Alieni

di Artemide12
(/viewuser.php?uid=541754)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ghish - Arret ***
Capitolo 2: *** Pai - Lo spazio ***
Capitolo 3: *** Tart - Terra ***



Capitolo 1
*** Ghish - Arret ***


Angolo me

Salve, diversamente da come faccio di solito, questa volta commento all'inizio della storia e non alla fine.

Ritengo, infatti, che questa mini-long abbia bisogno di una mia introduzione. Non temete, sarò breve.

Si tratta, come ho già detto, di una storia composta di soli tre capitoli, uno per ogni "alieno". Metto la parole tra virgolette perché lo scopo della FF è di farli apparire il più possibile umani e di far sembrare gli umani alieni, insomma, di cambiare punto di vista.

Oltre ai nostre tre protagonisti troveremo altri personaggi, due a dire il vero, inventati da me che formano un minimo di trama e intreccio a quella che, sotto certo aspetti avrebbe potuto essere una raccolta di one-shot.

Arret è il nome che io ho sempre dato al pianeta alieno.

Spero che la storia sia di vostro gradimento, e che mi farete sapere cosa ne pensate, in bene e in male.

_________________________________________________




Ghish – Arret


Il sacco da box marrone sbiadito oscilla pesante e impotente davanti a lui. La catena che lo sostiene cigola ad ogni movimento.
In certi punti il rivestimento si è sgualcito e si intravede l'interno, come viscere di un anime sventrato.
Non è un valido avversario, perché ad ogni colpo l'unica reazione è uno spostamento minimo che avrà come conseguenza un ritorno. Però è un amico discreto, incassa i colpi assorbendone la forza e la rabbia.
Continua a colpirlo senza sosta. Ignorando la stanchezza, il battito martellante nelle orecchie, i muscoli che bruciano esausti, le ossa sempre più pesanti.
Fuori, in superficie, il giorno sta finendo. Il grigio accecante della neve costante si sta trasformando nel verde ghiaccio della notte.
La temperatura scende rapidamente, anche quando sembra impossibile e fa già così freddo che ci si chiede per quale assurdo miracolo o condanna nessuno muore di freddo. Anche quando ci si rintana chilometri e chilometri sottoterra, nel ventre del pianeta, dove dovrebbe fare caldo. Ma il nucleo è sterile è roccioso, non ribolle di lava calda e viva.
Quella è fantascienza.
Si ferma un momento. Si guarda intorno. Le tubature che percorrono il soffitto e che dovrebbero trasportare acqua calda stanno gelando come ogni sera. Deve essere anche più tardi di quanto credesse.
Il suo respiro si condensa in nuvole opache davanti al viso, l'aria dentro i polmoni è pungente, li graffia ad ogni respiro.
Non deve fermarsi.
Un pugno.
Sotto i guanti spessi e imbottiti la pelle delle nocche si spacca.
Un pugno.
Saltella sul posto per tenere sveglie le gambe e i piedi. Gli strati di tessuto termico non bastano mai. Dovrebbe tornare casa prima che sigillino gli appartamenti per poter risparmiare calore ed energia.
Ma non si muove dal piccolo e deserto scantinato invece.
Un pugno troppo debole. Sfiora appena il sacco.
Oggi Arret, il pianeta gelido dal cuore di pietra.
Un pugno ben assestato. L'impatto gli percorre il braccio. La catena cigola.
Poi lo spazio, vuoto e vastissimo.
Il sacco torna indietro.
Domani la Terra.
Il pianeta dal pulsante cuore di lava, pronto a riaccoglierli. Un pianeta il cui stesso nome esprime vita e fertilità.
Un pugno mancino. Le dita urlano insensibili, il polso trema, la spalla regge appena.
La Terra.
Continua a colpire il sacco con il braccio sinistro, che sa essere più debole.
Sì, se ne andranno di qui.
Questo pianeta non li ha mai voluti, è morto e deve essere dimenticato.
I millenni di stentata sopravvivenza sono finiti.
Il sacco torna indietro e lo colpisce in pieno. Sussulta.
La catena sibila in modo agghiacciante. La luce azzurrina appesa sopra la sua testa sfarfalla. Si spegne.
Riaccenditi. Riaccenditi.
Un bagliore grigiastro, meno intenso di prima. Le pareti marce e impregnate di acqua sembrano ancora più fragili.
Che crollino.
Qualche mese ancora e non ci sarà più nessuno qui a congelare. A morire di freddo ogni notte, di fame ogni giorno, di stanchezza ogni momento.
Dei passi.
Vengono dall'unico corridoio che porta allo scantinato e si avvicinano. È stupefacente quante cose si possano capire solo dai passi.
Sono brevi e veloci. Leggeri nonostante gli stivali. Una donna. Una ragazza.
Smette di colpire il sacco da box e abbassa i pugni.
Fissa la porta finché non si apre.
Ne entra una ragazza minuta, praticamente una bambina. Ha i capelli giallo limone tagliati corti e gli occhi dorati. Gli strati di imbottitura e tessuto termico non riescono a farla sembrare grossa, per quanto è magra.
«Sheila!» esclama «Che ci fai qui?» suona più duro di quanto vorrebbe, ma è solo preoccupato.
Il sorriso della bambina si spegne, ferito.
«Sono solo... venuta a salutarti.» spiega «Dicono che te ne vai e forse non ti rivedo più.»
Ghish si addolcisce. Sorride e si avvicina. Le accarezza la testa.
«Non è vero che non mi rivedrai più.» dice accovacciandosi, in modo da aver gli occhi alla stessa altezza dei suoi «Starò via per un po', ma poi tornerò. E vi porterò tutti via di qui, andremo a vivere in un posto migliore, molto più bello. Te lo prometto.»
La bambina sembra dubbiosa.
«Forza,» la sprona «non dovevi scappare di nuovo dall'orfanotrofio, finirai nei guai.»
«Ma dovevo salutarti!» protesta «E poi non è giusto. Gli orfani sono quelli che non hanno più nessuno. Io ho te.» gli prende comunque la mano e comincia a camminare, tornando sui proprio passi «Tu sei stato adottato, dovevo venire con te!»
«Lo so Sheila, ma solo noi sappiamo che siamo fratelli, e non possiamo dimostrarlo.»
«Ma potresti dirlo alla tua nuova madre, hai detto che è buona. Capirebbe.»
«Victoria non è mia madre e non sarà nemmeno la tua.» sono ormai alla fine del corridoio. Ghish si china di nuovo. «Ascoltami. Sto partendo e starò via per un po', non so di preciso quanto. Quando tornerò ce ne andremo di qui. Non solo io e te, ma tutti quanti e tutti insieme. Cominceremo una nuova vita. Tra pochi anni sarò maggiorenne, con tutto il tempo che ci vorrà, voleranno. E ti prenderò io con me. Te lo prometto.»
Sheila lo fissa a lungo. Si fida di lui, ma stenta a credere a ciò che dice. Forse considera queste promesse come le previsioni sempre troppo in grande che si fanno ai bambini per farli contenti.
«Non ti dimenticherai di me, vero
«No! Certo che no.»
Sheila abbassa lo sguardo. Poi lo abbraccia stretto, anche se un pò goffamente. Ghish le accarezza di nuovo la testa.
All'improvviso si chiede se le cose sarebbero andate diversamente senza sua sorella. Senza qualcuno a cui tenere, qualcuno per cui costruire un mondo migliore, sarebbe così spronato a lottare e andare avanti?
Avrebbe accettato una missione del genere, solitaria e impossibile quanto banale, se non avesse avuto una simile motivazione?
Probabilmente avrebbe mandato tutti al diavolo e starebbe facendo a pugni con un sacco da box solo per disperazione invece che con determinazione.
«Mi stavo chiedendo» fa Sheila riprendendo a camminare e rompendo il silenzio gelido «cosa farai se troverai degli alieni?»
Ghish la guarda. Sa davvero parecchio sulla sua missione, da dove ha avuto tutte queste informazioni.
«Avrò con me una colonia intera di parassiti, creerò dei chimeri e sistemerò la situazione.»
«Ma questo solo se vorranno combattere.» obbietta sua sorella «Cosa farai se invece saranno pacifici? Infondo è normale se vorranno difendersi.»
«Beh, se saranno davvero così carini, planerò su di loro gentilmente, darò loro un cordiale bacio sulla guancia e li avvertirò educatamente che sto per mandarli al diavolo.»
Sheila scoppia a ridere e il suono argenteo risuana tra le pareti fragili come una melodia rara e misteriosa, quasi straniera.
Ghish rimane ad ascoltarla rapito.
Quando Sheila smette di ridere rabbrividisce visibilmente.
«Stai già morendo di freddo.» la rimprovera.
«Anche tu.»
«Io sono a pochi passi da casa mia, è l'orfanotrofio ad essere lontano, ora ci toccherà una bella strigliata per il ritardo. E perché sei scappata.»
«No.» annuncia invece Sheila sfoderando un sorriso furbo «Ho imparato a teletrasportarmi.»
Ghish la fissa a bocca aperta. Sua sorella è cresciuta così tanto in questo poco tempo?
«Però a loro non l'ho detto, così credono di no.» sorride vedendo che il fratello maggiore rimane in silenzio «Ora sono io che accompagno a casa te.»
Ghish non ribatte.
La casa della sua madre adottiva si trova un livello sopra lo scantinato, uno dei centinaia sepolti sottoterra, nelle spaccature del pianeta.
Si fermano davanti alla porta. Controlla l'orario. Ancora dieci minuti alla sigillatura degli appartamenti.
«Capolinea.» commenta, più rivolto a se stesso che alla sorella.
Sheila gli lascia la mano. Lui vorrebbe riafferrargliela subito, ma è già troppo tardi.
«Non voglio tornare all'orfanotrofio.»
Ghish sospira. «Devi, non vorrai cacciarci entrambi nei guai, vero?»
Sheila scuote la testa.
«Allora fai la brava e tornaci.»
«Uffa. Tu non fai mai quello che ti si dice, però vuoi sempre che gli altri facciano quello che dici tu, vero?»
«Certo.» risponde lui senza pensarci due volte.
Sheila incrocia le braccia al petto. «Ve bene!» sbotta «Però non è giusto.»
«No che non è giusto.» Ghish sbuffa spazientito e si china di nuovo. Si costringe a fare dei respiri profondi per calmarsi. Sospira. «Ti prometto che tornerò a prenderti.» ripete «Puoi promettermi una cosa anche tu?»
Sheila annuisce diligente.
Ghish sorride amaramente «Non crescere troppo in fretta, sorellina.»
Sheila continua a fissarlo, senza capire. Poi, lentamente, si smaterializza, in silenzio, e con la grazia un po' goffa dei bambini.
In pochi secondi è sparita.
Ghish tiene gli occhi chiusi per qualche istante, poi si rialza in piedi e entra nell'appartamento giusto qualche minuto prima che le porte si sigillino.
Tutte le luci sono spente. Fortunatamente, stanno tutti dormendo.
Aspetta qualche istante che i propri occhi si adattino al buio, poi cammina in punta di piedi verso la camera che divide con i suoi fratelli adottivi.
«Buonanotte Ghish.» mormora una voce nell'ombra.
Sobbalza e sbatte rumorosamente contro un tavolino.
Aguzza le vista finché non individua una figura seduta elegantemente sul minuscolo divano addossato alla parete.
Victoria. La sua madre adottiva.
Lei ha qualcosa di speciale, ne è sicuro. È come se non appartenesse davvero a questo mondo, o almeno a questo periodo. Lei è una delle poche persone che qui, per motivi inspiegabili, è felice. Una principessa sepolta sottoterra che non ha perso nemmeno un grammo del proprio fascino.
Il ciondolo che porta al collo si illumina rischiarando il suo volto senza età. Potrebbe avere cinquant'anni come venti.
Ha dei meravigliosi occhi blu e lunghissimi capelli azzurri raccolti in una treccia. Tiene le gambe elegantemente accavallate e le mani giunte in grembo.
Gli sta sorridendo. È contenta di vederlo, non arrabbiata che abbia fatto tardi.
«Victoria.» la saluta.
«Pai e Tart stanno dormendo, vedi di non svegliarli.»
Ghish sbuffa. Non ci proverà nemmeno a non svegliarli.

Victoria sorride, come se stesse rivivendo un bel ricordo.
Ghish la manda mentalmente al diavolo e apre la porta della stanza.
«Ghish?»
«Sì?»
«Quando... quando sarai sulla Terra... non dimenticarti qual'è il tuo obiettivo.»
«Wow, che consiglio illuminante.»
«Dico sul serio. Non sai a cosa stai andando incontro, non lo sa nessuno. Potresti trovare la morte, così come l'amore.»
«La morte e l'amore? Non sono un personaggio dei tuoi libri e non ci tengo ad esserlo. Vado a preparare la nostra nuova casa, non a spassarmela.»
Victoria sospira, seria.
Ghish fa per entrare.
«Ghish?»
«Che c'è?» sbotta a voce alta.
«Mi dispiace per tua sorella, ma non avevo le prove che foste fratelli e non mi hanno permesso di adottare anche lei.»
Rimane interdetto. Senza parole.
Sposta lo sguardo oltre la porta semiaperta. Pai e Tart dormono nelle loro nicchie scavate nel muro.
«Volevo che sapessi che mi prenderò cura di lei, mentre sei via.»
Non può dire sul serio. Non può saperlo.
Con il cuore in gola, Ghish entra nella camera e chiude la porta.
Trova la sua nicchia e scosta le coperte.
Esita un momento. Torna indietro.
Socchiude la porta e sbircia fuori.
Victoria è ancora seduta sul diavolo, tiene tra le mani il proprio ciondolo luminoso. Ha gli occhi chiusi, ma non dorme.
Muove le labbra.
Ghish tende le orecchie.
«Dovrai guidarli, lo sai, non possono farcela da soli.»


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Pai - Lo spazio ***


Pai – Lo Spazio


Nell'opinione comune, lo spazio è freddo. Ma come può qualcosa essere più fredda del pianeta da dove vengono? Su Arret la temperatura sfiora la soglia della non-vita e spesso la supera.

Lo spazio, tutto sommato, è caldo.

Si guarda intorno. Sono saliti a bordo dell'astronave due ore prima di Ghish, a sua insaputa. Si chiede perché il Governo abbia affidato a lui la missione se era così convinto che non sarebbe stato in grado di portarla a termine. Gli hanno risposto che non è esattamente così, semplicemente hanno voluto andare sul sicuro e avere un piano B, una squadra di riserva all'occorrenza, senza dover però utilizzare un'altra astronave. Anche perché non sarebbe stato possibile. Quella su cui stanno viaggiando è l'unica funzionante.

Sono chiusi in una parte secondaria della nave, quella riservata agli sgusci di salvataggio, perché è l'unica non collegata ai comandi a cui ha accesso Ghish. Qui non li troverà a meno che non abbia bisogno di abbandonare la nave in caso di emergenza.

Tart è rannicchiato in un angolo, tra i loro borsoni, e dorme tranquillamente. Il Governo deve essere parecchio sprovveduto se ha deciso di mandare in missione un bambino.

Pai si stende a propria volta. Sono decollati già da diverse ore ormai. Chissà quanto sono lontani da Arret. Chissà quanto sono vicini alla Terra. Quest'immenso limbo buio si allunga all'infinito, sempre uguale e sempre diverso.

Può vederlo attraverso gli strati di vetro infrangibile proprio sopra di lui. Rivestono tutto il soffitto aprendolo allo spettacolo di galassie. Ognuna è l'immagine di un'esplosione immobile, bloccata nel pieno della sua forza, e allo stesso tempo in lento e costante avanzamento.

Ci sono così tante stelle. Così tanti sistemi. Così tanti pianeti.

Perché i loro antenati in fuga hanno scelto proprio Arret?

Perché loro vogliono tornare proprio sulla Terra?

Perché alcuni sono così attaccati ad un pianeta che non hanno mai conosciuto, il cui vero ricordo si è tramandato di generazione in generazione distorcendosi fino a perdersi?

Victoria non lo è affatto.

Ma lei, inutile negarlo, è strana. Lo è sempre stata, fin dal primo giorno che l'hanno conosciuta.

Ricorda bene quel momento. Lei aveva l'aria di essere stata in altri orfanotrofi – su Arret ce ne sono tanti – ed era come in cerca di qualcosa. Non, però, come tutti gli altri che si presentano. Lei sapeva già cosa voleva. Non cercava un bambino che conciliasse i suoi gusti o che la notasse; doveva trovare qualcuno che aveva già scelto.

Ed è andata dritta verso di loro, come un magnete attratto da una calamita. E non c'è stato verso di farla andare via. La freddezza con cui ha imparato ad allontanare tutti gli altri non aveva avuto alcun effetto. Victoria si era imposta. E in qualche modo lo aveva fatto con naturalezza.

E come può una donna che ha evidentemente lottato tanto per avere ciò che voleva, acconsentire senza esitazioni che tutti e tre i ragazzi appena adottati partissero per una tale missione?

Ma perché si sorprende tanto? Non dovrebbe essere ormai evidente che quella donna è pazza?

Quante volte l'ha spiata durante la notte? Quante volte l'ha vista farsi distante?  Quante volte l'ha sentita parlare con qualcuno che solo lei vede?

Si prende la testa tra le mani. Ci sono troppe cose che non riesce a capire.

Torna a guardare lo spazio. È identico a pochi secondi fa, e allo stesso tempo è completamente diverso. È snervante essere un semplice spettatore, senza sapere bene di cosa.

Essere consapevole di non comprendere ciò che succede intorno a sé.

Per qualche motivo, ripensa al modo in cui Victoria li ha abbracciati stamattina all'alba, prima che se ne andassero – e come probabilmente ha fatto anche con Ghish qualche ora dopo. Come se lei stessa avesse affidato loro quella missione.

Come se stesse trasmettendo loro una specie di malattia.

Pai si porta una mano alla fronte.

Deve essere parecchio fuso per pensare queste cose.

Un capogiro. Come se i pensieri si fossero concretizzati da soli, si sente male.

È solo un secondo, un attimo, un istante.

Si sente risucchiare e avverte la propria posizione cambiare. Ora è in piedi.

Sbatte le palpebre. Si trova come immerso in una densa nebbia verdeacqua.

«Ma cosa...?» esclama.

«Finalmente rispondi al mio richiamo ragazzo.» una voce riecheggia apparentemente da ogni direzione «O forse mi sono rafforzato abbastanza da vincere la tua volontà.»

Pai si guarda inutilmente intorno.

«Chi sei?» chiede ad alta voce, infondendo sicurezza nelle proprie parole.

Un suono strano. Come una distorsione. «Chi sono io?» replica la voce, ha un che di divertito, quasi di incredulo, ma non di sorpreso.

Pai si guarda ancora intorno. Non c'è niente, è come circondato da impalpabile e uniforme nebbia verdeacqua. Poi, steso a pochi metri da sé, vede Tart. Dorme ancora, ma ora è agitato.

«Io» riprende la voce «sono la creatura più potente che quest'universo abbia mai incontrato.»

Il fatto che abbia detto “creatura” e non “uomo” è inquietante. Pai si costringe a non mostrarsi spaventato. Perché questa creatura si è messa in contatto con lui?

«Il mio nome è Profondo Blu e voi Ikisatashi starete ai miei ordini.»

«I tuoi ordini? Chi ti dà quest'autorità?» ribatte senza esitazione «Le uniche direttive che abbiamo sono quelle del Governo.»

«Il Governo! Io sono il Governo, lo sarò presto, appena la vostra delicata missione sarà compiuta.»

Pai incrocia le braccia al petto. Ha finalmente individuato il punta da cui viene la voce. È davanti a lui, all'altezza del suo viso, ma diversi metri più distante. Lì la nebbia è molto più concentrata e densa, quasi liquida, e più chiara, come se celasse una fonte luminosa.

Una forza vitale.

La più grande e potente che abbia mai visto, ma nient'altro che una forza vitale senza un corpo a cui unirsi, in cui poter sopravvivere al di fuori di questo limbo.

«Ho l'impressione che tu sia ancora parecchio debole per avere simili pretese.»

Un sibilo basso, ma assordante.

«Sono abbastanza potente.» afferma la voce.

Pai sente la propria volontà sbriciolarsi, ne può quasi sentire il suono, il rumore di tanti frammenti che cadono a terra. In un certo senso li imita, perché una forza esterna gli piega le ginocchia costringendolo ad inginocchiarsi.

«Victoria mi aveva detto che tu eri il più ragionevole, mentre Ghish il più arrogante.» ghigna la voce.

Victoria?

«Devo forse ricredermi?»

Lei lo ha mandato? È lui la voce con cui parlava?

È lui il fardello che ha consegnato loro prima della partenza? Come può essere così?

«Questa missione è destinata a fallire se agirete senza un capo.»

La mente di Pai vola altrove.

Victoria.

Lei consce questo Profondo Blu? Possono quindi fidarsi di lui come lei?

Perché sì, Pai si fida ciecamente della propria madre adottiva. Perché lei lo ha scelto a colpo sicuro, non può deluderla.

È per questo che è stato scelto tra tanti altri? Per una missione che potrebbe cambiare drasticamente le sorti di un'intera specie, di ben due pianeti?

Victoria ha sempre saputo molto più di chiunque altro, di questo è sicuro.

Se è così, è inutile opporre resistenza. È il suo compito.

«Seguirete i miei ordini.»

«Sì.»

«Bene.» sibila Profondo Blu.

La nebbia si dissolve. Pai si sente di nuovo risucchiato, questa volta riesce a riconoscere e analizzare la sensazione. È come volersi teletrasportare all'interno di se stessi.

Si ritrova di nuovo steso a terra, il viso rivolto verso l'immenso cielo stellato.

Si solleva a sedere.

Cerca Tart con lo sguardo. È ancora rannicchiato tra i borsoni, ma ora la sua espressione è tutt'altro che serena. Per fortuna dorme ancora.

Pai si alza.

Si avvicina ai comandi secondari che si trovano nella stanza. Apre le porte che la separano dal resto dell'astronave e le oltrepassa senza esitazione. Percorre i corridoi bui con sicurezza. In parte li ha progettati lui stessi e li ha studiati da cima a fondo. Non gli serve vedere per conoscere la strada.

Aggira le poche telecamere che ci sono, si tiene nell'ombra finché non arriva a pochi passi dalla sala comandi.

È separata dal corridoio da una robustissima posta vetrata.

Si sposta di lato e si appiattisce contro la parete. Avanza di qualche passo, poi si ferma.

Non può rischiare di andare oltre.

Ghish è di spalle, seduto nella postazione di pilota. Decine di schermi olografici di varie dimensioni sono alzati davanti a lui e gettano sul suo volto flash di luce verdognola.

Le sue dita si muovono rapide sulla superficie liscia su cui compaiono i tasti per il pilotaggio. Pai le studia per un po'. Sono veloci, ma non esperte.

Perché diavolo loro devono rimanere in riserva?

Come può Ghish anche solo sperare di portare a termine la missione da solo? Davvero si illude che non incontreranno nessun tipo di resistenza?

Victoria doveva, invece, esserne sicura se ha mandato loro Profondo Blu.

O forse non è così? Sono forse solo quelli che sono stati mandati a sostegno di quell'essere e non il contrario?

Pai decide che non importa. Devono portare a termine la missione, il resto conta poco.

Striscia ancora avanti di qualche passo.

Continua a fissare le dita di Ghish visto che non può vedergli il volto. Le vede rallentare fino a fermarsi e chiudersi a pugno.

Qualche istante di immobilità mentre sfrecciano nello spazio nero e vuoto tra le galassie.

Ghish apre un nuovo schermo olografico, dopo i primi comandi di avvio, però, la finestra rimanere verde e vuota. I tentativi di farla funzionare vanno a vuoto.

Pai aguzza la vista. Riconosce il programma di comunicazione.

Ghish ha appena provato a chiamare il centro operativo del pianeta.

Inutile, sono chiaramente troppo lontani per delle tecnologie in realtà così deboli. Pai si chiede perché mai ci abbia provato. È stato stupido. E probabilmente ha anche sprecato parte di energia.

Ghish non chiude lo schermo, continua invano a farlo funzionare.

Alla fine lo chiude con un pugno che fa vibrare l'intera tastiera. «Dannazione Victoria!» urla, inconsapevole di essere sentito. Anzi, sicuro ora più che mai di essere solo.

A Pai basta questo.

Si ritira nell'ombra indietreggiando di qualche passo. Ghish ha provato a chiamare Victoria. Per avere spiegazioni. Profondo Blu deve essersi mostrato anche a lui. Li ha contattati separatamente, quindi deve sapere che loro sono un piano di riserva.

Deve avere davvero qualcosa a che fare con il Governo.

O almeno deve averla Victoria.

Proprio mentre Pai sta per voltarsi e andare via, Ghish si volta. Come se avesse sentito un rumore, anche se l'unico suono è stato il suo respiro.

Pai trattiene il fiato e rimane perfettamente immobile.

Nascosto dal buio dell'assenza di energia, Pai restituisce al fratello adottivo uno sguardo diretto e perforante. Lui lo fissa a propria volta, senza però saperlo.

Il tempo si dilata fino all'inverosimile. Fin quasi a fermarsi del tutto.

Per quanto il suo cuore acceleri e i battiti si facciano più pesanti, però, Pai non teme di essere scoperto. Sia perché lo ritiene poco probabile, sia perché, infondo, non gli dispiacerebbe.

L'idea di fare da riserva lo disturba, rivelarsi vorrebbe dire agire tutti insieme fin dall'inizio.

Valuta la possibilità di avanzare e rivelarsi seduta stante.

Il Governo potrebbe persino non saperlo.

No.

Bisogna attenersi ai piani.

Per il bene della missione.

Se il loro aiuto non sarà necessario, tanto meglio.

Non si muove.

Aspetta pazientemente finché la curiosità si spegne nello sguardo di Ghish e lui si volta.

Pai aspetta.

Ghish riapre la schermata di comunicazione, tenta invano di farla funzionare. Poi la chiude di nuovo. Definitivamente, spera Pai, perché non possono permettersi di consumare troppa energia inutilmente.

Quando ha aspettato un tempo che gli sembra sufficiente, si volta e torna sui propri passi.

Spera che Tart non si sia svegliato, perché quasi sicuramente sarebbe andato in giro per l'astronave. Lui non sarebbe abbastanza pronto da non farsi scoprire da Ghish.

Pai si chiede come reagirà il fratello adottivo quando scoprirà di loro. Perché lo scoprirà. Che succeda adesso, o tra qualche giorno se avrà bisogno del loro aiuto, o tra qualche mese quando sarà il Governo a dichiararlo, fa poca differenza. Anzi, probabilmente più tempo passa e peggio sarà.

Sente di escludere l'ipotesi che non lo venga mai a sapere. Il Governo glielo sventolerà sotto il naso. E lui andrà in bestia. Come se facesse differenza. Ghish ce l'ha sempre con tutti.

Come se ognuno in particolare gli avesse fatto chissà quale torto.

Il perché, saranno fatti suoi.

Pai torna nella stanza da cui è venuto e si chiude di nuovo dentro.

Tart è sveglio, ma non se n'è andato in giro. Non gli chiede dove è stato.

«Ho fatto un sogno.» dice solo, come per metterlo alla prova, e sperando che fallisca «C'eri anche tu.»

Pai assottiglia le labbra «Lo so.» risponde «Non era un sogno.»

Tart non ne sembra affatto felice.

Nessuno dei due aggiunge altro.

Pai si siede a terra e si stende di nuovo, esattamente com'era prima, come se non si fosse mai mosso, come se avesse passato tutto il tempo a guardare le stelle.

E a pensare alle stranezze della madre adottiva.

Che la missione fallisca o riesca, Victoria dovrà a tutti e tre delle spiegazioni.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Tart - Terra ***


Tart – Terra 


Uno scossone lo sveglia di soprassalto. Nonostante abbia passato quasi tutto il tempo a dormire, si sente esausto.

Si solleva svogliatamente sui gomiti.

La prima cosa che registra è il caldo.

Sapeva che la temperatura sarebbe stata di gran lunga maggiore rispetto ad Arret, ma non immaginava niente del genere.

Tenta inutilmente di riprendere fiato. Si slaccia la giacca termica e se la sfila il più in fretta possibile. Poi fa lo stesso con i pantaloni. Sotto ha ancora una tuta pesante. In un attimo si leva anche quella.

«Non esagerare.» la voce di Pai lo fa sobbalzare.

Si volta. Anche il fratello maggiore si è liberato di quasi tutti gli strati di vestiario.

Tart si guarda. Ormai gli sono rimasti addosso solo la canottiera rossa e i calzoncini. Potersi vedere la pelle bianca delle braccia e delle gambe senza morire di freddo fa impressione.

Sente ancora caldo, in realtà, ma quella dev'essere anche l'emozione. E la mancata abitudine.

Tanto improvvisamente quanto si è svegliato, si rende conto di essere arrivato. Di trovarsi sulla Terra.

Lo scossone deve essere dovuto all'atterraggio. E Ghish deve essere un pessimo pilota.

In un attimo l'eccitazione cresce e l'adrenalina gli inonda le vene. Scatta in piedi, ma prima che possa dire qualsiasi cosa, incontra lo sguardo del fratello.

Il messaggio è chiaro: silenzio.

Certo. Devono aspettare che Ghish si allontani per poter lasciare l'astronave o se ne accorgerebbe.

Per teletrasportarsi via devono aspettare di essere fuori, le pareti sono di uno speciale materiale, fatto apposta per impedirlo.

Tart si risiede e incrocia le gambe. Recupera i vestiti che è appena tolto e li infila nel proprio borsone. Ora si sente praticamente nudo. Il contatto della pelle con l'aria è strano.

Si ricorda del soffitto vetrato e solleva di scatto la testa verso l'alto.

Verde.

È tutto ciò che vede.

Un cielo uniformemente verde. Qualcosa non va.

Aggrotta le sopracciglia. «Dove siamo?» chiede «Credevo che fossimo atterrati.»

«Infatti.» risponde Pai «Siamo in uno strato dell'atmosfera terrestre.»

«Ma l'atmosfera non dovrebbe essere fatta tutta d'aria?» osserva.

Pai sospira, rassegnato a dover dare spiegazioni. «È un ripiegamento spazio-tempo dell'universo che si trova intorno al pianeta e che lo protegge. Dubito che dalla Terra si possa notare. I nostri antenati dovevano averlo trovato, però, perché ci sono i resti della base di astronavi con cui hanno abbandonato il pianeta.»

Tart si limita a fissarlo. Probabilmente lo ha anche spiegato in parole semplici, ma lui non ha capito lo stesso. Per Pai sembra non esistere il concetto di "nozione che altri non comprendono". Tra cui può facilmente rientrare un "ripiegamento spazio-tempo dell'universo intorno al pianeta".
Tart si limita a pensare che debba essere abbastanza sicuro se ci sono atterrati. Poi gli viene in mente che hai comandi c'è Ghish e non suo fratello Pai.

«Da qui possiamo teletrasportarci sulla Terra?» non resiste a chiedere, sperando che non sia una domanda stupida.

«Sì, e viceversa. Ci sono dei posti sul pianeta da cui è possibile accedere comunque a questo luogo, ma al momento non saprei individuarli.»

Tart si accontenta della prima parte della risposta e non fa nemmeno finta da aver capito bene la seconda.

Dei passi.

Pai balza in piedi, arriva ai comandi e spegne le luci. Sentono Ghish avvicinarsi e percorrere i corridoi. Almeno si è ricordato di fare un giro di controllo prima di uscire. Probabilmente sta anche cercando la colonia di parassiti che si sono portati dietro. I chimeri serviranno a rendere il pianeta pronto ad accogliere un'intera popolazione.

I due fratelli rimangono assolutamente immobili.

Dopo interminabili minuti sentono finalmente Ghish teletrasportarsi via.

Tart scatta in piedi per primo. Guarda i borsoni. «Li lasciamo qui?»

«Sì, li nascondiamo in un vano, dovrebbe essere qui.» Pai si avvicina ai comandi.

«Vuol dire che rimarremo nell'astronave? Non è troppo rischioso?» osserva Tart.

Pai scuote distrattamente la testa. «Sono sicuro che Ghish tornerà qui solo per dormire. E in ogni caso, questa parte dell'astronave è l'ultima a cui penserà ora che siamo atterrati.» commenta mentre sistema i loro borsoni in un vano che poi si richiude ermeticamente. «Bene.» fa guardandosi intorno «Vado a fare i primi accertamenti, rimani qui.»

«COSA?» esclama Tart risentito «Spero che tu stia scherzando! Non posso rimanere chiuso qua dentro, che cosa sarei venuto a fare?»

«Uscirai quando sarò certo che è sicuro.» sentenzia il fratello prima di scomparire.

Tart rimane a fissare il punto in cui era fino ad attimo fa. Punta i pugni sui fianchi. «“Uscirai quando sarò certo che è sicuro”.» fa il verso «Col cavolo che rimango qua dentro!» protesta contro il nulla «La Terra non me la perdo.» fa su e giù per la stanza «Sai che figura: uno dei primi atterrati sulla Terra che rimane dentro a fare il bravo bambino.»

Camminare gli ha surriscaldato i piedi. Come si può vivere in un pianeta così caldo? Dovranno cominciare ad andare in giro nudi.

Scalcia le scarpe e rimane qualche istante a guardarle. Alla fine decide di lasciarle così, in mezzo al pavimento, alla faccia della meticolosità di Pai.

Si teletrasporta via, non sa dove di preciso, ma qualunque posto va bene.

I suoi piedi atterrano su qualcosa di relativamente fresco, fatto di tante specie di striscioline. La sua pelle registra calore, non maggiore di prima, ma più diretto. I suoi occhi sono costretti a chiudersi, accecati. La luce continua ad essere troppo forte anche dietro le palpebre chiuse. Si scherma con una mano, prova a sollevare le palpebre di pochissimo. Gli occorrono numerosi tentativi prima di riuscirci.

E deve chiuderli di nuovo. Ad essere accecante non è solo la luce, ma i colori stessi. Non ne ha mai visti di così accesi, così forti.

La luce si attenua improvvisamente. Finalmente riesce a tenere gli occhi aperti.

È circondato dal verde. In tutte le sue sfumature. In tutte le sue dimensioni. Ci sono fili verde chiaro sotto di lui che si susseguono per metri e metri. C'è del verde più scuro in alto, sopra a colonne di vari marroni e diverse dimensioni.

Che razza di posto è?

Guarda in alto. E subito deve riabbassare lo sguardo. Qualcosa di bianco e morbido, una specie di grosso cuscino informe, copre parzialmente la sorgente di luce. E poi... qualcos'altro. Sbircia di nuovo. Azzurro.

Un cielo azzurro.

Non lo aveva mai visto. Il cielo di Arret – le uniche due volte in cui ha potuto guardarlo – è costantemente grigio e pieno di grandine, neve e, se va bene, grandine; di solito, però, la roccia gelida del sottosuolo è l'unico cielo che si può scorgere.

Questo azzurro, un colore freddo, è caldo. Il verde, a terra, è così brillante da ferire. Il marrone è accogliente.

Qualcosa di rotondo e arancione fende l'aria davanti a lui e si ferma sul verde scuro in cima ad una colonna marrone.

Era un animale?

«Dovediavololoailanciato?»

Per poco non urla. Sobbalza, il suo cuore perde parecchi battiti. Salta all'indietro.

Chi ha parlato?

«Nonècolpamia! Meloaipassatotroppoforte.»

Due ragazzini sbucano fuori praticamente dal nulla, spintonandosi a vicenda.

Tart si butta a terra, ringraziando che i fili verdi siano abbastanza alti.

I due si fermano a pochi passi da una colonna.

«Guarda! Èfinitasullalbero.»

«Dove?»

«Lì, traqueirami.»

Tart non capisce una singola parola di quello che quei due dicono.

Si alza e corse più che può nella direzione da cui sono venuti.

Dopo poco sente altre voci. Vuole allontanarsi, invece si avvicina, pur mantenendosi a distanza.

Mentre corre, un alieno orribile gli viene incontro. Avanza veloce sulle quattro zampe, una coda come un timone dietro di lui. Il muso allungato punta dritto davanti a sé, la lingua di fuori.

Tart sta per urlare, poi un fischio.

L'alieno si ferma. Drizza le orecchie, poi si volta e riprende a correre. Tart lo segue a distanza.

Si ferma solo quando vede un altro alieno, diverso, quasi identico a lui. Se non fosse che la sua pelle è marrone scuro, come la terra e non ha orecchie. Ora che ci pensa, neanche i due ragazzini di prima avevano le orecchie.

Tart rimane tra i cespugli a fissare i due alieni giocare con un bastone. Due razze così diverse convivono? Che razza di pianeta è questo?

La Terra.

Nel momento in cui lo realizza si sente male. Questa è la Terra. È meravigliosa.

E già abitata.

Si siede a terra. Si guarda intorno. E vede l'ennesimo alieno.

È piccolissimo, rotondo con due sottilissime zampe, la testa con un muso appuntito e ai lati del corpo due specie di grosse placche. Lo guarda inclinando la testa di lato.

Tart allunga una mano e quello vola via.

«Ma cosa...»

Sente di nuovo fischiare, ma in modo diverso da prima. Il suono si ripete, si sovrappone ad altri. Vengono tutti dall'alto.

Tart si guarda intorno disorientato, spaventato.

Si alza e riprende a correre.

Un nuovo alieno, per fortuna uno di quelli simili a lui, gli passa accanto senza guardarlo. Si direbbe una femmina e cavalca un marchingegno stranissimo, fatto da due ruote e dei grossi tubi che le collegano.

Svolta continuando a guardarsi alle spalle.

In questo modo inciampa e si sbilancia. Ma non cade.

Allibito, rimane sospeso per aria.

Ansima, finché il suo respiro non ritorna regolare.

Solleva cautamente entrambi i piedi. Non è una sua impressione. Può davvero rimanere sollevato da terra. Può fare come il piccolo alieno rotondo? Può volare come un'astronave.

Guarda verso l'alto. Abbassa le braccia e le tiene contro il colpo. Immediatamente comincia a salire verso l'alto. Quando allarga di nuovo le braccia, si ferma.

«Forte.»

Sale di quota, quanto basta per non essere notato dal basso.

Vede qualcosa oltre il verde sotto di lui. Qualcosa fatto di lucidi blocchi grigi. Da lì vengono molti rumori. Vi si dirige.

Guardare tutto dall'alto è bellissimo. Fa sentire potenti. Grandi.

Si avvicina ai blocchi. Sono davvero enormi. Di altezze diverse, intervallati spesso da sottili spazi vuoti. Cosa diavolo sono? Non possono essere naturali.

Aguzza la vista. Qualcosa si muove tra i blocchi. Qualcuno.

Scende di quota.

I corpi più grossi sono troppo lucidi per essere esseri viventi. Sono chiaramente meccanici. Sono i più veloci.

E quelli più piccoli?

Scende ancora, fino a trovarsi su uno dei blocchi più bassi.

Il suo cuore accelera. Sente il battito nelle tempie.

Sono di nuovo loro. Gli esseri simili a lui. Quelli senza orecchie.

Il suo sguardo corre. Da un angolo all'altro, nel dedalo di strade.

Decine.

Centinaia.

Migliaia.

Ora si sente piccolo e impotente.

Alieni.

Sul pianeta ci sono alieni ovunque.

«Che ci fai qui?»

Trasale. Quasi strilla per lo spavento e si volta con un salto.

«Pai!» esclama mentre il fratello atterra davanti a lui «Anche tu voli.»

«Già. Non avevamo considerato questa possibilità. Qui l'atmosfera è diversa, molto più densa e ricca e l'attrazione gravitazionale diversa da quella che conosciamo. Forse i nostri antenati terrestri erano diversi, ma la nostra costituzione fisica è tale da permetterci di sollevarci.» risponde senza quasi riprendere fiato tra una parola e l'altro. Si zittisce così all'improvviso da fare quasi impressione. A volte non riesce a tenere a freno le sue spiegazioni. Ghish non le sopporta. E con lui Pai sa trattenersi. «Che ci fai qui?» ripete, ricordandosi di cosa doveva dire.

È l'ora della scenetta. Del “col cavolo che rimanevo nell'astronave”. Lo farebbe. Forse lo fa anche, senza accorgersene.

«Sono... sono... ci sono... Pai questo pianeta è pieno zeppo di alieni!»

«Ho notato.» conferma il fratello con esasperante calma «Era una possibilità. Questo conferma che il pianeta è particolarmente ospitale, ma il loro numero e la loro varietà è comunque sorprendente.» lui non ha la faccia sorpresa.

«Come facciamo a trasferirci qui se ci sono già loro? Forse non ci sentiranno arrivare senza orecchie, ma di sicuro ci vedranno.»

«Hanno tutti l'udito.» contesta quasi distrattamente Pai «Alcuni persino un linguaggio sviluppato. Dovrei studiarlo. Credo che la specie simile a noi sia molto evoluta. Quasi al nostro livello. Forse. Le loro menti danno l'idea di essere dotate, ma le loro tecnologie sono ancora arretrate.»

«Pai, non me ne importa niente di cosa sono le loro teste. Come facciamo ad abitalo?»

«Credo...» le sue sopracciglia si aggrottano appena «credo che dovremmo usare i chimeri.»

«I chimeri?» Tart non capisce «Quelli servono per costruire. Sì, insomma, spianare, raccogliere, non so, costruire in generale.»

«Possono essere usati in altro modo.»

Continua a non capire. In che altro modo si possono usare i parassiti. Pai li ha chiamati chimeri, quindi ha già pensato di legarli a fonti di energia.

Ma su questo pianeta non ci sono fonti di energie come quelle di Arret. Ci sono solo... le forze-vitali degli alieni. Ma questo non voleva dire ucciderli? Era il motivo per cui il loro utilizzo era stato inizialmente vietato su Arret, no?

E Pai vuole...

e ci arriva.

«Vuoi sterminarli!»

Pai avanza fino al bordo rialzato che delimita la superficie su cui si trovano. Vi posa i pugni e si sporge leggermente in avanti. Abbracciando con lo sguardo tutto l'insediamento alieno.

«Hanno già costruito tutto ciò che ci serve, perciò i chimeri non saranno strettamente necessari per questo scopo.»

«Ma sterminarli!»

«Guarda quei marchingegni.» Pai indica quelli veloci che sfrecciano al centro delle strade «Vedi quasi tubi di scarico.»

«No.»

«Siamo troppo lontani. Mi sono avvicinato, prima. Hanno tutti di tubi di scarico. In un solo giorno immettono nell'aria una quantità incredibile di gas tossici. E guarda lì, in lontananza. Quelle specie di torri. Vedi i fumi che rilasciano?»

Tart deve aguzzare la vista per individuare quella che non è altro che un'ombra in lontananza. Così lontana che se non sapesse che c'è, se non si trovasse così in alto e se ci fosse anche solo un po' più di sole non l'avrebbe mai vista.

«È qualcosa di simile ad una fabbrica, non so come la chiamino. Immette altri gas di scarico. E sostanze tossiche in un corso d'acqua. E...»

«E tu lo hai scoperto nel poco tempo che sei stato qui?» osserva Tart interrompendolo.

Pai esita. «Sono stato attento.»

Nemmeno conoscendolo, Tart direbbe mai che sta mentendo. Eppure è così. Tart lo sente. In qualche modo sa la verità.

Una verità che ha un nome.

Profondo Blu. Lui deve aver guidato Pai.

Come? Difficile dirlo. Sa solo che è così.

Vuol dire che è già stato sulla Terra? Che non sono i primi? Assurdo.

«Il pianeta è enorme, probabilmente tutto questo non ha un grande impatto.» è tutto ciò che trova da dire «Se sono sopravvissuti fin'ora...» lascia la frase in sospeso.

Pai scuote leggermente la testa. «Ci sono migliaia di loro su tutto il pianeta. E sono i primi a sapere ciò che stanno facendo.»

«Pai.»

Si guardano.

E chiaramente non è uno scontro ad armi pari.

«Abbiamo bisogno di questo pianeta. Non sopravviveremo ancora a lungo su Arret.»

Come può rispondere?

«Dovremmo almeno aspettare un po'.» non basta «Raccogliere più informazioni.» ecco, ora va meglio «E lasciare la prima mossa a Ghish.» ora un po' meno.

Pai si limita a distogliere lo sguardo, tenendo però la testa alta. «Ci vediamo dopo.» scompare.

Bel modo di affrontare la situazione.

«Sono perché solo più piccolo!» strilla Tart parlando di nuovo al vuoto «E solo perché ti credi più intelligente.» aggiunge, riflettendo su come sarebbe andata se lui fosse stato più grande.

Guarda verso gli alieni in basso.

Se è vero ciò che ha detto Pai, comunque lo abbia saputo, devono essere una specie di pazzi.

«Ehi!» osserva all'improvviso «Non mi ha detto di stare attento.»

Sorride, divertito.

Finché Ghish se la saprà cavare da solo, sarà uno spasso stare a guardare.




____________________________________________

Angolo me

eccomi qua, finalmente ho trovato il tempo di finire questa mini-long

Ghish è l'alieno che amo, ma Tart è il mio preferito. E, purtroppo, temo che sia anche quello che mi è venuto peggio. Ho però un paio di scusanti. Non volevo mostrare il solito bambino vivace, sipatico e allegro. Doveva essere più inquadrato nel contesto. Tart è un bambino, certo, ma un bambino cresciuto in un pianeta ostile, più che cosciente di cosa succede.

E il più "umano".

Sì, questo l'ho sempre pensato. Perché Pai, fino all'ultimo, è stato fedele a Profondo Blu. E Ghish ha tentato di ucciderlo, direte voi. Vero. Ma solo e soltanto per Strawberry, rispondo io. Adoro la loro coppia, anche se non è la mia preferita, ma devo ricordarvi che a Ghish non importava molto del resto degli umani. Tart invece si è reso conto che non voleva fare ciò che gli era ordinato. Si è frapposto al fratello maggiore. Si è persino fatto uccidere. 

Ecco, era questo il Tart che volevo tirare fuori, o almeno un introduzione a quel Tart.

Temo che non sia venuto bene in ogni caso.

Faccio solo altre due precisazioni e poi, tranquilli, taccio.

Primo. Quando parlano gli umani (i due ragazzini del parco in particolare) ho scritto appositamente le parole tutte attaccate. Sì, perché gli alieni non possono avere la nostra stessa lingua, quindi appena arrivati non potevano comprenderla. In seguito, avranno avuto tutto il tempo di apprenderla. Ho anche eliminato le "h" del verbo avere per trascrivere solo i suoni, lasciando però gli intervalli della punteggiatura.

Secondo. Non volevo che le conclusioni sugli umani nascessero in modo così affrettato, ma volevo anche metterle in questo capitolo conclusivo. In più Pai è abbastanza spesso da poterci arrivare in fretta. In questo modo credo di non aver reso abbastanza bene quella parte. Pazienza.

Okay, finito, scusate se ho scritto un poema.

Grazie mille per aver letto la storia e un bacio a mobo per aver recensito i primi due capitoli. Ovviamente anche a tutti quelli che recensiranno questo ma, ehi, non posso vedere nel futuro.

Ancora. Ci sto lavorando. ;)

Artemide

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3066808