Era perfetta-.
-    Era?- Non sono sicura di voler sapere il perché del verbo coniugato al passato.
-    Sì. È deceduta quando tu eri in coma. Ha avuto un problema ai polmoni nel sonno. Lo aveva spesso. Solo che l’ultima volta non ha più voluto combattere, troppo stanca di andare avanti. Così ci ha lasciati. Me, Leigh e i nonni-
Mi alzo di scatto a sedere, non riuscendo a credere a quello che mi ha detto. I suoi occhi sono pieni di sofferenza, eppure asciutti. Deve aver pianto troppo. Ma io…
Le lacrime sgorgano come una diga in piena e, senza nemmeno accorgermene, sono tra le braccia del ragazzo a singhiozzare come un’ossessa.
Conoscevo bene Rose, la madre del mio migliore amico. L’avevo ammirata e quasi dipinta come un’eroina. E ora non c’era più. E quel che è peggio, è che se n’è andata quando io non potevo saperlo.


Piango per quasi un’ora e quando finalmente smetto, la mia teta è pesante, così come le palpebre. Mi brucia tutta la faccia.
-    Ti senti un po’ meglio?- Mi chiede il ragazzo dolcemente.
Mi limito ad annuire.
-    Di certo ora sta meglio. Ha patito molto nella sua vita-
Annuisco di nuovo, poi porto di nuovo lo sguardo sul ragazzo. Ricordo tutto di noi. Non solo ciò che mi ha raccontato, ma ogni singolo giorno che abbiamo passato insieme. Perfino quelle rare litigate che avevano incrinato il nostro rapporto.
-    Ne abbiamo passate così tante assieme- Commento con voce roca e traballante.
-    Sì. Quasi otto anni ormai-
-    Sì. Che coppia-
Ridacchia, poi mi fa una carezza sulla testa affettuosamente.
-    Ora che ricordi, sappi che se c’è anche solo una minuscola cosa che ti preoccupa, non devi esitare a dirmela, d’accordo?-
Annuisco, sentendomi una bambina protetta dal suo tocco.
Restiamo per un attimo in silenzio in quell’atmosfera primaverile, la brezza che scuote appena le foglie sopra le nostre teste.
-    Pensi che mi risveglierò?-
-    Ne sono certo. E io ti aspetterò anche tutta la vita, se necessario-
Riesco a ricambiare il suo sorriso, nonostante mi sembra di avere un sasso nello stomaco.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Terzo passo/ Armin ***


Arrivata a casa mi butto esausta nel letto. Sono successe così tante cose e una paura tremenda mi sta assalendo. Ancora non riesco a capire: possibile che il mio coma sia così grave? Perché non ho più speranze dopo un anno? Ma soprattutto: riuscirò a risvegliarmi con le memorie dei ragazzi o la mia è una fantasia inutile? Forse, appena ho messo piede in questo Mondo pazzo, ero già destinata a non tornare mai più a casa?
Chiudo gli occhi e lascio andare un grande sospiro, sentendolo frusciare sul piumone e venendone investita.
Ho paura. Paura di cosa? Di morire? Non ci ho mai pensato.
Il mio corpo è pesante e così comodo sul letto che il solo pensiero di alzarmi mi fa brontolare.
Sento la mente sempre più annebbiata e la stanchezza che prende il sopravvento su ogni mio muscolo…

Una pressione mi sta schiacciando le meningi. Perché fai questo? Non devi ricordare! SMETTILA DI RICORDARE! Ma io ne ho bisogno, voglio sapere! NO NON DEVI!

Apro gli occhi di scatto, la fronte madida di sudore, il corpo preso da un forte tremito. Mi metto a sedere faticosamente e mi stringo nelle braccia, un vano tentativo di fermare la tremarella.
Cos’era quell’ostilità nella mia testa? Perché non devo ricordare?
Mi vien da piangere, lo sconforto è troppo grande, allora mi alzo e vado in punta di piedi fino al bagno per sciacquarmi la faccia. Quando incontro lo sguardo del mio riflesso nello specchio, vedo due occhi stanchi ornati da due belle occhiaie violacee, il viso sembra floscio e più pallido del solito. Il peso dei ricordi è così grande?
Entro in punta di piedi in cucina e solo allora mi rendo conto che fuori è ancora buio. Con una rapida occhiata all’orologio da parete in cucina, mi rendo conto che sono passate da poco le tre di mattina.
Si sa che per una ragazza affamata la cosa peggiore è ritrovarsi una cucina senza dolci, perciò sospiro rincuorata quando scovo una scatola di biscotti, per poi accompagnarlo ad un bel bicchiere di cioccolata in polvere, ed infine accucciarmi sul divano e darmi alla pazza gioia, senza una ragione ben precisa.
Ero così immersa nei miei pensieri che non mi accorgo di non essere sola, finché Nathaniel non mi si siede accanto, facendomi quasi versare la cioccolata addosso.
-    Non riesci a dormire?-
-    No. Tu nemmeno?-
-    No, neanche a provarci. Tu però hai una faccia stanca-
-    Sì? Capita-
Lo sento sbuffare di fianco a me, poi mi prende un braccio e mi obbliga a girarmi verso di lui.
-    Azzurra, cos’è che nascondi? Ieri non hai fatto altro che correre di qui e di la facendo la misteriosa. In effetti, è da quando hai costruito le case agli altri che sei strana-.
Fantastico, se n’era accorto più del dovuto.
-    Nulla…È solo… Un periodo un po’ così-
Mi guarda con una faccia da chi pensa di aver capito ma non è così, però poi si rabbuia.
-    Centra con la realtà?-
-    Cosa te lo fa pensare?-
-    È così allora-
-    Non ho detto fosse così-
-    Ma lo è, giusto?-
Gli rivolgo un’occhiata stizzita, poi mi viene un’idea per cambiare argomento.
-    Per caso ti ricordi come ci siamo conosciuti?-
Sembra sorpreso della mia domanda e ne approfitto per cogliere la palla al balzo.
-    Sai, Lysandre ha detto che, dopo che Castiel gli ha raccontato della loro amicizia, i ricordi sono tornati da soli. Con l’aiuto del quadernetto per alcune parti-
-    Non mi dire-
-    Quindi mi chiedevo se anche tu magari…-
-    Io non parlo con quello-
Il suo tono irritato mi spinge a dargli un’occhiata, trovandolo corrucciato.
-    È successo qualcosa tra di voi?-
-    Non mi piace e basta. E alla gente che non mi piace non rivolgo la parola. Pare che nemmeno lui mi apprezzi, quindi il problema è risolto-
Alzo le sopracciglia ma evito di commentare. Avrei chiesto direttamente a Castiel più tardi.
-    Dovresti riposarti-
Mi dice, con tono più gentile, alzandosi e facendomi una carezza in testa, esattamente come aveva fatto Lysandre, facendomi sentire una bambina indifesa.
Annuisco e gli sorrido mentre lui si alza, sapendo benissimo che non ci sarei riuscita nemmeno volendo: sapendo di avere un tempo limite, mi veniva un’ansia implacabile che annodava la bocca dello stomaco e mi faceva impazzire.
Aspettai di sentire la porta della camera del ragazzo richiudersi dietro di lui, contai dieci secondi e poi tornai in camera per prendere una felpa e sgattaiolai fuori, subito investita dall’aria gelida che mi pizzica la faccia senza tregua. Scendo la strada verso l’incrocio, ammirando il mio Mondo dei Sogni, silenzioso e addormentato, in una parvenza fiabesca che non gli avevo mai visto.
Il bosco è quasi tetro: una macchia scura sull’erba lucente. L’osservatorio rispecchia la luce lunare, somigliando ad un immenso lampione candido. I fast food che gli stanno davanti hanno tutte le luci spente e sembrano assopiti.
Vorrei andare a vedere i ragazzi, ma il pensiero di trovarne uno sveglio e passare per maniaca mi fa arrestare di colpo all’inizio della strada. Sposto il peso da un piede all’altro, poi decido di fare la guardona lo stesso, troppo curiosa di vederli nel loro stato più indifeso.
La prima casa sulla mia strada è quella dei gemelli. Mi avvicino furtivamente, non ricordando bene dove avevo disegnato le camere. Passo davanti a una finestra del salotto e mi sento gelare quando scorgo una luce azzurrina all’interno. Mi avvicino lentamente e mi appiattisco contro il muro, per poi sbirciare dalla finestra: c’è Armin su un divano, la tele accesa e il telecomando in una mano, che penzola dal bordo del divano, come morta. Dev’essersi addormentato mentre la guardava.
Senza pensarci picchietto sul vetro della finestra, prima piano, poi con insistenza, finché non ottengo una minima reazione dal ragazzo, che rotola la testa verso la mia direzione e cerca di mettermi a fuoco con gli occhiettini assonnati che si ritrova. Io scrollo una mano in segno di saluto e gli faccio un bel sorriso. Lui si passa una mano sugli occhi, evidentemente infastidito, poi si alza faticosamente e s’incammina ciondolando verso la cucina. Poco dopo sento la chiave girare nella porta d’entrata e Armin la apre, rabbrividendo orripilato dal freddo della mattina( o notte?). Lo raggiungo sorridendo ed entro in casa, concedendogli di richiudere la porta.
-    Ma sei impazzita? Che ci fai in giro a quest’ora?- Sibila tra i denti, lanciando un’occhiata all’orologio all’entrata, che ora segna le tre e quaranta minuti.
-    Scusa, non riesco a dormire e ho deciso di fare quattro passi-
-    E hai pensato bene di svegliarmi!-
-    Dovresti ringraziarmi! In quella posizione in cui ti sei addormentato ti sarebbe venuto un torcicollo!-
Ribatto sottovoce, aprendo il frigo e prendendo il succo d’arancia, per poi andare alla ricerca di un bicchiere. Il tutto come se fossi a casa mia.
Armin apre un mobiletto e mi porge un bicchiere, sbuffando spazientito.
-    Però ti rendi conto del tuo egoismo?-
-    Un po’. Prima mi dispiaceva doverti svegliare, ma ora mi sta passando-.
Butto giù in un sorso il succo, divertendomi a fare del sarcasmo con quel ragazzo, che non lo capiva minimamente.
-    Terrificante-
-    Dai, prendi un sorso di succo e vedrai che passa-
-    Non fare la gentile adesso!-
Ridacchio sotto voce, poi mi guardo attorno, rendendomi conto di quanto è silenziosa casa loro, con soltanto un lieve sottofondo del televisore. In effetti non abbiamo nemmeno acceso una luce.
Rabbrividisco appena e poso il bicchiere nel lavello, forse con un po’ troppa forza.
-    Fai piano! Alexy dorme!-
-    Scusa, mi è scappato-
Lui scrolla la testa e si dirige in salotto, facendomi segno di seguirlo. Si siede su uno dei divanetti scarlatti e io mi accomodo sull’altro, sentendomi improvvisamente a disagio.
-    Allora: perché non riesci a dormire?-
-    Uh? Ah. Troppi pensieri-
-    Che tipo di pensieri?-
-    Brutti… Penso-
Lui si passa la lingua sulle labbra poi lascia andare un lungo pensiero.
-    A quelli non si può sfuggire. Nemmeno nel Mondo dei Sogni-
Si passa di nuovo una mano sugli occhi, poi il suo sguardo cade sulle consol sparse sotto il televisore, le fissa per un attimo, poi torna a guardarmi con un sorriso.
-    Che ne dici di una partita? Almeno ti distrai-.
-    Non sono pratica-.
-    Meglio per me!-
Senza rendermene conto cado nella sua trappola e afferro una consol con un sorriso competitivo, inducendolo a prenderne la sua compagna.
-    Vuoi la guerra Armin?-
-    Oh, io la vinco la guerra di solito-
-    Vedremo-
Con un gesto teatrale preme un pulsante, il tutto senza staccare gli occhi dai miei, una scintilla di competizione tra noi. Il gioco si apre con squilli di tromba. Armin mi spiega dettagliatamente ogni pulsante della consol, mi da perfino dritte sui personaggi, ma quando inizia la vera battaglia non ho scampo: vengo fatta fuori addirittura dai personaggi controllati dalla TV. E così chiedo la rivincita. E ancora. Ogni volta. Armin porta uno spuntino, poi del caffè. I nostri occhi sono incollati allo schermo e le ore passano inesorabilmente. Quando il sole filtra dalle finestre, finalmente ottengo la mia prima vittoria.
Non riesco a trattenere un urlo vittorioso, alzando braccia e consol al cielo, per poi lasciarmi ricadere sulla schiena ridendo, gli occhi che bruciano come non mai.
-    Non ci credo! Hai barato! Ti sei nascosta tutto il tempo e hai fatto fare il lavoro sporco agli altri!- Si lamenta Armin, lasciando andare la consol stizzito.
-    E allora? Ho vinto, e questo conta! Ad ognuno il suo metodo no?-
-    Sì ma non sei stata leale. Hai fatto morire i tuoi compagni di squadra-.
-    In guerra non ci sono regole, Armin-
Gli tiro un calcio in schiena.
-    E comunque ho vinto-.
Mi metto a sedere e prendo a pizzicarlo, ripetendo che ho vinto, innervosendolo sempre di più.
-    E va bene! Hai vinto!- Esclama alla fine irritato, afferrandomi di colpo il polso e finendo a pochi centimetri dal mio viso. Certo, so di non essere una bellezza ora come ora, e nemmeno Armin brilla di fascino con gli occhi arrossati dalla stanchezza e dalle ore passate davanti al televisore, però il mio cuore si ferma di botto e smetto di respirare, restando totalmente ipnotizzata dalle sue iridi. L’aria sembra fermarsi con noi, poi lui mi lascia andare improvvisamente e si allontana, arrossendo come un pomodoro.
-    Ecco, è colpa tua! Non dovevi punzecchiarmi così!-
-    Colpa mia? Ma se sei tu che ti sei girato all’improvviso!-
Ci diamo la schiena imbarazzati, incapaci di ignorare l’accaduto. Un secondo: se non riesco a passarci sopra, vuol dire che sento qualcosa per lui? Per Armin?! Non lo conosco che da qualche giorno!
Giro appena la testa per vedere la sua capigliatura nera come il carbone.
Evidentemente non sa come comportarsi nemmeno lui.
-    Forse… Forse dovrei tornare a casa. E riposare un attimo. Anche tu dovresti-
Borbotto, alzandomi di scatto.
-    Sì, buona idea-
Si alza goffamente e mi segue all’entrata, evitando il mio sguardo.
-    Beh, grazie della compagnia. E della giocata-
-    Di nulla-
Mi giro e prendo ad incamminarmi, quando lui mi richiama.
-    Azzurra!-
Mi giro sorpresa e lo vedo grattarsi una guancia nervosamente.
-    Io… Sono piuttosto sicuro di non conoscerti. E nemmeno Alexy-
La sua affermazione mi colpisce con la stessa forza di un pugno nello stomaco. Resto a fissarlo sentendo la paura aprirmi gli occhi e deformarmi il viso.
-    Beh, non ne sono sicuro- Cerca di sdrammatizzare goffamente lui.
Resta ancora un attimo sulla porta, indeciso sul da farsi, poi mi saluta e richiude la porta.
Io non riesco a muovermi. Le gambe prendono a tremarmi incontrollabilmente.
Possibile che… I gemelli non esistano?

ROMBO CARAM. MACCH.

Ehilà! Primo punto: se ci sono orrori ortografici vi prego di segnalarmeli subito! Sono un po' stanca e non ho riletto attentamente il testo( chiedo venia). Secondo punto: dopo il capitolo Lysandresco ho cominciato a fare delle one shot con le mie domande esistenziali sul gioco( no comment) e ho cominciato a farmele anche su questa fan fiction. Tipo: Azzurra vivrà o no? Si metterà con qualcuno o resterà single? Cosa devo fare per il prossimo capitolo?XD
Adios e buona notte!

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Quarto passo/ Kentin ***


Sono ancora immobile davanti alla porta dei gemelli, quando sento una mano avvolgere il mio polso e mi fa girare: Kentin è pallido e la sua faccia sembra il riflesso della mia.
-    Hai sentito tutto?- Chiedo in un sussurro.
Si limita ad annuire poi mi tira lentamente verso casa sua, e io mi limito a seguirlo, cercando di fare ordine nei miei pensieri.
Mi tiene la porta di casa e poi la richiude alle sue spalle, per poi dirigersi in cucina con la disinvoltura di chi è a casa propria, mentre io resto in piedi come un palo in mezzo alla stanza, a giocherellare con le mie dita.
Kentin alza lo sguardo, stupito nel vedermi ancora in piedi, e mi indica con un cenno il “divano” arabo per terra. Mi ci lascio cadere sopra come una pera cotta e ci metto poco a scambiarlo per un materasso su cui svaccarmi. Kentin mi raggiunge poco dopo e mi porge una tazza di tè dal profumo speziato e caldo.
-    Hai l’aria stanca. Dovresti riposare un po’-
-    Ho riposato abbastanza negli ultimi tempi-.
-    Azzurra, non fare la testarda: hai una faccia spaventosa. Il discorso di prima a parte-
Giro la testa come se fosse un peso per guardarlo con rimprovero, per poi bere un sorso di tè, che scende caldo per la trachea e sembra intiepidire ogni fibra del mio corpo.
Lui si passa una mano sulla faccia fino all’attaccatura dei capelli, che afferra con forza, per poi lasciare la presa ed alzarsi.
-    Io vado a fare una corsa: era quello che volevo fare quando ti ho incrociata. Tu riposa un po’, d’accordo? Ne riparliamo quando torno-
Solo allora mi rendo conto che in effetti indossa i pantaloni di una tuta. Annuisco e gli sorrido con fare rassicurante, prima di tracannare un’altra sorsata di tè e sospirare con soddisfazione.
Lui indugia un attimo sul posto e sembra che sta per aggiungere qualcosa, ma poi annuisce ed esce di casa. Il silenzio mi salta addosso di botto. Vedo la luce della mattina filtrare appena dalle finestre del soggiorno, coperte da tende arancioni poco trasparenti.
In effetti, l’ambiente ha un “che” di mistico. Con questo divanetto arabo, gli attrezzi e un’amaca appesa vicino ad una finestra…
Poggio la tazza semi vuota per terra e mi stendo più comodamente sui cuscini, seguendo con lo sguardo i giochi di luce che i raggi di sole creano sulle tende e, senza farci troppo caso, chiudo gli occhi e mi appisolo…

Lo vedi? A volte ricordare è male? È male per quale ragione? Perché mette in dubbio alcune cose che davi per scontate? Per esempio. Quindi è vero? I gemelli non sono reali? Non lo so. Ma non sempre ciò che vedi è reale…

“Si è mossa! Hai visto? Dottore, si è mossa!”
“ Sì signora, ho visto, ma il suo battito cardiaco è rimasto invariato. Penso che il suo sia stato solo un tremito. Come quando si dorme e capita che le gambe o le braccia abbiamo uno scatto improvviso”.
“ Però non è mai successo…”
“ Preferisco non darle false speranze, signora…”

Mi sveglio di colpo al suono della porta d’entrata che si apre e si richiude. Alzo appena la testa, assonnata, e scorgo Kentin che si toglie le scarpe, il torace che si abbassa e alza velocemente perché sta riprendendo fiato, i capelli scarmigliati e tracce di sudore sulla maglietta.
Si rialza con uno sbuffo e si toglie la maglietta, una smorfia infastidita agli angoli della bocca. Solo dopo essersi snudato sembra ricordarsi della mia presenza, mettendomi a fuoco nella penombra della stanza. Io non mi sono curata di non fissarlo sfacciatamente, ammirandone il fisico scolpito, però ora mi sento un po’ a disagio.
- Oh, scusa. Mi son dimenticato che eri qui. Dormito bene?-
S’avvia in cucina per prendere un bicchiere d’acqua, senza rimettersi la maglietta, ovviamente. Se hai qualcosa da mostrare, perché nasconderlo?
Mi metto a sedere, stringendomi le gambe al petto il più possibile, cominciando a rimpiangere di non essermene andata: mi sento nella tana del lupo.
-    Uhm… Sì. Fatto una buona corsa?-
-    SÌ… Finché Alexy non mi ha quasi ucciso con un urlo d’oltretomba. Pensavo stesse male, invece se l’è data a gambe non appena mi ha visto-
-    Riesci a convivere con questa sua… Cotta per te?-
Lui sobbalza e mi guarda con occhi sgranati, chiaramente a disagio.
-    C-cotta?-
-    Sì, non sapevi che Alexy preferisce gli uomini?-
-    Sì ma… Cioè sono io quello che ha puntato?-
-    Eddai Kentin, scendi dal mirtillo! Di certo sei il più uomo qui. In effetti ora c’è anche Castiel, però tu spicchi di più comunque…-
Le parole mi muoiono sulle labbra mentre a lui compare un sorriso poco raccomandabile e si scosta dal bancone, avvicinandosi piano piano.
-    Però probabilmente un giorno verrà a dirtelo di persona-.
Continuo, lanciando occhiate furtive alla porta.
-    Quindi sarà meglio che tu pensi a cosa rispondergli-.
Più che vederlo lo sento afflosciarsi su se stesso, a pochi passi da me. Rannicchiato sulle sue ginocchia prende a giocherellare con la frangia.
-    Perché secondo te dovrei anche pensarci?- Ribatte con tono tetro.
Mi sento sollevata nel constatare che non mi servono vie di fuga: ho già smorzato il fuoco del ragazzo con le mie parole.
Lui alza d’un tratto la testa e m’inchioda al divanetto con i suoi occhi smeraldo, persi completamente in qualche parte della sua mente.
-    Ho già visto questa scena-
-    Bello-
-    Tu mi hai già detto di pensare a una risposta da dare a quella ragazza l’anno scorso-
Mi metto sull’attenti, capendo che sta affogando nel filo dei suoi ricordi.
-    E io ti ho risposto esattamente come ho fatto ora, che non avevo bisogno i pensarci. Ma tu non hai capito il messaggio subliminale. Sei proprio tarda a capire queste cose-
-    Ehi! Non me lo faccio dire da uno come te! Cos’è che non avrei capito?-
-    Era già successo alle medie, ma alle medie ero patetico, ma tu non capisci mai! Mai proprio mai!-
-    Cos’è che devo capire?-
Sembra impazzito, ha preso a camminare avanti e indietro davanti a me.
-    Cioè, siamo amici da una vita, siamo praticamente nati assieme! Abbiamo fatto tutto assieme, ma io sono un uomo!-
Mi alzo e lo afferro per le braccia, costringendolo a fermarsi e ad incontrare i miei occhi. Sembra come se mi vedesse per la prima volta.
-    Tu hai ricordi di noi?- Gli chiedo, senza inutili giri di parole.
-    Ma certo! Tu no?-
Evidentemente non è del tutto lucido, ma se voglio capirne di più devo cogliere l’attimo. Scrollo la testa piano.
-    No Kentin, non ricordo. Ma forse puoi aiutarmi tu a ricordare? Hai detto che siamo amici fin da bambini?-
Scrolla la testa con sguardo critico.
-    Lo vedi che non ti ricordi mai di niente? Le nostre mamme sono molto amiche fin dai tempi dell’università, quindi si sono tipo messe d’accordo per avere i figli della stessa età. Voi donne siete spaventose su queste cose! Comunque: Ta-da! Ecco qui i due figli con la stessa età, come loro hanno deciso. Abbiamo imparato a gattonare assieme, a parlare, a scrivere, a tagliare con le forbici… Insomma: eravamo quasi fratelli senza legami di sangue. Abbiamo pure passato tutte le elementari nella stessa classe e giocavamo sempre agli avventurieri. Ti portavo sempre nel bosco vicino a casa mia in cerca d’avventura-.
-    I tassi-
-    Sì, una volta li abbiamo pure visti insieme! Davvero carini quegli animali!-
Sorrise, poi si grattò il naso sovrappensiero.
-    Vediamo un po’: ah sì, poi ho dovuto mettere gli occhiali, subito all’inizio delle medie-.
-    Cosa?! Tu con gli occhiali?-
-    Purtroppo si. E ai tempi ero un fan sfegatato di Harry Potter e, per assomigliargli, scelsi un paio di occhiali rotondi e obbligai mia madre a farmi il suo stesso taglio di capelli. Mia madre non è parrucchiera e non sapeva da dove cominciare, perciò mi mise la scodella dell’insalata in testa e mi tagliò i capelli seguendo quella-
Scoppiai a ridere, mentre lui assumeva un cipiglio corrucciato al ricordo.
-    Ero così deluso che non osai dirle che aveva completamente cannato, perciò mi tenni il mio taglio da Beatles. Tu mi hai preso in giro un sacco, ma lo facevi in modo affettuoso quindi non ci davo troppa importanza. Però alle medie abbiamo smesso di essere in classe assieme, ti sei allontanata e hai stretto amicizia con uno… Come si chiamava-
-    Lysandre-
-    Eeeh?! Era Lysandre?!-.
-    Sì. Chi è che non ricorda mai niente?-
Lui resta con gli occhi sbarrati e meravigliati, la bocca semi aperta e il corpo leggermente piegato indietro, riassaporando i ricordi con la consapevolezza che il mio amico era Lysandre, e non un perfetto sconosciuto.
-    Lysandre-
-    Sì-
-    Caspita-
-    Non ti azzardare… Continua, per favore-
-    Mmm… Ah. Appunto, ti sei allontanata, completamente presa da questo nuovo amico, e io ho capito che non potevo più fare affidamento solo su di te e cercai di stringere amicizia con i miei compagni. Non ci riuscii: mi guardavano tutti strano e deridevano la mia adorazione infantile per Harry Potter. Ben presto diventai lo zimbello della classe e la scuola cominciò a diventare un peso. Però tu eri sempre la stessa con me, e probabilmente è stato questo a farmi continuare in quella situazione fino al liceo. Al liceo è cominciato l’inferno-
Nonostante le sue parole trasudano disgusto, i suoi occhi mi guardano con dolcezza e, prima che me ne renda conto, mi avvolge la vita con le sue braccia appiccicose. Non so come reagire e ho un po’ di paura, ma lui non fa altro che guardarmi con dolcezza, dalla sua altezza.
-    E si, al liceo ho capito che mi piacevi proprio, come donna. Però tu non mi filavi di striscio, ed è normale: ero inguardabile. E oltre alle mie fantasie d’amore, le prese in giro delle medie si trasformarono in vere e proprie cattiverie gratuite e a volte perfino in pugni-.
Scioglie l’abbraccio con un sospiro pieno di sconforto. Io resto immobile come un pezzo di marmo, una piccola scintilla di consapevolezza e che mi dice che non voglio sapere il seguito.
-    C’erano due principali attaccabrighe che sono arrivati per fino a rompermi gli occhiali. Non ricordo chi, ma so che l’odio che provo per loro è uno dei più puri che ho mai provato. Però devo in parte a loro quello che sono oggi: se non mi avessero trattato come uno schifo, forse non mi sarei mai reso conto di esserlo stato. E se non mi avessero fatto a pezzi gli occhiali, probabilmente non avrei mai avuto il coraggio di fare ciò che ho fatto-
-    Cos’hai fatto?- Pendo dalle sue labbra, non c’è scampo.
Lui mi rivolge un’occhiata  grave, poi afferra la sua maglietta e se la rimette, rabbrividendo al contatto del sudore gelato sul tessuto.
-    Mio padre lavora in un campo militare come addestratore. Gli ho detto che volevo andarci-
Beh, tutto tornava ora: il suo comportamento selvatico, il suo corpo da body builder, la sua agilità…
-    Mio padre aveva sempre cercato di convincermi ad allenarmi, perciò quando gliel’ho proposto di mia spontanea volontà per poco non mi si è messo a piangere sui piedi. Mia madre invece era contro questa cosa: è sempre stata piuttosto apprensiva. Ma ormai avevo già deciso e non volevo avere il tempo di ripensarci: quella stessa sera partii per il campo con mio padre. Ricordo che ti ho appena salutato. Eri completamente presa alla sprovvista, ma non ti ho lasciato il tempo di concretizzare la cosa: me ne sono andato sulla jeep di mio padre senza guardarmi indietro-
Prende una lunga boccata d’aria e chiude gli occhi. Per un attimo mi viene il dubbio che si è addormentato in piedi, ma riapre gli occhi di scatto e mi sorride raggiante.
-    Oh! Sei ancora qui? Io vado a farmi una doccia, poi parliamo d’accordo?-
Resto confusa a cercare qualcosa da rispondergli, ma lui si toglie di nuovo la maglietta e si dirige verso il bagno fischiettando allegramente.
Si direbbe che la sua memoria è tornata brevemente, per poi dileguarsi. Questo non ha veramente senso. No, nulla ha senso. Nemmeno cercare un senso nel non sensato ha senso.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Quinto passo/ Azzurra ***


Mi siedo di nuovo sul divanetto, iniziando a mettere assieme i pezzi di ricordi di Kentin con quelli che mi hanno dato gli altri ragazzi. Mi ci vorrebbe un cinema. In effetti, posso averlo.
Mi sto alzando con un sorriso, quando dei colpi pesanti alla porta mi fanno saltare in aria dallo spavento e ricadere sul divano.
-    Ehi, apri Kentin!-
-    Non urlare così tanto-
-    Ma stai un po’ zitto!-
Le voci dei due gemelli mi raggiungono al di là della porta.
-    Abbiamo parlato con Castiel e Lysandre prima, riguardo a un problema che abbiamo con Azzurra! Volevamo sapere cosa ne pensi tu!-
Sulle ultime parole di Armin mi sono infine alzata e ho raggiunto la porta d’entrata, aprendola e ritrovandomi davanti i due gemelli, che ricambiano il mio sguardo sorpresi, quasi spaventati.
-    Perché sei nella casa di Kentin?- Chiede Alexy con fare quasi accusatorio.
-    Hai sentito tutto?- Aggiunge Armin, sgranando gli occhi inquieto.
Li squadro un attimo dalla mia posizione elevata, evitando di soffermarmi troppo su Armin, poi mi faccio da parte e li invito ad entrare. Non appena i due mi passano davanti guardinghi e si fermano in soggiorno, richiudo la porta e li seguo. Al suono della doccia, il viso di Alexy sbianca di colpo, per poi trafiggermi con i suoi occhi violetti pieni di risentimento.
-    Non farti teatrini mentali, Alexy. È appena tornato dalla corsa-. Lo freno subito.
-    Piuttosto: il problema che mi riguarda centra qualcosa con il fatto che non mi ricordate?-
I due gemelli sobbalzano, poi si scambiano un’occhiata eloquente, incerti se mentirmi o raccontarmi la verità.
-    Ci siamo spaventati- Comincia Alexy, prendendo in mano le redini della situazione e lasciandosi cadere su una sedia.
-    Da quando Castiel è qui, tutti sembrano ricordare parti della loro vita in cui tu eri presente, mentre a noi non è successo-.
-    Per di più, quando siamo arrivati, è successo un… Mha, non saprei nemmeno come definirlo, però siamo scomparsi e apparsi un paio di volte, un po’ come se non fossimo qualcosa di concreto-.
Alexy si mordicchia un labbro, gli occhi che vagano per la stanza preoccupati, il fratello invece si è appoggiato al tavolo e resta con gli occhi bassi, le mani strette sul bordo, le nocche bianche.
-    Insomma: Armin ti ha detto la verità, ma non avevamo deciso di farlo. Prima volevamo accertarci che in effetti non eravamo… Veri-
La voce del ragazzo con i capelli color cielo prende una strana piega, Armin subito gli poggia una mano sulla spalla.
-    Stamattina mio fratello mi ha detto che ti aveva per sbaglio detto di non ricordarsi di te, allora abbiamo deciso di agire subito: siamo andati dagli altri ragazzi per chiedere se si ricordassero di noi-.
Alexy s’interrompe di nuovo e tira su con il naso, allora Armin prende parola.
-    Siamo andati per prima cosa da Nathaniel, ma non lo abbiamo trovato. Poi siamo andati da Castiel, che si trovava con Lysandre, per nostra fortuna. Però nessuno dei due sembrava ricordarsi di conoscerci. Ora volevamo chiedere a Kentin-.
Sento lo stesso vuoto di quella mattina crearsi nelle mie viscere.
-    Non dovete preoccuparvi. In fondo, nemmeno Kentin si ricorda esattamente tutti i volti del suo passato-.
Rimango stupita dalla voce forte e rassicurante che mi esce dalla bocca, completamente opposta al mio stato d’animo. I due gemelli sembrano speranzosi. Ripensando alla mia conversazione con Kentin, stringo gli occhi e li osservo attentamente con sospetto.
-    In effetti, ha detto di essere stato vittima del bullismo di due persone, ma non ne ricorda i volti-.
Alexy alza gli occhi pieni d’orrore, portandosi le mani alla bocca.
-    Il mio Kentin? È terribile!-
Armin invece corruga le sopracciglia e mi guarda perplesso.
-    Il Kentin che è in doccia? Chi sarebbe così stupido da prenderlo a botte?-.
Scrollo la testa con un sorriso: è stato stupido da parte mia pensare che potesse trattarsi di loro due. Il suo fan numero uno e il fratello che passa le giornate ad allenare i pollici sulle consol.
Rialzo lo sguardo con un sorriso, anche se dentro mi sento di nuovo male.
-    In ogni caso non preoccupatevi troppo: non posso aver preso dalla mia memoria tutti loro ed essermi inventata voi-.
-    Non è per il fatto di essere veri o meno- Comincia lentamente Armin, gli occhi di nuovo bassi – Ma piuttosto il problema che, se non abbiamo memoria, non possiamo aiutarti-.
Mi trafigge d’un tratto con i suoi occhi color ghiaccio e d’istinto trattengo il fiato. Tra di noi si crea un’atmosfera scomoda, che Kentin rompe uscendo dalla doccia in quel momento, vestito con abiti puliti e un asciugamano sui capelli bagnati.
-    Oh, ma voi che ci fate qui?-

Cammino come un treno fino all’osservatorio e ci entro sbattendomi la porta alle spalle.
Dopo l’entrata in scena di Kentin, ne ho approfittato per darmela a gambe, lo stomaco in subbuglio per le emozioni contrastanti che provavo: la paura di scoprire che i gemelli non esistono, e qualcosa di Armin che, da questa notte, mi manda in tilt senza ragione.
Mi lascio cadere su un seggiolino color prugna con un sospiro e alzo lo sguardo sulla cupola ricoperta di stelle artificiali.
Il vero problema è un altro, e lo so bene. Sta al centro di tutta questa situazione e ronza sommessamente in un angolo del mio cervello ad ogni ora del giorno. Quanto tempo mi resta? Ce la farò? Il tempo. Esserne schiavi è terribile.
Socchiudo gli occhi seguendo le costellazioni sopra la mia testa di cui non so i nomi.
-    Pensavo che prima o poi ti saresti accorta di non essere sola-
Sobbalzo e sento il cuore filarmi in gola e restarci incastrato. Mi guardo in giro e l’occhio mi cade su una testa rossa poche file più avanti, un sorriso beffardo che risplende alla tenue luce della sala.
-    Ah, non ti avevo visto-
-    Me n’ero accorto-
-    Niente Lysandre oggi?-
-    Niente Lysandre. Solo io-
Il silenzio ricade sulle nostre teste come un velo pesante, che lui rompe con un sospiro affranto, prima di alzarsi e raggiungermi su una poltroncina al mio fianco.
-    Manchi proprio di romanticismo zuccherino. È sei ingorda: non ti basto io?-
Mi passa un braccio sulle spalle e mi sorride con fare viscido. Tolgo la sua mano dalla mia spalla.
-    Non è quello che intendevo-
-    Cuore di ghiaccio-
-    Mano facile-
-    Aspetta questo è un colpo basso, non è che le allungo sempre su tutto ciò che si muove-
-    Questo è da vedere-
-    Maligna-
Scrollo le spalle e gli lancio un’occhiata di sufficienza.
-    Guarda questa, non solo interrompe il mio sonnellino entrando come un’esaltata, ma ora mi giudica pure!-
-    Ah dormivi? Ma non puoi dormire a casa tua come la gente normale?-
-    A casa mia non ho un cielo gratis-
Apro la bocca in un muto “aaah” e rivolgo la mia attenzione di nuovo al soffitto stellato.
Restiamo un attimo in silenzio di nuovo, immersi nei nostri pensieri. Nemmeno mi accorgo che lui appoggia di nuovo la mano sul mio schienale.
-    Sei preoccupata?-
-    Ti sembro preoccupata?-
-    A fare due più due sono capaci anche i mocciosi. Certo che sei preoccupata!-
-    Grande, sei bravo in matematica?-
-    Wow, vai forte col sarcasmo oggi?-
Abbasso d’un tratto lo sguardo, rendendomi conto di quanto in effetti sono acida.
-    Suppongo di essere preoccupata-
-    Per la storia dei gemelli-
-    Sì… No aspetta, come fai a saperlo?-
-    Sono venuti a cercarci stamattina. Sai com’è Alexy: dagli una caramella e ti racconterà tutta la storia della sua vita-.
-    Tu che ne pensi?-
Sembra sorpreso che m’importi d’un tratto del suo parere, ma non commenta e si fa serio.
-    Non so cosa pensare. Come sai, l’unica cosa che voglio ora è farti tornare indietro, ma non c’è alcuna certezza sul metodo che stiamo usando-.
-    E cosa ne pensi di loro due?-
-    In che senso?-
-    Pensi che… Me li sono inventati?-
Lo vedo sorridere divertito.
-    Non si può dire che non ti somiglino un po’. Soprattutto quello gaio-
-    Castiel!-
-    Ma è vero! Parlate tutti e due a vanvera, perdete la testa per il primo che vi capita sotto tiro, non usate mai la materia grigia che Madre Natura vi ha dato prima di fare le cose… Ora mi sto proprio convincendo che te li sei inventati-
-    Io non perdo la testa per il primo che mi capita a tiro!-.
-    Hai sentito solo quello di tutta la mia spiegazione?-.
-    E figurati se mi sarebbe mai venuto in mente di disegnare un ragazzo dell’altra sponda!-.
-    Ecco, l’abbiamo persa-
 Mi fermo per riprendere fiato e rifletter un attimo: Alexy può anche somigliarmi, a parere di Castiel, ma Armin?
-    Che mi dici di Armin allora?-
-    Armin?-
Si fa perplesso, senza curarsi di nascondere di non ricordare chi fosse costei.
-    L’altro gemello-
-    Ah, quello che non esce mai di casa-
-    Ci esce a volte-
-    Okay, non arrabbiarti. Quello… Mmm…Bha-
Prende a giocherellare con una ciocca dei miei capelli, distraendosi volutamente.
-    Non so cosa fare. Fin ora ho continuato nell’incertezza che tutti voi foste veri, poi sei arrivato tu e hai smentito tutto. Mi sono convinta che vi avrei rivisti tutti appena sveglia, quindi mi ero messa il cuore in pace. Poi però salta fuori che non è per forza così e… Penso di non essere pronta a separarmi da loro-.
-    Ti piacciono così tanto? Io li trovo dei pagliacci e basta-
-    Perché non li conosci e non ti sforzi di farlo! Alexy mi capisce al volo e Armin sa essere molto premuroso…-
-    Cosa? No, aspetta, perché arrossisci?-
-    Non sto arrossendo!-
-    E cosa allora? Ti stai trasformando in un pomodoro felice?-.
-    Un “pomodoro felice”?-
-    Non cambiare argomento! Che ti ha fatto quello?-
-    Ma niente, ti giuro! Mi ha solo consolata un po’-
-    Quindi ti ha messo le mani addosso, quel porco!-
-    Castiel! Ma stai uscendo di melone? Perché dev’essere sempre tutto sconcio o violento per te?-.
Mi rivolge un’occhiata truce e si avvicina pericolosamente a me, i nasi quasi che si sfiorano.
-    Smettila di pensare a lui. Lui non va bene per te-
-    Ma sentilo! Chi sei: mio padre? Scelgo io con chi stare-
-    Allora è così-
-    No, non lo è. E ora smettila di scocciarmi-
Mi rivolge un verso stizzito, poi si allontana, ritraendo il braccio dal mio schienale.
Sono troppo immersa nei miei pensieri per farci caso: d’un tratto ho capito che cosa devo fare.
Mi alzo di scatto facendo sobbalzare il mio vicino e poi mi volto, pronta alla mia nuova impresa, ma lui mi ferma per un braccio.
-    Dove vai?-
-    Devo fare una cosa-
-    E non saluti nemmeno?-
-    Mi sembra che abbiamo appena finito di litigare-.
Si alza, sempre senza lasciarmi il braccio.
-    Vero, però non è una scusa per fare i maleducati-.
Mi giro di scatto, sentendo la mia pazienza incrinarsi e succede, proprio come lui aveva pianificato. E io ci casco come una stupida. Appena mi giro lui mi afferra per le spalle e mi bacia. Sulle prime sono talmente sorpresa che acconsento quasi al suo tocco delle sue labbra calde e bramose, ma poi mi riprendo e serro fermamente le mie labbra, cercando di spingerlo via. Lui se la prende comoda, e quando finalmente si stacca, mi rivolge un sorrisetto furbesco, scansando i miei pugni senza difficoltà.
-    Me lo dovevi, per tutte le giornate che ho passato al tuo capezzale-.
E così dicendo, se ne va allegramente, lasciandomi in mezzo alla sala tremante di rabbia e di confusione.

Ma Nathaniel? Dov’è sparito da un po’ di tempo?
Se diamo un’occhiata nel Regno dei Sogni, posiamo vedere Castiel che sta uscendo dall’osservatorio con un sorriso soddisfatto(un evento raro, ci terrei precisare), Lysandre in spiaggia che sta scribacchiando nel suo quadernetto. I gemelli stanno uscendo dalla casa di Kentin proprio ora, o meglio: Armin è uscito, Alexy è avvinghiato a Kentin, che sta cercando in tutti i modi di buttarlo fuori a calci.
Ma Nathaniel? Facciamo scorrere di nuovo lo sguardo tutt’attorno, sbirciamo perfino nelle finestre delle case, ma lui non c’è. No, eccolo! Vicino alla sorgente, seduto contro l’albero dove Azzurra si è “svegliata”! Un secondo, ma ha gli occhi chiusi? Sta dormendo? Oppure….

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Sesto passo/ Nathaniel ***


Sono accucciata davanti al prato che confina con l’osservatorio, i gomiti poggiati sulle ginocchia e la testa adagiata sulle mani. Dovrei disegnare, ma la mia mente è completamente assente, i miei occhi lo confermano. Sono stata baciata. Da Castiel. A random.
Mi do un paio di schiaffetti sulle guance per cercare di riprendermi, ma ottengo solo l’effetto di accasciarmi con la testa tra le braccia e un lungo sospiro.
D’accordo, le cose stanno così: Castiel mi è sempre sembrato un cane che abbaia ma non morde, e non mi sarei mai aspettata un gesto così avventato da parte sua. E ne sono scossa. Non so cosa pensare.
Sento d’improvviso un braccio cingermi le spalle, facendomi sobbalzare. Alzo di scatto la testa e mi ritrovo un Alexy sorridente.
-    Mi hai fatto prendere un colpo!-
-    Scusami, non volevo. Mi sembravi così pensierosa, ti ho interrotta?-
-    No. Hai fatto bene-
Mi rialzo in piedi e lui mi segue, mettendosi le mani in tasca.
-    Cercavo giusto te. Ho una sorpresa-
Gli annuncio sorridendo, imponendo a Castiel di starsene in un angolino insignificante della mia mente.
Alexy sgrana gli occhi e fa una boccuccia da pesce.
-    Per me?-
-    Sì, chiudi gli occhi-
Si spiattella le mani sugli occhi con un sorriso furbesco.
-    Non sbirciare!- Lo riprendo ridendo, costringendolo a togliersi le mani e a restare semplicemente ad occhi chiusi.
Non appena sono certa che non stia curiosando da sotto le palpebre, torno a concentrarmi sul prato, mosso da un leggero venticello.
Non è un progetto colossale come l’osservatorio qui di fianco, ma sarà altrettanto complicato. Per prima cosa cerco di fare ordine nel mio progetto e di renderlo meno sconclusionato degli altri. Posiziono i vari blocchi come pezzi di tetris e, quando infine mi ritengo soddisfatta, faccio schioccare le articolazioni delle dita e mi preparo a farlo diventare reale.
Comincio dalle fondamenta e proseguo piano per piano, come riempiendo una bottiglietta di sabbia colorata. L’immagine non mi da alcun problema e in quattro e quattr’otto, l’ombra dell’edificio ci bagna. Probabilmente sono diventata più abile e resistente, visto che ho ancora l’energia per disegnare almeno altri due edifici di questo tipo.
Poggio le mani sui fianchi con orgoglio.
-    Ora puoi aprirli!-
Alexy li spalanca di colpo, troppo curioso per resistere un secondo di più. Il suo viso s’illumina come una stella alla vista del centro commerciale che ho appena eretto.
-    Non davvero-
-    Invece sì. Provare per credere-
-    Oh, Azzurra…-
Mi stritola in un abbraccio assassino che mette dei dubbi alle sue preferenze anatomiche, poi mi lascia andare di colpo e si dirige saltellando verso l’entrata, decorata da un grande striscione inaugurativo. Lo segue riprendendo fiato e mi fermo al suo fianco all’entrata.
-    Cioè, posso davvero?-
-    Ma certo!-
Lui ridacchia entusiasta e allunga una mano verso le porte in vetro, che scorrono silenziose all’avvicinarsi  delle sue dita.
-    Ah, ecco cos’era tutto questo baccano!-
Ci giriamo e troviamo Castiel, Armin, Lysandre e Kentin che studiano il nuovo centro commerciale.
Alexy sorride di nuovo e poi mi afferra per un polso, trascinandomi dentro, eccitato come un bambino.
Scopro che girare per negozi con Alexy può essere fantastico ed estenuante allo stesso tempo: amante dei vestiti com’è, per poco non mi fa provare l’intero negozio, tocca qualsiasi cosa gli capita attorno e sembra non stancarsi mai. Passando come dei razzi davanti alle vetrine, riusciamo a scorgere Armin e Kentin nel negozio di elettronica che discutono animatamente su un qualche gioco, mentre Castiel e Lysandre sono assorti nel reparto CD, alla ricerca di chissà cosa che solo loro conoscono.
Mentre sfrecciamo da un negozio all’altro, ho appena il tempo di gonfiarmi d’orgoglio alla vista dei dettagli e delle strutture solide che ho disegnato.
Lancio un’occhiata al mio accompagnatore, che sta cianciando con una cassiera secondo i colori di una determinata maglietta, e il mio cuore si riempie di una triste malinconia.
Chissà se capirà che questo è il suo giorno. Chissà se capirà che è sia un regalo d’addio che di scuse. Se mai lo rivedrò, almeno gli ho dato l’unica cosa che mi ha chiesto da quando è qui…
Scrollo la testa per liberarmi di quei pensieri infelici, e mi accorgo che Alexy mi sta richiamando con un sorriso allegro, che mi affretto a ricambiare, prima di raggiungerlo.
Sì, sembra felice. Meglio non guastare questa giornata di riposo per tutti.
Dopo aver passato tutti i negozi della struttura, ci abbandoniamo esausti sui divanetti di un baretto. Oh meglio: io sono esausta e mi affloscio come un gelato squagliato, Alexy sembra ancora in grado di far ripassare ogni piano del centro commerciale.
-    È stato fantastico! Un sogno! Fare shopping senza dover pagare… Wow!-
Esclama, non appena manda giù una grande sorsata del suo frullato di frutta.
-    Devo ammettere che questa è stata una delle mie trovate più geniali- Ammetto con falsa modestia.
-    Hai proprio ragione! Brava Azzurra!-
Ci scambiamo un sorriso d’intesa, prima di venire raggiunti dagli altri quattro ospiti.
Armin e Kentin stanno ancora discutendo, Castiel e Lysandre invece si siedono soddisfatti accanto a noi.
-    Ora che ci penso: dov’è Nathaniel?-
Chiede Alexy, tirando su dalla cannuccia un’altra sorsata.
Li studio uno a uno allarmata, rendendomi conto solo ora che lui non c’è e non c’è mai stato. Mi alzo di scatto, facendoli sobbalzare tutti.
-    Vado a cercarlo-
-    Sarà a casa a fare la muffa, come sempre. Stai qui con noi-.
Castiel mi poggia una mano sulla vita con fare suadente e un brivido gelato mi percorre la schiena. Gli sposto la mano bruscamente e gli rivolgo un’occhiata feroce.
-    Vado a cercarlo. Ci vediamo più tardi-
Così dicendo chiudo la faccenda e mi dirigo a passi svelti verso le scale mobili, che percorro a corsa. Non so da cosa parte questa brutta sensazione, ma sono piuttosto certa che Nathaniel non è a casa o in biblioteca.
Esco di corsa e parto alla volta dell’osservatorio, il luogo più vicino in cui posso trovarlo. Sbatto la porta ed entro con malagrazia, rischiando d’inciampare. Controllo tutte le file di sedili ma niente, esco sulla passerella deserta e cerco sulla spiaggia sotto di me. Niente. Torno indietro come un razzo e entro nei fast food, chiedendo informazioni, ma nessuno ha visto il ragazzo biondo. Il panico comincia ad assalirmi quando non lo trovo nemmeno nella scuola, accertandomi di controllare in ogni classe. Torno all’incrocio con i fiatone e la paura che mi fa tremare. Nathaniel non mi ha mai parlato del suo passato. Possibile che sia scomparso?
Mi rimetto a correre, orripilata all’idea, e decido di tenere la foresta per ultima, ben sapendo che lui non ci si è mai avvicinato e anzi, ha sempre mostrato una sorta di insofferenza per quell’ammasso di alberi. Mi ritrovo allora a correre verso la sorgente e il cancello d’argento, un luogo che non visito dai primi giorni in cui sono arrivata. Le mie gambe mi dicono che è il posto giusto. Rallento a pochi metri dal cancello e lo vedo: seduto contro l’albero della vita, gli occhi chiusi e il viso pallido. Le mani abbandonate sull’erba.
In poche falcate raggiungo il cancello e lo apro, per poi precipitarmi verso il ragazzo.
-    Nathaniel! Mi senti? Cos’è successo?-
Lo scuoto malamente, troppo impaurita per darmi una calmata. Gli cerco il battito sul collo e sul polso e mi sento morire quando lo sento flebile ma regolare.
Gli tasto braccia, spalle, torace e gambe in cerca di ferite, ma non ne trovo: altra cosa che mi fa calmare un poco.
-    Nathaniel-
Lo chiamo di nuovo, senza ottenere risposta. Gli scosto i capelli color grano dal viso e un pensiero terrificante entra a forza nella mia mente: è probabile che io sono così com’è lui ora, nella realtà in cui sono in coma.
-    No, no no no! Nathaniel! Non può essere, non è vero! Non andartene così! Non adesso!-
Prendo a scuoterlo febbrilmente, a tastargli le guancia e a stringergli le mani.
-    Nathaniel-
Mi esce un sussurro strozzato, e mi rendo conto che sto perdendo il controllo di me, diventando la ragazza debole che non volevo più essere.
Cerco di riprendere il controllo di me e mi do un’occhiata attorno. La fonte. Acqua. Devo dargli dell’acqua.
Mi alzo decisa, ma d’un tratto mi sento tirare di nuovo a sedere e mi accorgo che Nathaniel mi ha afferrato una braccio. Potrebbe anche essere una scena inquietante, se non fossi così preoccupata per lui.
-    Azzurra?-
Riesce a mormorare con voce gracchiante.
-    Sì sono io! Cos’è successo?-
Invece di rispondermi, aumenta la stretta sul mio polso e mi sento trascinare in un vortice di immagini e suoni. Mi sento come in un mulinello colorato che si mette a fuoco piano piano. Vedo scene della mia vita che si erano assopite nella mia memoria. Vedo Kentin nella foresta che mi porge una mano paffuta per aiutarmi a salire un albero. Vedo Lysandre che mi lascia salire sul bus, la prima volta che ci siamo parlati. Vedo Castiel guardarmi in cagnesco dal divanetto. Mia madre, mio padre, i miei amici, i miei parenti, tutto. Come uno tsunami colorato, la consapevolezza torna in me. Vedo Nathaniel. Non il Nathaniel che ritrae la mia coscienza dei sogni, no, un Nathaniel che sembra vero, appena fuori la porta di un’aula scolastica, che guarda con chiaro disprezzo la massa allegra di studenti che gli passa davanti.
Voglio cogliere quel ricordo, ma quello mi sfugge tra le dita come fumo, per ricrearsi sotto forma di Kentin alle medie, con gli occhiali e il taglio fallito da Harry Potter.
Voglio vedere tutto, non voglio perdermi un istante di quel tripudio d’immagini ma, così come è cominciato, quello finisce, e io mi ritrovo di fianco all’albero con ancora la mano di Nathaniel stretta sul polso. Lui respira affannosamente.
-    Hai visto?-
-    Sì… I… I miei ricordi?-
Il suo viso si rilassa e annuisce appena.
-    Come…-
-    Azzurra, non c’è rimasto molto tempo. Io sto svanendo, il sogno sta svanendo. Devi tornare indietro e svegliarti, o resterai in questo stato. Anzi no, non ci sarai più, sarai morta-.
-    Nathaniel, così mi spaventi! Che devo fare?-
Tossisce un poco e apre piano gli occhi dorati, che ora sembrano offuscati e cechi.
-    Devi addormentarti, qui dove sono io. Ho sbagliato, ma ora non posso spostarmi-
Si ferma un attimo, poi allarga piano le braccia, invitandomi ad addormentarmi sul suo petto.
-    Ma… Egli altri? Che ne sarà di loro?-
-    Sono solo… Immagini-
Ho paura, è tutto così improvviso… Ma non ho più tempo. Abbraccio il Mondo dei Sogni con uno sguardo, e riesco ad immaginare i cinque ragazzi seduti ancora al bar, a ridere e parlare, prendendosi in giro tra loro. Una lacrima mi riga la guancia destra, riportandomi al mio compito.
Mi giro verso il ragazzo, che sta diventando sempre più magro e grigiastro in volto. Mi accuccio accanto a lui e poggio il capo sul suo petto ossuto, chiudendo piano le palpebre.
È finita. Ora comincia la vera battaglia. No, non sono pronta, avrei voluto avere più tempo, conoscere di più loro e questo Mondo. Avrei voluto capire i miei sentimenti ambigui. Avrei voluto un sacco di cose, ma ormai è inutile rimpiangere il passato. Ora è tempo di combatter contro il mio stesso corpo.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Tutto è bene quel che finisce bene ***


Il bianco mi sommerge di nuovo, come la prima volta.
Nathaniel?
Nessuna risposta.
Mi muovo insicura, corro, ma niente, tutto sembra gelatinoso, vuoto, silenzioso e senza sapore. I miei piedi nudi sprofondano in quella massa, che sembra affamata di me. Alzo una gamba, insicura, osservando pezzi di massa bianca staccarsi da esso in grumi gelatinosi. Corro ancora, ma non sono che avvolta da bianco. Apro la bocca, ma la mia voce è muta. Ho paura, non voglio andare avanti così. Sento il bisogno di urlare la mia rabbia, la mia insicurezza, la mia perdita, il mio dolore. Apro la bocca in un urlo silenzioso, butto fuori il fiato finché i polmoni non mi bruciano. E ancora, di nuovo. Mi accascio al suolo e comincio a prendere a pugni quel terreno bianco e molle. Le lacrime escono come una piccola eruzione dai miei occhi, formando piccole pozze deformi su quel suolo instabile. Le mie mani affogano in quella gelatina, sempre più a fondo, finché esausta, mi fermo a riprendere fiato tra un singhiozzo e l’altro.
Io ricordo! Non dimenticherò più! Io voglio la realtà.
Mi metto a sedere sulle ginocchia, il viso alzato verso quello che potrebbe essere l’alto, ma anche il basso per quanto ne so. Le mie ginocchia affondano sempre di più, io sono impotente, di nuovo. No, mai più. Mi alzo con un balzo e stringo i pugni aprendomi in un nuovo urlo. Mai più schiava di me stessa! Mai più! Chiudo gli occhi e concentro tutti miei sentimenti nella mia mente, decisa ad abbattere quella barriera che mi tiene imprigionata nel mio stesso corpo.
Le comunico quanto la odio e la disprezzo. Le dico che non sarò mai più succube di lei.  Che ormai ha perso. E io ho vinto. Mi concentro su quella massa di emozioni intense e, proprio come nel Mondo dei Sogni disegnavo, qui creo una palla e la scaglio con tutta me stessa contro quel blocco.
 
Le macchine attorno al letto della paziente sembrano riprendere vita esattamente come lei, quando un piccolo rantolo le esce dalla bocca. La donna che sta leggendo un libro seduta accanto al letto della figlia, s’immobilizza di colpo e lancia un’occhiata timorosa ai macchinari. Li studia per un po’ attonita, poi lancia un urlo ed esce dalla stanza di corsa, in cerca di un’infermiera o un medico. La ragazza lancia un altro rantolo, poi un flebile respiro le esce dal naso, mentre la sua bocca si muove appena e gli occhi prendono a muoversi sotto le palpebre.
Un medico e diverse infermiere entrano di corsa nella stanza, vociferando con la madre della ragazza, che ha gli occhi lucidi e il fiato corto. Il personale medico comincia a lavorare attorno al letto della giovane, aiutandola a compiere l’ultimo passo per uscire da un coma durato esattamente un anno e un mese.
 
Sento una pace smisurata attorno a me. Sono nel nero, ma questo nero è diverso. Non è vuoto e terribile, si muove attorno a me ed è intriso di suoni e ronzii. Vedo puntini di luce attraverso le mie palpebre giocare e scappare dal mio sguardo. C’è qualcosa di regolare in me qualcosa che non sentivo da molto. Riesco a percepire il mio respiro riempire il cuore d’ossigeno, un cuore che batte regolare. Ce l’ho fatta. È solo una consapevolezza, ma ce l’ho fatta. Sono tornata.
Vorrei alzarmi a sedere, vorrei piangere di gioia fino a svuotare il mio corpo da ogni goccia d’acqua, vorrei saltare e correre. Ma son troppo stanca. Questa pace, voglio godermela ancora un po’.
 
- … Miracolo! Dev’essere successo qualcosa che la scienza non sa spiegare-.
-  Grazie, dottore. Grazie di tutto. Lei ha salvato nostra figlia. Le saremo debitori per sempre-
-  Mha, non sono così sicuro di averla salvata, penso piuttosto che lei abbia fatto da sé-.
- Siete troppo modesto dottore-
Apro piano gli occhi, godendomi il suono vellutato di quelle voci. Vengo abbagliata da una luce e mi affretto a richiudere le palpebre.
- Penso si stia svegliando, vi lascio soli-
Sento il dottore uscire e i miei genitori avvicinarsi al letto e, quando mi decido a riaprire gli occhi sorridendo, mi ritrovo i loro visi sconvolti e felici come non mai davanti.
Mia madre sta già piangendo, il viso ovale e un po’ incavato contratto dal dolore, una mia mano avvolta tra le sue, vicino alla sua guancia. Sento il respiro caldo dei suoi singhiozzi sulla pelle. Giro piano la testa e vedo mio padre, quasi aggrappato all’altra mia mano, il viso affondato nelle lenzuola del letto dell’ospedale, le ampie spalle da muratore scosse dai singhiozzi.
Poso di nuovo la testa sul cuscino, non riuscendo a trattenere un sorriso pieno di gioia e soddisfazione. Non c’è bisogno di parlare, la stretta dei miei genitori dice tutto. E la mia testa ora è di nuovo piena. Il delicato puzzle di ricordi è tornato al suo posto, ogni tesserina incastrata perfettamente con le sue compagne. Del mio sogno ho un vago ricordo, ma non è importante.
Sento una lacrima calda scivolare su una guancia. Una magnifica lacrima di felicità.
- Bentornata, piccola mia- Riesce a singhiozzare mio padre, stringendomi la mano con dolcezza.
 
Sono passate alcune settimane dal mio risveglio e finalmente posso tornare a casa. Dopo il mio risveglio, tutti i miei amici sono venuti a trovarmi, felici e sollevati come mai prima d’ora. Kentin è pure scoppiato a piangere quando mi ha vista.
Sto infilando i pochi vestiti che mia madre aveva portato in ospedale in una borsa, quando dei colpi leggeri alla porta mi fanno alzare lo sguardo. Castiel mi rivolge un ghigno dalla porta, affiancato da un Nathaniel imbarazzato, un Kentin evidentemente emozionato e un Lysandre leggermente spaesato. Il primo che mi si avventa addosso ovviamente è Kentin, che mi stritola subito in un abbraccio assassino.
- Ma guardati! Sei in piedi!-
- E hai un aspetto molto migliore di due giorni fa. Come ti senti?-
Aggiunge Lysandre, dandomi un paio di colpetti affettuosi sulla testa.
- Direi bene! Le mie gambe sono ancora deboli e a volte cedono all’improvviso, ma sono sicura che con un po’ di movimento torneranno in forma!-.
Sorrido ai due ragazzi e rivolgo la mia attenzione agli altri due.
- Ci siamo incontrati per strada- Precisa Nathaniel. Evidentemente si sono ripromessi di evitare litigi inutili quel giorno.
- E non siamo soli!-
Aggiunge Castiel, scostandosi e mostrando una minuta ragazza dai capelli viola acceso.
- Violet!- Esclamo incredula, avvicinandomi a grandi passi a una delle mie uniche amiche femmine.
- Azzurra… È così bello vederti… In piedi-
Balbetta lei, prima di scoppiare a piangere e gettarmi le braccia al collo con un trasporto inaspettato.
- Eh sì, ci hai proprio fatto stare in pensiero!-.
Aggiunge Castiel severamente.
- Da quell’incidente in macchina, tuo padre si è scaricato tutta la colpa addosso dicendo che è stata colpa sua perché era lui che stava facendo scuola guida con te, e che sarebbe dovuto essere lui al tuo posto-.
Un silenzio pesante ci avvolge, così lo rompo subito con una scrollata di spalle e una risatina.
- Il solito, sempre a rivangare il passato. In ogni caso è andata, non ripensiamoci ora!-.
- Sì, hai ragione. Volevamo andare a fare un giro tutti assieme-.
M’informa Lysandre, con un bel sorriso caldo.
- Oh! Ho sentito che hanno aperto da poco un game center!- Salta su Violet, la voce traballante per il suo evidente timore nei confronti di Castiel.
- Sì! Andiamoci!- S’entusiasma Kentin, guardandomi come un cane scodinzolante.
- Perché no?- Acconsento sorridendo.
Infilo le ultime cose nella borsa e la chiudo. Nathaniel me la prende di mano prima che possa anche solo provarci.
- Non dovresti affaticarti-
- Grazie. È bello avervi di nuovo vicini, anche se…-.
M’interrompo, sentendo quell’odioso vuoto di memoria che si prova quando si cerca di ricordare un dejà vu. Scrollo la testa e mi limito a sorridergli, seguendo il resto della banda mentre usciamo. Mi sento afferrare per un spalla e poco dopo mi ritrovo un braccio di Castiel attorno al collo. Subito allertata, mi preparo ad autodifendermi.
- Anche se in fondo ci siamo sempre stati, giusto?- Continua la mia frase in un sussurro.
Sobbalzo e gli rivolgo un’occhiata sconcertata: per caso lui ricorda tutto?
Lui ricambia il mio sguardo e poco dopo un angolo della sua bocca poco affidabile s’increspa.
- Ah, sei così vicina che potrei baciarti in un secondo. Però aspetta: non l’ho già fatto?-
- No. Non è possibile-
Mi scrollo il suo braccio dalle spalle e mi affretto a tornare al fianco di Nathaniel, lasciando il rosso perso nelle sue riflessioni.
Il biondo mi rivolge un’occhiata poco felice e torna a guardare dove sta mettendo i piedi.
- Dimmi- Lo incito, riconoscendo lo sguardo di chi vorrebbe esprimersi ma non ci riesce.
- Non è importante-
- Andiamo, non farti pregare!-
- Pensavo solo a quanta gente fastidiosa hai attorno: quell’idiota qua dietro, un pazzo scatenato che entra in classe dalle finestre, uno così smemorato che potrebbe dimenticarsi l’indirizzo di casa da un giorno all’altro… E poi io. Una persona sprezzante che sta sempre a giudicare tutti e tutto-.
Arrossisce lievemente e sembra corrucciarsi. Mi scappa un sorriso.
- E io, famosa per la mia impulsiva e caotica personalità, vi ho raccolti tutti sotto la mia ala. Caspita Nathaniel! Sei profondo!-.
- Fai un po’ silenzio, tu e le tue filosofie mattutine-.
Scoppio a ridere alla vista della sua espressione pentita.
- Però… Lo sai-
- Cosa?-
- Quello che hai fatto per me. Ti devo gran parte della mia nuova vita-
- Non mi serve. Mi basta un gelato a tre gusti, cioccolato, caffè e fior di panna!-.
Le sue labbra fini s’increspano in un sorriso e mi dà un buffetto sul naso.
- Facciamo le modeste ora?-
- Ma no, io il gelato lo voglio davvero! E poi, se sei riuscito a fare un passo avanti, lo devi a te stesso, non a me!-.
MI affretto a raggiungere Violet, Lysandre e Kentin, non accorgendomi dell’occhiata significativa del biondo.
 
 
- Armin! Ci siamo già stati ieri al game center! Avevi promesso che oggi avremmo fatto quello che volevo io!- Brontolò il gemello dai capelli stinti, con vocetta infantile e poco virile, e il viso imbronciato. Il gemello liquida le sue lamentele con un gesto svogliato della mano.
- Solo mezz’oretta Alexy, che ti costa? Concedimelo come terapia pre-shopping-.
- Quella mezz’ora si trasformerà in tutto il pomeriggio!-
- Allora perché non ci vai con i tuoi amici a far shopping?-
Alexy si ferma di botto arrossendo, sentendosi ferito dal tatto pari a zero del fratello.
- Lo sai che non ho amici-
- Allora con le tue amiche-
- Armin! Smettila!-
- D’accordo! Scusa! Come sei permaloso oggi!-
I due varcano le porte scorrevoli del game center, con i visi imbronciati spaventosamente uguali. L’attenzione dei due viene subito catturata da un gruppo di liceali che sta facendo un baccano assurdo attorno a una postazione di bowling. Quattro ragazzi e due ragazze.
Lo sguardo di Alexy si soffermò sulla ragazza dai capelli lunghi color biondo cenere, che sta ridendo per un tiro fallito di un suo compagno.
- Ehi Armin, ma tu la conosci quella? Io penso di averla già vista-
Non ricevendo risposta dal gemello, si gira verso di lui e lo trova imbambolato a guardare la stessa ragazza. Come se avesse percepito il loro sguardo, la ragazza si gira e li inchioda con i suoi due occhioni color miele, che si aprono ancora di più non appena li vede. Si alza di scatto attirando l’attenzione dei compagni, che girano lo sguardo su di loro e restano indifferenti.
- Io… La conosco?- Mormora Armin.
Lei si avvicina a grandi passi, gli occhi che le brillano, per poi fermarsi davanti a loro.
- Uhm- Comincia Armin, iniziando ad innervosirsi.
- Forse sono sfrontata, ma ho l’impressione di avervi già visti da qualche parte-.
- Sì, è probabile- Afferma Alexy, studiando la ragazza sfacciatamente.
- Però… Non ricordo i vostri nomi-
- Alexy. Lui è Armin. Piacere!- Il ragazzo deve aver deciso che lei gli piace, perché d’un tratto si apre in un sorriso quarantadue denti e le afferra la mano, scrollandola allegramente. Armin non ha ancora detto una parola, sembra quasi che si sia inghiottito la lingua.
- Io Azzurra, piacere! Vi piace il bowling?-
- Ci puoi scommettere!-
- Perché non vi unite a noi?-
Questa volta lei si rivolge direttamente ad Armin, ancora intento a cercare di ricordare dove ha già visto questa ragazza spigliata. Si riscuote ed annuisce, per poi seguire il fratello ed Azzurra verso il gruppo di liceali, troppo confuso per fare chiarezza. Vabbè, poco importa: è quasi sicuro di sapere che la ragazza non è portata per i giochi…
 
                                                                                                  FINE

ANGOLINO CARAM. MACCH.

Rullo di tamburi: mi sono autoproclamata vincitrice del premio volpe per aver finalmente capito l'html( dopo qualcosa come 22 capitoli :,) ). Tralasciando questo fatto di poca importanza.... Oddio, è finita! Cioè, FINITA!...... Non ho già più nulla da dire, sono una delusione d'autrice XD Bhe, vi ringrazio tantissimo per essere arrivate fino qua e spero di avervi soddisfatte( anche se gli indici di letture parlano chiaro ahahahah). In ogni caso, vi posso dire che questo capitolo è terminato con un bel "fine" in grassetto, ma ci sarà ancora un piccolo estratto in cui chiarirò la storia di Nath e Azz( non potevo lasciarla senza nomignolo), quuuuuindi.... Spero che non ne abbiate già le scatole piene o che nutriate un odio profondo per Nathaniel( quello del mondo dei sogni)!
Ok, basta cianciare! A presto!!!
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Epilogo: Nathaniel e Azzurra ***


Qualcosa non andava. Le stelle sopra di me si duplicavano, poi tornavano assieme, poi si triplicavano. Chiusi gli occhi sentendo la guancia pulsarmi violentemente. Li riaprii e vidi con sollievo che il cielo si era fermato, ogni stella era al suo posto e brillava ad intermittenza su quella distesa di un blu così scuro da sembrare nero. Poco a poco mi resi conto di vedere solo un rettangolo di cielo, quello incorniciato dal lucernario sul tetto spiovente della mia stanza, poi presi coscienza del mio corpo, steso sul pavimento. Presi ad ispezionarlo solo con i miei sensi: oltre alla guancia che pulsava, sentivo la schiena farmi male, sentivo il polso del braccio destro bruciare, la gola e le labbra secche, avevo sete, gli occhi bruciavano di stanchezza ma non riuscivo a distoglierli da quello spettacolo sopra la mia testa. Dopo il rapido check up del mio stato fisico, passai a quello mentale: perché ero steso per terra quando tutta la casa era addormentata e pure io sarei dovuto essere a letto? Ero crollato, non ero steso, non è che l’avevo scelto. Crollato, perché? Ah, già. Mio padre me le aveva date di santa ragione. Di nuovo. Per questo mi sentivo tutto dolorante e a pezzi? Sì. Da quanto ero lì steso?
Alzai piano la testa e scorsi la sveglia sul comodino. La una e trenta del mattino. Ero lì per terra da almeno due ore. Due ore che guardavo il cielo. La testa mi ricadde per terra e gli occhi tornarono al lucernario, facendomi comparire un sorriso stupido sulla bocca. Già, da due ore cercavo di insabbiare i miei pensieri con quella vista mozzafiato, sentendo una strana pace e una serenità nel cuore che non si addicevano a quella situazione.
Rotolai su un fianco cercando di trattenere un gemito di dolore e a fatica mi rialzai in piedi, una mano premuta su un fianco che, in quelle due ore, aveva smesso di far male, per ricominciare non appena mi ero alzato. Mi avvicinai ingobbito come un anziano al letto e mi ci coricai lentamente, cercando di non far gemere il mio corpo. Appena mi fui sistemato mi scappò un lungo sospiro. Avevo diciotto anni e stavo vivendo la vita come un inferno. Tanto per cominciare, tra cinque ore esatte la sveglia sarebbe suonata e io sarei dovuto andare a scuola…
 
La sveglia trillò allegramente e io mi svegliai di soprassalto con i cuore in gola. Allungai rapido un braccio e la spensi con un colpo secco, mettendomi poi a sedere sul bordo del letto a fatica, ricordandomi dei vari colpi presi la sera precedente, diventati ormai ematomi. Alla fine ero riuscito a prendere sonno, ma ero sicuro di avere una cera spaventosa. La casa era ancora immersa nel sonno e la cosa mi sollevò, convincendomi ad alzarmi e ad andare in bagno a lavarmi la faccia. Certo era normale, mi svegliavo con il sole appunto per evitare il resto della mia bella famiglia. Oltre a mio padre vivevo con mia madre: una donna asciutta, altezzosa e priva d’amore per chiunque, e mia sorella minore, una creatura indifferente che faceva di tutto per ignorare qualsiasi cosa succedesse entro quelle quattro mura. Tuffai la faccia nelle mani piene d’acqua e mi soffermai sul mio riflesso gocciolante allo specchio: gli occhi color ambra erano coronati da due stupende occhiaie violacee, in tinta col grosso ematoma che dalla guancia si era espanso fino allo zigomo. Labbra curvate verso il basso, due piccole rughe tra le sopracciglia, capelli biondi che ricadevano sugli occhi. Ero il ritratto dell’infelicità, lo sapevo, ma dovevo resistere. Ancora un anno e sarei andato all’università, il più lontano da quella casa di cuori gelidi.
Mi passai una mano tra i capelli e passai all’operazione più complicata: vestirmi. Avevo due vecchi ematomi sulla schiena, uno nuovo sul fianco dove era arrivato il calcio dell’uomo che si definiva mio padre, e il segno della bruciatura sul polso dove,  Ambra, la mia sorella minore, era riuscita a far cadere l’acqua bollente la sera prima. Per una volta non era sembrato un gesto voluto, l’avevo visto dalla sua espressione spaventata quando la padella con l’acqua le era caduta di mano, e io stupidamente avevo cercato di afferrarla, conciandomi per le feste il polso destro. Almeno potevo scrivere, visto che ero mancino. Mi spalmai un po’ di pomata fresca sugli ematomi e sulla bruciatura, fasciando poi quest’ultima e rimediando con un cerotto il gonfiore in faccia. Quando finalmente finii di vestirmi, presi la borsa di scuola ed uscii di casa. Erano le sette e dieci. L’aria fresca e i timidi raggi del sole che sorgeva mi investirono come un balsamo, facendomi subito sentire più calmo. Mi avviai verso le strade del centro, tra negozi che si preparavano all’apertura, uomini d’affari che camminavano spediti con gli abiti senza una piega, studenti mattinieri come me… Il tutto contornato dallo sfuggente odore di pane. Mi fermai al mio caffè di fiducia per una breve colazione: pareti ricoperte di dipinti floreali piuttosto chic, pavimento in piastrelle bianche, tavoli in legno con tovaglie rosa e bianche e una simpatica donnona dietro il bancone con una visiera rosa come le tovaglie. Appena feci squillare il campanellino sopra la porta, la donna mi sorrise poi inorridì alla vista della mia faccia.
- Oh tesoro, ma cosa ti è successo?-
- Rissa tra ragazzini-. Risposi con un doloroso sorriso e una scrollata di spalle, posando la borsa e sedendomi al bancone.
- Sono tre anni che mi dici sempre così, zuccherino. Ormai sei un uomo, dovresti usare tutto questo entusiasmo per qualcosa di più costruttivo- Mi ammonì apprestandosi a fare il caffè forte e amaro che chiedevo da tre anni, per poi dirigersi verso la vetrinetta dei dolci per prenderne un croissant e metterlo sul piattino. Anch’esso lo stesso che chiedevo da tre anni.
Io appoggiai la testa a una mano e le rivolsi un sorriso smagliante – E in che cosa esattamente?-
Lei mi ammonii con le pinze dei dolci e mi piazzò davanti la colazione. A volte mi sembrava quasi una madre, molto più della mia naturale. Non che ci volesse un grande sforzo comunque…
 
Arrivai a scuola attorno alle otto. Mi ero fermato a parlare con la proprietaria del caffè più del dovuto e il tempo era volato. Appena passai il cancello la prima cosa che vidi fu Castiel appoggiato alla sua enorme moto rossa come i suoi capelli. Quello mi rivolse un ghigno, poi si soffermò sulla mia guancia e la sua bocca si piegò in una smorfia sorpresa. Gli passai davanti con un’occhiata d’avvertimento ed entrai a scuola. La prima rissa che avevo avuto con Castiel risaliva ai tempi delle medie. I nostri caratteri erano completamente diversi, come cane e gatto, eppure ai tempi andavamo d’accordo e ci azzuffavamo più per divertimento. Ai tempi mio padre si limitava a ferirmi con le parole. Le botte erano iniziate alle superiori, e avevo constatato che le botte di Castiel più quelle di mio padre non potevo sopportarle, perciò mi ero dato una calmata a scuola e avevo provato a diventare il figlio perfetto e studioso che i miei genitori sognavano, entrando perfino nei delegati della scuola. Ovviamente inutilmente, ma mi ci era voluto quasi l’intero primo anno per rendermene conto. Al secondo anno avevo capito che quella dei delegati era una scusa per tornare a casa il più tardi possibile, quindi avevo deciso di non lasciarlo, anche se era un compito fastidioso e piuttosto inutile dal mio punto di vista. E ovviamente i miei rapporti con Castiel si erano congelati, fino a scomparire. Le sue battutine velenose però c’erano ancora.
Entrai nella sala riservata a noi delegati e mi ritrovai davanti Melody, già intenta a lavorare, e il morale mi finì sotto i piedi. Lei alzò i suoi grandi occhi azzurri e mi sorrise, nonostante un velo d’esitazione negli occhi.
- Buongiorno. Arrivi giusto in tempo, oggi dovrebbe arrivare una nuova studentessa, il suo formulario è già pronto-.
La ringraziai e mi sedetti al mio posto rigidamente. Melody mi aveva confessato i suoi sentimenti qualche mese prima e da allora c’era una strana atmosfera gelata tra noi. L’avevo rifiutata piuttosto malamente dicendole che la vedevo solo come amica e collega, mettendo in imbarazzo tutti e due negli incontri a venire. Non potevo dirle che, da quando avevo messo piede in quella scuola, il mio cuore si era come ghiacciato ad ogni sentimento tiepido e buono come l’amore, l’amicizia, la simpatia. Non ne avevo bisogno. Tutto ciò che dovevo fare era continuare ad essere uno studente modello, così da finire l’anno con dei voti spettacolari e ricevere una borsa di studio per una qualche università dall’altra parte del mondo. Le altre persone mi erano solo d’intralcio.
Presi il fascicolo e presi a studiarlo. La foto della ragazza non mi diceva nulla: diciassette anni, viso pallido e ovale, occhi grandi di un tiepido color miele, capelli lunghi e mossi biondo cenere.
Figlia di un muratore. Perché diavolo cambiava scuola questa?
Passai il fascicolo svogliatamente, poi mi stirai e m’alzai.
- Vado a vedere quando arriva questa nuova ragazza- Dissi a Melody, prima di uscire con le mani in tasca. Ero sollevato che almeno lei non aveva commentato la mia faccia. Mi fermai all’ingresso pieno di compagni di scuola e mi appoggiai agli armadietti con un sospiro, attento a non schiacciare gli ematomi sulla schiena. Presi a studiare di malavoglia le facce che mi passavano davanti, facce di amici che ridevano tra loro, facce di chi aveva una verifica e non aveva studiato, facce da secchioni, facce da snob… Oh, mia sorella che correva dietro a Castiel insieme ad altre ragazzine sbavanti…Che spettacolo disgustoso. E poi eccola lì, la faccia spaesata della nuova arrivata. La fissai per un attimo, divertito dalla sua reazione. Solitamente i nuovi arrivati cercavano di ambientarsi da subito, chiedendo alla gente che gli capitava sotto tiro delle informazioni e, se mi andava bene, il mio intervento non era necessario. Questa invece no: i suoi grandi occhi ambrati si spostavano per tutto l’atrio studiando ogni più piccolo angolo ed evitando accuratamente le facce, se ne stava impalata all’entrata, venendo spintonata dagli ultimi arrivati che la guardavano sorpresi e incuriositi, una mano che teneva la borsa. Piegai la testa da un lato, poi decisi che era ora di fare il buon delegato e mi avvicinai.
- Ciao, tu sei quella nuova vero?-
Lei si girò lentamente verso di me e mi trafisse con quegli occhi che sembrarono trapassarmi.
- Sì- Mormorò con una vocina appena percettibile.
- Sono Nathaniel, un delegato della scuola. Tu sei…- Mi accorsi di non aver portato il suo dossier e di non aver nemmeno fatto caso al suo nome.
I suoi occhi si fermarono sulla mia guancia e la fissarono schiettamente.
- Azzurra-
Aspettai un cognome che non arrivò, allora sospirai.
- D’accordo ,Azzurra, vieni: ti porto a fare un giro della scuola-
- Ah, non c’è bisogno! Posso farlo da sola!- Si riscosse lei, con un tono del tutto sbarazzino.
- Insisto, è il mio dovere da delegato- Sorrisi a denti stretti: quella ragazza era una palla al piede.
- Allora d’accordo, grazie- Mi seguì docilmente con una scrollata di spalle.
I corridoi si svuotarono di lì a dieci minuti, così riuscii a farle fare il giro della scuola il più rapidamente possibile, festeggiando tra me e me.
- Tu sei un bullo?- Mi chiese a bruciapelo.
Mi sorprese e mi ritrovai a lanciarle uno sguardo stupido, prima di ricompormi.
- Cosa te lo fa dire?-
- La tua faccia-
Rido amaramente, poi decido di giocare sporco, come piace a me.
- Oh. Già, mi hai scoperto. Dopo scuola vado sempre a scommettere, e se perdo parte la rissa-.
Ci casca come una pera cotta, facendomi ridere tra me e me.
- Davvero? Fico! Però che senso ha scommettere sulle botte?-.
- Questo non ti riguarda, primina. Ora fila nella tua classe, altrimenti incolpano me-.
Lei annuisce, si guarda attorno, poi torna a perforarmi con quei due occhioni.
- Cosa-
- Scusa, è che ho già dimenticato quale sia la mia aula-.
Merda. Una più sbadata di Lysandre! Che seccatura!
- Questa qua, fila ora-
- Ah, grazie!- Mi rivolge un bel sorriso, non facendo caso all’irritazione della mia voce, prima di entrare in classe e lasciarmi in mezzo al corridoio a imprecarle contro mentalmente. Almeno il mio compito era finito li. Così credevo. Che stupido.
Alla fine della settimana me la ritrovai fuori dalla sala delegati che, inutile far finta di niente, aspettava proprio me.
- Che vuoi?- Le chiesi bruscamente non appena gli altri delegati mi superarono. Melody le lanciò un’occhiata risentita ma non disse nulla.
- Voglio invitarti fuori per conoscerci-
La schiettezza di quella ragazza mi diede i nervi.
- Non vedo nessun vantaggio. Lasciami in pace e non rivolgermi più la parola se non hai bisogno di qualcosa di sensato-.
Faccio per andarmene ma lei mi trotterella dietro. Fantastico, è pure testarda.
- Ho bisogno di uscire con te per conoscerti-.
Dio, non dirmi che è una di quelle palle al piede come Melody che si prendono una sbandata per me. Gente superficiale, insomma.
Le lanciai un’occhiata gelida e storsi la bocca in una smorfia sprezzante. L’espressione che di solito fa tacere la gente comune. Che stupido definire questa qua una comune.
- Cosa ti costa? Solo un caffè! Oh, non dirmelo, non ti piace il caffè?-
- E va bene! Vuoi bere un caffè? Beviamo ‘sto dannato caffè e poi sparisci!-.
Cedetti, capendo che era l’unico modo per scrostarmela di dosso.
Lei si aprì in un sorriso che le illuminò l’intero viso.
- Giusto il tempo di evitarti una rissa, poi sarai libero!-
Si tappò la bocca con una mano dopo aver detto quella frase.
Che stupida. Perché s’interessava ad uno sconosciuto? Perché voleva avere a che fare con me a tutti i costi?
Ancora oggi me lo chiedo. Però quella sua ingenuità, quella che chiamavo stupidità, mi aiutò in parte ad evitare alcune serate in cui mio padre era particolarmente violento, e in parte a resistere fino alla fine. In un modo del tutto naturale avevo ceduto a lei e avevo finito per passarci del tempo insieme volontariamente. Lei, che quando riuscì a sfondare il muro di cemento nel mio cuore, scoprendo la mia vita, inorridì e si mise quasi a piangere. Lei che mi è stata vicino più di chiunque altro, che mi aiutò più di chiunque altro. Lei è la mia stella polare, quella che non ho mai trovato in cielo. Lei che ride così sguaiatamente, nonostante ha appena passato un anno in uno stato vegetativo. Tutto ciò che chiedo è che mi resti accanto ancora.
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3032557