Deeper.

di emotjon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Don't wanna hurt you. ***
Capitolo 2: *** 2. Falling to pieces. ***
Capitolo 3: *** 3. Miss them. ***
Capitolo 4: *** 4. Love me, I love you. ***
Capitolo 5: *** 5. Unconditionally. ***
Capitolo 6: *** 6. Can I trust you? ***



Capitolo 1
*** 1. Don't wanna hurt you. ***




 

Deeper - capitolo 1. // Don't wanna hurt you.

 


Giappone, 1580.

L'odore dei fiori di ciliegio era ovunque. Arrivava dappertutto, impregnava i vestiti, l'aria, i capelli, persino la pelle. C'era la pelle leggermente olivastra di una ragazza dagli occhi castani, le ciglia lunghe e i lunghi capelli castano scuro legati e perfettamente stretti nel più complicato degli chignon. O la pelle quasi traslucida di un'altra ragazza, dai limpidi occhi azzurri e i capelli neri come il catrame.
Odoravano di ciliegie, ogni centimetro coperto o meno delle loro pelli finemente ricoperte di biacca, per renderle perfettamente bianche e senza la minima imperfezione. La polvere bianca ricopriva ogni millimetro visibile delle due ragazze, facendole somigliare più a delle bambole di porcellana che ad altro.
In fondo, lo scopo era proprio quello.
Bianca, la pelle dei loro visi. Nera, la spessa linea di eye-liner che decorava loro gli occhi. Rosse, le labbra. Dello stesso colore della ceralacca, del sangue o del colore del succo delle ciliegie. Lucidi, i capelli; e stretti in quello chignon a tal punto da non sentirli, tanto da sentir male al cuoio capelluto, tanto da far fatica a sopportarlo, quel dolore.
Erano sedute sulle radici di uno dei tanti ciliegi, in quel giardino in stile giapponese che sembrava immenso, che pareva non finire mai. Davanti a loro, un piccolo sentiero di ghiaia che curvava leggermente verso destra, fino ad un ponticello di legno su un laghetto costellato di carpe e di ninfee.
Le due ragazze parlavano sottovoce, quasi senza guardarsi negli occhi. Ma parlavano e ridevano come se fosse davvero concesso loro. Ridevano a voce bassa, in modo da non disturbare gli usignoli e gli altri uccelli colorati che popolavano il giardino; in modo da riuscire comunque a sentire il rumore delle foglie cadere.
Il fruscio dei loro kimono risuonava leggerissimo nell'aria, un sussurro portato dal vento che muoveva tutto con una delicatezza inaudita. E i loro abiti di seta erano una macchia di colore anche più satura di tutto il resto. Rosso, quello della castana, e decorato con una cascata di piccoli fiori bianchi; blu, quello della mora, con una banda bianca per il colletto e i polsi, e la stessa cascata di fiori, rossi e bianchi.
Ai piedi portavano dei semplici e rudimentali zoccoli di legno.
Sotto il kimono, nient'altro se non la propria pelle.
Era tutto tanto colorato da sembrare un quadro. Tutto tanto fantastico da non sembrare reale. Tutto tanto profumato da rischiare di svenire. E tutto tanto pacifico da potersi aspettare che prima o poi qualcosa sarebbe successo.
E poi... il rumore di passi contro il legno del ponte distrasse le due ragazze dalla loro chiacchierata. Il demone dagli occhi celesti cercò invano di reprimere un sorriso, ma gliene scappò un accenno, che non passò del tutto inosservato all'altra ragazza. Ma la castana la ignorò, concentrando interamente la propria attenzione sul giovane guerriero che aveva appena varcato la soglia di quel giardino.
Irreale, il giardino. Ma mai irreale quanto lo sembrava quel ragazzo, come se egli provenisse da un altro pianeta. Lontano, alieno, diverso. Un samurai con tanto di armatura in un mondo di geisha coperte solo dai vari strati leggeri del kimono.
Remember - così si chiamava la ragazza dagli occhi azzurri - guardò il ragazzo dritto negli occhi. I loro sguardi fecero pensare all'altra ragazza che si sarebbe dovuta alzare e lasciarli soli. Non riusciva nemmeno a guardarli - soprattutto lui - da quanta tensione sessuale poteva percepire nell'aria.
Fece un respiro profondo, Madeleine. Ma mentre stava per alzarsi e sparire tra i ciliegi, una mano dell'altra ragazza sulla coscia la fermò. Un sorriso, un'occhiata inequivocabile, e la mora si alzò, lasciandola sola col proprio sopracciglio elegantemente inarcato e il samurai in armatura grigio fumo che la fissava. Teneva lo sguardo basso, la ragazza. Le era stato insegnato così; non poteva guardare un uomo negli occhi a meno che non le si dicesse di farlo.
E in realtà, la tensione che poteva percepire non era per chi si aspettava. Era proprio per lei, in effetti. Forse se ne accorse solo quando sentì il ragazzo avvicinarsi, fino a fermarsi a un metro scarso da lei, a fissarla. «Guardatemi», le disse con voce ferma, cercando di non mostrare l'emozione che stava provando a vederla lì, tanto vicina da poterla toccare.
Lo guardò.
Alzò lentamente lo sguardo verso di lui, col labbro inferiore protruso leggermente in fuori, a formare un tenero quanto irresistibile broncio sul suo viso. Lo guardò, e per un istante temette di svenire; temette di avere le allucinazioni, perché da qualche parte lei l'aveva già visto, quel ragazzo. Magari in sogno, magari era già stato suo ospite ma non se ne ricordava.
Fatto sta che quegli occhi scuri non le erano nuovi, né il luccichio presente in essi mentre la guardava. Non le erano nuove quelle labbra, che se ci pensava più del dovuto poteva sentirle addosso, a sfiorarla ovunque. Non le era nuovo il velo di barba ispida che gli ricopriva le guance e il mento, né la piccola ruga che poteva vedere formarglisi tra le sopracciglia.
Il sorriso che gli si formò sul volto non appena lei posò gli occhi nei suoi, poi, era anche più familiare di tutto il resto. Era il sorriso più incredibile che avesse mai visto o che riuscisse a ricordare. Era un sorriso allo stesso tempo strano e bellissimo, con i denti a mordicchiare leggermente la punta della lingua, e le labbra tese e un po' aperte a mostrare al mondo tutta quella meraviglia.
Lasciò che si avvicinasse ancora. Lasciò che le si sedesse accanto, sulla stessa radice contorta dello stesso ciliegio. E non abbassò lo sguardo da lui se non quando sentì il suo braccio sfiorarle il proprio; allora arrossì, nonostante il piccolissimo contatto, nemmeno pelle contro pelle. Seppure con lo sguardo basso, poté vederlo prendere un respiro più profondo degli altri, lasciato poi andare in uno sbuffo che sembrava di pura frustrazione.
Non sapeva da cosa, ma quel ragazzo sembrava davvero turbato da... qualcosa.
«Rimanete con me, stanotte».
Fu quel sussurro, probabilmente, a farla cedere. Forse furono le labbra del moro a contatto con il lembo di pelle poco sotto il lobo dell'orecchio; forse fu la mano del guerriero che a poco a poco scivolava sulla sua coscia, diretta sempre più in alto, in un punto troppo imprecisato per poterlo anche solo intuire; forse fu solo il suo tono di voce.
Roco. Pieno di aspettativa. Sensuale. Voglioso.
La ragazza semplicemente scostò uno dei lembi della parte inferiore del lungo kimono rosso, permettendo alla mano del samurai di sfiorarla direttamente, pelle contro pelle. Si lasciò scappare un sospiro, abbassando le palpebre e facendone sfarfallare le lunghe ciglia nero pece.
Non servì nemmeno che annuisse. Né che pensasse di dire qualcosa, qualsiasi cosa. Il giovane samurai sorrise contro la pelle leggermente olivastra del suo collo, poco sotto la netta linea di biacca che le ricopriva il viso; sorrise, allontanando poi la mano dalla sua coscia solo per unirla a quella della ragazza che, anche se sorpresa, non poté far altro se non prenderla e farsi guidare attraverso il giardino, tra i fiori rosa che cadevano come neve a gennaio.
Non si curò di niente se non della sua mano un po' ruvida contro la propria.
Non fece caso a nulla se non a quegli occhi del colore della corteccia degli alberi, che non la lasciarono nemmeno per un attimo; quasi facendole mancare il respiro, quasi rendendole le gambe molle, da quanto era potente quello sguardo.
Non si accorse del buio, che in presenza del giovane sembrava essere anche più nero di quanto non fosse realmente. Tenne gli occhi aperti, ma riuscendo a vedere solo lui e i suoi occhi scuri; seguiva i suoi movimenti come se ne fosse dipendente, sentiva ogni singolo millimetro di pelle andare a fuoco, mentre lui le faceva scivolare di dosso tutta quella seta nella quale era immersa.
La castana si irrigidì sensibilmente, una volta completamente nuda e coi capelli sciolti. Si sentiva inerme, come si sentiva ogni volta che arrivava a quel punto con un uomo. Abbassò lo sguardo, trovando le dita del ragazzo a posarsi prontamente sotto al suo mento per farla tornare con gli occhi su di lui. Un mezzo sorriso gli increspava le labbra; un sorriso quasi tenero, l'unico sorriso non malizioso che le avesse mai rivolto un uomo, a pensarci bene.
«Non voglio farvi del male, Madeleine». Nemmeno si chiese come quell'uomo potesse conoscere il suo nome, troppo presa ad assimilare le sue parole successive, senza però riuscire a capirle. «Non ho mai voluto farvene», le sussurrò, portando le sue piccole dita a slegare i nodi che tenevano su la sua armatura grigia, quasi nera.
Quelle parole tanto strane e forse ambigue significavano qualcosa, per lei. Non capiva cosa esattamente, ma scatenavano una specie di scintilla, in lei, qualcosa che non riusciva né poteva capire. Ma ancora una volta non se ne curò.
Gli sfiorò la pelle con le dita a mano a mano che lo spogliava, lasciando cadere a terra un pezzo dell'armatura alla volta, godendo del rumore che provocava contro il pavimento di legno scuro. Lo fece stendere sul materasso posto al centro della stanza, sedendoglisi poi a cavalcioni, senza alcun imbarazzo, abituata com'era a fare quel genere di cose, con qualsiasi tipo di uomo.
Solo, con lui era diverso.
Con lui, sentiva.
Con lui, era viva.
Viva, prima di morire.

 

***


La ragazza se ne stava raggomitolata in un angolo di quel letto matrimoniale che improvvisamente le sembrava vuoto, troppo vuoto. Le ginocchia al petto, la guancia posata su di esse, e il pensiero fisso sulle parole che Harry le aveva rivolto quella che sembrava un'eternità prima.
Puttana. Nessuno l'aveva mai chiamata così. Nessuno, in nessuna delle vite che ricordava, né nelle altre, né tantomeno nella vita che stava vivendo. Nessuno si era mai permesso di definirla tale, per il semplice motivo che non lo era né lo era mai stata.
Era una parola forte, detta apposta per ferirla, per farle male, per vederla crollare.
Era una parola che non smetteva di tornarle in mente, ad intervalli regolari, facendo più male ogni volta che se ne ricordava. Distruggendola a poco a poco ogni volta che nella sua mente la voce di Harry la pronunciava, ancora è ancora, all'infinito, come non volesse smettere, come se pensarci potesse farla stare meglio. In realtà, stava solo peggio. E peggio. E sempre peggio.
Tanto male da stringere un lembo del sottile lenzuolo di cotone per non crollare. Tanto male da incastrarci le unghie e sperare che tutto il dolore semplicemente scivolasse via. Tanto male da lasciare che le lacrime scorressero quasi senza accorgersene, e che i singhiozzi le scappassero dalle labbra scuotendola, rischiando davvero di farla crollare, sperando quasi che il materasso si aprisse in due e la inghiottisse.
Niente più Madeleine, niente più dolore.
Un lungo sospiro, la distrasse dal suo pianto. Alzò lo sguardo dalle proprie ginocchia, con gli occhi gonfi e la scia delle lacrime sulle guance, per incontrare gli occhi color cioccolato del demone dai capelli scuri che la fissava. Gli occhi scuri sgranati e un po' tristi, al vederla in quello stato, ancora una volta per colpa di Harry.
Lui, non l'avrebbe mai trattata in quel modo, nemmeno se l'avessero costretto.
E meno male che lui era il cattivo della situazione.
Zayn fece scivolare il telefono nella tasca, prima di mettersi a sedere sul bordo del letto, il più lontano possibile da lei; le si sarebbe seduto accanto, se Madeleine non fosse stata tanto fragile e a pezzi. Aveva l'impressione che qualsiasi cosa avesse detto non sarebbe bastata, che in qualunque modo avrebbe provato a toccarla, lei si sarebbe allontanata da lui.
Perché le parole di Harry la stavano logorando, poteva leggerglielo negli occhi.
«Dice Kismet di muoversi il più possibile, per non farci trovare...».
Era come se le stesse chiedendo di scappare insieme, con la differenza che quella del demone non era una richiesta. Era più un ordine ricoperto di belle parole, che altro. E la vide annuire appena, completamente assente, mentre l'ennesima lacrima le scorreva indisturbata sulla pelle leggermente olivastra parecchio arrossata e salata.
«Madeleine...», le sussurrò il moro, avvicinandosi di poco, senza toccarla. Quando però si avvicinò ancora e allungò una mano verso un suo braccio, la vide irrigidirsi e farsi piccola piccola. Ancora più raggomitolata su sé stessa, con le palpebre serrate e il labbro inferiore che le tremava, mentre tentava inutilmente di fermare le lacrime. «Principessa... ehi...». Le scostò una ciocca di capelli castani dal viso, ignorando le sue mute proteste; perché faceva male da morire, vederla in quello stato.
Come se lo sentisse anche lui, il dolore che provava lei.
Fece scivolare un pollice lungo la sua guancia, portando via ogni lacrima che riuscisse ad intercettare, ogni pezzetto di dolore che voleva scivolare via ma che in realtà veniva intrappolato dalla sua pelle, rimanendo con lei finché qualcuno non avesse avuto il coraggio di farselo passare.
Il demone si avvicinò ancora, posando le labbra sulla tempia della ragazza.
Il singhiozzo che ne seguì fu forse il suono più doloroso che le orecchie di Zayn avessero mai udito, in tutto quel tempo che era stato costretto a vivere. Era come sentire il vetro spezzarsi, o il calpestare le foglie secche in autunno. Era come un pugno che si scontra contro un muro di mattoni, o un lampo che squarcia il cielo estivo. Solo, cento volte più forte, mille volte più doloroso da ascoltare, e impossibile da sopportare.
Fu un unico singhiozzo. Solo uno, prima che Madeleine si sciogliesse in altre lacrime contro il petto di Zayn; solo uno, prima che potesse dargli il tacito permesso di stringerla a sé e accarezzarle i capelli; solo uno, prima che la cullasse come un padre con la propria bambina.
Perché Madeleine lo era; era la sua bambina.
E l'avrebbe protetta sempre, da qualsiasi cosa tranne che da sé stesso.
«Continuo a sentire la sua voce, Zayn... continua a dire che sono una puttana, che sono come Akielah... continua a dire che non mi ama... ed è come se ogni volta che lo risento mi si spezzasse il cuore...», ammise in un soffio una volta calmate le lacrime.
A me si spezza il cuore a vederti così, avrebbe voluto dirle, tra un bacio e l'altro tra i capelli. Non riuscì a dirlo; non riuscì a dire né a fare nulla, se non prenderle il viso tra le mani e spazzare via i rimasugli delle lacrime appena versate e posarle un bacio leggerissimo sulle labbra stanche, che in qualche modo riuscì a farla sorridere.
«Non voglio farti del male, principessa», le disse guardandola negli occhi e sfiorandole un labbro con il pollice. Piano, delicato e lento. Più piano che potesse, nel modo più delicato e lento che conoscesse.
E guardandolo, alla ragazza tornarono in mente un tempo ed un luogo lontani, quasi irraggiungibili dalla sua memoria ancora piena di buchi; le tornò in mente l'immagine di un kimono rosso, e quella di un samurai in armatura grigia che si lasciava spogliare, pronunciando le stesse parole, ma con una diversa forma di cortesia e in una lingua differente.
«Non hai mai voluto farmene», mormorò lei, finendo la frase per lui. Perché in qualche modo le era apparso tutto come se fosse un sogno, o addirittura un film. La memoria le era tornata ancora una volta senza che lo volesse, in un lampo di colori e suoni e odori. Tutto tanto all'improvviso da sconvolgere il demone e farlo ridere come se volesse solo stemperare la tensione; tutto tanto in fretta da far cozzare le loro labbra come se tutto il giorno non avessero aspettato altro.
Bacio voluto, cercato. Bacio che trasmette nient'altro che amore. Bacio assaporato. Dolce, salato, che sa del sapore delle stelle cadenti e dei desideri mai espressi; o di quelli espressi e mai realizzati. Bacio di demone a essere umano. Bacio giusto, nel momento e nel luogo giusti.
«Dov'è che andiamo?», gli chiese la castana con un mezzo sorriso. Ancora labbra contro labbra, per non perdere l'uno il sapore dell'altra; ancora attaccati, col desiderio di staccarsi molto lontano dalle menti di entrambi.
«Seattle», mormorò lui di rimando, leccandole il labbro inferiore.
E quel sussurro prometteva più di quanto si sarebbe aspettata Madeleine, decisamente.



 



non so da che parte cominciare... bene, tutto regolare.
non vi farò un discorso immenso, strappalacrime o altro.
solo, chiedo a chi non abbia letto Higher, di leggerla se vuola leggere Deeper.
in caso contrario non capireste nulla.
poi... primo capitolo ed è già una bomba.
bomba atomica con tanto di flashback.
e niente, vi chiedo cortesemente di farmi sapere che ne pensate, perchè ci tengo davvero tanto...
e perchè siamo alla seconda parte dell'esperimento sovrannaturale (detto tra noi, ancora non ci credo che stia funzionando, lol)
okay, sto divagando, quindi mi dileguo...
non so quanti spazi autrice scriverò, potrebbe anche essere il primo e ultimo di tutta Deeper, rido.
basta, vi lascio i contatti e sparisco...
un abbraccio,
- emotjon.



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Capitolo 2
*** 2. Falling to pieces. ***






 
 
Deeper - capitolo 2. // Falling to pieces.


 
 
Se ci stava attenta, Madeleine poteva riuscire a capire quante volte le ruote dell'autobus per Seattle girassero in un minuto. Era l'unico suono che riuscisse a distrarla, dato che nemmeno il paesaggio che scorreva loro intorno ci riusciva più.
Teneva gli occhi aperti, osservando il demone accanto a sé dormire con la guancia premuta contro il finestrino; i capelli scompigliati e gli occhiali da vista tutti storti sul naso; le labbra dischiuse, e il suono del suo respiro che inaspettatamente riusciva a calmarla, a farla respirare regolarmente e senza il peso di parole dette d'impulso a gravarle sullo stomaco e sul cuore.
Una mano del ragazzo era sulla gamba della castana, a stringere di tanto in tanto, come se volesse tenerla ferma, lì con sé anche mentre dormiva. Uno sbuffo dalle labbra del moro e la conseguente stretta sulla coscia di Madeleine, la fecero sussultare, prima di lasciarsi andare ad un sospiro, posando poi la testa contro la sua spalla e chiudendo gli occhi.
Mossa sbagliata, probabilmente.
Chiudere gli occhi significava ricominciare a pensare, perdere la concentrazione sulle ruote di quell'autobus che odorava di fumo o sul respiro di Zayn e lasciare che i pensieri corressero all'altra parte del proprio cuore, la parte che l'aveva trattata come un vecchio straccio da buttare ed era rimasta a Los Angeles.
Abbassare le palpebre significava rivedere il viso perfetto nelle proprie imperfezioni di Harry. Significava riportare alla memoria il verde giada delle sue iridi, o il color fragola delle sue labbra; o ancora, significava ricordare il suo sorriso o la sua voce roca o le sue fossette nelle quali avrebbe voluto infilare la punta delle dita, come si faceva coi sorrisi dei bambini.
Chiudere gli occhi era più doloroso che farsi trafiggere da mille e più aghi. Chiudere gli occhi era male, era l'ultima cosa che avrebbe voluto e dovuto fare. Ma la fece ugualmente, fregandosene di quel che ancora una volta avrebbe provato, di quel che di nuovo avrebbe sofferto se si fosse lasciata andare a quei pensieri, a quelli che riguardavano lui.
Erano su quell'autobus da un paio d'ore, eppure Madeleine non ne poteva più. Quindi, l'unica cosa da fare era proprio chiudere gli occhi e pensare, seppure non volesse. A palpebre abbassate, tutto iniziò a svanire, sostituito dal viso di Harry. I sedili in fondo al pullman - quelli su cui erano seduti - scomparvero, e al loro posto si fecero vedere un paio di occhi verdi che sembravano solo ridere di lei; l'odore di chiuso e di aria condizionata difettosa cedette il posto all'odore dello shampoo agli agrumi dell'angelo.
Fu un attimo, prima che rivedesse ancora la scena che la tormentava da giorni.
Un attimo, prima che le lacrime sfuggissero al suo controllo.
Un attimo, prima che si rendesse conto di crollare a pezzi, senza Harry.
E il dolore; quello era più forte di qualsiasi altra cosa riuscisse a sentire. La consapevolezza di non essere abbastanza, di non contare niente per gli occhi verdi che tanto amava, arrivò subito dopo, si aggiunse al dolore che già le gravava sul cuore. E quella parola che tanto le aveva fatto male tornò a galla come fosse passato solo qualche secondo, da quando lui gliel'aveva praticamente urlata addosso.
Puttana. Come Akielah.
Tornò a sentire il rumore degli pneumatici che correvano lungo l'autostrada solo quando riuscì a scrollarsi di mente l'immagine di Harry che rideva, magari di lei, magari di quello che si era immaginata avessero avuto insieme. Forse non c'era stato nulla, solo fantasie di un'adolescente troppo cresciuta e che ancora credeva nelle favole.
Tornò a percepire l'odore dei vecchi sedili di stoffa, quando si accorse che qualcuno teneva il proprio viso tra le mani, mormorando qualcosa, probabilmente il suo nome. «Madeleine». Con voce ferma e decisamente preoccupata, per quanto Zayn avesse già capito tutto, solo dalle lacrime che le scorrevano senza sosta lungo le guance.
Si accorse di singhiozzare quando il demone le posò due dita sulle labbra e le labbra sulla fronte, tenendola stretta e sussurrandole che in qualche modo sarebbe andata bene, che lui non l'avrebbe lasciata e che forse Harry non pensava davvero quel che le aveva detto; ma all'ultima parte non ci credeva nemmeno lui.
«Zayn...».
«Mh-mh...».
La ragazza prese un respiro profondo, prima di incastrare il viso nell'incavo del suo collo e sospirare. Lo sentì rabbrividire, ma posò comunque le labbra sulla sua clavicola e chiuse comunque gli occhi. «Ti amo», mormorò in un soffio, mentre abbassava le palpebre. Mentre si aspettava di rivedere il viso di Harry, però, sentì solo il sorriso di Zayn sfiorarle la pelle e non vide niente se non il buio, mentre a poco a poco scivolava in un sonno probabilmente senza sogni.
E mentre la castana crollava finalmente in un sonno che sperava portasse via tutto il male che stava passando in quel periodo, a Los Angeles c'era un angelo dagli occhi verdi in equilibrio precario sul ramo di un albero, che dava su una scogliera dalla quale se fosse caduto non si sarebbe fatto nulla, purtroppo - o per fortuna.
Quel promontorio non gli era mai sembrato tanto vuoto e tanto asettico. Come in un ospedale, sentiva solo uno strano odore di disinfettante. Come se l'erba ne fosse pregna, e le foglie degli alberi, e l'aria stessa. Disinfettato, tutto. Tanto da non fargli sentire nulla se non uno strano e acre odore... senso di colpa? Era la soluzione più probabile. La più scontata. Ma anche la più vera.
L'unico odore che riuscisse a sovrastarlo era quello del mare, che spumeggiava parecchi metri sotto di lui. Ma Harry il mare lo guardava e basta. Guardava l'orizzonte sperando che qualcosa cambiasse, sperando che il senso di colpa svanisse; o magari sperando di poter far tornare indietro il tempo e non dire quelle parole.
Sapeva di aver ferito Madeleine. Aveva toccato il tasto giusto, l'unico che avesse trovato per costringerla a restare con il demone. Sapeva perfettamente che dirle quelle parole l'avrebbe uccisa; sapeva che ne avrebbe portato il ricordo probabilmente per sempre. Lo sapeva, eppure aveva lo stesso aperto bocca e gli aveva dato fiato. Quasi senza pensare, la parola puttana gli era scivolata dalle labbra e aveva fatto centro, dritta nel cuore dell'unica ragazza che avesse mai amato davvero.
Chiuse gli occhi con un sospiro, rivedendo dietro le palpebre l'espressione distrutta di Madeleine, il modo in cui le era mancata l'aria. E il secondo successivo era crollata a terra sotto il peso di una sola parola, sotto il peso di quell'unica parola che l'angelo non avrebbe mai è poi mai voluto rivolgerle.
Al risollevare le palpebre si accorse di aver lasciato andare una lacrima, di averla lasciata scorrere lungo la guancia e fino al mento, dove con un respiro più forte degli altri era semplicemente caduta. Volata via, come se avesse le ali. Sparita nel nulla, quasi come se non fosse mai esistita, come se nessuno l'avesse mai pianta davvero.
«Harry...».
Si accorse che lo stavano chiamando, eppure restò immobile, senza trovare la forza di muovere un muscolo. Si accorse di una testa bionda che compariva nel suo campo visivo, di un paio di luminosi occhi celesti e delle ali bianche e con uno strano riflesso verdemare, che rendeva le sue iridi anche più incantevoli e fenomenali. Si rese conto di un peso che si aggiungeva al proprio su quel ramo, ma continuò semplicemente a guardare l'orizzonte e respirare piano.
Continuò a sopravvivere a stento, sognando un perdono che forse non sarebbe mai arrivato.
«Lei è al sicuro, lo sai».
La stessa voce, che stavolta non riuscì ad ignorare. Non ci sarebbe riuscito nemmeno se l'avesse voluto davvero. E in fondo Niall non era il tipo di persona che si sarebbe lasciato ignorare senza reagire. Avrebbe insistito fino a ricevere una risposta, l'avrebbe punzecchiato fino a farsi odiare, se fosse stato necessario.
«Lei mi odia», ribatté il riccio, ancora senza degnarlo di uno sguardo.
«Ma ti senti quando parli, Har?». Il ragazzo dai capelli biondi gli avrebbe volentieri tirato un pugno, in situazioni come quella. Il riccio aveva la pessima abitudine di fissarsi sulle cose, l'altra pessima abitudine di prendersi la colpa per qualsiasi cosa succedesse e la peggio abitudine di tutte, non pensare mai a sé stesso. «Lei non può odiarti», aggiunse Niall addolcendo il tono di voce, spingendo quindi l'altro a guardarlo.
Scosse la testa con un sorriso stanco. Insomma, anche se l'amico stesse cercando di farlo sentire meglio, non stava esattamente riuscendo nel proprio intento. Tornò a guardare l'orizzonte passandosi una mano tra i capelli, mentre l'altro angelo sbuffava e gli dava uno scappellotto dietro la nuca, prima di lanciarsi nel vuoto e prendere il volo.
Lei non può odiarti.
Ovvio che potesse.
Non c'era nessunissima legge suprema che le impedisse di farlo. Nessuna clausola infinitesimale della sua vita ripetuta all'infinito, che le impedisse di maturare sentimenti diversi dall'amore nei confronti di qualcuno. Non c'era nulla che potesse impedirle di odiare. Nulla, assolutamente.
E dopo quel che le aveva detto, l'angelo sentiva di meritarselo, tutto quell'odio.
«Harry... lei si è innamorata di te, vita dopo vita. Si è innamorata di te come persona, non come angelo. Si è innamorata di ogni tuo respiro, di ogni parola tu le abbia detto...». Niall gli stava davanti, a mezz'aria, cercando di attirare la sua attenzione, cercando di catturare il suo sguardo di smeraldo nel proprio del colore degli zaffiri colpiti dai raggi del sole.
Ma il riccio semplicemente non ce la faceva. Non riusciva a sentir parlare di lei, del loro passato. Non riusciva a sentirsi dire che lei si fosse innamorata di tutto, di lui, delle parole... lui l'aveva chiamata puttana. Lei non avrebbe più potuto amarlo.
«L'ho paragonata a lei, Niall...».
E non c'era bisogno di dire a chi si riferisse. Non c'era bisogno di rivangare quel che avevano passato centinaia di anni prima. Non c'era nemmeno bisogno di portare a galla tutto quel che aveva passato per amare Madeleine e cercare in secoli e secoli di non farle del male.
Tutto quel trattenersi di fronte a lei, o cercare di non ucciderla con qualche parola sbagliata, era stato vano. Ogni ti amo che le aveva detto lo era stato, ogni promessa che le aveva fatto lo era stato. Tutto, il loro tutto, il loro essere innamorati di vita in vita... non serviva più a niente.
«Sono il primo a pensare che tu abbia esagerato, Harry...».
Era come se Niall gli stesse dicendo che aveva ragione, con quelle poche parole. Che lei non l'avrebbe più amato o voluto, perché lui aveva esagerato. Era come se si stesse mangiando le proprie parole di conforto e gli stesse facendo male, tanto male. Come se volesse prenderlo a pugni fino a farlo svenire, o peggio.
«La volevo al sicuro...», provò a difendersi l'angelo, a voce bassissima. Un alito di vento, la sua voce. Insicuro come non mai. Pentito oltre l'inverosimile. E non ne poteva più di sentirsi in colpa, perché in fondo non si era pentito di aver lasciato Madeleine con Zayn; in qualche modo si fidava di lui, merito forse del loro rapporto in un passato piuttosto lontano. Ma il senso di colpa continuava ad esserci, su tutti i fronti.
L'unico modo per farlo tacere era la rabbia.
Arrabbiarsi tanto da non sentire altro che la propria ira.
«Ed è al sicuro... è quello che sto cercando di dirti... ora come ora lei è più al sicuro con Zayn di quanto non lo sia con te, per quanto ti faccia male sentirtelo dire». Il biondo fece una pausa, sentendo un sospiro frustrato uscire dalle labbra del riccio. Guardarlo negli occhi faceva male, era diverso dal solito. I suoi occhi erano scuri, pieni di rabbia repressa, rabbia contro sé stesso. E Niall non sapeva come gestirla, non ne aveva idea. «Sei arrabbiato, e lo capisco... ma non avercela con te stesso, è orribile vederti così Harry...», aggiunse tornando a sederglisi accanto e posandogli una mano sulla spalla, come a cercare di farlo stare un po' meglio.
Ennesimo sospiro dalle labbra del riccio, prima che riuscisse finalmente ad alzare lo sguardo dall'orizzonte per incontrare gli occhi azzurri e determinati del biondo. L'avrebbe consolato finché non ci fosse riuscito davvero; avrebbe cercato di tirarlo su di morale fino a fargli spuntare anche solo un mezzo sorriso sulle labbra.
Perché gli voleva bene come ad un fratello.
«Se mi sbagliassi e lei non fosse al sicuro?».
«Odio ammetterlo, ma Zayn non le farebbe mai del male...».
«Ed è proprio questo che mi preoccupa», ribatté il riccio, con gli occhi verdi che riflettevano l'ultimo luccichio del sole che si tuffa nel mare. Ma finse comunque un sorriso di rassicurazione, e Niall poté sentirsi bene, sapendo di averlo aiutato. A Harry non piaceva mentire, ma del resto Niall non riconosceva le bugie.
Prima o poi se ne sarebbe accorto.
La rabbia non passava. Veniva solo nascosta.
E il dolore era un po' come la rabbia, per alcuni. Il dolore poteva essere nascosto, celato da una cortina di fumo e annebbiato dalle sensazioni che quello stesso fumo dava. Il dolore spariva, quando Cherubiel posava le labbra rosa sul filtro di una delle sigarette che le procurava Skylar. Si faceva piccolo piccolo, quando lei chiudeva gli occhi e si abbandonava a quella momentanea sensazione di benessere che ormai riusciva a trovare solo nell'erba del diavolo.
Il demone dalla pelle scura le stava dicendo di andarci piano, mentre tirava fuori dalla tasca dei jeans un paio di quelle sigarette. La bionda sbuffò pesantemente, facendo ridere il ragazzo, che le posò un bacio affettuoso su una tempia, prima di andarsene e lasciarla su quella panchina del lungomare a guardare il sole spegnersi a poco a poco, mentre accendeva la sigaretta e prendeva un tiro, non accorgendosi di essere osservata.
Un ragazzo castano la guardava da qualche metro di distanza, con la mascella contratta, mentre la nuvola di fumo bianco si fondeva col cielo che da azzurro iniziava a tendere al blu della notte, con qualche incredibile sfumatura di rosa, che rendeva le nuvole belle come quelle di un vecchio dipinto ad olio.
Arrabbiato. Nervoso.
Liam non ne poteva più di quella situazione. Non parlava con l'angelo biondo da quando lei si era quasi fatta uccidere per salvare Remember. L'aveva guardata baciare l'altra ragazza senza poter far niente, tenendosi dentro un dolore che non riusciva a far sbollire, non riuscendo ad urlare, a prendersela con la mora, o con la stessa bionda. Non riusciva a parlarle, né a guardarla, né a fare niente di sensato.
Solo, quella situazione lo stava uccidendo.
Vederla autodistruggersi, lo uccideva.
Vederla arrendersi senza reagire, lo uccideva.
Chiudendo gli occhi poteva vedere la stessa ragazza biondissima e con le labbra rosa. Poteva vederla correre per il giardino dell'Eden con un velo di seta rosa a coprire l'essenziale, e le enormi ali bianche lasciate libere. La sua aura era incredibilmente bianca, e era come se il ragazzo non potesse smettere di guardarla. Rideva, correva, si sollevava da terra con un battito d'ali. E le altre creature impallidivano, al vederla. Lui stesso, diventava piccolo piccolo, in confronto a lei.
Chiudendo gli occhi, vedeva la ragazza di cui si era innamorato. A poco a poco, poi tutto in una volta, Cherubiel era diventata la sua anima gemella. Era la donna della sua vita. Era la sua migliore amica. Era quella che quando sorrideva illuminava il mondo - soprattutto il suo. Era quella che faceva di tutto per non sembrare umana. Ed era una ragazza dal potere immenso, che forse nemmeno lei avrebbe mai capito fino in fondo.
Chiudendo gli occhi, vedeva la Cherubiel che amava e che gli mancava.
Aprendoli, vi era solo un mero riflesso consumato, di quella ragazza.
Aprendoli, vedeva una lotta interiore da far paura a chiunque. Vedeva un paio di occhi azzurri spenti, privi del luccichio che lui aveva sempre trovato irresistibile. Vedeva le labbra prese a morsi dal dolore che sentiva, e i graffi datisi sulle braccia, tanto a fondo da lasciare il segno.
Aprendoli, vedeva il fantasma di Remember aleggiare su di lei come un avvoltoio su una qualsiasi carcassa, in un qualunque deserto. Vedeva quelle dannate sigarette che in quel periodo sembravano non volerla più lasciare. O forse era lei a non volerlo fare, perché in fondo dimenticare per un momento era sempre meglio che soffrire per sempre.
Solo, quella situazione lo stava uccidendo.
«Liam...». Gli occhi celesti di Cherubiel lo stavano guardando - da quanto? - e lui nemmeno se n'era reso conto. Le sue labbra avevano pronunciato il suo nome, con la voce distrutta e le lacrime a far capolino all'angolo degli occhi. «Che ci fai qui?». Che ci faceva lì? Avrebbe urlato, l'avrebbe scossa, avrebbero discusso... l'avrebbe lasciata?
«Guardo la donna che amo, mentre annaspa a fatica per non affogare», le disse, avvicinandosi fino ad essere ad un metro scarso da lei. In piedi, a torreggiare su di lei senza smettere di guardarla negli occhi. La amava, era vero. L'avrebbe amata sempre, qualsiasi cosa fosse successa. E lei annaspava, era vero; non meno vero del fatto che lui odiasse vederla così.
«Come puoi amarmi...?».
«Come puoi credere il contrario? Cazzo, Cher...».
Aveva alzato la voce e stretto i pugni, senza riuscire a contenersi. Aveva serrato la mascella, per poi prendere un respiro profondo, con gli occhi chiusi, mentre lei rabbrividiva. Liam non si arrabbiava mai; non tanto da dover prendere un respiro profondo per cercare di calmarsi; non con lei.
E la ragazza non riusciva a vederlo in quello stato. Non riusciva a vivere quella situazione; tutto quell'evitarsi e non parlarsi era insopportabile; tutto quel non riuscire a guardarlo per paura che lui riuscisse a vedere che non amava solo lui... le scappò un singhiozzo, mentre il pensiero di Remember tornava a galla, portato dagli occhi castani e profondi di Liam.
Si rannicchiò su quella panchina meglio che poté, provando a fermare l'uragano di dolore che le stava montando dentro e che sarebbe presto sfociato in lacrime. Gli occhi chiusi e le ciglia bionde e umide a sfiorarle gli zigomi. Fu in quell'istante che Cherubiel si accorse di star crollando a pezzi.
Un secondo singhiozzo le uscì dalle labbra rosa, singhiozzo che fece riaprire gli occhi scuri dell'angelo che le stava ancora a quel metro scarso, provando a capire come avrebbe dovuto comportarsi per non rovinare tutto. La guardò, così debole e con gli occhi gonfi di lacrime... e le si sedette di fianco, posandole una mano su un ginocchio e stringendo appena.
La ragazza si mosse verso di lui senza nemmeno accorgersene. Posò di nuovo i piedi a terra e si spostò lungo la panchina, fino a che non sentì che il ragazzo stava spostando il braccio per circondarla. Era una muta richiesta, la sua. Richiesta che la bionda non si fece ripetere due volte, mentre gli circondava il busto con le braccia e lasciava che lui la abbracciasse, con le labbra posate sui suoi capelli.
«Ti ha distrutta, piccola...».
«Non voglio più stare così per qualcuno, Liam».
Non voleva più stare così, per nessuno. Non voleva ridursi a fumare per evadere, e evadere per non ricordare, e non ricordare per non star male. Non voleva allontanare Liam, perché era l'unico che l'avesse sempre trattata come una principessa. Non voleva perderlo, o semplicemente non poteva permettersi di farlo.
E con le labbra contro i suoi capelli biondi, a Liam sembrò di rivedere l'angelo che correva ridendo per i giardini del Paradiso. Gli sembrò di rivedere il luccichio innocente ma malizioso nei suoi occhi. Gli sembrò di innamorarsi di nuovo, come se l'avesse appena vista per la prima volta.
«Io non ho mai voluto farti male, Cherubiel...».
L'angelo annuì e basta, stringendo la presa sul ragazzo e inspirando profondamente la sua pelle, per carpirne quel profumo che in quei giorni le era tanto mancato. Odiava ammetterlo, ma l'odore di Liam spazzava via qualsiasi altra cosa. Qualsiasi, Remember compresa. Spazzava via immagini di capelli neri e occhi azzurri, di iridi maliziose e sorrisi tristi e innamorati. Rimpiazzava un amore che non sapeva se accettare con un amore che del resto aveva accettato sempre, sin dall'inizio.
«Lo so, Liam... lo so...», erano le poche parole che era riuscita a pronunciare, con le palpebre abbassate, una lacrima che le scorreva placida su una guancia, e il sorriso più vero di sempre a far capolino sulle sue labbra del colore della gomma da masticare.
Un gran bel sorriso, che per un attimo permise a Liam di tornare a sperare.
Un gran bel sorriso, che spazzò via le nuvole dal sue stesso sguardo, facendo tornare il sereno in quegli occhi color del cielo.



 


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Capitolo 3
*** 3. Miss them. ***


*okay, è strano che io stia aggiornando tanto presto, lo ammetto.
me ne rendo perfettamente conto. è moooolto strano.
ma, ehi, avevo il capitolo pronto, e viste le 15 recensioni in due capitoli, mi sembrava giusto darvi anche il terzo.
intanto grazie (GRAZIE) per le recensioni.
e per le preferite, che awww.
grazie, per i complimenti che mi fate. e sono stra contenta che la storia continui a piacervi.
-significa che l'esperimento "Higher" continua a riuscire-
e niente... che altro dire?
questo che state per leggere è una specie di capitolo di passaggio.
mi serviva per arrivare al quarto, che non vi spoilero perchè se no mi ammazzate direttamente.
ah, altra cosa, poi vi lascio leggere.
non so se riesco a mettere il prossimo prima di andare a Londra.
non ne ho proprio idea, quindi non vi preoccupate se per un po' non mi sentite.
è tutta normale amministrazione.
okay, basta. vi lascio leggere... alla prossima :)
- emotjon.








Deeper - capitolo 3. // Miss them.



 
 
Per quanto facesse caldo e ci fosse il sole, la città di Seattle era – agli occhi di Madeleine – come ricoperta da una coltre di grigiore che non riusciva a spiegarsi. Forse era la tristezza che provava, o forse la mano stretta in quella di un demone. Forse però non era proprio tutta apparenza. Forse era davvero tutto così grigio e incolore come le sembrava che fosse.
Grigie le strade. I marciapiedi. I grattacieli. Grigie le persone. Grigi i vestiti. Grigie le parole che sembravano prendere forma dalle labbra di persone che nemmeno sembravano vederla.
Le mancavano terribilmente, i colori.
Le mancava l'azzurro degli occhi di Cherubiel, o di Louis. Le mancava il biondo accecante dei capelli di Niall. E le mancava il colore della pelle di Skylar, o il luccichio brillante negli occhi scuri di Celestine.
Le mancava il verde, più di tutti.
Il verde degli occhi di Harry; le mancava quel colore strano che la spiazzava sempre. Quel verde che solo verde non era, quel verde che era anche grigio, e argento, o azzurro, a volte. Le mancava Harry più dell'aria grigia che stava respirando per sopravvivere.
Come fosse invisibile, Madeleine camminava per le grigie stazioni della metropolitana chiedendosi dove Zayn la stesse portando, ma senza il coraggio necessario per chiederlo davvero.
Seduta in uno dei vagoni del treno che li avrebbe allontanati dalla stazione degli autobus, la ragazza si voltò verso il demone sedutole rigidamente accanto, posando poi la testa contro il vetro e sollevando un piede sul sedile, rannicchiando il ginocchio contro il resto del corpo.
Lo guardò in silenzio, Madeleine. Mentre le stazioni scorrevano una dopo l’altra, lei si incantò a guardare lui, lasciando che ogni altro possibile pensiero svanisse, abbagliato dalla presenza del demone. Lo guardò, osservando la mascella contratta o la lingua che ogni tanto scivolava a bagnare le labbra. Osservò la mano sfiorare la barba sfatta di qualche giorno, e i muscoli tesi delle braccia lasciate scoperte dalla canottiera. Mise a fuoco i tatuaggi e la pelle color cappuccino lasciata ancora in bianco, pronta ad accogliere altri millilitri di inchiostro, altri segni, altra vita.
Lo vide accennare un sorriso, mentre dopo minuti che le parvero interminabili si decideva a voltarsi verso di lei, con gli occhi scuri leggermente velati dalla tristezza e dalla preoccupazione. Per quanto serrasse la mascella e cercasse di nascondere tutto tenendo gli occhi chiusi, era innegabile che Zayn fosse nervoso per qualcosa.
Ma mentre sembrava che volesse chiarire con la castana, magari dirle quel che lo turbava, il moro ridacchiò, guardandola negli occhi. Le fece perdere un battito, ma la ragazza non ci fece nemmeno caso. La sua attenzione era tutta concentrata sul suono di quella mezza risata, che ogni volta che lo ascoltava la mandava su un altro pianeta, dove quello era l’unico suono che avrebbe ascoltato, all’infinito.
«Che c’è?». Ancora con quel mezzo sorriso sulle labbra, Zayn si avvicinò al ginocchio della ragazza, per poi posarci il fantasma di un bacio, mentre le sue dita le sfioravano la pelle, dalla caviglia a salire. Un brivido le attraversò la schiena, accarezzando ogni vertebra e perdendosi a poco a poco lungo la sua pelle, costringendola a chiudere gli occhi e a sospirare.
Come in una bolla di sapone, il resto non esisteva. Era come scomparso.
Esistevano solo le labbra di Zayn ferme sul suo ginocchio, e le sue dita che piano si facevano strada lungo la sua gamba, fino a fermarsi incontrando la barriera dei suoi vecchi e logori pantaloncini di jeans. Il pollice fatto scivolare oltre, sotto la stoffa, sulla pelle. E un sospiro leggerissimo, con le palpebre ancora abbassate, mentre di rimando quelle del ragazzo si sollevavano a guardarla.
Bellissima, con le labbra schiuse e umide.
Bellissima, con le unghie a stringere la plastica del sedile.
«Meno male che siamo da soli, piccola», ridacchiò il demone, con le labbra ancora contro il suo ginocchio, con la barba che ancora le faceva il solletico e il respiro a scontrarsi con la sua pelle, facendola rabbrividire. E aveva ragione, a parte due ragazzine dall’altra parte del vagone, erano solo loro; e quel sospiro era solo loro, solo per lui.
«Meno male, sì…», borbottò lei di rimando alzando gli occhi al cielo.
Lo fece ridere, mentre le abbassava la gamba dal sedile, prima di avvicinarsi a lei e lasciarle un bacio sulla tempia, scompigliandole i capelli castani già in disordine dal viaggio in autobus. Ma quella risata era una specie di miracolo, era come se Madeleine avesse fatto scomparire tutto il nervosismo che aveva impresso addosso fino a qualche minuto prima.
«Mi stavi fissando, prima…».
«Cercavo il coraggio di chiederti dove stiamo andando», ammise la ragazza, prendendo una mano del demone e facendone intrecciare le dita con le proprie. Ma lui non le rispose. Non tanto per farle una sorpresa; al contrario, non era né il tempo né il luogo adatto per le sorprese. Non le rispose, Zayn, troppo impegnato a respirarla, prima di allontanarsi e recuperare lo zaino con le poche cose che si portavano dietro da Los Angeles e alzarsi in piedi, tendendole una mano per aiutarla ad alzarsi. «Mi piaci quando evadi le mie domande, sai?», mormorò la castana, non trattenendo l’accenno di una risata, in punta di piedi e con le labbra praticamente contro l’orecchio di lui.
Per tutta risposta lui le cinse la vita con un braccio solo, sollevandola da terra di qualche centimetro e facendola scoppiare a ridere. Sollevata come pesasse solo qualche grammo, quasi più leggera delle piume di cui erano formate le sue ali nere. «Tu mi piaci sempre», mormorò contro le sue labbra, un attimo prima che le porte del vagone si aprissero su una stazione grigia del centro di Seattle.
E Madeleine non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo, a quell'affermazione.
Ma lasciò correre, concentrandosi sul braccio del moro intorno alle spalle, o sul suo odore che permeava l'aria tutto intorno a lei. Concentrandosi sul grigiore della città, che nonostante tutto non era tanto male, una volta abituatasi. Si lasciò condurre per il centro di Seattle senza dire una parola, perché in fondo non c'era bisogno di dire nulla. Lasciò che Zayn la trascinasse da un posto all'altro in silenzio, con solo i loro respiri a fare da colonna sonora a tutto.
Le aveva detto di essere pronta a correre, se ce ne fosse stato bisogno. E le aveva detto di non urlare qualsiasi cosa avesse visto. Le aveva chiesto di fidarsi, e lei lo stava facendo, ma non riuscì a trattenersi dall'inarcare un sopracciglio, al vedere quello che aveva tutta l'aria di essere l'ingresso ad un vecchio parcheggio sotterraneo.
Grigio. Abbandonato.
«Tutto il palazzo appartiene ai demoni», le spiegò il ragazzo, mentre senza la minima fatica apriva le porte di uno scalcinato ascensore. Vecchio, grigio, con lo specchio crepato e i pulsanti dei piani nei quali i numeri si distinguevano a malapena. «È come invisibile, a meno che qualcuno non sappia dove cercare», aggiunse a voce bassa, spiegando le ali nello spazio angusto e sfiorando le pareti con le punte di esse. Buio. Tanto da far tremare le ginocchia, prima che l'ascensore partisse con un gemito, facendo sorridere il demone e irrigidire la ragazza che ancora lo teneva per mano. «Ci abbiamo vissuto per anni... ma credo che non ci torni nessuno da parecchio, a giudicare da questo...».
Indicò lo schermo crepato. Era come se qualcuno gli avesse tirato un pugno.
E non era rassicurante, per niente.
«Chi...?». Chi l'ha rotto? Avrebbe voluto chiederlo, Madeleine, ma ancora una volta non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. Si limitò a lasciare la frase in sospeso e guardare in basso, mentre le vecchie porte arrugginite dell'ascensore si aprivano sul parcheggio vero e proprio. Un locale ampio, immenso, terribilmente grigio e buio. Che odorava di chiuso, di muffa.
Ma una volta accese le luci, non era male come sembrava.
«È stato Storm», disse Zayn ridacchiando. Guardando Madeleine con la coda dell'occhio, si accorse di averla sorpresa ancora una volta, perché quella era di certo l'ultima risposta che si sarebbe aspettata. Aveva pensato a Skylar, o allo stesso demone che ancora le teneva la mano, mentre svoltavano l'angolo e si fermavano di fronte ad una stanza che aveva tutta l'aria di essere una palestra, proprio come quella di Los Angeles. «Litigava con Soraya, e uscendo... credo se la sia presa con lo specchio...».
Ma Madeleine era più concentrata su quel posto tanto vecchio e strano, che sulle sue parole. Ai suoi occhi era come trovarsi nella tana del lupo, nella caverna segreta di qualche supereroe o... a casa dei cattivi. Ma non era esattamente la stessa sensazione; in un certo senso e in misura minore era anche come essere a casa.
«Zayn...».
Il moro stava togliendo dei teli dai pochi mobili presenti nella stanza oltre la palestra, quando quel debole sussurro gli arrivò alle orecchie. Leggero come le piume di qualsiasi angelo; stanco, ma come di chi sta sorridendo. E voltandosi la vide davvero sorridere, con una mano incastrata tra i capelli e gli occhi che nella penombra le brillavano.
Il demone non disse nulla. Si limitò a guardarla con l'ombra di un sorriso e un sopracciglio leggermente inarcato. La vide mordersi un labbro e prendere un respiro più profondo degli altri; osservò i suoi occhi color nocciola inumidirsi, e le ciglia prendere a battere come per impedire alle lacrime di scendere.
«Grazie... di tutto, in sostanza. Grazie di non avermi fatta cadere, grazie di avermi salvata da me stessa...». Zayn si avvicinava di poco ad ogni sua parola, ogni secondo che passava, ogni lacrima che premeva per scivolare via. Zayn la guardava negli occhi, mentre lei del resto cercava il più possibile di distogliere lo sguardo. «Grazie per amarmi così...», mormorò in un soffio, a pochi centimetri da lui. Così tanto, così intensamente. Così è basta.
Bastò che lo sguardo di lei scivolasse qualche secondo in più del dovuto in quello di lui, perché le lacrime avessero il sopravvento. Gocce di acqua e sale, mentre si sforzava di sorridere e veniva accolta in quell'abbraccio che aveva aspettato tutto il giorno.
Sembrava quasi che Madeleine volesse scusarsi per non amarlo quanto la amava lui. Sembrava come se pensasse di non amarlo, non abbastanza. Perché in fondo lei non aveva portato altro che guai nella sua vita, mentre lui non faceva altro se non amarla e salvarla, da sempre. Era un peso, Madeleine. O almeno, iniziava a credere di esserlo.
«Ti va se usciamo?».
Il mento ancora sui capelli della ragazza e il suo orecchio sul proprio petto, Zayn non avrebbe saputo che altro dire o che altro fare. L'avrebbe stretta fino a farle dimenticare ogni possibile pensiero negativo, o l'avrebbe baciata fino a farle scordare dove si trovasse. Avrebbe potuto dirle che sarebbe andata bene in qualsiasi caso, ma non ci credeva. Non credeva che sarebbe andata bene, perché Harry aveva decisamente scavato una voragine nel petto di Madeleine; forse senza volerlo o senza accorgersene, ma l'aveva fatto.
E Zayn era convinto con ogni particella di sé stesso che lei non sarebbe riuscita a perdonarlo tanto facilmente. Era convinto che tutta quella situazione le pesasse come un macigno, anche se cercava di non farsi veder piangere, o di non crollare come un castello di carte con una folata di vento troppo forte.
Le serviva qualcosa che la svagasse.
«E dove andiamo?».
«Alle ragazze piace lo shopping, giusto?», mormorò, non prima di essersi allontanato quanto bastava per guardarla negli occhi e vederla sorridere appena. La castana annuì, tirando su col naso e lasciandosi poi andare ad una mezza risata. Gli lasciò un bacio sulle labbra, facendo ridere anche lui. «Grazie a te, principessa».
E quella volta fu lei a non riuscire a rispondere. Si limitò a guardando con l'ombra di un sorriso sulle labbra e un sopracciglio inarcato, mentre le sue mani continuavano a stringere per l'abbraccio di appena qualche secondo prima.
«Per esserti fidata di me».
 
***
 
Zayn era il tipo di persona che si adattava, pur di far felici le persone che amava. Aveva imparato ad essere il tipo di ragazzo pronto a seguire una ragazza di negozio in negozio portando per lei i sacchetti; o quel ragazzo che aspettava pazientemente fuori dal camerino, evitando di lanciare occhiate penose verso l'uscita e evitando di pregare la ragazza di sbrigarsi.
Madeleine era il tipo di persona che detestava pesare sugli altri. Del resto, era sempre stata il tipo di ragazza che adorava fare shopping. Almeno in quella vita, la rilassava. Sembrava in grado di spazzare via le preoccupazioni, i problemi. Durava poco, quel benessere; una volta finita la giornata i pensieri tornavano a galla.
Ma era sempre meglio di niente.
Per il demone era sempre meglio sentirla ridere per quell'orrendo paio di occhiali da sole, che non sentirla ridere affatto. Meglio vederla coprirsi il viso mentre arrossiva dal troppo ridere, che niente. Meglio quel poco che era riuscito ad ottenere facendola uscire, piuttosto che vederla piangere per un angelo che le aveva rovinato il cuore, calpestandolo come fosse spazzatura.
«È troppo corto», si lamentò la castana aprendo di poco la tenda del camerino, quanto bastava per far uscire la testa e guardare il demone. Lui ridacchiò, prima di alzarsi dalla poltroncina su cui era seduto per avvicinarsi e cercare di sbirciare all'interno, ma Madeleine gli posò una mano sul petto, per allontanarlo. «Ora mi cambio...», aggiunse, cercando disperatamente di non farsi vedere.
Si sentiva nuda, con quel vestito nero addosso.
Si sentiva nuda, davanti a quello sguardo scuro e leggermente divertito.
«Se mi fai vedere come ti sta rispondo ad una domanda, una qualsiasi», la provocò, avvicinandosi di qualche millimetro per sfiorarle le labbra con le proprie. Sorrise, vedendola abbassare le palpebre e provare a baciarlo davvero, senza distanza alcuna. «Qualsiasi cosa», ripeté, tirando di poco la tenda e facendola sbuffare, prima che la curiosità avesse la meglio e lei annuisse.
Scostata la tenda, Zayn non riuscì a far altro se non rimanere a bocca aperta. Madeleine aveva legato i capelli in una coda alta che le faceva risaltare il collo e le braccia lasciate scoperte. Al collo, il ciondolo col segno dell'infinito arrivava perfettamente all'incavo tra i seni. E il vestito... era semplice, nero e con scollatura a cuore. Le scendeva lungo in corpo come se le fosse stato cucito addosso; l'orlo le arrivava a metà coscia, lasciando il resto delle gambe scoperte, che sembravano anche più lunghe grazie alle scarpe che indossava. Il moro non se ne accorse subito, ma rise appena, quando scendendo con lo sguardo vide le décolleté di vernice rossa; tacco a spillo, vertiginoso.
E «Wow, Madeleine...».
Furono le uniche due parole che riuscì a pronunciare, guardandola fare un giro su sé stessa per mostrare il retro del vestito. Una cerniera dorata che finiva dove iniziava la curva morbida del suo sedere. Nient'altro che non fosse Madeleine, dentro quel vestito; nient'altro che non potesse classificarsi come sensualità, in quel camerino. La donna più bella di tutte, al suo cospetto; e una luce negli occhi - quando tornò a guardarlo - che non le aveva mai visto prima.
«Non è troppo corto?», scherzò mordendosi un labbro.
Mi manderà al manicomio, fu il pensiero che saettò per qualche istante nella mente del demone. Quel labbro stretto tra i denti, e la luce nei suoi occhi, e quel vestito così stretto da far fatica a toglierlo... Zayn fu costretto a chiudere gli occhi e a prendere un respiro fondo per impedirsi di impazzire.
«Se ti dicessi che non vedo l'ora di togliertelo?», le disse piano, con la voce resa più roca dal desiderio di prenderla per i fianchi, strapparla quel vestito di dosso e farle di tutto, farla propria fino a sentire la sua pelle bruciare contro la propria, fino ad avere solo i respiri affannati della ragazza nelle orecchie.
«Magari lo compro allora...», ribatté lei con un mezzo sorriso. Poi però il sorriso svanì com'era arrivato, mentre faceva sedere Zayn sulla poltroncina fuori dai camerini e gli si sedeva sulle ginocchia, senza smettere di guardarlo. Lo vide serrare un poco la mascella, mentre gli passava una mano tra i capelli e si sforzava per trovare la forza di fare quella domanda che la tormentava da parecchio, a quel punto. «Vi siete sempre odiati, tu ed Harry?».
Le tremò la voce, al pronunciare il nome dell'angelo.
Ma cercò comunque di non dare a vedere quanto ci stesse male, aspettando che il demone le rispondesse. Il moro prese un respiro profondo posando la testa allo schienale, prima di rincontrare lo sguardo della ragazza. Sembrava come preoccupata della risposta, come se allo stesso tempo però non vedesse l'ora di sentirla.
«Hai mai immaginato il Paradiso?». La castana annuì, contenta che lui le stesse rispondendo, o anche perché forse li aveva immaginati tutti in un possibile mondo perfetto, da quando aveva scoperto di avere a che fare con angeli e demoni. Aveva immaginato prati verdi e cieli azzurri, angeli che ridevano... «Eravamo come fratelli», mormorò, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli scuri.
E, come fratelli, ridevano e scherzavano. Passavano pomeriggi interi a parlare. Erano uniti come nessun altro, o quasi. Sapevano cose l'uno dell'altro che avrebbero dovuto o potuto tenere segrete, ma si erano confidati, perché sentivano che fosse giusto farlo.
«Poi siete caduti».
Zayn annuì appena, con un sospiro. «Ho perso la mano di Kismet dopo una manciata di secondi... quella di Harry... mi ha lasciato andare quando si è reso conto che io non ero più un angelo...». Parlare della caduta non era proprio la massima aspirazione per un demone; oltretutto, un demone che non riusciva a darsi pace per quel che era successo. Un angelo - che credeva un fratello - l'aveva lasciato al proprio destino solo perché aveva scelto di stare dall'altra parte, di essere il contrario di quel che era sempre stato.
«Ti ha abbandonato?». Madeleine era sorpresa, a dir poco.
Il demone annuì ancora, anche se più debolmente. «Ci siamo ignorati ed evitati per secoli, fino ad Akielah... poi sei arrivata tu, e l'abbiamo messa in competizione», mormorò ancora con un sorriso amaro. Distolse lo sguardo dalla ragazza per concentrarsi sul soffitto e regolarizzare il respiro, mentre i pensieri nella mente di lei oscuravano ogni possibile sorriso e ogni smorfia che avrebbe potuto tirare fuori. Continuava a pensare che fosse colpa sua. Continuava a credere che Harry e Zayn si odiassero per lei. «Se io non mi fossi trovato tra i maori...».
La ragazza scosse la testa, combattendo contro le lacrime.
«È colpa mia, Zayn».
Furono le sue uniche parole, prima che si alzasse dalle sue ginocchia per tornare al camerino e indossare di nuovo i vecchi vestiti. Lo lasciò lì a cercare di capire cosa intendesse, senza riuscire a farlo. Lo lasciò lì mentre le lacrime le invadevano le guance senza che potesse fermarle; lo lasciò a guardarla scappare via da lui.
Non era colpa sua. Madeleine non c'entrava nulla, per quanto potesse ostinarsi a convincersi del contrario. E mentre Zayn prendeva un respiro profondo e si alzava da quella poltrona scolorita, si rese conto per la prima volta di chi fosse realmente la colpa. Di Akielah, ma lui non sarebbe riuscito a dire niente per convincerla. Sbuffò, passandosi stancamente una mano tra i capelli prima di tirare fuori il telefono dalla tasca e fare un numero a memoria.
«Zayn... tutto bene?».
La voce di Skylar nelle orecchie gli parve per un momento come una ventata di aria fresca, come se effettivamente riuscisse a fargli passare di mente tutto quel a cui suo malgrado stava pensando.
«Credo di aver bisogno dei rinforzi...», ammise con un sospiro mentre la ragazza dai capelli castani usciva dal camerino. Di nuovo coi capelli sciolti e i vestiti con cui erano arrivati da San Francisco; l'unica differenza erano gli occhi gonfi dalle lacrime che non era riuscita a trattenere del tutto. «Ha bisogno di qualcuno con cui sfogarsi... e di qualcuno che la protegga se io dovessi voler fare una chiacchierata con Harry, capisci?».
Madeleine non lo sentì neppure, mentre lo superava per dirigersi alla cassa. Nemmeno lo guardò, con le mani strette sul vestito nero per impedirsi di tremare. Mise da parte altre lacrime, sentendolo sospirare, ma non riuscì a dire né a fare nulla per impedirsi di scappare da lui.
«Dammi un paio di giorni, Zayn...».
E il moro annuì semplicemente, incurante del fatto che l'altro demone non potesse vederlo. Annuì e basta, prima di raggiungere la ragazza e stamparle un bacio sulle labbra davanti alle commesse, che dal canto loro non poterono far altro se non sorridere.



 


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Capitolo 4
*** 4. Love me, I love you. ***




 
ad Anita, perchè le voglio bene.
perchè sclera che è una meraviglia per gli occhi.
e perchè si merita un capitolo in regalo, perchè shippa Mayn anche più di me.


 
Deeper // Capitolo 4 - Love me, I love you.
 


Il demone dalla pelle color cioccolato stava cercando una scusa da più di mezz'ora, una scusa che gli permettesse di filarsela da Los Angeles senza insospettire gli angeli, e una scusa per portare con sé l'unica ragazza che di stare nella città degli angeli proprio non ne poteva più.
Sbuffò, infilando a forza in una borsa di tela nera qualche maglietta e un paio di jeans. Sulla scusa per filarsela in fondo non c'era chissà quale problema da risolvere. Ma, come convincere la ragazza dai capelli neri e gli occhi celesti che se ne stava seduta a terra da almeno due giorni, sentendo la ferita rimarginarsi? Si concentrava sul dolore della pelle che si tirava per non pensare ad altro; al modo in cui l'avevano ferita, ad esempio.
Poi, Skylar ebbe un'idea. Per una volta poteva semplicemente essere sincero.
Di sicuro non gli avrebbe fatto male.
Gettato il piccolo zaino in fondo al materasso e infilata una canottiera nera, le si avvicinò, sedendolesi dietro, in modo che se lei avesse voluto avvicinarsi di qualche centimetro avrebbe potuto posare la schiena contro il suo petto. Non si aspettava che lo facesse, a dire il vero; come non si aspettava l'accenno di singhiozzo che le sfuggì.
«Rem...», le sussurrò scostandole i capelli da una spalla, per poi lasciarle un bacio in corrispondenza della spallina della canottiera e strofinarle una guancia contro il collo, facendola sciogliere in più di un singhiozzo. «Ti ha distrutta», mormorò ancora, mentre lei gli si accoccolava contro annuendo appena e piangendo. Per quanto non le piacesse farlo, piangere era l'unica cosa che in quel periodo sembrava farle bene, almeno un po'. E per quanto odiasse piangere in pubblico, Skylar era l'unico che capisse senza fare domande, ma che solo guardandola negli occhi - anche solo attraverso il riflesso dello specchio - riuscisse a capire come stesse e cosa fare per farla stare un po' meglio del momento precedente.
Distrutta. Era decisamente la parola giusta.
«Fa male».
«Dove?».
«Qui», mormorò la mora prendendo la mano dell'altro demone con la propria e posandole unite sul proprio petto, sul seno sinistro, all'altezza del cuore. Il ragazzo deglutì, davanti a tanta debolezza, perché Remember non si mostrava debole, mai, davanti a nessuno che non fosse Cherubiel. «Preferirei essere morta con quella pugnalata, sai?», aggiunse serissima, guardandolo dallo specchio mentre le lacrime le si asciugavano sulle guance nel tempo di un respiro un po' più fondo degli altri.
«Io preferirei che fosse morta lei...». La mora si irrigidì, a quelle parole. Poi scosse la testa, mentre il moro si limitava a sorridere appena, con le labbra posate delicatamente sui capelli di lei, che stava per chiedere perché, mentre lui già elaborava una risposta a quella domanda che ancora non aveva sentito. «Soffriresti decisamente meno, tesoro», le sussurrò in un orecchio, stringendola a sé senza smettere di guardarla negli occhi.
Ma Remember si limitò a scuotere ancora la testa, poco convinta; perché avrebbe comunque sofferto per la sua perdita, e mentre in quel momento aveva ancora una seppur flebile speranza di riaverla - molto flebile - se Cherubiel fosse morta lei avrebbe sofferto allo stesso modo, se non peggio. Anzi, sicuramente avrebbe sofferto peggio.
«Non hai idea di come stia».
Skylar la vide abbassare pianissimo le palpebre, mentre lui dal canto proprio pensava alle sue parole, dette con una tristezza assurda, difficile da sopportare. Non hai idea. Al contrario, lui un'idea ce l'aveva eccome; ogni volta che Madeleine moriva era come se ne morisse lui stesso, ogni volta che lei passava una vita - o anche pochi attimi - con qualcun altro che non fosse lui, era come se venisse trapassato da mille e più lame. Soffriva da cani, e Remember lo sapeva perfettamente.
«Rem...».
«Lo so, scusa. A volte parlo senza pensare, mi spiace». Lui scosse la testa con un sorriso piuttosto rassicurante, per la situazione in cui si trovavano. Poi fu un attimo, e alla ragazza cadde l'occhio sulla borsa lasciata aperta in fondo al letto che condividevano per sentirsi almeno un po' meno soli. «Dove stavi andando?».
«Qualche giorno via dalla città degli angeli». Il sorriso che gli si formò sul volto stavolta era vero, il più sincero che avesse tirato fuori da giorni, forse da anni. Ed era convincente, quel sorriso, perché quando si alzò dal pavimento tendendo una mano alla ragazza, lei la prese e lasciò che la aiutasse a tirarsi su. «Dovresti venire...», aggiunse mentre lei lo abbracciava nascondendo il viso nell'incavo del suo collo, annuendo leggermente.
In fondo, non c'era voluto quanto pensava per convincerla.
«Ad una condizione, Sky», gli sussurrò ironica in un orecchio. Per tutta risposta lui la prese in braccio per guardarla direttamente negli occhi, facendola ridere di gusto. Mormorò un "quale" contro la punta del suo naso, tenendola su e ridacchiando appena per la sua espressione. Epica, a dir poco. «La moto la guido io», gli disse in un soffio.
E la risata di Skylar fu l'unica cosa che la ragazza sentì, mentre si buttavano su quel letto di fortuna l'uno sull'altra. I suoi occhi neri furono l'unica cosa che vide mentre gli stampava un bacio sulle labbra, totalmente privo di malizia e con un sorriso sulle labbra che per un attimo guarì entrambi.

 
***
 

Un bacio sotto l'orecchio. Due labbra a succhiare appena il lobo, per poi spostarsi sulla mascella e lasciare una scia di baci e di solletico, che fecero ridere la ragazza dai capelli castani, appoggiata di schiena al muretto appena fuori dal parcheggio, con le buste dello shopping posate malamente a terra e un demone dagli occhi scuri a distrarla e farla sorridere, scacciando via qualsiasi pensiero cattivo dalla mente.
«Ho chiesto a Skylar di venire a farti compagnia se io...». La risata della ragazza si spense all'improvviso, mentre si voltava di scatto verso di lui per lanciargli un'occhiataccia. Se io, cosa? «Dovrò tornare a Los Angeles per parlare con una persona di nostra conoscenza». Era chiaro che si riferisse ad Harry, e la ragazza inarcò un sopracciglio per non mettersi a piangere ancora.
«Ti fidi?», mormorò solamente.
«Tu ti fidi», ribatté il ragazzo facendo spallucce giocando con una ciocca dei suoi capelli e accarezzandole poi una guancia. La fece sorridere, almeno un po', prima che annuisse e gli sfiorasse di rimando una guancia, passando le dita nel centimetro abbondante di barba che la ricopriva.
«Mi fido anche di te, di più se è per questo».
«Davvero?».
Madeleine scoppiò a ridere, davanti al sopracciglio inarcato del ragazzo e alle labbra un po' dischiuse. Irresistibile e davvero tanto bello. Troppo bello. «Stupido», scherzò lei, lasciandogli un bacio leggerissimo a fior di labbra. «Se non mi fidassi non ti amerei», aggiunse a voce quasi inudibile, vergognandosi delle proprie parole un attimo dopo.
Vederla arrossire era incredibile. Osservare il rossore espandersi dalle gote al resto del viso e lungo il collo prima che lei portasse le mani a nascondere sia il viso che il sorriso che comparve subito dopo, era da far mancare il fiato. La fece persino ridere, stringendole appena un po' di più i fianchi, cercando di portare via tutto il nervosismo che sembrava esserle comparso addosso all'improvviso, mentre gli diceva di amarlo.
Il demone fece risalire le mani dai suoi fianchi fino ad arrivare alle mani della ragazza, fino ad intrecciarne le dita con le proprie e scostargliele dal viso. La guardò e basta, Zayn. La guardò negli occhi color miele come se quella fosse in effetti la prima volta che si azzardava a guardare tanto in fondo; cercò di distinguere ogni minimo particolare di quegli occhi, proprio come lei stava facendo con lui nello stesso istante.
Il demone vedeva mille e più sfumature di oro e miele e nocciola. La ragazza poteva contare almeno una decina di colorazioni, all'interno della stessa iride; c'era lo stesso color nocciola presente nelle proprie, e l'oro, l'ambra, il cioccolato fuso. E il nero, in quelle iridi, sempre più nero a mano a mano che i secondi scorrevano, inesorabili.
Pochi secondi ancora, prima che lo sguardo del demone scivolasse via da quello della ragazza, scendendo poco più in basso, fermandosi su quelle labbra rosee che avrebbe toccato e baciato all'infinito, anche se avesse significato finire il fiato e rischiare di morire. E ancora, il suo sguardo si rincatenò a quello della castana, come se le stesse chiedendo il permesso di baciarla.
Incredibile che un demone stesse chiedendo il permesso.
Incredibile che si stesse comportando in quel modo.
Un demone.
Lui, che avrebbe potuto uccidere chiunque solo con uno sguardo. Lui, che quando spiegava le ali terrorizzava chiunque non fosse abituato a vedere la luce scomparire e il freddo arrivare fischiando anche in piena estate, di quel freddo che penetrava fin nelle ossa. Lui, che quando la guardava la rendeva debole e piccola e più fragile di quanto già non fosse.
Lui, stava chiedendo il permesso di baciarla. Di toccarla. Di andare oltre.
E solo guardandolo, Madeleine si accorse di quanto in realtà Zayn fosse buono. Di quanto potesse amarla davvero, se si stava abbassando a chiedere. Avrebbe potuto tirarla su, portarla dentro e sbatterla contro il primo muro disponibile senza dire una parola, senza nemmeno guardarla negli occhi. Al contrario, non riusciva a smettere di guardarla; e non si azzardò a sfiorarla di più finché non la sentì annuire, con la punta del naso che gli sfiorava la guancia.
La ragazza portò le gambe a circondare il bacino del moro, sentendo le sue labbra posarsi contro le proprie. Piano, lentamente, senza staccarsi da lei nemmeno mentre la sollevava dal muretto e iniziava a camminare dentro l'edificio, o mentre pigiava il pulsante di chiamata dell'ascensore, o mentre la portava dentro e la adagiava contro il vecchio specchio crepato, staccandosi solo allora, e solo per riprendere fiato.
«Non ho idea di cosa stia facendo», ammise la ragazza mentre lo assecondava, sollevandogli la maglietta e reggendosi più forte alle sue spalle, forse graffiandolo. Non le importava, per nulla, troppo occupata com'era a sentire le labbra di Zayn sul mento, e sulla gola, e tra le due clavicole. «Amore...», lo chiamò, costringendolo a tornare su con la testa e guardarla mentre cercava di tornare a respirare normalmente.
«Mi sei mancata troppo», le soffiò contro le labbra, facendola rabbrividire e perdere ancora il filo del respiro. Col fiato spezzato e le guance rosse, la castana mormorò un "piano" contro la sua bocca, che lo fece ridacchiare, succhiandole il labbro inferiore e annuendo quanto bastava da convincerla. «Abbastanza da rovinare tutto, piccola», aggiunse scostandole una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio.
«Non stai rovinando niente».
Le porte dell'ascensore si aprirono cigolando sul parcheggio sotterraneo che stavano occupando da quella che già le sembrava un'eternità. Ma il tempo di pensare le svanì davanti agli occhi non appena Zayn la prese di nuovo di peso - rischiando di farle perdere l'equilibrio già di per sé precario - e la portò in una manciata di secondi attraverso tutto il parcheggio, nell'angolo più lontano, dove c'era quella che avevano adibito a loro stanza.
Un letto, uno scaffale dove il moro buttò le borse dello shopping, e poco altro.
«Sicura?», la provocò facendole posare la schiena contro la parete di cemento, non proprio delicatamente. La ragazza si lasciò sfuggire un gemito, mentre la sensazione di dolore e l'eccitazione del momento si mischiavano a diventare una cosa sola. E fece l'unica cosa che le venne in mente, davanti a quella provocazione.
Annuì, prendendogli il viso tra le mani e osservando le sue iridi schiarirsi è illuminare la penombra. Sorrise, ignorando la parete fredda dietro di sé. Sorrise, prendendo i lembi della maglietta del demone e tirandoli su, fino a sfilarla.
«Voglio vedere le ali». Per un istante Zayn si ritrovò ad esitare, fermando le labbra sul suo collo e stringendo la presa sui suoi fianchi. «Voglio vedere tutto, perché tu non sei questo», gli disse, mormorando l'ultima parte. Madeleine era davvero convinta che lui non fosse cattivo, che i suoi occhi diventati d'un tratto più scuri fossero solo... desiderio. «Voglio il vero Zayn, senza filtri».
Il demone chiuse gli occhi, trattenendosi dallo scuotere la testa.
Aprì le ali. Ampie, enormi. Terrificanti, ad una prima occhiata. Imponenti e massicce. Nere. Tenebra pura. Tanto scure da generare buio, una volta spiegate; tanto scure da assorbire la luce e far cadere il parcheggio sotterraneo nelle tenebre. L'unica luce, agli occhi della giovane, erano le iridi nere punteggiate d'oro di Zayn.
Prese un respiro profondo, e senza smettere di guardarlo allungò una mano tremante verso una delle due ali. Lo sentì trattenere il fiato, e le parve addirittura di sentire il suo cuore smettere di battere, non appena le sue dita entrarono in contatto con tutto quel buio. Bastò quel semplice contatto, perché il buio svanisse a poco a poco, lasciando spazio ad uno strano luccichio proveniente dalle ali stesse.
Luccichio dorato, polvere di stelle.
Luccichio che fece sorridere la ragazza e le illuminò lo sguardo.
Luccichio che un poco alla volta illuminò la stanza come tante piccole candele.
«Non ho idea di cosa tu mi stia facendo», ammise il moro osservando incantato quanto lei la strana luce che stava riempiendo l'aria con uno strano odore di fiori secchi e forse di sangue. Ma non dava fastidio alle narici, era quasi familiare, a dire il vero. «Come ci riesci?».
«Non ne ho idea... tienile aperte però, ti prego», mormorò lei di rimando, baciandogli il mento e salendo verso le labbra, facendole rincontrare con le proprie ancora e ancora, fino a lasciarsi andare ad un gemito, con le mani di Zayn che riprendevano il possesso del suo corpo da dove si erano interrotte pochi minuti prima.
Stringendole i fianchi e baciandole le labbra.
Scostando la canottiera e scivolando con le dita sempre più in alto, fino a scontrarsi col pizzo del reggiseno e superandolo, sempre più su. Fino a toglierle la maglietta colorata e tornare indietro. Fino a farla scendere ma continuando a baciarla, e cercando a tentoni il bottone dei pantaloncini di jeans, scatenando una risata, tra gli ansimi della ragazza.
Lasciandole una scia di baci lungo il collo a partire da sotto l'orecchio fino ad arrivare alla clavicola, poi scendendo verso la spalla. Madeleine chiuse gli occhi, portando la testa indietro, posandola piano contro il muro, con le labbra schiuse cercando di non andare in iperventilazione sotto i baci di Zayn.
«Sarà sicuramente meglio di quel ragazzino...».
«E dei ragazzini che sono venuti dopo», lo assecondò lei, stringendo la presa sui suoi capelli mentre le sue labbra scendevano e le sue dita si portavano dietro una spallina del reggiseno alla volta, incappando poi nel gancetto, sfilandolo con un sospiro. «Comunque... - mormorò dopo una manciata di secondi, sentendo il fruscio della stoffa cadere sul cemento - anche tu mi sei mancato, tanto».
Era vero. Le era mancato come l'aria, e lo ricordava solo ora che ce l'aveva di nuovo.
E Zayn non poté fare a meno di sorridere, dimenticando automaticamente la prima volta della ragazza in quella vita; dimenticando come l'avesse vista entrare mano nella mano in casa di quel ragazzo di cui credeva di essere innamorata; dimenticando come l'avesse sentita ansimare e gemere; dimenticando i singhiozzi che aveva sentito dopo, quando lei aveva detto quelle due parole e quello stupido ragazzino non le aveva risposto.
«Mi dispiace non essere stato il primo».
«Shhh, parli troppo», esalò lei in un soffio, parlando contro la sua pelle.
Lo fece ridere. Roco, a voce bassissima, ma abbastanza da farla andare a fuoco e farla rabbrividire. Solo sentirlo ridere le fece inarcare la schiena e fece scontrare i loro petti. Solo sentirlo ridere le fece ricordare com'era stato averlo nelle vite precedenti. Solo sentirlo ridere in quel modo le fece scordare Harry, totalmente. O quasi.
Un altro fruscio, e i pantaloncini di jeans raggiunsero la maglietta e il reggiseno sul pavimento, insieme con la maglietta del demone. Fruscio dopo fruscio, senza nessun altro rumore che non fosse dato dai loro respiri o dagli schiocchi dei loro baci; fino a ritrovarsi quasi completamente nudi l'uno davanti all'altra, ad un paio di passi dal vecchio letto in ferro battuto col materasso malconcio e il copriletto bucato che il demone era riuscito a rimediare da chissà dove.
Non importava.
Sarebbe bastato un pavimento impolverato con un tappeto buttato sopra.
«Sei troppo romantico per essere un demone, sai?».
«E tu parli troppo, sai?», le fece il verso, a voce abbastanza alta perché potesse sentirlo; sarcastico oltre ogni limite, come sempre. Ogni parola, un bacio sempre più in basso, mentre la riprendeva in braccio per adagiarla qualche secondo dopo sul materasso, facendola ansimare sempre più forte, tanto da non riuscire a trattenersi, mentre lui continuava a scendere e leccare e baciare e succhiare di tanto in tanto.
Nonostante lui fosse un demone, quello era decisamente il paradiso.
Le si mise sopra puntellandosi sui gomiti per non pesarle, ancora con le ali aperte e ben visibili, come a farsi da scudo contro il mondo esterno, come se fossero solo loro e il resto non importasse affatto. Prese fiato qualche secondo contro le labbra della ragazza, guardandola e accarezzandole il viso, imprimendo in un solo sguardo... tutto. Tutto quanto, indecisione compresa.
«Non ho paura di te», gli disse lei con voce stranamente ferma accarezzandogli ancora una delle ali; quella, ancora una volta, da essere più nera delle tenebre stesse assunse lo strano luccichio dorato di qualche minuto prima. E Madeleine era più seria che mai; non aveva paura né di Zayn in sé né della sua natura di demone. Non aveva paura di nulla, se c'era lui, era un semplice quanto efficace dato di fatto.
«Dovresti».
«No, invece», mormorò ancora lei cercando di reprimere - senza troppo successo - uno sbuffo di frustrazione; e senza smettere per un istante di guardarlo in viso, cercando di distendere il sopracciglio inevitabilmente inarcato. Zayn pretendeva sempre di avere l'ultima parola, voleva sempre avere ragione anche quando si fosse trovato nel torto; e succedeva sempre, in continuazione. Da sempre, soprattutto con lei. «Non mi hai mai fatto del male...».
Non te lo ricordi, avrebbe voluto dirle.
Non disse nulla.
Al contrario, si limitò a fidarsi del giudizio della ragazza che amava. Si limitò a tenere le ali bene aperte e bene in vista, mentre le divaricava le gambe e ne sfiorava una delicatamente e per tutta la lunghezza della coscia, portandola a circondargli il bacino. «Occhi aperti, principessa», la ammoni con l'accenno di un sorriso, vedendola sfarfallare le ciglia a quel gesto.
Era evidente come la luce del sole, quanto Madeleine fosse eccitata.
Come era evidente quanto lo fosse Zayn.
Eppure, la castana riuscì comunque a risollevare le palpebre, seppure deglutendo. Riuscì a guardare i suoi occhi farsi ancora una volta più scuri e le ali illuminarsi. Riuscì a non distogliere lo sguardo mentre si allontanava appena da lei per liberarla degli slip e liberarsi dei boxer. Riuscì persino a tenere gli occhi aperti quando percepì le ali tendersi nell'aria mentre lui tornava a sovrastarla.
«So che non sei una ragazzina e tutto il resto, ma...».
«Ti fermo se mi fai male, non sono tanto masochista», finì per lui, con una nota di divertimento nella voce. Lui le rivolse un sorriso che era tutto tranne che malizioso o voglioso. Più che altro sembrava sollevato che lei avesse capito senza che dovesse finire quella che pareva decisamente una stupida frase di rito, uno stupido clichè che non aveva alcun senso.
E sembrava incredibile, ma improvvisamente tenere gli occhi aperti non era più un problema per Madeleine, se significava poter guardare le iridi di Zayn scurirsi tanto da non distinguere più la pupilla. Come non era un problema per lui tenere le ali spalancate mentre sfiorava l'intimità della ragazza con la propria, se poteva guardare le sue iridi passare dal nocciola al verde all'oro puro.
La ragazza chiuse appena gli occhi solo quando sentì il demone entrare in lei con un'unica spinta, seguita da un lungo sospiro mentre lei affondava le unghie nelle sue spalle per tenersi, come se avesse paura di crollare, di sprofondare. E si accorse di trattenere il fiato solo quando si rese conto che Zayn era fermo dentro di lei, in attesa che il dolore passasse, in attesa che lei riaprisse gli occhi.
Fermo in lei, al moro sembrava di essere tornato ad essere l'angelo di un tempo, tanto che «Guardami, piccola», mormorò, sorpreso dalla luce chiara che emanavano le sue ali. E forse fu proprio il suo tono di voce a riempire la ragazza di curiosità e a farle aprire gli occhi. Sgranati sulla luce di quelle ali una volta nere e ora quasi bianco puro.
«Angelo», riuscì a mormorare la ragazza lasciandosi andare ad una lacrima, che il demone prese prontamente con un polpastrello che poi si portò alle labbra. Perché se credeva che baciarlo fosse il massimo, si sbagliava, perché farci l'amore era il paradiso, e quelle ali così chiare ne erano la prova più concreta che Madeleine avesse.
Gli sfiorò l'attaccatura delle ali con un sorriso e un sospiro, facendolo rabbrividire, prima di muovere leggermente il bacino verso l'alto e muovere le mani da sotto le scapole alle spalle, per finire sulla nuca, tra i capelli. Mosse di nuovo il bacino, stringendo la presa su di lui con una delle due gambe, allora lo sentì gemere contro il proprio orecchio.
Il suono migliore del mondo.
Suono che fece gemere anche lei, e fece finalmente muovere il demone. Piano, dentro e fuori. Piano, con le mani di Madeleine piantate nella schiena e il suono dei suoi ansimi e gemiti e sospiri nelle orecchie. Piano, con lei a stringerlo come se avesse paura che potesse scappare da lei, lasciandola sola e terribilmente vuota.
«Zayn...». Il suo nome era una richiesta, una supplica taciuta ad andare avanti, ad andare più veloce, a farla propria completamente, in ogni modo possibile. «Ho bisogno... di più...», esalò, col fiato che quasi le mancava e il bacino che cercava di dettare il ritmo, senza successo.
Pochi secondi, prima che il demone la accontentasse e ribaltasse le posizioni, facendola stare sopra di lui, con le gambe ancora avvolte intorno a lui e le mani nei suoi capelli. E lui, seduto, che la guardava negli occhi lucidi di desiderio mentre le teneva una mano sulla coscia e una alla base della schiena.
Zayn mormorò un "vai, piccola" contro il seno della ragazza, facendola andare a fuoco e facendole stringere i muscoli attorno a sé, prima che iniziasse a muoversi piano e delicatamente su di lui. Fino in fondo, fino a sentirsi totalmente piena. E poi su, fin quasi a farlo uscire da sé. Di nuovo giù, con un gemito spento a stento contro le sue labbra, e di nuovo su, con la schiena inarcata dal piacere e il nome del demone che le usciva dalle labbra come una preghiera.
E mentre venivano uno dentro l'altra, all'unisono, a chilometri di distanza un angelo dai capelli castani e ricci e gli occhi verdi stringeva i pugni fino a conficcare le unghie nel palmo. Fino a far diventare bianche le nocche. Fino a sanguinare.
«Ti amo».
«Anche io, piccola».
Fu come se l'angelo sentisse quelle parole. Come se fosse stato nella stessa stanza con loro. Come  se avesse sentito ogni sussurro, ogni fruscio e ogni gemito. Come se potesse sentire ogni minima emozione scaturire dai loro corpi sudati e percepirla sulla propria pelle. Ed era come se una furia assurda gli montasse, rendendolo cieco e sordo e incapace di mettere due parole in fila a formare una frase che avesse senso.
Ci volle poco perché uscisse sul balcone più vicino e aprisse le ali, prendendo un respiro profondo e buttandosi nel vuoto, per poi salire e salire, all'altezza delle nuvole e forse più in alto. Ci volle ancora meno perché un urlo prendesse vita dalla sua gola alle sue labbra. Un attimo, e lo lasciò andare nell'aria, mentre le nuvole si scurivano e si addensavano, tanto da far presagire un temporale.
Un urlo che poterono sentire tutti.
Per gli umani un semplice tuono.
Per gli angeli un grido disperato, da far rizzare i peli sulle braccia.
Per i pochi demoni rimasti a Los Angeles il segno di una rivincita, o qualcosa di molto simile.
Parecchi metri più in basso, Cassiel rabbrividì. Fermò a mezz'aria il pugno che stava scagliando contro il sacco da boxe, con Louis dietro di esso pronto a parare i colpi. Aprì la bocca come per dire qualcosa, mentre il dolore di Harry la riempiva facendola quasi soffocare, e il castano non riuscì a dire nulla, né a fare nulla. Non ce ne fu il tempo. Semplicemente, rimase a bocca aperta a vedere proprio Harry entrare nella palestra coi capelli scompigliati e le ali che gli si chiudevano dietro la schiena.
«Harry...», mormorò la mora facendo per avvicinarsi. Louis le si piazzò davanti prima che potesse muovere un muscolo, mentre l'altro angelo grugniva qualche parola e tirava un gancio contro il vecchio muro di mattoni, sfondandone una parte. «Har, non significa nulla...», riprovò l'angelo dalla pelle color ebano, guardando oltre la spalla del demone che stava cercando di proteggerla.
Il riccio rise. Una risata amara, quasi isterica. Una risata piena di rancore, e quando lo videro voltarsi quasi mancò loro il respiro al vedere i suoi occhi, di solito verdi, decisamente più scuri e minacciosi, quasi neri. «Nulla, uh? Nulla... pensi che sentire i loro gemiti nella mia testa sia nulla?». Stava alzando sensibilmente la voce, avvicinandosi a mano a mano che parlava, una parola dopo l'altra più vicino a Cassiel, con il desiderio di uccidere che gli si poteva vedere in viso da lontano chilometri.
«Va bene, sei incazzato? Sfogati allora», lo invitò il castano con un sopracciglio inarcato. Sfilò i guantoni che indossava la ragazza dietro di sé e glieli lanciò contro, colpendogli il petto. Caddero a terra, ma Cassiel aveva già capito tutto e stava già scuotendo la testa. «Vuoi prendertela con un demone perché Zayn sta finalmente avendo quel che gli spetta? Prego, sei il benvenuto, colpisci dove vuoi», continuò, scostandosi da Cassiel e mettendoglisi di fronte, alzando appena lo sguardo per guardarlo in viso.
«Non dirai sul serio...».
«Serissimo, avanti», insistette il demone toccandosi uno zigomo con due dita, indicandogli il punto dove avrebbe dovuto colpire se avesse trovato la rabbia o il coraggio di farlo. Ignorò persino i deboli lamenti della mora a pochi metri da lui, che gli pregava di non provocare, di lasciar perdere. «Avanti, spaccami la faccia, dirò alla cara Maddie che...».
Ma non fece in tempo a finire la frase, interrotto da un pugno dritto sullo zigomo, tanto forte da farlo volare contro la parete opposta, sentendo nelle orecchie solo l'urlo di Cassiel e il crepitio del muro dietro di lui che si spezzava, seguito dal respiro affannato dell'angelo, le cui ali avevano cambiato colore.
Dal loro solito candore, al grigiore denso del fumo delle sigarette.


 


allora... non ho idea da che parte cominciare.
inizialmente credevo che il capitolo si spiegasse da solo...
ma beh, forse no. quindi, cercherò di spiegare i punti salienti nel caso qualcosa non si fosse capito.
e nel caso continuasse ad essere confuso, potete scrivermi dove volete...

1. Remember/Skylar. nel capitolo precedente Zayn chiama Sky, se vi ricordate, quindi lui fa le "valigie" e si prepara a partire. decide di portarsi dietro Rem più che altro per distrarla. lei è distrutta, totalmente, da Cher. è distrutta dal fatto che la bionda l'abbia salvata e poi sia comunque sparita con Liam. Rem non sa delle canne, non sa del dolore di Cher (giusto per essere chiari e precisi). Sky è sorpreso dalla debolezza  della mora, ovviamente, ma fa di tutto per farla stare meglio. riesce a farla sorridere e la convince ad andare con lui, yeeh. per la cronaca il bacio alla fine non significa nulla... sia chiaro, non si confesseranno amore eterno. proprio no.

2. Zayn/Madeleine. credo che come parte sia abbastanza chiara, no? beh, insomma... fanno l'amore, è evidente quanto si amino eccetera. però, qualche appunto per voi. Mad per qualche secondo dimentica Harry, quasi del tutto. non ho nulla contro Harry, ma, ehi, riuscite a biasimarla? lui l'ha trattata di merda, e lei è davvero troppo innamorata di Zayn per starsene con le mani in mano e semplicemente aspettare l'angelo. altra cosa: le ali di Zayn si schiariscono perchè Madeleine tira fuori il buono che c'è in lui. niente di troppo complicato. forse un po' astratta come cosa, ma niente di trascendentale.

3. Harry. zan zan. lui sente tutto perchè è come se fosse connesso a loro, a Mad. li sente gemere, li sente dirsi che si amano, eccetera. è normale che si incazzi, e sinceramente sono stata male per lui scrivendolo. come sono stata male per Cas quando si sente riempita del suo dolore, perchè Harry, come già detto in non ricordo quale capitolo, è il suo migliore amico. nulla di più. (Cas non lascerà Louis, sia chiaro). comunque. Harry è incazzato, cerca di sfogarsi urlando, ma poi chissà come si ritrova a volare verso la palestra. Louis protegge Cas, perchè la ama. ha paura di Harry, dei suoi occhi pieni di rabbia, rancore e frustrazione. gli offre uno scontro perchè non sa come altro farlo sfogare. non vuole che distrugga tutto un pianeta solo perchè Mad ha fatto l'amore con Zayn. Harry viene provocato. e lo colpisce. (troppo forte, forse, ma okay). ultima cosa; le sue ali si scuriscono per il motivo opposto rispetto allo schiarimento di quelle di Zayn. il dolore che prova per l'"abbandono" di Mad lo porta a far prevalere la sua parte di demone.

okay, ho scritto un poema.
non so se a questo punto le note siano più lunghe del capitolo.
non mi interessa.
e niente... venerdì parto, e il capitolo 5 è pronto per metà.
quindi penso che ci vorrà un po' prima che io possa aggiornare.
recensite, mi raccomando. voglio i pareri, gli scleri, e chi più ne ha più ne metta.
ora sparisco, va...
alla prossima, un abbraccio
- emotjon.


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Capitolo 5
*** 5. Unconditionally. ***


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è già molto se aggiorno, rido*





Capitolo 5. // Unconditionally.




 
Incondizionatamente. Amare senza condizioni. Amare nonostante tutto, che quel tutto sia dalla parte del bene o del male. Amare nonostante i litigi, le urla, le lacrime, i tradimenti, le prese in giro, i sorrisi falsi e quelli di convenienza. Amare nonostante le diversità tra le persone.
Da occhi chiari ad occhi scuri. Da pelli pallide come l’alabastro ad altre più olivastre, color cioccolato, ebano puro. Da capelli accecanti come puri raggi di sole ad altri, castani, color rame, neri come il petrolio. Da labbra tinte di rosso a labbra rosa; da labbra morbide e da mordere a labbra rovinate dai morsi. Da mani con lunghe dita affusolate smaltate di nero ad altre, con le unghie mangiucchiate e diversi anelli a coprire i segni di un passato che non vuole essere dimenticato davvero.
Da sorrisi che fanno rumore a sorrisi che si perdono nel silenzio. Da nasi arricciati dal divertimento di qualcosa che non ricorderanno, a mani che si cercano nel buio, a due risate che si uniscono come fossero nate apposta per quello. Fronti aggrottate per la confusione, o dita che tremano o pelle d’oca su braccia e gambe…
Da ali bianche come batuffoli di cotone ad ali nere come il buio più profondo.
Non importa quanto due persone possano essere diverse; non importa quanto esse possano essere “sbagliate” le une per le altre; non importa quanto il bianco e il nero si annullino toccandosi, e non importa nemmeno che iridi tanto diverse siano nate per guardarsi.
Non importa niente. Perché?
Perché per quanto la pelle di Cassiel e quella di Louis si respingano, per quanto i loro occhi cozzino nel più assurdo dei miscugli, per quanto i loro sorrisi si annullino l’uno nell’altro e per quanto le loro ali – così diverse – dimostrino di essere gli opposti in qualsiasi cosa essi possano essere, loro due si amano e si ameranno sempre. Non importa, perché il cuore di Louis ha sempre battuto incondizionatamente per quello di Cassiel. E non importa, perché il sorriso della mora è sempre comparso su quelle labbra per merito del demone dagli occhi azzurri come il mare d’estate.
Perché per quanto gli occhi di Kismet e quelli di Celestine si somiglino, loro non si vedranno mai come fratello e sorella. Per quanto i brividi possano comparire lungo le loro spine dorsali quando si toccano, loro non smetteranno di toccarsi. E per quanto le loro ali tremino allo sfiorarsi, non smetteranno di farlo solo perché lo dice il cielo. E non importa, perché i loro cuori battono al ritmo della stessa canzone da quando erano solo due angeli nell’immenso giardino dell’Eden.
E non importa, perché il biondo accecante e decisamente innaturale dei capelli di Niall avrà sempre un suo senso, messo accanto ai capelli castani e un po’ ramati di Eveline; perché i loro occhi celesti brilleranno sempre e comunque gli uni per gli altri; o perché per quanto facciano finta di ignorarsi a giorni alterni, Niall ama davvero Eveline, incondizionatamente. E perché la castana si farebbe asportare il cuore, per quel sorriso e quegli occhi e quella risata terribilmente contagiosa.
Perché nonostante Storm fosse stato innamorato di Lynn, nulla avrebbe potuto cambiare il sentimento incondizionato che provava per Soraya. Nulla avrebbe potuto cambiare quel che i suoi occhi grigi provavano per le iridi color nocciola della ragazza dai capelli corti; nulla avrebbe cambiato quel che sentiva quando lei lo guardava, quando si sfioravano, quando si prendevano a parolacce. Nulla avrebbe cambiato quanto lui stesse male a vederla piangere per colpa sua. E per quanto Soraya non avesse mai voluto ammetterlo davvero, lei provava esattamente la stessa cosa.
Non importa quanto possa essere o sembrare sbagliato se un demone dalla pelle color ebano si sia innamorato di una ragazza. Skylar la guardava da lontano da secoli. L'aveva avuta una volta, l'aveva amata davvero come mai aveva fatto, con nessun altro. Skylar amava incondizionatamente i capelli castani con le punte schiarite dal sole; amava le labbra un po' carnose; amava i suoi occhi profondi; amava il leggero color cappuccino della sua pelle. Amava il sorriso, le lacrime; amava le incazzature e i momenti in cui si mostrava debole e indifesa.
Amava Madeleine, Skylar. L'avrebbe amata sempre. Contro tutto e tutti.
Non importano le differenze, verranno come annullate dalla stessa aria che si respira, o dimenticate nel momento in cui determinati occhi finiscono nei nostri, o quando determinate labbra ci sussurrano quel qualcosa che avremmo voluto sentire, quell'unica cosa che avremmo voluto sentire sin dall'inizio.
Non importano le differenze o le ostilità, perché per quanto possa sembrare assurdo, angeli e demoni continueranno ad essere incondizionatamente legati a Dio. Nonostante la caduta, nonostante la peggiore delle punizioni divine. Nonostante il sangue perso e le lacrime versate; nonostante le preghiere mormorate in fin di vita, apparentemente inutili e senza risposta. Continueranno a considerare Dio come punto fermo, tutti loro. Sì, anche i demoni.
Perché? Non c'è un vero perché.
Qualche clausola infinitesimale in qualche assurda legge divina, forse.
Remember avrebbe sempre amato Cherubiel, e lo stesso avrebbe fatto Liam. I loro due cuori tanto diversi e opposti forse battevano in modo diverso, ma per lo stesso motivo. Per gli stessi occhi di ghiaccio e gli stessi identici capelli color oro; per le stesse labbra rosa e la stessa risata spensierata che avrebbero ascoltato entrambi all'infinito, tanto da diventare sordi; per le stesse ali bianche e che se spiegate la rendevano estremamente bella - più di quanto già Cherubiel non fosse.
E dal canto proprio la bionda sentiva il cuore come diviso in due. Come se, mentre cadeva dal Paradiso e si schiantava al suolo, fosse intervenuta qualche forza a lei sconosciuta che le aveva segato il cuore in due parti esattamente identiche. Metà per Liam e metà per Remember.
I suoi occhi azzurri erano metà per un angelo e metà per un demone. Metà per un uomo e metà per una donna. Metà per capelli e occhi castani, metà per occhi azzurri quasi quanto i propri e capelli del colore di una notte senza nemmeno una stella ad illuminare il cielo. Le sue labbra avevano sentito il sapore di uno e dell'altro, e la sua pelle era stata sfiorata da entrambi, e la sua mente era stata in balia di tutti e due.
Avrebbe dovuto scegliere, prima o poi.
O forse, dentro di sé Cherubiel aveva già scelto. Non restava che schiudere le labbra e farlo sapere al mondo; o almeno ai due interessati. Prima o poi l'avrebbe fatto, poco ma sicuro. Serviva il momento giusto, la giusta dose di coraggio... e il dolore e l'amore sarebbero semplicemente scivolati via, portati finalmente ed incondizionatamente ad una soluzione che agognavano da secoli.
Non importa che un angelo e un demone amino la stessa donna da centinaia di anni, perché l’amore è sempre più forte di tutto il resto. Amore ha i capelli ricci e gli occhi verdi e le candide ali di un angelo, ma ha anche i capelli scuri e gli occhi color del buio e le ali di tenebra di un demone. Amore è incondizionato. Amore odora di tabacco e di raggi di sole e di pioggia. Amore è un sorriso abbandonato su un volto dalle labbra rosa e che torna alla mente dei due innamorati nello stesso istante e con pari intensità.
Amore è Madeleine. Sia per Harry che per Zayn.
Incondizionatamente. Odiare senza condizioni. Odiare nonostante tutto, che quel tutto sia dalla parte del bene o del male. Odiare i litigi, le urla, le lacrime, i tradimenti, le prese in giro, i sorrisi falsi e quelli di convenienza. Odiare proprio le diversità tra le persone. Odiare allo stesso modo ali nere e ali bianche. Odiare le leggi divine. Odiare Dio. Odiare il cielo, la terra, l’aria. Odiare le maledizioni e le anime guardiane e le anime che continuavano a tornare per quanto venissero uccise. Odiare l’amore incondizionato e le sue dannate conseguenze.
Odiare essere diventati il nulla. Figli degli angeli e dei demoni. Figli di un amore impuro e sbagliato, ai Nephilim non rimaneva altro se non odiare, odiare e ancora odiare. Odiare se stessi e odiare tutto il resto, almeno finché tutto non fosse finito, in un modo o nell’altro. E di loro, che ne sarebbe rimasto? Probabilmente nulla, se non il ricordo di un odio millenario e lo spettro di un dolore che forse non sarebbe mai scomparso.
E anche se decisamente non poteva definirsi amore – ma nemmeno odio – c’era un legame incondizionato anche tra Skylar e Zayn. Ci doveva essere, o il ragazzo di colore non avrebbe guidato su quella moto da Los Angeles a Seattle; non si sarebbe preoccupato al vedere comparire il suo nome, lampeggiante sullo schermo del cellulare; né avrebbe accettato di macerare chilometri su chilometri se non avesse sentito quanto era importante  quel che gli stava chiedendo il moro.
Ma forse era solo il suo legame con Madeleine.
Fatto sta che aveva preso poche cose – e a caso – prima di convincere Remember a smettere di piangersi addosso, fare il pieno di benzina e partire. Nascondendosi su quella moto nera come lui, coi jeans strappati e una vecchia giacca di pelle che non ricordava più di chi fosse, addosso.
Ci aveva messa poco a farsi contagiare dalla risata finalmente allegra della ragazza accomodata dietro di lui, con gli occhi celesti tenuti socchiusi per il vento e il vento stesso che le scompigliava i boccoli neri. Nemmeno l’ombra di un pensiero a gravarle addosso. Non mentre fingeva di aggrapparsi a Skylar per non cadere, né mentre gli rideva nell’orecchio facendolo ridere di rimando.
E ci avevano messo più del previsto, ad arrivare in quella città un po’ grigia nel nord degli Stati Uniti, ma non importava. A nessuno dei due. Non a Skylar, mentre parcheggiava di fronte a quell’edificio spento che non aveva avuto il piacere di rivedere da parecchi anni; né a Remember, che sistemandosi i pantaloncini di jeans e slacciando la giacca di similpelle nera, cercava di non pensare al pugnale d’argento che le avevano conficcato nella schiena solo qualche giorno prima. Spensierata, dopotutto.
C’era voluto meno di un battito di ciglia, però, perché una volta nell’edificio spalancassero le ali, apposta per vedere qualche vecchia lampadina dimenticata, accendersi al loro passaggio. C’era voluto poco perché prendessero l’ascensore con lo specchio crepato e arrivassero di sotto, nel parcheggio abbandonato che una volta era stato casa, per entrambi. E c’era voluto meno di zero perché sia il demone dalla pelle scura che la ragazza dagli occhi celesti si aprissero in due sorrisi sollevati, al sentire la risata di Madeleine risuonare spensierata tra le pareti in cemento del parcheggio, cristallina e felice come non la sentivano ridere da tanto tempo.
Skylar provò in tutti i modi di farlo vedere, il sorriso che gli spuntò sulle labbra al sentirla ridere, ma Remember se ne accorse ugualmente. Come si accorse subito dopo della consapevolezza che oscurò il volto dell’amico al rendersi conto che la ragazza non stesse ridendo per merito suo ma per via di altre mani, altri occhi, altra pelle premuta contro la sua. Come si accorse della mascella contratta per non farle notare che gli si era appena fermato il cuore.
La ragazza si passò una mano tra i boccoli scuri mordendosi il labbro, prima di incastrare le dita della mano libera con quelle del ragazzo che le camminava ad un metro scarso di distanza. Le strinse, attirando l’attenzione di due occhi che sarebbero volentieri scoppiati a piangere senza dover dire nient’altro. Le strinse, rivolgendogli il fantasma di un sorriso che in qualche modo riuscì a farlo tornare a respirare, anche se era solo Remember, solo la sua migliore amica.
«L’importante è che lei sia viva, no?».
E Skylar riuscì solo ad annuire, anche se avrebbe voluto dire tante – troppe – cose. Avrebbe voluto dire che la voleva per sé, che la amava da morire, che se fosse servito l’avrebbe presa per mano e portata via con sé. Che le avrebbe potuto far dimenticare Zayn, e Harry. Che avrebbe potuto amarla meglio lui di quanto non avessero mai fatto loro. Ma forse la ragazza che ancora gli stringeva la mano aveva ragione. Bastava che Madeleine fosse viva.
Così continuarono a camminare per il parcheggio, finché svoltando l’angolo non furono costretti a fermarsi sulla “soglia” per non scoppiare a ridere, almeno Remember. L’altro demone stava stringendo la mano della mora fino quasi a farle male, ma a lei importava solo che non crollasse, in fin dei conti – che le stritolasse le dita era solo un effetto collaterale del volergli bene.
Svoltato l’angolo, trovarono Madeleine.
Sdraiata, mezza nuda e coi capelli scuri sparsi sul cuscino e la sua risata che continuava a risuonare, un po’ attutita dal corpo del demone che le stava sopra. Attutita dalle sue ali nere, spalancate sopra di lei mentre il ragazzo le faceva il solletico. Rideva per così poco, Madeleine, che a Skylar si fermò di nuovo il cuore. Rideva per così poco, e faceva ridere anche Zayn con lei, ché mentre il demone dalla pelle scura respirava a fondo per non crollare, Remember scoppiò semplicemente a ridere.
Skylar provò a seguirla in quella risata, o magari solo a sorridere, ma quando Zayn ritrasse la ali e Madeleine finalmente si accorse di loro smettendo di ridere e illuminandosi con uno dei sorrisi più belli che le avesse mai visto addosso, non riuscì a guardarla. Non riuscì a dire nulla. Niente di niente, se non un sussurro quasi inudibile nel quale diceva che sarebbe andato a fumarsi una sigaretta, con la mascella serrata abbastanza da farsi male.
Vederla dopo averla creduta morta era troppo. Vedere i suoi capelli, i suoi spettacolari occhi castani, le sue labbra, era troppo. Vederla sorridere e sentirla ridere come se niente fosse, era troppo. Immaginare di toccarla, di essere sopra di lei e farla ridere. Respirarla. Vederla con Zayn. Era tutto troppo da sopportare. Scappare era l’unico modo che aveva per continuare a respirare.
Così tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans stretti e tornò sui propri passi, riprendendo l’ascensore per tornare all’aria aperta prima che chiunque potesse dire qualsiasi cosa. Si accorse appena dello sguardo confuso della ragazza che gli faceva così male, ma il sorriso dispiaciuto – dispiaciuto? – di Zayn lo vide perfettamente, anche se con la coda dell’occhio; come si accorse della propria migliore amica che provava a fermarlo, ma fece semplicemente finta che non esistesse. Non aveva voglia di litigare con lei, né di continuare a stare male per una ragazza che non avrebbe avuto mai.
Ma se Zayn si aspettava la reazione dell’amico, se si aspettava che sarebbe scappato al vedere Madeleine ancora viva o se si aspettava che avrebbe serrato la mascella al vederla mezza nuda sotto di sé, di certo non si sarebbe mai potuto aspettare la reazione di Madeleine. Non credeva avrebbe potuto essere baciato con tanta dolcezza, né credeva che lei avrebbe potuto seguirlo.
La ragazza al contrario lo fece senza pensarci due volte, perché con Skylar aveva qualcosa che ancora non capiva, aveva quel qualcosa che avrebbe voluto ricordare con tutta se stessa ma che ancora non tornava a galla. Si mise addosso una felpa col cappuccio presa a caso dall’armadio di fortuna e un paio di pantaloncini, prima di superare Remember con l’ombra di un sorriso sulle labbra e chiamare l’ascensore con lo spettro di un sospiro del demone di cui era innamorata nelle orecchie.
Un sospiro quasi arreso, quello di Zayn, arreso al fatto che nonostante tutto l’amore che Madeleine avrebbe provato per lui – ne era sicuro come l’aria che respirava, sicuro che lo amasse almeno la metà di quanto la amava lui – Skylar sarebbe sempre stato una parte di lei impossibile da eliminare. Arreso al fatto che in qualche modo la castana avrebbe sempre voluto tenere il demone dalla pelle scura al proprio fianco, anche “solo” come amico. Arreso al fatto che si completassero, anche se “solo” in minima parte. Arreso al pensiero intravisto nelle iridi castane della donna che amava; arreso al fatto che lei volesse ricordare Skylar, quasi disperatamente.
E un sorriso terribilmente consapevole, quello del demone dagli occhi celesti, mentre ancora se ne stava in piedi con in un orecchio il sospiro di Zayn e nell’altro il cigolio dell’ascensore che non troppo lontano da loro ripartiva. Un sorriso consapevole di tutto, dal dolore di Skylar al senso di colpa apparentemente immotivato negli occhi di Madeleine alla gelosia di Zayn. Un sorriso consapevole però che in qualche modo si sarebbe sistemato tutto, anche se Skylar non avrebbe smesso di soffrire da un momento all’altro o se Madeleine avrebbe continuato a sentirsi in colpa per qualcosa che ancora non capiva o se Zayn sarebbe stato inevitabilmente geloso della donna che amava.
«Perché hai chiamato Sky?», gli chiese finalmente la ragazza facendo qualche passo fino a sedersi sul bordo del letto e aspettando che lui la imitasse sedendole accanto, cosa che fece dopo qualche momento e senza trattenere un sospiro stanco – forse trattenuto da giorni interi. Gli posò una mano su un ginocchio, stringendo quanto sarebbe bastato ad attirare la sua attenzione e incitarlo a rispondere. «Zay, che c’è che non va?».
«Le mancavate, Rem… e Skylar è praticamente…».
«Innamorato di lei», gli fece notare la mora passandosi la mano libera tra i capelli e ricevendo in cambio un’occhiata divertita e l’accenno di una risata, segno che Zayn ne fosse già consapevole e che paradossalmente non riuscisse nemmeno a prendersela. «Ma è ovvio che tu lo sapessi già, giusto?», ironizzò la ragazza spingendolo leggermente ad una spalla, cosa che lo fece ridere anche più forte. Perché Remember era pur sempre Remember, e quando mai si era mostrata disponibile e gentile nei confronti di Madeleine?
«Avrei detto che è praticamente il suo migliore amico, se mi avessi fatto finire», le disse onesto, azzardandosi a guardarla in quelle iridi color del cielo che erano quasi un affronto, un inganno, sapendo da che parte stesse – non c’era assolutamente nulla di celestiale in lei, escludendo Cherubiel. Lei inarcò un sopracciglio, non soddisfatta da quella risposta, incitandolo con un solo sguardo a dirle la verità, anche perché sarebbe stata capace di insistere finché non avesse ottenuto una risposta degna di chiamarsi tale. «Mi serve che qualcuno la protegga un paio di giorni al posto mio», ammise allora il moro, senza distogliere lo sguardo dall’altra.
«Hai intenzione di andare da Harry…».
«Perspicace».
«Perché? Lui… te l’ha praticamente lasciata».
No, Remember non capiva. Harry non si sarebbe mai nemmeno sognato di lasciargliela, non senza lottare, non arrendendosi volontariamente. Harry gli stava solo chiedendo di prendersi cura di lei, con la promessa implicita che prima o poi sarebbe tornato a riprenderla. Harry si stava fidando, contando sul fatto che se avesse aperto le braccia e le ali, Madeleine sarebbe corsa da lui senza nemmeno pensarci. Forse però in fin dei conti era l’unico ad essere sicuro di cosa avrebbe fatto Madeleine.
«Perché dobbiamo chiarire una cosa», riuscì a dire il moro, poco più di un fil di voce ad arrivare alle orecchie di Remember, la quale però oltre a scuotere appena la testa non riuscì a fare molto altro. Ma non voleva mettersi in mezzo, così annuì tra sé e gli rivolse un mezzo sorriso che Zayn ricambiò, prima di posarle un bacio tra i capelli e stringerla in un abbraccio, rilasciando poi l’ennesimo sospiro, prima di mettere i primi vestiti a caso in un vecchio zaino e andare verso l’ascensore.
«Zayn?», lo richiamò la mora mordendosi forte un labbro, facendolo voltare dopo solo pochi passi, pochi respiri, ma pur sempre troppi pensieri per la mente. «Le mancherai, lo sai?», gli chiese, raccogliendo poi le ginocchia al petto, come per difendersi da quel dolore che nemmeno era suo ma che sentiva avrebbe percepito fluire dalle parole del moro o dalle iridi della castana. Per non parlare di Skylar, ne avrebbe sentito il dolore solo sfiorandolo.
Lo vide deglutire, Remember, mentre cercava le parole.
«Prenditi cura di lei, okay?».
E guardandolo voltarsi e ricominciare a camminare, la ragazza riuscì solo a mormorare un “certo”, sperando che mentre la lasciava sola almeno l’avesse sentita soffiare quella promessa, perché nonostante la facciata da stronza, Remember si sarebbe impegnata a mantenerla con tutta se stessa.
Ed era tutto un gioco di promesse. Mantenute, non mantenute, da mantenere. Era tutto un gioco in cui Remember prometteva di proteggere, Zayn prometteva con gli occhi di tornare, Skylar provava a promettersi che non avrebbe sofferto più e Madeleine… lei era a pochi passi da un demone con le ali nere aperte e vibranti, coi muscoli della schiena tesi, una mano chiusa a pugno e le dita dell’altra mano chiuse su una sigaretta consumatasi più per inerzia che per altro. Lei, con un sopracciglio inarcato di fronte a quella reazione inaspettata, si era appena ripromessa di ricordare tutto quanto il prima possibile – in qualsiasi modo possibile.
Si fece scappare un sospiro che di rimando fece irrigidire il demone, con le ali di tenebra che gli tremavano sempre più forte e le palpebre serrate per non vedere né sentire nulla. Chiusi, i suoi occhi neri, pur di non avere la tentazione di voltarsi e guardarla e perdersi completamente col desiderio di non ritrovarsi più. Perso tra i propri pensieri – autodistruttivi – però, non si accorse del paio di passi o di più che la castana mosse verso di lui, a quel punto abbastanza vicina da sfiorargli il pugno chiuso con la punta delle dita.
«Ciao…».
«Ciao, piccola».
Ancora con le palpebre abbassate e il pugno chiuso, il demone non riuscì a resistere alla tentazione di chiamarla con quel nomignolo piuttosto ridicolo per poterlo affibbiare ad una ragazza che aveva potuto avere… per quanto? Forse non abbastanza perché avesse davvero importanza e sicuramente non abbastanza perché Madeleine ricordasse la prima – o qualsiasi altra – volta in cui l’aveva chiamata così solo per sentirla ridere.
«Come stai, Sky?», gli chiese lei, continuando a sfiorargli le dita fino a fargli schiudere il pugno, intrecciarne le dita e farlo sospirare. Fino a far smettere quel paio d’ali di tremare e fino a fargli riaprire gli occhi e fargli posare di nuovo lo sguardo sulla grigia Seattle, sul pallido sole che la illuminava o su qualsiasi altra cosa non avesse quella pelle color caffelatte, quei capelli scuri o quegli occhi che altro non sembravano se non gemme preziose. «Non so perché, ma odio vederti così…».
Non so perché.
Odio vederti così.
«Sto bene, tranquilla…», provò a dire, ma ne uscì solo un sussurro, mentre provava a ricambiare la stretta della sua mano. Prese un paio di respiri profondi, prima di azzardarsi a passarle un braccio attorno alle spalle e stringersela contro facendola ridacchiare sul proprio petto. «E’ stato solo un attimo… mi hai fatto preoccupare, sai?», aggiunse a voce appena più alta ma praticamente dicendoglielo nell’orecchio, come fosse un segreto solo loro.
La ragazza annuì e basta, ricambiando l’abbraccio e alzandosi in punta di piedi per posargli un bacio sulla mascella ancora contratta. Non poté far altro che provare a credergli; non poteva immaginare come stesse davvero Skylar, né tutto il dolore che si portava dietro da anni, né tutta quella gelosia nei suoi confronti, nascosta bene, anche se a stento. Non immaginava quanto sforzo costassero al demone quel mezzo sorriso o quell’abbraccio, né poteva capire quanto più in fretta stesse battendo il suo cuore mentre la teneva più stretta possibile, respirandola come se non fosse mai stato costretto a lasciarla.
«Ci saremmo rivisti comunque, Sky», mormorò lei di rimando, ancora con le labbra a contatto con la pelle del suo viso. E con una punta di malinconia nella voce che per quanto ci provasse non riuscì a nascondere, non in quel momento e soprattutto non a lui. Skylar sarebbe riuscito a leggerla anche se le pagine si fossero attaccate le une alle altre per l’umidità; sarebbe riuscito a capirla solo guardandola con la coda dell’occhio o solo sfiorandola in punta di dita. «Ti voglio bene».
Un colpo al cuore. «Anch’io, Mad…». La bugia più grande di tutta un’esistenza.
Ma riuscì a fingere un sorriso quando al contrario dentro di sé stava crollando, Skylar. Riuscì a continuare a respirare, mentre gettava il mozzicone della sigaretta ormai spenta a terra e tendeva una mano a Madeleine per riportarla dentro. Riuscì a non sprofondare, mentre lanciava un’occhiata puramente masochistica alla propria mano intrecciata a quella più piccola di quell’anima che amava fin troppo. E riuscì a non rovinare ogni cosa, a stare a distanza, a non amarla come avrebbe voluto davvero.
E mentre Skylar riusciva a fingere di sopravvivere, Madeleine lo guardava fingendo di credere che stesse davvero bene come le aveva detto di stare. In realtà non era tanto stupida da crederci, se gli occhi che la guardavano non brillavano come le braci dell’inferno da cui provenivano o se mormorava di stare bene senza nemmeno provare a crederci lui stesso. Mentre Skylar provava a convincersi di non sentire niente tenendola per mano, Madeleine si bloccò all’improvviso col labbro incastrato tra i denti alla vista di Remember – solo Remember – seduta sul bordo del letto con le ginocchia al petto mentre canticchiava una melodia che lei non fece fatica a riconoscere ma che non riuscì a ricordare dove e quando l’avesse sentita.
La castana inarcò un sopracciglio, incrociando lo sguardo dell’altra ragazza.
«Zayn?».
«Credo che non lo vedremo per un paio di giorni», le rispose schietta la mora, con un velo di dispiacere che però lei non riuscì a cogliere. Osservò Madeleine schiudere le labbra ma non riuscire a dire nulla, mentre la confusione le si dipingeva addosso come pittura su una tela vuota. La osservò lanciare un’occhiata a Skylar, che però scosse la testa, lasciandole la mano e borbottando qualcosa tra sé che somigliava terribilmente all’accenno di una risata amara e arresa.
«Credi?», riuscì a ribattere la ragazza, cercando di non impazzire.
«Già, credo… e non ti piacerà dov’è andato…». Le ginocchia sempre più schiacciate contro il petto come uno scudo al dolore che poteva vedere formarsi nelle iridi dell’altra a mano a mano che i secondi scorrevano inesorabili. Vide la consapevolezza farsi spazio, col dolore e la preoccupazione e un familiare senso di mancanza – già visto di vita in vita negli occhi di Zayn e nei suoi gesti e nel tono di voce, ogni volta che le perdeva o che non poteva averla. «E’ da Harry», disse piano, tanto piano che Madeleine fece fatica a sentirla, anche se lo sapeva già. Quando però il demone si aspettava di vederla crollare, lei si limitò a lasciar andare uno sbuffo e a sederlesi accanto posandole la testa sulla spalla.
In cerca di conforto, e come se fosse il gesto più naturale di sempre.


 




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Capitolo 6
*** 6. Can I trust you? ***


Deeper. // Capitolo 6. – “Can I trust you?”



 
L’ultima cosa che si sarebbe aspettato di sentire era il suono penetrante e fastidioso del campanello. Dopotutto era un angelo invisibile sotto al caldo sole di Los Angeles, e gli unici che avrebbero potuto aver bisogno di lui erano angeli anch'essi, quindi non c’era bisogno che lo facessero alzare dal divano per farsi aprire; un angelo sarebbe entrato e basta, nell’appartamento di un altro angelo. Ed era quasi certo non potesse essere un demone, perché l’unico che sarebbe potuto comparire una volta aperta la porta doveva essere lontano, con la donna che entrambi amavano da secoli.
Ma forse Harry aveva fatto male i conti, quando al secondo suono del campanello riuscì ad alzarsi dal divano e a camminare verso l’ingresso con la camicia sbottonata e una mano incastrata tra i capelli ricci. Gli occhi rossi contornati da profonde occhiaie violacee e le labbra distrutte dai morsi erano solo un effetto collaterale dell’aver lasciato andare volontariamente l’unica ragazza che fosse mai riuscito ad amare. Madeleine gli mancava come l’aria, ma in una situazione come quella doveva tenerla lontana, anche a costo di lasciarla andare con un demone. anche a costo di percepirli fare l’amore a centinaia di chilometri di distanza, morendo dentro un secondo dopo l’altro.
E forse Harry aveva davvero fatto male i conti, mentre borbottava qualcosa di poco comprensibile persino alle proprie orecchie e apriva la porta di ingresso con uno sbuffo annoiato e infastidito. Davanti a sé, l’ultima persona che i propri occhi avrebbero dovuto vedere, anch’egli con le labbra torturate dai morsi e le occhiaie violacee che spiccavano intorno ai suoi occhi scuri; anche lui trasandato, spettinato, infastidito. Forse Harry aveva fatto male i propri conti, o non si sarebbe trovato di fronte proprio l’unico demone che sarebbe dovuto essere altrove, lontano anni luce da lì.
Zayn non aveva più alcuna luce negli occhi da quando aveva chiesto a Remember di prendersi cura di Madeleine ed era volato via senza nemmeno salutare. Non aveva dormito, da quel momento. Aveva a malapena messo qualcosa sotto i denti, dal momento in cui aveva dovuto lasciare Madeleine - senza salutare per il semplice motivo che lei l'avrebbe fermato, gli avrebbe sfiorato il viso, avrebbe sussurrato qualche parola e lui si sarebbe dimenticato di tutto pur di non lasciarla. Sapeva che sarebbe successo, era inevitabile. Ed era il motivo per cui era praticamente scappato come un criminale. Zayn era come... svuotato. Come se facesse fatica a respirare, a restare in piedi. Come facesse fatica a vivere, lontano da lei.
Zayn aveva gli occhi stanchi, il viso stanco, le labbra rovinate e la barba incolta. Zayn era spettinato, col respiro lieve e stanco, quasi uno sbuffo diretto in pieno viso dell'angelo. Zayn aveva ancora le ali aperte dal lungo volo, le piume in disordine, fredde e umide di pioggia per aver volato tanto in alto. Aveva addosso una felpa aperta su una canottiera nera e un paio di jeans stretti che avevano visto giorni migliori.
Zayn era semplicemente stanco. Esausto.
E Zayn guardava negli occhi verdi di Harry sperando di non trovarci quel dolore che invece c'era. Guardava in quegli occhi sperando che Harry fosse solo arrabbiato e sorpreso di vederlo lí, nell'ultimo posto dove effettivamente sarebbe dovuto essere. Perchè dal suo punto di vista l'angelo dai capelli ricci non avrebbe dovuto avere tutto quel dolore nelle iridi; non avrebbe dovuto soffrire dopo aver trattato in quel modo Madeleine. Non aveva alcun senso che si sentisse in colpa... non doveva sentirsi in colpa, significava che ci teneva ancora, che la amava ancora, e in quel modo Zayn vedeva i suoi progressi sfumare nel tempo in cui avrebbe potuto battere le palpebre.
E aveva ragione, Zayn.
La sorpresa negli occhi di Harry era evidente ed era normale che ci fosse. Sorpreso di vederselo di fronte quando pensava di non rivederlo per parecchio, forse mai più. Sorpreso di vedere quella stanchezza sotto ai suoi occhi castani, perchè sembrava come se gli mancasse un pezzo lontano da Madeleine - e lui poteva capirlo più di chiunque altro al mondo. Sorpreso dalla leggera rabbia che poteva intravedere nel tremito delle sue ali nere perchè, diamine, doveva essere lui quello arrabbiato! Zayn era fuori dal suo appartamento con l'atteggiamento di uno che avrebbe davvero dovuto essere lì. E, cazzo, lo stava prendendo in giro?
«Che ci fai tu qui?». La voce dell'angelo sembrava essere impregnata dalla stessa rabbia che gli faceva stringere i pugni fino a far sbiancare le nocche e che faceva vibrare l'aria intorno a lui, tesa per via delle sue ali che bramavano di essere spiegate, di tremare, di attaccare. E ad ogni parola Harry gli stava più vicino, fino a trovarglisi ad un palmo dal naso - tanto vicino da prenderlo per il colletto della felpa e spingerlo poco delicatamente contro il muro, abbastanza forte da fargli contrarre la mascella per il dolore, ma più che altro per impedirsi di attaccarlo. «Tu, dovresti essere lontano da qui, con Madeleine... dovresti proteggere Madeleine», gli disse con astio, con le ali bianche finalmente spiegate, tremanti contro quelle inerti del demone.
«Lei ha pianto per te, è stata male per te, non ha dormito per colpa tua ed è riuscita a stento a respirare senza di te... e tu vieni a dire a me che dovrei proteggerla?». Se all'inizio la voce del demone era stata pacata a tranquilla, di parola in parola si era alzata, improvvisamente arrabbiata, colma di rancore. Harry lo stava davvero incolpando di non essere con lei quando lui era stato il primo ad allontanarsi e a gettarla via come fosse spazzatura? «Tu l'hai paragonata ad Akielah, cazzo! L'hai distrutta, Harry! Non hai il diritto di venirmi a dire che dovrei essere con lei e proteggerla, quando tu sei il primo che non l'ha fatto...», esclamò a voce sempre più alta, spingendolo abbastanza forte da farlo allontanare e lasciando che le proprie ali vibrassero e brillassero di buio, mentre difendeva l'unica donna che avesse mai amato incondizionatamente, l'unica che entrambi avessero mai amato.
«Pensi che ci abbia trovato gusto a darle della puttana, Zayn? Davvero?».
«Di certo lei non ci ha provato gusto a sentirselo dire... perchè, poi?».
«Perchè era l'unico modo per tenerla al sicuro...», riuscì a mormorare il riccio dopo aver preso un respiro profondo.
Zayn lo osservò fare qualche passo all'indietro e lasciarsi scivolare esausto contro lo stipite della porta; lo osservò prendere un respiro profondo e lasciarselo scivolare dalle labbra, terribilmente stanco e improvvisamente senza forze. Il moro schiuse le labbra e abbassò le palpebre per qualche istante, pensando a quella risposta, sussurrata perchè urlargliela contro sarebbe stato troppo faticoso per le sue membra stanche.
«Harry...».
«Era l'unico modo per allontanarla da me e dai Nephilim, l'unico modo per tenerla viva, anche se lasciarla tra le tue braccia è stata la cosa più dolorosa che potessi fare...». L'angelo fece una pausa, prendendo un respiro profondo e passandosi una mano prima sugli occhi e poi tra i capelli, prima di tornare a guardare l'altro, scivolato anch'egli lungo la parete. Occhi negli occhi, separati dalla distanza di qualche metro appena ma uniti come non mai dal dolore di Madeleine. «Farle male, distruggerla... è l'unico modo che ho trovato per salvarla, e se salvarla vuol dire lasciarla con te sempre, allora la lascerei stare con te, sempre Zayn», aggiunse accennando un sorriso - che in qualche modo riuscì a celare il profondo dolore che macchiava i suoi occhi verdi.
E il demone forse se l'aspettava, ma sentirselo dire rischiando di affogare nel suo dolore senza riuscire a tornare a galla era troppo da sopportare. Anche se erano in competizione da sempre, e anche se il dolore di Madeleine aveva rischiato di ucciderlo. Zayn in qualche modo lo capiva, capiva perchè l'avesse fatto, per qualche assurdo motivo; di certo non l'avrebbe giustificato, ma lo capiva. «Io non l'avrei fatto...», ammise il moro in un soffio. Appena udibile perchè lui lo sentisse. E, davvero, lui non l'avrebbe fatto... lui, egoisticamente, non l'avrebbe lasciata andare con Harry.
«Il solito egoista, no?».
«Tipico dei demoni, giusto?».
Harry si concesse una mezza risata, seppur stanca, prima di tornare a guardare l'altro negli occhi e vederci un briciolo di serenità. Solo un briciolo, ma abbastanza per fargli desiderare di essere lui, abbastanza da sentire i rimorsi e i sensi di colpa per aver ferito Madeleine ingigantirsi fino a stringergli il cuore in una morsa, fino a desiderare di essere inghiottito dall'inferno - perchè era quello che era diventato, un angelo all'inferno.
Si concesse l'accenno di una risata, prima che Zayn pronunciasse le parole che sperava di sentire da quando gli aveva aperto la porta. Quelle parole in cui davvero aveva sperato, perchè se Madeleine fosse rimasta da sola solo perchè a lui era venuto in mente che gli serviva una spiegazione... non se lo sarebbe perdonato, mai e poi mai, non importava quante altre vite sarebbero trascorse.
«Sky e Rem sono con lei...», ammise finalmente, posando la testa contro il muro e passandosi velocemente la lingua sulle labbra. Come stesse recuperando le forze, riprendendo fiato. O forse come stesse prendendo coraggio per dire le parole che l'avrebbero distrutto. «Credi davvero che avrei potuto lasciarla sola?», gli chiese, leggermente ironico, prima di alzarsi dal pavimento e tornare da dov'era venuto.
Le sue risposte le aveva avute. Di dolore in quegli occhi verdi ne aveva visto abbastanza. Non restava che chiudere gli occhi, riaprire le ali e tornare dall'unica persona dalla quale non sarebbe più voluto scappare. Non restava che farsi portare dal vento fino a Madeleine, come un demone in paradiso.
La castana si era legata i capelli in una coda alta giusto per tenere occupate le mani e per evitare che le tremassero. Non riusciva a smettere di tremare di impazienza quasi quanto non riusciva a smettere di camminare avanti e indietro per il vecchio parcheggio sotterraneo; le sue vecchie scarpe da ginnastica ne avevano calpestato ogni centimetro pur di tenersi occupata, pur di non mettersi a pensare a come Zayn l'avesse lasciata in quel modo con una ragazza che la odiava ed un ragazzo che probabilmente la amava senza nemmeno avvertirla che sarebbe partito... senza nemmeno salutare.
Aveva addosso un paio di vecchi pantaloncini da basket che Skylar aveva portato da Los Angeles e una delle magliette larghissime che aveva comprato con Zayn il giorno che avevano fatto shopping insieme, il giorno che poi avevano finito per amarsi su quel vecchio materasso dalle lenzuola logorate dalle tarme. Le scappò un mezzo sorriso ripensando a quella notte, a come le ali del demone che amava così tanto da tremare quando lui non c'era si fossero schiarite, illuminate di paradiso - in qualche strano modo che ancora non era riuscita nemmeno lontanamente a capire.
E quasi rise, al rendersi conto che sembrava passato un secolo da quel giorno, quando in realtà era solo qualche giorno. Eppure le sembrava davvero che fosse successo in un'altra vita, quasi come non fosse stato reale averlo toccato in quel modo o essersi lasciata toccare così; quasi come fosse un ricordo lontano che però non riusciva a togliersi di mente, che non riusciva a smettere di rivivere ogni volta che abbassava le palpebre e automaticamente si lasciava andare ad un sorriso e al conseguente sospiro che puntualmente le sfuggiva senza che riuscisse a fermarlo.
Stava ripensando alla dolcezza con cui Zayn l'aveva svegliata la mattina successiva, sdraiato su di lei ma senza pesarle, scostando il lenzuolo bianco a mano a mano che le sue labbra scendevano di bacio in bacio più in basso lungo la sua pelle. Dalla sua gola, lungo i seni e giù fino all'ombelico, prima di tornare su al sentirla ridacchiare e posarle un bacio più lungo direttamente sulle labbra. Il leggero "buongiorno" che poi le era arrivato alle orecchie - terribilmente roco e sensuale - l'aveva fatta sciogliere completamente mentre lo tirava a sè per un altro bacio.
Non riusciva a smettere di pensarci. Non riusciva a smettere di sorridere.
«Ci stai ripensando, ancora», la prese in giro Remember mentre un passo dietro l'altro la raggiungeva quasi senza accorgersene. La guardò, Madeleine, e capì a giudicare dal sorriso che la mora le rivolse che forse non la odiava... forse non l'aveva mai fatto, forse non era odio ma qualcos'altro. Eppure, la stava trattando bene, tutta sorrisi, abbracci e occhiate leggermente maliziose quando finivano per parlare di Zayn. «Non ti biasimo, lo sai... insomma, Zayn è una bomba a letto», aggiunse ridacchiando.
La castana però si irrigidì, mentre finalmente le mani smettevano di tremarle e le si stringevano in due pugni. Forse si sbagliava, Madeleine. Remember doveva odiarla davvero, se le aveva appena rivolto le ultime parole che avrebbe voluto sentire, capendo anche - in un battito di ciglia - di essere inequivocabilmente gelosa di Zayn. Il demone osservò la ragazza prendere un respiro profondo e serrare la mascella, mentre le veniva da ridere.
«Davvero?». Un soffio portato dal vento.
Il demone scoppiò a ridere di fronte a quella reazione, scuotendo poi la testa, tirandosela più vicina e aiutandola a sedersi sul bancone del cucinotto. «Stavo scherzando, angelo», le disse giocosamente posandole un bacio rassicurante sulla tempia che le fece esalare un sospiro di sollievo, prima che potesse concedersi un sorriso e darle un gomitata nel fianco che la fece scoppiare a ridere di nuovo. Divertita da quella gelosia tanto da non poter fare a meno di ridere. «Io non avrei mai potuto... non con Zayn comunque».
E la ragazza al suo fianco si morse un labbro, di nuovo a disagio davanti a quelle insinuazioni. Di nuovo gelosa, col sangue a ribollirle nelle vene come lava. Di nuovo con una strana freddezza negli occhi castani che fece sorridere Remember di quel sorriso vero che di solito regalava solo ad una persona, solo a Cherubiel. «E' ovvio che io non pensassi che potesse essere stato solo con me in centinaia di anni, okay... è solo che... fa male pensare che lui possa aver toccato o baciato chiunque altra come tocca o bacia me, Rem».
«Lo so, piccola...».
«Con chi...?».
Madeleine si morse il labbro per impedirsi di continuare la frase, ma alle orecchie del demone al suo fianco era già abbastanza chiaro cosa volesse dire. Con chi è stato. Chi si è scopato. Comunque la si mettesse o qualsiasi parole si usassero il risultato non sarebbe cambiato, lei voleva solo sapere chi avrebbe dovuto guardare con occhi diversi da quel momento in avanti. Perchè l'avrebbe sicuramente fatto, avrebbe cambiato modo di guardare chiunque fosse stata con Zayn, chiunque fosse.
«Kismet, più che altro... e poi c'è sempre stata Helena», aggiunse la mora dopo qualche secondo, osservando attentamente la reazione dell'altra, cercando di capire se avesse detto troppo, se magari sarebbe stato meglio tenere la bocca chiusa e cambiare discorso. Madeleine sembrava più che altro confusa, a giudicare dalle sopracciglia aggrottate e dal labbro inferiore stretto tra i denti; sembrava più che altro che stesse cercando di ricordare dove avesse già sentito quel nome, sembrava fosse come se le si fosse accesa una lampadina. «Comunque... non era questo che volevo dirti».
La ragazza rilassò il viso, passando in un batter di ciglia dalla confusione alla curiosità. Si passò rapidamente la lingua sulle labbra, prendendo un respiro profondo a cercando di scacciare la brutta sensazione che l'aveva colpita in pieno insieme alla gelosia quando Remember aveva nominato quella ragazza... il nome non le era nuovo, ed era come se dentro le si fosse acceso qualcosa, ma proprio non sapeva che viso associare a quel nome nè riusciva a collocare quello stesso nome ad un periodo in cui doveva sicuramente averla conosciuta.
Evitò di chiedere però. Era quasi sicura che se quella ragazza era stata importante per Zayn prima o poi sarebbe saltata fuori anche in quella vita; quasi sicura che chiunque quella Helena fosse, dovesse significare qualcosa anche per lei, o Remember non l'avrebbe nemmeno nominata... non fosse stata importante la mora non avrebbe nemmeno aperto il discorso.
«Cosa volevi dirmi?».
«Volevo dirti che mi dispiace, Maddie...». Ed era l'ultima cosa che Madeleine si aspettava Remember potesse dire. Non tanto per il diminutivo - che le fece ricordare la sua stessa voce chiamarla nello stesso modo, diverse vite prima. Più che altro non si aspettava che potesse scusarsi, anche perchè non capiva il motivo di quelle scuse. Forse era per qualcosa che non ricordava. «Io... ti ho sempre trattata di merda, vita dopo vita, e lo so che è praticamente impossibile che tu mi perdoni, ma volevo comunque... scusarmi, perchè non ti meriti la vita che hai e non ti meriti che ci sia io sempre intorno a metterti i bastoni tra le ruote».
Ti ho sempre trattata di merda. La ragazza annuì appena, come ad incitarla a continuare, prendendole la mano e stringendogliela mentre lei prendeva un respiro profondo e si impediva di scoppiare a piangere. Non voleva mostrarsi debole, non voleva che Madeleine la compatisse. E del resto la castana non voleva che piangesse, per quanto volesse una spiegazione a quelle scuse.
«Sono sempre stata invidiosa di te e di Zayn... voi due vi siete amati vita dopo vita, non vi siete mai arresi, e io ho sempre voluto qualcuno che provasse ad amarmi almeno la metà di come lui ama te». Il demone fece una pausa, stringendo più forte la mano dell'altra e cercando di cacciare indietro le poche lacrime superstiti e di non pensare nemmeno per sbaglio a Cherubiel. «Voi due mi ricordate la mia storia con lei e...». Le sfuggì un singhiozzo prima che potesse fermarlo con la mano libera, le sfuggì il dolore che cercava di tenere al proprio posto per non crollare e le sfuggì una lacrima sulla guancia leggermente arrossata - bollente contro la pelle fresca.
«Rem, shhh... non piangere, ti prego». Maddie, shhh... non piangere, ti prego. Sembrava quasi un deja-vu, come se le parole che aveva appena sussurrato al demone abbracciandola stretta le fossero state sussurrate da labbra che non ricordava, in un tempo troppo lontano perchè riuscisse a rammentarsene. «Calmati, tesoro», aggiunse in un soffio accarezzandole i boccoli e continuando a stringerle la mano, cercando di calmarla e farla smettere di piangere.
Il demone provò ad annuire, anche se poco convinta. «E' solo che lui non ti ha mai fatto del male, io volevo solo qualcuno che facesse lo stesso con me...». E te la sei presa con me, avrebbe voluto dire Madeleine, ma al contrario non disse nulla. La sua voce era spezzata come lo era il suo povero cuore, a stento sarebbe riuscita a respirare, se la castana non avesse preso ad accarezzarle la schiena in piccoli cerchi, senza smettere fino a che non la sentì riprendere a respirare normalmente, fino a che non smise di piangere.
«Va meglio?».
L'altra annuì appena, tirando su col naso e passandosi poi una mano tra i capelli, tentando un sorriso che portò Madeleine a stringerla anche più forte, prima di posarle un bacio su una guancia e asciugarle delicatamente le lacrime dalle guance coi pollici. «Mi dispiace così tanto di averti fatto del male...». Si bloccò ancora, Remember, fermata dal sopracciglio inarcato dell'amica. E' solo che perdere lei mi ha fatto capire che nessuno si merita quel dolore, nemmeno tu, nemmeno Zayn.
«Se può farti sentire meglio, mi ricordo ancora troppo poco di te per odiarti», scherzò Madeleine guardando in quegli occhi celesti ancora lucidi di lacrime. Riuscì a farla sorridere, anche se solo per un attimo. Riuscì a spazzare via la tristezza dalla sua pelle con una semplice carezza che nemmeno credeva di poterle regalare.
«Se può farti sentire meglio, ho sempre tifato per Zayn», le disse il demone di rimando, facendo scoppiare la ragazza a ridere, gli occhi lucidi di ironia e il labbro stretto giocosamente tra i denti - come faceva sempre anche Zayn stesso quando rideva. «E puoi fidarti di me, okay?».
«Okay, Rem».
A Skylar veniva da ridere a sentirle parlare così.
Remember era sempre stata la più stronza nei suoi confronti, ed era sempre andato bene a tutti; insomma, il demone l'avrebbe volentieri uccisa ogni volta che la sentiva parlare male della donna di cui era innamorato, ma la mora era fatta così e col suo carattere di merda non ci si poteva fare nulla. E Madeleine l'aveva quasi sempre sopportata a stento, eppure in quel momento la stava rassicurando, abbracciando, le stava asciugando le lacrime e anche se pareva incredibile la stava perdonando per qualcosa che ancora non riusciva a ricordare del tutto - o che non aveva ricordato per nulla.
E a Skylar veniva solo da ridere a sentirle parlare così. Anche se probabilmente era colpa - o merito - dell'alcool e gli sarebbe venuto da ridere anche per la minima stronzata accaduta chissà dove sulla faccia della terra. A lui veniva da ridere perchè davvero non poteva credere alle proprie orecchie, perchè davvero Remember non si sarebbe dovuta scusare e non avrebbe dovuto piangere e non avrebbe dovuto pensare a Cherubiel perchè, cazzo, gliel'aveva promesso. Gli veniva da ridere per la gelosia di Madeleine nei confronti di Zayn, per il fatto che non riuscisse a smettere di pensarci e per la consapevolezza che Madeleine non l'avrebbe mai amato come lui non riusciva a smettere di amarla.
E rise forte, nel silenzio del parcheggio abbandonato. Rise forte, noncurante del fatto che le due ragazze l'avrebbero sicuramente sentito. Rise e basta, prima di inciampare nei propri piedi e cadere sul cemento grigio imprecando a mezza voce, ma abbastanza perchè le due ragazze poco lontane si irrigidissero. Rise, imprecò e subito dopo pianse fino a sciogliersi in singhiozzi, Skylar.
Non avrebbe voluto piangere. Non doveva piangere.
La sua risata era da far venire i brividi lungo la schiena. E Madeleine in effetti prese a tremare non appena la sentì, credendo che fossero i Nephilim. Credendo che chiunque fosse, fosse lì per ucciderla, per rapirla, per negarla a Zayn. Prese davvero a tremare come una foglia, mentre anche Remember si irrigidiva ma continuava ad accarezzarle i capelli cercando di calmarla. Poi però lo sentirono imprecare, e la mora scosse la testa prendendo poi un respiro profondo e lasciando un bacio leggero tra i capelli della castana.
«E' solo Sky... ci penso io, okay?».
La voce le si ruppe mentre scendeva con un saltello dal bancone pronunciando il nome dell'amico, e Madeleine si morse un labbro per non fare la stessa cosa, per non correre dal demone e aiutarlo - ma sapeva che avrebbe solo peggiorato le cose. La mora era abituata a vedere Skylar in quello stato, abituata a doverlo risollevare quando si ubriacava, abituata a stringerlo a sè e sussurrargli che sarebbe andato tutto bene tenendogli il viso tra le mani e guardandolo negli occhi neri come il buio, come il cielo di una notte senza stelle, come l'inferno da cui provenivano entrambi. Era abituata a tenerlo lontano da Madeleine quando crollava, abituata a tenere lei a distanza perchè non si facesse del male vedendolo in quello stato per colpa sua - perchè non si facessero del male a vicenda.
Abituata ad inginocchiarglisi di fianco - con le ginocchia nude sul cemento freddo e ricoperto di vecchia polvere grigia come del resto lo era tutto lì dentro. Abituata a sussurrare il suo nome per attirare la sua attenzione, a sprofondare in quegli occhi neri, ad asciugargli le lacrime e a sussurrare «Va tutto bene, piccolo» abbracciandolo stretto mentre lui continuava a piangere tra i suoi boccoli neri. Abituata a sentirlo sussurrare «La amo così tanto che mi sembra di morire», ogni volta come fosse la prima.
E come Remember era abituata a sorreggere Skylar quando crollava, Madeleine in qualche modo sembrava essere abituata a sentirsi in colpa. Abituata a sospirare, passarsi una mano tra i capelli e osservare l'altra lasciarla da sola quando succedeva. Abituata a cercare di ricordare perchè si sentisse in colpa o perchè Skylar crollasse.
Abituata... ma distratta dagli occhi nocciola di Zayn improvvisamente nei propri. Distratta dalla sua figura stanca ma leggermente sorridente, distratta dalla sua mano inaspettatamente sulla propria guancia, mentre apriva e chiudeva la bocca - sorpresa - cercando di dire qualcosa, cercando di non fermarsi troppo a fissare le sue labbra rovinate dai morsi o i suoi occhi che sembravano chiedere scusa solo fermandosi nei propri. Cercando di tenere le mani al proprio posto per non toccarlo, per non tirarselo contro, abbracciarlo stretto e chiedergli di baciarla. Cercando di non far vedere quanto gli fosse mancato.
«Piccola, scusa...».
Un sussurro più lieve del vento. Un sussurro che la ragazza fece spegnere contro le proprie dita, ferme sulle sue labbra, a sfiorarlo quando si era ripromessa di non farlo, a sentirlo proprio solo grazie a quelle due dita quando avrebbe voluto avere la forza di spingerlo, urlare e rimproverargli di essere sparito senza nemmeno degnarsi di salutarla. Un sussurro che le solleticò le orecchie come una carezza e che le fece sentire la solita sensazione allo stomaco che non riusciva a smettere di provare quando lo sfiorava.
Un sussurro che era come le la stesse pregando di non limitarsi a sfiorargli le labbra - come se la mano che mosse verso il suo petto, posata direttamente sul suo cuore e quasi senza farlo apposta, si fosse mossa perchè gliel'aveva chiesto Zayn mormorando le sue scuse. E un sussurro che lei ricambiò ancora più lievemente, quasi come un brivido che le scivolò dalle labbra rosa e finì portato dal suo respiro dritto sulla nuca del demone, pronto a scivolargli lungo la schiena e poi a sparire come non fosse mai esistito.
«Posso fidarmi di te?», gli chiese, guardandolo negli occhi per capire dalla luce leggera nelle sue iridi se stesse mentendo o se potesse davvero fidarsi di lui con anima e corpo. Non che prima non si fidasse... solo, vederselo scivolare dalle dita le aveva fatto capire che per quanto potesse amarlo e per quanto potesse essere amata da lui, ci sarebbe sempre stato un minimo spiraglio di perderlo, ed era l'ultima cosa che voleva.
Il demone annuì appena, lo sguardo addolcito da quella richiesta fatta con un filo di voce, quasi come Madeleine avesse avuto paura di chiedere - quasi come se, se l'avesse detto a voce più alta, Zayn avrebbe potuto rispondere in modo diverso. O quasi come dicendolo a voce alta rendesse tutto più vero, o rendesse meno vera la sua risposta, mormorata anch'essa come fosse il loro piccolo segreto. «Certo», le sussurrò contro le labbra, dopo aver intrecciato le dita della propria mano con quelle della castana, ancora posate sul proprio cuore. «Certo che puoi fidarti di me, piccola», mormorò ancora, come stesse morendo in quel sussurro, come stesse morendo sulle sue labbra.
Come volesse morire baciandola.




 

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