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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Prologo: Fuoco! *** Capitolo 2: *** Primo capitolo: Armamento, protezione e… mobilità! *** Capitolo 3: *** Secondo capitolo: A secco *** Capitolo 4: *** Terzo capitolo: Sorprese *** Capitolo 5: *** Quarto capitolo: Intensità *** Capitolo 6: *** Quinto capitolo: Appartenenza *** Capitolo 7: *** Sesto capitolo: Terremoto *** Capitolo 8: *** Settimo capitolo: Baratro *** Capitolo 9: *** Ottavo capitolo: Cessate il fuoco! *** Capitolo 10: *** Epilogo: Poiché il vero amore tutto potrà ***
Storia
scritta per partecipare al concorso per storie originali indetto da ManuFury: “ThisIs War II”.
Buona
lettura!
Poiché il vero
amore tutto potrà
Prologo: Fuoco!
“Via
di qui!” Il caos era totale, il rumore assordante, il volante sussultava tra le
sue mani come se volesse fuggir via anche lui. Nelle sue orecchie risuonavano
ordini contradditori, mentre il suo ufficiale comandante le urlava di
disimpegnarsi, il capitano di squadrone ordinava di avanzare compatti. Ma di
compatto lì non c’era più niente.
La
terra le esplose davanti e lei virò bruscamente a destra, evitando il cratere
della bomba per un soffio.
“Mantenere
la linea!” Strinse i denti cercando di leggere lo schermo attraverso il fumo,
la terra e il sudore.
“Jordan,
portaci fuori di qui! Me ne infischio della sua fottuta linea!”. Non rispose,
tutta la sua concentrazione focalizzata sul dirigere al meglio le decine di
tonnellate da cui era avvolta.
“Fuoco!”
Urlò l’armiere un secondo prima di premere il grilletto, dandole appena il
tempo di prepararsi alla scossa che attraversò il mezzo.Il suo copilota, ora alla mitragliatrice,
sparava concentrato da quando era esploso il primo colpo.
“Porca…”
La parolaccia del comandante rimase sospesa per un istante, “Gas!” L’urlo fece
scattare l’uomo accanto a lei, lasciò la mitragliatrice e afferrò la maschera
antigas. Lei però non poteva lasciare il volante, doveva aspettare. Il suo
copilota le si avvicinò rapidamente,
“Fuoco!”
La voce dell’armiere arrivava distorta, segno che anche lei indossava la
maschera. Lo scossone fece schiantare l’uomo contro la parete, lei si voltò un
istante a guardarlo, con la maschera sul volto appariva mostruoso, del gentile
e acculturato professore non c’era più nulla. Con fatica lui la raggiunse e
infine lei poté indossare la protezione contro il gas. Le testa le girava un
po’, segno che ne aveva inalato una parte, ebbe il tempo di vedere il suo
copilota ruotare su se stesso, sembrava ubriaco. Poi ci fu l’impatto.
Una
bomba li aveva trovati. Crollò in avanti e il suo ultimo pensiero cosciente fu
che sperava davvero non le si fossero rotti gli occhiali.
Capitolo 2 *** Primo capitolo: Armamento, protezione e… mobilità! ***
Grazie
a tutti quelli che leggono e mille grazie a chi lascia anche un commento! ;-)
Buona
lettura!
Primo capitolo:
Armamento, protezione e… mobilità!
Uno
scossone la fece sobbalzare, il dolore si risvegliò prepotentemente assieme
alla sua coscienza. Si portò una mano al volto togliendosi la maschera poi
osservò i suoi occhiali, la montatura era tutta storta, rimase qualche secondo
ad osservarli, poi un secondo scossone la risvegliò definitivamente. La bomba
non doveva aver colpito i cingoli perché si stavano muovendo.
“Sten?”
Chiamò, mentre si voltava verso il suo copilota, poteva vederne il braccio
immobile, parte della torretta di fuoco gli impediva di scorgere altro e lo
specchietto era troppo piccolo e inclinato male, “Sten?” provò di nuovo, si
ricordava di averlo visto barcollare.
Tentò
di guardare fuori ma la piccola feritoia era completamente ostruita. Il
computer di bordo che le permetteva realmente di guidare era spento.
Improvvisamente fu presa dal panico, si stavano muovendo e lei non sapeva verso
cosa. La sua mente le propose in rapida successione un burrone, un mare o più
probabilmente un cannone dei nemici. Diede una brusca sterzata, che la mandò a
sbattere contro la torretta. Il motore borbottò e sussultò poi si spense.
Scese
il silenzio.
“Maledizione,
c’è qualcuno che mi sente?” Urlò, la paura che la attanagliava ancora. Non le
rispose nessuno, ruotò sul suo seggiolino, il movimento le diede una forte
nausea. Si fermò chiudendo gli occhi, aveva freddo eppure stava copiosamente
sudando, osservò le proprie mani, tremavano. Le chiuse a pugno, doveva essere
in stato di shock. Prese un profondo respiro cercando di controllare la nausea
poi si alzò, passò attorno alla torretta e raggiunse Sten, il suo copilota
tedesco.
Era
riverso sul sedile,
“Sten!”
Non aveva ferite visibili, gli tolse la maschera sperando che potesse respirare
più liberamente e quindi svegliarsi. “Andiamo Sten, per favore svegliati” lo
chiamò ancora lei mentre lo scuoteva, gli tolse l’elmetto che lui teneva sempre
allacciato e gli fece aria con la mano. La nausea la assaliva, sudori freddi le
scivolavano lungo la schiena. Forse doveva trovare il kit del pronto soccorso,
sì, decise infine, lì c’erano sicuramente dei sali. Mentre si alzava però sentì
un rumore nella torretta e dimenticò i sali.
“Signore?”
Provò.
“Jordan?
Sei tu? Lo sapevo io che non dovevo far guidare Bobby ad una donna!”, lei
scosse la testa e il dolore le esplose nel cervello, la smise subito soffocando
un gemito, non stava bene e non capiva perché… era sempre lo shock?
“Sono
io signore, Bobby è tutto intero, prima ci muovevamo”
“Bene,
una buona notizia, Sten?”
“E’
svenuto, forse è caduto…”
“Non
dirmi che non aveva l’elmetto”
“Ce
l’aveva signore”
“Bene
bene, allora dopo ci occupiamo di lui, ora esci e vieni ad aiutarmi ad aprire
il portellone, è bloccato, credo sia stato il colpo che abbiamo preso. Loewy sta verificando le armi”.
“Sì
signore”, il suo portello si aprì senza problemi e lei sgusciò fuori da Bobby,
il loro carro armato. Rimase qualche secondo abbagliata dall’intensa luce del
sole ormai alto nel cielo, doveva essere quasi mezzogiorno si disse. Poi si
guardò attorno, non avrebbero dovuto essere lì, rabbrividì, era un carrista
abituata a spazi claustrofobici ed era nata e vissuta a New York, città di
milioni di abitanti, tutto quello spazio vuoto era per lei innaturale e alieno.
Ricordandosi perché era uscita smise di contemplare il paesaggio e scalò Bobby
fino ad arrivare al portellone della torretta da cui entravano il comandante e
l’armiere. Capì subito che non sarebbe stato facile, la bomba o qualsiasi cosa
li aveva colpiti aveva seriamente ammaccato il fianco dello scafo e della
torretta ma anche la parte superiore così da bloccare il portellone e
distruggere completamente la torretta d’osservazione con il periscopio. I
cingoli erano stati miracolosamente risparmiati, così come il cannone, mentre
delle due mitragliatrici solo una sembrava non essere stata colpita. Rientrò
nello scafo e comunicò la situazione a Ramirez, il suo comandante.
“Ok,
allora Jordan, prendi il kit di pronto soccorso e sveglia Sten, non è da
tedeschi dormire sul lavoro, poi aprite questo dannato portello, anche se per
farlo dovrete usare la fiamma ossidrica!”
Obbedì
tenendo a bada il proprio corpo con fatica, estrarre il kit fu un impresa quasi
quanto svitare il tappo dei sali, ma Sten reagì immediatamente svegliandosi e
la guardò confuso,
“Come
ti senti? Mi riconosci?” Le chiese lei.
“Jordan…
ho mal di testa…”
“A
chi lo dici…” Lui sorrise ma portandosi la mano alla fronte la sua espressione
divenne una smorfia di dolore, “Riesci ad alzarti? Abbiamo bisogno di te per
tirare fuori il comandante e Loewy”, L’uomo annuì e
se ne pentì all’istante, prese un profondo respiro e poi si alzò, barcollò un
pochino ma riuscì ad uscire. Per lei fu leggermente consolante sapere di non
essere l’unica a stare così male.
“Dove
siamo finiti?” L’uomo si era bloccato e si guardava attorno spaesato.
“Non
lo so, dentro è tutto morto, niente radar, niente computer, niente posizione”,
“Ok,
tiriamo fuori Ramirez e poi ci guardo io” Sten era il copilota di Bobby da
parecchio e più di una volta aveva dato un’aggiustatina a dei circuiti fusi.
Raggiunsero
il portello insieme, Sten provò ad aprirlo ma dovette cedere con una smorfia,
aveva ottenuto una fessura di qualche centimetro, ma niente di più.
“Va
bene…”
“Il
comandante ha detto di usare la fiamma ossidrica” Sten la guardò con orrore,
era molto protettivo con Bobby,
“Jordan,
Jordan, se dico Archimede tu a cosa pensi?” Lei scosse la testa,
“Non
saprei…”, lui era sceso dal carro e si era infilato di nuovo nello scafo,
sembrava stare già molto meglio mentre lei si sentiva sempre peggio,
“Assecondami”,
“Va
bene… un giocatore di football?” Sten la raggiunse con una sbarra di ferro e un
aria sconsolata.
“Americani,
non sapete pensare ad altro che al football con un eccezione per il baseball…”
Lei non si offese, aveva studiato alla scuola statale, l’unica che i suoi zii
avevano potuto permettersi, sapeva che la sua cultura aveva molte falle
malgrado la borsa di studio che comunque era riuscita ad ottenere. “Archimede
era un genio, filosofo, matematico, ottico, ingegnere ed altro ancora,
dell’antica Grecia, tra i suoi numerosi lavori figura anche la teoria sulla
leva”, mentre parlava dimentico del mal di testa, si muoveva sul dorso di
Bobby, provò varie posizioni infilando la sbarra tra il portellone e una delle
piastre. Ad un certo punto sembrò soddisfatto, perché si fermò la guardò e
proclamò:
“Datemi
un punto di appoggio e vi solleverò il mondo!”
Poi
spinse con forza sulla sbarra, funzionò, il metallo gemette ma si aprì e il
comandante Ramirez poté finalmente uscire.
“Sten,
lo so che ti piace istruire la nostra newyorkese, ma se non la smettevi
velocemente di blaterare invece di aprire venivo fuori dal cannone e ti
spaccavo la testa”,
Ramirez,
il loro comandante, era uno spagnolo un po’ più basso di lei che aveva un
carattere facile da accendere e un spiccato senso dell’umorismo, sapeva che lo
chiamavano tutti proiettile Ramirez a causa della sua statura e del carattere
infiammabile e amava scherzarci su. L’uomo si guardò attorno con una smorfia
nel notare la grande piana priva del più piccolo punto di riferimento. Lei
invece guardò Loewy, della donna si vedeva solo la
schiena, si era infatti infilata in un vano e ne uscì poco dopo con un aria di
trionfo,
“Signori,
ecco a voi gli FN P90” detto questo passò loro quattro fucili da assalto,
compatti e leggeri e una cassetta poi uscì a sua volta, “Questi sono i
caricatori” Aprì la cassetta mostrandoli, “Sapete come usarli?” Chiese poi,
senza aspettare una risposta, prese un caricatore e lo infilò al suo posto,
voltò il fucile e fece loro notare una levetta, “Potete sparare un colpo
singolo, oppure a mitragliatore, nel secondo caso consiglio raffiche brevi se non
volete vuotare i caricatori.” Jordan guardò l’arma che le era stata passata,
ricordava che avevano fatto una lezione su quelli,
“Non
credo che serviranno” Disse guardandosi attorno.
“Sei
americana no? Il vostro motto non è: sempre pronti?” Chiese la donna che era
israeliana,
“Quelli
sono gli Scout” le spiegò lei,
“Forse
ti confondi con ‘Semperfidelis’
quello è il motto dei marines americani, significa…” iniziò Sten incapace di
lasciarsi sfuggire un’occasione simile.
“Fedeli
sempre, grazie Sten, ora truppa, smettetela di chiacchierare, conoscete tutti
gli attributi di un carro armato. Armamento, protezione e mobilità, voglio un
rapporto su tutti e tre.”
La
prima a rispondere fu Loewy,
“Il
cannone non ha subito danni, dei quarantadue proiettili imbarcati ne abbiamo
ancora cinque KE a perforazione, tre a testata esplosiva e sette granate ad
alto potenziale. La mitragliatrice di destra è andata, devo dare un’occhiata a
quella di Sten, ma non dovrebbe aver dovuto subire danni visto che era dal lato
opposto all’impatto con la bomba e di quella abbiamo ancora due casse di
proiettili da 7,62 mm. Avete tra le mani i quattro P90 che servono da ultima
difesa, qua abbiamo una trentina di caricatori da cinquanta colpi. Infine
comandante avete la pistola da ufficiale con due caricatori e tutti noi abbiamo
il pugnale d’ordinanza.” Finito il rapporto ad un cenno di assenso di Ramirez
si infilò nel portellone dello scafo per verificare la mitragliatrice
superstite.
L’uomo
guardò loro due.
“Per
quanto riguarda la protezione basta un’occhiata per dire che non siamo messi
troppo male, qualche piastra da sostituire e una mano di vernice e Bobby
tornerà come nuovo. Ora, mobilità?”
“I
cingoli non sembrano avere problemi, ma quando sono rinvenuta il motore si è
spento da solo e il computer era già morto” gli rispose lei,
“Per
dare un’occhiata al motore dovremmo smontare almeno due piastre anteriori
saldate elettricamente, cosa impossibile in questa landa desolata, quindi
vedete di riavviare il computer di bordo come prima cosa, l’avviamento lo
faremo solo se potremo vedere dove andiamo e senza torretta d’osservazione
possiamo farlo solo con il computer.”
“Sì
Signore” Rispose lei mentre Sten, che conosceva il comandante da ben prima di
quella missione annuiva solamente.
“Jordan,
stai bene?” Le chiese il tedesco notando le difficoltà che aveva nel scendere
dal mezzo corazzato.
“Nessun
problema, un po’ di nausea…” l’uomo la guardò un istante dubbioso poi la lasciò
stare.
Lei
lanciò uno sguardo verso Ramirez che però non doveva aver sentito perché era
rientrato nella torretta, non voleva che sapessero che stava male, avrebbero
iniziato a fare domande, poteva gestirlo, doveva…
“Jordan,
tieni, ne avevo due nascoste” Loewy le gettò una
barretta di cioccolato e le fece l’occhiolino, “A noi donne gli zuccheri a
volte servono” le disse, poi si arrampicò agilmente verso la torretta. Era
alta, la pelle olivastra, i capelli nerissimi e gli occhi smeraldo che
sembravano sorridere sempre. Era entrata nella loro squadra per ultima essendo
arrivata con la nave solo due giorni prima della battaglia, ma aveva dimostrato
un’eccezionale dimestichezza con le armi e una naturale predisposizione a farsi
apprezzare. Jordan guardò la barretta di cioccolato poi, con un senso di
nausea, la infilò in una delle molte tasche del giubbotto antiproiettile.
“Grazie”
Le disse solo, ricevendo un altro sorriso.
Sten
era stato un professore universitario prima di arruolarsi, a differenza di
Ramirez che era un soldato anche prima, e mentre lavorava amava chiacchierare
di filosofia, storia o letteratura. Ma quel giorno Jordan non riusciva proprio
ad ascoltarlo, tutta la sua concentrazione andava al pannello elettrico. La sua
mente sfuggiva, le sue mani tremavano e lei sudava.
“Che
ore saranno?” Chiese a Sten che interrotto dalla sua dissertazione si strinse
nelle spalle,
“Le
due?” Ipotizzò. Gli orologi si erano tutti scaricati durante il viaggio e lì
nessuno ne portava più, c’era il computer per tenerli informati sul procedere
delle ore.
“Eccolo
qua!” Sten prese un fusibile di ricambio e sostituì quello fuso. Il computer si
riavviò immediatamente, “Jordan guardaci tu, io chiudo qui” Lei si alzò con
fatica e si sedette al suo posto. Solo allora capì perché stava così male.
Jordan
aveva un problema, un problema di cui nessuno sapeva nulla, aveva un
dipendenza. Aveva cominciato a bere non appena si era arruolata. All’inizio per
darsi forza, per trovare il coraggio, poi semplicemente per affrontare la
giornata. Beveva al mattino appena sveglia, poi in ogni momento possibile, ben
presto, senza neanche che se ne accorgesse era diventata completamente
dipendente. Non ci aveva messo molto a capire che non era lo shock della
battaglia o lo svenimento a farla stare così male, no, era la mancanza
dell’alcool. Le era già successo: era nell’esercito, non sempre riusciva a
bere, poteva essere un’esercitazione troppo lunga, una visita medica o
semplicemente una notte lontana dalla base ma non le era mai successo che i
sintomi di astinenza fossero così forti. Fino ad oggi.
“Signore!”
Urlò. Ramirez arrivò allo sportello seguito da Loewy,
mentre Sten si voltava a guardarla stupito. “Signore, siamo a settecento
kilometri dal luogo della battaglia, settecento trentatré per l’esattezza…”
“Jordan,
è impossibile, non possiamo essere stati tutti e quattro svenuti per così tanto
tempo e non possiamo percorrere una simile distanza se non continuando a
muoverci per ore e ore…”
“Lo
so signore” Lo interruppe lei, le mani che le tremavano con più forza, “Eppure
non siamo più il 23, non sono passate due o tre ore, ma ventisette da quando
abbiamo incontrato i nemici.”
“Vuoi
dirmi che siamo rimasti svenuti per tutto quel tempo?”
“Si
signore”,
“Ma…
il carburante?” Chiese Loewy che per una volta
sembrava preoccupata, Jordan premette sullo schermo e ottenne la risposta che
temeva e che tutti già sapevano.
“Il
motore si è spento da solo perché non ce n’è più, abbiamo finito il
carburante”. Rimasero in silenzio poi Ramirez si voltò a guardare la piana
stepposa in cui erano finiti.
“Bene,
signori, a quanto pare siamo a secco nel bel mezzo del nulla.”
Dannatamente
a secco pensò disperatamente Jordan, e non si riferiva al carburante.
E
rieccoci per un nuovo capitolo. Come sempre i miei ringraziamenti a tutti
coloro che leggono e in particolare a Strapelot che
recensisce facendomi un gran piacere!
Buona
lettura!
Secondo
capitolo: A secco
Come
prima cosa, ora che il computer era funzionante, inviarono un messaggio alla
base, la risposta arrivò rapida: i mezzi dispersi dopo la disastrosa battaglia
persa erano moltissimi, presto si sarebbero occupati di loro. “Il che vuole
dire che potrebbero arrivare tra due ore come tra cinque giorni.” Fu il
commento di Ramirez, “Quindi consideriamoci soli in territorio nemico,
ricordate, se le nostre forze sono state battute, allora il nemico andrà a
caccia di piccoli gruppi di sbandati, noi siamo una preda, ma non ho intenzione
di essere un boccone facile.”
Fecero
un inventario delle scorte e delle attrezzature. Non ci misero più di qualche
minuto, le razioni di acqua e di cibo erano sufficienti per sei giorni
economizzandoli, un telo mimetico coprì il carro armato e formò una piccola
tenda, disponevano anche di quattro sacchi a pelo e di quattro tute anti
radiazioni e attacchi chimici, comprese le maschere.
Jordan
partecipò appena, finse di dover triangolare la loro posizione ma in realtà
rimase seduta sul suo sedile preda di brividi e sudori. Agognava una bottiglia,
doveva bere, eppure non c’era niente di simile lì. Non aveva controllo sulla
sua dipendenza ma aveva messo un limite, non avrebbe bevuto mentre guidava
Bobby, così per impedirsene, sapendo che altrimenti avrebbe ceduto, non portava
mai dell’alcool sul mezzo. Ora se ne pentì amaramente, sapeva che se avesse
potuto bere anche solo qualche sorso si sarebbe sentita molto meglio, la paura
sarebbe scemata, così come il suo malessere fisico.
“Ehi
Jordan, come va qua?” Loewy le spuntò da dietro
facendola sobbalzare, “Stai bene?” Le chiese subito dopo guardandola in volto,
“Non
tanto, deve essere il gas o…” Iniziò a farfugliare, la donna la guardò
preoccupata poi le mise una mano sulla fronte,
“Non
sei calda, eppure sudi… non sembra l’effetto di uno shock o di un trauma, hai
della nausea?”
“Sì”
Rispose lei rapida sapendo che era un sintomo dell’avvelenamento del gas, Loewy corrugò la fronte, appariva davvero preoccupata.
“Chiamo
il comandante e…”,
“No!”
La interruppe subito lei, “Ho solo bisogno di stare un attimo ferma, starò
subito meglio…”. La donna non sembrava convinta ma annuì.
“Ok,
ma se stai peggio chiamami e non ti addormentare”.
Doveva
reagire, rimettersi in piedi, se l’avessero gettata fuori dall’esercito non
avrebbe più avuto nulla a cui ritornare, i suoi zii, l’unica famiglia che aveva
mai avuto, ormai erano morti da tempo.
“Hai
finito Jordan?”
“Sì”
“Allora
Ramirez ha detto che è il tuo turno di stare di vedetta… ehi, ma stai male!”
Sten le si avvicinò ed ebbe appena il tempo di prenderla mentre lei si
afflosciava a terra.
“Sten,
ti prego, ti prego, non lo dire. Non lo dire, non lo dire…” La litania continuò
mentre l’uomo, che aveva l’età giusta per essere suo padre, la stringeva a sé.
Due
braccia forti la presero e la deposero nel vano armi sul retro del carro, lì
c’era spazio sufficiente per due persone ora che la maggior parte dei
proiettili erano stati esplosi. Poi fu avvolta nel sacco a pelo. Tremava e
aveva difficoltà a capire cosa fosse reale o no, ma le parve che qualcuno con
dolcezza le togliesse gli occhiali e l’elmetto mentre sotto la testa le veniva
messa una giacca. Sentiva una voce parlarle tranquillamente ma non riusciva a
provare altro che confusione, dolore e terrore. Se avessero capito…
“Deve
essere stato il gas, ho perso troppo tempo prima di metterle la maschera… sono
caduto…”
“Sten,
smettila di colpevolizzarti, starà bene, deve solo superare la crisi, siamo
stati esposti tutti, è l’unica spiegazione per tutte le ore di sonno che ci siamo
fatti. Lei solo qualche secondo di più”
“Ma…”
“Smettila,
ora concentrati, sei l’unico che può trovare qualcosa di adeguato da darle, hai
studiato no?”
L’uomo
annuì a Ramirez guardando verso le fiale che erano contenute nel loro piccolo
kit di pronto soccorso. Il loro utilizzo era evidente e scritto in lingua
standard, anti-dolorifico, coagulante, sali, c’erano dei filtri nasali nel caso
dovessero cambiare i loro e del disinfettante, ora Sten avrebbe dovuto leggere
i componenti di quei composti e decidere cosa avrebbe potuto aiutare contro del
gas di origine sconosciuta.
“Loewy?” Chiamò Ramirez, la donna spuntò dal vano armi,
“Come sta’?”
“Non
lo so signore… continua a tremare, il suo cuore batte troppo velocemente ed è
confusa, sembra non essere in sé”,
“Va
bene… occupatevi di lei e chiamatemi se cambia qualcosa, sono di vedetta.”
Il
mondo attorno lei cambiava, a volte erano le pareti metalliche di Bobby, altre
era sulla nave che l’aveva portata lì, altre volte si trovava a casa oppure lavorava
ad una automobile insieme a suo zio.
Riviveva
come in un sogno la morte di sua madre, era così fragile nel letto mentre la
malattia se la portava via, però poi si rendeva conto in un momento di lucidità
che lei era troppo piccola per ricordare sua madre malata e il volto allora
cambiava, era sua zia ad essere malata. Confusa sentiva lacrime calde scenderle
lungo il volto e una mano gentile consolarla.
Vedeva
ancora una volta suo zio cadere a terra per lo sfinimento e il medico scuotere
la testa, non sarebbero durati a lungo. La pressione dentro di lei si faceva di
nuovo insopportabile e allora eccola lì davanti all’ufficio di reclutamento a
firmare. I soldi sarebbero bastati per pagare le medicine a sua zia così che
suo zio potesse riposarsi a sufficienza e tornare in salute. Tornare a
sorridere… Il sorriso dei suoi zii fieri come non mai per la sua borsa di
studio sfocava nel volto preoccupato di Sten che le somministrava una fiala dal
gusto amaro o dalla voce rassicurante di Loewy che le
parlava o che cantava persino. La sua borsa di studio, probabilmente era andata
a finire a qualcuno che aveva studiato nelle scuole private, nel momento stesso
in cui lei aveva firmato per l’esercito.
Quando
si svegliò la testa le girava un po’ meno, le mani non tremavano più e lei
seppe che questa volta quello che vedeva era la realtà.
Un
corpo era steso accanto al suo, Loewy. Tentò di
alzarsi senza svegliarla ma la ragazza aprì subito gli occhi.
“Va tutto bene, stai tranquilla” Le mormorò
mentre dolcemente le accarezzava il volto, probabilmente credendola ancora
preda di allucinazioni. Jordan arrossì e allora lei sorrise senza il minimo
imbarazzo ma anzi con gioia, “Sei sveglia!”
“Io
credo di sì…”,
“E
come ti senti?”
“Meglio…
credo…”.
“Sten
sarà al settimo cielo, ha passato almeno una notte a riflettere, dalla base non
abbiamo avuto risposta così lui solo doveva scegliere cosa darti per farti
stare meglio. Sai si sentiva in colpa, dice che è caduto e non ti ha messo la
maschera sufficientemente in fretta, il gas deve averti raggiunto in quantità
più massiva rispetto a noi.”
Jordan
non era lucidissima ma solo allora capì che dovevano aver mal interpretato il
suo malessere, avevano dato la colpa al gas e non alla sua dipendenza
dall’alcool, forse le due cose erano collegate dopo tutto, non credeva che
potesse stare così male per l’alcool no?
“Da
quanto tempo…”
“Parecchio,
questa è la seconda notte, ieri ti abbiamo dato la fiala, Sten ha esitato
perché conteneva dell’etanolo e aveva paura che ti facesse peggiorare, invece
ha funzionato e ora sei sveglia”.
Ma
certo. Jordan abbassò lo sguardo vergognosa, ora sapeva perché stava meglio.
“Oh,
scusa, tieni” La ragazza le passò gli occhiali e lei lì infilò cercando di
nascondere il suo senso di colpa. Poi tentò ancora di uscire, ma la testa le
girò e Loewy fu subito pronta a sostenerla,
“Piano
soldato” Le disse con un sorriso, poi la aiutò a scendere dal carro. La notte
era silenziosa, ma il paesaggio era impressionante, le stelle brillavano
luminose nel cielo, offrendo uno spettacolo unico.
“Jordan!”
La chiamò Sten che era di vedetta sulla torretta di fuoco,
“Ciao
Sten…”
“Non
sai quanto sono contento di vederti in piedi!”
“Cos’è
tutto questo casino! Avevamo detto di lasciar dormire Jordan… ehi! Ma sei in
piedi!” Ramirez uscì da sotto la tenda improvvisata e la guardò con un sorriso,
“Era ora Jordan, non avevo voglia di trovare un altro autista per Bobby, dove
lo trovo un altro che sopporta la chiacchiere di Sten?” Lei sorrise, mentre la
gioia di vederli tutti così premurosi nei suoi confronti si mescolava al senso
di colpa per come li stava ingannando. L’avrebbero guardata ben diversamente se
avessero saputo perché stava male.
Sten
sbuffò.
“Visto
che è sveglio, signore” E marcò bene
sul titolo, “E’ il suo turno di stare di vedetta”. Ramirez scosse la testa.
“E
io che pensavo di stare sul sicuro prendendo un tedesco…” Sorrideva nel dirlo
poi guardando Jordan aggiunse, “Tu fila a letto, non voglio che ci sia una
ricaduta”.
Lei
annuì ma quando fu di nuovo allo sportello per il vano armi, dove dormivano lei
e l’armiere, vi si appoggiò respirando l’aria fresca della notte. La donna le
si mise accanto rispettando il suo silenzio.
“Grazie…”
Disse lei dopo un momento.
“E
di cosa? Siamo una squadra”
“Uno
per tutti, tutti per uno?” La donna sorrise.
“Sei
rimasta troppo con Sten!” Fu il turno di Jordan di sorridere.
“No,
questa volta è cultura filmica” Ancora una volta il silenzio si protrasse poi
lei parlò di nuovo, “Non credevo che… non pensavo che…”,
“Sì
chiama cameratismo, Jordan, e… amicizia, credo sia normale, o ci si odia o ci
si ama su un carro armato!” Ridacchiò mentre lei la guardava alla luce delle
stelle. “Ora vieni, non voglio che ti stanchi troppo, se no chi li sente i due”
Le fece l’occhiolino poi la aiutò ad entrare e a stendersi. Quando fu sicura
che fosse ben avvolta nella coperta si stese accanto a lei e con un buona notte
si addormentò.
Jordan
rimase a lungo sveglia ad ascoltare il suo respiro e i pochi rumori che faceva
il comandante nella torretta di fuoco. Rifletteva, aveva voglia di bere, sapeva
che avrebbe soffocato il suo senso di colpa, eppure per la prima volta da
quando si era arruolata si sentiva parte di qualcosa e desiderava essere
meritevole dell’affetto che aveva ricevuto. Bere avrebbe significato non
meritarselo affatto. Eppure… sapeva che se le avessero offerto una bottiglia in
quel preciso istante l’avrebbe finita in una decina di minuti. Sentì Ramirez
chiamare piano Loewy per il turno di guardia e finse
di dormire, sentì su di sé lo sguardo preoccupato della donna, poi l’armiere se
ne andò e solo allora lei si addormentò rosa dal senso di colpa.
Poi…
eccovi il nuovo capitolo, il titolo mi sembra appropriato al giorno… anche se
non è detto che siano sorprese buone…
Come
sempre grazie a tutti e buona lettura!
Terzo capitolo:
Sorprese
Il
mattino dopo si sentiva spossata, non sapeva se era la mancanza di alcool che
si faceva di nuovo sentire o semplicemente i postumi della sua crisi. Comunque
quando tentò di uscire da sola cadde e fu Sten a rimetterla in piedi,
“Jordan,
come stai?” Le chiese, uno sguardo preoccupato negli occhi.
“Bene
Sten, sono solo scivolata…” L’uomo non appariva convinto e la aiutò a sedersi
sulla cassa dei caricatori del P90. Ramirez la salutò con un cenno, era
concentrato in cucina. Avevano delle razione di emergenza e preparale
richiedeva una mano ferma. Bisognava rompere il reagente che avrebbe scaldato
il contenuto poi senza bruciarsi aprirlo e…
“Pronto!
A tavola signori!” Loewy scese dalla torretta
rivolgendole un buongiorno assonnato, la prima busta fu passata a lei. Ramirez
servì gli altri poi raggiunse la torretta mangiando. Era qualcosa che
assomigliava al pollo, forse c’era un aroma che voleva imitare il curry… ma
forse no, dopo due cucchiai si sentì sazia e dovette sforzarsi, su
incoraggiamento di Sten, a mangiarne ancora un po’.
Un
rumore sordo fece alzare la testa a tutti e quattro, il rumore si fece sentire
ancora e come in risposta un vento caldo li investì.
“Finite
in fretta e preparate il sapone!” Ramirez obbedendo al suo stesso ordine finì
con due cucchiaiate la propria razione poi, insieme a Sten, verificò che il
telo mimetico e impermeabile coprisse l’intero carro armato.
Non
erano passati neanche due minuti dal primo tuono quando il temporale lì investì
con forza. Loewy l’aveva aiutata a rientrare nel vano
e aveva chiuso il portello con l’ordine tassativo del comandante di non
sbirciare. All’esterno Ramirez e Sten si godevano la doccia a sorpresa,
sfruttando a pieno l’acqua calda portata dalla tempesta tropicale.
“E
pensare che ieri notte rabbrividivo dal freddo”
“E’
un posto strano…” Rispose Jordan,
“Già,
ma ci si abitua…” La guardò come per decidere qualcosa poi chiese, “Sei venuta
qui per i tuoi zii?” La domanda la stupì.
“Come…?”
“Mentre
stavi male, deliravi e parlavi di Frenk e Susy, Sten
mi ha detto che sono i tuoi zii…”
“Sì”
Rimase in silenzio, non ne aveva quasi parlato, a Sten aveva detto solo due o
tre cose, “Mia madre è morta quando avevo tre anni, i miei zii mi hanno presa
con loro e mi hanno cresciuta.” Loewy annuì ma rimase
in silenzio come se aspettasse il resto e lei la accontentò, aveva bisogno di
parlarne e sentiva di potersi confidare con quella ragazza, “Susy, mia zia, si
è ammalata quando avevo diciassette anni, avevo appena vinto una piccola borsa
di studio per il college e mio zio non me l’ha detto” Prese un profondo
respiro, mentre ricordava quei mesi, con dolore “Ero impegnata quei giorni,
cercavo dei lavori da fare per poter studiare senza pesare suoi miei zii ed ero
raramente a casa, poi un giorno sono arrivata e c’era l’ambulanza, mio zio
aveva avuto un collasso nella sua officina, lavorava tutto il giorno e dormiva
solo qualche ora la notte, aggiunta all’età e allo stress per mia zia non c’era
da stupirsene… e io stupida non mi ero accorata di niente. Allora seppi tutta
la verità, mia zia stava morendo della stessa malattia di mia madre. Ma i tempi
erano cambiati, ora ci si poteva convivere… se si era ricchi” Sospirò, non
guardava la ragazza ma sentiva il suo sguardo su di lei, “Per questo mio zio si
stava uccidendo di lavoro.” Prese un profondo respiro, “Il mattino dopo ero al
centro di arruolamento.” Non c’era bisogno di aggiungere niente. Rimasero in
silenzio tutte e due per lunghi minuti, Jordan riviveva quei momenti, non aveva
potuto salutare i suoi zii, sapeva solo che avevano avuto il denaro e che sarebbero
stati bene. Quella sera si era ubriacata per la prima volta.
“E
come sei finita tra i carristi?”, Questa volta Jordan sorrise.
“Non
posso dirtelo. È troppo ridicolo” Loewy si illuminò,
un sorriso che si accendeva sul suo volto.
“Oh,
ora lo voglio sapere a tutti i costi!” Jordan sorrise ancora poi annuì.
“Va
bene… ma niente prese in giro! Conosci Harry Turtledove?”
“Scriveva
libri no?”
“Sì,
è uno scrittore del novecento, l’unica cosa che ho di mia madre è un suo libro,
il primo del ciclo dell’Invasione, l’avrò letto dieci volte”, La ragazza la
guardava interrogativa e allora lei, un po’ in imbarazzo spiegò: “Non ti
racconto tutto, ma insomma… c’era un tedesco, era un carrista e beh era il mio
personaggio preferito allora quando mi hanno chiesto di mettere un corpo come
preferito ho barrato carrista… non credevo di essere esaudita e puoi immaginare
il mio stupore quando ho scoperto che il mio copilota sarebbe stato un
tedesco!” Loewy ridacchiò, la guardava con un grande
sorriso sul volto, ma non c’era niente di derisorio in lei, solo simpatia.
“E’
una bella storia” Le disse,
“E
tu? Com’è che ami così tanto le armi?” Le chiese allora lei.
“Oh,
è una storia d’amore iniziata quando avevo sette anni, ero in gita scolastica,
mia madre mi aveva dato qualcosa per comprarmi il pranzo ma io ho visto un
libro nella vetrina di una libreria, sono entrata e l’ho comprato spendendo
tutto quanto e saltando il pranzo” Rise di se stessa poi spiegò ancora, “Era un
libro ricco d’illustrazioni e raccontava la storia delle armi, partendo dalla
selce, passando dal gladio romano, dall’alabarda, alla katana e alla scimitarra
fino al Kalashnikov e all’Uzi, insomma, avevo trovato
il mio libro sacro”
“E
tua madre cosa disse?”
“Oh
lei… gettò il libro e mi sgridò, poi per punizione saltai anche cena, ma
ovviamente il mattino dopo mi aveva perdonato e ricevetti doppia colazione… non
sapeva che non appena si era coricata mi ero alzata e rimpinzata dopo aver
recuperato il mio libro” Jordan rise immaginando una piccola Loewy già combattiva e piena di vita.
Un
colpo battuto contro lo sportello le fece voltare.
“Noi
abbiamo fatto, tocca a voi, da gentil uomini vi assicuriamo che non
guarderemo.” Loewy sorrise.
“Bene,
non ne posso più di puzzare, sarà un piacere lavarsi” Jordan arrossì.
“Vai
pure tu, io faccio dopo”
“Scherzi
vero? Non ti reggi in piedi, ci penso io a te”, malgrado l’imbarazzo Jordan
aveva decisamente bisogno di una doccia e sapeva che sola non ce l’avrebbe
fatta, così annuì e si fece aiutare a uscire.
Loewy si spogliò
rapidamente poi la aiutò a togliersi la tuta e guardandola con un sorriso dolce
le tolse anche gli occhiali mettendoli da parte, poi insieme uscirono sotto la
pioggia torrenziale. Era calda ed era una meraviglia sentirla scendere lungo il
corpo.
“Ora
il sapone” Le disse la ragazza, la bocca che le sfiorava l’orecchio per
sovrastare il frastuono del temporale. La donna le passò delicatamente il
sapone lungo il corpo, Jordan chiuse gli occhi, assaporando il piacere di
quella doccia, sopraffatta dalla dolcezza. Quando li riaprì lei la stava
guardando, gli occhi verdi e belli fissi nei suoi, rimase così per un tempo che
sembrò lunghissimo a Jordan poi la donna sorrise e fece un passo indietro.
“Ce
la fai da sola? Prendo due teli per asciugarci…” Lei le annuì, c’era stato
qualcosa di forte il quel momento, qualcosa che le aveva fatto battere il cuore
più rapidamente e non si fidava della sua voce. Rimase da sola sotto la pioggia
e finì di lavarsi, dovette muoversi lentamente, la fatica di rimanere in piedi
a lungo che si faceva sentire.
“Fatto,
vieni?” Loewy le tese la mano e la accompagnò di
nuovo sotto il telo impermeabile, poi la aiutò ad asciugarsi. Infine Jordan si
infilò nel sacco a pelo mentre lei usciva a lavare le loro tute.
Mentre
la aspettava sentì una fitta di mal di testa, con un certo terrore si guardò le
mani e le vide tremare appena. Con un senso di panico capì che sarebbe
ricominciato e questa volta non si sarebbero ingannati. Il kit medico era
appoggiato lì accanto e lei lo prese con trepidazione, poi in fretta cercò il
medicinale a cui mancava una fialetta, non fu difficile, ne prese un'altra e la
bevve, il gusto amaro le fece fare una smorfia, ma non importava.
Quando
Loewy rientrò e si infilò nel sacco a pelo accanto al
suo lei finse di essere addormentata, sapeva che non avrebbe potuto reggere il
suo sguardo senza sentirsi sporca.
La
piaggia torrenziale non durò a lungo e lasciò loro una sorpresa. Quando
uscirono da Bobby il paesaggio era cambiato, in poche ore l’erba si era
inverdita e rafforzata, la piana giallognola si era ricoperta di verde e di
fiori. Lo spettacolo era rimarchevole e Jordan lasciò che il suo animo si
sollevasse nel vedere una simile meraviglia. Muoversi ora le risultava molto
più facile e quando ebbe mangiato le sembrò di aver ripreso le forze tanto che
si propose per il turno di guardia.
Raggiunse
la torretta di fuoco e vi si installò, il telo la nascondeva ma le permetteva
una visione a trecentosessanta gradi. Sul display del comandante il radar scandagliava
il territorio e lei si appostò con il cannocchiale per reperire eventuali
pericoli sfuggiti al radar o da esso schermati. Era piacevole starsene lassù,
sentiva gli altri chiacchierare più in basso, l’aria tropicale del temporale
aveva lasciato il posto ad un tepore primaverile e i colori dei fiori
impedivano di annoiarsi. Ricordando cosa avesse nel giubbotto che aveva
rindossato per la guardia prese la cioccolata e ne mangiò un pezzetto,
“Ma
allora ti piace” Loewy le sorrise e lei arrossì.
“Certo,
se la rivuoi…”
“Ma
che dici, un regalo è un regalo!” La donna si infilò nella torretta di fuoco e
raggiunse la sua postazione poi verificò il suo puntatore per qualche minuto
infine soddisfatta si voltò verso di lei.
“Come
stai?”
“Bene”
Jordan le sorrise mentre non distoglieva lo sguardo dal binocolo, “Guarda”, Loewy si alzò e le si avvicinò tendendo lo sguardo, Jordan
sorrise, “Un arcobaleno”,
“Bello…”
Loewy si voltò per guardarla, erano di nuovo
vicinissime e Jordan sentì il suo respiro sfiorarla, la ragazza alzò la mano
accarezzandole la guancia.
“Loewy…” Jordan sentiva il cuore rombare nelle sue orecchie.
“Mi
chiamo Sarah” Mormorò allora la donna, Jordan sentiva un calore prepotente
invadergli lo stomaco.
“Io…”
“Sì?”
Le chiese la ragazza sorridendo dolcemente.
Un
bip bip la fece sobbalzare, Loewy
fece un passo indietro per permetterle di guardare il monitor.
“Qualcosa
si sta avvicinando velocemente”. Annunciò lei mentre tentava invano di
abbassare la temperatura del suo corpo e concentrarsi. Loewy
fu più rapida, prese il binocolo e lo puntò nella direzione che indicava il
radar,
“Dannazione!”
Mormorò tra i denti. Allora lo vide anche Jordan, erano nei guai.
“Signore!”
Ramirez fu da loro in un baleno, non gli era sfuggito il tono d’urgenza, il suo
ordine fu altrettanto rapido:
“Tutti
ai posti di combattimento!”
Jordan
uscì dalla torretta di fuoco il più in fretta possibile, quando fu a terra Sten
le tese l’elmetto e poi il P90, lui aveva già indossato entrambi.
“Di
cosa si tratta?” Le chiese l’uomo mentre si infilavano nel carro armato.
“Un
velivolo nemico, un elicottero, veniva dritto verso di noi, ma non credo ci
abbia visti altrimenti avrebbe avuto una traiettoria diversa… così dice Sarah”,
l’uomo la guardò e lei arrossì violentemente, “Loewy,
volevo dire Loewy” Si corresse lei mentre l’uomo
sorrideva.
“Avete
fatto amicizia, non c’è nulla di male Jordan, dopo tutto è rimasta delle ore a
badare a te”
“Già…”.
Ora
che erano ai loro posti dovevano solo aspettare, sopra di loro Loewy e il comandante parlavano fitto fitto di traiettorie
e potenziale di esplosione.
“Jordan,
Sten, faremo fuoco, Loewy dice che abbiamo una
possibilità che non ci abbiano visti e se li prendiamo di sorpresa forse non
avranno il tempo di comunicare la nostra posizione”, Ramirez fece una pausa
rispondendo ad una domanda dell’armiere poi continuò, “Jordan, comunica tutta
la situazione alla base, codice criptato.”
“Sì
signore”, Rispose lei mentre Sten stringeva la mitragliatrice teso. Trascrisse
velocemente alla base la loro situazione, la risposta fu laconica: Buona
fortuna. Lo disse a Sten che le sorrise con sarcasmo.
“Sai
che cosa diceva Lorenzo de Medici sulla fortuna?”
“No
Sten” Le rispose lei, era in un certo senso tranquillizzante sentire il caro
Sten spiegarle le opinioni di un uomo morto da secoli mentre attendevanoil drastico esito vita o morte,
“Ebbene
lui disse: Credere alla Fortuna è cosa pazza: aspetta pur che poi si pieghi e
chini.” Sulle loro teste sentirono la torretta muoversi, poi i sistemi
idraulici fecero alzare la canna del grande cannone. Sten lo ignorò, “Oh avrei
talmente tante citazioni sulla fortuna, Virgilio, Seneca, persino Dante,
conosci Dante Alighieri?” Lei scosse la testa e lui si perse mentre recitava
frasi in una lingua ormai persa nel tempo:
“Amor, ch'al cor
gentil ratto s'apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor
m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.”
“Fuoco!”
Il rombo scosse Bobby e Sten la guardò in silenzio, sul volto era sparito il
rapimento della recitazione, vi era solo la tensione,
“Preso!”
urlò Ramirez, facendoli esultare, “Dobbiamo andare a dare un’occhiata, Jordan
te la senti?”
“Sì
signore” Ed era vero, si sentiva bene.
“Ottimo,
allora andate tu e Sten, io e Loewy vi copriamo le
spalle.”
Il
fumo si alzava nel cielo e rendeva il velivolo abbattuto ben visibile. Sten le
lanciò un’occhiata,
“Sei
sicura di farcela? Non c’è niente di male a sentirsi poco bene dopo la tua
crisi, può venire Loewy o Ramirez…”
“Sto
bene, e lo sai che se spunta un altro di quelli o peggio un mezzo corazzato io
non saprei fare altro che sparare a caso”, L’uomo annuì,
“Bene,
allora andiamo”, presero una borraccia d’acqua e si incamminarono.
Camminarono
tra i fiori, attenti al minimo movimento, i P90 pronti ad essere usati, era
difficile che ci fossero sopravvissuti al colpo e allo schianto, ma non si era
mai troppo prudenti.
Camminavano
da circa quindici minuti quando lo raggiunsero. Sten le fece cenno di aspettare
mentre lui si avvicinava, quando fu sicuro che non c’era nessun sopravvissuto
la fece avvicinare.
“Che
spreco…” E non guardava il bel elicottero da guerra, ma i corpi riversi del
pilota e del suo copilota,
“La
guerra…”
“La
guerra, non giustifica nulla, non siamo obbligati a combatterla, vogliamo
farlo, tutto qui”,
“Sten,
siamo tutti volontari qui.”
“Vero,
forse anche loro erano volontari, ma ora sono solo morti” Disse amareggiato,
“Non fraintendermi, sono un soldato adesso, posso recitare poesie o ripetere a
pappagallo frasi di grandi uomini, ma so cosa significa uccidere, l’ho fatto… e
lo rifarò ancora. Ma… questo mi ha tolto l’innocenza…”,
“Non
hai più gli stessi occhi, il mondo è più…” Jordan si interruppe guardandolo, ma
l’uomo lasciò che terminasse da sola il pensiero, “Più vero, più brutto… più
intenso”. Lo guardò frustrata dal non riuscire a spiegarsi meglio,
“Hai
ragione Jordan, ma ricorda, l’intensità va vissuta e non soffocata”. Jordan lo
guardò stupita, di cosa parlava? Come faceva a sapere che l’alcool la salvava
proprio da quell’intensità? Che tutto era attutito e più facile da vivere
quando aveva bevuto?
Sten
non le diede altra possibilità di indagare perché invece si voltò di nuovo
verso l’elicottero,
“Sai
che ti dico Jordan? Credo che abbiamo risolto il nostro problema” Poi
sorridendo le mostrò il serbatoio destro dell’elicottero, non era esploso e non
aspettava altro che di essere svuotato, “In fondo siamo tutti in questo dannato
posto solo per quello schifo di carburante.” Poi aggiunse, imitando il tono di
Ramirez, “Sicuramente piacerà a Bobby” Rise poi le fece un cenno con la testa
verso l’elicottero, “Forza, cerchiamo una tanica o qualcosa di simile.”
Non
fu difficile e con tre taniche da venti litri svuotarono il serbatoio, era
strano pensare che un tempo usavano il petrolio, non immaginava quanti litri ci
sarebbero voluti per far fare centinaia di chilometri a un carro armato, per
non parlare di far muovere le navi.
Faticò
per rientrare, Sten si era sistemato sulla schiena due delle taniche, ma la
terza la portava lei e la fatica si fece sentire, ma strinse i denti e fu
contenta di essere riuscita a tornare al carro armato senza dover chiedere a
Sten una pausa.
Ramirez
fu estasiato nel vedere il carburante e si attivò per riempire il loro
serbatoio. Quando il sole tramontò Bobby era pronto per la messa in moto.
“Pronta
Jordan?”
“Sì
signore”, disse e poi premette sull’accensione, il motore borbottò per qualche
lungo istante poi si avviò rombando tra lo giubilo generale.
“Portaci
via di qua Jordan”,
“Volentieri
signore”.
La
notte fu lunga, avanzavano a velocità ridotta, non volendo incappare in qualche
nemico oppure semplicemente in qualche ostacolo naturale. Ramirez era sulla
torretta di fuoco e con il binocolo ad infrarossi suppliva alla mancanza della
torretta di osservazione integrando le indicazioni del computer che era
impreciso non essendo coadiuvato dal supporto aereo.
Quando
il comandante diede l’alt Jordan sospirò di sollievo, gli occhi cominciavano ad
incrociarsi e faceva sempre più fatica ad interpretare le planimetrie del
computer.
Avevano
avvisato la base ma non avevano ricevuto risposte.
“Avranno
problemi di comunicazione…” Commentò Sten, ma Jordan era preoccupata, erano ore
che non ricevevano risposte.
Divisero
le guardie in tre turni a lei fu permesso di dormire visto la fatica che doveva
fare nel guidare il mezzo e lei non se ne lamentò accentando con gratitudine
quelle ore di sonno supplementare. Si stese e si addormentò in pochi minuti. Si
svegliò e guidò per altre dieci ore ininterrotte. Il silenzio della base ora
preoccupava tutti, le ragioni potevano essere molte. Nessuno lo disse ma tutti
temevano che la base fosse caduta in mani nemiche.
“Dovremmo
arrivare tra poche ore, fermiamoci per un po’ Jordan, meglio avvicinarci di
notte” Ramirez diede l’ordine di spegnere i motori. Jordan rimase all’esterno
del vano armi, appoggiandosi e guardando il sole scendere, era esausta e sapeva
di dover dormire anche se era solo per una ventina di minuti ma c’era una
tensione nell’aria che la tratteneva. Loewy si
sedette accanto a lei,
“Cosa
ne pensi?”
“Non
lo… i nemici potrebbero semplicemente aver abbattuto uno o due satelliti delle
comunicazioni…”
“Già…”
La donna era rimasta in teso silenzio da quando la base aveva iniziato a non
rispondere più, Jordan non l’aveva mai vista così in pensiero,
“Tutto
bene Sarah?” Pronunciare il suo nome le diede un fremito nel ventre, la ragazza
si voltò a guardarla, le labbra increspate in un piccolo sorriso, poi si
rabbuiò di nuovo, scosse la testa.
“E’…
mio fratello è un marinaio, se hanno preso la base lui…”, Jordan sgranò gli
occhi.
“Vuoi
dire che siete stati in due a partire per questa guerra?”
“No,
siamo in quattro, ci siamo arruolati io e i miei due fratelli, più mio zio” Nel
vedere il suo evidente stupore sorrise di nuovo, “Da noi è un onore partire per
combattere, un’occupazione nobile e giusta”,
“Ma…”,
“Lo
so, può apparire strano”, Jordan cercò di concepire l’idea, negli Stati Uniti
solo quelli davvero disperati partivano oppure i militari convinti, ma anche
loro erano pochi. Voleva chiedere di più ma poi vide lo sguardo pensieroso
della ragazza e ricordò che non era di quello che stavano parlando,
“Tuo
fratello starà bene, le navi sono le più protette e nel peggiore dei casi
possono salpare.” La donna annuì, “Ma vedrai che è solo un problema di
comunicazioni…”
“Sì,
hai ragione…” La donna si voltò poi le sorrise, “Grazie”. Di nuovo rimasero in
silenzio poi Jordan chiese:
“E
l’altro fratello e tuo zio?”
“Loro
sono stati assegnati altrove”
“Vuoi
dire che…”
“Sì…
ma abbiamo avuto il tempo di dirci addio, così come con la mia famiglia,
abbiamo fatto una grande festa, c’era metà del paese…” Sorrise al ricordo e
Jordan scosse la testa.
“E’
così diverso da noi… io non ho potuto salutare nessuno…”
“Perché?”
“Non
ho potuto dirlo ai miei zii, non avrebbero voluto e una volta firmato non ti
lasciano tornare a casa. Sono stata informata che avevano ricevuto il denaro”.
Jordan non sapeva se era la stanchezza o se era perché era la prima volta che
lo diceva ad alta voce ma l’emozione la sopraffece, sentì le lacrime inumidirle
gli occhi e poi scenderle silenziose lungo il viso. Sentiva un grumo di dolore
dentro di lei, poi Loewy la prese tra le braccia, la
strinse a sé con forza e dolcezza, non disse nulla lasciandola semplicemente
piangere. Pianse a lungo, fino a quando non si sentì spossata e vuota.
“Mi…
mi dispiace…”, Sarah la lasciò poi dolcemente le accarezzò il viso,
“Non
dispiacerti, tutti proviamo dolore”,
“Io…”
la donna le posò un dito sulle labbra sorridendo ancora poi dolcemente si
avvicinò. Il cuore di Jordan prese a rombarle nel petto gli occhi verdi di
Sarah allacciati ai suoi. Poi le loro labbra si sfiorarono. Sarah sembrò
aspettare che si ritraesse e vedendo che non lo faceva la baciò di nuovo. Fu un
bacio dolce, delicato eppure seppe sconvolgere profondamente Jordan. Sentiva la
testa leggera, come se tutto lo spazio svuotato dentro di lei ora si riempisse
di sensazioni nuove. Una nuova pienezza. Aveva paura, ma una paura piena di
speranza, come se riscoprisse la felicità.
“Jordan?”
La chiamò Sarah mormorando piano, lei aprì gli occhi guardandola, scoprendo
quel volto alla tenue luce del sole che tramontava.
“Tutto
bene?” Le chiese allora Sarah, sembrava fragile e impaurita.
“Sì”
Le disse lei poi le si avvicinò, spinta da un coraggio che non sapeva di
possedere e la baciò rapida sulle labbra arrossendo e facendola sorridere.
“Sei
adorabile quando arrossisci…”
“Oh”
Sten le guardava sorpreso. Loewy fece un passo
indietro allontanandosi e poi sorrise a Sten:
“Una
ciglia in un occhio è qualcosa di estremamente fastidioso” ,
“Ah…
ma certo…” L’uomo passava lo sguardo da una all’altra. Jordan sapeva di essere
violacea e sperava solo che Sten si bevesse la scusa di Sarah, “Volevo solo
dirvi che ripartiamo, il comandante mi ha mandato a svegliarvi”
Loewy si voltò a
guardarla, le fece un occhiolino poi risalì sullo scafo per infilarsi nella
torretta armi. Lei infilò l’elmetto e raggiunse la sua postazione, Sten la
guardò con un sorriso mentre piano mormorava: “Amor, ch'al cor
gentil ratto s'apprende…”
“Sten,
lo sai che non ti capisco quando parli nelle lingue antiche”, le disse lei
mentre avviava il motore e poi partiva ricevendo il via di Ramirez.
“Ti
ho già recitata questa… Dante, ricordi?”
“Sì”
“Ebbene
non ho avuto il tempo di dirti che il pezzetto che ti ho citato parla
d’amore…”, Jordan sentì il volto ancora una volta arrossire, contenta di
indossare l’elmetto e di essere quasi invisibile a Sten. Malgrado ciò quando
alzò lo sguardo vide gli occhi del tedesco brillare nello specchietto,
“Se
ti servisse so moltissime poesie d’amore… intense…”
“Sten!”
Lo redarguì lei arrossendo ancora, l’uomo rise di gusto poi però la lasciò
tranquilla, anche se sul suo volto Jordan poteva vedere un sorriso contento.
Capirono
che qualcosa non andava quando erano a una decina di chilometri dalla base.
“Sono
sotto attacco…” Avevano fermato il carro armato e ora tutti e tre guardavano le
luci delle esplosioni, il rumore era regolare e faceva rabbrividire. Ramirez
guardava nel binocolo con concentrazione. “Sono in stallo” Comunicò loro l’uomo
poi passò l’attrezzo a Loewy, “Guarda la loro
postazione di fuoco…” La donna rimase in silenzio a lungo e quando abbassò il
cannocchiale il suo volto era duro, gli occhi erano d’acciaio.
“Sì
signore, se mi porta abbastanza vicino ci facciamo un bel buco”, l’uomo annuì.
“Qui
entri in gioco tu Jordan, non ho il periscopio, guidare lì dentro deve essere
un inferno senza indicazioni, devi dirci cosa ne pensi”. La donna li guardava
entrambi perplessa, non aveva ancora potuto guardare nel binocolo ma quando
glielo passarono capì.
La
base era sotto attacco, c’erano numerose piattaforme da cui facevano fuoco, ma
solo una teneva in scacco le loro posizioni, una postazione rinforzata che
impediva agli uomini della base di accedere alle navi e quindi al loro immenso
potere di fuoco. Un colpo estremamente fortunato o dannatamente ben calcolato,
aveva distrutto il tunnel che portava alle navi che ora, chiuse nei loro scudi
protettivi, erano inutili, un solo tiro che distruggesse quella piattaforma
avrebbe permesso ai marinai di raggiungere le loro armi e quindi in pochi colpi
distruggere le forze d’attacco.
Quello
era il compito di Loewy e di Ramirez, sarebbe stato
un colpo difficile, non quanto colpire un elicottero in volo ma comunque non
semplice. Il suo dovere era portarli a fare fuoco. Ma l’attacco alla base
durava da ore e i nemici avevano costruito una serie di terrapieni e di
trincee. La maggior parte erano verso la base attaccata ma alcune circondavano
le basi di tiro da tutti i lati.
“E’
un labirinto…” mormorò, nessuno disse niente, aspettavano la sua decisione.
Guardò ancora nel binocolo, un gruppo di uniformi blu della marina giaceva
lungo il vasto piazzale di cemento che separava la base dalle navi. Un
movimento le fece capire che un altro gruppo era pronto a partire, se un solo
uomo avesse raggiunto il portello tutta la base sarebbe stata salva, ma fino a
quel momento erano morti tutti. Distolse lo sguardo dal binocolo e la guardò,
Sarah la fissava, nel suo sguardo c’era una muta richiesta, una supplica. Suo
fratello poteva essere già steso sul cemento o in procinto di andare, non lo
sapevano, ma dovevano fare qualcosa. Lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei,
sentiva prepotente il bisogno di soddisfarla. Guardò ancora le intricate
barricate, solo una decisione era possibile, “Va bene, andiamo.”
Prese
un profondo respiro, non sapeva se ce l’avrebbe fatta, se avesse avuto una
planimetria completa forse… ma così, quasi alla cieca… avrebbe dovuto scegliere
la strada all’ultimo minuto, voltando e sterzando tra barricate e trincee e
tutto questo sotto il fuoco nemico,
“Non
ti preoccupare di nulla se non della guida, noi li terremo a bada. Sten alla
mitragliatrice, non lasciare che si avvicinino, io farò del mio meglio con il
P90. Indossate la tute antiradiazioni e le maschere. Saremo invulnerabili per
il tempo necessario a portarci lì. Loewy colpirà
quella maledetta postazione e poi toccherà alla base darsi da fare. Jordan, non
fermarti mai, se trovi un ostacolo passaci sopra o aggiralo, ma non fermarti.”
La
donna annuiva, le dita che tremavano, poi una mano si serrò sulle sue.
“Ce
la puoi fare, dammi una linea di tiro utile e non te ne chiederò una seconda.”
Sarah la guardava, i suoi occhi d’acciaio lasciarono trapelare una luce, un
sorriso dolce si aprì sulle sue labbra. Jordan lesse parole che non potevano essere
dette in quegli occhi smeraldo.
“Andiamo”
Disse allora Ramirez e tutti e quattro scattarono ad indossare le tute e le
maschere.
La
tuta era aderente e la maschera stringeva il suo viso in una morsa, sentiva il
sudore scenderle lungo la guancia, aveva paura. Prese dei respiri profondi poi
vide gli occhi di Sten, l’uomo la guardava nello specchietto. Non parlò ma nel
suo sguardo c’era orgoglio, incoraggiamento e sicurezza. Credeva in lei. Bastò.
Il
computer scannerizzava il terreno davanti a lei nell’arco di cinque metri,
sarebbero dovuti bastare. Il fuoco iniziò a cadere su di loro in quel momento e
quasi in contemporanea Sten iniziò a far cantare la mitragliatrice. Sopra la
sua testa il P90 non si sentiva, ma lei sapeva che Ramirez li stava coprendo, il
frastuono era semplicemente troppo grande perché lei lo udisse. Poi tutta la
sua concentrazione andò alla guida. Le immagini si alternavano sullo schermo
mentre Jordan passava tra le barricate e le trincee a velocità massima.
Rallentò e svoltò cinque volte, due a destra e tre a sinistra, sapeva
indicativamente dove fosse la piattaforma loro obbiettivo, ma non la vedeva
più. Strinse i denti, da due minuti l’allarme radiazioni lampeggiava sullo
schermo, ma lei lo ignorò. Svoltò a destra e capì di aver sbagliato. Davanti a
lei c’era un muro di terra.
“Fuoco!”
L’urlo
di Loewy la fece sobbalzare, fino a quel momento il
grande cannone aveva sempre taciuto e il suo potente rombo la scosse. Poi però
capì. Non rallentò ma invece spinse il motore al massimo e andò incontro al
muro. Lo squarcio del proiettile KE permise loro di passare. Il suo cuore
batteva forte, erano in un nuovo corridoio, alla sua destra una profonda
trincea, a sinistra il muro in cui Sarah aveva fatto una breccia.
“Bomba!”
Ramirez li avvisò un secondo prima che il carro sobbalzasse colpito. Jordan
gemette, il dolore che le faceva lacrimare gli occhi, il volante aveva
sobbalzato e per impedire al carro armato di cadere nella trincea aveva dovuto
tenerlo con tutte le sue forze, il contraccolpo doveva averle rotto
l’avanbraccio. Per un istante vide nero ma non svenne. Scosse la testa cercando
di allontanare il dolore. Poi tornò a guardare lo schermo, svoltò a sinistra il
dolore nel muovere il braccio infilato nel volante fu accecante ma lei si impedì
di perdere la concentrazione. Sapeva che era vicina, la piattaforma era lì, da
qualche parte…
“A
destra Jordan!” Ramirez doveva averla vista, nella sua voce c’era eccitazione,
se l’aveva vista dalla fessura da cui sparava con il P90 allora dovevano essere
davvero vicini.
Come
in conferma i sistemi idraulici si misero in azione girando la torretta del
cannone, Loewy doveva essere pronta a fare fuoco.
Doveva solo girare a destra. Alla prima occasione lo fece e caddero nella
trincea. Non fu una caduta grave, il motore rombava ancora e i cingoli
giravano, ma erano scesi di un metro ed ora il tiro era impossibile, l’alzo del
cannone era già al massimo. Aveva commesso un errore. Un errore fatale.
“Non
posso sparare” Urlò Loewy confermando le sue parole,
in eco Sten urlò di aver finito le munizioni della mitragliatrice mentre
afferrava il P90.
Jordan
sentiva un dolore pulsante irradiarsi dal braccio, non sapeva più cosa fare, li
aveva condannati tutti alla morte certa.
Poi
ebbe un idea.
“Loewy come prima, un KE dritto davanti a noi, al mio via”
“Ma?”
“Fallo
e basta!” Le urlò, non aveva tempo di spiegare, sentì la torretta allinearsi,
poi fermò il carro armato ed eseguì una delle manovre più delicate, ruotò i
cingoli sul posto. Il motore rombò nello sforzo, mentre i cingoli gemevano. Se
si spezzavano per loro era finita. “Fuoco!” Urlò allora lei e Sarah obbedì
sparando direttamente nella parete della trincea. Non attese di vedere il
risultato, ma spingendo i motori al massimo portò i cingoli là dove il colpo
perforante aveva scavato un solco. I cingoli scivolarono per un tempo
sufficiente a farla tremare poi fecero presa e loro uscirono violentemente
dalla trincea. Loewy non era rimasta inattiva, il
cannone era puntato quando uscirono e fece fuoco nell’istante in cui aveva la
giusta traiettoria. La piattaforme esplose investendoli con una grande forza
d’urto. I cingoli erano stati messi a dura prova e questa ulteriore sforzo li
fece cedere. Prima si ruppe il cingolo sinistro, facendoli ruotare con violenza
poi si spezzò anche quello destro. Jordan fu scaraventata contro la torretta di
tiro, sbatté la testa e svenne.
“Forza,
andrà tutto bene Jordan…” La voce era quella di Sten, ma erano molte le mani
che la stavano reggendo, chiuse gli occhi e svenne di nuovo.
Quando
li riaprì il dolore era sparito. Si guardò attorno, aveva la gola secca e gli
occhi le bruciavano un po’ nella luce intensa della stanza, ma si sentiva
sorprendentemente bene.
“Come
si sente?” Nel suo campo visivo entrò un volto sorridente.
“Bene…”
le rispose lei confusa.
“Ottimo,
le sue funzioni vitali sono stabili e regolari, il braccio glielo abbiamo
rimesso in sesto, tra qualche ora sarà come nuovo, deve solo riposarsi”
“Io…
qualche ora?” L’uomo sorrise,
“Capisco
che siate confusa, le spiegheranno tutto. Ora devo occuparmi di altri feriti”.
La
lasciò sola e lei rimase con mille domande in testa, come stavano gli altri? Le
sembrava di ricordare il volto di Sten, ma non ne era sicura e gli altri?
Ricordava di essersi fratturata il braccio ma ora guardandolo le sembrava
intatto e non le dava alcun dolore.
“Buongiorno
bella addormentata!” Sarah entrò nella stanza, un sorriso luminoso sulle
labbra.
“Sarah”
Disse solo lei, sorpresa e felice, la ragazza la raggiunse in due passi, Jordan
per un secondo credetteche la prendesse
tra le braccia o la baciasse ma l’armiere si fermò e rispose con un cenno al
suo sguardo interrogativo, Ramirez entrò un istante dopo con Sten.
“Allora
come sta il miglior pilota del mondo?” Ramirez aveva un tono scherzoso ma uno
sguardo fiero e orgoglioso.
“Sto
bene comandante, cosa è successo?”
“Il
medico ci ha fatto chiamare proprio per questo, sapevamo che ti saresti
svegliata molto confusa.” Le spiegò Sten.
“Per
farla breve dopo la tua manovra da vera pazza, che ci ha salvato tutti, i marinai
hanno raggiunto le navi e ti assicuro che li hanno fatto tuonare quei loro
cannoni!” Riassunse Sarah,
“Oh
sì, e mezza base ha fatto fuoco attorno a noi per assicurarci la copertura,
siamo i loro eroi!” Aggiunse Ramirez con un sorrisetto divertito. A quanto
pareva durante l’impatto dovuta all’esplosione della piattaforma da tiro nemica
Ramirez si era slogato una spalla ma a parte questo erano rimasti tutti illesi,
tranne lei ovviamente, che con un braccio rotto non era riuscita a resistere al
colpo.
“Sono
andato a vedere come se la cava Bobby, i meccanici lo stanno rimettendo in
sesto, presto sarà di nuovo in grado di muoversi” Le comunicò Ramirez, “Ottimo
lavoro Jordan” Aggiunse.
Il
medico li cacciò poco dopo dicendo loro che doveva farle l’ultima iniezione, la
salutarono e se ne andarono Sarah con più riluttanza degli altri, le aveva
detto che suo fratello era rimasto ferito, ma che se la sarebbe cavata in poco
tempo, come lei. Quella era stata una grande notizia, era arrivata una nuova
nave e con essa tutta la nuova tecnologia dalla terra. Oramai dalla sua
partenza dovevano essere passati duecentocinquanta anni, e a quanto pareva le
innovazioni erano sorprendenti.
L’iniezione
la fece dormire per due ore, ma quando si svegliò il medico la fece alzare,
verificò i suoi riflessi e le assicurò che poteva raggiungere i suoi alloggi
senza problemi.
“Miracoloso
vero? Il suo braccio presentava sette fratture di cui due esposte, in ventidue
ore con cinque iniezioni che anche un’infermiera può somministrare, il suo
braccio è di nuovo in perfette condizioni.”
“Ventidue
ore?” Chiese Jordan guardò le sue mani, nessun tremore, non ricordava da quanto
tempo non pensasse all’alcool, dopo le due fiale non aveva neppure più preso
quella medicazione con base etanolica. C’erano state così tante emozioni… c’era
stato quel senso di appartenenza… c’era stata lei…
Il
medico doveva averli avvisati perché quando uscì dall’infermeria fu
letteralmente rapita da metà base, solo metà perché gli altri si stavano
occupando dei suoi tre compagni. In meno di dieci minuti si ritrovò ospite d’onore
di una gran festa. L’imbarazzo di essere al centro dell’attenzione si dissipò
velocemente quando si ritrovò assieme ai suoi compagni, il comandante
minacciava di rappresaglie su tutti ma lo faceva in un modo così divertito che
nessuno gli badava, Sten cercava di raccontare la loro avventura ad ogni
orecchia disponibile e Loewy faceva fatica a
respirare a causa del numero di soldati che le offriva una danza. Jordan vide
passare dell’alcool, sentì la bocca secca e la tentazione farsi prepotente poi
vide gli occhi di Sarah rivolgersi verso di lei. Occhi pieni di promesse.
La
ragazza era dall’altra parte della sala. Jordan vedeva ogni dettaglio delle sue
labbra, la sua pelle leggermente arrossata dalle danze, gli occhi limpidi e
invitanti. La folla all’improvviso smise di fare rumore, almeno alle sue
orecchie, e lei la fendette come se non esistesse. Sarah non smise mai di
guardarla e quando finalmente lei la raggiunse rimasero un tempo infinito a
guardarsi. Jordan l’avrebbe baciata, incurante della folla, incurante delle
regole e delle punizioni ma Sarah sembrava sufficientemente in sé per evitare a
tutte e due seri problemi, le prese la mano e si voltò.
La
condusse nei corridoi, senza parlare e Jordan la seguì senza porsi domande.
Poi
furono nel locale docce. La cosa lasciò Jordan perplessa, mentre si guardava
attorno sentì che la porta veniva bloccata. Sarah le mostrò con un sorriso la
scheda di chiusura prima di farla sparire di nuovo in una tasca.
“Qua
non ci disturberà nessuno…” Mormorò alla sua orecchia facendola rabbrividire.
Jordan sentì la tensione salire in lei, non era più sicura di nulla, come se
Sarah parlando avesse infranto l’incantesimo. Aprì la bocca per parlare ma
Sarah le pose delicatamente un dito sulle labbra. Poi la guardò accarezzandole
una guancia,
“Non
succederà niente che non desideriamo entrambe”. Camminò all’indietro
allontanandosi da lei, ma senza perdere il contatto visivo, poi lentamente si
sfilò la giacchetta dell’uniforme, poi slacciò la cintura. Jordan la guardava
rapita, come una falena davanti al fuoco, come un serpente davanti al suo
incantatore. Nello spazio di un battito di ciglia Sarah era nuda davanti a lei,
il cuore rombava nel petto di Jordan, incapace di muoversi, incapace di fare
alcunché. Poi Sarah le sorrise e aprì l’acqua della doccia. Il fragoroso rumore
la risvegliò. Jordan mosse un passo poi un atro, prima che potesse rendersene
conto era sotto la doccia e la baciava. Fu come toccare il fuoco, il suo corpo
s’infiammò e così i suoi sensi. Perse ogni inibizione, solo il corpo di Sarah e
il suo contavano. Si liberò dell’uniforme cachi e gemette quando i loro corpi
furono finalmente uno contro l’altro. Le loro bocche si divoravano mentre le
loro mani esploravano con frenesia l’altra ancora sconosciuta.
Il
tempo passò senza che neppure se ne accorgessero e quando Sarah fu dentro di
lei nulla ebbe più senso se non il piacere.
Sarah
giocherellava con le gocce d’acqua sulla sua pelle, un sorriso appagato sulle
labbra. Jordan era stesa accanto a lei sul freddo pavimento che le aveva
accolte nella loro passione e la guardava, ancora frastornata dal piacere
provato, il cuore e la respirazione solo da poco le erano tornati normali.
“Come
ti senti?” Le chiese Sarah e rise dolcemente nel vederla arrossire, “Adoro
vederti arrossire, sei ancora più bella”, il commento la fece arrossire ancora
di più, ma Sarah aspettava una risposta e lei cercò di ascoltarsi, oltre al
senso di piacere che aveva provato, cosa c’era, come si sentiva? Come si
sarebbe sentita quando quell’appagamento si sarebbe dissipato?
Si
sentiva bene ma… una domanda la tormentava. Forse era troppo presto ma…
“Cosa
provi per me?” Le chiese tutto in un fiato, il suo cuore batteva di nuovo
velocemente, Sarah la guardò a lungo, sembrava stupita dalla domanda e al contempo
contenta che fosse stata posta,
“Jordan…”
Sorrise, poi le catturò le labbra in un bacio, gli occhi chiusi, le mani
stretta nelle sue, “Io ti amo” Mormorò poi, soffiando le parole sulle sue
labbra, lasciandola fremente come prima, ma non per il piacere fisico, questa
volta era stata scossa la sua anima. L’amava, amava lei!
Aprì
gli occhi e sorrise lasciandosi avvolgere da quel calore dentro lei che sapeva
non sarebbe stato spento da nessuno.
“Ti
amo” Disse a sua volta facendo sorridere Sarah, i suoi occhi che si
illuminavano di una luce nuova e brillante. Poi si baciarono e fecero ancora
l’amore, perdendosi una nell’altra.
“Siete
sparite ieri sera” Sten le guardò e sorrise nel vedere Jordan arrossire, Sarah
invece si strinse nelle spalle, sorrise a Jordan e risalì rapida lungo il
fianco di Bobby. “Bene bene…” Sten fu interrotto dall’arrivo del comandante
Ramirez.
“Lo
voglio come nuovo, datevi da fare insieme ai meccanici, ne ho chiesti tre e me
ne hanno dati quattro e questa la dice lunga sul nostro stato di eroi!” L’uomo
sorrise loro tutto felice per poi mettersi a girare attorno al carro armato
facendo l’inventario di tutto quello che c’era da cambiare.
I
quattro meccanici arrivarono poco dopo nel grande hangar e si misero a lavorare
su Bobby, staccando le grandi piastre danneggiate e sostituendole con altre.
Jordan stava aggiornando il software, caricando le ultime mappature quando
Sten, che era intento a sostituire tutti i circuiti elettrici la guardò.
“Jordan,
come va il tuo braccio?”
“Bene,
è come nuovo, pazzesco no?” L’uomo annuì, poi però si morse un labbro.
“Non
trovi strano che con la nuova nave non siano arrivati nuovi armamenti?”, la
ragazza si voltò per guardarlo, sistemandosi gli occhiali che le erano
scivolati sul naso,
“Forse
non ci sono stati significativi miglioramenti…” L’uomo aggrottò la fronte,
“Quanto
saranno stati per loro? Duecento anni? Decina più decina meno, nel campo medico
hanno fatto meraviglie, è possibile che non ci siano nuovi sviluppi nelle
armi?”. Jordan si strinse nelle spalle poi tornò a voltarsi perché il computer
con un bip aveva richiamato la sua attenzione. Sten non aveva torto, non ci
aveva pensato ma effettivamente era strano.
La
Terra aveva scoperto degli strappi nello spazio, strappi in cui le grandi
astronavi passavano ingannando il tempo. Un viaggio di qualche mese in questi
strappi vedeva il resto dell’universo avanzare di centinaia di anni. Gli esseri
umani che viaggiavano sapevano partendo che non avrebbero mai più visto vive le
persone che lasciavano. Ovviamente se una seconda nave partiva dieci minuti
dopo la prima sarebbe arrivata con uno scarto di decine di anni dall’altra
parte dello spazio. Paradossi temporali e relatività erano il pane dei marinai
spaziali. Ma cosa rendeva quel pianeta tanto speciale da giustificare una
guerra? Il fatto che si fosse formato all’interno dello strappo e fosse quindi
virtualmente immune dal tempo. In realtà anche lui invecchiava, esattamente
come avveniva agli uomini che brulicavano sulla sua superficie, ma, da un punto
di vista esterno allo strappo, con estrema lentezza. Il pianeta era poi una
vera miniera di propellente, quello che muoveva le grandi navi e tutti i loro
mezzi, la Terra ne era ghiotta, era infatti indispensabile ai viaggi spaziali
essendo l’unico che poteva spingere le navi negli strappi. Talmente ghiotta che
anche altri abitanti dell’universo lo volevano così che da quando erano
arrivati combattevano per conquistarlo.
Sten
aveva quindi ragione nel chiedersi come mai la Terra con l’ultima nave non
avesse inviato armi nuove e più sofisticate.
“Jordan,
vieni su un attimo?” Il solo sentire la voce dell’armiere la fece sorridere,
senza attendere oltre uscì e risalì lo scafo fino a raggiungere la torretta
dell’armiere e del comandante. Sarah era infilata in uno dei vani.
“Ti
serve aiuto?” La guardò, facendo correre lo sguardo lungo il suo corpo,
perdendosi gran parte delle sue parole.
“Potresti
farlo tu?”, Lei vedendola confusa sorrise maliziosamente, poi ripeté, sempre il
sorriso sulle labbra: “Il computer di puntamento deve aver ricevuto un colpo di
troppo, bisognerebbe cambiarlo, mi chiedevo se potevi farlo tu, altrimenti devo
chiamare un tecnico informatico e sono sicura che ci vorrà tutto il
pomeriggio”,
Devo
darci un occhiata prima di dirlo…”,
“Vieni
pure” Le disse lei, sorridendole ancora, poi si morse le labbra come se lo
scherzo le stesse sfuggendo dalle mani e anche la sua mente le riproponeva
ricordi di piacere.
“Soldato
Jordan?” La ragazza si voltò sobbalzando, poi guardò l’aviere che se ne stava
impettito sulla porta dell’hangar guardandosi attorno interrogativo.
“Sono
qui” Rispose lei poi guardò Sarah, “Torno subito… per darti un’occhiata al
computer” Si risistemò ancora gli occhiali tentando di non arrossire poi scese
e raggiunse l’aviere.
“Dovete
seguirmi, il colonnello vuole parlarvi”,
“Il
colonnello?” Chiese lei stupita, poi furono raggiunti da Ramirez.
“Cosa
succede aviere?”
“Il
colonnello Brayton ha chiesto di vedere il soldato
semplice Jordan.” Ripeté allora l’uomo.
“Molto
bene… Jordan vai pure”
“Sì
signore” Ramirez non sembrava contento e la cosa la mise ancora di più in
agitazione. Con un ultimo sguardo al carro armato lasciò l’hangar seguendo
l’aviere.
Quando
raggiunsero l’ufficio del colonello l’aviere l’annunciò e poi la lasciò entrare
da sola. L’uomo era sulla quarantina, rasato e in un’uniforme perfetta era
degno di figurare su un manifesto di reclutamento, seduto davanti a lui c’era
già un uomo, un maggiore, più giovane e con uno sguardo da rapace.
“Riposo
Jordan, non ho avuto l’occasione di ringraziarla e di complimentarmi per
l’azione che ci ha salvato da una situazione alquanto delicata”, il colonnello
le sorrise e poi le indicò la sedia ancora libera.
“Grazie
signore” Gli rispose per poi sedersi. Non riusciva a capire cosa ci facesse lì
e questo nell’esercito era assolutamente inquietante.
“Questo
è il maggiore Hang Ho, è appena arrivato con la
Vegan. Quello che è venuto a fare qui è… particolare…” Il colonello si alzò e
si voltò, lo sguardo che percorreva la pianura di fronte alla base, pianura
ancora butterata dalla recente battaglia, “Ebbene, Jordan, immagino che come
molti nella base anche voi vi siete chiesta perché non sono giunte nuove armi
dalla Terra.” Si voltò e lei annuì senza dire altro, era confusa. “Il fatto è
che la Terra… non considera più prioritaria la nostra missione”
“Come
è possibile signore?” Si lasciò sfuggire, il colonnello si voltò, sul volto un
sorriso amaro.
“Sono
passati molti anni Jordan… ora la Terra è diversa da come la conoscevamo, il
governo terrestre ha trovato altre cose di cui occuparsi, altri mondi, altri
progetti…”
“La
guerra è fuori moda” Intervenne per la prima volta il maggiore, aveva un
accento marcato e uno sguardo duro, la guardò poi annuì secco al colonnello,
“Lei andrà bene, saranno necessarie degli interventi, ma ci penserà il mio
staff”. Jordan lo guardò senza capire, poi guardò il colonnello che aveva
stretto la mascella, ma non sembrava pronto ad opporsi.
“Colonnello,
non capisco…” Osò dire, e l’uomo ammorbidì lo sguardo.
“Jordan,
lei è quello di cui abbiamo bisogno, un’eroica combattente che restituisca
lustro e importanza alla guerra qui…”
“Ma
signore…” Il maggiore si alzò interrompendola.
“Avremmo
scelto l’armiere ma è di origine israeliana, molto meglio un’americana, sono
così sensibili agli eroi laggiù, e il mondo è pronto a seguire tutte le loro
mode”. Jordan sentiva la testa girare, il mondo attorno a lei crollava e non
c’era nulla che lei potesse fare per opporsi. Il colonnello le disse ancora qualcosa
che lei non sentì, poi il maggiore intervenne.
“Imbarco
domani alle 06.00, non possiamo perdere altro tempo”.
L’aviere
la prese in consegna non appena uscì e la condusse da un equipe di quattro
persone che la valutò dalla testa ai piedi. Prima di tutto eliminarono gli occhiali,
al suo posto le fecero indossare delle lenti, poi dovette fare una lampada
solare, quando ne uscì la sua pelle era dorata, infine le fecero indossare
diverse uniformi, presero appunti e valutarono le sue misure e le sue forme.
Lei non oppose resistenza, si sentiva come una bambola di pezza senza volontà,
senza forza. Le avrebbero strappato tutto quello che aveva conquistato, non
avrebbe mai più visto Sten e il comandante Ramirez, non avrebbe più guidato
Bobby, non avrebbe più visto lei… Sarah, la donna a cui doveva tutto, che aveva
saputo aprirle il cuore, che con la sua dolcezza aveva dischiuso la sua anima.
Quando
la congedarono raggiunse la sua branda nella camerata, aprì l’armadietto e
bevve. Bevve fino a quando non si resse più in piedi e poi continuò. Il vuoto
che Sarah aveva riempito era diventatoun baratro dal quale sapeva non sarebbe mai uscita, bevve fino a quando
non si accasciò e cadde nel buio.
“Avresti
dovuto vedere la faccia del tenente quando lei gli ha risposto che poteva mettersel… che diavolo! E’ Jordan! Chiama l’infermeria,
presto!”
“Loewy sai cosa diceva il presidente Lincoln?” Sten la
guardava fissare dubbiosa il suo computer di puntamento, “Diceva: Una volta
deciso che la cosa può e deve essere fatta, bisogna solo trovare il modo.”
L’uomo scosse la testa vedendola disattenta, “Sono sicuro che Jordan avrebbe
apprezzato le parole di uno storico presidente del suo paese… a proposito, che
fine ha fatto? E’ via da ore” Loewy alzò lo sguardo,
questa volta attenta:
“Me
lo chiedo da un po’, spero non sia nei guai…”,
“E
perché mai dovrebbe esserlo?”.
“Comandante
Ramirez! Comandante?!”, un soldato entrò nell’hangar e corse da Ramirez non
appena lo vide sbucare da dietro il carro armato. Parlarono per qualche
secondo, anche da lontano Loewy e Sten lo videro
impallidire,
“E’
successo qualcosa a Jordan” Mentre lo diceva Loewy
era già saltata fuori dalla torretta e scivolava lungo il fianco del carro
armato. Lui la seguì ma quando raggiunse il comandante lei stava già correndo
via.
“Cosa
è successo?” Chiese allora a Ramirez.
“Jordan
è in infermeria… dicono che sia in coma” Sten sbiancò a sua volta.
“Un
incidente? Come è possibile?”, Ramirez scosse la testa.
“Lei…”
Era la prima volta che Sten vedeva il focoso comandante privo di parole, “Credo
abbia cercato di uccidersi”
“E’
impossibile!” Sten lo guardava orripilato da una simile idea, il volto di
Ramirez si indurì.
“Per
quale altro motivo avrebbe bevuto quasi tre bottiglie?”
Sarah
era seduta accanto al lettino e guardava la donna che amava spegnersi, perché?
Perché aveva fatto una cosa simile?
I
medici erano stati chiari, Jordan era in coma etilico e non era morta solo
perché aveva una forte tolleranza all’alcool, i test fatti su campioni di
capelli indicavano che era una forte bevitrice, si era parlato di alcolismo.
Sarah scosse ancora la testa, come aveva fatto allora a quelle parole, non era
possibile, non Jordan, non quella dolce ragazza insicura di cui si era
perdutamente innamorata, non lei.
Qualcuno
doveva aver fatto uno sbaglio, forse si trattava di una reazione sconosciuta al
prodotto che le aveva aggiustato il braccio… perché lei non poteva aver cercato
di uccidersi! Non dopo quello che si erano dette, non dopo quello che era
successo tra di loro!
“Loewy…” Sten era entrato e lei non se ne era accorta, lo
guardò e lui le fece cenno di uscire.
“Ho
avuto delle informazioni riservate che potrebbero spiegare…” Scosse la testa
poi continuò, “… spiegare il suo gesto”.
“Non
c’è nulla da spiegare, devono aver fatto un errore!” L’uomo non la contradisse
ma lei sentiva che nella sua stessa voce c’era il dubbio.
“Era
stata scelta per tornare sulla Terra”
“Cosa?”
Loewy sgranò gli occhi senza capire,
“Sarebbe
stata presentata come un’eroina, avrebbe dovuto attirare nuove reclute e
soprattutto nuovi fondi per la guerra che facciamo quassù…” Loewy
scuoteva la testa, però l’idea non era così assurda e più Sten ne parlava più
aveva senso, conosceva sufficientemente la ragazza per sapere quanto fosse
sensibile e vulnerabile, dietro quegli occhiali da secchiona vi era un animo
fragile. Era stata distrutta quando aveva dovuto lasciare i suoi zii, ora
doveva fare lo stesso, perdere in un attimo tutte le persone che amava. Perdere
lei. Ma Sten non aveva finito.
“E…
non è tutto… io… io credo di potertelo dire, è importante che tu capisca… il
suo alcolismo…”
“Di
cosa stai parlando, non era alcolizzata, ce ne saremmo accorti non credi!
Abbiamo passato con lei giorni e non ha mai…” Si interruppe mentre
improvvisamente rivalutava le ore passate a vegliarla nel carro armato per un
avvelenamento da gas. “No… no… non è possibile…”, Sten la guardò triste poi
sospirò.
“Le
ho dato una fiala a base di etanolo, ricordi?” Loewy
annuì, mentre le sue convinzioni traballavano, perché non si era confidata con
lei? Perché le aveva mentito? E se aveva mentito su quello non poteva averlo
fatto su tutto?
“Smettila!”
Loewy sobbalzò al tono brusco di Sten. “Quella povera
e adorabile ragazza ha bisogno di te adesso, del tuo amore! Sì è quasi
ammazzata all’idea di perderti per sempre e tu ti fai venire dei dubbi?!” Loewy lo guardava senza parole, del gentile professore non
c’era più traccia. “Maledizione a tutti voi!” Detto questo la lasciò sola nel
corridoio ed entrò nella camera dove le macchine tentavano di tenere in vita
Jordan.
Loewy rimase a lungo
lì a guardare attraverso il vetro il volto esangue di Jordan, Sten le stava
parlando, sicuramente le raccontava di chissà quale vecchio poeta, principe o
presidente e lei dormiva. Poteva quasi convincersi che stesse davvero dormendo,
che in ogni istante poteva riaprire gli occhi e sorriderle. Ma Jordan non lo
fece, non si svegliò e prima che lei pensasse di entrare un aviere venne a
chiamarla. Il colonnello voleva parlarle.
Capitolo 9 *** Ottavo capitolo: Cessate il fuoco! ***
Siamo
all’ultimo capitolo, dopo ci sarà solo più l’epilogo…
Buona
lettura!
Ottavo capitolo:
Cessate il fuoco!
La
Terra, dopo tre mesi di viaggio, era lì, davanti a loro. Loewy
la guardò con un misto di curiosità e timore, durante i mesi di viaggio era
stata addestrata al pubblico, come avrebbe dovuto rispondere, cosa avrebbe
dovuto dire e cosa no. Il suo aspetto era stato migliorato e un’elegante, e
attillata, uniforme l’aspettava nella sua cabina. Il maggiore Hang Ho entrò in quel momento nel salottino, non gettò
neppure uno sguardo al pianeta sotto di loro, invece andò all’armadietto dei
liquori e preparò due bicchieri ma al suo cenno negativo corrugò la fronte.
“Non
festeggiate armiere? E’ finalmente tornata a casa!”
“Casa…
non sono sicura che sia laggiù…”
“Andiamo,
ha passato solo qualche settimana sul pianeta dello strappo”
“Sì,
poche settimane per me, ma secoli per la Terra, tutti quelli a cui io sono
legata sono rimasti lì”. L’uomo non si scompose invece sorseggiò il suo brandy
con gusto poi quando la voce del comandante della nave annunciò la navetta che
li avrebbe portati sulla superficie sorrise.
“Indossi
l’uniforme che le abbiamo confezionato e.. sorrida, mi hanno già comunicato che
ci stanno aspettando.” Loewy annuì con un groppo alla
gola, da quando erano usciti dallo strappo le pareva che ogni secondo fosse
eterno, come se nello spazio di un suo respiro qualcuno che lei amava moriva di
vecchiaia. Il fatto che fosse falso, che fosse esattamente il contrario e che
lei lo sapesse non calmava la sua angoscia.
Scesero
dalla navetta pronti alla folla, ma ad accoglierli c’era solo una donna, Loewy sentì la rabbia del maggiore anche senza che lui
dicesse niente, si era aspettato un gran tumulto, giornalisti e curiosi pronti
ad assistere al ritorno dell’eroina. Invece nulla.
La
donna sorrise loro poi li fece accomodare in una saletta assicurando che presto
qualcuno sarebbe venuto a spiegare tutto.
“Spiegare
cosa?” Aveva chiesto irritato il maggiore ma la donna aveva solo sorriso e se
ne era andata.
Non
dovettero aspettare molto, poco dopo un anziano signore entrò nella stanza,
indossava l’uniforme da generale. Loewy e il maggiore
scattarono sull’attenti ma l’uomo scosse la testa sorridendo.
“Non
c’è più bisogno di questo, ho indossato l’uniforme solo perché mi hanno detto
che sarebbe stata rassicurante per voi…”
“Signore,
non capisco” Annunciò Hang Ho ed era strano vederlo
così perso, lui che era tutto efficienza e sicurezza.
“Sedetevi
e vi spiegherò, dopo tutto mi hanno richiamato dalla pensione solo per voi”
Sorrise, poi si sedettero tutti, “Allora… da dove cominciare… come sapete il
viaggio nello strappo è lentissimo da un punto di vista esterno e brevissimo da
un punto di vista interno, insomma, se siete sulla nave fate milioni di anni
luce in pochi mesi ma se siete in un punto esterno allo strappo, per esempio
sulla terra, il viaggio dura centinaia di anni. Ora questo all’inizio dell’era
della colonizzazione spaziale era un problema trascurabile, quello che contava
era che potevamo imbarcare un equipaggio e sapere che sarebbe arrivato alla
destinazione con l’età di partenza, non c’era più bisogno di astronavi
generazionali, che i materiali dell’astronave non dovevano sopportare uno
sforzo di secoli ma di soli mesi o anni e soprattutto la quantità di
propellente diventava irrisoria.” Fece una pausa per tossire, doveva essere
davvero vecchio, “Scusate signori, dicevo, il propellente necessario era
infinitamente inferiore. Ciò ci ha permesso di esplorare e colonizzare una
fettina di universo. Però
a
mano a mano che il processo avanzava il viaggio negli strappi diventava
problematico e questo per il tempo troppo lungo di percorrenza, cosìgli scienziati ci hanno lavorato per decenni,
secoli perfino ma alla fine, all’incirca settantasette anni fa, ci sono
riusciti.” Attese la loro reazione ma non ne venne nessuna allora spiegò “I
dettagli tecnici non li conosco ma posso dirvi che hanno manipolato il tessuto
degli strappi ora possiamo aprire tunnel dove vogliamo e lunghi quanto
desideriamo.”
“Signore,
tutto questo è magnifico ma cosa ha a che vedere con noi?” Il maggiore ne aveva
avuto abbastanza e ora si era alzato,
“Maggiore,
si sieda, non ho finito di dirle quello per cui sono venuto qui e lei vorrà essere
seduto quando glielo dirò.” L’uomo obbedì e il generale in pensione continuò,
“Questo
è avvenuto all’incirca quando voi avete lasciato il pianeta denominato X33F…
signori… mentre voi eravate in viaggio l’universo si è dischiuso a noi in un
modo prima inconcepibile. Abbiamo trovato centinaia di migliaia di pianeti
vivibili e colonizzabili ricchi di ogni cosa di cui noi abbiamo bisogno.”
“Ma
la guerra…” Iniziò il maggiore, Leowy vide il
generale sorridere dolcemente e seppe già cosa avrebbe risposto:
“La
guerra è finita maggiore. Tanti anni fa. Ora quel pianeta è disabitato, non ci
interessa più un flusso di propellente lento di centinaia di anni, non quando
costava vite umane e non quando possiamo trovare in pochi minuti dieci pianeti
mille volte più ricchi.” Loewy si appoggiò allo
schienale, la testa che girava mentre quella nuova consapevolezza faceva a
pugni con tutto quello che sapeva solo un minuto prima.
“Dove
sono andati tutti?” Riuscì a chiedere e il generale aprì le braccia ad indicare
attorno a sé,
“Sono
tornati a casa”
“Ma…”
“Sì,
armiere Loewy, sono arrivati circa sessantatré anni
fa…” Sorrise poi si corresse, “Siamo… io sono Brayton,
il colonnello dell’allora base 49, vi ricordate di me? Allora era più giovane,
ora ho centotredici anni”. Ovviamente si ricordavano, erano passati solo mesi
da quando lo avevano lasciato nel suo ufficio in un pianeta in guerra… invece
erano passati decenni. Lei… Jordan doveva essere vecchia ormai ma… viva! Loewy sentì il cuore battere veloce nel suo petto, non le importava
della sua età, aveva solo bisogno di sapere che era viva, che stava bene,
voleva solo parlarle un’ultima volta.
“Grazie
signore!” disse soltanto alzandosi e uscendo in fretta, il maggiore Hang Ho invece rimase seduto, sembrava che avesse preso un colpo
in testa, era incapace di accettare le nuove informazioni.
Quando
fu fuori dalla stanza si rese conto che non aveva idea di dove o come cercare
qualcuno sulla Terra, lì tutto era diverso ora.
“Armiere
Loewy?” La chiamò una voce, si voltò e si ritrovò
davanti la stessa donna che li aveva accolti all’arrivo sul pianeta, “Il
generale mi ha detto che molto probabilmente avrete bisogno del mio aiuto”. Loewy sorrise e annuì.
Capitolo 10 *** Epilogo: Poiché il vero amore tutto potrà ***
Ci
vediamo alla fine del testo ;-)
Buona
lettura!
Epilogo: Poiché
il vero amore tutto potrà
Loewy si guardò
attorno spaesata, la terra era incredibilmente verde e colorata, piante e fiori
facevano da padrone, gli edifici erano pochi e ben integrati nel paesaggio naturale.
Sembrava che la terra fosse tornata alla sua primordiale padrona: la natura.
Ovviamente era solo un’impressione, lì tutto era ben organizzato perché la
natura e l’umano si integrassero in un paesaggio dolce e piacevole. Lì abitava
Sten.
La
donna che l’aveva aiutata le aveva spiegato come accedere alle liste di
residenti, al suo conto in banca, aveva scoperto di essere ricca grazie
all’ultimo viaggio in cui gli stipendi di anni e non di mesi si erano
accumulati, e le aveva spiegato come muoversi nel dedalo di trasporti pubblici
planetari. Aveva cercato subito Jordan ma non l’aveva trovata, ma la speranza
rimaneva visto che non risultava neppure nella lista dei decessi. Il comandante
Ramirez era morto in una delle ultime azioni sul pianeta X33F. Sten invece era
vivo, un arzillo centoduenne almeno così pareva al
telefono. Trovò senza fatica l’appartamento del tedesco e bussò alla porta.
L’uomo che venne ad aprile non aveva centodue anni.
“Salve,
Loewy immagino” Lei annuì e l’uomo le indicò di
entrare, “Sten mi ha parlato molto di voi, adora raccontare di come siete
rimasti bloccati da soli in una landa desolata e di come aveva salvato un
intera base…” Le gettò un’occhiata di tralice come se facesse fatica a legare
quelle storie a lei, “Scusate se sono sorpreso, ma malgrado conosca la storia
dell’ultimo viaggio della Vegan con voi a bordo mi fa strano vedervi così
giovane mentre Sten è così anziano”,
“Non
vi scusate, questa situazione è molto strana anche per me”,
“Loewy!” La voce forte di Sten la raggiunse prima ancora che
lei lo vedesse, un sorriso le sorse sulle labbra e accelerò il passo per
entrare nella stanza, l’uomo era lì, un sorriso enorme su un volto segnato
dall’età, “Oh mia cara, sembra passato un giorno! Sei ancora così giovane!”
L’uomo la prese tra le braccia con affetto e lei sospirò sollevata, le sembrava
di stare meglio ora, come se fosse finalmente a casa.
Le
raccontò di come fossero rimasti stupiti quando dal nulla davanti alla base era
spuntato un ufficiale a dir loro del nuovo metodo di viaggio,
“Basta
un grumo di tessuto degli strappi per spostarsi dove si vuole in pochi minuti,
chiaro che il viaggio è atemporale, se al viaggiatore sembra un istante in
realtà sono due o tre ore ma è un nonnulla rispetto a prima, l’hanno condensato
sai?” Parlarono a lungo, solo una persona non fu nominata e ormai il suo nome
bruciava sulle labbra di Loewy. Sten rimase in
silenzio un attimo guardandola, poi sorrise.
“Jordan”
disse soltanto e il cuore dell’armiere fece un balzo. “Ebbene… io credo che tu
abbia voglia di vederla, dico bene?”
“E’
qui? Come sta? Sa che sono tornata?” L’uomo alzò le mani davanti a sé.
“Quante
domande! Vieni, vedrai tu stessa…”. La condusse in una stanza ma prima di
entrare le fece un piccolo sorriso: “Potrebbe essere… intenso…”.
Loewy sentiva il
cuore rombare dentro di lei, intenso era un termine riduttivo. Jordan era lì,
davanti a lei, stesa su un lettino, in una cassa di vetro, accanto a lei
c’erano dei monitor che facevano dei piccoli bip rassicuranti.
“Lei
è…”
“Viva?”
“Giovane”
Disse invece Loewy, mentre i suoi occhi passavano
lungo il corpo di Jordan, esattamente come lo conosceva. “Come è possibile?”
Sten
sorrise.
“Jordan
era in fin di vita, l’assunzione eccessiva di alcool l’aveva fatta cadere in un
coma etilico, il suo cervello non funzionava più e così il suo corpo, solo le
macchine facevano battere il suo cuore, riempire i suoi polmoni e la
alimentavano. Avrebbe dovuto morire… ma la guerra è finita e noi siamo stati
tutti trasferiti in un battito di ciglia sulla Terra. Qui potevano curarla
facilmente, la medicina è così avanzata… ma, sarebbe invecchiata mentre tu
viaggiavi nello strappo. Così l’ho fatta mettere in ibernazione.”
“Io…
come potrò mai ringraziarti?” Sten scosse la testa.
“Ti
ho mai raccontato perché mi sono arruolato? Ebbene, ero sposato ad una donna
meravigliosa, senza di lei non respiravo, lei era la vita e la mia felicità… ma
morì, un stupido incidente stradale me l’ha portata via… volevo morire perché
senza di lei io… non ero nulla. Ma non sono riuscito a farlo così mi sono
arruolato, sicuro che mi avrebbero ucciso nella mia prima azione.” Sorrise
triste al ricordo. “Non fu così, conobbi Ramirez e poi Jordan, pian piano mi
tornò la voglia di vivere, Jordan con la sua fragilità mi sembrò una figlia da
proteggere e così combattei e vissi, poi arrivasti tu. Ci perdemmo in quella
landa desolata e capii che Jordan ti amava e che tu l’amavi e quando ho saputo
che si era quasi uccisa all’idea di perderti ho capito che era quel tipo di
amore che io avevo avuto. Non potevo permettere che… finisse così. Ho fatto
quello che potevo, ora la storia è di nuovo nelle vostre mani, avete una
seconda possibilità, quella che io avrei voluto”.
Loewy si era
avvicinata e guardava Jordan attraverso il vetro con un misto di timore e
speranza.
“Non
è stato facile avere i permessi ma… so essere persuasivo quando voglio e così
ci sono riuscito. Sono decenni che aspetta che tu torni per svegliarla…”
Sorrise poi sussurrò: “Col primo bacio la sua bella sveglierà, poiché il vero
amore tutto potrà.” Sten si avvicinò ai monitor, Loewy
teneva la mano di Jordan ed era tesa su di lei. Il computer aveva iniziato il
risveglio e mentre lui usciva dalla stanza udì Jordan mormorare:
“Sarah?”
si voltò e vide la donna abbassarsi su di lei per baciarla dolcemente e dire:
“Sono
qui”.
Eccoci
alla fine della storia, non mi resta che ringraziarvi per aver resistito fino a
qui e sperare che la vostra sensazione finale sia: ne è valsa la pena!
Quindi…
grazie mille a tutti! Alla prossima storia… se mai vedrà la luce ;-)