Brave Princess... Rebel King

di nuvole_e_popcorn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Superheroes ***
Capitolo 2: *** Capitolo II Choices ***
Capitolo 3: *** Capitolo III with blood and dirt on my hands ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV The snow that washed all of their sins away ***
Capitolo 5: *** Capitolo V Goes around turn around ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI: Of safer places on the Hearth ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII Of bets and wedding planner ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII: Of confession and decisions ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX Clarity ***
Capitolo 10: *** Capitolo X Tragic man ***



Capitolo 1
*** Superheroes ***


B
                    REBEL King
A
V
               E Princess
 
Salve! Questa è la prima storia mia che scrivo su The 100, ho già pubblicato la traduzione di una fanfic, devo dire il vero non mi sono mai cimentata in questo tipo di genere, ma mi sono talmente tanto innamorata della coppia Bellamy/Clarke, che non ho potuto prorpio farne a meno xD mi perdonerete quindi se non ho una scrittura perfetta o scorrevolissima, vi prego comunque di avvisarmi di un qualsiasi errore semantico, sintattico o grammaticale e provvederò immediatamente! Ovviamente spero vi piaccia e spero vi sentire il vostro parere in merito, sono ovviamente accettate anche le critiche (perfino incoraggiate se costruttive! Andiamo se fossi bravissima avrei già pubblicato un libro e sarei già famosa!?) e anche le recensioni positive (andiamo a chi non piace ricevere dei complimenti?) Quindi niente, lasciate un commento se vi va, mi farà molto piacere sapere cosa ne pensate anche perché le recensioni sono il carburante per gli scrittori! Se sono negative spingono a fare meglio, positive a continuare a scrivere e neutre beh serve a far capire che comunque qualcuno legge la tua storia e per fargliela piacere devi migliorare ancora un po'. Non vi tedio oltre, spero di non avervi fatto passare la voglia di leggere la fanfic quindi ora mi zippo la bocca e vi lascio alla lettura! 
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Capitolo I
SUPERHEROES
Abby gli aveva urlato addosso. E poi si chiedeva perché non piaceva alla maggior parte dei 100 che erano scesi sulla Terra. Non solo aveva tradito Clarke, perché nessuna figlia sarebbe mai stata così distante dalla propria madre altrimenti; ma adesso dava anche contro Bellamy. Quella donna era l’incarnazione delle loro peggiori paure. Tutti e Cento da delinquenti che erano avevano temuto l’arrivo dell’Arca, ma era stato ancora peggio di quanto non pensassero: si era creato un equilibrio fra loro avevano dei leader, e da quando Abby Griffin e Marcus Kane avevano messo piede sulla Terra lentamente li avevano persi entrambi. Sì, perché il giorno che avevano perso Clarke Griffin avevano perso anche Bellamy Blake.
“Dov’è lei?” aveva domandato con tono imperioso.
“Lei non c’è” aveva risposto lui, con una tristezza in cuore che solo i Cento potevano capire, anche se non ancora appieno.
“Questo lo vedo – aveva risposto acidamente Abby – voglio sapere dov’è”
“Non lo so” aveva risposto lui sinceramente, passandole oltre, non voleva starla sentire.
“E tu l’hai lasciata andare?!” Bellamy alzò gli occhi al cielo, mentre la donna lo prendeva per un braccio fermando la sua camminata e ponendosi davanti a lui.
“Senti. Me lo ha chiesto lei – le aveva detto – e io so rispettare le sue scelte. Puoi dire lo stesso, tu?” Abby Griffin sgranò gli occhi, negli occhi marroni Bellamy poté vedere quanto dolore tenuto taciuto quanto dispiacere. In quel momento Abby Griffin fu la cosa più simile a Clarke che Bellamy avesse mai visto. Guardò a terra, incapace di sostenere quello sguardo lo stesso che aveva avuto Clarke mentre si salutavano, prima di dire:
“Non avrebbe retto al senso di colpa. Ha bisogno di stare da sola per un po’…”
“Perché non sei andato con lei?!” gli urlò contro lei. Sembrava uno scontro impari: Abby Griffin arrabbiata, imbufalita, disperata urlava contro Bellamy Blake perso, arrabbiato, vuoto e disperato.
“Mi ha fatto fare una promessa! – rispose lui sottovoce – e ho intenzione di mantenerla. Abby, tua figlia sa badare a se stessa, ci sta volendo tutta la mia forza di volontà per voltare le spalle per un po’, ma lo devo fare per lei, perché lei me lo ha chiesto. E lo farò. Non mi rendere le cose più difficili di quanto già non lo siano”  Abby aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu interrotta dalla mano di Kane che le si posò sulla spalla, in senso di conforto. Bellamy sgranò gli occhi, ricordando quando anche lui aveva fatto qualcosa di simile per Clarke e in quel momento notò quanto fossero simili, quanto i loro atteggiamenti fossero li stessi.
“Tornerà” disse, un po’ per convincere loro, un po’ per convincere se stesso “E io aspetterò. Dovreste farlo anche voi” si era voltato quindi e aveva incrociato lo sguardo vuoto di Jasper e per la prima volta Jasper aveva sentito un’empatia con il loro leader. Anche lui era spezzato. Anche lui aveva subito una perdita. Peggiore ancora della sua, perché quella di Clarke era stata una scelta volontaria.
Kane e Abby ci avevano provato, a imporsi come unici leader e sebbene gran parte degli abitanti dell’Arca avessero acconsentito non si poteva non notare la continua affluenza di persone davanti alla tenda di Bellamy. Era un segnale chiaro da parte dei Cento, o di coloro che ne restavano, Bellamy continuava a essere il loro capo, a lui si rivolgevano per le decisioni più importanti. E Bellamy si prendeva cura di loro come un padre amorevole e Jasper ricordò quanto era successo solo poche tempo prima (anche se in realtà era molto) quando Clarke era uscita dalla sua tenda e gli aveva consigliato di lavarsi le mani prima di ingozzarsi come un maiale; e di come lui l’avesse sfottuta chiamandola “Mamma” di come Bellamy era intervenuto ordinandogli di fare come aveva detto Clarke, al quale aveva ribattuto con un “ok, papà”. Bellamy era un padre a cui ora mancava la sua compagna.
“Raven smettila di andartene in giro tutto il giorno, non ti sei ancora completamente ripresa”
Raven scosse la testa, Wick di fianco a lei annuì in approvazione al rimprovero di Bellamy. Ma la ragazza era più cocciuta di un mulo:
“Cerco di fare quanto posso”
“Lo so che ti manca Clarke – le aveva risposto Bellamy posandole una mano su un braccio – manca anche a me, credimi, ma non puoi fare quello che faceva lei, Raven, siete persone diverse… e io…”
“Non lascerai mai a nessuno prendere il suo posto, lo sappiamo Bellamy – lo interruppe Raven, scoccando un’occhiata di consenso a Wick – e io non voglio farlo, perché diavolo continuate tutti a metterci a paragone, solo perché abbiamo dormito con lo stesso ragazzo! Voglio solo fare tutto quello che posso è quello che farebbe Clarke se fosse qui”.
 
“Non capisco – stava dicendo Abby mentre era nell’Infermeria – perché continuano ad affidarsi a lui! E’ un ribelle da quattro soldi!”
“Tua figlia si fidava di quel ribelle da quattro soldi, Abby” le fece presente Marcus, guardando nella direzione in cui Bellamy stava dando ordini ai restanti dei Cento “E comunque ha la stoffa del leader devi ammetterlo.”
“Non capisco cosa Clarke ci vedesse in lui è irresponsabile, testardo, ignorante…”
“Abby! Non essere gelosa della fiducia che tua figlia ha verso Bellamy, sono sicuro, se ho capito bene da quello che dicono i Cento, che i due in un primo momento si detestavano apertamente, ma per quel poco che li ho visti io insieme si completano a vicenda, se Clarke è indipendente, amorevole e pacifica, Bellamy è veloce, acuto, intelligente ed è capace di prendere scelte difficili. L’uno senza l’altra non ce l’avrebbero fatta”. Abby scosse la testa, non convinta.
 
Quando Lexa arrivò al Campo tutti i suoi abitanti la guardarono chi con ribrezzo, chi con sfiducia, chi non la guardò proprio, ma non volevano aprire una guerra vera e propria e quando Abby e Marcus le si avvicinarono, lei li passò senza tante cerimonie raggiungendo il luogo dove Bellamy, braccia incrociate al petto, accigliato, la fissava con astio.
“Lei dov’è?” domandò Lexa, dopo aver controllato la folla alla ricerca di una chioma bionda.
“Non c’è” rispose lui semplicemente, e poté vedere anche negli occhi della donna un gran dolore dipinto a caratteri cubitali.
“Allora dove la posso trovare”
“Se lo sapessi secondo te sarei ancora qui e non là con lei?” domandò lui. I due si fissarono in cagnesco. Tutti sapevano che Bellamy provava qualcosa per Clarke, era abbastanza ovvio, visto il suo comportamento, ma l’atteggiamento apertamente ostile di Lexa non riuscivano proprio a spiegarselo.
“Io devo vederla” aveva detto lei “devo spiegarmi”
“Mettiti in fila e aspetta il tuo turno. – le rispose il ragazzo, che mai come allora ad Abby sembrò un uomo – perché prima ci sono io”
“E cosa ti da questo diritto? Mi pare che Clarke sia scappata da te, non da me” rispose l’altra punzecchiandolo.
“Il fatto che tiene abbastanza a me da non volere che io senta il suo stesso senso di colpa. Quello che tu sembri non poter provare. Cosa vuoi, davvero? Sapevi già prima di entrare che lei non c’era. Ho visto i tuoi uomini controllarci dal limitare degli alberi in queste settimane.”
A questo Lexa rimase zitta:
“Ma non ha avuto il coraggio di sceglierti” rispose in un sussurro.
“Perché io non le ho imposto alcuna scelta. Se non ti serve altro andatevene” Abby e Kane li osservavano stupiti, quel ragazzo era davvero il leader, perché era così che i Terrestri lo ritenevano.
Quando Lexa si fu voltata lui parlò di nuovo:
“Clarke non è scappata, comunque.” Era una frase enigmatica che nessuno di loro capì, ma Lexa sembrò intendere e senza dire altro uscì dal Campo seguita dai suoi uomini.
Dov’era Clarke Griffin e perché Bellamy Blake non era andato a cercarla?
 
Clarke si lasciò alle spalle Mount Weather dove aveva sepolto tutte le vittime della sua scelta. Insieme. Si strinse di più nel proprio giubbotto, stava arrivando l’inverno e cominciava a fare freddo, non sapeva come sarebbe sopravvissuta da sola al freddo, ma non le importava. Se è il perdono che ti serve. Te lo darò io. Sei perdonata. No che non lo era. Perché lei non se lo poteva permettere.
Era rimasta a distanza ravvicinata, in modo da poter tener d’occhio il Campo di tanto in tanto. Per poterli controllare, senza essere vista. Aveva visto l’ambasciata di Lexa e dei suoi. Aveva visto il modo accigliato con cui Bellamy le aveva risposto e aveva visto le lacrime che solcavano il suo viso mentre la leader abbandonava l’accampamento degli SkyPeople. Aveva avuto la tentazione di seguirla e confrontarsi con lei, ma non l’aveva fatto. Non voleva farlo. Non c’era niente di cui discutere e quindi aveva preso quella scelta a cuor leggero. Viveva in un piccolo bunker che aveva trovato poco distante dall’accampamento, non c’era molto qualche candela, qualche lenzuolo, una coperta e una tanica, nulla di più. Ma sarebbe andato bene. Sarebbe stato il suo Purgatorio. Anche se la pena era vederli andare avanti, senza di lei.
Li teneva d’occhio anche durante le battute di caccia. Copriva loro la schiena senza che se ne accorgessero, anche se Monty quando raccoglieva le erbe che gli servivano si guardava spesso intorno cercando di capire se veniva osservato. Era sempre lì. Ma era dietro le quinte. Era l’unica cosa che la manteneva in vita: proteggerli da distante.  
Tutte le notti sognava. Sognava cose che non sarebbero mai accadute. Una vita sull’Arca, una bambina con i lunghi riccioli scuri e due grandi occhi blu, il naso coperto di lentiggini e un sorriso con qualche dente già caduto che le correva incontro per i corridoi dell’Arca. Una vita che non sarebbe mai stata. Una vita in cui spesso suo padre faceva la sua apparizione. E piangeva ogni notte, fino ad addormentarsi.
Capì che Bellamy aveva un’idea di dove si nascondesse quando trovò, sul sentiero che portava all’accampamento un giubbotto più pesante, anche se troppo grande per lei, con dentro una scatola di proiettili con scritto sul retro con un carboncino ‘Bellamy’ e nella tasca interna una pistola, piccola ma efficace. Capì che le stava dando tempo, finché non decidesse di tornare. Per una volta scoprì che si atteneva a ciò che gli aveva detto, non la costringeva a tornare, ma le faceva capire che lui c’era comunque. Che in qualche modo riusciva ancora a prendersi cura anche di lei, e questo le aveva riscaldato il petto con un’ondata di orgoglio e affetto… o forse anche qualcosa di più, ma non era ancora pronta ad ammetterlo.
Fine capitolo primo.

Nel prossimo capitolo:

“Mi volevi vedere” la leader si voltò a osservarla. Era dimagrita, pallida, sporca di terra, le labbra contratte in una linea tirata, indossava un giubbotto decisamente troppo grande per lei e aveva in mano una pistola, la stessa con cui aveva sparato per attirare la sua attenzione. Non aveva più lo sguardo della Clarke parzialmente innocente che aveva incontrato, aveva uno sguardo di una persona disposta a fare di tutto per le persone a cui teneva. E la cosa la spaventò e per la prima volta ebbe davvero paura di Clarke Griffin

Eccoci qui a fine capitolo. Spero vi sia piaciuto e spero lasciate qualche commento per scambiare con me le vostre opinioni! Un bacio Giu!

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Capitolo 2
*** Capitolo II Choices ***


Capitolo II
CHOICES
Clarke non capiva perché Lexa continuasse a tenere d’occhio il campo. Credeva che sarebbe tornata così in fretta? Allora non la conosceva così bene come le piaceva credere. Ricordava quel bacio pieno di promesse infrante, sbagliato. L’unica cosa che era stata e non era perché Lexa era una donna. Clarke non era mai stata il tipo da pregiudizi quindi quello non contava. Era il fatto che era stato sbagliato punto. Avrebbe sempre scelto altro prima di arrivare a Lexa, la sua ultima spiaggia. Ma non era vero neanche quello altrimenti sarebbe andata da lei invece che rimanere da sola. No, Lexa era la scelta che Clarke aveva deciso di rifiutare. Ancora si irrigidiva quando vedeva il suo sguardo rivolto verso il campo, per la paura che potesse fare del male a loro per convincerla a uscire dal suo nascondiglio perché non era stupida e sapeva che sarebbe rimasta a distanza di sicurezza per tenerli d’occhio. Era questa la ragione perché anche lei li teneva d’occhio? Sperava di incrociarla? Allora si sbagliava di grosso. Non si sarebbe fatta vedere non da loro certo. Clarke guardò all’interno del campo: Jasper negava a Monty la parola, e quello si aggirava spiritato in giro per il campo in assenza del suo migliore amico; Abby e Kane cercavano di mandare avanti la baracca rifiutando l’aiuto che Bellamy comunque continuava a dar loro. Bellamy. Ricordava l’istantanea spinta che aveva sentito da quando l’aveva conosciuto. All’inizio aveva pensato si trattasse di competitività per la leadership, ma aveva capito presto che nonostante le loro continue discussioni si fidava del ragazzo, forse era stato il fatto che le aveva salvato la vita da quella trappola dei Terrestri e non l’aveva fatto facilmente. L’aveva fatto d’istinto perché il suo corpo aveva agito di volontà sua, ma nei suoi occhi Clarke aveva visto il dubbio, ma vi aveva visto anche la risoluzione, la decisione di non lasciarla cadere, di non imporre di togliersi il bracciale per essere salvata. Ricordava anche il suo sguardo terrorizzato mentre Murphy le teneva un coltello alla gola e la minacciava la sera della morte di Charlotte era come se sapesse che ce l’avrebbero fatta solo insieme. Ma non era vero. Bellamy era in grado di farcela anche da solo. Per questo aveva saputo che poteva lasciarlo andare. Anche se non lo aveva davvero fatto. Ormai sperava quasi tutti i giorni di trovare qualcosa che lui le avesse lasciato sul sentiero. E un giorno trovò un quadernetto. Era la sua scrittura e lo scoprì quasi completamente vuoto, solo la prima pagina era scritta.
Sono passate quattro settimane Clarke, il freddo sta arrivando. Quanto pensi di riuscire ancora a resistere?
Manchi a tua madre. Manchi a tutti. Manchi a me…
Non voglio chiederti di tornare. Ti conosco abbastanza da sapere che non voglio porti davanti alla scelta. Mi preoccupo solo per te. Lexa ti troverà, lo sai. È testarda peggio di te, solo che ha più risorse di noi, e sa già cosa aspettarsi dall’inverno. Sta attenta.
L’ultima parte l’aveva calcata. Per darvi maggiore importanza. Sapeva che non gli avrebbe risposto. Non ne aveva la forza. Ma lasciò il quadernetto con una piega alla prima pagina per far capire che l’aveva letto lì dove l’aveva trovato.
Non ricevette sue notizie per un’altra settimana. Poi trovò il quadernetto nascosto dentro un albero.
Raven sta meglio, ha ricominciato a camminare senza stampelle. Wick le fa bene. Non l’avevo mai vista così felice, dopo Finn. Le manchi. Manchi a tutti. Jasper oggi ha finalmente rivolto la parola a Monty, lui ha quasi pianto quando è successo. Dovevi esserci.
Sentì l’amaro in bocca a quelle parole. Sapeva che non l’avrebbe perdonata tanto facilmente. Che anche se non lo dimostrava era arrabbiato con lei eppure continuava a prendersi cura di lei da distante.
Un giorno, poco tempo dopo, le nuvolacce preannunciavano brutto tempo trovò il quadernetto lì dove l’aveva lasciato tre giorni prima. Bellamy non l’aveva preso. Non sapeva perché, ma corse a perdifiato verso l’accampamento con una strana sensazione alla base dello stomaco. Tutto era in gran fermento. Guardò ovunque, ma di lui non c’era traccia. Octavia sembrava preoccupata mentre cercava tenda per tenda. Lincoln poco distante la aiutava e perfino Jasper si era unito alle ricerche.
“Octavia che fai!?” le urlarono contro quando con le lacrime agli occhi raccolse la sua spada e si preparò a correre fuori solo per essere trattenuta da Lincoln al limitare delle ‘mura’ di cinta. Jasper cercava di calmarla, Lincoln continuava a tenerla stretta per evitarle di dare colpi di testa. Fu allora che piangendo urlò:
“Lo so che ci sei! – e Clarke seppe esattamente a chi stava parlando, anche se era certa che non l’avesse vista – so che sei qui intorno! Lo hanno preso! Per favore! – abbassò la voce di un’ottava – solo tu puoi aiutarlo…! Per favore portalo a casa!” poi arrabbiata rientrò nel campo.
Clarke sapeva dove cercare. E Lexa doveva sperare che lui steste bene o si sarebbe pentita amaramente di aver incrociato Clarke sul suo cammino. Li seguì fino al limitare di una radura in cui si fermarono e li osservò dalla distanza: Lexa e Bellamy si fronteggiavano, lui costretto in ginocchio con un occhio gonfio, che sarebbe diventato nero e qualche taglio, un labbro gonfio.
“Dimmi dov’è!”
“Te l’ho già detto non lo so!”
“BUGIARDO! Io so che sai! Ti ho visto mentre ti guardi attorno, ti ho visto partire con un giubbotto e lasciarlo per tornare senza! Ti ho visto… so che sai dov’è”
“E pensi che te lo dirò perché…?” Clarke quasi rise alla strafottenza del ragazzo, ma smise immediatamente quando vide Lexa schiaffeggiarlo.
“Perché io posso proteggerla!”
“Clarke – disse lui sputando – sa benissimo cavarsela da sola. E non ha bisogno della tua protezione. Ci sto già pensando io!”
“E pensi di riuscire a proteggerla meglio di me?!” sbottò quella tirando fuori un coltello.
“So che lo faccio! – rispose lui – e comunque se avesse voluto sarebbe venuta da te, no?” a questo Lexa rimase interdetta per un attimo.
“Non sono affari tuoi. È solo spaventata, ma sa che alla fine io sono la scelta giusta” rispose incattivita.
“Non lo sei per la semplice ragione che desideri imporle una scelta.” Rispose lui a mezza voce.
“Non osare” sillabò la donna, minacciosa, ma Bellamy sembrava completamente ignaro del pericolo.
“Non ho paura di te. E sai qual è la cosa più bella? Se anche tu mi uccidessi non otterresti comunque quello che vuoi perché lei non te lo perdonerà mai” questa fu la goccia che fece traboccare il vaso, Lexa si preparò a colpire. Ed allora lo sparo risuonò nella radura. I terrestri imbracciarono le loro armi pronti a combattere.
“Mi volevi vedere” la leader si voltò a osservarla. Era dimagrita, pallida, sporca di terra, le labbra contratte in una linea tirata, indossava un giubbotto decisamente troppo grande per lei e aveva in mano una pistola, la stessa con cui aveva sparato per attirare la sua attenzione. Non aveva più lo sguardo della Clarke parzialmente innocente che aveva incontrato, aveva uno sguardo di una persona disposta a fare di tutto per le persone a cui teneva. E la cosa la spaventò e per la prima volta ebbe davvero paura di Clarke Griffin. La ragazza fece un altro passo nella radura l’arma bene in vista. Non sapeva esattamente come uscire da quel casino, ma ormai Bellamy c’era dentro fino al collo, non c’era tempo per pensare a una strategia. Avrebbe improvvisato.
Immediatamente lasciò Bellamy cadere a terra e fece un passo verso di lei, ma quando si vide la pistola puntata contro arretrò.
“Ti sei messo in un bel casino, Bell” disse rivolta al ragazzo, che alzò lo sguardo a incrociare il suo per poi scuotersi nelle spalle:
“Che vuoi farci, Principessa, sono una calamita per i guai”
Questo lo so. Avrebbe voluto dire, ma rivolse nuovamente la sua attenzione alla donna che la fissava con insistenza.
“Che vuoi?” chiese con acidità.
“Parlare”
“No” rispose categorica “mi hai tradito. Hai tradito la mia fiducia. Hai lasciato la mia gente a morire e io dovrei parlare con te? Hai preso lui. E io dovrei lasciarti parlare. Lexa, te lo puoi scordare” Lexa lanciò uno sguardo alle sue guardie, per accertarsi che avessero abbassato le armi e come da ordine lo avevano fatto, anche se erano tesi pronti a scattare per proteggere il proprio leader.
“L’ho fatto per la mia gente. Lo capisci”
“Mi avresti lasciata lì a morire. – disse Clarke facendo un passo avanti – e poi hai il coraggio di baciarmi e comportarti come se ti importasse?”
“Non lo avrei mai fatto! Avevo mandato i soldati a tirarti fuori. Ma non ci sono riusciti”
“Sì e vuoi sapere perché? Perché sono andata da lui. Lexa, non c’è più niente di cui parlare. La mia scelta era già stata presa. Non ci ho dovuto neanche pensare. Capisci questo? E non stai esattamente passando dalla mia parte buona rapendolo e maltrattandolo.”
“Lui è un ostacolo! Ma possiamo sormontarlo.. Insieme” disse lei con le mani sul cuore. Clarke fece una faccia disgustata prima di dire:
“Insieme? Ah! No, Lexa non c’è un noi, non c’è un insieme. E anche se fosse non è un ostacolo che ho desiderio di superare. Grazie tante.” Vide gli occhi della donna riempirsi di lacrime ricacciate indietro. L’amore è una debolezza. L’aveva sempre detto, lo sapeva, ma aveva davvero creduto per una volta potesse non essere così quando l’aveva incontrata. Ma perché l’aveva fatto? Perché era così tanto affascinata da quella ragazza coi capelli biondi? Perché anche se amava questo la rendeva più forte. Ecco perché.
“Se non ti potrò avere io neanche lui potrà!” sbottò avvicinandosi a Bellamy coltello in mano. Lo sparo risuonò forte mentre il proiettile si conficcava nella terra vicino ai piedi di Lexa.
“Tu provaci – la minacciò Clarke – era solo un avvertimento. La prossima volta non sbaglierò mira.” Lexa la guardò sconvolta. Credeva davvero che non l’avrebbe colpita. In quel momento comprese che esattamente come l’uomo che aveva di fianco Clarke era disposta a fare quel sacrificio, perché lui vivesse. Non si sarebbe spinta al livello di Finn, di quell’uomo che aveva ucciso diciotto dei suoi, ma non avrebbe avuto paura a colpirla. Quello mai.
“Ora slegalo. E lasciaci andare. Non cercarmi più e non avvicinarti alla mia gente.” Lo disse con una decisione tale che Lexa abbassò il capo sconfitta e fece un cenno ai suoi che lo liberarono e lo spinsero verso Clarke.
“Andatevene. – ordinò Clarke – andatevene adesso” dopo un momento Lexa obbedì abbandonando la radura e solo quando non sentì più i loro passi in lontananza si permise di respirare. Inginocchiandosi di fianco a lui e ispezionando le sue ferite. Erano marginali per fortuna.
“Sto bene” disse lui, ma si beccò uno schiaffo. “Ma che diavolo…”
“perché diavolo ti sei fatto cogliere alla sprovvista, hmm?!”
“E c’è bisogno di malmenarmi per questo? Insomma, diavolo, la mia ragazza è manesca!”
“Sta zitto” lo fulminò lei, nonostante l’ondata calda che l’aveva riempita quando l’aveva sentito parlare. “Octavia era fuor di sé dallo spavento!”
“Octavia ti è venuta a cercare?”
“No. Sapeva che ero nei dintorni mi ha urlato contro sperando che la sentissi, anche se non mi poteva vedere… era preoccupatissima”
“ E tu?”
“Ma che domande sono, ti ho tirato fuori dal casino, no? Pensi l’avrei fatto se non fossi stata preoccupata?”
“Mi hai sempre tirato fuori dai casini, anche quando non ti stavo simpatico”
“Vero. Ma ero preoccupata” lui ghignò.
“Lo sapevo”
“Lo sapevo” lo motteggiò lei. Alzandosi in piedi. Lui seguì il suo esempio sorridendo.
“Torna con me”
“Io…”
“So che li hai seppelliti.. hai fat.. abbiamo fatto l’unica cosa che potevamo e non è giusto che tu puoi abbandonarti alle tue colpe e io devo andare avanti per tutti e due. Quindi o torni con me o questa volta resto io con te.” Sembrava categorico.
“Manchi. Tua madre non riesce più a dormire bene. Manchi a tutti. Jasper ha chiesto di te in continuazione vuole parlarti” le disse quando lei guardò a terra. Solo quando le alzò il viso vide che piangeva.
“Per favore. Ho bisogno di te. Non posso farlo da solo” la pregò stringendola al petto. Non le aveva mai imposto una scelta, ma ora pretendeva una risposta.
“Ok” singhiozzò lei.
Quando arrivarono ai cancelli era ormai sera e Clarke rabbrividì, ma non per il freddo, per la paura. Fu allora che sentì la mano calda di Bellamy nella sua.
“Andiamo a Casa” lei annuì e con lui fece quel passo. C’era ancora della strada da fare. Lo sapeva. Ma non avrebbe abbandonato la battaglia questa volta.
Fine secondo capitolo
 
Nel prossimo capitolo:
“Ci ha abbandonati! Come possiamo fidarci di lei?!”
“Io mi fido” disse Jasper primo fra tutti e un coro di sì lo seguì.
“Io mi fido di voi – disse Clarke – si sono andata via. Ma non vi ho mai abbandonati. Vi guardavo la schiena durante la battute di caccia vi proteggevo controllandovi a vista. Solo non mi vedevate”
“Chiunque abbia qualcosa da dire – fece improvvisamente Bellamy ponendo fine alla discussione – ne risponderà a me. Se vi fidate di me, vi fiderete di lei perché io le metterei in mano la mia stessa vita” tutti rimasero in silenzio.
“Allora, il tuo ragazzo sembra piuttosto protettivo”
“Raven…”
“Hey non mi guardare così. È il tuo ragazzo”
Sì. Lo era. Ma non lo avrebbe ancora detto.      
Eccoci qua! Con il secondo capitolo che avevo già pronto e ho solo finito di controllare. Coraggio ditemi cosa ne pensate! Un bacio alla prossima.

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Capitolo 3
*** Capitolo III with blood and dirt on my hands ***


 
Capitolo III
WITH BLOOD AND DIRT ON MY HANDS
Una piccola folla li aveva raggiunti non appena avevano varcato le mura dell’accampamento; Clarke si sentì fin soffocata da tante persone dopo quasi un mese che aveva passato completamente da sola.
“Tu, stupida!” esclamò Raven stritolandola con un braccio e tirandole un orecchio con l’altro “Non mi fare mai più spaventare a questo modo, intesi?” domandò allontanandosi leggermente da lei; e fu allora che Clarke fu investita in pieno da Jasper che affondò la testa nella sua spalla singhiozzando.
“CLARKE!” aveva esclamato, stringendola quasi convulsamente. Clarke aveva temuto che Jasper non l’avrebbe mai perdonata e che la ritenesse responsabile della morte di Maya. Bellamy l’aveva adesso superata e le rivolgeva un sorriso dolce, mentre la vedeva sciogliersi tra le braccia dell’amico, scusandosi per l’involontaria pena inflittagli.
“Mi sei mancata” le aveva detto Jasper cedendo il passo agli altri “con chi altro avrei potuto parlare di lei?” Clarke era sull’orlo delle lacrime, così quando si trovò di fronte sua madre, col fiato grosso e gli occhi lucidi, bastò una leggera pressione sulla schiena da parte di Bellamy che si buttò nelle braccia aperte della donna che l’aveva messa al mondo, perdonando in quel momento quanto era accaduto tra loro.
Abby Griffin non poteva credere che sua figlia fosse tornata, finalmente e lanciò uno sguardo di ringraziamento al giovane uomo che non aveva mai staccato gli occhi per un attimo da sua figlia e che l’aveva riportata da lei.
Ma Bellamy aveva altre preoccupazioni per la testa: infatti, aveva notato che un cospicuo gruppo dei Cento che Clarke l’aveva aiutato a guidare se ne stavano in disparte, guardandola di sottecchi poco convinti. Forse, Clarke aveva perso la fiducia del gruppo e sperò con tutte le sue forze che non se ne accorgesse prima che potesse sistemare la situazione, ma bastò una sola occhiata nella sua direzione, incrociando il suo sguardo triste, a capire che se ne era accorta e che pensava avessero ragione.
“Ti farei stare nella mia tenda – aveva offerto Raven – ma non sarebbe salutare per te, con me e Wick che..” aveva lasciato il doppio senso in sospeso e Clarke aveva gentilmente declinato. Avrebbe occupato una delle brandine nell’infermeria, come sua madre, così se fosse stato necessario sarebbe stata disponibile a dare una mano con i feriti. Dopo il giro di saluti non aveva più visto Bellamy e lo cercò con lo sguardo trovandolo poco distante l’Infermeria ad aspettarla. Lo raggiunse, mentre sua madre entrava all’interno.
“Senza parole, Principessa?” le aveva domandato ghignando.
“Senza dubbio, Blake” aveva risposto a tono lei, sorridendogli.
“BELL! CLARKE!” il tornado chiamato Octavia Blake li investì in pieno rovinando completamente l’atmosfera del momento con Lincoln poco distante che scuoteva la testa divertito dal comportamento della ragazza. Li abbracciò entrambi, rimproverando Bellamy per la sua scarsa intelligenza nel farsi rapire e Clarke perché era troppo dimagrita.
“Se avrai bisogno di me, Principessa – aveva aggiunto Bellamy andandosene – la mia tenda e quella laggiù. Non esitare a venire”
“Buonanotte Bellamy”
“Clarke! Dico sul serio. Per qualsiasi cosa la porta è aperta”
“Grazie” e con questo entrò nell’infermeria, senza voltarsi indietro.
***
“Potremo andarcene” Clarke era lì da qualche giorno, ma aveva già ben chiaro il problema principale: gli ultimi arrivati dall’Arca li stavano emarginando. Si, in teoria i loro crimini erano tati perdonati, ma continuavano a vederli come delinquenti e quindi si comportavano come se avessero a che fare con tali. Non era il loro posto quello. Per quanto amasse sua madre era convinta che bisognasse ricominciare.
“Lo so” rispose Bellamy imbracciando ancora il fucile. Era di guardia e Clarke lo aveva raggiunto sulle mura per discutere della questione. “Ci avevo pensato anch’io – aggiunse –ma volevo aspettare che tu tornassi perché da solo non posso sperare di guidarli tutti” Clarke annuì. Sapeva cosa intendeva.
“Però credo che sia meglio aspettare che l’inverno finisca… abbiamo poche risorse e se restiamo uniti durante l’Inverno forse riusciremo a organizzarci per spostarci in primavera.”
“Sempre razionale. Clarke quanto credi che ci metteranno per escluderci dalle coperte, dai fuochi, dalle tende riscaldate? Siamo gli emarginati qui, quelli che nessuno vuole. Secondo me dovremmo provare ad andare a est verso il mare, da qualche parte mi sembra di aver letto che le temperature sono più miti lì. E costruire il nostro accampamento” Clarke rimase in silenzio, senza rispondere così Bellamy rincarò la dose:
“Sul serio Clarke, se non avessimo aperto le comunicazioni con l’Arca pensi che non saremo sopravvissuti all’inverno? Ci saremo inventati qualcosa”
“Credo – disse Clarke – che dovremmo chiedere loro che cosa ne pensano e lasciare che si decida. Tutti insieme”. Bellamy annuì.
 
Entro sera i restanti dei Cento erano tutti raccolti attorno ad un falò. Abby non aveva accettato di buon grado la notizia che la sua figlia appena ritrovata volesse partire sin da subito, ma Clarke era stata irremovibile.
“Non vi piace essere gli emarginati vero?” domandò Bellamy al quale Clarke aveva lasciato la prima parola.
“NO!”
“Allora andiamocene – intervenne Clarke – costruiamo un accampamento tutto nostro! Vicino al mare dove le temperature sono più miti, e affrontiamo l’inverno noi! I primi che hanno toccato Terra dopo 97 anni!”
Un mormorio si impossessò della folla.
“Ci ha abbandonati! Come possiamo fidarci di lei?!” esclamò un ragazzo che Clarke non riusciva a ricordare come si chiamasse. Le sembrava fosse lo stesso che durante l’epidemia di Murphy le aveva intimato di rientrare nella navicella e che Bellamy aveva trattenuto dallo spararle.
“E’ vero – disse Clarke – me ne sono andata. Non ho il diritto di chiedervi la fiducia che avevate prima in me…”
“Io mi fido” disse Jasper primo fra tutti e un coro di sì lo seguì, Raven in prima fila alzò una stampella (la sera continuavano ad accompagnarla nelle sue passeggiate) a mò di minaccia verso chiunque osasse dire il contrario.
“Io mi fido di voi – disse Clarke – si sono andata via. Ma non vi ho mai abbandonati. Vi guardavo la schiena durante la battute di caccia vi proteggevo controllandovi a vista. Solo non mi vedevate”.
Un mormorio di sorpresa invase la folla.
“Chiunque abbia qualcosa da dire – fece improvvisamente Bellamy ponendo fine alla discussione – ne risponderà a me. Se vi fidate di me, vi fiderete di lei perché io le metterei in mano la mia stessa vita” tutti rimasero in silenzio.
“Ora resta solo una domanda: siete con noi!? – un coro di “si” si alzò dalla folla – e soprattutto quando partire? Io dico subito! Siamo combattenti sopravviveremo all’inverno.”
“Bellamy però non abbiamo molte risorse!” esclamò Clarke, che ancora di quel particolare non era convinta.
“Non ti preoccupare, Principessa, ci inventeremo qualcosa”
“Vi daremo quattro giorni per pensare e poi ci direte la vostra opinione!” aggiunse Bellamy
 
“Allora, il tuo ragazzo sembra piuttosto protettivo” Clarke alzò gli occhi al cielo.
“Raven…” la ragazza mise su la faccia più innocente che avesse, anche se non pareva particolarmente credibile.  
“Hey non mi guardare così. È il tuo ragazzo”
Sì. Lo era. Ma non lo avrebbe ancora detto. Pensò Clarke lanciando uno sguardo nella direzione in cui Bellamy stava parlando con qualcuna delle guardie. In quel momento ebbe la netta sensazione che sarebbe andato tutto bene, ma per la semplice ragione che Bellamy era con lei e se c’era lui, loro due insieme potevano rendere l’impossibile realtà. Si coricò quella sera con quella certezza e con un sorriso sul viso. 

Nel prossimo capitolo:
"Ho freddo" 
Bellamy aprì la giacca e le fece segno, Clarke si sedette accanto a lui appoggiando la testa sulla sua spalla e sorridendo mentre lo vide chiudersi la giacca e per tenerla al caldo.
"Meglio, Principessa?"
"Bell? perchè mi chiami 'principessa'?"
"Perchè sembravi una principessa delle favole mentre scendevi dalla scala e sgomitavi per raggiungere la porta della navicella per rimproverarmi che l'aria poteva essere tossica... poi è bastato che tu aprissi bocca per capire che di principessa delle favole avevi ben poco"
"Ah grazie... però è vero, non sono quel tipo di principessa" disse Clarke, sbadigliando e cominciando a raggiungere dreamland.
"Lo so. Infatti tu sei il mio tipo di principessa"


Eccoci qua a fine capitolo! Volevo ringraziare chi ha messo la mia storia fra le seguite, le preferite e ovviamente chi ha recensito (una sola persona... :-( grazie le tue parole sono state un toccasana!)... e niente, lo so è un po' corto, ma è solo di transito.. come al solito fatemi sapere cos ne pensate, in fondo mica vi mangio se esprimete la vostra opinione. Detto questo alla prossima! Un bacio Giu 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV The snow that washed all of their sins away ***


Capitolo IV
The snow that washed all of their sins away
“Non ci andrete voi Clarke!” sbottò sua madre incrociando le braccia al petto, assumendo la stessa espressione decisa della figlia; Bellamy e Kane si scambiarono uno sguardo di intesa a vedere madre e figlia che discutevano. Clarke inarcò un sopracciglio con aria di sfida:
“Non essere stupida! – esclamò, senza preoccuparsi di poter offendere la propria madre – io e Bellamy conosciamo il posto meglio di chiunque altro e inoltre Lexa non oserà farci del male! Non vi conosce e non si farà problemi a farvi del male, invece di noi ha già paura! Andremo noi e la questione è chiusa!”
“Non puoi sfidare la mia autorità in questo modo signorinella!” sbottò Abby sventolandole davanti un indice accusatore.
“Senti, io e Bellamy siamo sopravvissuti completamente da soli, se qualcuno può sopravvivere a quest’escursione siamo noi e i nostri, non voi. Non conoscete il territorio e non ne conoscete gli abitanti! Lascia perdere, non mollerò sta volta!” Bellamy, tentando di calmare i toni portò una mano sulla spalla di Clarke stringendola e la ragazza si voltò verso di lui quasi automaticamente, prima che annuisse.
“Deve capire, Signora Griffin – cominciò, decisamente più diplomatico lui – che Clarke ha ragione, con l’inverno alle porte dobbiamo divederci i compiti, voi dovete badare all’interno, l’esterno lascialo a noi” quando doveva sapeva essere rispettoso e aveva imparato a temere maggiormente Clarke a sua madre quindi era chiaro cosa doveva fare per evitare che quello due mettessero a ferro e fuoco l’intero accampamento. Si assomigliavano troppo per non farlo, nessuna delle due avrebbe ceduto.
“Abby – fece Kane, prendendo esempio dal ragazzo e cercando di fare da pacere (che sembrava essere, tra l’altro, tutto ciò che faceva in quei tempi) – hanno ragione. So che non la vuoi mandare la fuori da sola, ma sarà al sicuro con Bellamy e al massimo un piccolo gruppo dei nostri può andare con loro e far loro da scorta” Abby sembrò pensarci su, poi annuì.
“Ma se non tornate entro cinque giorni veniamo fuori a cercarvi”.
I ragazzi avevano deciso, quasi all’unanimità di aspettare almeno ancora qualche settimana prima di partire per potersi organizzare al meglio. Sarebbero partiti in due settimane circa e sua madre se ne era saltata fuori su un possibile bunker poco più a ovest dell’accampamento in cui avrebbero potuto trovare coperte, armi, e probabilmente anche provviste. Le era venuto in mente dopo che aveva passato ore con Kane a osservare delle vecchie mappe che Clarke aveva portato dal bunker. Clarke, annuì sapendo che era quanto di più poteva aspettarsi.
“Partiamo in un’ora” la avvisò, uscendo dalla tenda.
***
Li accompagnarono cinque guardie che Bellamy avrebbe contestato fossero troppe, ma non volle preoccuparsene, per non scatenare un’ulteriore lotta fra madre e figlia. Loro due camminavano in prima fila, in silenzio, mentre le guardie li seguivano quasi preoccupati di quanto avrebbero potuto trovare alla notte nella foresta. Si accamparono al calare della sera, qualcuno di loro voleva accendere un fuoco, ma come Clarke fece giustamente presente non era più in tregua con i Terrestri ed era meglio non farsi notare. Così non avevano acceso il fuoco e avevano deciso i turni di guardia. Bellamy e Clarke avrebbero fatto il primo turno e lo passarono in silenzio guardandosi attorno. Era chiaro agli occhi di Clarke che Bellamy fosse ancora arrabbiato con lei, nonostante l’avesse difesa dai loro compagni e fosse sempre al suo fianco, così quando si coricarono alla fine del loro turno di guardia, Clarke poco distante dagli alberi e Bellamy appoggiato seduto a uno di essi, la ragazza avrebbe voluto parlare dire qualcosa, mettere le cose apposto, ma sinceramente non sapeva cosa dire. Quando si voltò dalla sua parte, ancora coricata, per vedere se anche lui sembrava indeciso su cosa dire o fare lo trovò con le braccia incrociate al petto e gli occhi chiusi.
“Bellamy – tentò –dormi?”
“A te cosa te ne pare, Principessa?” domandò quello sarcastico. In un rimo momento era stato al settimo cielo di riaverla al campo, poi aveva capito che comunque il suo animo non la smetteva di sentirsi abbandonato per la scelta che lei aveva fatto. Ma sarebbe basta una parola, una sola, lo sapeva, e tutta la sua rabbia repressa si sarebbe sgretolata e sarebbe diventata polvere.
Clarke era ancora coricata e guardava in basso: “Mi dispiace – disse – sono stata egoista, lo so. Mi dispiace che tu abbia dovuto soffrire per la mia assenza” sempre se di quello si trattasse.
“Non ho sofferto la tua assenza – appunto – non solo quella perlomeno. La cosa che mi ha fatto soffrire di più è stato il fatto che tu abbia preferito fare tutto da sola e non farti aiutare quando era tutto quello che avrei mai chiesto: poter starti di fianco anche in una situazione del genere per poterti aiutare. Quando ho detto “insieme” intendevo davvero insieme, Clarke. Ma tu non me lo hai permesso. È questo che mi ha fatto soffrire. La nostra promessa spezzata” Clarke sentiva le guance bagnarsi. Ormai Bellamy sembrava essere diventato l’unica persona al mondo apparte se stessa per cui avrebbe pianto.
“Mi sei mancato” non fu più che un sussurro.
“Mi sei mancata di più tu” rispose. E se non fosse stato per la dolcezza assurda che Clarke percepì in quella frase non avrebbe mai alzato lo sguardo a incrociare il suo e vederlo così fragile, così nudo, senza maschere, senza bugie, senza barriere. Solo Bellamy. Bellamy e basta. Come la notte che si erano salvati a vicenda. La notte che Clarke aveva capito che non importava qualunque cosa avessero fatto nel passato ciò che importava era che erano lì e che erano loro.
“Quand’è che siamo diventati così dipendenti l’uno dall’altra?” domandò a mezza voce lei. Bellamy chiuse di nuovo gli occhi e si strinse nelle spalle.
“Credo sarebbe successo comunque, Principessa, anche se fossimo restati sull’Arca a un certo punto credo sarebbe successo comunque”
“Forse saremo stati pronti allora”
“Forse lo siamo adesso”
Dopo quella frase, che ne lasciava sospesa molte altre, come quel “spero di rivederti” prima di separarsi, rimasero in silenzio: Clarke per terra coricata, una mano sotto la guancia a osservarlo gli occhi chiusi le braccia incrociate al petto. Le guardie si diedero il cambio un’altra volta, prima che Clarke potesse vedere le sue spalle abbassarsi e alzarsi regolarmente col suo respiro, capendo che si era addormentato.
Bellamy percepì la sua presenza ancora prima che lei aprisse bocca, e aprì lentamente gli occhi a osservarla: era in piedi davanti a lui, i lunghi capelli biondi lasciati sciolti, le braccia lasciate cadere lungo i fianchi, le gote arrossate dal freddo o forse da qualcos’altro.
“Ho freddo”.
Bellamy aprì la giaccia e le fece segno, Clarke si sedette accanto a lui appoggiando la testa sulla sua spalla e sorridendo mentre lo vide chiudersi la giacca per tenerla al caldo.
“Meglio, Principessa?”
“Bell? Perché mi chiami ‘Principessa’?”
“Perché sembravi una principessa delle favole mentre scendevi dalla scala e sgomitavi per raggiungere la porta della navicella per rimproverarmi che l’aria poteva essere tossica… poi è bastato che tu aprissi bocca per capire che di principessa delle favole avevi ben poco”
“Ah grazie! – rispose scherzosamente, facendo la finta offesa lei, per poi aggiungere – però è vero non sono quel tipo di principessa” disse Clarke sbadigliando e cominciando a raggiungere dreamland.
“Lo so. Infatti tu sei il mio tipo di principessa”.
 
La luce del mattino li trovò così: che condividevano la giacca, la bionda testa di lei appoggiata alla sua spalla e la sua guancia appoggiata ai boccoli di lei, le loro mani, sebbene nascoste dalla giacca erano unite e Clarke non avrebbe saputo dire a che punto della notte avvenne, sapeva solo di essersi addormentata sotto le carezze delle grandi, calde e ruvide mani di Bellamy sulle proprie, che disegnavano cerchi invisibili sulla sua pelle. Forse avevano ancora parlato, non ricordava. Quando qualcosa di freddo si poggiò sulla punte del suo naso lo storse aprendo lentamente gli occhi e vedendo pallini bianchi che sembravano così soffici cadere dalle nuvole che avevano coperto il cielo. Ci mise un attimo a realizzare di cosa si trattasse, ma non si mosse, le guardie stavano già mangiando, ma non parvero essersi accorti del fatto che fossero svegli, così Clarke rimase in quella posizione per un po’ osservando ammaliata la neve scendere in soffici fiocchi e appoggiarsi sulla loro giacca per poi sciogliersi e lasciare strisce bagnate. Sentì la sua risata profonda ancora prima di udirla con le orecchie, le vibrazioni del suo petto solleticavano la sua schiena e i suoi fianchi, chissà da quanto era sveglio, ma neanche lui si era mosso.
“Hai visto, Principessa? – domandò –la neve, pulisce tutti i nostri peccati” e Clarke sapeva che si riferiva a quanto accaduto su Mount Weather e quanto aveva incrinato i rapporti fra loro fino ad allora. Sorrise e rimase ferma ancora per un po’, almeno fin quando le guardie non avrebbero pensato consono svegliarli. Bellamy parve avere la stessa idea perché strinse di più le sue mani nelle proprie e tornò ad appoggiare il viso sul suo capo e Clarke ebbe l’impressione che avesse lasciato un bacio nei suoi capelli, leggero come le ali di una farfalla, tanto che si domandò in seguito se fosse accaduto davvero. 
Fine quarto capitolo
 
Nel prossimo capitolo:
“Non abbiamo molto tempo, dobbiamo avvisarli!”
“Clarke sai che non arriveremo mai in tempo con questa bufera”
“Lo so”
“Dobbiamo fare la cosa più intelligente – disse lui – troviamo un riparo poi quando la tempesta sarà passata” Clarke non poté fare altro che annuire.  

Lo so.. è di nuovo un po' corto, ma è ricco di Bellarke quindi spero di essermi fatta perdonare la scarsa lunghezza! Ringrazio chi segue, recensisce questa storia!!! E niente spero davvero continuerete a farmi sapere cosa ne pensate! Alla prossima un bacio Giu

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Capitolo 5
*** Capitolo V Goes around turn around ***


Capitolo V 

WHAT GOES AROUND TURNS AROUND 

Clarke non si sarebbe mai aspettata che la neve fosse così soffice, e bagnata. Se l'era immaginata fredda e basta, nulla di più. Guardava in alto come una bambina mentre Bellamy aiutava le guardie a disfare l'accampamento temporaneo che avevano stabilito la sera precedente. Non lo sapeva, ma gli occhi di Bellamy erano incollati su di lei già da un po', la neve non era stata una gran sorpresa per lui, non lo sorprendevano molte cose, ormai. Ieri sera lei ti ha sorpreso però. Gli suggerì la vocina nella sua testa ed era vero, l'aveva stupito, quella sua ricerca di calore umano, e il fatto che l'avesse cercato da lui, ma che avesse avuto il rispetto, prima di cercare di chiarire le cose fra loro, come se anche lei ne avesse bisogno. Le si avvicinò. 

"Andiamo Principessa, non abbiamo tutto il giorno se non vogliamo che il General tua madre ci sguinzagli dietro tutto l'accampamento" Clarke si voltò verso di lui e sorrise, di un sorriso aperto, innocente, come una bambina, un sorriso che mai Bellamy aveva visto sul suo viso. E fu felice, in quel momento di vederla sorridere a quel modo. Se la neve l'aveva fatta felice Bellamy non poteva che sperare che durasse in eterno.  

"Ok" disse e lui annuendo si abbassò a prendere il suo zaino, non si aspettava però di sentire bagnato, e freddo colpirlo sulla nuca, e acqua scivolargli lungo la schiena, facendo rabbrividire, si voltò con aria omicida e Clarke era lì, mani dietro la schiena, sul viso stampato il suo sorriso più innocente. Questa me la paghi 

Aveva letto da qualche parte che quando gli Uomini abitavano ancora la Terra (non che avessero mai smesso effettivamente) quando nevicava erano soliti giocare a palle di neve, ma era una di quelle nozioni che era andata un po' dimenticata col tempo, ed era quasi certo che Clarke non la conoscesse, eppure istintivamente aveva fatto quello che milioni di persone avevano fatto prima di loro, una bella palla di neve e presa la mira aveva colpito il suo bersaglio. Peccato che il bersaglio in questione fosse un tipo particolarmente vendicativo.  

"Non hai detto che ci dovevamo muovere, Cadetto Blake?" lo sfotté lei con un ghigno sulle labbra e Bellamy scosse la testa indispettito.  

"Infatti. Andiamo" finse di non notare l'espressione un po' delusa della bionda, ma faceva parte del suo piano, non si sarebbe fatto distrarre da quegli occhi blu.  

Ripresero la marcia, e giunsero per mezzogiorno al bunker di cui aveva parlato sua madre. Fu un po' difficoltoso aprire la porta che conduceva sotto terra, ma eventualmente (parecchi calci, spallate e un proiettile dopo, Bellamy ne aveva avuto abbastanza dei metodi tradizionali *insert eyeroll*) riuscirono a entrare. Clarke fece la mossa di entrare per prima ma si sentì trattenere per un braccio e Bellamy la superò arma in pugno, torcia accesa, scendendo la gradinata che avrebbe portato all'interno del bunker.  

Era tutto buio eccetto la luce del fucile di Bellamy e Clarke cercò (provò davvero) a fare attenzione a dove metteva i piedi, uno squittio di dolore la fece balzare: aveva pestato la coda a un topo, evidentemente.  

"Ti fanno paura i roditori, Principessa?" scherzò lui, lanciandole un'occhiata da oltre la propria spalla. Quella spalla che era stata il suo comodo cuscino... Alzò il mento indispettita e chiuse gli occhi con fare saccente. Ed eccolo lì era tornato il vecchio Bellamy quello con cui bisticciava più si che no, quello con cui aveva mandato avanti la baracca fino all'arrivo sulla Terra di quanto restava dell'Arca.  

"Bellamy, cos'è quello?" domandò puntando il dito verso una parete nell'oscurità. Bellamy fece luce da quel lato e videro un'altra porta, blindata questa volta, si avvicinarono. 

Provarono ad aprirla e dopo qualche colpo di fucile, la serratura cedette e Clarke trovò l'interruttore della luce, due lampade di emergenza si aprirono. 

"Che posto è questo?" domandò Bellamy. 

"Deve essere un archivio" rispose Clarke sedendosi in mezzo alle carte polverose.  

"Un archivio di cosa?" 

"Non ne ho idea" rispose Clarke.  

 

"Ragazzi! - chiamò qualcuno - è sicuro laddentro? No perché qui sta cominciando a nevicare forte!" 

"Sì, scendete pure!" 

Erano passate cinque ore circa da quando le altre guardie (causa maltempo) erano entrati nel bunker. Erano stati sorpresi da una bufera di neve e non potevano fare altro che aspettare. 

"Bellamy!" il ragazzo saltò in piedi all'istante, Clarke lo aveva chiamato con una certa urgenza così la raggiunse immediatamente, sedendosi accanto a lei tra i fascicoli. 

"Credo che la gente di Mout Weather non fosse il pericolo peggiore..." 

"Cosa intendi?" gli fece vedere dei fascicoli. 

Uno recitava: "Holly Gilbert 

età: 21 

occhi: blu 

capelli: castani 

prima iniezione: 18 aprile 2141 

successo delle iniezioni: 24 agosto 2141 

Dopo cinque mesi di iniezioni il soggetto ha smesso completamente di ricordare la vita prima delle iniezioni. Ordinatole di uccidere il fratello minore, nonostante le suppliche, gli ha piantato una pallottola nella testa. E' diventata un soldato provetto. Obbedisce agli ordini senza curarsi di alcuna umanità. Uccide e lo fa con piacere. Le è stato ordinato di giacere col Presidente Donovan e di strangolarlo nel sonno, lo ha fatto. Le è stato richiesto di pugnalarsi allo stomaco. Lo ha fatto. " 

"Stai scherzando!" esclamò Bellamy lasciando andare il fucile e leggendo altri due moduli. 

"Jack Zeyanda 

età: 26 

occhi: neri 

capelli: neri 

prima iniezione: 12 aprile 2141 

successo delle iniezioni: 27 agosto 2141 

E' un soggetto ribelle, poco affine a posizioni di subordinazione. Non ricorda più nulla nonostante chiami nel sonno un nome "Helena", la moglie che abbiamo sottoposto a iniezioni, non ricorda da sveglio nessun nome e domandato chi fosse la donna in questione risponde con "Non conosco nessuna Helena". E' un ottimo generale. Anche se uccide poco obbedisce agli ordini in extremis. Ha preso a frustate la moglie per disobbedienza. Gli è stato richiesto di uccidere un bambino. Si è rifiutato. Continuare le iniezioni" 

"Helena Zeyanda 

età: 22 

occhi: azzurri 

capelli: biondi 

prima iniezione: 12 aprile 2141 

successo delle iniezioni: non riscontrato 

morte: 28 settembre 2141 

Il soggetto non è mai stato completamente derubato della sua memorie. Ha un cervello troppo sofisticato per i primi tentativi di manipolazione. Era un pericolo. Riusciva a influenzare il marito. E' stata uccisa per pena capitale in quanto poneva disordine ed era un pericolo al successo dell'intero programma." 

"E qui - fece Clarke - dichiara chiaramente che prelevano ragazzi tra i diciassette e i trent'anni dalle tribù di sopravvissuti ogni primavera. L'ultimo record scritto risale all'anno scorso credo... Bellamy siamo finiti in un bunker di archivio di questi uomini... cosa succederà se scoprono di noi?" 

"Sempre che non lo sappiano già... " 

"Bellamy tutti noi rientriamo nelle categorie ricercate e per di più non siamo mai stati esposti alle radiazioni delle grandi guerre saremmo dei soggetti perfetti!" 

“Non abbiamo molto tempo, dobbiamo avvisarli!” scattò in piedi Clarke, disperata all'idea che i Terrestri avessero tirato loro la trappola... come altrimenti sua madre sarebbe riuscita a scoprire di questo bunker sennon con le mappe che Clarke aveva "casualmente" trovato in un bunker  che "casualmente" i Terrestri non frequentavano? E se quegli uomini, quei mostri che facevano queste cose fossero arrivati prima della primavera? Se fossero già sulla via dell'Accampamento? 
“Clarke sai che non arriveremo mai in tempo con questa bufera” 
“Lo so” concesse lei. Era vero. Rischiavano di non riuscire a dire nulla ai loro se fossero morti invano nella bufera. 
“Dobbiamo fare la cosa più intelligente – disse lui – troviamo un riparo poi quando la tempesta sarà passata...” Clarke non poté fare altro che annuire.  

"Siamo già al riparo, Bell... non può farci niente la neve quassotto... speriamo solo di fare in tempo!"  

    Fine quinto capitolo

Nel prossimo capitolo:
“Clarke"
"Sì?"
"Io vorrei parlarti... in privato" sembrava nervoso di qualcosa e Clarke immaginò avesse a che fare con l'archivio. Non era una cosa facile da digerire che c'erano persone al mondo che facevano certe cose.
"Dimmi"
"Se mi prendono e mi cambiano... - cominciò lui, seduto sul suo letto di frotuna - ... uccidimi per favore."
"COSA?!"
...

"NON VOGLIO FARE DEL MALE ALLE PERSONE CHE AMO, CLARKE! TU E OCTAVIA DOVETE ESSERE AL SICURO, ANCHE DA ME SE NECESSARIO!"
Eccoci qua! Sono rimasta un po' delusa che nessuno abbia esèresso delle opinioni sul primo capitolo completamente Bellarke... quindi per favore se vi piace questa storia recensite, fatemi sapere cosa ne pensate! Altrimenti concluderò che non piace quasi a nessuno e finirò con l'abbandonarla... e mi dispiacerebbe davvero molto! Quindi coraggio non mordo mica, potete dirmi tutto quello che volete, basta che sappia che vi interessa la mia storia! Alla prossima, un bacio Giu!

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Capitolo 6
*** Capitolo VI: Of safer places on the Hearth ***


Capitolo VI 

Of safer places on Hearth 

Erano rimasti lì bloccati per un pomeriggio intero. Si erano rimessi in marcia subito dopo. Quella notte avevano dormito al bagnato e non era stato particolarmente piacevole, ma arrivati al campo avevano tirato un sospiro di sollievo nel rendersi conto che tutto era come lo avevano lasciato. Abby era in infermeria che curava due guardie e Kane stava cercando di farsi un'idea più precisa delle proviste. Fu lui a vederli per primo. 

“Allora? Com'è andata l'escursione?” 

“Abbiamo bisogno di parlarvene - disse senza preamboli Clarke -ora”. 

Alla piccola riunione parteciparono anche Raven e Wick (più fuor d'abitudine che altro), ma erano presenti entrambi. Avevano portato alcuni dei fascicoli dal bunker e quando Abby con voce tremante li lesse la tenda piombò nel silenzio più totale. 

“Quale tipo di fottutissimo mostro può fare una cosa del genere!?” esclamò Raven con la sua solita finezza, che non passò inosservata a Wick che alzò gli occhi al cielo.  

“Non sappiamo chi siano - disse Clarke -ma sappiamo che fanno queste cose da un sacco e che i Terrestri li conoscono. Forse dovremmo parlare con Lexa... vedere cosa sanno” 

“Clarke ti dimentichi forse che tu e Lexa non vi siete separate come dire, nel migliore dei modi?!” sbottò Bellamy indicando se stesso.  

“Indipendentemente, sai bene che non mi farà del male” 

“Ti fidi un po' troppo del fascino che hai su questa Terrestre” disse acido lui, serrando le braccia davanti al petto. 

“Questo non c'entra niente! Ci deve un mucchio di favori! Non le costerà nulla ascoltarci e dirci quello che sa!” 

“Non ci costerà nulla, dice lei. Clarke, ci potrebbe costare la nostra testa! E' ferita adesso... non puoi sperare che ti accolga a braccia aperte!” 

“bene allora andrò da sola! Così la tua preziosa testa sarà al sicuro!” 

“Non  capisci non si tratta di questo, stupida! Sono preoccupato per te” 

“Lexa non potrebbe mai farmi del male! È innamorata di me, capisci cosa significa?” gli urlò contro lei, offesa nell'essere stata definita ‘stupida’, questo sembrò zittirlo per un attimo e Abby trattenne un respiro affannoso: quella Terrestre? Innamorata di sua figlia? Che senso aveva? Ma Clarke si pentì quasi subito delle sue parole avventate quando vide lo sguardo ferito di lui prima che le barriere si rialzassero a dividerli. 

“Oh fidati, Principessa, ne so qualcosa” disse sottovoce, uscendo poi dalla tenda a grandi passi. Clarke rimasi lì, immobile, mai Bellamy l'aveva trattata in quel modo. Si sentì fragile pronta a cadere in pezzi, e spostò lo sguardo su quello di Raven prima di scoppiare a piangere.  

 

Clarke diede uno sguardo al Campo. Alla fine avevano deciso che parlare con Lexa sarebbe stata la cosa migliore, ma li avrebbero accompagnati anche Octavia e Lincoln che erano decisamente meno invisi alla popolazione Terrestre di Clarke. Monty si era unito alla spedizione con la scusa che per la strada avrebbe raccolto delle erbe che gli servivano. 

“Non verrà” sussurrò a se stessa, abbastanza sottovoce da far sì che nessuno la sentisse. 

“Hai poca fiducia in lui - disse Octavia di fianco a lei, che apparentemente non aveva parlato abbastanza sottovoce - e non dovresti. Lui non ti ha mai abbandonata” quella frase come un pugno dritto in faccia, ma si sapeva: i fratelli Blake si proteggevano a vicenda e lo facevano dannatamente bene. Ma lui non si presentò e Clarke abbandonò l'accampamento con la tristezza nel cuore.  

Piangeva. E non se ne vergognava affatto. Era l'ultima e vedeva a malapena dove metteva i piedi a causa delle lacrime che le oscuravano la visione. Fu così che non vide la radice dell'albero e si sentì cadere, chiuse gli occhi nell'attesa dell'urto col terreno fangoso e innevato, che non arrivò. 

“Lo sai che ti meriteresti che io ti facessi cadere a terra con la faccia nella neve per quella palla dell'altro giorno” 

Sgranò gli occhi per nulla sorpresa all'ondata di calore che provò irradiarsi dalla mano di lui che la tratteneva per un braccio impedendole la caduta. Si voltò a fronteggiarlo gli occhi ancora pieni di lacrime facevano a cazzotti con la sua espressione divertita che immediatamente si tramutò in preoccupata quando notò le lacrime che le riempivano gli occhi. 

“Hey che succede?” domandò lui prima di ritrovarsela avvinghiata come un koala addosso mentre scuoteva la testa contro il suo petto.  

“Clarke” fece allontanandola da sé e asciugandole le lacrime con i pollici. “No” fu l'unica parola che disse prima di abbassare lo sguardo e ricominciare a camminare tenendola saldamente per mano. Octavia lanciò uno sguardo alle sue spalle e sgomitò nella direzione di Lincoln che osservata la scena alzò gli occhi al cielo e le stampò un bacio sulle labbra. 

E fu così che arrivarono all'Accampamento di Lexa, mano nella mano. Clarke si domandò se non sarebbe stato meglio non rigirare troppo il coletto nella piaga di Lexa così fece per lasciare la mano di lui, che però rinsaldò la sua presa senza neanche guardarla in faccia a dimostrare che non voleva che lei si nascondesse per paura di non ottenere le informazioni che volevano. Lexa seduta sul suo “trono” puntò lo sguardo ferito dalle loro mani intrecciata al viso di Clarke. 

“Cosa vuoi Clarke? - domandò, completamente ignorando gli altri tre - credevo che non volessi parlare” 

“Nuove circostanze l'hanno reso indispensabile. E credo che tu abbia il dovere di ascoltare, visto come ci hai traditi l'ultima volta. Lo devi a tutti i nostri morti” rispose Clarke aumentando la stretta e cercando nel contatto con Bellamy una qualsiasi forza. 

“Molto bene allora. Parleremo. Da sole” disse Lexa. 

“Desidero venga anche Bellamy”   fece immediatamente Clarke “Tanto qualunque cosa tu mi dica la saprà in tempo zero mi risparmi il tempo di doverla riferire” 

Lex non disse niente si diresse solo alla sua tenda e Clarke e Bellamy la seguirono. 

 

“Li chiamiamo gli Sciamani -disse Lexa - vengono ogni primavera e ci derubano dei nostri giovani. In un primo momento dicevano che era per le nostre difese. Che loro ci difendevano solo che davamo loro soldati con cui farlo e che, terminato il servizio sarebbero tornati a casa. Non è mai tornato nessuno. - raccontò Lexa - mio fratello maggiore, Sole, partì con loro quando avevo dodici anni... non è mai tornato... DOPO una quarantina di anni dalla loro prima venuta ci siamo imbattuti in uno di loro. Era ferito e lo aiutammo, ma in cambio di informazioni. Usano un siero che anestetizza la parte del cervello in cui risiede la memoria e la inibisce, infine con un secondo siero controllano la parte che impartisce i comandi. E' come se il tuo cervello ti dicesse di fare qualcosa, ma non è il tuo cervello a farlo. Sono loro”  

“Abbiamo letto di persone che sono state uccise perché non funzionava.” 

“Ci sono persone. Il cui cervello è più... complesso di altri e i loro ricordi non vengo inibiti la loro volontà non viene violata. Sono anni che cercano di studiarli, all'inizio li ammazzavano ora li usano come cavie da laboratorio. Vivono in una grande muraglia a sud di qui molto più in là del Lago perennemente ghiacciato oltre i Monti del Sud.” 

“Quanti. Quanti ragazzini l'anno scorso?” 

“cinque” rispose Lexa “quest'anno è stato più duro dei precedenti, credo non ne prenderanno più di tre. Una volta abbiamo provato a ribellarci, quando c'era il precedente capo, ma loro ce li hanno rivolti contro. I nostri cari che ci trucidavano a morte senza alcuna pietà... non fummo in grado di ucciderli perché erano i nostri, sangue nel nostro sangue... da allora le famiglie non possono fare altro che pensare che i loro figli sono destinati a quel tremendo fato”   

   ... 

Quella notte la trascorsero all'accampamento dei Terrestri, ma non furono date loro coperte o provviste, non fu nemmeno permesso loro di sostare vicino al fuoco. Li avevano relegati vicino a un vecchio ponte sospeso, al buio e alle intemperie. Avevano acceso un fuoco comunque.  

“Clarke” 

“Sì?” 

“Io vorrei parlati... in privato” sembrava nervoso di qualcosa e Clarke immaginò avesse a che fare con l'archivio. Non era una cosa facile da digerire che c'erano persone al mondo che facevano certe cose. Si allontanarono un po' dal fuoco e si sedettero con i piedi a penzoloni sullo strapiombo, l'uno accanto all'altra, seduti sul quello che sarebbe stato il suo letto di fortuna, voleva dormire lì vicino al ponte, la loro unica possibile via di fuga se avessero voluto coglierli di sorpresa nella notte 

“Dimmi” 

“Se mi prendono e mi cambiano - cominciò lui -… uccidimi per favore” 

“COSA?!” 

“Voglio che mi uccidi” ripeté lui. 

“No ho capito, intendo perché?” 

“Beh, hai sentito cosa ha detto Lexa, e cosa c'era scritto su quei fascicoli, non voglio diventare così 

“E non succederà infatti, Bell” 

“Ma se dovesse succedere” 

“No” 

“Cosa?” 

“Ho detto di no. Non ti ucciderò. Non riuscirei a farlo e poi non lo farei neanche se mi implorassi in ginocchio!” sbottò lei alzando di un'ottava il livello della voce, Octavia e Lincoln non ci badarono neanche abituati com'erano ai battibecchi dei due.  

"NON VOGLIO FARE DEL MALE ALLE PERSONE CHE AMO, CLARKE! TU E OCTAVIA DOVETE ESSERE AL SICURO, ANCHE DA ME SE NECESSARIO!" aveva le lacrime agli occhi e Clarke appoggiò la testa sulla sua spalla. 

“Non lo capisci proprio, Bell? Tu sei il luogo più sicuro della Terra”  

Fine sesto capitolo 

 

“Oh insomma, non mi dire che non avete ancora neanche parlato della situazione” 

“Ti sto dicendo esattamente questo, Raven.. abbiamo troppo per la testa per stare a preoccuparci di dare un nome a questa cosa” 

“Oh insomma non è che ci voglia uno scienziato! - sbottò l'amica - andiamo! Passate praticamente tutte le notti insieme fuori dalla sua tenda perché non riuscite a dormire e vi troviamo tutte le mattine che dormite abbracciati la fuori! E' abbastanza chiaro...” 

“Mi ha detto che mi ama” 

“Cosa?!” 

“Beh non l'ha detto esattamente in questi termini.. - continuò rossa in viso Clarke - ma suppongo che il succo fosse quello” 

“E non state ancora insieme?! Dio voi due avete bisogno di un wedding planner per riuscire finalmente a chiarirvi!"

Eccoci qua con un altro capitolo! Come sempre fate sentire le vostre opinioni che per me è importante :) E niente ci sentiamo alla prossima! Un bacio Giu 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII Of bets and wedding planner ***


Capitolo VII 

Of bets and wedding planner 

 

Erano passate due settimane da quando avevano scoperto degli Sciamani, aveva nevicato altre cinque volte, il che aveva reso quasi impossibile la caccia. Quel giorno però, li aveva svegliati con un bel Sole e così avevano deciso di fare una battuta di caccia. Clarke aveva bisogno di rimanere al Campo doveva aiutare la madre a prendersi cura dei più deboli che con il freddo avevano cominciato ad avere febbri alte e influenze da capogiro. Bellamy, Jasper, Miller e Monroe sarebbero andati, Monty (dopo l'ultima escursione quando si era avvicinato - anche troppo per i suoi gusti - all'accampamento dei Terrestri aveva deciso di starsene buono ad aiutare Clarke e chiunque altro ne avesse bisogno).  

Octavia e Lincoln li avrebbero accompagnati, ma solo perché così si sarebbero potuti allenare senza destare la sorpresa e l'interessamento dell'Intera Arca e dell'intero Campo. 

“Mi raccomando - stava raccomandandosi Monty con Jasper - vedi di non finire come durante la nostra prima escursione” 

“Non ci penso nemmeno amico, Maya non me lo permetterebbe comunque da lassù” Jasper sembrava cooperare bene con il lutto finalmente e Monty non poté fare altro che abbracciarlo stretto. 

 

“State attenti” Clarke e Bellamy, dopo essersi svegliati per l'ennesima volta fuori dalla sua tenda dopo aver trascorso la notte a parlare, erano all'interno della tenda di quest'ultimo mentre Clarke dispensava le classiche raccomandazione che Bellamy ormai avrebbe potuto citare a memoria. 

“Principessa, se non ti conoscessi meglio direi che sei terrorizzata per me” scherzò lui, tanto per mantenere un minimo di equilibrio nel loro rapporto mentre si cambiava la maglia.  

“Sono preoccupata Bellamy, certo che lo sono” rispose Clarke mettendo il broncio “sono già passate due settimane e lo so che l'inverno dovrebbe essere ancora lungo, ma non riesco a smettere di avere il presentimento che potrebbero arrivare prima e lo sappiamo tutti e due che quando siamo divisi ci cacciamo nei guai” 

“L'unica cosa che voglio cacciare oggi, Principessa - rispose lui inarcando un sopracciglio - è un po' di selvaggina per poter continuare a mantenerci in forze... Non preoccuparti non permetterò a Grandi Uomini cattivi di prendermi, ok?” 

Clarke alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia al seno, in quel momento se qualsiasi persona fosse entrata avrebbe avuto l'idea sbagliata: Bellamy mezzonudo che si vestiva, il letto sfatto (in cui per inciso non avevano neanche dormito... o fatto altro) e Clarke che senza il minimo di imbarazzo stava lì a parlare con lui (non che l'imbarazzo non ci fosse, ma la poverina cercava di nasconderlo... anche malamente secondo Bellamy che poteva vederla arrossire ogni volta che si voltava e si ritrovava faccia a faccia col suo petto nudo, non che gli desse fastidio ovviamente) ma era poi l'idea sbagliata? 

Flashback *La notte del rientro* 

Bellamy non riusciva a dormire, si girava e rigirava nel suo letto nella sua tenda. C'era semplicemente qualcosa che non quadrava. E sapeva benissimo di cosa si trattava. Si era abituato alla presenza di Clarke vicino a lui, la notte, e ora faticava a prendere sonno. Gli rombavano ancora nella testa le parole che gli aveva detto la notte precedente, quando le aveva chiesto di ucciderlo se mai lo avessero cambiato. “Non lo capisci proprio, eh Bell? Tu sei il luogo più sicuro della Terra” anche quella notte avevano dormito l'uno di fianco all'altra. Si domandò se anche per Clarke fosse difficile prendere sonno e si diede mentalmente dello scemo per la frase che aveva buttato fuori la sera precedente e che, forse, poteva averla spaventata e allontanata da lui. Beh, non le aveva detto propriamente che la amava, ma era risultato abbastanza chiaro dal discorso, non si era pentito di averlo detto (affatto) ma ora era spaventato che magari loro due potessero allontanarsi per quella frase detta (forse) troppo presto (per lei). Un fruscio nella sua tenda attirò la sua attenzione. 

Clarke stava lì, in piedi (cercava forse di capire se stesse dormendo?) in silenzio. Poteva vedere la sua sagoma alla luce del falò fuori dalla tenda e alla fine, per paura che credendolo addormentato se ne andasse (e avrebbe poi detto addio anche lui al suo sonno), decise di parlare. 

“Hey, Principessa, già ti mancavo?”  

Sapeva. Lo sapeva e basta che lei stava sorridendo. 

“Non riesco a dormire - rispose lei - ti va se parliamo un po'?”  

“Fammi solo alzare dal letto” fece lui (anche se era già praticamente sgusciato fuori da sotto le coperte, ma non voleva spaventarla sembrando troppo pronto a essere di fianco a lei). 

Si sedettero fuori dalla tenda, una coperta che li avvolgeva e rimasero in silenzio. 

“Ho paura, Bellamy - confessò Clarke - ho paura che questa volta non riusciremo a proteggerli” 

Lui le aveva stretto di più il braccio attorno alla vita: 

“Non ti preoccupare, Clarke - disse - la supereremo. INSIEME” intendeva davvero “insieme” ed era meglio che Clarke se lo stampasse bene in testa. 

La mattina li trovarono così, abbracciati, avvolti in una coperta fuori dalla tenda di Bellamy che dormivano (ed Abby aveva fatto una scenata di pura gelosia nei confronti della figlia con Kane che per zittirla aveva dovuto tapparle la bocca con una mano e minacciarla di soffocarla nel sonno quella notte). 

Fine Flashback 

“Bellamy! Mi stai ascoltando?” sbottò Clarke, quasi senza accorgersene erano usciti dalla tenda e si trovavano insieme agli altri vicino ai cancelli dell'accampamento. 

“No scusa, dicevi?” la bionda alzò gli occhi al cielo (un'abitudine che aveva preso da quando passava tutto quel tempo con lui). 

“Che vi voglio a casa e interi entro domani pomeriggio e giuro che gli Sciamani saranno una bazzecola in confronto alla mia ira” aveva un cipiglio così deciso che Bellamy non poté fare a meno di ghignare e in un momento si abbassò e scoccarle un bacio sulla guancia (dove forse si trattenne un po' più del dovuto) e allontanatosi da lei (che stava lì, mezza intontita e sorpresa dal suo gesto) le fece l'occhiolino. 

“Ok, capo! - esclamò sogghignando - saremo di ritorno entro cena, non stare in pensiero” promise uscendo poi insieme agli altri dai cancelli. Clarke poté vedere Jasper tirare una gomitata ad Octavia. 

“Che vuoi Jazz?!” esclamò quella. 

“Mi devi metà della tua razione di colazione per un mese, Tavia!” qualcosa le diceva che quei due avevano fatto una scommessa. 

“Sta zitto, Jasper!” 

 

“Allora... tu e il caro vecchio ribelle di casa Blake” cominciò Raven durante pranzo (quando Clarke aveva cercato di evitare le sue teorie per tutta la mattina) sedendosi accanto a lei. 

“Raven..” 

“Che vuoi? E' vero! Siete così carini insieme!?” 

“Raven non stiamo insieme, lo capisci o no?”  

Oh insomma, non mi dire che non avete ancora neanche parlato della situazione” 

“Ti sto dicendo esattamente questo, Raven.. abbiamo troppo per la testa per stare a preoccuparci di dare un nome a questa cosa” rispose Clarke, sperando di zittire così l'amica chiacchierona (e po' troppo impicciona per i suoi gusti).  

“Oh insomma non è che ci voglia uno scienziato! - sbottò l'amica - andiamo! Passate praticamente tutte le notti insieme fuori dalla sua tenda perché non riuscite a dormire e vi troviamo tutte le mattine che dormite abbracciati la fuori! E' abbastanza chiaro...” 

“Mi ha detto che mi ama” buttò fuori Clarke. Erano passate due settimane, non aveva avuto il coraggio di aprire il discorso direttamente con lui, ma a qualcuno avrebbe pur dovuto raccontarlo, no? 

“Cosa?!” 

“Beh non l'ha detto esattamente in questi termini.. - continuò rossa in viso Clarke - ma suppongo che il succo fosse quello” 

“E non state ancora insieme?! Dio voi due avete bisogno di un wedding planner per riuscire finalmente a chiarirvi!" 

 

“CLARKE! - urlò qualcuno delle guardie nel pomeriggio inoltrato - Sono Octavia e gli altri! Credo ci siano dei feriti! Aprite i cancelli!” Clarke mollò sua madre nell'infermeria su due piedi e corse a perdifiato verso il cancelli. Non lui. Non lui. Non lui. 

E invece, sorretto da Lincoln e Miller c'era Bellamy, era ferito a una gamba il cui pantalone era appiccicato e sporco di sangue, Clarke si riprese quasi immediatamente correndo al loro fianco, tastò la fronte di Bellamy, sudata e calda, voltandosi poi verso Miller e Lincoln: 

“Cosa è successo?” 

“Stavo finendo in una trappola - disse Octavia, con le lacrime agli occhi - mentre io e Lincoln ci allenavamo Bell era lì dietro di me e mi spinta via ferendosi lui...Stupidi fratelli maggiori!?” 

“Che bel ringraziamento … - disse sottovoce Bellamy (che aveva sentito la sorella) - tu salvi loro la vita e loro si arrabbiano... Io a voi donne non vi capirò mai” Clarke gli passò una mano nei riccioli neri che gli coprivano la fronte (glie dovrò tagliare un po', si disse). 

“Su portiamolo in infermeria... Tavia, non dire più certe cose è tuo fratello ovvio che ti protegga” rimproverò la ragazza. 

“Perché tu cosa avresti fatto? - sbottò l'altra - SAI che lo avrebbe fatto anche per te”. 

Clarke entrò in infermeria per cercare di aiutare la madre a prendersi cura di quel benedetto ragazzo.  

Fine settimo capitolo 

 

Nel prossimo capitolo: 

“Clarke...” fece una voce roca, la ragazza (da che era mezza addormentata) saltò in piedi e si avvicinò al suo letto. 

“Hey, Bell... come ti senti?” 

“Intorpidito e dolorante” rispose lui cercando di mettersi a sedere. 

“Cosa diavolo stai facendo?” domandò lei, cercando di trattenerlo giù, non era ancora il momento di alzarsi. 

“Cerco di raggiungere te” rispose lui, come se fosse la cosa più ovvia dell'universo.  

“Ti ho sentita... - aggiunse lui e Clarke sentì le guance infiammarsi - anche se ero mezzo rimbambito ti ho sentita” 

 

 

Tadan!!!! Cosa avrà detto Clarke a Bellamy? Suppongo dovrete attendere il prossimo capitolo per scoprirlo! E ovviamente vorrei sapere cosa ne pensate di questo, come sempre! 

Colgo l'occasione per ringraziare sia i lettori silenziosi (e che hanno messo questa ff tra le seguite o le ricordate/preferite!) e ovviamente coloro che recensiscono! Continuate così! Un bacio alla prossima! Giulia :)   

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII: Of confession and decisions ***


Capitolo VIII Of confession and decisions 

Si era tagliato la lunghezza della coscia, per fortuna senza recidere l'arteria femorale (al che Clarke tirò un sospiro di sollievo) e, sua madre era già al lavoro per disinfettare la ferita e suturarla. 

“Clarke ho bisogno che tu mantenga la calma” le fece notare, quando si rese conto che le mani, in genere ferme della figlia, tremavano incontrollabilmente. Clarke abbassò lo sguardo sulle proprie mani, strinse i pugni e mordendosi il labbro inferiore annuì vigorosamente. 

Bellamy, che aveva in un primo momento perso conoscenza, si svegliò di colpo con un singhiozzo, tirandosi per metà su, Clarke fu immediatamente accanto a lui, cercando di calmare il suo sguardo frenetico. 

“Bellamy... - cominciò - Bell! Guardami!? Ho bisogno che tu stia calmo, puoi farlo?” i suoi occhi scuri e spaventati si fermarono su quelli della ragazza e Clarke poté vedere passarvi varie emozioni: riconoscimento, paura, decisione. Annuì, porgendole la propria mano, Clarke la afferrò immediatamente. 

“Sono qui, Bell - annunciò, ignorando la madre che sbraitava qualcosa a qualcuno, ma Clarke non volle neanche pensarci - non me ne vado” 

“Non mi abbandoni mai più?” era chiaro che era decisamente confuso, e fragile, Clarke ebbe l'impressione che in quel momento stessero venendo a galla tutte quelle paure che Bellamy si teneva dentro.  

“No, Bell - promise lei - non ti abbandono mai più”  

“L'ultima volta che l'hai fatto pensavo di... - un colpo di tosse gli impedì di parlare - pensavo di...” Clarke gli posò una mano libera sulle labbra. 

“Shh... non ti sforzare... coraggio abbiamo quasi finito” 

“Ma lo devo dire, Clarke” obiettò lui, Clarke lanciò uno sguardo oltre la propria spalla alla madre che stava suturando la ferita e che tentava - Clarke lo sapeva - di non origliare la loro conversazione, ma che comunque non poteva farne a meno.  

“No, Bell - lo rassicurò - non lo devi dire.” 

“Clarke?” 

“Sì?” 

“Perché mi hai mandato a Mount Weather? Poche ore prima era stata chiara che non volevi... - altro colpo di tosse - … perché hai cambiato idea?” 

“Lexa mi aveva detto che l'amore era una debolezza - rispose lei - se volevo tenerti al sicuro avrei dovuto lasciarti andare. Tenerti con me e amarti ti avrebbe soltanto messo in pericolo. E poi comunque mi fidavo di te, sapevo che se qualcuno poteva farcela eri tu” Abby aveva finito e diede a Bellamy degli antidolorifici per calmare il dolore. 

“Deve stare a riposo - disse alla figlia, mentre Bellamy perdeva nuovamente conoscenza - prima di un paio di settimane ancora non potrete partire” Clarke annuì e tornò a guardare il volto di Bellamy e pensò di dargli una lavata. Mentre si curava di ogni minimo particolare del suo viso posò la fronte contro quella del ragazzo. 

“Ti amo” soffiò a pochi centimetri da lui, era incredibile come avesse trovato il coraggio di dirlo solo quando sapeva che lui non l'avrebbe sentita. 

*** 

Ricordava Bellamy dal momento stesso che aveva messo piede sulla Terra. In un primo momento l'aveva apertamente indispettita il fatto che tutti lo seguissero senza che lui dovesse minimamente sforzarsi. Era il leader e sembrava che lo facesse senza fatica. Per di più era apertamente ostile nei suoi confronti e Clarke non capiva perché, poi aveva scoperto quello che aveva fatto a Jaha per proteggere sua sorella e mentalmente aveva cominciato a rispettarlo, anche se aveva agito poi per paura delle conseguenze, aveva capito che era una persona che avrebbe fatto qualunque cosa per le persone che amava. Poi, dopo Finn, aveva trovato nella sua presenza un conforto tale che all'inizio non volle neanche ammetterlo... dopo Wells... le sue parole chiare nella sua testa Clarke non aveva potuto che diventare dipendente da lui. Poi le aveva salvato la vita e Clarke aveva capito che erano un team. Che se c'era Bellamy non importava di Finn, di Wells, di Murphy, degli altri, avrebbero potuto fare qualunque cosa. Non sapeva esattamente quale fosse stato il momento esatto, forse quando si era confidato con lei. Sono un mostro. Lui, lui che si sentiva così mostro non era capace di uccidere a sangue freddo. Atom. Lei, che tutti decantavano, la sua faccia d'angelo, lei era il vero mostro, ma aveva capito che Bellamy comprendeva anche quello. E forse era stato allora, o quando aveva scelto la condotta di Bellamy. Voglio che tu sia il nostro backup.  Invece che ascoltare Finn. Finn lo sa? Aveva automaticamente scelto Bellamy, in quel momento, e sapeva di aver mentito a Finn quando lo aveva ucciso. Non lo amava. Non c'è bisogno che Finn lo sappiaLui aveva annuito. E Bellamy, porta le armi. Ne avremo bisogno 

O ancora quando credeva di averlo ucciso. E poi lo aveva visto entrare a Camp Jaha, sì ferito, ma sulle sue gambe. Non le era neanche passato per la testa Finn, Finn non esisteva. Era suo amico certo, ma la sua perdita l'avrebbe sopportata. No, Bellamy era lì, in carne ed ossa e stava bene.  

*** 

“Clarke” chiamò una voce roca. La ragazza, che era seduta su una delle brande, saltò in piedi. Si era quasi addormentata. E in un battito di ciglia fu di fianco al suo capezzale. 

“Hey... Come ti senti?” 

“Intorpidito e dolorante” rispose lui cercando di mettersi a sedere. Clarke lo spinse indietro con le mani sulle sue spalle. Non era ancora ora di alzarsi. 

“Che diavolo fai?” 

“Cerco di raggiungere te” lo disse come se fosse la cosa più ovvia dell'universo e il cuore di Clarke perse un battito. 

“Ti ho sentita” Clarke sentì il proprio viso andare in fiamme, abbassò lo sguardo e non rispose. Lui le prese il mento con una meno e la costrinse a guardarlo “Anche se ero rintontito ti ho sentita”. 

Clarke guardava ovunque, ma non a lui, doveva uscire da lì. Non voleva essere respinta. Non voleva che lui se ne ricordasse neanche. 

Questa era la sua solita fortuna. “Sta zitto, Bell” 

“Mi piace quando mi chiami Bell - cambiò discorso lui - è intimo” ma aveva deciso di farla morire? A.A.A Ragazza in fiamme qui!? Vorrebbe ti dimenticassi di quanto ha detto. Pensò Clarke.  

“Clarke” credeva si fosse addormentato. Era stato in silenzio per una quindicina di minuti. Era già pronta a tirare un sospiro di sollievo. 

“Hmm?” 

“Porta la tua roba nella mia tenda” 

“Ma che...” 

“Nella mia tenda” 

“Aspetta Bell...ma cosa dici?...” 

“La tua roba nella mia tenda, Principessa - ripeté lui come se stesse parlando con una bambina - non starai più su quella brandina. D'ora in poi stai con me” 

“Ma..” 

“Nella mia tenda” sillabò lui. Ponendo fine alla discussione. 

“MIA” aggiunse, per poi riaddormentarsi. 

Okay. Pensò Clarke. Ne riparleremo domani mattina, hm?  

Fine ottavo capitolo

Nel prossimo capitolo:
“Clarke... - cominciò Octavia - cosa ci fai nella tenda di mio fartello?”  eccola lì. La prima delle infinite domande. Clarke abbassò lo sguardo. Ma perché l'aveva messa in quella situazione? Cosa aveva fatto di male? A sì, si era confessata... ora ricordava...
“Ehm... bella domanda...” balbettò mentre Octavia le riservava un'occhiata scettica.
“Starà con me d'ora in poi” Bellamy, da dietro Octavia entrò nella tenda senza rivolgerle la parola “e no, O, tutto il campo lo saprà lo stesso, ma non lo puoi spifferare in giro”
“Ma quindi state insieme?”
“NO!”
“Si”
“Hey, chi ti ha detto che stiamo assieme?!” esclamò la bionda, rossa in viso.
“Io” rispose Bellamy.
“Ma..”
“Oh senti, smettila Clarke... devo chiedertelo ufficialmente?” domandò lui.


Eccoci qua!!! Che ne dite di questo capitolo??? Coraggio fatemi sapere che ne pensate ci tengo!!! Alla prossima.. un bacio Giu :)

  

 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX Clarity ***


Capitolo IX  

Clarity 

 

Quando, la mattina dopo, Bellamy si fu ripreso abbastanza da aver - definitivamente -smesso di perdere conoscenza ogni due per tre, e mentre ovviamente, mezzo campo si accalcava fuori dall'Infermeria per sapere delle sorti del ragazzo. Clarke temeva il momento in cui fossero rimasti da soli. Perché avrebbero dovuto riaprire quel discorso. Non che lei non fosse stata felice di non essere stata - per ora - apertamente respinta. Aveva sviluppato l'insana (nell'opinione di Raven che aveva ascoltato le tesi dell'amica) convinzione che Bellamy la vedesse come una sorella (aveva detto lei e Octavia in fondo, le sue due sorelle)… Raven le aveva tirato i capelli e se ne era andata. La ragazza era particolarmente manesca, una cosa che Clarke non sopportava molto, ma in fondo, erano amiche proprio perché Raven con i suoi comportamenti era in grado di farle vedere ciò che altrimenti avrebbe temuto anche solo di immaginare. Quindi, mentre metteva apposto tutte le boccette e gli strumenti di sua madre quando sentì un sospiro e l'improvviso silenzio seppe che era giunta la sua ora.  

 

Bellamy non le aveva permesso di controbattere, quindi ora, a una settimana dalla sua operazione Clarke (che Miller e Monroe, su ordine di Bellamy, aiutarono) aveva spostato tutta la sua roba nella tenda del suo co-leader, e, esausta, si era buttata faccia in giù sul letto di Bellamy. Tra sentire le lamentele dei 47 e pensare alla propria vita sentimentale (quasi completamente assente, secondo lei) e preoccuparsi di Bellamy e della sua lenta ripresa non aveva avuto un momento libero. A forza si rialzò dal letto e si costrinse a mettere un minimo di ordine tra le sue cose che ancora erano sparse in giro per la tenda.  

"Clarke..? - la testa di Octavia (probabilmente in cerca del fratello) fece capolino dalla tenda - che diavolo ci fai nella tenda di mio fratello?" ed eccola lì. La prima di tante domande che sarebbero seguite... Perché l'aveva messa in quella situazione? Cosa aveva fatto di male? Ah, sì, si era confessata ora ricordava. 

"Ehm... -balbettò, abbassando il viso color porpora sulle proprie mani giunte - ecco... questa è una bella domanda..." Octavia la trucidò con un'occhiata scettica, prima che la voce di Bellamy interrompesse le sue parole quasi senza senso. 

"D'ora in poi lei starà con me" rispose quindi entrando nella tenda e ignorandola del tutto "E no, O, lo saprà l'intero campo, ma non puoi spifferarlo in giro" Octavia - che stava per parlare - aprì la bocca e la richiuse per poi domandare: 

"Ma allora state assieme?" 

"No!" 

"Sì" 

"hey aspetta un attimo! - esclamò Clarke, improvvisamente dimentica del proprio imbarazzo - chi ti ha detto che stiamo assieme?" 

"Io" 

"Ma..." 

"Oh andiamo, Clarke! - fece Bellamy facendo un passo verso la bionda, mentre Octavia se ne andava imbarazzata - devo davvero chiedertelo ufficialmente?" Clarke fece un passo verso di lui fissandolo in malo modo, pronta a obiettare quando fecero irruzione nella tenda Miller e Monroe, per nulla in imbarazzo per la situazione che si trovarono di fronte. 

"Scusate, ma c'è un Terrestre all'entrata che pretende di parlare con voi due" Clarke e Bellamy si scambiarono un'occhiata e uscirono insieme dalla tenda, lasciando indietro Miller e Monroe. 

"Perché non vuole parlare con noi!" si stava lamentando Abby con Kane, dato che il Terrestre si rifiutava di conferire con nessun altro sennon Clarke e Bellamy. 

"Ho ordini precisi - rispose quello tranquillo - devo parlare solo con Clarke Griffin e Bellamy Blake" spiegò lui, le braccia incrociate al petto, ma nel momento in cui vide Clarke e Bellamy raggiungerli si tese tutto e fece un leggero inchino col capo. 

"Che succede qui?" domandò Clarke, per poi rivolgersi al Terrestre "ci volevi vedere?" quello annuì per poi dire "Heda Lexa mi ha mandato a chiamarvi perché intende conferire con voi - rispose quello biascicando qualche parola - desidera parlare della condotta contro gli Sciamani"  

"Non vedo per quale ragione dovremmo fidarci di parlare con una donna che ci ha già traditi" obiettò Clarke inarcando un sopracciglio. 

"Erede Heda Clarke - rispose quello tranquillamente - un erede di un comandante non può rifiutarsi di parlare al comandante se richiesto, e comunque Heda Lexa permetterà che entriate armati"  

"Erede?" domandò Bellamy perplesso. 

"Heda Lexa ha designato Erede Heda Clarke come sua erede" 

"COSA?" esclamò Abby intromettendosi "Tu sei l'erede di un comandante di Terrestri?" 

"Non ne ero a conoscenza" rispose Clarke incrociando le braccia al petto e poi voltando lo sguardo verso Bellamy in cerca di appoggio e consiglio. 

"Ci da la possibilità di entrare armati nel villaggio - fece notare lui - e ti ha nominata sua erede quindi tu sei comunque protetta. Possiamo resistere agli Sciamani anche da soli forse, ma a che prezzo? Io dico che non ci costa niente stare a sentire cosa ha da dire, purché ci riserviamo di non dover per forza accettare... Lei non mi piace, lo sai. Ma so che farebbe di tutto per te, e il fatto che ti protegga anche dalla sua gente designandoti come sua erede mi tranquillizza... Credo che sia meglio per noi andare" Clarke si voltò verso il Terrestre. 

"Molto bene. Conferiremo con Lexa. Partiremo tra due ore" il Terrestre fece un altro cenno col capo e poi porse a Bellamy un pugnale di fattura terrestre, di fronte allo sguardo perplesso dell'altro rispose: 

"E' un usanza di pace. Heda Lexa mi ha detto di consegnarlo a Bellamy Blake in quanto Protettore dell'Erede Heda Clarke, perché tutti i Terrestri sappiano che è sotto la protezione di Heda Lexa. Questo invece va a Erede Heda Clarke - disse porgendo un secondo pugnale a Clarke di fattura più pregiata di quello di Bellamy - è il suo simbolo" detto questo si ricompose nella posizione in cui era quando giunsero a braccia conserte lo sguardo perso nel vuoto.  

"Veniamo anche noi" 

"Mamma" 

"Veniamo anche noi, Clarke" 

"Principessa, facciamoli venire è meglio che Lexa conosca anche loro perché anche loro devono intrattenere dei rapporti coi Terrestri quando noi saremo partiti" le suggerì Bellamy, che Clarke notò era diventato la voce della ragione. 

"Ok" annuì la bionda "tra due ore ai cancelli" 

Bellamy e Clarke si diressero alla loro tenda e nessuno osò anche solo fiatare.  

 

"Erede" borbottò Clarke "Deve per forza trovare un modo di legarmi a lei" Bellamy la trascinò accanto a sé sedendosi sul letto e abbracciandola.  

"Ti sta solo proteggendo. E almeno in questo io e quella vipera andiamo d’accordo." la sua batuuta la fece quasi ridere, ma era troppo preoccupata.  

"Hey, Principessa, guardami - fece lui prendendole il viso fra le mani - andrà tutto bene. Supereremo anche questa insieme" Clarke annuì poggiando la fronte a quella del ragazzo.  

"Posso baciarti?" questo la fece ridere di gusto, tanto da tirare indietro il proprio viso per permettersi di ridere meglio. 

"Bellamy Blake sta davvero chiedendo il permesso?" 

"Assolutamente" rispose quello, ridendo " ti avvertivo" attirandola poi improvvisamente a sé, ogni traccia di risata scomparve dall'aria, ma il sorriso di Clarke rimase al suo posto mentre sentiva le palpebre chiudersi e le labbra del ragazzo discendere sulle sue. Erano screpolate dal vento e dalle intemperie, ma erano piene e calde e in breve si rese conto che avevano un sapore tutto loro, il sapore di Bellamy, più deciso di quello di Finn, un sapore di uomo. Del suo uomo. Almeno nella sua testa. Un sapore che le entrava nel corpo, le scorreva nelle vene e che, si accorse, le era mancato fino a quel momento, ma che aveva sempre atteso. Si domandò in quel momento perché ci avessero messo tanto, ma quando la lingua del moro si insinuò fra le sue labbra schiuse ogni pensiero coerente fu respinto e l'unica cosa che poté sentire fu Bellamy, il suo sapore di ribelle, le ricordava un torrente in piena. Tutto era Bellamy. Da parte sua il moro non si sarebbe aspettato di meno, le loro due lingue che combattevano per dominare l'una sull'altra, i capelli biondi di Clarke fra le sue dita, il profumo di lei, femminile e fresco, il suo sapore, sapeva di more e di pensieri mai espressi, di occasioni mai raccolte. In lontananza gli sembrò di sentire la melodia che lei aveva canticchiato ad Atom per accompagnarlo nella morte. Ho bisogno di te. Gli parve di risentire la sua voce. Il misto delle loro lacrime quella sera. Quando per la prima volta l'aveva toccata davvero, quando stava cadendo in quella trappola, quel giorno, comprese, le loro anime si erano scontrate e solo ora capiva, non poteva avere la sua senza perdere la propria, ma era un sacrificio che era più che disposto a fare. Capì allora che avrebbe fatto qualunque cosa per quella donna che stringeva fra le labbra e che era la sua sanità, il suo respiro e il suo battito.  

Ed era vero. Anche se non fossero mai scesi sulla Terra, lo sapeva, in qualche modo l'avrebbe trovata. L'avrebbe sempre trovata.  

Fine nono capitolo 

 

Nel prossimo capitolo: 

"Gli sciamani non ci permetteranno di avere molto tempo per prepararci" fece Bellamy. 

"Infatti" rispose Lexa "per questo ancora prima della fine dell'Inverno vi ho fatti chiamare" 

"Dobbiamo attaccare per primi" 

 

"Non ti lascerò andare laggiù da sola!" sbottò Bellamy portandosi le mani ai fianchi. 

"Anche io preferirei di no, ma devi capire che non posso lasciarli senza una guida! Ho bisogno che tu rimanga qui!" 

"Non ti guarderò andartene un'altra volta, Clarke - rispose lui determinato - se tu vai, io vengo con te. Fine della discussione. Jasper e Monty possono occuparsi di loro e con loro ci saranno anche Raven e Wick, sapranno badare a loro stessi. Tu non lascerai la mia vista di nuovo, Clarke Griffin - suonava come una minaccia - o giuro che ti legerò a questo letto e non usciremo mai più dalla nostra tenda. Tu vai, io vengo. Tu resti, io resto. Punto" Clarke non sapeva se strangolarlo o baciarlo. Ma come sempre alla fine, l'avrebbe baciato, l'avrebbe perdonato e l'avrebbe accontentato, non poteva farne a meno, anche perché anche lei lo sapeva, quando non erano insieme si trovavano sempre nei guai. Ma non l'avrebbe abbandonato per nulla al mondo.  

 

Si lo so, sono in ritardo e spero di essermi fatta perdonare! Ma avevo una buona ragione! Sono diventata zia e quindi sono stata molto impegnata! Infatti questo capitolo (sperando che vi piaccia) è dedicato al mio nipotino :) E niente, spero vi piaccia e come sempre ringrazio coloro che recensiscono e che migliorano la mia giornata, ma anche tutti i lettori silenziosi che hanno messo la mia storia fra preferite/seguite/ricordate :) Vi aspetto al prossimo capitolo! Un bacio, Giu :)    

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Capitolo 10
*** Capitolo X Tragic man ***


Capitolo X 

Tragic man 

 

Erano partiti. La loro guida li stava conducendo per sentieri che sia Bellamy che Clarke conoscevano fin troppo bene. Il Terrestre aveva preteso che Clarke camminasse di fianco a lui e che il suo protettore di fianco a lei, gli altri potevano andarsene all'Inferno per quanto lo riguardava, lui aveva la chiara missione che condurre l'Erede Clarke Griffin al suo colloquio con Heda Lexa, degli altri non gli interessava, non erano una sua responsabilità.  

Abby e Kane osservarono i due ragazzi che camminavano a passo spedito davanti a loro. Abby non osava ammetterlo, ma sua figlia le somigliava anche troppo per i suoi gusti, avrebbe voluto avesse preso più del suo altruismo dal padre, non desiderava certo che la ragazza avesse ereditato anche il suo atteggiamento, ma pareva che invece Clarke fosse la sua esatta fotocopia con il temperamento della madre e l'altruismo del padre, una combinazione con cui Abby odiava scontrarsi. Poi c'era Bellamy, quel ragazzaccio che aveva messo gli occhi addosso a sua figlia e che non le piaceva per niente, Kane d'altra parte le diceva continuamente che gli ricordava se stesso da giovane, ma Abby una cosa la sapeva per certo: Bellamy Blake avrebbe dato la vita per sua figlia e per questo gli permetteva di stare vicino a sua figlia, anche se dubitava che anche se si fosse opposta a sua figlia sarebbe interessato.  

 

"Spero solo che tutto questo conduca a un trattato più solido del primo che abbiamo intrattenuto con i Terrestri" bofonchiò Clarke, quando si fermarono per la notte, a piedi ci avrebbero impiegato una giornata intera a raggiungere l'accampamento dei Terrestri. Abby e Kane erano seduti a poca distanza ed erano presi da loro chiacchiere concitate, ma comunque le sue parole erano intese solo per le orecchie di Bellamy, che le colse e con una nota di amarezza rispose: 

"Clarke, non è stata colpa tua se Lexa ci ha traditi" 

"Non posso fare a meno di pensare che lo sia" rispose Clarke "In fondo, se non l'avessi respinta quando mi ha baciata, forse non ci avrebbe traditi" 

"Lei cosa?!" esclamò concitato il ragazzo, spostandosi i ricci ribelli dalla fronte. 

"Lei mi ha baciato e io l'ho respinta" sillabò Clarke "credo che ci abbia traditi così su sue piedi per quello" spiegò ancora "ma io non potevo, non con te che avevi rischiato la vita facendo l'infiltrato... e comunque non avrei voluto... così l'ho respinta e lei si sarà sentita tradita.. non posso fare a meno di pensare che per questo sia colpa mia che tutte quelle persone siano morte" sussurrò portandosi le mani a coprire il viso, quello che fece Bellamy la sorprese, le prese dolcemente le mani fra le proprie e la fissò intensamente. 

"Hai risposto al bacio?" 

"Di tutto quello che ti ho detto, ti interessa sapere solo quello?" 

"Tu rispondi e basta, Principessa" 

"In un primo momento, perché era quello che volevo: volevo che meritassimo di meglio, che meritassimo amore e pace... ma non appena ho sentito le sue labbra ho capito che non era davvero quello che volevo, ciò di cui avevo bisogno" rispose Clarke sinceramente "Lo so, che sei arrabbiato che non te l'ho detto, ma eri distante..." 

"E quindi cosa, finirai col baciare Capi stranieri ogni qual volta che io sarò da qualche altra parte a combattere le tue battaglie? Sono quasi morto là dentro Clarke! Per te!"  

Stava dando di matto. Clarke poteva capirlo. Lo avrebbe capito perfino se non l'avesse più voluta. Ma doveva spiegarsi. Gli prese il volto fra le mani e Bellamy la fissò con i suoi occhi scuri e - per sua sorpresa - bagnati di lacrime che minacciavano di sgorgare. 

"Bellamy. Io ti amo. - scandì ogni parola per darvi ancora più forza - non sono mai stai più sicura di nient'altro nella mia vita. Ma non lo sapevo. Quando Lexa mi ha baciato l'ho capito... Ho sbagliato a non dirtelo, ma temevo che questo ti avrebbe allontanato. Ma io amo te, non Lexa, mai Lexa. Lo capisci, vero?"  

"Non fare mai più una cosa del genere, Principessa - suonava tanto come una minaccia, ma era addolcito dai suoi gesti, le aveva portato una mano sulla nuca e aveva appoggiato la fronte a quella della ragazza - perché non credo potrei sopportarlo" e allora fu Clarke a stupirlo. Incurante delle persone che avevano attorno si avventò sulle sue labbra, ignorando il gridolino scandalizzato di sua madre e le parole che Kane le rivolgeva per calmarla.  

"Non lo farei comunque - promise - ora che so cosa significa avere te, non credo che potrei mai avere altro" 

"E non hai ancora provato il meglio, Principessa" ghignò lui. L'atmosfera che si era fatta plumbea fu risollevata di colpo e Clarke scoppiò a ridere.  

"Mi toccherà provarlo allora, prima o poi" 

"Io voto per il prima" scherzò lui. Finalmente tutto era tornato alla normalità. 

 

Lexa li attendeva in un bunker ed era seduta sul suo trono, la lunga gonna sfilacciata, senza i trucchi propri di una guerriera, i suoi occhi verdi li osservarono dal momento che misero piede all'interno della stanza fino a quando non presero posto seduti al tavolo.  

"Ci hai fatti chiamare" iniziò Clarke, per nulla intimorita dalla postura algida della donna che si trovava di fronte.  

"Sì. Sono anni che gli Sciamani imperversano e sfruttano la nostra gente, se insieme abbiamo sconfitto gli Uomini della Montagna, insieme possiamo sconfiggere loro" 

"Ti ricordo che  a sconfiggere gli uomini della montagna siamo stati noi, Lexa, senza il vostro aiuto, quindi dimmi - rispose Clarke acida - perché dovremmo allearci con voi?" 

"Perché questo è un nemico che va al di là delle vostre forze, ma delle nostre forze unite no" rispose pragmatica Lexa. Clarke rimase in silenzio, e la parola passò a Bellamy.  

"Gli Sciamani, - disse lui - sembrano interessati a un determinato gruppo di persone come è possibile che voi non abbiate mai instaurato una rivolta insieme alle altre tribù?" 

"Siamo troppo divisi. Ma i Terrestri e gli SkyPeople, insieme possiamo farcela" 

"Non vedo per quale ragione dovremmo fidarci di te, Lexa. Ci hai già traditi in passato, una volta coniglio, coniglio sempre" disse acida Clarke, che mal aveva digerito il comportamento dell'altra donna.  

"Dammi l'occasione di dimostrare che non è vero. - pregò Lexa - non voglio che il mio popolo debba soffrire oltre le atroci pratiche degli Sciamani... sto chiedendo il tuo aiuto, Clarke degli SkyPeople" il discorso le parve così sentito e gli occhi di Lexa così determinati che Clarke rimase ancora una volta in silenzio e lanciò un'occhiata di intesa a Bellamy, che le posò una mano su un ginocchio cercando di sostenerla, qualsiasi fosse la scelta che decidesse di prendere. 

"Molto bene... sentiamo cosa si può fare" 

"Gli sciamani non ci daranno tutto il tempo di prepararci non è vero?" domandò Bellamy. 

Infatti" rispose Lexa "per questo ancora prima della fine dell'Inverno vi ho fatti chiamare" 

"Dobbiamo attaccare per primi" comprese finalmente Clarke, la donna annuì.  

Il piano era semplice, di sicuro gli Sciamani erano già partiti lasciando la loro Capitale quasi completamente sguarnita, se li avessero preceduti, seguendo un passo impervio fra le montagne e seguendo il corso del Fiume Lungo verso la Diga Artificiale, li avrebbero battuti sul tempo, attaccando la capitale, le altre truppe sarebbero rimaste indietro e avrebbero così chiuso il nemico in un braccio di ferro, costringendolo ad arrendersi. 

 

 

"Non ti lascerò andare laggiù da sola!" sbottò Bellamy portandosi le mani ai fianchi. Qualcuno dei Terrestri era stato posto a difesa dell'Erede (la cui nomina ufficiale si sarebbe tenuta il giorno della partenza) e cercavano di essere il più discreti possibile, nei riguardi di quella che era già considerata una coppia fatta e finita. Ma la tenda non avrebbe attutito così tanto i loro battibecchi. 

"Anche io preferirei di no, ma devi capire che non posso lasciarli senza una guida! Ho bisogno che tu rimanga qui!" Clarke sarebbe dovuta partire per tradizione (nelle spedizioni l'Erede deve sempre seguire l'Heda) e aveva chiesto a Bellamy di restare indietro (sacrilegio!). 

"Non ti guarderò andartene un'altra volta, Clarke - rispose lui determinato, puntandole contro un indice accusatore, la ragazza da seduta che era sul letto non ebbe il coraggio nemmeno di muovere gli occhi dai suoi - se tu vai, io vengo con te. Fine della discussione. Jasper e Monty possono occuparsi di loro e con loro ci saranno anche Raven e Wick, sapranno badare a loro stessi. Tu non lascerai la mia vista di nuovo, Clarke Griffin - suonava come una minaccia - o giuro che ti legherò a questo letto e non usciremo mai più dalla nostra tenda. Tu vai, io vengo. Tu resti, io resto. Punto" Clarke non sapeva se strangolarlo o baciarlo. Ma come sempre alla fine, l'avrebbe baciato, l'avrebbe perdonato e l'avrebbe accontentato, non poteva farne a meno, anche perché anche lei lo sapeva, quando non erano insieme si trovavano sempre nei guai. Ma non l'avrebbe abbandonato per nulla al mondo.  

"Quanto sei melodrammatico" scherzò lei. 

"Sono solo preoccupato. Non voglio lasciarti sola" rispose lui, allora Clarke si alzò e gli prese il viso fra le mani. 

"Neanche io voglio che tu lo faccia" 

"Allora non chiedermi di rimanere" pregò lui. Clarke annuì appoggiando la propria fronte alla sua e sospirando. 

"Ok. Partiremo insieme" 
Fine decimo capitolo

Nel prossimo capitolo:
Clarke sbuffò, osservandosi attorno, faceva freddo lassù fra le montagne e il piccolo fuoco che avevano acceso non scaldava chissà quanto, Bellamy le aveva avvolto la propria sciarpa intorno al collo, pretendendo che lei la tenesse e poi l'aveva abbracciata rimanendo in silenzio. E in quel silenzio Clarke guardò il ragazzo, no l'uomo, che amava e giurò a se stessa che nulla li avrebbe allontanati e nulla li avrebbe divisi, mai più.


Eccoci qua, voi che ne pensate??? Attendo vostri commenti! Ringrazio ancora tutti i lettori silenziosi o meno e vi auguro buona giornata... cercherò di aggiornare al più presto! Un bacione Giu

 

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