Questione di regole e di comportamento

di tonksnape
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


CAPITOLO 1

 

La bottiglia di vino finì insieme alle altre nel catino di metallo che qualcuno, forse Sae, aveva lasciato a fianco del divano, proprio dietro il cuscino sul quale appoggiata la testa. Chiuse gli occhi chiedendosi, come tante altre volte, se aveva poi senso riaprirli dopo una dormita.

Era la domanda che si faceva da anni, da oltre 25 anni.

A 16 anni, se mai avesse bevuto fino ad ubriacarsi, sua madre la bottiglia gliela avrebbe spaccata sulla testa. Senza alcuna spiegazione ulteriore. Poi lo avrebbe medicato in silenzio. Ma allora era l’idea di finire chiuso nelle miniere del Distretto 12 che appariva come un destino inevitabile, con quel cappio infernale della nomina a Tributo che accompagnava le giornate di tutti i giovani del Distretto tra i 12 e i 18 anni.

L’inferno si era aperto con violenza con la nomina agli Hunger Games e poi con la morte di sua madre, di suo fratello e della sua ragazza. Vincere era stato un incubo, fare il mentore era stato un incubo, vedere morire ogni anno i ragazzi del Distretto 12 era stato un incubo, il rischio di perdere Katniss e Peeta per due anni consecutivi era stato un incubo.

Haymcith imprecò con rabbia, mitragliando insulti mentre picchiava il divano. Con un’ultima imprecazione si mise seduto, a testa tra le mani e i gomiti sulle ginocchia. Neppure se fosse stato pieno di vino da vomitare sarebbe riuscito a fermare quei pensieri, si consolò.

“Serve aiuto?”

Haymcith alzò di scatto la testa guardando davanti a sé.

“Ciao.”, gracchiò strascicando come il solito le parole. “Aiuto per cosa?”

“Per trovare altre imprecazioni.”

Johanna lo fissò per un attimo, stirò la bocca in un sorriso ironico e si lasciò cadere sulla poltrona alla sua sinistra, buttando le gambe oltre il bracciolo.

“Si, accomodati pure.” Haymcith le indicò la poltrona nella quale si era immersa, guardandola con disgusto. “Pensi di riuscire ad essere educata ad un certo punto?”

“Scusa, credevo che la scortesia fosse regola a casa tua.”

“Esattamente. Sono a casa mia, non ho invitato nessuno e posso fare quello che voglio, carina.” Parlando si alzò in piedi e barcollò verso la porta della cucina. “Vado a prendermi a mangiare. Serve qualcosa?”

“Alcool anche per me, grazie.”

“Non bevo da almeno sei settimane”

“Hai appena lanciato una bottiglia nel cestino di latta, idiota!”

“Era vuota da settimane. Era finita sotto il cuscino. Ho smesso. Per adesso.”

“Oh,” commentò Johanna. “Io ci provo da settimane con la mia droga chimica…” Gli occhi sembravano lucidi di lacrime trattenute. Haymitch la guardò sentendo il dolore scendergli nelle vene, ma con la solita espressione di indifferenza. Rimase un attimo indeciso su cosa fare, ma poi entrò in cucina. Un gesto di affetto con Johanna era un pugno assicurato.

“Hai almeno fatto visita ad Annie?” gli urlò dalla poltrona la donna.

Haymitch prese un pezzo di pane di Peeta. Era morbido e integro. Come il solito era entrato in silenzio e glielo aveva lasciato, pronto per essere mangiato. Lo ringraziò mentalmente, anche se in effetti il ragazzo gli doveva la vita, dopo tutto.

“No,” latrò alla poltrona.

“Stronzo.” Decretò Johanna. “Decisamente scortese.” Aggiunse per essere precisa.

Si limitò a guardarla masticando il pezzo di pane, ancora in piedi. Johanna distolse lo sguardo e fissò oltre il vetro della finestra, verso il giardino. Lì in qualche stanza, da Katniss e Peeta, Annie era distesa a letto in attesa di partorire.

“E’ bella così grossa e sorridente. Sembra anche più presente a se stessa, più spesso, intendo.”

Silenzio.

“La invidio tanto da sentirmi quasi in colpa.”

“Vorresti un figlio?”

“Ti offri volontario?”

“Anche no, grazie.”

Johanna si girò a guardarlo. Ridacchiando.

“Non hai mai evitato di guardarmi nuda, mi pare.”

Haymitch le sorrise di rimando, alzando un sopracciglio.

“Ti offri volontaria?”

“No, grazie.” Gli fece una smorfia di disgusto. “Mi hai lasciata nelle mani di quel bastardo un po’ troppo tempo, non meriti un premio.”

Si guardarono con una smorfia.

Haymitch non sentiva alcuna colpa per il tempo che Johanna e Peeta avevano passato a Capitol City dopo la cattura. Si erano mossi dal Distretto 13 quando le probabilità di successo erano maggiori, altrimenti il rischio di un massacro sarebbe stato enorme. Johanna lo sapeva. Era una combattente.

Haymitch la guardò. Johanna era una bella donna, anche con i segni del dolore che le solcavano il corpo. Tonica, forte, scattante. Ma erano amici da anni e pensare di poterci andare a letto lo lasciava indifferente. A dire il vero da un po’ di tempo non pensava di andare a letto con qualche donna. Quasi.

“Stai fissando il vuoto, come un pazzo.”

Haymitch si riscosse. Stava guardando Johanna, ma non la vedeva.

“Beh, è quello che sono.”

“Secondo me ti piace essere considerato un povero derelitto disgraziato. Così non devi fare altro.”

Haymitch la guardò con gli occhi socchiusi. Ecco un motivo per non amare quella donna. Riusciva a irritarlo parecchio.

“Sai che è vero.” Johanna si alzò quasi scattando, dalla poltrona e gli passò accanto dandogli un pugno al braccio.

“Piantala!” Alzò la voce, stizzito.

“Annie è l’unica a guardare al futuro adesso. Ti farebbe bene. Per questo la invidio.”

Sentì la porta aprirsi e poi richiudersi alle spalle dell’amica. Già, era qualcosa da invidiare il futuro.

 

Circa due ore dopo, mentre il sole scendeva alla sue spalle, Haymitch bussò a casa di Katniss. Sentiva parlare qualcuno oltre la porta.

Peeta gli apparve sulla soglia, con quella espressione tranquilla che aveva perso per mesi e adesso appariva sempre più spesso suo volto. Haymitch fece l’occhiolino e gli sorrise.

“Ben arrivato. Entra.” Peeta si spostò e gli fece cenno di passare verso la cucina.

Haymitch salutò con un cenno la mamma di Katniss in piedi di fronte al tavolo con le mani dentro una ciotola e vide Katniss alle sue spalle con in mano un tegame fumante. Johanna stava piegando pezzi di stoffa. Mentre lui entrava ne appoggiò uno dentro un catino quadrato e poi Katniss fece cadere l’acqua fumante sopra i numerosi pezzi di stoffa che c’erano all’interno. La madre di Katniss intanto finiva di tagliare patate.

“Ciao Haymitch.” Katniss lo fissò. Sapeva che stava controllando la sua capacità di tenuta, visto che era sempre stata scarsa.

“Sono sobrio, dolcezza.” La rassicurò.

“Bene.” Katniss si girò verso i fornello e mise sul fuoco un tegame.

“Stufato questa sera.” Gli annunciò Peeta. “Ti fermi con noi.” Non era una domanda.

“Non credo di avere alternative a casa.”

“L’ho sgridato per non essere ancora passato a trovarla.” Johanna si prese un bicchiere dal lavello e lo riempì dal rubinetto. Si girò a guardarlo dritto negli occhi.

“Anche da sobrio le tue maniere sono impossibili.”

Haymitch si girò verso Effie che era alle sue spalle, ferma al primo gradino delle scale che aveva appena sceso. Nonostante tutto ancora bionda. I capelli non erano poi così ricci da mesi, segno che le mani del parrucchiere e la chimica della permanente erano impossibili nel Distretto 12. Forse anche nell’intera Panem in quei mesi Non ci capiva nulla di acconciature. Gli occhi della donna erano aperti, luminosi. La bocca tirata dall’irritazione.

Tra tutti, ora che Panem stava cercando di risorgere dalle sue ceneri, era la più colpita da quello che era successo con la rivoluzione. Tutto il suo mondo era scomparso. Tutto il suo passato era considerato un errore. Non aveva più alcun ruolo, alcun lavoro possibile. Era sola al mondo, con la consapevolezza di essere stata dalla parte sbagliata del mondo in tutta la sua vita. Tutto il suo mondo possibile era lì in quel momento. Figlia adottiva del Distretto 12.

“Buonasera Effie.” Le disse con tono cortese, un po’ esagerato. Sapeva che la irritava. “Vedo che stai bene.”

“Buonasera.” Rispose Effie entrando nella stanza. I suoi movimenti erano aggraziati ed eleganti come sempre, vestita di stoffa luccicante di paillettes oppure di tela grezza come l’abito che indossava in quel momento. Aveva trovato un pezzo di stoffa arancione cangiante che la stringeva in vita e un pezzo più piccolo che le circondava il collo. Come ottenere molto con poco, pensò Haymitch, del tutto inconsapevole dello sguardo che le altre persone gli stavano rivolgendo. Continuò a fissarla mentre attraversava la cucina. Da quando era arrivata al Distretto 12 non aveva mai manifestato alcuna emozione, solo una adeguata cortesia e un adeguato ringraziamento con tutti. Haymitch era in attesa che quel falso equilibrio saltasse e tutta la tensione che Effie stava trattenendo uscisse come un torrente in piena. Aveva visto, negli anni, la sua capacità di affrontare le situazioni più problematiche con il migliore autocontrollo. A dire il vero molte di quelle occasioni le aveva create lui ed era troppo ubriaco per ricordare cosa fosse successo, ma c’erano persone disposte a raccontargli con dovizia di particolari tutti gli avvenimenti che lo vedevano coinvolto. Effie non gli raccontava nulla, ma Haymitch pensava di essere arrivato molte volte ben al di sopra del livello di sopportabilità della donna. Sapeva i motivi per cui lui la voleva con sé durante gli Hunger Games, ma non le aveva mai chiesto come mai lei ci fosse arrivata.

Haymitch entrò dietro ad Effie, prendendo un panino dal cestino sopra il tavolo.

“Posso fare qualcosa?”

“Aiutami a  preparare la tavola in salotto.” Peeta aprì la credenza e gli passò i piatti, poi gli appoggio sopra delle tovagliette. “Annie scende?” chiese ad Effie.

“Penso proprio di sì. Si è riposata del viaggio, mi pare.” Guardò la madre di Katniss per una conferma.

“Certo, mia cara. Vado a chiamarla io, così controllo.” Sorrise ad Effie che le sorrise di rimando e prese dalle sue mani la ciotola delle patate per aggiungerle allo stufato.

“Effie, potresti aiutarmi con queste pezze?” Johanna aveva preso in mano il catino pieno di acqua e stoffa con l’intenzione di svotarlo nel lavandino e mettere ad asciugare il tutto vicino al camino, dove era pronto uno stenditoio.

Peeta e Haymitch uscirono dalla stanza e sistemarono i posti a tavola.

 

“Annie, sei bellissima.” Haymitch la guardò sorridendo con dolcezza. “Una mamma molto bella.”

Annie gli sorrise toccandosi la pancia che le impediva di avvicinarsi troppo al tavolo. “Mi da i calci, sai?” le spiegò con quel suo tono infantile. “Proprio dei calci. Nuoterà benissimo.”

“Lo credo.” Continuò a guardare sorridendo mentre Johanna allungava la mano per sentire il bambino spingere contro la pancia della mamma.

“Non vedo l’ora che nasca. Pesa proprio tanto, adesso.” Annie sospirò. “Non è troppo grande?” chiese alla mamma di Katniss.

“No, è perfettamente normale.” Aveva bisogno di essere rassicurata spesso del fatto che tutto procedeva normalmente. Nel Distretto 4 vivevano i suoi genitori e il padre di Finnick e l’avrebbero aiutata a crescere il bambino, ma tutti e tre lavoravano nel settore della pesca per mantenersi e mantenere Annie e non potevano lasciare il lavoro troppo tempo. I genitori di Annie sarebbero comunque arrivati da lì a due giorni, per poter essere presenti al parto. “Quando aspettavo Katniss ero più o meno come te.”

“Oh… bene.” Sorrise a Katniss che la ricambiò.

Da quanto Annie era arrivata il numero dei sorrisi era salito in modo esponenziale, pensò Haymitch. Johanna aveva ragione a dire che avere un futuro era invidiabile. Faceva proprio bene a tutti. Guardò Peeta, il cui sguardo era meno sereno del solito e vide Katniss allungare la mano e stringere la sua, mentre il ragazzo deglutiva e respirava con lentezza per alcuni secondi, fino a mordersi le labbra e aprire lo sguardo al tavolo e alla sua ragazza, con un sorriso mesto. Nessun altro lo aveva notato. Haymitch scambiò uno sguardo veloce, di comprensione, con entrambi. Poi guardò Effie e la vide sorridere a Katniss con affetto. Lei lo aveva notato, allora. Effie alzò lo sguardo verso di lui e rimasero a guardarsi per pochi secondi. Effie distolse lo sguardo per prima. Haymitch si chiese se fosse arrossita, ma poi decise che era questione di luci.

Si allungò sulla sedia, con la pancia piena, i piedi sotto il tavolo e le mani nelle tasche dei pantaloni.

“Grazie per la cena, deliziosa.”

Tutti si rilassarono sulle sedie, in silenzio.

“Quando arriva Gale?” chiese Haymitch al gruppo una volta arrivati al caffè.

“Domani,” rispose Katniss prendendosi un pezzo di dolce. “Credo che sia di passaggio per andare al Distretto 5. Oppure al 7?” chiede guardando Peeta.

Peeta stava masticando e alzò la mano per confermare il Distretto 5.

“Caro ragazzo…” commentò Johanna. “Caro bel ragazzo. Lo rivedo volentieri.”

Katniss la guardò un attimo tra il divertito e l’irritato. “Ti manca?” le chiese.

“Non particolarmente, ma si fa guardare volentieri.” Johanna spalancò gli occhi a conferma del suo interesse per il fisico di Gale.

Katniss ridacchiò. Gli altri sorrisero.

“Spero che non gli salterai addosso,” osservò Effie, seduta composta nel divano con lo stesso sorriso degli altri.

“Non te lo garantisco, ragazza mia!” le rispose Johanna puntandole il dito. “Non te lo garantisco.”

“Quando vai a prenderlo domani, avvisalo del pericolo.” Katniss guardò Peeta che la rassicurò in merito.

“Povero Gale,” commentò con tono triste Haymitch.

Joahnna lo guardò con una smorfia, mentre Effie incrociava le braccia al petto.

“Effie, non mi guardare come se volessi sgridarmi. Non sei più la mia accompagnatrice.”

Effie prese un profondo respiro. “Non mi ricordo di essere stata mai la tua accompagnatrice,” disse sottolineando con un deciso tono di voce le parole “mai” e “tua” e fissandolo negli occhi con irritazione. “Mi da fastidio il modo in cui tratti le donne.”

“Bionda, sai come tratto le donne!” la guardò con esasperazione Haymitch. “A parte te, ovviamente.”

Effie lo fulminò con lo sguardo preferendo non ribattere a quella crescente malsana ironia.

La madre di Katniss, con tempismo perfetto, iniziò a parlare dei miglioramenti che il nuovo sistema sanitario di Panem stava organizzando.

 

Katniss, più tardi quella sera, avrebbe confidato a Peeta, stretta tra le sue braccia, che Haymitch riusciva ad insultare Effie anche solo con lo sguardo. Peeta avrebbe ridacchiato dicendole che lei non riusciva a riconoscere lo sguardo di interesse in un uomo verso una donna a meno che qualcuno non le facesse da guida. Katniss gli avrebbe risposto con una smorfia e si sarebbe rintanata ancora di più tra le sue braccia (era meraviglioso sentirsi abbracciare senza più timore che potesse farle del male) ribattendo che Haymitch poteva amare solo se stesso o una bottiglia. Peeta le avrebbe detto che era pronto a scommettere con lei, sempre che Haymitch capisse quello che gli stava succedendo.

Johanna, prima di addormentarsi nel letto vicino a quello di Annie le avrebbe parlato della serata commentando che Haymitch riusciva a rendersi indesiderabile persino con chi gli interessava. Annie le avrebbe risposto che serviva solo un po’ di tempo e Haymitch avrebbe capito che Effie era proprio dolce, come lo era con lei, così paziente e sempre sorridente. Le avrebbe raccontato come Effie progettava con lei la camera del bambino, i colori, i giochi, i mobili. Una persona carina, veramente. Una amica fidata.

La madre di Katniss, mentre guardava il cielo e pensava a Prim, decise che Haymitch meritava una seconda occasione.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


CAPITOLO 2

 

Il mercato in un giorno di sole era davvero piacevole. Effie aveva scelto di uscire presto per non trovare troppa gente e guardare liberamente le bancarelle. Era veramente qualcosa di diverso dai negozi, dalla sfilate, dagli specchi dei camerini ai quali era abituata. Ma  la paga minima che lo Stato le passava da Panem, come profuga, non le consentiva di pensare a qualcosa di più costoso di ciò che trovava al mercato giornaliero del Distretto 12.

A Capitol City la sua casa era stata distrutta e comunque requisita dallo Stato in quanto inagibile. Aveva recuperato le cose più preziose, chiuse dentro una piccola cassaforte rimasta intatta, ma ben poco di ciò che le serviva quotidianamente. L’invito di Katniss a raggiungerla al Distretto 12 l’aveva sorpresa, ma al suo arrivo le era stato chiaro che anche Katniss e Peeta avevano bisogno, come lei, di sentire vicino i pochi amici rimasti e fidati. Johanna era rimasta a lungo in ospedale e solo da qualche settimana li aveva raggiunti.

Gale era ancora al Distretto 2, ma probabilmente gli avrebbero affidato la direzione del reparto Sicurezza al Distretto 5 che era rimasto vacante. Era di passaggio proprio per quel motivo .Un trasloco per una promozione. Era stato Peeta a raccontarlo qualche giorno fa, durante una cena. Effie non sapeva cosa fosse successo mentre la squadra con Katniss, Peeta e Gale raggiungeva Capitol City, ma da quel rapporto assurdo che li legava ne era nata una amicizia tra i due uomini che la lasciava perplessa. Katniss lasciava che fosse Peeta a tenere i contatti. Le aveva confidato, una sera davanti al camino, che il silenzio e la sicurezza che le offriva Peeta anche solo stando vicino a lei seduto sul divano la facevano sentire serena più che perdersi nei campi a caccia. Effie era grata ad entrambi per la discrezione della loro presenza: nessuna domanda, nessuna richiesta. Faceva quello che poteva per loro e riceveva quello che loro potevano darle.

Si era resa conto che al Distretto 12 quella era una caratteristica quasi di tutti. Da subito si era aggirata tra i negozi e il mercato, aveva preso contatto con gli uffici dello Stato che le avevano consentito di ricostruire i suoi documenti personali, persi nella guerra e di ricevere il sostentamento previsto. Era in attesa di capire se poteva chiedere definitivamente di rimanere nel Distretto 12. La maggior parte delle persone, anche i profughi come lei dagli altri Distretti, riconoscevano il suo volto e non facevano domande sul motivo per sui era lì o da dove venisse. Forse qualcuno parlava alle sue spalle, ma nessuno la evitava. Del resto era amica delle persone più importanti del Distretto.

Sospirò per i suoi stessi pensieri mentre sceglieva delle mele da Igor. Il vecchio contadino le sorrise come sempre, seduto nella sua sedia, mentre figli e nipoti si muovevano dietro al bancone per servire i clienti.

“Le piacciono, mia cara? Arrivano direttamente dai nostri campi.” La voce era tremula quanto le mani.

“Erano molto buone anche quelle che ho preso tre giorni fa, ma i mirtilli sono favolosi!” Effie gli sorrise con gentilezza.

“Allora ne prenda ancora, mi raccomando!”

“Buongiorno.” Una delle figlie o delle nuore di Igor era pronta a servirla. Quella bancarella le piaceva soprattutto per l’estrema cortesia di tutti i membri della famiglia. Erano corretti con i clienti, attenti a servire con il sorriso sul volto e veloci. “Cosa le posso dare oggi?”

“Dei mirtilli e delle fragole, se ci sono.”

“I mirtilli sono nostri, ma le fragole arrivano da un distretto più a sud.”

“Va bene lo stesso, grazie.”

Molti prodotti circolavano liberamente tra i Distretti  e questo dava ad Effie una sensazione di normalità, come se pur non avendo una casa potesse sentirsi a casa ovunque potesse riuscire a trovare anche solo una minima parte delle cose che a Capitol City erano considerate normali fino a qualche mese fa.

Mentre aspettava che le preparassero la frutta si guardò intorno e vide Sae arrivare verso di lei con un sacchetto di carne. Si sorrisero e Sae si fermò da lei.

“Stai rientrando oppure devi ancora fare un giro?”

Effie le fece vedere il pacchetto che aveva dentro il sacchetto di tela e iniziò a spiegarle del vestito che intendeva fare con quella stoffa. Nessuna della due si accorse del silenzio che era sceso intorno a loro finché non sentirono la voce di Rufold.

Era un ex Pacificatore, uno dei pochi che si era rifiutato di aderire al progetto di riqualificazione per entrare nel nuovo settore Sicurezza. Ne erano rimasti una decina in tutto, schedati e controllati dallo Stato, ridotti come gli altri allo stato di  profughi, ma per loro non era possibile ottenere alcuna residenza al di fuori di Capitol City. Potevano muoversi dove volevano, ma una volta al mese dovevano presentarsi all’Ufficio Centrale di Sicurezza e i loro spostamenti erano controllati. Era stato un amico di Thread e veniva spesso al Distretto 12 per rendergli omaggio. Lo faceva girando tutti i locali dove fosse possibile bere senza qualcuno che gli dicesse di smettere. Era massiccio, come la maggior parte dei Pacificatori e gli occhi erano rossi di alcool e poca cura di sé.

“Bene, mia cara.” Sapeva di viscido persino il rumore del suo respiro. Stava guardando Effie. Di solito non la vedeva neppure. “Allora sei proprio tu, avevano ragione.”

“Buongiorno.” Effie rispose con fredda cortesia, irrigidendo leggermente le spalle e il collo.

“Mi avevano detto che qui si aggirava una delle più belle accompagnatrici di Panem. Avevano ragione.” Effie sentì lo sguardo dell’uomo passarle addosso.

“Ho smesso da molto di lavorare per Panem.” La voce di Effie era decisa. O almeno così le sembrò, ma sentiva che la sua sicurezza di stava incrinando. Conosceva quel tipo di uomini e ne aveva sempre avuto paura. Cercava di rendersi invisibile ai loro occhi oppure di presentarsi come una altezzosa rompiscatole e la sua fama di antipatica finta aristocratica le era stata utile in tante occasioni. C’era poi talmente tanta gente a Capitol City che era facile far perdere le tracce tra la folla e casa sua era sempre controllata.

“Peccato mia cara. Eri una accompagnatrice tra le più piacevoli che ho incontrato. Si potrebbe parlare di tradimento.” Lo sguardo di Rufold divenne meno viscido e più freddo. “Manchi di lealtà, carina .” Si passò a lingua sulle labbra con evidente piacere.

“Sono sempre leale con il mio Stato.” Effie sentiva il sudore correrle sulla schiena. Le faceva davvero paura stare così esposta, in mezzo alla gente, davanti ad un uomo evidentemente pronto a diventare aggressivo. Sentiva che tutti erano fermi in attesa di capire cosa sarebbe successo. Era quasi certa che l’avrebbero protetta in qualche modo, ma quello era pericoloso. Sae le si era avvicinata ancor di più.

“Allora sei ancora una buona accompagnatrice?” Le chiese sollevando un sopracciglio. Il doppio senso di quella parola per Effie evidente e tagliente. Sentì le lacrime salirle agli occhi. Sapeva come fare con uomini come quelli a Capitol City, tanto tempo fa, forte del suo ruolo e della sua fama. Ma lì al mercato era solo una donna sola insultata da un uomo grande e grosso. Aveva paura. Doveva pensare a cosa dire per andarsene di lì con il minor danno. Poi poteva rimanere in casa fin quando lui rimaneva in zona.

Sentì la mano di Sae stringere la sua e subito dopo la voce di Haymitch.

“Rufold.” Era una voce di ghiaccio.

Rufold alzò lo sguardo dal corpo e dal viso di Effie e vide avvicinarsi Haymitch, alle spalle della donna.

Anche Effie lo sentì arrivare, come un muro solido che si alzava dietro di lei. Lo aveva osservato molto in quelle settimane e sapeva che, per combattere il desiderio della bottiglia, aveva ripreso, con fatica, ad occuparsi del suo corpo e del suo tempo con esercizi e corsa. Peeta era un allenatore feroce, dato che anche a lui serviva prendersi cura del suo corpo e del suo tempo per prendersi cura della mente. Insieme sistemavano i giardini e le case del Villaggio dei Vincitori che ancora erano in piedi, oltre ad aiutare chiunque ne facesse richiesta.

“Salve Haymitch. Vedo che hai cambiato stile di abbigliamento.” Rufold aveva la solita divisa bianca candida da Pacificatore, anche se erano state tolte le insegne del Governo mentre Haymitch si era dedicato con Peeta a sistemare una finestra e una grondaia quella mattina e indossava pantaloni di tela grossa e grezza e una maglia arrotolata sulle braccia.

“Non passo da un po’ a Capitol in effetti. Quando verrò chiamato a riferire al Presidente mi aggiornerò.” Tanto per chiarire chi è vicino a chi, pensò Haymitch senza distogliere lo sguardo. “Hai finito il tuo viaggio in zona?” Vediamo se capisci cosa dovresti fare, amico.

Rufold rimase in silenzio per un attimo. Anche se con un po’ di alcool in corpo sapeva capire quando un potenziale avversario era grosso quanto lui e altrettanto forte. E sobrio. E allora?

“Non proprio. Speravo di recuperare qualche vecchia amicizia.” Un po’ di sfrontatezza non era male. Guardò Effie.

“Ben per te. Spero che ti rivedano volentieri da queste parti.” Haymitch appoggiò con leggerezza una mano sulla schiena di Effie trasmettendole un po’ di calore. Senza rendersene conto però il suo gesto rendeva Effie più fragile tanto che la rigidità del suo corpo si trasformò in un leggero tremito, come se fosse stata colpita da una ventata di aria gelata. “Bene, buona giornata. Noi torniamo a casa.” Tanto per chiarire che stai cercando di pescare nel torrente di un altro. Haymitch fece un cenno di saluto e con la mano che aveva ancora sulla schiena di Effie la spinse leggermente per portarla fuori dal mercato. Sentiva Effie tremare vicino al suo corpo. Sae rimase la loro fianco.

“Tieni duro ancora per qualche metro, dolcezza, poi puoi lasciarti andare. Non ti mollo, tranquilla.”

Aveva parlato sottovoce senza guardare Effie, osservando invece il movimento della gente attorno a lui che sembravano spostarsi alle sue spalle come a chiudersi in uno scudo protettivo tra loro e quella specie di scimmione.

Appena usciti dal mercato si allontanarono dalla zona centrale passando attraverso uno stretto vicolo tra due case, fino al prato che si stendeva attorno al paese. Haymitch a quel punto si fermò e afferrando Effie alle braccia le si mise di fronte per guardarla in volto.

Effie vide la leggera striscia di calce che gli segnava la guancia e i capelli striati di polvere bianca. Poi la maglia macchiata e i pantaloni strappati.

“Non dovresti venire al mercato conciato in questo modo.” La voce tremava come quella di Igor.

Haymitch pensò per un attimo di darle una schiaffo per farla tornare in sé.  Le strinse invece le mani attorno alle braccia. “Cosa diavolo ti preoccupi di come sono vestito!?”

“Non imprecare.” I denti di Effie non riuscivano a fermarsi.

Haymitch prese un profondo respiro. “Adesso torni a casa con me e fai qualcosa che ti rilassi. Uno dei quei bagni profumati che impestano l’aria ad esempio, poi parliamo di cosa fare per evitare di trovarti di nuovo con quello scimmione.”

“I miei profumi non impestano l’aria.” Gli occhi erano pericolosamente vicino alle lacrime, rossi e lucidi.

Anche Haymitch li aveva notati e si trattenne dal confermare che avendo condiviso per anni e anni lo stesso treno e lo stesso Centro di Addestramento sapeva esattamente quale profumo usciva dalla sua stanza ogni volta che ci passava davanti. Non tutti i profumi erano impossibili, anzi ce c’era uno in particolare che aspettava di annusare con molto piacere. In qual momento preferì incamminarsi, sempre tenendole il braccio, verso il Villaggio dei Vincitori. Sae rimase con loro e proseguirono in silenzio finchè Effie inizio a parlare a scatti, con il respiro accelerato, come se le mancasse l’aria.

“Non credo di interessargli poi molto. Una volta mi ha proposto di uscire a Capitol City, ma mi sono trovata una scusa di lavoro e poi non ha più insistito. Forse non si ricorda neppure quanto sono antipatica. Oppure vuole solo dare fastidio a te. Si diceva in giro che non voleva che tu fossi circondato da tante donne solo perché avevi vinto uno stupido torneo. Potrei provare a parlarci per…”

“Effie, piantala di blaterare per cortesia. Dai fastidio.”

“Sto cercando di trovare una soluzione, se permetti.” Ancora le lacrime, ma questa volta stavano già scendendo sul volto. “Non come te che ti limiti a tirarti via dai problemi.”

“Effie, piantala.” Le strinse la mano attorno al braccio. “Stai parlando a casaccio e stai dicendo stupidaggini.”

“Non insultarmi!”

“Se volessi insultarti, tesoro mio, ti darei della stupida e dell’ingenua se pensi davvero di sistemare la situazione con quello parlandoci. Ma ne parliamo quando sarai meno spaventata.”

“Non sono spaventata!” La voce tremava, ma Effie non poteva permettersi di farsi prendere dalla paura. Era sola e doveva trovare una soluzione da sola. Haymitch era una certezza solo per se stesso. Era freddo, distante e acido. Egoista e incapace di fare qualcosa insieme agli altri. Dannatamente bello, nonostante tutto.

“No!” Effie stava cercando di non pensare quello che stava pensando e aveva urlato più di quanto voleva. Haymitch lo prese come un ulteriore segno che stava dando di matto. Per fortuna il cancello era davanti a loro.

“Vado da Katniss e preparo il bagno.” Erano le prime parole di Sae dal mercato.

“No!” disse di nuovo Effie con lo stesso tono. “No, non posso stare così con gli altri.” Guardò Haymitch quasi con terrore. “Devo stare sola, non posso farmi vedere così fuori di testa.”

Autocontrollo, rispetto delle regole sociali, comportamento cortese e formale. Erano i pilastri portanti dell’equilibrio di Effie, Haymitch lo aveva imparato negli anni. Lui era tra i pochi che riuscivano a farglieli saltare. Mai tutti insieme, ma con lui alzava la voce, lo insultava e qualche volta erano volati oggetti in sua direzione, spesso fragili e con una buona mira. In quel momento nessuno di quei pilastri stava tenendo e quindi Effie non sarebbe mia riuscita a stare insieme ad altre persone. Tranne forse lui. Avevano visto il peggio di entrambi. A dire il vero Haymitch si rese conto che non l’aveva mai vista così stravolta. Anche quando era arrivata al Distretto 13, senza casa, costretta a vedere quello che aveva solo intravisto nei Tour tra i Distretti, sola con se stessa. In quel momento gli era apparsa quasi matta, fuori dalla realtà, non sconvolta.

“Allora vieni da me. Sae portala a casa mia e aiutala a prepararsi per un bagno, Bollente. Le ha sempre fatto bene. Io passo da Katniss e le prendo quello che serve.”

“Non sai quello che mi serve.” Voce tremante. Effie chiuse gli occhi sperando di riuscire a riprendere un po’ di autocontrollo.

Si girò verso di lei e le prese il volto tra le mani. “So esattamente cosa ti serve, tesoro. Vai a casa mia, mettiti a mollo e al resto penso io, ok? Sai che ti conosco più di chiunque altro, qui. Potrai comunque sgridarmi quando starai meglio.” Aveva un tono basso, lento, quasi ipnotico e gli occhi fissi nei suoi. Effie fece un piccolo segno di assenso con la testa, cercando di dire qualcosa, ma la voce non usciva. Haymitch le mise un dito davanti alla bocca per bloccare ogni tentativo di dialogo. “Fai quello che dico io, per favore. Ne so più di te di come gestire il  terrore.”

“Io non bevo.” Gracchiò Effie.

Haymitch le fece un sorriso un po’ storto. “Cercherò di ricordarmelo. Vai.”

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


CAPITOLO 3

 

“Cosa potrebbe farle?” Peeta guardava Haymitch scegliere tra le cose di Effie ciò che voleva portare con sè e infilare ogni oggetto con sicurezza in una delle borse di Katniss.

“Tutto o niente, è imprevedibile.” Haymitch si fermò e guardò verso il gruppo di persone che era salito con lui nella stanza di Effie. Pulita, linda, impersonale. Era stato Gale, arrivato per salutare Annie, ad avvisare che Rufold era tornato al Distretto 12 e Haymitch, sapendo cosa dicevano di lui nei locali del Distretto era andato a prendere Effie immediatamente.

“Posso metterlo dentro in ogni momento, anche per una stupidaggine, se serve.” Gale era in piedi a fianco di Peeta.

“Non voglio dargli nessun motivo per rivalersi su Effie. L’ha sempre presa di mira anche a Capitol City, ma prima c’erano donne molto più disponibili con lui con le quali distrarsi.” Hamytch guardò dentro a borsa e poi andò nel bagno di Effie e lo sentirono aprire e chiudere gli sportelli degli armadi.

“Ok. Ho tutto.” Mentre usciva dal bagno con la borsa chiusa si guardò ancora in giro e poi verso Katniss e Johanna, anche loro nella stanza.

“Se serve altro vi faccio sapere. Per adesso resta da me. Anche se credo che vorrà tornare qui questa notte. Potete fare in modo di averla sotto controllo?”

“Posso dormire qui con lei.” Gli disse Johanna, appoggiata allo stipite della porta. “Ma sarebbe più semplice se ci dormissi tu con lei.”

Haymitch non vide Peeta e Gale sorridere, né Katniss spalancare gli occhi. Si limitò a guardare Johanna.

“Non ho voglia di scherzare in questo momento, Johanna. Ho passato con quella donna la maggior parte della mia vita e nonostante tutto quello che le ho fatto non è mai stata sleale. In questo momento non posso fare molto di più che proteggerla.”

“Appunto.” Si limitò a commentare Johanna senza distogliere gli occhi dai suoi.

Haymitch scosse la testa e uscì dalla porta, limitandosi a dire che sarebbe tornato per cena.

 

Haymitch non si era mai reso conto che Effie era la donna con la quale aveva trascorso la maggior parte della vita. Lo aveva detto senza pensarci, ma era proprio così. Quando Gale aveva nominato Rufold si era messo in allerta. Effie gli aveva raccontato più volte di come l’avesse infastidita e quanta fatica aveva fatto per tenerlo distante. Era stata una delle poche confidenze che gli aveva fatto, ma soprattutto era stata una delle poche volte in cui l’aveva vista agitata e impaurita. Sembrava che non ci fosse nessuno che poteva proteggerla, ma lui era troppo preso dall’alcool per occuparsi di lei.

Da quando era arrivato al Distretto 13, direttamente dall’Arena, Haymitch aveva avuto poche occasioni per poter pensare a se stesso, al suo passato e al suo presente. Ora invece trascorreva molto più tempo con i suoi pensieri. Era grato a Peeta per averlo costretto a lavorare insieme, a darsi da fare per sentire che il corpo poteva ancora sentire il dolore e il sollievo, ma non poteva farlo tutto il giorno e allora i pensieri arrivavano. Le domande soprattutto e il bisogno di cercare delle risposte. Una di queste domande era relativa a chi poteva considerare la sua famiglia, i suoi amici. Era facile pensare a Katniss, Peeta, gli altri Tributi, gli amici del 12. Ma Effie era il suo punto di domanda più grande. Aveva trascorso con lei molto tempo, aveva condiviso strategie, discussioni, scarsi momenti di felicità, molti di dolore. Continuava a ritornarle in mente.

Quando si erano incontrati per la prima volta Haymitch l’aveva vista come una nuova figurina del Distretto 1, come la solita fotocopia delle Accompagnatrici, in grado solo di eseguire il compito che era loro affidato; essere l’immagine copertina del regime. Fin da subito si era accorto però che Effie non era sciocca come chi l’aveva preceduta. Apparentemente non vedeva oltre le bugie di Panem, ma quando notava qualcosa che non la convinceva, lo ricordava e in qualche modo si era lasciata scalfire dalle incongruenze che le venivano raccontate. Con il tempo le era diventata simpatica, si divertiva a stuzzicarla e gli piaceva guardala. Sapeva di lei molte più cose che di qualsiasi altra persona: cosa e quanto mangiava o beveva, come mangiava, quali vestivi preferiva, quali colori, che espressione aveva quando si arrabbiava o si preoccupava, cosa pensava di lui, poteva anticipare cosa gli avrebbe detto e con quale tono. Anche Effie era una osservatrice acuta e riservata: doveva sapere di lui più di chiunque altro.

Arrivato davanti alla porta di casa, chiuse la mente a tutti questi pensieri (maledetta Johanna, per inciso) e chiamò Sae non appena entrato.

Sae uscì dalla cucina.

“L’ho lasciata dentro la vasca con l’acqua bollente. Ma è ferma e in silenzio da un po’. Non sono entrata perché so che non vorrebbe che lo facessi.”

“Già. Ma io sono bastardo.”

Haymitch salì le scale  con la borsa in mano e bussò alla porta del bagno.

“Effie?”

Silenzio.

“Effie? Sto per entrare.”

Silenzio.

Haymitch aprì la porta e la vide nella vasca, chiusa come un riccio con le braccia attorno alle ginocchia e con la testa appoggiata sopra. Stava guardando dall’altra parte della stanza, verso la finestra. Le tende erano aperte e si vedeva la foresta in lontananza.

“Ti ho portato uno dei tuoi profumi. Ho scelto io quello che volevo.”

“Quale hai scelto?” La voce era stanca, ma ferma.

“Agrumi.”

“Quello che ti piace.”

“Come lo sai?”

“Da come annusi il profumo quando ti sono attorno.”

Ecco, appunto. Haymitch appoggiò la borsa sulla poltrona nell’angolo della stanza e prese la boccetta di vetro.

“Mi posso avvicinare?”

A quel punto Effie si girò a guardarlo, gli occhi gonfi e rossi.

“Sono abbastanza nascosta?”

Haymitch le fece un cenno di assenso. Poteva vedere a stento qualcosa oltre le ginocchia e la schiena.

“Preferisci che chiami qualcun altro? Katniss?”

Effie negò con la testa. Haymitch si avvicinò il minimo indispensabile per lasciare la bottiglia di bagno schiuma a portata di Effie.

“Non ho trovato particolari medicine nel tuo bagno. Usi qualcosa per aiutarti a controllare la paura?”

Effie negò nuovamente con la testa. “Ho smesso il prima possibile.”

Haymitch pensò, per un attimo, che era più forte di quanto si aspettasse. Le diede le ultime indicazioni prima di andarsene.

“Porto il resto delle cose nella mia stanza, qui a fianco. Puoi usare tutto quello che ti serve. Io ti aspetto giù.”

 

Dopo aver salutato Sae, Haymitch si era fermato per cercare di preparare qualcosa di piacevole per Effie, Sicuramente della cioccolata calda, per quanto banale: questo non era un problema, sapeva farla. Ma dove metterla? Nel guardarsi intorno in cucina scoprì che possedeva un bellissimo servizio di porcellana con tanto di cioccolatiera. E anche un vassoio, forse più di uno. Cercò di fare tutto come se lo avesse preparato Effie e non appena la sentì muoversi al piano superiore portò il tutto in salotto. Dopo poco la sentì scendere le scale.

Indossava un enorme maglione scuro che doveva essere suo e dei pantaloni di panno che invece le aveva portato lui. Gli occhi erano meno arrossati.

“La maglia è tua. Avevo freddo e mi hai detto di prendere quello che mi serviva. Spero di non aver sbagliato.” La voce era ancora stanca.

“Nessun problema. Ti ho preparato della cioccolata.”

“Oh, Haymitch! Grazie!” Era sorpresa e finalmente Haymitch sentì un sorriso nella sua voce.

Le versò una tazza e mentre Effie si sedeva sul divano al suo fianco, le passò tazzina e piattino.

“Che meraviglioso servizio, Haymitch.”

“Non sapevo neppure di averlo, ma grazie.”

“No!” Haymitch si girò a guardarla sorpreso che il tono fosse un po’ di derisione, anche se lo aveva solo sussurrato. “Grazie per tutto quello che hai fatto. Offrirmi la tua casa, portarmi i vestiti, la cioccolata…la tua protezione… grazie Haymitch.” Lo sguardo di Effie era fermo sul volto di Haymitch e c’era un piccolo, insicuro sorriso sul suo volto.

“Nessuno di noi gli permetterebbe di farti del male o anche solo di offenderti, lo sai?”

Effie annuì di nuovo pericolosamente vicino alle lacrime. “Ho paura.” Effie non pensava di riuscire ad ammetterlo con tanta facilità. “Non voglio aver paura.” Stava quasi piagnucolando e per nascondere la cosa si concentrò nel bere la cioccolata.

Haymitch evitò di dire altro e rimase con lei sul divano a gustarsi la cioccolata. Per essere la sua prima opera culinaria non era male.

Fu Effie a sentire i passi che si avvicinavano. La vide bloccarsi con la tazzina vuota in mano e guardare verso l’ingresso. Haymitch le mise una mano sulla gamba, per rassicurarla e si alzò. In quel momento sentì la voce di Gale e entrambi si rilassarono.

“Haymitch?” E il campanello suonò.

“Ciao.” Prima ancora che finisse di suonare gli aveva aperto.

Con un cenno Gale entrò seguito da Johanna e andarono verso il salotto. Effie si era seduta, perfettamente eretta e rigida, come se dovessero riprenderla con una telecamera.

“Rilassati, ragazza.” Haymitch usò il solito tono arrogante. “Sono solo questi due.”

“Che amore.” Johanna si mise a sedere vicina ad Effie e le strizzo l’occhio. “Sei una donna estremamente paziente, visto quanto tempo ce l’hai avuto accanto.”

Effie deglutì e poi riuscì a farle un piccolo sorriso.

“Novità?” chiese Haymitch direttamente a Gale.

“Bah, non lo so. Mi hanno detto che rimarrà nell’ostello di Frius per altre due notti e lui ti farà sapere quando se ne andrà. Pensate che sia pericoloso?”

“Si.” Disse Haymitch.

“No.” Disse Effie.

“Scusa?” Haymitch guardò la donna come se fosse pazza. “Secondo te non rischi che ti segua, ti molesti e magari ti aggredisca se solo vi trovate lontano dalla gente? Mi sbaglio oppure ha già tentato di farlo in passato?”

Effie prese un profondo respiro. “Lo avevo trattato male in pubblico, lo avevo deriso. Voleva solo farmi vedere chi è il più forte.”

“Avresti anche dei dubbi? Sei più sciocca di quanto dimostri!”

“Haymitch, sei….” Effie si era alzata in piedi, tremante.

“Sono cosa?” Haymitch le si mise davanti. “Responsabile? Previdente? In grado di capire meglio di te cosa pensa un altro uomo? Vuoi piantarla di comportati come se fossi ancora a Capitol City?”

La fissò con rabbia. Sembrava che volesse cercarseli i problemi con quel disgraziato.

“So benissimo dove sono, grazie!” Effie si sentiva pericolosamente vicina al pianto. “So che non sono a Capitol City. Ma questo ho imparato a fare nella vita! So anche che devo cavarmela da sola. Io non ho nessuno che si occupi di me, adesso. Quindi non fare finta che ti interessi!” Ansante per la rabbia e per il dolore che sentiva Effie salì con passi decisi e veloci al piano superiore, piantando tutti in asso.

“Maledetta stupida femmina!” Haymitch diede un calcio al divano, proprio dove Effie era seduta poco prima, mentre lei era già a metà delle scale. “E’ ostinata come una capra! E altrettanto intelligente!”

Gale e Johanna rimasero in silenzio.

“Non vede che le cose sono cambiate! Non può sistemare le cose come faceva, distribuendo sorrisi e sentenze su cosa è giusto e sbagliato!” Haymitch si mise a girare per la stanza come un leone in gabbia. Agitava le braccia come volesse strozzarla. “Che razza di ostinata, cocciuta, rigida femmina!”

Gale strinse le labbra per non ridere ed evitò di guardare Johanna. Aveva visto Haymitch così fuori controllo solo quando era gonfio di alcool. Anche con Katniss, che pure non aveva quasi mai fatto quello che lui le chiedeva, non era mai arrivato ad alterarsi tanto.

“Come mai ti preoccupi tanto per lei?”

Johanna era più temeraria di lui, a quanto sembrava. Le lanciò uno sguardo di approvazione per il coraggio.

“Cosa?” Haymitch si bloccò, guardandola. “Cosa hai detto?”

“Come mai ti preoccupi tanto per lei? Se fossi io mi avresti semplicemente mandato…”

“Tu sei tu, lei è lei.” Haymitch si lanciò sul divano, ma si rialzò immediatamente.

“Sì, direi di sì.” Johanna fece un sorrisetto ironico.

“Quel mostro di donna,” continuò Haymitch alzando la voce per farsi sentire fino al piano superiore, “quel mostro di donna, “ripeté alzando un braccio verso il ballatoio che portava alle stanze da letto, “ha passato anni e anni a ripetermi che ero un ubriacone disgraziato e un imbecille della peggiore specie, ha passato anni a ripetermi che mi stavo uccidendo e a fare in modo che mi sistemassi almeno per fare il mio misero e ottuso ruolo di Mentore per quei disgraziati che arrivavano all’Arena.” Haymitch si girò direttamente verso il ballatoio. “Tu, maledetta bionda, ti sei presa cura di me per anni e adesso che provo a ricambiarti mi dici che non serve?”

Scese il silenzio.

“Allora, bionda, non hai nulla da dire?”

Gale e Johanna si spostarono verso il fondo della stanza.

“Pezzo di …, stupido uomo!” Effie apparve sul ballatoio con le mani sui fianchi e gli occhi lucidi. Forse le colava anche il naso, ma riusciva ad insultare con grazia. “Nessuno ti obbliga a prenderti cura di me, non lavoriamo più insieme!” Effie afferrò con forza il legno del ballatoio. “Piantala di fare finta che siamo ancora alleati per far vincere qualcuno. Io non sono niente per nessuno, adesso!”

Johanna chiuse gli occhi sentendo l’eco di quelle parole dentro di sè come se esplodessero tutta la loro verità anche per lei.

“Ma che diavolo….” Haymitch abbassò di colpo la voce, cercando di capire. “Che ca… centra essere alleati adesso? Non lo siamo da…. Da oltre un anno? Anzi, da quanto è iniziata l’Edizione della Memoria!” Riprese ad urlare. “Non ti passa proprio in quel piccolo cervellino biondo che forse se ho fatto il diavolo a quattro per portarti viva fino a qui un minimo, almeno un minimo, desiderio di esserti amico da qualche parte ce l’ho?”

Effie si bloccò e lo guardò e balbettò “Scusa?”

Continuando a guardarla iniziò a salire le scale due gradini alla volta mentre parlava con tono irritato. “Ricapitoliamo: tu,” e puntò un dito verso di lei, “e io” e si infilò letteralmente un dito nello sterno fermandosi in cima alle scale, “abbiamo passato un mucchio di tempo insieme e io non mi sono mai, dico mai, comportato in modo particolarmente gentile. Non era necessario. Tu eri parte del nemico, eri parte di quelli che mi avevano distrutto la vita da quando sono nato.”

Effie spalancò gli occhi.

“Poi mi sono reso conto che tu non eri poi così stupida come le altre oche con cui avevo dovuto lavorare e che sparavano sentenze sulla mia gente e il mio Distretto. Avevi qualche stupida idea che non volevi cambiare, ma almeno mi stavi ad ascoltare. Quanto ero sobrio, cioè per poco. Ci tenevi a quei poveri ragazzi mandati al macello. E vedevi qualcosa oltre il magico mondo di Panem. Mi eri anche simpatica a volte.”

“Grazie.” Effie aveva un tono sarcastico.

“Quando ero sobrio.” Stesso tono sarcastico. “Gli amici sono l’unica cosa che mi resta nella vita. E, spiacente bionda, ma tu ne fai parte. Adesso sei qui e qui ne so più di te su quali sono le regole da tenere, chiaro?”

Effie lo fissò a lungo. “Come se potessi fare altro.”

Erano le parole con le quali chiudevano spesso le loro solite discussioni prima di ogni inizio degli Hunger Games, solo che i ruoli erano invertiti. Allora Effie comandava e Haymitch faceva finta di eseguire.

“Fine dello spettacolo.” Haymitch si girò verso Gale e Johanna ancora fermi in salotto. “Ci rivediamo a cena, la porto io questa qui.” Era un chiaro congedo e i due uscirono senza dire altro.

Calò immediatamente il silenzio. Rimasero a guardarsi per qualche secondo e poi Haymitch scese le scale e si mise a riordinare il salotto, senza dire altro.

“Haymitch…”

Si girò a guardarla. Era seduta a metà delle scale, le braccia che circondavano le gambe, stretta come un riccio. Aveva il mento appoggiato alle ginocchia e lo guardava senza piangere.

Lui si appoggio contro lo stipite della porta della cucina, con le braccia conserte. In ascolto.

“Grazie.”

“Grazie a te.”

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4

 

Quasi una settimana dopo Katniss era a caccia con Gale e Johanna mentre Peeta e Haymitch stavano cercando di avere ragione di un vecchio albero malato che doveva essere tolto dal giardino della casa di Haymitch. La madre di Katniss era tornata all’Ospedale dl Distretto 4 e Annie era casa con i suoi genitori. Aveva partorito, senza alcun problema, la mattina dopo il confronto tra Effie e Haymitch.

Effie era rimasta a casa di Katniss e Peeta e si stava occupando di mettere ordine nella camera usata da Annie. Si considerava una brava osservatrice e guardando Sae e le altre aveva imparato in poco tempo a riordinare un letto, spazzare, lavare i pavimenti e spolverare. Non aveva mai fatto nulla di simile a Capitol City, ma ascoltando Peeta e la sua idea che per fermare i pensieri era utile muovere le mani, ci aveva provato e la cosa funzionava anche per lei. Da Sae aveva imparato anche i rudimenti del cucito e tutto il tempo passato a guardare e provare vestiti le permetteva di copiare i modelli più semplici per se stessa. Katniss le aveva chiesto di preparare qualcosa per lei e anche Johanna. Forse poteva cominciare a proporsi anche fuori casa per dei piccoli lavori.

Il tempo era molto bello quel giorno e avrebbe potuto fare un giro al mercato, ma non era più uscita oltre il giardino Del Villaggio dei Vincitori dopo quello che era accaduto al mercato. Anche se Panem era considerato un modo sicuro, quello che in realtà accadeva era simile al resto del mondo: c’erano violenze e molestie anche lì e alcuni potevano permettersi di essere meno corretti di altri. Effie si era tenuta lontana dai personaggi più pericolosi e dalle situazioni più a rischio e aveva imparato a mettersi in sicurezza negli altri momenti. Quando le avevano affidato i Distretto 12, il più svilente dato che era l’ultima arrivata, sapeva che Haymitch non era un pericolo per lei. Non c’erano voci di nessun sopruso. Era conosciuto come un uomo difficile e con tendenza all’alcool, ma corretto verso gli altri. Arrogante, imprevedibile, mai aggressivo. Era stato difficile abituarsi ai suoi modi sgarbati e incivili, ma non aveva mai oltrepassato alcun limite con lei. Solo con se stesso.

Effie scosse la testa per bloccare i ricordi. Era ferma in mezzo alla stanza con gli asciugamani da lavare tra le braccia. Portò tutto in lavanderia e fece partire una lavatrice. In attesa di stendere decise di uscire e portare da bere a Peeta e Haymitch.

Mentre si avvicinava all’albero ormai tagliato in pezzi e ammassato sul prato, vide che stavano entrambi spaccando legna armati di ascia. Erano ansanti e sudati. Fu Peeta a ringraziarla prima ancora che arrivasse vicino a loro. Abbassarono l’ascia e si appoggiarono ad essa. Dalla foresta intanto arrivavano i cacciatori con un bel bottino, stando alla sacca che Gale aveva sulle spalle.

“Mai pensato che cacciare fosse coì bello!” Johanna si mise a sedere su uno dei pezzi di legno. “Saper lanciare coltelli è un grosso vantaggio anche su terra oltre che in mare. Cinque, dico cinque, conigli.”

Katniss sorrideva mentre si avvicinava a Peeta per un bacio. “Sembra che abbia trovato un bel passatempo.”

“Sei una assassina nata.” Gale si prese un bicchiere di limonata ringraziando con un gesto Effie.

“Immagino che mangeremo arrosto di coniglio.” Ansimò Haymitch. Anche se il fisico era migliorato era comunque il più anziano e costava fatica tenere il ritmo dei giovani.

“Ci vorranno almeno due giorni per prepararlo.” Peeta finì di bere la limonata. “Oggi è Sae ad occuparsi del pranzo. Credo sia al mercato.”

“Io ho bisogno di una doccia, quindi vado.” Johanna prese il vassoio portato da Effie e raccolse i bicchieri già vuoti per portarli a casa, insieme alla caraffa ormai vuota.

“Peeta, uso casa tua.” Peeta fece un cenno affermativo con la testa a Gale. “Devo finire qui prima di lavarmi anch’io.” Con un cenno della mano, Gale andò verso la casa di Peeta.

“Bene, rientro anch’io per aiutare Sae.” Effie prese gli ultimi bicchieri e si incamminò.

Haymitch la guardò camminare lungo il giardino. Non gli interessava che Peeta o Katniss potessero capire che la stava osservando. Dalla discussione in casa sua non avevano praticamente mai parlato. Era tornata a dormire a casa di Katniss la sera stessa e Haymitch non era più tornato sull’argomento. Si sentiva molto incerto su quello che Effie gli provocava. Aveva dato voce con rabbia a pensieri che non erano chiari neppure a lui. Katniss gli aveva spiegato la sua tecnica per non impazzire e aveva cominciato anche lui ad elencare quello che pensava di lei.

Effie, bionda, rigida, cocciuta, ingenua. E bella. Quando l’aveva conosciuta, la prima volta, qualche settimana prima dell’inizio del loro primo Hunger Games aveva i capelli biondi, lo stesso colore che aveva adesso e un vestito verde luccicante con una gonna ampia e scarpe con tacchi così sottili che si era chiesto come riuscissero a sorreggerla. Si aspettava una ragazza più giovane, dato che il Distretto 12 non piaceva a nessuno e invece era arrivata lei.

Quindi bionda, rigida, cocciuta, ingenua, bella. Elegante, fastidiosa, paziente.

Perché aveva cercato di non pensare al fatto che già allora era bella? Non aveva bisogno di cercare donne. Era uno dei Vincitori, poteva avere anche senza chiedere. E se non voleva donne si limitava a bere e nessuna lo avvicinava. Tranne Effie. Doveva farlo per lavoro.

Quasi si mise a ridere.

“A cosa stai pensando?” chiese Katniss. Lei e Peeta lo stavano osservando in silenzio.

Haymitch non si girò neppure a guardarla. Continuò a guardare il punto in cui Effie era scomparsa dalla sua vista.

“La prima volta che mi sono ubriacato ed Effie era presente, dovevamo presentarci ad un incontro con gli Strateghi entro un’ora e l’Accompagnatrice che l’aveva preceduta le aveva detto che doveva anticipare almeno di un’ora ogni appuntamento con me e sperare che le andasse bene. Io ero solo un po’ alticcio, forse blateravo un po’. E forse non mi ero lavato molto. Lei mi chiese cosa poteva fare per farmela passare e io stupidamente le risposi che doveva spogliarmi nudo e cacciarmi in doccia. Era la risposta standard, sparivano tutte per lo schifo. Invece lei,” si mise a ridere mentre lo raccontava “mi spinse verso a doccia. Io le ho fatto resistenza dicendole che doveva spogliarmi. Lo ha fatto; camicia, maglietta e pantaloni. Mi ha lasciato in mutande e calzini e mi ha spinto sotto la doccia fredda. Ero abbastanza ubriaco da non tenere del tutto l’equilibrio e sono scivolato seduto nella doccia. Lei ha aperto l’acqua e chiuso l’anta della doccia. Credo che non si sia neppure bagnata. Ho riso come mai da anni mentre l’acqua mi congelava e mi sono presentato vestito e profumato. Credo fosse la prima volta.” Peeta e Katniss stavano ridendo di gusto.

“Ha capito subito come prenderti, più di me.” Katniss si spostò mentre Peeta si preparava a finire il lavoro.

“Già. Sembrava che mi conoscesse abbastanza bene. Forse chi l’ha preceduta l’aveva messa in guardia.” Haymitch riprese l’ascia.

“Oppure,” ansimò Peeta, “era ben informata sul vincitore della Seconda Edizione della Memoria.”

Haymitch chiuse il colpo sul tronco e si bloccò. “Non glielo ho mai chiesto.”

 

Dopo cena, al termine di quella giornata, Gale prese da parte Haymitch e lo aggiornò.

“Rufold è ancora qui e per ora non ha fatto nulla di illegale. Parecchie illazioni, doppi sensi, battute volgari e piccoli imbrogli, ma nulla contro la legge che permetta di arrestarlo. Non ha fatto particolari osservazioni su Effie.”

“Sai quando se ne andrà?” Parlavano vicino ad una finestra mentre il resto del gruppo era al centro della stanza.

“No, ma credo che non abbia particolari interessi che lo trattengono.”

“Domani provo a convincere Effie a venire in giro con me.”

Gale fece un segno di assenso e andarono a parlare con gli altri.

 

Il giorno dopo c’era poco da fare dato che pioveva a dirotto. Rimasero tutti chiusi in casa. Peeta e Katniss ripresero in mano il loro libro, mentre Effie si dedicava a cucito. Gale era prossimo alla partenza e si dedicò ad una lunga discussione con Johanna sul motivo per cui gli sarebbe stato utile averla con sé al Distretto 5 per aiutarlo a mettere a regime il reparto della Sicurezza. Johanna era impegnata a fargli capire che, quando era uscita come Vincitrice dagli Hunger Games le erano stati promessi fortuna e soldi ed era stata fregata già una volta. Che ci provassero adesso a dirle che doveva anche lavorare.

Haymitch era perso nei suoi pensieri disteso nel salotto di casa sua. Stava ancora cercano di mettere ordine. In generale. Anche nel suo rapporto con Effie. In modo strettamente unilaterale dato che non aveva più parlato con lei faccia a faccia.

Bionda, rigida, cocciuta, ingenua, bella, elegante, fastidiosa, paziente. Anche dolce a modo suo. Coerente. Impaurita in quei giorni. Insicura.

Era decisamente bella. In quel treno l’aveva vista più volte struccata oppure appena alzata, soprattutto nei viaggi di ritorno, sempre mesti e dolorosi. Era bella anche in quei momenti. Sicuramente molto di più che non con quei trucchi orribili che invece a lei piacevano tanto.

Ecco! Haymitch mise a fuoco il suo problema. La vedeva ancora più bella adesso che poteva vederla sempre al naturale. Era proprio bella. Attraente.

Era il momento di fare qualcosa. Haymitch salì nella sua camera per mettere ordine così almeno smetteva di pensare. La cosa si stava facendo pericolosa. La sua camera era un disastro come sempre. Raccolse vestiti abbandonati e si fece una lavatrice. Si scontrò pesantemente con la polvere e riuscì a debellarla. Riordinò vari oggetti  e scoprì che il profumo di agrumi era definitivamente sparito.

Voleva il profumo di agrumi.

Pranzò. Gli indumenti in lavatrice andavano stesi. La cucina pulita. Qualsiasi cosa non lo facesse pensare.

Due ore dopo era a corto di idee. E, peggio del peggio, Effie bussò alla sua porta.

 

“Ciao.” Le aprì la porta e le fece cenno di entrare. Aveva in mano un libro.

Effie rimase sulla soglia e gli passò i libro. Haymitch lo prese rigirandolo tra per le mani per capire cosa fosse, ma non c’era un titolo. Sembrava quasi un quaderno di appunti. Alzò lo sguardo interrogativo su Effie. Era leggermente arrossita e sembrava incapace di stare ferma. Spostava il peso da un piede all’altro e si stringeva le mani.

“Cosa devo farne?” le chiese.

“Quando abbiamo parlato, l’altra sera…”

“Parlato.” Haymitch sottolineò la parola.

Effie prese un profondo respiro, si irrigidì e la voce divenne più ferma.

“Quando abbiamo parlato l’altra sera, mi hai detto cose che non sapevo o non capivo. Quello è per dirti come mai sono arrivata al Distretto 12. E in parte perché ci sono rimasta. Alcune volte ho fatto richiesta di essere spostata ad un distretto diverso, ma quando mi rifiutavano la richiesta, in fondo, mi andava bene. Lì dovrebbero esserci delle risposte. Credo. E’ una delle poche cose che mi sono rimaste. Per favore non rovinarlo. Non ho molto del mio passato. Abbine cura.”

Effie se ne andò senza un saluto, lasciandolo in piedi sulla porta con un libro in mano.

 

Haymitch rigirò il libro tra le mani per almeno mezz’ora appoggiandolo sul tavolo, poi sul divano. Voleva vedere cosa ci fosse dentro, ma aveva paura di quello che ci avrebbe trovato.

Affrontò la prima pagina dopo altri venti minuti. Era un quaderno di appunti, con una prima pagina in cui scrivere la materia di studio. Invece c’era scritto, in una minuta e precisa grafia femminile: “Diario di Effie Trinket – 16 anni”.

Il quaderno rimase aperto a quella pagina per altri venti minuti, il tempo di farsi un te caldo. Non c’era un accidenti di alcool in tutta la casa. Neppure per allungare quella brodaglia calda.

Si mise al tavolo con il quaderno davanti. Girò pagina. Una foto di Effie a 16 anni. Bellissima. Sorridente. Vestita di blu elettrico e con una posa da pin up. Dopo alcuni minuti girò nuovamente pagina. La foto dei Tributi della Seconda Edizione della Memoria. Era rovinata dal tempo. Se Effie aveva 16 anni erano passati alcuni anni da quell’Edizione. Nella pagina a fianco una fotografia sua. La foto promozionale. I suoi occhi. Senza barba. Senza rughe. Chiuse il libro con uno scatto.

Prese un profondo respiro. Non voleva che fosse quello.

Dopo parecchi minuti lo riaprì alla foto di Effie. E poi saltò la pagina successiva.

C’erano altre foto di quell’Edizione. Quasi tutte solo sue. Lucide. Conosceva il logo della rivista dalle quali erano state prese. Costosa. Si sforzò di guardarle tutte, almeno di sfuggita. Erano difficili, anche se era passato tanto tempo. La foto dell’intervista dopo la vittoria. Aveva ancora la fasciatura dopo l’operazione per risistemargli la ferita all’addome. Era imbottito di antidolorifici. Prima di sostituirli con l’alcool. Era piacevole non sentire nulla. Altre foto dopo la vittoria. Tante.

Lasciò il libro aperto sul tavolo per un po’. Il tempo di farsi passare le lacrime agli occhi. Era così che lo aveva conosciuto Effie. Una leggenda. Una persona che non esiste. Prese un gran respiro e si rimise seduto, sfregandosi gli occhi e poi mettendosi le mani tra i capelli.

Girò pagina. La sua prima edizione da Mentore. Quasi mai in primo piano. Le foto di gruppo. Gli scatti ufficiali. Due pagine per ogni edizione.

Poi girò una pagina e vide la sua prima foto con Effie. Chiuse gli occhi e strinse le labbra. Si alzò di scatto e iniziò ad imprecare.

Poi si bloccò e ricontrollò le date dei giornali dai quali era presa la foto. Erano progressive. Le aveva veramente raccolte e conservate dai suoi 16 anni. Erano anche un po’ ingiallite le prime.

Ritornò alla sua prima foto con Effie. Doveva ancora dare il meglio di sé con l’episodio della doccia. Era appena entrato a Capitol City.

Ma il quaderno era poco oltre la metà. Cosa altro aveva conservato dopo averlo veramente conosciuto?

C’erano le foto di tutti i ragazzi del Distretto 12. Ogni singolo anno in cui avevano lavorato insieme. Con i nomi scritti a mano. Una scrittura minuta e precisa. Molto femminile.

E le sue foto. Ogni anno qualche foto presa dalle riviste. Foto di lui con altre donne. I falsi scoop che servivano ad attirare l’attenzione su qualcuno dei Mentori. Ci erano passati tutti. Qualcuna di loro se l’era anche portata a letto. Non ricordava tutto. Non c’era più nessuna foto di loro due. Fino alla foto della vittoria di Katniss e Peeta. Loro quattro insieme. E la foto ufficiale di lui e lei.

Poi più nulla.

Lo sfogliò altre due volte. Guardandosi e guardando Effie. Chiedendosi come mai lei non lo avesse mollato dopo averlo conosciuto. Oh, a volerlo ammettere una risposta c’era. Effie non era una crocerossina, né una missionaria. Non si era mai votata a guarire o salvare qualcuno, neppure Haymitch. Era rimasta per quello che provava per lui. Haymitch sentiva un vuoto allo stomaco, il fiato fermo in gola.

Corse in camera, aprì un cassetto e prese a sfogliare i documenti che aveva riposto con cura qualche tempo prima, sempre per occupare il tempo. Trovò quelli che gli interessavano. Li portò giù e li mise nella pagina con le ultime foto. Chiuse di scatto il libro e lo portò da Katniss.

Quando bussò alla porta gli aprì la stessa Katniss.

“Ciao! Giusto per cena!”

Haymitch gli allungò il libro.

“Non mi fermo. È di Effie. Glielo puoi restituire. Le che ho messo quello che  manca. Grazie dolcezza.”

Tornò a casa sua a fare l’unica cosa che poteva salvarlo oltre l’alcool. Si buttò sul divano e si addormentò, sfinito.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


CAPITOLO CINQUE

 
Effie entrò in casa di Haymitch quasi tre ore dopo. Il tempo di riavere il quaderno da Katniss, cenare con il cuore in gola e lo stomaco stretto e poi guardare cosa ci aveva messo. Cosa voleva dire “quello che manca?”
Aveva guardato i fogli di Haymitch un po’ sorpresa i trovarci le sue tre richieste di spostamento di Distretto. Non si era accorta subito che erano una copia e sotto c’era, scritta a mano, la revoca della richiesta, firmata da Haymitch. Non aveva mai saputo che fosse lui a decidere se lei doveva rimanere o meno. Pensava fosse una semplice azione da burocrate, in base alle richieste. Alla fine si era pentita tutte e tre le volte di averlo chiesto e non le interessava capire i motivi del rifiuto. In fondo nessuno voleva il 12.
Poi aveva letto l’altro documento. Era una lettera formale, scritta sempre da Haymitch, di quattro anni prima. Era indirizzata al Capo degli Strateghi. Forse era già  Crane. Gli diceva che non intendeva avvallare mai alcuna richiesta di spostamento per Effie Trinket. Rimaneva legata alla sua persona e non al Distretto 12, come aveva chiesto già due anni prima.
Effie rilesse la lettera più volte. “Legata alla sua persona e non al Distretto…” Come era possibile? Molte accompagnatrici rimanevano sempre allo stesso Distretto, ma non era una decisione del Mentore. O almeno così veniva detto loro. Anche se non tutti gli accordi tra le parti erano espliciti. Questo lo sapeva.
Scese dalla sua stanza e avvisò Peeta e Katniss, seduti sul divano, che andava da Haymitch per ringraziarlo dato che le luci della sua casa erano accese. Katniss per sicurezza la guardò attraversare il prato, bussare a casa di Haymitch ed entrare.
 
Effie non aveva ricevuto risposta al suo bussare. Aveva provato una seconda volta e poi aveva deciso di entrare. La porta era aperta e la luce accesa.
Vide subito Haymitch disteso sul divano. Lo sentì prima di vederlo. Come il solito russava. Ogni volta che lo sentiva si chiedeva come facesse a non farsi svegliare dal rumore che faceva. Rimase davanti alla porta chiusa alle sue spalle a guardarlo. Poi si avvicinò e si mise a sedere sul tavolino davanti al divano. Haymitch dopo poco smise di russare. Effie osservò il viso disteso, rilassato. Il respiro regolare.  Le braccia strette sul petto, i capelli spettinati. Allungò una mano e gli sfiorò con la punta delle dita una spalla, ma si ritrasse subito. Aveva socchiuso gli occhi.
“Quello non sono io.” La voce era sussurrata, quasi impercettibile.
“Sei tu. La parte ufficiale di te.” Gli rispose sempre sussurrando.
“No, bionda. Io sono quello ubriaco.”
“Sei anche quello.” Effie gli sfiorò le mani. “Sei tutti e due. Senza quello delle foto, Katniss e Peeta non sarebbero qui.”
Haymitch chiuse gli occhi, ma continuò a parlare.
“Ti ho trattata proprio male, vero bionda?”
“Mi ha salvato la vita.”
“Ci sono poche persone che mi sopportano. Tu sei la migliore. Avevo bisogno di te.”
“Anche io.”
Haymitch riaprì gli occhi. “Mi hai tenuto in vita, credimi. Ho solo cercato di ricambiare il favore.”
Effie annuì. Non era proprio quello che desiderava sentirgli dire, ma era molto più di quello che avrebbe mai pensato di sentirsi dire da lui.
Haymitch allungò una mano e le sfiorò in capelli. Si guardarono negli occhi.
“Non so se mi ricordo come si fa.” Sussurrò Haymitch, lasciando cadere la mano.
“Come si fa a fare cosa?”
“Ad amare una persona.”
Effie rimase in silenzio. La stanza era ancora illuminata e la vide arrossire.
“Vai a dormire, bionda. Sono stati giorni impegnativi.”
Effie annuì e si alzò. Chiuse la luce e la porta alle sue spalle.
Una volta in camera pianse. Ma non sapeva se era triste o felice.
 
Il giorno dopo pioveva ancora. Effie non aveva dormito molto o comunque così le era sembrato. Era ancora vestita come il giorno prima. Si sistemò e scese per la colazione.
Katniss era alla finestra che guardava la pioggia appoggiarsi al vetro.
“Ciao Effie. Giornata dura anche oggi. Niente caccia, niente lavoro all’esterno.” Si girà a guardarla. “Come stai?” chiese con un sorriso.
“Buongiorno Katniss. Ho dormito un po’ male, ma vista la giornata potrò riposare un po’ anche durante il pomeriggio. Hai già fatto colazione?”
“Aspettavo Peeta, ma credo che si sia girato dall’altra parte e abbia ripreso a dormire. Andiamo!”
Si preparano la colazione e in poco tempo arrivarono anche tutti gli altri, più o meno irritati dalla giornata.
Gale partiva in mattinata e aveva ottenuto da Johanna almeno di provare a fare un giro con lui al Distretto 5 per capire come ci si stava. Stavano discutendo su questo quando bussarono alla porta. Peeta si alzò per aprire.
“Haymitch! Ciao”
“Buongiorno ragazzo. Giornata schifosa, che dici?”
Entrarono entrambi in cucina.
“Buongiorno gente.” Disse guardandosi attorno e fermandosi con lo sguardo su Effie. “Ciao Effie.”
“Buongiorno Haymitch.”
“Qualcuno mi offre un caffè?” chiese genericamente e venne servito da Johanna con i dovuti commenti sul suo essere troppo anziano per alzare una brocca di caffè e una tazza. Haymitch rispose a tono e chiese a Gale quando se la sarebbe portata via. Rassicurato che sarebbe stata questione di ore, si rivolse al gruppo.
“Sono stato convocato a Capitol City. Da Plutarch. Per qualcosa che ha a che fare con la Comunicazione. Ha degli orari assurdi quell’uomo. Ha chiamato prima delle 8.00. Ho dovuto fare una doccia per riprendermi dalla cosa. Qualcuno mi fa compagnia nel viaggio?” Guardò direttamente Effie. “Hai bisogno di andare a casa per qualcosa?”
Effie rimase in silenzio per un po’ a pensare ad una risposta adeguata. Nessuno aveva qualcosa di interessante da dire nell’attesa.
“Dovrei farmi vidimare dei documenti e potrei riprendermi alcune cose che erano state sequestrate e adesso sono state rese disponibili.”
“Bene, perché dovresti anche trovare qualcosa di decente con cui vestirmi. Credo che tutto quello che ho sia almeno due taglie troppo grande dopo la cura al Distretto 13.”
Rassicurata dal tono della conversazione Effie vi ci adeguò.
“Dovresti aver imparato qualcosa negli anni. Potresti anche provare a proporre qualcosa.”
“Completo verde pisello? Se trovi qualcosa di giallo potremmo girare a braccetto.” La guardò con aria di derisione.
“Incompetente.”
“Fissata.”
“Ditemi solo che non staremmo qui tutto il giorno ad ascoltarvi.” Chiese Katniss con tono schifato.
“No, porto Effie a fare spese stamani.”
La decisione di Haymitch bloccò tutti sul posto.
“Mi pare che piova,” commentò Peeta, mangiando un panino dolce.
“Anche a me.” Aggiunse Gale.
“C’è il mercato al chiuso,” osservò Katniss.
“Anche secondo me stare a casa non aiuta.” Sentenziò Johanna.
“Non ho nulla da comprare, grazie.” Effie fissò Haymitch con freddezza. Sapeva dove stata cercando di arrivare.
“Io devo mostrare a Rufold chi comanda da queste parti e tu sei in casa da giorni. Lui no. Quindi andiamo a marcare il territorio. Prometto di non fare la pipì per farlo, ok?”
“Sei a dir poco disgustoso!” Effie lo fulminò sul posto. “Non uscirei con te a queste condizioni.”
“Mi sono anche vestito bene, bionda. Andiamo!” In effetti aveva pantaloni e maglione lavati e stirati, si era pettinato e rasato.
“Sei un prepotente.” Effie si alzò e uscì dalla stanza.
“15 minuti Effie. Poi vengo a prenderti così come sei.”
Mentre tutti gli altri trovavano cose interessanti e inutili di cui parlare Effie salì le scale chiedendosi cosa poteva fare. Poteva uscire con Haymitch e avere del tempo per parlare con lui oppure iniziare una discussione senza fine, se non lo faceva. Non le interessava minimamente Rufold. In quel momento l’avrebbe preso a calci nelle parti basse se si fosse messo tra lei e la possibilità di parlare con Haymitch. Iniziò a vestirsi.
Quindici minuti dopo era in cima alle scale, pronta ad uscire.
Mentre scendeva sentì Haymitch dire agli altri che andava a controllare dove fosse.
Si fermò in fondo alla scale, guardandola scendere. Non disse nulla, si limitò a guardarla negli occhi finchè non gli fu davanti.
“Ciao bionda.” Lo sussurrò con dolcezza.
Effie deglutì. “Ciao.” Rispose sussurrando a sua volta.
Haymitch mise la testa in cucina. “Qualcuno ha un ombrello?”
Johanna e Gale uscirono prima di tutti per salutarli. Il treno partiva da lì ad un’ora e non si sarebbero rivisti. Dopo baci e abbracci Haymitch prese un largo ombrello e uscì dalla porta aprendolo, pronto ad accoglierci sotto anche Effie.
 
Camminarono fianco a fianco fino al cancello del Villaggio dei Vincitori, in silenzio. Poi Haymitch spostò l’ombrello di mano e le circondò con le spalle con il braccio. Effie era rigida come il manico dell’ascia. La strinse un po’ a sé.
“Stai preparando la scena?” chiese Effie, un po’ incerta su quello che stava accadendo.
“No, sto facendo qualcosa che mi piace. Sai di agrumi.”
“Ho fatto qualcosa che ti piace allora.”
Haymitch le lanciò un’occhiata quasi casuale. “In effetti non ti riesce sempre molto bene.”
“Sei scortese.” Effie rimase rigida. “Potresti fare dei complimenti anche tu.”
Haymitch si fermò e la guardò. “Mi piaci molto di più da quando non ti trucchi. L’ho sempre pensato anche quando ti vedevo al mattino prima della trasformazione per le telecamere.” Effie arrossì.
 
Quando arrivarono al mercato coperto stavano camminando fianco a fianco. Si sentivano entrambi a disagio nel toccarsi. Per anni avevano condiviso molto, ma sempre con la giusta distanza. Non era previsto che si creassero amicizie tra coloro che si prendevano cura dei Tributi, anzi veniva sconsigliato per evitare alleanze che portassero a destabilizzare il sistema. Cosa che era accaduta, anche se aveva coinvolto direttamente i Tributi. Haymitch aveva faticato parecchio nel trovare la giusta motivazione per chiedere che Effie restasse al Distretto 12, senza far trasparire la sua simpatia nei suoi confronti. Come aveva faticato a non mostrare mai in pubblico l’amicizia che lo legava a Cinna, a Plutarch o Beete. Mentori e Accompagnatrici erano merce interessante e ambita tra il pubblico, ma l’amicizia reciproca era ritenuta un errore strategico e una fonte di confusione. Potevano gestire come volevano i rapporti con gli altri per ottenere favori e aiuti, ma mai condividere. Snow aveva dimostrato che era pronto ad uccidere per evitare che accadesse. Effie e Haymitch sapevano che le eventuali telefonate o lettere tra di loro, come per tutti i Distretti, tranne forse il 2, erano controllate e verificate nei contenuti. Nessuno dei due si era mai messo in contatto con l’altro al di fuori del tempo degli Hunger Games. Haymitch non sapeva nulla della vita privata di Effie, della sua famiglia, degli amici, di quello che faceva al di fuori di quelle settimane di delirio collettivo. Non sapeva se aveva qualche relazione con un uomo. Non aveva mai foto con lei se non quelle ufficiali. Era entrato spesso nella camera di Effie, anche solo per irritarla e l’aveva trovata sempre come quella che aveva ora: linda, pulita, impersonale.
Stare vicini senza mai avvicinarsi era diventata una abitudine. Non si sfioravano, non si baciavano, non si abbracciavano. Potevano interagire solo con la parola. Effie aveva trasgredito più volte mentre lui era ubriaco. Sapeva di essere stato sostenuto fino al letto, oppure alzato di peso da lei, ma la presenza dell’alcool rendeva tutto possibile: lui era praticamente incosciente e inerme. Adesso ogni contatto fisico costava fatica, metteva a disagio, li faceva sentire incompetenti e insicuri. Anche quando Effie era stata portata al Distretto 13, emaciata, quasi svenuta, Haymitch non l’aveva avvicinata per giorni, in attesa che lei si sentisse meno vulnerabile e non l’aveva abbracciata quando era entrato nella stanza per salutarla. Le aveva raccontato quello che era successo, con dolcezza e senza mai essere sarcastico. Lei lo aveva ascoltato in silenzio e l’aveva ringraziato. Non si erano neppure sfiorati.
 “Cosa ti serve esattamente?” La voce di Effie lo distolse dai suoi pensieri.
“Un vestito, direi. Delle camicie. Qualcosa di elegante. Non eccentrico.”
“Andiamo allora.” Effie si diresse con decisione verso la parte del mercato dove si trovava l’abbigliamento. In poco tempo aveva deciso con quali mercanti contrattare. Individuò un completo con la giacca grigio scuro a righe blu sottilissime con tre diversi pantaloni coordinati (inutili secondo Haymitch, indispensabili secondo Effie). Haymitch era nel retro della bancarella a rivestirsi dopo aver provato il tutto: era ovviamente quasi perfetto come taglia e Effie aveva preso nota delle variazioni di lunghezza delle maniche e dei pantaloni.
“Dolcezza, eccoti qui finalmente. Sono giorni che non ti vedo.” La voce di Rufold lo raggiunse mentre infilava la maglia. Si chiuse in fretta e furia i pantaloni, pronto ad uscire.
“Buongiorno Rufold.” Sentì rispondere da Effie con voce glaciale.
“Cosa cerca una donna come te tra gli indumenti da uomo? Un regalo per qualcuno? Vuoi che provi qualcosa per te?”
Rufold vide Haymitch sbucare dalla tenda dietro il bancone con in mano dei vestiti.
“Allora sta aspettando te, Haymitch. Sei un uomo fortunato.” Rufold si ritrasse da Effie lasciando che lui  le si mettesse davanti. “Buongiorno Rufold.” La voce di Haymitch era altrettanto glaciale e gli occhi grigi lo stavano fissando come un lupo fissava la preda.
Tutti sapevano di cosa era capace Haymitch con l’alcool in corpo. L’avevo tutti visto crollare a terra, vomitare, urlare, barcollare. Ma ora, praticamente pulito da settimane, reso forte dal lavoro fisico, era difficile da valutare. Sembrava pronto all’attacco, ma nessuno lo aveva visto alzare le mani o battersi con altri e di conseguenza era potenzialmente pericoloso perché imprevedibile.
“Pensavo fossi ripartito,” osservò Haymitch. “Cosa di trattiene?”
“Volevo riprendere i contatti con gli amici di un tempo, come Effie. Ma capisco che questa bellezza è una tua esclusiva.”
“Può darsi.” Haymitch mantenne lo sguardo distaccato.
“Credevo che fosse vietato fraternizzare tra alleati.  Avete infranto le regole.”
“Cose vecchie ormai. Passato.” Stesso sguardo.
“Allora direi che non ho altri interessi da queste parti.  Se sento che le cose cambiano, mi farò rivedere. C’è sempre merce interessante qui.” Mentre parlava spostò lo sguardo da Haymitch ad Effie e la fissò per pochi secondi. Poi si allontanò.
Haymitch si girò a guardare Effie e la vide, bianca come un cencio, ricambiare il suo sguardo.
“Direi che possiamo pagare e guardare delle camicie.” La voce le uscì senza tremori.
Haymitch pagò il dovuto e passarono ad una banco di camice dove Effie indicò quali prendere e gliele fece provare tutte e cinque. Haymitch non la contrastò in alcun modo. Fece quello che gli veniva chiesto e pagò il conto.
Poi la portò nella bottega di Holly e fece preparare per entrambi una cioccolata calda. Si misero seduti in uno dei tavolini in fondo al locale, mezzo vuoto a causa del tempo. Haymitch allungò la mano per prendere quella di Effie, abbandonata sul tavolo. La accarezzò con leggerezza per poi stringerla nella sua. Effie ricambiò.
“Mi sento sfinita.” Haymitch iniziò ad accarezzarle l’interno del polso con il pollice. Effie giocò con la sua mano finché non si ritrovarono di nuovo a stringerla all’altro.
Intanto era arrivata la cioccolata e la cameriera l’aveva lasciata sul tavolo. Era ancora fumante.
“Sembriamo due adolescenti imbranati.” Effie lo guardò e, prendendogli la mano la portò vicina alla sua guancia. “Due imbranati,” confermò lei. Haymitch ruotò la mano e con il dorso le accarezzò  il volto.
“Inesperti.” Haymitch le sorrise. “Siamo fuori esercizio.”
“Rufold non è un esercizio piacevole.”
Haymitch le accarezzo la punta del naso. “No. È un problema.”
Effie gli sorrise. “Sai trovare le soluzioni dalle tue parti.” Haymtch le fece l’occhiolino.
Rientrando parlarono con maggiore tranquillità e si tennero per mano fino a casa di Haymitch.
Si lasciarono per prepararsi alla partenza il giorno successivo.

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


CAPITOLO SEI

 
Haymitch chiamo Plutarch e lo avvisò che arrivava con Effie e che quindi gli cambiasse la prenotazione per il treno e per l’albergo. Plutarch gli chiese se doveva chiedere due camere o una. Haymitch tentennò un attimo, abbastanza per far sorridere Plutarch, poi confermò due camere separate. La cuccetta nel treno sarebbe stata comunque unica.
Il giorno della partenza, per la prima volta, la valigia di Haymitch era più grande di quella di Effie. Saliti sul treno si ritrovarono in uno scompartimento di prima classe, solo per loro. Effie depositò la valigia e, tolta la giacca, si mise a guardare fuori dal finestrino. Sentiva Haymitch sistemare i bagagli mentre, le braccia conserte, osservava il paesaggio. Sembrava addirittura nuovo visto da quel treno, come se il viaggio la stesse portando in un luogo diverso rispetto a tutti quelli fatti negli anni. Haymitch crollò sul sedile e girandosi a guardarlo lo trovò disteso con le braccia dietro la testa. Le gambe, troppo lunghe, erano piegate e i piedi appoggiati sul muro di fronte a lui. La stava guardando.
“Non hai fame?” gli chiese . Haymitch scosse la testa. Con la mano le fece cenno di sedersi vicino a lui.
Effie si mise a sedere al suo fianco e lui le appoggiò la mano su un ginocchio.
“Plutarch mi ha chiesto se volevamo una o due camere in albergo. Ne ho chieste due. Non mi sono ricordato della cuccetta. È un problema?” Effie scosse la testa.
“Bene, perché volevo guardarti dormire.”
Effie sorrise. “Con il tuo russare? Sarà difficile.”
Haymitch le diede uno schiaffo al ginocchio.
“Ti meriti di andare a mangiare, allora!” E si alzò con lentezza, mentre Effie a sua volta, alzandosi, si sistemava il vestito. Era uno di quelli di Katniss, che comunque lei non usava, riadattato.
“A proposito!” Haymmitch prese la più piccola delle due valigie che aveva portato, nascosta dentro quella grande. “Questa è tua.”
“No,” Effie lo guardò di sfuggita, ormai alla porta. “Io ho solo quella borsa gialla.”
“Anche questa è tua. L’ho preparata io.”
L’espressione di Effie si fece perplessa. Haymitch le fece cenno di aprirla e Effie fece scattare le due serrature e tirò la zip.
“Sono tornato al mercato ieri.” Dentro la borsa Effie vide un tessuto blu e bianco, damascato. Alzandolo scoprì che era un abito e sotto ne trovò un altro giallo limone. E due paia di scarpe.
“No!” Effie chiuse di scatto la borsa, con i vestiti nel mezzo. “No, Haymitch.”
“Non ti piacciono?” le chiese sorpreso.
Effie aveva la testa bassa e le mani si muovevano lungo l’abito come se dovesse lisciarlo.
“Perché?” gli chiese alzando lo sguardo verso di lui.
“Perché li ho presi? Per farti un regalo. Ti eri occupato dei miei vestiti, volevo occuparmi dei tuoi. Cosa è successo che non ho capito?”
Effie non disse altro e gli buttò le braccia al collo. Haymitch quasi si sbilanciò all’indietro e poi ricambiò l’abbraccio. Non capiva cosa le fosse successo. Era solo un regalo, niente di più. Adesso.
“Effie,” sospirò con la bocca contro il suo orecchio, “sono io. Siamo qui. Non voglio nulla in cambio. È solo un regalo.”
“Lo so, lo so.” La voce di Effie gli arrivò attutita dalla sua spalla. “Lo so che sei un uomo leale. Scusami.”
Haymitch le prese il volto tra le mani e la scostò da sé fino a farsi guardare.
“Cosa volevano in cambio dei loro regali? E non scusarti.” Effie lo guardò rimanendo in silenzio. Sapevano quale era la merce di scambio chiesta alle Accompagnatrici.
Haymitch lasciò cadere le mani e iniziò ad imprecare, andando verso il finestrino. Si girò e la guardò.
“Dammi il nome di qualcuno che posso pestare a sangue.”
“Non c’è più nessuno.”
“Rufold?”
“Non è il tipo da regali.”
“Chi?”
Effie continuò a guardalo negli occhi. “Sono sempre riuscita ad evitare di ricambiare i regali. Penso che anche per questo a volte non riuscivi a trovare sponsor per il 12. Non offrivo merce di scambio.”
“Qualche Stratega? Crane?” Haymitch si sentiva un drago pronto a sputare fiamme.
Effie negò. “Non sono mai arrivata così in alto. Sono troppo vecchia.”
“Bastardi.” Haymitch allungò la lista degli insulti ancora per qualche minuto, mentre Effie prendeva nuovamente in mano i vestiti, appoggiandoseli contro per capire come le stavano. Poi si avvicinò ad Haymitch e, allungandosi sulle punte dei piedi, gli diede un bacio sulla guancia. Lui si zittì all’improvviso.
Era il loro primo bacio.
 
A cena continuarono a parlare dello scambio di regali  e incontri sessuali che coinvolgevano Mentori e Accompagnatrici, sollevati dal poter parlare liberamente di un segreto sul quale non si erano mai confrontati direttamente. Entrambi avevano raccolto le confessioni di altri oppure avevano condiviso con altri i tentativi che erano stati fatti nei loro confronti. Haymitch aveva accettato degli scambi di favori, ma più per piacere personale che per ottenere qualcosa. Effie si era ritirata in una torre di avorio, lontana da tutti. Non chiese ad Haymitch con chi e quando era successo. All’inizio controllava se rientrava o meno per la notte nella camera vicina alla sua, poi aveva rinunciato dato che spesso era ubriaco e aspettarlo la faceva stare più male che ignorarlo. Stranamente parlarne li rese più tranquilli e, a volte, ironici. La sensazione era di potersi liberare da una delle molte catene del passato.
Rientrando nello scompartimento trovarono che i letti erano già stati preparati e Effie si chiuse in bagno, mentre Haymitch, disteso sul letto, si guardava la televisione.
Effie uscì dopo un buon periodo di tempo, struccata, lucida di crema e con una camicia da notte color lilla che le scendeva ai piedi come una tunica semitrasparente. Stringeva contro di sè i vestiti che si era tolti e l’attaccatura del seno, appena visibile nella scollatura così tenacemente protetta, era una cosa estremamente attraente. Haymitch non fece segreto del suo interesse e la guardò a lungo con lentezza.
“Smettila, impertinente!” Effie lo guardò con stizza.
Haymitch rise e se ne andò in bagno a sua volta. Quando ne uscì, indossando solo i pantaloni del pigiama, Effie spalancò gli occhi, tra l’ammirazione e lo sconcerto.
“Volevo ricambiare il favore di prima,” le disse con il tono di chi spiegava una cosa ovvia.
Effie sbuffò e si girò su un fianco, lo sguardo verso il muro e chiuse la luce del suo letto. Sentì Haymitch ridere di gusto, fino a quando non riuscì ad infilarsi i tappi nelle orecchie per evitare di sentirlo russare.
 
Plutarch li accolse come se non aspettasse altro dalla vita. Era sempre vivace, quasi euforico. Chiese notizie di tutti e raccontò aneddoti di Capitol City più di un giornale scandalistico. Li fece ridere e sconcertò Effie in più di una occasione con un linguaggio troppo simile a quello di Haymitch. Aveva bisogno di Haymitch per verificare un progetto per la scelta della strategia comunicativa del Governo. La cosa richiedeva parecchio tempo, forse tutto il pomeriggio. Forse Effie voleva partecipare?
Effie rifiutò con un sorriso. Spiegò quello che voleva fare per quanto riguardava le sue cose ancora a Capitol City. Rifiutò anche l’invito a cena. Aveva preso contatti con amici ancora residenti in zona e sarebbe uscita con loro. Li salutò e uscì dallo studio di Plutarch. Aveva già deciso con Haymitch che, al loro rientro, si sarebbero cercati nelle rispettive camere, per la buonanotte.
Effie passò il pomeriggio tra diversi uffici, recuperando una parte del denaro che aveva depositato in banca prima della guerra (una seconda parte le sarebbe stata restituita da lì ad un anno). Era più di quanto si aspettasse e questo le permetteva di guardare al futuro con meno paura. Alleggerita dalla scoperta, si dedicò a sistemare i suoi documenti e a cercare qualcosa per festeggiare. Trovò un vestito per sé e uno per Katniss e due maglioni simili per Haymitch e Peeta. Era un modo per ricambiare la loro ospitalità. Avere a disposizione tutto quel denaro metteva in discussione anche la sua scelta di andare a vivere con Katniss. Poteva permettersi l’affitto di un piccolo appartamento adesso e di avviare la sua attività di sarta. Lasciare il Distretto 12, proprio adesso, non era tra i suoi desideri.
La sera gli amici cercarono di mostrarle quanto fosse piacevole la vita che facevano ora. Nulla di paragonabile ai fasti degli anni precedenti, ma si poteva ancora ascoltare musica, ballare, bere e mangiare in compagnia. Effie si divertì con loro, ma sentiva che, dopo l’esperienza della guerra e la vita che passava al 12, tutta quella gioia la rendeva un po’ nauseata. Non ne fece cenno con loro e si lasciò trasportare dal divertimento, ma sentiva che ora desiderava altro. Cominciò a percepire come mai Peeta, Katniss e lo stesso Haymitch avevano sempre trovato fastidiose le feste degli Hunger Games.
La accompagnarono in albergo e la salutarono nella hall. Effie salì con una certa agitazione verso la sua camera, al 15° piano dell’albergo. Bussò alla porta di quella di Haymitch, guardandosi attorno per vedere se arrivava qualcuno.
Haymitch aprì quasi subito. Era ancora vestito con camicia e pantaloni, ma senza cravatta e con i capelli come un cespuglio. A piedi nudi. Le fece cenno di entrare.
La camera era un caos totale. Sembrava impossibile che riuscisse a farlo in così poco tempo. L’essere o meno ubriaco non contribuiva al risultato. Effie si era sempre assicurata, negli anni, che il servizio di lavanderia e stireria fosse sempre a disposizione per lui. Senza rendersene conto iniziò a riordinargli i vestiti.
Haymitch sbuffò. “Se intendi passare il tempo a fare la cameriera, ti spiego meglio cosa vorrei da te.”
Effie si bloccò e lasciò cadere a terra, da dove l’aveva presa, la cravatta che Haymitch aveva indossato durante il pomeriggio. Si mise le mani ai fianchi pronta a ribattere. Non si aspettava lo sguardo ironico e sensuale che gli vide addosso.
“Sei proprio carina con quel vestito.” Aveva scelto il vestito blu e bianco che lui le aveva regalato. Era ben scollato. Durante la serata si era tenuta al collo una sciarpa che attutiva l’effetto, ma ora la stringeva in mano con la giacca. “Hai lasciato tutta quella meraviglia agli occhi di molti?”
“Avevo questa al collo,” gli disse mostrando la sciarpa.
“Tutto per me, allora.” Le sorrise con una smorfia.
“Bah,” sbuffò. “Cosa hai fatto con Plutarch?”
“Cosa da uomini.” Aprì il frigobar e prese una soda e limone. La mostrò a Effie e lei annuì. Mentre ne preparava due continuò. “Mi ha portato in un locale in cui le cameriere servono vestite in sottoveste. Corta. Potrei descriverti gli slip.”
“No, grazie. Vi siete divertiti, allora.”
“Parecchio Plutarch, io dopo un po’ mi sono annoiato dello spettacolo. Sempre uguale. E tu?”
Entrambi si erano seduti sul divano che c’era sotto la finestra che dava sulla facciata dell’hotel, con il bicchiere pieno in mano.
“Serata con gli amici. Divertente. Nessun cameriere in slip.”
“Delusa?”
“Assolutamente no.” Brindarono alzando il bicchiere e poi rivolsero lo sguardo alla città. Era notte inoltrata in quel momento e si vedeva la luce di qualche locale e della gente in giro, ma era deserto rispetto a quello che accadeva durante gli Hunger Games.
“Non tornerei indietro,” disse Effie. Haymitch le spostò un ciuffo di capelli da viso, per poterla vedere meglio.
“Anche se hai perso tutta la tua vita?”
Effie annuì. “Sto cominciando a pensare di avere vissuto in un mondo diverso dalla realtà. Questa sera sono stata con gli amici, abbiamo fatto cose diverse, parlato di cose diverse. È strano.”
“Vieni qui?” le chiese Haymitch facendole segno di sedersi vicino a lui. Effie si spostò, si tolse le scarpe e appoggiò la schiena al petto di Haymitch. Lui fece scorrere il braccio libero lungo il suo fianco e appoggiò la mano sopra la sua pancia. Entrambi guardarono lo spettacolo del cielo stellato in silenzio.
Rimasero così a lungo, sorseggiando la soda fino a lasciare i bicchieri vuoti sul pavimento.
“Haymitch…” sussurrò Effie.
“Mmmh?” mugugnò lui.
“Hai detto che non sapevi se eri ancora capace di amare.”
Haymitch si tese. Effie lo sentì contro la sua schiena.
“Si.”
“Sei riuscito a darti una risposta?”
“Quasi,” sussurrò.
“Haymitch….”
“Dimmi…”
“Vuoi baciarmi?”
Sentì le sue labbra contro il collo, risalire verso l’orecchio e poi alla tempia. Leggero come una piuma. Effie sentì schiudersi la bocca. Lentamente, troppo lentamente la bocca di Haymitch raggiunse  l’angolo della sua.
 “Ho desiderato di essere baciata da te molto spesso in questi anni,” gli sussurrò.
Poi lentamente iniziarono a baciarsi. Occhi chiusi, battito accelerato, mani che si muovevano sul corpo dell’altro. Non erano molto consapevoli di quello che stavano facendo. Né per quanto tempo lo avrebbero fatto.
La mano di Haymitch era salita verso il seno, ma si era fermato.
“Posso?” le sussurrò all’orecchio, premendo leggermente il palmo contro di lei.
Effie rispose con un gemito. Haymitch strinse la mano attorno al suo seno, mentre il suo respiro, contro la bocca di Effie si faceva sempre più pesante.
Haymitch si staccò da lei con estrema lentezza. Dopo molto tempo. La guardò finché Effie non aprì anche lei gli occhi.
“Ti ho desiderata tanto in questi anni,” le disse.
Effie spalancò gli occhi. Si sentiva spaesata. Da quello che facevano, da quello che diceva. Desiderio, forse paura.
“Mi sono raccontato un mucchio di fesserie su di te negli anni. Sul fatto che fossi poco interessante. Come donna.” Haymitch la strinse a sé e poi si alzò andando verso il centro della stanza. “Mi fa paura tutto questo. Anche a te?” le chiese.
Effie annuì con il respiro corto.
“Quanto sei bella Effie… Donna, sei più di qualsiasi immaginazione.” la stava guardando, in piedi, mentre lei era ancora semidistesa sul divano, il vestito alzato che lasciava vedere le gambe. Haymitch aveva il respiro corto quanto lei, la camicia aperta, i pantaloni stropicciati e tesi.
“E’ troppo Effie, adesso…. È troppo tutto questo adesso. Stiamo correndo?”
“Haymitch…” Lo guardò camminare nella stanza come un leone in gabbia, confuso. Lo conosceva abbastanza da sapere che era confuso, non arrabbiato. “Haymitch, fermati e ascoltami.”
Haymitch si fermò quando sentì il tono autoritario di Effie. Era il suo tono di comando, quello che serviva a farlo rientrare nei ranghi. Di solito il risultato non era quello atteso da Effie e lui continuava a fare quello che voleva. Ma in quelle occasioni si trattava di feste, strategie, regolamenti. Ora si trattava di loro e si fermò.
“Smettila di girare come una trottola. Non capisco cosa stai pensando.”
Haymitch prese un lungo respiro e chiuse la bocca in una smorfia pensierosa. “Mi sento travolto, stravolto.” La guardò negli occhi. “Sei bella, Effie,” le disse nuovamente. “Baciarti va oltre ogni immaginazione.” Fece un piccolo sorriso storto. “Credevo di avere sotto controllo la mia vita adesso, ma invece non è vero. Ho paura di perdere il controllo.” Quando si rese conto di quello che aveva detto iniziò a ridere con una mano davanti alla faccia.
Effie lo guardò un po’ perplessa. Anche lei sentiva che stavano esplodendo desideri repressi a lungo e ne aveva paura. Ma Haymitch sembrava veramente spaesato. Le ci volle un po’ per capire che stava piangendo. Era seduto sul letto, con le mani davanti alla faccia e il fiato corto.
“Haymitch…” gli si avvicinò e si mise davanti a lui appoggiandogli una mano sulla testa. Haymitch si lasciò cadere in avanti, verso di lei, fino ad appoggiarle la testa sulla pancia. “Aiutami…” le chiese con la voce rotta di pianto.
Per la prima volta, da quando si conoscevano, Effie vide il dolore di Haymitch, quello che per anni nascondeva dentro la bottiglia. Gli si avvicinò abbracciandolo come fosse un bambino, accarezzandogli la testa e rassicurandolo che tutto sarebbe andato bene. Sentì le braccia dell’uomo circondarla e stringerla a lui. Gli accarezzò a schiena e la testa, con movimenti lenti e costanti. I sussulti finirono e il respiro riprese un ritmo normale.
“Di cosa hai paura?” gli chiese sottovoce.
“Non voglio perderti,” le disse con voce ancora rotta. “Ho perso tutti ogni volta che mi sono avvicinato a qualcuno. Oppure ho rischiato di perderli come Katniss e Peeta. Ho perso la mia ragazza per gli Hunger Games. Non voglio desiderarti, averti, per poi perderti.”
“Non ho nessuna intenzione di lasciarti andare da solo da qualche parte.”
Haymitch la strinse ancora di più. “Sciocca donna.” Effie sentì il solito tono ironico. Lentamente riprese il controllo di sé  e si staccò da lei. Alzando lo sguardo verso il suo volto le fece un leggero sorriso con gli occhi arrossati.
“La mia bionda…”
Effie ricambiò il sorriso. “Il mio sogno di adolescente…”
Si accordarono per rivedersi il mattino successivo. In qualche modo Haymitch sentiva che Capitol City non meritava di avere l’esclusiva della loro prima notte insieme, non in un misero albergo che non diceva nulla a nessuno dei due. Effie si sentiva più tranquilla all’idea di poter rinviare quel momento. Si sentiva veramente una adolescente imbranata. La buonanotte durò comunque molto tempo.
“A che ora domani mattina?” le chiese Haymitch dopo un ultimo, ennesimo bacio.
“Alle otto, a colazione,” risposte Effie un po’ senza voce.
“Alle otto?” Haymitch la allontanò da sé guardandola con gli occhi sbarrati. “Il treno parte dopo le 10.00! Anche volendo fare lentamente alle 8.15 abbiamo finito colazione, alle 8.20 abbiamo fatto i bagagli e in 40 minuti siamo in stazione. Che faccio per il resto del tempo?”
“Mi guardi mentre mi aspetti,” gli rispose Effie come se fosse ovvio.
Lo spinse contro il letto lasciandolo cadere mentre rideva e andò, sorridendo, nella sua stanza.

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


CAPITOLO SETTE

 
Il giorno successivo fu per caso che trovarono come occupare il tempo in attesa del treno. Alle 8.30 erano veramente dentro un taxi con tutti i bagagli chiusi e mentre Haymitch era impegnato nel tentare di recuperare nella quantità di baci che secondo lui erano dovuti in quel momento della loro storia, Effie stava guardando fuori dal finestrino per tentare di evitare una cosa così poco corretta come baciare qualcuno davanti ad un estraneo in un posto chiuso quale era un taxi.
Fu lei a vederlo per prima. Il Centro di Addestramento degli ultimi Hunger Games. Non disse nulla. Si limitò ad irrigidirsi e Haymitch alzò la testa girando spontaneamente lo sguardo dove era il suo. Rimasero in silenzio mentre guardavano quell’edificio stranamente ancora in piedi. Fu Haymitch a chiedere al taxi di fermarsi. Chiese all’autista se sapeva cosa c’era nell’edificio, ma rispose semplicemente che si trattava di un hotel di lusso. Promise di aspettarli mentre loro gli davano un’occhiata.
Entrarono nella stessa identica hall che li aveva accolti poco tempo prima. Si guardarono attorno un po’ spaesati. Sembrava di essere tornati indietro nel tempo. Una hostess li avvicinò per chiedere cosa desideravano e Effie rispose che stavano solo dando un’occhiata. Fu l’hostess a cambiare le carte in tavola.
“Scusatemi!” esclamò portando una mano al mento. “Davvero, non eravamo stati avvisati di una vostra visita.”
Entrambi la guardarono perplessi. “Non era un visita programmata,” si limitò a dire Effie.
“Allora seguitemi, vi prego.” Fece loro cenno di camminare nella hall verso gli ascensori. “Ronnie,” disse alla collega che era rimasta al banco informazioni, “accompagno la signorina Trinket e il signor Abernathy a visitare l’hotel.” Effie e Haymitch si guardarono tesi e perplessi. Non era l’accoglienza che avevano di solito. Erano considerati personaggi scomodi per il nuovo governo. Erano simboli di un passato regime, non certo di quello attuale. Non venivano invitati a cerimonie pubbliche da prima degli ultimi Hunger Games, non erano personaggi pubblici, né i giornalisti si erano mai interessati a loro.
“Non capita spesso che ci riconoscano, ormai,” disse Haymitch con il suo tono cordiale e confidenziale, sorridendo alla hostess. Intanto prese la mano di Effie nella sua.
“Oh, è strano,” sorrise ad entrambi l’hotess. “Siete tra le persone che hanno dato avvio alla rivoluzione, non è vero? Pensavo che foste considerati delle star.”
“Grazie,” continuò sorridendo Haymitch con la sua migliore faccia di rappresentanza.  “In realtà viviamo molto ritirati.”
“Volete vedere tutto oppure solo i 12 piano?”
“Solo il 12°, grazie.” Effie sorrise a sua volta.
Entrarono in ascensore in silenzio, ma poi la hostess spiegò loro che arrivavano uno o due gruppi a settimana di persone che volevano visitare l’hotel e quindi si erano documentati per poter dare qualche informazione storica. Le camere erano state lasciate come erano originariamente e l’hotel era considerato di lusso dato il loro numero limitato. Arrivati al 12° Haymitch chiese se potevano visitarlo da soli. Lei consegnò loro un badge per entrare nelle stanze dato che erano tutte libere, ma chiese loro di ritornare nella hall entro 20 minuti. Le spiegò che avevano il taxi in attesa e avrebbero fatto il giro velocemente.
Lei sorrise e scese da sola.
“Non sarei riuscito a stare qui con qualcuno in giro,” sbottò Haymitch. “Te la senti?” le chiese stringendole la mano. Effie mugugnò qualcosa che poteva essere una risposta affermativa e la chiarì muovendosi per prima verso le stanze che erano state di Katniss e Peeta. Erano rimaste identiche a come le avevano lasciate prima di entrare nell’Arena.
“Sono contenta che non ci siano loro qui adesso. Sarebbe stato un dolore immenso per entrambi, più che per noi.” Effie guardò Haymitch con tristezza. Haymitch la strinse a sé e andarono verso le loro stanze. Erano esattamente le stesse.
“La notte prima dell’inizio sono passato a guardarti dormire, chiedendomi se e quando ti avrei rivista. Speravo che ti risparmiassero qualsiasi cosa dato che non ti eri mai compromessa.” Haymitch guardava davanti a sé il letto perfetto che aveva accolto Effie in quei giorni.
“Non immaginavo quello che avreste fatto. E forse non ti avrei seguito allora.”
“Non lo avresti fatto e io non avrei saputo come spiegartelo così bene da convincerti.”
“Credi che sarebbe stato diverso se invece mi avessi chiesto di farlo e io avessi accettato?”
“No.” Haymitch la guardò. Effie si era appoggiata alla sua spalla. “La mia sola preoccupazione era vincere e fargliela pagare. Ho patito l’inferno nei primi giorni, senza alcool. Non mi avresti visto per settimane e poi comunque sarei stato così fissato all’obiettivo di far fuori il regime che non avrei visto nulla e nessuno. Neppure te. Ho dovuto affrontare l’inferno per capire che se volevo il paradiso dovevo guardare nel mio passato e non nel mio futuro.”
“Oh, Haymitch!” Effie lo abbracciò gettandogli le braccia al collo con un sospiro. Poi gli diede un pugno poco cortese alla spalla e lo guardò torva. “Ti ho odiato così tanto quando mi hanno detto cosa avevi fatto. Ti ho odiato e ho sperato che fossi vivo e libero da qualche parte. Avevi bisogno di essere libero come dell’aria che respiravi.” Haymitch la strinse con forza a sé. “Quando ho cominciato a capire che eravate più vicini di Snow alla vittoria ho cominciato a sperare di poterti rivedere. E forse ho iniziato a parlare un po’ troppo perché sono stata messa in prigione poco dopo. Non mi hanno mai interrogato, né chiesto nulla. Credo volessero solo farmi sapere che non ero più considerata leale. Mi hanno tolto quello che mi avevano dato.” Haymitch se possibile al strinse ancora di più a sé.
“Ho forzato ogni minima catena dell’ingranaggio per riportarti da me. Mi dicevo che era per lealtà, perché eri stata buona con i ragazzi. Ma l’ho fatto solo per me.”
“Plutarch mi ha raccontato il tuo scontro con la Coin per arrivare a me. Hai rischiato grosso.”
“Non avevo nulla da perdere a quel punto.” Aveva il volto tra i capelli di Effie mentre la abbracciava. “Volevo solo te. Volevo solo riavere te.”
 
Il taxi li fece arrivare in orario al treno e il treno li fece arrivare in orario al Distretto 12. Passarono gran parte della notte in cuccetta a parlare di cose importanti e di stupidaggini tra baci, abbracci e insulti reciproci. Quando arrivarono al Villaggio dei Vincitori erano esausti e felici. Effie andò direttamente a casa di Katniss per portare le sue cose e spiegarle come mai aveva deciso di traslocare da Haymitch.
Katniss era sola a casa. Peeta si trovava nella sua casa a dipingere per uscire da una fase di crisi che lo attanagliava da qualche ora. Stare solo a dipingere lo aiutava a spostare fuori la tensione che aveva dentro. Produceva strani quadri fatti di ricordi veri misti a ricordi falsi e poi con Katniss o Haymitch dava loro un senso.
Mentre si bevevano un te insieme Effie iniziò a raccontare del viaggio, ma Katniss non era tipo da perdersi nei particolari.
“Come è stato con Haymitch?” le chiese quasi bruscamente.
“Diverso dal solito,” rispose con evidente timidezza. Katniss ripensò ai suoi dialoghi con Peeta e rimase in silenzio, in attesa.
“Sai,” iniziò guardandola con un sorriso, “non era possibile per Mentore e Accompagnatrice parlare di qualcosa che non fossero i giochi. Nessuna confidenza su di noi. Ci conosciamo da anni e sappiamo, uno dell’altra, solo quello che abbiamo immaginato o scoperto per caso. Ci siamo occupati uno dell’altra senza dircelo e senza mai confidarcelo.” La guardò intensamente. “Era il mio sogno di adolescente, il Vincitore degli Hunger Games.”
Katniss sorrise. “Ho visto le registrazioni di quell’anno ed era decisamente un bel ragazzo.”
Effie ricambiò il sorriso. “Il tutto è un po’ confuso ancora. Credo che entrambi sappiamo cosa vogliamo, ma siamo un po’…” si fermò per cercare la parola giusta. “Impreparati e imbranati, direi.”
Katniss rise. “Come mi sentivo io con Peeta all’inizio.”
“Ho deciso di trasferirmi da lui,” le disse Effie. “Non voglio essere scortese, Katniss…”
“Andiamo Effie!” Katniss un po’ sbuffò. “Non essere così formale con me.”
“Non sono formale, solo cortese.” Effie prese un tono deciso.
Katniss alzò una mano in segno di scusa. “Ok, capisco, ma siamo noi. Puoi fare quello che desideri senza fare torto a nessuno.”
“Grazie.” Effie sorrise con affetto.
“Voglio dire,” continuò Katniss, “ci vuole coraggio per stare con lui. Se cambi idea puoi tornare qui.”
Prima che Effie rispondesse sentirono la porta aprirsi.
“Ciao!” disse Peeta entrando. “Sono tornati?”
“Ho perso la scommessa Peeta. Avevi ragione tu,” rispose Katniss.
“Su cosa? Ciao Effie,” disse entrando.
Mentre Peeta di sedeva con loro al tavolo Katniss spiegò ad Effie che secondo Peeta era ovvio quanto Haymitch fosse interessato a lei e, come il solito, sapeva osservare molto bene le relazioni tra le persone.
“Effie si trasferisce da Haymitch.”
Peeta sorrise. “Bene! Allora è stato un buon viaggio.”
Effie annuì. Non chiesero altri particolari e chiacchierarono di Plutarch e della differenze che Effie aveva visto in Capitol City.
Quando Haymitch li raggiunse Katniss lo prese in giro per un po’ su quello che era successo con Effie, senza riuscire a farlo arrabbiare. Sembrava invece felice di poter raccontare quanto gli piacesse quella bionda. Effie era più riservata e altrettanto felice.
Fu lui ad accennare al Centro di Addestramento e a quello che avevano visto. Katniss e Peeta rimasero quasi indifferenti, ma Peeta commentò che non sentiva alcun bisogno di rivedere quel posto, se non fosse per ricordare le notti passate con Katniss.
“Forse, e dico forse,” sussurrò Effie con delicatezza, “un giorno potreste rivederlo e pensare solo a quelle notti, senza farvi addolorare da tutti gli altri ricordi.”
“Sarà difficile,” disse brusca Katniss. Peeta rimase in silenzio.
Katniss guardò direttamente il suo compagno. “Sarà difficile,” gli disse.
“Adesso lo sarebbe,” confermò Peeta.
Katniss si alzò e guardò fuori dalla finestra. Peeta la seguì con lo sguardo.
“Non voglio assolutamente vederlo ora, Katniss. Dico solo che non voglio decidere adesso per quello che potrei fare in futuro.”
“Non voglio vederlo mai.”
Peeta si alzò e la abbracciò. “Odio tutto di quel posto, tranne quelle notti,” le sussurrò. “Anche solo per quelle non voglio dimenticarlo.”
Katniss lo strinse a sé, senza parlare.
Haymitch  e Effie li guardarono in silenzio.
 
La cena fu interrotta da una telefonata di Johanna che chiedeva lumi sul rientro dei due viaggiatori e, sentito da Haymitch che Effie traslocava da lui, passò buona parte della telefonata a commentare la cosa a tutto vantaggio di Haymitch che guadagnava dalla vita molto più di quanto meritava. Effie si prese i complimenti per il coraggio.
A telefonata finì in una serie di improperi tra Haymitch e Johanna quando lui le chiese se era riuscita ad attirare l’attenzione di Gale anche con i vestiti addosso. Peeta prese la cornetta e iniziò una conversazione con toni molto più umani con Gale, riuscendo a scoprire che Gale la stava facendo impazzire dicendole che poteva andarsene quando voleva, ma proponendole sempre cose più interessanti da fare.
A fine serata le coppie si separarono.
 
Haymitch aveva preparato per Effie la camera accanto alla sua, per non sentirsi rinfacciare che aveva forzato le cose, sperando che quel tempo di limbo fosse il più breve possibile.
Non le chiese nulla, ma si limitò a mostrarle la camera e il resto della casa lasciandola libera di decidere.
Mentre chiacchieravano sul divano, abbracciati, Effie gli chiese spiegazione di una cosa che l’aveva sorpresa nel comportamento di Haymitch.
“Ho sempre pensato che fossi il tipo di uomo che se voleva qualcosa ad una donna lo mostrava e basta, invece… non mi hai mai imposto nulla. Neppure un abbraccio se non ti lascio capire che lo desidero.”
Haymitch rimase interdetto. “Non ci avevo pensato, ma credo che sia perché voglio essere sicuro che tu lo desideri quanto me. O forse…” si fermò un attimo. “Forse perché il rifiuto di altre donne non mi preoccupava, il tuo sì.”
Effie lo baciò. “Sei un uomo gentile.”
“Tu chiedimi qualsiasi cosa. Difficile che ti rifiuti qualcosa, bionda. Molto difficile.”
Si salutarono davanti alla porta di Haymitch.
 
Effie rimase sveglia in piedi alla finestra della camera chiedendosi di quanto tempo sentiva di avere bisogno. Forse avrebbe voluto aver il coraggio di entrare nella camera di Haymitch già quella notte, ma voleva che fosse qualcosa di indimenticabile. Sarebbe stato comunque indimenticabile, qualunque posto e qualunque momento. Anche perché lei non sapeva se per Haymitch c’era un posto più desiderabile di altri.
Sentì bussare leggermente alla porta.
Aprendo si trovò davanti Haymitch, in pigiama e a piedi nudi.
“Sai che sono un bastardo, lo sai. E faccio cose diverse da quello che dico. A volte.” Effie lo guardava in attesa. “Questa è una di quelle volte. Ti desidero Effie, non posso aspettare. Anzi, no. Non voglio aspettare.”
Effie si alzò leggermente in punta di piedi e lo baciò su una guancia. “Mi porti in camera tua?” gli sussurrò.
 
La mattina dopo Effie si svegliò ancora tra le braccia di Haymitch che, ovviamente, stava russando. Si accoccolò un po’ più contro di lui e fu un movimento sufficiente per farlo smettere. Era ancora nuda, cosa che la faceva sentire parecchio a disagio e quindi si alzò piano e si infilò la camicia da notte. Anche Haymitch era nudo, ma sembrava che a lui la cosa non desse fastidio. Anzi, mentre lo guardava si mise supino con le braccia aperte sul letto. Probabilmente era la sua posizione preferita perché lo aveva visto spesso addormentato così quando passava a controllare che fosse in camera e non in giro ubriaco. Non aveva voglia di fare colazione in quel momento. Voleva Haymitch. Si rimise a letto, sdraiandosi vicino e sopra di lui. Haymitch reagì quasi immediatamente abbracciandola.
“Perché hai rimesso ‘sta roba addosso?” le chiese con voce impastata toccando la camicia da notte.
“Per sentirmi più comoda.”
“Tanto poi devo togliertela.”
“Per ora riprendi a dormire.”
“Non ci penso neppure, Effie.”
 
Fecero colazione tardi quella mattina parlando di cose che neppure sapevano di condividere. Effie era spettinata e arrossiva quasi ad ogni complimento di Haymitch che si divertiva a stuzzicarla usando parole ed espressioni decisamente sfrontate. Effie vide finalmente il ragazzo con gli occhi grigi del quale si era innamorata a 16 anni, dolce e sfuggente come nelle interviste. Si sentivano come se stessero ricostruendo un puzzle.
“Sai che mi devi un autografo?” gli disse all’improvviso, mentre Haymitch stava sistemando la lavastoviglie.
“Un autografo?” chiese ghignando. “Da quando?”
“Ti ho avvicinato quando eri Mentore, forse il tuo quinto o sesto anno. Ero in mezzo alla folla e ho allungato la mano e il  quaderno per un autografo, ma quello di fianco a me mi ha spinta di lato e sono finita dietro. Tu però hai ignorato tutti per salutare qualche altro Mentore che stava arrivando.”
Haymitch prese una penna dal cassetto del tavolo della cucina. “Dove autografo?”  E fece il gesto di scriverle sopra il seno, prendendosi uno schiaffo sonoro.
“Smettila, esagerato!” Haymitch la baciò e riprese a sistemare le stoviglie.
 
Le giornate presero a scorrere con una certa regolarità. La camera che Haymitch aveva pensato per Effie diventò il suo studio come sarta, anche se il letto rimase come alternativa per le notti in cui il russare del suo uomo era decisamente difficile da sopportare. La casa iniziò a prendere un aspetto vissuto con piante, colori e un cauto disordine. Haymitch continuò a lavorare con Peeta e si adagiò nella routine che Effie gradualmente gli stava offrendo. Pasti ad orari regolari, notti per dormire con continuità, nessuna bevanda alcolica per nessun motivo, pulizie comuni senza rinvii, vestiti ordinati e profumati. Riuscì perfino a fargli appendere alle pareti le poche foto che aveva conservato della famiglia, chiedendo a Peeta di creare delle cornici adatte. Haymitch scoprì che ricordava quello che lo appassionava prima dei suoi 16 anni, compreso un certo istinto alla coltivazione che gli permise di crearsi un orto dietro casa. Quando Effie sentiva i bisogno di rivedere Capitol City prendevano il treno e trascorrevano alcuni giorni in città, con i pochi amici rimasti di lei che erano a conoscenza della smodata passione della donna per il suo Mentore oppure con gli amici che Haymitch aveva nel governo, tutti concordi nel considerarlo un uomo molto fortunato.
Impararono ad amarsi e a convivere con le loro storie e il loro diverso modo di guardare al mondo. Effie trovò occasioni per imprecare contro di lui e Haymitch occasioni per chiedersi come quella bionda potesse farlo infuriare così tanto. L’imbrunire era il momento della giornata che entrambi attendevano: avevano una casa in cui vivere, un divano per potersi abbracciare, il fuoco del camino per potersi scaldare e soprattutto avevano tempo. Un passato da ricostruire, un presente da vivere e un futuro al quale pensare.

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